CENACOLO DEI COGITANTI |
Se la crisi alza nuove barriere ai confini ( da "Riformista, Il" del 01-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: proteste sociali e protezionismo». Perché la crisi della globalizzazione finanziaria, innescata dai mutui americani, sta causando una crisi della globalizzazione economica, quella dei container cinesi, delle fabbriche delocalizzate, dei servizi esportati, come dimostrano le proteste londinesi contro i tecnici italiani e portoghesi superspecializzati che hanno vinto un subappalto e che,
Protezionismo, ovvero razzismo economico il liberista ( da "Riformista, Il" del 01-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Protezionismo, ovvero razzismo economico il liberista La riduzione dei dazi libera più reddito nelle mani dei lavoratori segue dalla prima pagina Giochiamo all'economia come giocavamo alla guerra: bisogna "conquistare mercati", non "lasciarsi conquistare".
Sì, ora bisogna <proteggere> gli operai locali ( da "Giornale.it, Il" del 01-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: e oggi in crisi che questa malaccorta globalizzazione ha plasmato. Dunque, pure l'insulto preventivo che i grevi operai del Lincolnshire dedicano a Gordon Brown ha la sua giustificazione. Dirimere la questione col suo slogan gli sarà impossibile. E tuttavia resta il fatto che nelle tv di tutto il mondo la verde Inghilterra non è più quella di prima.
<Sono fuori dal tempo: il mercato deve essere
mondiale> ( da "Giornale.it,
Il" del 01-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Ci vorrà una globalizzazione anche delle regole, che devono essere valide in tutto il mondo e non soltanto in Europa, dove vengono applicate da tempo. Però questi processi di globalizzazione sono irreversibili». Senza contare che una manodopera specializzata può anche formare il personale locale.
un kebab non danneggia la toscanità di lucca ( da "Tirreno, Il" del 01-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Tutto questo per dire che il mondo è ormai globalizzato, e non potrebbe essere altrimenti in un'epoca in cui le merci corrono sempre più da un capo all'altro, quindi inevitabile che gli scambi commerciali portino con sé anche lo scambio culturale tra i popoli. Il mondo diventa più piccolo, e la distanza tra chi quelle merci le produce e chi ne fa uso e consumo sempre più ridotta.
L'EGOISMO DELLE NAZIONI ( da "Corriere della
Sera" del 01-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: esperienza nel governo della globalizzazione. Benché limitato alla scala continentale, il governo dell'integrazione si fa in Europa da cinquant'anni. Il coordinamento delle politiche pubbliche, divenute vere politiche comunitarie in certe materie, ha permesso di governare l'apertura dei mercati nazionali senza determinare sconvolgimenti e promuovendo la crescita.
Crisi, la spinta di Brown I Grandi a Davos: <No al
protezionismo> ( da
"Corriere della Sera" del 01-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Il vertice A Davos l'incontro dei ministri del Commercio di 20 Paesi: dalla Cina al Brasile, alla Ue, all'ambasciatore Usa. Impegno contro i dazi e rilancio del Doha round Economia e crisi Il primo ministro inglese Gordon Brown Danilo Taino
Brown sta con gli italiani ( da "Stampaweb, La" del 01-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: economia sempre più globalizzata si facciano ancora queste discriminazioni: sembra d'essere tornati indietro di anni». Le parole amare di Giovanni Musso, vicepresidente della Irem di Siracusa, l'azienda italiana accusata dagli operai della raffineria Lindsey Oil di Grimsby di «rubare il lavoro agli inglesi», s'infrangono sulle ciminiere del Lincolnshire;
A Davos rinuniti una ventina di ministri del Commercio ( da "AmericaOggi
Online" del 01-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Cina, India, Giappone, Africa del Sud e il commissario europeo al commercio Catherine Ashton. Per gli Stati Uniti, in attesa della nomina del nuovo rappresentante al commercio, ha partecipato l'ambasciatore presso la Wto di Ginevra. Il commercio è in calo e figura tra le vittime della crisi, ha ossevato Lamy.
Non bastano le chiacchiere. Per uscire dalla
"tempesta perfetta" della crisi economica ( da "AmericaOggi
Online" del 01-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: È il caso della super coppia Usa-Cina maggiore finanziatrice l'una dell'astronomico deficit degli altri, a loro volta principale mercato dell'export cinese. E, quindi, "gemelli siamesi" più che mai impossibilitati a separarsi, pena un collasso dagli effetti nefasti per entrambi.
Sono orgoglioso del progetto su Andrea Brustolon ( da "Corriere delle
Alpi" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: una sfida alla banalità della globalizzazione», afferma convinto il sindaco. «Sono orgoglioso di questo progetto, l'ho condiviso fin dall'inizio». Tra le voci che circolano, c'è anche il rischio di sforare il budget: «Molti sarebbero contenti se la mostra costasse più del previsto e se i soldi non bastassero», osserva il sindaco amareggiato.
Le orecchie di Bruxelles. Emergenza economia/La crisi,
Obama e la vecchia Europa ( da
"AmericaOggi Online" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Cina, Russia e India, rischia di non esserci posto per una Bruxelles ancora in cerca di identità. Se l'Europa ha bisogno di Obama e dell'America è altrettanto vero che anche gli Usa e la Casa Bianca hanno bisogno del vecchio continente. In quella cabina di regia della crisi mondiale rischia di passare l'idea che dal tunnel si potrà uscire solo grazie a quella gestione totalitaria
dalla obamanomics alla gran bretagna cresce il
neo-protezionismo di sinistra - (segue dalla prima pagina) federico rampini ( da "Repubblica, La" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Il presidente dell´associazione confindustriale dei siderurgici Usa, Thomas Gibson, commenta così il sondaggio: "I contribuenti vogliono essere sicuri che il loro denaro servirà a creare posti di lavoro americani in America, non posti di lavoro cinesi in Cina". Se questa frase suona familiare, c´è una buona ragione.
sirena d'allarme per il federalismo - (segue dalla
prima pagina) tito boeri ( da
"Repubblica, La" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: sono chiesti se la globalizzazione avrebbe soffocato le identità nazionali e locali, aprendo pericolose crisi di identità, sopprimendo tradizioni e violando sistemi di valori locali. Oggi che il mondo ha cessato di correre, che anzi si torna indietro, con il Fondo monetario costretto continuamente a rivedere al ribasso le stime di crescita del prodotto interno lordo del pianeta,
Il manifesto, punto 5 Nazionalizziamo le banche ( da "Unita, L'" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Questa sensibilità sarebbe stata alimentata dal fatto che Marx visse in un periodo storico di rapida globalizzazione dell'economia. Al punto cinque del piano di azione proposto da Marx ed Engels nel Manifesto dei comunisti (1848) si legge: «.....Accentramento del credito nelle mani dello Stato per mezzo di una banca nazionale con capitale di Stato e con monopolio esclusivo».
l'arte globalizzata dell'estremo oriente - modena ( da "Repubblica, La" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: arte globalizzata dell´Estremo Oriente MODENA La globalizzazione? La rende visibile un esempio emiliano: in questa regione grazie alla collezione di una fondazione bancaria è possibile intraprendere un viaggio nella contemporaneità asiatica. Accade a Modena: gli spazi espositivi del Foro Boario ospitano la mostra "Asian Dub Photography"
Pvs, la fuga dei capitali è il rischio più temuto ( da "Sole 24 Ore, Il
(Del Lunedi)" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: relazioni economiche stabilite con la Cina. Anche l'Estremo Oriente dovrebbe subire un contraccolpo molto forte dalla prevista caduta dell'export,cui potrebbe associarsi il coinvolgimento dei sistemi finanziari di vari Paesi nella bolla speculativa Usa.Ma le notevoli riserve valutarie accumulate nell'ultimo quinquennio consentono di adottare politiche di facilitazione creditizia (
Morning Note: economia e finanza dai giornali ( da "TgFin.it" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: 2) LUXOTTICA: meno dollari e un biglietto per la Cina (CorrierEconomia, pag. 4) IT Holding: il patron Tonino Perna piegato dai debiti. Possibile il commissariamento (CorrierEconomia pag 5) RECORDATI: in crescita anche nel 2009 (Il Sole 24 Ore domenica pag 25) Man- (RADIOCOR) 02-02-09 08:05:48 (0023)news 3 NNNN
Obama, svolta storica? A metà. Non comanda... ( da "Affari Italiani
(Online)" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: la Cina. E l'uomo al timone, coerentemente con quanto dichiarato durante le presidenziali, ha deciso che i tempi erano maturi e l'lettorato pronto per un cambio di indirizzo anche sul tema dell'ambiente. Obama dietro le quinte GUARDA LA GALLERY Quanto accade in queste ore è fuori dall'ordinario in un paese che ben raramente ha visto il governo correre al salvataggio del privato.
Crisi, Banche: nella giungla degli gnomi ( da "Voce d'Italia,
La" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: particolare ha ricordato come gli sbilanci finanziari tra i Paesi abbia influito negativamente sugli equilibri economici mondiali: Paesi come Cina ed India hanno continuato a produrre ed esportare negli Stati Uniti i quali, per pagare queste esportazioni, si facevano finanziare (attraverso l?acquisto da parte di Cina ed India di titoli del debito pubblica americano) dagli stessi venditori.
La crisi: un nuovo equilibrio tra chi consuma e chi
risparmia ( da "Trend-online" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: La Cina produce Offerta, consuma poco = Risparmio. Gli USA producono Domanda superiore alla loro capacità di spesa = Debito. Questo lo squilibrio: la crisi. Un nuovo equilibrio, dice Wen? Fattomi più realista del re, mi metto a caccia di equilibri.
PARLAMENTO EUROPEO SESSIONE PLENARIA 2 - 5 FEBBRAIO
2009: MAHMOUD ABBAS AL PARLAMENTO EUROPEO; ATTIVITÀ DELLA CIA IN EUROPA PIÙ
SEVERITÀ NELLA LOTTA ALLA PEDOPORNOGRAFIA UNA POLITI ( da "marketpress.info" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Cina: rispetto dei diritti umani e lotta alla contraffazione - Una lunga relazione all´esame dell´Aula rileva le intense relazioni commerciali dell´Ue con la Cina e il ruolo di questa nella governance globale. Tuttavia, auspicando progressi nel rispetto dei diritti umani, chiede di eliminare gli ostacoli all´accesso dei prodotti e servizi europei,
Gb/ Cota: Hanno ragione operai inglesi, vedrete in
Veneto ( da "Virgilio
Notizie" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Quello che sta succedendo a Grimsby è l'esempio più classico della globalizzazione che ci presenta il conto. Ce lo ha già presentato con la crisi economica e finanziaria, con il problema della sicurezza e adesso tocca al mercato del lavoro. Sono gli effetti di una globalizzazione senza regole o con le regole saltate, una globalizzazione selvaggia".
USA: TASSI IN RIALZO, CRESCE ATTESA PER UN INTERVENTO
DELLA FED ( da "Wall
Street Italia" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: dei tassi si ricollega anche alle recenti parole del futuro ministro del tesoro Geithner che, accusando la Cina di manipolazione dei cambi, implicitamente potrebbe compromettere il forte beneficio per gli Usa derivante dall?acquisto di Treasury. La Cina infatti dallo scorso ottobre è diventato il primo detentore al mondo di Treasury. Il rialzo dei tassi di mercato sta aumentando l?
Gb, ancora scioperi contro gli operai italiani Sacconi:
"Così è a rischio il patto europeo" ( da "Giornale.it, Il" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: esempio più classico della globalizzazione che ci presenta il conto. Ce lo ha già presentato con la crisi economica e finanziaria, con il problema della sicurezza e adesso tocca al mercato del lavoro. Sono gli effetti di una globalizzazione senza regole o con le regole saltate, una globalizzazione selvaggia.
IMMIGRATI: CALDEROLI, SE NON CI TUTELA EUROPA CI TUTELIAMO ( da "Virgilio
Notizie" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Da Davos tutti hanno tuonato contro le misure nazionaliste e protezioniste salvo poi, una volta rientrati a casa loro, metterle subito in essere e faremo bene anche a noi ad iniziare a fare subito altrettanto di fronte ad una crisi che ha dimostrato il fallimento della globalizzazione e i limiti dell'Unione Europea''.
Ecco perché il clandestino in realtà non viene
espulso. ( da "Giornale.it,
Il" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 25Jan 09 Resa dei conti tra la Cina e gli Usa? Il sito del Giornale nelle ultime 48 ore ha dovuto affrontare la migrazione da un provider a un altro e dunque anche l'accesso al blog è stato difficile, soprattutto in certe zone d'Italia. Mi scuso per questo inconveniente, ora risolto.
La casta di Wall Street? Continua ad arricchirsi ( da "Giornale.it, Il" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 25Jan 09 Resa dei conti tra la Cina e gli Usa? Il sito del Giornale nelle ultime 48 ore ha dovuto affrontare la migrazione da un provider a un altro e dunque anche l'accesso al blog è stato difficile, soprattutto in certe zone d'Italia. Mi scuso per questo inconveniente, ora risolto.
Gb, ancora scioperi contro gli italiani ( da "Giornale.it, Il" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: esempio più classico della globalizzazione che ci presenta il conto. Ce lo ha già presentato con la crisi economica e finanziaria, con il problema della sicurezza e adesso tocca al mercato del lavoro. Sono gli effetti di una globalizzazione senza regole o con le regole saltate, una globalizzazione selvaggia.
Davos, il vento è cambiato ( da "AprileOnline.info" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Il nuovo presidente Usa prevede interventi anche per aiutare chi non riesce più a pagare le rate del mutuo di casa. Wen Jabao, primo ministro di Pechino, pensa di adottare molti meccanismi europei di protezione sociale nella sua Cina centauro: una dittatura comunista con una economia ipercapitalista.
Dopo Bush, Obama: discontinuità e vincoli nella
politica estera ( da
"AprileOnline.info" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Cina e India). Per questi stessi scopi espansionistici gli Usa hanno aumentato la spesa militare (warfare contro welfare) costringendo gli alleati della Nato a fare altrettanto. La prova della scelleratezza delle delle scelte di Bush è data dalla maggioranza schiacciante della vittoria elettorale di Obama.
Non siano lavoro e ambiente a pagare la crisi ( da "AprileOnline.info" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: La "globalizzazione" ha favorito le speculazioni, accentuato gli squilibri e le ingiustizie nel mondo ed all'interno dei singoli paesi. Oggi si sommano rallentamento dell'economia e crisi finanziaria; caduta degli investimenti e crescita della disoccupazione.
Eolico/ Italia terza in Europa e sesta nel Mondo per ( da "Virgilio
Notizie" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: In un solo anno, gli Stati
uniti hanno incrementato la loro capacità da
CRISI, PREMIER CINESE WEN INTRAVEDE LA LUCE ALLA FINE
DEL TUNNEL ( da "Wall
Street Italia" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: lavorando ad alcuni progetti tra cui quello sulla ricostruzione della provincia sud-occidentale della Cina, colpita dal terremoto lo scorso maggio. Wen ha detto al Financial Times che è necessario fare di più. Negli ultimi giorni ci sono state tensioni tra Usa e Cina dopo che la nuova amministrazione statunitense ha accusato la Cina di manipolare il tasso di cambio per spingere l'export.
SCARPE VOLANTI ( da "TGCom" del 02-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Wen stava parlando di globalizzazione durante un convegno organizzato dall'università di Cambridge quando è avvenuto l'incidente. "Come può Cambridge prostrarsi verso un dittatore?" ha urlato il giovane prima di lanciare la scarpa che è arrivata a meno di un metro dal premier di Pechino La scarpa, un gesto che imita quello del reporter iracheno contro George W.
Scioperi non autorizzati ( da "Corriere delle
Alpi" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: questa è la globalizzazione a livello europeo, è il futuro e non possiamo tornare indietro. Si tratta di spiegare che la paura della recessione è normale, però dobbiamo trovare delle soluzioni». C'è stato un colloquio con il governo italiano. Di cosa avete parlato?
La nuova guerra del lavoro. La concorrenza ora si
sposta all'interno dei Paesi ricchi ( da
"AmericaOggi Online" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: E a ribadire che in nome di una globalizzazione che nessuno sa bene come funzioni non si può portare via il lavoro alle maestranze padane: prima lavoriamo noi, poi, se serve, gli altri. Modo un po' grezzo ma sicuramente efficace di semplificare la più complessa questione del secolo XXI.
bertinotti: "è una guerra fra poveri serve un
piano europeo del lavoro" - alessandra longo ( da "Repubblica, La" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: ha con la globalizzazione? «Con la cattiva globalizzazione. Ce l´ho con chi pensava che la globalizzazione potesse essere generatrice di una nuova leva di diritti disconnessi dal lavoro. Ce l´ho con la direttiva Bolkestein che non promuove la libera circolazione dei lavoratori ma produce dumping sociale, estende il contratto di lavoro rumeno anche in Italia»
Uno studente di Cambridgelancia una scarpa a Wen
Jiabao ( da "Secolo
XIX, Il" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Questo comportamento riprovevole non comprometterà l'amicizia tra la Cina e il Regno Unito». La platea, composta per lo più da studenti di origine cinese, lo ha applaudito. «Come potete ascoltare le menzogne che racconta questo dittatore? Perché non lo contraddite?», ha urlato il manifestante prima di essere arrestato con l'accusa di disturbo dell'ordine pubblico.
Ma l'Italia vuole essere protezionista? ( da "Riformista, Il" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: All'aumento degli appelli a difesa della globalizzazione commerciale corrisponde la crescita dei danni che il protezionismo sta già iniziando a fare. Il ciclo di negoziati iniziati a Doha nel 2001 dall'organizzazione mondiale del commercio ha ridotto il tasso di protezione medio sui prodotti dal 22 per cento al 3,6.
IL GENOMA DELL'ERBA FORNISCE INFORMAZIONI SULLA
TOLLERANZA ALLA SICCITÀ ( da
"marketpress.info" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: principalmente nel nord-est dell´Africa e nelle aree aride degli Usa e dell´India, che viene usato come base alimentare sia per l´uomo che per il bestiame. È anche coltivato come fonte di biocarburante, principalmente in Cina. Il grano di sorgo ha più proteine e meno grassi rispetto al granturco, ma ha un valore nutrizionale simile.
sacconi: a rischio il patto ue - vindice lecis ( da "Tirreno, Il" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Commissione europea in quanto ha consentito che la libera circolazione dei lavoratori avvenisse senza un'adeguata protezione». Su regole e valori che dovrebbero essere condivisi, si è scatenata una lite nella maggioranza di governo. Il capogruppo leghista alla Camera, Roberto Cota, ha solidarizzato con gli operai inglesi affermando che la globalizzazione «ci sta presentando il conto».
Investire sul Sud ( da "Sole 24 Ore, Il" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: mail N el pacchetto di rilancio dell'economia Usa da (finora) 819 miliardi di dollari, 62 sono destinati esclusivamente agli investimenti in infrastrutture ed edifici scolastici. Anche Gran Bretagna, Canada, Cina, Francia, Germania e India stanno generosamente ricorrendo agli investimenti infrastrutturali nei pacchetti di stimolo alle proprie economie.
<L'identità è il nostro valore> ( da "Unione Sarda,
L' (Nazionale)" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: simboli universali della globalizzazione. Sembra una contraddizione, lui non concorda. «Penso che la globalizzazione contrasti con i principi di solidarietà, libertà e unità solo quando non riconosce e non rispetta altri popoli e altre identità. Non cambia niente se nel pianeta ci sono mille o duemila Stati, se c'è rispetto reciproco e unità per la soluzione dei problemi del pianeta»
Se la sfida passa per la dogana telematica ( da "Sole 24 Ore, Il" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: globalizzazione, per sopravvivere alla quale occorre giocare bene la carta del fattore tempo. In sostanza la dogana non va più solo vissuta come strumento di protezione e di difesa (contro contraffazioni e ai fini della sicurezza delle merci in ingresso) ma va anche (e soprattutto) utilizzata nella logica della facilitazione dei flussi commerciali e quindi dello sviluppo del Sistema
Protezionismo & Alimentazione. ( da "Sole 24 Ore, Il" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: idea che il settore sia o possa essere vittima della globalizzazione. Anzi, sostiene che proprio il ritardo nell'integrazione con l'economia globalizzata sia la causa del ristagno. stefano.carrer@ilsole24ore.com www.jfir.or.jp/e/pr_e/pdf/31.pdf Per leggere il documento L'OBIETTIVO Dal punto di vista agricolo il Paese deve raggiungere l'indipendenza al 50% entro dieci anni.
Antitrust all'attacco delle banche ( da "Sole 24 Ore, Il" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: ricordando i vantaggi portati dalla globalizzazione «rischiamo di perdere tutto se torneremo al protezionismo, assumendo iniziative soltanto a livello nazionale ». Sul versante operativo,c'è infine da segnalare che ieri ha materialmente iniziato ad operare il nuovo mercato interbancario col-lateralizzato (Mic) attivo sulla piattaforma di contrattazione di e-
L'ENTUSIASMO per Obama sembra aver contagiato anche il
"freddo" Putin. Nel suo di... ( da "Messaggero, Il" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: è facilitato sia dalla gravità della crisi finanziaria in Russia sia dalle tensioni sorte in campo finanziario fra gli Usa e la Cina, illustrate dal professor Fortis sul Messaggero. Mosca ha sempre temuto che i cinesi amino il mercato degli Usa, più di quanto ne odino l'egemonia politico-strategica. Il loro spettro è "Chimerica", cioè un'intesa strutturale fra la Cina e gli Usa.
Covre, l'eretico leghista <Non licenzio stranieri
per assumere italiani> La Lega: si rischia la rivolta contro il lavoro
straniero Tosi: <Non ce n'è per tutti> ( da "Corriere del
Veneto" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: conseguenze della prima vera crisi post globalizzazione, una cosa mai vista prima». Nel Carroccio, ad ogni modo, è diffusa la convinzione che la prima misura da attuare, almeno nel breve termine, sia la moratoria sui flussi già In che senso? «Molti di questi ragazzi sono cresciuti con me, arrivati a Gorgo per fare lavori di cui un ingegnere veneto non voleva neppure sentir parlare.
La società liquida di Bauman ( da "Corriere della
Sera" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: REDAZIONALE DEBUTTO La società liquida di Bauman Lo stravolgimento della società e dei rapporti interpersonali, la globalizzazione e la perdita di riferimenti. Il pensiero di Bauman, padre della teoria della «modernità liquida» è al centro di «Zygmunt Bauman» (foto) in scena allo Spazio Mil. Fino all'8/2. S. San Giovanni, via Granelli, e 15, h 21
È noto ( da
"Corriere della Sera" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: è perciò davvero deprimente, per un inglese favorevole alla globalizzazione, al libero mercato e alla libertà di movimento delle persone, vedere operai inglesi che scioperano contro lavoratori italiani impiegati in una raffineria francese sulla costa orientale dell'Inghilterra. CONTINUA A PAGINA
<Quel sindacato difende i lavoratori Guerra dei
poveri voluta da Bruxelles> ( da
"Corriere della Sera" del 03-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: frutto ultimo della globalizzazione: una guerra tra poveri in un contesto di grave crisi economica». Giorgio Cremaschi, leader della sinistra Fiom (metalmeccanici iscritti alla Cgil), vorrebbe tanto dirlo che quelli come lui avevano avvertito da tempo che il liberismo avrebbe portato a questo, ma poi si trattiene, perché davanti alla guerra tra operai inglesi e operai italiani c'
Tra Usa e Iran la diplomazia del badminton ( da "Corriere della
Sera" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: REDAZIONALE La trasferta Tra Usa e Iran la diplomazia del badminton *WASHINGTON — Con Teheran, anche l'Amministrazione Obama ricomincia dallo sport. Proseguendo una tradizione americana, che data dai tempi del ping-pong di Nixon con la Cina, una delegazione di 12 persone (8 atlete, 4 dirigenti e allenatori) parte oggi per l'Iran,
Obama: più truppe a Kabul ( da "Tempo, Il" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Clinton discuterà con gli omologhi in particolare del dossier iraniano e della situazione in Afghanistan. Gli incontri si svolgeranno alla vigilia della riunione a Berlino del gruppo 5+1 sull'Iran, cui partecipano i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna) e la Germania.
Gb/ Bertinotti: Non e' razzismo ma guerra fra poveri ( da "Virgilio
Notizie" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Bertinotti rivendica l'opposizione della sinistra contro la direttiva Bolkestein, "è stata una battaglia contro la cattiva globalizzazione", e propone ""un Piano del lavoro in Europa per non dover mai scegliere, in futuro, tra l'operaio inglese e quello italiano".
Banche Centrali ancora all'opera ( da "Trend-online" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: di manipolazione quando si è trattato di affrontare il tema della Cina e dello Yuan ed ora, il 13 e 14 febbraio, in occasione del G7, cercherà di impedire ai Giapponesi, che intanto minacciano interventi per indebolire lo Yen, di farlo. Si entra quindi in una nuova era di discussioni, molto accese sicuramente e che riguarderanno il mercato dei cambi, come sempre ai margini dell?
- CINA: SCOMPARSO AVVOCATO PER I DIRITTI UMANI ( da "WindPress.it" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: trascorso alcune settimane in carcere per aver denunciato al Congresso Usa la situazione dei diritti umani in Cina. In quell'occasione, era stato sottoposto a brutali torture: pestaggi, scariche elettriche sui genitali, sigarette accese poste vicino agli occhi. Dopo il rilascio, persone a lui vicine lo avevano descritto come "un uomo distrutto", sia fisicamente che psicologicamente.
La terra ci salverà ( da "Famiglia
Cristiana" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: industriale e globalizzata. Sono nate vere e proprie università, come quelle in Venezuela, dove si formano i contadini del domani partendo dal recupero dei saperi antichi, mettendo in cattedra gli agricoltori». La tecnologia, l?avvento della chimica e la globalizzazione, secondo la Pérez, sono fra le cause maggiori dello sconvolgimento e del depauperamento della cultura contadina.
Famiglia Cristiana: "Il recupero dei lefebvriani
rischia di appannare l'immagine della Chiesa cattolica" ( da "Rai News 24" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: globalizzata". Famiglia Cristiana ricorda come la 'Gaudium et spes' riaffermi 'la centralita' del lavoro, di valore superiore agli altri elementi della vita economica, poiche' questi hanno solo valore di strumento'". Cosi' come "e' attualissimo il richiamo che riserva ai politici: 'I partiti devono promuovere cio' che e'
Primo satellite dell'Iran. Prove tecniche di missili
pag.1 ( da "Affari
Italiani (Online)" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: intenzione dei due Stati di impegnarsi per aumenttare la collaborazione anche con gli altri Paesi impegnati nei negoziati con Pyongyang, Russia, Cina e Giappone. Obama ha anche confermato che a breve, probabilmente gia' a meta' febbraio, il neo-segretario di Stato Hillary Clinton sara' a Seul in visita ufficiale. Spettera' a lei affrontare lo spinoso problema del nucleare nordcoreano.
La nuova sfida possibile(?) di Obama">Dopo
Guantanamo, la pena di morte La nuova sfida possibile(?) di Obama ( da "Affari Italiani
(Online)" del 03-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: dopo Cina, Iran e pochi altri regimi, conta il numero più alto di giustiziati al mondo) guarda con fiducia alla Casa Bianca. Durante la campagna elettorale, Obama ha parlato di pena di morte solo in un'occasione, nel giugno scorso, quando la Corte Suprema stabilì che condannare qualcuno alla sentenza capitale per lo stupro di un bimbo è incostituzionale.
FAMIGLIA CRISTIANA: RECUPERO LEFEBVRIANI RISCHIA
APPANNARE ( da "Virgilio
Notizie" del 03-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: in rapporto alle nuove istanze della Chiesa e della presente societa' globalizzata'. Nelle sue parole si avvertiva l'eco del 'testamento spirituale' di Giovanni Paolo II: 'Stando sulla soglia del terzo millennio in medio Ecclesiae, desidero esprimere gratitudine allo Spirito Santo per il grande dono del concilio Vaticano II, al quale insieme con l'intera Chiesa mi sento debitore.
Obama e le guerre commerciali ( da "AprileOnline.info" del 03-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: settimana scorsa del nuovo ministro del Tesoro Usa, secondo il quale la Cina si sarebbe resa colpevole di aver manipolato la sua valuta, lo yuan renmimbi. La gravità dell'affermazione sta nel fatto che, secondo gli accordi tra Usa e Cina, in caso di manipolazione valutaria, gli Usa si riterrebbero autorizzati ad introdurre dazi per le merci importate dal paese estremo orientale.
Ciclo di conferenze (ore 18) per comprendere le
origini, l'entità e la gravità dell&#... ( da "Stampa, La" del 04-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: direttore Centro Alti Studi sulla Cina Contemporanea. Si chiude il 30 con «Come si esce dalla crisi?», tavola rotonda con Giovanni Bertolone, ad Alenia Aeronautica; Andrea Gavosto, direttore Fondazione Agnelli e Giuseppe Roma, direttore generale Censis. Conduce gli incontri Giuseppe Berta, storico dell'industria.
Spazio. In orbita il primo satellite iraniano ( da "AmericaOggi
Online" del 04-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Iran su questo argomento: Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Germania e Francia. Ahmadinejad, che ha dato personalmente l'ordine di lancio ripetendo per tre volte le parole Allah Akbar (Dio è grande), ha negato ogni scopo militare. "Noi - ha affermato Ahmadinejad, citato dall'agenzia Isna - usiamo la scienza al servizio della pace,
Politica estera. Comincia dall'Oriente la sfida di
Hillary ( da "AmericaOggi
Online" del 04-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Afghanistan alla Cina e alla Corea del Nord, transitando per la Russia. Sono tutte ad est le prime sfide internazionali cui deve rispondere l'Amministrazione Usa di Barack Obama e di Hillary Clinton. In pochissime ore, il nuovo inquilino della Casa Bianca e il suo segretario di Stato sono stati messi alla prova su alcuni dei fronti più caldi dell'
"C'è Protezione" a Caresanablot ( da "Stampa, La" del 04-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: è Protezione" a Caresanablot ALESSANDRO NASI CARESANABLOT Il polo fieristico di Caresanablot ospiterà da venerdì una tre giorni dedicata al mondo della Protezione civile intitolata «C'è Protezione». L'iniziativa, promossa dalla Provincia, è stata realizzata dalla società «Expoblot Srl» in collaborazione con «Studio 60» di Alessandria che gestiscono il centro fiere.
La crisi alimenta una "coincidentia
oppositorum" ( da
"Riformista, Il" del 04-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: allarme contro le protezioni nazionali (forse non ancora divenute un vero e proprio indirizzo protezionistico), additando il pericolo che si infreni il processo di globalizzazione, ipotizzando, addirittura, l'istituzione, nell'Onu, di un Consiglio per la sicurezza economica, proclamando il rilancio, da parte del Wto, del Doha Round,
PARLAMENTO EUROPEO: DIBATTITO IN AULA SU GUANTANAMO E
CIA ( da "marketpress.info" del 04-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: senza sottostare alle pressioni della Cina». «Se non facciamo questo», ha ammonito, «rischiamo di essere irrilevanti anche nella fase della chiusura di Guantanamo». Ha poi aggiunto che ciò «può essere l´inizio di un nuovo lavoro per l´emersione della verità, delle responsabilità dei nostri governi nazionali ?
Un fondo europeo per sostenere i lavoratori in
difficoltà La proposta di rilanciare e di rifinanziare (fino a un miliardo di
euro) strumenti comuni di sostegno al reddito di chi è ( da "Unita, L'" del 04-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: di rilanciare il Fondo di adeguamento alla globalizzazione, ampliandone funzione ed obiettivi. Il Fondo, nato dall'utilizzo di residui di bilancio, aveva come obiettivo la protezione dei lavoratori nelle procedure di riduzione del personale determinate dallo spostamento di produzione nei Paesi emergenti.
Sarkozy l'europeo vira sul protezionismo ( da "Manifesto, Il" del 04-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: il protezionismo più rischioso è quello della svalutazione monetaria: il costo del lavoro è 20 volte meno elevato in Cina che in Europa, ma è già molto più alto in India, malgrado situazioni abbastanza comparabili. E qui non ha tutti i torti Obama nel protestare con Pechino e chiedere una rivalutazione dello yuan.
L'Australia usa tutte le armi anti-recessione ( da "Sole 24 Ore, Il" del 04-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: Cina e Giappone - in difficoltà, l'economia australiana era fra le più esposte. Ma l'ottima gestione macroeconomica degli ultimi lustri ha permesso di metter da parte polpose riserve:l'alto livello dei tassi e dei surplus di bilancio hanno permesso di far scendere gli uni e gli altri senza perdere la fiducia dei mercati.
In orbita il primo satellite degli ayatollah ( da "Sole 24 Ore, Il" del 04-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: Oggi in Germania torneranno a riunirsi i sei Paesi che conducono il confronto con l'Iran sul nucleare: Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Germania e Francia. Secondo una fonte Nato i missili iraniani potrebbero colpire una parte dell'Europa Sud-orientale e Israele ( nella foto,il Safir-2 e il satellite Omid prima del lancio). ANSA
De-globalizzare la finanza? Errore da evitare ( da "Sole 24 Ore, Il" del 04-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: De-globalizzare la finanza? Errore da evitare A parole, la lezione degli anni 30 è chiara a tutti: il protezionismo americano, e le ritorsioni degli altri Paesi, trasformarono la crisi finanziaria degli Stati Uniti nella Grande Depressione globale durata un decennio.
Le imprese venete si schierano <Sì agli stranieri,
protezionisti mai> ( da
"Corriere del Veneto" del 04-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: globalizzazione, nel mercato del lavoro, non sia affatto un fallimento, mentre avanza seri dubbi, anche in virtù dei recenti accadimenti a sfondo giudiziario, sulla globalizzazione finanziaria che si è sviluppata senza regole. Moretti Polegato, reduce dal vertice di Davos (Svizzera), assicura che tutti i Paesi del mondo hanno manifestato in quella sede la volontà di far decollare
Passera: aiutare la crescita fa bene anche ai conti
pubblici ( da "Corriere
della Sera" del 04-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: è una proposta per governare modernità e globalizzazione. Chi pensa che la globalizzazione vada fermata per superare la crisi, sbaglia di grosso. Anzi, se vogliamo ricostruire la fiducia a livello planetario, dobbiamo chiudere in tempi brevissimi il Doha Round». La peggiore delle cure sarebbe il protezionismo: già una volta ha gettato il mondo nella Depressione.
Malta. Sul bordo dell'Europa ( da "Tempi" del 04-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: ma della modernità usa solo quanto può far comodo per rendere la vita più agile: la tecnologia, la globalizzazione, il business. Per il resto, cioè per quanto concerne il cuore della quotidiana esperienza umana, Malta è l'archetipo del fatto che si può vivere senza i "diritti civili" e campare lo stesso fino a settanta, ottant'anni per i più robusti.
Vito Panetta. Un sarto su misura ( da "Tempi" del 04-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: il mercato non era globalizzato e diventare Maestro sarto significava entrare a far parte del Gotha dell'arte sartoriale assicurandosi il futuro. «Decidere di presentarmi all'Accademia fu un'altra delle mie sfide. Il presidente di allora mi disse che all'Accademia potevano accedere solo i grandi sarti.
Sarkozy <l'europeo> vira sul protezionismo ( da "Manifesto, Il" del 04-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: il protezionismo più rischioso è quello della svalutazione monetaria: il costo del lavoro è 20 volte meno elevato in Cina che in Europa, ma è già molto più alto in India, malgrado situazioni abbastanza comparabili. E qui non ha tutti i torti Obama nel protestare con Pechino e chiedere una rivalutazione dello yuan.
Quei manager che si tagliano lo stipendio. ( da "Giornale.it, Il" del 04-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 25Jan 09 Resa dei conti tra la Cina e gli Usa? Il sito del Giornale nelle ultime 48 ore ha dovuto affrontare la migrazione da un provider a un altro e dunque anche l'accesso al blog è stato difficile, soprattutto in certe zone d'Italia. Mi scuso per questo inconveniente, ora risolto.
CRISI: PERICOLO GUERRE COMMERCIALI, SI ACCENDE OVUNQUE
IL DIBATTITO ( da "Wall
Street Italia" del 04-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: sulla notizia che la Cina ha investito una seconda parte (130MldYuan dopo i 100Mld del quarto trimestre ?08) del piano da 4.000Mld Yuan di stimolo all?economia. Tra i preziosi in calo l?oro (-1,6%) e l?argento (-1%). Tra gli agricoli proseguono le vendite su grano (-2%) e mais (-2,4%) su segnali di esportazioni Usa in calo e condizioni meteo favorevoli al raccolto.
Protezionismo: istinto primordiale! ( da "Trend-online" del 04-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: Istinto primordiale, il protezionismo, un potenziale omicida che proviene dalla storia, il potenziale killer della globalizzazione, anche se oggi il fallimento della globalizzazione stessa è un suicidio in piena regola, un suicidio cercato, una globalizzazione delle merci e dei capitali, prima che dell'uomo.
Protezionismo: istinto primordiale! pag.1 ( da "Trend-online" del 04-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: aziende che vivono di globalizzazione. "C'è protezionismo implicito in quello che stà accadendo" ha sussurrato Gordon Brown, primo ministro inglese. Non solo negli aiuti di Stato ma anche una sorta di protezionismo finanziario, banche globali che ora tornano a casa dalla Madre Patria, figliolo prodigo della situazione!
Protezionismo: istinto primordiale! pag.4 ( da "Trend-online" del 04-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: tornano a casa dopo essere stati sfruttati in nome della globalizzazione, secondo i dati del ministero dell'agricoltura sono il 15 % di oltre 130 milioni di immigrati provenienti dalle zone rurali.....nel corso dell'anno potrebbero salire a 26 milioni e oltre aggiungo io, con possibili conseguenze di stabilità sociale.
A Valenza un seminario sulla cultura globalizzata ( da "Stampa, La" del 05-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: globalizzata «Joe l'idraulico e il multilateralismo», è il titolo di un seminario di formazione regionale che si terrà l'11, il 12 e il 24 febbraio al centro San Rocco in piazza Statuto a Valenza. Relatori Vittorio Emanuele Parsi, docente dell'Università Cattolica del Sacro cuore ed editorialista de La Stampa e Riccardo Redaelli docente di Storia delle civiltà e delle culture politiche.
"Difendiamo l'economia reale" L'appello di
Susta al Parlamento Ue ( da
"Stampa, La" del
05-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: ampliamento del fondo adeguamento alla globalizzazione e l' aumento dei fondi alla piattaforma tecnologica tessile, infine credito agevolato e garantito sostegno all'export. Non regge più una concezione - cara ai Paesi nordici - secondo cui lo sviluppo dipende solo dalla finanza e dai servizi avanzati: la crisi ha dimostrato quanto sia importante l'economia reale che,
Obama blocca gli stipendi d'oro dei manager delle
aziende salvate ( da
"Unita, L'" del
05-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: Cina in recessione Secondo la lettura dei dati relative al terzo trimester di quest'anno data da Nouriel Roubini, l'economista vivente più citato dopo il premio Nobel Paul Krugman, anche la Cina è entrata ufficialmente in recessione. Questo fa temere un'ulteriore abbassamento dei prezzi da parte di Pechino per non intaccare il volume di esportazioni verso gli Stati Uniti.
Il Sol Levante, miniera di buoni affari ( da "Finanza e
Mercati" del 05-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: Ragioniamo sulla dinamica dell'offerta e della domanda nelle commodities in Cina/India e in Australia. Poiché certi settori - per esempio quello delle materie prime - rispondono a fattori globali, il confronto tra le informazioni e i dati provenienti da fonti diverse ci consente di individuare gli eventuali settori non coperti.
Nucleare, l'Iran insiste <Non rinunciamo a un
nostro diritto> ( da
"Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 05-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania), hanno messo l'accento favorevolmente nel loro comunicato finale sulla «volontà dell'amministrazione americana di avviare discussioni con l'Iran, così come espressa dal presidente Obama». Una volontà che comporta un netto cambiamento di linea rispetto alla chiusura del suo predecessore George W.
crisi finanziaria, le cause affondano nella
globalizzazione e nel capitalismo ( da
"Tirreno, Il" del
05-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: globalizzazione e nel capitalismo La crisi economica che ha travolto la finanza mondiale sta colpendo in modo strutturale l'economia reale del nostro Paese. Sono molte le cause di questa crisi finanziaria senza precedenti: dai derivati, ai mutui subprime, all'eccessivo ricorso al debito e al consumo, ad assicurazioni e banche che in assenza di adeguate regole e controlli hanno spadroneggiato
Obama verso l'addio a Stranamore? ( da "Riformista, Il" del 05-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: Francia e Cina, insieme, non arrivano nemmeno a mille, India e Pakistan congiuntamente ne posseggono circa un centinaio e così anche Israele, mentre la Corea del Nord ne possiede meno di 10 (almeno secondo le stime). Partendo dai numeri del Trattato di Mosca (circa 4mila), una riduzione dell'80 per cento porterebbe i due paesi a tagliare più di 3mila testate,
CRISI DELL'AUTO: I DEPUTATI EUROPEI CHIEDONO AIUTI PER
L'INDUSTRIA ( da "marketpress.info" del 05-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: gamma inferiore provenienti dalla Turchia o dalla Cina» è di «ristabilire le tariffe esterne comuni». Solo i dazi compensatori alle frontiere, ha insistito, «possono ristabilire uno scambio internazionale leale». Replica della Commissione - Günter Verheugen ha insistito sul fatto che «le misure a breve termine non possono essere in contraddizione con gli obiettivi di lungo termine:
Frattini: Riforma delle istituzioni internazionali.
"Non dobbiamo aver paura" ( da
"AmericaOggi Online" del 05-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: Cina, India, Brasile, Messico, Sudafrica e Egitto), e da alcuni "panel" tematici su crisi regionali (Africa, Medio Oriente, Afghanistan-Pakistan) ai quali interverranno i leader interessati. "Non solo per prendere un caffé con i Grandi della Terra - puntualizza il titolare della Farnesina - ma per una collaborazione strutturata ed effettiva"
Crisi finanziaria e ecologica, un'unica origine: il
capitalismo ( da "AprileOnline.info" del 05-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: entrambe determinate dai processi di globalizzazione parla in un suo ponderoso saggio l'economista indiano Prem Shankar Jha (6). Sul complesso effetto negativo - sociale, ambientale, finanziario - della globalizzazione neoliberista, insiste anche Walden Bello(7). "Le due crisi si alimentano a vicenda", scrive il prestigioso notista politico George Monbiot (
Usa/ Anche Cina e Indonesia in primo viaggio ufficiale
di ( da "Virgilio
Notizie" del 05-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract:
Caso Eluana, un giudizio controcorrente che fa
riflettere. ( da "Giornale.it,
Il" del 05-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 25Jan 09 Resa dei conti tra la Cina e gli Usa? Il sito del Giornale nelle ultime 48 ore ha dovuto affrontare la migrazione da un provider a un altro e dunque anche l'accesso al blog è stato difficile, soprattutto in certe zone d'Italia. Mi scuso per questo inconveniente, ora risolto.
Se la colpa della crisi è di Reagan, Clinton era
repubblicano ( da "Milano
Finanza (MF)" del 06-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: globalizzazione senza regole di cui paghiamo tutti le conseguenze. Fu a Davos, come sempre vetrina mediatica d'eccezione, che Clinton dette l'annuncio, il 30 gennaio 2000. Così un giornale italiano dell'epoca riporta le affermazioni di Clinton: «Dobbiamo riaffermare con la massima chiarezza che l'apertura dei mercati e il commercio basato sulle regole è il miglior motore conosciuto
Così si è perso il concetto di banca ( da "Milano Finanza
(MF)" del 06-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Poi venne la globalizzazione. Prima di tutto la globalizzazione come obiettivo di fondo: tutti gli sforzi erano tesi a rimuovere gli ostacoli alla circolazione del capitale e dei lavoratori; quindi abbandono delle nicchie di mercato per consentire gli investimenti anche su mercati che ciascuna banca non era in grado di controllare: trasferimento degli investimenti dal settore dell'
"Tag" da esportare dai muri alla galleria ( da "Stampa, La" del 06-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: Si tratta di un fenomeno diffuso in tutte le piccole e grandi città del mondo globalizzato, luoghi in cui identità e appartenenza sono concetti spesso indefiniti. Nella cultura giovanile dell'Hip-Hop, la strada è luogo di socialità, affettività ed espressività artistica ed è l'unica vera radice in grado di legare i ragazzi a un territorio specifico.
"l'operazione motorola non è stata un
fallimento" ( da
"Repubblica, La" del 06-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: Dieci anni fa Motorola non è arrivata a Torino per sfruttare una situazione e poi trasferire tutto in Cina o in India, ma ha aperto un centro che è diventato un fiore all´occhiello della stessa azienda. Il fatto è che a un certo punto, per questioni di mercato, ha dovuto dismettere». Il tessuto torinese riuscirà ad assorbire tutti i dipendenti non inclusi nel progetto Reply?
Metti l'export dentro una casa di vetro ( da "Finanza e
Mercati" del 06-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: non le processioni dietro Napolitano in India, Cina...». «Sì, ci sarà selezione. E noi stiamo pensando a un'acquisizione. La Borsa? Negli Usa mi sono scontrato per un merger contro un concorrente cresciuto grazie a una politica di M&A finanziato al Nasdaq. Un'azienda che aveva accumulato un enorme goodwill da far pagare ai soci di minoranza.
Quei manager che si tagliano lo stipendio ( da "Giornale.it, Il" del 06-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 25Jan 09 Resa dei conti tra la Cina e gli Usa? Il sito del Giornale nelle ultime 48 ore ha dovuto affrontare la migrazione da un provider a un altro e dunque anche l'accesso al blog è stato difficile, soprattutto in certe zone d'Italia. Mi scuso per questo inconveniente, ora risolto.
GENOVA 2001: IL G8 E LA GIUSTIZIA ROVESCIATA ( da "Corriere della
Sera" del 06-02-2009)
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Cina Usa
Abstract: avversari della globalizzazione, e il secondo, nazionale, per gli oppositori del governo Berlusconi, costituito dopo le elezioni della primavera. Fu altrettanto chiaro che il doppio appuntamento avrebbe richiamato a Genova le frange più violente della sinistra extra-parlamentare italiana e europea, tutte decise a impadronirsi dell'avvenimento per indirizzarlo verso i loro obiettivi.
L'Inverno di un sistema! pag.4 ( da "Trend-online" del 06-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: oltre che dagli Usa, dai 27 membri Ue, dal Giappone e altri Paesi, anche se non da Brasile, Russia, India e Cina. t dunque facile prevedere che questi Paesi organizzeranno un`immediata rappresaglia sullo stesso terreno. Un accurato e recentissimo studio di Hufbauer e Schott (Peterson Institute) calcola che, a fronte di circa 9mila posti lavoro ame-
L'Inverno di un sistema! pag.3 ( da "Trend-online" del 06-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: Cina». Uno slogan a presa sicura. . Ora non resta che attendere ma ho la strana sensazione che nei dati di oggi troveremo qualche sorpresa, magari un eccesso di distorsioni stagionali alimentate dall'ormai leggendario CES/NET Birth/Death Model che lo scorso anno in piena depressione finanziaria, manifatturiera ed immmobiliare è riuscito ad aggiungere complessivamente un numero rilevante
Russia e Cina malvisti, ma Usa restano i più cattivi ( da "Virgilio
Notizie" del 06-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: sostenendo che tanto la Cina che la Russia avevano complessivamente un'influenza positiva nel mondo. Sulla Cina l'opinione è esattamente spaccata in due: il 40% considera il suo ruolo in modo negativo, il 39% in modo positivo. "Evidentemente, ci vuole ben altro che dei Giochi olimpici riusciti per spazzare via i timori della gente",
La conquista dell'Africa decolla da Vicenza ( da "Manifesto, Il" del 06-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: La Cina è il secondo partner commerciale dell'Africa, dopo gli Stati uniti, ma i suoi investimenti sono in forte crescita anche nei paesi più legati agli Usa. In Etiopia, lo scorso gennaio, la China Exim Bank ha investito 170 milioni di dollari per la costruzione di un complesso residenziale di lusso ad Addis Abeba,
toyota affonda, perdite triplicate s&p e moody's
la retrocedono - federico rampini ( da
"Repubblica, La" del 07-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: un aumento nelle vendite di autovetture sono la Cina e l´India. Non a caso, due nazioni dove la crisi ha rallentato la crescita ma non al punto da generare una recessione. L´aumento del Pil e dei redditi si è ridotto ma ha ancora il segno positivo nei due giganti asiatici. Inoltre Cina e India non sono mercati di sostituzione bensì hanno un vasto ceto medio che si avvicina alla "
Dal protezionismo al neonazionalismo semantica della
crisi ( da "Riformista,
Il" del 07-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: non è affatto indebolito dalla globalizzazione, è ritornato in cerca di vendetta. E il più significativo il ritorno di nazionalismo delle grandi potenze». La visione di Samuel Huntington (1996) di un mondo in cui le nazioni scompaiono e restano solo le civiltà destinate a uno scontro lungo «linee di faglia» etinco religiose è già invecchiata,
Coraggio e fantasia per vedere la luce in fondo al
tunnel ( da "Unione
Sarda, L' (Nazionale)" del
07-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: eliminare sul nascere nuovi fenomeni protezionisti nazionali o regionali come Buy American, Achetez Français, comprare cinese o padano (lanciati di recente e poi ritrattati), perché essi fanno a pugni in un mondo globalizzato. È doveroso, tuttavia, analizzare le cause che danno luogo a questo tipo di fenomeni (compreso quello sollevato dagli operai inglesi contro gli operai italiani,
Le scorte schiacciano l'alluminio ( da "Sole 24 Ore, Il" del 07-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: come quello deciso nel '94 dai grandi Paesi produttori (Usa, Canada, Norvegia, Ue,Australia e Russia,responsabile quest'ultima delle eccedenze a causa del tracollo dei consumi della sua industria bellica) non sembra percorribile: ogni accordo oggi dovrebbe infatti passare al vaglio della Cina edella Wto.
Usa, la salvezza nel debito pubblico ( da "Corriere della
Sera" del 07-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: Cina. E nessun investitore internazionale è tranquillo sulla tenuta del cambio del dollaro. Si potrebbe dunque indagare sui legami personali tra il nuovo segretario al Tesoro, Tim Geithner, che prima governava la Federal Reserve di New York, e i suoi ex colleghi per capire se e come quelle relazioni abbiano favorito la svolta che mette definitivamente la Fed al servizio del Tesoro.
L'Iran fa tremare Obama e il mondo">Dopo il
satellite la bomba atomica L'Iran fa tremare Obama e il mondo ( da "Affari Italiani
(Online)" del 07-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: totalmente superflui finchè Russia e Cina continueranno più o meno scopertamente ad aiutare gli ayatollah. La seconda: iniziare da subito una pesante offensiva diplomatica ed economica contro l'Iran, volta ad un vero isolamento di quel regime. Mentre India e Pakistan sono comunque democrazie (la prima è la più grande del mondo e la seconda ha recentemente defenestrato incruentamente un "
MARCEGAGLIA: FMI, URGENTI RIFORME, CONCORRENZA E
PENSIONI ( da "Wall
Street Italia" del 07-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: Uno spiraglio nella crisi ci sara' nel 2010, con un miglioramento delle aree emergenti come Cina, India e Africa. 'Bisogna tenere i nervi saldi non bisogna non fare nulla'. Sulla vicenda Lindsey la Marcegaglia ha messo in guardia dal protezionismo, come sembra stia per avvenire in Usa sul fronte dell'acciaio.(ANSA).
Marcegaglia: Fmi, urgenti riforme, concorrenza e
pensioni ( da "Trend-online" del 07-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: Uno spiraglio nella crisi ci sara' nel 2010, con un miglioramento delle aree emergenti come Cina, India e Africa. 'Bisogna tenere i nervi saldi non bisogna non fare nulla'. Sulla vicenda Lindsey la Marcegaglia ha messo in guardia dal protezionismo, come sembra stia per avvenire in Usa sul fronte dell'acciaio.(ANSA).
( da "Riformista, Il" del 01-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Se
la crisi alza nuove barriere ai confini Una diagnosi efficace l'ha fatta
Christine Lagarde, ministro francese dell'Economia: «La situazione attuale
comporta due rischi principali, proteste sociali e protezionismo». Perché la crisi della globalizzazione finanziaria, innescata
dai mutui americani, sta causando una crisi della globalizzazione economica,
quella dei container cinesi, delle fabbriche delocalizzate, dei servizi esportati,
come dimostrano le proteste londinesi contro i tecnici italiani e portoghesi
superspecializzati che hanno vinto un subappalto e che, secondo i
manifestanti, impedirebbero che i lavori britannici restino ai lavoratori
britannici. Come ha ribadito il direttore generale della Wto, Pascal Lamy, una
settimana fa, è importante avere chiaro il nesso causale: il commercio
internazionale è una «casualty», cioè una vittima, della crisi. E non una
causa. Quello che si sta iniziando a capire all'inizio del 2009, ora che si
avverte davvero il passaggio della crisi dalla finanza all'economia reale, è
che isolarsi è impossibile. Nessun Paese può sperare di salvarsi ripiegandosi
su se stesso nell'attesa che l'economia mondiale si riprenda. Perché in quel
"mondo piatto", come lo chiama il giornalista Thomas Friedman, che si
è creato nel primo decennio degli anni Duemila, le catene di produzione si sono
frammentate e sparpagliate ovunque. Ma questo non impedisce che il protezionismo stia aumentando, in forme molto diverse e non
sempre riconoscibili. Quella più evidente è il blocco dei negoziati
multilaterali: il Doha round, cioè il ciclo di trattative aperto nel 2001 alla
Wto, si è bloccato. Nonostante il segretario Lamy lo ribadisca ogni volta che
può, la riduzione delle barriere doganali per favorire lo sviluppo, anche dei
paesi poveri, non è più la priorità per nessuno. Un postulato economico (più
commercio uguale più crescita) da sempre discusso e discutibile nel dibattito
accademico sta lasciando il posto al suo contrario empirico: difesa dello
status quo e, quando possibile, riduzione degli scambi. Ma le cose non stanno
andando come auspicavano i critici della globalizzazione Wto-style, come Joseph
Stiglitz o il coreano Ha-Joon Chang (si veda il suo ultimo libro "Cattivi
samaritani", Università Bocconi editore). Il rallentamento dell'apertura
dei paesi poveri alle importazioni dei ricchi non è dovuto a ragioni
strategiche come la protezione delle "industrie nascenti", messe al
riparo dalla concorrenza internazionale finchè non sono abbastanza forti da
competere. L'attuale de-globalizzazione è gestita giorno per giorno, senza
piani di medio periodo. E forse è l'unico comportamento possibile quando le
esportazioni di Paesi come Germania, Brasile o India crollano di decine di
punti percentuale in poche settimane. Simon J. Evenett, che per il sito
Voxeu.org ha coordinato un dibattito tra economisti sul protezionismo,
vede alcuni rischi nell'improvviso crollo dei commerci internazionali che si
sta verificando in questi mesi. Primo rischio: i piani di molti Stati per
combattere la recessione prevedono un aumento del debito pubblico per
finanziarli. Ma trovare credito sui mercati finanziari sarà sempre più
difficile, proprio perché tutti lo cercano. Quindi alcuni Governi potrebbero
cercare entrate sicure alzando le tariffe alla dogana. Ed è possibile perchè in
sede Wto spesso si riducono solo le bound tariff, le tariffe massime
applicabili, spesso sono molto superiori a quelle applicate davvero. Secondo
rischio: nel tentativo di sostenere la domanda domestica per compensare la
diminuzione delle esportazioni si possono prendere decisioni affrettate che
finiscono per creare nuove tensioni, come quella della Malesia che ha invitato
le imprese a licenziare prima i lavoratori stranieri (perché mandano a casa
buona parte del loro stipendio invece che spenderlo in loco). Ma questo fa
diminuire le rimesse verso i paesi d'origine e quindi, potenzialmente, anche le
esportazioni malesi. Oltre a creare un gruppo di disoccupati molto arrabbiati. di
Stefano Feltri 01/02/2009
( da "Riformista, Il" del 01-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Protezionismo, ovvero razzismo economico il
liberista La riduzione dei dazi libera più reddito nelle mani dei lavoratori
segue dalla prima pagina Giochiamo all'economia come giocavamo alla guerra:
bisogna "conquistare mercati", non "lasciarsi conquistare". L'esempio inglese è
emblematico, perché ci mostra chiaramente dove si finisce, scendendo la china
protezionista. Da noi, il razzismo economico coinvolge persone provenienti da
culture che ci sono certamente lontane, il cui arrivo ci infastidisce perché è vero
che svolgono mansioni ormai indigeste ai nostri giovani, e in prospettiva
contribuiscono a puntellare il traballante edificio della previdenza pubblica,
ma ci costringe a una contaminazione culturale non sempre piacevole. Sarebbe
ipocrita, chiudere gli occhi sugli shock provocati dall'immigrazione. Ma quando
pensiamo a un britannico e a un milanese, tutto ci viene in mente tranne lo
scontro di civiltà. L'uno e l'altro sono entrambi, a pieno titolo, occidentali.
Eppure, i protezionisti hanno bisogno di tirare una linea immaginaria, di
dividere un noi e un loro, e alla fin fine il colore della pelle è un
dettaglio, è una variabile che può entrare in gioco oppure no. È facile
immaginare un noi sempre più piccolo, e un loro sempre più grande. In gioco, è chiaro,
c'è la paura. La paura stimola la chiusura, l'arroccamento, smonta la passione
per la diversità, la capacità di mettersi in gioco, la curiosità per l'altro.
Quella di chi si chiude in casa per orrore del mondo, però, è una
"sicurezza" del tutto aleatoria. Conta anche un altro fattore. Noi
siamo il portato di un'evoluzione avvenuta in buona parte in società chiuse. I
nostri geni ragionano ancora come se vivessimo in tribù. Il protezionismo
è un atavismo, obbedisce a una logica che abbiamo nelle orecchie da millenni,
mentre al contrario la società dello scambio è una costruzione artificiale,
fragile. Il mercato non vede il colore della pelle, non controlla la carta
d'identità. Non lo fa perché la vita economica è incredibilmente complessa.
Persino il più semplice dei beni è frutto di una catena lunghissima di
collaborazioni e scambi fra uomini. Luca Tedesco ha curato recentemente, per
l'editore Lacaita, un bel libro, "Il canto del cigno del libroscambismo:
la Lega antiprotezionista e il suo primo convegno nazionale". È un saggio
che raccoglie i diversi interventi di quel convegno, un momento importante
nella sfortunata parabola della Lega antiprotezionista d'inizio secolo.
Colpiscono due cose. La prima è che quella esperienza - pure storicamente fallimentare
- era pluralista. I liberisti, che ne erano il cuore, riuscirono a costruire
alleanze, per esempio, con parte del movimento operaio: questo perché il primo
effetto del protezionismo, cioè l'aumento del prezzo
dei beni, è avvertito subito dalle classe più umili. Quando bisogna tirare la
cinghia, i jeans cinesi a cinque euro, ci aiutano oppure no? La seconda, è la
desolante resistenza dell'opinione pubblica a imparare dal passato. È vero che
le formule di giustificazione cambiano con gli anni. Si è passati da un protezionismo "offensivo", basato sull'idea che
forti tariffe d'importazione servissero ad agevolare lo sviluppo dell'industria
patria, a uno "difensivo": salviamo la nostra capacità produttiva
dall'attacco di Paesi in cui produrre costa meno. Ma è impossibile non
considerare attualissimo ancor oggi quanto diceva Antonio De Viti De Marco:
«Rispetto alle classi dirigenti siamo alle prese con un problema di cultura.
Quando si vede che i più considerano ancora le esportazioni come un vantaggio e
le importazioni come un danno, bisogna dire che siamo di fronte a un problema
di cultura». Correva l'anno 1914, e il grande economista leccese ben
comprendeva che il protezionismo era parte di «una
incrostazione storica di favori, di privilegi, di eccezioni, di leggi
speciali». Un elemento paradossale. De Viti De Marco citava l'illuminato
cinismo di Cobden, convinto che la crisi economica fosse d'aiuto a una svolta
liberale. Questo perché «la riduzione dei dazi protettori libera, nelle mani
dei consumatori, un reddito maggiore di quello che perde lo Stato; poiché
libera anche quella parte che i consumatori pagavano come sovrapprezzo dei beni
similari prodotti all'interno». Questo era vero allora ed è vero anche oggi. Si
dirà che l'industria va protetta, per aiutare l'occupazione. Ma l'impresa ha
bisogno delle pressioni competitive, per evolversi e imparare a fare meglio. Se
la produzione è male organizzata, e spreca risorse, il fatto di beneficiare di
prezzi più alti in virtù dei dazi (che è bene ricordarlo sempre, sono tasse) fa
sì che le nostre imprese domani saranno ancora più inefficienti, e quindi più
in difficoltà, di oggi. Se non siete convinti, pensate ai settori che più
piangono miseria, oggi, e vedrete che i loro errori risalgono in buona parte a
prima del credit crunch. È un circolo vizioso che non si spezza. Il privilegio
genera privilegio, l'aiuto di Stato chiama aiuto di Stato, il dazio si fa
pagare col dazio. Si dice no al protezionismo, con
l'argomento che una guerra commerciale globale sarebbe dannosa per tutti.
Verissimo, ma se anche si mettono dazi e nessuno controbatte, si sono già
danneggiati i propri consumatori. Difendiamo la nostra industria, difendiamo il
nostro lavoro, e impoveriamoci tutti! Il razzismo, anche il razzismo economico,
non sa pensare. di Alberto Mingardi 01/02/2009
( da "Giornale.it, Il" del 01-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
n.
28 del 2009-02-01 pagina 8 Sì, ora bisogna «proteggere» gli operai locali di
Redazione Sfilano coi berretti di lana per il freddo ben calcati sulla fronte,
gente semplice, e stanca di non lavorare, che protesta perché il loro di lavoro
lo hanno dato invece agli altri, stranieri. Sono inglesi, molto diversi da
quelli ai quali questi anni ci avevano abituati: non sono gli impiegati sempre
giovani e cosmopoliti della City, e neppure vecchi in crociera. Sono piuttosto
dei visi consueti alla buona, molto poco cerebrali, proprio come quelli degli
operai italiani, che la loro protesta non fa scendere dalla nave. E perciò a
pensarci prevale, mio caro lettore, inevitabile un sentimento di simpatia anzi
di complicità per ambedue. Perché siano inglesi o italiani, essi incarnano un'idea
di lavoro vero, quella economia sostanziale alla quale in questi anni si è
badato poco, ogni volta travolta, e che infine pure stavolta sarà umiliata
dagli eventi. Infatti sopra i cartelli che gli operai inglesi agitano si legge
la frase «British jobs for British workers». Battuta, pare, di qualche comizio
del primo ministro Gordon Brown, che non deve averla però molto ben pensata. E
non solamente perché fino all'altro ieri, per anni la City e Albione si sono
arricchiti col liberismo. Ma perché in questa vicenda un «job» soltanto e
davvero «british» risulta piuttosto complicato da trovare. La raffineria
Lindsay Oil sta sì in effetti nel Lincolnshire, ma è della Total francese.
Inoltre la ditta dei lavoratori italiani e portoghesi sulla nave è la Irem di
Siracusa, che però, a quanto si legge, ha vinto una gara d'appalto, e risulta
subcontractor di una qualche ditta americana. Insomma la vicenda è molto più
complicata di quanto a prima vista si potrebbe pensarla. Di inglese c'è il
suolo certo, e la gente che non ha lavoro, il resto è invece l'esito del mondo
sempre più astratto, e oggi in crisi che questa malaccorta
globalizzazione ha plasmato. Dunque, pure l'insulto preventivo che i grevi
operai del Lincolnshire dedicano a Gordon Brown ha la sua giustificazione.
Dirimere la questione col suo slogan gli sarà impossibile. E tuttavia resta il
fatto che nelle tv di tutto il mondo la verde Inghilterra non è più quella di
prima. Delle pubblicità col giovane rampante che su un prato, amica
accanto, accendeva il computer e speculava alla City. Adesso sotto i piedi
degli operai del Lincolnshire non c'è gran che di verde: ma solo il fango
calpestato dell'inverno. Una nazione ha fallito e non soltanto le sue banche,
statalizzate nell'ignominia, coi risparmi in pericolo. Era già successo
settant'anni fa circa, più o meno negli anni nei quali John Maynard Keynes
scriveva proprio le seguenti frasi: «Simpatizzo, perciò con quelli che
ridurrebbero al minimo, invece che con quanti massimizzerebbero, gli intrecci
economici tra le nazioni. Le idee, la conoscenza, l'arte, l'ospitalità, i
viaggi, queste sono cose che dovrebbero per loro natura essere internazionali.
Ma lasciamo che le merci siano fatte in casa, quando sia ragionevole e
convenientemente possibile; e soprattutto rendiamo la finanza un affare
primariamente nazionale». Il saggio dove si leggevano queste parole, a scansare
ogni equivoco, si intitolava appunto National Self-sufficiency. A conferma di
quanto i britannici abbiano da sempre un'idea molto pratica degli ideali
liberisti. Dunque potremmo leggere nella protesta degli operai inglesi pure un
sintomo che i tempi, persino in Inghilterra, sono cambiati. Il che rende ancora
più ridicoli quanti ci volevano far imitare la City o spergiurano ancora sulla
globalizzazione. E però c'è anche dell'altro da dire: questa economia è evoluta
a una astrazione che annienta l'umano. Troppo si è deciso solo coi bilanci, per
via di giri cartacei e vertiginosi che i progressi della comunicazione hanno
peggiorato. Troppo poco invece si è badato al territorio, e agli uomini che vi
abitano. Perciò è venuta meno ogni cura per la comunità; e neppure si è tentato
un equilibrio fraterno e associativo. Risultato: il lavoro è sì costato sempre
meno, ma è divenuto un pacco, staccato dalla vita umana e regalato solo a un
mondo di bilanci e ideologie. È quanto si dovrà rimediare, come insegna pure il
Lincolnshire. © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano
( da "Giornale.it, Il" del 01-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
n.
28 del 2009-02-01 pagina 9 «Sono fuori dal tempo: il mercato deve essere mondiale»
di Redazione Mario Moretti Polegato, numero uno delle calzature Geox e
imprenditore di successo in tutto il mondo, è di rientro da Davos, tra i pochi
italiani ammessi al World Economic Forum. Presidente, quella degli operai
inglesi non è una protesta fuori dal tempo? «Assolutamente. Lo spirito di Davos
è stato quello di valorizzare la globalizzazione. Oggi tutti i paesi del
pianeta, dai più ricchi a quelli in via di sviluppo, tendono a sviluppare
un'economia globale, compresa la libera circolazione delle persone, del lavoro,
della proprietà intellettuale. È il futuro cui non possiamo sottrarci». Ma
questo fenomeno crea forti squilibri. «Questi processi di globalizzazione
spesso sono troppo veloci. Sono degli choc. Il caso dell'azienda siciliana ci mostra
con orgoglio quanto le nostre capacità vengono riconosciute all'estero. Ma
succede anche l'opposto, cioè che perdiamo competitività nel settore
manifatturiero. Invece che vincere gli appalti, li perdiamo. Piaccia o no,
questo è lo stato delle cose. E nella storia non si torna mai indietro».
Serviranno regole nuove? «Di sicuro, se ne è parlato anche qui a Davos. Una
serie di ammortizzatori, oltre che direttive per il rispetto delle persone e
del lavoro. Ci vorrà una globalizzazione anche delle
regole, che devono essere valide in tutto il mondo e non soltanto in Europa,
dove vengono applicate da tempo. Però questi processi di globalizzazione sono
irreversibili». Senza contare che una manodopera specializzata può anche
formare il personale locale. «Geox è un caso interessante, non ce ne
sono molti nel nostro paese. Il nostro è un business model moderno che può
rappresentare l'azienda del domani: la testa è in Italia, nel quartiere
generale di Montebelluna lavorano 650 persone, per la gran parte giovani da
( da "Tirreno, Il" del 01-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
CARO
SINDACO HAI SBAGLIATO Un kebab non danneggia la toscanità di Lucca Guido uno
scooter marca giapponese, leggendo il libretto di uso e manutenzione scopro che
il motore è stato fabbricato in Italia, il telaio e la carrozzeria in
Francia,il tutto è stato poi assemblato in Spagna! Ho una macchina tedesca che
viene costruita in Belgio e il suo marchio appartiene ad una societ americana,
che dire poi delle Fiat costruite in Polonia e in Brasile? E la svedese Ikea
che produce in Cina e vende a Firenze? Tutto questo per
dire che il mondo è ormai globalizzato, e non potrebbe essere altrimenti in
un'epoca in cui le merci corrono sempre più da un capo all'altro, quindi
inevitabile che gli scambi commerciali portino con sé anche lo scambio
culturale tra i popoli. Il mondo diventa più piccolo, e la distanza tra chi
quelle merci le produce e chi ne fa uso e consumo sempre più ridotta.
Questo dimostra che tutti noi prima di essere cittadini di Massa di Firenze, di
Lucca o di chissà dove siamo, prima di tutto, cittadini del mondo, e che
l'intreccio culturale (e culinario) è del tutto naturale e inevitabile. La
decisione del sindaco di Lucca di vietare il kebab e i fast food in città suona
come una campana stonata, personalmente non credo che un negozio etnico possa
intaccare l'immagine di una città bellissima come Lucca, anzi, a rendere unica
la bellezza del nostro paese, le sue opere d'arte, le piazze, i monumenti, la
letteratura e tant'altro ancora è stata paradossalmente proprio la
contaminazione culturale avvenuta in epoche passate, che ci ha arricchito
mentalmente. Insomma non credo che mangiare un panino al kebab sulle mura possa
in qualche modo danneggiare la toscanità di Lucca. Dino Bertaccini Carrara
( da "Corriere della Sera" del 01-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Corriere
della Sera - NAZIONALE - sezione: Prima Pagina - data: 2009-02-01 num: - pag: 1
autore: di MARIO MONTI categoria: REDAZIONALE L'EUROPA E LA CRISI L'EGOISMO
DELLE NAZIONI Q uando l'economia mondiale galoppava in una crescita
apparentemente inarrestabile, trascinata dall'America e dall'Asia, l'Europa era
vista come un continente destinato al declino, appesantito dall'attenzione agli
aspetti sociali e dalla lentezza delle decisioni comunitarie. Oggi anche
l'Europa è colpita dalla crisi scoppiata in America e che non risparmia neanche
l'Asia. Eppure proprio all'Europa si guarda, d'improvviso, con rispetto e con
una certa ammirazione. Il Forum di Davos ne ha offerto in questi giorni una
chiara testimonianza. Il Wall Street Journal, da sempre censore inflessibile delle
«deviazioni» europee rispetto al modello puro e duro (così sembrava) del
capitalismo americano, ammette con sorpresa che quest'anno a Davos il modello
europeo è stato quello più apprezzato. Il primo ministro cinese, per parte sua,
ha detto che il suo governo sta considerando l'esempio europeo per introdurre
elementi di protezione sociale. Tutti considerano ora indispensabile un forte
coordinamento internazionale delle decisioni dei governi e citano l'Unione
Europea come realizzazione più avanzata su questa via. Nell'affrontare la
crisi, l'Europa ha due grandi punti di forza, ma è anche esposta a un rischio
che altri non corrono. Il primo punto di forza è l'economia sociale di mercato.
Ad essa sono improntate le strutture degli Stati membri e le politiche
dell'Unione Europea. Negli anni scorsi si sono fatti sforzi, che dovranno
proseguire, per rendere i sistemi di protezione sociale compatibili con le
esigenze della competizione internazionale. Ma l'Europa ha il vantaggio di
avere già strumenti che l'America e l'Asia sentono ora il bisogno di
introdurre. Il secondo punto di forza è l'esperienza nel
governo della globalizzazione. Benché limitato alla scala continentale, il
governo dell'integrazione si fa in Europa da cinquant'anni. Il coordinamento
delle politiche pubbliche, divenute vere politiche comunitarie in certe
materie, ha permesso di governare l'apertura dei mercati nazionali senza
determinare sconvolgimenti e promuovendo la crescita. Con la crisi e con
l'arrivo del presidente Obama, il mondo avverte finalmente l'urgenza di
governare la globalizzazione. Per dare forma a tale governo, guarda al know-how
dell'Europa, dalla quale si aspetta un contributo particolare. Il rischio è
legato alla minore credibilità di cui gode oggi l'economia di mercato, dopo gli
abusi che ne sono stati fatti. Il rischio di passare da un estremo all'altro,
con un ritorno disordinato degli Stati nei mercati e con nuove regolamentazioni
dettate dall'urgenza, c'è dappertutto. Ma in Europa può essere più distruttivo.
In Europa, il «mercato», accompagnato dal «sociale », non è solo un modo in cui
sono organizzate le attività economiche. E' anche il fondamento
dell'integrazione europea. L'Unione Europea si è a lungo chiamata «Mercato
comune». Se gli Stati membri, nel gestire la crisi, tornano a praticare
politiche essenzialmente nazionali, senza curarsi troppo delle conseguenze
negative sugli altri Stati, se la sorveglianza della Commissione europea viene
vista con insofferenza, se queste tendenze prendono piede, allora l'Europa rischia
di perdere la base principale della propria integrazione. Di andare verso la
disintegrazione, proprio nel momento in cui il mondo riconosce la validità
della costruzione europea e vuole imitarla.
( da "Corriere della Sera" del 01-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Corriere
della Sera - NAZIONALE - sezione: Primo Piano - data: 2009-02-01 num: - pag: 2
categoria: REDAZIONALE Crisi, la spinta di Brown I Grandi a Davos: «No al protezionismo» Appello per trovare l'accordo sul commercio
entro l'anno «Il rischio? Provocare una gara a chi dà più soldi alle proprie
banche e alle proprie industrie» DA UNO DEI NOSTRI INVIATI DAVOS (Svizzera) —
Il primo ministro britannico ha ieri messo i piedi nel piatto delle risposte
che i Paesi stanno dando alla crisi economica. «C'è un protezionismo
implicito in quello che sta succedendo », ha detto Gordon Brown. Non solo negli
aiuti di Stato alle industrie in difficoltà. «C'è anche un protezionismo
finanziario - ha spiegato - Con le banche che una volta si espandevano
globalmente e ora tornano a casa». Brown parlava davanti a un migliaio di
politici, banchieri, industriali, manager, economisti, responsabili di
organizzazioni non governative riuniti al World Economic Forum di Davos, sulle
Alpi svizzere. Lo intervistava Christiane Amanpour, la giornalista della rete
tv americana Cnn. Il primo ministro ha voluto lanciare un messaggio positivo,
di fiducia. Ma non ha potuto evitare di lanciare l'allarme per quello che è il
rischio forse maggiore, dal punto di vista economico e politico, sollevato
dalle risposte nazionali alla crisi. I pacchetti di salvataggio delle banche, i
piani di stimolo alle economie, le garanzie fornite alle imprese sono sviluppi
inevitabili, di fronte al crollo del sistema finanziario e alla recessione
globale. Ma sono misure nazionali e quindi hanno il rischio intrinseco di
provocare una gara a chi darà più soldi alle sue banche e alle sue industrie.
Una corsa che, se finisse fuori controllo, sarebbe disastrosa. La
preoccupazione è ormai condivisa da tutti i leader. Tanto che, sempre ieri a
Davos, una riunione voluta dal segretario dell'Organizzazione mondiale del
Commercio Pascal Lamy ha lanciato un appello a firmare in fretta il Doha Round,
i negoziati per la liberalizzazione dei commerci mondiali. La novità è che
questa è stata presentata come una misura anti-crisi, che aiuta l'economia e,
soprattutto, è un antidoto al nazionalismo. Brown si è concentrato sui rischi
nel campo della finanza. E ha ricordato le conseguenze che stanno avendo i
passi indietro fatti dalle banche in termini di globalizzazione, di «ritorno a
casa» perché non sono più in grado di operare su scala mondiale. «Due anni fa -
ha detto - il credito ai Paesi emergenti era di mille miliardi di dollari.
Quest'anno è previsto che crolli drammaticamente a 150 miliardi». Il problema,
dunque, va affrontato collettivamente, per evitare che l'economia e la finanza
si ritirino nei confini nazionali e l'economia globale si blocchi. Si può fare,
ha detto: «Qui a Davos abbiamo visto che i leader del mondo sono pronti a
prendere decisioni per fare passi avanti». Da Angela Merkel a Wen Jiabao, da
Putin ai leader dei Paesi emergenti «tutti sono d'accordo di assegnare alla
riunione del G20 del 2 aprile a Londra un'importanza altissima per ricreare
fiducia nel sistema finanziario ». L'idea di Brown, ma anche degli altri
leader, è di mettere al tavolo le 20 maggiori economie del pianeta e uscire con
progetti concreti su come affrontare in modo coordinato l'emergenza e su come
impostare un nuovo sistema di regole e di governo dell'economia del mondo.
Brown la chiama «nuova Bretton Woods», la cencelliera tedesca Angela Merkel la
chiama «nuovo ordine economico mondiale» ma l'idea è la stessa: norme e
istituzioni per una globalizzazione condivisa, non più dominata dagli Stati
Uniti e coordinata, non nazionalista. Il vertice A Davos
l'incontro dei ministri del Commercio di 20 Paesi: dalla Cina al Brasile, alla Ue, all'ambasciatore Usa. Impegno
contro i dazi e rilancio del Doha round Economia e crisi Il primo ministro
inglese Gordon Brown Danilo Taino
( da "Stampaweb, La" del 01-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
LONDRA
«E' triste che in un'economia sempre più globalizzata si facciano
ancora queste discriminazioni: sembra d'essere tornati indietro di anni». Le
parole amare di Giovanni Musso, vicepresidente della Irem di Siracusa,
l'azienda italiana accusata dagli operai della raffineria Lindsey Oil di
Grimsby di «rubare il lavoro agli inglesi», s'infrangono sulle ciminiere del
Lincolnshire; suoni intraducibili per gli uomini che da quattro giorni
ripetono slogan contro gli stranieri come un mantra capace di restituire alla
lotta di classe la forza sepolta in questa stessa terra insieme alle spoglie di
Karl Marx. La Bbc annuncia uno spiraglio. Dopo la fase del muro contro muro,
sindacati e imprenditori sarebbero in trattativa con la Acas (Advisory
Conciliation and Arbitration Service), un ente indipendente di arbitrato del
lavoro, per trovare una soluzione sia pur temporanea. Il problema degli
stranieri è solo apparente, rivela uno studio del think tank IPPR secondo cui
la metà dei nuovi europei immigrati nel Regno Unito in cerca di uno stipendio
migliore è già tornata a casa, messa in fuga dalla crisi e dal crollo della
sterlina. Da Varsavia, il netturbino polacco Ziggy Dust, erede ideale del
celebre idraulico, affida a YouTube il racconto di come abbia deciso di
rimpatriare spinto dalle intimidazioni del National Front, la destra xenofoba.
Il governo britannico ha chiesto un'indagine per verificare se, come denunciano
i sindacati, gli impiegati locali siano stati discriminati ma, per ora, resta
in disparte. Nonostante la pressione, il premier Gordon Brown non ha inviato
nessuno al tavolo negoziale del Lincolnshire e da Davos è tornato a mettere in
guardia i colleghi dal «protezionismo commerciale ma
soprattutto finanziario». Come dire a chi guarda la paglia nell'occhio del
Regno Unito di non dimenticare la trave nel proprio. Eppure, businessmen e
economisti insistono: i giorni neri devono ancora arrivare. Con la
disoccupazione balzata a quota due milioni alla fine del 2008, la punta più
alta dall'avvento del Labour nel 1997, la Gran Bretagna naviga a vista. A detta
di Richard Lambert, numero uno della Confederazione dell'industria britannica,
«le cifre sono negative ma ci aspettiamo che peggiorino». Davanti ai cancelli
della raffineria Total i toni restano accesi. Nelle ultime ore la protesta ha
contagiato migliaia di operai in Scozia, Galles, Irlanda del Nord. Se le
trattative dovessero fallire, 900 lavoratori della centrale nucleare di
Sellafield sarebbero pronti a votare lo sciopero di solidarietà domani stesso.
A nulla serve che Giovanni Musso spieghi per l'ennesima volta d'aver osservato
il protocollo: «Nel contratto era specificato che la Irem, azienda con un
volume d'affari di 22 milioni di euro, avrebbe utilizzato operai specializzati
italiani». Le parole cadono nel vuoto, l'afasia è la nuova guerra tra poveri.
( da "AmericaOggi Online" del 01-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
A
Davos rinuniti una ventina di ministri del Commercio 01-02-2009 DAVOS
(SVIZZERA). Riuniti ieri a Davos (Svizzera) per discutere delle sorti del Doha
round, una ventina di ministri del Commercio si sono impegnati a combattere le
pressioni protezionistiche alimentate dalla crisi economica e finanziaria
globale ed hanno approvato una dichiarazione comune in favore della conclusione
dei negoziati dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto): "i
progressi compiuti nel 2008 forniscono le basi per una soluzione delle
divergenze nel 2009", afferma la dichiarazione. Ma il testo - adottato al
termine di un incontro cui ha preso parte anche il direttore generale della Wto
Pascal Lamy - si concentra in primo luogo sulle crescenti pressioni
protezionistiche. I ministri si sono impegnati ad astenersi dall'alzare nuove
barriere agli scambi di beni e servizi o ad adottare misure contrarie alla Wto
per stimolare le esportazioni. Per Lamy, infatti, il libero mercato è una parte
"urgente ed integrale del pacchetto anti-crisi", perché la
conclusione del Round consentirebbe di meglio resistere alle pressioni
protezionistiche, avrebbe un effetto positivo sull'economia e manderebbe un
segnale di fiducia al mondo. All'incontro di Davos hanno preso parte, in
particolare, i ministri di Australia, Brasile, Cina, India,
Giappone, Africa del Sud e il commissario europeo al commercio Catherine
Ashton. Per gli Stati Uniti, in attesa della nomina del nuovo rappresentante al
commercio, ha partecipato l'ambasciatore presso la Wto di Ginevra. Il commercio
è in calo e figura tra le vittime della crisi, ha ossevato Lamy. La Wto
sta inoltre sorvegliando l'evoluzione sul fronte del protezionismo, analizzando
le misure ed i pacchetti di stimoli approvati dai governi. Per ora la
situazione non è drammatica, ha osservato Lamy, ma bisogna restare vigili. Lamy
ha esortato il Senato statunitense a considerare con molta attenzione la
clausola 'buy american' del pacchetto di stimoli per l'economia sull'utilizzo
d'acciaio statunitense. "Spero che i senatori saranno abbastanza saggi da
prendere in considerazione gli obblighi internazionali degli Usa",
in materia commerciale. La decisione dell'Ue di ristabilire i sussidi
all'export di prodotti del latte, manda un segnale politico sbagliato, ha
commentato Lamy. "L'apertura dei mercati è la migliore cosa che possiamo
fare per combattere la crisi", ha detto il ministro svizzero Doris
Leuthard, che ha indetto l'ormai tradizionale incontro. Ed anche per il
ministro degli esteri del Brasile Celso Amorim "il solo antidoto contro la
malattia del protezionismo è concludere il round al più presto". Senza
passi in avanti, il rischio è di tornare indietro. In attesa di segnali da
parte della nuova amministrazione Usa, l'incontro di
Davos - svoltosi a margine del World economic Forum tra i Grandi del mondo -
non ha indicato una data per una futura riunione ministeriale sul Doha Round.
Il ciclo negoziale della Wto, lanciato nella capitale del Qatar nel 2001, da
anni è bloccato dalle divergenze divergenze tra Paesi del sud, emergenti, e del
Nord sulle modalità dei tagli ai dazi e sussidi per i prodotti agricoli ed
industriali. Nel dicembre sorso, Lamy aveva rinunciato a convocare una riunione
a livello ministeriale ritenendo le posizioni ancora troppo distanti per
un'intesa.
( da "AmericaOggi Online" del 01-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Non
bastano le chiacchiere. Per uscire dalla "tempesta perfetta" della
crisi economica di Pino Agnetti 01-02-2009 "Perché abbiamo bisogno di un
nuovo sistema di cooperazione globale?". Se l'era domandato speranzoso in
apertura dei lavori Klaus Schwab, il fondatore dell'annuale "World
Economic Forum" che si conclude oggi fra le montagne incantate di Davos. E
la risposta alla fine è arrivata, a dire il vero tutt'altro che incoraggiante.
Perché a cooperare seriamente per "il bene comune globale", per ora,
non ci pensa proprio nessuno. O meglio. Nessuno sembra fidarsi l'uno
dell'altro. Prendete, ad esempio, gli uomini forti di Mosca e Pechino. Zar
Putin e il suo collega cinese Wen Jiabao hanno tracciato un quadro
dettagliatissimo delle responsabilità americane nello scatenamento della
"tempesta perfetta". Peccato che si siano ben guardati, il primo, dal
compiere il minimo accenno autocritico circa lo stato dell'economia russa,
ormai alla bancarotta dopo dodici svalutazioni di fila del rublo e con un malcontento
popolare che non teme più di mostrarsi apertamente come segnalano le clamorose
proteste di piazza di questi giorni a Vladivostok. Mentre il secondo,
denunciata "la cieca ricerca del profitto" del capitalismo a stelle e
strisce, ha completamente glissato sulla concorrenza sleale attuata da Pechino
mantenendo debole ad arte la propria moneta. Come se già non bastasse, sulla
magica vallata di Davos si è abbattuta la slavina della prima guerra
continentale fra poveri scoppiata stavolta in Inghilterra - ma domani chissà -
contro la decisione di appaltare a un'azienda "straniera" (in questo
caso italiana) i lavori per la costruzione di una nuova raffineria. Quel grido
di "British jobs for british works" ("Posti di lavoro inglesi
per lavoratori inglesi") che sta dilagando dal Nord al Sud del Regno Unito
forse non avrà mandato di traverso il gelato e lo champagne ai 2.500
"supervip" del World Economic Forum. Ma per il premier britannico
Gordon Brown, egli stesso autore un anno fa dello slogan in questione, adesso
sarà durissima arginare a casa propria l'inevitabile spinta a forme più o meno
esplicite di protezionismo. Il fantasma che un po' tutti i leader politici e
gli economisti presenti al meeting hanno cercato in ogni modo di esorcizzare,
facendo ancora una volta pubblico giuramento di eterna fedeltà al libero
mercato. Dimentichi della gigantesca gara planetaria in corso a chi sovvenziona
prima e con aiuti più consistenti i disastrati comparti nazionali dell'auto
oggi, o dell'acciaio domani. Per non parlare delle banche, prime destinatarie
delle ciambelle di salvataggio "pubbliche" lanciate a piene mani fra
i marosi mugghianti della crisi. Così, fra un annuncio e l'altro di nuovi e
taumaturgici summit (ad aprile il "G20" di Londra che precederà facendogli
non poco ombra il successivo "G8" riconvertito a "G14"
della Maddalena), per il momento è giocoforza accontentarsi della solita recita
in ordine sparso dei vari potenti della Terra. Che se in Europa sembrano per lo
più propensi a rifugiarsi sotto l'ombra rassicurante di frau Angela Merkel
(l'unica a strappare applausi a scena aperta a Davos), altrove stanno studiando
come riuscire a rinforzare congiuntamente gli ormeggi delle rispettive navi. È il caso della super coppia Usa-Cina maggiore finanziatrice l'una dell'astronomico deficit degli
altri, a loro volta principale mercato dell'export cinese. E, quindi,
"gemelli siamesi" più che mai impossibilitati a separarsi, pena un
collasso dagli effetti nefasti per entrambi. Il che spiega pure
l'assenza a Davos di un qualche esponente di spicco della nuova amministrazione
Obama. Anche ieri impegnatissimo, nella tradizionale "fireside chat"
(chiacchierata al caminetto) del sabato trasmessa pure su Youtube, a parlar
chiaro agli americani e a infondere loro coraggio. Non con messianiche visioni
di nuove "Onu dell'economia". Ma preannunciando il varo di un piano
finanziario mirato a ad abbassare i costi dei mutui per famiglie e imprese e
accompagnato da un robusto giro di vite sui bonus milionari dei manager. Il
tutto, in attesa di stringere con l'altro gigante dell'economia globale - la Cina - un nuovo patto di ferro fra Paesi creditori e Paesi
de-bitori. L'unica scialuppa - forse - in grado di cavarci fuori sul serio
dalla "tempesta perfetta".
( da "Corriere delle Alpi" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
«Sono
orgoglioso del progetto su Andrea Brustolon» BELLUNO. Sorpreso e stufo. Antonio
Prade appare colpito dalle polemiche sulla cultura più di quanto lo sia per i
quotidiani scontri politici. «Beghe» è tra le parole più ricorrenti, insieme a
«deterioramento». «Questa fatica nel comporre i rapporti rallenta lo sviluppo»,
lamenta Prade. La mostra dedicata allo scultore Andrea Brustolon ne è un
esempio clamoroso: «Martedì (domani ndr) presenteremo l'evento a Milano. Sarà
una grande mostra, una sfida alla banalità della
globalizzazione», afferma convinto il sindaco. «Sono orgoglioso di questo progetto,
l'ho condiviso fin dall'inizio». Tra le voci che circolano, c'è anche il
rischio di sforare il budget: «Molti sarebbero contenti se la mostra costasse
più del previsto e se i soldi non bastassero», osserva il sindaco amareggiato.
E per il futuro? Cosa verrà proposto nel 2010? Ci sarà un'altra grande mostra e
chi lo organizzerà? «Non siamo obbligati a fare mostre tutti gli anni», dice
Prade, pensando già a quanto dovrebbe combattere con la sua maggioranza per un
altro investimento come quello in corso: «Il Comune non può organizzare una
mostra con costi del genere ogni anno». Infine i grandi contenitori, dal Bembo
all'ex caserma Tasso. «Stiamo avviando la ristrutturazione del tetto di Palazzo
Bembo, poi dobbiamo decidere cosa farne. I soldi della Regione sono al sicuro,
ma si tratta solo di 1,2 milioni di euro, non basteranno mai. Sulla Tasso
faremo un ragionamento pluriennale con la Fondazione Cariverona. Ci vuole una
prospettiva temporale di almeno cinque anni, perché per realizzare un
auditorium nell'ex caserma servono tanti soldi, dagli otto ai dieci milioni di
euro».
( da "AmericaOggi Online" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Le
orecchie di Bruxelles. Emergenza economia/La crisi, Obama e la vecchia Europa
di Riccardo Bormioli 02-02-
( da "Repubblica, La" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Pagina
8 - Economia A Davos tutti i potenti della terra hanno lanciato appelli per il
liberismo. Ma tornati a casa fanno l´esatto contrario Dalla Obamanomics alla
Gran Bretagna cresce il neo-protezionismo di sinistra I governi, pressati dalle
lobby, hanno scelto di sostenere le industrie e non i consumatori Nel pacchetto
di aiuti all´economia di Washington c´è la clausola "buy american"
(SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) FEDERICO RAMPINI L´Amministrazione Obama, il più
autorevole governo progressista del momento, dà l´esempio eclatante di un
neoprotezionismo "di sinistra". La manovra di spesa pubblica
anti-recessione che è stata approvata dai democratici al Congresso la settimana
scorsa (e arriva al Senato questa settimana) contiene una clausola specifica
Buy American, "comprare americano". Quel pacchetto di misure da 825
miliardi di dollari richiede che nei nuovi investimenti pubblici siano
acquistati solo prodotti made in Usa. Questo obbligo è
stato inserito per aiutare soprattutto l´industria dell´acciaio. Gli imponenti lavori
pubblici che Washington vuole finanziare per modernizzare le infrastrutture
saranno una manna per l´industria dell´acciaio: tondini per il cemento armato
nelle autostrade e negli edifici scolastici, rotaie per le nuove metropolitane
o il treno ad alta velocità. Ma attualmente l´America importa il 30% del suo
acciaio dalla Cina, quindi senza la clausola
protezionista un terzo dell´effetto di rilancio in questo settore andrebbe a
vantaggio degli altiforni di Shanghai e Canton. La misura Buy American può
essere impugnata davanti al Wto. Prima ancora della Cina,
diversi alleati degli Stati Uniti come l´Unione europea, il Canada e
l´Australia hanno già espresso forte preoccupazione per questa barriera
protezionista (peraltro già imitata da altri paesi tra cui la Spagna). "Se
resta in vigore � dice l´economista Andrew Rose dell´università di Berkeley
� noi americani finiremo per pagare più cari prodotti più scadenti. Questo
accade quando si soffoca la concorrenza internazionale". Ma la clausola
Buy American è molto popolare. Un recente sondaggio ha indicato che l´approvano
l´86% degli americani. Il presidente dell´associazione
confindustriale dei siderurgici Usa, Thomas
Gibson, commenta così il sondaggio: "I contribuenti vogliono essere sicuri
che il loro denaro servirà a creare posti di lavoro americani in America, non
posti di lavoro cinesi in Cina". Se questa frase suona
familiare, c´è una buona ragione. Uno slogan identico è scandito in
questi giorni dagli operai inglesi nella protesta contro i lavoratori italiani:
"British jobs for British workers". Il loro premier Gordon Brown a
Davos ha preso le distanze dallo sciopero anti-italiano, che ha definito
"indifendibile". Ma quello slogan sui posti di lavoro inglesi per gli
inglesi lo aveva lanciato proprio lui, due anni fa a un congresso del partito
laburista. E´ un altro esempio di protezionismo "di sinistra" che fa
presa nel mondo operaio. La questione del protezionismo affiora anche nella
scelta fondamentale che devono fare tutti i governi in questa crisi: è più
giusto sostenere la domanda o l´offerta? E´ meglio aiutare i consumatori,
oppure venire in soccorso all´industria? In una fase di profonda e
generalizzata sfiducia, il sostegno ai redditi delle famiglie dovrebbe avere la
priorità. E´ inutile finanziare l´industria dell´auto se non tira la domanda di
vetture: le case produttrici avranno bilanci un po´ meno scassati ma i loro
piazzali resteranno pieni di modelli invenduti. Ma sui governi premono le lobby
industriali. In quei casi in cui gli Stati scelgono di sostenere l´offerta,
cioè i produttori, rispunta il protezionismo. Washington ha deciso che
l´industria dell´auto americana si chiama General Motors, Ford e Chrysler: in
realtà da decenni le uniche case che creano posti di lavoro sul territorio americano
si chiamano Toyota, Honda, Bmw e Volkswagen, con i loro stabilimenti in Alabama
e South Carolina. Gordon Brown a Davos ha ricordato che esiste un´altra
minaccia protezionista sui mercati finanziari. Gli Stati che si dissanguano per
salvare le loro banche, in cambio vogliono che gli istituti di credito tornino
a privilegiare l´attività domestica. Inoltre c´è un "mercantilismo
finanziario" implicito nella escalation dei deficit pubblici. L´America
quest´anno rovescerà sui mercati 2.000 miliardi di nuovi buoni del Tesoro per
coprire le sue spese. La corsa a collocare titoli pubblici mette in difficoltà
i paesi meno solvibili come l´Italia, la Grecia, e ora anche l´Inghilterra. Nel
protezionismo finanziario tutti possono lasciarci le penne. Obama ha parzialmente
smentito l´attacco che il suo ministro del Tesoro aveva lanciato contro la Cina accusandola di mantenere la sua moneta troppo debole.
Il neopresidente deve essersi accorto del rischio che corre. Se davvero i
cinesi volessero rivalutare lo yuan, il modo più semplice è smettere di
comprare i titoli del debito pubblico americano, visto che gli investimenti di
capitali asiatici nei Treasury Bonds Usa sono una
stampella che evita una frana del dollaro. Infine c´è una forma di
protezionismo in cui eccelle l´Italia. E´ l´atteggiamento che in America si
definisce del "free rider" e che potremmo tradurre con i
"portoghesi": quelli che non pagano il biglietto sui mezzi pubblici.
In una fase in cui altri paesi stanziano risorse pubbliche importanti per
rilanciare la crescita � 820 miliardi di dollari gli Usa,
600 miliardi la Cina, 50 miliardi di euro la Germania
� chi spende poco o nulla fa un calcolo apparentemente astuto. L´Italia
aspetta che siano gli altri a ripartire: quando tornerà la crescita americana e
tedesca ci tirerà fuori dai guai rilanciando le nostre esportazioni. Ma i
"portoghesi" sono mal visti da chi paga il biglietto. In questo caso
America, Cina o Germania possono essere rafforzati
nella convinzione che bisogna trattenere dentro le proprie frontiere il massimo
delle risorse pubbliche dispiegate nelle manovre anticrisi. Un pretesto in più
per alimentare la spirale dei protezionismi.
( da "Repubblica, La" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Pagina
20 - Commenti SIRENA D´ALLARME PER IL FEDERALISMO (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA)
TITO BOERI Ma le opinioni pubbliche nazionali premono nella direzione opposta.
Chiedono protezione contro tutto ciò che sta al di fuori della comunità in cui
si identificano, una comunità definita su scala sempre più ristretta. La misura
di questa contraddizione è nelle acrobazie verbali di un Gordon Brown: a Davos
lancia un appello contro il protezionismo, contro «la
gara a chi dà più soldi alle proprie banche e industrie», a Londra conia lo
slogan «lavori britannici per lavoratori britannici» prontamente raccolto dai
lavoratori del Lincolnshire che protestano contro l´arrivo di operai italiani.
Mai il contrasto fra quanto dichiarato dai leader europei nei forum
internazionali e quanto sostenuto di fronte alle opinioni pubbliche nazionali
era stato più stridente. Per dirla nel linguaggio del primo ministro
britannico, c´è oggi un "total disconnect" fra quello che si dice a
casa e fuori. Il caso inglese è ancora più eloquente delle proteste di piazza
che in questi giorni hanno agitato diverse capitali europee, da Parigi a Mosca.
Colpisce perché l´identità nazionale britannica si è storicamente forgiata
nell´assimilazione e integrazione di culture diverse, a partire da quelle delle
ex-colonie dell´Impero. Quando la British Petroleum apriva, all´inizio del
secolo scorso, i propri impianti in Persia (oggi sarebbe l´Iran) costruiva le
case e dei dirigenti e degli operai, per farli sentire a casa, seguendo gli
stili architettonici di Nuova Delhi, come se fossero ispirati da quartieri di
Londra. Oggi le parti si sono invertite. L´identità britannica viene
riaffermata contro una compagnia petrolifera francese, la Total, rea di aver
appaltato lavori a un´impresa italiana che utilizza lavoratori italiani. Dopo
l´allargamento a Est dell´Unione europea, il Regno Unito è stato uno dei pochi
paesi ad aprire le proprie frontiere, accogliendo, si stima, 80.000 lavoratori
polacchi, tra cui molti di quegli idraulici che hanno agitato i sonni dei
francesi. Oggi le proteste si estendono a tutto il Regno Unito per impedire lo
sbarco di 300, dicasi 300, operai italiani. Come commentava il Guardian nel
weekend, «mentre la finanza è diventata globale, la politica è diventata
locale». Ed è proprio la crisi a ridurre sempre più la scala del confronto
pubblico, della comunità in cui ci si identifica. Quando l´economia mondiale
cresceva a tassi del 5-6 per cento all´anno, in molti si sono
chiesti se la globalizzazione avrebbe soffocato le identità nazionali e locali,
aprendo pericolose crisi di identità, sopprimendo tradizioni e violando sistemi
di valori locali. Oggi che il mondo ha cessato di correre, che anzi si torna
indietro, con il Fondo monetario costretto continuamente a rivedere al ribasso
le stime di crescita del prodotto interno lordo del pianeta, ci
accorgiamo che probabilmente erano preoccupazioni eccessive. L´identità
nazionale è stata tutt´altro che spazzata via dalla globalizzazione. E oggi
abbiamo, in ogni caso, il problema opposto: quello di governare una crisi
globale di fronte al rafforzamento di identità locali, riaffermate in contrasto
con tutto ciò che sta al loro esterno. C´è una lezione tutta italiana che
possiamo trarre da questo dilemma. Questa legislatura sarà inevitabilmente
dominata dalla crisi. Il governo, lo ha ribadito più volte, vuole anche che sia
la legislatura del federalismo fiscale. è un progetto ancora largamente
indefinito, tant´è che neanche il ministro dell´Economia si azzarda a offrirne
una stima dei costi. Un federalismo non ben definito, in questo clima, rischia
di dare sfogo alle pulsioni centrifughe che si scatenano durante le recessioni.
Se così fosse, non solo il federalismo costerebbe alle casse dello Stato molto
di più che in tempi normali, ma renderebbe ancora più difficile il varo di
quelle politiche, necessariamente su scala nazionale e internazionale, che ci
possono far recuperare rapidamente il terreno perduto in questa recessione. A
proposito, è bene sapere di quanto si tratta. Se il prodotto interno lordo
dovesse scendere del 2% nel 2009, una stima che molti ormai considerano ottimistica,
torneremo alla fine dell´anno in corso ai livelli di reddito pro-capite del
2001. Dobbiamo in tutti i modi evitare di impiegare 8 anni per risalire la
china.
( da "Unita, L'" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Il
manifesto, punto 5 «Nazionalizziamo le banche» IL MANIFESTOSecondo Time (2 febbraio
2009) negli scritti di Carlo Marx «c'è una chiara diagnosi dei problemi di
fondo dell'economia di mercato che è incredibilmente importante anche oggi». Questa sensibilità sarebbe stata alimentata dal fatto che Marx
visse in un periodo storico di rapida globalizzazione dell'economia. Al punto
cinque del piano di azione proposto da Marx ed Engels nel Manifesto dei
comunisti (1848) si legge: «.....Accentramento del credito nelle mani dello
Stato per mezzo di una banca nazionale con capitale di Stato e con monopolio
esclusivo». la citazione
( da "Repubblica, La" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Pagina
32 - Cultura Un´esposizione di video e fotografie di giapponesi, cinesi,
coreani Un´esposizione di video e fotografie di giapponesi, cinesi, coreani L´arte globalizzata dell´Estremo Oriente MODENA La globalizzazione?
La rende visibile un esempio emiliano: in questa regione grazie alla collezione
di una fondazione bancaria è possibile intraprendere un viaggio nella
contemporaneità asiatica. Accade a Modena: gli spazi espositivi del Foro Boario
ospitano la mostra "Asian Dub Photography", in cui vengono
presentate le prime acquisizioni della nuova raccolta di fotografia
contemporanea della locale Fondazione Cassa di Risparmio (a cura di Filippo
Maggia, fino al 1 marzo, catalogo Skira). Un tempo queste Fondazioni quasi
sempre si dedicavano all´arte locale. Oggi viene presentato un colorato
tragitto realizzato da ventuno tra i più importanti artisti contemporanei
asiatici. Video, film e fotografie - ottanta opere - offrono lo spaccato di un
mondo che non è più lontano, che trasforma l´immagine in un medium universale e
trans-generazionale. è questo il primo appuntamento con una raccolta che è
stata strutturata per aree geografiche. Siamo dunque nell´Estremo Oriente e nel
Sud Est Asiatico, con una sezione ricca e importante dedicata al Giappone e che
include, come dice il curatore Filippo Maggia, «opere imprescindibili dei
grandi nomi affiancate a opere di artisti emergenti nel panorama
internazionale». Ecco dunque la serie Flowers di Nobuyoshi Araki, una serie di
cibachrome in cui le forme sinuose e i colori accesi di dalie, orchidee e fiori
di ogni specie rimandano alla sua idea di bellezza e a quella di morte, di
innocenza e di peccato, di purezza e di lussuria. E resta presente
nell´astratta colorazione floreale la perversa sensualità dei Bondages, le
famose immagini di nudi femminili divenute ormai icone di questo celebrato
artista. Quasi a contrasto il mondo di raffinati bianco e nero creato da
Hiroshi Sugimoto, dove l´emozione non viene dalla bellezza o dalla perfezione
dei dettagli o dal mistero dell´immagine, ma dall´idea che l´ha suscitata,
senza le stampelle di tecnologie ed effetti speciali. è un percorso segnato
dalle graffianti fotografie di Daido Moriyama, frammenti di un viaggio continuo
attraverso le strade del Giappone e la sua storia, e dalle apocalittiche
immagini di Ryuji Miyamoto, che ritraggono in modo rigoroso e formale la città
di Kobe devastata dal terremoto del 1995, oppure la serie A Bird (Blast #130)
di Naoya Hatakeyama, in cui la staticità della sequenza progressiva di
un´esplosione concede il tempo di riflettere sulle potenzialità umane di
distruzione e sul violento sfruttamento della natura. è quello che evoca il
video Laugh at the Dictator, che è di Yasumasa Morimura, maestro del
travestimento: con tanto di baffetti reincarna Hitler per lanciare un caustico
attacco contro ogni forma di dittatura passata e presente. Sono questi artisti
assai noti in Europa celebrati anche in Italia, celebrati nel Padiglione Italia
dei veneziani Giardini di Castello e da musei come il napoletano Capodimonte. Sono
assai noti mentre appartengono invece alle generazioni successive Risaku
Suzuki, Miwa Yanagi, Rika Noguchi, Haruki Maiko, la giovane Tabaimo... Dal
Giappone alla Cina con le fotografie provocatorie e surreali di Yang Zhenzhong,
un vero e proprio capovolgimento del mondo, con il film di Yang Fudong sulla
difficoltà del cambiamento, che in questo caso è evocato dall´impervio cammino
che intraprendono due coppie: ascendono una montagna nell´aspro paesaggio della
Cina del Nord. O la giovanissima Cao Fei e il poliedrico Ai Weiwei, da sempre
lucido osservatore delle dinamiche sociali e politiche e a cui si deve il
disegno dello stadio olimpico, il celebre "nido d´uccello" progettato
dagli architetti Herzog e de Meuron. E ancora: opere fotografiche e video di artisti
provenienti dalla Corea come Kimsooja, o Yeondoo Jung, con le immagini della
serie Location, grandi formati che testimoniano l´intreccio illusorio tra
fantasia e realtà. Dalla Malesia Wong Hoy Cheong, da Taiwan Hung-Chih Peng e
tre lavori di Rirkrit Tiravanija, artista di origini tailandesi che ha fatto
del nomadismo culturale e dell´interazione sociale i cardini della sua ricerca
artistica. è un altro mondo, che nasce dalla globalizzazione, è una percezione
che arriva da questa collezione, che può suscitare meraviglia per i linguaggi
che includono lo splendore di raffinate antiche poetiche.
( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del
02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Il
Sole-24 Ore del lunedì sezione: MONDO data: 2009-02-02 - pag: 10 autore:
Sviluppo. I dati del «World Economic Situation and Prospect 2009» dell'Onu Pvs,
la fuga dei capitali è il rischio più temuto Con la crisi la crescita passerà
dal 5,9% al 4,6% Paolo Migliavacca La sentenza è lapidaria: «L'economia
mondiale si è impantanata nella peggiore crisi finanziaria dal tempo della
Grande Depressione». Il "World Economic Situation and Prospects 2009"
dell'Onu appena pubblicato – un'analisi congiunta del Dipartimento economico e
degli affari sociali, della Conferenza sul commercio e lo sviluppo e delle 5
Commissioni regionali – non nasconde la gravità della situazione. Le misure
prese per combattere la crisi appaiono senza precedenti per quantità di mezzi
mobilitati, ma occorrerà diverso tempo affinchè dispieghino i loro effetti. E
intanto non solo il Nord del mondo si dibatte in una generale recessione, ma
anche le economie dei Paesi in via di sviluppo (Pvs) sono in rapido degrado.
Comprese quelle che ancora pochi mesi fa crescevano con tassi a due cifre o li
sfioravano. Il timore è che la fragilità intrinseca di sistemi cresciuti troppo
in fretta e legati a fattori altamente volatili e ciclici, come i corsi delle
materie prime, possa rivelarsi una "palla al piede" capace di frenare
ancor più un tasso di sviluppo già previsto in calo dal 5,9% al 4,6% nel Terzo
mondo. Per svariate ragioni – dalla pressione demografica ancora forte per
alcuni alla dipendenza da " monocolture" minerarie o agricole per
altri – molti di essi hanno infatti necessità di conservare ritmi di crescita
sostenuti, pena l'innesco di reazioni sociali molto pericolose. Ma il vero
rischio, sostiene lo studio, è nella sommatoria di vari aspetti negativi: «Il
costo dell'indebitamento con l'estero è schizzato verso l'alto, mentre il
flusso di capitali è ora diretto in uscita. Sia il mercato valutario, sia
quello delle materie prime sono diventati assai fluidi, con i tassi di cambio
che in diversi Paesi si stanno deteriorando a un ritmo allarmante e i prezzi
delle derrate agricole sono in crollo. La crescita dell'export, in queste
economie, sta rallentando e il passivo delle bilance di parte corrente di molti
Paesi è tornato a salire. Mentre le riserve valutarie accumulate appaiono
destinate a crollare in parallelo con l'avanzata della crisi. Queste economie
nel 2009 dovranno quindi affrontare sfide ancora maggiori ». Esaminando più in
dettaglio le prospettive delle singole aree dei Pvs,l'Africa appare tra le più
sfavorite. Essa infatti soffrirà della combinazione perversa del calo delle
esportazioni verso i Paesi sviluppati più toccati dalla crisi, del crollo dei
prezzi delle materie primee del forte taglio degli investimenti e
(probabilmente) degli aiuti pubblici e privati del Nord ricco. Il risultato
prevedibile sarà l'esplosione della disoccupazione ( che è già uno dei più
gravi mali endemici), con conseguente boom dell'economia informale di mera
sussistenza e (fenomeno solo in parte positivo perché spia dell'arresto
dell'attività economica) calo dell'inflazione. Unica nota di speranza, il
mantenimento almeno parziale delle relazioni economiche
stabilite con la Cina. Anche l'Estremo Oriente dovrebbe subire un contraccolpo molto forte
dalla prevista caduta dell'export,cui potrebbe associarsi il coinvolgimento dei
sistemi finanziari di vari Paesi nella bolla speculativa Usa.Ma le notevoli riserve valutarie accumulate nell'ultimo
quinquennio consentono di adottare politiche di facilitazione creditizia (già
avviate da Cina e Corea del Sud) che potrebbero
attenuare molto gli effetti sull'economia generale, mentre la forte riduzione
dei costi dell'import energetico contribuirà a mantenere attive le partite
correnti. Situazione analoga conoscerà l'Asia meridionale,ma con un van-taggio:
il flusso delle rimesse degli emigrati, ritiene lo studio, non subirà gravi
riduzioni. Ma occorre tener conto del forte rischio politico generalizzato. In
America latina il nemico più temuto è l'inflazione,che ha già dato segni di
risveglio nel 2008. Ad esso dovrebbero rispondere politiche fiscali
anti-cicliche, ma la presenza generalizzata di governi populisti fa temere che
sia la piazza a dettare le misure e la loro intensità. Il Medio Oriente,
malgrado il crollo delle entrate (da
( da "TgFin.it" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Morning
Note: economia e finanza dai giornali (Il Sole 24 Ore Radiocor) - Milano, 02
feb - GOVERNO: con le Regioni duello su 2 miliardi di euro (Corriere della sera
pag 11). Le mosse anti-crisi del Fisco (Il Sole 24 Ore del Lunedi' pag 1). Il
bluff dei Tremonti Bond (Affari e finanza pag 1) CRISI: Economia Usa in caduta libera, persi altri 530mila posti (dai
giornali). "Ritrovare la fiducia perduta" di Domenico Siniscalco (La
Stampa pag 1). "Nazionalizzare non sara' bello ma e' necessario",
intervista a Stephen Roach, presidente Morgan Stanley Asia (Affari&Finanza,
pag. 3). "Non esageriamo, non ci hanno invaso le locuste", intervista
a Robert Shiller, economista dell'Universita' di Yale (La Stampa, pag. 4)
WELFARE: "E' essenziale condividere la gestione", intervista ad
Alberto Bombassei, vicepresidente per le relazioni industriali di Confindustria
(Il Sole 24 Ore, pag. 14) ALITALIA: Colaninno, con Air France nessun patto
segreto (dai giornali). La Consulta blocca Formigoni (La Stampa pag 23) AUTO:
"L'ibrido logora chi non ce l'ha", intervista ad Andrea Formica,
vicepresidente Toyota Europa (Affari&Finanza, pag. 7) CIR: Forbici ed
energia: e' la Cir di Rodolfo (CorrierEconomia, pag. 2)
LUXOTTICA: meno dollari e un biglietto per la Cina
(CorrierEconomia, pag. 4) IT Holding: il patron Tonino Perna piegato dai
debiti. Possibile il commissariamento (CorrierEconomia pag 5) RECORDATI: in
crescita anche nel 2009 (Il Sole 24 Ore domenica pag 25) Man- (RADIOCOR)
02-02-09 08:05:48 (0023)news 3 NNNN
( da "Affari Italiani (Online)" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Globalist
di Arduino Paniccia Svolta storica di Obama? Solo a metà. Non è lui che comanda
il mondo... Lunedí 02.02.2009 08:52 Divertente, tagliente, empatica e dura.
Ecco chi è Michelle Obama, "il Boss", nella prima biografia ufficiale
della first lady Usa L'Europa e gli Usa
di Obama. Collaborare per contare Di Achille Lega Benvenuti nell'era della new
green economy Di Giuseppe Morello *********************** Ue e Italia, con
Obama non saranno rose e fiori Di Arduino Paniccia ***********************
L'America di Obama... nella Carolina del Sud si parla addirittura di
secessione! *********************** FORUM/ Come saranno gli Usa
di Barack Obama? SONDAGGIO/ Barack Obama alla Casa Bianca. Hai fiducia nel
nuovo presidente Usa? *********************** MUTUI
USA/ Un nuovo piano finanziario mirato ad abbassare i costi delle rate e quindi
combattere i pignoramenti sarà svelato a breve dall'amministrazione Usa. Lo ha preannunciato il presidente degli Stati Uniti,
Barack Obama, nel suo consueto discorso settimanale C'è una interessante
osservazione da fare circa i primi giorni di governo effettivo di Obama, dopo
la convenzionale sbornia elettorale di promesse e piani salva-economia. Ed è
questa: in politica interna Obama governa, in politica estera no. Non è del
tutto lapalissiano, ci sono state epoche storiche in cui gli USA hanno
governato anche all'estero (pensiamo al Sud Vietnam o al Cile) , ma il declino
della dottrina neo-con sostenuta dall'amministrazione Bush, ha determinato il
profilarsi di un nuovo isolazionismo che vede l'America in una posizione più
contenuta rispetto ad esploit diplomatico/militari di un passato recente.
L'uomo al timone è il presidente e questo presidente ha ben chiaro che occorre
aggiustare le cose in casa propria prima di pensare a come comportarsi con
l'Iran, la Palestina, la Russia o la Cina. E l'uomo al timone, coerentemente con quanto dichiarato durante
le presidenziali, ha deciso che i tempi erano maturi e l'lettorato pronto per
un cambio di indirizzo anche sul tema dell'ambiente. Obama dietro le quinte
GUARDA LA GALLERY Quanto accade in queste ore è fuori dall'ordinario in un
paese che ben raramente ha visto il governo correre al salvataggio del privato.
Mentre da noi soccorrere FIAT e il suo comparto è ormai routine, in USA non lo
è affatto, è circostanza straordinaria che fa ancora alzare il sopracciglio ad
economisti e politologi. Sono ben 100 gli economisti di scuola classica che
hanno scritto al presidente chiedendogli di riflettere bene su quanto si
apprestava a firmare. Il piano varato dal congresso di 819 milioni di dollari è
un progetto molto ambizioso di salvataggio che non ha precedenti e che, a
differenza di quanto accade da noi, proporziona l'aiuto all'impegno
pro-ambiente dei costruttori di automobili. Questo piano sortirà l'effetto
desiderato. Anche se non ha trovato consenso by-partisan (e neanche mono-partisan,
11 democratici hanno votato contro), ma ha l'appoggio della gente e ovviamente
delle case automobilistiche. E' un primo successo della amministrazione Obama.
L'insediamento di Obama in immagini GUARDA LA GALLERY Ma sul fronte estero le
cose non sono altrettanto facili, l'uomo al timone non è Obama e la nave va
dove ci sia l'accordo di molti. La controparte del presidente non è il partito
repubblicano, nei confronti del quale ha la forza concessagli dall'elettorato,
ma personaggi come Ahmadinejiad o partiti come Hamas. Imporre a costoro una
strategia non è la stessa cosa e la crisi economica sottrae autorevolezza alla
diplomazia americana, già vittima di una diffusa ostilità nel mondo arabo. Così
intascare un successo non sarà facile per Obama, certamente più a suo agio in
politica interna. Alcuni segnali incoraggianti si sono comunque osservati: Cuba
lo segue con attenzione, la Russia ha dichiarato di volere desistere
dall'installazione di testate missilistiche lungo i confini NATO, persino i
Talebani danno segnali di disponibilità. Vedremo quindi se Obama saprà
proiettare la sua credibilità anche all'estero, e vedremo quanto i suoi
successi saranno utili alla Vecchia Europa e all'Italia.
( da "Voce d'Italia, La" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Economia
Libri per capire Crisi, Banche: nella giungla degli gnomi Presentato a Milano
il nuovo libro di Giancarlo Galli --> Milano – Il recente terremoto
finanziario ha messo a nudo la fragilità del sistema finanziario globale e ci
fa tremare tutti. Per anni gli “gnomi”, ovvero i signori della finanza, hanno
cantato anche in Italia le virtù di un mercato del denaro in perenne crescita,
le occasioni offerte dai prodotti derivati, la necessità di accorpamenti ed
espansioni in altri mercati. Il libro di Giancarlo Galli, giornalista e
scrittore di Economia, ricostruisce le biografie, nel bene e nel male, dei “sacerdoti
del capitalismo e della finanza” che per anni sono stati protagonisti delle
vicende non solo finanziarie, ma anche politiche e scandalistiche del Bel
Paese. L?autore, da noi intervistato in esclusiva in occasione della
presentazione del libro, ci ha raccontato come – negli ultimi cinque anni – la
maggior parte dei banchieri ha pensato all?arricchimento personale dimenticando
l?etica, un valore che si è perso nel tempo. Durante la presentazione si è
svolto un interessante dibattito con alcuni esponenti di spicco del mondo
giornalistico, politico e bancario. Salvatore Bragantini, editorialista del
Corriere della Sera, si è soffermato sulle principali cause della crisi
finanziaria. In particolare ha ricordato come gli sbilanci finanziari tra i
Paesi abbia influito negativamente sugli equilibri economici mondiali: Paesi
come Cina ed India hanno continuato a produrre ed
esportare negli Stati Uniti i quali, per pagare queste esportazioni, si
facevano finanziare (attraverso l?acquisto da parte di Cina
ed India di titoli del debito pubblica americano) dagli stessi venditori.
Assurdo... Anche le disuguaglianze economiche nei Paesi sviluppati hanno avuto
responsabilità di rilievo nell?attuale crisi: negli anni ?70 un buon stipendio
medio di un impiegato statunitense si aggirava (ai valori attuali) attorno ai
30.000 dollari. Oggi lo stesso impiegato ne percepisce 25.000, ma la continua
espansione economica e lo stile di vita adottato dagli americani
comporterebbero uno stipendio di quasi 50.000 dollari: chiaro che la differenza
è stata presa a prestito, con una politica dei tassi che ha favorito
l?indebitamento. Roberto Mazzotta, presidente della Banca Popolare di Milano,
ha affermato che è stato proprio Greenspan ad espandere, inflazionandolo, il
credito. L?eredità dell?ex governatore della Fed è, secondo Mazzotta,
terrificante, un fardello che peserà sulle prossime generazioni in maniera
importante. La ricetta per uscire dalla crisi, secondo il banchiere milanese, è
da una parte realizzare una ripulitura dei bilanci delle banche facendo
emergere chiaramente le responsabilità di chi ha affossato il sistema,
dall?altra l?ampliamento di ammortizzatori sociali, con poderose
redistribuzioni di reddito a vantaggio dei più bisognosi. Secondo Francesco
Micheli, finanziere ed imprenditore di spicco, buona parte delle responsabilità
per la crisi in corso è dovuta all?ingordigia dei banchieri: i vertici bancari Usa 40 anni fa percepivano circa 40 volte lo stipendio medio
dei loro dipendenti, oggi siamo arrivati ad un rapporto a 400 ed in taluni casi
a 7-800 volte. I ROE (ritorno in termini di utili del capitale investito) al 22
o 23% che alcuni banchieri hanno per anni conseguito erano qualcosa di
straordinario, ma mentre qualche anno fa questi banchieri venivano applauditi
come “maghi” della finanza, oggi ci rendiamo conto dei costi di questi “ottimi”
risultati: ai tempi delle vacche grasse a beneficiarne sono stati gli stessi
banchieri ed i loro azionisti (privatizzazione dei guadagni); oggi, che
dobbiamo pagare per i loro errori, è il cittadino comune al quale viene
richiesto lo sforzo di contribuire al salvataggio di queste banche
(socializzazione delle perdite). Infine Bruno Tabacci, parlamentare Udc, ha
sottolineato come ci troviamo di fronte ad una crisi antropologica: deve
cambiare il modello etico non solo nel mondo economico e finanziario, ma nel
nostro vivere civile. Ripristinare il giusto rapporto tra diritti e doveri e
capire che è finita un?epoca e che si entra in una nuova fase dell?umanità.
Secondo Tabacci, l?Italia non è messa poi così male dal punto di vista
finanziario: per valutare la solvibilità di uno Stato si è soliti guardare al
debito pubblico, ed in questo senso il nostro Paese è decisamente malmesso. Se
però al debito pubblico si somma il debito delle famiglie, scopriamo come –
mentre da noi le famiglie hanno un indebitamento che si aggira attorno al 32% -
altri Paesi più “virtuosi” in apparenza, hanno un debito delle famiglie al 102%
(Gran Bretagna) o al 112% (Usa). Comunque tutti gli
interventi hanno avuto alcuni punti in comune: il debito americano si sistemerà
con un?impennata dell?inflazione, che presto tornerà ad infiammarsi per effetto
delle politiche monetarie della Fed; gli aiuti alle imprese ed ai singoli
settori sono soldi buttati in un “pozzo di S. Patrizio” che non produrranno
nessun beneficio: molto meglio distribuire contributi alle famiglie, che
consentano loro di spendere e ritornare a consumare. Aiutando le imprese, il
governo le salverà (momentaneamente) dal fallimento, ma se la gente non può
comprare perché ridotta alla fame, alla lunga costringerà comunque le stesse
imprese a chiudere. Il libro: “Nella giungla degli gnomi”, Giancarlo Galli,
Garzanti Libri. Massimo Benvenuti massimo.benvenuti@voceditalia.it
( da "Trend-online" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
La
crisi: un nuovo equilibrio tra chi consuma e chi risparmia BLOG, clicca qui per
leggere la rassegna di Mauro Artibani , 02.02.2009 09:53 Scopri le migliori
azioni per fare trading questa settimana!! Al World Economic Forum 2009 di
Davos , il premier cinese Wen Jiabao, occupa il centro della scena: «Bisogna
ritrovare un equilibrio tra manifattura e finanza,tra chi consuma e chi
risparmia. Solo così la primavera è dietro l'angolo e l'inverno passerà». Prosa
limpida, toni enfatici in questa epica orientale. Personaggi e interpreti: le
formiche cinesi, le cicale yankees. La Cina produce Offerta, consuma poco = Risparmio. Gli USA producono
Domanda superiore alla loro capacità di spesa = Debito. Questo lo squilibrio:
la crisi. Un nuovo equilibrio, dice Wen? Fattomi più realista del re, mi metto
a caccia di equilibri. 1 ? I consumatori yankees, con redditi
insufficienti, si fanno avari; quelli cinesi prodighi. Si produce quindi una
riduzione del PIL USA da compensare con un aumento di Offerta al mondo.
Impossibile, a fronte di un sistema inabile alle esportazioni. 2 ? Il piano Obama
prevede sgravi fiscali e politiche keynesiane per fornire lavoro e reddito agli
stremati Consumatori, propensi però ad acquistare le convenienti merci cinesi.
Barriere daziali allora. Già! E se i cinesi non finanziano più quel debito
sempre più grande? 3 ? I cinesi finanziano il Reddito per il consumo nazionale
con il surplus di bilancio; si sfiancano e, finchè dura, si salvano. Gli
americano no, il mondo neppure. Ipotesi mistiche, accipicchia. Difficile
scorgere l?equilibrio. Nell?irrealismo delle ipotesi però si mostra lampante
una costante: il Reddito, o meglio, l?insufficienza di quel Reddito per
sostenere la Domanda, causa prima della crisi. Riequilibrare questo squilibrio,
sta qui un nuovo equilibrio. Nel mondo sviluppato vivono consumatori che mancano
di reddito adeguato per far fronte al carico di consumo necessario per generare
ricchezza; sorte analoga per i consumatori dei paesi in via di sviluppo: segue
pagina >>
( da "marketpress.info" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Lunedì
02 Febbraio 2009 PARLAMENTO EUROPEO SESSIONE PLENARIA 2 - 5 FEBBRAIO 2009:
MAHMOUD ABBAS AL PARLAMENTO EUROPEO; ATTIVITÀ DELLA CIA IN EUROPA PIÙ SEVERITÀ
NELLA LOTTA ALLA PEDOPORNOGRAFIA UNA POLITICA UE INTEGRATA CONTRO IL
CAMBIAMENTO CLIMATICO ENERGIA: SOSTEGNO ALLE INTERCONNESSIONI E AI
RIGASSIFICATORI Strasburgo, 2 febbraio 2009 - I Punti Forti Della Sessione
Lunedì 2 febbraio - Energia: sostegno alle interconnessioni e ai
rigassificatori - Una relazione all´esame dell´Aula sostiene i progetti Nabucco,
Itgi e South stream e chiede ai governi di dotarsi di sufficienti
rigassificatori. Sollecita grandi investimenti infrastrutturali e una rete
energetica comune, piani anticrisi e l´intensificazione delle relazioni nel
Mediterraneo e con la Russia. Rilevando l´importanza del nucleare, purché ne
sia garantito un uso sicuro nel quadro di norme Ue armonizzate, chiede di
promuovere il risparmio e l´uso di fonti rinnovabili e locali (relazione
Laperrouze). Tessile: quali misure per tutelare il settore Ue?-
Un´interrogazione orale alla Commissione aprirà un dibattito in Aula in merito
agli strumenti per difendere la produzione e l´occupazione nel settore tessile
europeo alla luce dei problemi causati con la scadenza dell´accordo con la Cina relativo a un sistema di sorveglianza delle
importazioni. I deputati chiedono se vi è l´intenzione di estendere il
meccanismo di sorveglianza e vogliono essere aggiornati sulla proposta di
regolamento sulle etichette "made in". Misure mirate per l´aviazione
d´affari - Una relazione all´esame dell´Aula rileva l?esigenza di tenere conto
degli interessi e delle specificità dell´aviazione generale e d´affari nello
sviluppo di future iniziative sul trasporto aereo. Chiede quindi una certa
flessibilità per il settore nell´attuazione delle misure Ue sulla sicurezza e i
controlli, e il miglioramento dell´accesso agli aeroporti, anche mediante
un´assegnazione degli slot più favorevole. Sollecita poi il sostegno
all´industria europea della costruzione di aeromobili (relazione Queiró).
Martedì 3 febbraio - Attività della Cia in Europa - Le dichiarazioni del
Consiglio e della Commissione apriranno un dibattito in Aula sul presunto uso
dei paesi europei da parte della Cia per il trasporto e la detenzione illegali
di prigionieri. Nel febbraio 2007 il Parlamento aveva adottato una relazione in
materia stilata dalla commissione temporanea costituita per esaminare la
questione. Più di recente, ha chiesto alle istituzioni Ue e agli Stati membri
di attuare le raccomandazioni in essa contenute. Una risoluzione sarà votata la
prossima sessione. Guantanamo: chiusura del centro e rimpatrio dei detenuti -
Le dichiarazioni di Consiglio e Commissione apriranno un dibattito in Aula in
merito al centro di detenzione Usa di Guantanamo Bay e
all´annuncio fatto dal neo presidente Usa della sua
imminente chiusura. I ministri degli esteri Ue non hanno trovato, al momento,
un approccio comune sull´idea di accogliere in Europa 245 detenuti di
Guantanamo. Il Parlamento, che aveva chiesto formalmente la sua chiusura già
nel giugno 2006, adotterà una risoluzione. Sanzioni, anche penali, per chi
impiega immigrati illegali - Il Parlamento è chiamato a adottare una direttiva
che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di
paesi terzi soggiornanti illegalmente nell´Ue. Tali sanzioni dovranno essere
pecuniarie (inclusi i costi dell´eventuale rimpatrio), amministrative (es.
Ritiro della licenza d´esercizio) e, nei casi più gravi, penali. Gli Stati
membri dovranno poi mettere a disposizione meccanismi per agevolare le denunce
e garantire adeguate ispezioni sui luoghi di lavoro più a rischio (relazione
Fava). Immigrazione: situazione nei Cpa di Lampedusa e Mayotte - Le
dichiarazioni del Consiglio e della Commissione apriranno un dibattito in Aula
in merito alla preoccupante situazione nei centri di accoglienza per immigrati
a Lampedusa e Mayotte. Riguardo all´isola italiana, l´Unhcr ha espresso
preoccupazione per il sovraffollamento, mentre la popolazione locale contesta
la decisione di istituirvi un centro d´identificazione ed espulsione. Più
severità nella lotta alla pedopornografia - Punire il "grooming" e i
gestori di forum pedofili, disattivare i siti web pedopornografici, ostacolare
i loro sistemi di pagamento on line e promuovere l´uso di filtri per i siti
porno. E´ quanto raccomanda una relazione per combattere lo sfruttamento
sessuale dei bambini. Chiede anche di adottare norme comuni sul turismo
sessuale, di sanzionare ogni atto sessuale con minori non consenzienti e i
matrimoni forzati, ampliare le circostanze aggravanti, favorire le denunce e
tutelare le vittime (relazione Angelilli). Mercoledì 4 febbraio - Mahmoud Abbas
al Parlamento europeo - Nella prosecuzione delle iniziative promosse dal
Parlamento per l´Anno europeo del dialogo interculturale, l´Aula accoglierà in
seduta solenne il Presidente dell´Autorità palestinese Mahmoud Abbas. Il suo
intervento dinanzi i deputati acquisisce ancora maggior rilievo alla luce della
situazione venutasi a creare a seguito del conflitto nella Striscia di Gaza. Il
Kosovo dopo il primo anno d´indipendenza - Il 17 febbraio prossimo si celebrerà
il primo anno dell´indipendenza del Kosovo, dichiarata unilateralmente da
Pristina in seguito al fallimento dei negoziati con Belgrado. Il Consiglio e la
Commissione saranno presenti in Aula per il dibattito cui farà seguito
l´adozione di una risoluzione. Una politica Ue integrata contro il cambiamento
climatico - Il Parlamento è chiamato ad approvare la relazione finale della sua
commissione temporanea riguardo alle raccomandazioni per una futura politica
integrata dell´Ue sul cambiamento climatico. Ribadendo l´obiettivo di riduzione
delle emissioni di gas a effetto serra per mantenere un aumento della
temperatura media entro i
( da "Virgilio Notizie" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Roma,
2 feb. (Apcom) - Gli operai inglesi della Lindsay in sciopero contro una
società italiana "hanno ragione". A schierarsi con loro è il
capogruppo della Lega alla Camera, Roberto Cota, che in un'intervista a 'La
Stampa' spiega: "Quello che sta succedendo a Grimsby è
l'esempio più classico della globalizzazione che ci presenta il conto. Ce lo ha
già presentato con la crisi economica e finanziaria, con il problema della
sicurezza e adesso tocca al mercato del lavoro. Sono gli effetti di una
globalizzazione senza regole o con le regole saltate, una globalizzazione
selvaggia". Secondo Cota "sfugge un aspetto molto più generale
di tutta questa vicenda. Il mercato del lavoro, oggi più che mai in tempi di
recessione, dovrebbe essere regolamentato da un principio: domanda e offerta di
lavoro devono essere regolamentati sul territorio. Non è così. E allora si
creano squilibri come quelli che stanno avvenendo in Gran Bretagna. Adesso
tocca a Grimsby. Prima o poi si parlerà del Veneto". "Nel Nord Est -
spiega infatti l'esponente leghista - sta cominciando lo stesso problema.
Arriva manodopera straniera che toglie lavoro ai nostri. Ci vuole una moratoria
sui flussi come ha fatto Zapatero in Spagna". Quanto ai lavoratori
comunitari, per Cota "potrebbero essere sospesi" gli accordi di
Schengen. "Bisogna iniziare - sottolinea - a ragionare anche su questa
eventualità. Non possiamo aprire le frontiere se non viene garantito il lavoro
ai nostri. Io capisco le supereccellenze, l'altissima professionalità
richiesta... Ma qui stiamo parlando di lavoro ordinario".
( da "Wall Street Italia" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
USA:
TASSI IN RIALZO, CRESCE ATTESA PER UN INTERVENTO DELLA FED di MPS Capital
Services La banca centrale potrebbe spingersi fino ad acquistare titoli di
stato a lungo termine anche se la scorsa settimana il Wsj aveva escluso una
decisione imminente in questo senso. -->*Questo documento e' stato preparato
da MPS Capital Services ed e' rivolto esclusivamente ad investitori
istituzionali ovvero ad operatori e clientela professionale ai sensi
dell'allegato n.3 al reg. n.16190 della Consob. Le analisi qui pubblicate non
implicano responsabilita' alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non
svolge alcuna attivita' di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo
informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale
di WSI. (WSI) ? Tassi d'interesse: in area Euro i tassi mercato hanno chiuso la
sessione contrastati, in rialzo sul lungo termine ed in lieve calo sul breve,
portando ad un allargamento dello spread 2-10 anni, salito a 180 pb da 167.
Resta sopra i 150 pb il differenziale sul decennale Italia-Germania, mentre
quello Grecia-Germania si mantiene in prossimità dei 300 pb. In Francia,
secondo quanto riportato da Ft, il governo concederà ad Airbus una garanzia di
5 Mld? sul credito, al fine di sostenere le vendite. Sul fronte macro gli
indici Pmi manifatturiero e servizi dell?intera area a gennaio sono risultati
migliori delle attese, rimanendo comunque abbondantemente sotto la soglia dei
50. Intanto il Fmi ha annunciato che ridurrà nuovamente le stime di crescita.
Questa mattina Barclays ha preannunciato svalutazioni per 8Mld£ nel 2008,
dichiarando di non aver bisogno al momento di ricapitalizzazioni. Sopravvivere
non e' sufficiente, ci sono sempre grandi opportunita' di guadagno. Hai mai
provato ad abbonarti a INSIDER? Costa meno di 1 euro al giorno. Clicca sul link
INSIDER Prosegue il rialzo dei depositi delle banche presso la Bce, nonostante
l?Istituto abbia abbassato il tasso di remunerazione. Venerdì i depositi
ammontavano a 198 Mld? dai 189 Mld del giorno prima. Intanto Mersch, membro
della Bce, ha dichiarato che sarebbe piuttosto complicato in area Euro porre in
essere una politica di quantitative easing sull?esempio di Fed e BoE. Oggi non
sono attesi dati di rilievo e l?attenzione continuerà ad essere focalizzata
sulle notizie provenienti dal mondo corporate. Sul decennale la resistenza
passa per 3,30%. Negli Usa tassi di mercato in rialzo
sulla scia della sostanziale tenuta dei mercati azionari lo scorso venerdi
grazie al recupero di energetici e finanziari. Il rialzo dei tassi si ricollega
anche alle recenti parole del futuro ministro del tesoro Geithner che,
accusando la Cina di manipolazione dei cambi,
implicitamente potrebbe compromettere il forte beneficio per gli Usa derivante dall?acquisto di Treasury. La Cina infatti dallo scorso ottobre è diventato il primo
detentore al mondo di Treasury. Il rialzo dei tassi di mercato sta aumentando
l?attesa degli operatori su un?eventuale decisione della Fed questa settimana
(nel corso del meeting che si concluderà il prossimo mercoledì) in merito alla
preannunciata possibilità di spingersi fino ad acquistare titoli di stato a
lungo termine. La scorsa settimana il Wsj aveva escluso una decisione imminente
in questo senso. L?altro tema che potrebbe essere discusso fa invece riferimento
alla possibilità di introdurre un target di inflazione. Nel frattempo nel primo
discorso del presidente Obama dopo l?insediamento, sono stati forniti alcuni
dettagli ulteriori sul piano da 825Mld$. Secondo quanto precisato anche dal
capo dei consiglieri economici Summers, almeno il 75% delle spese previste nel
piano dovrebbero essere effettuato nell?arco di 18 mesi. Obama ha confermato la
centralità delle spese in energia rinnovabile, (previsto il raddoppio
dell?energia prodotta in tal modo su un orizzonte triennale) ed in
infrastrutture oltre che nel potenziamento della sicurezza in 90 porti. Inoltre
sarà possibile seguire lo stato di avanzamento di attuazione del piano
direttamente su un apposito sito creato dal governo (www.recovery.gov). Sul fronte
emissioni governative, la settimana in corso si preannuncia molto densa con
ammontare atteso pari a 78Mld$ su scadenza da
( da "Giornale.it, Il" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
n.
5 del 2009-02-02 pagina 0 Gb, ancora scioperi contro gli operai italiani
Sacconi: "Così è a rischio il patto europeo" di Redazione Nel Regno
Unito dilaga lo sciopero contro i tecnici italiani della raffineria Total. Il
monito di Sacconi: "La libera circolazione dei lavoratori è un principio
fondante dell?Ue". Frattini: "Scioperi indifendibili". Fini:
"Intollerabile discriminare i lavoratori stranieri". Ma Cota (Lega
Nord) si smarca: "Hanno ragione gli operai inglesi" Roma - In
Inghilterra sono esplose le polemiche per un gruppo di lavoratori italiani (e
portoghesi) impegnati nella raffineria Lindsey Oil della Total, nel
Lincolnshire. I sindacati hanno organizzato degli scioperi rivendicando il
lavoro per gli inglesi. Il premier britannico Gordon Brown difende la libera
circolazione del lavoro, uno dei caposaldi dell'Unione europea. Ma è sempre più
in difficoltà perché l'ondata protezionistica dal Lincolnshire dilaga in tutto
il Regno Unito. Sacconi: a rischio il patto Ue La libera circolazione dei
lavoratori "è un principio fondante dell?Unione europea, che non può
essere in alcun modo messo in discussione pena la crisi del patto
comunitario". è quanto ha affermato il ministro del Welfare, Maurizio
Sacconi, riferendosi alle proteste dei lavoratori inglesi. "Nel caso
specifico - ha aggiunto Sacconi a margine della presentazione dell?indagine del
Cnel sul lavoro che cambia - l?azienda si avvale di propri lavoratori
specializzati, non altrimenti sostituibili nel breve periodo imposto
dall?immediata esecuzione dei lavori". Frattini: scioperi indifendibili
Gli scioperi spontanei scoppiati in Gran Bretagna contro il contratto a termine
dato ad un centinaio di lavoratori italiani per costruire un impianto in una
raffineria nell?Inghilterra settentrionale "sono indifendibili", come
ha detto il premier inglese Gordon Brawn. A ribadirlo è il ministro degli
Esteri italiano Franco Frattini. "Mi riferisco - ha detto Frattini - alle
parole del primo ministro che è un personaggio saggio e competente: ha detto
che quegli scioperi sono indifendibili. Questa è l?Europa, l?Europa della
libera circolazione di tutti i lavoratori, di quelli italiani in Gran Bretagna
e di quelli inglesi in Italia". Fini: intollerabili le discriminazioni Non
è possibile "in alcun modo tollerare forme anche velate di
discriminazione" nei confronti dei lavoratori stranieri. Lo ha detto il
presidente della Camera, Gianfranco Fini, in occasione della presentazione a
Montecitorio del rapporto del Cnel sul "Lavoro che cambia", presente
il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Fini ha notato che
"una parte sempre più significativa della forza lavoro presente in Italia
è oggi rappresentata da lavoratori stranieri, e ancor più lo sarà domani. Sono
lavoratori che danno un contributo fondamentale in settori centrali del nostro
sistema produttivo, da quello dell?edilizia alla filiera agroalimentare, e che
svolgono un ruolo insostituibile anche in altri campi, come quello della cura
degli anziani, dei disabili e della prima infanzia". Cota: hanno ragione
gli operai inglesi Gli operai inglesi della Lindsay in sciopero contro una
società italiana "hanno ragione". A schierarsi con loro è il
capogruppo della Lega alla Camera, Roberto Cota, che in un?intervista a
"La Stampa" spiega: "Quello che sta succedendo a Grimsby è l?esempio più classico della globalizzazione che ci presenta il
conto. Ce lo ha già presentato con la crisi economica e finanziaria, con il
problema della sicurezza e adesso tocca al mercato del lavoro. Sono gli effetti
di una globalizzazione senza regole o con le regole saltate, una
globalizzazione selvaggia. Adesso tocca a Grimsby. Prima o poi si
parlerà del Veneto". © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 -
20123 Milano
( da "Virgilio Notizie" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
(ASCA)
- Roma, 2 feb - ''L'aggressione di Nettuno e' un episodio da condannare
radicalmente, cosi' come e' da condannare qualunque altro episodio di razzismo,
ma questo non toglie che di fronte ad una crisi internazionale che sta mettendo
a rischio i posti di lavoro sia necessario valutare una sospensione di ingressi
di nuovi immigrati e della libera circolazione in Europa''. E' quanto dichiara
Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione Normativa e coordinatore
delle Segreterie Nazionali della Lega Nord, che aggiunge: ''Nuovi ingressi,
quando a rischio ci sono i posti di lavoro anche per i cittadini italiani,
fanno prevedere non solo piu' disoccupazione ma anche la conseguente
impossibilita' di integrazione, con i conseguenti rischi per l'ordine pubblico,
per la sicurezza e per eventuali episodi di razzismo che sono sempre figli
della guerra tra poveri. Da Davos tutti hanno tuonato
contro le misure nazionaliste e protezioniste salvo poi, una volta rientrati a
casa loro, metterle subito in essere e faremo bene anche a noi ad iniziare a
fare subito altrettanto di fronte ad una crisi che ha dimostrato il fallimento
della globalizzazione e i limiti dell'Unione Europea''.
( da "Giornale.it, Il" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Sul
Giornale di ieri Stefano Zurlo ha scritto un bell'articolo, in cui racconta che
cosa accade agli irregolari che vengono arrestati. Mi ha colpito questo
passaggio: "È un meccanismo davvero surreale. Il clandestino viene
espulso; non se ne va o torna di nascosto nel nostro Paese e allora scatta,
obbligatorio, l'arresto. Ma i processi, di media, sono catene di montaggio
delle scarcerazioni: l'imputato esce, in attesa del verdetto, e tanti saluti.
Oppure, se la sentenza arriva di volata, viene condannato, ad una pena di
6-8-10 mesi. E subito dopo rimesso in libertà. Come è normale quando la pena è
inferiore ai due anni. Insomma, l'irregolare viene afferrato dalla legge e
dalla legge riconsegnato alla sua vita invisibile. Con una postilla: se lo
acciufferanno di nuovo, sempre senza documenti, non potranno più processarlo:
non si può giudicare due volte una persona per lo stesso reato". Se questa
è la realtà, e non dubito che lo sia, la lotta ai clandestini è assolutamente
inutile. Continueranno ad arrivare, sempre più numerosi, proprio perché è
garantita l'impunità. E allora è necessario correre ai ripari, varando norme
che non permettano la scarcerazione in attesa del processo e, come ho già
scritto, che rendano obbligatorio il rilevamento, oltre delle impronte
digitali, dell'iride dell'occhio. Solo così l'Italia può assumere una
credibilità che oggi non ha. L'alternativa è che l'Italia si trasformi non in
una società tendenzialmente multietnica, ma in un Paese anarchico con profonde
ingiustizie sociali e un razzismo diffuso. Non c'è più tempo da perdere: tocca
al governo di centrodestra proporre misure concrete. E al centrosinistra
moderato di Veltroni sostenerle con spirito bipartisan. Perché il problema
degli immigrati non ha più colore politico ma è sentito, con angoscia, dalla
stragrande maggioranza degli italiani, compresi i progressisti. O no? Scritto
in società, globalizzazione, democrazia, Italia, immigrazione Commenti ( 3 ) »
(Nessun voto) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed
RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 30Jan 09 La casta di Wall Street?
Continua ad arricchirsi. Negli ultimi giorni mi sono occupato nuovamente della
casta dei banchieri, che ha inguaiato il mondo. Ho scoperto alcuni dettagli
interessanti, ad esempio, che l'ex numero uno di Lehman Brothers, ha venduto la
sua lussuosa residenza in Florida, stimata 14 milioni di dollari. Il prezzo?
Cento dollari. Chi l'ha comprata? La moglie. E così si cautela contro eventuali
creditori. Ipotesi peraltro remota, perché le leggi americane offrono ampie
protezioni ai banchieri protagonisti della truffa del secolo. I protagonisti
del disastro finanziario passano le loro giornate a giocare, a golf, bridge,
cricket. E quelli che non si sono ritirati continuano ad arricchirsi. Nel 2008,
mentre le loro società venivano salvate dal fallimento, i manager delle banche
si sono accordati bonus per 18,4 miliardi di dollari, come spiego in un
editoriale, nel quale pongo una domanda a questo punto fondamentale: è giusto
salvare le banche se la casta non viene smantellata? Tremonti dice: a casa o in
galera. Sono d'accordo con lui. Se il capitalismo vuole risorgere deve
riscoprire una virtù indispensabile, quella della responsabilità individuale. E
fare piazza pulita. Scritto in società, era obama, economia, globalizzazione,
notizie nascoste, democrazia, gli usa e il mondo Commenti ( 54 ) » (5 voti, il
voto medio è: 2.8 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa ©
2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 28Jan
09 Immigrazione, stiamo sbagliando (quasi) tutto? I fatti degli ultimi giorni
hanno riportato alla ribalta la questione degli immigrati. Ne traggo tre
riflessioni. 1) La crisi economica renderà ancora più acuto il problema
dell'immigrazione all'interno della Ue. Romania e Bulgaria sono già in forte
crisi economica e non mi stupirebbe se nei prossimi mesi aumentasse il numero
di cittadini di questi Paesi che cerca fortuna nei Paesi europei ricchi; che,
però, come ben sappiamo, non sono risparmiati dalla recessione. Rumeni, bulgari
verranno qui ma non troveranno lavoro e molti di quelli che già abitano in
Italia lo perderanno. La situazione rischia di diventare rapidamente esplosiva:
povertà, indegenza, disperazione, dunque probabile aumento della delinquenza
spicciola e molto potenziale manodopera per la malavita e per gli imprenditori
italiani schiavisti (che esistono e vanno combattuti energicamente) . Tutto
questo alimenterà il razzismo e l'incomprensione reciproca. Occorre che
l'Unione europea prenda iniziative straordinarie per limitare la libertà di
circolazione delle persone, anche ripristinando, transitoriamente i visti. 2)
L'immigrazione extra Ue non si combatte solo alzando barriere, che in realtà
servono a poco, perchè, come ha dimostrato l'ultimi rapporto della Fondazione
Ismu, dei 450 mila stranieri che arrivano illegalmente, solo 120mila
attraversano il Mediterraneo. Gli altri sbarcano con un visto regolare (di
studio, turistico o per lavori stagionali) e si danno alla macchia. Come si
combatte questo fenomeno? Imitando gli americani: che prendono la foto e le
impronte digitali a tutti i visitatori, In tal modo (magari anche con il
controllo dell'iride) si creerebbe una banca dati europea che rende facilmente
identificabili i clandestini. 3) Gli immigrati non partono spinti solo dalla
povertà, ma anche - anzi, soprattutto - per inseguire il mito di un'Europa
Eldorado, come ho spiegato in questa analisi. Il mito non viene mai scalfito
dai media nè nè dalla sociteà africana, che anzi continu ad alimentarlo. «Gli
africani quando partono non immaginano che fuori possa fare più freddo che
dentro un frigorifero», mi ha detto Gustave Prosper Sanvee, direttore della tv
cattolica del Togo. Dunque se vogliamo limitare le partenze è necessario che
gli immigrati sappiano che l'Europa non è un paradiso, ma spesso un purgatorio
fatto di stenti, sofferenza, spesso umiliazioni e che ci ce la fa deve
rispettare regole sociali e di convivenza che sono molto diverse da quelle
africane. Ma per raggiungere questo obiettivo è necessario che l'Europa
promuova una politica di comunicazione mirata alle popolazioni Africane, che
oggi è inesistente. Da qui la mia riflessione: perché non provare un approccio
diverso sull'immigrazione? Ho l'impressione che le misure tentate non abbiano
prodotto gli effetti sperati e siano destinate al fallimento anche in futuro.
In altre parole, l'Italia e l'Europa stanno sbagliando (quasi) tutto. O no?
Scritto in società, europa, globalizzazione, immigrazione Commenti ( 71 ) » (4
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articolo a un amico 25Jan 09 Resa dei conti tra la Cina e gli Usa? Il sito del Giornale nelle ultime 48 ore ha dovuto affrontare
la migrazione da un provider a un altro e dunque anche l'accesso al blog è
stato difficile, soprattutto in certe zone d'Italia. Mi scuso per questo
inconveniente, ora risolto. Negli ultimi due giorni sul Giornale ho
scritto ancora di Obama, che ha litigato con il Vaticano sull'aborto e per la
prima volta ha avuto qualche screzio con la stampa americana, finora
notoriamente compiacente. I giornalisti Usa tra
l'altro si sono accorti che un lobbista dell'industria delle armi è stato nominato
numero due del Pentagono, vicenda di cui abbiamo già parlato nei giorni scorsi
su questo blog. Era ora. Ma la notizia più significativa riguarda la Cina, sebbene non abbia avuto molto rilievo sui giornali
italiani. E' accaduto questo: il segretario al Tesoro Timothy Geithner che
giovedì, durante le audizioni alla Commissione finanze del Senato, aveva
accusato Pechino di «manipolare le quotazioni dello yuan per ottenre
scorrettamente vantaggi commerciali», aprendo di fatto l'iter che, in base a una
legge del 1988, permetterebbe al governo americano di imporre sanzioni ovvero
barriere tariffarie. La Cina ha risposto smentendo le
accuse, mentre il ministro degli Esteri di Pechino ha chiamato Hillary Clinton
ammonendola a non compiere passi falsi. Perchè questo screzio? I fattori di
attrito sono diversi, ma a mio giudizio ne prevale uno: quello del debito
americano. La Cina è da qualche anno il primo
sottoscrittore al mondo di Buono del tesoro Usa, ma
una decina di giorni fa ha annunciato che intende ridurre il proprio impegno e
usare una parte delle risorse per rilanciare l'economia interna. L'America,
però, non può permetterlo; anzi, visto che il suo deficit pubblico quest'anno
triplicherà, vorrebbe che Pechino aumentasse gli acquisti di Treasury. L'affondo
di Geithner ha l'aria di un monito ai cinesi: se Pechino non si ricrede,
Washington si vendicherà alzando le barriere doganali; dunque rendendo impervio
l'accesso a un mercato che rappresenta il principale sbocco ai beni «made in
China». Si scatenerebbe una guerra commerciale e finanziaria da cui usciremmo
tutti perdenti. Lo spettro è quello di un dollaro in caduta libera e di una Cina in profonda depressione, che aggraverebbe la crisi
dell'economia mondiale. Domanda: lo scenario è credibile? Ragionavolmente uno
scontro non conviene a nessuno e pertanto dovrebbe prevalere la ragionevolezza.
Fino a quando la Cina, che secondo alcuni economisti
sarebbe già in depressione, è disposta a usare le proprie risorse per
finanziare il deficit americano? E Obama è in grado di gestire con saggezza
rapporti delicati e cruciali come questi? Scritto in economia, era obama,
globalizzazione, notizie nascoste, cina, gli usa e il mondo Commenti ( 23 ) »
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un amico 23Jan 09 Basta torture. Bravo Obama, ma come la mettiamo con l'Iran?
"L'America non tortura", ha dichiarato ieri Obama rinfrancando chi ha
sempre visto nell'America un baluardo di civiltà, saldamente ancorato ai valori
della democrazia e della Costituzione. Quell'America è tornata. Bravo Obama, ma
McCain, se avesse vinto, avrebbe fatto altrettanto. Entrambi sono convinti che
la guerra al terrorismo non possa essere condotta violando i principi che
l'America ha sempre proclamato di rispettare, proponendosi pertanto come un
modello virtuoso per gli altri Paesi. La stragrande maggioranza dei detenuti di
Guantanamo è risultata innocente, ma per molti mesi ha vissuto in condizioni
orribili, da lager sovietico, senza assistenza legale, per molto tempo senza
nemmeno il monitoraggio della Croce Rossa. Segregati, senza colpa. E nelle
prigioni segrete della Cia è successo di tutto: sevizie orribili, alcuni
prigionieri sono spariti nel nulla. Ma quanti di loro erano terroristi? Pochi.
Obama (e McCain) sono convinti che la guerra ad Al Qaida debba essere risoluta
ed energica, ma senza ricorrere a metodi tipici di una dittatura e non di una
grande democrazia. La chiusura di Guantanamo e delle prigioni Cia ha anche una
valenza politica, perché rafforza e precisa il messaggio di apertura al mondo
arabo e all'Iran, con cui la Casa Bianca è pronta ad avviare "negoziati
diretti senza precondizioni", come spiego in questo articolo, mentre si
rafforzano i segnali di un raffreddamento dei rapporti con Israele (anticipati
su questo blog il 14 gennaio). Ieri ho parlato con alcuni esperti di Washington
e, off the record, una fonte qualificata del governo americano mi ha fatto
notare che Obama nel suo discorso di insediamento non ha citato Israele. E chi
è il primo leader straniero con cui Barack ha parlato? Il palestinese Abu
Mazen. Basta torture ed è un bene; ma anche meno Israele e più Iran, rapporti
ancora più stretti con le potenze del Golfo persico e dunque mano tesa
all'Islam fondamentalista sia sunnita che sciita. Scelta strategica
lungimirante o clamoroso errore che contraddice i valori degli Usa, premiando regimi come l'Iran e l'Arabia Saudita che
calpestano i diritti umani? Scritto in israele, era obama, democrazia, medio
oriente, gli usa e il mondo, islam Commenti ( 102 ) » (6 voti, il voto medio è:
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( da "Giornale.it, Il" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Sul
Giornale di ieri Stefano Zurlo ha scritto un bell'articolo, in cui racconta che
cosa accade agli irregolari che vengono arrestati. Mi ha colpito questo
passaggio: "È un meccanismo davvero surreale. Il clandestino viene
espulso; non se ne va o torna di nascosto nel nostro Paese e allora scatta,
obbligatorio, l'arresto. Ma i processi, di media, sono catene di montaggio
delle scarcerazioni: l'imputato esce, in attesa del verdetto, e tanti saluti.
Oppure, se la sentenza arriva di volata, viene condannato, ad una pena di
6-8-10 mesi. E subito dopo rimesso in libertà. Come è normale quando la pena è
inferiore ai due anni. Insomma, l'irregolare viene afferrato dalla legge e
dalla legge riconsegnato alla sua vita invisibile. Con una postilla: se lo
acciufferanno di nuovo, sempre senza documenti, non potranno più processarlo:
non si può giudicare due volte una persona per lo stesso reato". Se questa
è la realtà, e non dubito che lo sia, la lotta ai clandestini è assolutamente inutile.
Continueranno ad arrivare, sempre più numerosi, proprio perché è garantita
l'impunità. E allora è necessario correre ai ripari, varando norme che non
permettano la scarcerazione in attesa del processo e, come ho già scritto, che
rendano obbligatorio il rilevamento, oltre delle impronte digitali, dell'iride
dell'occhio. Solo così l'Italia può assumere una credibilità che oggi non ha.
L'alternativa è che l'Italia si trasformi non in una società tendenzialmente
multietnica, ma in un Paese anarchico con profonde ingiustizie sociali e un
razzismo diffuso. Non c'è più tempo da perdere: tocca al governo di
centrodestra proporre misure concrete. E al centrosinistra moderato di Veltroni
sostenerle con spirito bipartisan. Perché il problema degli immigrati non ha
più colore politico ma è sentito, con angoscia, dalla stragrande maggioranza
degli italiani, compresi i progressisti. O no? Scritto in società,
globalizzazione, democrazia, Italia, immigrazione Commenti ( 8 ) » (2 voti, il
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La casta di Wall Street? Continua ad arricchirsi. Negli ultimi giorni mi sono
occupato nuovamente della casta dei banchieri, che ha inguaiato il mondo. Ho
scoperto alcuni dettagli interessanti, ad esempio, che l'ex numero uno di
Lehman Brothers, ha venduto la sua lussuosa residenza in Florida, stimata 14
milioni di dollari. Il prezzo? Cento dollari. Chi l'ha comprata? La moglie. E così
si cautela contro eventuali creditori. Ipotesi peraltro remota, perché le leggi
americane offrono ampie protezioni ai banchieri protagonisti della truffa del
secolo. I protagonisti del disastro finanziario passano le loro giornate a
giocare, a golf, bridge, cricket. E quelli che non si sono ritirati continuano
ad arricchirsi. Nel 2008, mentre le loro società venivano salvate dal
fallimento, i manager delle banche si sono accordati bonus per 18,4 miliardi di
dollari, come spiego in un editoriale, nel quale pongo una domanda a questo
punto fondamentale: è giusto salvare le banche se la casta non viene
smantellata? Tremonti dice: a casa o in galera. Sono d'accordo con lui. Se il
capitalismo vuole risorgere deve riscoprire una virtù indispensabile, quella della
responsabilità individuale. E fare piazza pulita. Scritto in società, era
obama, economia, globalizzazione, notizie nascoste, democrazia, gli usa e il
mondo Commenti ( 55 ) » (5 voti, il voto medio è: 2.8 su un massimo di 5)
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Invia questo articolo a un amico 28Jan 09 Immigrazione, stiamo sbagliando
(quasi) tutto? I fatti degli ultimi giorni hanno riportato alla ribalta la
questione degli immigrati. Ne traggo tre riflessioni. 1) La crisi economica
renderà ancora più acuto il problema dell'immigrazione all'interno della Ue.
Romania e Bulgaria sono già in forte crisi economica e non mi stupirebbe se nei
prossimi mesi aumentasse il numero di cittadini di questi Paesi che cerca fortuna
nei Paesi europei ricchi; che, però, come ben sappiamo, non sono risparmiati
dalla recessione. Rumeni, bulgari verranno qui ma non troveranno lavoro e molti
di quelli che già abitano in Italia lo perderanno. La situazione rischia di
diventare rapidamente esplosiva: povertà, indegenza, disperazione, dunque
probabile aumento della delinquenza spicciola e molto potenziale manodopera per
la malavita e per gli imprenditori italiani schiavisti (che esistono e vanno
combattuti energicamente) . Tutto questo alimenterà il razzismo e
l'incomprensione reciproca. Occorre che l'Unione europea prenda iniziative
straordinarie per limitare la libertà di circolazione delle persone, anche
ripristinando, transitoriamente i visti. 2) L'immigrazione extra Ue non si
combatte solo alzando barriere, che in realtà servono a poco, perchè, come ha
dimostrato l'ultimi rapporto della Fondazione Ismu, dei 450 mila stranieri che
arrivano illegalmente, solo 120mila attraversano il Mediterraneo. Gli altri
sbarcano con un visto regolare (di studio, turistico o per lavori stagionali) e
si danno alla macchia. Come si combatte questo fenomeno? Imitando gli
americani: che prendono la foto e le impronte digitali a tutti i visitatori, In
tal modo (magari anche con il controllo dell'iride) si creerebbe una banca dati
europea che rende facilmente identificabili i clandestini. 3) Gli immigrati non
partono spinti solo dalla povertà, ma anche - anzi, soprattutto - per inseguire
il mito di un'Europa Eldorado, come ho spiegato in questa analisi. Il mito non
viene mai scalfito dai media nè nè dalla sociteà africana, che anzi continu ad
alimentarlo. «Gli africani quando partono non immaginano che fuori possa fare
più freddo che dentro un frigorifero», mi ha detto Gustave Prosper Sanvee,
direttore della tv cattolica del Togo. Dunque se vogliamo limitare le partenze
è necessario che gli immigrati sappiano che l'Europa non è un paradiso, ma
spesso un purgatorio fatto di stenti, sofferenza, spesso umiliazioni e che ci
ce la fa deve rispettare regole sociali e di convivenza che sono molto diverse
da quelle africane. Ma per raggiungere questo obiettivo è necessario che
l'Europa promuova una politica di comunicazione mirata alle popolazioni
Africane, che oggi è inesistente. Da qui la mia riflessione: perché non provare
un approccio diverso sull'immigrazione? Ho l'impressione che le misure tentate
non abbiano prodotto gli effetti sperati e siano destinate al fallimento anche
in futuro. In altre parole, l'Italia e l'Europa stanno sbagliando (quasi)
tutto. O no? Scritto in società, europa, globalizzazione, immigrazione Commenti
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Invia questo articolo a un amico 25Jan 09 Resa dei conti tra la Cina e gli Usa? Il sito del Giornale nelle ultime 48 ore ha dovuto affrontare
la migrazione da un provider a un altro e dunque anche l'accesso al blog è
stato difficile, soprattutto in certe zone d'Italia. Mi scuso per questo
inconveniente, ora risolto. Negli ultimi due giorni sul Giornale ho
scritto ancora di Obama, che ha litigato con il Vaticano sull'aborto e per la
prima volta ha avuto qualche screzio con la stampa americana, finora
notoriamente compiacente. I giornalisti Usa tra
l'altro si sono accorti che un lobbista dell'industria delle armi è stato
nominato numero due del Pentagono, vicenda di cui abbiamo già parlato nei
giorni scorsi su questo blog. Era ora. Ma la notizia più significativa riguarda
la Cina, sebbene non abbia avuto molto rilievo sui
giornali italiani. E' accaduto questo: il segretario al Tesoro Timothy Geithner
che giovedì, durante le audizioni alla Commissione finanze del Senato, aveva
accusato Pechino di «manipolare le quotazioni dello yuan per ottenre
scorrettamente vantaggi commerciali», aprendo di fatto l'iter che, in base a
una legge del 1988, permetterebbe al governo americano di imporre sanzioni
ovvero barriere tariffarie. La Cina ha risposto
smentendo le accuse, mentre il ministro degli Esteri di Pechino ha chiamato
Hillary Clinton ammonendola a non compiere passi falsi. Perchè questo screzio?
I fattori di attrito sono diversi, ma a mio giudizio ne prevale uno: quello del
debito americano. La Cina è da qualche anno il primo
sottoscrittore al mondo di Buono del tesoro Usa, ma
una decina di giorni fa ha annunciato che intende ridurre il proprio impegno e
usare una parte delle risorse per rilanciare l'economia interna. L'America,
però, non può permetterlo; anzi, visto che il suo deficit pubblico quest'anno
triplicherà, vorrebbe che Pechino aumentasse gli acquisti di Treasury.
L'affondo di Geithner ha l'aria di un monito ai cinesi: se Pechino non si
ricrede, Washington si vendicherà alzando le barriere doganali; dunque rendendo
impervio l'accesso a un mercato che rappresenta il principale sbocco ai beni
«made in China». Si scatenerebbe una guerra commerciale e finanziaria da cui
usciremmo tutti perdenti. Lo spettro è quello di un dollaro in caduta libera e
di una Cina in profonda depressione, che aggraverebbe
la crisi dell'economia mondiale. Domanda: lo scenario è credibile?
Ragionavolmente uno scontro non conviene a nessuno e pertanto dovrebbe
prevalere la ragionevolezza. Fino a quando la Cina,
che secondo alcuni economisti sarebbe già in depressione, è disposta a usare le
proprie risorse per finanziare il deficit americano? E Obama è in grado di
gestire con saggezza rapporti delicati e cruciali come questi? Scritto in
economia, era obama, globalizzazione, notizie nascoste, cina, gli usa e il
mondo Commenti ( 23 ) » (7 voti, il voto medio è: 3.57 su un massimo di 5)
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la mettiamo con l'Iran? "L'America non tortura", ha dichiarato ieri
Obama rinfrancando chi ha sempre visto nell'America un baluardo di civiltà,
saldamente ancorato ai valori della democrazia e della Costituzione.
Quell'America è tornata. Bravo Obama, ma McCain, se avesse vinto, avrebbe fatto
altrettanto. Entrambi sono convinti che la guerra al terrorismo non possa
essere condotta violando i principi che l'America ha sempre proclamato di
rispettare, proponendosi pertanto come un modello virtuoso per gli altri Paesi.
La stragrande maggioranza dei detenuti di Guantanamo è risultata innocente, ma
per molti mesi ha vissuto in condizioni orribili, da lager sovietico, senza
assistenza legale, per molto tempo senza nemmeno il monitoraggio della Croce
Rossa. Segregati, senza colpa. E nelle prigioni segrete della Cia è successo di
tutto: sevizie orribili, alcuni prigionieri sono spariti nel nulla. Ma quanti
di loro erano terroristi? Pochi. Obama (e McCain) sono convinti che la guerra
ad Al Qaida debba essere risoluta ed energica, ma senza ricorrere a metodi
tipici di una dittatura e non di una grande democrazia. La chiusura di
Guantanamo e delle prigioni Cia ha anche una valenza politica, perché rafforza
e precisa il messaggio di apertura al mondo arabo e all'Iran, con cui la Casa
Bianca è pronta ad avviare "negoziati diretti senza precondizioni",
come spiego in questo articolo, mentre si rafforzano i segnali di un
raffreddamento dei rapporti con Israele (anticipati su questo blog il 14
gennaio). Ieri ho parlato con alcuni esperti di Washington e, off the record,
una fonte qualificata del governo americano mi ha fatto notare che Obama nel
suo discorso di insediamento non ha citato Israele. E chi è il primo leader
straniero con cui Barack ha parlato? Il palestinese Abu Mazen. Basta torture ed
è un bene; ma anche meno Israele e più Iran, rapporti ancora più stretti con le
potenze del Golfo persico e dunque mano tesa all'Islam fondamentalista sia
sunnita che sciita. Scelta strategica lungimirante o clamoroso errore che
contraddice i valori degli Usa, premiando regimi come
l'Iran e l'Arabia Saudita che calpestano i diritti umani? Scritto in israele,
era obama, democrazia, medio oriente, gli usa e il mondo, islam Commenti ( 102
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un amico 21Jan
( da "Giornale.it, Il" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
n.
5 del 2009-02-02 pagina 0 Gb, ancora scioperi contro gli italiani di Redazione
Proteste degli inglesi. Il monito di Sacconi: "A rischio il patto
Ue". Frattini: "Scioperi indifendibili". Ma Cota (Lega) si
smarca: "Hanno ragione gli operai inglesi" Roma - Neanche le pesanti
nevicate che hanno imbiancato gran parte del Regno Unito sono riuscite a
placare l?ondata di scioperi e le proteste contro l?impiego dei lavoratori
italiani e portoghesi nell?impianto Lindsey Oil, dove la ditta siracusana Irem
ha vinto in dicembre l?appalto per la costruzione di una nuova unità. Il primo
ministro Gordon Brown ha lanciato un appello sottolineando che la Total,
l?azienda francese che gestisce la raffineria del North Lincolnshire, ha invitato
gli operai inglesi a presentare domanda se dovessero crearsi delle opportunità
lavorative. "La Total ha dichiarato che i lavoratori britannici saranno
assolutamente liberi di presentare domanda di lavoro, che verrà accettata sulla
base dei loro meriti. Dal momento in cui questo diventerà chiaro, i cittadini
capiranno che non c?è alcuna discriminazione contro i lavoratori britannici,
anche nei casi di appalti affidati a società stranieri mediante contratti
britannici" ha detto Gordon Brown durante una conferenza stampa con il
premier cinese, Wen Jiabao, a Londra per colloqui in vista del G20. Ma la
protesta in Inghilterra va avanti e si allarga. Sacconi: a rischio il patto Ue
La libera circolazione dei lavoratori "è un principio fondante dell?Unione
europea, che non può essere in alcun modo messo in discussione pena la crisi
del patto comunitario". è quanto ha affermato il ministro del Welfare,
Maurizio Sacconi, riferendosi alle proteste dei lavoratori inglesi. "Nel
caso specifico - ha aggiunto Sacconi a margine della presentazione
dell?indagine del Cnel sul lavoro che cambia - l?azienda si avvale di propri
lavoratori specializzati, non altrimenti sostituibili nel breve periodo imposto
dall?immediata esecuzione dei lavori". Frattini: scioperi indifendibili
Gli scioperi spontanei scoppiati in Gran Bretagna contro il contratto a termine
dato ad un centinaio di lavoratori italiani per costruire un impianto in una
raffineria nell?Inghilterra settentrionale "sono indifendibili", come
ha detto il premier inglese Gordon Brawn. A ribadirlo è il ministro degli
Esteri italiano Franco Frattini. "Mi riferisco - ha detto Frattini - alle
parole del primo ministro che è un personaggio saggio e competente: ha detto
che quegli scioperi sono indifendibili. Questa è l?Europa, l?Europa della
libera circolazione di tutti i lavoratori, di quelli italiani in Gran Bretagna
e di quelli inglesi in Italia". Cota: hanno ragione gli operai inglesi Gli
operai inglesi della Lindsay in sciopero contro una società italiana "hanno
ragione". A schierarsi con loro è il capogruppo della Lega alla Camera,
Roberto Cota, che in un?intervista a "La Stampa" spiega: "Quello
che sta succedendo a Grimsby è l?esempio più classico della
globalizzazione che ci presenta il conto. Ce lo ha già presentato con la crisi
economica e finanziaria, con il problema della sicurezza e adesso tocca al
mercato del lavoro. Sono gli effetti di una globalizzazione senza regole o con
le regole saltate, una globalizzazione selvaggia. Adesso tocca a
Grimsby. Prima o poi si parlerà del Veneto". Matteoli: nell'Ue libera
circolazione "L?Inghilterra deve tener conto che fa parte dell?Europa, in
cui c?è la libera circolazione dei lavoratori". Risponde così il ministro
delle Infrastrutture Altero Matteoli ai cronisti che gli chiedono un commento
sugli scioperi contro gli operai italiani. La ditta siciliana: 100 inglesi con
noi a Rovigo "Non capisco le polemiche in Gran Bretagna: ci sono contratti
europei e leggi del libero mercato che vanno rispettati. Noi non ci fermiamo,
anche perchè dovremmo pagare una grossissima penale alla committente
Total". Lo afferma il vice presidente dell?Irem, Nello Messina, la società
di Siracusa che deve realizzare un impianto di desolforazione nella raffineria
Lindsey Oil di Grimsbyin, in Gran Bretagna, i cui lavori sono bloccati da una
protesta dei lavoratori locali. "Forse in Gran Bretagna - aggiunge Messina
- non sanno che noi stiamo realizzando un rigassificatore in provincia di
Rovigo su una piattaforma off shore alla quale, con noi, lavorano un centinaio
di operai inglesi. Loro possono, e ci mancherebbe altro, lavorare in Italia
come noi, nel rispetto delle leggi, possiamo lavorare in Gran Bretagna". ©
SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano
( da "AprileOnline.info" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Davos,
il vento è cambiato Leo Sansone, 02 febbraio 2009, 11:59 Politica Dal Forum internazionale
dell'economia si indica il mercato sociale della Ue come modello da imitare per
contrastare la recessione internazionale. Il segno che il turbocapitalismo
morde il freno e si riscopre una tradizione politica che si deve al partito
socialista e alle lotte operaie. La stessa formazione partitica che in Italia è
sparita, rendendo possibile a Berlusconi l'assalto al welfare Apprezzamenti,
lodi, encomi. L'Europa, vista fino ad un anno fa come un continente in
inarrestabile declino sotto i colpi della concorrenza statunitense ed asiatica,
ora è indicata come un punto di riferimento da imitare per affrontare e
superare la tempesta della recessione economica internazionale. Al Forum
economico mondiale di Davos, i campioni del capitalismo senza vincoli hanno
indicato l'Unione Europea come il modello da imitare, con la centralità
assegnata all'economia sociale di mercato. Lo sprezzante appellativo di
"vecchia Europa" è andato in soffitta. Per la Ue "il primo punto
di forza è l'economia sociale di mercato", ha scritto qualche giorno fa
Mario Monti sulla prima pagina del "Corriere della Sera", stilando il
bilancio di Davos con un fondo dal titolo "L'egoismo delle nazioni".
Per l'ex commissario europeo alla Concorrenza gli Stati Uniti e la Cina, i due colossi dell'economia mondiale, ora sono
costretti dalla crisi ad adottare le due carte vincenti della Ue: i meccanismi
di protezioni sociali e l'integrazione economica adottata dai 27 paesi del
Vecchio continente. La prima è una rete di sicurezza interna per proteggere i
disoccupati e i lavoratori minacciati dalla crisi, la seconda è un'azione di
coordinamento internazionale delle politiche economiche per schivare i rischi
di dazi e di protezionismi. Il professor Monti, in passato un convinto
liberista, teorizzatore di una concorrenza senza freni per competere con gli Usa e le "tigri" asiatiche, anche a costo di
smontare lo Stato sociale, sembra aver rettificato la sua impostazione. Ma
anche a Washington e a Pechino non spira più il liberismo di un tempo. Barack Obama
ha presentato un programma di 819 miliardi di dollari, dopo i 700 miliardi
stanziati da George Bush per salvare le banche, per sostenere l'economia in
recessione e riconvertirla in chiave ambientalista. Il
nuovo presidente Usa prevede interventi anche per aiutare chi non riesce più a pagare
le rate del mutuo di casa. Wen Jabao, primo ministro di Pechino, pensa di
adottare molti meccanismi europei di protezione sociale nella sua Cina centauro: una dittatura comunista con una economia ipercapitalista.
La crisi, passata dalla finanza americana all'economia reale internazionale,
comincia a far paura. "La crisi è un disastro continuo per le famiglie dei
lavoratori americani", ha tuonato il primo presidente afro-americano degli
Usa. Barcolla tutta l'industria americana,
dall'automobile all'elettronica, e Obama non vuole assistere inerte al
fallimento delle imprese e all'arrivo di milioni di disoccupati. Anche l'Europa
soffre i morsi della crisi, "ma ha il vantaggio - ha scritto Monti - di
avere gli strumenti che l'America e l'Asia sentono ora il bisogno
d'introdurre". Gran parte dell'Unione Europea ha una forte rete di
protezione sociale. Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna, Svezia e Italia
sono paesi dotati di una antica struttura di assistenza sociale: la sanità
pubblica gratuita per tutti; la previdenza sociale obbligatoria, pubblica e
universale; l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro:
indennità di disoccupazione, di cassa integrazione accompagnate a corsi di formazione
per chi perde il lavoro; la negoziazione nazionale dei contratti di lavoro di
primo livello e quella aziendale di secondo livello; l'orario di lavoro di 40
ore settimanali. Sono conquiste, Monti questo non lo dice, che non sono
arrivate gratis. Sono diritti realizzati in 150 anni di lotte, condotte dai
partiti socialisti e dai movimenti operai europei. Karl Kautsky, Eduard
Berstein, Filippo Turati (visti come "rinnegati" dai comunisti),
spesero una vita e affrontarono mille pericoli nelle battaglie contro i governi
conservatori e contro gli industriali per l'emancipazione politica ed economica
della masse popolari. Il generale Fiorenzo Bava Beccaris nel 1898 fece sparare
con i cannoni sulla folla, che protestava contro il caro vita a Milano. Per
decenni i governi e le imprese europei si opposero all'introduzione di una rete
di garanzie sociali, temendo di perdere profitti e competitività. Ma, alla
fine, accettarono le novità, capendo che le migliori condizioni di vita dei
lavoratori avrebbero ridotto la conflittualità sociale e accresciuto la
produzione da un punto di vista sia quantitativo e sia qualitativo. Grazie a
queste lotte nacque, tra gli anni Trenta e Sessanta del 1900, lo Stato sociale,
un vanto di civiltà per l'Europa. Negli anni Ottanta, l'era di Margareth
Tatcher e di Ronald Reagan, s'impose invece il modello del liberismo e della
globalizzazione, una folle corsa verso i profitti senza riguardi per il
rispetto dei lavoratori e dell'ambiente, che si è infranta a settembre sugli
scogli dei primi fallimenti delle banche americane, inventrici dei mutui e dei
"derivati" speculativi. Ora il vento sta cambiando a livello mondiale
perché la recessione accresce gli già insopportabili squilibri sociali e
geopolitici e rischia di far naufragare interi paesi. Gli Usa
e la Cina se ne sono accorti e, in modo diverso,
stanno cercando di imitare il modello sociale europeo, di matrice socialista e
cristiano-democratica. Solo l'Italia, sempre in ritardo su tutto, sembra non
accorgersene. Da noi il governo Berlusconi continua a ridurre i livelli di
protezione sociale. L'esecutivo il 22 gennaio, senza la firma della Cgil, ha
stipulato un accordo separato con Cisl, Uil, Ugl e Confindustria che depotenzia
il contratto nazionale e i salari (gli aumenti non saranno più legati
all'inflazione programmata, ma al costo delle vita europeo armonizzato e
deputato dei rincari dell'energia). Non solo. Giulio Tremonti ha ipotizzato,
per poi smentirla, l'ennesima riforma delle pensioni. Strani discorsi. Il
ministro dell'Economia in campagna elettorale, come Silvio Berlusconi, indicava
la necessità di aumentare il potere d'acquisto delle retribuzioni e delle
pensioni, ora suona una musica ben diversa. In Italia, al contrario di altri
paesi europei, si discute poco su come affrontare la crisi e su quali strumenti
allestire contro il rischio della disoccupazione per milioni di lavoratori e
precari. I 4 milioni e mezzo di immigrati sono considerai come un problema di
ordine pubblico o etnico (il razzismo è sempre in agguato) e non come lavoratori
indispensabili all'economia, da tutelare come i compagni italiani. Si discute
molto, invece, sul varo di uno sbarramento elettorale del 4% dei voti
(fortemente voluto da Walter Veltroni) alla vigilia delle elezioni europee di
giugno, oppure si parla della riforma della giustizia (perseguita con tenacia
da Silvio Berlusconi). L'Italia è il paese delle anomalie. Qui pesa il vuoto
dell'assenza di un grande partito socialista, che permette pericolose
incursioni contro la struttura dello Stato sociale. Nelle altre nazioni europee
gli attacchi al Welfare sono più difficili, perché è sempre presente un grande
partito socialista o socialdemocratico. "Carlo Marx è stato mandato in
soffitta", disse con una battuta ironica Giovanni Giolitti nel 1911 alla
Camera, presentando il suo quarto governo. Ma non era così, anzi: Marx, nella
versione socialdemocratica, cominciava a dare frutti. Il presidente del
Consiglio annunciò grandi novità: il suffragio universale, il monopolio
pubblico delle assicurazioni sulla vita, le indennità ai parlamentari. Erano le
battaglie storiche del Psi, nato nel 1892. Difatti i socialisti di Turati
votarono il sostegno a quelle grandi riforme. Fu un grande risultato
soprattutto il suffragio universale, che ruppe i meccanismi di potere dei
potentati liberali ed aprì la strada alla democrazia dei ceti popolari.
( da "AprileOnline.info" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Dopo
Bush, Obama: discontinuità e vincoli nella politica estera Silvana Pisa, 02
febbraio 2009, 15:48 Approfondimento Perché la vittoria di Obama passi dal
piano simbolico a quello della realtà, occorre che la Casa Bianca inverta le
priorità: non è il nucleare iraniano a premere (anche i servizi segreti Usa lo hanno riconosciuto e il tema della denuclearizzazione
riguarderebbe l'intera area, da Israele a Pakistan) ma il medio oriente come
"madre di tutte le questioni": l'ingiustizia e l'assimetria tra un
paese che c'è e un popolo senza paese E' difficile prevedere se Obama riuscirà
a risolvere il grande disordine mondiale ereditato da Bush. A occhio c'è da
dubitarne: non tanto per la mancanza di volontà soggettiva del neo presidente
quanto per la complessità della situazione. Ad una crisi economica globale di
proporzioni inedite, per cui le grandi lobby finanziarie ed economiche si
aggrappano al collo altrui pur di non naufragare, si aggiunge un contesto
internazionale fortemente deteriorato dall'amministrazione precedente. Bush,
col suo comitato d'affari ossessionato dal possesso delle risorse energetiche
(Cheney, l'Hallyburton,ecc) e supportato dagli ideologi neocon che hanno
coperto le politiche di guerra Usa con l'esportazione
della democrazia, ha lasciato terra bruciata. Ormai è evidente che la
"guerra al terrorismo" non solo ha aggravato l'instabilità mondiale -
che, con effetto domino si è ampliata dal Medio Oriente al Pakistan - ma è
stata utilizzata come pretesto per scopi geopolitici e strategici precisi, di
marca prettamente unilaterale. Si è trattato del controllo delle fonti e delle
reti energetiche che a loro volta determinano gerarchie economiche e influenze
politiche. Per questo Bush si è inventato gli "stati canaglia"
(Afghanistan, Iraq, Siria e Iran) da colpire in sucessione, con lo scopo di
sottrarre gasdotti e petrolio al controllo e all'utilizzo di altre potenze
(Russia, Cina e India). Per questi stessi scopi espansionistici gli Usa hanno aumentato la spesa militare (warfare contro welfare)
costringendo gli alleati della Nato a fare altrettanto. La prova della
scelleratezza delle delle scelte di Bush è data dalla maggioranza schiacciante
della vittoria elettorale di Obama. Il punto è capire se,al di là delle
promesse fatte in campagna elettorale, il primo presidente afroamericano saprà
costruirsi margini per attuare la discontinuità promessa. Segnali in questo
senso Obama li ha lanciati fin dal discorso del suo insediamento. Ha esplicitato
gli errori dell'amministrazione precedente: la limitazione dei diritti civili
del Patriot Act, l'uso della tortura non solo nel carcere di Guantanamo, le
renditions nei paesi stranieri; ha proposto il metodo del dialogo nei confronti
del mondo islamico "noi americani non siamo vostri nemici!". Ma, come
ha recentemente scritto il generale Fabio Mini: "un terzo delle buone
intenzioni di un presidente naufragano durante il primo briefing coi servizi
segreti, un terzo glielo affonda il Pentagono e un terzo glielo stritolano i
gestori del sistema economico - industriale.." Per le guerre in corso
(Afghanistan e Iraq) la possibilità di discontinuità è molto limitata
nonostante che la promessa del ritiro dei militari dall'Iraq entro il 2010 sia
stato un punto chiave della sua campagna elettorale. Su questo impegno deve
averci fatto conto il presidente iracheno Al Maliki che ha insistito per
ottenere un calendario dettagliato del ritiro totale dei soldati americani e ha
firmato con gli Usa, il 18 novembre scorso, l'accordo
bilaterale che ne regola l'exit strategy. In questo accordo tra l'altro, oltre
ai termini perentori del ritiro,è previsto il divieto ai militari statunitensi
di operare nel paese senza la piena approvazione e il coordinamento con gli
iracheni; il divieto di imprigionare cittadini iracheni senza il consenso delle
autorità locali; il divieto di utilizzo del territorio e dello spazio aereo
iracheno per lanciare attacchi ad altri paesi. Fin da subito l'amministrazione
Bush, in attesa del passaggio effettivo di poteri, adottava
"interpretazioni" dell'Accordo per aggirarlo: le unità militari
operative vengono rinominate" addestratori" e come tali liberate dai
vincoli ( l'Italia in Afghanistan ha utilizzato lo stesso metodo per modificare
i limiti previsti dalle nostre regole d'ingaggio); per giustificare raid contro
obbiettivi situati in altri paesi, è sufficiente invocare una generica
"legittima difesa"che, come si sa, in zone di guerra non è difficile
da trovare. Questa marcia indietro è effetto degli equilibri immutati al
Pentagono: Obama ha ricevuto pressioni per confermare il repubblicano Robert
Gates come ministro della Difesa e il controllo del ritiro dall'Iraq
difficilmente passerà dal Pentagono al Dipartimento di Stato. Come hanno già
rivelato editorialisti Usa a fine novembre, in Iraq
resteranno comunque 70.000 militari statunitensi "per un lungo periodo,
anche al di là del 2011..!" Continuità si prospetta anche in Afghanistan.
Obama si è impegnato a proseguirne l'occupazione militare: anzi ha promesso un
aumento delle truppe, ridislocate dall'Iraq, in vista di un altro
"surge". Si dimentica che la relativa stabilizzazione irachena è
intervenuta non tanto per l'intervento militare del generale Petreus, quanto
per l'avere prodotto - finalmente - alcune soluzioni politiche: come la
trattativa coi sunniti che, tra le altre cose, ha reintegrato piu' di 100.000
appartenenti al partito Baath, già espulsi con miopia all'indomani della
conquista militare di Baghdad. La popolazione afgana è sempre più ostile ai
militari stranieri per via dei frequenti bombardamenti sui civili e per il
peggioramento delle condizioni di vita: l'incremento di truppe non può essere
considerato come fattore di stabilizzazione, tutt'altro e persino il presidente
Karzai, intervenendo il 20 gennaio all'apertura del parlamento, ha chiesto alle
forze straniere presenti nel paese di "rivedere la strategia militare e di
sicurezza". I militari stranieri non solo non hanno conquistato cuori e
menti degli afgani ma se li stanno inimicando sempre più: uno zelante generale Usa ha addirittura recentemente proposto di "sparare a
vista" sui produttori di papaveri da oppio! Se poi l'aumento delle Truppe Usa e Nato tende a costruire basi avanzate per intervenire
militarmente sui taliban in Pakistan, è chiaro che questo significa ampliare
l'instabilità a tutta la regione. Quello che manca ancora è una soluzione
politica sostenuta da adeguate risorse economiche che accompagnino una
strategia d'uscita. Novità di rilievo Obama potrebbe produrle rispetto a Russia
e Iran. Il disgelo con la Russia si è manifestato nelle settimane scorse con
dichiarazioni di distensione del duo Medvedev-Putin a cui è seguito l'annuncio
di ritiro dellla minaccia di utilizzo dei missili Iskander dalla base russa di
Kaliningrad: minaccia fatta per ritorsione alle politiche aggressive di Bush,
condotte per interposta Nato ( pressioni su Ucraina e Georgia per entrare nel
Patto Atlantico ampliando l'isolamento della Russia) e sostanziate militarmente
con l'installazione di tecnologie antimissilistiche nella repubblica Ceca e in
Polonia: proprio ai confini con la Russia in pregiudizio degli equilibri
strategici esistenti. Il fatto che Obama, fin dalla campagna elettorale, avesse
dichiarato di volere "verificare l'utilità" dello scudo antimissile,
ha aperto una porta nei confronti del dialogo con Mosca. Gli Stati Uniti hanno
bisogno di vie di transito in territorio russo, per gli approvvigionamenti
delle truppe che operano in Afghanistan: questo punto è stato anche merce di
scambio, durante la recente guerra in Georgia, rispetto alla presenza di navi Usa della sesta flotta lungo le coste del Caspio. Altro
terreno, minato da Bush e quindi da disinnescare, riguarda il rapporto con
l'Europa divisa dai neocon tra nuova e vecchia Europa secondo un intransigente
"o con noi o contro di noi". Non c'è dubbio che l'Europa dipenda in
gran parte dalle risorse energetiche russe ma questo non significa perdita di
autonomia politica, problema che, caso mai, si è evidenziato nei confronti degli
Usa (basi militari, coproduzioni di armamenti,
collaborazioni militari..).. La vera chiave per la stabilizzazione dell'intera
area medio orientale e asiatica è nel rapporto che Obama saprà costruire con
l'Iran, per via della molteplicità delle questioni che questo paese assume:
dall'influenza di Teheran sul mondo scita (Iraq e Hezbollah in Libano) a quello
radicale sunnita (Hamas nei territori palestinesi e Siria); dalla
collaborazione nella stabilizzazione di Iraq e Afghanistan, ai rapporti
economici che riguardano l'esportazioni del proprio greggio verso Cina e India; dal sostegno alla produzione iraniana di
nucleare civile portata avanti da Russia e Cina nel
consiglio di sicurezza dell'ONU, stoppando le proposte di sanzioni, al
"cartello del gas" con Russia e Qatar. Ancora: la drammatica
attualità ci ricorda che oggi una soluzione del problema israelo-palestinese
non si dà senza il coinvolgimento di Theran, piu' ancora che della Lega araba.
Per gli Stati Uniti, è necessario riconoscere il ruolo dell'Iran come potenza
regionale, a costo di riequilibrare l'interlocuzione privilegiata col fronte
arabo sunnita (Arabia Saudita, Egitto, Giordania). Questo significa richiamare
Israele ad un principio di realtà. A poco vale aver dotato Tel Aviv
dell'esercito più potente della regione quando questo continua a produrre morte
ed odio. La "terra promessa" non era disabitata e non si può chiedere
ad un popolo di morire in silenzio. Perché la vittoria di Obama passi dal piano
simbolico a quello della realtà, occorre che la Casa Bianca inverta le
priorità: non è il nucleare iraniano a premere (anche i servizi segreti Usa lo hanno riconosciuto e il tema della denuclearizzazione
riguarderebbe l'intera area, da Israele a Pakistan) ma il medio oriente come
"madre di tutte le questioni": l'ingiustizia e l'assimetria tra un
paese che c'è e un popolo senza paese.
( da "AprileOnline.info" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Non
siano lavoro e ambiente a pagare la crisi Firme varie, 02 febbraio 2009, 18:27
Il documento Il testo della piattaforma unitaria di tutta la sinistra, cioè dello
schieramento che ha dato vita alla manifestazione dell'11 ottobre, sui temi
della crisi economica. Un convegno a Roma il 15 febbraio al Centro Congressi
Cavour NON SIANO LAVORO E AMBIENTE A PAGARE LA CRISI APRIRE LA STRADA AD
UN'ALTERNATIVA E' POSSIBILE E NECESSARIO L'esplosione della crisi economica a
livello mondiale conferma con drammatica evidenza i guasti ed i danni del
neoliberismo, impostosi come "pensiero unico" dal tempo della
Thatcher e di Reagan. La "globalizzazione" ha
favorito le speculazioni, accentuato gli squilibri e le ingiustizie nel mondo
ed all'interno dei singoli paesi. Oggi si sommano rallentamento dell'economia e
crisi finanziaria; caduta degli investimenti e crescita della disoccupazione.
Stanno apparendo ormai chiari i limiti culturali di una concezione
"sviluppista" che ha creato enormi disuguaglianze; ha costretto
intere popolazioni a migrare; ha alterato l'equilibrio dell'ecosistema
planetario. In Italia ad una limitata capacità innovativa dell'apparato
produttivo, con un capitale più rivolto alla finanza che agli investimenti, si
sono sommate la crescita di disuguaglianze economiche e sociali, l'aumento
della povertà, l'esplodere dei localismi, la crescita della precarietà,
l'indebolimento dei diritti. Tutto ciò ha portato ad una profonda crisi della
politica, a rischi per la stessa tenuta democratica del Paese. Per evitare che
a pagare - come sempre - siano coloro che non hanno alcuna colpa, è necessario
che la sinistra esca dalla afasia e recuperi una capacità di azione unitaria
che si ponga al servizio della costruzione di un grande movimento all'altezza
della crisi. Noi che abbiamo dato vita alla manifestazione dell'11 ottobre con
il convincimento che fosse necessario contribuire alla rimessa in moto di una
opposizione politica e sociale, vediamo con grande soddisfazione e speranza la
forte ripresa delle lotte sociali in tutta Italia: dal referendum di Vicenza
alla mobilitazione per la ripubblicizzazione dell'acqua; dal movimenti in
difesa della scuola pubblica alle lotte dei lavoratori pubblici e privati
promosse dalla CGIL e da altre strutture sindacali, tra cui i sindacati di
base, sino al recente sciopero generale, che ha aperto una vera e propria nuova
fase di mobilitazione sociale. Queste mobilitazioni devono potersi intrecciare
e congiungere in un grande progetto di cambiamento e di trasformazione
dell'economia e della società. Il documento che proponiamo non ha l'ambizione
di offrire un'interpretazione della crisi, né vuole essere una piattaforma
compiuta ma rappresenta un contributo per aprire la discussione. Vi dovranno
essere momenti successivi nei quali, nel quadro di una diffusa iniziativa
territoriale, gli obiettivi che ci proponiamo saranno approfonditi e precisati.
Ora è importante avanzare delle proposte nella convinzione che, dentro la
crisi, bisogna innanzitutto dare una risposta immediata agli uomini e alle
donne che la subiscono con angoscia e preoccupazione. E' per questo che
vorremmo che questo contributo fosse colto per quello che intende essere:
un'occasione di confronto e di verifica della possibilità di costruire su
concrete proposte una convergenza ampia a sinistra in grado di intervenire
sull'emergenza ed aprire la strada ad orizzonti alternativi. Contro la crisi
una nuova politica europea ed un piano per la stabilità monetaria A livello
europeo la crisi finanziaria è sopraggiunta a contraddire l'orientamento della
BCE - e di gran parte dei Governi europei - che fino a poco tempo fa
consideravano l'inflazione il pericolo da contenere con una politica di alti
tassi e soprattutto di compressione dei salari. Ora, invece, si interpreta la
crisi come una fase di recessione dell'economia (ancora misurata esclusivamente
sulla caduta del PIL) da fronteggiare con un aumento del deficit pubblico. Per
questo viene meno la rigidità nel considerare inviolabili i vincoli del patto
di Maastricht, in particolare per quanto riguarda il possibile superamento del
deficit del 3%. E' stato deciso dal Consiglio Europeo un piano di interventi di
200 miliardi di euro, per stimolare la domanda e gli investimenti, maggiori
sussidi di disoccupazione e misure di assistenza sociale. Si tratta di misure
minime dettate dall'urgenza della situazione che vede la crisi peggiorare e
scaricarsi sui Paesi europei. E' del tutto assente una scelta politica che
rafforzi la coesione comunitaria contro la competizione tra gli Stati e che
segni un cambiamento di impostazione delle politiche economiche e sociali. Per
questo è importante il segnale che è venuto dal Parlamento Europeo con la
bocciatura della direttiva che allungava l'orario di lavoro. è ora necessaria
una ripresa di iniziativa per una nuova politica europea, che dia finalmente
valore alla costruzione comunitaria, proponendo soluzioni per le condizioni
materiali di vita e per i diritti delle cittadine e dei cittadini, delle
lavoratrici e dei lavoratori. L'Unione Europea può essere l'area del mondo dove
portare avanti in una prospettiva di pace un processo di riconversione delle
produzioni e dei consumi, di creazione di nuove politiche di welfare
universalistiche in grado di dare valore al lavoro di riproduzione della forza
lavoro, di salvaguardia dell'ambiente. Ciò richiede una dialettica sociale e
politica fondata su principi e pratiche democratiche, nella quale si valorizzi
il conflitto sociale e possano misurarsi i diversi punti di vista generali
corrispondenti ai differenti interessi, superando così la situazione degli
ultimi decenni nei quali il capitale è stato assunto a paradigma fondamentale a
cui tutto (lavoro e natura innanzitutto) doveva essere subordinato. Una delle
condizioni per sostenere questo processo è un piano per la stabilità monetaria.
Esso va portato avanti in ogni sede internazionale per potere giungere alla
convocazione di una conferenza mondiale sulle questioni finanziarie e
monetarie, che abbia l'ambizione, come fu per la conferenza di Bretton Woods
nel '44, di porre le basi per un nuovo ordine economico internazionale. La
crisi mondiale ha messo, infatti, in luce la totale inadeguatezza dei suoi
organi di governo mondiali (come il Wto, il Fmi, La Banca mondiale) e la crisi
dell'egemonia del dollaro e degli Stati Uniti sul piano economico. Il
baricentro del capitalismo si sta spostando a Est. Se non vogliamo che ciò sia
fattore di continue tensioni che possono sfociare in nuovi terribili conflitti
distruttivi, bisogna prevedere una sede in cui, sotto l'egida dell'Onu, i Paesi
si incontrino su un piano di parità per stabilire un nuovo sistema di cambi
stabili, per limitare se non impedire le speculazioni finanziarie, per chiudere
i paradisi fiscali, per decidere forme di tassazione dei movimenti di capitale
e di intermediazione finanziaria, i cui proventi potrebbero alimentare un fondo
per la difesa dell'ambiente e un modello di sviluppo non distruttivo per i
Paesi del sud del mondo. Contro la politica del governo italiano La politica
del Governo Italiano è caratterizzata da interventi socialmente discriminatori;
da sottrazione di risorse al Mezzogiorno (aggravandone così la distanza dal
resto e del Paese e dell'Europa); da un piano di investimenti in grandi opere
che, oltre a essere non sostenibili dal punto di vista ambientale e spesso
inutili, produrranno scarsi risultati occupazionali. Oggi servono, invece,
interventi in grado di combinare qualità ambientale e creazione di nuovi posti
di lavoro. Ciò che manca in Italia è soprattutto una nuova politica
industriale. Il governo persegue una linea di angusta protezione degli
equilibri più arretrati dell'industria nazionale senza aprire una reale
prospettiva di rinnovamento, come ha dimostrato la resistenza al piano di
abbattimento dei gas serra proposto dalla U.E. Questa politica, sollecitata
dalla Confindustria, dimostra l'incapacità delle classi dirigenti del paese ad
affrontare i cronici problemi dell'innovazione che hanno reso debole la
struttura produttiva e hanno provocato la continua perdita di competitività del
nostro paese ben prima che le conseguenze della crisi finanziaria arrivassero
fino a noi. Il piano deciso dal governo italiano di 80 miliardi è in sostanza la
riproposizione di decisioni di spesa già assunte, facenti riferimento ai Fondi
europei. La quantità diretta a sostenere le retribuzioni e gli investimenti è
del tutto risibile e inefficace. D'altro canto il solo aiuto alle banche non
risolve il problema. In Italia in particolare si deve aggredire la crisi dal
lato del lavoro (blocco dei licenziamenti, difesa dei salari e stabilizzazione
dei rapporti di lavoro) e da quello della qualificazione del tessuto
produttivo, puntando su settori tecnologicamente e socialmente innovativi;
dando centralità alla questione della sostenibilità ambientale; affrontando la
crisi di coesione del Paese che ha nel Mezzogiorno il suo punto cruciale per il
sommarsi di problemi economici, sociali, politici, di funzionamento della P.A.
con la questione criminale. Difendere l'occupazione e valorizzare il lavoro Le
imprese stanno affrontando la crisi con un massiccio ricorso ai licenziamenti,
cominciando dai più deboli: i lavoratori immigrati ed i precari. Occorre
evitare che la crisi diventi un'occasione per riconfermare e rafforzare il
modello che si è imposto negli ultimi decenni, fondato sul primato
incontrastato e unilaterale dell'impresa e della subordinazione ad esso dei
diritti e della funzione del lavoro. Non c'è credibilità in nessun piano
anti-crisi, che non sia anche l'occasione di una politica industriale tesa a
trasformare e qualificare il nostro apparato produttivo, se non si assumono
come condizioni: l il blocco dei licenziamenti e delle interruzioni dei
rapporti di lavoro precari, in vista di una loro progressiva stabilizzazione; l
la sospensione della Legge Bossi-Fini che in questo momento diverrebbe solo uno
strumento di espulsione di extracomunitari che hanno perduto il lavoro; l
l'estensione degli ammortizzatori sociali a tutto il mercato del lavoro,
comprendendovi ogni tipo di precariato, nel quadro di una politica sociale
universalistica ispirata all'obiettivo della piena occupazione e tesa a
realizzare misure generali di sostegno al reddito per inoccupati e disoccupati
. Sono tutte richieste poste a base dello sciopero generale proclamato dalla
CGIL il 12 dicembre e rilanciate negli scioperi e nelle manifestazioni
territoriali e nazionali, generali e di categoria (a partire dagli appuntamenti
fissati dalla Fiom e dalla Funzione Pubblica della Cgil), che hanno avuto luogo
o si svolgeranno nelle prossime settimane. Sono gli stessi contenuti che
saranno al centro della manifestazione nazionale che la CGIL ha indetto per il
4 aprile a Roma. In questo quadro anche un maggior volume di credito bancario è
necessario. Vanno attivate linee di accesso al credito sostenute e controllate
dallo Stato e dalle Regioni per favorire le attività economiche create dai
lavoratori che hanno perso il lavoro a seguito della chiusura delle loro
aziende o di chi vuole costruirsi autonomamente un futuro in una fase di scarso
assorbimento di manodopera. Diventa urgente la definizione di un diverso e più
favorevole regime fiscale per le "partite IVA" e le imprese fino a
tre dipendenti. Serve un progetto di riforma dei mercati finanziari e del
sistema bancario che stabilisca divieti precisi su prodotti finanziari
rischiosi e offra garanzie per i risparmiatori. Le misure che debbono
accompagnare il blocco dei licenziamenti e la sospensione dell'interruzione dei
rapporti di lavoro precari (cassa integrazione a rotazione, orari ridotti,
contratti di solidarietà) non debbono contraddire la scelta di una netta e
chiara inversione di tendenza nella distribuzione della ricchezza tra salari,
profitti e rendite, che contrasti l'impoverimento dei redditi da lavoro e la
inammissibile diffusione di retribuzioni minime al di sotto la soglia di
povertà . Contemporaneamente è necessario sviluppare un'iniziativa per un
radicale cambiamento delle legislazione sul mercato del lavoro e sull'orario
che porti all'eliminazione degli interventi legislativi che hanno determinato
l'attuale situazione di flessibilità e precarietà. Una svolta è necessaria
anche nelle relazioni sindacali per quel che riguarda l'irresponsabilità delle
imprese a fronte dei problemi occupazionali, lo svuotamento progressivo della
contrattazione collettiva e del diritto del lavoro, il continuo ripetersi di
accordi separati privi di validazione democratica da parte dei lavoratori e
delle lavoratrici, il tentativo di collocare il sindacato in una dimensione
cogestionale e neo-corporativa. Si pone il problema urgente di regole
democratiche che rendano vincolante il parere dei lavoratori e delle
lavoratrici su piattaforme e accordi sindacali. Programmazione democratica e
politiche fiscali L'attuale offensiva del Presidente del Consiglio
sull'ottimismo e sulla tenuta dei consumi privati, oltre a scontrarsi con una
crescita delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito e l'impoverimento
di fasce crescenti della popolazione anche lavorativa, non fa i conti con
l'osservazione - ormai consolidata nella riflessione economica - che un Paese
non si arricchisce per il semplice fatto che le persone sono indotte a spendere
tutto il loro reddito in consumi correnti (che ha portato all'intreccio di
acquisto di merci e di loro spreco tipico del consumismo), ma si arricchisce
quando si è in presenza di una politica degli investimenti tesa a innovare le
strutture produttive e il sistema dei servizi, a cominciare da quelli pubblici.
Interventi economici di questo tipo richiedono il superamento delle politiche
neo-liberiste di de-regolazione e la ripresa dell'intervento pubblico in
economia in un contesto di programmazione democratica. La graduazione degli
interventi nel tempo e per priorità non deve rispondere a logiche di emergenza,
ma ai problemi concreti dei territori e delle condizioni materiali di vita
delle persone. Il primo e fondamentale, che tocca da vicino i lavoratori
dipendenti come i piccoli risparmiatori, è la conferma dell'insicurezza e del
rischio come elementi costituenti l'economia di mercato che solo l'intervento
pubblico può affrontare con efficacia. L'azione per dare ruolo strategico
all'intervento pubblico in economia e per la salvaguardia dei beni e dei
servizi pubblici deve basarsi sopra l'ampliamento dell'iniziativa democratica
dei cittadini, la riforma della politica ed il rafforzamento delle reti di
sicurezza sociale. Assumono un'importanza sociale ed economica una serie di
misure di giustizia fiscale come la tassazione delle rendite finanziarie, una
maggiore progressività per i redditi più alti e la restituzione del drenaggio
fiscale per i redditi da lavoro e da pensione, la lotta all'elusione ed
all'evasione fiscale che è di nuovo in aumento. Scuola pubblica e Stato sociale
Condizione per il cambiamento del sistema di produzione e di consumo è il
riconoscimento della qualità del lavoro e l'utilizzo a pieno delle capacità e
delle competenze formate dalla scuola, dall'università e dai centri di ricerca.
L'altra faccia della perdita di efficienza del Paese è proprio l'impossibilità
di entrare nel mercato del lavoro di tanti giovani, tra cui molte ragazze e
moltissime donne, le cui competenze vengono negate e sottoutilizzare o
malamente riconosciute nel circuito del precariato. La crisi della scuola e
dell'università - che nasce dall'appannamento nell'opinione pubblica nazionale
della loro funzione di formazione dei cittadini e delle cittadine dotati di una
cultura generale e di un pensiero critico che sia a fondamento della libertà
delle scelte di ognuno e di ognuna - pregiudica la capacità di rispondere alle
domande di mobilità sociale e riconoscimento professionale che l'istruzione di
massa attiva. La questione sollevata dal movimento degli studenti e dei
ricercatori non si risolve solo con provvedimenti di sostegno economico e può
precipitare verso logiche meritocratiche (lesive del riconoscimento vero del
merito), se non si accompagna a proposte di riconversione economica, sociale,
ambientale che richiedono buona occupazione e valorizzazione dei saperi. Alla
base di una nuova idea di società sta la difesa e la qualificazione dello Stato
sociale. Il Governo, con il suo "Libro verde", ha proposto un
manifesto ideologico che disegna un arretramento delle tutele collettive per il
lavoro; la privatizzazione dei servizi pubblici, la negazione dei diritti
universali di cittadinanza e della soggettività delle donne. L'idea di fondo è
che l'individuo (maschio e occidentale), con le sue forze e con il sostegno
della famiglia o della comunità di appartenenza, deve farsi strada nel mondo,
mentre al centro dell'economia sta l'impresa che scarica sulla società problemi
determinati dalle sue scelte. Su questa base si sta preparando una nuova
aggressione al sistema sanitario ed a quello previdenziale, di cui la proposta
di innalzare l'età pensionabile delle donne è il primo avviso. Per la Sinistra
il tema dei diritti, dell'inclusione sociale, del miglioramento delle reti
dello Stato sociale deve avere come esclusivo riferimento l'art. 3 della
Costituzione: è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei
cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Alcune proposte
per il cambiamento Sulla base di questi orientamenti noi proponiamo: Un piano
di riconversione per la sostenibilità ecologica dell'apparato produttivo - a
cui finalizzare consistenti aiuti di Stato - ed un piano alternativo per
l'energia basato sul rifiuto della scelta disastrosa del nucleare. è matura,
tecnologicamente ed economicamente, una scelta a favore del risparmio
energetico, dell'efficienza e delle energie rinnovabili. In questo modo è
possibile e realistico puntare all'obiettivo di procurare al Paese gran parte
dell'energia che gli è veramente necessaria. Da politiche economiche in grado
di risolvere i problemi ambientali e quelli relativi al futuro industriale del
paese può venire un contributo decisivo alla soluzione dei drammatici problemi
sociali che la crisi sta producendo. La lotta per il lavoro deve collegarsi ad
un idea di politica industriale che metta al centro scelte di sistema, come nel
caso della mobilità, a cui ricondurre i vari interventi sia di mobilità
pubblica che individuale secondo piano intermodali, fuori da una idea di
gerarchia e concorrenza tra i vari prodotti, all'interno della quale costruire
anche la stessa prospettiva della nostra industria automobilistica. Un
programma di manutenzione delle strutture pubbliche (dagli edifici scolastici
al recupero edilizio, dalle reti idriche alla rete stradale e ferroviaria
"minore") e di messa in sicurezza del territorio (valorizzando le
produzioni agricole locali oltre che la difesa delle risorse naturali, fermando
l'ulteriore consumo di suolo). Questa è la grande opera pubblica di cui ha
bisogno il Paese, può attivare rapidamente un flusso di spesa consistente
rivolta ad un esteso sistema di piccole imprese e richiede un consistente
utilizzo di lavoro anche qualificato. Un programma per la individuazione e
valorizzazione sociale dei beni comuni in un ambito di gestione e fruizione
collettiva (servizi acquedottistici, servizi alla mobilità, residenza popolare,
beni demaniali, patrimonio artistico e paesaggistico, formazione permanente,
ecc.) da sottrarre alle logiche del mercato (che si sono dimostrate
inefficienti e controproducenti esposte al rischio di speculazione finanziaria)
a favore di un vero federalismo municipaleUn piano di riqualificazione del
lavoro pubblico, per migliorare i servizi, dando più spazio a figure
professionali nuove. Il problema della P.A. è la presenza ancora eccessiva di
figure professionali burocratiche e/o con compiti "riparativi" o
"repressivi". Il sistema sanitario, ancora centrato sull'ospedale, ne
è la prova come lo sono gli interventi nelle periferie urbane, che enfatizzano
solo la questione della "sicurezza". Mancano (o sono mal utilizzate)
le figure professionali "preventive" (l'assistente sociale, il
maestro di strada, il geologo, l'urbanista, il "team" di professionisti
della salute che fa prevenzione sul territorio o interviene a domicilio - si
pensi alla condizione di tanti anziani ancora "istituzionalizzati" o
lasciati alle famiglie e al mercato). La scelta di diminuire il numero delle e
degli insegnanti, sacrificandoli sull'altare dei tagli di spesa (mentre
servirebbe un piano di sviluppo dei servizi per l'infanzia e del tempo pieno e
di una sua generalizzazione a tutto il Paese), è prova sufficiente dello stato
di irresponsabilità del Governo a partire dalla sua campagna sui
"fannulloni". Questa campagna può essere arginata efficacemente se la
difesa del salario e del posto di lavoro dei dipendenti pubblici si accompagna
ad una riorganizzazione dei servizi in direzione delle esigenze dei lavoratori
e dei cittadini utenti. Un buon funzionamento della P.A. è condizione
essenziale per il buon governo e lo sviluppo del Mezzogiorno. Un progetto per
il rilancio di una economia autenticamente mutualistica, cooperativa, indivisa,
partecipata, noprofit. La pluralità delle forme economiche produttive e degli
stili di consumo rappresentano una indispensabile forma di vitalità del sistema
paese che va salvaguardata contro ogni "pensiero unico" del capitale
e della burocrazia.Un piano per un'economia declinata secondo una prospettiva
di genere, a partire dal riconoscimento dei bisogni e dei desideri delle donne
di autonomia economica e di presenza nel lavoro. Si è visto infatti, come
questi obiettivi si possano garantire solo attraverso una differenziazione
delle condizioni di accesso, di svolgimento, di garanzie nella formazione, nel
lavoro, nel credito, e nella costante attività di lotta alle discriminazioni.
Una revisione delle attuali strumentazioni per le politiche di genere al fine
di incrementarne l'efficacia è dunque necessaria. Ad esempio e in prima battuta
vanno ripristinate le condizioni volontarie e reversibili del part-time, anche
in un'ottica di più equa ripartizione dei carichi di lavoro all'interno della
famiglia, che si può perseguire prevedendo più fondi per le politiche di
conciliazione. Va ripristinata la legge che tutela dal licenziamento le
lavoratrici in caso di maternità e vanno ripristinati i fondi per i centri
anti-violenza contro le donne. E' inoltre necessario uno specifico programma
per la crescita dell'occupazione delle donne nelle aree meridionali e per
ridurre la fase di precarietà delle giovani . Un progetto per l'innovazione,
che sostenga la diffusione delle nuove tecnologie nella produzione e nei
servizi secondo modelli organizzativi concordati e partecipati, che valorizzino
la qualità del lavoro, che superino il divario nel territorio, tra Nord e Sud,
tra metropoli e piccoli centri urbani. Il deficit tecnologico del nostro Paese
è ancora collegato all'acquisto di brevetti e sistemi soprattutto dagli USA (in
particolare da Microsoft). La diffusione di sistemi "open source"
nella P.A. come nelle aziende privare non solo è utile alla nostra bilancia dei
pagamenti, ma può mettere al lavoro una rete di università, piccole imprese
innovative, "software houses", consulenti e ricercatori singoli ed
associali diffusamente presente nel nostro Paese. In questa crisi la sinistra
deve porsi l'obiettivo di costituire il principale punto di riferimento del
mondo del lavoro e di tutti coloro che sono esposti più di altri ai suoi
effetti. La convergenza unitaria di tutte le forze di sinistra su proposte
comuni attraverso cui affrontare la situazione attuale deve costituire un primo
passo. A questo bisogna far seguire la mobilitazione di tutte le energie intellettuali
e sociali disponibili, di una vera e propria rete di forze e di competenze
capaci di dar vita a un dialogo e a un confronto, basato sul rispetto delle
reciproche autonomie, con il mondo sindacale che oggi stenta a trovare
interlocutori politici all'altezza delle domande e dei bisogni di questa
difficile fase della vita del Paese e del mondo intero. Maurizio Acerbo,
Vittorio Agnoletto, Francesco Agresti, Mario Agostinelli, Fabio Amato, Andrea
Amendola, Denise Amerini, Alessio Ammannati, Franco Argada, Andrea Bagni, Carlo
Baldini, Fulvia Bandoli, Paola Barassi, Imma Barbarossa, Vittorio Bardi, Laura
Bennati, Nerina Benuzzi, Enzo Bernardo, Maddalena Berrino, Luciano Berselli,
Moreno Biagioni, Maria Luisa Boccia, Ugo Boghetta, Elio Bonfanti, Giacinto Botti,
Alberto Bozzi, Massimo Brancato, Augustin Breda, Maurizio Brotini, Antonio
Bruno, Roberto Buonamici, Paolo Cacciari, Giovanni Cadioli, Sebastiano Calleri,
Maria Campese, Maria Grazia Campus, Elena Canali, Silvio Canapè, Giovanni
Capuzzi, Giuseppe Cappella, Giorgio Carnicella, Aldo Carra, Wilma Casavecchia,
Sergio Caserta, Antonio Castronovi, Francesca Cavalocchi, Salvatore Cavallo,
Giuseppe Chiarante, Giampiero Ciabotti, Bruno Ceccarelli, Paolo Cento, Clara
Centrella, Cesare Chiazza, Stefano Ciccone, Vincenzo Cilia, Paolo Ciofi, Neno
Coldagelli, Silvana Dameri, Roberto D'Andrea, Ferruccio Danini, Elettra Deiana,
Marinara De Biase, Jose Luis Del Roio, Loredana De Petris, Titti Di Salvo,
Piero Di Siena, Angela Di Tommaso, Monica Donini, Erminia Emprin, Giorgio
Fabozzi, Stefano Falcinelli, Roberta Fantozzi, Luigi Ferrajoli, Nino
Ferraiuolo, Ciccio Ferrara, Riccardo Ferraro, Paola Festari, Pietro Folena,
Francesco Fontanelli, Eleonora Forenza, Loredana Fraleone, Francesco
Francescaglia, Umberto Franchi, Matteo Gaddi, Rina Gagliardi, Domenico Gallo,
Francesco Garibaldo, Aldo Garzia, Rocco Giacomino, Alfonso Gianni, Sergio
Giardina, Marco Giatti, Paul Ginsborg, Franco Giordano, Fabio Giovannini,
Chiara Giunti, Elena Giusti, Alfiero Grandi, Claudio Grassi, Rita Guglielmetti,
Massimo Ilardi, Donatella Ingrill, Renato Kneipp, Beniamino Lami, Jacopo Landi,
Antonio Lareno, Rita Lavaggi, Antonio Lavorato, Betty Leone, Piero Leonesio,
Carlo Leoni, Orazio Licandro, Mirko Lombardi, Carlo Lucchesi, Merida Madeo,
Dora Maffezzoli, Alessandra Maltoni, Angela Mancuso, Ramon Mantovani, Roberto
Mapelli, Laura Marchetti, Giulio Martucci, StefanoMaruca, Graziella Mascia,
Benedetto Massimo, Ugo Mattei, Gianni Mattioli, Corrado Mauceri, Giorgio Mele,
Lidia Menapace, Paolo Menichetti, Antonello Miccoli, Gennaro Migliore, Luciano
Mignoli, Giovanni Milano, Pietro Milazzo, Gianni Mininni, Sergio Miramao,
Massimo Misiti, Emilio Molinari, Siliano Mollitti, Andrea Montagni, Marco
Montemegni, Sandro Morelli, Corrado Morgia, Roberto Mustacchio, Amanda Musco,
Gianni Naggi, Andrea Nardoni, Marisa Nicchi, Nicola Nicolosi, Alfio Nicotra,
Luigi Nieri, Luigi Nuzzi ,Franco Ottaviano, Costantino Pacioni, Nadia Pagano,
Manuela Palermi, Grazia Paoletti, Gianni Palumbo, Nello Patta, Gianluigi
Pegolo, Francesco Percuoco ,Verio Perna, Franca Peroni, Ciro Pesacane, Anna
Picciolini, Elisabetta Piccolotti, Giuseppe Pierino, Francesco Piobbichi,
Silvana Pisa, Adriano Podestà, Giovannella Podestà, Bianca Pomeranzi, Mimmo
Porcaro, Luciano Pregnolato, Giovanni Prezioso, Matilde Provera, Rosa Rinaldi,
Tiziano Rinaldini, Giorgio Riolo, Anna Maria Riviello, Augusto Rocchi, Domenico
Ronca, Rossano Rossi, Giancarlo Saccoman, Francesco Saccomanno, Mario Sai,
Raffaele K. Salinari, Pier Paolo Salvarani, Ersilia Salvato, Cesare Salvi, Bia
Sarasini, Vittorio Sartogo, Francesco Scacciati, Laura Scalia, Maurizio Scarpa,
Giacomo Schettini, Patrizia Sentinelli, Luigi Servo, Luisa Severi, Monica
Sgherri, Adriano Sgrò, Massimiliano Smeriglio, Tommaso Sodano, Pier Luigi
Sorti, Carlo Spagnolo, Giovanni Russo Spena, Claudio Stacchino, Donato
Stefanelli, Giuseppe Sunseri, Walter Tacchinardi, Luigi Tamborrino, Salvatore
Tassinari, Patrizio Tonon, Massimo Torelli, Aldo Tortorella, Sergio Tosini,
Carmela Vella, Bruno Veneziani, Jacopo Venier, Luigi Vinci, Giuseppe Vittonati,
Sergio Zampini, Katia Zanotti, Angelo Zola
( da "Virgilio Notizie" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Roma,
2 feb. (Apcom-Nuova Energia) - L'Italia è al terzo posto in Europa per lo
sfruttamento dell'energia eolica nel 2008 - dopo Germania e Spagna - e al sesto
posto a livello mondiale. Lo riporta il rapporto della Global wind energy
council, secondo cui tra il 2007 e il
( da "Wall Street Italia" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Crisi,
premier cinese Wen intravede la luce alla fine del tunnel -->di Adrian Croft
LONDRA (Reuters) - Il premier cinese Wen Jiabao ha detto oggi che intravede la
"luce alla fine del tunnel" ma ha sollecitato pacchetti di stimolo
forti ed efficaci per far ripartire le economie colpite dalla crisi globale.
"In alcuni posti la gente è delusa, frustrata e pessimista. E' preoccupata
per l'attuale situazione", ha spiegato Wen nel corso di una conferenza
durante una visita a Londra. "C'è la luce alla fine del tunnel ... Sto
chiedendo fiducia, cooperazione e responsabilità, lo chiedo da tempo perché se
lo faremo saremo in grado di salvare il mondo". Alla conferenza ha preso
parte anche il premier britannico Gordon Brown, che si sta preparando a
ospitare un summit di leader mondiali, in aprile, durante il quale verranno
presentate le misure per contrastare gli effetti della crisi economica globale.
Circa 20 milioni di migranti delle campagne cinesi hanno perso il lavoro a
causa della crisi, facendo aumentare i timori di rivolte sociali. La crescita
economica cinese ha registrato un rallentamento col tasso annuale al 6,8%
nell'ultimo trimestre del 2008, ripercuotendosi anche sull'andamento
complessivo dell'anno al 9% - il più basso in sette anni. Il governo cinese ha
già assicurato 4 trilioni di yuan (585 miliardi di dollari) nei prossimi due
anni per aiutare a far crescere la domanda interna. Intanto si sta lavorando ad alcuni progetti tra cui quello sulla ricostruzione
della provincia sud-occidentale della Cina, colpita dal terremoto
lo scorso maggio. Wen ha detto al Financial Times che è necessario fare di più.
Negli ultimi giorni ci sono state tensioni tra Usa e Cina dopo che la nuova amministrazione statunitense ha accusato la Cina di manipolare il tasso di cambio per spingere l'export.
Sull'origine della crisi finanziaria, Wen ha detto di credere che gli Usa si debbano assumere una ampia fetta della colpa.
"Le cause della crisi finanziaria sono ovvie. Quelle principali sono che
alcune economie hanno degli squilibri nella propria struttura economica. Per
molto tempo hanno mantenuto un deficit doppio, commerciale e fiscale", ha
puntualizzato il premier. La Cina ha contribuito a
finanziare gli Stati Uniti con massicci investimenti nel debito Usa. Wen ha anche criticato il modello bancario occidentale.
( da "TGCom" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
2/2/2009
Londra,scarpe contro premier Cina Protesta di uno studente di Cambridge Un
manifestante ha lanciato una scarpa contro il premier cinese Wen Jiabao il
quale si apprestava a parlare durante una conferenza stampa. Wen stava parlando di globalizzazione durante un convegno
organizzato dall'università di Cambridge quando è avvenuto l'incidente.
"Come può Cambridge prostrarsi verso un dittatore?" ha urlato il
giovane prima di lanciare la scarpa che è arrivata a meno di un metro dal
premier di Pechino La scarpa, un gesto che imita quello del reporter iracheno
contro George W. Bush di qualche settimana fa, è volata mentre Wen
teneva un discorso sull'economia globale. Il dimostrante, la cui identità non è
nota, è stato subito bloccato dalla sicurezza dell'ateneo inglese. La scarpa,
per la cronaca, non è riuscita a colpire il suo obiettivo. Invia ad un amico
( da "Corriere delle Alpi" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Non
è questo il modo di affrontare la crisi, sostiene il diplomatico inglese
«Scioperi non autorizzati» L'ambasciatore Chaplin: benvenuti i vostri
investimenti ANNALISA D'APRILE ROMA. «Gli scioperi dei lavoratori inglesi non
sono autorizzati». Mentre a Lindsay, nel Lincolnshire, continuano le proteste
anti-italiani degli operai inglesi, l'ambasciatore britannico a Roma, Edward
Chaplin, spiega la posizione assunta dal governo inglese e conferma gli ottimi
rapporti tra Italia e Gran Bretagna poco prima di un dibattito organizzato a
Villa Wolkonsky e dedicato proprio a lavoro e crisi economica in Ue. Qual è
l'opinione del governo rispetto alle rimostranze in atto in questi giorni? «Lo
sciopero non è autorizzato dai sindacati. Fino ad un certo punto è stato
comprensibile per la pressione della crisi finanziaria, che ha colpito la Gran
Bretagna un po' più dell'Italia. Ma come ha detto il mio primo ministro, Gordon
Brown, questo non è il modo giusto di risolvere il problema. Ed il governo è determinato
a conservare un'economia aperta». Cosa farà Gordon Brown? «Ha già chiesto
all'Agenzia indipendente per la mediazione di verificare che se ci siano state
irregolarità nell'attribuzione degli appalti. Inoltre, ha sottolineato
l'importanza per il futuro dell'economia britannica che si continui ad
incoraggiare gli investimenti dell'Italia nel nostro Paese. Non possiamo
tornare al protezionismo nel mercato del lavoro». C'è
il rischio che le proteste si espandano nel resto del Paese? «Come ho detto è un
segno della pressione della crisi economica che è globale e richiede una
risposta globale. Collaboreremo con il governo italiano per trovare la risposta
giusta. Ci sono molte aziende italiane che assumono lavoratori britannici, come
ci sono aziende britanniche che assumono lavoratori italiani, francesi...questa è la globalizzazione a livello europeo, è il futuro e non
possiamo tornare indietro. Si tratta di spiegare che la paura della recessione
è normale, però dobbiamo trovare delle soluzioni». C'è stato un colloquio con
il governo italiano. Di cosa avete parlato? «Ho avuto un incontro con il
sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, ieri mattina. Era
un appuntamento previsto per parlare di altre cose, come le presidenze del G20
e del G8. Ma abbiamo parlato della questione confermando gli ottimi rapporti
tra i nostri Paesi». Spesso si dice che la Gran Bretagna sia più lontana dagli
altri Paesi europei, questa crisi può avvicinarla in zona Ue? «La Gran Bretagna
non è lontana dall'Europa. Ma entrare nell'euro non è la priorità per il
momento. Ci sono altre cose da fare. Come trovare una soluzione per questa
crisi economica internazionale».
( da "AmericaOggi Online" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
La
nuova guerra del lavoro. La concorrenza ora si sposta all'interno dei Paesi
ricchi di Paolo Tavella 03-02-2009 La vicenda in sé avrebbe contorni limitati e
potrebbe venire in mente di archiviarla come un semplice contenzioso di lavoro.
È invece di tutta evidenza che il caso degli ottanta operai italiani contestati
in Gran Bretagna e accusati di portare via il posto alle maestranze locali
rapresenta, meglio di qualsiasi trattato sociologico, quella che sarà la
frontiera prossima ventura dei rapporti sociali e razziali non più tra Nord e
Sud del mondo, tra il pianeta ricco e quello diseredato, ma anche all'interno
del primo. Dall'idraulico polacco al portuale italiano, la guerra del lavoro è
destinata ad allargarsi. E se l'extracomunitario "tradizionale", quello
utilizzato per lavori preziosi ma di scarso o nessun "appeal" ,
faticosi e mal pagati, è stato in qualche misura metabolizzato dalle nazioni
industrializzate, ora la frontiera si sposta sul lavoro specializzato. E qui la
storia è solo all'inizio e rischia di avere interessanti sviluppi. Questo è un
primo aspetto della vicenda inglese. Il secondo è di natura politica. Ieri da
Bruxelles a Roma, passando per Londra è stato un susseguirsi di dichiarazioni
in difesa dell'opportunità per le imprese di cercare e trovare sui mercati
sbocchi di lavoro e di occupazione, senza badare a frontiere e bandiere. Tutto
giusto, tutto vero. Non c'è infatti dubbio alcuno che richiudersi in difesa dei
propri spazi, del proprio orticello, tirare su i ponti levatoi cercando un improbabile
autosufficienza è una scelta che prima che dal diritto è destinata ad essere
travolta dalla storia. Serve a poco ricordare che se si blocca l'appalto
all'azienda italiana è del tutto evidente che reciprocamente si rischia di
veder vanificato ogni sforzo dell'azienda inglese di approdare sul territorio
italiano, con tanti saluti ai principi di concorrenza e libero mercato. Questo
i Governi sembrano averlo ben chiaro. Ma poi la questione rischia di scappare
di mano. E i governanti si trovano a dover affrontare le paure dei governati,
ai quali dei dotti ragionamenti sul mondo senza frontiere non importa un bel
nulla. O meglio di cui riescono a cogliere solo gli aspetti più inquietanti.
Senza peli sulla lingua ieri in Italia con la franchezza che gli è propria
quando si tratta di tranquillizzare pezzi dell'opinione pubblica a lei vicina,
la Lega è tornata a minacciare. E a ribadire che in nome di
una globalizzazione che nessuno sa bene come funzioni non si può portare via il
lavoro alle maestranze padane: prima lavoriamo noi, poi, se serve, gli altri.
Modo un po' grezzo ma sicuramente efficace di semplificare la più complessa
questione del secolo XXI. E infatti, specie tra i ceti più colpiti dalla
crisi, tra quelli più fragili e indifesi il messaggio fa potentemente breccia.
Questo è un aspetto che può terrorizzare ma che va tenuto ben presente. E che
soprattutto va "governato". Non basta dire che il mondo va così, è il
progresso bellezza. Bisogna parallelamente costruire un sistema di garanzie
sociali, di meccanismi di protezione in grado di far passare la grande paura
sociale. Non ha senso ed è anzi irresponsabile soffiare sul fuoco irrazionale
della difesa degli interessi locali o particolari. Ma trascurarli o snobbarli
potrebbe avere effetti anche più pericolosi. Il grande falò delle proteste
sociali potrebbe essere assai difficile da spegnere.
( da "Repubblica, La" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Pagina
6 - Esteri Il ventre molle Perdere la dignità L´ex presidente della Camera
accusa la cattiva globalizzazione: "Episodi del genere possono
ripetersi" Bertinotti: "è una guerra fra poveri serve un Piano
europeo del lavoro" Nella recessione, con il sindacato e la politica fuori
gioco, l´operaio è diventato il ventre molle nelle mani della impresa e del
mercato Quando il lavoro diventa una merce rara, perderlo significa perdere
dignità sociale. è una gara per la vita che produce barbarie ALESSANDRA LONGO
ROMA - Quel che succede in Inghilterra, è figlio della «cattiva
globalizzazione», «della deriva liberista assunta dalle istituzioni europee»,
della «crisi del tessuto sociale», della solitudine degli operai, prima usati
«come arma» per una «competizione al ribasso», poi, adesso, con la recessione,
scaricati nel nome «della ristrutturazione dell´apparato produttivo». Fausto
Bertinotti ragiona sulla protesta dei lavoratori inglesi del Lincolnshire
contro i colleghi italiani. «Una lotta orribile - dice - che va condannata in
radice - ma le cui ragioni ci obbligano a riflettere perché la tragedia è
duplice, per chi subisce e per chi produce l´intimidazione». Per l´ex presidente
della Camera c´è il rischio che episodi del genere possano ripetersi, «in una
sorta di guerra civile latente». «Per questo andrebbe ripensata radicalmente la
Costituzione materiale europea e ci vorrebbe subito, in Europa, un Piano del
lavoro». Presidente, perché questa guerra tra poveri? «Perché succede così
quando c´è penuria di lavoro, quando il lavoro diventa una merce rara e
perderlo significa perdere cittadinanza, dignità sociale. E´ una competizione
per la vita e per la morte e produce barbarie. Lo stupore di molti nasce da un
deficit di memoria. Fatti del genere contrassegnano la storia
dell´industrializzazione europea. In Francia, alla fine dell´800, ci fu una
strage di operai italiani, linciati perché considerati crumiri...». Ma adesso
c´è l´Europa. «Sì e noi continuiamo ad essere abbagliati dai primi gloriosi 30
anni dell´Europa, quelli della ricostruzione dell´unità dei lavoratori, dello
stato sociale, del riconoscimento del ruolo del lavoro nelle costituzioni
democratiche. E finiamo per non ricordarci cosa sono gli ingloriosi 30 anni
successivi. La protesta degli inglesi non nasce dal nulla, si è prodotto un
vulnus». Ce l´ha con la globalizzazione? «Con la cattiva
globalizzazione. Ce l´ho con chi pensava che la globalizzazione potesse essere generatrice
di una nuova leva di diritti disconnessi dal lavoro. Ce l´ho con la direttiva
Bolkestein che non promuove la libera circolazione dei lavoratori ma produce
dumping sociale, estende il contratto di lavoro rumeno anche in Italia».
Lei dice in sostanza: gli inglesi sbagliano ma il malessere nasce dalle mancate
risposte... «La classe dirigente europea ha una responsabilità storica in
materia di lavoro. C´è stata una contrazione di diritti, un rovesciamento dei
principi alla base delle Costituzioni democratiche, penso a quella francese, a
quella italiana. Ogni lavoratore è rimasto solo, prima l´hanno fatto correre
come una lepre nel nome della crescita, bassi salari e alta flessibilità, poi,
nella fase della recessione, con il sindacato e la politica fuori gioco, con il
tramonto della coscienza di classe e del movimento operaio, è diventato il
ventre molle da comprimere, nelle mani dell´impresa e del mercato». Ecco che si
arriva alla guerra tra poveri. «Nel caso degli inglesi, più che di razzismo
parlerei di un nazionalismo concorrenziale che nasce dalla paura. Un peccato
che, comunque, non può essere assolto». Dicono: prima noi, poi gli altri.
«Sbagliano. Il primo lo sceglie comunque il sistema ed è quello che gli
conviene di più, quasi mai quello che ha più bisogno». E da dove si parte
allora? «Non c´è verso. Si deve partire dai bisogni dell´ultimo. La parola
d´ordine rimane sempre: «Piena e buona occupazione». Senza questo orizzonte non
c´è civiltà» Lei dipinge uno scenario pesante. Non pensa che la sinistra
radicale europea abbia fatto una campagna antipatizzante nei confronti della
globalizzazione producendo eccessiva diffidenza? «Niente affatto. Io sono per
l´internazionalizzazione del lavoro. La battaglia contro la Bolkestein è stata
una battaglia contro la cattiva globalizzazione. Quel che succede oggi dimostra
la miopia dei dirigenti europei. Solo poco tempo fa chiunque parlasse di
nazionalizzazione delle banche e grandi interventi pubblici nell´economia
veniva accolto da sorrisi ironici. Adesso bisognerebbe cogliere la lezione che
viene da questo smacco. Adesso bisognerebbe fare subito un Piano del lavoro in
Europa per non dover mai scegliere, in futuro, tra l´operaio inglese e quello
italiano».
( da "Secolo XIX, Il" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Uno
studente di Cambridgelancia una scarpa a Wen Jiabao la protesta Cambridge. La scarpa
della protesta è caduta a un metro da Wen Jiabao nella sala da concerto della
prestigiosa università di Cambridge dove il premier cinese stava tenendo una
conferenza. Mentre il manifestante, un giovane occidentale, veniva portato via
dagli uomini della sicurezza gridando «è uno scandalo», Wen, rimasto
imperturbato di fronte alla scenata, ha ripreso a parlare rimproverando
l'autore del gesto e affermando: «Questo comportamento
riprovevole non comprometterà l'amicizia tra la Cina e il Regno
Unito». La platea, composta per lo più da studenti di origine cinese, lo ha
applaudito. «Come potete ascoltare le menzogne che racconta questo dittatore?
Perché non lo contraddite?», ha urlato il manifestante prima di essere
arrestato con l'accusa di disturbo dell'ordine pubblico. L'incidente
ricorda il lancio della scarpa scagliata il 14 dicembre daungiornalista
iracheno contro l'allora presidente degli Usa George
W. Bush Baghdad. La settimana scorsa a Tikrit è stato eretto un monumento (poi
rimosso) alla calzatura. 03/02/2009
( da "Riformista, Il" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Verso
il G8 Ma l'Italia vuole essere protezionista? Mentre il Forum di Davos si avvia
a chiudere, comincia a essere chiaro quale sarà il tema più importante del
prossimo G8 a presidenza italiana di metà febbraio: come fermare il protezionismo. Gordon Brown, anche per alleggerire le
tensioni con l'Italia dovute alle manifestazione contro gli specialisti
siciliani che dovranno lavorare in Inghilterra, ha ribadito ieri: «Sappiamo
dalle crisi precedenti che un ripiego su politiche protezioniste limitate e di
breve termine non farebbe che aggravare la recessione». E ha annunciato di
voler raddoppiare (come se queste cose si decidessero a tavolino) le
esportazioni inglesi verso Pechino in un anno, da 5,5 miliardi di euro a 11. Al
suo fianco Wen Jabao, premier cinese che si è scoperto in queste settimane
paladino del libero commercio. Anche la Commissione eruopea, con il suo
portavoce Johannes Laitenberger, ha fatto capire ancora una volta di essere
preoccupata per la tenuta del mercato interno europeo: «Non è richiudendosi su
se stessi che si crea lavoro, al contrario se vogliamo mantenere il livello più
elevato possibile di occupazione dobbiamo approfittare del mercato interno». All'aumento degli appelli a difesa della globalizzazione
commerciale corrisponde la crescita dei danni che il protezionismo sta
già iniziando a fare. Il ciclo di negoziati iniziati a Doha nel 2001
dall'organizzazione mondiale del commercio ha ridotto il tasso di protezione
medio sui prodotti dal 22 per cento al 3,6. Ma non sono risultati che
mettano al riparo da quello che potrebbe arrivare nei prossimi mesi. Lo scrive
Paola Savona in un libro in uscita "Il governo dell'economia globale"
(Marsilio): istituzioni come il Wto e le loro decisioni non sono immutabili ma
dotate di una round-trip sovereignity, una sovranità che va e viene, concessa e
poi ritirata quando prevalgono gli interessi nazionali. Senza violarne le
regole i Paesi della Wto potrebbero cancellare i risultati raggiunti negli
ultimi anni e portare le proprie tariffe doganali al livello massimo indicato
dagli accordi multilaterali. Il risultato, stimano gli economisti Antoine Bouet
e David Laborde sul sito Telos-eu.com, sarebbe il raddoppio del protezionismo mondiale. Se i negoziati del Doha round, come
sembra, non produrranno un accordo, la perdita per il commercio mondiale sarà
di almeno 336 miliardi di euro. Se le cose poi andassero peggio e gli Stati si
chiudessero ancora di più adottando il livello di protezione più alto raggiunto
nel periodo 1955-2008, allora la perdita per il commercio mondiale salirebbero
a 728 miliardi, un crollo del 3,2 per cento. Per capire cosa questo potrebbe
significare per l'Italia basta vedere quello che sta succedendo al settore
delle acque minerali. Per reazione alla decisione dell'Unione europea di bloccare
l'importazione di carni bovine americane considerate pericolose, gli Stati
Uniti stanno per raddoppiare i dazi doganali sull'importazione di acque
minerali, inserite nell'elenco che dei prodotti da penalizzare. Per capirci: se
la San Pellegrino vendeva una bottiglia a un dollaro, ipotizzando che il suo
costo di produzione fosse zero, aveva un profitto di un dollaro. Con le nuove
regole il profitto diventerebbe nullo. In altri tempi sarebbe stata una normale
guerra commerciale, di quelle che poi si risolvono con un compromesso o una
concessione su altri tavoli. Ma nel contesto della crisi le nuove barriere,
spiega Ettore Fortuna presidente dell'associazione di categoria Mineracqua,
rischiano di mettere in seria difficoltà un settore che ci ha messo cent'anni
per consolidare la propria presenza negli Stati Uniti e che era uno dei pochi
pronti ad affrontare tempi difficili, perché vende un prodotto (le minerali)
che in America è considerato quasi un lusso. E che quindi garantisce alti
margini di profitto e una domanda stabile. Anche se l'Italia, con una
tradizione di paese trasformatore (che importa ed esporta beni intermedi,
quindi non autosufficiente) non potrebbe permettersi di essere protezionista,
dalla Lega continuano a chiedere barriere alla dogana. Ieri lo ha fatto il
ministro dell'Agricoltura Luca Zaia, prendendo spunto da un presunto traffico
di agnelli bulgari e rumeni, macellati in Sardegna e rivenduti come italiani:
«I nostri mercati vanno protetti con i dazi. Non si può pretendere che
l'allevatore dell'Arborea al quale la produzione di latte costa 25 centesimi al
litro possa confrontarsi con il latte che viene dalla Bulgaria a 19/20
centesimi». Tra una settimana, al G8 romano, il Governo dovrà decidere se
sostenere la linea di Zaia o quella della Commissione europea. di Stefano
Feltri 03/02/2009
( da "marketpress.info" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Martedì
03 Febbraio 2009 IL GENOMA DELL´ERBA FORNISCE INFORMAZIONI SULLA TOLLERANZA
ALLA SICCITÀ Un team internazionale di ricercatori ha descritto il genoma del
sorgo, un tipo di erba resistente alla siccità appartenente alla stessa
famiglia della canna da zucchero e del granturco. Queste nuove scoperte,
pubblicate sulla rivista Nature, hanno gettato luce su una preziosa fonte di
cibo, foraggio e biocarburante ed hanno importanti implicazioni per
l´agricoltura nelle regioni più aride con una popolazione in crescita, come
l´Africa occidentale. In tutto il mondo si producono circa 60 milioni di
tonnellate di sorgo l´anno, principalmente nel nord-est
dell´Africa e nelle aree aride degli Usa e dell´India,
che viene usato come base alimentare sia per l´uomo che per il bestiame. È
anche coltivato come fonte di biocarburante, principalmente in Cina. Il grano di sorgo ha più proteine e meno grassi rispetto al
granturco, ma ha un valore nutrizionale simile. Il sorgo dolce è simile
alla canna da zucchero ma la sua resistenza al caldo e alla mancanza d´acqua lo
rende più appetibile come coltura da biocarburante. Il sorgo usa un percorso
fotosintetico chiamato "C4" che lo rende particolarmente adatto ad
assimilare più carbonio ad alte temperature rispetto a piante che usano il
normale percorso "C3", come il riso e il grano. È possibile che il
genoma del sorgo recentemente descritto possa spianare la strada a futuri studi
per modificare altre specie, specialmente la pianta del riso, per farle passare
dal percorso C3 alla fotosintesi C4, aumentando così i raccolti e assorbendo
più biossido di carbonio di quanto sia possibile adesso. Secondo questo studio,
il piccolo genoma del sorgo lo rende un modello allettante per studiare le erbe
C4. I ricercatori sono riusciti a stabilire una figura precisa e contigua
dell´intero genoma del sorgo. Più precisamente, hanno identificato quelle
duplicazioni del gene che non sono presenti in altri cereali e che potrebbero
contribuire alla capacità del sorgo di sopportare la siccità. Il genoma del
sorgo recentemente sequenziato ha ispirato studi comparativi con il genoma del
riso, che era stato sequenziato quattro anni fa. Tali studi delle fondamenta
genetiche di preziosi tratti agrari consentirà, si spera, agli scienziati di
sviluppare programmi di riproduzione che potenzino il rendimento delle colture.
"Adesso avremo un´idea migliore di quante proprietà dell´erba (come la
resistenza alla siccità, lo zucchero nel gambo, o il rendimento del grano) sono
criptate nei suoi geni," ha detto il dott. Joachim Messing della Rutgers
University negli Usa, uno degli autori dello studio.
"Sapere questo potrebbe permetterci di muovere lateralmente questi geni
tra questi tipi di colture, per modificarle sulla base delle esigenze della
posizione geografica e del clima. " Gli scienziati hanno usato un metodo
di sequenziamento tramite "shotgun" per analizzare il genoma del
sorgo. Questo metodo prende in considerazione la natura altamente ripetitiva
dei grandi genomi, ha spiegato il dott. Messing, che ha sviluppato il metodo:
"L´efficacia e l´utilità di questo metodo renderà più veloce e molto meno
costoso il sequenziamento di altri genomi complessi in futuro. " In un
commento di accompagnamento, il dott. Takuji Sasaki e il dott. Baltazar Antonio
dell´Istituto nazionale di scienze agrobiologiche in Giappone sottolineano che
"il vero valore delle informazioni genetiche delle piante sta nel tradurre
questi dati in un miglioramento dei raccolti attraverso varie strategie di riproduzione".
Continuano poi spiegando come la conoscenza della sequenza genetica del sorgo
può essere applicata ad altre specie di erbe C4 come la canna da zucchero e il
miscanto che sono state individuate come potenziali risorse per la produzione
di bioetanolo. "Le informazioni che si possono estrarre dalla sequenza
genomica di una pianta non sono, ovviamente, sufficienti di per sé a potenziare
tratti come l´efficienza fotosintetica o la resistenza agli stress," hanno
scritto il dott. Sasaki e il dott. Antonio. "Queste informazioni
costituiscono però lo strumento più potente di cui disponiamo per scoprire modi
di aumentare la quantità di alimenti ed energia prodotta dalle piante, e in
questo modo far fronte alle richieste di un mondo alle prese con una popolazione
sempre in crescita e con un clima imprevedibile. " Per ulteriori
informazioni, visitare: Nature: http://www. Nature. Com/nature Rutgers
University: http://www. Rutgers. Edu/ . . . <<BACK
( da "Tirreno, Il" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Pagina
6 - Attualità Sacconi: a rischio il patto Ue Anche il Portogallo protesta. I
leghisti: succederà anche da noi «Capisco la rabbia, ma lascino in pace i
nostri» dice Epifani VINDICE LECIS ROMA.Per il ministro del lavoro Maurizio
Sacconi «la libera circolazione dei lavoratori è un principio fondante
dell'Unione Europa, che non può essere in alcun modo messo in discussione, pena
la crisi del patto comunitario». Riferendosi agli scioperi contro i lavoratori
italiani in Gran Bretagna, il ministro ha lanciato un allarme sulla tenuta
della coesione europea a partire dai suoi valori fondativi. Sono forti,
infatti, le preoccupazioni in Europa. Il governo socialista portoghese ha
denunciato quanto sta avvenendo nel Regno Unito con toni molto severi. «Si
tratta di un tentativo di discriminazione assolutamnte inaccettabile» ha detto
il ministro degli Esteri, Luis Amado, sottolineando le responsabilità dei
governi «che devono evitare una deriva protezionistica, xenofoba, nazionalista
che se non posta rapidamente sotto controllo con iniziative molto forti dei
governi può portarci a una crisi ancora più grave». Il ministro britannico per
le attività produttive Peter Mandelson ha voluto rassicurare i paesi europei:
«E' importante rispettare e garantire il principio di libera circolazione
nell'Ue», ha detto. Ma per il presidente del gruppo socialista europeo
Rasmussen gli scioperi rappresentano la paura crescente tra gli operai e «la
sconfitta per la Commissione europea in quanto ha
consentito che la libera circolazione dei lavoratori avvenisse senza
un'adeguata protezione». Su regole e valori che dovrebbero essere condivisi, si
è scatenata una lite nella maggioranza di governo. Il capogruppo leghista alla
Camera, Roberto Cota, ha solidarizzato con gli operai inglesi affermando che la
globalizzazione «ci sta presentando il conto». Perché, secondo Cota, il
mercato del lavoro dovrebbe essere «regolato dal territorio» e, prima o poi,
«toccherà al Veneto» reagire alla presenza di lavoratori stranieri, comunitari
o meno. «Nel Nord Est - ha spiegato - arriva manodopera straniera che toglie
lavoro ai nostri». Che cosa fare? La ricetta «padana» è semplice: moratoria dei
flussi di immigrati e sospensione di Schengen. Dichiarazioni che hanno fatto
infuriare il sottosegretario al commercio estero Adolfo Urso (Pdl) che ha
respinto le ipotesi protezionistiche definite «un veleno». «L'impresa siciliana
aveva il dovere di utilizzare lavoratori altamente specializzati, per
rispettare i tempi dell'appalto» ha detto Urso, criticando Cota perché
«confonde la libera circolazione nell'Ue con l'immigtrazione extracomunitaria».
Il sottosegretario ha ricordato che se venissero avallate pratiche
protezionistiche dai governi europei «finirebbero per colpire proprio la
produzione e quindi il lavoro italiano». Guglielmo Epifani, segretario generale
della Cgil, ha affermato di essere in contatto con il capo del sindacato inglese
«che sa benissimo che gli accordi e le leggi prevedono il libero movimento di
tutti i lavoratori. Capisco la rabbia ma i nostri lavoratori vanno lasciati in
pace». Preoccupato anche il leader della Cisl, Raffele Bonanni per la «deriva
qualunquistica e discriminatoria» in atto.
( da "Sole 24 Ore, Il" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Il
Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-02-03 - pag: 12 autore: Investire sul
Sud Il dibattito sull'utilizzo delle risorse pubbliche e in particolare dei
fondi europei si è concentrato sul concetto di grandi opere di valenza
strategica.L'ultimo intervento che mi è capitato di leggere in tal sensoè stato
l'intervista a Cristiana Coppola,vicepresidente di Confindustria con delega per
il Mezzogiorno,sul Sole del 27 gennaio.Quello che non mi sembra sia stato mai
chiarito su questo argomento è il passaggio di come tali grandi interventi
(infrastrutturali) possano concretamente impattare sullo sviluppo di
un'economia disastrata come quella meridionale.Mi viene solo un sospetto: le
grandi opere abitualmente vengono costruite da grandi imprese,magari aderenti
al sistema di Confindustria,magari (nella stragrande maggioranza dei casi)con
sede nel Nord Italia... Sergio Amato e-mail N el pacchetto
di rilancio dell'economia Usa da (finora) 819 miliardi di
dollari, 62 sono destinati esclusivamente agli investimenti in infrastrutture
ed edifici scolastici. Anche Gran Bretagna, Canada, Cina, Francia,
Germania e India stanno generosamente ricorrendo agli investimenti
infrastrutturali nei pacchetti di stimolo alle proprie economie. L'idea,
evidentemente, non deve essere così balzana. Quanto al Mezzogiorno italiano,
dimostra Gianfranco Viesti nel suo recente Mezzogiono a tradimento (Laterza),
che lì «la spesa per infrastrutture espressa in termini procapite è meno di tre
quarti del resto del Paese. I risultati economici del Sud non possono che
esserne stati conseguenti». Bloccare dunque gli investimenti per fare un
dispetto alle aziende del Nord, associate a Confindustria (principale azionista
di questo giornale), della quale peraltro fanno parte anche le imprese
meridionali? Mi sembrerebbe una coraggiosa manifestazione di masochismo. E
molti nel Sud non gradirebbero, come dimostra la lettera chesegue. • Povero
Mezzogiorno Appare sempre più chiaro ed evidente che il Paese Italia, e il suo
Governo, non sono assolutamente in grado di varare misure adeguate rispetto
alla crisi devastante. In buona parte per inadeguatezza della classe che
governa, ma fondamentalmente per il disastro della finanza pubblica. La
riconferma è arrivata di fronte alle misure da adottare per la crisi del comparto
auto. Alle decine di miliardi stanziati o ipotizzati da altri Governi europei,
il nostro ha balbettato che per trovare 250 o al massimo 500 milioni, cioè meno
di una fumata di sigaretta, occorrono dieci giorni lavorativi! Ciò, nonostante
il ministro Castelli avesse indicato con chiarezza dove trovare i fondi e le
risorse. A "Ballarò" ha candidamente affermato che «per la prima
volta nella storia prendiamo i soldi dalle regioni povere del Sud per
finanziare le industrie e le famiglie dei disoccupati del ricco Nord-Est».
Cioè, derubiamo, ancora una volta e sempre, le regioni meridionali dei fondi
che la Ue aveva destinato alle zone in ritardo di sviluppo. Evidentemente,
nella mente di un nordista doc il ragionamento può apparire del tutto ovvio. Le
schiere di disoccupati che purtroppo si profilano al Nord costituiscono
sicuramente un problema assai più grave, dal momento che al Sud siamo abituati
da semprea rimanere disoccupati.Un'indagine da parte di una Commissione
parlamentare del Senato, presieduta dal compianto Beniamino Andreatta, nel
lontano '92, concluse che «solo raddoppiando l'intervento straordinario, si
porterebbe la spesa statale pro capite nelle regioni meridionali a livello
comparabile con quello delle regioni settentrionali». Francesco Calvano email
Nessun ritardo per Vito Nell'articolo sui rapporti tra
ParlamentoeGovernopubblicatodome-nica 1Úfebbraio a pagina 10, per errore è
stato attribuito al ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, il
ritardo al Question time in Aula di cui è stato invece protagonista il ministro
per l'Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi. Ce ne scusiamo con
l'interessato e con i lettori.
( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del
03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Primo
Piano Pagina 102 «L'identità è il nostro valore» Sollai, Unidade
indipendentista e la Sardegna --> Sollai, Unidade indipendentista e la
Sardegna di FABIO MANCA Peccato che non siano riusciti a coalizzarsi con l'Irs
di Gavino Sale. Non perché ci siano divergenze politiche, ma perché «dopo il
nostro appello all'unità hanno temporeggiato. A un certo punto non decidevano e
noi dovevamo chiudere le liste». Sarebbe solo una questione di velocità,
insomma. Non di conflitti. Altrimenti gli indipendentisti sarebbero stati tutti
sotto lo stesso tetto. E magari avrebbero potuto sperare di superare lo
sbarramento del 3%, ostacolo finora insormontabile nonostante una costante presenza
a tutti gli appuntamenti politici. Certo, sommando i voti del 2004 non
avrebbero raggiunto il 2% (0,58% e 5.031 voti Sardigna natzione, 1,13% e 9.724
consensi Irs) ma magari con A manca pro s'indipendentzia, Juventudi
indipendentista 28 de abril e A foras, oggi riuniti assieme a Sardigna Natzione
sotto l' Unidade indipendentista , il risultato sarebbe potuto migliorare.
Fatto sta che la diaspora ancora una volta non si è ricomposta. Gianfranco
Sollai, candidato presidente della nuova forza politica, non se ne fa un
cruccio, anzi. L'ostacolo all'elezione, a suo avviso, non è il frazionamento
indipendentista ma i mass media. «Danno tutto lo spazio ai partiti italiani, a
noi solo le briciole». Significa che se aveste più spazio, otterreste un seggio
in Consiglio? «Non è detto», ammette, «certo diffonderemmo di più le nostre
idee». Avvocato penalista, nato 49 anni fa a Siamanna, una figlia, Sollai è
antropologicamente e morfologicamente indipendentista. Stereotipo perfetto.
Calvo, sopracciglia generose, occhi castani, sguardo fiero, ha una voce
baritonale che gli regala autorevolezza e una forte cadenza barbaricina.
Quando, nel 2006, si candidò a sindaco di Cagliari con Sardigna natzione (385
voti, lo 0,41%), annunciò, tra gli altri punti programmatici, la chiusura
immediata delle Città mercato. Impossibile, in uno stato di diritto. Una
provocazione, evidentemente, che tuttavia conteneva un messaggio. «È Cagliari
che deve diventare città mercato ed essere valorizzata in tutti i suoi spazi».
Oggi, che i suoi programmi abbracciano tutta l'Isola, ribadisce e amplia il
concetto: «Siamo la Regione d'Europa con la più alta concentrazione di
ipermercati e questo ha generato diseconomie nel territorio e abbassato la
qualità dei prodotti consumati a vantaggio delle multinazionali e a svantaggio
dei prodotti locali. È assurdo che noi consumiamo beni del settore
agroalimentare che arrivano da migliaia di chilometri e ciò che produciano vada
a finire altrove». E qui innesta un principio tipicamente indipendentista: «Dobbiamo
riconvertire le industrie e incentivare, con leggi specifiche, lo sviluppo e la
trasformazione delle risorse umane e naturali presenti in Sardegna e attivare
politiche che favoriscano il consumo di prodotti locali». Non è il primo a
sostenerlo. «Tra noi e gli altri c'è una differenza: noi tuteliamo le nostre
risorse perché siamo convinti che possano portare ricchezza ai sardi, chi
rappresenta i partiti italiani parla per slogan. Difendono altre identità,
tutelano interessi nazionali che confliggono con i nostri». Ma è anche vero che
ormai sono tutti convinti che la vera ricchezza stia proprio nelle specificità
dei territori e delle produzioni. «È evidente, ma un conto sono le parole, un
altro i fatti. Pensiamo alle aziende agropastorali. Se i partiti italiani
avessero avuto a cuore la nostra produzione avrebbero fatto sì che ai
produttori il latte ovino e caprino venisse pagato a un prezzo congruo, non
alla stregua di un prodotto industriale. E avrebbero impedito che 30 mila
aziende entrassero in crisi e molte di esse venissero pignorate». Che cosa
proponete? «Nell'ambito di un ampio programma di tutela delle produzioni
locali, l'istituzione di un marchio di qualità e incentivi al consumo di
nicchia e prodotti locali derivanti dall'agricoltura e dall'allevamento che
oggi faticano ad inserirsi nella grande distribuzione». E per quanto riguarda
le aziende pignorate? «È pronta una proposta di legge di iniziativa popolare
che modifica il codice di procedura civile e, per salvaguardare le potenzialità
produttive, sancisce l'impignorabilità delle aziende agropastorali». Quando la
presenterete? «Prima delle elezioni». Non è che lo fate per conquistare il voto
di migliaia imprenditori con l'acqua alla gola? «È una proposta coerente con le
nostre idee». Da decenni sostenete il diritto all'autodeterminazione: non è una
proposta anacronistica? «Sosteniamo da sempre che ad ogni popolo debba essere
concesso il diritto di scegliere secondo il principio internazionale
dell'autodeterminazione. Un principio che chiediamo venga inserito nello
statuto sardo assieme alla possibilità di svolgere, sul tema, un referendum
popolare. Se una nazione non è indipendente non può autogovernarsi». In che
cosa si esplica l'autogoverno? «Ad esempio con competenze primarie sui
trasporti: vogliamo porre fine al monopolio della Tirrenia e promuovere nuovi
bandi internazionali per la continuità territoriale che stabiliscano tariffe
davvero agevolate e orari e scali legati alle esigenze dei sardi. Vogliamo
nuove tratte low cost che colleghino la Sardegna anche con i paesi del
Mediterraneo e il potenziamento dell'Arst. Ma tutto il nostro programma è
ispirato all'autodeterminazione. L'industria, ad esempio». Che cosa proponete,
a parte la riconversione della produzione? «Una legislazione che limiti la
possibilità che imprenditori beneficino di contributi pubblici per creare
aziende che chiudono dopo pochi anni e impedisca in caso di chiusura degli
impianti di trasferire tutto fuori dalla Sardegna. È la Regione che deve
rilevare infrastrutture e macchinari finanziati con soldi pubblici». Sulle
servitù militari sono stati fatti passi avanti. Ma nei giorni scorsi il
ministro La Russa ha annunciato la costruzione della nuova pista a Quirra.
«Voglio dire subito una cosa: la liberazione di La Maddalena dalle basi
americane non è stata una vittoria dei partiti italiani ma una coincidenza. È
stata la Nato a decidere che quella base non era più utile». Intanto è stata
smilitarizzata ed è in corso una riconversione. «Non scherziamo. Il G8 è stato
presentato come un'occasione di sviluppo per l'Isola, in realtà si tratta
dell'ennesimo affare per quelle aziende che stanno conducendo i lavori in
condizioni di aperta illegalità, violando le leggi di tutela dei lavoratori.
Basti dire che un sindacalista che ha provato a documentare l'illegalità è
stato denunciato per spionaggio». Ma senza una legge speciale forse non si
sarebbe riconvertita l'isola. «Non è così, se si decide di farlo si fa. Eppoi
noi poniamo anche una questione politica: la Sardegna non è in guerra con nessuno
e il G8 è una provocazione di stampo coloniale, prosecuzione di quel processo
di deculturazione forzata che noi chiamiamo genocidio culturale». Torniamo alle
basi. «Proponiamo un piano di smilitarizzazione totale, di bonifica del
territorio e riconversione dell'economia militare. Vorrei ricordare che in
Sardegna i militari occupano 24 mila ettari contro i 16 mila di tutta la
penisola italiana. E che nel piccolo villaggio di Quirra su 150 persone, 20
sono morte per la stessa malattia e ad Escalaplano nel '98 14 bambini sono nati
con gravissime malformazioni». Nel vostro programma contestate anche la
politica delle entrate della giunta uscente. «Sia centrodestra che
centrosinistra hanno fatto passare come una grande vittoria la ricontrattazione
della vertenza entrate con lo Stato italiano. Noi riteniamo vergognoso che lo
Stato abbia rubato per anni miliardi di euro di proprietà dei sardi e poi abbia
gentilmente concesso di restituirli in piccole rate nei prossimi decenni. Noi
li vogliamo tutti, subito e con gli interessi». Che legge elettorale vorreste?
«Una legge rigorosamente proporzionale, per scardinare la blindatura delle
coalizioni italiane». Senza sbarramento? «Lo sbarramento è necessario. Il
problema della rappresentanza, lo ripeto, è un altro: lo spazio dedicato dai
media alle piccole forze». Chiedete che gli stipendi dei consiglieri regionali
vengano parificati a quelli dei metalmeccanici: un po' eccessivo? «Con grassi
stipendi e onorificenze lo Stato italiano colonialista ricatta il popolo sardo.
Noi pensiamo che la politica sia servizio al popolo». Che cosa pensa della
scelta di una parte del Psd'az di candidarsi col centrodestra. «Una scelta
incoerente, dettata da semplice opportunismo». Voi avete rifiutato di entrare
nel centrosinistra. «Ho spiegato che non abbiamo gli stessi interessi dei
partiti italiani. Vede, non è sufficiente mettersi l'abito in velluto o far
suonare Procurade e moderare ai comizi o esporre la bandiera dei Quattro mori
per dirsi indipendentisti o sardisti». Mentre parla, Sollai mostra un I Phone
della Apple, tra i simboli universali della
globalizzazione. Sembra una contraddizione, lui non concorda. «Penso che la
globalizzazione contrasti con i principi di solidarietà, libertà e unità solo
quando non riconosce e non rispetta altri popoli e altre identità. Non cambia
niente se nel pianeta ci sono mille o duemila Stati, se c'è rispetto reciproco
e unità per la soluzione dei problemi del pianeta».
( da "Sole 24 Ore, Il" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Il
Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-02-03 - pag: 19 autore: M&M Se la
sfida passa per la dogana telematica di Sara Cristaldi U n vero e proprio
"big bang" coinvolgerà le dogane europee tra il 2009 e il 2010. Ma le
imprese italiane, pur al corrente della svolta in corso, stentano a mettersi al
passo. E, specie le più piccole, preferiscono invocare proroghe. La rivoluzione
corre sulle strade della telematica, che implica reingegnerizzazione dei
programmi di servizio (per le Dogane) e modifiche organizzative per tutti
(Dogane e operatori). Con un cambio radicale di approccio in linea con
l'evoluzione della disciplina dei commerci imposta dalla globalizzazione,
per sopravvivere alla quale occorre giocare bene la carta del fattore tempo. In
sostanza la dogana non va più solo vissuta come strumento di protezione e di
difesa (contro contraffazioni e ai fini della sicurezza delle merci in
ingresso) ma va anche (e soprattutto) utilizzata nella logica della
facilitazione dei flussi commerciali e quindi dello sviluppo del Sistema
Italia. Un processo avviato e percorso a tappe successive. Eppure i numeri
parlano di un ancora scarso coinvolgimento delle imprese. è così, ad esempio,
sul fronte del cosiddetto Aeo ( Operatore economico autorizzato),
certificazione che permetterebbe di svolgere le operazioni doganali con
procedure che si protrebbero definire "domiciliari" e quindi veloci
con tutela dell'intera catena logistica. Dal 1Úgennaio 2008 sono state solo 130
le istanze per ottenerla, di cui il 70% nel Nord d'Italia,con impegno maggiore
a Nord-Ovest. E l'attivo Nord-Est che fa? Certo gli ostacoli non mancano. Le
Pmi, ad esempio, hanno ancora poca dimestichezza con la telematica e c'è anche
chi tenta di approfittarsi di questa loro debolezza (assistenza a prezzi
maggiorati e così via). è stato sottolineato anche la scorsa settimana a Verona
nel corso di un road show dell'Agenzia delle Dogane volto a sensibilizzare le
imprese locali. Anche se può suonare strano in tempi di calo della domanda
estera, la strada è comunque obbligata. Meglio farsi trovare preparati, alla
ripresa, a confrontarsi con un mondo sempre più aperto. E più veloce.
sara.cristaldi@ilsole24ore.com
( da "Sole 24 Ore, Il" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Il
Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-02-03 - pag: 19 autore: Protezionismo
& Alimentazione. A rischio una serie di accordi bilaterali e le trattative
multilaterali del Doha Round Tokyo in difesa sul fronte del cibo Stefano Carrer
TOKYO. Dal nostro inviato O biettivo ufficiale del Governo: che il popolo mangi
almeno 63 chili di riso l'anno e non solo 61. Non è uno scherzo, ma uno dei
target fondamentali fissati dal ministero dell'Agricoltura giapponese,al fine
di aumentare l'autosufficienza alimentare del Paese al 50% entro 10 anni
rispetto all'attuale 40% (era del 73% nel 1965). Un obiettivo ambizioso che
rischia di rinviare le prospettive di apertura del settore agricolo e di
riduzioni tariffarie sull'import alimentare, ostacolando ulteriori fasi di
liberalizzazione del commercio globale e accordi di libero scambio bilaterali.
In Giappone, insomma, potrebbe arrivare una nuova stagione di protezionismo agricolo e di nazionalismo alimentare
incoraggiata dall'alto. Il ministro Shigeru Ishiba sta per raddoppiare il suo
ruolo come "ministro per le Riforme agricole".Il fulcro del
cambiamento dovrebbe riguardare la revisione della politica che dal 1971
favorisce una riduzione dei terreni coltivati a riso per sostenere i prezzi. Un
approccio per molti demenziale, che ha concorso a un aumento delle terre
abbandonate (oggi l'8% della superficie utile) e scoraggiato coltivazioni
alternative. La crisi alimentare globale della primavera scorsa ha fatto
scattare un senso di allarmismo tale da far ipotizzare il pericolo di future
carestie. L'agricoltura è declinata fino a contare solo per l'1,7% del Pil e
oggi il contadino medio ha 65-70 anni. A primavera è anche scoppiata
un'improvvisa crisi del burro:non se ne trovava più,ma la tariffa sull'import è
rimasta al 35%. I rincari del carburante hanno poi costretto molti pescatori a
ridurre le uscite in mare,in concomitanza con un ormai evidente depauperamento
delle risorse ittiche. Ma anche alcuni clamorosi scandali su prodotti stranieri
- dai ravioloni cinesi avariati al riso contaminato - hanno contribuito a
creare le condizioni per un rilancio del made in Japan in patria. Il disagio
del Giappone per la scarsa autosufficienza alimentare va rispettato,osserva
Richard Col-lasse, presidente uscente della Camera di Commercio europea, ma la
soluzione «dovrebbe concentrarsi più sul miglioramento dell'offerta locale che
non sulle restrizioni all'import», in modo che il sistema diventi «efficiente
nel fornire ai consumatori la massima scelta e sicurezza a prezzi ragionevoli
».Dall'American Chamber of Commerce arriva inoltre l'invito ad«aumentare la
competitività internazionale dei prodotti agricoli giapponesi», anziché
rafforzare le distorsioni di mercato. La Keidanren (la Confindustria nipponica)
negli anni recenti aveva premuto per un allentamento dell'approccio
protezionista, nella consapevolezza che il futuro di un Paese dipendente
dall'importazione di risorse naturali e dall'export di manufatti si gioca su un
commercio internazionale sempre più libero. Ma ora sembra aver messo la sordina
alle sue sollecitazioni. Sono le imprese associate che stanno facendo le mosse
più giuste:le case di trading rafforzano le attività di intermediazione su
commodities agricole, mentrealcune grandi aziende come Kirin stanno acquistando
grandi società estere nel ramo alimentare. Sul piano diplomatico, Tokyo è in
prima fila non contro le restrizioni all'import, ma contro quelle all'export
alimentare: in questo senso, si sta dando da fare per creare un approccio
asiatico comune. «Va introdotto un dialogo e un coordinamento regionale su
aspetti come lo stoccaggio, le politiche su commercio e biocarburanti, la
protezione della proprietà intellettuale, la ricerca e sviluppo e gli
investimenti nell'agricoltura», afferma Fukunari Kimura, capo economista della
Eria, il nuovo centro studi promosso da Tokyo a supporto dei forum politici
regionali. Una ricetta radicale invece è stata appena proposta dall'autorevole
Japan Forum on International relations: con 21 audaci raccomandazioni (compresa
quella di importare 50mila stranieri nelle campagne) delinea una« Japan's
strategy for its agricolture in the globalized world » respingendo l'idea che il settore sia o possa essere vittima della
globalizzazione. Anzi, sostiene che proprio il ritardo nell'integrazione con
l'economia globalizzata sia la causa del ristagno.
stefano.carrer@ilsole24ore.com www.jfir.or.jp/e/pr_e/pdf/31.pdf Per leggere il
documento L'OBIETTIVO Dal punto di vista agricolo il Paese deve raggiungere
l'indipendenza al 50% entro dieci anni. Prima si parlava del 40%
( da "Sole 24 Ore, Il" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Il
Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-02-03 - pag: 29 autore: Credito. Segnalazione
di Catricalà a Parlamento, Banca d'Italia e Consob: chieste nuove norme su
trasparenza e conflitti d'interesse Antitrust all'attacco delle banche
L'Authority: prima degli aiuti di Stato una profonda riforma della governance
Rossella Bocciarelli ROMA Sono «inevitabili e urgenti» interventi di
regolazione sulla governance di banche e assicurazioni. Il monito proviene
dall'Antitrust, è contenuto in una segnalazione inviata a Parlamento,
presidenza del Consiglio, Banca d'Italia e Consob e dà un seguito più formale
(in quanto sollecita l'azione del legislatore) alle conclusioni già evidenziate
dalla recente indagine conoscitiva sul sistema creditizio prodotta
dall'authority guidata da Antonio Catricalà. Nella segnalazione si ricorda
infatti che nell'indagine conoscitiva si auspicava una risposta in tempi rapidi
sul versante delle iniziative di autoregolamentazione. Ma poiché «è mancata la
reazione spontanea del sistema finanziario » l'Autorità adesso chiede che il
progettato intervento pubblico a sostegno delle banche «sia inserito in un
quadro di misure finalizzate a eliminare i conflitti di ruolo, a riformare
assetti di governance ormai superati, a garantire la nozione di indipendenzae a
introdurre maggiore trasparenza nel ruolo degli azionisti». Non basta. Secondo
il Garante della concorrenza occorrono anche chiarimenti sulla normativa sui
mutui per incentivare la portabilità e permettere la massima confrontabilità
delle offerte. Inoltre, per i conti correnti, il documento consiglia
«l'introduzione di un indice sintetico di costo comprensivo di tassi passivi e
commissione di massimo scoperto ». La segnalazione si occupa anchedel
comportamento delle fondazioni. «La loro centralità per la stabilità –osserva
l'Antitrust –deve necessariamente essere bilanciata da una nuova modalità
d'azione. Le fondazioni devono rendere chiaro il processo decisionale sulle
modalità con le quali esercitano i diritti di voto nelle società partecipate e
definire i criteri in base ai quali selezionano i candidati da proporre per le
cariche degli organi di governo delle società partecipate,anche alla luce
dell'esigenza di non candidare soggetti caratterizzati da conflitto di ruoli. è
inoltre indispensabile – si sostiene –che la nomina degli stessi organi di
governance delle fondazioni e la gestione del patrimonio siano ispirate a
criteri oggettivi e trasparenti. Il documento dell'Antitrust affronta infine un
problema annoso, quello della riforma delle banche popo-lari: occorrerebbe un
intervento normativo per adeguare il regi-melegalevigentecherischiadies-seresolounostrumentoperevita-recambiamentiefficientineglias-settiazionariedigovernosocieta-r
o, alla realtàattuale. Sull'esigenza di valorizzare al massimo gli aspetti di
trasparenza, allo scopo di ripristinare la fiducia sui mercati finanziari
internazionali si pronuncia d'altra parte, in un'analisi dello scenario globale
svolta nell'intervista al Wall Street Journal, anche il Governatore della Banca
d'Italia, Mario Draghi. «Vi è bisogno di fare progressi significativi nello sviluppare
maggiore trasparenza, in modo da capire cosa c'è nei bilanci delle banche e
quali sono le vere valutazioni» osserva Draghi, intervistato come presidente
del Financial stability forum. «In futuro, vi sarà un'inevitabile maggiore
standardizzazione dei prodotti. Di per sé ciò costituirà un potente stimolo
verso la trasparenza, perché sarà più agevole capire e prezzare i prodotti
sulla base di una vera conoscenza. Complemento essenziale alla
standardizzazione aggiunge Draghi– sarà la creazione di sistemi centralizzati
di compensazione e regolamento dei mercati ». Ma una maggiore regolamentazione,
chiede l'intervistatore del Wsj, non potrebbe costituire un freno
all'innovazione finanziaria? «Vogliamo creare– replica Draghi–un sistema che
non distrugga le prospettive dell'industria bancaria. La standardizzazione
potrebbe forse costituire un freno allo sviluppo dell'innovazione finanziaria,
ma contribuirà a far sì che tale crescita sia più sostenibile nel tempo».
Quanto alle caratteristiche che dovrà avere il sistema bancario del futuro,
Draghi osserva che «ciò che vogliamo è un set-tore finanziario, e bancario in
particolare, dove ci sia più capitale, meno debiti, più regole e una vigilanza
molto più forte. è necessario – sottolinea il Governatore, parlando delle
regole per l'industria finanziaria mondiale, che saranno esaminate dal prossimo
G20 di Londra – che tutto ciò avvenga in condizioni in cui vi sia parità
concorrenziale. L'azione dei Governi è cruciale». Serve quindi un avallo
politico a livello globale per queste strategie. Anche perché, conclude Draghi,
ricordando i vantaggi portati dalla globalizzazione
«rischiamo di perdere tutto se torneremo al protezionismo,
assumendo iniziative soltanto a livello nazionale ». Sul versante operativo,c'è
infine da segnalare che ieri ha materialmente iniziato ad operare il nuovo
mercato interbancario col-lateralizzato (Mic) attivo sulla piattaforma di
contrattazione di e-Mid. Finora, informa Bankitalia, hanno aderito 39
banche italiane ed estere. FINANZA SOTTO TIRO Per la commissione è da riformare
anche il sistema di governo delle assicurazioni Il Governatore Draghi: più
trasparenza per la fiducia
( da "Messaggero, Il" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Martedì
03 Febbraio 2009 Chiudi di CARLO JEAN L'ENTUSIASMO per Obama sembra aver
contagiato anche il "freddo" Putin. Nel suo discorso di mercoledì
scorso a Davos, all'apertura del World Economic Forum, egli ha abbandonato i
toni polemici nei confronti degli Usa. Non li ha più
accusati di perseguire una politica unilaterale, aggressiva ed egemonica, né di
aver provocato con la loro ingordigia ed errori la crisi economica mondiale,
che sta duramente colpendo anche la Russia. Ha sottolineato invece l'esigenza
di una stretta cooperazione «perchè siamo tutti sulla stessa barca». Insomma,
sorrisi e mano tesa rivolti evidentemente al nuovo presidente Usa. Le relazioni russo-americane hanno sempre avuto cicli
alterni, di cooperazione e di tensione. Queste ultime hanno dominato dal 2004,
da quando cioè gli Usa appoggiarono la
"rivoluzione arancione" in Ucraina. Si sono poi inasprite dopo il
conflitto in Georgia e con l'accettazione della Repubblica Ceca e della Polonia
di schierare sui loro territori componenti del sistema antimissili americano
(Bmd). "Alti" e "bassi" sono state influenzati soprattutto
dalla situazione interna della Russia. Negli anni novanta, la cooperazione
aveva prevalso. Intanto, perchè la priorità della politica estera russa
sembrava essere l'integrazione in Occidente. Poi, perchè la Russia era debole
ed aveva un disperato bisogno degli investimenti e delle tecnologie
occidentali. Beninteso, gli allargamenti della Nato ed anche dell'Ue erano
stati visti con sospetto dai russi. Erodevano i loro tradizionali spazi di
influenza e di sicurezza. La situazione era considerata umiliante. La Russia,
pur entrata a far parte del Club occidentale - dal G8 al Consiglio Nato-Russia
- non ne faceva parte a pieno titolo. Non esercitava su di esso il
"condominio"con gli Usa, di cui pensava di
avere diritto. Forse, aspira anche oggi alla co-presidenza della "casa
comune europea", recentemente riproposta da Medvedev. Con l'arrivo al
potere di Putin e con la sua restaurazione "zarista" dell'ordine
interno e della potenza russa, le cose sono cambiate. La Russia ha ripreso
fiducia in se stessa ed ha rincominciato a svolgere una politica più assertiva
nelle sue immediate periferie ed anche a livello globale. Putin è stato abile.
Ha avuto anche fortuna. Ha potuto avvalersi degli alti prezzi del petrolio e
del gas, della dipendenza energetica dell'Europa e delle Repubbliche ex-sovietiche
e della "distrazione" degli Usa in Medio
Oriente. Ha privilegiato i rapporti bilaterali con i singoli Stati europei,
rendendone impossibile una politica comune nei riguardi della Russia. Oggi ne
esistono due. Quella dell'Italia e della Germania, che danno priorità alla
cooperazione sia economica che politica, anche nella persuasione che essa a
poco a poco essa trasformerà la Russia. E quella degli Stati centro-orientali
dell'Unione, del Regno Unito e della Svezia, che ritengono che la Russia stia
subendo una pericolosa involuzione autoritaria ed imperiale. Solo la leadership
americana può unificare tale due politiche. Non è sicuro, ma è l'unica a
poterlo fare. Con il cambio della presidenza russa - da Putin a Medvedev -
nulla è mutato nella strategia di Mosca. Il "presidente ombra" e
"l'ombra del presidente" sono in completa sintonia. Invece, l'arrivo
di Obama può segnare un cambiamento nella politica statunitense. L'entusiasmo
generale non è attenuato dal rischio che Washington possa accordarsi con Mosca
sulla testa degli europei. Continua in Europa l'aspettativa fideistica che
Obama riesca a "quadrare il cerchio", tutelando gli interessi
occidentali e - al tempo stesso - quelli russi. Anche Putin sembra persuaso che
possa farlo. Per dare maggiore credibilità alla sua politica della "mano
tesa", un anonimo alto esponente militare russo ha affermato - nello
stesso giorno del discorso di Putin - che Mosca sospenderà lo schieramento dei
missili nucleari a Kaliningrad, annunciato da Medvedev il 5 novembre, come
"benvenuto" ad Obama dopo la sua nomination. La decisione russa
sarebbe motivata dalla presunta volontà di Obama di dilazionare lo schieramento
del sistema antimissili, perchè inaffidabile e troppo costoso. Se sono rose,
fioriranno. La palla è ora in campo americano. Una risposta sarà forse data fra
una settimana a Monaco di Baviera, alla Werkunde 2009, principale appuntamento
annuale per discutere della sicurezza in Europa. In essa, il vicepresidente
americano Joe Biden potrebbe rendere note le decisioni di Obama sugli
antimissili e sulla ripresa del dialogo strategico fra gli USA e la Russia, in
particolare in tema di accordi per la riduzione degli armamenti nucleari e
convenzionali e per la sicurezza energetica dell'Europa. E' interessante notare
come l'apertura nei confronti di Obama è molto simile a quella che Putin aveva
fatto nel 2001 nei riguardi di Bush. Essa esprime - come allora - una visione
ben precisa del futuro geopolitica della Russia. Se Washington riconoscesse
quelli che Mosca considera i suoi interessi vitali in Europa, il Cremlino
sarebbe disponibile ad un'ampia collaborazione con gli USA ed i loro alleati
nei numerosi settori in cui sa che la Russia è indispensabile: dai rifornimenti
all'Afghanistan - compromessi dall'instabilità del Pakistan - al Medio Oriente;
dalla proliferazione nucleare alla sicurezza energetica; dall'ecologia alla
composizione dei conflitti "addormentati", tuttora esistenti nello
spazio ex-sovietico. Un dialogo fra Washington e Mosca è
facilitato sia dalla gravità della crisi finanziaria in Russia sia dalle
tensioni sorte in campo finanziario fra gli Usa e la Cina, illustrate dal professor Fortis sul Messaggero. Mosca ha sempre
temuto che i cinesi amino il mercato degli Usa, più di quanto
ne odino l'egemonia politico-strategica. Il loro spettro è
"Chimerica", cioè un'intesa strutturale fra la Cina e gli Usa. Va da sé che un accordo russo-americano sarebbe
particolarmente importante per paesi come l'Italia e la Germania, la cui
politica estera, anche economica, è basata su di un delicato equilibrio fra i
due paesi. Ne sarebbe anche favorevolmente influenzata la presidenza del G8,
che l'Italia ha nel 2009. Infatti, l'ingresso di Mosca in tale gruppo era stato
finalizzata - nel periodo della "luna di miele" fra l'Occidente e la
Russia - per prolungare ad Est la Nato, raccordarla con il Giappone, e per
costituire a più lungo termine un blocco dell'emisfero settentrionale. Se si
ritenesse irrealizzabile tale obiettivo la partecipazione di Mosca non avrebbe
senso. Sarebbe logico tornare al G7.
( da "Corriere del Veneto" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Corriere
del Veneto - VERONA - sezione: PRIMOPIANO - data: 2009-02-03 num: - pag: 2
categoria: REDAZIONALE Covre, l'eretico leghista «Non licenzio stranieri per assumere
italiani» La Lega: si rischia la rivolta contro il lavoro straniero Tosi: «Non
ce n'è per tutti» L'imprenditore, la crisi e i tempi che cambiano «Sono bravi e
mi ripagano, perché cambiarli?» Il sindaco di Verona, ma anche Cota e Manzato
Con tanti esuberi, impensabile continuare così» VENEZIA — «Licenziare gli
stranieri per salvare il posto agli italiani? E come faccio? Non posso mica
privarmene, ormai sono troppo preziosi: e chi ci metto sennò alla galvanica?».
Che a Bepi Covre piaccia inoltrarsi su strade solitarie, controcorrente, è cosa
nota perlomeno dalla metà degli anni Novanta. Da quando, cioè, nonostante lo
scranno a Montecitorio preferì rifuggire i propositi secessionisti del suo
Carroccio, conquistandosi l'amato appellativo di «eretico leghista».
Un'attitudine, quella al pensiero originale, che conferma pure ora che ha
lasciato il proscenio politico per dedicarsi alla sua azienda di Gorgo al
Monticano. Dove un dipendente, su quattro, è immigrato. «L'ideologia, in casi
come questi, bisogna metterla da parte. Comanda il buonsenso ». Lei crede che
gli operai del Lincolnshire potrebbero fare proseliti anche in Veneto, in un
dilagare di picchetti nazionalisti? «Io vedo che da più parti, in queste
settimane, si sta dando risalto alle diverse facce VERONA — Chissà come suona,
nella lingua della Regina, il celeberrimo slogan padano «paroni a casa nostra».
Perché, a ben guardare, non è forse questo quel che intendono i lavoratori
della raffineria di Grimsby quando gridano nella nebbia: «Il lavoro inglese
agli inglesi»? Via gli italiani ché stavolta, visti con gli occhi
d'Oltremanica, sono loro gli stranieri invasori col cartellino in mano. E i
leghisti, «dal punto di vista umano», capiscono. E avvertono: «Attenzione,
perché con la crisi succederà la stessa cosa in Veneto: sarà rivolta contro la
manodopera immigrata ». Lo dice il capogruppo alla Camera Roberto Cota, lo
ribadisce il vicegovernatore Franco Manzato, e lo conferma pure il sindaco di
Verona Flavio Tosi. Che propone una soluzione, radicale: «Bisogna applicare
fino in fondo la Bossi Fini. Se dopo sei mesi lo straniero non ha un lavoro, se
ne deve andare dall'Italia. Ci spiace, ma non ce n'è più per tutti». Per Tosi è
«inevitabile» che di questi tempi si scatenino tensioni tra veneti ed immigrati
fino ad oggi fianco a fianco in catena di montaggio: «L'imprenditore che si
trova a dover licenziare è costretto a fare delle scelte ed è chiaro che chi
lavora lì da una vita, è nato e cresciuto in questa terra, e prima ancora i
suoi genitori, giustamente si aspetta di godere di qualche riguardo in più
rispetto a chi è approdato in Veneto soltanto negli ultimi anni. Mi sembra una
cosa assolutamente normale». Per il sindaco scaligero alle tensioni che si
profilano all'orizzonte di un'unica medaglia. Non dicono forse la stessa cosa,
pur con sfumature diverse, l'onorevole Cota, che chiede una sospensione di
Schengen, il sindacalista Barbiero, che chiede di frenare i nuovi ingressi, ed
il nuovo presidente americano Obama, che lancia il motto "Buy american"?
La situazione è critica, ciascuno deve pensare per sé». Pensare per sé
significa pensare prima agli italiani? si può rispondere Flavio Tosi Se dopo
sei mesi non hai un contratto devi tornartene nel tuo paese «E' normale
chiudersi a riccio di fronte alle difficoltà, io gli operai inglesi li capisco.
Ma in Veneto, in questi anni, abbiamo fatto entrare migliaia e migliaia di
stranieri, che ora vivono e lavorano qui. E dobbiamo pensare anche a loro».
Stranieri chiamati a far lavori che i veneti non volevano fare più, a quel che
s'è sempre detto. E se adesso i nativi avessero cambiato idea, e pur di non
restare a casa fossero disposti a ridimensionare le loro pretese? «Gli
immigrati non sono venuti qui soltanto perché i veneti non volevano più fare
certi lavori, ma anche perché, ai bei tempi del boom, non si trovava manodopera
sufficiente a soddisfare tutta la domanda». Lei è un leghista e pure un
imprenditore: licenzierebbe uno straniero per salvare un italiano? «Ai miei
occhi i dipendenti sono tutti uguali, la pelle non fa alcuna differenza. Se
l'immigrato volesse tornare a casa, perché con la crisi non gli conviene più
star qui, potrei pensare ad un aiuto economico, un incentivo, soltanto in un
modo: «Potenziando la rete sociale chiamata a sostenere nell'immediato le
persone licenziate ed applicando fino in fondo la legge Bossi Fini, ossia
rispedendo a casa chi non ha un lavoro: se dopo sei mesi non hai un contratto
devi tornartene al tuo Paese. Semmai in un secondo tempo, e solo se ce ne
saranno le condizioni, potrai tornare in Italia ». Per Tosi a questa strada non
ci sono alternative: «Con le migliaia di esuberi che ci attendono è impensabile
riuscire a mantenere tutti. Sarebbe il definitivo collasso della spesa
pubblica». Si dice preoccupato anche il vicegovernatore del Veneto Franco
Manzato, che però non ritiene probabili veri e propri scioperi «anti stranieri»
come quelli messi in atto in Gran Bretagna: «Il nostro tessuto produttivo è
composto di piccole e medie imprese, scarsamente sindacalizzate, dunque credo sia
improbabile assistere a proteste organizzate su larga scala. Più facilmente vi
saranno tensioni localizzate, magari solo su quei singoli segmenti produttivi
dove più alta è la percentuale di occupati immigrati. Quel che è certo è che
nessuno, magari con la promessa di riprenderlo una volta passata la buriana. Ma
cacciarli, quello proprio no. In molti casi non me lo potrei nemmeno
permettere». in questo momento, è in grado di anticipare fino in fondo le conseguenze della prima vera crisi post globalizzazione, una cosa
mai vista prima». Nel Carroccio, ad ogni modo, è diffusa la convinzione che la
prima misura da attuare, almeno nel breve termine, sia la moratoria sui flussi
già In che senso? «Molti di questi ragazzi sono cresciuti con me, arrivati a
Gorgo per fare lavori di cui un ingegnere veneto non voleva neppure sentir
parlare. Hanno imparato e adesso sono bravi, ho investito su di loro e
loro mi hanno ripagato. Perché dovrei cacciarli? Per far posto a
quell'ingegnere che ora piange amaro?». E allora la soluzione qual è? ventilata
dal ministro dell'Interno Roberto Maroni: «Da tempi non sospetti sosteniamo la
necessità di porre un freno alla libera circolazione delle persone - afferma il
vice di Cota alla Camera, Luciano Dussin - L'ha fatto Zapatero in Spagna e
nessuno si è scandalizzato. Dobbiamo introdurre i dazi a \\ Bepi Covre Stiamo
smaltendo la sbornia della globalizzazione. Dobbiamo rallentare Il gestore A
Porto Levante la base della Adriatic Lng, gestore del rigassificatore
( da "Corriere della Sera" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Corriere
della Sera - MILANO - sezione: Tempo Libero - data: 2009-02-03 num: - pag: 17 categoria:
REDAZIONALE DEBUTTO La società liquida di Bauman Lo
stravolgimento della società e dei rapporti interpersonali, la globalizzazione
e la perdita di riferimenti. Il pensiero di Bauman, padre della teoria della
«modernità liquida» è al centro di «Zygmunt Bauman» (foto) in scena allo Spazio
Mil. Fino all'8/2. S. San Giovanni, via Granelli, e 15, h 21
( da "Corriere della Sera" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Corriere
della Sera - NAZIONALE - sezione: Prima Pagina - data: 2009-02-03 num: - pag: 1
autore: di BILL EMMOTT categoria: REDAZIONALE Proteste anti-italiani OPERAI, IL
CONTAGIO DEL PROTEZIONISMO è noto che l'attuale recessione è globale e colpisce
quasi tutti i Paesi. Di sicuro ne sta subendo gli effetti la parte ricca e
industrializzata del mondo: l'Europa occidentale, l'America del Nord e il
Giappone, e ovunque la disoccupazione è in crescita. è
perciò davvero deprimente, per un inglese favorevole alla globalizzazione, al
libero mercato e alla libertà di movimento delle persone, vedere operai inglesi
che scioperano contro lavoratori italiani impiegati in una raffineria francese
sulla costa orientale dell'Inghilterra. CONTINUA A PAGINA 6
( da "Corriere della Sera" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Corriere
della Sera - NAZIONALE - sezione: Primo Piano - data: 2009-02-03 num: - pag: 5
categoria: REDAZIONALE Il leader della sinistra Fiom (Cgil) «Quel sindacato
difende i lavoratori Guerra dei poveri voluta da Bruxelles» ROMA — «Quello che
sta avvenendo nel Lincolnshire è il frutto ultimo della
globalizzazione: una guerra tra poveri in un contesto di grave crisi
economica». Giorgio Cremaschi, leader della sinistra Fiom (metalmeccanici
iscritti alla Cgil), vorrebbe tanto dirlo che quelli come lui avevano avvertito
da tempo che il liberismo avrebbe portato a questo, ma poi si trattiene, perché
davanti alla guerra tra operai inglesi e operai italiani c'è poco da
essere soddisfatti. Gli inglesi accusano gli italiani di portar via loro il
lavoro. Non è un bello spettacolo, non trova? «Bisogna capire tutti i motivi
della protesta. Noi non conosciamo questa azienda italiana con sede a Siracusa
perché non è sindacalizzata, almeno dalla Fiom. E quindi non sono in grado di
dire se essa, nel Lincolnshire, applica condizioni tali da giustificare la
protesta dei lavoratori inglesi». In che senso? «Voglio dire che se gli operai
italiani venissero pagati di meno rispetto a quelli inglesi o avessero
condizioni contrattuali peggiori sarebbe giusta la lotta dei lavoratori
inglesi, anche se sono consapevole che sicuramente sotto la protesta ci sono
ragioni diverse tra loro». Quali? «Se operai altamente specializzati come
quelli che lavorano alle piattaforme petrolifere si fanno tra loro la guerra,
allora significa che lì stanno messi veramente male, che la crisi è arrivata
anche in alto. è la conseguenza di un processo di deindustrializzazione che nel
Regno Unito va avanti da molti anni. Ed è la conseguenza dell'avanzamento della
"cultura della Bolkestein"». Cioè? «Della cultura figlia di quella
direttiva europea sull'applicazione delle condizioni di lavoro del Paese
d'origine. Insomma, se si arriva al dumping sociale, è chiaro che le vittime
reagiscono». Fa impressione, però, che il sindacato inglese appoggi
manifestazioni contro i lavoratori italiani. «Bisogna vedere come stanno le
cose. Faccio un esempio. Se la Fiat decidesse di chiudere gli stabilimenti di
Pomigliano o di Termini Imerese per spostare queste produzioni in Polonia,
perché lì paga gli operai di meno, è chiaro che i nostri lavoratori
scenderebbero in piazza. E il sindacato non potrebbe far altro che stare con
loro». Ma qui il caso è diverso. Si tratta di un'azienda italiana che ha vinto
regolarmente una gara nel Regno Unito e, ciò nonostante, le si organizzano
contro manifestazioni e scioperi. «Il problema non è di essere contro gli
immigrati italiani, ma di lottare per l'eguaglianza delle condizioni di lavoro.
In questo senso, altro che contratto nazionale, ci vorrebbe un contratto
europeo che impedisse forme di concorrenza sleale. E invece in Italia, con
l'accordo sulle regole della contrattazione firmato da governo, imprese e Cisl
e Uil, si vuole andare verso il contratto aziendale. Ecco dove porta». Lasciamo
da parte la polemica sindacale e torniamo al punto. I cartelli issati dai
lavoratori dicono: «Posti di lavoro inglesi per lavoratori inglesi». «è una
frase del primo ministro Gordon Brown. Adesso leggo che anche il presidente
americano Barack Obama pensa a misure di protezionismo
per il settore dell'acciaio. Ma se poi succedono queste cose, non c'è da
stupirsi». Giorgio Cremaschi Enrico Marro
( da "Corriere della Sera" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Corriere
della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri - data: 2009-02-03 num: - pag: 16
categoria: REDAZIONALE La trasferta Tra Usa e Iran la
diplomazia del badminton *WASHINGTON — Con Teheran, anche l'Amministrazione Obama
ricomincia dallo sport. Proseguendo una tradizione americana, che data dai
tempi del ping-pong di Nixon con la Cina, una
delegazione di 12 persone (8 atlete, 4 dirigenti e allenatori) parte oggi per
l'Iran, dove parteciperà al torneo internazionale di badminton femminile, in
programma nella capitale iraniana dal 5 all'8 febbraio. E' il primo atto di
diplomazia sportiva dall'insediamento del nuovo presidente, che ha indicato
l'avvio di un dialogo diretto con il regime degli ayatollah come uno dei capisaldi
della sua nuova politica estera. Ma nel caso specifico, Obama segue un traccia
già aperta da George W. Bush, che sin dal 2006 aveva promosso questo genere di
iniziative. Trentadue atleti americani hanno infatti preso parte a
manifestazioni sportive di lotta, basket, ping-pong e pallanuoto in Iran negli
ultimi 2 anni, mentre 75 iraniani hanno fatto altrettanto in America. In più,
altri 200 tra artisti, accademici e medici persiani hanno partecipato a
programmi di scambio negli USA. Il Dipartimento di Stato ha dato molto risalto
alla notizia della visita della squadra di badminton, definita parte di una più
vasta iniziativa per approfondire i contatti fra i due popoli. Nelle prossime
settimane, il presidente Obama dovrebbe annunciare la nomina di Dennis Ross, ex
negoziatore di Bill Clinton in Medio Oriente, a inviato speciale per l'Iran.
Seguirebbe l'apertura ufficiale di un dialogo fra i due Paesi, che non hanno
relazioni diplomatiche dal 1979. Nel team Usa Eva Lee
P. Val.
( da "Tempo, Il" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
stampa
Medio oriente Obama: più truppe a Kabul Barack Obama è pronto ad inviare 15mila
soldati supplementari in Afghanistan. Si tratterebbe di due brigate da
combattimento, una dell'esercito ed una dei Marine, più una brigata di
istruttori per le forze di sicurezza afgane. Ieri il ministro della Difesa
americano, Robert Gates, lo stesso dell'amminsitrazione Bush ha illustrato al
presidente Barack Obama e al vicepresidente Joseph Biden, i piani per l'invio
delle nuove truppe in Afghanistan. Domenica, in una intervista alla Nbc, Obama
aveva ipotizzato il rientro entro un anno, di militari dall'Iraq. Un numero
«sostanziale» di ragazzi in divisa Usa sarà ritornato
in patria di qui a un anno, ha dichiarato Obama, intervistato dalla Nbc in
occasione della finalissima di football tra Steelers e Cardinals nello stadio
di Tampa in Florida per il Super Bowls. L'Afghanistan è diventata «la più
grande sfida militare per gli Stati Uniti», aveva detto Gates la scorsa
settimana alla Commissione Forze Armate del Senato pur osservando che la nuova
amministrazione democratica ha aspettative «realistiche e limitate» sul futuro
del paese. E proprio ieri i talebani hanno rivendicato un attacco suicida
contro un un commissariato di Tarin Kowt, capoluogo della provincia di Uruzgan,
nell'Afghanistan centro-meridionale. Il kamikaze, che aveva su di sè un
giubbotto esplosivo, per potersi avvicinare indisturbato si era camuffato
indossando una falsa divisa d'ordinanza: una volta entrato nell'ufficio, si è
fatto saltare in aria. Il bilancio ancora provvisorio è di 25 morti e diversi
feriti. Si tratta del peggiore attacco contro le forze governative avvenuto nel
Paese asiatico durante gli ultimi mesi. Il ministero della Difesa di Kabul ha
reso noto dal canto suo che nella stessa provincia sono frattanto stati
catturati altri tre aspiranti attentatori pronti a immolarsi. Sul fronte
diplomatico grande attività per il nuovo segretario di Stato Usa.
Hillary Clinton incontrerà oggi a Washington, il collega britannico, David
Miliband, e quello tedesco, Frank-Walter Steinmeir. Al centro dei colloqui,
secondo il portavoce, Robert Wood, Clinton discuterà con
gli omologhi in particolare del dossier iraniano e della situazione in
Afghanistan. Gli incontri si svolgeranno alla vigilia della riunione a Berlino
del gruppo 5+1 sull'Iran, cui partecipano i cinque membri permanenti del
Consiglio di sicurezza dell'Onu (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia,
Gran Bretagna) e la Germania.
( da "Virgilio Notizie" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Roma,
3 feb. (Apcom) - Per la protesta degli operai inglesi contro gli italiani
"più che di razzismo parlerei di un nazionalismo concorrenziale che nasce
dalla paura". Lo dice Fausto Bertinotti, intervistato da 'Repubblica'. I
lavoratori inglesi "sbagliano", avverte l'ex presidente della Camera,
ma "la classe dirigente europea ha una responsabilità storica in materia
di lavoro. C'è stata una contrazione di diritti, un rovesciamento dei principi
alla base delle Costituzioni democratiche, penso a quella francese, a quella
italiana". Bertinotti rivendica l'opposizione della
sinistra contro la direttiva Bolkestein, "è stata una battaglia contro la
cattiva globalizzazione", e propone ""un Piano del lavoro in
Europa per non dover mai scegliere, in futuro, tra l'operaio inglese e quello
italiano".
( da "Trend-online" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Banche
Centrali ancora all?opera FOREX, clicca qui per leggere la rassegna di Saverio
Berlinzani , 03.02.2009 08:21 Scopri le migliori azioni per fare trading questa
settimana!! Febbraio comincia ne più ne meno di come era finito il mese di
gennaio. L?avversione al rischio resta altissima, e si intravede solo qualche
sprazzo di luce in una situazione generale di buio e di paura. L?ism del
settore manifatturiero Usa, pubblicato ieri
pomeriggio, per un attimo ha rappresentato una speranza, essendo uscito
superiore alle attese, ma poi la realtà ha ripreso il sopravvento. 35.6 contro
il 32.9 del mese precedente (gennaio su dicembre) non significa poi questo
recupero e rimane il dato più basso dal 1982 ad eccezion fatta del numero
pubblicato proprio a dicembre 2008. La nuova amministrazione è impegnata su un
duplice fronte, cercare di impostare il piano di salvataggio dell?economia
nazionale da un lato, e impedire che la manipolazione valutaria possa
rinforzare il dollaro indiscriminatamente all?estero. Il nuovo Segretario al
Tesoro Geithner già in un paio di occasioni ha parlato di manipolazione quando
si è trattato di affrontare il tema della Cina e dello
Yuan ed ora, il 13 e 14 febbraio, in occasione del G7, cercherà di impedire ai
Giapponesi, che intanto minacciano interventi per indebolire lo Yen, di farlo.
Si entra quindi in una nuova era di discussioni, molto accese sicuramente e che
riguarderanno il mercato dei cambi, come sempre ai margini dell?interesse della
collettività, ma di grande interesse strategico per politici ed economisti.
Sulle valute, a nostro avviso, si giocheranno le prossime partite a livello
internazionale, in quanto la volontà unita alla necessità di svalutare di
alcune aree si scontrerà con la stessa necessità da parte di altre. Insomma,
tutti vogliono svalutare, ad eccezion fatta forse dell?Europa (che però ne
avrebbe bisogno quanto tutti gli altri), ma nessuno può farlo a scapito della
rivalutazione di qualcun altro. Ecco quindi che accanto ai Giapponesi ci segue
pagina >>
( da "WindPress.it" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
03-02-2009
Sei in: Home > Documentazione > Comunicati stampa > 2009 > Febbraio
> Cina: scomparso avvocato per i diritti
umaniContenuto della paginaCina: noto avvocato per i
diritti umani scomparso da due settimane e a rischio di tortura, denunciano tre
organizzazioni per i diritti umaniCS016: 03/02/2009Gao Zhisheng Hu JiaAmnesty
International, Human Rights Watch e Human Rights in China hanno sollecitato il
governo di Pechino a fornire immediatamente informazioni su Gao Zhisheng, noto
avvocato per i diritti umani, scomparso due settimane fa. Le tre organizzazioni
per i diritti umani temono che Gao possa subire torture e chiedono il suo
rilascio immediato. Gao era sotto costante sorveglianza di polizia insieme ai
suoi familiari da quando, nel 2006, era stato condannato per "incitamento
alla sovversione" con sospensione della pena. Le sue ultime notizie
risalgono al 19 gennaio. Secondo fonti attendibili, sarebbe stato arrestato
dalle forze di sicurezza e si troverebbe in stato di detenzione in un luogo
imprecisato. Giudicato nel 2001 tra i dieci migliori avvocati di tutta la Cina da una pubblicazione del ministero della Giustizia, Gao
un avvocato autodidatta che ha difeso le vittime di alcuni dei pi gravi e
controversi casi di violazioni dei diritti umani da parte della polizia e di
altri funzionari pubblici. Nel 2005 aveva scritto una serie di lettere al
presidente Hu Jintao e al premier Wen Jiabao, chiedendo la cessazione delle
torture ai danni dei praticanti del Falun Gong e la fine della persecuzione
contro i cristiani e gli attivisti per i diritti umani. Nel settembre 2007
aveva trascorso alcune settimane in carcere per aver
denunciato al Congresso Usa la situazione dei diritti umani in Cina. In
quell'occasione, era stato sottoposto a brutali torture: pestaggi, scariche
elettriche sui genitali, sigarette accese poste vicino agli occhi. Dopo il
rilascio, persone a lui vicine lo avevano descritto come "un uomo
distrutto", sia fisicamente che psicologicamente. Amnesty
International, Human Rights Watch e Human Rights in China hanno chiesto ai
governi e agli organismi intergovernativi di fare pressioni sul governo di
Pechino affinch garantisca l'incolumit di Gao Zhisheng e ne disponga il
rilascio il pi presto possibile. FINE DEL COMUNICATO Roma, 3 febbraio 2009 Per
ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste: Amnesty International
Italia - Ufficio stampa Tel. 06 4490224 - cell.348-6974361, e-mail
press@amnesty.it?EmailFacebookDeliciousMySpaceTechnoratiDiggMenu di
sezioneDocumentazioneComunicati stampaRapporto Annuale
2008ApprofondimentiPubblicazioniDona on-lineIscrivitiGiornate Amnesty 2008 5
per milleTutte le modalit per sostenerci...
( da "Famiglia Cristiana" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
di
Alberto Laggia - cultura@stpauls.it PROTAGONISTI INCONTRO CON SILVIA
PÉREZ-VITORIA, VINCITRICE DEL PREMIO NONINO LA TERRA CI SALVERÀ Negli anni
Sessanta, in America latina, scoprì che i contadini sono la classe più affamata
della Terra. Da allora si è appassionata alla loro causa ed è diventata una
studiosa militante. La sua visione del mondo è cambiata totalmente da quando,
negli anni Sessanta in America latina, ha toccato con mano una delle
contraddizioni sociali più terribili: vedere che i contadini, coloro cioè che
producono quanto serve per sfamarci, sono la classe più affamata della Terra.
Il dato della Fao (l?organizzazione delle Nazioni Unite per l?alimentazione e
l?agricoltura) non lascia dubbi: 630 sugli 850 milioni di persone che nel mondo
soffrono la fame fanno i coltivatori. Così Silvia Pérez-Vitoria, che abbiamo
incontrato a Udine dove ha ricevuto il Premio Nonino, ha iniziato ad
appassionarsi alla causa delle classi contadine, alla loro storia e alla loro
fine annunciata. Da qui è partito lo studio dei movimenti per l?occupazione
della terra come "Via Campesina", o i "Sem Terra"
brasiliani, fino al "Landless Movement" sudafricano, e il Soc, il
sindacato degli operai agrari, dell?Andalusia. E oggi, col suo nuovo libro Il
ritorno dei contadini, tradotto dal francese da Jaca Book, questa
studiosa-militante cerca di dimostrare che il nostro mondo avrà un futuro
soltanto se ce l?avranno coloro che coltivano la terra. «Le organizzazioni
contadine», spiega, «hanno formato nel tempo microsocietà con alta qualità di
vita, producendo una riflessione sulle forme alternative all?agricoltura
industriale e globalizzata. Sono nate vere e proprie università, come quelle in
Venezuela, dove si formano i contadini del domani partendo dal recupero dei saperi
antichi, mettendo in cattedra gli agricoltori». La tecnologia, l?avvento della
chimica e la globalizzazione, secondo la Pérez, sono fra le cause maggiori
dello sconvolgimento e del depauperamento della cultura contadina. «La
mondializzazione mette in concorrenza sleale contadini che hanno produttività
del tutto diverse da continente a continente». Per questo motivo, aggiunge,
bisognerebbe passare dal principio di "sicurezza alimentare" ? che
prevede anche l?importazione del 100 per cento delle derrate ? a quello di
"sovranità alimentare" che punta alla produzione interna del
fabbisogno. «La chimica è solo una delle soluzioni possibili, peraltro la più
inquinante. Sono ben 500 milioni nel mondo i braccianti e gli agricoltori che
non ricorrono a tecnologie industriali, perché non esistono soluzioni
tecnologiche applicabili ovunque, ma si deve sempre tener conto
dell?ecosistema». E per avvalorare la sua tesi, la Pérez cita un altro dato
ripreso da un rapporto della Fao del 2007: se tutta l?attività agricola mondiale
si convertisse in agricoltura biologica, abolendo perciò l?uso di prodotti
chimici, ogni abitante della Terra avrebbe tra 2.640 e 4.380 calorie al giorno
in più. «È solo un problema di rapporti politici di forza, perché tecnicamente
le soluzioni ci sono già tutte», commenta. «Le multinazionali sono "un
potere nel potere", ma non sono invulnerabili. Per esempio, in Francia le
lotte dei "Falciatori volontari" che tagliavano le piante Ogm hanno
scoraggiato la Monsanto (colosso multinazionale delle biotecnologie agrarie,
ndr) a investire ancora nel nostro Paese in prodotti transgenici». Una
questione che riguarda tutti L?agguerrita economista, infine, denuncia ad alta
voce quello che definisce «l?occultamento della questione contadina», cioè il
fatto che le problematiche agrarie siano scomparse dalle agende politiche dei
Governi nazionali e della Comunità europea. Nel frattempo, però, ci sono
segnali in controtendenza: «Vedo un ritorno alla terra da parte di tanti
giovani francesi.. Si parla molto di mercato equo-solidale, di prodotti
biologici, di slow food. Ma attenzione che non si tratti solo di mode. Sarebbe
sbagliato, ad esempio, favorire il commercio equo-solidale con i Paesi lontani
e non sostenere il contadino che vive nella fattoria vicino a noi». «Bisogna
capire», conclude, «che la questione contadina ci riguarda tutti: la nostra
alimentazione, il nostro ambiente e, in un futuro prossimo, il nostro stile di
vita e la nostra cultura. Ciò non significa diventare tutti contadini, ma
modificare l?aberrante nozione di sviluppo che fino a oggi ha pensato di
sbarazzarsi di chi coltiva la terra».
( da "Rai News 24" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Roma
| 3 febbraio 2009 Famiglia Cristiana: "Il recupero dei lefebvriani rischia
di appannare l'immagine della Chiesa cattolica" Il vescovo negazionista lefebvriano
"Il recupero degli scismatici lefebvriani (con un vescovo che nega
l'olocausto degli ebrei e preti che contestano l'esistenza delle camere a gas)
rischia di appannare l'immagine della Chiesa cattolica e del Vaticano II, cosi'
come la mano tesa alla Fraternita' di san Pio X avrebbe meritato ben altra
regia e comunicazione": lo scrive 'Famiglia Cristiana', nel suo editoriale
dedicato questa settimana al caso dei vescovi scismatici riammessi dal Papa e
alla attualita' del Concilio Vaticano II. Il settimanale dei Paolini richiama
quanto affermato dallo stesso Papa Benedetto XVI il 20 aprile 2005,
all'indomani dell'elezione: "I documenti conciliari non hanno perso di
attualita'; i loro insegnamenti si rivelano anzi particolarmente pertinenti in
rapporto alle nuove istanze della Chiesa e della presente societa' globalizzata". Famiglia Cristiana ricorda come la 'Gaudium
et spes' riaffermi 'la centralita' del lavoro, di valore superiore agli altri
elementi della vita economica, poiche' questi hanno solo valore di
strumento'". Cosi' come "e' attualissimo il richiamo che riserva ai
politici: 'I partiti devono promuovere cio' che e' richiesto dal bene
comune; mai e' lecito anteporre il proprio interesse a tale bene'".
"E a quanti" continua il settimanale, "per meschini calcoli
elettoralistici alimentano e cavalcano le ondate di xenofobia, il Concilio
ricorda: 'Ogni genere di discriminazione circa i diritti fondamentali della
persona, sia in campo sociale che culturale, in ragione del sesso, della razza,
del colore, della condizione sociale, della lingua o religione, deve essere
superato ed eliminato, come contrario al disegno di Dio'". ia.
( da "Affari Italiani (Online)" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Iran/
Lancia il primo satellite. Preoccupazione di Usa, Gb e
Francia Martedí 03.02.2009 16:50 Un comune impegno a fermare il programma nucleare
della Corea del nord è stato assicurato dal neopresidente americano, Barack
Obama, e dal collega sudcoreano, Lee Myung-ba, nel corso di un colloquio
telefonico di 15 minuti. Lo ha reso noto il portavoce della Casa Bianca, Robert
Gibbs, che ha sottolineato l'intenzione dei due Stati di
impegnarsi per aumenttare la collaborazione anche con gli altri Paesi impegnati
nei negoziati con Pyongyang, Russia, Cina e Giappone.
Obama ha anche confermato che a breve, probabilmente gia' a meta' febbraio, il
neo-segretario di Stato Hillary Clinton sara' a Seul in visita ufficiale.
Spettera' a lei affrontare lo spinoso problema del nucleare nordcoreano.
La telefonata fra i due leader, giunge in un momento di nuove tensioni nei
rapporti fra le due Coree. La settimana scorsa, Pyongyang ha annullato tutti
gli accordi firmati con Seul dopo l'avvio del processo di distensione,
accusando il governo conservatore sudcoreano di sabotare il dialogo con accuse
e provocazioni. Poco dopo il colloquio tra Obama e Lee, le intelligence di Seul
e Washington hanno avvertito che potrebbe essere imminente il test di un nuovo
missile balistico a lunga gittata da parte di Pyongyang. Il missile, un
Teepong-2 su cui possono essere montate testate nucleari, e' stato individuato
nei pressi della base di Dongchangri, costruita l'anno passato proprio per
testare missili intercontinentali. Pyongyang aveva gia' sperimentato un'arma
simile nel luglio 2006, ma il test falli' miseramente e il missile si
disintegro' pochi minuti dopo aver lasciato la piattaforma di lancio. < <
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( da "Affari Italiani (Online)" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Politica
Usa/ Dopo Guantanamo, la pena di morte. La nuova sfida
possibile(?) di Obama Martedí 03.02.2009 16:30 Difficile che Barack Obama affronti
il tema dell'abolizione della pena di morte a testa bassa. Ma la lobby
abolizionista negli Usa (un Paese che, dopo Cina, Iran e pochi altri regimi, conta il numero più alto di
giustiziati al mondo) guarda con fiducia alla Casa Bianca. Durante la campagna
elettorale, Obama ha parlato di pena di morte solo in un'occasione, nel giugno
scorso, quando la Corte Suprema stabilì che condannare qualcuno alla sentenza
capitale per lo stupro di un bimbo è incostituzionale. "Ho detto a
più riprese-disse in quell'occasione- che penso che la pena capitale dovrebbe
essere applicata in pochissime circostanze per i crimini più efferati".
"Io penso che lo stupro di un bimbo piccolo, di sei o otto anni, sia un
crimine atroce e che se uno Stato decide che, in limitate, ristrette, ben
definite circostanze, la pena di morte è applicabile almeno in via ipotetica,
questo non violi la nostra Costituzione". "Obama e la pena di morte?
Penso che cercherà di evitare la questione", liquida il tema Rob Warden,
che guida il Center on Wrongful Convictions alla Northwestern University School
of Law (l'osservatorio sulle sentenze sbagliate) istituito nella facoltaà di
legge di Chicago, la capitale dell'Illinois dove Obama ha a lungo vissuto.
"Ci sono troppi problemi pressanti: economia, relazioni internazionali,
Medio Oriente, Iraq e Iran e poi ancora Afghanistan e Pakistan. Obama ha gia'
troppe crisi da fronteggiare". In realtà a prescindere dalle sue
convinzioni, come presidente Obama non ha il potere di abolire la pena di morte,
ma potrebbe influenzare la riforma della giustizia penale e soprattutto le
decisioni sulla pena di morte attraverso le sue nomine alla Corte Suprema.
L'ultimo presidente Usa che rese pubblica la sua
avversione alla pena capitale fu Franklin D. Roosevelt. Quando era governatore
dell'Arkansans, Bill Clinton trasformò in ergastolo tutte le sentenze per gli
accusati nel 'braccio della morte', un gesto simbolico che pero' gli costò la
rielezione. E memore dello schiaffo, Clinton non tornò mai sulla questione da
presidente. Obama dietro le quinte GUARDA LA GALLERY Obama è un politico
"molto accorto, perfettamente consapevole che mostrarsi apertamente
contrario alla pena di morte gli avrebbe impedito di essere eletto", dice
Jennifer Bishop-Jenkins, in prima linea nel movimento abolizionista
statunitense. L'avvocato ricorda che, quando nel'Illinois si arrivò a una
riforma della legislazione in materia, Obama si mostroò defilato, ma fu poi
decisivo per l'inserimento di alcuni cambiamenti garantisti nello statuto per
le forze dell'ordine (per esempio, l'obbligo di registrare gli interrogatori
nei casi di omicidio). E lo statuto, che è stato poi adottato anche da altri
Stati, è attualmente considerato decisivo per evitare confessioni estorte. Da
quando la pena di morte è stata reintrodotta nel 1976, è stata utilizzato solo
per assassini e loro complici; e l'ultima persona giustiziata negli Usa senza essere stato condannato per omicidio risale al
1964. Ma gli abolizionisti si augurano che una presa di posizione, almeno a
livello morale, possa portare a un cambio di mentalita' del Paese, dove
peraltro i favorevoli alla pena di morte sono la grande maggioranza (il 65 per
cento, secondo un recente sondaggio): "Il successo politico di Barack è
vitale per riforme di lungo termine e di amplissimo raggio: lui ci deve
trasformare dalla nazione che siamo in quella che dovremmo essere. E deve
portare tutta la nostra nazione, troppo conservatrice, in un posto
migliore".
( da "Virgilio Notizie" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
(ASCA)
- Roma, 3 feb - ''Il recupero degli scismatici lefebvriani (con un vescovo che
nega l'olocausto degli ebrei e preti che contestano l'esistenza delle camere a
gas) rischia di appannare l'immagine della Chiesa cattolica e del Vaticano II,
cosi' come la mano tesa alla Fraternita' di san Pio X avrebbe meritato ben
altra regia e comunicazione''. E' quanto afferma l'editoriale del prossimo
numero di 'Famiglia Cristiana' dedicato all'attualita' e al valore del Concilio
Vaticano II. Una riflessione, quella sui seguaci di Lefebvre e sulla
riammissione dei vescovi scismatici che oggettivamente risuona critica nei confronti
del Vaticano. Significativo che in quest'ottica la lunga premessa alla
riflessione critica sia sul valore del Concilio Vaticano II, che e' ancora oggi
il punto di contrasto con i lefebvriani. E il titolo dell'editoriale appare
anche un'esortazione: ''Di fronte all'attuale crisi etica, sociale ed economica
del mondo la chiesa ha molto da dire sulla scia del Concilio''. '''Occorre
vigilare perche' non vengano usate formule che ci riportino indietro rispetto
al concilio Vaticano II'. Con un articolo apparso il 2 febbraio del 2008 su La
civilta' cattolica, il cardinale Carlo Maria Martini elencava -ricorda Famiglia
Cristiana- 'alcune cose da evitare' nel Sinodo dei vescovi convocato per
ottobre, e dedicato al tema La parola di Dio nella vita e nella missione della
Chiesa. Il richiamo del cardinale fu letto come una preoccupazione indirizzata
a quanti tendono a relegare il Concilio tra i reperti di un passato
ingombrante, da 'tradire' piu' che 'tradurre' nella complessa realta' del
nostro tempo. A questi 'affossatori' del Concilio, che cercano di arruolare
abusivamente nelle loro truppe anche papa Ratzinger, vale la pena ricordare le
parole che Benedetto XVI, appena eletto rivolse ai cardinali, il 20 aprile
2005, nella Cappella Sistina: 'Nell'accingermi al servizio che e' proprio del
successore di Pietro, voglio affermare con forza la decisa volonta' di
proseguire nell'impegno di attuazione del concilio Vaticano II, sulla scia dei
miei predecessori e in fedele continuita' con la bimillenaria tradizione della
Chiesa'. 'Col passare degli anni', proseguiva il Papa, 'i documenti conciliari
non hanno perso di attualita'; i loro insegnamenti si rivelano anzi
particolarmente pertinenti in rapporto alle nuove istanze
della Chiesa e della presente societa' globalizzata'. Nelle sue parole si
avvertiva l'eco del 'testamento spirituale' di Giovanni Paolo II: 'Stando sulla
soglia del terzo millennio in medio Ecclesiae, desidero esprimere gratitudine
allo Spirito Santo per il grande dono del concilio Vaticano II, al quale insieme
con l'intera Chiesa mi sento debitore. Sono convinto che ancora a lungo
sara' dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze che questo
Concilio del XX secolo ci ha elargito. Come vescovo che ha partecipato
all'evento conciliare dal primo all'ultimo giorno, desidero affidare questo
grande patrimonio a tutti coloro che sono e saranno in futuro chiamati a
realizzarlo'''. ''I documenti conciliari -prosegue il settimanale- non hanno
perso di attualita'; i loro insegnamenti si rivelano anzi particolarmente
pertinenti in rapporto alle nuove istanze della Chiesa e della presente
societa' globalizzata''. Famiglia Cristiana ricorda come la Gaudium et spes
riaffermi ''la centralita' del lavoro, ''di valore superiore agli altri
elementi della vita economica, poiche' questi hanno solo valore di
strumento''''. Cosi' come ''e' attualissimo il richiamo che riserva ai
politici: ''I partiti devono promuovere cio' che e' richiesto dal bene comune;
mai e' lecito anteporre il proprio interesse a tale bene''''. ''E a quanti''
continua il settimanale, ''per meschini calcoli elettoralistici alimentanoe
cavalcano le ondate di xenofobia, il Concilio ricorda: ''Ogni genere di
discriminazione circa i diritti fondamentali della persona, sia in campo
sociale che culturale, in ragione del sesso, della razza, del colore, della
condizione sociale, della lingua o religione, deve essere superato ed
eliminato, come contrario al disegno di Dio''''.
( da "AprileOnline.info" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Obama
e le guerre commerciali Domenico Moro, 02 febbraio 2009, 18:23 Economia Dietro
la retorica "universalistica" e "messianica" del discorso
d'insediamento del neopresidente si delinea il fermo proposito di far pagare la
crisi al resto del mondo, dopo averla scatenata con la pratica
dell'indebitamento, riaffermando una egemonia che però non ha più le basi
economiche di un cinquanta anni fa. Testimonianze concrete, l'atteggiamento
aggressivo nei confronti della Cina e il protezionismo
sul versante interno Nonostante lo sforzo di Obama di presentare al mondo il
volto morbido dell'egemonia americana, sulle questioni di fondo, quelle dei
rapporti economici, il suo esordio appare addirittura più aggressivo di quello
dell'amministrazione Bush. Molto preoccupante, a detta della maggior parte
degli analisti economici, è stata l'uscita la settimana
scorsa del nuovo ministro del Tesoro Usa, secondo il
quale la Cina si sarebbe resa colpevole di aver manipolato la sua valuta, lo
yuan renmimbi. La gravità dell'affermazione sta nel fatto che, secondo gli
accordi tra Usa e Cina, in caso di manipolazione valutaria, gli Usa si riterrebbero autorizzati ad introdurre dazi per le merci
importate dal paese estremo orientale. Da tempo gli Usa
premono affinché la Cina rivaluti la sua valuta, che,
a detta degli americani, è sottovalutata per facilitare le esportazioni cinesi.
Ma, mentre il precedente ministro del Tesoro, Paulson, preferiva assumere un
atteggiamento "morbido", che prevedeva una rivalutazione graduale nel
tempo, l'amministrazione Obama sembra meno disponibile a concedere dilazioni.
Inoltre, i primi passi di Obama sono caratterizzati dalla ripresa del
protezionismo, che per l'amministrazione repubblicana rappresentava una specie
di bestemmia economica. Infatti, il pacchetto di stimolo economico anticrisi di
oltre 800 miliardi di dollari che Obama presenterà al voto del Parlamento Usa è legato alla clausola del buy american, specialmente
rivolta contro le importazioni di acciaio. Mentre in precedenza l'applicazione
di tale norma era limitata alle spese per le autostrade, ora verrà estesa alle
forniture per tutti i lavori pubblici. Anche il sostegno finanziario
all'industria automobilistica Usa è diretto ai soli
produttori di Detroit, a proprietà Usa. E questo
sebbene case giapponesi e tedesche abbiamo molti impianti produttivi, specie
nel sud degli Usa, e sebbene ci siano casi di
prodotti, come la Toyota Sequoia, che hanno un contenuto americano dell'80%,
superiore ad esempio a quello della Patriot, prodotta dalla Chrysler, che,
sebbene considerata americanissima, è costruita con lavoro americano solo al
60%. Di fronte al protezionismo Usa si sono levate le
proteste di Ue, Australia e Canada. Di particolare interesse è stata la critica
che, a Davos, è stata rivolta agli Usa da Cina e Russia. Sia Wen Jintao che Putin hanno puntato
l'indice sulle responsabilità degli Usa nello scoppio
della crisi. Secondo Wen la crisi è stata causata da inappropriate scelte
macroeconomiche basate sul basso risparmio e sugli alti consumi, oltre che
sulla eccessiva espansione di istituzioni finanziare alla cieca ricerca di
profitto. Putin è stato ancora più diretto, sostenendo che la crescita globale
ha subito danni perché un unico centro regionale stampa moneta senza tregua e
consuma ricchezza materiale, mentre altri centri producono merci a buon
mercato. Una chiara allusione agli Usa che hanno
accumulato un enorme debito commerciale estero (specie con l'estremo oriente) e
lo finanziano stampando carta (dollari), contando sul fatto che il dollaro
ricopre il ruolo di moneta internazionale. Inoltre, gli Usa
finanziano con la vendita di titoli del tesoro in dollari anche il loro enorme
debito pubblico federale. Non a caso sia Wen che Putin rivendicano una migliore
regolazione delle varie valute di riserva e lo sviluppo di "molteplici
valute di riserva regionali in aggiunta al dollaro". Molto interessante è
stata anche la convergenza tra Cina e Germania, la cui
cancelliera Merkel oltre ad esprimersi contro il protezionismo Usa ha rivendicato per l'Onu anche un ruolo di supervisione
economica mondiale, con la costituzione di una sorta di Consiglio generale
economico. La direzione presa dall'amministrazione Obama sembra rivolta ad
accentuare la politica del passato, basata sull'ottenere finanziamenti dai
paesi con grandi surplus commerciali. Ricordiamo che i maggiori possessori di
titoli di stato Usa sono Giappone, Cina,
Brasile e Russia e che il tesoro Usa si appresta a
immettere sul mercato 2mila milardi di dollari in titoli di stato per
finanziare le enormi spese anticicliche. Solo che, a differenza del passato,
questo drenaggio finanziario, oltre ad aggravare la già pesante situazione di
squilibrio nei conti mondiali, non verrebbe neanche compensato con l'acquisto Usa delle merci dei paesi finanziatori. Per la Cina in particolare il protezionismo si concretizzerebbe in
una vera guerra commerciale. Ad esempio, suo è il 30% dell'acciaio importato
dagli Usa. Già oggi, inoltre, il Pil cinese è
decresciuto sensibilmente, e sono sempre di più gli operai che lasciano le zone
industriali per ritornare nelle campagne, con conseguenze estremamente pesanti
per lo sviluppo del Paese. Dietro la retorica "universalistica" e
"messianica" del discorso d'insediamento di Obama si delinea il fermo
proposito di far pagare la crisi al resto del mondo, dopo averla scatenata con
la pratica dell'indebitamento, riaffermando una egemonia che però non ha più le
basi economiche di un cinquanta anni fa, quando gli Usa
contavano da soli il 60% dell'export e il 50% del Pil mondiale. Guerre
commerciali e difesa ad oltranza del ruolo unico di valuta internazionale da
parte del dollaro non fanno presagire nulla di buono. Anche considerando che le
guerre commerciali ed il protezionismo storicamente non hanno mai favorito la
pace tra i Paesi.
( da "Stampa, La" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Ciclo
di conferenze (ore 18) per comprendere le origini, l'entità e la gravità dell'attuale
crisi globale. S'inizia lunedì 9 marzo, con «Le origini: finanza e
globalizzazione», con Mario Deaglio, docente ed economista. Il 16 è la volta de
«I mercati occidentali. La crisi dagli Usa
all'Europa», con Luca Paolazzi, direttore centro Studi Confindustria. Lunedì
23, «I mercati orientali. Bric, materie prime e petrolio», con Pierpaolo
Celeste, direttore Area Studi, Ricerche e Statistiche Ice, e Stefania Stafutti,
direttore Centro Alti Studi sulla Cina
Contemporanea. Si chiude il 30 con «Come si esce dalla crisi?», tavola rotonda
con Giovanni Bertolone, ad Alenia Aeronautica; Andrea Gavosto, direttore
Fondazione Agnelli e Giuseppe Roma, direttore generale Censis. Conduce gli
incontri Giuseppe Berta, storico dell'industria.
( da "AmericaOggi Online" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Spazio.
In orbita il primo satellite iraniano 04-02-2009 TEHERAN. L'Iran ha annunciato
ieri di avere messo in orbita il primo satellite interamente costruito nel
Paese, così come il missile che lo ha portato nello spazio. Un annuncio che ha
subito suscitato le preoccupazioni dell'Occidente per le possibili applicazioni
a scopi militari della tecnologia missilistica acquisita. "La presenza
ufficiale dell'Iran nello spazio è entrata nelle pagine della Storia", ha
detto il presidente Mahmud Ahmadinejad annunciando il lancio, che alcune ore
dopo è stato confermato da Washington. I responsabili iraniani del progetto
hanno detto che il satellite, denominato Omid' (Speranza), è stato portato
nello spazio da un vettore a due stadi, il Safir-2 (Ambasciatore-2). Il lancio
è avvenuto nei giorni in cui a Teheran si festeggia il trentesimo anniversario
della rivoluzione islamica e mentre permangono le preoccupazioni della comunità
internazionale per il programma nucleare della Repubblica islamica. Oggi in
Germania torneranno a riunirsi i sei Paesi che conducono il confronto con l'Iran su questo argomento: Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Germania e Francia. Ahmadinejad, che ha dato
personalmente l'ordine di lancio ripetendo per tre volte le parole Allah Akbar
(Dio è grande), ha negato ogni scopo militare. "Noi - ha affermato
Ahmadinejad, citato dall'agenzia Isna - usiamo la scienza al servizio della
pace, dell'amore, della fratellanza e del perfezionamento
dell'Umanità". La concezione che della scienza ha l'Iran, ha aggiunto,
"é basata sul monoteismo", mentre quella degli
"espansionisti" è "una concezione satanica". Il lancio è
avvenuto la notte scorsa. La televisione ha mostrato le immagini del missile
nel cielo notturno. Ma nessuna informazione è stata data sull'ubicazione della
base spaziale. Secondo i mezzi d'informazione di Teheran, il satellite è stato
lanciato a scopi di ricerca nel settore delle telecomunicazioni e sarà fatto
rientrare sulla Terra dopo un periodo fra uno e tre mesi. Fino ad allora
effettuerà 15 orbite ellittiche ogni 24 ore, ad un'altitudine fra i 250 e i
( da "AmericaOggi Online" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Politica
estera. Comincia dall'Oriente la sfida di Hillary Emanuele Riccardi 04-02-2009
WASHINGTON. Con l'Iran, si parte da Oriente: ed è con preoccupazione e
irritazione che gli Stati Uniti hanno reagito al lancio del satellite di
Teheran (vedi pagina 21). Ma non è questa l'unica sfida: dall'Iran si passa al
Kirzighistan, e poi dall'Afghanistan alla Cina e alla Corea del Nord, transitando per la Russia. Sono tutte ad
est le prime sfide internazionali cui deve rispondere l'Amministrazione Usa di Barack Obama e di Hillary Clinton. In pochissime ore, il
nuovo inquilino della Casa Bianca e il suo segretario di Stato sono stati messi
alla prova su alcuni dei fronti più caldi dell'attualità internazionale,
come se i loro nuovi interlocutori avessero voluto sperimentarne le capacità di
risposta alle crisi. In quest'ottica, non stupisce affatto la decisione che si
attribuisce alla Clinton di fare il suo primo viaggio, a metà febbraio, in
Oriente, iniziando dal Giappone, toccando poi Cina e
Corea del Sud. Storicamente si iniziava con l'Europa. In realtà è stato
cosìanche questa volta, ma a Washington il segretario di Stato ha ricevuto ieri
i colleghi di due tra i principali alleati europei, il britannico David
Miliband e il tedesco Frank-Walter Steinmeier, riaffermando i legami
transatlantici privilegiati. Giovedì toccherà al francese Bernard Kouchner. A
preoccupare gli Stati Uniti è soprattutto il lancio del satellite iraniano,
perché viene percepito come l'anticamera di un missile balistico in grado di
raggiungere l'Europa (e in futuro anche gli Usa). La
Clinton, la cui filosofia è quella dello 'smart power', il potere intelligente,
ha mantenuto la sua promessa nei confronti di Teheran, cioé più carota ma anche
più bastone. Da un lato il segretario di Stato ha confermato che gli Usa hanno "la mano tesa" verso l'Iran, ma il pugno
di Teheran "si deve aprire". Dall'altro, Hillary ha minacciato
Teheran di pesanti "conseguenze" se non rispetterà le risoluzioni Onu
contro il nucleare. La Casa Bianca ha fatto notare che il lancio del missile
non agevola la normalizzazione dei rapporti diplomatici. Preoccupa anche la
perdita delle basi in Kirzighistan, indispensabili per le operazioni in
Afghanistan: una perdita percepita, se non come una provocazione, almeno come
un test, costruito ad arte dalla Russia. Un fatto che si verifica proprio
quando gli Stati Uniti, come promesso da Obama in campagna elettorale, si
apprestano a mandare rinforzi in Afghanistan, tra i 10 e i 15 mila uomini.
Procedendo più ad Oriente, temendo un test missilistico della Corea del Nord,
gli Stati Uniti hanno messo le mani avanti: un test sarebbe una
"provocazione per Washington che si è detta "preoccupata" per le
attività balistiche di Pyongyang, come ha indicato il portavoce del
Dipartimento di Stato Robert Wood. Secondo indicazioni di intelligence, la
Corea del Nord, che ufficialmente ha rinunciato al nucleare militare in cambio
di aiuti energetici, si sta preparando al lancio di un missile
intercontinentale capace di montare una testata nucleare e in grado di
raggiungere l'Alaska o le coste occidentali degli Stati Uniti. La Cina, infine. Oltre all'influenza diretta che Pechino ha su
Pyongyang, il discorso è soprattutto economico. Il segretario al Tesoro Timothy
Geithner, che nei giorni scorsi aveva denunciato la politica dello yuan troppo
basso, ha telefonato al vicepremier cinese Wang Qishan. I due ministri si sono
impegnati a proseguire il dialogo tra i due Paesi sulle questioni economiche
"in questo momento difficile per l'economia mondiale".
( da "Stampa, La" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Evento
Da venerdì debutta il grande Expo "C'è Protezione"
a Caresanablot ALESSANDRO NASI CARESANABLOT Il polo fieristico di Caresanablot
ospiterà da venerdì una tre giorni dedicata al mondo della Protezione civile
intitolata «C'è Protezione». L'iniziativa, promossa dalla Provincia, è stata
realizzata dalla società «Expoblot Srl» in collaborazione con «Studio 60» di
Alessandria che gestiscono il centro fiere. «Si tratta di un vero e
proprio expo ideato per offrire ai cittadini un'ampia panoramica delle attività
realizzate attraverso momenti di incontro, confronto e spettacolo - spiega
l'assessore provinciale alla Protezione civile Francesco Zanotti in sede di
presentazione -. La gente ha fiducia in questa istituzione e così l'expo
diventa la testimonianza diretta e tangibile per i visitatori dei grandi progressi
che sono stati compiuti». La kermesse presenta un ricco programma di
appuntamenti che da venerdì a domenica coinvolgerà i visitatori di tutte le
età, con unità cinofile pronte all'intervento, elicotteri in volo per
operazioni di salvataggio, mezzi e uomini coordinati in simulazioni molto
realistiche e sommozzatori pronti all'immersione. Venerdì dalle 9 alle 12 più
di mille ragazzi provenienti dalle scuole elementari e medie del territorio
visiteranno la fiera con, alle 10, una dimostrazione pratica d'intervento dei
cani antidroga della Polizia penitenziaria di Asti, nucleo cinofilo. Dalle 15
alle 18 il nucleo Sommozzatori Fipsas «Massimo Fusetti» inscenerà una
simulazione di intervento in ambiente acquatico. Alle 19 verrà distribuita
gratuitamente polenta con vino e gorgonzola a cura del Coordinamento della
associazioni di volontariato della Protezione civile, a cui seguirà
l'intrattenimento musicale con la Fanfara Ana, sezione di Ivrea. La giornata di
sabato si presenta come la più ricca di appuntamenti. Nell'ottica di avvicinare
i ragazzi alla Protezione civile, la Provincia ha ottenuto la collaborazione
delle «Edizioni Whitelight» che, a partire dalle 9,15, distribuiranno agli
studenti delle scuole superiori un'agenda con consigli e semplici regole di
comportamento in situazioni di emergenza illustrate dalla mascotte «Salvo».
Inoltre, grazie alla mediazione di Angela White, terrà un incontro con i
ragazzi l'alpinista valsesiano Silvio «Gnaro» Mondinelli. Alle 10,30 si
svolgerà la cerimonia di inaugurazione della prima edizione di «C'è Protezione.
Salone della Protezione Civile e della sicurezza del cittadino» alla presenza
delle autorità. Alle 11,30 inizierà invece il workshop intitolato «L'influenza
dei lavori delle dotazioni di sicurezza stradale e di manutenzione
sull'economia territoriale. La sicurezza in itinere», organizzato da Anas e
Finco per dibattere sulla sicurezza stradale. Dalle 14 alle 18, dopo
l'accoglienza dei Lupetti Ana, si svolgeranno le esercitazioni congiunte degli
elicotteristi Vvf, dei Sommozzatori, delle Unità cinofile Vvf e del nucleo
Speleo Alpini Fluviale che simuleranno operazioni di salvataggio con
elicotteri. Alle 21, dopo la premiazione delle attività della Protezione
Civile, andrà in scena il grande spettacolo organizzato dalla «Sb
Communication». Maria Teresa Ruta presenterà la serata animata dal comico di
Zelig Raul Cremona, dalle performance del corpo di ballo dell'Arkhè Danza e,
come promesso dall'organizzatore Stefano Buscaglia, «da un altro ospite a
sorpresa, direttamente da Napoli». Seguiranno l'evento programmi televisivi di
Rai e Mediaset. Domenica dalle 10 alle 12,30 si svolgeranno le esercitazioni
pratiche del 118, della Croce Rossa, della Pat, dei Vigili del fuoco e delle
associazioni di volontariato della Protezione civile seguite, alle 12,30, dalla
distribuzione gratuita della panissa. Oltre al Tir interattivo della Regione
Piemonte con il sistema satellitare Emercomsat, verrà allestita un'area
multimediale con dirette web e una piscina per le simulazioni. Entusiasmo per
l'iniziativa da parte dell'amministratore delegato di «Expoblot» Ilenia
Piccioni: «La nostra società si è assunta una grande responsabilità nei
confronti di questo territorio e spero che con l'aiuto di tutti il polo
espositivo diventi uno strumento importante di sviluppo, di sinergie e di
comunicazione».
( da "Riformista, Il" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
La
crisi alimenta una "coincidentia oppositorum" La crisi alimenta una
"coincidentia oppositorum". A Davos "si predica" (bene):
lanciando l'allarme contro le protezioni nazionali (forse
non ancora divenute un vero e proprio indirizzo protezionistico), additando il
pericolo che si infreni il processo di globalizzazione, ipotizzando,
addirittura, l'istituzione, nell'Onu, di un Consiglio per la sicurezza
economica, proclamando il rilancio, da parte del Wto, del Doha Round, ma
poi nei singoli paesi - a opera o dei Governi o delle popolazioni - "si
razzola" (male) con gli slogan inglesi contro i lavoratori italiani (pour
cause approvati da esponenti della Lega), con il disegno di legge tedesco per
le nazionalizzazioni bancarie, senza coordinamento europeo, con il "buy
american" che tanto sta facendo discutere. Le nuove regole, il
rafforzamento della supervisione finanziaria, la riforma degli organismi
internazionali (Fondo monetario e Banca mondiale, prima ancora del Consiglio di
sicurezza), il maggiore coordinamento tra gli Stati sembrano ricordare la prima
parte delle relazioni internazionaliste nella sinistra di un tempo, che
partivano per es. dalla Namibia per atterrare, poi, sui problemi del quartiere,
unico tema all'ordine del giorno della discussione. L'incapacità, finora, di
conseguire soluzioni globali alimenta chiusure nazionali. E la percezione dei
gravissimi rischi di queste ultime è ancora debole. Altro che
"glocale". Al più, siamo al "lobale". L'Italia rappresenta
un caso a sé. Negli ultimi tempi, il Governo sostiene che la crisi deve essere
affrontata a livello europeo e internazionale. Preannuncia proposte per dar
vita a nuove giurisdizioni internazionali, per introdurre meccanismi di legal
standard, per combattere i centri off shore. Si smorza, però, l'approccio
globale quando - tra conti ignoti e assetto istituzionale incerto - si assegna
priorità al federalismo fiscale, che viene fatto assurgere a riforma di
struttura. Ritorna così la dimensione infranazionale. Ma non passa molto, ed ecco
una drastica manovra di accentramento: il Governo sottrae ai Comuni 1,5
miliardi derivanti dalle dismissioni immobiliari e si accinge a intervenire in
maniera pesante sulle risorse di pertinenza del Fondo sociale europeo,
assegnate alle Regioni. Nel contempo, si autorizzano i Comuni di Roma e di
Catania a derogare al Patto di stabilità interna. Centralizzazione contro
decentralizzazione, dopo aver promosso l'inverso. Quale sia la linea
dell'Esecutivo verso il basso (Regioni, Provincie e Comuni) e verso l'alto
(Europa, organismi internazionali) è difficile individuare, se non quella del
navigare a vista. Si risente di un generale disorientamento. E a esso il
Governo aggiunge un proprio impegno. E' la politica economica del wait and see
che non regge. Ci sono due occasioni in cui si potrebbe cominciare a mettere un
po' d'ordine. La discussione alla Camera del disegno di legge approvato dal
Senato sul federalismo fiscale e il G8 finanziario del 13 prossimo a Roma. Nel
primo caso, sarebbe necessario un sostanziale ripensamento per fare piena luce
sui costi, sulle connessioni, mancanti, con il più generale assetto
istituzionale della rappresentanza, sui tempi di attuazione. Ci sarebbe un
ampio spazio per il protagonismo dell'opposizione. Quanto al secondo evento, si
tratterà di dare alla riunione un taglio efficacemente decisionale su regole e
istituzioni, evitando che l'incontro si concluda con i soliti comunicati sullo
stile della Sibilla Cumana. Sarebbe importante che l'evento - che poi sarà
seguito dal G20 di aprile a Londra - fosse preceduto da un dibattito
parlamentare. Sarebbe l'occasione per un generale dibattito sulla politica
anticrisi. Un altro momento importante, per l'analisi dei profili
internazionali, sarà il convegno "Forex" del 21 febbraio a cui interverrà
Mario Draghi. Ma già in questa settimana si potrà tentare di dedurre la linea
di marcia del Governo dal modo in cui si risolveranno le questioni del sostegno
al settore auto e della regolamentazione dei Tremonti bond, che potranno essere
emessi dalle banche per la loro patrimonializzazione (il ministro, abbandonando
le citazioni dotte, ha detto, evocando le solanacee, che la disciplina sarà
"così o Pomì"). Tuttavia, è sul versante della politica economica e
istituzionale internazionale che è necessario agire con decisione. Non si può
sostenere che la causa della crisi è a livello globale, che è lì che bisogna
incidere e poi assumere una posizione di fatalistica attesa. Angelo De Mattia
04/02/2009
( da "marketpress.info" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Mercoledì
04 Febbraio 2009 PARLAMENTO EUROPEO: DIBATTITO IN AULA SU GUANTANAMO E CIA
Strasburgo, 4 febbraio 2009 - Nel corso del dibattito in Aula, tutti si sono
rallegrati per la decisione del Presidente Usa, Obama,
di chiudere Guantanamo. Opinioni discordanti si sono invece registrate
sull´opportunità o meno di accogliere i detenuti in Europa. Alcuni deputati
hanno inoltre chiesto di far luce sul ruolo dei governi europei nelle attività
della Cia sul territorio dell´Ue. Il Parlamento adotterà una risoluzione su
Guantanamo. Dichiarazione della Presidenza - Alexandr Vondra, dopo aver rilevato
le reiterate richieste del Parlamento affinché fosse chiuso Guantanamo, ha
accolto con favore la decisione in tal senso assunta dal Presidente Obama. Ha
quindi ricordato che il Consiglio ha discusso del modo in cui gli Stati membri
possono offrire la loro assistenza agli Usa e, in
particolare, della possibilità di accogliere ex detenuti di Guantanamo. Pur
concordando sull´opportunità di giungere a una risposta politica comune, ha
spiegato, l´eventuale azione europea coordinata solleva una serie di questioni
politiche, legali e di sicurezza che richiedono un ulteriore esame e il
coinvolgimento dei Ministri Ue della giustizia. Ha quindi assicurato che la
Presidenza seguirà da vicino la questione, tenendo informato il Parlamento
degli sviluppi. Apprezzando poi gli altri provvedimenti assunti da Obama, come
lo stop degli interrogatori "rafforzati", il Ministro ha rilevato che
consente un ulteriore rafforzamento della cooperazione tra l´Ue e gli Usa. Riguardo all´attività della Cia in Europa, ha
sottolineato che il Consiglio «ha sempre reiterato il suo impegno a combattere
il terrorismo ricorrendo a tutti i mezzi legali, poiché questo è una minaccia
al nostro sistema di valori fondati sullo Stato di diritto». Ricordando che
l´esistenza di prigioni segrete è contraria al diritto internazionale, ha
esortato a concentrarsi sul futuro, piuttosto che sul passato, alla luce della
nuova Presidenza Usa. Dichiarazione della Commissione
- Jacques Barrot ha dichiarato che la Commissione si compiace dei «chiari
mutamenti della politica americana», compresa «la maggior attenzione riservata
ai diritti umani, in particolare ai sospettati di atti di terrorismo». L´unione
europea aveva reiteratamente chiesto la chiusura di Guantanamo, ha aggiunto, e
la posta in gioco «non è unicamente il rispetto del diritto internazionale»,
poiché le detenzioni senza processo «giocano in favore dei gruppi terroristici
alla ricerca di nuovi affiliati». Ha quindi ricordato che, il 26 gennaio i
Ministri degli affari esteri hanno discusso di Guantanamo per trovare un´azione
concordata a livello Ue, rilevando che la questione di trovare «posti sicuri»
per i detenuti sarà esaminata, ma si tratta di un «tema delicato». Fino ad ora,
ha comunque osservato, gli Stati Uniti non hanno inviato richieste formali agli
Stati membri per accogliere i detenuti. Il 26 febbraio il Consiglio giustizia e
affari interni cercherà di trovare un approccio concertato a livello Ue ma, ha
sottolineato, spetterà agli Stati membri prendere decisioni, caso per caso.
Passando poi alla questione delle consegne da parte della Cia, Barrot ha
evidenziato la necessità di sconfiggere il terrorismo rispettando i diritti
umani, di stabilire la verità e, infine, di prevenire qualsiasi possibilità che
tali atti si ripetano. Ha quindi ricordato di aver richiesto informazioni ad
alcuni Stati membri, tra i quali la Polonia e la Romania, ma la responsabilità
di condurre indagini compete essenzialmente alle autorità nazionali e non
all´Ue. Interventi in nome dei gruppi politici - Hartmut Nassauer (Ppe/de, De)
ha riconosciuto che «motivi di umanità» nei confronti di persone che sono state
torturate, e che «hanno diritto alla nostra compassione», potrebbero
giustificare l´accoglienza dei detenuti di Guantanamo in Europa. Tuttavia, ha
sottolineato che occorre prendere in considerazione il fatto che molti di
questi detenuti sono o sono stati terroristi e che «noi abbiamo l´obbligo di
tutelare i cittadini europei da potenziali terroristi». Martin Schulz (Pse, De)
ha risposto all´oratore precedente sottolineando che la sicurezza è stata messa
in pericolo accettando che l´Amministrazione Bush agisse come ha fatto. Sarebbe
quindi un errore «lasciare solo» il nuovo Presidente Usa
che vuole cambiare direzione e ciò sarebbe in contraddizione con il ruolo dell´Ue
di diffondere i diritti fondamentali e i suoi valori nel mondo. Guantanamo, ha
aggiunto, «è un luogo di tortura e di vergogna, un simbolo che non si può
accettare». Ricordando poi che la Carta Ue dei diritti fondamentali sancisce
l´inviolabilità della dignità umana, ha sottolineato che tale principio «va
garantito anche a coloro che violano i nostri principi». E´ solo così, ha
concluso, «che possiamo contribuire alla sicurezza». Graham Watson (Alde/adle,
Uk) si è compiaciuto per l´elezione del Presidente Obama e delle decisioni
prese riguardo a Guantanamo e alle pratiche utilizzate nella lotta al
terrorismo. Rallegrandosi inoltre per l´assicurazione che l´America ha
disconosciuto le pratiche «squallide» come quella delle consegne straordinarie,
ha ricordato che l´Europa non può restarne fuori, in quanto troppi Stati membri
ne erano complici. L´atteggiamento individualista del 43° Presidente degli
Stati Uniti, ha aggiunto, «ha portato ad un fallimento». Sui prigionieri di
Guantanamo ha rilevato la necessità di una posizione coordinata a livello
europeo, sottolineando che l´Europa sbaglierebbe a negare l´eventuale richiesta
di aiuto americana. Konrad SzymaCski (Uen, Pl), rilevando che un detenuto
rilasciato su nove «è tornato a fare il terrorista», ha affermato che occorre
«tirar fuori i nostri cittadini», isolare quelli pericolosi e riformare la
Convenzione di Ginevra. Kathalijne Buitenweg (Verdi/ale, Nl) ha apprezzato gli
sforzi profusi per avere una risposta congiunta ed ha sottolineato che ci sono
altrei carceri, come quelli in Afghanistan, che dovrebbero essere chiuse. In
merito alle attività della Cia in Europa, ha sostenuto che «non si devono
chiudere gli occhi sul passato» per il solo fatto che è cambiato il Presidente Usa. Gabriele Zimmer (Gue/ngl, De) ha sottolineato che per
anni sono stati negati i diritti fondamentali e che ora si cerca di
ripristinarli, ma l´Europa esita. Occorre invece che parli con voce univoca e
che Guantanamo «serva da trampolino per altre azioni». Nils Lundgren (Ind/dem,
Se), lodando Obama per le sue inziative, ha sostenuto che i detenuti non
condannati hanno il diritto di non rimanere negli Usa,
ma l´Ue non è obbligata ad accoglierli. Interventi dei deputati italiani - Per
Claudio Fava (Pse, It), chiudendo Guantanamo «si permette di correggere un
vulnus che ha mortificato il diritto internazionale e che soprattutto non è
servito alla lotta contro il terrorismo». Ha però aggiunto che, oggi, «non
basta cogliere con favore la scelta di Obama» poiché è anche «il tempo delle
responsabilità . Che chiamano in causa anche l´Europa e gli Stati membri».
Guantanamo, ha spiegato, «è anche il frutto del silenzio dell´Europa ed è la
collaborazione di molti nostri governi con il sistema delle renditions». In
questi anni, ha aggiunto, «è accaduto che, da una parte, i nostri governi
dicevano che Guantanamo andava chiuso e, dall´altra, spedivano laggiù i
funzionari di polizia a interrogare i detenuti». Si tratta, ha insistito, «di
responsabilità negate quando questo Parlamento ha indagato, ma che sono state
ammesse e accertate negli ultimi due anni». In proposito, ha citato le scuse di
Blair per i voli Cia, le prove emerse sui sorvoli della Spagna e le ammissioni
del governo portoghese sul fatto che il governo dell´allora Primo Ministro
Barroso «sapeva e ha messo a disposizione aeroporti e cielo del Portogallo per
voli illegali della Cia». Si è quindi chiesto «e il diritto dei cittadini a
sapere?». Ha quindi osservato che in questi anni «abbiamo manifestato molta
buona volontà e molta ipocrisia, anche nelle parole mancate da parte del
Consiglio». Il Parlamento, ha quindi ricordato, «due anni fa ha rivolto 46
raccomandazioni al Consiglio: ci saremmo aspettati che di queste
raccomandazioni almeno qualcuna venisse presa nel dovuto esame». Jas Gawronski
(Ppe/de, It) si è rallegrato che la risoluzione riconosca l´opportunità per i
paesi europei di accettare i prigionieri di Guantanamo, dicendosi d´accordo con
i presidenti Schulz e Watson. Osservando poi che nella risoluzione si parla di
importanti cambiamenti nella politica americana rispetto alle leggi umanitarie,
ha sottolineato di vedere anch´egli «qualche cambiamento, certo di tono, ma
anche molta continuità con la politica dell´"odiato" Bush, visto che
Obama non ha abbandonato il programma di extraordinary renditions e delle
prigioni della Cia in territorio straniero», ponendo ciò all´attenzione della
Presidenza ceca «che sembra avere un´idea diversa». In proposito, ha affermato
che «gli entusiasti di Obama» potrebbero «presto soffrire qualche delusione».
«La propaganda antiamericana, già così attiva nella commissione Cia di due anni
fa - ha proseguito - ritorna nell´interrogazione orale sui voli della Cia in
Europa». Al riguardo ha evidenziato che in un considerando si denuncia
l´esistenza di una struttura segreta della Cia in Polonia. Cosa che, a suo
parere, «non dovrebbe scandalizzare», poiché «sarebbe semmai strano il
contrario». Ha quindi concluso sostenendo che ai firmatari dell´interrogazione
desse fastidio il fatto che tale struttura fosse segreta: «vorrebbero sempre
che i servizi segreti agissero senza segretezza, all´aperto, e che gli aerei
della Cia portassero "Cia" scritto sulle ali come fosse British
Airways o Air France». A suo parere però, «saranno delusi: neanche Obama
arriverà a questo». Per Marco Cappato (Alde/adle, It) «gli Stati Uniti hanno
creato il problema Guantanamo, un Presidente degli Stati Uniti si prepara a
risolverlo, dobbiamo sapere se l´Unione europea avrà una qualsiasi forza e
capacità di giocare un ruolo». A suo parere, infatti, «l´Unione europea deve
collaborare, i nostri Stati membri devono accogliere i prigionieri, come i
prigionieri uiguri ad esempio, senza sottostare alle pressioni della Cina». «Se non facciamo questo», ha ammonito, «rischiamo di
essere irrilevanti anche nella fase della chiusura di Guantanamo». Ha poi
aggiunto che ciò «può essere l´inizio di un nuovo lavoro per l´emersione della
verità, delle responsabilità dei nostri governi nazionali ? il governo
portoghese, per esempio, quando era presidente Barroso ? rispetto al fatto che
sia stata lasciata cadere la proposta di esilio a Saddam Hussein, proposta che
era l´unica alternativa alla guerra e che i nostri governi, insieme a quello
degli Stati Uniti, hanno lasciato cadere». . <<BACK
( da "Unita, L'" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Un
fondo europeo per sostenere i lavoratori in difficoltà La proposta di
rilanciare e di rifinanziare (fino a un miliardo di euro) strumenti comuni di sostegno
al reddito di chi è senza lavoro, indicando linee di governo della crisi La
difficile situazione economica e produttiva in atto imporrebbe uno sforzo
aggiuntivo da parte dell'Italia, sulla falsariga di altri Paesi che stanno
stanziando molte più risorse finanziarie rispetto a quelle annunciate dal
Governo italiano. Del resto non ci sono alternative se si vuole imprimere un
cambiamento decisivo all'attuale fase, mettendo in campo un piano anti-crisi
capace di rilanciare strutturalmente l'economia e di sostenere l'occupazione.
Un piano serio e non giochi di prestigio, come quelli ipotizzati dall'esecutivo
circa l'utilizzo dei Fondi europei destinati alla formazione (Fse). Obiettivi.
Questo sforzo aggiuntivo è ciò che stiamo proponendo anche in Europa con la
proposta, che abbiamo avanzato come Pd, di rilanciare il
Fondo di adeguamento alla globalizzazione, ampliandone funzione ed obiettivi.
Il Fondo, nato dall'utilizzo di residui di bilancio, aveva come obiettivo la
protezione dei lavoratori nelle procedure di riduzione del personale
determinate dallo spostamento di produzione nei Paesi emergenti. Pur a
distanza di così poco tempo dalla sua introduzione, la Commissione europea ha
già capito che occorre modificare il regolamento ampliando la durata del sostegno
ai lavoratori (da un anno a due anni), aumentando l'ammissibilità (abbassando
la soglia da mille a cinquecento lavoratori), elevando il contributo
finanziario (con la parte a carico dello stato che si riduce dal 50 al 25%).
Inclusione. Ha capito anche che occorre includere nel sostegno i lavoratori che
subiscono le conseguenze della crisi economica e finanziaria, e non limitarsi a
coloro che perdono il posto di lavoro. Ma non basta farlo secondo quanto
indicato dalla Commissione. Innanzitutto non basta farlo in via temporanea ed
eccezionale. Non stiamo parlando, infatti, della flessibilità del Patto di
stabilità e di crescita. E dobbiamo essere chiari: non si possono più escludere
le dinamiche intracomunitarie. Sarebbe dannosissima miopia. Bisogna cambiare la
ragione sociale del Fondo. Dobbiamo far diventare questo strumento un vero
propulsore di politiche attive del lavoro. Sostenibile. Rispettando il
principio di sussidiarietà e le competenze degli stati, occorre dotarsi di un
Fondo comune, con risorse adeguate, che regoli non solo le condizioni per la
richiesta del sostegno, ma contenga anche vere e proprie linee guida comuni,
per una governance economica in grado di orientare la gestione della crisi e di
imprimere i necessari cambiamenti, all'insegna dello sviluppo socialmente ed
ambientalmente sostenibile. Sulla base di tutto questo abbiamo proposto che il
Fondo venga dotato di maggiori risorse finanziarie (un miliardo di euro
rispetto ai 500 milioni attuali). Riteniamo che per tale strada sia possibile
inaugurare, finalmente, un'idea più concreta di Europa sociale capace, con il
concorso dei singoli Paesi, di fornire una risposta europea alla crisi. Sarebbe
un modo questo anche per avvicinare maggiormente l'Europa ai cittadini,
rendendo evidente le opportunità e le convenienze che sono insite in politiche
europee innovative, all'altezza della fase che stiamo attraversando.
( da "Manifesto, Il" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
AIUTI
DI STATO Solo a chi compra francese Sarkozy «l'europeo» vira sul protezionismo
Anna Maria Merlo PARIGI. L'articolo nascosto nelle 650 pagine del piano di
rilancio da più di 800 miliardi di dollari, di Barak Obama, che suggerisce di
«comprare americano». Condiziona infatti gli aiuti pubblici per le società di
costruzione all'acquisto di acciaio e ferro made in Usa,
e sta sollevando forti reazioni nel mondo. La clausola, che ha ricevuto
l'appoggio del sindacato Afl-Cio, già approvata alla Camera, potrebbe essere
estesa dal Senato ad altri settori. Il Canada, che esporta il 40% del proprio
acciaio negli Usa, ha espresso «viva preoccupazione».
L'Unione europea è scesa in campo. «Non rimarremo con le mani in mano», ha
annunciato la Commissione, ricordando che esistono delle regole internazionali
che permettono ricorsi giudiziari contro chi le contravviene. L'Italia ha già
minacciato di appellarsi alla Wto. Angela Merkel ha telefonato ieri a Obama:
«dobbiamo evitare il protezionismo», ha affermato la cancelliera. «Il
protezionismo è una cattiva risposta» alla crisi, spiega la Germania, primo
paese esportatore mondiale, che non a caso conta tra le proprie industrie
alcuni colossi dell'acciaio. L'ambasciatore dell'Unione europea a Washington,
John Bruton, ha inviato delle lettere all'amministrazione Usa
- tra l'altro, anche alla segretaria di stato Hillary Clinton e al segretario
al tesoro, Timothy Geithner - per ricordare che gli Usa,
assieme a molti altri paesi, si sono impegnati a non fare ricorso a misure
protezionistiche al vertice di Washington il 15 novembre scorso. Per John
Bruton, se non viene rispettato questo impegno, c'è il «rischio di far entrare
il mondo in una spirale protezionista che non può che aggravare la situazone
delle nostre economie». Bruton ha evocato la possibilità di «una guerra
commerciale»: prevedendo che «avrete meno, molto meno rilancio come effetto del
vostro piano. Non ha nessun senso economico». A Davos, il direttore generale
della Wto, Pascal Lamy, ha espresso la propria inquietudine per eventuali
derive protezioniste. Ministri e finanzieri l'hanno raggiunto su questo punto,
ma con sfumature diverse. In particolare, ha fatto scalpore una frase della
ministra francese dell'economia, Christine Lagarde, peraltro fin qui conosciuta
come una ultra-liberista: «il protezionismo è un male necessario» nel quadro
del piano di rilancio, ha affermato. Lagarde considera che delle misure
pritezioniste possono essere prese, perché «il piano di rilancio impegna soldi
dei contribuenti e i governi devono assicurare che siano impiegati
nell'interesse dei contribuenti». Per Lagarde l'unica clausola è che devono
avere «un carattere temporaneo»: le misure protezioniste «sono cattive in sé,
ma possono essere necessarie quando intervengono in modo concertato dappertutto
nel mondo». Lagarde difende qui delle clausole contenute nel piano di rilancio
francese. Sarkozy ha infatti condizionato gli aiuti all'industria
automobilistica alla «contropartita» di non delocalizzare la produzione fuori
di Francia; e potrebbe chiedere anche di «comprare francese» per quanto
riguarda la componentistica. Il fronte europeo, così, manda i primi segnali di
sfaldamento. Ancora prima dell'acciaio Usa, il
protezionsimo già serpeggiava nel mondo. A parte i diritti di dogana triplicati
per il roquefort francese - ultima decisoone dell'amministrazione Bush - la
Russia ha aumentato le barriere per l'import di auto; e ci sono state misure
protezioniste in Indonesia, India, Argentina, Ecuador. Nei fatti, però, il protezionismo più rischioso è quello della svalutazione
monetaria: il costo del lavoro è 20 volte meno elevato in Cina che in Europa, ma è già molto più alto in India, malgrado situazioni
abbastanza comparabili. E qui non ha tutti i torti Obama nel protestare con
Pechino e chiedere una rivalutazione dello yuan.
( da "Sole 24 Ore, Il" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Il
Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-02-04 - pag: 8 autore: Le ricette per il
rilancio. Tassi ai minimi, maxi-pacchetto fiscale e deprezzamento della valuta
L'Australia usa tutte le armi anti-recessione Fabrizio Galimberti MELBOURNE
Glenn Stevens, il Governatore della Reserve Bank australiana, disse qualche
anno fa (quando non era ancora Governatore) che quando una Banca centrale deve
decidere qualcosa deve chiedersi: «Quale mossa, fra quelle che potrei fare, è
quella di cui potrei maggiormente pentirmi?». A giudicare dai quattro punti di
riduzione dei tassi-guida in pochi mesi (incluso il punto deciso ieri), la
mossa della quale avrebbe potuto maggiormentepentirsi sarebbe stata quella di
non aver tagliato abbastanza il costo del denaro. E il cash rate è arrivato
così al 3,25%, il livello più basso dai primi anni Sessanta. La politica
monetaria è passata all'"avanti tutta" con maggior fortuna che in
altri Paesi, nel senso che le riduzioni dei tassi-guida sono state trasmesse
lungo la filiera del costo del danaro, e i tassi per famiglie e imprese ne
hanno beneficiato per la quasi totalità. Ha certo aiutato il fatto che il
sistema finanziario australiano si è rivelato più solido che altrove, senza
troppa zavorra da titoli tossici. Sia in Europa che negli Stati Uniti, invece,
l'allentamento della politica monetaria ha avuto molte difficoltà a filtrare
nei tassi attivi delle banche. Ma non è solo la politica monetaria a essersi
immessa nella corsia del rilancio. La politica di bilancio si è potuta
permettere una manovra espansiva pari al 3,5-4% del Pil grazie all'ottima
posizione di partenza: un surplus di bilancio strutturale, un debito pubblico
lordo di solo il 14% del Pil (e un debito netto addirittura negativo). I
surplus sono fatti per essere spesi quando la patria ha bisogno, e il Governo
australiano non si è fatto pregare: un avanzo di bilancio del 2% del Pil nel
2008 diventerà un deficit nel 2009 e ancora per qualche anno questo deficit
resterà al 2% del Pil. E la politica valutaria? Più che una politica, è una
constatazione, dato che la moneta di un Paese come l'Australia è alla mercé dei
mercati internazionali. Ma anche qui gli andamenti sono di supporto
all'economia: il dollaro australiano si è pesantemente svalutato, a causa dei
prezzi in calo delle materie prime e dei massicci ribassi dei tassi. Questo
tris espansivo - moneta, bilancio, valuta - non eviterà all'economia
australiana un forte rallentamento, ma almeno, se le cose non peggiorano,
eviterà la recessione. Il Pil dovrebbe crescere dell'1% circa quest'anno.
L'Australia in teoria avrebbe potuto essere colpita ancor più duramente dalla
crisi: come Paese grande produttore di materie prime, e con i grandi clienti - Cina e Giappone - in difficoltà, l'economia australiana era fra le
più esposte. Ma l'ottima gestione macroeconomica degli ultimi lustri ha
permesso di metter da parte polpose riserve:l'alto livello dei tassi e dei
surplus di bilancio hanno permesso di far scendere gli uni e gli altri senza
perdere la fiducia dei mercati. fabrizio@bigpond.net.au MOSSA AGGRESSIVA
La Banca centrale ha ridotto il costo del denaro di un punto portandolo al
3,25%, il livello più basso dagli anni 60
( da "Sole 24 Ore, Il" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Il
Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-02-04 - pag: 11 autore: In orbita il primo
satellite degli ayatollah L'Iran ha annunciato di avere messo in orbita il
primo satellite interamente costruito nel Paese, così come il vettore che lo ha
portato nello spazio. Un annuncio che ha subito suscitato le preoccupazioni
dell'Occidente e degli Usa per le possibili
applicazioni a scopi militari della tecnologia missilistica acquisita. Il
lancio è stato confermato da Washington. Il satellite Omid (Speranza) è stato
trasportato da un vettore a due stadi, il Safir-2 (Ambasciatore-2). Oggi in Germania torneranno a riunirsi i sei Paesi che conducono
il confronto con l'Iran sul nucleare: Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Germania e Francia. Secondo una fonte Nato i
missili iraniani potrebbero colpire una parte dell'Europa Sud-orientale e
Israele ( nella foto,il Safir-2 e il satellite Omid prima del lancio). ANSA
( da "Sole 24 Ore, Il" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Il
Sole-24 Ore sezione: COMMENTI E INCHIESTE data: 2009-02-04 - pag: 12 autore:
MERCATI E MERCANTI ... De-globalizzare la finanza? Errore
da evitare A parole, la lezione degli anni 30 è chiara a tutti: il protezionismo americano, e le ritorsioni degli altri Paesi, trasformarono la
crisi finanziaria degli Stati Uniti nella Grande Depressione globale durata un
decennio. Nei fatti, le cronache di questi giorni ci dicono che il messaggio
non è così semplice da accettare sotto i morsi della recessione. Sotto i
riflettori, le clausole Buy American nel pacchetto di stimolo fiscale
dell'amministrazione Obama, e le proteste dei lavoratori inglesi contro
l'"importazione" d'italiani. Sul fronte del commercio e persino del
libero movimento di persone nell'Unione Europea, quindi, le truppe del protezionismo sono già in marcia. Si potrebbe aggiungere la
lunga lista di misure elencate nel primo rapporto Wto sulle restrizioni ai
commerci adottate subito dopo l'impegno del G-
( da "Corriere del Veneto" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Corriere
del Veneto - VERONA - sezione: REGIONE - data: 2009-02-04 num: - pag: 8
categoria: REDAZIONALE Le imprese venete si schierano «Sì agli stranieri,
protezionisti mai» Crisi e mercato del lavoro, monito (con accuse) alla
politica VENEZIA — Il mondo imprenditoriale veneto risponde alle bordate
leghiste e - in parte - sindacali con un coro di no. Alessandro Vardanega,
presidente di Unindustria Treviso, e Mario Moretti Polegato, presidente di
Geox, non hanno dubbi. Bocciano il «protezionismo» e
rispediscono al mittente l'ipotesi di stop agli ingressi di nuovi stranieri per
due anni, ventilata dal ministro dell'Interno Roberto Maroni, per tutelare i
lavoratori italiani in questo periodo di crisi del Paese. Ma, soprattutto, non
ritengono che nel Veneto esistano i presupposti per assistere a una «rivolta»
di operai nei confronti di colleghi che provengono da altre nazioni. Vardanega
sostiene che la globalizzazione, nel mercato del lavoro,
non sia affatto un fallimento, mentre avanza seri dubbi, anche in virtù dei
recenti accadimenti a sfondo giudiziario, sulla globalizzazione finanziaria che
si è sviluppata senza regole. Moretti Polegato, reduce dal vertice di Davos
(Svizzera), assicura che tutti i Paesi del mondo hanno manifestato in quella
sede la volontà di far decollare il progetto di mondializzazione nato
qualche anno fa. Ma, commenta, «questa realtà economica e geopolitica ha preso
in contropiede la politica di molti Paesi, Italia compresa». Il nodo, se
vogliamo, sta proprio qui: le risposte della politica a un mondo in continua
evoluzione. Vardanega, presidente di Unindustria nella patria della Lega (il
partito che vuole essere forza di lotta e di governo), lascia intendere che il
campanilismo non ha più senso e alza il tiro verso l'esecutivo Berlusconi,
accusandolo di «fare meno rispetto ad altri governi, come quelli francese e
tedesco». Lo supporta, nel giudizio, anche Moretti Polegato, affermando senza
mezzi termini che «la politica è rimasta indietro» e che, proprio per questo
«deve accelerare il proprio processo culturale per essere all'altezza dei
tempi». Insomma, il messaggio del mondo imprenditoriale è chiaro: con la
politica protezionistica si torna indietro. E l'industria, pur consapevole del
periodo di crisi, vuole guardare - e andare - avanti.
( da "Corriere della Sera" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Corriere
della Sera - NAZIONALE - sezione: Primo Piano - data: 2009-02-04 num: - pag: 11
autore: di DARIO DI VICO categoria: REDAZIONALE Passera: aiutare la crescita fa
bene anche ai conti pubblici «Sì ai Tremonti bond». «Riforme, ha ragione Ichino
sul contratto unico» MILANO - Un lettore canadese ha raccontato al Financial
Times di aver suggerito a sua nipote di 8 anni di portare in banca i 250
dollari messi assieme tra regali e mance. Ma la bambina lo ha freddato con una
risposta secca: "No, nonno. Non ho fiducia nelle banche". Racconto la
storiella a Corrado Passera di ritorno da Davos e gli chiedo da dove debbano
ripartire banche e capitalismo. «Dalla responsabilità di cooperare per il bene
comune» è la risposta. «Democrazia e capitalismo sono una conquista della
nostra civiltà occidentale. Il nostro modello economico, che ha permesso
l'uscita dalla miseria di miliardi di uomini e donne, perché ha saputo
evolversi di continuo. Ora deve imparare dai suoi più recenti errori, evitare
gli eccessi e diminuire le ingiustizie ». Vista così, la crisi è persino una
grande occasione per toglierci di dosso quella che Passera chiama «l'ultima
ideologia». Il mercato è un formidabile strumento ma parecchi dogmi sono
caduti: la somma degli interessi individuali non porta sempre al bene comune,
il gioco di domanda e offerta non sempre porta a prezzi significativi, la
concorrenza non sempre porta all'equilibrio ma, anzi, - se non regolata - porta
a bolle dove pochi guadagnano tanto e tanti perdono tutto. «Detto questo
dobbiamo lavorare a un capitalismo più giusto e responsabile. La Storia non è
finita nemmeno questa volta». Si riparte da un mondo che a Davos si è mostrato
multipolare come non mai. Benvenuto, dunque, Mr. Obama, gli Usa continueranno
ad avere un ruolo prioritario con il loro 19% del Pil del globo, «ma senza
coinvolgere Cina, India e Russia non lo si governa ». Il G8 andrà in pensione e
verrà sostituito probabilmente dal G20. «Il rammarico è che anche al Forum
l'Europa è parsa disunita, debole, non all'altezza del ruolo che potrebbe
avere. Gli orizzonti strategici si ampliano e la Ue purtroppo gioca solo di
rimessa, nonostante tutti riconoscano che il modello europeo, mercato più
tutela sociale, sia la via da seguire». Capitalismo responsabile non è per
Passera «una contraddizione in termini». Anzi, «è una
proposta per governare modernità e globalizzazione. Chi pensa che la
globalizzazione vada fermata per superare la crisi, sbaglia di grosso. Anzi, se
vogliamo ricostruire la fiducia a livello planetario, dobbiamo chiudere in
tempi brevissimi il Doha Round». La peggiore delle cure sarebbe il protezionismo: già una volta ha gettato il mondo nella Depressione. Chi
ne parla sembra dimenticare che le nostre migliori aziende dipendono per oltre
il 50% dalle esportazioni. L'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo pensa
che avere un manifatturiero ampio e diffuso «sia una benedizione» e chi voleva
superarlo per crescere solo nei servizi «aveva evidentemente torto». Lo
dimostra la storia della Total di Grimsby. Gli inglesi hanno rinunciato alla
loro industria e sono costretti a dar lavoro alle aziende straniere
specializzate. «Noi dovremmo valorizzare il manifatturiero competitivo: dare
risorse e agevolazioni a chi investe nella propria azienda, la
internazionalizza e magari la fonde con un'altra». Ma, obietto, un capitalismo
responsabile che si ricandida a guidare il mondo ha bisogno di una classe
dirigente capace di visione e in possesso di un'etica personale e pubblica.
Invece le cronache sono piene di fatcats, di manager ingrassati a colpi di
bonus miliardari e insensibili al bene comune. «Soprattutto nei paesi
anglosassoni - risponde Passera - i sistemi di governance, tanto adulati dagli
aedi di casa nostra, hanno creato sistemi di retribuzione abnormi che hanno
esasperato l'orientamento al brevissimo termine ed esclusivamente al cosiddetto
shareholders value. E' una stagione finita, certi comportamenti sono stati
giustamente cancellati». Ma le stock option le avete copiate anche in Italia e
anche lei ne ha usufruito. «Le stock option sono uno strumento utile se bene
utilizzate mentre portano a risultati molto negativi se usate male. Mettere in
condizione i manager di comprare nel tempo azioni della società che gestiscono
non è sbagliato. L'importante è che le quantità siano ragionevoli, i meccanismi
di assegnazione siano legati ai risultati di medio periodo e le tempistiche di
vendita successiva premino la fedeltà all'azienda. Io sono addirittura di
quelli che credono che un capo azienda debba tenere tutte le azioni che ha potuto
comprare fino a quando mantiene la sua posizione». Il banchiere racconta che a
Davos si è parlato del miliardo di giovani che in tutto il mondo cerca di
entrare nel mercato del lavoro e dispera di riuscirci. «Il rischio è che la
crisi tuteli chi è già tutelato e crei un'economia senza giovani. E faccia
dell'Italia un Paese di giovani, di donne e di non-ancora-vecchi inattivi. Oggi
chi è fuori dal mercato del lavoro e i precari pagano i privilegi e le rigidità
di una parte di coloro che il lavoro ce l'hanno: ben vengano il contratto unico
e le proposte del professor Ichino! Più in generale, se vogliamo costruire
l'Italia di domani dobbiamo però affrontare finalmente i nodi strutturali della
nostra società: l'eguaglianza dei punti di partenza, la scuola, la ricerca, la
meritocrazia, la mobilità sociale». Volete una società più aperta ma poi le
banche sono accusate di dare i soldi sempre e solo ai soliti noti. Un nome per
tutti: la Fiat. «Pensa davvero che finanziamo Torino per scelta ideologica? Non
è così. La Fiat ha fatto un grande lavoro di ristrutturazione e rilancio e a
fronte di progetti industriali seri noi ci siamo stati. Ricordo la primavera
del 2003: ero da poco entrato in banca e scoppiò il caso Fiat. Facemmo bene ad
insistere per trovare una soluzione finanziaria che desse al gruppo un futuro.
Non stiamo parlando di una sola azienda ma di un settore fatto di migliaia di
aziende e di centinaia di migliaia di occupati». Ma non un soldo che andrà a
Torino verrà tolto alle piccole imprese, assicura Passera. Cita i dati di
Intesa Sanpaolo: 200 miliardi di affidamento alle piccole e piccolissime, 120
alle medie e grandi aziende. «In Italia non siamo al credit crunch, anche a
gennaio - così come nel 2008 - come banca abbiamo aumentato l'ammontare di
credito erogato malgrado il forte calo della domanda di finanziamenti e la
forte crescita della rischiosità. Dai prossimi giorni farò un giro dell'Italia
per spiegare ai nostri 8000 responsabili sul territorio che malgrado la crisi
non ci tiriamo indietro». Ma i Tremonti bond poi alla fine li prenderete o no?
Costano troppo? «Apprezziamo il lavoro del Tesoro e stiamo dando il nostro
contributo per una soluzione equilibrata. Altri Paesi hanno dovuto fare
operazioni di salvataggio, in Italia invece si sta solo valutando l'ipotesi di
rafforzare il patrimonio delle banche perché possano crescere di più e
sostenere ancora meglio l'economia reale». Passera pensa a un'operazione
temporanea e che i soldi possano essere restituiti in capo a 2-3 anni «ma se il
meccanismo fosse troppo costoso non ce lo potremmo permettere: le autorità
europee, che hanno l'ultima parola, dovrebbero, a mio parere, favorire di più
questo tipo di operazioni». E se alla fine questi bond restassero nel cassetto
del Tesoro? «Si sarà persa un'occasione, perché se avremo meno patrimonio
potremo erogare meno credito e potremo dare un contributo inferiore al
superamento della crisi». Guai però a ripetergli la litania corrente secondo la
quale le banche italiane si sono salvate perché antiquate. «Arretrati perché
non abbiamo fatto finanza creativa? Perché abbiamo cercato di coniugare credito
e responsabilità, perché abbiamo diffidato dell'eccessiva crescita a debito?
Che avrei dovuto fare quando mi portavano ad esempio la Northern Rock che dava
i prestiti a 30 anni e raccoglieva risorse sull'interbancario a tre mesi? O
quando le banche di investimento facevano operazioni con un effetto leva pari a
60?». Tempo fa Passera propose un piano di 250 miliardi da spendere in 5 anni
per finanziare opere infrastrutturali, incentivare investimenti privati e
assicurare ammortizzatori sociali alle fasce non coperte. Il ministro Tremonti
e il governo hanno scelto un'altra strada per non compromettere l'immagine
rigorista di un Paese che dovrà tra breve chiedere ai risparmiatori di
sottoscrivere i suoi titoli di Stato. Lei è rimasto della stessa opinione?
«Sono preoccupato anch'io dello spread tra i nostri Btp e i bund, così come
trovo sensatissima l'idea di dar vita a una sorta di eurobond per finanziare i
grandi progetti» risponde. Ma, aggiunge, «siamo sicuri di non poter fare di più
per recuperare l'enorme ritardo infrastrutturale che abbiamo accumulato e che
necessiterebbe di quell'ammontare di impegni? 50 miliardi di euro all'anno sono
tanti, ma non poi così tanti se mettiamo insieme ciò che il Cipe ha già
avviato, gli stanziamenti già programmati per Fs e Anas, i fondi Bei. Forse si
potrebbe razionalizzare il 10% dell'attuale spesa sul territorio per opere
pubbliche, dismettere l'1% del patrimonio pubblico, recuperare il 2-3% di
sprechi nella spesa pubblica. E attirare fondi privati: noi abbiamo creato una
banca specializzata proprio nelle infrastrutture e nelle partnership tra
pubblico e privato. Mi rendo conto delle difficoltà, ma se non riattiveremo una
fase di crescita sostenibile i conti pubblici andranno comunque a gambe
all'aria». Ma il sindaco di Torino Chiamparino accusa che sono stati buttati
per l'Alitalia 3 miliardi di soldi pubblici. «Se fosse fallita, lo Stato se ne
sarebbe probabilmente dovuti sobbarcare il doppio e avrebbe avuto alcune decine
di migliaia di disoccupati in più. Lo dico senza polemica».
( da "Tempi" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Come
vivere in bilico sul bordo dell'Europa Ai confini del Vecchio Continente c'è
un'isola non infelice (anzi) in cui non è permesso divorziare né abortire, dove
i laburisti non inseguono Zapatero ma ammirano il Papa e dove le scuole cattoliche
le paga lo Stato. Viaggio nella "fortezza" di Malta di Emanuele Boffi
La Valletta (Malta) Vivono sul bordo del mondo europeo, in bilico
geograficamente e umanamente tra modernità e tradizione, in un insolito
miscuglio fra futuristiche tensioni centrifughe e una religione, la cattolica
apostolica romana, ancora in grado di sprigionare la sua energia centripeta. è
l'isola di Malta, lo scoglio su cui naufragò San Paolo, meta della fuga del
Caravaggio, sede di quei celebri Cavalieri che non tentennarono a rischiare la
vita per respingere l'avanzata musulmana. A circa metà strada tra Gibilterra e
Alessandria, a nemmeno cento chilometri di distanza dalla Sicilia e a circa
trecento dalle coste africane della Tunisia e della Libia, Malta condensa in sé
elementi all'apparenza distanti e inconciliabili: fa parte dell'Unione Europea,
ma il suo ordinamento se ne discosta assai, soprattutto in materia bioetica. I
suoi abitanti hanno cognomi che rimandano ad avi arabi, inglesi e italiani e
degli antenati hanno mantenuto la loquela e l'indole (commercianti come gli
arabi, scrupolosi come i britannici, goderecci come gli italiani). Sono figli
ed eredi di soldati, vivendo in città che paiono fortezze, eppure nella
costituzione si dichiarano «neutrali» in caso di qualsivoglia conflitto. Fanno
parte del Commonwealth, ricalcano il sistema politico da quello inglese, ma
sono molto latini per mentalità: familisti, risparmiatori, cattolicissimi.
Malta vive sull'orlo del mondo sviluppato come oggi lo conosciamo, ma della modernità usa solo quanto può far comodo per rendere la
vita più agile: la tecnologia, la globalizzazione, il business. Per il resto,
cioè per quanto concerne il cuore della quotidiana esperienza umana, Malta è
l'archetipo del fatto che si può vivere senza i "diritti civili" e
campare lo stesso fino a settanta, ottant'anni per i più robusti. Non
per questo è "l'isola che c'è" o l'Eden, ma rimane un esempio in
controtendenza rispetto al verso in cui gira il mondo. E si vedrà, nei lustri a
venire, se i maltesi saranno capaci di resistere in equilibrio sull'orlo
dell'Europa o se s'arrenderanno a una postura diversa. Un partito dallo 0,0049
per cento Quando il 19 ottobre del
( da "Tempi" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
La
misura di un'eleganza d'altri tempi Da apprendista in bottega a grande sarto
della Roma della Dolce Vita. Vito Panetta racconta la difficile avventura di
cucire lo stile addosso a un mondo che cambia di Emanuela Campanile A nove anni
inizia a lavorare: la mattina a scuola e il pomeriggio in bottega. Cinque anni
da apprendista e poi il primo grande salto a Napoli, in via Chiaia. È l'inizio
dell'ascesa professionale di Vito Panetta, Maestro sarto e presidente dell'Accademia
Nazionale dei Sartori di Roma. Lucano, classe 1931, occhi vispi e un nodo alla
cravatta da fare invidia; ma la scommessa, Panetta, la vince trasferendosi a
Roma nel '57 e aprendo l'anno successivo la sua sartoria nei pressi di via
Veneto. A quel tempo gli artigiani potevano osare, le botteghe rappresentavano
per i giovani una concreta opportunità e l'Accademia Nazionale dei Sartori di
largo dei Lombardi a Roma sfornava talenti accrescendo l'orgoglio nazionale per
il made in Italy. «Dimostra con la qualità dell'opera e la solerzia sul lavoro
la serietà professionale», recita lo statuto dell'Accademia sotto la voce
"Essere Accademico". «Perché esordisce Panetta fare il sarto è una
cosa seria. Piacentini di Roma o Donnini di Milano, erano sarti e uomini straordinari».
Un concetto che si chiarisce ancor di più se si prosegue poi a leggere
l'articolo 7: «Viene preso in considerazione il comportamento sociale e l'opera
svolta, durante gli anni di lavoro, nel trasmettere disinteressatamente alle
giovani leve le esperienze acquisite affinché la sartoria artigiana continui ad
affermarsi in Italia e all'estero». Oggi la sartoria italiana, paladina del
buon gusto e della qualità in tutto il mondo, risente non solo della dilagante
crisi economica ma anche del mancato ricambio generazionale. «È più facile
trovare qualcuno che voglia fare lo stilista piuttosto che il sarto» e a
pagarne le conseguenze marchi famosissimi che per quasi un secolo sono stati
esempi indiscussi di stile come l'atelier fiorentino Di Preta. Prima della
Seconda guerra mondiale impiegava anche fino a 25 artigiani, oggi è costretto a
chiudere per mancanza di personale specializzato. «Si parla sempre di come si
consuma e non di come si produce, questo è un grande male e le istituzioni non
incoraggiano». Quando Panetta iniziò, l'artigiano pagava solo il 2 per cento
dell'Ici, «ora ci sono tante di quelle tasse che i giovani sono costretti a
chiudere. Noi possiamo rimanere nel mercato internazionale solo puntando sulla
qualità è il nostro passaporto per l'estero, ma l'epoca del made in Italy sta
per finire». Se l'alta moda ha primeggiato è stato grazie agli operai
qualificati nella sartoria e oggi, che non ci sono più giovani che si
qualificano in questo campo, l'alta moda inizia a boccheggiare e a non essere
più competitiva. Il giovane è l'elemento nuovo su cui scommettere, ma lo deve
essere anche in termini qualitativi: «Le idee non bastano. L'artigiano serio
non può improvvisare, ci vogliono anni di apprendimento e tanta esperienza.
Bisogna saper dar forma e in sartoria, nella bottega, bisogna starci e passarci
giornate intere». Per ovviare a questa emorragia di manodopera e perché non
vada disperso il patrimonio di una delle più alte forme di artigianato, la
stessa Accademia Nazionale dei Sartori ha adottato la formula Accademici
Junior. E dunque: AAA. cercasi sarti, massimo trentacinquenni, fortemente
motivati, iscrizione gratuita e quota annua 100 euro. Per accedere al corso,
prima ancora di pensare alla retta, i giovani sarti e le giovani sarte devono
essere presentati dal Delegato Regionale o da un Consigliere Nazionale che ne
garantisca le qualità professionali e morali. Sarà chiesto agli allievi di
rispettare, una volta accettati, lo Statuto vigente e di utilizzare il marchio
dell'Accademia Nazionale dei Sartori solo dopo la nomina a socio partecipante.
Con il rilascio dell'attestato di Giovane aspirante maestro potranno avere il
diritto a partecipare a tutti i concorsi indetti dall'Accademia stessa. Fiore
all'occhiello rimane ancora la tradizionale Scuola di taglio, che da circa
mezzo secolo tramanda i segreti dell'arte sartoriale attraverso metodologie
sempre al passo con i tempi. I corsi diretti da Maestri del taglio maschile e
femminile come Domenico Luzzi e Rino Parisi, vengono programmati due volte
l'anno sempre presso la sede dell'Accademia. La durata è di tre mesi con
frequenza bisettimanale, l'accesso al corso è a numero chiuso e sono previste
classi di massimo 12/14 allievi. Il percorso che condusse Panetta all'Accademia
fu sicuramente diverso, il mercato non era globalizzato e
diventare Maestro sarto significava entrare a far parte del Gotha dell'arte
sartoriale assicurandosi il futuro. «Decidere di presentarmi all'Accademia fu
un'altra delle mie sfide. Il presidente di allora mi disse che all'Accademia
potevano accedere solo i grandi sarti. Gli risposi se intendesse grandi
di età, altezza o capacità. Fui preso, era il 1972». Internet e i cellulari non
esistevano, ma forse la comunicazione del passaparola dava ancora i suoi
frutti. Oggi i giovani, secondo una ricerca dell'Istituto Piepoli e
dell'Osservatorio Internazionale della Moda per conto di Unione Artigiani, non
sembrano essere a conoscenza dei possibili sviluppi del settore della moda
artigiana, delle opportunità di crescita e di guadagno e delle scuole
professionali ad essa dedicate. Da qui, l'altro fronte di impegno
dell'Accademia che per richiamare l'attenzione delle nuove generazioni,
pubblica un mensile sia in forma cartacea Il Maestro Sarto che in versione
telematica, offrendo una finestra semplificata ma di sicura qualità
informativa. La rivista, bilingue italiano-inglese, si prefigge inoltre il
rilancio nel mondo della sartoria italiana mantenendone viva la tradizione
culturale. Lo Stato Pontificio e S. Omobono Una tradizione che si lega anche
alla storia della Chiesa: l'antica Università dei Sartori fu fondata per
volontà di Papa Gregorio XIII nel 1575. Dalla Corporazione dei Sarti lo Stato
Pontificio riscuoteva annualmente un canone di 20 scudi e
( da "Manifesto, Il" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
AIUTI
DI STATO Sarkozy «l'europeo» vira sul protezionismo Solo a chi compra francese
Anna Maria Merlo PARIGI. L'articolo nascosto nelle 650 pagine del piano di
rilancio da più di 800 miliardi di dollari, di Barak Obama, che suggerisce di
«comprare americano». Condiziona infatti gli aiuti pubblici per le società di
costruzione all'acquisto di acciaio e ferro made in Usa,
e sta sollevando forti reazioni nel mondo. La clausola, che ha ricevuto
l'appoggio del sindacato Afl-Cio, già approvata alla Camera, potrebbe essere
estesa dal Senato ad altri settori. Il Canada, che esporta il 40% del proprio
acciaio negli Usa, ha espresso «viva preoccupazione».
L'Unione europea è scesa in campo. «Non rimarremo con le mani in mano», ha
annunciato la Commissione, ricordando che esistono delle regole internazionali
che permettono ricorsi giudiziari contro chi le contravviene. L'Italia ha già
minacciato di appellarsi alla Wto. Angela Merkel ha telefonato ieri a Obama:
«dobbiamo evitare il protezionismo», ha affermato la cancelliera. «Il
protezionismo è una cattiva risposta» alla crisi, spiega la Germania, primo
paese esportatore mondiale, che non a caso conta tra le proprie industrie
alcuni colossi dell'acciaio. L'ambasciatore dell'Unione europea a Washington,
John Bruton, ha inviato delle lettere all'amministrazione Usa
- tra l'altro, anche alla segretaria di stato Hillary Clinton e al segretario
al tesoro, Timothy Geithner - per ricordare che gli Usa,
assieme a molti altri paesi, si sono impegnati a non fare ricorso a misure
protezionistiche al vertice di Washington il 15 novembre scorso. Per John
Bruton, se non viene rispettato questo impegno, c'è il «rischio di far entrare
il mondo in una spirale protezionista che non può che aggravare la situazone
delle nostre economie». Bruton ha evocato la possibilità di «una guerra
commerciale»: prevedendo che «avrete meno, molto meno rilancio come effetto del
vostro piano. Non ha nessun senso economico». A Davos, il direttore generale
della Wto, Pascal Lamy, ha espresso la propria inquietudine per eventuali
derive protezioniste. Ministri e finanzieri l'hanno raggiunto su questo punto,
ma con sfumature diverse. In particolare, ha fatto scalpore una frase della
ministra francese dell'economia, Christine Lagarde, peraltro fin qui conosciuta
come una ultra-liberista: «il protezionismo è un male necessario» nel quadro
del piano di rilancio, ha affermato. Lagarde considera che delle misure
pritezioniste possono essere prese, perché «il piano di rilancio impegna soldi
dei contribuenti e i governi devono assicurare che siano impiegati
nell'interesse dei contribuenti». Per Lagarde l'unica clausola è che devono
avere «un carattere temporaneo»: le misure protezioniste «sono cattive in sé,
ma possono essere necessarie quando intervengono in modo concertato dappertutto
nel mondo». Lagarde difende qui delle clausole contenute nel piano di rilancio
francese. Sarkozy ha infatti condizionato gli aiuti all'industria automobilistica
alla «contropartita» di non delocalizzare la produzione fuori di Francia; e
potrebbe chiedere anche di «comprare francese» per quanto riguarda la
componentistica. Il fronte europeo, così, manda i primi segnali di sfaldamento.
Ancora prima dell'acciaio Usa, il protezionsimo già
serpeggiava nel mondo. A parte i diritti di dogana triplicati per il roquefort
francese - ultima decisoone dell'amministrazione Bush - la Russia ha aumentato
le barriere per l'import di auto; e ci sono state misure protezioniste in
Indonesia, India, Argentina, Ecuador. Nei fatti, però, il
protezionismo più rischioso è quello della svalutazione monetaria: il costo del
lavoro è 20 volte meno elevato in Cina che in
Europa, ma è già molto più alto in India, malgrado situazioni abbastanza
comparabili. E qui non ha tutti i torti Obama nel protestare con Pechino e
chiedere una rivalutazione dello yuan.
( da "Giornale.it, Il" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Dopo
lo scandalo dei bonus da 18 miliardi distribuiti ai manager dalle banche
americane salvate dallo Stato, Obama corre ai ripari: oggi annuncia una norma
che impone un limite di 500mila dollari agli stipendi dei dirigenti delle
società che beneficiano dei sussidi pubblici. Bene, è un passo nella giusta
direzione. Tuttavia, mi chiedo: i 18 miliardi rappresentano un abuso colossale
e una distorsione di fondi pubblici: perchè Obama non ne pretende la
restituzione? Se lo avesse fatto sarebbe stato davvero credibile, in questo
modo invece premia la casta, legalizza l'ultima rapina. E invece in un
frangente di crisi come questo sarebbe stato necessario un segnale molto più
forte che, evidentemente, Obama non può permettersi. Segnali che invece
giungono da alcune aziende private. In Giappone, ad esempio, i manager di
alcune grandi società in difficoltà si sono ridotti del 30% lo stipendio. Lo
stesso è avvenuto in Italia, nel mio mondo, quello dell'editoria. Il gruppo del
Sole 24 Ore ha appena inviato una lettera a tutti i collaboratori in cui
annuncia una riduzione dei compensi del 25% per fare fronte a quella che
definisce la "Grande Crisi". La lettera è firmata dal direttore
Ferruccio de Bortoli e dall'amministratore delegato Claudio Calabi, che hanno
dato l'esempio riducendosi di un quarto lo stipendio. Che differenza rispetto
ai banchieri di Wall Street! Questa è la strada giusta: se i tempi sono duri,
lo sono per tutti. Ed è il capo che mostra la via assumendosi in prima persona
i sacrifici richiesti. Io lo chiamo capitalismo responsabile e mi piace
moltissimo. Scritto in economia, società, era obama, globalizzazione,
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Invia questo articolo a un amico 02Feb 09 Ecco perché il clandestino in realtà
non viene espulso Sul Giornale di ieri Stefano Zurlo ha scritto un
bell'articolo, in cui racconta che cosa accade agli irregolari che vengono
arrestati. Mi ha colpito questo passaggio: "È un meccanismo davvero
surreale. Il clandestino viene espulso; non se ne va o torna di nascosto nel
nostro Paese e allora scatta, obbligatorio, l'arresto. Ma i processi, di media,
sono catene di montaggio delle scarcerazioni: l'imputato esce, in attesa del
verdetto, e tanti saluti. Oppure, se la sentenza arriva di volata, viene
condannato, ad una pena di 6-8-10 mesi. E subito dopo rimesso in libertà. Come
è normale quando la pena è inferiore ai due anni. Insomma, l'irregolare viene
afferrato dalla legge e dalla legge riconsegnato alla sua vita invisibile. Con
una postilla: se lo acciufferanno di nuovo, sempre senza documenti, non
potranno più processarlo: non si può giudicare due volte una persona per lo
stesso reato". Se questa è la realtà, e non dubito che lo sia, la lotta ai
clandestini è assolutamente inutile. Continueranno ad arrivare, sempre più
numerosi, proprio perché è garantita l'impunità. E allora è necessario correre
ai ripari, varando norme che non permettano la scarcerazione in attesa del
processo e, come ho già scritto, che rendano obbligatorio il rilevamento, oltre
delle impronte digitali, dell'iride dell'occhio. Solo così l'Italia può
assumere una credibilità che oggi non ha. L'alternativa è che l'Italia si
trasformi non in una società tendenzialmente multietnica, ma in un Paese
anarchico con profonde ingiustizie sociali e un razzismo diffuso. Non c'è più
tempo da perdere: tocca al governo di centrodestra proporre misure concrete. E
al centrosinistra moderato di Veltroni sostenerle con spirito bipartisan.
Perché il problema degli immigrati non ha più colore politico ma è sentito, con
angoscia, dalla stragrande maggioranza degli italiani, compresi i progressisti.
O no? Scritto in società, globalizzazione, democrazia, Italia, immigrazione
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articolo a un amico 30Jan 09 La casta di Wall Street? Continua ad arricchirsi.
Negli ultimi giorni mi sono occupato nuovamente della casta dei banchieri, che
ha inguaiato il mondo. Ho scoperto alcuni dettagli interessanti, ad esempio,
che l'ex numero uno di Lehman Brothers, ha venduto la sua lussuosa residenza in
Florida, stimata 14 milioni di dollari. Il prezzo? Cento dollari. Chi l'ha
comprata? La moglie. E così si cautela contro eventuali creditori. Ipotesi
peraltro remota, perché le leggi americane offrono ampie protezioni ai
banchieri protagonisti della truffa del secolo. I protagonisti del disastro
finanziario passano le loro giornate a giocare, a golf, bridge, cricket. E
quelli che non si sono ritirati continuano ad arricchirsi. Nel 2008, mentre le
loro società venivano salvate dal fallimento, i manager delle banche si sono
accordati bonus per 18,4 miliardi di dollari, come spiego in un editoriale, nel
quale pongo una domanda a questo punto fondamentale: è giusto salvare le banche
se la casta non viene smantellata? Tremonti dice: a casa o in galera. Sono
d'accordo con lui. Se il capitalismo vuole risorgere deve riscoprire una virtù
indispensabile, quella della responsabilità individuale. E fare piazza pulita.
Scritto in società, era obama, economia, globalizzazione, notizie nascoste,
democrazia, gli usa e il mondo Commenti ( 72 ) » (6 voti, il voto medio è: 2.5
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Immigrazione, stiamo sbagliando (quasi) tutto? I fatti degli ultimi giorni
hanno riportato alla ribalta la questione degli immigrati. Ne traggo tre
riflessioni. 1) La crisi economica renderà ancora più acuto il problema
dell'immigrazione all'interno della Ue. Romania e Bulgaria sono già in forte
crisi economica e non mi stupirebbe se nei prossimi mesi aumentasse il numero
di cittadini di questi Paesi che cerca fortuna nei Paesi europei ricchi; che,
però, come ben sappiamo, non sono risparmiati dalla recessione. Rumeni, bulgari
verranno qui ma non troveranno lavoro e molti di quelli che già abitano in
Italia lo perderanno. La situazione rischia di diventare rapidamente esplosiva:
povertà, indegenza, disperazione, dunque probabile aumento della delinquenza
spicciola e molto potenziale manodopera per la malavita e per gli imprenditori
italiani schiavisti (che esistono e vanno combattuti energicamente) . Tutto
questo alimenterà il razzismo e l'incomprensione reciproca. Occorre che
l'Unione europea prenda iniziative straordinarie per limitare la libertà di
circolazione delle persone, anche ripristinando, transitoriamente i visti. 2)
L'immigrazione extra Ue non si combatte solo alzando barriere, che in realtà
servono a poco, perchè, come ha dimostrato l'ultimi rapporto della Fondazione
Ismu, dei 450 mila stranieri che arrivano illegalmente, solo 120mila
attraversano il Mediterraneo. Gli altri sbarcano con un visto regolare (di
studio, turistico o per lavori stagionali) e si danno alla macchia. Come si
combatte questo fenomeno? Imitando gli americani: che prendono la foto e le
impronte digitali a tutti i visitatori, In tal modo (magari anche con il
controllo dell'iride) si creerebbe una banca dati europea che rende facilmente
identificabili i clandestini. 3) Gli immigrati non partono spinti solo dalla
povertà, ma anche - anzi, soprattutto - per inseguire il mito di un'Europa
Eldorado, come ho spiegato in questa analisi. Il mito non viene mai scalfito
dai media nè nè dalla sociteà africana, che anzi continu ad alimentarlo. «Gli
africani quando partono non immaginano che fuori possa fare più freddo che
dentro un frigorifero», mi ha detto Gustave Prosper Sanvee, direttore della tv
cattolica del Togo. Dunque se vogliamo limitare le partenze è necessario che
gli immigrati sappiano che l'Europa non è un paradiso, ma spesso un purgatorio
fatto di stenti, sofferenza, spesso umiliazioni e che ci ce la fa deve
rispettare regole sociali e di convivenza che sono molto diverse da quelle
africane. Ma per raggiungere questo obiettivo è necessario che l'Europa
promuova una politica di comunicazione mirata alle popolazioni Africane, che
oggi è inesistente. Da qui la mia riflessione: perché non provare un approccio
diverso sull'immigrazione? Ho l'impressione che le misure tentate non abbiano
prodotto gli effetti sperati e siano destinate al fallimento anche in futuro.
In altre parole, l'Italia e l'Europa stanno sbagliando (quasi) tutto. O no?
Scritto in società, europa, globalizzazione, immigrazione Commenti ( 72 ) » (5
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Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo
articolo a un amico 25Jan 09 Resa dei conti tra la Cina e gli Usa? Il sito del Giornale nelle ultime 48 ore ha dovuto affrontare
la migrazione da un provider a un altro e dunque anche l'accesso al blog è
stato difficile, soprattutto in certe zone d'Italia. Mi scuso per questo
inconveniente, ora risolto. Negli ultimi due giorni sul Giornale ho
scritto ancora di Obama, che ha litigato con il Vaticano sull'aborto e per la
prima volta ha avuto qualche screzio con la stampa americana, finora
notoriamente compiacente. I giornalisti Usa tra
l'altro si sono accorti che un lobbista dell'industria delle armi è stato
nominato numero due del Pentagono, vicenda di cui abbiamo già parlato nei
giorni scorsi su questo blog. Era ora. Ma la notizia più significativa riguarda
la Cina, sebbene non abbia avuto molto rilievo sui
giornali italiani. E' accaduto questo: il segretario al Tesoro Timothy Geithner
che giovedì, durante le audizioni alla Commissione finanze del Senato, aveva
accusato Pechino di «manipolare le quotazioni dello yuan per ottenre
scorrettamente vantaggi commerciali», aprendo di fatto l'iter che, in base a
una legge del 1988, permetterebbe al governo americano di imporre sanzioni
ovvero barriere tariffarie. La Cina ha risposto
smentendo le accuse, mentre il ministro degli Esteri di Pechino ha chiamato
Hillary Clinton ammonendola a non compiere passi falsi. Perchè questo screzio?
I fattori di attrito sono diversi, ma a mio giudizio ne prevale uno: quello del
debito americano. La Cina è da qualche anno il primo
sottoscrittore al mondo di Buono del tesoro Usa, ma
una decina di giorni fa ha annunciato che intende ridurre il proprio impegno e
usare una parte delle risorse per rilanciare l'economia interna. L'America,
però, non può permetterlo; anzi, visto che il suo deficit pubblico quest'anno
triplicherà, vorrebbe che Pechino aumentasse gli acquisti di Treasury.
L'affondo di Geithner ha l'aria di un monito ai cinesi: se Pechino non si
ricrede, Washington si vendicherà alzando le barriere doganali; dunque rendendo
impervio l'accesso a un mercato che rappresenta il principale sbocco ai beni
«made in China». Si scatenerebbe una guerra commerciale e finanziaria da cui
usciremmo tutti perdenti. Lo spettro è quello di un dollaro in caduta libera e
di una Cina in profonda depressione, che aggraverebbe
la crisi dell'economia mondiale. Domanda: lo scenario è credibile?
Ragionavolmente uno scontro non conviene a nessuno e pertanto dovrebbe
prevalere la ragionevolezza. Fino a quando la Cina,
che secondo alcuni economisti sarebbe già in depressione, è disposta a usare le
proprie risorse per finanziare il deficit americano? E Obama è in grado di
gestire con saggezza rapporti delicati e cruciali come questi? Scritto in
economia, era obama, globalizzazione, notizie nascoste, cina, gli usa e il
mondo Commenti ( 23 ) » (8 voti, il voto medio è: 3.25 su un massimo di 5)
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Invia questo articolo a un amico 23Jan 09 Basta torture. Bravo Obama, ma come
la mettiamo con l'Iran? "L'America non tortura", ha dichiarato ieri
Obama rinfrancando chi ha sempre visto nell'America un baluardo di civiltà, saldamente
ancorato ai valori della democrazia e della Costituzione. Quell'America è
tornata. Bravo Obama, ma McCain, se avesse vinto, avrebbe fatto altrettanto.
Entrambi sono convinti che la guerra al terrorismo non possa essere condotta
violando i principi che l'America ha sempre proclamato di rispettare,
proponendosi pertanto come un modello virtuoso per gli altri Paesi. La
stragrande maggioranza dei detenuti di Guantanamo è risultata innocente, ma per
molti mesi ha vissuto in condizioni orribili, da lager sovietico, senza
assistenza legale, per molto tempo senza nemmeno il monitoraggio della Croce
Rossa. Segregati, senza colpa. E nelle prigioni segrete della Cia è successo di
tutto: sevizie orribili, alcuni prigionieri sono spariti nel nulla. Ma quanti
di loro erano terroristi? Pochi. Obama (e McCain) sono convinti che la guerra
ad Al Qaida debba essere risoluta ed energica, ma senza ricorrere a metodi
tipici di una dittatura e non di una grande democrazia. La chiusura di
Guantanamo e delle prigioni Cia ha anche una valenza politica, perché rafforza
e precisa il messaggio di apertura al mondo arabo e all'Iran, con cui la Casa
Bianca è pronta ad avviare "negoziati diretti senza precondizioni",
come spiego in questo articolo, mentre si rafforzano i segnali di un
raffreddamento dei rapporti con Israele (anticipati su questo blog il 14
gennaio). Ieri ho parlato con alcuni esperti di Washington e, off the record,
una fonte qualificata del governo americano mi ha fatto notare che Obama nel
suo discorso di insediamento non ha citato Israele. E chi è il primo leader
straniero con cui Barack ha parlato? Il palestinese Abu Mazen. Basta torture ed
è un bene; ma anche meno Israele e più Iran, rapporti ancora più stretti con le
potenze del Golfo persico e dunque mano tesa all'Islam fondamentalista sia
sunnita che sciita. Scelta strategica lungimirante o clamoroso errore che
contraddice i valori degli Usa, premiando regimi come
l'Iran e l'Arabia Saudita che calpestano i diritti umani? Scritto in israele,
era obama, democrazia, medio oriente, gli usa e il mondo, islam Commenti ( 103
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un amico 21Jan
( da "Wall Street Italia" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
CRISI:
PERICOLO GUERRE COMMERCIALI, SI ACCENDE OVUNQUE IL DIBATTITO di MPS Capital
Services La clausola "Buy American" contenuta nel piano approvato
alla camera Usa ha scatenato la dura reazione da parte
della Commissione Ue, che prenderà in esame ogni violazione eventuale del
trattato del WTO. -->*Questo documento e' stato preparato da MPS Capital
Services ed e' rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad
operatori e clientela professionale ai sensi dell'allegato n.3 al reg. n.16190
della Consob. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita' alcuna
per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita' di trading
e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a
questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI. (WSI) ? Tassi d'interesse: in
area Euro la sessione di ieri si è conclusa con calo dei tassi sulla parte a
breve termine ed un rialzo sul lungo con il differenziale 2-10 anni in rialzo a
185 pb dai 178 del giorno prima. Si restringe ancora lo spread sul decennale
Italia-Germania sceso a 126 pb dai 134, movimento guidato dal calo del tasso
decennale italiano a fronte di un rialzo di quello tedesco. È? rallentata
invece la discesa del tasso Euribor tre mesi che ieri è stato fissato a 2,06%
dai 2,07%. Intanto, secondo FT, la Commissione europea non ha accettato la
proposta francese di concedere aiuti al settore auto subordinati all?acquisto
di componentistica da fornitori domestici da parte dei produttori. Gli
operatori resteranno in attesa della riunione della Bce di domani. Secondo
Market News la Bce non ha discusso l?ipotesi di introduzione di misure di
quantitative easing. Nel frattempo il veicolo francese SFEF di emanazione
governativa, creato a supporto del settore bancario, ha proceduto all?emissione
di 6Mld? di un nuovo titolo biennale. Sul decennale la resistenza si colloca a
3,39% e 3,44% Sopravvivere non e' sufficiente, ci sono sempre grandi
opportunita' di guadagno. Hai mai provato ad abbonarti a INSIDER? Costa meno di
1 euro al giorno. Clicca sul link INSIDER Negli Usa
tassi di mercato in rialzo sulla scia del recupero dei mercati azionari ed in
attesa dell?annuncio dei quantitativi in emissione la prossima settimana che
potrebbero raggiungere i 70Mld$, con la possibilità anche dell?annuncio della
reintroduzione di emissioni sulla scadenza a 7 anni, non più utilizzata dal
1993. La clausola "Buy American" contenuta nel piano approvato alla
camera ha scatenato ieri un aspro dibattito, con una dura reazione da parte
della Commissione europea che ha dichiarato che prenderà in esame ogni
violazione eventuale del trattato del WTO. Lo stesso presidente Obama si è
schierato contro tale clausola manifestando l?intenzione di evitare guerre
commerciali. Nel frattempo nel piano in discussione al Senato è stato aggiunto
un emendamento che contempla la possibilità che gli acquirenti di auto possano
dedurre le tasse sull?acquisto oltre agli interessi pagati per i relativi
finanziamenti. Continuano inoltre le indiscrezioni sul contenuto del piano di
supporto al settore finanziario che dovrebbe essere annunciato la prossima
settimana. L?ipotesi di creazione di una bad bank non viene per ora data del
tutto certa, emergendo piuttosto la preferenza per l?ipotesi di offerta di
garanzia sugli asset tossici. Contro l?ipotesi della bad bank giocano due
fattori in particolare: 1) l?elevato costo che secondo alcuni analisti potrebbe
anche arrivare a 4000Mld$; 2) la difficoltà di valutazione degli asset tossici.
Tale ipotesi sembra però trovare consenso in UK, dove il primo ministro ha
lasciato intendere la sua preferenza per modelli ibridi, dove accanto alla bad
bank vi sarebbero anche garanzie governative. Sul fronte macro sono arrivati
segnali postivi in relazione ai contratti su negoziazioni di case di dicembre,
un segnale che appare però ancora prematuro per poter ipotizzare un effettivo
sintomo di recupero. Infine la Fed ha annunciato l?estensione fino al 30
ottobre di 5 linee di iniezione di liquidità, in scadenza il prossimo 30
aprile. Sul decennale resistenza a 2,90%. Valute: Dollaro in deprezzamento vs.
Euro verosimilmente sull?ipotesi di ripercussioni negative per gli Usa laddove si instaurasse una guerra commerciale scatenata
dalla clausola Buy American. Per oggi resistenza a quota 1,3140. Yen in
deprezzamento verso Euro con il cross poco al di sotto della resistenza 117. Il
supporto si colloca a 113. Continua a rimanere sotto soglia 90 il cross vs
Dollaro, con il supporto di breve periodo collocato in area 88,50-60. Questa
notte, Muto ex membro della BoJ, ha dichiarato che la contrazione del Pil nel
quarto trimestre potrebbe attestarsi nell?ordine dell?11-12% annualizzato. Il
dato è atteso il 16 febbraio. Materie prime: positivo il greggio Wti sulla notizia
che la produzione Opec a gennaio è calata del 3,5% rispetto dicembre. In rialzo
gli industriali guidati dal rame (+6,3%) sulla notizia che la Cina ha investito una seconda parte (130MldYuan dopo i
100Mld del quarto trimestre ?08) del piano da 4.000Mld Yuan di stimolo
all?economia. Tra i preziosi in calo l?oro (-1,6%) e l?argento (-1%). Tra gli
agricoli proseguono le vendite su grano (-2%) e mais (-2,4%) su segnali di
esportazioni Usa in calo e condizioni meteo favorevoli
al raccolto. Copyright © MPS Capital Services. All rights reserved
( da "Trend-online" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Protezionismo:
istinto primordiale! BLOG, clicca qui per leggere la rassegna di Andrea
Mazzalai , 04.02.2009 14:21 Scopri le migliori azioni per fare trading questa
settimana!! Protezionismo: sì come un immenso istinto primordiale, istinto di
sopravvivenza che contraddistingue ogni essere di questa terra, un istinto che
nasce dal profondo, dall'inconscio che alle volte sfugge ai confini della
ragione, una ragione storica che ci racconta che la causa più ricercata che
approfondi e prolungò la Grande Depressione fu appunto il protezionismo.
Un insieme di politiche economiche atte a proteggere la produzione nazionale
attraverso un insieme di strumenti economici appunto, dazi doganali per
aumentare il prezzo delle merci importate a favore di quelle nazionali,
pratiche di dumping che consistono nel manovrare artificialmente i prezzi delle
merci esportate per eliminare la concorrenza, agevolazioni fiscali, manovre sui
cambi e quant'altro. Istinto primordiale, il protezionismo, un potenziale omicida che proviene dalla storia, il potenziale killer
della globalizzazione, anche se oggi il fallimento della globalizzazione stessa
è un suicidio in piena regola, un suicidio cercato, una globalizzazione delle
merci e dei capitali, prima che dell'uomo. Al di la delle parole
ufficiali di circostanza oggi l'istinto primordiale torna ad affacciarsi nelle
politiche economiche e finanziarie di tutto il mondo, qualcuno lo definirebbe
un sano egoismo delle nazioni, non serve certamente ricordare il fallimento
recente del Doha Round, ne le dichiarazioni "consapevoli" al termine
dello "storico" recente G20 contro il protezionismo,
parole al vento. A nulla serve osservare che l'unico punto d'incontro tra
democratici e repubblicani americani nell'approvazione del New Deal del 21°
secolo è la famigerata "Buy American" (puro acciaio americano per le
infrastrutture del NewDeal, ma non solo) essenza stessa di un protezionismo criticato paradossalmente da multinazionali
americane quali Caterpillar e General Electric segue pagina >>
( da "Trend-online" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Protezionismo:
istinto primordiale! BLOG, clicca qui per leggere la rassegna di Andrea
Mazzalai , 04.02.2009 14:21 Scopri le migliori azioni per fare trading questa
settimana!! le quali conglomerate internazionali temono la possibile ritorsione
dei mercati mondiali, aziende che vivono di
globalizzazione. "C'è protezionismo implicito in quello
che stà accadendo" ha sussurrato Gordon Brown, primo ministro inglese. Non
solo negli aiuti di Stato ma anche una sorta di protezionismo
finanziario, banche globali che ora tornano a casa dalla Madre Patria, figliolo
prodigo della situazione! La socializzazione delle perdite e la
privatizzazione dei profitti è in fondo una sorta di protezionismo
strisciante. Chi ama veramente il libero mercato avrebbe preferito lasciare
fare al mercato. Ma nazionalizzando o garantendo i colossi del credito,
tecnicamente falliti, si fa un torto al sistema finanziario virtuoso, migliaia
di piccole banche che non hanno partecipato all'orgia del credito, alla finanza
creativa, banche che hanno radici nel territorio, banche fondate su valori
vecchi come la storia. In una parola banche locali, banche del territorio,
banche di credito cooperativo, l'essenza di un sistema che proviene dalla
storia stessa, fondate su valori più solidi del breve termine, banche che
consapevolmente o inconsapevolmente non hanno seguito il pensiero unico, banche
patrimonialmente solide da riscoprire nei Vostri territori. Nessun governo che
abbia subbordinato gli aiuti al sistema finanziario alla concessione di credito
all'economia, se non a parole, parole scritte sulla sabbia. L'ultimo Senior
Loan Officer Survey testimonia che il credit crunch continua. Dall'intervista
in questione appare evidente come la domanda di prestiti da parte delle imprese
e delle famiglie in America, ma non solo, ha continuato ad indebolirsi, nessun
dubbio vista l'impennata del risparmio americano appena comunicata la scorsa
settimana, una consapevolezza d'oro spesso obbligata dalla chiusura del credito
da parte segue pagina >>
( da "Trend-online" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Protezionismo:
istinto primordiale! BLOG, clicca qui per leggere la rassegna di Andrea
Mazzalai , 04.02.2009 14:21 Scopri le migliori azioni per fare trading questa
settimana!! a noi contribuire privatamente al sostegno di progetti ed adozioni
in questo momento difficile, i nostri governi, le istituzioni quando la crisi
avanza notoriamente tagliano partendo sempre dai più deboli...... Comunque vada
stimoli fiscali o nazionalizzazioni, New Deal o sostegni a pioggia, l'ombra del
protezionismo sarà sempre con noi.....protezionismo convenzionale, non si combatte il debito
privato con il debito pubblico sostiene giustamente Tremonti...peccato che non
sempre in passato la pensava in questa maniera quando sussurrava di ipotecare
le case per far correre i consumi! E pensare che i sussidi statali sono
vietati..... Comunque sia oggi Tremonti è il più illuminato di questa immensa
schiera di medici al capezzale dell'economia mondiale, medici che regolarmente
ricorrono a pratiche del passato,.....non si cura un malato con il metadone,
serve una crisi di astinenza per uscire da questa immensa droga. Il protezionismo è anche sussurrare un giorno si e un giorno no
le manipolazioni della Cina, in fondo è giocare con il fuoco, meglio con
un'atomica in mano, manovrare la propria moneta non è altro che protezionismo lo stesso protezionismo
che l'America rivede nel suo "Buy American" si la pagliuzza
nell'occhio del vicino e la trave che non si vede......tranne sperare che
qualcuno continui ad acquistare il proprio debito pubblico. In Cina 20 milioni
di esseri umani, non numeri come vogliono gli economisti, tornano
a casa dopo essere stati sfruttati in nome della globalizzazione, secondo i
dati del ministero dell'agricoltura sono il 15 % di oltre 130 milioni di
immigrati provenienti dalle zone rurali.....nel corso dell'anno potrebbero
salire a 26 milioni e oltre aggiungo io, con possibili conseguenze di stabilità
sociale....se la Cina non cresce almeno del 7 % all'anno addio
lavoro...addio sicurezze...addio segue pagina >>
( da "Stampa, La" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
MEDIA
PASCOLI A Valenza un seminario sulla cultura globalizzata
«Joe l'idraulico e il multilateralismo», è il titolo di un seminario di
formazione regionale che si terrà l'11, il 12 e il 24 febbraio al centro San
Rocco in piazza Statuto a Valenza. Relatori Vittorio Emanuele Parsi, docente
dell'Università Cattolica del Sacro cuore ed editorialista de La Stampa e
Riccardo Redaelli docente di Storia delle civiltà e delle culture politiche.
L'iniziativa, partita dalla media Pascoli, è stata subito raccolta dal Comune e
dal Rotary che ieri l'hanno presentata: «In 5 anni la Pascoli ne ha fatta di
strada, utilizzando strumenti all'avanguardia, dovuti a molteplici investimenti
e per un totale di 240 mila euro - ha spiegato il dirigente scolastico Maurizio
Carandini -; dopo i corsi di aggiornamento del personale, ci siamo proposti
percorsi di formazione di alta qualità, sfociati in questa idea». Per il
presidente del Rotary, la collaborazione con la Pascoli è cominciata con il progetto
Arte e oro: «Ora, abbiamo messo a disposizione della scuola e della città una
lavagna interattiva - sottolinea Marco Arrigoni - tra le altre iniziative, la
collaborazione con il Politecnico di Torino per i master del gioiello e con il
Comune per L'età creativa". L'assessore Pier Giorgio Manfredi ha aggiunto:
«Il seminario contribuirà alla convivenza tra le etnie, vera espressione della
libertà».
( da "Stampa, La" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
"Difendiamo
l'economia reale" L'appello di Susta al Parlamento Ue Il tessile europeo è
competitivo perché sa essere innovativo e creativo e sa generare quelle
«eredità dinamiche» - come le chiama Susan Berger - in virtù delle quali le
aziende hanno dimostrato grande capacità di adattamento alle novità, coniugando
il «fare» con il «saper fare». «Non si possono chiedere più innovazione, più
creatività, più qualità (come vuole anche la Piattaforma tecnologica
all'interno del 7° programma quadro per la ricerca) e poi mantenere regole o
non cambiarne altre, che favoriscono il prodotto che vale meno sul presupposto
che il minor costo sia di per sè il vero e unico "interesse del
consumatore". Ci vuole un riconoscimento istituzionale che riduca il
dumping che altera la concorrenza leale - spiega Gianluca Susta che l'altro
giorno è intervenuto a Strasburgo sulla crisi del settore tessile europeo - Al
Commissario Ashton abbiamo chiesto un regolamento sul Made in; maggiore lotta
alla contraffazione e alla pirateria commerciale e ricorso alle procedure
antidumping; assoluta reciprocità con Usa, Canada e Giappone; proroga delle
misure verso l'export cinese al 31 dicembre 2009; l'ampliamento
del fondo adeguamento alla globalizzazione e l' aumento dei fondi alla
piattaforma tecnologica tessile, infine credito agevolato e garantito sostegno
all'export. Non regge più una concezione - cara ai Paesi nordici - secondo cui
lo sviluppo dipende solo dalla finanza e dai servizi avanzati: la crisi ha
dimostrato quanto sia importante l'economia reale che, nel caso
specifico, significa ancora 2,5 milioni di occupati e un saldo commerciale che
nel 2007 era ad esempio in Italia ancora di 10 miliardi di euro e fino a giugno
2008, prima della crisi mondiale, era ancora salito del 2,8%».
( da "Unita, L'" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Obama
blocca gli stipendi d'oro dei manager delle aziende salvate La crisi «toglie il
sonno» al primo presidente nero degli Stati Uniti. Per questo accelera. Ieri ha
annunciato il taglio degli stipendi d'oro dei manager delle aziende salvate con
i soldi pubblici. La festa è finita. Barack Obama ha annunciato un limite agli
stipendi dei manager delle aziende in crisi. E la cancellazione di tutti i
bonus sinora intascati a dispetto di conti economici disastrosi. Il
provvedimento riguarda principalmente Wall Street, il cuore della finanza
americana e mondiale, che all'improvviso s'è scoperto un gigante dai piedi
d'argilla. L'agente scatenante della crisi che «mi toglie il sonno la notte -
ha detto il neo presidente Usa - Ora sappiamo che ci
sono dirigenti che continuano a incassare enormi bonus nonostante le loro
aziende stiano a galla solo grazie a interventi pubblici straordinari. Soldi di
cittadini che pagano le tasse -- E questo fa giustamente infuriare l'opinione
pubblica». E ha messo in chiaro che senza un tempestivo intervento del
Congresso «una catastrofe è alle porte». L'annuncio è stato dato dalla Casa
Bianca nel corso di una conferenza stampa congiunta con il segretario al Tesoro
Timothy Geithner e fissa a 500mila dollari lordi l'anno il compenso massimo per
qualsiasi manager di banca o società che abbia usufruito o intenda usufruire di
aiuti da parte del governo federale. «Imporremo delle restrizioni in cambio di ogni
aiuto federale, perché non vogliamo più vedere i vecchi trucchi a cui abbiamo
assistito in passato». Obama, tra le altre considerazioni, ha bollato i manager
di «cattivo gusto». E ha ammesso apertamente di aver sbagliato per aver in un
primo momento selezionato personaggi inguaiati col fisco per posizioni di
governo. Geithner si é impegnato a fornire entro la prossima settimana
ulteriori dettagli sulla strategia di spesa dei circa 350 miliardi di dollari
di aiuti rimamenti nel pacchetto noto come «Troubled Asset Relief Program». Il
programma di acquisto e garanzia dei titoli spazzatura. TAGLIO GIGANTESCO Mezzo
milione di dollari l'anno sono comunque una cifra straordinariamente alta in
confronto al reddito medio di una famiglia Americana, e addirittura un compenso
stellare rispetto al salario minimo che la legge fissa a 6 dollari e 15
centesimi l'ora. Eppure si tratta di un taglio gigantesco rispetto a quello che
è stato l'andazzo nel settore finanziario, dove i milioni s'intascavano come
noccioline. Mettendo insieme società di assicurazioni, finanziarie e banche
finite a gambe all'aria o sull'orlo del tracollo, si scopre che lo scorso anno
i dirigenti di queste aziende si sono portati a casa un totale di 18,4 miliardi
di dollari. Solo come «premi di produzione». Tra I gruppi che dovranno mettersi
immediatamente in riga con I nuovi limiti salariali, il colosso assicurativo
Aig e il colosso bancario Citigroup. A parte isolate accuse di «populismo»,
l'opinione generale degli analisti è che l'amministrazione Obama stia muovendo
nella giuste direzione. Anche se non esistono formule o ricette sicure per
l'uscita dal tunnel. Troppi sono i fattori in gioco e l'incertezza aumenta in
modo esponenziale considerando le dinamiche di un'economia che muove su scala
globale. Cina in recessione Secondo la lettura dei dati relative al terzo
trimester di quest'anno data da Nouriel Roubini, l'economista vivente più
citato dopo il premio Nobel Paul Krugman, anche la Cina è entrata
ufficialmente in recessione. Questo fa temere un'ulteriore abbassamento dei
prezzi da parte di Pechino per non intaccare il volume di esportazioni verso
gli Stati Uniti. L'amministrazione Obama ha tuttavia escluso la
possibilità di ricorrere a misure protezionistiche agendo sulle tariffe
doganali. La sfida sarà nell'investimento in nuove tecnologie e nella eco
compatibilità della produzione. ROBERTO REZZO robertorezzo@unita.it
( da "Finanza e Mercati" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Il
Sol Levante, miniera di buoni affari da Finanza&Mercati del 05-02-2009
GRACE YEO* Lo stereotipo del Giappone, si sa, è quello di un regno ripiegato su
sé stesso: una vita politica particolare, una popolazione che invecchia e una
miriade di aziende con un percorso originale, in parte rilevante sganciato dal
profitto e dagli interessi degli azionisti, elementi chiave per gli
investitori. In quest'ottica, il mercato azionario giapponese è, nel migliore
dei casi, un'opportunità di diversificazione del rischio nei periodi negativi,
ma da ignorare in quelli positivi. Questo radicato pregiudizio, a mio avviso
sbagliato, offre un'occasione per fare ottimi affari. L'economia giapponese, in
realtà, è agganciata in maniera strettissima al resto del mondo e, in
particolare, all'Asia affacciata sul Pacifico. L'export di Tokyo rappresenta
più di metà della regione, assai sopra la quota dell'Europa e quella degli
Stati Uniti. Gli investimenti diretti in Asia sono cresciuti regolarmente
nell'ultimo decennio fino a toccare la cifra record di 19.000 miliardi di yen
alla fine del 2007. Altri indicatori per gli Usa (vedi
la leadership di Toyota) e in Europa testimoniano la profonda
internazionalizzazione dell'economia del Sol Levante. Proprio a partire dalla
vocazione di economia con stretti collegamenti a livello internazionale e
regionale, si possono individuare le migliori opportunità. Con un occhio di
riguardo alla dipendenza dal mercato cinese (per l'export) e dall'Australia
(per le materie prime). È importante utilizzare una prospettiva d'insieme per
sfruttare quei «vuoti di informazione» che hanno creato spazio per attraenti
operazioni di arbitraggio, a partire dal settore delle materie prime. Ragioniamo sulla dinamica dell'offerta e della domanda nelle
commodities in Cina/India e in Australia. Poiché certi settori - per esempio quello
delle materie prime - rispondono a fattori globali, il confronto tra le
informazioni e i dati provenienti da fonti diverse ci consente di individuare
gli eventuali settori non coperti. Viceversa, attenersi alle analisi
conservative dei management giapponesi o alle guidance degli analisti sarebbe
limitante. Per esempio, pochi si sono soffermati sul vero significato delle tre
distinte trattative per fusioni svoltesi a dicembre su tre continenti nel
settore del carbone. L'ampio spread tra il prezzo delle azioni e il prezzo
implicito che gli attori del settore sono pronti a imputare a queste
acquisizioni suggerisce che gli investitori sono diventati eccessivamente
negativi riguardo alla sostenibilità della tendenza all'adeguamento al rialzo
del prezzo del carbone. Analogamente, i prezzi delle azioni dell'acciaio sono
scesi in previsione di una flessione degli utili dovuta agli aggiustamenti
della produzione. Tuttavia, i prezzi dei rottami di acciaio stanno già
registrando una inversione di tendenza a seguito del drastico esaurimento
dell'inventario di rottami ferrosi della Hyundai Steel. Il nostro investimento
in Sumitomo Metal poggia sul presupposto che, nei prossimi due trimestri, i
magazzini dovranno essere riforniti per forza. Il Giappone è un enigma, ma solo
perché il giudizio è spesso viziato da stereotipi. Il Giappone è un'opportunità
cui occorre andare incontro e non un rischio da cui fuggire. Mentre il mondo
vede l'attuale crisi come l'opportunità di una vita per posizionarsi nel
mercato Usa, a nostro avviso, solo il Giappone può
veramente vantare questo titolo. I prezzi delle azioni hanno toccato i livelli più
bassi degli ultimi cinquant'anni e più del 90% delle società giapponesi
presenta quotazioni inferiori al valore di libro: perciò sono convinto che ci
sia la possibilità di raccogliere i frutti che altri non vedono. *Portfolio
manager - Legg Mason International Equities - Singapore
( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del
05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Esteri
Pagina 110 teheran Nucleare, l'Iran insiste «Non rinunciamo a un nostro
diritto» Teheran --> TEHERAN L'Iran ha detto di essere deciso a «insistere
nei propri diritti» in campo nucleare, invitando le potenze del gruppo dei 5+1,
che oggi sono tornate a riunirsi in Germania, ad accettare «la realtà». Le
affermazioni sono state fatte ieri dal portavoce del ministero degli Esteri,
Hassan Qashqavi, dopo che martedì Ue e Usa avevano
reagito con allarme alla messa in orbita del suo primo satellite di Teheran.
Sviluppo che si teme possa aiutare l'Iran a mettere a punto missili balistici
sempre più sofisticati. Ma iero a Wiesbaden, dove si sono riuniti a livello di
dirigenti diplomatici dei rispettivi ministeri degli Esteri, i 5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania), hanno messo l'accento
favorevolmente nel loro comunicato finale sulla «volontà dell'amministrazione
americana di avviare discussioni con l'Iran, così come espressa dal presidente
Obama». Una volontà che comporta un netto cambiamento di linea rispetto alla
chiusura del suo predecessore George W. Bush. Il sestetto ha però detto
anche chiaramente a Teheran che deve «cooperare pienamente» con le Nazioni
Unite. E da parte sua il ministro degli esteri russo, Serghei Ivanov, ha dichiarato
che Mosca è pronta a contribuire al dialogo tra Usa-Iran.
L'Iran ha già ignorato cinque risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'Onu
che chiedevano di sospendere l' arricchimento dell'uranio, l'aspetto più
delicato del suo programma poichè questa tecnologia consentirebbe anche di
produrre materiale fissile per armi atomiche.
( da "Tirreno, Il" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Pagina
4 - Pisa Crisi finanziaria, le cause affondano nella globalizzazione
e nel capitalismo La crisi economica che ha travolto la finanza mondiale sta
colpendo in modo strutturale l'economia reale del nostro Paese. Sono molte le
cause di questa crisi finanziaria senza precedenti: dai derivati, ai mutui
subprime, all'eccessivo ricorso al debito e al consumo, ad assicurazioni e
banche che in assenza di adeguate regole e controlli hanno spadroneggiato
senza freni fino ad ora, ma in particolare molte responsabilità vanno
attribuite al Wto, ovvero l'organizzazione mondiale del commercio che ha
regolato la globalizzazione e il turbo capitalismo (ovviamente in modo
sbagliato). Il nostro Paese sta vivendo un momento particolarmente critico, con
un aumento esponenziale della disoccupazione legato da una parte (primi mesi
dell'anno 2009) alla perdita del posto di lavoro per centinaia di migliaia di
precari dall'altra la chiusura di migliaia di piccole e medie imprese e il
ridimensionamento dei dipendeti con contratto a tempo indeterminato nelle
grandi aziende e nei loro indotti (nei prossimi mesi). Calano i consumi, scende
l'inflazione, perciò da una parte i "fortunati" che riusciranno a
mantenere il loro posto di lavoro senza un calo delle ore effettuate, saranno
agevolati visto il forte calo dei prezzi, dall'altra le istituzioni dovranno
adoperarsi nel modo più efficace e immediato per disinnescare quella potente
bomba a tempo che io chiamarei con un termine: "disoccupazione
dilagante". Se considerate negativo un forte aumento dell'inflazione,
sappiate che l'inverso ovvero un forte calo che si tramuti in deflazione
sarebbe assai più grave e devastante per il tessuto sociale del nostro grande
Paese. Andrea Mion
( da "Riformista, Il" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
zero
nuke il "times" rivela che il presidente proporrà al Cremlino di
tagliare fino all'80% delle testate Obama verso l'addio a Stranamore? di
Giampiero Giacomello Barack Obama sarebbe pronto a proporre alla Russia un
taglio radicale delle testate nucleari, fino all'80 per cento degli arsenali
attuali. La rivelazione pubblicata ieri dal Times ha già trovato una
disponibilità di massima da parte di Mosca per bocca del vicepremier Sergei
Ivanov. Il compito, alla Casa Bianca, sarebbe affidato ad un ufficio ad hoc,
diretto da Gary Samore, che ha svolto gli stessi compiti sotto Bill Clinton. È
ragionevole un progetto del genere? È possibile? La risposta ad entrambe le
domande è positiva. Tanto più che i propositi di disarmo coincidono con il
disgelo avviato dalle prime decisioni della neonata amministrazione Obama,
revisione del progetto dello scudo anti-missili in primis. Iniziamo con il dire
che, al momento, sia la Russia sia gli Stati Uniti, dispongono di un numero di
testate nucleari più che sufficienti ad infliggersi a vicenda danni spaventosi.
I loro arsenali poi sono molto superiori a quelli delle altre potenze nucleari,
dichiarate o meno. In termini assoluti, il Trattato di Mosca, firmato da Usa e Russia nel 2002 e che rappresenta l'ultima versione
dei trattati Start, prevede che entro il 2012 le due potenze riducano il numero
di testate a 1700-2000 per parte, rispetto alle oltre 4mila per gli Stati Uniti
e più di 5mila per la Russia (all'apice della Guerra Fredda, il numero
complessivo era di quasi 80mila, di vario tipo). Anche con la riduzione del Trattato
di Mosca, gli arsenali delle due potenze nucleari supererebbero, di molto,
tutti gli altri paesi dotati di arsenale nucleare: Regno Unito, Francia e Cina, insieme, non arrivano nemmeno a mille, India e Pakistan congiuntamente
ne posseggono circa un centinaio e così anche Israele, mentre la Corea del Nord
ne possiede meno di 10 (almeno secondo le stime). Partendo dai numeri del
Trattato di Mosca (circa 4mila), una riduzione dell'80 per cento porterebbe i
due paesi a tagliare più di 3mila testate, mantenendone quindi
disponibili circa 4-500 ciascuno. Anche così Usa e
Russia potrebbero infliggersi danni devastanti, per non parlare di quello che
potrebbero fare ad altri paesi nucleari. I numeri di partenza potrebbero essere
diversi, ma la riduzione sarebbe in ogni caso sostanziale e metterebbe sotto
pressione le rimanenti potenze nucleari dichiarate per tagli significativi
anche ai loro arsenali. La proposta definita «zero nuke», portata avanti da
gruppi per il disarmo nucleare in vari paesi, sembra avere già sostenitori
anche nel governo britannico oltre che in quello americano. È vero che non si
arriverà mai all'eliminazione completa delle armi nucleari, ma l'obbiettivo è
quello di portare gli arsenali nucleari al livello più basso possibile, senza
compromettere la capacità di dissuasione. Ovviamente, una riduzione del numero
complessivo di testate riproporrebbe la questione della qualità delle armi
rimaste. Alcuni esperti nucleari, infatti, sostengono che la riduzione è
possibile solo a fronte di una maggiore efficienza delle testate. In altre
parole si tratterebbe di mantenere la stessa capacità di distruzione con meno
ordigni. Ma la questione è aperta, e non è detto che lo scambio
quantità-qualità sia, dopo tutto, necessario. Inoltre, il vantaggio di una
riduzione complessiva degli arsenali nucleari, giustificherebbe l'impresa di un
taglio sostanziale da parte delle due maggiori potenze. Russia e Stati Uniti,
con qualche centinaio di testate, per la maggior parte a bordo di sottomarini
nucleari che essendo praticamente invulnerabili garantiscono la capacità di
"secondo colpo", manterrebbero la dissuasione reciproca e potrebbero
ancora annientare qualsiasi altro avversario nucleare. I livelli della Guerra
Fredda erano «giustificati« dal fatto che molti, da entrambe le parti, erano
convinti che fosse effettivamente possibile «combattere" una guerra
nucleare. 05/02/2009
( da "marketpress.info" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Giovedì
05 Febbraio 2009 CRISI DELL´AUTO: I DEPUTATI EUROPEI CHIEDONO AIUTI PER L´INDUSTRIA
Strasburgo, 5 febbraio 2009 - Nel dibattito in Aula tutti i deputati hanno
sottolineato la crisi profonda attraversata dall´industria dell´auto europeo.
In molti hanno chiesto un più forte coordinamento a livello europeo delle
azioni. Queste dovrebbero riguardare principalmente il rinnovo del parco
macchine verso modelli più ecologici, l´innovazione, la ripresa dei crediti
all´industria e la tutela dell´occupazione. Per il commissario Verheugen il
futuro dell´industria europea sarà ecologico, oppure non ci sarà futuro.
Dichiarazione del Consiglio in carica - Alexandr Vondra ha anzitutto
sottolineato l´importanza del tema in discussione, rilevando come l´industria
automobilistica sia «un fattore chiave dell´economia europea». Grazie alla sua
adattabilità dell´industria comunitaria, ha aggiunto, le auto europee sono tra
le migliori, le più innovative, sicure, competitive e rispettose dell´ambiente»
e «bisogna essere fieri di questi risultati». Ma la crisi economica globale ha
portato a una riduzione delle vendite dell´8% nel 2008, rispetto all´anno
precedente, e la situazione potrebbe peggiorare nel 2009, anche per l´indotto.
Il Ministro ha poi sottolineato che queste difficoltà mettono a repentaglio
molti posti di lavoro e, pertanto, l´industria deve essere incoraggiata ad
affrontare i suoi problemi strutturali, come la sovracapacità produttiva. A
tale proposito, ha ricordato che il piano di risanamento economico europeo e i
programmi nazionali prevedono una serie di aiuti. Questi, ha però precisato,
devono concentrarsi sull´innovazione, essere mirati e coordinati e rispettare i
principi della concorrenza equa e dell´apertura dei mercati. Ha quindi ammonito
che non ci deve essere una «corsa ai sussidi» e non è possibile distorcere la
concorrenza. Il Consiglio, ha aggiunto, collaborerà con la Commissione per
esaminare la possibilità di migliorare i prestiti e proseguirà con il suo
dialogo con gli Usa e gli altri partner. Riguardo agli
strumenti a disposizione dell´Ue ha posto l´accento su quelli che favoriscono
l´innovazione. Al riguardo andranno valutate le potenzialità dei sistemi a
propulsione ibrida e elettrica e delle cellule a combustibile. I regimi di
rottamazione, ha aggiunto, possono dare impulso alla domanda e avere un impatto
positivo. In proposito, ha anche affermato che la Presidenza ha chiesto alla
Commissione di proporre al Consiglio europeo di primavera uno schema coordinato
volto a incoraggiare il rinnovo del parco auto. Dichiarazione della Commissione
- Günter Verheugen ha invitato tutti «alla prudenza» per evitare «di suscitare
aspettative che non potranno essere onorate». L´industria dell´auto, ha
aggiunto, è un indicatore della congiuntura generale e il «grave rallentamento»
della domanda si ripercuote anche in altri settori. Questa riduzione, ha
spiegato, è sintomo della mancanza di fiducia e dell´attesa di nuovi sviluppi,
pertanto occorre prendere delle misure, tutti insieme, per ripristinare tale
fiducia. Dopo aver enumerato le caratteristiche del settore (12 milioni di
occupati, orientamento all´esportazione, ecc. ), ha sottolineato che il crollo
delle vendite ha portato a 2 milioni di auto invendute. Il surplus di capacità
produttiva, ha spiegato, è dell´ordine del 20% per alcune fonti, più alto per
altre, e vi sono 400. 000 posti di lavoro a rischio. Il commissario ha poi
avvertito che non vi sono garanzie che tutti i siti di produzione esistenti
saranno ancora attivi alla fine dell´anno: «la concorrenza è pesante» e
l´industria deve promuovere migliori prestazioni. Ha quindi osservato che la
legislazione Ue rende la situazione ancora più difficile visto che porta a un
aumento dei prezzi. Occorre quindi aumentare la produttività, cosa che avrà
conseguenze sull´occupazione. Gli obiettivi della politica Ue, ha poi spiegato,
sono di far uscire l´industria dalla crisi e migliorarne la competitività,
«affinché l´Ue resti il centro dell´industria automobilistica mondiale».
Descrivendo le misure adottate fino ad oggi, il commissario ha ricordato il
credito di 9 miliardi di euro, ma ha anche avvertito che «i fondi Bei sono
esauriti» e che è necessario garantire ulteriori finanziamenti. Gli Stati
membri sono anche autorizzati a ricorrere ad aiuti di Stato per sostenere
l´industria, purché questi siano «mirati e non distorcano la concorrenza». Ha
poi sottolineato che gli aiuti non devono discriminare i produttori, favorendo
l´industria nazionale, e possono consistere nella rottamazione di auto vecchie
a favore di modelli più ecologici che abbiano ad esempio minori emissioni. Più
a lungo termine, ha menzionato le raccomandazioni di Cars 21 sulla ricerca e
l´innovazione. Il commissario ha poi sottolineato che la principale conclusione
delle sue discussioni con gli Stati membri è «il no al protezionismo».
A livello internazionale, invece, bisogna guardare alle azioni degli Usa: se non è nell´interesse dell´Europa che l´industria
americana fallisca, va anche assicurato che gli aiuti di cui beneficia non
penalizzino i produttori Ue. Concludendo, ha affermato che «l´industria europea
è capace e pronta a reagire per garantire il suo futuro». Interventi in nome
dei gruppi politici - Jean-paul Gauzes (Ppe/de, Fr) osservando che il messaggio
del commissario «non è di speranza e non contribuisce a ripristinare la
fiducia», teme invece che rappresenti un incitamento agli Stati membri a
muoversi da soli. A suo parere l´Ue deve invece fare ben altro per un´industria
così importante. Ha quindi sottolineato che una risposta coordinata «è
fondamentale e urgente per sostenere e amplificare le azioni già intraprese dagli
Stati membri». Ha poi sostenuto che, prima di tutto, è indispensabile che il
sistema bancario finanzi normalmente l´industria, «ossia a dei tassi e a delle
condizioni normali, e con dei volumi che corrispondono ai bisogni
dell´industria». Inoltre, «occorre dare un futuro all´industria» ed è quindi
indispensabile una vera politica industriale che guardi al futuro e acceleri
gli sviluppi necessari, in particolare, nel campo della protezione
dell´ambiente e delle esigenze dello sviluppo sostenibile. Ma è anche
primordiale che lo sforzo d´innovazione non si realizzi a discapito della crisi
e che gli aiuti permettano di agire in questo campo. Guido Sacconi (Pse, It) ha
detto di condividere la preoccupazione e il realismo espresso dal commissario.
Ha quindi rilevato che una stima prevede una perdita potenziale di 2 milioni di
posti di lavoro nel 2009 nell´intera filiera automobilistica, «la maggior parte
dei quali nella componentistica». Ha quindi osservato che «viviamo una
straordinaria contraddizione: da un lato abbiamo un parco veicolare privato e
pubblico molto obsoleto, con alti livelli di emissioni e, dall´altro lato, una
domanda che è fortemente rallentata, se non addirittura crollata». Sostenendo
di aver apprezzato molto il piano di rilancio deciso dalla Commissione, pur con
i suoi limiti, ha sottolineato di intervenire sulla domanda: «una vera manovra
anticiclica . Anche in funzione degli obiettivi ambientali». Deplorando che
ogni Stato membro abbia preso iniziative individuali e che l´Italia «finora non
ha fatto niente», ha auspicato che al Consiglio "Competitività" della
prossima primavera «ci sia il massimo di coordinamento, almeno sui criteri»,
collegando ad esempio i piani di rottamazione «a precisi obiettivi di
emissioni». In proposito ha giudicato «intelligente» la soluzione adottata in
Francia che consiste nel «variare l´entità del bonus messo a disposizione
dell´acquirente a seconda del livello di emissioni della vettura comprata». A
suo parere, questo sarebbe «un sistema "win-win", in cui ci guadagnerebbero
tutti: l´occupazione, l´innovazione, la competitività e anche l´ambiente». Per
Patrizia Toia (Alde/adle, It) «la crisi del settore auto è diventata crisi di
un intero comparto, dell´indotto, di altri settori collegati, delle reti
commerciali e quindi dei servizi» e ha «prospettive drammatiche sotto il
profilo dell´occupazione». Il crollo delle immatricolazioni, a suo parere,
«dimostra che non è una crisi di un settore tecnologicamente obsoleto, non
nasce all´interno del settore, dall´interno di questa o quell´azienda, per
errori manageriali, è bensì una crisi di sistema e come tale va affrontata
urgentemente e con decisione proprio dalle istituzioni europee». Se occorre
sostenere la domanda, visto che «i consumi sono l´unico volano della ripresa»,
è anche necessario garantire «un sostegno creditizio per riprendere la
produzione, pagare i materiali, sostenere l´occupazione, anche di fronte a un
calo degli ordinativi e della domanda». Sottolineando che l´America e alcuni
paesi europei stanno già intervenendo e auspicando che l´Italia «passi dalle
proposte generiche alle iniziative concrete», ha sollecitato «una più forte
azione europea nel piano di rilancio» e anche oltre poiché «il destino delle
grandi case europee è un destino comune e i grandi produttori europei non
devono trovare concorrenza all´interno del mercato comune sotto forma di
diverse forme di aiuti di Stato o di agevolazioni, ma devono trovare una
risposta dell´Europa forte, incisiva e coordinata». Anche perché «le sorti del
mercato europeo dell´auto si misurano nella capacità di affrontare insieme la
concorrenza mondiale». Ha quindi concluso chiedendo che «il sostegno non sia un
aiuto, peggio un soccorso, che lascia tutto com´è, ma un incentivo per una
capacità competitiva futura del settore sotto il profilo delle innovazioni, di
produzioni compatibili con l´ambiente e anche di tecnologie più rispettose
dell´ambiente e della sicurezza dei viaggiatori e dei trasporti». Anche Guntars
Krasts (Uen, Lv) ha affermato che lo sviluppo è collegato alla disponibilità
del credito. Dopo la normalizzazione dei sistemi creditizi, ha spiegato, dovrà
essere possibile agire sul settore, salvaguardando la competitività e le
prestazioni ecologiche. Rebecca Harms (Verdi/ale, De) ha rilevato l´esigenza di
gestire la crisi economica assieme a quella ambientale, sostenendo che sarebbe
un errore non essere ambiziosi a favore delle misure per il cambiamento
climatico. In proposito, ha deplorato che si sia fatto troppo poco in questa
materia. A suo parere, occorre «difendere le auto piccole e ecologiche» e
esaminare le potenzialità di quelle elettriche. E´ anche necessario avere una
visione d´insieme sul settore dei trasporti e, quindi, considerare anche i
mezzi pubblici e incentivare i sistemi sostenibili per il futuro. Per Roberto
Musacchio (Gue/ngl, It) «è ormai evidente che la crisi finanziaria è diventata
economica e ora sociale, drammatica». E ciò «lo dimostra la situazione
dell´auto, dove si presume siano a rischio oltre due milioni di posti di
lavoro», soprattutto i più deboli ossia gli anziani e i precari. A suo parere
occorre quindi «agire con rapidità e forza» e, in proposito, ha sottolineato la
necessità di un coordinamento europeo diretto all´innovazione in relazione al
pacchetto clima e al regolamento sulle emissioni. Ma deve anche riguardare la
questione sociale: «nessun lavoratore, a partire da quelli anziani e da quelli
precari, deve essere espulso, poiché non si può fare l´innovazione cacciando i
lavoratori». Pertanto, è necessario adeguare il Fondo sulla globalizzazione e
il Fondo sociale, perché «il lavoro in Europa torni ad essere centrale, ad
avere quel ruolo che spetta ad esso come fondatore di democrazia». Patrick
Louis (Ind/dem, Fr) ha affermato che il settore dell´auto «soffre delle
delocalizzazioni e dei dumping sociale, ambientale e fiscale». A suo parere la
sola soluzione per difendersi «dai 4X4 americani sovvenzionati e dopati dal
ribasso del dollaro . E dai veicoli di gamma inferiore
provenienti dalla Turchia o dalla Cina» è di
«ristabilire le tariffe esterne comuni». Solo i dazi compensatori alle
frontiere, ha insistito, «possono ristabilire uno scambio internazionale
leale». Replica della Commissione - Günter Verheugen ha insistito sul fatto che
«le misure a breve termine non possono essere in contraddizione con gli
obiettivi di lungo termine: il futuro dell´industria europea sarà
ecologico, oppure non ci sarà futuro!». Occorre quindi riorientare il settore,
nonostante la crisi. Riguardo all´occupazione, ha ricordato che la Commissione
ha avanzato delle proposte per un del Fondo di adeguamento più flessibile e, in
proposito, ha sottolineato la necessità di agire rapidamente per salvaguardare
e aiutare i lavoratori meno qualificati. In merito alla rottamazione, ha
rilevato che non vi possono essere norme Ue sugli importi dei premi, ma che
sono state proposte delle forbici. . <<BACK
( da "AmericaOggi Online" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Frattini:
Riforma delle istituzioni internazionali. "Non dobbiamo aver paura"
05-02-2009 PERUGIA. Integrazione. Riforma delle istituzioni internazionali.
Coinvolgimento dei Paesi emergenti e delle organizzazioni regionali per
"una nuova governance globale". Perché in un momento di crisi
drammatica, la prima cosa dalla quale la comunità internazionale non deve
lasciarsi "sopraffare" è la "paura". Dall'Università per
stranieri di Perugia - luogo simbolo di una riuscita integrazione e di una
globalizzazione dal volto "buono" - Franco Frattini sceglie
suggestioni rooseveltiane per trasmettere lo spirito che l'Italia intende
imprimere al suo anno di presidenza del G8. L'"incertezza" e la
"paralisi", ammonisce infatti il titolare della Farnesina davanti
alla platea dell'Aula Magna di Palazzo Gallega per l'inaugurazione dell'anno
accademico, sono nemiche del cambiamento, dell'innovazione, necessari -
entrambi - per trascinare il Pianeta fuori dalle secche della "più grave
crisi economica e finanziaria" dalla Depressione del '29 e per diffondere
una nuova "sicurezza" tra i cittadini angosciati dalle minacce del
terrorismo internazionale. "L'unica cosa che non possiamo e non dobbiamo
fare in questo momento è non decidere", è il ragionamento di Frattini, che
esorta i leader mondiali a mettere in campo quelle "risorse morali"
indispensabili per uscire dal tunnel. Il G8 italiano è entrato ormai nel vivo.
A giorni la riunione dei ministri dell'Economia del G7 aprirà il lungo anno di
incontri che culminerà nel summit di luglio de La Maddalena. E il ministro
incentra la sua "lectio magistralis" proprio sulle priorità che Roma
ha inserito in agenda, a partire dalla creazione di "una nuova governance
globale", nella quale G8 e G20 - il foro creato per far fronte allo
tsunami che ha investito l'economia mondiale - devono collaborare, schivando il
rischio di entrare in una sterile "competizione". Lotta al
cambiamento climatico e al terrorismo internazionale, sviluppo dell'Africa e
dei Paesi economicamente meno avanzati e governo della globalizzazione sono le
altre emergenze di un anno che deve segnare "la svolta". Il nuovo
modello messo a punto dalla diplomazia italiana, ricorda Frattini, è quello
delle "geometrie variabili": il tradizionale summit degli Otto Grandi
sarà rafforzato infatti dal coinvolgimento dei Grandi emergenti, o meglio già
emersi (Cina, India, Brasile, Messico, Sudafrica e Egitto), e da alcuni
"panel" tematici su crisi regionali (Africa, Medio Oriente,
Afghanistan-Pakistan) ai quali interverranno i leader interessati. "Non
solo per prendere un caffé con i Grandi della Terra - puntualizza il titolare
della Farnesina - ma per una collaborazione strutturata ed effettiva".
A questo si aggiungerà probabilmente una conferenza da tenere sempre in Italia
delle organizzazioni regionali - il ministro cita in primo luogo Unione
africana e Lega Araba - che possono avere un ruolo strategico nel risolvere i
focolai di crisi locali. Ed anche per l'Europa, avverte poi Frattini, è
arrivato il momento di assumersi responsabilità dirette, in primo luogo nel
campo della sicurezza, che sia economica, energetica o militare: la nuova
amministrazione Usa di Barack Obama chiede questo, e
se l'Europa non vuole sparire dalla scena globale deve dare
"risposte".
( da "AprileOnline.info" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Crisi
finanziaria e ecologica, un'unica origine: il capitalismo Carla Ravaioli*, 05
febbraio 2009, 13:05 Approfondimento/2 Rilancio produttivo, crescita, consumi,
" green business", sono le parole d'ordine anche della sinistra,
ammantata di uno stanco scetticismo. Manca il coraggio di guardare più lontano,
al mondo, e capire che così com'è non regge più. In pochi comprendono qual'è la
posta in gioco e quanta libertà sia consentita da una crisi come quella attuale
"Ma tu lo sai quante crisi ha attraversato il capitalismo? E quali
speranze ogni volta sono nate nel mondo del lavoro? Speranze poi puntualmente
crollate di fronte a clamorosi rilanci del sistema, alla conquista di nuovi
pezzi di mondo?" Di questo tenore è di regola la risposta delle sinistre
quando si avanzi l'idea che, forse, la crisi attuale potrebbe proporsi come
occasione per provare a ripensare il mondo, magari guardando il capitalismo
come un fenomeno non necessariamente eterno. Le eccezioni non mancano, ma sono
rare, e di solito non vanno oltre l'auspicio. D'altronde lo stanco scetticismo
delle sinistre circa un possibile superamento del capitalismo non può stupire.
Nulla di simile gli ultimi secoli della nostra storia promettono o autorizzano
a sperare. Ma si dimentica che la storia è fatta di cose che prima non c'erano.
E la storia più recente è stata appunto un lungo succedersi di fenomeni nuovi,
non pochi di dimensioni clamorose, che contribuiscono a fare di quella attuale
una crisi decisamente diversa. Oggi, parlando di crisi, ci si riferisce a
quella che ha colpito prima le grandi banche americane, poi la finanza
mondiale, e ora va mettendo in panne l'economia tutta intera, con pesanti
ricadute su occupazione, condizioni dei ceti più deboli, ecc. Ma in realtà le
crisi che scuotono il mondo oggi sono due, la seconda non meno della prima
determinante per il nostro futuro; due crisi (a parere di non pochi cervelli di
tutto rispetto) strettamente connesse l'una all'altra. Mi riferisco alla crisi
ecologica planetaria, che la politica - di sinistra come di destra - ha a lungo
ignorato, nonostante i sempre più allarmati richiami della scienza mondiale;
che solo di recente ha preso in considerazione, ma solo per alcuni aspetti, e
con provvedimenti lontanissimi dall'essere risolutivi. Inoltre senza mai
considerarne il diretto rapporto con il sistema produttivo. Eppure il problema
è tutt'altro che sconosciuto. Fin dal primo affermarsi del capitalismo
industriale grandi pensatori della scienza economica e non solo sono andati
interrogandosi sull'aporia di una produzione in crescita esponenziale
all'interno di uno spazio dato e non dilatabile quale il pianeta Terra,
costretta pertanto a confrontarsi con l'inevitabile esauribilità delle risorse
di cui si alimenta. La cosa apparve poi inoppugnabile quando (particolarmente
per merito di Nicholas Georgescu Roegen,(1) che in base al 2° principio della
termodinamica dimostrò l'inevitabile e irreversibile degrado dell'energia e
delle materie prime impiegate nei processi produttivi industriali) fu
scientificamente provato che il capitalismo andava consumando la base stessa
del suo operare. E sempre più risultò evidente via via che (stagioni impazzite,
ghiacci polari disciolti, alluvioni cicloni tornado sempre più devastanti,
enormi ingestibili mucchi di rifiuti, 3 milioni di morti, 50 milioni di
profughi) il guasto degli ecosistemi è andato palesandosi in tutta la sua
terribilità. Pagine e pagine di tutti i giornali sono dedicate a questi temi;
puntualmente si rende noto che, secondo la scienza più accreditata, le risorse
disponibili sono in via di esaurimento, e che continuando a consumare al ritmo
attuale presto avremmo bisogno di 5,4 pianeti; che buona parte delle coste del
globo finiranno sott'acqua, quelle italiane per prime; che in molte città
respirare è un grave rischio. Eccetera. Ma sono i medesimi organi
d'informazione a dedicare spazi ancor più ampi e vistosi alla preoccupazione
per l'auto che non "tira" come dovrebbe, al Pil che non cresce
abbastanza, ai mercati che rischiano una battuta d'arresto: facendosi tramiti
convinti, e spesso entusiasti, dell'invito al consumo. La crescita - non
importa se all'interno di uno spazio che non può crescere - rimane la nostra
stella polare. Una sorta di schizofrenia che appartiene d'altronde all'intero
agire economico e sociale. Basti ascoltare qualche convegno tra grandi
industriali, magari affiancati da illustri economisti e noti politici: da
sempre, e ancora oggi, l'ambiente, i rischi che anche all'economia il suo
dissesto comporta, sono del tutto ignorati, o evocati per brevi accenni. Ma lo
stesso accade se l'ascolto è dedicato a un dibattito tra sindacalisti, politici
di sinistra, economisti di analoga collocazione politica. Come se non fosse la
natura, l'ecosistema, a fornire tutto quanto il lavoro trasforma, quanto
consente all'impresa di esistere, all'economia di operare. Come se non
provenisse dalla natura, non "fosse natura", tutto quanto vediamo,
tocchiamo, usiamo, indossiamo, mangiamo, beviamo, respiriamo... Per tutti,
imprenditori, banchieri, economisti, politici di ogni colore, il collasso degli
ecosistemi non è che una variabile marginale, di cui è inevitabile occuparsi
quando causa danni di qualche entità: una seccatura insomma, un disturbo
collaterale, nulla che riguardi le radici dell'agire economico. Accennavo sopra
ad alcuni aspetti del problema ambiente che economisti e politici da alcuni
anni hanno preso in seria considerazione; i quali però con le cause della crisi
ecologica non hanno molto a che fare, non almeno nei modi e per i motivi
dell'interessamento. E' dall'inizio del 2000 che la "fine del
petrolio", o comunque la crescente antieconomicità della sua estrazione,
suscita viva preoccupazione tra economisti e politici; e anche l'innalzamento
della temperatura del globo comincia a suscitare qualche interrogativo negli
ambienti che "contano". Nasce così un interesse via via più vivace
per le energie alternative (vecchio cavallo di battaglia dei Verdi, a lungo
duramente osteggiato dalle compagnie petrolifere) e per ogni ritrovato capace
di assicurare risparmio energetico; ciò che presto dà luogo a un fiorente
"green business". E la parola stessa dice quale sia il vero, o
comunque prioritario, scopo di questa nuova politica, di fatto opposto a quello
per cui si batte l'ambientalismo più qualificato, e per cui le stesse
"rinnovabili" sono state pensate. Di questo genere sono oggi, in
presenza della recessione mondiale, i soli provvedimenti dedicati all'ambiente
da tutti i governi. D'altronde in perfetta sintonia con le posizioni che ignorano
lo squilibrio ecologico in tutta la sua complessità, limitandolo
all'"effetto serra" (certo la sua manifestazione più vistosa e
devastante, ma non la sola, né risolvibile con i mezzi proposti) così da
diffondere l'illusione di un possibile felice futuro, che grazie al "green
business" garantirà un forte rilancio della crescita, consentendo
produzione e uso di motori di ogni sorta, senza limiti e al netto da
inquinamenti. In linea dunque con l'insistita sollecitazione al consumo rivolta
a popolazioni impoverite, indebitate, disoccupate; con l'imperterrita strategia
della cementificazione, che va programmando grattacieli, superstrade, alte
velocità, nuovi piccoli e grandi aeroporti, villaggi e porti turistici, interi
quartieri destinati a restare, come in Usa, invenduti; e con la logica che
affida al mercato e alle sue "leggi" il compito di dettare la
politica economica, solo nell'eccezionalità del momento disponibile a una
momentanea deroga che affidi allo Stato la salvezza di giganti finanziari e
industriali in bancarotta. E però sono sempre più numerose le voci - anche di
commentatori lontani da ogni estremismo - che apertamente denunciano
l'insensatezza di questa linea e in vario modo argomentano la necessità di
superare, o comunque ripensare, il capitalismo. L'elenco è lungo e include
grandi nomi della cultura mondiale: Eric J.Hobsbowm, Edgard Morin, Jurgen
Habermas, Ulrich Beck, Nicholas Stern, Paul Virilio... E, nell'ambito di questa
lettura nettamente critica dell'economia mondiale, è di particolare interesse
l'affermazione e la messa a fuoco di una radice comune delle due crisi, quella
economico-finanziaria e quella ecologica, da alcuni intuita più che dimostrata,
ma dettagliatamente analizzata da altri. Il primo non solo a intuire ma a
descrivere il modo in cui i due fenomeni si influenzano a vicenda, è stato
André Gorz, il quale, in particolare in un articolo pubblicato poco prima della
sua morte(2), con parole addirittura profetiche ha indicato nella
sovrapproduzione l'origine della crisi finanziaria. Egli nota infatti come
l'enorme massa monetaria, derivante dalla vendita delle merci prodotte in
quantità sempre più massicce, e in crescente difficoltà nella propria messa a
profitto, sempre più si orienti a investire nell'"industria finanziaria":
quella che "crea danaro mediante danaro (...) comprando e vendendo titoli
finanziari e gonfiando bolle speculative", dando l'impressione di grande
floridezza economica, ma fondata "in realtà su una crescita vertiginosa di
debiti di ogni sorta (...) destinata prima o poi a esplodere, portando al
limite al crollo del sistema bancario mondiale". La sovrapproduzione è
d'altronde un fenomeno che Gorz in precedenza aveva ampiamente studiato come
tipico dell'economia capitalistica, connesso alla stessa meccanica dell'accumulazione
e promosso dalla cultura consumistica (3). E appunto l'assurdo del consumismo,
cioè della "quantità in continua espansione" (dimensione precipua del
capitalismo, fisicamente incompatibile con le dimensioni della Terra) aveva
segnalato come causa principale dello squilibrio ecosistemico. In questa
analisi trovando accenti vicini al pensiero di Immanuel Wallerstein(4) che, pur
senza specificamente occuparsi di ambiente, si è ripetutamente soffermato sulla
progressiva riduzione di spazi disponibili all'espansionismo del capitale;
anche lui dunque indicando nei "limiti del pianeta" una delle cause
della crisi "sistemica", che da anni diagnosticava come
irreversibile. Ad accomunare le due crisi, e a ricondurle a un'unica origine,
cioè l'insostenibilità (fisica oltre che sociale) del capitalismo, è anche il
celebre antropologo Jared Diamond (5). Di "due minacce", entrambe determinate dai processi di globalizzazione parla in un
suo ponderoso saggio l'economista indiano Prem Shankar Jha (6). Sul complesso
effetto negativo - sociale, ambientale, finanziario - della globalizzazione
neoliberista, insiste anche Walden Bello(7). "Le due crisi si alimentano a
vicenda", scrive il prestigioso notista politico George Monbiot (8)...
L'elenco è assai più lungo di così. D'altronde non manca soltanto un elenco
completo degli autori, bensì un quadro organico di questo ormai nutrito filone
di pensiero. Il perché non è difficile da intuire: si tratta di posizioni che
parlano dell'impossibilità di trovare soluzione ai tremendi problemi attuali
all'interno del capitalismo, ed esprimono ben scarsa fiducia in una sua piena
ripresa; posizioni opposte a quelle prevalenti, coltivate dai media e dalle più
potenti agenzie d'opinione. Che si tenda a ignorarle non può stupire: come
sempre "le idee dominanti sono quelle delle classi dominanti". E qua
ci si ritrova al punto da cui questo articolo si è mosso. Al fatto cioè che tra
le sinistre manchino tentativi di leggere il terremoto che scuote oggi la
società come un'occasione per ripensarla: provarci almeno, sperarlo,
sognarlo... Ripeto: rilancio produttivo, crescita, consumi, sono le parole
d'ordine anche a sinistra, e anche tra i pochi che indicano il capitale come
"il nemico" da combattere. E non serve dire che tra le organizzazioni
del lavoro questi obiettivi hanno fini e urgenze diversi da quelli delle
destre; o che è più facile trovare occupazione in un'azienda in ripresa
piuttosto che in una in pieno dissesto. Sono indubbie verità ma di breve
respiro, certo da considerare nella pratica immediata, ma che non dovrebbero
inibire il coraggio di guardare più lontano, di capire che oggi nemmeno le cose
di casa nostra si possono risolvere, o anche solo leggere correttamente, se non
si guarda al mondo, del quale le cose di casa nostra sono ormai parte più o
meno omogenea; e che a guardarlo attentamente, il mondo, si capisce che così
com'è non regge più. Come concordemente ritengono i commentatori appena citati.
I quali tra l'altro, tutti, fanno riferimento all'ambiente quale determinante
della nostra condizione presente e futura. Problema che le sinistre, alla pari
delle destre, hanno a lungo rifiutato di considerare, e che neppure oggi
seriamente considerano, quanto meno non nella sua complessità: accodandosi
all'entusiasmo per le "rinnovabili" e in generale per il
"business verde", sempre in funzione dell'auspicato "rilancio
produttivo" (ripeto, non proprio la medicina più adatta alla malattia), e
magari genericamente riferendosi alla "qualificazione" dell'ambiente,
mentre (fatta eccezione per alcune "sinistre critiche") ignorano, o
apertamente contrastano, le battaglie locali (Tav, Dal Molin, Civitavecchia,
ponte di Messina, ecc., per limitarmi ad alcuni casi italiani) che, benché
limitati, sono coerenti antefatti di quella che dovrebbe essere la giusta cura
per la natura gravemente ammalata. Anche Claudio Napoleoni si interrogava su
questa "timidezza" delle Sinistre, quasi una "sorta di complesso
di inferiorità nei confronti di quelle che vengono chiamate le leggi economiche";
per cui - diceva - "nei partiti comunisti c'è sempre stato un curioso
miscuglio, di esigenza di superamento del capitalismo e di paura di disturbare
un assetto al di fuori del quale non sembra esistere possibilità di
ordine." (9) E forse sarebbe utile chiedersene il perché, magari
rileggendo la storia, non per concedersi ai rimpianti o impegnarsi al recupero
di identità perdute, ma per capire come è nata quella quota di
"industrialismo" che innegabilmente appartiene alle sinistre. Che
forse addirittura risale al momento in cui Henry Ford spontaneamente aumenta il
salario dei suoi operai perché comprino le sue auto: cioè al primo gesto
esplicito compiuto dalla grande industria al fine di reperire un bacino di
consumo adeguato alla programmata dilatazione dei mercati; avvio di quel
processo di assimilazione della classe lavoratrice a valori e modelli
funzionali alla crescita del prodotto, impostasi poi come una sorta di
mutazione antropologica. Mentre la "rivoluzione", pur senza mai
essere cancellata come obiettivo ultimo delle sinistre, in qualche modo
"entrava in sonno". La cosa d'altronde ha certo comportato anche
risultati positivi. Per decenni in Occidente le sinistre hanno avuto spazio per
conseguire cospicui miglioramenti nelle condizioni dei lavoratori; in qualche
modo creando anche una larga speranza di ricchezza per tutti. Speranza poi
duramente delusa con la netta inversione di tendenza degli ultimi decenni: sia
nella sempre più disuguale distribuzione del reddito (oggi l'1 % della
popolazione del mondo ne detiene il 50%), sia nella crescente insicurezza (di
occupazione, di mansione, di salario, di orario) che caratterizza il lavoro e
il suo abuso; una precarietà diffusa, cui anche la percezione del rischio
ambientale si somma in un pesante disagio. Il tentativo di salvarci da questa
realtà, e dal terrificante futuro che potrebbe seguirne, esige un deciso scatto
di fantasia, oltre che un'enorme dose di coraggio: recuperando l'idea di
"rivoluzione", ma ripensandone il senso e i modi alla luce dell'ultima
storia. "Violento, profondo rivolgimento dell'ordine politico-sociale
costituito, tendente a mutare radicalmente governi, istituzioni, rapporti
economico-sociali", così (non troppo diversamente da analoghi repertori)
recita "Il Nuovo Zingarelli" alla voce "Rivoluzione" (10):
descrivendo (a mio parere con buona approssimazione) ciò che un'azione capace
di conseguire un soddisfacente risanamento degli ecosistemi, così da garantire
il futuro della specie umana, richiederebbe. Vale a dire (come quasi vent'anni
fa André Gorz già lucidamente intendeva) l'assunzione dell'equilibrio ecologico
come asse portante di un nuovo ordine mondiale: per una trasformazione del
paradigma economico, con "un rallentamento dell' accumulazione", e
dunque un calo generale dei consumi e della distruzione di risorse, ma insieme
con un nuovo impianto dei rapporti sociali non più "motivato
dall'opportunità economica", e definito invece soprattutto da una decisa
correzione delle disuguaglianze. (11) Superamento del capitalismo dunque, e
generale ripensamento della convivenza umana e degli istituti che la
definiscono e governano. La rivoluzione, appunto. Rivoluzione ecologica,
economica, sociale, culturale. Una rivoluzione che somiglia pochissimo a quelle
del passato. L'aggettivo "violento", che apre la "voce"
dello Zingarelli sopra riportata, fa riferimento a quello che è stato finora il
tratto precipuo di tutte le rivoluzioni, nei loro processi come nel loro
assunto. Ma questo è ciò che occorre superare, per inventare una rivoluzione
diversa. In altra occasione (12) ho parlato di una "rivoluzione
dolce", incisiva e tenace e però priva di eventi traumatici e sanguinosi,
che in nessun modo preveda uso della forza. Forse, chissà, l'obiettivo di
questa nuova rivoluzione, e i suoi processi, potrebbero magari imporsi come
incontestabili, addirittura ovvie, necessità. E' lo stesso Gorz a suggerirlo:
"Alla lunga, ciò che è ecologicamente irragionevole, non potrà essere
economicamente razionale". (13) Certo, è comprensibile come un'impresa di
tale portata, anche quando si ritenga non infondata nelle sue ragioni,
difficilmente possa trovare concreta disponibilità. Da che parte incominciare,
è un interrogativo che pare senza risposte. A meno che non sia la crisi stessa
a dare suggerimenti. Di recente più d'uno ha avanzato l'idea di una forte
riduzione degli orari di lavoro così da poter "dividere equamente" la
disoccupazione, e/o sostituire la cassa integrazione. La proposta ha incontrato
un certo ascolto, qualcuno si è spinto a recuperare l'ipotesi sessantottina del
"salario di cittadinanza", ne è nato un minimo di dibattito. Insomma
dalla mancanza di lavoro, che per molti è già una dura realtà e per moltissimi
una disperante prospettiva, si è rimesso in pista un discorso cui qualche
decennio fa si era guardato come alla possibilità di una vera, grande
rivoluzione, individuale e sociale. Dopotutto, dove sta scritto (se non appunto
nelle logiche del capitalismo industriale) che la più gran parte della vita
debba essere spesa lavorando? Ma la "rivoluzione del tempo" è una
possibilità da potersi recuperare (anche) al fine di quel rallentamento dell'
accumulazione capitalistica necessario a una concreta difesa dell'ambiente,
oltre che presupposto di rapporti sociali più equi. Alla proposta non poteva
non seguire la domanda "Chi paga?". Ma subito si è risposto
ricordando che Luigi Einaudi, che non era un barricadero, teorizzava l'esigenza
di un'imposta patrimoniale di successione che, oltre una certa soglia di
reddito, tassasse i patrimoni per un'aliquota del 50 %, al fine di combattere
le disuguaglianze. Nato senz'altro obiettivo che la difesa dell'occupazione,
senza mettere in discussione il rilancio produttivo, il discorso relativo ai
tempi di lavoro (uno dei temi più carichi di implicazioni politiche, sociali e
esistenziali, caro a tutti i grandi utopisti, e su cui anche Marx ha a lungo
ragionato) potrebbe dunque trovare futuro proprio entro la prospettiva di
"rivoluzione" di nuovo conio cui accennavo. Come si vede, se si trova
il coraggio di uscire dai vicoli asfittici della piccola politica consueta, si
trovano anche le ragioni per sostenerlo e pure gli antefatti su cui
appoggiarlo. Ma c'è un altro tema, presente nel frantumato dibattito di quel
che resta delle sinistre, che potrebbe partecipare alla medesima ipotesi, divenirne
forse materia decisiva. Penso al pacifismo, alla sua denuncia della guerra
praticata come normale strumento politico, che un'idea di rivoluzione non
violenta non potrebbe ignorare. Anche perché la guerra, tra l'altro, è agente
crudelissimo di devastazione ambientale. A partire dalle armi: merci che
pesantemente inquinano, nell'essere prodotte, trasportate e
"consumate"; merci che rappresentano oggi il 3,5% del Pil mondiale
(cifre ufficiali, assai inferiori alla realtà, dato il floridissimo contrabbando
del settore) e che costituiscono uno dei pochi mercati oggi in crescita; al
rilancio del quale, secondo autorevoli opinionisti, non è estraneo il
moltiplicarsi di guerre, guerriglie, terrorismi. Qualora, per (oggi pressoché
surreale) ipotesi, la produzione di armi venisse proibita, questa da sola
costituirebbe una concreta risposta alla necessità ecologica di contenere la
produzione; oltre a inserirsi nel modo più naturale in quella "rivoluzione
diversa", ecologica economica sociale culturale, di cui dicevo. (14)
Insomma, se le sinistre ci provassero a considerare la possibilità di un mondo
senza capitalismo, forse oggi l'impresa non sarebbe del tutto disperata. NOTE 1) Cfr. Nicholas Georgescu-Roegen, „The Entropy Law and the
Economic Process"; Cambridge (Mass) 1971 2) A. Gorz, "Crise mondiale,
décroissence et sortie du capitalisme", in « Entropia », Printemps 2007,
pp.51-59. 3) A.
Gorz, "Capitalismo, socialismo, ecologia", Roma 1992 4) CfrI.
I.Wallerstein, „Dopo il liberalismo", Milano 1999, e "Il declino
dell'America", Milano 2004. 5) Cfr. J. Diamond, "Collasso",
Torino 2005. 6) Cfr.P. Shankar Jah, „Il caos prossimo venturo", Vicenza
2007 7) Walden Bello, "Deglobalizziamo", intervista a cura di G.
Battiston, Il manifesto 11-12-08. 8) George Monbiot, The Guardian, 12 - 12 - 08
9) Claudio Napoleoni, in "La politica degli orari di lavoro", Dialogo
in appendice a Carla.Ravaioli, "Tempo da vendere, Tempo da usare", 2°
edizione. Milano 1988. p.144. 10) Zingarelli, "Vocabolario della lingua
italiana", Bologna 1990, p.1651 11) A. Gorz , "Capitalismo,
Socialismo, Ecologia", cit. pp. 72-78 passim. 12) C. Ravaioli, "La
crescita non è illimitata", "Carta" giugno 2004 13)A. Gorz,
"Capitalismo, Socialismo, Ecologia", cit. p. 74. 14) Cfr. Carla
Ravaioli, "Ambiente e pace - Una sola rivoluzione", Milano 2008.
*L'articolo è apparso su "Alternative per il socialismo",
Gennaio-Febbraio 2009
( da "Virgilio Notizie" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
New
York, 5 feb. (Apcom) - Sarà l'Asia la meta del primo viaggio ufficiale del
segretario di Stato americano, Hillary Clinton. La notizia, circolata già nei
giorni scorsi, è stata confermata questa mattina dal portavoce del dipartimento
di Stato, Robert Wood. Clinton partirà per la sua prima missione diplomatica il
15 febbraio e visiterà Tokyo, Seul, Pechino e Jakarta. Al centro dell'agenda ci
sarà la crisi economica internazionale e la strategia per fermare il programma
nucleare nordcoreano. Clinton discuterà i dettagli del viaggio questa sera a
Washington in una cena che avrà al centro le relazioni con i Paesi asiatici. I
rapporti con Pechino sono sotto particolare attenzione degli osservatori in
vista di una possibile visita a Washington del ministro degli Esteri cinese il
prossimo 20 febbraio. Il segretario di Stato ha chiesto di inserire nel
programma del viaggio la tappa in Indonesia, il più grande Paese musulmano del
mondo per numero di abitanti. La visita a Jakarta è vista come il primo passo
della nuova diplomazia statunitense verso il mondo islamico, in attesa della
visita del presidente Barack Obama ad una della grandi capitali musulmane,
annunciata subito dopo le elezioni di novembre.
( da "Giornale.it, Il" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Ho
seguito con crescente turbamento le polemiche sulla vicenda di Eluana. Chiunque
abbia provato che cosa significhi assistere un proprio caro che ha subito danni
al cervello, non può che provare una struggente solidarietà con il padre di
Eluana. Questo è un dramma intimo, straziante, che richiede raccoglimento e
invece è diventato il tema di una battaglia furibonda da entrambi gli
schieramenti. Stamattina ho letto sulla Stampa l'opinione controcorrente di un
autorevole cattolico, quella dell'arcivescovo Giuseppe Casale che dice: «Mi
sento vicinissimo a papà Peppino. Quella di Eluana non è più vita, porre
termine al suo calvario è un atto di misericordia». «Non è tollerabile
accanirsi ancora nè proseguire questo stucchevole can can. C'è poco da dire:
l'alimentazione e l'idratazione artificiali sono assimilabili a trattamenti
medici. E se una cura non porta a nessun beneficio può essere legittimamente
interrotta». E ancora: "Si è creato il 'caso Englarò agitando lo spettro
dell'eutanasia, ma qui non si tratta di eutanasia. Alla fine anche Giovanni
Paolo II ha richiesto di non insistere con interventi terapeutici inutili. Vedo
quasi il gusto di accanirsi su una persona chiusa nella sua sofferenza
irreversibile. Una vita senza relazioni, alimentata artificialmente non è vita.
Come cattolici dovremmo interrompere tutto questo clamore e dovremmo essere più
sereni affinchè la sorte di Eluana possa svilupparsi naturalmente - aggiunge
monsignor Casale - . I trattamenti medici cui è stata sottoposta non possono
prolungare una vera vita, ma solo un calvario disumano. È giusto lasciarla
andare nelle mani di Dio.» «L'alimentazione artificiale - conclude Monsignor
Casale - è accanimento terapeutico, se la si interrompe Eluana muore.
Rispettiamo le sue ultime volontà e non lasciamo solo un padre che, appena si
saranno spenti i riflettori di una parossistica attenzione, sarà in esclusiva
compagnia del suo dolore. Io lo comprendo, prego per lui, gli sono vicino.
Neanche io vorrei vivere attaccato alle macchine come Eluana, anche per me
chiederei di staccare la spina. Eluana non c'è più già da tanto, da molto tempo
prima della rimozione del sondino che simula un'esistenza definitivamente
svanita». Le parole di Monsignor Casale fanno riflettere. Che abbia ragione
lui? Scritto in società, Italia, giornalismo Commenti ( 4 ) » (2 voti, il voto
medio è: 5 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed
RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 04Feb 09 Quei
manager che si tagliano lo stipendio. Dopo lo scandalo dei bonus da 18 miliardi
distribuiti ai manager dalle banche americane salvate dallo Stato, Obama corre
ai ripari: oggi annuncia una norma che impone un limite di 500mila dollari agli
stipendi dei dirigenti delle società che beneficiano dei sussidi pubblici.
Bene, è un passo nella giusta direzione. Tuttavia, mi chiedo: i 18 miliardi
rappresentano un abuso colossale e una distorsione di fondi pubblici: perchè
Obama non ne pretende la restituzione? Se lo avesse fatto sarebbe stato davvero
credibile, in questo modo invece premia la casta, legalizza l'ultima rapina. E
invece in un frangente di crisi come questo sarebbe stato necessario un segnale
molto più forte che, evidentemente, Obama non può permettersi. Segnali che
invece giungono da alcune aziende private. In Giappone, ad esempio, i manager
di alcune grandi società in difficoltà si sono ridotti del 30% lo stipendio. Lo
stesso è avvenuto in Italia, nel mio mondo, quello dell'editoria. Il gruppo del
Sole 24 Ore ha appena inviato una lettera a tutti i collaboratori in cui
annuncia una riduzione dei compensi del 25% per fare fronte a quella che
definisce la "Grande Crisi". La lettera è firmata dal direttore
Ferruccio de Bortoli e dall'amministratore delegato Claudio Calabi, che hanno
dato l'esempio riducendosi di un quarto lo stipendio. Che differenza rispetto
ai banchieri di Wall Street! Questa è la strada giusta: se i tempi sono duri,
lo sono per tutti. Ed è il capo che mostra la via assumendosi in prima persona
i sacrifici richiesti. Io lo chiamo capitalismo responsabile e mi piace
moltissimo. Scritto in economia, società, era obama, globalizzazione,
democrazia, Italia, notizie nascoste, giornalismo Commenti ( 60 ) » (2 voti, il
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Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 02Feb 09
Ecco perché il clandestino in realtà non viene espulso Sul Giornale di ieri
Stefano Zurlo ha scritto un bell'articolo, in cui racconta che cosa accade agli
irregolari che vengono arrestati. Mi ha colpito questo passaggio: "È un
meccanismo davvero surreale. Il clandestino viene espulso; non se ne va o torna
di nascosto nel nostro Paese e allora scatta, obbligatorio, l'arresto. Ma i
processi, di media, sono catene di montaggio delle scarcerazioni: l'imputato
esce, in attesa del verdetto, e tanti saluti. Oppure, se la sentenza arriva di
volata, viene condannato, ad una pena di 6-8-10 mesi. E subito dopo rimesso in
libertà. Come è normale quando la pena è inferiore ai due anni. Insomma,
l'irregolare viene afferrato dalla legge e dalla legge riconsegnato alla sua
vita invisibile. Con una postilla: se lo acciufferanno di nuovo, sempre senza
documenti, non potranno più processarlo: non si può giudicare due volte una
persona per lo stesso reato". Se questa è la realtà, e non dubito che lo
sia, la lotta ai clandestini è assolutamente inutile. Continueranno ad
arrivare, sempre più numerosi, proprio perché è garantita l'impunità. E allora
è necessario correre ai ripari, varando norme che non permettano la
scarcerazione in attesa del processo e, come ho già scritto, che rendano
obbligatorio il rilevamento, oltre delle impronte digitali, dell'iride
dell'occhio. Solo così l'Italia può assumere una credibilità che oggi non ha.
L'alternativa è che l'Italia si trasformi non in una società tendenzialmente
multietnica, ma in un Paese anarchico con profonde ingiustizie sociali e un
razzismo diffuso. Non c'è più tempo da perdere: tocca al governo di
centrodestra proporre misure concrete. E al centrosinistra moderato di Veltroni
sostenerle con spirito bipartisan. Perché il problema degli immigrati non ha
più colore politico ma è sentito, con angoscia, dalla stragrande maggioranza
degli italiani, compresi i progressisti. O no? Scritto in società, globalizzazione,
democrazia, Italia, immigrazione Commenti ( 69 ) » (5 voti, il voto medio è: 5
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Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 30Jan 09 La casta
di Wall Street? Continua ad arricchirsi. Negli ultimi giorni mi sono occupato
nuovamente della casta dei banchieri, che ha inguaiato il mondo. Ho scoperto
alcuni dettagli interessanti, ad esempio, che l'ex numero uno di Lehman
Brothers, ha venduto la sua lussuosa residenza in Florida, stimata 14 milioni
di dollari. Il prezzo? Cento dollari. Chi l'ha comprata? La moglie. E così si
cautela contro eventuali creditori. Ipotesi peraltro remota, perché le leggi
americane offrono ampie protezioni ai banchieri protagonisti della truffa del
secolo. I protagonisti del disastro finanziario passano le loro giornate a
giocare, a golf, bridge, cricket. E quelli che non si sono ritirati continuano
ad arricchirsi. Nel 2008, mentre le loro società venivano salvate dal
fallimento, i manager delle banche si sono accordati bonus per 18,4 miliardi di
dollari, come spiego in un editoriale, nel quale pongo una domanda a questo
punto fondamentale: è giusto salvare le banche se la casta non viene
smantellata? Tremonti dice: a casa o in galera. Sono d'accordo con lui. Se il
capitalismo vuole risorgere deve riscoprire una virtù indispensabile, quella
della responsabilità individuale. E fare piazza pulita. Scritto in società, era
obama, economia, globalizzazione, notizie nascoste, democrazia, gli usa e il
mondo Commenti ( 73 ) » (7 voti, il voto medio è: 2.86 su un massimo di 5)
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Invia questo articolo a un amico 28Jan 09 Immigrazione, stiamo sbagliando
(quasi) tutto? I fatti degli ultimi giorni hanno riportato alla ribalta la
questione degli immigrati. Ne traggo tre riflessioni. 1) La crisi economica
renderà ancora più acuto il problema dell'immigrazione all'interno della Ue.
Romania e Bulgaria sono già in forte crisi economica e non mi stupirebbe se nei
prossimi mesi aumentasse il numero di cittadini di questi Paesi che cerca
fortuna nei Paesi europei ricchi; che, però, come ben sappiamo, non sono
risparmiati dalla recessione. Rumeni, bulgari verranno qui ma non troveranno lavoro
e molti di quelli che già abitano in Italia lo perderanno. La situazione
rischia di diventare rapidamente esplosiva: povertà, indegenza, disperazione,
dunque probabile aumento della delinquenza spicciola e molto potenziale
manodopera per la malavita e per gli imprenditori italiani schiavisti (che
esistono e vanno combattuti energicamente) . Tutto questo alimenterà il
razzismo e l'incomprensione reciproca. Occorre che l'Unione europea prenda
iniziative straordinarie per limitare la libertà di circolazione delle persone,
anche ripristinando, transitoriamente i visti. 2) L'immigrazione extra Ue non
si combatte solo alzando barriere, che in realtà servono a poco, perchè, come
ha dimostrato l'ultimi rapporto della Fondazione Ismu, dei 450 mila stranieri che
arrivano illegalmente, solo 120mila attraversano il Mediterraneo. Gli altri
sbarcano con un visto regolare (di studio, turistico o per lavori stagionali) e
si danno alla macchia. Come si combatte questo fenomeno? Imitando gli
americani: che prendono la foto e le impronte digitali a tutti i visitatori, In
tal modo (magari anche con il controllo dell'iride) si creerebbe una banca dati
europea che rende facilmente identificabili i clandestini. 3) Gli immigrati non
partono spinti solo dalla povertà, ma anche - anzi, soprattutto - per inseguire
il mito di un'Europa Eldorado, come ho spiegato in questa analisi. Il mito non
viene mai scalfito dai media nè nè dalla sociteà africana, che anzi continu ad
alimentarlo. «Gli africani quando partono non immaginano che fuori possa fare
più freddo che dentro un frigorifero», mi ha detto Gustave Prosper Sanvee,
direttore della tv cattolica del Togo. Dunque se vogliamo limitare le partenze
è necessario che gli immigrati sappiano che l'Europa non è un paradiso, ma
spesso un purgatorio fatto di stenti, sofferenza, spesso umiliazioni e che ci
ce la fa deve rispettare regole sociali e di convivenza che sono molto diverse
da quelle africane. Ma per raggiungere questo obiettivo è necessario che
l'Europa promuova una politica di comunicazione mirata alle popolazioni
Africane, che oggi è inesistente. Da qui la mia riflessione: perché non provare
un approccio diverso sull'immigrazione? Ho l'impressione che le misure tentate
non abbiano prodotto gli effetti sperati e siano destinate al fallimento anche
in futuro. In altre parole, l'Italia e l'Europa stanno sbagliando (quasi)
tutto. O no? Scritto in società, europa, globalizzazione, immigrazione Commenti
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Invia questo articolo a un amico 25Jan 09 Resa dei conti tra la Cina e gli Usa? Il sito del Giornale nelle ultime 48 ore ha dovuto affrontare
la migrazione da un provider a un altro e dunque anche l'accesso al blog è
stato difficile, soprattutto in certe zone d'Italia. Mi scuso per questo
inconveniente, ora risolto. Negli ultimi due giorni sul Giornale ho
scritto ancora di Obama, che ha litigato con il Vaticano sull'aborto e per la
prima volta ha avuto qualche screzio con la stampa americana, finora
notoriamente compiacente. I giornalisti Usa tra
l'altro si sono accorti che un lobbista dell'industria delle armi è stato
nominato numero due del Pentagono, vicenda di cui abbiamo già parlato nei
giorni scorsi su questo blog. Era ora. Ma la notizia più significativa riguarda
la Cina, sebbene non abbia avuto molto rilievo sui
giornali italiani. E' accaduto questo: il segretario al Tesoro Timothy Geithner
che giovedì, durante le audizioni alla Commissione finanze del Senato, aveva
accusato Pechino di «manipolare le quotazioni dello yuan per ottenre
scorrettamente vantaggi commerciali», aprendo di fatto l'iter che, in base a
una legge del 1988, permetterebbe al governo americano di imporre sanzioni
ovvero barriere tariffarie. La Cina ha risposto
smentendo le accuse, mentre il ministro degli Esteri di Pechino ha chiamato
Hillary Clinton ammonendola a non compiere passi falsi. Perchè questo screzio?
I fattori di attrito sono diversi, ma a mio giudizio ne prevale uno: quello del
debito americano. La Cina è da qualche anno il primo
sottoscrittore al mondo di Buono del tesoro Usa, ma
una decina di giorni fa ha annunciato che intende ridurre il proprio impegno e
usare una parte delle risorse per rilanciare l'economia interna. L'America,
però, non può permetterlo; anzi, visto che il suo deficit pubblico quest'anno
triplicherà, vorrebbe che Pechino aumentasse gli acquisti di Treasury.
L'affondo di Geithner ha l'aria di un monito ai cinesi: se Pechino non si
ricrede, Washington si vendicherà alzando le barriere doganali; dunque rendendo
impervio l'accesso a un mercato che rappresenta il principale sbocco ai beni
«made in China». Si scatenerebbe una guerra commerciale e finanziaria da cui
usciremmo tutti perdenti. Lo spettro è quello di un dollaro in caduta libera e
di una Cina in profonda depressione, che aggraverebbe
la crisi dell'economia mondiale. Domanda: lo scenario è credibile?
Ragionavolmente uno scontro non conviene a nessuno e pertanto dovrebbe
prevalere la ragionevolezza. Fino a quando la Cina,
che secondo alcuni economisti sarebbe già in depressione, è disposta a usare le
proprie risorse per finanziare il deficit americano? E Obama è in grado di
gestire con saggezza rapporti delicati e cruciali come questi? Scritto in economia,
era obama, globalizzazione, notizie nascoste, cina, gli usa e il mondo Commenti
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articolo a un amico 23Jan 09 Basta torture. Bravo Obama, ma come la mettiamo
con l'Iran? "L'America non tortura", ha dichiarato ieri Obama
rinfrancando chi ha sempre visto nell'America un baluardo di civiltà,
saldamente ancorato ai valori della democrazia e della Costituzione.
Quell'America è tornata. Bravo Obama, ma McCain, se avesse vinto, avrebbe fatto
altrettanto. Entrambi sono convinti che la guerra al terrorismo non possa
essere condotta violando i principi che l'America ha sempre proclamato di
rispettare, proponendosi pertanto come un modello virtuoso per gli altri Paesi.
La stragrande maggioranza dei detenuti di Guantanamo è risultata innocente, ma
per molti mesi ha vissuto in condizioni orribili, da lager sovietico, senza
assistenza legale, per molto tempo senza nemmeno il monitoraggio della Croce
Rossa. Segregati, senza colpa. E nelle prigioni segrete della Cia è successo di
tutto: sevizie orribili, alcuni prigionieri sono spariti nel nulla. Ma quanti
di loro erano terroristi? Pochi. Obama (e McCain) sono convinti che la guerra
ad Al Qaida debba essere risoluta ed energica, ma senza ricorrere a metodi
tipici di una dittatura e non di una grande democrazia. La chiusura di
Guantanamo e delle prigioni Cia ha anche una valenza politica, perché rafforza
e precisa il messaggio di apertura al mondo arabo e all'Iran, con cui la Casa
Bianca è pronta ad avviare "negoziati diretti senza precondizioni",
come spiego in questo articolo, mentre si rafforzano i segnali di un
raffreddamento dei rapporti con Israele (anticipati su questo blog il 14
gennaio). Ieri ho parlato con alcuni esperti di Washington e, off the record,
una fonte qualificata del governo americano mi ha fatto notare che Obama nel
suo discorso di insediamento non ha citato Israele. E chi è il primo leader
straniero con cui Barack ha parlato? Il palestinese Abu Mazen. Basta torture ed
è un bene; ma anche meno Israele e più Iran, rapporti ancora più stretti con le
potenze del Golfo persico e dunque mano tesa all'Islam fondamentalista sia
sunnita che sciita. Scelta strategica lungimirante o clamoroso errore che
contraddice i valori degli Usa, premiando regimi come
l'Iran e l'Arabia Saudita che calpestano i diritti umani? Scritto in israele,
era obama, democrazia, medio oriente, gli usa e il mondo, islam Commenti ( 103
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( da "Milano Finanza (MF)" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
MF
Numero 026 pag. 7 del 6/2/2009 | Indietro Se la colpa
della crisi è di Reagan, Clinton era repubblicano COMMENTI & ANALISI Di
Guido Salerno Aletta Addossare la colpa della crisi finanziaria ed economica
americana alla presidenza Bush jr, legando addirittura con un unico filo rosso
la politica estera di Ronald Reagan con quella dei due Bush, padre e figlio,
significa cancellare la presidenza Clinton, democratico come il nuovo
presidente, ed il suo contributo determinante al processo di una globalizzazione senza regole di cui paghiamo tutti le
conseguenze. Fu a Davos, come sempre vetrina mediatica d'eccezione, che Clinton
dette l'annuncio, il 30 gennaio 2000. Così un giornale italiano dell'epoca
riporta le affermazioni di Clinton: «Dobbiamo riaffermare con la massima
chiarezza che l'apertura dei mercati e il commercio basato sulle regole è il
miglior motore conosciuto per aumentare il tenore di vita, ridurre il
danno ambientale e costruire una comune prosperità, e questo è vero a Detroit,
Davos, Dacca o Dakar». La prima conseguenza di questa affermazione di principio
è che Washington farà di tutto per portare la Cina nel Wto. Ma che il traino
alla crescita dei paesi più poveri dovesse derivare dalla domanda dei paesi
ricchi era altrettanto chiaro. Clinton proseguiva così: «Molti hanno contestato
il libero commercio perché genuinamente preoccupati per i poveri e gli
svantaggiati, ma dovrebbero chiedersi che prospettive di lavoro avrebbe
l'operaio tessile del Bangladesh se quell'industria potesse contare solo sui
consumatori interni». Il processo di globalizzazione, che sembrava essere stato
bloccato dopo le proteste dei no-global a Seattle, ripartì. Anche se bisognava
convincere i cittadini americani, spaventati dai cambiamenti, che l'apertura
dei mercati comporta per le loro vite, che la sofferenza di allora sarebbe
stata ripagata in futuro. Ma la coesione all'interno della società americana
sarebbe venuta meno. La deregolamentazione finanziaria, la politica di
concessione di prestiti anche a prenditori subprime, era nelle cose. Così come
il debito pubblico italiano ha lenito nel tempo conflitti sociali e
territoriali altrimenti ingestibili, salvo a torreggiare ancora sulle nostre teste,
così il credito alle famiglie americane ha nascosto loro per anni gli effetti
dirompenti della competizione internazionale, che ha messo progressivamente
fuori mercato interi settori industriali e livelli di reddito acquisiti. Questa
è l'eredità che Obama riceve dal suo predecessore Clinton. (riproduzione
riservata) colpa Davos Reagan Bush Clinton crisi
( da "Milano Finanza (MF)" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
MF
Numero 026 pag. 18 del 6/2/2009 | Indietro Così si è perso
il concetto di banca DIRCREDITO - FD Di Gabriele Tosi* IL SISTEMA BANCARIO
ITALIANO (E MONDIALE) NON SI è ADATTATO AI PROBLEMI DELL'ECONOMIA L'azienda di
credito del secolo scorso sapeva quello che faceva; oggi non lo sa più. Le
cause della crisi globale sono lì a indicarcelo. Dobbiamo ricostruire il
sistema bancario, cominciando dal personale C'era una volta la Banca. Nei
racconti, un po' patetici, dei nostri vecchi, la Banca era un'istituzione
seriosa, che risiedeva per lo più in vecchi palazzi, resi preziosi da stucchi e
tappeti, dove funzionari un po' distaccati prendevano in custodia i risparmi
della gente e ne garantivano la conservazione fino al momento in cui si
rivelassero necessari per affrontare i problemi familiari. Anzi, era quasi un
miracolo, assicuravano anche degli interessi, sia pure con tassi molto modesti.
Nella cultura comune era la Banca di deposito, la cui funzione primaria era di
mantenere la fiducia dei risparmiatori. Che poi il denaro depositato fosse
anche impiegato in qualche modo, non era evidente, malgrado la funzione
bancaria non potesse prescindere da questa attività. La redditività delle
aziende bancarie era bassa, ma tranquilla per effetto dello stretto legame con
il territorio, che permetteva ai dirigenti bancari di controllare l'economia
locale con un'efficacia che oggi non ci sogneremmo neanche. Lavorando nella
nicchia che si era scelta (territoriale o settoriale) ogni banca poteva contare
su una serie di conoscenze approfondite sul mercato di riferimento, conoscenze
che erano investite nella preparazione dei quadri aziendali. Di qui l'interesse
e la necessità per le aziende di curare gli investimenti in formazione del
personale; e di fidelizzare il personale stesso per evitare il passaggio alla
concorrenza; le ricche prestazioni dei fondi integrativi pensione avevano
questo scopo principale. Poi venne la globalizzazione.
Prima di tutto la globalizzazione come obiettivo di fondo: tutti gli sforzi
erano tesi a rimuovere gli ostacoli alla circolazione del capitale e dei
lavoratori; quindi abbandono delle nicchie di mercato per consentire gli
investimenti anche su mercati che ciascuna banca non era in grado di controllare:
trasferimento degli investimenti dal settore dell'economia in quello
della finanza, dove gli ostacoli alla circolazione erano nulli, ma nullo era
anche il grado di controllo sui rischi che ci si accollava. Le grandi banche
d'affari all'estero facevano scuola. Naturalmente anche la circolazione del
personale avrebbe dovuto essere favorita; quindi precarizzazione e stimolo al
turnover; chi non era d'accordo era obsoleto e destinato all'esubero. Senza
contare che, mentre la circolazione dei capitali poteva usufruire dei moderni
mezzi di comunicazione, la circolazione del personale non poteva essere
provocata premendo un bottone. Problemi culturali impediscono al personale il
facile adattamento ad altri ambienti di lavoro, e la precarizzazione, anziché
una opportunità, è stata vista come un sopruso. Così il sistema bancario, nella
rincorsa alle snelle procedure bancarie del mondo occidentale, ha sperperato la
risorsa fondamentale che aveva in mano, il personale. Ha trasformato una classe
di gestori dell'economia locale in una classe di venditori di prodotti
costruiti all'esterno, senza trasparenza né controllo; offrendo ai clienti,
ex-depositanti e oggi pseudo-investitori, insieme alla proprietà di titoli
forse spazzatura, tutti i rischi che nel passato si assumeva la banca in
proprio. Sfruttando e sperperando la fiducia che secoli di banca avevano
accumulato. Poi la crisi nel mercato economico mondiale ha messo in evidenza
che la globalizzazione priva di controlli costituiva un suicidio per gli investitori;
e che tutto quel peso di burocrazia e di controlli (lacci e laccioli) aveva una
sua ragion d'essere, anche se deprimeva la velocità di circolazione. E adesso?
Certamente usciremo dalla crisi: perfino le economie più liberali hanno
scoperto il bello dell'intervento statale, che tampona il danno fatto da pochi
speculatori con i soldi di tanti contribuenti. Ma dobbiamo anche ripensare
l'organizzazione delle banche. Dobbiamo ricostruire una cultura d'azienda,
nella quale i giovani si possano riconoscere, sensibile ai valori etici e alla
responsabilità sociale. Dobbiamo isolare chi del sistema si pasce senza
contribuirvi, o peggio meramente lo sfrutta pensando solo all'interesse
personale e non all'indispensabile funzione economica che la banca deve svolgere
nell'interesse sociale. Il personale direttivo, che tanto ha già pagato nei
processi di aggregazione e trasformazione che hanno portato a questi risultati,
ha il diritto di avere il giusto riconoscimento e di tornare protagonista nella
crescita delle aziende. Non scarichiamo i nostri problemi sugli altri; dobbiamo
lavorare insieme. Ci aspettiamo che le aziende facciano altrettanto, con il
massimo di trasparenza e buona fede. Se vogliono sopravvivere. *Segretario
generale aggiunto crisi Mondiale SISTEMA BANCARIO ITALIANO
Banca ADATTATO AI PROBLEMI DELL'ECONOMIA personale
( da "Stampa, La" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
DALL'11
FEBBRAIO AL CIRCOLO AMANTES "Tag" da esportare dai muri alla galleria
Il contesto urbano, con le sue continue trasformazioni, è lo spazio in cui si
muovono i 2 writer torinesi CT e KVRZ, nati entrambi nel 1985. Il Writing
consiste nello scrivere il proprio nome, o la propria sigla, su muraglioni e
fabbriche abbandonate. Si tratta di un fenomeno diffuso in
tutte le piccole e grandi città del mondo globalizzato, luoghi in cui identità
e appartenenza sono concetti spesso indefiniti. Nella cultura giovanile
dell'Hip-Hop, la strada è luogo di socialità, affettività ed espressività
artistica ed è l'unica vera radice in grado di legare i ragazzi a un territorio
specifico. Per la galleria del Circolo Culturale Amantes, CT e KVRZ
presentano «Make your mark» (Fai il tuo segno), con inaugurazione l'11 febbraio
alle ore 19. Il progetto espositivo, fino al 2 marzo, consiste nella
rielaborazione delle sigle fatte dai 2 artisti sulla strada. Lo spazio proprio
dell'arte, la galleria, si presta a una maggiore ricercatezza estetica e alla
sperimentazione di materiali diversi. CT realizza la propria tag con una serie
di morsure ad acido su lastre di zinco. KVRZ trasforma le sue lettere in
oggetti tridimensionali e ne fa sculture in legno. Stampe calcografiche,
disegni e fotografie documentano le fasi di lavoro e il legame con lo scenario
urbano. \ «MAKE YOUR DREAM» CT & KVRZ CIRCOLO CULTURALE AMANTES Orario:
lun-sab 18/1, dall'11 febbraio al 2 marzo
( da "Repubblica, La" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Pagina
V - Torino Marcarini, direttore dell´area di ricerca dell´azienda Usa "L´operazione Motorola non è stata un
fallimento" Il nostro centro è stato un fiore all´occhiello Abbiamo
formato ingegneri preparati e creato un indotto «Non voglio polemizzare con il
rettore Pelizzetti, però non credo si possa definire fallimentare l´esperienza
Motorola». Massimo Marcarini, direttore generale del Centro ricerche torinese
dell´azienda americana, sta lavorando alla sua ultima missione: traghettare i
180 lavoratori (su 330 circa) verso l´acquirente Reply. Perché l´operazione
Motorola non è stata un fallimento? «Negli anni il Centro ha dato un contributo
notevole allo sviluppo del territorio. Posso citare i 540 milioni di euro di
stipendi pagati, avevamo l´obiettivo di arrivare a 350 dipendenti e abbiamo
superato i 400. Abbiamo formato ingegneri preparati e creato un indotto».
Quindi Torino non è Bangalore, come dice il rettore Pelizzetti? «No, è diverso.
Dieci anni fa Motorola non è arrivata a Torino per
sfruttare una situazione e poi trasferire tutto in Cina o in India, ma
ha aperto un centro che è diventato un fiore all´occhiello della stessa
azienda. Il fatto è che a un certo punto, per questioni di mercato, ha dovuto
dismettere». Il tessuto torinese riuscirà ad assorbire tutti i dipendenti non
inclusi nel progetto Reply? «Dai dati che ho in mano ci sono buone
possibilità per ricollocare localmente una parte notevole di questi lavoratori.
E non dimentichiamoci che qualcuno ha intenzione di aprire attività proprie».
Che fine faranno i circa 200 dipendenti che lavoravano nelle società del vostro
indotto? «Fa parte del business. Sono aziende che offrono servizi e i loro
committenti sono in crisi devo organizzarsi per offrirli a qualcun altro. Sono
predisposte per assorbire certi colpi». Alcuni lamentano troppa attenzione nei
vostri confronti rispetto ad altre crisi aziendali in cui il personale era meno
professionalizzato e quindi più difficile da collocare. Cosa ne pensa? «Non so
se sia stata data troppa attenzione, ma credo che il valore delle competenze in
gioco sia importante per creare successivamente uno sviluppo per il territorio
e per aiutare la zona a superare la crisi». (ste.p.)
( da "Finanza e Mercati" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Metti
l'export dentro una casa di vetro da Finanza&Mercati del 06-02-2009 UGO
BERTONE Fenzi, a capo di Federvarie (25 associazioni industriali) e Presidente
onorario di Gimav, l'associazione dei produttori di macchine per la lavorazione
del vetro (nicchia del mercato mondiale in cui l'Italia è leader, il 72% del
fatturato destinato oltre confine), è un tipico centauro del made in Italy.
Abituato a muoversi nell'economia globale, più attento a Cnn che a Bruno Vespa,
al Financial Times che alle cronache nostrane. Ma fortemente legato alle
tradizioni della «vecchia» scuola in materia di governance, capitalismo
familiare e antipatia, anzi, allergia alla leva finanziaria. Cosa che, ai tempi
del grande crack, non è certo un'offesa. Entusiasta della globalizzazione, ma
da sempre, senza farne mistero, ostile all'euro. «Abbiamo compromesso un
percorso di crescita formidabile. Ci avessero lasciato cinque anni ancora,
gliel'avremmo fatta vedere a tedeschi e francesi. Partner? Io li ho sempre
visti come concorrenti». Ottimista nel Dna, anche sotto la tempesta. «Ne
verremo fuori. E sa perché? L'economia italiana è fatta di imprenditori che
mettono in azienda il 90% dei profitti, rafforzando il patrimonio, senza dover
distribuire utili ad azionisti esterni e super manager che assorbono super
stock option». Imprenditori che, in caso di ammortamenti liberi, non si
tirerebbero indietro di fronte ad una «macchina nuova»: una fresatrice o un
tornio, mica una Ferrari. «Ce n'è tanta di gente così. Un imprenditore che ne
ha la possibilità non si fa sfuggire l'occasione di investire a condizioni
convenienti. E se la macchina non lavora oggi, sarà pronta per la ripresa.
Ecco, è questo il messaggio che conta di più: saranno anni difficili, ma prima
o poi si ripartirà. Anzi, ripartirà chi ha le carte in regola. Guai se l'Italia
smobilita. La nostra ricchezza, da sempre, sta nel manifatturiero. Purché
rivolto ad un mercato di sei miliardi di consumatori, non ai 60 milioni di casa
nostra, l'1% della popolazione». Belle parole, dottor Fenzi. Ma la sua proposta
è comunque un sacrificio per il fisco. «Non è la mia proposta, ma quella che
Federmacchine ha appena inviato al ministro Tremonti. E dimostriamo che il
costo è modesto, se non nullo se si pensa ai possibili benefici sull'Iva, come
dimostra la tabella. Ma faremmo lavorare le aziende che producono valore vero,
mica la pubblica amministrazione che droga il pil». «La crisi sarà lunga e dura
- continua -. Noi l'abbiamo già sperimentato nei nostri impianti in Usa e Canada: la domanda è caduta del 30% un anno fa, e si è
stabilizzata lì. Ma nessuna impresa può permettersi di raggiungere il break
even con un calo del 30 per cento. E così si taglia sui costi: prima gli
interinali, poi gli addetti a tempo determinato, Poi c'è la Cig». Messa così
non c'è speranza? «Sa cosa le dico? Era peggio sei mesi fa. Allora, oltre a
tutto questo, c'era l'impennata dei costi delle materie prime. Adesso, su quel
fronte si può respirare. Anche se in Cina mi stanno
ripartendo i prezzi dell'acciaio». E gli aiuti all'export? «Meglio una vittoria
ai Mondiali per la nostra reputazione che promozioni che non servono a nulla».
E ancora: «Perché non si premiano i campioni dell'export con un taglio fiscale?
Ogni 10% di export in più, un punto di Ires in meno. Serve questo, non le processioni dietro Napolitano in India, Cina...». «Sì, ci sarà selezione. E noi stiamo pensando a
un'acquisizione. La Borsa? Negli Usa mi sono
scontrato per un merger contro un concorrente cresciuto grazie a una politica
di M&A finanziato al Nasdaq. Un'azienda che aveva accumulato un enorme
goodwill da far pagare ai soci di minoranza. Meglio stare alla larga». E
alla Fenzi, 550 milioni di giro d'affari, come ad si è già insediato il figlio.
In attesa che entri il nipotino. «I manager riflettono - conclude - ma gli
imprenditori decidono». È fatto così Dino Fenzi, a capo di Federvarie (25
associazioni industriali) e Presidente onorario di Gimav, l'associazione dei
produttori di macchine per la lavorazione del vetro (nicchia del mercato
mondiale in cui l'Italia è leader, il 72% del fatturato destinato oltre
confine). Fino al primo semestre del 2008 una storia di grande successo: negli
ultimi dieci anni l'export è cresciuto ad un tasso medio del 9,35%, in barba
alle turbolenze delle economie o alla crescente concorrenza del Far East.
Poi... «Poi lo stop. Improvviso. Senza precedenti». Ma basta così. Il dottor
Fenzi deve alzarsi alle cinque. Destinazione l'Inghilterra. Poi toccherà alla
Baviera, ad un passo dalla Repubblica Ceka. E a Shanghai. Altro che stop.
( da "Giornale.it, Il" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Ho
seguito con crescente turbamento le polemiche sulla vicenda di Eluana. Chiunque
abbia provato che cosa significhi assistere un proprio caro che ha subito danni
al cervello, non può che provare una struggente solidarietà con il padre di
Eluana. Questo è un dramma intimo, straziante, che richiede raccoglimento e
invece è diventato il tema di una battaglia furibonda da entrambi gli
schieramenti. Stamattina ho letto sulla Stampa l'opinione controcorrente di un
autorevole cattolico, quella dell'arcivescovo Giuseppe Casale che dice: «Mi
sento vicinissimo a papà Peppino. Quella di Eluana non è più vita, porre
termine al suo calvario è un atto di misericordia». «Non è tollerabile
accanirsi ancora nè proseguire questo stucchevole can can. C'è poco da dire:
l'alimentazione e l'idratazione artificiali sono assimilabili a trattamenti
medici. E se una cura non porta a nessun beneficio può essere legittimamente
interrotta». E ancora: "Si è creato il 'caso Englarò agitando lo spettro
dell'eutanasia, ma qui non si tratta di eutanasia. Alla fine anche Giovanni
Paolo II ha richiesto di non insistere con interventi terapeutici inutili. Vedo
quasi il gusto di accanirsi su una persona chiusa nella sua sofferenza
irreversibile. Una vita senza relazioni, alimentata artificialmente non è vita.
Come cattolici dovremmo interrompere tutto questo clamore e dovremmo essere più
sereni affinchè la sorte di Eluana possa svilupparsi naturalmente - aggiunge
monsignor Casale - . I trattamenti medici cui è stata sottoposta non possono
prolungare una vera vita, ma solo un calvario disumano. È giusto lasciarla
andare nelle mani di Dio.» «L'alimentazione artificiale - conclude Monsignor
Casale - è accanimento terapeutico, se la si interrompe Eluana muore.
Rispettiamo le sue ultime volontà e non lasciamo solo un padre che, appena si
saranno spenti i riflettori di una parossistica attenzione, sarà in esclusiva
compagnia del suo dolore. Io lo comprendo, prego per lui, gli sono vicino.
Neanche io vorrei vivere attaccato alle macchine come Eluana, anche per me
chiederei di staccare la spina. Eluana non c'è più già da tanto, da molto tempo
prima della rimozione del sondino che simula un'esistenza definitivamente
svanita». Le parole di Monsignor Casale fanno riflettere. Che abbia ragione
lui? Scritto in società, Italia, giornalismo Commenti ( 12 ) » (2 voti, il voto
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RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 04Feb 09 Quei
manager che si tagliano lo stipendio. Dopo lo scandalo dei bonus da 18 miliardi
distribuiti ai manager dalle banche americane salvate dallo Stato, Obama corre
ai ripari: oggi annuncia una norma che impone un limite di 500mila dollari agli
stipendi dei dirigenti delle società che beneficiano dei sussidi pubblici.
Bene, è un passo nella giusta direzione. Tuttavia, mi chiedo: i 18 miliardi
rappresentano un abuso colossale e una distorsione di fondi pubblici: perchè
Obama non ne pretende la restituzione? Se lo avesse fatto sarebbe stato davvero
credibile, in questo modo invece premia la casta, legalizza l'ultima rapina. E
invece in un frangente di crisi come questo sarebbe stato necessario un segnale
molto più forte che, evidentemente, Obama non può permettersi. Segnali che
invece giungono da alcune aziende private. In Giappone, ad esempio, i manager
di alcune grandi società in difficoltà si sono ridotti del 30% lo stipendio. Lo
stesso è avvenuto in Italia, nel mio mondo, quello dell'editoria. Il gruppo del
Sole 24 Ore ha appena inviato una lettera a tutti i collaboratori in cui
annuncia una riduzione dei compensi del 25% per fare fronte a quella che
definisce la "Grande Crisi". La lettera è firmata dal direttore
Ferruccio de Bortoli e dall'amministratore delegato Claudio Calabi, che hanno dato
l'esempio riducendosi di un quarto lo stipendio. Che differenza rispetto ai
banchieri di Wall Street! Questa è la strada giusta: se i tempi sono duri, lo
sono per tutti. Ed è il capo che mostra la via assumendosi in prima persona i
sacrifici richiesti. Io lo chiamo capitalismo responsabile e mi piace
moltissimo. Scritto in economia, società, era obama, globalizzazione,
democrazia, Italia, notizie nascoste, giornalismo Commenti ( 64 ) » (2 voti, il
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Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 02Feb 09
Ecco perché il clandestino in realtà non viene espulso Sul Giornale di ieri
Stefano Zurlo ha scritto un bell'articolo, in cui racconta che cosa accade agli
irregolari che vengono arrestati. Mi ha colpito questo passaggio: "È un
meccanismo davvero surreale. Il clandestino viene espulso; non se ne va o torna
di nascosto nel nostro Paese e allora scatta, obbligatorio, l'arresto. Ma i
processi, di media, sono catene di montaggio delle scarcerazioni: l'imputato
esce, in attesa del verdetto, e tanti saluti. Oppure, se la sentenza arriva di
volata, viene condannato, ad una pena di 6-8-10 mesi. E subito dopo rimesso in
libertà. Come è normale quando la pena è inferiore ai due anni. Insomma,
l'irregolare viene afferrato dalla legge e dalla legge riconsegnato alla sua
vita invisibile. Con una postilla: se lo acciufferanno di nuovo, sempre senza
documenti, non potranno più processarlo: non si può giudicare due volte una persona
per lo stesso reato". Se questa è la realtà, e non dubito che lo sia, la
lotta ai clandestini è assolutamente inutile. Continueranno ad arrivare, sempre
più numerosi, proprio perché è garantita l'impunità. E allora è necessario
correre ai ripari, varando norme che non permettano la scarcerazione in attesa
del processo e, come ho già scritto, che rendano obbligatorio il rilevamento,
oltre delle impronte digitali, dell'iride dell'occhio. Solo così l'Italia può
assumere una credibilità che oggi non ha. L'alternativa è che l'Italia si
trasformi non in una società tendenzialmente multietnica, ma in un Paese
anarchico con profonde ingiustizie sociali e un razzismo diffuso. Non c'è più
tempo da perdere: tocca al governo di centrodestra proporre misure concrete. E
al centrosinistra moderato di Veltroni sostenerle con spirito bipartisan.
Perché il problema degli immigrati non ha più colore politico ma è sentito, con
angoscia, dalla stragrande maggioranza degli italiani, compresi i progressisti.
O no? Scritto in società, globalizzazione, democrazia, Italia, immigrazione
Commenti ( 69 ) » (5 voti, il voto medio è: 5 su un massimo di 5) Loading ...
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articolo a un amico 30Jan 09 La casta di Wall Street? Continua ad arricchirsi.
Negli ultimi giorni mi sono occupato nuovamente della casta dei banchieri, che
ha inguaiato il mondo. Ho scoperto alcuni dettagli interessanti, ad esempio,
che l'ex numero uno di Lehman Brothers, ha venduto la sua lussuosa residenza in
Florida, stimata 14 milioni di dollari. Il prezzo? Cento dollari. Chi l'ha
comprata? La moglie. E così si cautela contro eventuali creditori. Ipotesi
peraltro remota, perché le leggi americane offrono ampie protezioni ai
banchieri protagonisti della truffa del secolo. I protagonisti del disastro
finanziario passano le loro giornate a giocare, a golf, bridge, cricket. E
quelli che non si sono ritirati continuano ad arricchirsi. Nel 2008, mentre le
loro società venivano salvate dal fallimento, i manager delle banche si sono
accordati bonus per 18,4 miliardi di dollari, come spiego in un editoriale, nel
quale pongo una domanda a questo punto fondamentale: è giusto salvare le banche
se la casta non viene smantellata? Tremonti dice: a casa o in galera. Sono
d'accordo con lui. Se il capitalismo vuole risorgere deve riscoprire una virtù
indispensabile, quella della responsabilità individuale. E fare piazza pulita.
Scritto in società, era obama, economia, globalizzazione, notizie nascoste, democrazia,
gli usa e il mondo Commenti ( 73 ) » (7 voti, il voto medio è: 2.86 su un
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RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 28Jan 09 Immigrazione, stiamo
sbagliando (quasi) tutto? I fatti degli ultimi giorni hanno riportato alla
ribalta la questione degli immigrati. Ne traggo tre riflessioni. 1) La crisi
economica renderà ancora più acuto il problema dell'immigrazione all'interno
della Ue. Romania e Bulgaria sono già in forte crisi economica e non mi
stupirebbe se nei prossimi mesi aumentasse il numero di cittadini di questi
Paesi che cerca fortuna nei Paesi europei ricchi; che, però, come ben sappiamo,
non sono risparmiati dalla recessione. Rumeni, bulgari verranno qui ma non
troveranno lavoro e molti di quelli che già abitano in Italia lo perderanno. La
situazione rischia di diventare rapidamente esplosiva: povertà, indegenza,
disperazione, dunque probabile aumento della delinquenza spicciola e molto
potenziale manodopera per la malavita e per gli imprenditori italiani
schiavisti (che esistono e vanno combattuti energicamente) . Tutto questo
alimenterà il razzismo e l'incomprensione reciproca. Occorre che l'Unione
europea prenda iniziative straordinarie per limitare la libertà di circolazione
delle persone, anche ripristinando, transitoriamente i visti. 2) L'immigrazione
extra Ue non si combatte solo alzando barriere, che in realtà servono a poco,
perchè, come ha dimostrato l'ultimi rapporto della Fondazione Ismu, dei 450 mila
stranieri che arrivano illegalmente, solo 120mila attraversano il Mediterraneo.
Gli altri sbarcano con un visto regolare (di studio, turistico o per lavori
stagionali) e si danno alla macchia. Come si combatte questo fenomeno? Imitando
gli americani: che prendono la foto e le impronte digitali a tutti i
visitatori, In tal modo (magari anche con il controllo dell'iride) si creerebbe
una banca dati europea che rende facilmente identificabili i clandestini. 3)
Gli immigrati non partono spinti solo dalla povertà, ma anche - anzi,
soprattutto - per inseguire il mito di un'Europa Eldorado, come ho spiegato in
questa analisi. Il mito non viene mai scalfito dai media nè nè dalla sociteà
africana, che anzi continu ad alimentarlo. «Gli africani quando partono non immaginano
che fuori possa fare più freddo che dentro un frigorifero», mi ha detto Gustave
Prosper Sanvee, direttore della tv cattolica del Togo. Dunque se vogliamo
limitare le partenze è necessario che gli immigrati sappiano che l'Europa non è
un paradiso, ma spesso un purgatorio fatto di stenti, sofferenza, spesso
umiliazioni e che ci ce la fa deve rispettare regole sociali e di convivenza
che sono molto diverse da quelle africane. Ma per raggiungere questo obiettivo
è necessario che l'Europa promuova una politica di comunicazione mirata alle
popolazioni Africane, che oggi è inesistente. Da qui la mia riflessione: perché
non provare un approccio diverso sull'immigrazione? Ho l'impressione che le
misure tentate non abbiano prodotto gli effetti sperati e siano destinate al
fallimento anche in futuro. In altre parole, l'Italia e l'Europa stanno
sbagliando (quasi) tutto. O no? Scritto in società, europa, globalizzazione,
immigrazione Commenti ( 72 ) » (6 voti, il voto medio è: 3.67 su un massimo di
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Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 25Jan 09 Resa dei
conti tra la Cina e gli Usa? Il sito del Giornale nelle ultime 48 ore ha dovuto affrontare
la migrazione da un provider a un altro e dunque anche l'accesso al blog è
stato difficile, soprattutto in certe zone d'Italia. Mi scuso per questo
inconveniente, ora risolto. Negli ultimi due giorni sul Giornale ho
scritto ancora di Obama, che ha litigato con il Vaticano sull'aborto e per la
prima volta ha avuto qualche screzio con la stampa americana, finora
notoriamente compiacente. I giornalisti Usa tra
l'altro si sono accorti che un lobbista dell'industria delle armi è stato
nominato numero due del Pentagono, vicenda di cui abbiamo già parlato nei giorni
scorsi su questo blog. Era ora. Ma la notizia più significativa riguarda la Cina, sebbene non abbia avuto molto rilievo sui giornali
italiani. E' accaduto questo: il segretario al Tesoro Timothy Geithner che
giovedì, durante le audizioni alla Commissione finanze del Senato, aveva
accusato Pechino di «manipolare le quotazioni dello yuan per ottenre
scorrettamente vantaggi commerciali», aprendo di fatto l'iter che, in base a
una legge del 1988, permetterebbe al governo americano di imporre sanzioni ovvero
barriere tariffarie. La Cina ha risposto smentendo le
accuse, mentre il ministro degli Esteri di Pechino ha chiamato Hillary Clinton
ammonendola a non compiere passi falsi. Perchè questo screzio? I fattori di
attrito sono diversi, ma a mio giudizio ne prevale uno: quello del debito
americano. La Cina è da qualche anno il primo
sottoscrittore al mondo di Buono del tesoro Usa, ma
una decina di giorni fa ha annunciato che intende ridurre il proprio impegno e
usare una parte delle risorse per rilanciare l'economia interna. L'America,
però, non può permetterlo; anzi, visto che il suo deficit pubblico quest'anno
triplicherà, vorrebbe che Pechino aumentasse gli acquisti di Treasury.
L'affondo di Geithner ha l'aria di un monito ai cinesi: se Pechino non si ricrede,
Washington si vendicherà alzando le barriere doganali; dunque rendendo impervio
l'accesso a un mercato che rappresenta il principale sbocco ai beni «made in
China». Si scatenerebbe una guerra commerciale e finanziaria da cui usciremmo
tutti perdenti. Lo spettro è quello di un dollaro in caduta libera e di una Cina in profonda depressione, che aggraverebbe la crisi
dell'economia mondiale. Domanda: lo scenario è credibile? Ragionavolmente uno
scontro non conviene a nessuno e pertanto dovrebbe prevalere la ragionevolezza.
Fino a quando la Cina, che secondo alcuni economisti
sarebbe già in depressione, è disposta a usare le proprie risorse per
finanziare il deficit americano? E Obama è in grado di gestire con saggezza
rapporti delicati e cruciali come questi? Scritto in economia, era obama,
globalizzazione, notizie nascoste, cina, gli usa e il mondo Commenti ( 23 ) »
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Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a
un amico 23Jan 09 Basta torture. Bravo Obama, ma come la mettiamo con l'Iran?
"L'America non tortura", ha dichiarato ieri Obama rinfrancando chi ha
sempre visto nell'America un baluardo di civiltà, saldamente ancorato ai valori
della democrazia e della Costituzione. Quell'America è tornata. Bravo Obama, ma
McCain, se avesse vinto, avrebbe fatto altrettanto. Entrambi sono convinti che
la guerra al terrorismo non possa essere condotta violando i principi che
l'America ha sempre proclamato di rispettare, proponendosi pertanto come un
modello virtuoso per gli altri Paesi. La stragrande maggioranza dei detenuti di
Guantanamo è risultata innocente, ma per molti mesi ha vissuto in condizioni orribili,
da lager sovietico, senza assistenza legale, per molto tempo senza nemmeno il
monitoraggio della Croce Rossa. Segregati, senza colpa. E nelle prigioni
segrete della Cia è successo di tutto: sevizie orribili, alcuni prigionieri
sono spariti nel nulla. Ma quanti di loro erano terroristi? Pochi. Obama (e
McCain) sono convinti che la guerra ad Al Qaida debba essere risoluta ed
energica, ma senza ricorrere a metodi tipici di una dittatura e non di una
grande democrazia. La chiusura di Guantanamo e delle prigioni Cia ha anche una
valenza politica, perché rafforza e precisa il messaggio di apertura al mondo
arabo e all'Iran, con cui la Casa Bianca è pronta ad avviare "negoziati
diretti senza precondizioni", come spiego in questo articolo, mentre si
rafforzano i segnali di un raffreddamento dei rapporti con Israele (anticipati
su questo blog il 14 gennaio). Ieri ho parlato con alcuni esperti di Washington
e, off the record, una fonte qualificata del governo americano mi ha fatto
notare che Obama nel suo discorso di insediamento non ha citato Israele. E chi
è il primo leader straniero con cui Barack ha parlato? Il palestinese Abu
Mazen. Basta torture ed è un bene; ma anche meno Israele e più Iran, rapporti
ancora più stretti con le potenze del Golfo persico e dunque mano tesa
all'Islam fondamentalista sia sunnita che sciita. Scelta strategica
lungimirante o clamoroso errore che contraddice i valori degli Usa, premiando regimi come l'Iran e l'Arabia Saudita che
calpestano i diritti umani? Scritto in israele, era obama, democrazia, medio
oriente, gli usa e il mondo, islam Commenti ( 103 ) » (7 voti, il voto medio è:
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( da "Corriere della Sera" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Corriere
della Sera - NAZIONALE - sezione: Lettere al Corriere - data: 2009-02-06 num: -
pag: 43 categoria: REDAZIONALE Risponde Sergio Romano GENOVA 2001: IL G8 E LA
GIUSTIZIA ROVESCIATA In un editoriale, a proposito del G8 di Genova, lei ha
parlato di «errori» della polizia ( Corriere, 25 gennaio). Poiché io non credo
che le violenze perpetrate dai tutori dell'ordine pubblico, descritte allora
anche dal Corriere, possano definirsi come errori involontari le chiedo di
precisare il suo pensiero in merito. Luciano Sgarbi lucsgar@alice.it Caro
Sgarbi, R icordo bene il G8 anche perché dovetti occuparmene a più riprese sul
Corriere con crescente imbarazzo. Forse il miglior modo per rispondere alla sua
lettera è quello di spiegare le ragioni di quell'imbarazzo. Fu evidente sin
dall'inizio che l'incontro di Genova sarebbe diventato un doppio appuntamento:
il primo, internazionale, per gli avversari della
globalizzazione, e il secondo, nazionale, per gli oppositori del governo
Berlusconi, costituito dopo le elezioni della primavera. Fu altrettanto chiaro
che il doppio appuntamento avrebbe richiamato a Genova le frange più violente
della sinistra extra-parlamentare italiana e europea, tutte decise a
impadronirsi dell'avvenimento per indirizzarlo verso i loro obiettivi.
Volevano lo scontro e lo provocarono con una furia devastatrice che superò, per
forza e ampiezza, quella delle altre manifestazioni degli stessi mesi contro la
globalizzazione. Ricordo le reazioni dei genovesi e una intervista in cui
Sergio Cofferati, allora segretario della Cgil, si dichiarò sconcertato da una
tale ondata di violenza. I dimostranti più facinorosi ottennero ciò che
desideravano. Gli organizzatori dei cortei non poterono o non vollero isolarli.
La polizia perdette il controllo delle strade, subì una evidente umiliazione e
consumò nelle ore successive una sorta di vendetta. Ci trovammo allora a dover
decidere nella nostra coscienza quale dei due mali fosse il peggiore. La furia
distruttrice delle frange anarchiche o il comportamento irresponsabile di una
parte della polizia? Un liberale, in queste circostanze, non può che considerare
i peccati della polizia più gravi di quelli dei devastatori. Gli Stati di
diritto debbono essere severi con coloro che attentano violentemente all'ordine
pubblico, ma non possono permettere che la polizia diventi giudice e
giustiziera. Fra i due mali, in altre parole, il secondo, in quel particolare
momento, era peggiore del primo e andava fermamente denunciato. Ma la denuncia
delle violenze poliziesche ha avuto l'effetto di oscurare agli occhi del Paese
l'esistenza di un'altra piaga di cui la società italiana non è ancora riuscita
a curarsi: quella di gruppi pseudo rivoluzionari che concepiscono la politica
come lotta armata. I sindacati e i migliori eredi del Pci li conoscono e
riescono, nel corso delle loro manifestazioni, a controllarli. Ma vi sono altre
forze politiche che li corteggiano, li lusingano, li difendono e giustificano
le loro azioni con strampalati argomenti sociologici. è accaduto così che il
ragazzo Giuliani sia diventato un martire e che il G8 venga ricordato
esclusivamente per il deplorevole comportamento di una parte delle forze di
polizia. è questa, caro Sgarbi, la ragione del mio imbarazzo. Un brutto evento
è utile al futuro del Paese quando viene analizzato e ricordato nel suoi
termini reali. Quello di Genova nel 2001 continua a essere ricordato e
analizzato nel peggiore dei modi. La pubblica memoria non ha smesso di
condannare la polizia, che mi sembra essersi resa conto dei suoi errori; e ha
assolto i devastatori di Genova, diventati ormai i vincitori morali di quelle
disastrose giornate.
( da "Trend-online" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
L'Inverno
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contribuenti si oppongono infatti almeno quattro contro-argomenti. Primo, sotto
il profilo legale, una simile norma discriminatoriaviola gli accordi della Wto
sugli appalti pubblici (Government procurement agreement) originati alla
chiusura dell`Uruguay Round alla fine del 1995 e attualmente sottoscritti, oltre che dagli Usa, dai 27 membri Ue, dal Giappone
e altri Paesi, anche se non da Brasile, Russia, India e Cina. t dunque facile prevedere che questi Paesi organizzeranno
un`immediata rappresaglia sullo stesso terreno. Un accurato e recentissimo
studio di Hufbauer e Schott (Peterson Institute) calcola che, a fronte di circa
9mila posti lavoro ame- ricani garantiti dalla rigida applicazione del
"Buy American" alle prossime forniture pubbliche (non solo per
l`acciaio), si produrrebbe in tempi rapidi una perdita secca di circa 32mila
posti di lavoro per minori esportazioni statunitensi, nell`ipotesi che pur un
modesto 5% delle commesse di questi Paesi escludesse per rappresaglia le
imprese americane dai propri fornitori. Un saldo non proprio esaltante. Si
aggiunga che un`esplicita clausola di non discriminazione nelle commesse
pubbliche è contenuta nel capitolo io dell`accordo di libero scambio Nafta, a
garanzia di Canada e Messico. Secondo, il "Buy American" non
piacerebbe affatto ai numerosi produttori di autoveicoli, elettrodomestici,
opere e costruzioni civili, meccanica pesante, cioè i maggiori utilizzatori di
acciaio che dovrebbero con ogni probabilità subire rincari nei prezzi dei loro
acquisti. Un po` come avviene quando un dazio su prodotti intermedi spiazza la
competitività da costi dei produttori di beni finali (nei testi di economia si
parla di eventualità di "dazi effettivi negativi"). Terzo, assistiamo
ormai da al meno due decenni al proliferare di strategie industriali di
outsourcing segue pagina >>
( da "Trend-online" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
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della globalizzazione fallita, distrugge il lavoro, dopo che per anni
l'outsorcing e la delocalizzazione hanno provveduto ad eliminare la nostra
industria manifatturiera...in buona parte. ........Thomas Gibson, presidente
dell`Associazione delle imprese siderurgiche statunitensi, aveva proclamato il
mese scorso: «I contribuenti vogliono essere sicuri che il loro denaro servirà
a creare posti di lavoro americani in America, non posti di lavoro cinesi in Cina». Uno slogan a presa sicura. . Ora non resta che attendere ma ho
la strana sensazione che nei dati di oggi troveremo qualche sorpresa, magari un
eccesso di distorsioni stagionali alimentate dall'ormai leggendario CES/NET
Birth/Death Model che lo scorso anno in piena depressione finanziaria,
manifatturiera ed immmobiliare è riuscito ad aggiungere complessivamente un
numero rilevante di posti virtuali, stagionali, un modello assolutamente
non in grado di intercettare le svolte economiche. Il mese di gennaio solitamente
è un mese di revisione complessiva. Prontamente la versione dell`American
Recovery and Investment Act 2009, votata il 28 gennaio alla Camera Usa, dedica mezza pagina alla clausola "Buy
American", per cui la domanda di acciaio derivante dalle commesse
pubbliche incluse nel maxi-piano di rilancio dell`economia deve essere
soddisfatta da produzione domestica e non importata. Il Senato sta ora
dibattendo un`estensione della clausola a tutti i manufatti oggetto delle
medesime commesse pubbliche. La lobby dei siderurgici ha colpito nel segno.
Purtroppo, a meno che Barack Obama (come sembra emergere dalle sue ultime
dichiarazioni di stampo anti-protezionista) intervenga a bloccare o riformulare
la legge; l`effetto ultimo sarà una perdita netta, non una difesa dei posti di
lavoro americani. Al fascino suadente dello slogan sul denaro dei segue pagina
>>
( da "Virgilio Notizie" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Roma,
6 feb. (Apcom) - L'immagine nel mondo di Mosca e Pechino peggiora
progressivamente, ma anche quella Washington non gode di ottima salute. Un
sondaggio condotto per la Bbc registra il "rating" nei confronti
della Cina peggiorare di 6 punti percentuali, al 39%,
mentre il giudizio negativo sulla Russia sale di 8 punti, al 42%. In media il
43% della popolazione mondiale valuta in modo negativo l'impatto degli Stati
Uniti sul resto del mondo. La ricerca, che ha coinvolto 13mila persone di 21
paesi diversi, è stata condotta dall'istituto internazionale GlobeScan nel
quadro del Programma sulle Attitudini politiche internazionali (Pipa)
dell'Università del Maryland nelle dieci settimane precedenti al 1 febbraio.
Nel corso dell'indagine precedente gli intervistati avevano mostrato
un'attitudine più accondiscendente nei confronti di questi due paesi, sostenendo che tanto la Cina che la Russia
avevano complessivamente un'influenza positiva nel mondo. Sulla Cina l'opinione è esattamente spaccata in due: il 40% considera il
suo ruolo in modo negativo, il 39% in modo positivo. "Evidentemente, ci
vuole ben altro che dei Giochi olimpici riusciti per spazzare via i timori
della gente", commenta il presidente di GlobeScan, Doug Miller. Per
quanto riguarda Mosca, l'opinione pubblica mondiale è più schierata: 42% di
giudizi negativi, contro il 30% di giudizi positivi. "Tanto più si
comporta come l'ex Unione sovietica, tanto meno viene apprezzata dai cittadini al
di fuori dei suoi confini", spiega Miller. Per la prima volta dal 2005 (da
quando è iniziato questo tipo di sondaggi) gli Stati uniti hanno sorpassato la
Russia sui rating positivi, con una media del 40% rispetto al 35% dello scorso
anno. Ma la politica di Washington è ancora considerata in modo negativo dal
43% degli intervistati (lo scorso anno era il 47%). L'immagine degli Stati
uniti è migliorata in sei paesi. "Nonostante questo sondaggio mostri che
molte persone nel mondo si augurano che l'elezione di Obama porti ad un
miglioramento delle relazioni Usa con il resto del
mondo, è chiaro che la sua elezione da sola non è sufficiente a far cambiare la
rotta", commenta Steven Kull, direttore di Pipa. Fra i Paesi meglio
considerati al mondo spicca la Germania, che gode della maggioranza dei pareri
positivi in tutti i Paesi del sondaggio e il cui ruolo nel mondo viene
considerato positivo da una media del 61% della popolazione mondiale, contro il
55% dello scorso anno. Anche l'immagine della Gran Bretagna è migliorata
nettamente, dal 51% al 58%. I risultati finali si basano sulle risposte di
13.575 persone di 21 Paesi di tutto il mondo. Il sondaggio prevede un margine
di errore tra 2,4% e 4,4%.
( da "Manifesto, Il" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
AFRICOM
Il Dal Molin nel dispositivo Usa La conquista dell'Africa
decolla da Vicenza Manlio Dinucci Il giorno prima dell'occupazione
dell'aeroporto Dal Molin per impedire la costruzione della nuova base Usa, è giunta a Vicenza da Washington la vice-segretaria
della Difesa per gli affari africani, Theresa Whelan, per confermare che
Vicenza avrà un ruolo sempre più importante nella strategia statunitense. Lo
scorso dicembre, infatti, la Forza tattica nel Sud Europa (Setaf) è stata
trasformata nello U.S. Army Africa (Esercito Usa per
l'Africa), componente del Comando Africa (AfriCom) divenuto operativo in
ottobre. In un seminario svoltosi alla Caserma Ederle, ora quartier generale
Setaf/U.S. Army Africa, la Whelan ha sottolineato che tale trasformazione
costituisce «un nuovo modo di guardare all'Africa». La Whelan e il gen. William
Garrett, comandante dello U.S. Army Africa, hanno spiegato che il nuovo comando
si concentra sull'addestramento di militari africani, fornendo anche «la guida
su come gestire le loro forze». In questo è affiancato dal Centro di eccellenza
per le Stability Police Units (CoESPU), istituito dai Carabinieri a Vicenza per
addestrare forze di «peacekeeping» in gran parte africane: la Wheelan vi si è
recata in visita, intrattenendosi in particolare col vice-direttore del Centro,
il colonnello Charles Bradley dello U.S. Army. Il quartier generale di Vicenza
opererà nel continente africano con «piccoli gruppi» (complessivamente,
all'inizio, 600 uomini), ma sarà pronto, se necessario, a condurre operazioni
di «risposta alle crisi», servendosi della 173esima brigata aviotrasportata, di
stanza a Vicenza. I «piccoli gruppi», comprendenti anche unità della Guardia
nazionale e della Riserva, attueranno in Africa «programmi di cooperazione»,
aiutando a «promuovere la stabilità regionale e le relazioni tra civili e
militari». Nei prossimi anni, ha sottolineato il gen. Garrett, «lo U.S. Army
Africa continuerà a crescere». Crescerà di pari passo il ruolo del comando
delle forze navali AfriCom, situato a Napoli. Si tratta di un «impegno
prolungato», frutto del «riconoscimento americano della crescente importanza
strategica dell'Africa». A riconoscere tale importanza non sono però solo gli Usa. Lo dimostra l'affollamento di navi da guerra lungo le
coste del Corno d'Africa, con la motivazione della lotta contro i pirati
somali. In quest'area strategica - comprendente il Golfo di Aden
all'imboccatura del Mar Rosso (dove, a Gibuti, è stazionata una task force
statunitense) - incrociano la Combined Task Force 151, una forza navale Usa cui partecipano unità di 20 paesi alleati; lo Standing
Nato Maritime Group 2, un gruppo navale Nato, e la EuNavFor Atalanta, una
squadra dell'Unione europea. Ma sono presenti anche navi da guerra cinesi e
russe, cui si aggiungeranno quelle giapponesi. E lo scorso dicembre il
Consiglio di sicurezza dell'Onu ha votato all'unanimità una risoluzione,
presentata dagli Usa, che autorizza a «inseguire i
pirati all'interno della Somalia». Qui, dopo il ritiro delle truppe etiopi
(inviate nel
( da "Repubblica, La" del 07-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Pagina
19 - Economia Toyota affonda, perdite triplicate S&P e Moody´s la
retrocedono Crolla la domanda, gli incentivi non risollevano le vendite Addio
alla "tripla A". Mercato colpito dal calo del potere d´acquisto
FEDERICO RAMPINI Nello stesso giorno in cui il governo italiano vara gli
incentivi per l´auto crolla il bilancio della Toyota: un buco improvviso di 3 miliardi
di euro affonda la casa automobilistica fin qui più solida e competitiva del
mondo. La coincidenza non è di buon auspicio. Gli eco-incentivi faranno
ripartire un mercato agonizzante, o sono risorse sprecate? Per rispondere è
essenziale capire la natura di questa crisi, ben diversa da altri cicli
congiunturali che l´automobile ha conosciuto in passato. In questa fase la
causa dominante del disastro dell´automobile, in tutto il mondo, è la caduta
della domanda dei consumatori. Se non si dà potere d´acquisto alle famiglie,
intervenire dal lato dell´offerta (come si fa con gli incentivi all´auto che di
fatto riducono i prezzi) è una ricetta inadeguata. Non si salva neppure chi
produce le auto migliori del mondo: le Toyota lo sono, almeno secondo il verdetto
dei consumatori, visto che dall´anno scorso il colosso giapponese ha
conquistato la leadership mondiale delle vendite superando la General Motors.
Toyota è stata la casa più lungimirante nell´anticipare gli effetti della crisi
energetica, mise sul mercato la sua Prius ibrida (motore misto a elettricità e
benzina) più di dieci anni fa. Ha costruito un predominio sull´affidabilità, i
prezzi, il controllo dei costi. Eppure Toyota è nell´occhio del ciclone. Due
mesi dopo aver annunciato il primo bilancio in rosso nella sua storia, ieri ha
nuovamente sorpreso i mercati con l´improvvisa rivelazione che le perdite sono
il triplo del previsto (450 miliardi di yen). Ha subìto l´onta di un
downgrading della sua solvibilità finanziaria, perdendo il voto Aaa presso
Standard & Poor´s e Moodys. Quando un leader globale come Toyota vede
precipitare del 31% in un mese le vendite in America, del 24% in Europa e del
14% in Giappone, non c´è politica di aiuti di Stato né di incentivi che possa
aiutarlo. All´estremità opposta del mercato, chi non ha saputo innovare né ha
la stessa reputazione di qualità della Toyota, ha provato a spingere fino in
fondo la logica degli incentivi. «Compra due auto al prezzo di una», è la
trovata di alcuni disperati concessionari Chrysler negli Stati Uniti. Ha
conquistato qualche titolo sui giornali, ma l´effetto sulle vendite è stato
nullo. A gennaio il bollettino delle immatricolazioni sul territorio Usa è stato catastrofico: meno 49% General Motors, meno 40%
Ford, meno 55% Chrysler. La causa fondamentale è nei dati usciti ieri sul
mercato del lavoro. L´America sta distruggendo 600.000 posti di lavoro al mese.
Una simile ecatombe riduce il reddito delle famiglie, e accentua l´atmosfera di
insicurezza generale. Dare sussidi alle case automobilistiche - come pure il
Congresso di Washington s´intestardisce a fare - può tappare buchi nei bilanci
per qualche semestre, ma l´effetto sulle vendite è inesistente. Ridurre i
prezzi, per volontà propria dei produttori o grazie agli eco-incentivi per la
rottamazione, non aggredisce la causa. La maggioranza dei consumatori non ha la
scelta. Deve tenersi l´auto che ha, e rinviare ogni acquisto, finché non ha
certezze che il suo reddito torna a salire. La controprova: gli unici due
mercati al mondo che hanno continuato a registrare un
aumento nelle vendite di autovetture sono la Cina e l´India.
Non a caso, due nazioni dove la crisi ha rallentato la crescita ma non al punto
da generare una recessione. L´aumento del Pil e dei redditi si è ridotto ma ha
ancora il segno positivo nei due giganti asiatici. Inoltre Cina e India non sono mercati di sostituzione bensì hanno un vasto
ceto medio che si avvicina alla "prima motorizzazione",
l´acquisto della prima vettura familiare. La chiave, dunque, è sempre dal lato
della domanda. E´ grazie alla domanda che la Cina ha
superato gli Stati Uniti diventando il primo mercato mondiale dell´automobile
(10,7 milioni di vendite cinesi su base annua, contro 9,8 milioni in America).
Naturalmente tutti quei governi che intervengono ad aiutare l´industria
dell´auto lo fanno in nome di un´emergenza sociale. Ed è pur vero che in
confronto ai costi delle crisi bancarie i due miliardi di euro che Roma stanza
per gli eco-incentivi alla rottamazione sono poca cosa. Il presidente di
Confindustria Emma Marcegaglia ha ricordato che se si include tutto l´indotto
la crisi dell´auto minaccia 300.000 posti di lavoro. Ma la politica degli
incentivi ha effetti perversi che sono stati messi a fuoco con precisione
dall´economista Paolo Manasse (sul sito www. lavoce. info). Poiché il reddito
spendibile delle famiglie italiane ristagna o è in calo, l´effetto degli
incentivi è spostare la domanda dei consumatori a favore dell´auto, ma
penalizzando altri beni. Per ogni 100 euro di maggior spesa per un´auto di piccola-media
cilindrata, se ne spendono tra i 25 e i
( da "Riformista, Il" del 07-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Evoluzioni/1
La questione commerciale non è più solo economica, ma politica e strategica Dal
protezionismo al neonazionalismo semantica della crisi
Geoeconomia. Non è più tempo di scontri di civiltà. Come ha intuito Robert
Kagan, ora i problemi arrivano dalle nazioni e lo dimostrano la crisi della Wto
e le tensioni nel mercato unico europeo. di Stefano Feltri In tempi di crisi
anche il linguaggio ha un ruolo: identifica i problemi, suggerisce soluzioni,
ispira slogan e programmi elettorali. Ieri l'unico vero giornale globale, cioè
l'Economist, ha scelto per la sua copertina il titolo "The return of
economic nationalism". Nazionalismo, non protezionismo.
Perché come dimostrano le tensioni registrate tra Italia e Gran Bretagna
nell'ultima settimana (scioperi di operai contro gli specialisti siciliani che
hanno vinto un subappalto della Total vicino Londra) ormai il tema del libero
commercio, delle barriere, del sostegno alle economie domestiche a spese di
quelle vicine, è uscito dal dibattito accademico tra economisti per diventare
una questione politica, con aspetti diplomatici e di relazioni internazionali.
Sarà una coincidenza, ma sull'edizione asiatica del Time di oggi anche il
columnist Chan Akya individua un legame tra due concetti spesso usati come
sinonimi: «Proteste che invocano il nazionalismo come debole scusa per il protezionismo si sono sentite in tutto il continente
europeo», e chiude il suo commento invocando un dumping finanziario dei paesi
asiatici in Europa e America per evitare di pagare il conto della crisi. Il
primo segnale del nuovo clima è arrivato, sostiene l'Economist, dal
provvedimento buy american che vincola gli aiuti di Stato federali all'acquisto
di beni e servizi americani, una clausola di cui lo stesso Barack Obama non è
convinto e che già è stata ammorbidit, ma che secondo l'Economist dovrebbe
addirittura essere cancellata. Oppure il mondo sprofonderà in «deep trouble»,
grandi problemi. Perché i piani anticrisi nazionali sono già di per sè un fattore
di tensione, in quanto creano condizioni di vantaggio per le imprese radicate
nei paesi più interventisti, ma se includono clausole protezioniste la
situazione può degenerare. Basta vedere il caso francese: il presidente Nicola
Sarkozy ha promesso che il sostegno ai produttori di auto sarà vincolato alla
tutela dei lavoratori francesi, e solo di quelli, una disposizione che forse
(ancora non è chiaro) potrebbe addirittura essere interpretata come un obbligo
di acquistare anche beni intermedi e componentistica fabriqué en France. Contro
tutti i principi del mercato unico europeo che, come denuncia quasi tutte le
settimane la Commissione europea, rischia di essere la vera vittima di questa
nuova fase della crisi. La riscoperta dell'interesse nazionale - economico, ma
anche "strategico", aggettivo che sempre accompagna le industrie di
cui bisogna giustificare il salvataggio - era già stata prevista dal più
brillante dei neocon americani, Robert Kagan, che sul Weekly Standard e poi nel
suo libro "Il ritorno della storia e la fine dei sogni" scriveva: «Il
nazionalismo, e la nazione stessa, non è affatto indebolito
dalla globalizzazione, è ritornato in cerca di vendetta. E il più significativo
il ritorno di nazionalismo delle grandi potenze». La visione di Samuel
Huntington (1996) di un mondo in cui le nazioni scompaiono e restano solo le
civiltà destinate a uno scontro lungo «linee di faglia» etinco religiose è già
invecchiata, così come quella di Francis Fukuyama (fine della storia, il
capitalismo all'Occidentale ha vinto), e persino il concetto di Free World (il
mondo libnero uscito dalla Guerra fredda che ruota attorno all'asse
Angloamericano) dello storico Timothy Girton Ash sembra superato. Per citare
ancora Kagan: «Ci sono nuove linee di faglia geopolitiche dove le ambizioni
delle grandi potenze si sovrappongono e dove è più probabile che si scatenino i
terremoti del futuro». E queste nuove linee di faglia, racconta la cronaca di
questi giorni, sono le dogane, quelle fisiche per i beni e quelle virtuali per
la finanza. Ma come ha intuito l'Economist, negli snodi di queste tensioni ci
sono le nazioni, non le aggregazioni regionali, come sembrava fino a pochi mesi
fa: l'Europa che aveva cancellato le frontiere al proprio interno le sta
riscoprendo, con incentivi differenziati che creano squilibri su base
nazionale, dall'auto alla garanzia dei depositi bancari, e con la fine del
semestre di presidenza francese ha perso l'unico leader (Sarkozy) che era
riuscito a presentarsi come referente politico del'intera Unione. E la crisi
del mercato unico coincide con la presidenza dell'euroscettico e impalpabile
Mirek Topolanek, primo ministro ceco. La seconda area di libero scambio più
grande del mondo, il Nafta (Stati Uniti, Messico, Canada) risente del ritrovato
isolazionismo, almeno commerciale, di Washington, mentre perfino la Cina non
può più usare i frutti della propria crescita economica per espandere la
propria influenza e consiladare un blocco asiatico, ma si sta ripiegando sulle
proprie esigenze interne dopo il rallentamento della corsa del Pil. E il Wto è
virtualmente morto, impiccato al round di negoziati di Doha 2001 che non si è
mai concluso e nel quale neppure il suo segretario Pascal Lamy sembra riporre
grandi speranze. Ora è il momento delle nazioni. 07/02/2009
( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del
07-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Commenti
Pagina 341 Coraggio e fantasia per vedere la luce in fondo al tunnel --> Col
passare del tempo, le ricadute della recessione e della disoccupazione vanno
appesantendosi, a livello globale e regionale. I dati recenti delle Nazioni
Unite (Onu) confermano la frenata della crescita economica persino nei Paesi
emergenti (Cina, India che facevano da traino con incrementi a due cifre
percentuali) e in quelli in via di sviluppo. Nei Paesi industrializzati dove la
crescita media era sostenuta ma non esagerata, si prevedono sostanziali marce
indietro (eurogruppo). Riguardo alla disoccupazione, si calcola che i senza
lavoro nel mondo hanno raggiunto quota un miliardo. Nell'Unione europea (Ue),
sono i Paesi dell'eurogruppo che registrano i maggiori incrementi nel numero
dei disoccupati (molti dei quali senza cassa integrazione). Rispetto
all'Europa, negli Usa la situazione è peggiore: si scopre che quattro milioni
di bambini non beneficiano di copertura sanitaria. Il presidente Barack Obama
vi ha posto rimedio, con priorità, onorando i suoi impegni elettorali. La tesi
ormai condivisa (ad eccezione dell'ottimismo di facciata e del patriottismo di
maniera) è che si tratti della crisi più grave, seconda solo a quella scoppiata
nel 1929. Mentre si conosce la durata storica della Grande Depressione,
l'incertezza regna sovrana, tra specialisti e decisori politici, sulla durata
della crisi attuale. La tendenza è che anche questa non sarà breve. L'aspetto
positivo da rilevare è, tuttavia, il diverso comportamento assunto dai decisori
politici attuali rispetto a quelli che affrontarono la crisi ottant'anni fa. In
effetti, i responsabili politici d'allora agirono a compartimenti stagni che
allungarono la durata della crisi mentre quelli di oggi possono agire in un
sistema di vasi comunicanti che ne facilitano l'accorciamento. Una prima
risposta al nuovo comportamento è stata data nel summit dei capi di Stato e di
governo del G20 che ha affrontato, principalmente, lo tsunami finanziario, a
Washington a metà novembre 2008. Il prossimo vertice G20, fissato a Londra per
il 2 aprile, oltre a fissare nuove regole per evitare il ripetersi di simili
caos finanziari, dovrà necessariamente trovare risposte appropriate per
affrontare e assorbire la crisi dell'economia reale e l'impennata della disoccupazione.
È utile rilevare a riguardo l'originalità della proposta fatta dalla
cancelliera tedesca Angela Merkel di creare in seno all'Onu un Consiglio di
sicurezza economica, simile a quello di difesa ma con più equa ripartizione di
diritti e doveri, vista la portata planetaria di questi fenomeni. La nuova
presa di coscienza dell'America (grazie alla vittoria elettorale del presidente
Obama e alla maggioranza democratica al Congresso), dell'Europa (grazie
all'esempio della coesione più marcata dell'Ue durante la presidenza francese),
dei Paesi emergenti e dei Paesi in via di sviluppo (grazie all'accresciuta
importanza del loro ruolo), potrebbe dar luogo progressivamente a un mondo più
equo e sostenibile (grazie all'auspicio "onusiano", già citato, formulato
da Angela Merkel e alla rivoluzione verde di Obama che segue quella lanciata
dall'Ue). Il tutto è politicamente realizzabile a condizione di eliminare sul nascere nuovi fenomeni protezionisti nazionali o
regionali come Buy American, Achetez Français, comprare cinese o padano
(lanciati di recente e poi ritrattati), perché essi fanno a pugni in un mondo
globalizzato. È doveroso, tuttavia, analizzare le cause che danno luogo a
questo tipo di fenomeni (compreso quello sollevato dagli operai inglesi contro gli
operai italiani, perché si tratta nel caso Total di guerre tra poveri).
Sono fenomeni, per giunta, vietati in seno all'Ue a difesa della libera
circolazione della manodopera e dal rigetto del dumping sociale, per evitare
atti discriminatori tra i Ventisette. Con volontà e perseveranza politica, la
crisi può essere ridotta non solo nella sua durata ma può trasformarsi in una
nuova opportunità per il genere umano, passando progressivamente dalla
rivoluzione industriale inquinante e tecnicamente obsoleta alla rivoluzione
verde (con grandi manifatture hightech e medie e piccole imprese) di sviluppo
sostenibile, che salvaguardi l'ambiente, protegga la salute, crei milioni di
posti di lavoro e riduca la miseria nel mondo. Il coraggio e la fantasia,
tenendo saldi i piedi per terra ed evitando di sminuire la gravità della crisi
in corso, spronano a rimboccarci le maniche e ci lasciano intravedere un raggio
di luce in fondo al tunnel. ANTONIO MARONGIU (marongiuantonio@tiscali.it)
( da "Sole 24 Ore, Il" del 07-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Il
Sole-24 Ore sezione: MATERIE PRIME data: 2009-02-07 - pag: 34 autore: Metalli non
ferrosi. L'offerta non scende abbastanza - Stock Lme vicini a 2,87 milioni di
tonnellate Le scorte schiacciano l'alluminio Riaffiora l'idea di un nuovo
Memorandum of understanding Roberto Capezzuoli Negli ultimi mesi i tagli
all'attività delle fonderie di alluminio hanno raggiunto i 5,5 milioni di
tonn., quasi il 14% della capacità complessiva. L'impatto sulle quotazioni del
London Metal Exchange (Lme) è stato però modesto: il prezzo settlement ha
toccato il 23 gennaio 1.290 $/tonn., minimo degli ultimi sei anni, e solo in
seguito si è visto un graduale rialzo, fino ai 1.422 $ di ieri. Il record
storico del luglio scorso ( 3.291,50 $) è lontano e i valori attuali sono del
45% inferiori a quelli di un anno prima. La sensazione degli addetti ai lavori
è che occorrano cure più drastiche, perché i consumi, specialmente nell'auto e
nell'edilizia,calano più rapidamente dell'offerta. Ad amplificare la situazione
c'è l'abnorme quantità di alluminio giacente nei magazzini Lme: quasi 2,87
milioni di tonn., un volume mai visto, che rischia di obbligare i magazzini a
custodire l'alluminio all'aperto, per evitare che non resti spazio agli altri
metalli. Qualche operatore non esclude che le scorte salgano entro l'anno fino
a 4 milioni di tonn., perché il deposito può favorire la concessione di crediti
e perché una parte dei costi è "pagata" dal contango (il prezzo per
consegna differita infatti è più alto di quello cash). La situazione ha
accelerato l'annuncio di nuove riduzioni dell'attività. In precedenza la Cina aveva diminuito l'output del 20%, tagliando 2,5 milioni
di tonnellate annue,l'americana Alcoa nelle scorse settimane aveva ridotto la
produzione di 750mila tonn., seguita da vicino da tutti i big dell'alluminio.
Negli ultimi due giorni la statunitense Century ha ipotizzato la chiusura di
Ravenswood, fonderia da 170mila tonnellate annue, e la norvegese Norsk Hydro si
è detta pronta a sospendere del tutto l'impianto tedesco di Neuss, capace di
230mila tonn. ma gravato da alti costi dell'energia. La mossa più incisiva
peròè stata annunciata da Rusal, il numero uno russo, feudo di Oleg Deripaska,
che ne controlla il 56,76%. Deripaska ha appena sostenuto che «non è più il
caso di sperare, è meglio prepararsi al peggio». Da aprile il gruppo ridurrà
del 5% la forza lavoro (oggi a 90mila unità, in 19 Paesi), dell'11% la
produzione di alluminio e del 30% quella dell'intermedio allumina (sarà
sacrificata anche l'italiana Eurallumina,che produce oltre un milione di
tonnellate annue). «C'è una forte eccedenza – dice Deripaska – che porterà a
scenari del tutto nuovi, destinati a confermarsi per i prossimi 7-10 anni».
L'ipotesi di tagli definiti da un Memorandum of Understanding, come quello deciso nel '94 dai grandi Paesi produttori (Usa, Canada, Norvegia, Ue,Australia e Russia,responsabile
quest'ultima delle eccedenze a causa del tracollo dei consumi della sua
industria bellica) non sembra percorribile: ogni accordo oggi dovrebbe infatti
passare al vaglio della Cina edella Wto.
( da "Corriere della Sera" del 07-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Corriere
della Sera - NAZIONALE - sezione: Focus Vuota - data: 2009-02-07 num: - pag: 12
categoria: REDAZIONALE Il fabbisogno Il Tesoro dovrà raccogliere 2 mila
miliardi di dollari per riuscire a finanziare i piani di rilancio economico
L'esposizione Oggi le famiglie hanno un saldo negativo uguale al pil. Risparmio
e recessione potrebbero farlo scendere all'85% Usa, la
salvezza nel debito pubblico La Fed disposta ad acquistare i titoli del Tesoro
per pagare i salvataggi. è la prima volta nella sua storia I l 28 gennaio 2009
è scivolato via nelle cronache finanziarie. Eppure potrebbe acquisire una
rilevanza particolare nella storia delle Depressionomics. E' stato infatti in
quel martedì di ordinaria tensione a Wall Street che la Federal Reserve ha
annunciato di essere pronta a sottoscrivere i titoli del debito pubblico degli
Stati Uniti in emissione nei prossimi mesi per finanziare gli stimoli
all'economia lanciati dal presidente Obama e la serie, non si sa quanto lunga,
dei salvataggi aperta dal suo predecessore Bush. Il governatore della Federal
Reserve di Richmond, l'economista Jeffrey Lacker, avrebbe voluto l'inizio
immediato degli acquisti e perciò ha votato contro la più cauta decisione del
Federal Open Market Committee che passerà all'azione quando se ne ravviserà
l'utilità per la salute del mercato. Ma già l'annuncio di una tale
disponibilità non ha precedenti nei 95 anni di storia delle 12 banche centrali
nazionali che formano il sistema della Federal Reserve. I titoli di Stato sono
sempre figurati nell'attivo di queste istituzioni quale contropartita di quella
speciale posta passiva che è costituita dalla base monetaria, ovvero dai
dollari in circolazione. In questi 18 turbolentissimi mesi, la Fed ha scambiato
una parte degli 800 miliardi di Treasury Bills e affini che aveva all'attivo,
merce buona e sicura, con anticipazioni alle banche e titoli tossici di varia
natura da queste rilevati, merce rischiosa o addirittura scadente. Una
decisione sostanzialmente obbligata per evitare il collasso irrimediabile del
sistema bancario e però insufficiente allo scopo. Adesso, il presidente della
Fed, Ben Bernanke, si dice pronto a ben altro, e cioè a «investire» in nuovi
titoli pubblici. A questo punto, la prima domanda è: perché la svolta? La
risposta — ovvia e, al tempo stesso, molto seria — può essere così riassunta:
l'emittente, e cioè il Tesoro, si assicura la promessa di soccorso da parte
della banca centrale perché non è più certo che quanti finora son corsi a
sottoscrivere le sue obbligazioni lo facciano ancora nella misura necessaria.
L'America è sempre meno creditrice di se stessa. Ormai il 44% del debito
pubblico costituito da titoli negoziabili è in mani estere e due terzi di
questa cifra fa capo alle banche centrali di Giappone e Cina. E nessun
investitore internazionale è tranquillo sulla tenuta del cambio del dollaro. Si
potrebbe dunque indagare sui legami personali tra il nuovo segretario al
Tesoro, Tim Geithner, che prima governava la Federal Reserve di New York, e i
suoi ex colleghi per capire se e come quelle relazioni abbiano favorito la
svolta che mette definitivamente la Fed al servizio del Tesoro. Il tema
sarebbe interessante anche per un Paese come l'Italia che a suo tempo presentò
il divorzio della sua banca centrale dal Tesoro una scelta di virtuoso rigore.
Ma ci disperderemmo. Meglio porci la seconda domanda: quanti soldi servono al
Tesoro Usa? Al netto delle obbligazioni in scadenza da
rifinanziare, Geithner dovrà raccogliere 2.000-2.500 miliardi di dollari per
coprire la coda del piano Paulson, i sostegni a Fannie Mae e Freddie Mac e al
sistema dei mutui immobiliari e delle carte di credito, ora in fase di
attuazione, nonché lo stimolo obamiano all'economia per 825 miliardi. E' una
massa imponente di denaro, un terzo di quella parte del debito pubblico
federale, 6.300 miliardi, detenuta dagli investitori nazionali e internazionali
(poi, come spieghiamo nell'altro articolo, ci sono le altre componenti, palesi
e opache, del debito pubblico). E' vero che la fuga dalla Borsa e dal mattone
non è ancora finita. Ma è anche vero che questo processo di disinvestimento è
in atto da tempo e tende ormai a ricostituire sempre meno liquidità. Lo scoppio
della bolla non è senza conseguenze e diminuisce drasticamente la ricchezza
finanziaria trasferibile da un impiego all'altro. Ed è ancor più vero che il
Tesoro americano avrà concorrenti agguerriti nei Tesori di Eurolandia,
anch'essi impegnati in imponenti emissioni aggiuntive, mentre i Paesi con le
maggiori riserve valutarie, a cominciare dalla Cina,
dovranno riorientare una parte dei flussi monetari verso il mercato interno.
Una spia delle nuove incertezze si è già accesa con l'incremento dei tassi sui
titoli decennali dal 2% al 2,95%. Se dunque un pronto intervento della Federal
Reserve entra nel novero delle probabilità, la terza domanda che viene
spontanea è: con quali soldi Bernanke pagherà i titoli del suo ex collega
Geithner? Poiché la Fed ha già impegnato tutte le sue risorse, sarebbe molto
rischioso, ammesso che sia possibile, raccogliere depositi a breve dalle banche
per comprare obbligazioni a medio termine del Tesoro. Con ogni probabilità, la
Fed stamperà nuova moneta, e lo farà in grande copia. Il rischio di inflazione
è immanente in un rapido incremento della quantità di moneta, ma la scarsità
della domanda ne rinvia la manifestazione all'avvio della ripresa. E siccome
ogni giorno ha la sua pena, se ne riparlerà più avanti. L'emergenza, adesso, è
il contrasto della recessione. Ma l'impennata debito pubblico nel Paese più
importante del mondo che l'aveva fin qui considerato il peggiore dei debiti,
segno inequivocabile di inefficienza terzomondista, cambia comunque il
paesaggio dell'economia. Gli Usa — lo dicono in tanti
— hanno alimentato il loro sviluppo con uno smodato ricorso al debito. Tutti
(famiglie, imprese, banche, finanziarie, amministrazioni pubbliche centrali e
periferiche) hanno fatto ricor
( da "Affari Italiani (Online)" del 07-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
L'Iran
fa tremare Obama e il mondo Sabato 07.02.2009 14:00 In America la parte
migliore del potere non è come gestirlo, ma come raggiungerlo. Lo sta scoprendo
Obama, la cui lunga ed esaltante campagna presidenziale ha entusiasmato il mondo
intero e galvanizzato lo stesso giovane senatore dell'Illinois. Poi ha vinto e
adesso gli tocca far seguire i fatti alle parole. Criticare da fuori è più
facile che gestire da dentro e adesso, tra congedi forzati di membri appena
nominati del suo staff e sorprese dall'estero, Obama scopre addirittura che il
suo predecessore non aveva tutti i torti quando spingeva per la costruzione di
un ombrello missilistico in Europa. Non ha nemmeno finito di rassicurare la
Russia promettendo di non procedere con quel progetto ed ecco che l'Iran lancia
un satellite utilizzando un vettore a combustibile solido in grado di portare
testate convenzionali o nucleari in Europa ed in tutto il Medio Oriente,
Israele incluso ovviamente. Sembra di essere tornati alla Guerra Fredda:
presidenti, primi ministri ed i loro stati maggiori europei e americani sono
naso all'insù ad osservare preoccupati il decollo del satellite iraniano, che
oltre a ricevere e lanciare trasmissioni su diverse frequenze lancia anche
all'Occidente e ad Israele un messaggio poco rassicurante. Questo è un
"film" che abbiamo già visto: tra non molto, al massimo un paio
d'anni, l'Iran annuncerà al mondo il successo del suo primo esperimento
nucleare militare. Prima di quell'annuncio ci sono due possibili strade da
seguire. La prima: non fare nulla ed osservare atterriti quanto è già avvenuto
con India e Pakistan negli anni '70, tuttalpiù replicando la farsa degli
inutili gruppi di contatto, totalmente superflui finchè
Russia e Cina continueranno più o meno scopertamente ad aiutare gli ayatollah.
La seconda: iniziare da subito una pesante offensiva diplomatica ed economica
contro l'Iran, volta ad un vero isolamento di quel regime. Mentre India e
Pakistan sono comunque democrazie (la prima è la più grande del mondo e la
seconda ha recentemente defenestrato incruentamente un "dittatore"),
l'Iran è un paese la cui rivoluzione è stata in realtà un vero golpe che ha
instaurato un regime teocratico e feroce. Come abbiamo prefigurato su queste
colonne, gli USA sono stati colti di sorpresa, né il nuovo Segretario di Stato
Hillary Clinton ha mai speso una parola degna di rilievo sul nucleare iraniano.
L'idea di sedersi a tavolino con Ahmadinejad e trattare con lui può essere
ancora valida, ma appare più una prospettiva volta al "damage
control" che non uno stop effettivo alle ambizioni nucleari iraniane.
Oltretutto, chi conosce il mondo arabo, sa che presso quelle culture il gesto
di disponibilità è spesso frainteso per segnale di debolezza. Pur riconoscendo
alla diplomazia e alla leadership iraniana una maggiore sofisticazione nel
disbrigo degli affari internazionali, il timore che una forma mentale antica
contribuisca a creare equivoci è forte. In ogni caso, in questo quadro ogni
strategia di dialogo è vana se prima non capiamo se questa che sembra destinata
a diventare una potenza militare provvista di arma nucleare intenda continuare
a bluffare o piuttosto non dia ascolto per davvero ai suoi alleati più moderati
e alle Nazioni Unite. Obama dietro le quinte GUARDA LA GALLERY pagina
successiva >>
( da "Wall Street Italia" del 07-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Marcegaglia:
Fmi, urgenti riforme, concorrenza e pensioni di ANSA Inaccettabile un credito
alle imprese da 70 mld con lo Stato -->(ANSA) - VENEZIA, 7 FEB - Lo scenario
Fmi di un'Italia dalle prospettive 'tetre' non e' del tutto condivisibile ma
occorre che il Paese attui le riforme. Cosi' la Marcegaglia che vuole riforma
pensioni,piu' concorrenza, riduzione spesa pubblica improduttiva.E'poi
'inaccettabile' un credito alle imprese da 70 miliardi di euro con lo Stato' e,
se le risorse europee non saranno sufficienti,lo Stato stanzi piu' soldi per
gli ammortizzatori sociali.Si pensi a sgravi fiscali. No allo Stato in banche o
imprese'. 'Sarebbe un errore fatale','siamo appena usciti da questo vizio' ha
sentenziato la Marcegaglia. Sul linguaggio Fmi: 'Non lo condivido del tutto ma
in questo momento non dobbiamo dimenticarci di fare le riforme'. Sul credito di
70 miliardi, la presidente e' del parere che si ricorra alla Cassa depositi e
prestiti ma 'meglio sarebbe se lo Stato paga direttamente il credito alle
imprese'. E' urgente che 'chi perde il posto di lavoro sia supportato da
ammortizzatori sociali. Vogliamo uno stanziamento maggiore'. Uno spiraglio nella crisi ci sara' nel 2010, con un miglioramento
delle aree emergenti come Cina, India e Africa. 'Bisogna
tenere i nervi saldi non bisogna non fare nulla'. Sulla vicenda Lindsey la
Marcegaglia ha messo in guardia dal protezionismo, come sembra stia per
avvenire in Usa sul fronte dell'acciaio.(ANSA).
( da "Trend-online" del 07-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Marcegaglia:
Fmi, urgenti riforme, concorrenza e pensioni ANSA NEWS, clicca qui per leggere
la rassegna di Ansa , 07.02.2009 15:00 Scopri le migliori azioni per fare
trading questa settimana!! (ANSA) - VENEZIA, 7 FEB - Lo scenario Fmi di
un'Italia dalle prospettive 'tetre' non e' del tutto condivisibile ma occorre
che il Paese attui le riforme. Cosi' la Marcegaglia che vuole riforma
pensioni,piu' concorrenza, riduzione spesa pubblica improduttiva.E'poi
'inaccettabile' un credito alle imprese da 70 miliardi di euro con lo Stato' e,
se le risorse europee non saranno sufficienti,lo Stato stanzi piu' soldi per
gli ammortizzatori sociali.Si pensi a sgravi fiscali. No allo Stato in banche o
imprese'. 'Sarebbe un errore fatale','siamo appena usciti da questo vizio' ha
sentenziato la Marcegaglia. Sul linguaggio Fmi: 'Non lo condivido del tutto ma
in questo momento non dobbiamo dimenticarci di fare le riforme'. Sul credito di
70 miliardi, la presidente e' del parere che si ricorra alla Cassa depositi e
prestiti ma 'meglio sarebbe se lo Stato paga direttamente il credito alle
imprese'. E' urgente che 'chi perde il posto di lavoro sia supportato da
ammortizzatori sociali. Vogliamo uno stanziamento maggiore'. Uno spiraglio nella crisi ci sara' nel 2010, con un miglioramento
delle aree emergenti come Cina, India e Africa. 'Bisogna
tenere i nervi saldi non bisogna non fare nulla'. Sulla vicenda Lindsey la
Marcegaglia ha messo in guardia dal protezionismo, come sembra stia per
avvenire in Usa sul fronte dell'acciaio.(ANSA).