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Report "Globalizzazione" 1-7 febbraio 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Globalizzazione

Se la crisi alza nuove barriere ai confini ( da "Riformista, Il" del 01-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: proteste sociali e protezionismo». Perché la crisi della globalizzazione finanziaria, innescata dai mutui americani, sta causando una crisi della globalizzazione economica, quella dei container cinesi, delle fabbriche delocalizzate, dei servizi esportati, come dimostrano le proteste londinesi contro i tecnici italiani e portoghesi superspecializzati che hanno vinto un subappalto e che,

Protezionismo, ovvero razzismo economico il liberista ( da "Riformista, Il" del 01-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Protezionismo, ovvero razzismo economico il liberista La riduzione dei dazi libera più reddito nelle mani dei lavoratori segue dalla prima pagina Giochiamo all'economia come giocavamo alla guerra: bisogna "conquistare mercati", non "lasciarsi conquistare".

Sì, ora bisogna <proteggere> gli operai locali ( da "Giornale.it, Il" del 01-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: e oggi in crisi che questa malaccorta globalizzazione ha plasmato. Dunque, pure l'insulto preventivo che i grevi operai del Lincolnshire dedicano a Gordon Brown ha la sua giustificazione. Dirimere la questione col suo slogan gli sarà impossibile. E tuttavia resta il fatto che nelle tv di tutto il mondo la verde Inghilterra non è più quella di prima.

<Sono fuori dal tempo: il mercato deve essere mondiale> ( da "Giornale.it, Il" del 01-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Ci vorrà una globalizzazione anche delle regole, che devono essere valide in tutto il mondo e non soltanto in Europa, dove vengono applicate da tempo. Però questi processi di globalizzazione sono irreversibili». Senza contare che una manodopera specializzata può anche formare il personale locale.

un kebab non danneggia la toscanità di lucca ( da "Tirreno, Il" del 01-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Tutto questo per dire che il mondo è ormai globalizzato, e non potrebbe essere altrimenti in un'epoca in cui le merci corrono sempre più da un capo all'altro, quindi inevitabile che gli scambi commerciali portino con sé anche lo scambio culturale tra i popoli. Il mondo diventa più piccolo, e la distanza tra chi quelle merci le produce e chi ne fa uso e consumo sempre più ridotta.

L'EGOISMO DELLE NAZIONI ( da "Corriere della Sera" del 01-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: esperienza nel governo della globalizzazione. Benché limitato alla scala continentale, il governo dell'integrazione si fa in Europa da cinquant'anni. Il coordinamento delle politiche pubbliche, divenute vere politiche comunitarie in certe materie, ha permesso di governare l'apertura dei mercati nazionali senza determinare sconvolgimenti e promuovendo la crescita.

Crisi, la spinta di Brown I Grandi a Davos: <No al protezionismo> ( da "Corriere della Sera" del 01-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Il vertice A Davos l'incontro dei ministri del Commercio di 20 Paesi: dalla Cina al Brasile, alla Ue, all'ambasciatore Usa. Impegno contro i dazi e rilancio del Doha round Economia e crisi Il primo ministro inglese Gordon Brown Danilo Taino

Brown sta con gli italiani ( da "Stampaweb, La" del 01-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: economia sempre più globalizzata si facciano ancora queste discriminazioni: sembra d'essere tornati indietro di anni». Le parole amare di Giovanni Musso, vicepresidente della Irem di Siracusa, l'azienda italiana accusata dagli operai della raffineria Lindsey Oil di Grimsby di «rubare il lavoro agli inglesi», s'infrangono sulle ciminiere del Lincolnshire;

A Davos rinuniti una ventina di ministri del Commercio ( da "AmericaOggi Online" del 01-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Cina, India, Giappone, Africa del Sud e il commissario europeo al commercio Catherine Ashton. Per gli Stati Uniti, in attesa della nomina del nuovo rappresentante al commercio, ha partecipato l'ambasciatore presso la Wto di Ginevra. Il commercio è in calo e figura tra le vittime della crisi, ha ossevato Lamy.

Non bastano le chiacchiere. Per uscire dalla "tempesta perfetta" della crisi economica ( da "AmericaOggi Online" del 01-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: È il caso della super coppia Usa-Cina maggiore finanziatrice l'una dell'astronomico deficit degli altri, a loro volta principale mercato dell'export cinese. E, quindi, "gemelli siamesi" più che mai impossibilitati a separarsi, pena un collasso dagli effetti nefasti per entrambi.

Sono orgoglioso del progetto su Andrea Brustolon ( da "Corriere delle Alpi" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: una sfida alla banalità della globalizzazione», afferma convinto il sindaco. «Sono orgoglioso di questo progetto, l'ho condiviso fin dall'inizio». Tra le voci che circolano, c'è anche il rischio di sforare il budget: «Molti sarebbero contenti se la mostra costasse più del previsto e se i soldi non bastassero», osserva il sindaco amareggiato.

Le orecchie di Bruxelles. Emergenza economia/La crisi, Obama e la vecchia Europa ( da "AmericaOggi Online" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Cina, Russia e India, rischia di non esserci posto per una Bruxelles ancora in cerca di identità. Se l'Europa ha bisogno di Obama e dell'America è altrettanto vero che anche gli Usa e la Casa Bianca hanno bisogno del vecchio continente. In quella cabina di regia della crisi mondiale rischia di passare l'idea che dal tunnel si potrà uscire solo grazie a quella gestione totalitaria

dalla obamanomics alla gran bretagna cresce il neo-protezionismo di sinistra - (segue dalla prima pagina) federico rampini ( da "Repubblica, La" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Il presidente dell´associazione confindustriale dei siderurgici Usa, Thomas Gibson, commenta così il sondaggio: "I contribuenti vogliono essere sicuri che il loro denaro servirà a creare posti di lavoro americani in America, non posti di lavoro cinesi in Cina". Se questa frase suona familiare, c´è una buona ragione.

sirena d'allarme per il federalismo - (segue dalla prima pagina) tito boeri ( da "Repubblica, La" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: sono chiesti se la globalizzazione avrebbe soffocato le identità nazionali e locali, aprendo pericolose crisi di identità, sopprimendo tradizioni e violando sistemi di valori locali. Oggi che il mondo ha cessato di correre, che anzi si torna indietro, con il Fondo monetario costretto continuamente a rivedere al ribasso le stime di crescita del prodotto interno lordo del pianeta,

Il manifesto, punto 5 Nazionalizziamo le banche ( da "Unita, L'" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Questa sensibilità sarebbe stata alimentata dal fatto che Marx visse in un periodo storico di rapida globalizzazione dell'economia. Al punto cinque del piano di azione proposto da Marx ed Engels nel Manifesto dei comunisti (1848) si legge: «.....Accentramento del credito nelle mani dello Stato per mezzo di una banca nazionale con capitale di Stato e con monopolio esclusivo».

l'arte globalizzata dell'estremo oriente - modena ( da "Repubblica, La" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: arte globalizzata dell´Estremo Oriente MODENA La globalizzazione? La rende visibile un esempio emiliano: in questa regione grazie alla collezione di una fondazione bancaria è possibile intraprendere un viaggio nella contemporaneità asiatica. Accade a Modena: gli spazi espositivi del Foro Boario ospitano la mostra "Asian Dub Photography"

Pvs, la fuga dei capitali è il rischio più temuto ( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: relazioni economiche stabilite con la Cina. Anche l'Estremo Oriente dovrebbe subire un contraccolpo molto forte dalla prevista caduta dell'export,cui potrebbe associarsi il coinvolgimento dei sistemi finanziari di vari Paesi nella bolla speculativa Usa.Ma le notevoli riserve valutarie accumulate nell'ultimo quinquennio consentono di adottare politiche di facilitazione creditizia (

Morning Note: economia e finanza dai giornali ( da "TgFin.it" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: 2) LUXOTTICA: meno dollari e un biglietto per la Cina (CorrierEconomia, pag. 4) IT Holding: il patron Tonino Perna piegato dai debiti. Possibile il commissariamento (CorrierEconomia pag 5) RECORDATI: in crescita anche nel 2009 (Il Sole 24 Ore domenica pag 25) Man- (RADIOCOR) 02-02-09 08:05:48 (0023)news 3 NNNN

Obama, svolta storica? A metà. Non comanda... ( da "Affari Italiani (Online)" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: la Cina. E l'uomo al timone, coerentemente con quanto dichiarato durante le presidenziali, ha deciso che i tempi erano maturi e l'lettorato pronto per un cambio di indirizzo anche sul tema dell'ambiente. Obama dietro le quinte GUARDA LA GALLERY Quanto accade in queste ore è fuori dall'ordinario in un paese che ben raramente ha visto il governo correre al salvataggio del privato.

Crisi, Banche: nella giungla degli gnomi ( da "Voce d'Italia, La" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: particolare ha ricordato come gli sbilanci finanziari tra i Paesi abbia influito negativamente sugli equilibri economici mondiali: Paesi come Cina ed India hanno continuato a produrre ed esportare negli Stati Uniti i quali, per pagare queste esportazioni, si facevano finanziare (attraverso l?acquisto da parte di Cina ed India di titoli del debito pubblica americano) dagli stessi venditori.

La crisi: un nuovo equilibrio tra chi consuma e chi risparmia ( da "Trend-online" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: La Cina produce Offerta, consuma poco = Risparmio. Gli USA producono Domanda superiore alla loro capacità di spesa = Debito. Questo lo squilibrio: la crisi. Un nuovo equilibrio, dice Wen? Fattomi più realista del re, mi metto a caccia di equilibri.

PARLAMENTO EUROPEO SESSIONE PLENARIA 2 - 5 FEBBRAIO 2009: MAHMOUD ABBAS AL PARLAMENTO EUROPEO; ATTIVITÀ DELLA CIA IN EUROPA PIÙ SEVERITÀ NELLA LOTTA ALLA PEDOPORNOGRAFIA UNA POLITI ( da "marketpress.info" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Cina: rispetto dei diritti umani e lotta alla contraffazione - Una lunga relazione all´esame dell´Aula rileva le intense relazioni commerciali dell´Ue con la Cina e il ruolo di questa nella governance globale. Tuttavia, auspicando progressi nel rispetto dei diritti umani, chiede di eliminare gli ostacoli all´accesso dei prodotti e servizi europei,

Gb/ Cota: Hanno ragione operai inglesi, vedrete in Veneto ( da "Virgilio Notizie" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Quello che sta succedendo a Grimsby è l'esempio più classico della globalizzazione che ci presenta il conto. Ce lo ha già presentato con la crisi economica e finanziaria, con il problema della sicurezza e adesso tocca al mercato del lavoro. Sono gli effetti di una globalizzazione senza regole o con le regole saltate, una globalizzazione selvaggia".

USA: TASSI IN RIALZO, CRESCE ATTESA PER UN INTERVENTO DELLA FED ( da "Wall Street Italia" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: dei tassi si ricollega anche alle recenti parole del futuro ministro del tesoro Geithner che, accusando la Cina di manipolazione dei cambi, implicitamente potrebbe compromettere il forte beneficio per gli Usa derivante dall?acquisto di Treasury. La Cina infatti dallo scorso ottobre è diventato il primo detentore al mondo di Treasury. Il rialzo dei tassi di mercato sta aumentando l?

Gb, ancora scioperi contro gli operai italiani Sacconi: "Così è a rischio il patto europeo" ( da "Giornale.it, Il" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: esempio più classico della globalizzazione che ci presenta il conto. Ce lo ha già presentato con la crisi economica e finanziaria, con il problema della sicurezza e adesso tocca al mercato del lavoro. Sono gli effetti di una globalizzazione senza regole o con le regole saltate, una globalizzazione selvaggia.

IMMIGRATI: CALDEROLI, SE NON CI TUTELA EUROPA CI TUTELIAMO ( da "Virgilio Notizie" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Da Davos tutti hanno tuonato contro le misure nazionaliste e protezioniste salvo poi, una volta rientrati a casa loro, metterle subito in essere e faremo bene anche a noi ad iniziare a fare subito altrettanto di fronte ad una crisi che ha dimostrato il fallimento della globalizzazione e i limiti dell'Unione Europea''.

Ecco perché il clandestino in realtà non viene espulso. ( da "Giornale.it, Il" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 25Jan 09 Resa dei conti tra la Cina e gli Usa? Il sito del Giornale nelle ultime 48 ore ha dovuto affrontare la migrazione da un provider a un altro e dunque anche l'accesso al blog è stato difficile, soprattutto in certe zone d'Italia. Mi scuso per questo inconveniente, ora risolto.

La casta di Wall Street? Continua ad arricchirsi ( da "Giornale.it, Il" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 25Jan 09 Resa dei conti tra la Cina e gli Usa? Il sito del Giornale nelle ultime 48 ore ha dovuto affrontare la migrazione da un provider a un altro e dunque anche l'accesso al blog è stato difficile, soprattutto in certe zone d'Italia. Mi scuso per questo inconveniente, ora risolto.

Gb, ancora scioperi contro gli italiani ( da "Giornale.it, Il" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: esempio più classico della globalizzazione che ci presenta il conto. Ce lo ha già presentato con la crisi economica e finanziaria, con il problema della sicurezza e adesso tocca al mercato del lavoro. Sono gli effetti di una globalizzazione senza regole o con le regole saltate, una globalizzazione selvaggia.

Davos, il vento è cambiato ( da "AprileOnline.info" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Il nuovo presidente Usa prevede interventi anche per aiutare chi non riesce più a pagare le rate del mutuo di casa. Wen Jabao, primo ministro di Pechino, pensa di adottare molti meccanismi europei di protezione sociale nella sua Cina centauro: una dittatura comunista con una economia ipercapitalista.

Dopo Bush, Obama: discontinuità e vincoli nella politica estera ( da "AprileOnline.info" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Cina e India). Per questi stessi scopi espansionistici gli Usa hanno aumentato la spesa militare (warfare contro welfare) costringendo gli alleati della Nato a fare altrettanto. La prova della scelleratezza delle delle scelte di Bush è data dalla maggioranza schiacciante della vittoria elettorale di Obama.

Non siano lavoro e ambiente a pagare la crisi ( da "AprileOnline.info" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: La "globalizzazione" ha favorito le speculazioni, accentuato gli squilibri e le ingiustizie nel mondo ed all'interno dei singoli paesi. Oggi si sommano rallentamento dell'economia e crisi finanziaria; caduta degli investimenti e crescita della disoccupazione.

Eolico/ Italia terza in Europa e sesta nel Mondo per ( da "Virgilio Notizie" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: In un solo anno, gli Stati uniti hanno incrementato la loro capacità da 16.824 a 25.170 MW. Dopo Germania e Spagna, al quarto posto si inserisce la Cina che da 5.910 Mw è passato a 12.210. Segue l'India, la cui capacità ha raggiunto quota 9.645 Mw. Poi l'Italia e la Francia.

CRISI, PREMIER CINESE WEN INTRAVEDE LA LUCE ALLA FINE DEL TUNNEL ( da "Wall Street Italia" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: lavorando ad alcuni progetti tra cui quello sulla ricostruzione della provincia sud-occidentale della Cina, colpita dal terremoto lo scorso maggio. Wen ha detto al Financial Times che è necessario fare di più. Negli ultimi giorni ci sono state tensioni tra Usa e Cina dopo che la nuova amministrazione statunitense ha accusato la Cina di manipolare il tasso di cambio per spingere l'export.

SCARPE VOLANTI ( da "TGCom" del 02-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Wen stava parlando di globalizzazione durante un convegno organizzato dall'università di Cambridge quando è avvenuto l'incidente. "Come può Cambridge prostrarsi verso un dittatore?" ha urlato il giovane prima di lanciare la scarpa che è arrivata a meno di un metro dal premier di Pechino La scarpa, un gesto che imita quello del reporter iracheno contro George W.

Scioperi non autorizzati ( da "Corriere delle Alpi" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: questa è la globalizzazione a livello europeo, è il futuro e non possiamo tornare indietro. Si tratta di spiegare che la paura della recessione è normale, però dobbiamo trovare delle soluzioni». C'è stato un colloquio con il governo italiano. Di cosa avete parlato?

La nuova guerra del lavoro. La concorrenza ora si sposta all'interno dei Paesi ricchi ( da "AmericaOggi Online" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: E a ribadire che in nome di una globalizzazione che nessuno sa bene come funzioni non si può portare via il lavoro alle maestranze padane: prima lavoriamo noi, poi, se serve, gli altri. Modo un po' grezzo ma sicuramente efficace di semplificare la più complessa questione del secolo XXI.

bertinotti: "è una guerra fra poveri serve un piano europeo del lavoro" - alessandra longo ( da "Repubblica, La" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: ha con la globalizzazione? «Con la cattiva globalizzazione. Ce l´ho con chi pensava che la globalizzazione potesse essere generatrice di una nuova leva di diritti disconnessi dal lavoro. Ce l´ho con la direttiva Bolkestein che non promuove la libera circolazione dei lavoratori ma produce dumping sociale, estende il contratto di lavoro rumeno anche in Italia»

Uno studente di Cambridgelancia una scarpa a Wen Jiabao ( da "Secolo XIX, Il" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Questo comportamento riprovevole non comprometterà l'amicizia tra la Cina e il Regno Unito». La platea, composta per lo più da studenti di origine cinese, lo ha applaudito. «Come potete ascoltare le menzogne che racconta questo dittatore? Perché non lo contraddite?», ha urlato il manifestante prima di essere arrestato con l'accusa di disturbo dell'ordine pubblico.

Ma l'Italia vuole essere protezionista? ( da "Riformista, Il" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: All'aumento degli appelli a difesa della globalizzazione commerciale corrisponde la crescita dei danni che il protezionismo sta già iniziando a fare. Il ciclo di negoziati iniziati a Doha nel 2001 dall'organizzazione mondiale del commercio ha ridotto il tasso di protezione medio sui prodotti dal 22 per cento al 3,6.

IL GENOMA DELL'ERBA FORNISCE INFORMAZIONI SULLA TOLLERANZA ALLA SICCITÀ ( da "marketpress.info" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: principalmente nel nord-est dell´Africa e nelle aree aride degli Usa e dell´India, che viene usato come base alimentare sia per l´uomo che per il bestiame. È anche coltivato come fonte di biocarburante, principalmente in Cina. Il grano di sorgo ha più proteine e meno grassi rispetto al granturco, ma ha un valore nutrizionale simile.

sacconi: a rischio il patto ue - vindice lecis ( da "Tirreno, Il" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Commissione europea in quanto ha consentito che la libera circolazione dei lavoratori avvenisse senza un'adeguata protezione». Su regole e valori che dovrebbero essere condivisi, si è scatenata una lite nella maggioranza di governo. Il capogruppo leghista alla Camera, Roberto Cota, ha solidarizzato con gli operai inglesi affermando che la globalizzazione «ci sta presentando il conto».

Investire sul Sud ( da "Sole 24 Ore, Il" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: mail N el pacchetto di rilancio dell'economia Usa da (finora) 819 miliardi di dollari, 62 sono destinati esclusivamente agli investimenti in infrastrutture ed edifici scolastici. Anche Gran Bretagna, Canada, Cina, Francia, Germania e India stanno generosamente ricorrendo agli investimenti infrastrutturali nei pacchetti di stimolo alle proprie economie.

<L'identità è il nostro valore> ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: simboli universali della globalizzazione. Sembra una contraddizione, lui non concorda. «Penso che la globalizzazione contrasti con i principi di solidarietà, libertà e unità solo quando non riconosce e non rispetta altri popoli e altre identità. Non cambia niente se nel pianeta ci sono mille o duemila Stati, se c'è rispetto reciproco e unità per la soluzione dei problemi del pianeta»

Se la sfida passa per la dogana telematica ( da "Sole 24 Ore, Il" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: globalizzazione, per sopravvivere alla quale occorre giocare bene la carta del fattore tempo. In sostanza la dogana non va più solo vissuta come strumento di protezione e di difesa (contro contraffazioni e ai fini della sicurezza delle merci in ingresso) ma va anche (e soprattutto) utilizzata nella logica della facilitazione dei flussi commerciali e quindi dello sviluppo del Sistema

Protezionismo & Alimentazione. ( da "Sole 24 Ore, Il" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: idea che il settore sia o possa essere vittima della globalizzazione. Anzi, sostiene che proprio il ritardo nell'integrazione con l'economia globalizzata sia la causa del ristagno. stefano.carrer@ilsole24ore.com www.jfir.or.jp/e/pr_e/pdf/31.pdf Per leggere il documento L'OBIETTIVO Dal punto di vista agricolo il Paese deve raggiungere l'indipendenza al 50% entro dieci anni.

Antitrust all'attacco delle banche ( da "Sole 24 Ore, Il" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: ricordando i vantaggi portati dalla globalizzazione «rischiamo di perdere tutto se torneremo al protezionismo, assumendo iniziative soltanto a livello nazionale ». Sul versante operativo,c'è infine da segnalare che ieri ha materialmente iniziato ad operare il nuovo mercato interbancario col-lateralizzato (Mic) attivo sulla piattaforma di contrattazione di e-

L'ENTUSIASMO per Obama sembra aver contagiato anche il "freddo" Putin. Nel suo di... ( da "Messaggero, Il" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: è facilitato sia dalla gravità della crisi finanziaria in Russia sia dalle tensioni sorte in campo finanziario fra gli Usa e la Cina, illustrate dal professor Fortis sul Messaggero. Mosca ha sempre temuto che i cinesi amino il mercato degli Usa, più di quanto ne odino l'egemonia politico-strategica. Il loro spettro è "Chimerica", cioè un'intesa strutturale fra la Cina e gli Usa.

Covre, l'eretico leghista <Non licenzio stranieri per assumere italiani> La Lega: si rischia la rivolta contro il lavoro straniero Tosi: <Non ce n'è per tutti> ( da "Corriere del Veneto" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: conseguenze della prima vera crisi post globalizzazione, una cosa mai vista prima». Nel Carroccio, ad ogni modo, è diffusa la convinzione che la prima misura da attuare, almeno nel breve termine, sia la moratoria sui flussi già In che senso? «Molti di questi ragazzi sono cresciuti con me, arrivati a Gorgo per fare lavori di cui un ingegnere veneto non voleva neppure sentir parlare.

La società liquida di Bauman ( da "Corriere della Sera" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: REDAZIONALE DEBUTTO La società liquida di Bauman Lo stravolgimento della società e dei rapporti interpersonali, la globalizzazione e la perdita di riferimenti. Il pensiero di Bauman, padre della teoria della «modernità liquida» è al centro di «Zygmunt Bauman» (foto) in scena allo Spazio Mil. Fino all'8/2. S. San Giovanni, via Granelli, e 15, h 21

È noto ( da "Corriere della Sera" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: è perciò davvero deprimente, per un inglese favorevole alla globalizzazione, al libero mercato e alla libertà di movimento delle persone, vedere operai inglesi che scioperano contro lavoratori italiani impiegati in una raffineria francese sulla costa orientale dell'Inghilterra. CONTINUA A PAGINA

<Quel sindacato difende i lavoratori Guerra dei poveri voluta da Bruxelles> ( da "Corriere della Sera" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: frutto ultimo della globalizzazione: una guerra tra poveri in un contesto di grave crisi economica». Giorgio Cremaschi, leader della sinistra Fiom (metalmeccanici iscritti alla Cgil), vorrebbe tanto dirlo che quelli come lui avevano avvertito da tempo che il liberismo avrebbe portato a questo, ma poi si trattiene, perché davanti alla guerra tra operai inglesi e operai italiani c'

Tra Usa e Iran la diplomazia del badminton ( da "Corriere della Sera" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: REDAZIONALE La trasferta Tra Usa e Iran la diplomazia del badminton *WASHINGTON — Con Teheran, anche l'Amministrazione Obama ricomincia dallo sport. Proseguendo una tradizione americana, che data dai tempi del ping-pong di Nixon con la Cina, una delegazione di 12 persone (8 atlete, 4 dirigenti e allenatori) parte oggi per l'Iran,

Obama: più truppe a Kabul ( da "Tempo, Il" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Clinton discuterà con gli omologhi in particolare del dossier iraniano e della situazione in Afghanistan. Gli incontri si svolgeranno alla vigilia della riunione a Berlino del gruppo 5+1 sull'Iran, cui partecipano i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna) e la Germania.

Gb/ Bertinotti: Non e' razzismo ma guerra fra poveri ( da "Virgilio Notizie" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Bertinotti rivendica l'opposizione della sinistra contro la direttiva Bolkestein, "è stata una battaglia contro la cattiva globalizzazione", e propone ""un Piano del lavoro in Europa per non dover mai scegliere, in futuro, tra l'operaio inglese e quello italiano".

Banche Centrali ancora all'opera ( da "Trend-online" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: di manipolazione quando si è trattato di affrontare il tema della Cina e dello Yuan ed ora, il 13 e 14 febbraio, in occasione del G7, cercherà di impedire ai Giapponesi, che intanto minacciano interventi per indebolire lo Yen, di farlo. Si entra quindi in una nuova era di discussioni, molto accese sicuramente e che riguarderanno il mercato dei cambi, come sempre ai margini dell?

- CINA: SCOMPARSO AVVOCATO PER I DIRITTI UMANI ( da "WindPress.it" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: trascorso alcune settimane in carcere per aver denunciato al Congresso Usa la situazione dei diritti umani in Cina. In quell'occasione, era stato sottoposto a brutali torture: pestaggi, scariche elettriche sui genitali, sigarette accese poste vicino agli occhi. Dopo il rilascio, persone a lui vicine lo avevano descritto come "un uomo distrutto", sia fisicamente che psicologicamente.

La terra ci salverà ( da "Famiglia Cristiana" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: industriale e globalizzata. Sono nate vere e proprie università, come quelle in Venezuela, dove si formano i contadini del domani partendo dal recupero dei saperi antichi, mettendo in cattedra gli agricoltori». La tecnologia, l?avvento della chimica e la globalizzazione, secondo la Pérez, sono fra le cause maggiori dello sconvolgimento e del depauperamento della cultura contadina.

Famiglia Cristiana: "Il recupero dei lefebvriani rischia di appannare l'immagine della Chiesa cattolica" ( da "Rai News 24" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: globalizzata". Famiglia Cristiana ricorda come la 'Gaudium et spes' riaffermi 'la centralita' del lavoro, di valore superiore agli altri elementi della vita economica, poiche' questi hanno solo valore di strumento'". Cosi' come "e' attualissimo il richiamo che riserva ai politici: 'I partiti devono promuovere cio' che e'

Primo satellite dell'Iran. Prove tecniche di missili pag.1 ( da "Affari Italiani (Online)" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: intenzione dei due Stati di impegnarsi per aumenttare la collaborazione anche con gli altri Paesi impegnati nei negoziati con Pyongyang, Russia, Cina e Giappone. Obama ha anche confermato che a breve, probabilmente gia' a meta' febbraio, il neo-segretario di Stato Hillary Clinton sara' a Seul in visita ufficiale. Spettera' a lei affrontare lo spinoso problema del nucleare nordcoreano.

La nuova sfida possibile(?) di Obama">Dopo Guantanamo, la pena di morte La nuova sfida possibile(?) di Obama ( da "Affari Italiani (Online)" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: dopo Cina, Iran e pochi altri regimi, conta il numero più alto di giustiziati al mondo) guarda con fiducia alla Casa Bianca. Durante la campagna elettorale, Obama ha parlato di pena di morte solo in un'occasione, nel giugno scorso, quando la Corte Suprema stabilì che condannare qualcuno alla sentenza capitale per lo stupro di un bimbo è incostituzionale.

FAMIGLIA CRISTIANA: RECUPERO LEFEBVRIANI RISCHIA APPANNARE ( da "Virgilio Notizie" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: in rapporto alle nuove istanze della Chiesa e della presente societa' globalizzata'. Nelle sue parole si avvertiva l'eco del 'testamento spirituale' di Giovanni Paolo II: 'Stando sulla soglia del terzo millennio in medio Ecclesiae, desidero esprimere gratitudine allo Spirito Santo per il grande dono del concilio Vaticano II, al quale insieme con l'intera Chiesa mi sento debitore.

Obama e le guerre commerciali ( da "AprileOnline.info" del 03-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: settimana scorsa del nuovo ministro del Tesoro Usa, secondo il quale la Cina si sarebbe resa colpevole di aver manipolato la sua valuta, lo yuan renmimbi. La gravità dell'affermazione sta nel fatto che, secondo gli accordi tra Usa e Cina, in caso di manipolazione valutaria, gli Usa si riterrebbero autorizzati ad introdurre dazi per le merci importate dal paese estremo orientale.

Ciclo di conferenze (ore 18) per comprendere le origini, l'entità e la gravità dell&#... ( da "Stampa, La" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: direttore Centro Alti Studi sulla Cina Contemporanea. Si chiude il 30 con «Come si esce dalla crisi?», tavola rotonda con Giovanni Bertolone, ad Alenia Aeronautica; Andrea Gavosto, direttore Fondazione Agnelli e Giuseppe Roma, direttore generale Censis. Conduce gli incontri Giuseppe Berta, storico dell'industria.

Spazio. In orbita il primo satellite iraniano ( da "AmericaOggi Online" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Iran su questo argomento: Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Germania e Francia. Ahmadinejad, che ha dato personalmente l'ordine di lancio ripetendo per tre volte le parole Allah Akbar (Dio è grande), ha negato ogni scopo militare. "Noi - ha affermato Ahmadinejad, citato dall'agenzia Isna - usiamo la scienza al servizio della pace,

Politica estera. Comincia dall'Oriente la sfida di Hillary ( da "AmericaOggi Online" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Afghanistan alla Cina e alla Corea del Nord, transitando per la Russia. Sono tutte ad est le prime sfide internazionali cui deve rispondere l'Amministrazione Usa di Barack Obama e di Hillary Clinton. In pochissime ore, il nuovo inquilino della Casa Bianca e il suo segretario di Stato sono stati messi alla prova su alcuni dei fronti più caldi dell'

"C'è Protezione" a Caresanablot ( da "Stampa, La" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: è Protezione" a Caresanablot ALESSANDRO NASI CARESANABLOT Il polo fieristico di Caresanablot ospiterà da venerdì una tre giorni dedicata al mondo della Protezione civile intitolata «C'è Protezione». L'iniziativa, promossa dalla Provincia, è stata realizzata dalla società «Expoblot Srl» in collaborazione con «Studio 60» di Alessandria che gestiscono il centro fiere.

La crisi alimenta una "coincidentia oppositorum" ( da "Riformista, Il" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: allarme contro le protezioni nazionali (forse non ancora divenute un vero e proprio indirizzo protezionistico), additando il pericolo che si infreni il processo di globalizzazione, ipotizzando, addirittura, l'istituzione, nell'Onu, di un Consiglio per la sicurezza economica, proclamando il rilancio, da parte del Wto, del Doha Round,

PARLAMENTO EUROPEO: DIBATTITO IN AULA SU GUANTANAMO E CIA ( da "marketpress.info" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: senza sottostare alle pressioni della Cina». «Se non facciamo questo», ha ammonito, «rischiamo di essere irrilevanti anche nella fase della chiusura di Guantanamo». Ha poi aggiunto che ciò «può essere l´inizio di un nuovo lavoro per l´emersione della verità, delle responsabilità dei nostri governi nazionali ?

Un fondo europeo per sostenere i lavoratori in difficoltà La proposta di rilanciare e di rifinanziare (fino a un miliardo di euro) strumenti comuni di sostegno al reddito di chi è ( da "Unita, L'" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: di rilanciare il Fondo di adeguamento alla globalizzazione, ampliandone funzione ed obiettivi. Il Fondo, nato dall'utilizzo di residui di bilancio, aveva come obiettivo la protezione dei lavoratori nelle procedure di riduzione del personale determinate dallo spostamento di produzione nei Paesi emergenti.

Sarkozy l'europeo vira sul protezionismo ( da "Manifesto, Il" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: il protezionismo più rischioso è quello della svalutazione monetaria: il costo del lavoro è 20 volte meno elevato in Cina che in Europa, ma è già molto più alto in India, malgrado situazioni abbastanza comparabili. E qui non ha tutti i torti Obama nel protestare con Pechino e chiedere una rivalutazione dello yuan.

L'Australia usa tutte le armi anti-recessione ( da "Sole 24 Ore, Il" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Cina e Giappone - in difficoltà, l'economia australiana era fra le più esposte. Ma l'ottima gestione macroeconomica degli ultimi lustri ha permesso di metter da parte polpose riserve:l'alto livello dei tassi e dei surplus di bilancio hanno permesso di far scendere gli uni e gli altri senza perdere la fiducia dei mercati.

In orbita il primo satellite degli ayatollah ( da "Sole 24 Ore, Il" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Oggi in Germania torneranno a riunirsi i sei Paesi che conducono il confronto con l'Iran sul nucleare: Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Germania e Francia. Secondo una fonte Nato i missili iraniani potrebbero colpire una parte dell'Europa Sud-orientale e Israele ( nella foto,il Safir-2 e il satellite Omid prima del lancio). ANSA

De-globalizzare la finanza? Errore da evitare ( da "Sole 24 Ore, Il" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: De-globalizzare la finanza? Errore da evitare A parole, la lezione degli anni 30 è chiara a tutti: il protezionismo americano, e le ritorsioni degli altri Paesi, trasformarono la crisi finanziaria degli Stati Uniti nella Grande Depressione globale durata un decennio.

Le imprese venete si schierano <Sì agli stranieri, protezionisti mai> ( da "Corriere del Veneto" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: globalizzazione, nel mercato del lavoro, non sia affatto un fallimento, mentre avanza seri dubbi, anche in virtù dei recenti accadimenti a sfondo giudiziario, sulla globalizzazione finanziaria che si è sviluppata senza regole. Moretti Polegato, reduce dal vertice di Davos (Svizzera), assicura che tutti i Paesi del mondo hanno manifestato in quella sede la volontà di far decollare

Passera: aiutare la crescita fa bene anche ai conti pubblici ( da "Corriere della Sera" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: è una proposta per governare modernità e globalizzazione. Chi pensa che la globalizzazione vada fermata per superare la crisi, sbaglia di grosso. Anzi, se vogliamo ricostruire la fiducia a livello planetario, dobbiamo chiudere in tempi brevissimi il Doha Round». La peggiore delle cure sarebbe il protezionismo: già una volta ha gettato il mondo nella Depressione.

Malta. Sul bordo dell'Europa ( da "Tempi" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: ma della modernità usa solo quanto può far comodo per rendere la vita più agile: la tecnologia, la globalizzazione, il business. Per il resto, cioè per quanto concerne il cuore della quotidiana esperienza umana, Malta è l'archetipo del fatto che si può vivere senza i "diritti civili" e campare lo stesso fino a settanta, ottant'anni per i più robusti.

Vito Panetta. Un sarto su misura ( da "Tempi" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: il mercato non era globalizzato e diventare Maestro sarto significava entrare a far parte del Gotha dell'arte sartoriale assicurandosi il futuro. «Decidere di presentarmi all'Accademia fu un'altra delle mie sfide. Il presidente di allora mi disse che all'Accademia potevano accedere solo i grandi sarti.

Sarkozy <l'europeo> vira sul protezionismo ( da "Manifesto, Il" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: il protezionismo più rischioso è quello della svalutazione monetaria: il costo del lavoro è 20 volte meno elevato in Cina che in Europa, ma è già molto più alto in India, malgrado situazioni abbastanza comparabili. E qui non ha tutti i torti Obama nel protestare con Pechino e chiedere una rivalutazione dello yuan.

Quei manager che si tagliano lo stipendio. ( da "Giornale.it, Il" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 25Jan 09 Resa dei conti tra la Cina e gli Usa? Il sito del Giornale nelle ultime 48 ore ha dovuto affrontare la migrazione da un provider a un altro e dunque anche l'accesso al blog è stato difficile, soprattutto in certe zone d'Italia. Mi scuso per questo inconveniente, ora risolto.

CRISI: PERICOLO GUERRE COMMERCIALI, SI ACCENDE OVUNQUE IL DIBATTITO ( da "Wall Street Italia" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: sulla notizia che la Cina ha investito una seconda parte (130MldYuan dopo i 100Mld del quarto trimestre ?08) del piano da 4.000Mld Yuan di stimolo all?economia. Tra i preziosi in calo l?oro (-1,6%) e l?argento (-1%). Tra gli agricoli proseguono le vendite su grano (-2%) e mais (-2,4%) su segnali di esportazioni Usa in calo e condizioni meteo favorevoli al raccolto.

Protezionismo: istinto primordiale! ( da "Trend-online" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Istinto primordiale, il protezionismo, un potenziale omicida che proviene dalla storia, il potenziale killer della globalizzazione, anche se oggi il fallimento della globalizzazione stessa è un suicidio in piena regola, un suicidio cercato, una globalizzazione delle merci e dei capitali, prima che dell'uomo.

Protezionismo: istinto primordiale! pag.1 ( da "Trend-online" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: aziende che vivono di globalizzazione. "C'è protezionismo implicito in quello che stà accadendo" ha sussurrato Gordon Brown, primo ministro inglese. Non solo negli aiuti di Stato ma anche una sorta di protezionismo finanziario, banche globali che ora tornano a casa dalla Madre Patria, figliolo prodigo della situazione!

Protezionismo: istinto primordiale! pag.4 ( da "Trend-online" del 04-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: tornano a casa dopo essere stati sfruttati in nome della globalizzazione, secondo i dati del ministero dell'agricoltura sono il 15 % di oltre 130 milioni di immigrati provenienti dalle zone rurali.....nel corso dell'anno potrebbero salire a 26 milioni e oltre aggiungo io, con possibili conseguenze di stabilità sociale.

A Valenza un seminario sulla cultura globalizzata ( da "Stampa, La" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: globalizzata «Joe l'idraulico e il multilateralismo», è il titolo di un seminario di formazione regionale che si terrà l'11, il 12 e il 24 febbraio al centro San Rocco in piazza Statuto a Valenza. Relatori Vittorio Emanuele Parsi, docente dell'Università Cattolica del Sacro cuore ed editorialista de La Stampa e Riccardo Redaelli docente di Storia delle civiltà e delle culture politiche.

"Difendiamo l'economia reale" L'appello di Susta al Parlamento Ue ( da "Stampa, La" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: ampliamento del fondo adeguamento alla globalizzazione e l' aumento dei fondi alla piattaforma tecnologica tessile, infine credito agevolato e garantito sostegno all'export. Non regge più una concezione - cara ai Paesi nordici - secondo cui lo sviluppo dipende solo dalla finanza e dai servizi avanzati: la crisi ha dimostrato quanto sia importante l'economia reale che,

Obama blocca gli stipendi d'oro dei manager delle aziende salvate ( da "Unita, L'" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Cina in recessione Secondo la lettura dei dati relative al terzo trimester di quest'anno data da Nouriel Roubini, l'economista vivente più citato dopo il premio Nobel Paul Krugman, anche la Cina è entrata ufficialmente in recessione. Questo fa temere un'ulteriore abbassamento dei prezzi da parte di Pechino per non intaccare il volume di esportazioni verso gli Stati Uniti.

Il Sol Levante, miniera di buoni affari ( da "Finanza e Mercati" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Ragioniamo sulla dinamica dell'offerta e della domanda nelle commodities in Cina/India e in Australia. Poiché certi settori - per esempio quello delle materie prime - rispondono a fattori globali, il confronto tra le informazioni e i dati provenienti da fonti diverse ci consente di individuare gli eventuali settori non coperti.

Nucleare, l'Iran insiste <Non rinunciamo a un nostro diritto> ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania), hanno messo l'accento favorevolmente nel loro comunicato finale sulla «volontà dell'amministrazione americana di avviare discussioni con l'Iran, così come espressa dal presidente Obama». Una volontà che comporta un netto cambiamento di linea rispetto alla chiusura del suo predecessore George W.

crisi finanziaria, le cause affondano nella globalizzazione e nel capitalismo ( da "Tirreno, Il" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: globalizzazione e nel capitalismo La crisi economica che ha travolto la finanza mondiale sta colpendo in modo strutturale l'economia reale del nostro Paese. Sono molte le cause di questa crisi finanziaria senza precedenti: dai derivati, ai mutui subprime, all'eccessivo ricorso al debito e al consumo, ad assicurazioni e banche che in assenza di adeguate regole e controlli hanno spadroneggiato

Obama verso l'addio a Stranamore? ( da "Riformista, Il" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Francia e Cina, insieme, non arrivano nemmeno a mille, India e Pakistan congiuntamente ne posseggono circa un centinaio e così anche Israele, mentre la Corea del Nord ne possiede meno di 10 (almeno secondo le stime). Partendo dai numeri del Trattato di Mosca (circa 4mila), una riduzione dell'80 per cento porterebbe i due paesi a tagliare più di 3mila testate,

CRISI DELL'AUTO: I DEPUTATI EUROPEI CHIEDONO AIUTI PER L'INDUSTRIA ( da "marketpress.info" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: gamma inferiore provenienti dalla Turchia o dalla Cina» è di «ristabilire le tariffe esterne comuni». Solo i dazi compensatori alle frontiere, ha insistito, «possono ristabilire uno scambio internazionale leale». Replica della Commissione - Günter Verheugen ha insistito sul fatto che «le misure a breve termine non possono essere in contraddizione con gli obiettivi di lungo termine:

Frattini: Riforma delle istituzioni internazionali. "Non dobbiamo aver paura" ( da "AmericaOggi Online" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Cina, India, Brasile, Messico, Sudafrica e Egitto), e da alcuni "panel" tematici su crisi regionali (Africa, Medio Oriente, Afghanistan-Pakistan) ai quali interverranno i leader interessati. "Non solo per prendere un caffé con i Grandi della Terra - puntualizza il titolare della Farnesina - ma per una collaborazione strutturata ed effettiva"

Crisi finanziaria e ecologica, un'unica origine: il capitalismo ( da "AprileOnline.info" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: entrambe determinate dai processi di globalizzazione parla in un suo ponderoso saggio l'economista indiano Prem Shankar Jha (6). Sul complesso effetto negativo - sociale, ambientale, finanziario - della globalizzazione neoliberista, insiste anche Walden Bello(7). "Le due crisi si alimentano a vicenda", scrive il prestigioso notista politico George Monbiot (

Usa/ Anche Cina e Indonesia in primo viaggio ufficiale di ( da "Virgilio Notizie" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract:

Caso Eluana, un giudizio controcorrente che fa riflettere. ( da "Giornale.it, Il" del 05-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 25Jan 09 Resa dei conti tra la Cina e gli Usa? Il sito del Giornale nelle ultime 48 ore ha dovuto affrontare la migrazione da un provider a un altro e dunque anche l'accesso al blog è stato difficile, soprattutto in certe zone d'Italia. Mi scuso per questo inconveniente, ora risolto.

Se la colpa della crisi è di Reagan, Clinton era repubblicano ( da "Milano Finanza (MF)" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: globalizzazione senza regole di cui paghiamo tutti le conseguenze. Fu a Davos, come sempre vetrina mediatica d'eccezione, che Clinton dette l'annuncio, il 30 gennaio 2000. Così un giornale italiano dell'epoca riporta le affermazioni di Clinton: «Dobbiamo riaffermare con la massima chiarezza che l'apertura dei mercati e il commercio basato sulle regole è il miglior motore conosciuto

Così si è perso il concetto di banca ( da "Milano Finanza (MF)" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Poi venne la globalizzazione. Prima di tutto la globalizzazione come obiettivo di fondo: tutti gli sforzi erano tesi a rimuovere gli ostacoli alla circolazione del capitale e dei lavoratori; quindi abbandono delle nicchie di mercato per consentire gli investimenti anche su mercati che ciascuna banca non era in grado di controllare: trasferimento degli investimenti dal settore dell'

"Tag" da esportare dai muri alla galleria ( da "Stampa, La" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Si tratta di un fenomeno diffuso in tutte le piccole e grandi città del mondo globalizzato, luoghi in cui identità e appartenenza sono concetti spesso indefiniti. Nella cultura giovanile dell'Hip-Hop, la strada è luogo di socialità, affettività ed espressività artistica ed è l'unica vera radice in grado di legare i ragazzi a un territorio specifico.

"l'operazione motorola non è stata un fallimento" ( da "Repubblica, La" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Dieci anni fa Motorola non è arrivata a Torino per sfruttare una situazione e poi trasferire tutto in Cina o in India, ma ha aperto un centro che è diventato un fiore all´occhiello della stessa azienda. Il fatto è che a un certo punto, per questioni di mercato, ha dovuto dismettere». Il tessuto torinese riuscirà ad assorbire tutti i dipendenti non inclusi nel progetto Reply?

Metti l'export dentro una casa di vetro ( da "Finanza e Mercati" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: non le processioni dietro Napolitano in India, Cina...». «Sì, ci sarà selezione. E noi stiamo pensando a un'acquisizione. La Borsa? Negli Usa mi sono scontrato per un merger contro un concorrente cresciuto grazie a una politica di M&A finanziato al Nasdaq. Un'azienda che aveva accumulato un enorme goodwill da far pagare ai soci di minoranza.

Quei manager che si tagliano lo stipendio ( da "Giornale.it, Il" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 25Jan 09 Resa dei conti tra la Cina e gli Usa? Il sito del Giornale nelle ultime 48 ore ha dovuto affrontare la migrazione da un provider a un altro e dunque anche l'accesso al blog è stato difficile, soprattutto in certe zone d'Italia. Mi scuso per questo inconveniente, ora risolto.

GENOVA 2001: IL G8 E LA GIUSTIZIA ROVESCIATA ( da "Corriere della Sera" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: avversari della globalizzazione, e il secondo, nazionale, per gli oppositori del governo Berlusconi, costituito dopo le elezioni della primavera. Fu altrettanto chiaro che il doppio appuntamento avrebbe richiamato a Genova le frange più violente della sinistra extra-parlamentare italiana e europea, tutte decise a impadronirsi dell'avvenimento per indirizzarlo verso i loro obiettivi.

L'Inverno di un sistema! pag.4 ( da "Trend-online" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: oltre che dagli Usa, dai 27 membri Ue, dal Giappone e altri Paesi, anche se non da Brasile, Russia, India e Cina. t dunque facile prevedere che questi Paesi organizzeranno un`immediata rappresaglia sullo stesso terreno. Un accurato e recentissimo studio di Hufbauer e Schott (Peterson Institute) calcola che, a fronte di circa 9mila posti lavoro ame-

L'Inverno di un sistema! pag.3 ( da "Trend-online" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Cina». Uno slogan a presa sicura. . Ora non resta che attendere ma ho la strana sensazione che nei dati di oggi troveremo qualche sorpresa, magari un eccesso di distorsioni stagionali alimentate dall'ormai leggendario CES/NET Birth/Death Model che lo scorso anno in piena depressione finanziaria, manifatturiera ed immmobiliare è riuscito ad aggiungere complessivamente un numero rilevante

Russia e Cina malvisti, ma Usa restano i più cattivi ( da "Virgilio Notizie" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: sostenendo che tanto la Cina che la Russia avevano complessivamente un'influenza positiva nel mondo. Sulla Cina l'opinione è esattamente spaccata in due: il 40% considera il suo ruolo in modo negativo, il 39% in modo positivo. "Evidentemente, ci vuole ben altro che dei Giochi olimpici riusciti per spazzare via i timori della gente",

La conquista dell'Africa decolla da Vicenza ( da "Manifesto, Il" del 06-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: La Cina è il secondo partner commerciale dell'Africa, dopo gli Stati uniti, ma i suoi investimenti sono in forte crescita anche nei paesi più legati agli Usa. In Etiopia, lo scorso gennaio, la China Exim Bank ha investito 170 milioni di dollari per la costruzione di un complesso residenziale di lusso ad Addis Abeba,

toyota affonda, perdite triplicate s&p e moody's la retrocedono - federico rampini ( da "Repubblica, La" del 07-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: un aumento nelle vendite di autovetture sono la Cina e l´India. Non a caso, due nazioni dove la crisi ha rallentato la crescita ma non al punto da generare una recessione. L´aumento del Pil e dei redditi si è ridotto ma ha ancora il segno positivo nei due giganti asiatici. Inoltre Cina e India non sono mercati di sostituzione bensì hanno un vasto ceto medio che si avvicina alla "

Dal protezionismo al neonazionalismo semantica della crisi ( da "Riformista, Il" del 07-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: non è affatto indebolito dalla globalizzazione, è ritornato in cerca di vendetta. E il più significativo il ritorno di nazionalismo delle grandi potenze». La visione di Samuel Huntington (1996) di un mondo in cui le nazioni scompaiono e restano solo le civiltà destinate a uno scontro lungo «linee di faglia» etinco religiose è già invecchiata,

Coraggio e fantasia per vedere la luce in fondo al tunnel ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 07-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: eliminare sul nascere nuovi fenomeni protezionisti nazionali o regionali come Buy American, Achetez Français, comprare cinese o padano (lanciati di recente e poi ritrattati), perché essi fanno a pugni in un mondo globalizzato. È doveroso, tuttavia, analizzare le cause che danno luogo a questo tipo di fenomeni (compreso quello sollevato dagli operai inglesi contro gli operai italiani,

Le scorte schiacciano l'alluminio ( da "Sole 24 Ore, Il" del 07-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: come quello deciso nel '94 dai grandi Paesi produttori (Usa, Canada, Norvegia, Ue,Australia e Russia,responsabile quest'ultima delle eccedenze a causa del tracollo dei consumi della sua industria bellica) non sembra percorribile: ogni accordo oggi dovrebbe infatti passare al vaglio della Cina edella Wto.

Usa, la salvezza nel debito pubblico ( da "Corriere della Sera" del 07-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Cina. E nessun investitore internazionale è tranquillo sulla tenuta del cambio del dollaro. Si potrebbe dunque indagare sui legami personali tra il nuovo segretario al Tesoro, Tim Geithner, che prima governava la Federal Reserve di New York, e i suoi ex colleghi per capire se e come quelle relazioni abbiano favorito la svolta che mette definitivamente la Fed al servizio del Tesoro.

L'Iran fa tremare Obama e il mondo">Dopo il satellite la bomba atomica L'Iran fa tremare Obama e il mondo ( da "Affari Italiani (Online)" del 07-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: totalmente superflui finchè Russia e Cina continueranno più o meno scopertamente ad aiutare gli ayatollah. La seconda: iniziare da subito una pesante offensiva diplomatica ed economica contro l'Iran, volta ad un vero isolamento di quel regime. Mentre India e Pakistan sono comunque democrazie (la prima è la più grande del mondo e la seconda ha recentemente defenestrato incruentamente un "

MARCEGAGLIA: FMI, URGENTI RIFORME, CONCORRENZA E PENSIONI ( da "Wall Street Italia" del 07-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Uno spiraglio nella crisi ci sara' nel 2010, con un miglioramento delle aree emergenti come Cina, India e Africa. 'Bisogna tenere i nervi saldi non bisogna non fare nulla'. Sulla vicenda Lindsey la Marcegaglia ha messo in guardia dal protezionismo, come sembra stia per avvenire in Usa sul fronte dell'acciaio.(ANSA).

Marcegaglia: Fmi, urgenti riforme, concorrenza e pensioni ( da "Trend-online" del 07-02-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Uno spiraglio nella crisi ci sara' nel 2010, con un miglioramento delle aree emergenti come Cina, India e Africa. 'Bisogna tenere i nervi saldi non bisogna non fare nulla'. Sulla vicenda Lindsey la Marcegaglia ha messo in guardia dal protezionismo, come sembra stia per avvenire in Usa sul fronte dell'acciaio.(ANSA).


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Se la crisi alza nuove barriere ai confini (sezione: Globalizzazione)

( da "Riformista, Il" del 01-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Se la crisi alza nuove barriere ai confini Una diagnosi efficace l'ha fatta Christine Lagarde, ministro francese dell'Economia: «La situazione attuale comporta due rischi principali, proteste sociali e protezionismo». Perché la crisi della globalizzazione finanziaria, innescata dai mutui americani, sta causando una crisi della globalizzazione economica, quella dei container cinesi, delle fabbriche delocalizzate, dei servizi esportati, come dimostrano le proteste londinesi contro i tecnici italiani e portoghesi superspecializzati che hanno vinto un subappalto e che, secondo i manifestanti, impedirebbero che i lavori britannici restino ai lavoratori britannici. Come ha ribadito il direttore generale della Wto, Pascal Lamy, una settimana fa, è importante avere chiaro il nesso causale: il commercio internazionale è una «casualty», cioè una vittima, della crisi. E non una causa. Quello che si sta iniziando a capire all'inizio del 2009, ora che si avverte davvero il passaggio della crisi dalla finanza all'economia reale, è che isolarsi è impossibile. Nessun Paese può sperare di salvarsi ripiegandosi su se stesso nell'attesa che l'economia mondiale si riprenda. Perché in quel "mondo piatto", come lo chiama il giornalista Thomas Friedman, che si è creato nel primo decennio degli anni Duemila, le catene di produzione si sono frammentate e sparpagliate ovunque. Ma questo non impedisce che il protezionismo stia aumentando, in forme molto diverse e non sempre riconoscibili. Quella più evidente è il blocco dei negoziati multilaterali: il Doha round, cioè il ciclo di trattative aperto nel 2001 alla Wto, si è bloccato. Nonostante il segretario Lamy lo ribadisca ogni volta che può, la riduzione delle barriere doganali per favorire lo sviluppo, anche dei paesi poveri, non è più la priorità per nessuno. Un postulato economico (più commercio uguale più crescita) da sempre discusso e discutibile nel dibattito accademico sta lasciando il posto al suo contrario empirico: difesa dello status quo e, quando possibile, riduzione degli scambi. Ma le cose non stanno andando come auspicavano i critici della globalizzazione Wto-style, come Joseph Stiglitz o il coreano Ha-Joon Chang (si veda il suo ultimo libro "Cattivi samaritani", Università Bocconi editore). Il rallentamento dell'apertura dei paesi poveri alle importazioni dei ricchi non è dovuto a ragioni strategiche come la protezione delle "industrie nascenti", messe al riparo dalla concorrenza internazionale finchè non sono abbastanza forti da competere. L'attuale de-globalizzazione è gestita giorno per giorno, senza piani di medio periodo. E forse è l'unico comportamento possibile quando le esportazioni di Paesi come Germania, Brasile o India crollano di decine di punti percentuale in poche settimane. Simon J. Evenett, che per il sito Voxeu.org ha coordinato un dibattito tra economisti sul protezionismo, vede alcuni rischi nell'improvviso crollo dei commerci internazionali che si sta verificando in questi mesi. Primo rischio: i piani di molti Stati per combattere la recessione prevedono un aumento del debito pubblico per finanziarli. Ma trovare credito sui mercati finanziari sarà sempre più difficile, proprio perché tutti lo cercano. Quindi alcuni Governi potrebbero cercare entrate sicure alzando le tariffe alla dogana. Ed è possibile perchè in sede Wto spesso si riducono solo le bound tariff, le tariffe massime applicabili, spesso sono molto superiori a quelle applicate davvero. Secondo rischio: nel tentativo di sostenere la domanda domestica per compensare la diminuzione delle esportazioni si possono prendere decisioni affrettate che finiscono per creare nuove tensioni, come quella della Malesia che ha invitato le imprese a licenziare prima i lavoratori stranieri (perché mandano a casa buona parte del loro stipendio invece che spenderlo in loco). Ma questo fa diminuire le rimesse verso i paesi d'origine e quindi, potenzialmente, anche le esportazioni malesi. Oltre a creare un gruppo di disoccupati molto arrabbiati. di Stefano Feltri 01/02/2009

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Protezionismo, ovvero razzismo economico il liberista (sezione: Globalizzazione)

( da "Riformista, Il" del 01-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Protezionismo, ovvero razzismo economico il liberista La riduzione dei dazi libera più reddito nelle mani dei lavoratori segue dalla prima pagina Giochiamo all'economia come giocavamo alla guerra: bisogna "conquistare mercati", non "lasciarsi conquistare". L'esempio inglese è emblematico, perché ci mostra chiaramente dove si finisce, scendendo la china protezionista. Da noi, il razzismo economico coinvolge persone provenienti da culture che ci sono certamente lontane, il cui arrivo ci infastidisce perché è vero che svolgono mansioni ormai indigeste ai nostri giovani, e in prospettiva contribuiscono a puntellare il traballante edificio della previdenza pubblica, ma ci costringe a una contaminazione culturale non sempre piacevole. Sarebbe ipocrita, chiudere gli occhi sugli shock provocati dall'immigrazione. Ma quando pensiamo a un britannico e a un milanese, tutto ci viene in mente tranne lo scontro di civiltà. L'uno e l'altro sono entrambi, a pieno titolo, occidentali. Eppure, i protezionisti hanno bisogno di tirare una linea immaginaria, di dividere un noi e un loro, e alla fin fine il colore della pelle è un dettaglio, è una variabile che può entrare in gioco oppure no. È facile immaginare un noi sempre più piccolo, e un loro sempre più grande. In gioco, è chiaro, c'è la paura. La paura stimola la chiusura, l'arroccamento, smonta la passione per la diversità, la capacità di mettersi in gioco, la curiosità per l'altro. Quella di chi si chiude in casa per orrore del mondo, però, è una "sicurezza" del tutto aleatoria. Conta anche un altro fattore. Noi siamo il portato di un'evoluzione avvenuta in buona parte in società chiuse. I nostri geni ragionano ancora come se vivessimo in tribù. Il protezionismo è un atavismo, obbedisce a una logica che abbiamo nelle orecchie da millenni, mentre al contrario la società dello scambio è una costruzione artificiale, fragile. Il mercato non vede il colore della pelle, non controlla la carta d'identità. Non lo fa perché la vita economica è incredibilmente complessa. Persino il più semplice dei beni è frutto di una catena lunghissima di collaborazioni e scambi fra uomini. Luca Tedesco ha curato recentemente, per l'editore Lacaita, un bel libro, "Il canto del cigno del libroscambismo: la Lega antiprotezionista e il suo primo convegno nazionale". È un saggio che raccoglie i diversi interventi di quel convegno, un momento importante nella sfortunata parabola della Lega antiprotezionista d'inizio secolo. Colpiscono due cose. La prima è che quella esperienza - pure storicamente fallimentare - era pluralista. I liberisti, che ne erano il cuore, riuscirono a costruire alleanze, per esempio, con parte del movimento operaio: questo perché il primo effetto del protezionismo, cioè l'aumento del prezzo dei beni, è avvertito subito dalle classe più umili. Quando bisogna tirare la cinghia, i jeans cinesi a cinque euro, ci aiutano oppure no? La seconda, è la desolante resistenza dell'opinione pubblica a imparare dal passato. È vero che le formule di giustificazione cambiano con gli anni. Si è passati da un protezionismo "offensivo", basato sull'idea che forti tariffe d'importazione servissero ad agevolare lo sviluppo dell'industria patria, a uno "difensivo": salviamo la nostra capacità produttiva dall'attacco di Paesi in cui produrre costa meno. Ma è impossibile non considerare attualissimo ancor oggi quanto diceva Antonio De Viti De Marco: «Rispetto alle classi dirigenti siamo alle prese con un problema di cultura. Quando si vede che i più considerano ancora le esportazioni come un vantaggio e le importazioni come un danno, bisogna dire che siamo di fronte a un problema di cultura». Correva l'anno 1914, e il grande economista leccese ben comprendeva che il protezionismo era parte di «una incrostazione storica di favori, di privilegi, di eccezioni, di leggi speciali». Un elemento paradossale. De Viti De Marco citava l'illuminato cinismo di Cobden, convinto che la crisi economica fosse d'aiuto a una svolta liberale. Questo perché «la riduzione dei dazi protettori libera, nelle mani dei consumatori, un reddito maggiore di quello che perde lo Stato; poiché libera anche quella parte che i consumatori pagavano come sovrapprezzo dei beni similari prodotti all'interno». Questo era vero allora ed è vero anche oggi. Si dirà che l'industria va protetta, per aiutare l'occupazione. Ma l'impresa ha bisogno delle pressioni competitive, per evolversi e imparare a fare meglio. Se la produzione è male organizzata, e spreca risorse, il fatto di beneficiare di prezzi più alti in virtù dei dazi (che è bene ricordarlo sempre, sono tasse) fa sì che le nostre imprese domani saranno ancora più inefficienti, e quindi più in difficoltà, di oggi. Se non siete convinti, pensate ai settori che più piangono miseria, oggi, e vedrete che i loro errori risalgono in buona parte a prima del credit crunch. È un circolo vizioso che non si spezza. Il privilegio genera privilegio, l'aiuto di Stato chiama aiuto di Stato, il dazio si fa pagare col dazio. Si dice no al protezionismo, con l'argomento che una guerra commerciale globale sarebbe dannosa per tutti. Verissimo, ma se anche si mettono dazi e nessuno controbatte, si sono già danneggiati i propri consumatori. Difendiamo la nostra industria, difendiamo il nostro lavoro, e impoveriamoci tutti! Il razzismo, anche il razzismo economico, non sa pensare. di Alberto Mingardi 01/02/2009

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Sì, ora bisogna <proteggere> gli operai locali (sezione: Globalizzazione)

( da "Giornale.it, Il" del 01-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

n. 28 del 2009-02-01 pagina 8 Sì, ora bisogna «proteggere» gli operai locali di Redazione Sfilano coi berretti di lana per il freddo ben calcati sulla fronte, gente semplice, e stanca di non lavorare, che protesta perché il loro di lavoro lo hanno dato invece agli altri, stranieri. Sono inglesi, molto diversi da quelli ai quali questi anni ci avevano abituati: non sono gli impiegati sempre giovani e cosmopoliti della City, e neppure vecchi in crociera. Sono piuttosto dei visi consueti alla buona, molto poco cerebrali, proprio come quelli degli operai italiani, che la loro protesta non fa scendere dalla nave. E perciò a pensarci prevale, mio caro lettore, inevitabile un sentimento di simpatia anzi di complicità per ambedue. Perché siano inglesi o italiani, essi incarnano un'idea di lavoro vero, quella economia sostanziale alla quale in questi anni si è badato poco, ogni volta travolta, e che infine pure stavolta sarà umiliata dagli eventi. Infatti sopra i cartelli che gli operai inglesi agitano si legge la frase «British jobs for British workers». Battuta, pare, di qualche comizio del primo ministro Gordon Brown, che non deve averla però molto ben pensata. E non solamente perché fino all'altro ieri, per anni la City e Albione si sono arricchiti col liberismo. Ma perché in questa vicenda un «job» soltanto e davvero «british» risulta piuttosto complicato da trovare. La raffineria Lindsay Oil sta sì in effetti nel Lincolnshire, ma è della Total francese. Inoltre la ditta dei lavoratori italiani e portoghesi sulla nave è la Irem di Siracusa, che però, a quanto si legge, ha vinto una gara d'appalto, e risulta subcontractor di una qualche ditta americana. Insomma la vicenda è molto più complicata di quanto a prima vista si potrebbe pensarla. Di inglese c'è il suolo certo, e la gente che non ha lavoro, il resto è invece l'esito del mondo sempre più astratto, e oggi in crisi che questa malaccorta globalizzazione ha plasmato. Dunque, pure l'insulto preventivo che i grevi operai del Lincolnshire dedicano a Gordon Brown ha la sua giustificazione. Dirimere la questione col suo slogan gli sarà impossibile. E tuttavia resta il fatto che nelle tv di tutto il mondo la verde Inghilterra non è più quella di prima. Delle pubblicità col giovane rampante che su un prato, amica accanto, accendeva il computer e speculava alla City. Adesso sotto i piedi degli operai del Lincolnshire non c'è gran che di verde: ma solo il fango calpestato dell'inverno. Una nazione ha fallito e non soltanto le sue banche, statalizzate nell'ignominia, coi risparmi in pericolo. Era già successo settant'anni fa circa, più o meno negli anni nei quali John Maynard Keynes scriveva proprio le seguenti frasi: «Simpatizzo, perciò con quelli che ridurrebbero al minimo, invece che con quanti massimizzerebbero, gli intrecci economici tra le nazioni. Le idee, la conoscenza, l'arte, l'ospitalità, i viaggi, queste sono cose che dovrebbero per loro natura essere internazionali. Ma lasciamo che le merci siano fatte in casa, quando sia ragionevole e convenientemente possibile; e soprattutto rendiamo la finanza un affare primariamente nazionale». Il saggio dove si leggevano queste parole, a scansare ogni equivoco, si intitolava appunto National Self-sufficiency. A conferma di quanto i britannici abbiano da sempre un'idea molto pratica degli ideali liberisti. Dunque potremmo leggere nella protesta degli operai inglesi pure un sintomo che i tempi, persino in Inghilterra, sono cambiati. Il che rende ancora più ridicoli quanti ci volevano far imitare la City o spergiurano ancora sulla globalizzazione. E però c'è anche dell'altro da dire: questa economia è evoluta a una astrazione che annienta l'umano. Troppo si è deciso solo coi bilanci, per via di giri cartacei e vertiginosi che i progressi della comunicazione hanno peggiorato. Troppo poco invece si è badato al territorio, e agli uomini che vi abitano. Perciò è venuta meno ogni cura per la comunità; e neppure si è tentato un equilibrio fraterno e associativo. Risultato: il lavoro è sì costato sempre meno, ma è divenuto un pacco, staccato dalla vita umana e regalato solo a un mondo di bilanci e ideologie. È quanto si dovrà rimediare, come insegna pure il Lincolnshire. © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

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<Sono fuori dal tempo: il mercato deve essere mondiale> (sezione: Globalizzazione)

( da "Giornale.it, Il" del 01-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

n. 28 del 2009-02-01 pagina 9 «Sono fuori dal tempo: il mercato deve essere mondiale» di Redazione Mario Moretti Polegato, numero uno delle calzature Geox e imprenditore di successo in tutto il mondo, è di rientro da Davos, tra i pochi italiani ammessi al World Economic Forum. Presidente, quella degli operai inglesi non è una protesta fuori dal tempo? «Assolutamente. Lo spirito di Davos è stato quello di valorizzare la globalizzazione. Oggi tutti i paesi del pianeta, dai più ricchi a quelli in via di sviluppo, tendono a sviluppare un'economia globale, compresa la libera circolazione delle persone, del lavoro, della proprietà intellettuale. È il futuro cui non possiamo sottrarci». Ma questo fenomeno crea forti squilibri. «Questi processi di globalizzazione spesso sono troppo veloci. Sono degli choc. Il caso dell'azienda siciliana ci mostra con orgoglio quanto le nostre capacità vengono riconosciute all'estero. Ma succede anche l'opposto, cioè che perdiamo competitività nel settore manifatturiero. Invece che vincere gli appalti, li perdiamo. Piaccia o no, questo è lo stato delle cose. E nella storia non si torna mai indietro». Serviranno regole nuove? «Di sicuro, se ne è parlato anche qui a Davos. Una serie di ammortizzatori, oltre che direttive per il rispetto delle persone e del lavoro. Ci vorrà una globalizzazione anche delle regole, che devono essere valide in tutto il mondo e non soltanto in Europa, dove vengono applicate da tempo. Però questi processi di globalizzazione sono irreversibili». Senza contare che una manodopera specializzata può anche formare il personale locale. «Geox è un caso interessante, non ce ne sono molti nel nostro paese. Il nostro è un business model moderno che può rappresentare l'azienda del domani: la testa è in Italia, nel quartiere generale di Montebelluna lavorano 650 persone, per la gran parte giovani da 28 a 35 anni, quasi tutti laureati; ma poi abbiamo altri 3.500 dipendenti in tutto il mondo. Impieghiamo 30mila addetti, fra diretti e indiretti, in 28 Paesi. Anziché impiantare un calzaturificio in senso stretto, abbiamo creato quasi un'altra Microsoft. È la ricetta di quello che sarà l'azienda italiana del futuro». La provincia di Treviso è anche un modello di integrazione con lavoratori stranieri. «Qui si guarda molto alla competitività. Se ora gli italiani riescono a lavorare in modo più competitivo rispetto alla manodopera inglese, lo stesso fenomeno è già avvenuto da noi, per cui tanta gente è venuta dall'estero. Erano più competitivi. A Davos, oltre che di globalizzazione, si parlava di mondializzazione per dare ancora più importanza a questa libertà di movimento. Se sono competitivo, è mio diritto poter lavorare ovunque». Evidentemente gli operai inglesi non la pensano come lei. «Le loro sono reazioni spontanee, che posso anche capire senza giustificarle. Le abbiamo avute anche in Italia rispetto a immigrati che erano più competitivi di noi, ma alla fine li abbiamo accettati e ci siamo impegnati a fare meglio di loro. Sono le leggi del mercato». Quindi nessuna chiusura delle frontiere? «Tutto il mondo vuole accelerare questi processi di globalizzazione. Per noi italiani sarà una straordinaria opportunità. La capacità di creare è inscritta nel nostro dna, fossimo capaci di esportare meglio questo dna avremmo un rilancio completo dell'economia. Dobbiamo saper gestire l'italianità: valorizzare la cultura, l'università, la ricerca, l'uso dei brevetti, tutto ciò che fortifica la creatività». E chi glielo spiega agli inglesi? «L'Inghilterra è la patria della rivoluzione industriale, hanno inventato la catena di montaggio e il lavoro moderno. L'inglese è la lingua del mondo globalizzato. Non mi sembra un grosso problema». © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

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un kebab non danneggia la toscanità di lucca (sezione: Globalizzazione)

( da "Tirreno, Il" del 01-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

CARO SINDACO HAI SBAGLIATO Un kebab non danneggia la toscanità di Lucca Guido uno scooter marca giapponese, leggendo il libretto di uso e manutenzione scopro che il motore è stato fabbricato in Italia, il telaio e la carrozzeria in Francia,il tutto è stato poi assemblato in Spagna! Ho una macchina tedesca che viene costruita in Belgio e il suo marchio appartiene ad una societ americana, che dire poi delle Fiat costruite in Polonia e in Brasile? E la svedese Ikea che produce in Cina e vende a Firenze? Tutto questo per dire che il mondo è ormai globalizzato, e non potrebbe essere altrimenti in un'epoca in cui le merci corrono sempre più da un capo all'altro, quindi inevitabile che gli scambi commerciali portino con sé anche lo scambio culturale tra i popoli. Il mondo diventa più piccolo, e la distanza tra chi quelle merci le produce e chi ne fa uso e consumo sempre più ridotta. Questo dimostra che tutti noi prima di essere cittadini di Massa di Firenze, di Lucca o di chissà dove siamo, prima di tutto, cittadini del mondo, e che l'intreccio culturale (e culinario) è del tutto naturale e inevitabile. La decisione del sindaco di Lucca di vietare il kebab e i fast food in città suona come una campana stonata, personalmente non credo che un negozio etnico possa intaccare l'immagine di una città bellissima come Lucca, anzi, a rendere unica la bellezza del nostro paese, le sue opere d'arte, le piazze, i monumenti, la letteratura e tant'altro ancora è stata paradossalmente proprio la contaminazione culturale avvenuta in epoche passate, che ci ha arricchito mentalmente. Insomma non credo che mangiare un panino al kebab sulle mura possa in qualche modo danneggiare la toscanità di Lucca. Dino Bertaccini Carrara

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L'EGOISMO DELLE NAZIONI (sezione: Globalizzazione)

( da "Corriere della Sera" del 01-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Prima Pagina - data: 2009-02-01 num: - pag: 1 autore: di MARIO MONTI categoria: REDAZIONALE L'EUROPA E LA CRISI L'EGOISMO DELLE NAZIONI Q uando l'economia mondiale galoppava in una crescita apparentemente inarrestabile, trascinata dall'America e dall'Asia, l'Europa era vista come un continente destinato al declino, appesantito dall'attenzione agli aspetti sociali e dalla lentezza delle decisioni comunitarie. Oggi anche l'Europa è colpita dalla crisi scoppiata in America e che non risparmia neanche l'Asia. Eppure proprio all'Europa si guarda, d'improvviso, con rispetto e con una certa ammirazione. Il Forum di Davos ne ha offerto in questi giorni una chiara testimonianza. Il Wall Street Journal, da sempre censore inflessibile delle «deviazioni» europee rispetto al modello puro e duro (così sembrava) del capitalismo americano, ammette con sorpresa che quest'anno a Davos il modello europeo è stato quello più apprezzato. Il primo ministro cinese, per parte sua, ha detto che il suo governo sta considerando l'esempio europeo per introdurre elementi di protezione sociale. Tutti considerano ora indispensabile un forte coordinamento internazionale delle decisioni dei governi e citano l'Unione Europea come realizzazione più avanzata su questa via. Nell'affrontare la crisi, l'Europa ha due grandi punti di forza, ma è anche esposta a un rischio che altri non corrono. Il primo punto di forza è l'economia sociale di mercato. Ad essa sono improntate le strutture degli Stati membri e le politiche dell'Unione Europea. Negli anni scorsi si sono fatti sforzi, che dovranno proseguire, per rendere i sistemi di protezione sociale compatibili con le esigenze della competizione internazionale. Ma l'Europa ha il vantaggio di avere già strumenti che l'America e l'Asia sentono ora il bisogno di introdurre. Il secondo punto di forza è l'esperienza nel governo della globalizzazione. Benché limitato alla scala continentale, il governo dell'integrazione si fa in Europa da cinquant'anni. Il coordinamento delle politiche pubbliche, divenute vere politiche comunitarie in certe materie, ha permesso di governare l'apertura dei mercati nazionali senza determinare sconvolgimenti e promuovendo la crescita. Con la crisi e con l'arrivo del presidente Obama, il mondo avverte finalmente l'urgenza di governare la globalizzazione. Per dare forma a tale governo, guarda al know-how dell'Europa, dalla quale si aspetta un contributo particolare. Il rischio è legato alla minore credibilità di cui gode oggi l'economia di mercato, dopo gli abusi che ne sono stati fatti. Il rischio di passare da un estremo all'altro, con un ritorno disordinato degli Stati nei mercati e con nuove regolamentazioni dettate dall'urgenza, c'è dappertutto. Ma in Europa può essere più distruttivo. In Europa, il «mercato», accompagnato dal «sociale », non è solo un modo in cui sono organizzate le attività economiche. E' anche il fondamento dell'integrazione europea. L'Unione Europea si è a lungo chiamata «Mercato comune». Se gli Stati membri, nel gestire la crisi, tornano a praticare politiche essenzialmente nazionali, senza curarsi troppo delle conseguenze negative sugli altri Stati, se la sorveglianza della Commissione europea viene vista con insofferenza, se queste tendenze prendono piede, allora l'Europa rischia di perdere la base principale della propria integrazione. Di andare verso la disintegrazione, proprio nel momento in cui il mondo riconosce la validità della costruzione europea e vuole imitarla.

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Crisi, la spinta di Brown I Grandi a Davos: <No al protezionismo> (sezione: Globalizzazione)

( da "Corriere della Sera" del 01-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Primo Piano - data: 2009-02-01 num: - pag: 2 categoria: REDAZIONALE Crisi, la spinta di Brown I Grandi a Davos: «No al protezionismo» Appello per trovare l'accordo sul commercio entro l'anno «Il rischio? Provocare una gara a chi dà più soldi alle proprie banche e alle proprie industrie» DA UNO DEI NOSTRI INVIATI DAVOS (Svizzera) — Il primo ministro britannico ha ieri messo i piedi nel piatto delle risposte che i Paesi stanno dando alla crisi economica. «C'è un protezionismo implicito in quello che sta succedendo », ha detto Gordon Brown. Non solo negli aiuti di Stato alle industrie in difficoltà. «C'è anche un protezionismo finanziario - ha spiegato - Con le banche che una volta si espandevano globalmente e ora tornano a casa». Brown parlava davanti a un migliaio di politici, banchieri, industriali, manager, economisti, responsabili di organizzazioni non governative riuniti al World Economic Forum di Davos, sulle Alpi svizzere. Lo intervistava Christiane Amanpour, la giornalista della rete tv americana Cnn. Il primo ministro ha voluto lanciare un messaggio positivo, di fiducia. Ma non ha potuto evitare di lanciare l'allarme per quello che è il rischio forse maggiore, dal punto di vista economico e politico, sollevato dalle risposte nazionali alla crisi. I pacchetti di salvataggio delle banche, i piani di stimolo alle economie, le garanzie fornite alle imprese sono sviluppi inevitabili, di fronte al crollo del sistema finanziario e alla recessione globale. Ma sono misure nazionali e quindi hanno il rischio intrinseco di provocare una gara a chi darà più soldi alle sue banche e alle sue industrie. Una corsa che, se finisse fuori controllo, sarebbe disastrosa. La preoccupazione è ormai condivisa da tutti i leader. Tanto che, sempre ieri a Davos, una riunione voluta dal segretario dell'Organizzazione mondiale del Commercio Pascal Lamy ha lanciato un appello a firmare in fretta il Doha Round, i negoziati per la liberalizzazione dei commerci mondiali. La novità è che questa è stata presentata come una misura anti-crisi, che aiuta l'economia e, soprattutto, è un antidoto al nazionalismo. Brown si è concentrato sui rischi nel campo della finanza. E ha ricordato le conseguenze che stanno avendo i passi indietro fatti dalle banche in termini di globalizzazione, di «ritorno a casa» perché non sono più in grado di operare su scala mondiale. «Due anni fa - ha detto - il credito ai Paesi emergenti era di mille miliardi di dollari. Quest'anno è previsto che crolli drammaticamente a 150 miliardi». Il problema, dunque, va affrontato collettivamente, per evitare che l'economia e la finanza si ritirino nei confini nazionali e l'economia globale si blocchi. Si può fare, ha detto: «Qui a Davos abbiamo visto che i leader del mondo sono pronti a prendere decisioni per fare passi avanti». Da Angela Merkel a Wen Jiabao, da Putin ai leader dei Paesi emergenti «tutti sono d'accordo di assegnare alla riunione del G20 del 2 aprile a Londra un'importanza altissima per ricreare fiducia nel sistema finanziario ». L'idea di Brown, ma anche degli altri leader, è di mettere al tavolo le 20 maggiori economie del pianeta e uscire con progetti concreti su come affrontare in modo coordinato l'emergenza e su come impostare un nuovo sistema di regole e di governo dell'economia del mondo. Brown la chiama «nuova Bretton Woods», la cencelliera tedesca Angela Merkel la chiama «nuovo ordine economico mondiale» ma l'idea è la stessa: norme e istituzioni per una globalizzazione condivisa, non più dominata dagli Stati Uniti e coordinata, non nazionalista. Il vertice A Davos l'incontro dei ministri del Commercio di 20 Paesi: dalla Cina al Brasile, alla Ue, all'ambasciatore Usa. Impegno contro i dazi e rilancio del Doha round Economia e crisi Il primo ministro inglese Gordon Brown Danilo Taino

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Brown sta con gli italiani (sezione: Globalizzazione)

( da "Stampaweb, La" del 01-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

LONDRA «E' triste che in un'economia sempre più globalizzata si facciano ancora queste discriminazioni: sembra d'essere tornati indietro di anni». Le parole amare di Giovanni Musso, vicepresidente della Irem di Siracusa, l'azienda italiana accusata dagli operai della raffineria Lindsey Oil di Grimsby di «rubare il lavoro agli inglesi», s'infrangono sulle ciminiere del Lincolnshire; suoni intraducibili per gli uomini che da quattro giorni ripetono slogan contro gli stranieri come un mantra capace di restituire alla lotta di classe la forza sepolta in questa stessa terra insieme alle spoglie di Karl Marx. La Bbc annuncia uno spiraglio. Dopo la fase del muro contro muro, sindacati e imprenditori sarebbero in trattativa con la Acas (Advisory Conciliation and Arbitration Service), un ente indipendente di arbitrato del lavoro, per trovare una soluzione sia pur temporanea. Il problema degli stranieri è solo apparente, rivela uno studio del think tank IPPR secondo cui la metà dei nuovi europei immigrati nel Regno Unito in cerca di uno stipendio migliore è già tornata a casa, messa in fuga dalla crisi e dal crollo della sterlina. Da Varsavia, il netturbino polacco Ziggy Dust, erede ideale del celebre idraulico, affida a YouTube il racconto di come abbia deciso di rimpatriare spinto dalle intimidazioni del National Front, la destra xenofoba. Il governo britannico ha chiesto un'indagine per verificare se, come denunciano i sindacati, gli impiegati locali siano stati discriminati ma, per ora, resta in disparte. Nonostante la pressione, il premier Gordon Brown non ha inviato nessuno al tavolo negoziale del Lincolnshire e da Davos è tornato a mettere in guardia i colleghi dal «protezionismo commerciale ma soprattutto finanziario». Come dire a chi guarda la paglia nell'occhio del Regno Unito di non dimenticare la trave nel proprio. Eppure, businessmen e economisti insistono: i giorni neri devono ancora arrivare. Con la disoccupazione balzata a quota due milioni alla fine del 2008, la punta più alta dall'avvento del Labour nel 1997, la Gran Bretagna naviga a vista. A detta di Richard Lambert, numero uno della Confederazione dell'industria britannica, «le cifre sono negative ma ci aspettiamo che peggiorino». Davanti ai cancelli della raffineria Total i toni restano accesi. Nelle ultime ore la protesta ha contagiato migliaia di operai in Scozia, Galles, Irlanda del Nord. Se le trattative dovessero fallire, 900 lavoratori della centrale nucleare di Sellafield sarebbero pronti a votare lo sciopero di solidarietà domani stesso. A nulla serve che Giovanni Musso spieghi per l'ennesima volta d'aver osservato il protocollo: «Nel contratto era specificato che la Irem, azienda con un volume d'affari di 22 milioni di euro, avrebbe utilizzato operai specializzati italiani». Le parole cadono nel vuoto, l'afasia è la nuova guerra tra poveri.

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A Davos rinuniti una ventina di ministri del Commercio (sezione: Globalizzazione)

( da "AmericaOggi Online" del 01-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

A Davos rinuniti una ventina di ministri del Commercio 01-02-2009 DAVOS (SVIZZERA). Riuniti ieri a Davos (Svizzera) per discutere delle sorti del Doha round, una ventina di ministri del Commercio si sono impegnati a combattere le pressioni protezionistiche alimentate dalla crisi economica e finanziaria globale ed hanno approvato una dichiarazione comune in favore della conclusione dei negoziati dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto): "i progressi compiuti nel 2008 forniscono le basi per una soluzione delle divergenze nel 2009", afferma la dichiarazione. Ma il testo - adottato al termine di un incontro cui ha preso parte anche il direttore generale della Wto Pascal Lamy - si concentra in primo luogo sulle crescenti pressioni protezionistiche. I ministri si sono impegnati ad astenersi dall'alzare nuove barriere agli scambi di beni e servizi o ad adottare misure contrarie alla Wto per stimolare le esportazioni. Per Lamy, infatti, il libero mercato è una parte "urgente ed integrale del pacchetto anti-crisi", perché la conclusione del Round consentirebbe di meglio resistere alle pressioni protezionistiche, avrebbe un effetto positivo sull'economia e manderebbe un segnale di fiducia al mondo. All'incontro di Davos hanno preso parte, in particolare, i ministri di Australia, Brasile, Cina, India, Giappone, Africa del Sud e il commissario europeo al commercio Catherine Ashton. Per gli Stati Uniti, in attesa della nomina del nuovo rappresentante al commercio, ha partecipato l'ambasciatore presso la Wto di Ginevra. Il commercio è in calo e figura tra le vittime della crisi, ha ossevato Lamy. La Wto sta inoltre sorvegliando l'evoluzione sul fronte del protezionismo, analizzando le misure ed i pacchetti di stimoli approvati dai governi. Per ora la situazione non è drammatica, ha osservato Lamy, ma bisogna restare vigili. Lamy ha esortato il Senato statunitense a considerare con molta attenzione la clausola 'buy american' del pacchetto di stimoli per l'economia sull'utilizzo d'acciaio statunitense. "Spero che i senatori saranno abbastanza saggi da prendere in considerazione gli obblighi internazionali degli Usa", in materia commerciale. La decisione dell'Ue di ristabilire i sussidi all'export di prodotti del latte, manda un segnale politico sbagliato, ha commentato Lamy. "L'apertura dei mercati è la migliore cosa che possiamo fare per combattere la crisi", ha detto il ministro svizzero Doris Leuthard, che ha indetto l'ormai tradizionale incontro. Ed anche per il ministro degli esteri del Brasile Celso Amorim "il solo antidoto contro la malattia del protezionismo è concludere il round al più presto". Senza passi in avanti, il rischio è di tornare indietro. In attesa di segnali da parte della nuova amministrazione Usa, l'incontro di Davos - svoltosi a margine del World economic Forum tra i Grandi del mondo - non ha indicato una data per una futura riunione ministeriale sul Doha Round. Il ciclo negoziale della Wto, lanciato nella capitale del Qatar nel 2001, da anni è bloccato dalle divergenze divergenze tra Paesi del sud, emergenti, e del Nord sulle modalità dei tagli ai dazi e sussidi per i prodotti agricoli ed industriali. Nel dicembre sorso, Lamy aveva rinunciato a convocare una riunione a livello ministeriale ritenendo le posizioni ancora troppo distanti per un'intesa.

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Non bastano le chiacchiere. Per uscire dalla "tempesta perfetta" della crisi economica (sezione: Globalizzazione)

( da "AmericaOggi Online" del 01-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Non bastano le chiacchiere. Per uscire dalla "tempesta perfetta" della crisi economica di Pino Agnetti 01-02-2009 "Perché abbiamo bisogno di un nuovo sistema di cooperazione globale?". Se l'era domandato speranzoso in apertura dei lavori Klaus Schwab, il fondatore dell'annuale "World Economic Forum" che si conclude oggi fra le montagne incantate di Davos. E la risposta alla fine è arrivata, a dire il vero tutt'altro che incoraggiante. Perché a cooperare seriamente per "il bene comune globale", per ora, non ci pensa proprio nessuno. O meglio. Nessuno sembra fidarsi l'uno dell'altro. Prendete, ad esempio, gli uomini forti di Mosca e Pechino. Zar Putin e il suo collega cinese Wen Jiabao hanno tracciato un quadro dettagliatissimo delle responsabilità americane nello scatenamento della "tempesta perfetta". Peccato che si siano ben guardati, il primo, dal compiere il minimo accenno autocritico circa lo stato dell'economia russa, ormai alla bancarotta dopo dodici svalutazioni di fila del rublo e con un malcontento popolare che non teme più di mostrarsi apertamente come segnalano le clamorose proteste di piazza di questi giorni a Vladivostok. Mentre il secondo, denunciata "la cieca ricerca del profitto" del capitalismo a stelle e strisce, ha completamente glissato sulla concorrenza sleale attuata da Pechino mantenendo debole ad arte la propria moneta. Come se già non bastasse, sulla magica vallata di Davos si è abbattuta la slavina della prima guerra continentale fra poveri scoppiata stavolta in Inghilterra - ma domani chissà - contro la decisione di appaltare a un'azienda "straniera" (in questo caso italiana) i lavori per la costruzione di una nuova raffineria. Quel grido di "British jobs for british works" ("Posti di lavoro inglesi per lavoratori inglesi") che sta dilagando dal Nord al Sud del Regno Unito forse non avrà mandato di traverso il gelato e lo champagne ai 2.500 "supervip" del World Economic Forum. Ma per il premier britannico Gordon Brown, egli stesso autore un anno fa dello slogan in questione, adesso sarà durissima arginare a casa propria l'inevitabile spinta a forme più o meno esplicite di protezionismo. Il fantasma che un po' tutti i leader politici e gli economisti presenti al meeting hanno cercato in ogni modo di esorcizzare, facendo ancora una volta pubblico giuramento di eterna fedeltà al libero mercato. Dimentichi della gigantesca gara planetaria in corso a chi sovvenziona prima e con aiuti più consistenti i disastrati comparti nazionali dell'auto oggi, o dell'acciaio domani. Per non parlare delle banche, prime destinatarie delle ciambelle di salvataggio "pubbliche" lanciate a piene mani fra i marosi mugghianti della crisi. Così, fra un annuncio e l'altro di nuovi e taumaturgici summit (ad aprile il "G20" di Londra che precederà facendogli non poco ombra il successivo "G8" riconvertito a "G14" della Maddalena), per il momento è giocoforza accontentarsi della solita recita in ordine sparso dei vari potenti della Terra. Che se in Europa sembrano per lo più propensi a rifugiarsi sotto l'ombra rassicurante di frau Angela Merkel (l'unica a strappare applausi a scena aperta a Davos), altrove stanno studiando come riuscire a rinforzare congiuntamente gli ormeggi delle rispettive navi. È il caso della super coppia Usa-Cina maggiore finanziatrice l'una dell'astronomico deficit degli altri, a loro volta principale mercato dell'export cinese. E, quindi, "gemelli siamesi" più che mai impossibilitati a separarsi, pena un collasso dagli effetti nefasti per entrambi. Il che spiega pure l'assenza a Davos di un qualche esponente di spicco della nuova amministrazione Obama. Anche ieri impegnatissimo, nella tradizionale "fireside chat" (chiacchierata al caminetto) del sabato trasmessa pure su Youtube, a parlar chiaro agli americani e a infondere loro coraggio. Non con messianiche visioni di nuove "Onu dell'economia". Ma preannunciando il varo di un piano finanziario mirato a ad abbassare i costi dei mutui per famiglie e imprese e accompagnato da un robusto giro di vite sui bonus milionari dei manager. Il tutto, in attesa di stringere con l'altro gigante dell'economia globale - la Cina - un nuovo patto di ferro fra Paesi creditori e Paesi de-bitori. L'unica scialuppa - forse - in grado di cavarci fuori sul serio dalla "tempesta perfetta".

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Sono orgoglioso del progetto su Andrea Brustolon (sezione: Globalizzazione)

( da "Corriere delle Alpi" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

«Sono orgoglioso del progetto su Andrea Brustolon» BELLUNO. Sorpreso e stufo. Antonio Prade appare colpito dalle polemiche sulla cultura più di quanto lo sia per i quotidiani scontri politici. «Beghe» è tra le parole più ricorrenti, insieme a «deterioramento». «Questa fatica nel comporre i rapporti rallenta lo sviluppo», lamenta Prade. La mostra dedicata allo scultore Andrea Brustolon ne è un esempio clamoroso: «Martedì (domani ndr) presenteremo l'evento a Milano. Sarà una grande mostra, una sfida alla banalità della globalizzazione», afferma convinto il sindaco. «Sono orgoglioso di questo progetto, l'ho condiviso fin dall'inizio». Tra le voci che circolano, c'è anche il rischio di sforare il budget: «Molti sarebbero contenti se la mostra costasse più del previsto e se i soldi non bastassero», osserva il sindaco amareggiato. E per il futuro? Cosa verrà proposto nel 2010? Ci sarà un'altra grande mostra e chi lo organizzerà? «Non siamo obbligati a fare mostre tutti gli anni», dice Prade, pensando già a quanto dovrebbe combattere con la sua maggioranza per un altro investimento come quello in corso: «Il Comune non può organizzare una mostra con costi del genere ogni anno». Infine i grandi contenitori, dal Bembo all'ex caserma Tasso. «Stiamo avviando la ristrutturazione del tetto di Palazzo Bembo, poi dobbiamo decidere cosa farne. I soldi della Regione sono al sicuro, ma si tratta solo di 1,2 milioni di euro, non basteranno mai. Sulla Tasso faremo un ragionamento pluriennale con la Fondazione Cariverona. Ci vuole una prospettiva temporale di almeno cinque anni, perché per realizzare un auditorium nell'ex caserma servono tanti soldi, dagli otto ai dieci milioni di euro».

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Le orecchie di Bruxelles. Emergenza economia/La crisi, Obama e la vecchia Europa (sezione: Globalizzazione)

( da "AmericaOggi Online" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Le orecchie di Bruxelles. Emergenza economia/La crisi, Obama e la vecchia Europa di Riccardo Bormioli 02-02-2009 L'entusiasmo che ha accompagnato l'ingresso di Barack Obama alla Casa Bianca sembra aver trovato conferma anche dopo le prime mosse del neo-presidente. In politica interna (aborto e staminali) e in politica estera (la chiusura di Guantanamo e la mano tesa verso l'Islam moderato) Obama ha mostrato di voler restare fedele a quel programma elettorale che lo ha portato a succedere a George W Bush. È ovvio però che l'attenzione dell'Occidente si rivolge soprattutto a come la Casa Bianca intende muoversi per sanare i guasti provocati dalla crisi economica che ha investito gli Stati Uniti e il resto del mondo. Il via libera della Camera al pacchetto di misure varato dalla Presidenza è un segnale certamente positivo così come l'annunciato piano di investimenti per invertire la rotta in campo energetico puntando a ridurre la dipendenza degli Usa dal petrolio. Molti economisti sostengono che il piano di aiuti non basterà a ridare slancio all'economia americana e di conseguenza a quella del mondo occidentale; probabilmente il primo a rendersene conto è lo stesso Obama ben conscio che dalla crisi non si esce solo con pur consistenti aiuti di Stato, ma ridisegnando l'idea stessa di capitalismo e di globalizzazione. Si tratta di un progetto ambizioso per il quale sarà necessario l'apporto non solo dell'Occidente ma anche di quei Paesi che si affacciano all'economia di mercato e che aspirano ad un ruolo da grandi potenze sullo scacchiere mondiale. Non è dunque un caso che sia stato affidato proprio al primo ministro cinese e al leader russo Vladimir Putin il compito di aprire i lavori al vertice economico di Davos. Così come non è senza significato che proprio da Wen Jabao sia venuta una critica severa alla struttura dell'economia americana e un monito a Obama perchè non ceda a tentazioni protezionistiche. Il rischio che gli Stati Uniti possano "criptare" il loro mercato interno esiste, ma se l'idea di Obama rimane quella di cambiare l'America per poter cambiare il mondo è difficile che il presidente americano scelga una strada che finirebbe per isolarlo mettendo a rischio partnership delle quali non può fare a meno. Resta comunque il fatto che il primo obiettivo del neo-presidente è quello di rilanciare l'economia Usa con un bagno di fiducia (oltre che di interventi mirati e strutturali) che almeno all'inizio, dovrà scontare qualche attrito con il resto del pianeta e più in particolare, probabilmente, con l'occidente la cui crescita non è certo paragonabile a quella cinese, che pure rallenta, o a quella russa che pure sta pagando una contrazione dei ricavi energetici. Questo per dire che non è detto che le priorità dell'agenda del presidente americano debbano per forza coincidere con quelle della vecchia Europa. Molto probabilmente le cancellerie europee pensano o credono che l'arrivo sulla scena politica di Obama possa segnare una vera svolta nei rapporti tra le due sponde dell'Atlantico passando, per semplificare, da una politica di attenzione interessata a una politica di attenzione motivata. Sarà certamente così, ma certo non è questa la più urgente delle priorità per il neo-presidente. Proprio le prime mosse di Obama, certo dettate in parte anche dalla necessità di incidere rapidamente sui meccanismi della crisi, lo fanno pensare. Rilancio dell'economia, prima di tutto e in primis, com'è ovvio, di quella americana; dialogo con l'Islam moderato e ricostruzione dell'immagine dell'America nel Terzo e Quarto mondo, come ha fatto capire Obama con la sua intervista al network Al Arabja; l'urgenza di un nuovo e rinnovato disgelo con la Russia di Putin che comprenda sia le questione strategiche sia quelle che investono i diritti civili; il rafforzamento della partnership con Pechino che secondo alcuni analisti, sarà per il futuro l'interlocutore privilegiato della Casa Bianca. E infine l'Europa che dalla sua può sicuramente vantare, per storia e per Dna, una sintonia del tutto particolare con gli Stati Uniti ma che ha altresì la necessità, agli occhi del nuovo inquilino della Casa Bianca, di riconquistare quel ruolo di leadership anche culturale e morale disperso negli ultimi decenni tra polemiche e divisioni. A conclusione del processo che ha portato alla moneta unica il percorso verso l'unità politica e militare del vecchio continente si è arenato se non del tutto interrotto e il rischio è che agli occhi di Barack Obama un'Europa così divisa e così balbettante nelle sue liti da cortile non serva, o quantomeno serva a poco. Nella cabina di regia che dovrà gestire la crisi economica di oggi e il mondo nuovo di domani, cabina nella quale si affacciano, accanto agli Stati Uniti, Cina, Russia e India, rischia di non esserci posto per una Bruxelles ancora in cerca di identità. Se l'Europa ha bisogno di Obama e dell'America è altrettanto vero che anche gli Usa e la Casa Bianca hanno bisogno del vecchio continente. In quella cabina di regia della crisi mondiale rischia di passare l'idea che dal tunnel si potrà uscire solo grazie a quella gestione totalitaria dell'economia così ben impersonificata proprio da Cina e Russia dove l'impatto dei conflitti sociali viene regolato in modo ben diverso che non in occidente. Idea pericolosa anche per chi, come Obama, ha l'ambizione di cambiare il mondo. E dunque la presenza di un'Europa forte e che parli un solo linguaggio diventa fattore decisivo per la svolta a medio e a lungo termine che la situazione impone. E se Obama non può essere certo la panacea dei mali europei può essere però l'occasione, la grande occasione, per ridisegnare prima di un mondo nuovo, una nuova Europa. A patto che Bruxelles apra le orecchie.

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dalla obamanomics alla gran bretagna cresce il neo-protezionismo di sinistra - (segue dalla prima pagina) federico rampini (sezione: Globalizzazione)

( da "Repubblica, La" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Pagina 8 - Economia A Davos tutti i potenti della terra hanno lanciato appelli per il liberismo. Ma tornati a casa fanno l´esatto contrario Dalla Obamanomics alla Gran Bretagna cresce il neo-protezionismo di sinistra I governi, pressati dalle lobby, hanno scelto di sostenere le industrie e non i consumatori Nel pacchetto di aiuti all´economia di Washington c´è la clausola "buy american" (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) FEDERICO RAMPINI L´Amministrazione Obama, il più autorevole governo progressista del momento, dà l´esempio eclatante di un neoprotezionismo "di sinistra". La manovra di spesa pubblica anti-recessione che è stata approvata dai democratici al Congresso la settimana scorsa (e arriva al Senato questa settimana) contiene una clausola specifica Buy American, "comprare americano". Quel pacchetto di misure da 825 miliardi di dollari richiede che nei nuovi investimenti pubblici siano acquistati solo prodotti made in Usa. Questo obbligo è stato inserito per aiutare soprattutto l´industria dell´acciaio. Gli imponenti lavori pubblici che Washington vuole finanziare per modernizzare le infrastrutture saranno una manna per l´industria dell´acciaio: tondini per il cemento armato nelle autostrade e negli edifici scolastici, rotaie per le nuove metropolitane o il treno ad alta velocità. Ma attualmente l´America importa il 30% del suo acciaio dalla Cina, quindi senza la clausola protezionista un terzo dell´effetto di rilancio in questo settore andrebbe a vantaggio degli altiforni di Shanghai e Canton. La misura Buy American può essere impugnata davanti al Wto. Prima ancora della Cina, diversi alleati degli Stati Uniti come l´Unione europea, il Canada e l´Australia hanno già espresso forte preoccupazione per questa barriera protezionista (peraltro già imitata da altri paesi tra cui la Spagna). "Se resta in vigore � dice l´economista Andrew Rose dell´università di Berkeley � noi americani finiremo per pagare più cari prodotti più scadenti. Questo accade quando si soffoca la concorrenza internazionale". Ma la clausola Buy American è molto popolare. Un recente sondaggio ha indicato che l´approvano l´86% degli americani. Il presidente dell´associazione confindustriale dei siderurgici Usa, Thomas Gibson, commenta così il sondaggio: "I contribuenti vogliono essere sicuri che il loro denaro servirà a creare posti di lavoro americani in America, non posti di lavoro cinesi in Cina". Se questa frase suona familiare, c´è una buona ragione. Uno slogan identico è scandito in questi giorni dagli operai inglesi nella protesta contro i lavoratori italiani: "British jobs for British workers". Il loro premier Gordon Brown a Davos ha preso le distanze dallo sciopero anti-italiano, che ha definito "indifendibile". Ma quello slogan sui posti di lavoro inglesi per gli inglesi lo aveva lanciato proprio lui, due anni fa a un congresso del partito laburista. E´ un altro esempio di protezionismo "di sinistra" che fa presa nel mondo operaio. La questione del protezionismo affiora anche nella scelta fondamentale che devono fare tutti i governi in questa crisi: è più giusto sostenere la domanda o l´offerta? E´ meglio aiutare i consumatori, oppure venire in soccorso all´industria? In una fase di profonda e generalizzata sfiducia, il sostegno ai redditi delle famiglie dovrebbe avere la priorità. E´ inutile finanziare l´industria dell´auto se non tira la domanda di vetture: le case produttrici avranno bilanci un po´ meno scassati ma i loro piazzali resteranno pieni di modelli invenduti. Ma sui governi premono le lobby industriali. In quei casi in cui gli Stati scelgono di sostenere l´offerta, cioè i produttori, rispunta il protezionismo. Washington ha deciso che l´industria dell´auto americana si chiama General Motors, Ford e Chrysler: in realtà da decenni le uniche case che creano posti di lavoro sul territorio americano si chiamano Toyota, Honda, Bmw e Volkswagen, con i loro stabilimenti in Alabama e South Carolina. Gordon Brown a Davos ha ricordato che esiste un´altra minaccia protezionista sui mercati finanziari. Gli Stati che si dissanguano per salvare le loro banche, in cambio vogliono che gli istituti di credito tornino a privilegiare l´attività domestica. Inoltre c´è un "mercantilismo finanziario" implicito nella escalation dei deficit pubblici. L´America quest´anno rovescerà sui mercati 2.000 miliardi di nuovi buoni del Tesoro per coprire le sue spese. La corsa a collocare titoli pubblici mette in difficoltà i paesi meno solvibili come l´Italia, la Grecia, e ora anche l´Inghilterra. Nel protezionismo finanziario tutti possono lasciarci le penne. Obama ha parzialmente smentito l´attacco che il suo ministro del Tesoro aveva lanciato contro la Cina accusandola di mantenere la sua moneta troppo debole. Il neopresidente deve essersi accorto del rischio che corre. Se davvero i cinesi volessero rivalutare lo yuan, il modo più semplice è smettere di comprare i titoli del debito pubblico americano, visto che gli investimenti di capitali asiatici nei Treasury Bonds Usa sono una stampella che evita una frana del dollaro. Infine c´è una forma di protezionismo in cui eccelle l´Italia. E´ l´atteggiamento che in America si definisce del "free rider" e che potremmo tradurre con i "portoghesi": quelli che non pagano il biglietto sui mezzi pubblici. In una fase in cui altri paesi stanziano risorse pubbliche importanti per rilanciare la crescita � 820 miliardi di dollari gli Usa, 600 miliardi la Cina, 50 miliardi di euro la Germania � chi spende poco o nulla fa un calcolo apparentemente astuto. L´Italia aspetta che siano gli altri a ripartire: quando tornerà la crescita americana e tedesca ci tirerà fuori dai guai rilanciando le nostre esportazioni. Ma i "portoghesi" sono mal visti da chi paga il biglietto. In questo caso America, Cina o Germania possono essere rafforzati nella convinzione che bisogna trattenere dentro le proprie frontiere il massimo delle risorse pubbliche dispiegate nelle manovre anticrisi. Un pretesto in più per alimentare la spirale dei protezionismi.

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sirena d'allarme per il federalismo - (segue dalla prima pagina) tito boeri (sezione: Globalizzazione)

( da "Repubblica, La" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Pagina 20 - Commenti SIRENA D´ALLARME PER IL FEDERALISMO (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) TITO BOERI Ma le opinioni pubbliche nazionali premono nella direzione opposta. Chiedono protezione contro tutto ciò che sta al di fuori della comunità in cui si identificano, una comunità definita su scala sempre più ristretta. La misura di questa contraddizione è nelle acrobazie verbali di un Gordon Brown: a Davos lancia un appello contro il protezionismo, contro «la gara a chi dà più soldi alle proprie banche e industrie», a Londra conia lo slogan «lavori britannici per lavoratori britannici» prontamente raccolto dai lavoratori del Lincolnshire che protestano contro l´arrivo di operai italiani. Mai il contrasto fra quanto dichiarato dai leader europei nei forum internazionali e quanto sostenuto di fronte alle opinioni pubbliche nazionali era stato più stridente. Per dirla nel linguaggio del primo ministro britannico, c´è oggi un "total disconnect" fra quello che si dice a casa e fuori. Il caso inglese è ancora più eloquente delle proteste di piazza che in questi giorni hanno agitato diverse capitali europee, da Parigi a Mosca. Colpisce perché l´identità nazionale britannica si è storicamente forgiata nell´assimilazione e integrazione di culture diverse, a partire da quelle delle ex-colonie dell´Impero. Quando la British Petroleum apriva, all´inizio del secolo scorso, i propri impianti in Persia (oggi sarebbe l´Iran) costruiva le case e dei dirigenti e degli operai, per farli sentire a casa, seguendo gli stili architettonici di Nuova Delhi, come se fossero ispirati da quartieri di Londra. Oggi le parti si sono invertite. L´identità britannica viene riaffermata contro una compagnia petrolifera francese, la Total, rea di aver appaltato lavori a un´impresa italiana che utilizza lavoratori italiani. Dopo l´allargamento a Est dell´Unione europea, il Regno Unito è stato uno dei pochi paesi ad aprire le proprie frontiere, accogliendo, si stima, 80.000 lavoratori polacchi, tra cui molti di quegli idraulici che hanno agitato i sonni dei francesi. Oggi le proteste si estendono a tutto il Regno Unito per impedire lo sbarco di 300, dicasi 300, operai italiani. Come commentava il Guardian nel weekend, «mentre la finanza è diventata globale, la politica è diventata locale». Ed è proprio la crisi a ridurre sempre più la scala del confronto pubblico, della comunità in cui ci si identifica. Quando l´economia mondiale cresceva a tassi del 5-6 per cento all´anno, in molti si sono chiesti se la globalizzazione avrebbe soffocato le identità nazionali e locali, aprendo pericolose crisi di identità, sopprimendo tradizioni e violando sistemi di valori locali. Oggi che il mondo ha cessato di correre, che anzi si torna indietro, con il Fondo monetario costretto continuamente a rivedere al ribasso le stime di crescita del prodotto interno lordo del pianeta, ci accorgiamo che probabilmente erano preoccupazioni eccessive. L´identità nazionale è stata tutt´altro che spazzata via dalla globalizzazione. E oggi abbiamo, in ogni caso, il problema opposto: quello di governare una crisi globale di fronte al rafforzamento di identità locali, riaffermate in contrasto con tutto ciò che sta al loro esterno. C´è una lezione tutta italiana che possiamo trarre da questo dilemma. Questa legislatura sarà inevitabilmente dominata dalla crisi. Il governo, lo ha ribadito più volte, vuole anche che sia la legislatura del federalismo fiscale. è un progetto ancora largamente indefinito, tant´è che neanche il ministro dell´Economia si azzarda a offrirne una stima dei costi. Un federalismo non ben definito, in questo clima, rischia di dare sfogo alle pulsioni centrifughe che si scatenano durante le recessioni. Se così fosse, non solo il federalismo costerebbe alle casse dello Stato molto di più che in tempi normali, ma renderebbe ancora più difficile il varo di quelle politiche, necessariamente su scala nazionale e internazionale, che ci possono far recuperare rapidamente il terreno perduto in questa recessione. A proposito, è bene sapere di quanto si tratta. Se il prodotto interno lordo dovesse scendere del 2% nel 2009, una stima che molti ormai considerano ottimistica, torneremo alla fine dell´anno in corso ai livelli di reddito pro-capite del 2001. Dobbiamo in tutti i modi evitare di impiegare 8 anni per risalire la china.

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Il manifesto, punto 5 Nazionalizziamo le banche (sezione: Globalizzazione)

( da "Unita, L'" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Il manifesto, punto 5 «Nazionalizziamo le banche» IL MANIFESTOSecondo Time (2 febbraio 2009) negli scritti di Carlo Marx «c'è una chiara diagnosi dei problemi di fondo dell'economia di mercato che è incredibilmente importante anche oggi». Questa sensibilità sarebbe stata alimentata dal fatto che Marx visse in un periodo storico di rapida globalizzazione dell'economia. Al punto cinque del piano di azione proposto da Marx ed Engels nel Manifesto dei comunisti (1848) si legge: «.....Accentramento del credito nelle mani dello Stato per mezzo di una banca nazionale con capitale di Stato e con monopolio esclusivo». la citazione

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l'arte globalizzata dell'estremo oriente - modena (sezione: Globalizzazione)

( da "Repubblica, La" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Pagina 32 - Cultura Un´esposizione di video e fotografie di giapponesi, cinesi, coreani Un´esposizione di video e fotografie di giapponesi, cinesi, coreani L´arte globalizzata dell´Estremo Oriente MODENA La globalizzazione? La rende visibile un esempio emiliano: in questa regione grazie alla collezione di una fondazione bancaria è possibile intraprendere un viaggio nella contemporaneità asiatica. Accade a Modena: gli spazi espositivi del Foro Boario ospitano la mostra "Asian Dub Photography", in cui vengono presentate le prime acquisizioni della nuova raccolta di fotografia contemporanea della locale Fondazione Cassa di Risparmio (a cura di Filippo Maggia, fino al 1 marzo, catalogo Skira). Un tempo queste Fondazioni quasi sempre si dedicavano all´arte locale. Oggi viene presentato un colorato tragitto realizzato da ventuno tra i più importanti artisti contemporanei asiatici. Video, film e fotografie - ottanta opere - offrono lo spaccato di un mondo che non è più lontano, che trasforma l´immagine in un medium universale e trans-generazionale. è questo il primo appuntamento con una raccolta che è stata strutturata per aree geografiche. Siamo dunque nell´Estremo Oriente e nel Sud Est Asiatico, con una sezione ricca e importante dedicata al Giappone e che include, come dice il curatore Filippo Maggia, «opere imprescindibili dei grandi nomi affiancate a opere di artisti emergenti nel panorama internazionale». Ecco dunque la serie Flowers di Nobuyoshi Araki, una serie di cibachrome in cui le forme sinuose e i colori accesi di dalie, orchidee e fiori di ogni specie rimandano alla sua idea di bellezza e a quella di morte, di innocenza e di peccato, di purezza e di lussuria. E resta presente nell´astratta colorazione floreale la perversa sensualità dei Bondages, le famose immagini di nudi femminili divenute ormai icone di questo celebrato artista. Quasi a contrasto il mondo di raffinati bianco e nero creato da Hiroshi Sugimoto, dove l´emozione non viene dalla bellezza o dalla perfezione dei dettagli o dal mistero dell´immagine, ma dall´idea che l´ha suscitata, senza le stampelle di tecnologie ed effetti speciali. è un percorso segnato dalle graffianti fotografie di Daido Moriyama, frammenti di un viaggio continuo attraverso le strade del Giappone e la sua storia, e dalle apocalittiche immagini di Ryuji Miyamoto, che ritraggono in modo rigoroso e formale la città di Kobe devastata dal terremoto del 1995, oppure la serie A Bird (Blast #130) di Naoya Hatakeyama, in cui la staticità della sequenza progressiva di un´esplosione concede il tempo di riflettere sulle potenzialità umane di distruzione e sul violento sfruttamento della natura. è quello che evoca il video Laugh at the Dictator, che è di Yasumasa Morimura, maestro del travestimento: con tanto di baffetti reincarna Hitler per lanciare un caustico attacco contro ogni forma di dittatura passata e presente. Sono questi artisti assai noti in Europa celebrati anche in Italia, celebrati nel Padiglione Italia dei veneziani Giardini di Castello e da musei come il napoletano Capodimonte. Sono assai noti mentre appartengono invece alle generazioni successive Risaku Suzuki, Miwa Yanagi, Rika Noguchi, Haruki Maiko, la giovane Tabaimo... Dal Giappone alla Cina con le fotografie provocatorie e surreali di Yang Zhenzhong, un vero e proprio capovolgimento del mondo, con il film di Yang Fudong sulla difficoltà del cambiamento, che in questo caso è evocato dall´impervio cammino che intraprendono due coppie: ascendono una montagna nell´aspro paesaggio della Cina del Nord. O la giovanissima Cao Fei e il poliedrico Ai Weiwei, da sempre lucido osservatore delle dinamiche sociali e politiche e a cui si deve il disegno dello stadio olimpico, il celebre "nido d´uccello" progettato dagli architetti Herzog e de Meuron. E ancora: opere fotografiche e video di artisti provenienti dalla Corea come Kimsooja, o Yeondoo Jung, con le immagini della serie Location, grandi formati che testimoniano l´intreccio illusorio tra fantasia e realtà. Dalla Malesia Wong Hoy Cheong, da Taiwan Hung-Chih Peng e tre lavori di Rirkrit Tiravanija, artista di origini tailandesi che ha fatto del nomadismo culturale e dell´interazione sociale i cardini della sua ricerca artistica. è un altro mondo, che nasce dalla globalizzazione, è una percezione che arriva da questa collezione, che può suscitare meraviglia per i linguaggi che includono lo splendore di raffinate antiche poetiche.

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Pvs, la fuga dei capitali è il rischio più temuto (sezione: Globalizzazione)

( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Il Sole-24 Ore del lunedì sezione: MONDO data: 2009-02-02 - pag: 10 autore: Sviluppo. I dati del «World Economic Situation and Prospect 2009» dell'Onu Pvs, la fuga dei capitali è il rischio più temuto Con la crisi la crescita passerà dal 5,9% al 4,6% Paolo Migliavacca La sentenza è lapidaria: «L'economia mondiale si è impantanata nella peggiore crisi finanziaria dal tempo della Grande Depressione». Il "World Economic Situation and Prospects 2009" dell'Onu appena pubblicato – un'analisi congiunta del Dipartimento economico e degli affari sociali, della Conferenza sul commercio e lo sviluppo e delle 5 Commissioni regionali – non nasconde la gravità della situazione. Le misure prese per combattere la crisi appaiono senza precedenti per quantità di mezzi mobilitati, ma occorrerà diverso tempo affinchè dispieghino i loro effetti. E intanto non solo il Nord del mondo si dibatte in una generale recessione, ma anche le economie dei Paesi in via di sviluppo (Pvs) sono in rapido degrado. Comprese quelle che ancora pochi mesi fa crescevano con tassi a due cifre o li sfioravano. Il timore è che la fragilità intrinseca di sistemi cresciuti troppo in fretta e legati a fattori altamente volatili e ciclici, come i corsi delle materie prime, possa rivelarsi una "palla al piede" capace di frenare ancor più un tasso di sviluppo già previsto in calo dal 5,9% al 4,6% nel Terzo mondo. Per svariate ragioni – dalla pressione demografica ancora forte per alcuni alla dipendenza da " monocolture" minerarie o agricole per altri – molti di essi hanno infatti necessità di conservare ritmi di crescita sostenuti, pena l'innesco di reazioni sociali molto pericolose. Ma il vero rischio, sostiene lo studio, è nella sommatoria di vari aspetti negativi: «Il costo dell'indebitamento con l'estero è schizzato verso l'alto, mentre il flusso di capitali è ora diretto in uscita. Sia il mercato valutario, sia quello delle materie prime sono diventati assai fluidi, con i tassi di cambio che in diversi Paesi si stanno deteriorando a un ritmo allarmante e i prezzi delle derrate agricole sono in crollo. La crescita dell'export, in queste economie, sta rallentando e il passivo delle bilance di parte corrente di molti Paesi è tornato a salire. Mentre le riserve valutarie accumulate appaiono destinate a crollare in parallelo con l'avanzata della crisi. Queste economie nel 2009 dovranno quindi affrontare sfide ancora maggiori ». Esaminando più in dettaglio le prospettive delle singole aree dei Pvs,l'Africa appare tra le più sfavorite. Essa infatti soffrirà della combinazione perversa del calo delle esportazioni verso i Paesi sviluppati più toccati dalla crisi, del crollo dei prezzi delle materie primee del forte taglio degli investimenti e (probabilmente) degli aiuti pubblici e privati del Nord ricco. Il risultato prevedibile sarà l'esplosione della disoccupazione ( che è già uno dei più gravi mali endemici), con conseguente boom dell'economia informale di mera sussistenza e (fenomeno solo in parte positivo perché spia dell'arresto dell'attività economica) calo dell'inflazione. Unica nota di speranza, il mantenimento almeno parziale delle relazioni economiche stabilite con la Cina. Anche l'Estremo Oriente dovrebbe subire un contraccolpo molto forte dalla prevista caduta dell'export,cui potrebbe associarsi il coinvolgimento dei sistemi finanziari di vari Paesi nella bolla speculativa Usa.Ma le notevoli riserve valutarie accumulate nell'ultimo quinquennio consentono di adottare politiche di facilitazione creditizia (già avviate da Cina e Corea del Sud) che potrebbero attenuare molto gli effetti sull'economia generale, mentre la forte riduzione dei costi dell'import energetico contribuirà a mantenere attive le partite correnti. Situazione analoga conoscerà l'Asia meridionale,ma con un van-taggio: il flusso delle rimesse degli emigrati, ritiene lo studio, non subirà gravi riduzioni. Ma occorre tener conto del forte rischio politico generalizzato. In America latina il nemico più temuto è l'inflazione,che ha già dato segni di risveglio nel 2008. Ad esso dovrebbero rispondere politiche fiscali anti-cicliche, ma la presenza generalizzata di governi populisti fa temere che sia la piazza a dettare le misure e la loro intensità. Il Medio Oriente, malgrado il crollo delle entrate (da 765 a 305 miliardi di dollari, secondo le stime del Dipartimento Usa dell'Energia)e del tasso di crescita del Pil, dovrebbe invece mantenere gran parte degli impegni d'investimento grazie alla rendita dei colossali fondi sovrani accumulati.

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Morning Note: economia e finanza dai giornali (sezione: Globalizzazione)

( da "TgFin.it" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Morning Note: economia e finanza dai giornali (Il Sole 24 Ore Radiocor) - Milano, 02 feb - GOVERNO: con le Regioni duello su 2 miliardi di euro (Corriere della sera pag 11). Le mosse anti-crisi del Fisco (Il Sole 24 Ore del Lunedi' pag 1). Il bluff dei Tremonti Bond (Affari e finanza pag 1) CRISI: Economia Usa in caduta libera, persi altri 530mila posti (dai giornali). "Ritrovare la fiducia perduta" di Domenico Siniscalco (La Stampa pag 1). "Nazionalizzare non sara' bello ma e' necessario", intervista a Stephen Roach, presidente Morgan Stanley Asia (Affari&Finanza, pag. 3). "Non esageriamo, non ci hanno invaso le locuste", intervista a Robert Shiller, economista dell'Universita' di Yale (La Stampa, pag. 4) WELFARE: "E' essenziale condividere la gestione", intervista ad Alberto Bombassei, vicepresidente per le relazioni industriali di Confindustria (Il Sole 24 Ore, pag. 14) ALITALIA: Colaninno, con Air France nessun patto segreto (dai giornali). La Consulta blocca Formigoni (La Stampa pag 23) AUTO: "L'ibrido logora chi non ce l'ha", intervista ad Andrea Formica, vicepresidente Toyota Europa (Affari&Finanza, pag. 7) CIR: Forbici ed energia: e' la Cir di Rodolfo (CorrierEconomia, pag. 2) LUXOTTICA: meno dollari e un biglietto per la Cina (CorrierEconomia, pag. 4) IT Holding: il patron Tonino Perna piegato dai debiti. Possibile il commissariamento (CorrierEconomia pag 5) RECORDATI: in crescita anche nel 2009 (Il Sole 24 Ore domenica pag 25) Man- (RADIOCOR) 02-02-09 08:05:48 (0023)news 3 NNNN

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Obama, svolta storica? A metà. Non comanda... (sezione: Globalizzazione)

( da "Affari Italiani (Online)" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Globalist di Arduino Paniccia Svolta storica di Obama? Solo a metà. Non è lui che comanda il mondo... Lunedí 02.02.2009 08:52 Divertente, tagliente, empatica e dura. Ecco chi è Michelle Obama, "il Boss", nella prima biografia ufficiale della first lady Usa L'Europa e gli Usa di Obama. Collaborare per contare Di Achille Lega Benvenuti nell'era della new green economy Di Giuseppe Morello *********************** Ue e Italia, con Obama non saranno rose e fiori Di Arduino Paniccia *********************** L'America di Obama... nella Carolina del Sud si parla addirittura di secessione! *********************** FORUM/ Come saranno gli Usa di Barack Obama? SONDAGGIO/ Barack Obama alla Casa Bianca. Hai fiducia nel nuovo presidente Usa? *********************** MUTUI USA/ Un nuovo piano finanziario mirato ad abbassare i costi delle rate e quindi combattere i pignoramenti sarà svelato a breve dall'amministrazione Usa. Lo ha preannunciato il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, nel suo consueto discorso settimanale C'è una interessante osservazione da fare circa i primi giorni di governo effettivo di Obama, dopo la convenzionale sbornia elettorale di promesse e piani salva-economia. Ed è questa: in politica interna Obama governa, in politica estera no. Non è del tutto lapalissiano, ci sono state epoche storiche in cui gli USA hanno governato anche all'estero (pensiamo al Sud Vietnam o al Cile) , ma il declino della dottrina neo-con sostenuta dall'amministrazione Bush, ha determinato il profilarsi di un nuovo isolazionismo che vede l'America in una posizione più contenuta rispetto ad esploit diplomatico/militari di un passato recente. L'uomo al timone è il presidente e questo presidente ha ben chiaro che occorre aggiustare le cose in casa propria prima di pensare a come comportarsi con l'Iran, la Palestina, la Russia o la Cina. E l'uomo al timone, coerentemente con quanto dichiarato durante le presidenziali, ha deciso che i tempi erano maturi e l'lettorato pronto per un cambio di indirizzo anche sul tema dell'ambiente. Obama dietro le quinte GUARDA LA GALLERY Quanto accade in queste ore è fuori dall'ordinario in un paese che ben raramente ha visto il governo correre al salvataggio del privato. Mentre da noi soccorrere FIAT e il suo comparto è ormai routine, in USA non lo è affatto, è circostanza straordinaria che fa ancora alzare il sopracciglio ad economisti e politologi. Sono ben 100 gli economisti di scuola classica che hanno scritto al presidente chiedendogli di riflettere bene su quanto si apprestava a firmare. Il piano varato dal congresso di 819 milioni di dollari è un progetto molto ambizioso di salvataggio che non ha precedenti e che, a differenza di quanto accade da noi, proporziona l'aiuto all'impegno pro-ambiente dei costruttori di automobili. Questo piano sortirà l'effetto desiderato. Anche se non ha trovato consenso by-partisan (e neanche mono-partisan, 11 democratici hanno votato contro), ma ha l'appoggio della gente e ovviamente delle case automobilistiche. E' un primo successo della amministrazione Obama. L'insediamento di Obama in immagini GUARDA LA GALLERY Ma sul fronte estero le cose non sono altrettanto facili, l'uomo al timone non è Obama e la nave va dove ci sia l'accordo di molti. La controparte del presidente non è il partito repubblicano, nei confronti del quale ha la forza concessagli dall'elettorato, ma personaggi come Ahmadinejiad o partiti come Hamas. Imporre a costoro una strategia non è la stessa cosa e la crisi economica sottrae autorevolezza alla diplomazia americana, già vittima di una diffusa ostilità nel mondo arabo. Così intascare un successo non sarà facile per Obama, certamente più a suo agio in politica interna. Alcuni segnali incoraggianti si sono comunque osservati: Cuba lo segue con attenzione, la Russia ha dichiarato di volere desistere dall'installazione di testate missilistiche lungo i confini NATO, persino i Talebani danno segnali di disponibilità. Vedremo quindi se Obama saprà proiettare la sua credibilità anche all'estero, e vedremo quanto i suoi successi saranno utili alla Vecchia Europa e all'Italia.

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Crisi, Banche: nella giungla degli gnomi (sezione: Globalizzazione)

( da "Voce d'Italia, La" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Economia Libri per capire Crisi, Banche: nella giungla degli gnomi Presentato a Milano il nuovo libro di Giancarlo Galli --> Milano – Il recente terremoto finanziario ha messo a nudo la fragilità del sistema finanziario globale e ci fa tremare tutti. Per anni gli “gnomi”, ovvero i signori della finanza, hanno cantato anche in Italia le virtù di un mercato del denaro in perenne crescita, le occasioni offerte dai prodotti derivati, la necessità di accorpamenti ed espansioni in altri mercati. Il libro di Giancarlo Galli, giornalista e scrittore di Economia, ricostruisce le biografie, nel bene e nel male, dei “sacerdoti del capitalismo e della finanza” che per anni sono stati protagonisti delle vicende non solo finanziarie, ma anche politiche e scandalistiche del Bel Paese. L?autore, da noi intervistato in esclusiva in occasione della presentazione del libro, ci ha raccontato come – negli ultimi cinque anni – la maggior parte dei banchieri ha pensato all?arricchimento personale dimenticando l?etica, un valore che si è perso nel tempo. Durante la presentazione si è svolto un interessante dibattito con alcuni esponenti di spicco del mondo giornalistico, politico e bancario. Salvatore Bragantini, editorialista del Corriere della Sera, si è soffermato sulle principali cause della crisi finanziaria. In particolare ha ricordato come gli sbilanci finanziari tra i Paesi abbia influito negativamente sugli equilibri economici mondiali: Paesi come Cina ed India hanno continuato a produrre ed esportare negli Stati Uniti i quali, per pagare queste esportazioni, si facevano finanziare (attraverso l?acquisto da parte di Cina ed India di titoli del debito pubblica americano) dagli stessi venditori. Assurdo... Anche le disuguaglianze economiche nei Paesi sviluppati hanno avuto responsabilità di rilievo nell?attuale crisi: negli anni ?70 un buon stipendio medio di un impiegato statunitense si aggirava (ai valori attuali) attorno ai 30.000 dollari. Oggi lo stesso impiegato ne percepisce 25.000, ma la continua espansione economica e lo stile di vita adottato dagli americani comporterebbero uno stipendio di quasi 50.000 dollari: chiaro che la differenza è stata presa a prestito, con una politica dei tassi che ha favorito l?indebitamento. Roberto Mazzotta, presidente della Banca Popolare di Milano, ha affermato che è stato proprio Greenspan ad espandere, inflazionandolo, il credito. L?eredità dell?ex governatore della Fed è, secondo Mazzotta, terrificante, un fardello che peserà sulle prossime generazioni in maniera importante. La ricetta per uscire dalla crisi, secondo il banchiere milanese, è da una parte realizzare una ripulitura dei bilanci delle banche facendo emergere chiaramente le responsabilità di chi ha affossato il sistema, dall?altra l?ampliamento di ammortizzatori sociali, con poderose redistribuzioni di reddito a vantaggio dei più bisognosi. Secondo Francesco Micheli, finanziere ed imprenditore di spicco, buona parte delle responsabilità per la crisi in corso è dovuta all?ingordigia dei banchieri: i vertici bancari Usa 40 anni fa percepivano circa 40 volte lo stipendio medio dei loro dipendenti, oggi siamo arrivati ad un rapporto a 400 ed in taluni casi a 7-800 volte. I ROE (ritorno in termini di utili del capitale investito) al 22 o 23% che alcuni banchieri hanno per anni conseguito erano qualcosa di straordinario, ma mentre qualche anno fa questi banchieri venivano applauditi come “maghi” della finanza, oggi ci rendiamo conto dei costi di questi “ottimi” risultati: ai tempi delle vacche grasse a beneficiarne sono stati gli stessi banchieri ed i loro azionisti (privatizzazione dei guadagni); oggi, che dobbiamo pagare per i loro errori, è il cittadino comune al quale viene richiesto lo sforzo di contribuire al salvataggio di queste banche (socializzazione delle perdite). Infine Bruno Tabacci, parlamentare Udc, ha sottolineato come ci troviamo di fronte ad una crisi antropologica: deve cambiare il modello etico non solo nel mondo economico e finanziario, ma nel nostro vivere civile. Ripristinare il giusto rapporto tra diritti e doveri e capire che è finita un?epoca e che si entra in una nuova fase dell?umanità. Secondo Tabacci, l?Italia non è messa poi così male dal punto di vista finanziario: per valutare la solvibilità di uno Stato si è soliti guardare al debito pubblico, ed in questo senso il nostro Paese è decisamente malmesso. Se però al debito pubblico si somma il debito delle famiglie, scopriamo come – mentre da noi le famiglie hanno un indebitamento che si aggira attorno al 32% - altri Paesi più “virtuosi” in apparenza, hanno un debito delle famiglie al 102% (Gran Bretagna) o al 112% (Usa). Comunque tutti gli interventi hanno avuto alcuni punti in comune: il debito americano si sistemerà con un?impennata dell?inflazione, che presto tornerà ad infiammarsi per effetto delle politiche monetarie della Fed; gli aiuti alle imprese ed ai singoli settori sono soldi buttati in un “pozzo di S. Patrizio” che non produrranno nessun beneficio: molto meglio distribuire contributi alle famiglie, che consentano loro di spendere e ritornare a consumare. Aiutando le imprese, il governo le salverà (momentaneamente) dal fallimento, ma se la gente non può comprare perché ridotta alla fame, alla lunga costringerà comunque le stesse imprese a chiudere. Il libro: “Nella giungla degli gnomi”, Giancarlo Galli, Garzanti Libri. Massimo Benvenuti massimo.benvenuti@voceditalia.it

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La crisi: un nuovo equilibrio tra chi consuma e chi risparmia (sezione: Globalizzazione)

( da "Trend-online" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

La crisi: un nuovo equilibrio tra chi consuma e chi risparmia BLOG, clicca qui per leggere la rassegna di Mauro Artibani , 02.02.2009 09:53 Scopri le migliori azioni per fare trading questa settimana!! Al World Economic Forum 2009 di Davos , il premier cinese Wen Jiabao, occupa il centro della scena: «Bisogna ritrovare un equilibrio tra manifattura e finanza,tra chi consuma e chi risparmia. Solo così la primavera è dietro l'angolo e l'inverno passerà». Prosa limpida, toni enfatici in questa epica orientale. Personaggi e interpreti: le formiche cinesi, le cicale yankees. La Cina produce Offerta, consuma poco = Risparmio. Gli USA producono Domanda superiore alla loro capacità di spesa = Debito. Questo lo squilibrio: la crisi. Un nuovo equilibrio, dice Wen? Fattomi più realista del re, mi metto a caccia di equilibri. 1 ? I consumatori yankees, con redditi insufficienti, si fanno avari; quelli cinesi prodighi. Si produce quindi una riduzione del PIL USA da compensare con un aumento di Offerta al mondo. Impossibile, a fronte di un sistema inabile alle esportazioni. 2 ? Il piano Obama prevede sgravi fiscali e politiche keynesiane per fornire lavoro e reddito agli stremati Consumatori, propensi però ad acquistare le convenienti merci cinesi. Barriere daziali allora. Già! E se i cinesi non finanziano più quel debito sempre più grande? 3 ? I cinesi finanziano il Reddito per il consumo nazionale con il surplus di bilancio; si sfiancano e, finchè dura, si salvano. Gli americano no, il mondo neppure. Ipotesi mistiche, accipicchia. Difficile scorgere l?equilibrio. Nell?irrealismo delle ipotesi però si mostra lampante una costante: il Reddito, o meglio, l?insufficienza di quel Reddito per sostenere la Domanda, causa prima della crisi. Riequilibrare questo squilibrio, sta qui un nuovo equilibrio. Nel mondo sviluppato vivono consumatori che mancano di reddito adeguato per far fronte al carico di consumo necessario per generare ricchezza; sorte analoga per i consumatori dei paesi in via di sviluppo: segue pagina >>

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PARLAMENTO EUROPEO SESSIONE PLENARIA 2 - 5 FEBBRAIO 2009: MAHMOUD ABBAS AL PARLAMENTO EUROPEO; ATTIVITÀ DELLA CIA IN EUROPA PIÙ SEVERITÀ NELLA LOTTA ALLA PEDOPORNOGRAFIA UNA POLITI (sezione: Globalizzazione)

( da "marketpress.info" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Lunedì 02 Febbraio 2009 PARLAMENTO EUROPEO SESSIONE PLENARIA 2 - 5 FEBBRAIO 2009: MAHMOUD ABBAS AL PARLAMENTO EUROPEO; ATTIVITÀ DELLA CIA IN EUROPA PIÙ SEVERITÀ NELLA LOTTA ALLA PEDOPORNOGRAFIA UNA POLITICA UE INTEGRATA CONTRO IL CAMBIAMENTO CLIMATICO ENERGIA: SOSTEGNO ALLE INTERCONNESSIONI E AI RIGASSIFICATORI Strasburgo, 2 febbraio 2009 - I Punti Forti Della Sessione Lunedì 2 febbraio - Energia: sostegno alle interconnessioni e ai rigassificatori - Una relazione all´esame dell´Aula sostiene i progetti Nabucco, Itgi e South stream e chiede ai governi di dotarsi di sufficienti rigassificatori. Sollecita grandi investimenti infrastrutturali e una rete energetica comune, piani anticrisi e l´intensificazione delle relazioni nel Mediterraneo e con la Russia. Rilevando l´importanza del nucleare, purché ne sia garantito un uso sicuro nel quadro di norme Ue armonizzate, chiede di promuovere il risparmio e l´uso di fonti rinnovabili e locali (relazione Laperrouze). Tessile: quali misure per tutelare il settore Ue?- Un´interrogazione orale alla Commissione aprirà un dibattito in Aula in merito agli strumenti per difendere la produzione e l´occupazione nel settore tessile europeo alla luce dei problemi causati con la scadenza dell´accordo con la Cina relativo a un sistema di sorveglianza delle importazioni. I deputati chiedono se vi è l´intenzione di estendere il meccanismo di sorveglianza e vogliono essere aggiornati sulla proposta di regolamento sulle etichette "made in". Misure mirate per l´aviazione d´affari - Una relazione all´esame dell´Aula rileva l?esigenza di tenere conto degli interessi e delle specificità dell´aviazione generale e d´affari nello sviluppo di future iniziative sul trasporto aereo. Chiede quindi una certa flessibilità per il settore nell´attuazione delle misure Ue sulla sicurezza e i controlli, e il miglioramento dell´accesso agli aeroporti, anche mediante un´assegnazione degli slot più favorevole. Sollecita poi il sostegno all´industria europea della costruzione di aeromobili (relazione Queiró). Martedì 3 febbraio - Attività della Cia in Europa - Le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione apriranno un dibattito in Aula sul presunto uso dei paesi europei da parte della Cia per il trasporto e la detenzione illegali di prigionieri. Nel febbraio 2007 il Parlamento aveva adottato una relazione in materia stilata dalla commissione temporanea costituita per esaminare la questione. Più di recente, ha chiesto alle istituzioni Ue e agli Stati membri di attuare le raccomandazioni in essa contenute. Una risoluzione sarà votata la prossima sessione. Guantanamo: chiusura del centro e rimpatrio dei detenuti - Le dichiarazioni di Consiglio e Commissione apriranno un dibattito in Aula in merito al centro di detenzione Usa di Guantanamo Bay e all´annuncio fatto dal neo presidente Usa della sua imminente chiusura. I ministri degli esteri Ue non hanno trovato, al momento, un approccio comune sull´idea di accogliere in Europa 245 detenuti di Guantanamo. Il Parlamento, che aveva chiesto formalmente la sua chiusura già nel giugno 2006, adotterà una risoluzione. Sanzioni, anche penali, per chi impiega immigrati illegali - Il Parlamento è chiamato a adottare una direttiva che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell´Ue. Tali sanzioni dovranno essere pecuniarie (inclusi i costi dell´eventuale rimpatrio), amministrative (es. Ritiro della licenza d´esercizio) e, nei casi più gravi, penali. Gli Stati membri dovranno poi mettere a disposizione meccanismi per agevolare le denunce e garantire adeguate ispezioni sui luoghi di lavoro più a rischio (relazione Fava). Immigrazione: situazione nei Cpa di Lampedusa e Mayotte - Le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione apriranno un dibattito in Aula in merito alla preoccupante situazione nei centri di accoglienza per immigrati a Lampedusa e Mayotte. Riguardo all´isola italiana, l´Unhcr ha espresso preoccupazione per il sovraffollamento, mentre la popolazione locale contesta la decisione di istituirvi un centro d´identificazione ed espulsione. Più severità nella lotta alla pedopornografia - Punire il "grooming" e i gestori di forum pedofili, disattivare i siti web pedopornografici, ostacolare i loro sistemi di pagamento on line e promuovere l´uso di filtri per i siti porno. E´ quanto raccomanda una relazione per combattere lo sfruttamento sessuale dei bambini. Chiede anche di adottare norme comuni sul turismo sessuale, di sanzionare ogni atto sessuale con minori non consenzienti e i matrimoni forzati, ampliare le circostanze aggravanti, favorire le denunce e tutelare le vittime (relazione Angelilli). Mercoledì 4 febbraio - Mahmoud Abbas al Parlamento europeo - Nella prosecuzione delle iniziative promosse dal Parlamento per l´Anno europeo del dialogo interculturale, l´Aula accoglierà in seduta solenne il Presidente dell´Autorità palestinese Mahmoud Abbas. Il suo intervento dinanzi i deputati acquisisce ancora maggior rilievo alla luce della situazione venutasi a creare a seguito del conflitto nella Striscia di Gaza. Il Kosovo dopo il primo anno d´indipendenza - Il 17 febbraio prossimo si celebrerà il primo anno dell´indipendenza del Kosovo, dichiarata unilateralmente da Pristina in seguito al fallimento dei negoziati con Belgrado. Il Consiglio e la Commissione saranno presenti in Aula per il dibattito cui farà seguito l´adozione di una risoluzione. Una politica Ue integrata contro il cambiamento climatico - Il Parlamento è chiamato ad approvare la relazione finale della sua commissione temporanea riguardo alle raccomandazioni per una futura politica integrata dell´Ue sul cambiamento climatico. Ribadendo l´obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per mantenere un aumento della temperatura media entro i 2 gradi centigradi, propone una serie di misure in tutti i settori e chiede di definire un´agenda d´intervento per il periodo 2009-2014, illustrandone le modalità d´applicazione (relazione Florenz). Crisi dell´industria automobilistica - Le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione apriranno un dibattito in Aula in merito alla crisi che sta attraversando l´industria automobilistica europea. Il crac della finanza globale si è infatti ripercosso su questo settore che, contando tradizionalmente sugli acquisti a credito, assiste a un crollo delle vendite. Gli Usa e diversi Stati membri dell´Ue, inclusa l´Italia, hanno predisposto o stanno predisponendo dei piani di salvataggio. Giovedì 5 febbraio - Immigrazione: chiudere i centri d´accoglienza non adeguati - Durante visite realizzate in alcuni centri d´accoglienza, i deputati hanno costatato condizioni di ritenzione intollerabili dal punto di vista igienico, della promiscuità e delle strutture. Una relazione all´esame dell´Aula sollecita quindi la chiusura di tutti i centri che non soddisfano le norme vigenti e l´istituzione di un mediatore nazionale responsabile dei centri. Chiede poi un sistema d´ispezione permanente e uno strumento Ue di solidarietà verso i paesi con maggiori flussi migratori (relazione Roure). Agevolare l´accesso delle Pmi ai mercati mondiali - Maggiore tutela dalle contraffazioni, marchio d´origine e protezione internazionale delle indicazioni geografiche dei prodotti alimentari, migliorare le indagini relative alla difesa commerciale dal dumping e norme Omc specifiche e semplificate. E´ quanto chiede una relazione all´esame dell´Aula per promuovere l´internazionalizzazione delle Pmi e favorire la competitività, la crescita e l´occupazione. Occorre poi sostenere l´accesso delle Pmi ai mercati esteri e favorire l´innovazione (relazione Muscardini). Promuovere il commercio on line - Internet promuove le transazioni internazionali, permette lo sviluppo delle Pmi e amplia le possibilità di scelta dei consumatori. E´ quanto afferma una relazione all´esame dell´Aula chiedendo misure per aumentare la fiducia in tale strumento alla luce delle truffe che lo penalizzano. Sollecita poi campagne d´informazione sui diritti e i doveri degli utenti. Occorre anche ricorrere a standard aperti, inserire tale materia negli accordi Omc e migliorare il mercato on line dell´Ue (relazione Papastamkos). Cina: rispetto dei diritti umani e lotta alla contraffazione - Una lunga relazione all´esame dell´Aula rileva le intense relazioni commerciali dell´Ue con la Cina e il ruolo di questa nella governance globale. Tuttavia, auspicando progressi nel rispetto dei diritti umani, chiede di eliminare gli ostacoli all´accesso dei prodotti e servizi europei, intensificare la lotta alla pirateria, migliorare la sicurezza dei prodotti cinesi e di vigilare sulle importazioni di tessili. Occorre poi garantire i diritti dei lavoratori e tutelare l´ambiente (relazione Wortmann-kool). Nuove norme sui mangimi animali - Il Parlamento è chiamato ad approvare un regolamento volto a aggiornare le condizioni per la vendita e l´uso dei mangimi, in modo da garantire un livello elevato di protezione della salute pubblica, un´informazione adeguata agli utilizzatori e ai consumatori e a rafforzare il buon funzionamento del mercato interno (relazione Graefe zu Baringdorf). . <<BACK

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Gb/ Cota: Hanno ragione operai inglesi, vedrete in Veneto (sezione: Globalizzazione)

( da "Virgilio Notizie" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Roma, 2 feb. (Apcom) - Gli operai inglesi della Lindsay in sciopero contro una società italiana "hanno ragione". A schierarsi con loro è il capogruppo della Lega alla Camera, Roberto Cota, che in un'intervista a 'La Stampa' spiega: "Quello che sta succedendo a Grimsby è l'esempio più classico della globalizzazione che ci presenta il conto. Ce lo ha già presentato con la crisi economica e finanziaria, con il problema della sicurezza e adesso tocca al mercato del lavoro. Sono gli effetti di una globalizzazione senza regole o con le regole saltate, una globalizzazione selvaggia". Secondo Cota "sfugge un aspetto molto più generale di tutta questa vicenda. Il mercato del lavoro, oggi più che mai in tempi di recessione, dovrebbe essere regolamentato da un principio: domanda e offerta di lavoro devono essere regolamentati sul territorio. Non è così. E allora si creano squilibri come quelli che stanno avvenendo in Gran Bretagna. Adesso tocca a Grimsby. Prima o poi si parlerà del Veneto". "Nel Nord Est - spiega infatti l'esponente leghista - sta cominciando lo stesso problema. Arriva manodopera straniera che toglie lavoro ai nostri. Ci vuole una moratoria sui flussi come ha fatto Zapatero in Spagna". Quanto ai lavoratori comunitari, per Cota "potrebbero essere sospesi" gli accordi di Schengen. "Bisogna iniziare - sottolinea - a ragionare anche su questa eventualità. Non possiamo aprire le frontiere se non viene garantito il lavoro ai nostri. Io capisco le supereccellenze, l'altissima professionalità richiesta... Ma qui stiamo parlando di lavoro ordinario".

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USA: TASSI IN RIALZO, CRESCE ATTESA PER UN INTERVENTO DELLA FED (sezione: Globalizzazione)

( da "Wall Street Italia" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

USA: TASSI IN RIALZO, CRESCE ATTESA PER UN INTERVENTO DELLA FED di MPS Capital Services La banca centrale potrebbe spingersi fino ad acquistare titoli di stato a lungo termine anche se la scorsa settimana il Wsj aveva escluso una decisione imminente in questo senso. -->*Questo documento e' stato preparato da MPS Capital Services ed e' rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori e clientela professionale ai sensi dell'allegato n.3 al reg. n.16190 della Consob. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita' alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita' di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI. (WSI) ? Tassi d'interesse: in area Euro i tassi mercato hanno chiuso la sessione contrastati, in rialzo sul lungo termine ed in lieve calo sul breve, portando ad un allargamento dello spread 2-10 anni, salito a 180 pb da 167. Resta sopra i 150 pb il differenziale sul decennale Italia-Germania, mentre quello Grecia-Germania si mantiene in prossimità dei 300 pb. In Francia, secondo quanto riportato da Ft, il governo concederà ad Airbus una garanzia di 5 Mld? sul credito, al fine di sostenere le vendite. Sul fronte macro gli indici Pmi manifatturiero e servizi dell?intera area a gennaio sono risultati migliori delle attese, rimanendo comunque abbondantemente sotto la soglia dei 50. Intanto il Fmi ha annunciato che ridurrà nuovamente le stime di crescita. Questa mattina Barclays ha preannunciato svalutazioni per 8Mld£ nel 2008, dichiarando di non aver bisogno al momento di ricapitalizzazioni. Sopravvivere non e' sufficiente, ci sono sempre grandi opportunita' di guadagno. Hai mai provato ad abbonarti a INSIDER? Costa meno di 1 euro al giorno. Clicca sul link INSIDER Prosegue il rialzo dei depositi delle banche presso la Bce, nonostante l?Istituto abbia abbassato il tasso di remunerazione. Venerdì i depositi ammontavano a 198 Mld? dai 189 Mld del giorno prima. Intanto Mersch, membro della Bce, ha dichiarato che sarebbe piuttosto complicato in area Euro porre in essere una politica di quantitative easing sull?esempio di Fed e BoE. Oggi non sono attesi dati di rilievo e l?attenzione continuerà ad essere focalizzata sulle notizie provenienti dal mondo corporate. Sul decennale la resistenza passa per 3,30%. Negli Usa tassi di mercato in rialzo sulla scia della sostanziale tenuta dei mercati azionari lo scorso venerdi grazie al recupero di energetici e finanziari. Il rialzo dei tassi si ricollega anche alle recenti parole del futuro ministro del tesoro Geithner che, accusando la Cina di manipolazione dei cambi, implicitamente potrebbe compromettere il forte beneficio per gli Usa derivante dall?acquisto di Treasury. La Cina infatti dallo scorso ottobre è diventato il primo detentore al mondo di Treasury. Il rialzo dei tassi di mercato sta aumentando l?attesa degli operatori su un?eventuale decisione della Fed questa settimana (nel corso del meeting che si concluderà il prossimo mercoledì) in merito alla preannunciata possibilità di spingersi fino ad acquistare titoli di stato a lungo termine. La scorsa settimana il Wsj aveva escluso una decisione imminente in questo senso. L?altro tema che potrebbe essere discusso fa invece riferimento alla possibilità di introdurre un target di inflazione. Nel frattempo nel primo discorso del presidente Obama dopo l?insediamento, sono stati forniti alcuni dettagli ulteriori sul piano da 825Mld$. Secondo quanto precisato anche dal capo dei consiglieri economici Summers, almeno il 75% delle spese previste nel piano dovrebbero essere effettuato nell?arco di 18 mesi. Obama ha confermato la centralità delle spese in energia rinnovabile, (previsto il raddoppio dell?energia prodotta in tal modo su un orizzonte triennale) ed in infrastrutture oltre che nel potenziamento della sicurezza in 90 porti. Inoltre sarà possibile seguire lo stato di avanzamento di attuazione del piano direttamente su un apposito sito creato dal governo (www.recovery.gov). Sul fronte emissioni governative, la settimana in corso si preannuncia molto densa con ammontare atteso pari a 78Mld$ su scadenza da 2 a 20 anni, a partire dall?emissione da 8Mld$ sul Tips a 20 anni attesa oggi stesso. Inoltre è atteso un folto calendario di emissioni sul segmento a breve termine per un ammontare superiore ai 60Mld$. Nel breve possibile il riavvicinamento all?area 2,75% sul decennale, in attesa della decisione della Fed del prossimo mercoledì. Valute: Dollaro sostanzialmente stabile verso Euro dopo aver testato l?importante supporto in prossimità di 1,2760. Tale livello rimane confermato anche per oggi con prima resistenza a quota 1,3030. In settimana saranno importanti i dati sull?indice Ifo tedesco oltre ai dati sul Pil Usa del quarto trimestre. Andamento altalenante per lo Yen vs Dollaro con il cross che si colloca poco al di sotto della resistenza 89,60. Il supporto è collocato a 87,12. Verso Euro la resistenza si colloca a 117,50, il supporto a 112,10. Materie prime: giornata positiva per le materie prime con poche eccezioni negative, come ad esempio il gas naturale (-3,5%) su attese di scorte abbondanti negli Usa. In rialzo ai massimi da 2 settimane il greggio Wti su attese di ridimensionamento delle scorte alla luce dei tagli alla produzione implementati dall?Opec. In rialzo anche i metalli industriali, tra i quali segnaliamo il rame (+5,3%) in crescita a causa di un terremoto in Cile che potrebbe arrecare danni alla produzione. Prosegue il rialzo dell?oro (+4,3%) giunto prossimo ai 900$. Positivi anche gli agricoli guidati dal cotone (+3,5%) su forte aumento delle esportazioni Usa. Copyright © MPS Capital Services. All rights reserved

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Gb, ancora scioperi contro gli operai italiani Sacconi: "Così è a rischio il patto europeo" (sezione: Globalizzazione)

( da "Giornale.it, Il" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

n. 5 del 2009-02-02 pagina 0 Gb, ancora scioperi contro gli operai italiani Sacconi: "Così è a rischio il patto europeo" di Redazione Nel Regno Unito dilaga lo sciopero contro i tecnici italiani della raffineria Total. Il monito di Sacconi: "La libera circolazione dei lavoratori è un principio fondante dell?Ue". Frattini: "Scioperi indifendibili". Fini: "Intollerabile discriminare i lavoratori stranieri". Ma Cota (Lega Nord) si smarca: "Hanno ragione gli operai inglesi" Roma - In Inghilterra sono esplose le polemiche per un gruppo di lavoratori italiani (e portoghesi) impegnati nella raffineria Lindsey Oil della Total, nel Lincolnshire. I sindacati hanno organizzato degli scioperi rivendicando il lavoro per gli inglesi. Il premier britannico Gordon Brown difende la libera circolazione del lavoro, uno dei caposaldi dell'Unione europea. Ma è sempre più in difficoltà perché l'ondata protezionistica dal Lincolnshire dilaga in tutto il Regno Unito. Sacconi: a rischio il patto Ue La libera circolazione dei lavoratori "è un principio fondante dell?Unione europea, che non può essere in alcun modo messo in discussione pena la crisi del patto comunitario". è quanto ha affermato il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, riferendosi alle proteste dei lavoratori inglesi. "Nel caso specifico - ha aggiunto Sacconi a margine della presentazione dell?indagine del Cnel sul lavoro che cambia - l?azienda si avvale di propri lavoratori specializzati, non altrimenti sostituibili nel breve periodo imposto dall?immediata esecuzione dei lavori". Frattini: scioperi indifendibili Gli scioperi spontanei scoppiati in Gran Bretagna contro il contratto a termine dato ad un centinaio di lavoratori italiani per costruire un impianto in una raffineria nell?Inghilterra settentrionale "sono indifendibili", come ha detto il premier inglese Gordon Brawn. A ribadirlo è il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini. "Mi riferisco - ha detto Frattini - alle parole del primo ministro che è un personaggio saggio e competente: ha detto che quegli scioperi sono indifendibili. Questa è l?Europa, l?Europa della libera circolazione di tutti i lavoratori, di quelli italiani in Gran Bretagna e di quelli inglesi in Italia". Fini: intollerabili le discriminazioni Non è possibile "in alcun modo tollerare forme anche velate di discriminazione" nei confronti dei lavoratori stranieri. Lo ha detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, in occasione della presentazione a Montecitorio del rapporto del Cnel sul "Lavoro che cambia", presente il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Fini ha notato che "una parte sempre più significativa della forza lavoro presente in Italia è oggi rappresentata da lavoratori stranieri, e ancor più lo sarà domani. Sono lavoratori che danno un contributo fondamentale in settori centrali del nostro sistema produttivo, da quello dell?edilizia alla filiera agroalimentare, e che svolgono un ruolo insostituibile anche in altri campi, come quello della cura degli anziani, dei disabili e della prima infanzia". Cota: hanno ragione gli operai inglesi Gli operai inglesi della Lindsay in sciopero contro una società italiana "hanno ragione". A schierarsi con loro è il capogruppo della Lega alla Camera, Roberto Cota, che in un?intervista a "La Stampa" spiega: "Quello che sta succedendo a Grimsby è l?esempio più classico della globalizzazione che ci presenta il conto. Ce lo ha già presentato con la crisi economica e finanziaria, con il problema della sicurezza e adesso tocca al mercato del lavoro. Sono gli effetti di una globalizzazione senza regole o con le regole saltate, una globalizzazione selvaggia. Adesso tocca a Grimsby. Prima o poi si parlerà del Veneto". © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

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IMMIGRATI: CALDEROLI, SE NON CI TUTELA EUROPA CI TUTELIAMO (sezione: Globalizzazione)

( da "Virgilio Notizie" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

(ASCA) - Roma, 2 feb - ''L'aggressione di Nettuno e' un episodio da condannare radicalmente, cosi' come e' da condannare qualunque altro episodio di razzismo, ma questo non toglie che di fronte ad una crisi internazionale che sta mettendo a rischio i posti di lavoro sia necessario valutare una sospensione di ingressi di nuovi immigrati e della libera circolazione in Europa''. E' quanto dichiara Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione Normativa e coordinatore delle Segreterie Nazionali della Lega Nord, che aggiunge: ''Nuovi ingressi, quando a rischio ci sono i posti di lavoro anche per i cittadini italiani, fanno prevedere non solo piu' disoccupazione ma anche la conseguente impossibilita' di integrazione, con i conseguenti rischi per l'ordine pubblico, per la sicurezza e per eventuali episodi di razzismo che sono sempre figli della guerra tra poveri. Da Davos tutti hanno tuonato contro le misure nazionaliste e protezioniste salvo poi, una volta rientrati a casa loro, metterle subito in essere e faremo bene anche a noi ad iniziare a fare subito altrettanto di fronte ad una crisi che ha dimostrato il fallimento della globalizzazione e i limiti dell'Unione Europea''.

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Ecco perché il clandestino in realtà non viene espulso. (sezione: Globalizzazione)

( da "Giornale.it, Il" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Sul Giornale di ieri Stefano Zurlo ha scritto un bell'articolo, in cui racconta che cosa accade agli irregolari che vengono arrestati. Mi ha colpito questo passaggio: "È un meccanismo davvero surreale. Il clandestino viene espulso; non se ne va o torna di nascosto nel nostro Paese e allora scatta, obbligatorio, l'arresto. Ma i processi, di media, sono catene di montaggio delle scarcerazioni: l'imputato esce, in attesa del verdetto, e tanti saluti. Oppure, se la sentenza arriva di volata, viene condannato, ad una pena di 6-8-10 mesi. E subito dopo rimesso in libertà. Come è normale quando la pena è inferiore ai due anni. Insomma, l'irregolare viene afferrato dalla legge e dalla legge riconsegnato alla sua vita invisibile. Con una postilla: se lo acciufferanno di nuovo, sempre senza documenti, non potranno più processarlo: non si può giudicare due volte una persona per lo stesso reato". Se questa è la realtà, e non dubito che lo sia, la lotta ai clandestini è assolutamente inutile. Continueranno ad arrivare, sempre più numerosi, proprio perché è garantita l'impunità. E allora è necessario correre ai ripari, varando norme che non permettano la scarcerazione in attesa del processo e, come ho già scritto, che rendano obbligatorio il rilevamento, oltre delle impronte digitali, dell'iride dell'occhio. Solo così l'Italia può assumere una credibilità che oggi non ha. L'alternativa è che l'Italia si trasformi non in una società tendenzialmente multietnica, ma in un Paese anarchico con profonde ingiustizie sociali e un razzismo diffuso. Non c'è più tempo da perdere: tocca al governo di centrodestra proporre misure concrete. E al centrosinistra moderato di Veltroni sostenerle con spirito bipartisan. Perché il problema degli immigrati non ha più colore politico ma è sentito, con angoscia, dalla stragrande maggioranza degli italiani, compresi i progressisti. O no? Scritto in società, globalizzazione, democrazia, Italia, immigrazione Commenti ( 3 ) » (Nessun voto) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 30Jan 09 La casta di Wall Street? Continua ad arricchirsi. Negli ultimi giorni mi sono occupato nuovamente della casta dei banchieri, che ha inguaiato il mondo. Ho scoperto alcuni dettagli interessanti, ad esempio, che l'ex numero uno di Lehman Brothers, ha venduto la sua lussuosa residenza in Florida, stimata 14 milioni di dollari. Il prezzo? Cento dollari. Chi l'ha comprata? La moglie. E così si cautela contro eventuali creditori. Ipotesi peraltro remota, perché le leggi americane offrono ampie protezioni ai banchieri protagonisti della truffa del secolo. I protagonisti del disastro finanziario passano le loro giornate a giocare, a golf, bridge, cricket. E quelli che non si sono ritirati continuano ad arricchirsi. Nel 2008, mentre le loro società venivano salvate dal fallimento, i manager delle banche si sono accordati bonus per 18,4 miliardi di dollari, come spiego in un editoriale, nel quale pongo una domanda a questo punto fondamentale: è giusto salvare le banche se la casta non viene smantellata? Tremonti dice: a casa o in galera. Sono d'accordo con lui. Se il capitalismo vuole risorgere deve riscoprire una virtù indispensabile, quella della responsabilità individuale. E fare piazza pulita. Scritto in società, era obama, economia, globalizzazione, notizie nascoste, democrazia, gli usa e il mondo Commenti ( 54 ) » (5 voti, il voto medio è: 2.8 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 28Jan 09 Immigrazione, stiamo sbagliando (quasi) tutto? I fatti degli ultimi giorni hanno riportato alla ribalta la questione degli immigrati. Ne traggo tre riflessioni. 1) La crisi economica renderà ancora più acuto il problema dell'immigrazione all'interno della Ue. Romania e Bulgaria sono già in forte crisi economica e non mi stupirebbe se nei prossimi mesi aumentasse il numero di cittadini di questi Paesi che cerca fortuna nei Paesi europei ricchi; che, però, come ben sappiamo, non sono risparmiati dalla recessione. Rumeni, bulgari verranno qui ma non troveranno lavoro e molti di quelli che già abitano in Italia lo perderanno. La situazione rischia di diventare rapidamente esplosiva: povertà, indegenza, disperazione, dunque probabile aumento della delinquenza spicciola e molto potenziale manodopera per la malavita e per gli imprenditori italiani schiavisti (che esistono e vanno combattuti energicamente) . Tutto questo alimenterà il razzismo e l'incomprensione reciproca. Occorre che l'Unione europea prenda iniziative straordinarie per limitare la libertà di circolazione delle persone, anche ripristinando, transitoriamente i visti. 2) L'immigrazione extra Ue non si combatte solo alzando barriere, che in realtà servono a poco, perchè, come ha dimostrato l'ultimi rapporto della Fondazione Ismu, dei 450 mila stranieri che arrivano illegalmente, solo 120mila attraversano il Mediterraneo. Gli altri sbarcano con un visto regolare (di studio, turistico o per lavori stagionali) e si danno alla macchia. Come si combatte questo fenomeno? Imitando gli americani: che prendono la foto e le impronte digitali a tutti i visitatori, In tal modo (magari anche con il controllo dell'iride) si creerebbe una banca dati europea che rende facilmente identificabili i clandestini. 3) Gli immigrati non partono spinti solo dalla povertà, ma anche - anzi, soprattutto - per inseguire il mito di un'Europa Eldorado, come ho spiegato in questa analisi. Il mito non viene mai scalfito dai media nè nè dalla sociteà africana, che anzi continu ad alimentarlo. «Gli africani quando partono non immaginano che fuori possa fare più freddo che dentro un frigorifero», mi ha detto Gustave Prosper Sanvee, direttore della tv cattolica del Togo. Dunque se vogliamo limitare le partenze è necessario che gli immigrati sappiano che l'Europa non è un paradiso, ma spesso un purgatorio fatto di stenti, sofferenza, spesso umiliazioni e che ci ce la fa deve rispettare regole sociali e di convivenza che sono molto diverse da quelle africane. Ma per raggiungere questo obiettivo è necessario che l'Europa promuova una politica di comunicazione mirata alle popolazioni Africane, che oggi è inesistente. Da qui la mia riflessione: perché non provare un approccio diverso sull'immigrazione? Ho l'impressione che le misure tentate non abbiano prodotto gli effetti sperati e siano destinate al fallimento anche in futuro. In altre parole, l'Italia e l'Europa stanno sbagliando (quasi) tutto. O no? Scritto in società, europa, globalizzazione, immigrazione Commenti ( 71 ) » (4 voti, il voto medio è: 4 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 25Jan 09 Resa dei conti tra la Cina e gli Usa? Il sito del Giornale nelle ultime 48 ore ha dovuto affrontare la migrazione da un provider a un altro e dunque anche l'accesso al blog è stato difficile, soprattutto in certe zone d'Italia. Mi scuso per questo inconveniente, ora risolto. Negli ultimi due giorni sul Giornale ho scritto ancora di Obama, che ha litigato con il Vaticano sull'aborto e per la prima volta ha avuto qualche screzio con la stampa americana, finora notoriamente compiacente. I giornalisti Usa tra l'altro si sono accorti che un lobbista dell'industria delle armi è stato nominato numero due del Pentagono, vicenda di cui abbiamo già parlato nei giorni scorsi su questo blog. Era ora. Ma la notizia più significativa riguarda la Cina, sebbene non abbia avuto molto rilievo sui giornali italiani. E' accaduto questo: il segretario al Tesoro Timothy Geithner che giovedì, durante le audizioni alla Commissione finanze del Senato, aveva accusato Pechino di «manipolare le quotazioni dello yuan per ottenre scorrettamente vantaggi commerciali», aprendo di fatto l'iter che, in base a una legge del 1988, permetterebbe al governo americano di imporre sanzioni ovvero barriere tariffarie. La Cina ha risposto smentendo le accuse, mentre il ministro degli Esteri di Pechino ha chiamato Hillary Clinton ammonendola a non compiere passi falsi. Perchè questo screzio? I fattori di attrito sono diversi, ma a mio giudizio ne prevale uno: quello del debito americano. La Cina è da qualche anno il primo sottoscrittore al mondo di Buono del tesoro Usa, ma una decina di giorni fa ha annunciato che intende ridurre il proprio impegno e usare una parte delle risorse per rilanciare l'economia interna. L'America, però, non può permetterlo; anzi, visto che il suo deficit pubblico quest'anno triplicherà, vorrebbe che Pechino aumentasse gli acquisti di Treasury. L'affondo di Geithner ha l'aria di un monito ai cinesi: se Pechino non si ricrede, Washington si vendicherà alzando le barriere doganali; dunque rendendo impervio l'accesso a un mercato che rappresenta il principale sbocco ai beni «made in China». Si scatenerebbe una guerra commerciale e finanziaria da cui usciremmo tutti perdenti. Lo spettro è quello di un dollaro in caduta libera e di una Cina in profonda depressione, che aggraverebbe la crisi dell'economia mondiale. Domanda: lo scenario è credibile? Ragionavolmente uno scontro non conviene a nessuno e pertanto dovrebbe prevalere la ragionevolezza. Fino a quando la Cina, che secondo alcuni economisti sarebbe già in depressione, è disposta a usare le proprie risorse per finanziare il deficit americano? E Obama è in grado di gestire con saggezza rapporti delicati e cruciali come questi? Scritto in economia, era obama, globalizzazione, notizie nascoste, cina, gli usa e il mondo Commenti ( 23 ) » (7 voti, il voto medio è: 3.57 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 23Jan 09 Basta torture. Bravo Obama, ma come la mettiamo con l'Iran? "L'America non tortura", ha dichiarato ieri Obama rinfrancando chi ha sempre visto nell'America un baluardo di civiltà, saldamente ancorato ai valori della democrazia e della Costituzione. Quell'America è tornata. Bravo Obama, ma McCain, se avesse vinto, avrebbe fatto altrettanto. Entrambi sono convinti che la guerra al terrorismo non possa essere condotta violando i principi che l'America ha sempre proclamato di rispettare, proponendosi pertanto come un modello virtuoso per gli altri Paesi. La stragrande maggioranza dei detenuti di Guantanamo è risultata innocente, ma per molti mesi ha vissuto in condizioni orribili, da lager sovietico, senza assistenza legale, per molto tempo senza nemmeno il monitoraggio della Croce Rossa. Segregati, senza colpa. E nelle prigioni segrete della Cia è successo di tutto: sevizie orribili, alcuni prigionieri sono spariti nel nulla. Ma quanti di loro erano terroristi? Pochi. Obama (e McCain) sono convinti che la guerra ad Al Qaida debba essere risoluta ed energica, ma senza ricorrere a metodi tipici di una dittatura e non di una grande democrazia. La chiusura di Guantanamo e delle prigioni Cia ha anche una valenza politica, perché rafforza e precisa il messaggio di apertura al mondo arabo e all'Iran, con cui la Casa Bianca è pronta ad avviare "negoziati diretti senza precondizioni", come spiego in questo articolo, mentre si rafforzano i segnali di un raffreddamento dei rapporti con Israele (anticipati su questo blog il 14 gennaio). Ieri ho parlato con alcuni esperti di Washington e, off the record, una fonte qualificata del governo americano mi ha fatto notare che Obama nel suo discorso di insediamento non ha citato Israele. E chi è il primo leader straniero con cui Barack ha parlato? Il palestinese Abu Mazen. Basta torture ed è un bene; ma anche meno Israele e più Iran, rapporti ancora più stretti con le potenze del Golfo persico e dunque mano tesa all'Islam fondamentalista sia sunnita che sciita. Scelta strategica lungimirante o clamoroso errore che contraddice i valori degli Usa, premiando regimi come l'Iran e l'Arabia Saudita che calpestano i diritti umani? Scritto in israele, era obama, democrazia, medio oriente, gli usa e il mondo, islam Commenti ( 102 ) » (6 voti, il voto medio è: 2.17 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 21Jan 09 Ha ragione Tremonti: bisogna scegliere chi salvare. Le borse crollano, ci risiamo.. ma perchè? Colpa di Obama, come qualcuno ha suggerito sui giornali? No, i mercati finanziari scendono perchè temono che nemmeno Obama, nonostante gli interventi promessi, possa risollevare l'economia, perlomeno non i tempi brevi. Nonostante i ribassi di Piazza Affari e l'entità del debito pubblico, l'Italia è in una posizione più favorevole rispetto ad altri Paesi, come ha spiegato uno dei nostri economisti più brillanti Marco Fortis, in un'intervista a Rodolfo Parietti. Ma la crisi è globale e da sola l'Italia non ce la può fare. E allora bisogna capirne le ragioni e le dinamiche. Un giornalista del Corriere del Ticino, Alfonso Tuor, da tempo si segnala per la precisione e la lungimiranza delle sue analisi. Venerdì scorso, dunque prima del capitombolo di Wall Street, ha pubblicato un editoriale in cui spiega che cosa sta accadendo. La sua è una visione "tremontiana" e la ritengo assai convincente. Ecco i passaggi più significativi del suo articolo: Concluso il periodo delle ferie natalizie, è tornato alla ribalta il problema centrale di questa crisi: lo stato comatoso del settore finanziario. Infatti non vi sono miglioramenti delle condizioni di salute del sistema bancario, nonostante le ricapitalizzazioni degli istituti di credito americani ed europei operate dagli Stati e i continui interventi delle banche centrali. (.)Lo stesso presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha dovuto ammettere che non vi è alcuna speranza di uscire da questa crisi se non si risana il sistema bancario. Bernanke ha addirittura precisato che risulterà insufficiente anche il pacchetto fiscale di Obama da 800 miliardi di dollari. (.) Il motivo è semplice. La crisi finanziaria ha già investito l'economia reale. Le industrie europee, americane e di altri continenti si trovano strette in una tenaglia: da un canto, i fatturati diminuiscono rapidamente (in alcuni rami si registrano contrazioni del 30%) e, dall'altra, l'accesso al credito è chiuso, poiché il sistema bancario è riluttante a concedere nuovi crediti, oppure è estremamente oneroso, con tassi di interesse molto elevati nonostante il ribasso del costo del denaro attuato dalle banche centrali. La conseguenza è un circolo vizioso: la recessione produce nuove sofferenze che aggravano la crisi bancaria, le banche concedono meno prestiti rendendo più profonda la recessione e così via. In pratica, il settore bancario non svolge più (non concedendo crediti) il suo ruolo di trasmissione degli impulsi di politica monetaria. Quindi, anche il taglio dei tassi europei riduce i costi di rifinanziamento delle banche, ma ha scarsa o nessuna influenza sull'accesso e sul costo del credito delle imprese industriali. Ora, l'oligarchia finanziaria che ha causato questa crisi, con l'autorevole sostegno della Federal Reserve, sostiene una tesi semplice: non si può uscire dalla crisi, se prima gli Stati non risanano il sistema bancario. Questa tesi, apparentemente seduttiva, dimentica di esplicitare i costi enormi di questo salvataggio. Un'idea della grandezza dei capitali necessari la si può ricavare dalle migliaia di miliardi finora spesi da Stati e da banche centrali senza ottenere alcun risultato apprezzabile. Negli Stati Uniti si sono già spesi 8.000 miliardi di dollari, nell'Unione Europea la cifra è di poco inferiore. Per risanare i catastrofici bilanci delle grandi banche occorrerebbero altre migliaia di miliardi. Se non si crede alla teoria che i soldi possano essere stampati all'infinito senza alcuna conseguenza negativa, bisogna concludere che i governi devono scegliere chi aiutare, poiché non hanno le risorse finanziarie per salvare sia le famiglie sia le imprese sia le banche. È quanto ha deto recentemente il ministro italiano Giulio Tremonti, il quale teme che il tentativo di salvare tutti farà sì che non si riuscirà ad aiutare nessuno e si provocherà unicamente un ulteriore peggioramento della crisi. Come sostiene Tremonti, bisogna ammettere realisticamente che si può salvare solo la parte buona del sistema bancario e concentrare le risorse per rilanciare l'economia, per difendere l'occupazione e il sistema industriale. Per essere più chiari, fino a quando non si cominceranno a fare queste scelte non vi è alcuna possibilità che si esca veramente dalla crisi. Il costo di salvare tutto e tutti rischia di essere tale da incrinare la fiducia nei titoli con cui gli Stati finanziano i loro disavanzi pubblici e nelle stesse monete. A questo riguardo già si cominciano ad avvertire alcuni segnali preoccupanti. (.) In attesa che le élites politiche si affranchino dallo stato di dipendenza nei confronti dell'oligarchia finanziaria, saremo costretti a confrontarci con l'aggravarsi della recessione, con continui interventi miliardari per salvare le banche e pacchetti di rilancio che non produrranno gli effetti desiderati, ma solo un sollievo temporaneo. Insomma, continueremo ad assistere al peggioramento della crisi. Domanda: Tuor ha ragione ? E' possibile salvare solo alcune banche mantenendo la funzionalità del sistema finanziario? Scritto in società, economia, europa, globalizzazione, gli usa e il mondo Commenti ( 26 ) » (5 voti, il voto medio è: 4 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 20Jan 09 Obama, l'uomo del Pentagono (e di Wall Street) Obama sarà davvero un riformatore? Più passa il tempo e più sono convinto di no. Sta diventando l'uomo dell'establishment ovvero di quel mondo che in campagna elettorale aveva promesso di cambiare. "Yes we can", ("sì, si può fare") e "Change we can believe in" (il cambiamento in cui credere) sono più che mai slogan retorici e dunque vuoti. E per averne conferma basta scorrere l'elenco dei ministri e dei consiglieri. Facce nuove? Pochissime, sono quasi tutti ex collaboratori di Bill Clinton e quasi tutti legati a interessi particolari, soprattutto in due campi: finanza e difesa. Come fa Obama a riformare il sistema finanziario se affida il Tesoro a Geithner e sceglie come superconsigliere Summers ovvero due pupilli del presidente di Citigroup ed ex ministro del tesoro Rubin? Non scordiamocelo: fu Rubin ad avviare il processo di deregolamentazione dei mercati finanziari che è all'origine dell'attuale recessione. E negli ultimi mesi dietro le quinte è stato lui a manovrare con lo stesso Obama e con Bush per ottenere gli aiuti multimilardari al settore e in particolare i miliardi necessari per salvare la stessa Citigroup. Che credibilità ha un presidente che conferma alla guida del Pentagono Robert Gates, il ministro di Bush, e, soprattutto, che nomina suo vice William Lynn? Voi direte: e chi è Lynn? E' uno dei più noti lobbisti dell'industria delle armi e al Pentagono è stato incaricato di presiedere il comitato per. gli acquisti di armamenti. ma la gente non lo sa: perchè i grandi media americani questa notizia l'hanno data in breve o non l'hanno pubblicata affatto. E' così che Obama intende combattere la corruzione e gli interessi particolari? Temo che una certa Washington abbia già inghiottito Barack.. o sbaglio? Scritto in democrazia, notizie nascoste, presidenziali usa, gli usa e il mondo Commenti ( 94 ) » (7 voti, il voto medio è: 3.57 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 18Jan 09 Preghiera islamica anche al Colosseo. Ora basta Riepiloghiamo: il 6 gennaio gli islamici hanno pregato contemporaneamente a Milano di fronte al Duomo e a Bologna in piazza Maggiore davanti alla Chiesa di San Petronio. Il 10 gennaio nuova preghiera a Milano di fronte alla Stazione centrale. Ieri gli islamici hanno conquistato il piazzale di fronte al Colosseo, mentre a Bologna la questura ha vietato un'altra preghiera in pubblico prevista per il 24 gennaio. Mi spiace di dover proporre nel giro di pochi giorni il terzo post sullo stesso tema, ma non posso esimermi: questi fatti dimostrano che si tratta non di iniziative estemporanee, ma di provocazioni nell'ambito di una precisa strategia da parte dei fondamentalisti islamici sunniti che si riconoscono nell'Ucoii e dunque nei Fratelli musulmani. Con questa gente non si scherza. Nelle prossime settimane capiremo qual è il loro obiettivo finale, ma sin d'ora è chiaro che vogliono da un lato intimidire i musulmani moderati assumendo la guida di tutti i movimenti islamici in Italia, dall'altro dimostrare agli italiani, laici e cattolici, di essere in grado di occupare i luoghi più significativi delle nostre città, sfidando le leggi, i nostri valori e il buon senso. Non rispettano, non vogliono rispettare; abusano dell'ospitalità ricevuta. Ed è più che mai urgente una risposta ferma, autorevole da parte dello Stato, della società civile e della Chiesa. Resto convinto che i seguaci dell'Ucoii e di un Islam involuto e antimoderano siano una piccola minoranza tra i musulmani presenti nel nostro Paese. Ma con questi fanatici non ci può essere dialogo: l'Italia non ha bisogno di loro. E occorre che lo sappiano subito. Non c'è più tempo, non si può aspettare. Scritto in società, democrazia, Italia, immigrazione, islam Commenti ( 110 ) » (6 voti, il voto medio è: 4.33 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 15Jan 09 Battisti libero grazie a Carla Bruni. Ci risiamo. Dopo aver salvato la brigatista Marina Petrella, Carla Bruni in Srakozy avrebbe avuto un ruolo decisivo nel convincere il Brasile a non concedere all'Italia l'estradizione del terrorista Battisti. Lo scrivono i giornali brasiliani, ricordando che la coppia presidenziale francese ha trascorso le vacanze natalizie in Brasile, durante le quali ha incontrato il presidente Lula, inducendolo al dietro-front. Poco fa l'Eliso ha smentito, ma l'avvocato di Battisti, Eric Turon conferma: «Il presidente Sarkozy ha accettato di organizzare una riunione con il segretario nazionale della giustizia brasiliana, Romeu Tuma Jr, colloquio grazie al quale Battisti ha ottenuto lo status di rifugiato politico», ha detto al quotidiano Folha de S.Paulo. Insomma, il sospetto è fondato. Lo schema ormai è noto: lei ammalia, lui esegue. Diabolica, inqualificabile, pericolosissima Carlà. C'è ancora qualcuno disposto a cantarne le lodi? PS Segnalo questo godibilissimo pezzo di Stenio Solinas. Scritto in democrazia, Italia, francia Commenti ( 58 ) » (3 voti, il voto medio è: 3.67 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 14Jan 09 Svolta in vista, l'America preferisce i Paesi arabi ad Israele? Ricapitoliamo: giovedì all'Onu gli Usa si sono inaspettatamente astenuti e hanno permesso che venisse approvata la risoluzione del Consiglio di Sicurezza su Gaza. Venerdì Obama ha annunciato di voler avviare trattative diplomatiche con l'Iran e ha permesso ai suoi tre collaboratori di spifferare al Guardian che intende parlare con Hamas; smentendo solo quando Fox News lo ha incalzato pubblicamente, ma senza convincere. In alcune dichiarazioni ha espresso simpatia per le sofferenze dei civili sia palestinesi che israeliani, mostrando un'equidistanza insolita per gli standard americani (e Hillary, nell'audizione di ieri, lo ha seguito). Nel frattempo i rapporti tra Bush e Obama sono diventati eccellenti con uno straordinario livello di coordinazione in economia e in politica estera. Mentre Obama apriva a Teheran, gli spin doctor della Casa Bianca passavano al New York Times la notizia secondo cui qualche mese fa Bush bloccò un raid israeliano sulla centrale iraniana di Natanz. Evidentemente innervosito dagli ultimi sviluppi, il premier israeliano Olmert ha dichiarato che è stato lui a ottenere da Bush l'astensione all'Onu sventando una manovra di Condoleezza Rice che, secondo Gerusalemme, voleva addirittura votare a favore. "Ho costretto il presidente americano a interrompere un discorso a Philadelphia", ha affermato Olmert e "la Rice è rimasta molto male". Ma il portavoce di Bush ha smentito immediatamente, precisando che la decisione di astenersi era stata presa prima della telefonata del capo del governo israeliano. Insomma, Washington e Gerusalemme hanno polemizzato pubblicamente. Intanto la stampa Usa, fiutando il vento, ha cominciato a cambiare tono nei reportage e nei commenti su Gaza. Il titolo di copertina del settimanale Time, ad esempio, è "Perché Israele non può vincere". Gli indizi sono chiari: tra Israele e gli Usa qualcosa si è rotto. O meglio: è Washington che ha deciso di allentare parzialmente i legami con quello che fino a ieri era il suo miglior alleato in Medio Oriente. Evidentemente gli Usa pensano che strategicamente l'amicizia dei Paesi arabi stia diventando più importante di quella di Israele. Per il petrolio? sì, ma non solo. Un Medio Oriente stabile diventa vitale per gli interessi di un'America che non ha più la forza e il prestigio di qualche anno fa e che deve far fronte alla crisi finanziaria. L'incognita maggior nel 2009 è la sostenibilità del debito pubblico americano che triplicherà rispetto al 2008. Qualcuno dovrà sottoscrivere i Buoni del Tesoro americani (vedi il post dell'8 gennaio) e se la Cina, come pare, intende ridurre gli acquisti, occorrerà trovare altri acquirenti. Chi? Certo non gli europei e probabilmente nemmeno i giapponesi. Chi ancora possiede notevole liquidità, nonostante il recente calo del greggio, sono i Paesi del Golfo, che potrebbero fare incetta di Treasury bonds. Un riposizionamento degli Usa nei confronti di Israele potrebbe risultare assai gradito agli sceicchi e se si considera che gli iraniani sono indispensabili per stabilizzare un Iraq a maggioranza sciita, l'analisi appare ancora più pertinente. Gli interessi americani convergono in questa direzione. Fine di un'era o crisi transitoria tra Usa e Israele? Scritto in medio oriente, gli usa e il mondo Commenti ( 90 ) » (3 voti, il voto medio è: 3.67 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico Post precedenti Chi sono Sono inviato speciale di politica internazionale. Sposato, ho tre figli. Risiedo a Milano e giro il mondo. 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Foa, che la casta di Wall Street sia rimasta immune dallo tsunami finanziario è sicuramente un... Ultime news Napolitano: "Fermare la xenofobia" Fini: "Intollerabili le discriminazioni"Il Nord sotto la neve: Milano-Lecco bloccata Ritardi e voli cancellatiStipendi, balzo del 3,5% Mai così alti dal 1997Gaza, raid israeliano Hamas parla di treguaAntitrust alle Camere: "Banche poco trasparenti"Superbowl a Pittsburgh: meta all'ultimo respiroMotoGp, Valentino rilancia la sfida: "Resto, ma sarà dura"Di Pietro ai suoi: "Via dalle giunte di Napoli". 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La casta di Wall Street? Continua ad arricchirsi (sezione: Globalizzazione)

( da "Giornale.it, Il" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Sul Giornale di ieri Stefano Zurlo ha scritto un bell'articolo, in cui racconta che cosa accade agli irregolari che vengono arrestati. Mi ha colpito questo passaggio: "È un meccanismo davvero surreale. Il clandestino viene espulso; non se ne va o torna di nascosto nel nostro Paese e allora scatta, obbligatorio, l'arresto. Ma i processi, di media, sono catene di montaggio delle scarcerazioni: l'imputato esce, in attesa del verdetto, e tanti saluti. Oppure, se la sentenza arriva di volata, viene condannato, ad una pena di 6-8-10 mesi. E subito dopo rimesso in libertà. Come è normale quando la pena è inferiore ai due anni. Insomma, l'irregolare viene afferrato dalla legge e dalla legge riconsegnato alla sua vita invisibile. Con una postilla: se lo acciufferanno di nuovo, sempre senza documenti, non potranno più processarlo: non si può giudicare due volte una persona per lo stesso reato". Se questa è la realtà, e non dubito che lo sia, la lotta ai clandestini è assolutamente inutile. Continueranno ad arrivare, sempre più numerosi, proprio perché è garantita l'impunità. E allora è necessario correre ai ripari, varando norme che non permettano la scarcerazione in attesa del processo e, come ho già scritto, che rendano obbligatorio il rilevamento, oltre delle impronte digitali, dell'iride dell'occhio. Solo così l'Italia può assumere una credibilità che oggi non ha. L'alternativa è che l'Italia si trasformi non in una società tendenzialmente multietnica, ma in un Paese anarchico con profonde ingiustizie sociali e un razzismo diffuso. Non c'è più tempo da perdere: tocca al governo di centrodestra proporre misure concrete. E al centrosinistra moderato di Veltroni sostenerle con spirito bipartisan. Perché il problema degli immigrati non ha più colore politico ma è sentito, con angoscia, dalla stragrande maggioranza degli italiani, compresi i progressisti. O no? Scritto in società, globalizzazione, democrazia, Italia, immigrazione Commenti ( 8 ) » (2 voti, il voto medio è: 5 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 30Jan 09 La casta di Wall Street? Continua ad arricchirsi. Negli ultimi giorni mi sono occupato nuovamente della casta dei banchieri, che ha inguaiato il mondo. Ho scoperto alcuni dettagli interessanti, ad esempio, che l'ex numero uno di Lehman Brothers, ha venduto la sua lussuosa residenza in Florida, stimata 14 milioni di dollari. Il prezzo? Cento dollari. Chi l'ha comprata? La moglie. E così si cautela contro eventuali creditori. Ipotesi peraltro remota, perché le leggi americane offrono ampie protezioni ai banchieri protagonisti della truffa del secolo. I protagonisti del disastro finanziario passano le loro giornate a giocare, a golf, bridge, cricket. E quelli che non si sono ritirati continuano ad arricchirsi. Nel 2008, mentre le loro società venivano salvate dal fallimento, i manager delle banche si sono accordati bonus per 18,4 miliardi di dollari, come spiego in un editoriale, nel quale pongo una domanda a questo punto fondamentale: è giusto salvare le banche se la casta non viene smantellata? Tremonti dice: a casa o in galera. Sono d'accordo con lui. Se il capitalismo vuole risorgere deve riscoprire una virtù indispensabile, quella della responsabilità individuale. E fare piazza pulita. Scritto in società, era obama, economia, globalizzazione, notizie nascoste, democrazia, gli usa e il mondo Commenti ( 55 ) » (5 voti, il voto medio è: 2.8 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 28Jan 09 Immigrazione, stiamo sbagliando (quasi) tutto? I fatti degli ultimi giorni hanno riportato alla ribalta la questione degli immigrati. Ne traggo tre riflessioni. 1) La crisi economica renderà ancora più acuto il problema dell'immigrazione all'interno della Ue. Romania e Bulgaria sono già in forte crisi economica e non mi stupirebbe se nei prossimi mesi aumentasse il numero di cittadini di questi Paesi che cerca fortuna nei Paesi europei ricchi; che, però, come ben sappiamo, non sono risparmiati dalla recessione. Rumeni, bulgari verranno qui ma non troveranno lavoro e molti di quelli che già abitano in Italia lo perderanno. La situazione rischia di diventare rapidamente esplosiva: povertà, indegenza, disperazione, dunque probabile aumento della delinquenza spicciola e molto potenziale manodopera per la malavita e per gli imprenditori italiani schiavisti (che esistono e vanno combattuti energicamente) . Tutto questo alimenterà il razzismo e l'incomprensione reciproca. Occorre che l'Unione europea prenda iniziative straordinarie per limitare la libertà di circolazione delle persone, anche ripristinando, transitoriamente i visti. 2) L'immigrazione extra Ue non si combatte solo alzando barriere, che in realtà servono a poco, perchè, come ha dimostrato l'ultimi rapporto della Fondazione Ismu, dei 450 mila stranieri che arrivano illegalmente, solo 120mila attraversano il Mediterraneo. Gli altri sbarcano con un visto regolare (di studio, turistico o per lavori stagionali) e si danno alla macchia. Come si combatte questo fenomeno? Imitando gli americani: che prendono la foto e le impronte digitali a tutti i visitatori, In tal modo (magari anche con il controllo dell'iride) si creerebbe una banca dati europea che rende facilmente identificabili i clandestini. 3) Gli immigrati non partono spinti solo dalla povertà, ma anche - anzi, soprattutto - per inseguire il mito di un'Europa Eldorado, come ho spiegato in questa analisi. Il mito non viene mai scalfito dai media nè nè dalla sociteà africana, che anzi continu ad alimentarlo. «Gli africani quando partono non immaginano che fuori possa fare più freddo che dentro un frigorifero», mi ha detto Gustave Prosper Sanvee, direttore della tv cattolica del Togo. Dunque se vogliamo limitare le partenze è necessario che gli immigrati sappiano che l'Europa non è un paradiso, ma spesso un purgatorio fatto di stenti, sofferenza, spesso umiliazioni e che ci ce la fa deve rispettare regole sociali e di convivenza che sono molto diverse da quelle africane. Ma per raggiungere questo obiettivo è necessario che l'Europa promuova una politica di comunicazione mirata alle popolazioni Africane, che oggi è inesistente. Da qui la mia riflessione: perché non provare un approccio diverso sull'immigrazione? Ho l'impressione che le misure tentate non abbiano prodotto gli effetti sperati e siano destinate al fallimento anche in futuro. In altre parole, l'Italia e l'Europa stanno sbagliando (quasi) tutto. O no? Scritto in società, europa, globalizzazione, immigrazione Commenti ( 71 ) » (4 voti, il voto medio è: 4 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 25Jan 09 Resa dei conti tra la Cina e gli Usa? Il sito del Giornale nelle ultime 48 ore ha dovuto affrontare la migrazione da un provider a un altro e dunque anche l'accesso al blog è stato difficile, soprattutto in certe zone d'Italia. Mi scuso per questo inconveniente, ora risolto. Negli ultimi due giorni sul Giornale ho scritto ancora di Obama, che ha litigato con il Vaticano sull'aborto e per la prima volta ha avuto qualche screzio con la stampa americana, finora notoriamente compiacente. I giornalisti Usa tra l'altro si sono accorti che un lobbista dell'industria delle armi è stato nominato numero due del Pentagono, vicenda di cui abbiamo già parlato nei giorni scorsi su questo blog. Era ora. Ma la notizia più significativa riguarda la Cina, sebbene non abbia avuto molto rilievo sui giornali italiani. E' accaduto questo: il segretario al Tesoro Timothy Geithner che giovedì, durante le audizioni alla Commissione finanze del Senato, aveva accusato Pechino di «manipolare le quotazioni dello yuan per ottenre scorrettamente vantaggi commerciali», aprendo di fatto l'iter che, in base a una legge del 1988, permetterebbe al governo americano di imporre sanzioni ovvero barriere tariffarie. La Cina ha risposto smentendo le accuse, mentre il ministro degli Esteri di Pechino ha chiamato Hillary Clinton ammonendola a non compiere passi falsi. Perchè questo screzio? I fattori di attrito sono diversi, ma a mio giudizio ne prevale uno: quello del debito americano. La Cina è da qualche anno il primo sottoscrittore al mondo di Buono del tesoro Usa, ma una decina di giorni fa ha annunciato che intende ridurre il proprio impegno e usare una parte delle risorse per rilanciare l'economia interna. L'America, però, non può permetterlo; anzi, visto che il suo deficit pubblico quest'anno triplicherà, vorrebbe che Pechino aumentasse gli acquisti di Treasury. L'affondo di Geithner ha l'aria di un monito ai cinesi: se Pechino non si ricrede, Washington si vendicherà alzando le barriere doganali; dunque rendendo impervio l'accesso a un mercato che rappresenta il principale sbocco ai beni «made in China». Si scatenerebbe una guerra commerciale e finanziaria da cui usciremmo tutti perdenti. Lo spettro è quello di un dollaro in caduta libera e di una Cina in profonda depressione, che aggraverebbe la crisi dell'economia mondiale. Domanda: lo scenario è credibile? Ragionavolmente uno scontro non conviene a nessuno e pertanto dovrebbe prevalere la ragionevolezza. Fino a quando la Cina, che secondo alcuni economisti sarebbe già in depressione, è disposta a usare le proprie risorse per finanziare il deficit americano? E Obama è in grado di gestire con saggezza rapporti delicati e cruciali come questi? Scritto in economia, era obama, globalizzazione, notizie nascoste, cina, gli usa e il mondo Commenti ( 23 ) » (7 voti, il voto medio è: 3.57 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 23Jan 09 Basta torture. Bravo Obama, ma come la mettiamo con l'Iran? "L'America non tortura", ha dichiarato ieri Obama rinfrancando chi ha sempre visto nell'America un baluardo di civiltà, saldamente ancorato ai valori della democrazia e della Costituzione. Quell'America è tornata. Bravo Obama, ma McCain, se avesse vinto, avrebbe fatto altrettanto. Entrambi sono convinti che la guerra al terrorismo non possa essere condotta violando i principi che l'America ha sempre proclamato di rispettare, proponendosi pertanto come un modello virtuoso per gli altri Paesi. La stragrande maggioranza dei detenuti di Guantanamo è risultata innocente, ma per molti mesi ha vissuto in condizioni orribili, da lager sovietico, senza assistenza legale, per molto tempo senza nemmeno il monitoraggio della Croce Rossa. Segregati, senza colpa. E nelle prigioni segrete della Cia è successo di tutto: sevizie orribili, alcuni prigionieri sono spariti nel nulla. Ma quanti di loro erano terroristi? Pochi. Obama (e McCain) sono convinti che la guerra ad Al Qaida debba essere risoluta ed energica, ma senza ricorrere a metodi tipici di una dittatura e non di una grande democrazia. La chiusura di Guantanamo e delle prigioni Cia ha anche una valenza politica, perché rafforza e precisa il messaggio di apertura al mondo arabo e all'Iran, con cui la Casa Bianca è pronta ad avviare "negoziati diretti senza precondizioni", come spiego in questo articolo, mentre si rafforzano i segnali di un raffreddamento dei rapporti con Israele (anticipati su questo blog il 14 gennaio). Ieri ho parlato con alcuni esperti di Washington e, off the record, una fonte qualificata del governo americano mi ha fatto notare che Obama nel suo discorso di insediamento non ha citato Israele. E chi è il primo leader straniero con cui Barack ha parlato? Il palestinese Abu Mazen. Basta torture ed è un bene; ma anche meno Israele e più Iran, rapporti ancora più stretti con le potenze del Golfo persico e dunque mano tesa all'Islam fondamentalista sia sunnita che sciita. Scelta strategica lungimirante o clamoroso errore che contraddice i valori degli Usa, premiando regimi come l'Iran e l'Arabia Saudita che calpestano i diritti umani? Scritto in israele, era obama, democrazia, medio oriente, gli usa e il mondo, islam Commenti ( 102 ) » (6 voti, il voto medio è: 2.17 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 21Jan 09 Ha ragione Tremonti: bisogna scegliere chi salvare. Le borse crollano, ci risiamo.. ma perchè? Colpa di Obama, come qualcuno ha suggerito sui giornali? No, i mercati finanziari scendono perchè temono che nemmeno Obama, nonostante gli interventi promessi, possa risollevare l'economia, perlomeno non i tempi brevi. Nonostante i ribassi di Piazza Affari e l'entità del debito pubblico, l'Italia è in una posizione più favorevole rispetto ad altri Paesi, come ha spiegato uno dei nostri economisti più brillanti Marco Fortis, in un'intervista a Rodolfo Parietti. Ma la crisi è globale e da sola l'Italia non ce la può fare. E allora bisogna capirne le ragioni e le dinamiche. Un giornalista del Corriere del Ticino, Alfonso Tuor, da tempo si segnala per la precisione e la lungimiranza delle sue analisi. Venerdì scorso, dunque prima del capitombolo di Wall Street, ha pubblicato un editoriale in cui spiega che cosa sta accadendo. La sua è una visione "tremontiana" e la ritengo assai convincente. Ecco i passaggi più significativi del suo articolo: Concluso il periodo delle ferie natalizie, è tornato alla ribalta il problema centrale di questa crisi: lo stato comatoso del settore finanziario. Infatti non vi sono miglioramenti delle condizioni di salute del sistema bancario, nonostante le ricapitalizzazioni degli istituti di credito americani ed europei operate dagli Stati e i continui interventi delle banche centrali. (.)Lo stesso presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha dovuto ammettere che non vi è alcuna speranza di uscire da questa crisi se non si risana il sistema bancario. Bernanke ha addirittura precisato che risulterà insufficiente anche il pacchetto fiscale di Obama da 800 miliardi di dollari. (.) Il motivo è semplice. La crisi finanziaria ha già investito l'economia reale. Le industrie europee, americane e di altri continenti si trovano strette in una tenaglia: da un canto, i fatturati diminuiscono rapidamente (in alcuni rami si registrano contrazioni del 30%) e, dall'altra, l'accesso al credito è chiuso, poiché il sistema bancario è riluttante a concedere nuovi crediti, oppure è estremamente oneroso, con tassi di interesse molto elevati nonostante il ribasso del costo del denaro attuato dalle banche centrali. La conseguenza è un circolo vizioso: la recessione produce nuove sofferenze che aggravano la crisi bancaria, le banche concedono meno prestiti rendendo più profonda la recessione e così via. In pratica, il settore bancario non svolge più (non concedendo crediti) il suo ruolo di trasmissione degli impulsi di politica monetaria. Quindi, anche il taglio dei tassi europei riduce i costi di rifinanziamento delle banche, ma ha scarsa o nessuna influenza sull'accesso e sul costo del credito delle imprese industriali. Ora, l'oligarchia finanziaria che ha causato questa crisi, con l'autorevole sostegno della Federal Reserve, sostiene una tesi semplice: non si può uscire dalla crisi, se prima gli Stati non risanano il sistema bancario. Questa tesi, apparentemente seduttiva, dimentica di esplicitare i costi enormi di questo salvataggio. Un'idea della grandezza dei capitali necessari la si può ricavare dalle migliaia di miliardi finora spesi da Stati e da banche centrali senza ottenere alcun risultato apprezzabile. Negli Stati Uniti si sono già spesi 8.000 miliardi di dollari, nell'Unione Europea la cifra è di poco inferiore. Per risanare i catastrofici bilanci delle grandi banche occorrerebbero altre migliaia di miliardi. Se non si crede alla teoria che i soldi possano essere stampati all'infinito senza alcuna conseguenza negativa, bisogna concludere che i governi devono scegliere chi aiutare, poiché non hanno le risorse finanziarie per salvare sia le famiglie sia le imprese sia le banche. È quanto ha deto recentemente il ministro italiano Giulio Tremonti, il quale teme che il tentativo di salvare tutti farà sì che non si riuscirà ad aiutare nessuno e si provocherà unicamente un ulteriore peggioramento della crisi. Come sostiene Tremonti, bisogna ammettere realisticamente che si può salvare solo la parte buona del sistema bancario e concentrare le risorse per rilanciare l'economia, per difendere l'occupazione e il sistema industriale. Per essere più chiari, fino a quando non si cominceranno a fare queste scelte non vi è alcuna possibilità che si esca veramente dalla crisi. Il costo di salvare tutto e tutti rischia di essere tale da incrinare la fiducia nei titoli con cui gli Stati finanziano i loro disavanzi pubblici e nelle stesse monete. A questo riguardo già si cominciano ad avvertire alcuni segnali preoccupanti. (.) In attesa che le élites politiche si affranchino dallo stato di dipendenza nei confronti dell'oligarchia finanziaria, saremo costretti a confrontarci con l'aggravarsi della recessione, con continui interventi miliardari per salvare le banche e pacchetti di rilancio che non produrranno gli effetti desiderati, ma solo un sollievo temporaneo. Insomma, continueremo ad assistere al peggioramento della crisi. Domanda: Tuor ha ragione ? E' possibile salvare solo alcune banche mantenendo la funzionalità del sistema finanziario? Scritto in società, economia, europa, globalizzazione, gli usa e il mondo Commenti ( 26 ) » (5 voti, il voto medio è: 4 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 20Jan 09 Obama, l'uomo del Pentagono (e di Wall Street) Obama sarà davvero un riformatore? Più passa il tempo e più sono convinto di no. Sta diventando l'uomo dell'establishment ovvero di quel mondo che in campagna elettorale aveva promesso di cambiare. "Yes we can", ("sì, si può fare") e "Change we can believe in" (il cambiamento in cui credere) sono più che mai slogan retorici e dunque vuoti. E per averne conferma basta scorrere l'elenco dei ministri e dei consiglieri. Facce nuove? Pochissime, sono quasi tutti ex collaboratori di Bill Clinton e quasi tutti legati a interessi particolari, soprattutto in due campi: finanza e difesa. Come fa Obama a riformare il sistema finanziario se affida il Tesoro a Geithner e sceglie come superconsigliere Summers ovvero due pupilli del presidente di Citigroup ed ex ministro del tesoro Rubin? Non scordiamocelo: fu Rubin ad avviare il processo di deregolamentazione dei mercati finanziari che è all'origine dell'attuale recessione. E negli ultimi mesi dietro le quinte è stato lui a manovrare con lo stesso Obama e con Bush per ottenere gli aiuti multimilardari al settore e in particolare i miliardi necessari per salvare la stessa Citigroup. Che credibilità ha un presidente che conferma alla guida del Pentagono Robert Gates, il ministro di Bush, e, soprattutto, che nomina suo vice William Lynn? Voi direte: e chi è Lynn? E' uno dei più noti lobbisti dell'industria delle armi e al Pentagono è stato incaricato di presiedere il comitato per. gli acquisti di armamenti. ma la gente non lo sa: perchè i grandi media americani questa notizia l'hanno data in breve o non l'hanno pubblicata affatto. E' così che Obama intende combattere la corruzione e gli interessi particolari? Temo che una certa Washington abbia già inghiottito Barack.. o sbaglio? Scritto in democrazia, notizie nascoste, presidenziali usa, gli usa e il mondo Commenti ( 94 ) » (7 voti, il voto medio è: 3.57 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 18Jan 09 Preghiera islamica anche al Colosseo. Ora basta Riepiloghiamo: il 6 gennaio gli islamici hanno pregato contemporaneamente a Milano di fronte al Duomo e a Bologna in piazza Maggiore davanti alla Chiesa di San Petronio. Il 10 gennaio nuova preghiera a Milano di fronte alla Stazione centrale. Ieri gli islamici hanno conquistato il piazzale di fronte al Colosseo, mentre a Bologna la questura ha vietato un'altra preghiera in pubblico prevista per il 24 gennaio. Mi spiace di dover proporre nel giro di pochi giorni il terzo post sullo stesso tema, ma non posso esimermi: questi fatti dimostrano che si tratta non di iniziative estemporanee, ma di provocazioni nell'ambito di una precisa strategia da parte dei fondamentalisti islamici sunniti che si riconoscono nell'Ucoii e dunque nei Fratelli musulmani. Con questa gente non si scherza. Nelle prossime settimane capiremo qual è il loro obiettivo finale, ma sin d'ora è chiaro che vogliono da un lato intimidire i musulmani moderati assumendo la guida di tutti i movimenti islamici in Italia, dall'altro dimostrare agli italiani, laici e cattolici, di essere in grado di occupare i luoghi più significativi delle nostre città, sfidando le leggi, i nostri valori e il buon senso. Non rispettano, non vogliono rispettare; abusano dell'ospitalità ricevuta. Ed è più che mai urgente una risposta ferma, autorevole da parte dello Stato, della società civile e della Chiesa. Resto convinto che i seguaci dell'Ucoii e di un Islam involuto e antimoderano siano una piccola minoranza tra i musulmani presenti nel nostro Paese. Ma con questi fanatici non ci può essere dialogo: l'Italia non ha bisogno di loro. E occorre che lo sappiano subito. Non c'è più tempo, non si può aspettare. Scritto in società, democrazia, Italia, immigrazione, islam Commenti ( 110 ) » (6 voti, il voto medio è: 4.33 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 15Jan 09 Battisti libero grazie a Carla Bruni. Ci risiamo. Dopo aver salvato la brigatista Marina Petrella, Carla Bruni in Srakozy avrebbe avuto un ruolo decisivo nel convincere il Brasile a non concedere all'Italia l'estradizione del terrorista Battisti. Lo scrivono i giornali brasiliani, ricordando che la coppia presidenziale francese ha trascorso le vacanze natalizie in Brasile, durante le quali ha incontrato il presidente Lula, inducendolo al dietro-front. Poco fa l'Eliso ha smentito, ma l'avvocato di Battisti, Eric Turon conferma: «Il presidente Sarkozy ha accettato di organizzare una riunione con il segretario nazionale della giustizia brasiliana, Romeu Tuma Jr, colloquio grazie al quale Battisti ha ottenuto lo status di rifugiato politico», ha detto al quotidiano Folha de S.Paulo. Insomma, il sospetto è fondato. Lo schema ormai è noto: lei ammalia, lui esegue. Diabolica, inqualificabile, pericolosissima Carlà. C'è ancora qualcuno disposto a cantarne le lodi? PS Segnalo questo godibilissimo pezzo di Stenio Solinas. Scritto in democrazia, Italia, francia Commenti ( 58 ) » (3 voti, il voto medio è: 3.67 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 14Jan 09 Svolta in vista, l'America preferisce i Paesi arabi ad Israele? Ricapitoliamo: giovedì all'Onu gli Usa si sono inaspettatamente astenuti e hanno permesso che venisse approvata la risoluzione del Consiglio di Sicurezza su Gaza. Venerdì Obama ha annunciato di voler avviare trattative diplomatiche con l'Iran e ha permesso ai suoi tre collaboratori di spifferare al Guardian che intende parlare con Hamas; smentendo solo quando Fox News lo ha incalzato pubblicamente, ma senza convincere. In alcune dichiarazioni ha espresso simpatia per le sofferenze dei civili sia palestinesi che israeliani, mostrando un'equidistanza insolita per gli standard americani (e Hillary, nell'audizione di ieri, lo ha seguito). Nel frattempo i rapporti tra Bush e Obama sono diventati eccellenti con uno straordinario livello di coordinazione in economia e in politica estera. Mentre Obama apriva a Teheran, gli spin doctor della Casa Bianca passavano al New York Times la notizia secondo cui qualche mese fa Bush bloccò un raid israeliano sulla centrale iraniana di Natanz. Evidentemente innervosito dagli ultimi sviluppi, il premier israeliano Olmert ha dichiarato che è stato lui a ottenere da Bush l'astensione all'Onu sventando una manovra di Condoleezza Rice che, secondo Gerusalemme, voleva addirittura votare a favore. "Ho costretto il presidente americano a interrompere un discorso a Philadelphia", ha affermato Olmert e "la Rice è rimasta molto male". Ma il portavoce di Bush ha smentito immediatamente, precisando che la decisione di astenersi era stata presa prima della telefonata del capo del governo israeliano. Insomma, Washington e Gerusalemme hanno polemizzato pubblicamente. Intanto la stampa Usa, fiutando il vento, ha cominciato a cambiare tono nei reportage e nei commenti su Gaza. Il titolo di copertina del settimanale Time, ad esempio, è "Perché Israele non può vincere". Gli indizi sono chiari: tra Israele e gli Usa qualcosa si è rotto. O meglio: è Washington che ha deciso di allentare parzialmente i legami con quello che fino a ieri era il suo miglior alleato in Medio Oriente. Evidentemente gli Usa pensano che strategicamente l'amicizia dei Paesi arabi stia diventando più importante di quella di Israele. Per il petrolio? sì, ma non solo. Un Medio Oriente stabile diventa vitale per gli interessi di un'America che non ha più la forza e il prestigio di qualche anno fa e che deve far fronte alla crisi finanziaria. L'incognita maggior nel 2009 è la sostenibilità del debito pubblico americano che triplicherà rispetto al 2008. Qualcuno dovrà sottoscrivere i Buoni del Tesoro americani (vedi il post dell'8 gennaio) e se la Cina, come pare, intende ridurre gli acquisti, occorrerà trovare altri acquirenti. Chi? Certo non gli europei e probabilmente nemmeno i giapponesi. Chi ancora possiede notevole liquidità, nonostante il recente calo del greggio, sono i Paesi del Golfo, che potrebbero fare incetta di Treasury bonds. Un riposizionamento degli Usa nei confronti di Israele potrebbe risultare assai gradito agli sceicchi e se si considera che gli iraniani sono indispensabili per stabilizzare un Iraq a maggioranza sciita, l'analisi appare ancora più pertinente. Gli interessi americani convergono in questa direzione. Fine di un'era o crisi transitoria tra Usa e Israele? Scritto in medio oriente, gli usa e il mondo Commenti ( 90 ) » (3 voti, il voto medio è: 3.67 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico Post precedenti Chi sono Sono inviato speciale di politica internazionale. Sposato, ho tre figli. Risiedo a Milano e giro il mondo. 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Rodolfo de Trent: Ho dei seri dubbi che sia vera la non punibilità per la reiterazione del reato!! Credo che il... 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Gb, ancora scioperi contro gli italiani (sezione: Globalizzazione)

( da "Giornale.it, Il" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

n. 5 del 2009-02-02 pagina 0 Gb, ancora scioperi contro gli italiani di Redazione Proteste degli inglesi. Il monito di Sacconi: "A rischio il patto Ue". Frattini: "Scioperi indifendibili". Ma Cota (Lega) si smarca: "Hanno ragione gli operai inglesi" Roma - Neanche le pesanti nevicate che hanno imbiancato gran parte del Regno Unito sono riuscite a placare l?ondata di scioperi e le proteste contro l?impiego dei lavoratori italiani e portoghesi nell?impianto Lindsey Oil, dove la ditta siracusana Irem ha vinto in dicembre l?appalto per la costruzione di una nuova unità. Il primo ministro Gordon Brown ha lanciato un appello sottolineando che la Total, l?azienda francese che gestisce la raffineria del North Lincolnshire, ha invitato gli operai inglesi a presentare domanda se dovessero crearsi delle opportunità lavorative. "La Total ha dichiarato che i lavoratori britannici saranno assolutamente liberi di presentare domanda di lavoro, che verrà accettata sulla base dei loro meriti. Dal momento in cui questo diventerà chiaro, i cittadini capiranno che non c?è alcuna discriminazione contro i lavoratori britannici, anche nei casi di appalti affidati a società stranieri mediante contratti britannici" ha detto Gordon Brown durante una conferenza stampa con il premier cinese, Wen Jiabao, a Londra per colloqui in vista del G20. Ma la protesta in Inghilterra va avanti e si allarga. Sacconi: a rischio il patto Ue La libera circolazione dei lavoratori "è un principio fondante dell?Unione europea, che non può essere in alcun modo messo in discussione pena la crisi del patto comunitario". è quanto ha affermato il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, riferendosi alle proteste dei lavoratori inglesi. "Nel caso specifico - ha aggiunto Sacconi a margine della presentazione dell?indagine del Cnel sul lavoro che cambia - l?azienda si avvale di propri lavoratori specializzati, non altrimenti sostituibili nel breve periodo imposto dall?immediata esecuzione dei lavori". Frattini: scioperi indifendibili Gli scioperi spontanei scoppiati in Gran Bretagna contro il contratto a termine dato ad un centinaio di lavoratori italiani per costruire un impianto in una raffineria nell?Inghilterra settentrionale "sono indifendibili", come ha detto il premier inglese Gordon Brawn. A ribadirlo è il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini. "Mi riferisco - ha detto Frattini - alle parole del primo ministro che è un personaggio saggio e competente: ha detto che quegli scioperi sono indifendibili. Questa è l?Europa, l?Europa della libera circolazione di tutti i lavoratori, di quelli italiani in Gran Bretagna e di quelli inglesi in Italia". Cota: hanno ragione gli operai inglesi Gli operai inglesi della Lindsay in sciopero contro una società italiana "hanno ragione". A schierarsi con loro è il capogruppo della Lega alla Camera, Roberto Cota, che in un?intervista a "La Stampa" spiega: "Quello che sta succedendo a Grimsby è l?esempio più classico della globalizzazione che ci presenta il conto. Ce lo ha già presentato con la crisi economica e finanziaria, con il problema della sicurezza e adesso tocca al mercato del lavoro. Sono gli effetti di una globalizzazione senza regole o con le regole saltate, una globalizzazione selvaggia. Adesso tocca a Grimsby. Prima o poi si parlerà del Veneto". Matteoli: nell'Ue libera circolazione "L?Inghilterra deve tener conto che fa parte dell?Europa, in cui c?è la libera circolazione dei lavoratori". Risponde così il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli ai cronisti che gli chiedono un commento sugli scioperi contro gli operai italiani. La ditta siciliana: 100 inglesi con noi a Rovigo "Non capisco le polemiche in Gran Bretagna: ci sono contratti europei e leggi del libero mercato che vanno rispettati. Noi non ci fermiamo, anche perchè dovremmo pagare una grossissima penale alla committente Total". Lo afferma il vice presidente dell?Irem, Nello Messina, la società di Siracusa che deve realizzare un impianto di desolforazione nella raffineria Lindsey Oil di Grimsbyin, in Gran Bretagna, i cui lavori sono bloccati da una protesta dei lavoratori locali. "Forse in Gran Bretagna - aggiunge Messina - non sanno che noi stiamo realizzando un rigassificatore in provincia di Rovigo su una piattaforma off shore alla quale, con noi, lavorano un centinaio di operai inglesi. Loro possono, e ci mancherebbe altro, lavorare in Italia come noi, nel rispetto delle leggi, possiamo lavorare in Gran Bretagna". © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

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Davos, il vento è cambiato (sezione: Globalizzazione)

( da "AprileOnline.info" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Davos, il vento è cambiato Leo Sansone, 02 febbraio 2009, 11:59 Politica Dal Forum internazionale dell'economia si indica il mercato sociale della Ue come modello da imitare per contrastare la recessione internazionale. Il segno che il turbocapitalismo morde il freno e si riscopre una tradizione politica che si deve al partito socialista e alle lotte operaie. La stessa formazione partitica che in Italia è sparita, rendendo possibile a Berlusconi l'assalto al welfare Apprezzamenti, lodi, encomi. L'Europa, vista fino ad un anno fa come un continente in inarrestabile declino sotto i colpi della concorrenza statunitense ed asiatica, ora è indicata come un punto di riferimento da imitare per affrontare e superare la tempesta della recessione economica internazionale. Al Forum economico mondiale di Davos, i campioni del capitalismo senza vincoli hanno indicato l'Unione Europea come il modello da imitare, con la centralità assegnata all'economia sociale di mercato. Lo sprezzante appellativo di "vecchia Europa" è andato in soffitta. Per la Ue "il primo punto di forza è l'economia sociale di mercato", ha scritto qualche giorno fa Mario Monti sulla prima pagina del "Corriere della Sera", stilando il bilancio di Davos con un fondo dal titolo "L'egoismo delle nazioni". Per l'ex commissario europeo alla Concorrenza gli Stati Uniti e la Cina, i due colossi dell'economia mondiale, ora sono costretti dalla crisi ad adottare le due carte vincenti della Ue: i meccanismi di protezioni sociali e l'integrazione economica adottata dai 27 paesi del Vecchio continente. La prima è una rete di sicurezza interna per proteggere i disoccupati e i lavoratori minacciati dalla crisi, la seconda è un'azione di coordinamento internazionale delle politiche economiche per schivare i rischi di dazi e di protezionismi. Il professor Monti, in passato un convinto liberista, teorizzatore di una concorrenza senza freni per competere con gli Usa e le "tigri" asiatiche, anche a costo di smontare lo Stato sociale, sembra aver rettificato la sua impostazione. Ma anche a Washington e a Pechino non spira più il liberismo di un tempo. Barack Obama ha presentato un programma di 819 miliardi di dollari, dopo i 700 miliardi stanziati da George Bush per salvare le banche, per sostenere l'economia in recessione e riconvertirla in chiave ambientalista. Il nuovo presidente Usa prevede interventi anche per aiutare chi non riesce più a pagare le rate del mutuo di casa. Wen Jabao, primo ministro di Pechino, pensa di adottare molti meccanismi europei di protezione sociale nella sua Cina centauro: una dittatura comunista con una economia ipercapitalista. La crisi, passata dalla finanza americana all'economia reale internazionale, comincia a far paura. "La crisi è un disastro continuo per le famiglie dei lavoratori americani", ha tuonato il primo presidente afro-americano degli Usa. Barcolla tutta l'industria americana, dall'automobile all'elettronica, e Obama non vuole assistere inerte al fallimento delle imprese e all'arrivo di milioni di disoccupati. Anche l'Europa soffre i morsi della crisi, "ma ha il vantaggio - ha scritto Monti - di avere gli strumenti che l'America e l'Asia sentono ora il bisogno d'introdurre". Gran parte dell'Unione Europea ha una forte rete di protezione sociale. Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna, Svezia e Italia sono paesi dotati di una antica struttura di assistenza sociale: la sanità pubblica gratuita per tutti; la previdenza sociale obbligatoria, pubblica e universale; l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro: indennità di disoccupazione, di cassa integrazione accompagnate a corsi di formazione per chi perde il lavoro; la negoziazione nazionale dei contratti di lavoro di primo livello e quella aziendale di secondo livello; l'orario di lavoro di 40 ore settimanali. Sono conquiste, Monti questo non lo dice, che non sono arrivate gratis. Sono diritti realizzati in 150 anni di lotte, condotte dai partiti socialisti e dai movimenti operai europei. Karl Kautsky, Eduard Berstein, Filippo Turati (visti come "rinnegati" dai comunisti), spesero una vita e affrontarono mille pericoli nelle battaglie contro i governi conservatori e contro gli industriali per l'emancipazione politica ed economica della masse popolari. Il generale Fiorenzo Bava Beccaris nel 1898 fece sparare con i cannoni sulla folla, che protestava contro il caro vita a Milano. Per decenni i governi e le imprese europei si opposero all'introduzione di una rete di garanzie sociali, temendo di perdere profitti e competitività. Ma, alla fine, accettarono le novità, capendo che le migliori condizioni di vita dei lavoratori avrebbero ridotto la conflittualità sociale e accresciuto la produzione da un punto di vista sia quantitativo e sia qualitativo. Grazie a queste lotte nacque, tra gli anni Trenta e Sessanta del 1900, lo Stato sociale, un vanto di civiltà per l'Europa. Negli anni Ottanta, l'era di Margareth Tatcher e di Ronald Reagan, s'impose invece il modello del liberismo e della globalizzazione, una folle corsa verso i profitti senza riguardi per il rispetto dei lavoratori e dell'ambiente, che si è infranta a settembre sugli scogli dei primi fallimenti delle banche americane, inventrici dei mutui e dei "derivati" speculativi. Ora il vento sta cambiando a livello mondiale perché la recessione accresce gli già insopportabili squilibri sociali e geopolitici e rischia di far naufragare interi paesi. Gli Usa e la Cina se ne sono accorti e, in modo diverso, stanno cercando di imitare il modello sociale europeo, di matrice socialista e cristiano-democratica. Solo l'Italia, sempre in ritardo su tutto, sembra non accorgersene. Da noi il governo Berlusconi continua a ridurre i livelli di protezione sociale. L'esecutivo il 22 gennaio, senza la firma della Cgil, ha stipulato un accordo separato con Cisl, Uil, Ugl e Confindustria che depotenzia il contratto nazionale e i salari (gli aumenti non saranno più legati all'inflazione programmata, ma al costo delle vita europeo armonizzato e deputato dei rincari dell'energia). Non solo. Giulio Tremonti ha ipotizzato, per poi smentirla, l'ennesima riforma delle pensioni. Strani discorsi. Il ministro dell'Economia in campagna elettorale, come Silvio Berlusconi, indicava la necessità di aumentare il potere d'acquisto delle retribuzioni e delle pensioni, ora suona una musica ben diversa. In Italia, al contrario di altri paesi europei, si discute poco su come affrontare la crisi e su quali strumenti allestire contro il rischio della disoccupazione per milioni di lavoratori e precari. I 4 milioni e mezzo di immigrati sono considerai come un problema di ordine pubblico o etnico (il razzismo è sempre in agguato) e non come lavoratori indispensabili all'economia, da tutelare come i compagni italiani. Si discute molto, invece, sul varo di uno sbarramento elettorale del 4% dei voti (fortemente voluto da Walter Veltroni) alla vigilia delle elezioni europee di giugno, oppure si parla della riforma della giustizia (perseguita con tenacia da Silvio Berlusconi). L'Italia è il paese delle anomalie. Qui pesa il vuoto dell'assenza di un grande partito socialista, che permette pericolose incursioni contro la struttura dello Stato sociale. Nelle altre nazioni europee gli attacchi al Welfare sono più difficili, perché è sempre presente un grande partito socialista o socialdemocratico. "Carlo Marx è stato mandato in soffitta", disse con una battuta ironica Giovanni Giolitti nel 1911 alla Camera, presentando il suo quarto governo. Ma non era così, anzi: Marx, nella versione socialdemocratica, cominciava a dare frutti. Il presidente del Consiglio annunciò grandi novità: il suffragio universale, il monopolio pubblico delle assicurazioni sulla vita, le indennità ai parlamentari. Erano le battaglie storiche del Psi, nato nel 1892. Difatti i socialisti di Turati votarono il sostegno a quelle grandi riforme. Fu un grande risultato soprattutto il suffragio universale, che ruppe i meccanismi di potere dei potentati liberali ed aprì la strada alla democrazia dei ceti popolari.

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Dopo Bush, Obama: discontinuità e vincoli nella politica estera (sezione: Globalizzazione)

( da "AprileOnline.info" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Dopo Bush, Obama: discontinuità e vincoli nella politica estera Silvana Pisa, 02 febbraio 2009, 15:48 Approfondimento Perché la vittoria di Obama passi dal piano simbolico a quello della realtà, occorre che la Casa Bianca inverta le priorità: non è il nucleare iraniano a premere (anche i servizi segreti Usa lo hanno riconosciuto e il tema della denuclearizzazione riguarderebbe l'intera area, da Israele a Pakistan) ma il medio oriente come "madre di tutte le questioni": l'ingiustizia e l'assimetria tra un paese che c'è e un popolo senza paese E' difficile prevedere se Obama riuscirà a risolvere il grande disordine mondiale ereditato da Bush. A occhio c'è da dubitarne: non tanto per la mancanza di volontà soggettiva del neo presidente quanto per la complessità della situazione. Ad una crisi economica globale di proporzioni inedite, per cui le grandi lobby finanziarie ed economiche si aggrappano al collo altrui pur di non naufragare, si aggiunge un contesto internazionale fortemente deteriorato dall'amministrazione precedente. Bush, col suo comitato d'affari ossessionato dal possesso delle risorse energetiche (Cheney, l'Hallyburton,ecc) e supportato dagli ideologi neocon che hanno coperto le politiche di guerra Usa con l'esportazione della democrazia, ha lasciato terra bruciata. Ormai è evidente che la "guerra al terrorismo" non solo ha aggravato l'instabilità mondiale - che, con effetto domino si è ampliata dal Medio Oriente al Pakistan - ma è stata utilizzata come pretesto per scopi geopolitici e strategici precisi, di marca prettamente unilaterale. Si è trattato del controllo delle fonti e delle reti energetiche che a loro volta determinano gerarchie economiche e influenze politiche. Per questo Bush si è inventato gli "stati canaglia" (Afghanistan, Iraq, Siria e Iran) da colpire in sucessione, con lo scopo di sottrarre gasdotti e petrolio al controllo e all'utilizzo di altre potenze (Russia, Cina e India). Per questi stessi scopi espansionistici gli Usa hanno aumentato la spesa militare (warfare contro welfare) costringendo gli alleati della Nato a fare altrettanto. La prova della scelleratezza delle delle scelte di Bush è data dalla maggioranza schiacciante della vittoria elettorale di Obama. Il punto è capire se,al di là delle promesse fatte in campagna elettorale, il primo presidente afroamericano saprà costruirsi margini per attuare la discontinuità promessa. Segnali in questo senso Obama li ha lanciati fin dal discorso del suo insediamento. Ha esplicitato gli errori dell'amministrazione precedente: la limitazione dei diritti civili del Patriot Act, l'uso della tortura non solo nel carcere di Guantanamo, le renditions nei paesi stranieri; ha proposto il metodo del dialogo nei confronti del mondo islamico "noi americani non siamo vostri nemici!". Ma, come ha recentemente scritto il generale Fabio Mini: "un terzo delle buone intenzioni di un presidente naufragano durante il primo briefing coi servizi segreti, un terzo glielo affonda il Pentagono e un terzo glielo stritolano i gestori del sistema economico - industriale.." Per le guerre in corso (Afghanistan e Iraq) la possibilità di discontinuità è molto limitata nonostante che la promessa del ritiro dei militari dall'Iraq entro il 2010 sia stato un punto chiave della sua campagna elettorale. Su questo impegno deve averci fatto conto il presidente iracheno Al Maliki che ha insistito per ottenere un calendario dettagliato del ritiro totale dei soldati americani e ha firmato con gli Usa, il 18 novembre scorso, l'accordo bilaterale che ne regola l'exit strategy. In questo accordo tra l'altro, oltre ai termini perentori del ritiro,è previsto il divieto ai militari statunitensi di operare nel paese senza la piena approvazione e il coordinamento con gli iracheni; il divieto di imprigionare cittadini iracheni senza il consenso delle autorità locali; il divieto di utilizzo del territorio e dello spazio aereo iracheno per lanciare attacchi ad altri paesi. Fin da subito l'amministrazione Bush, in attesa del passaggio effettivo di poteri, adottava "interpretazioni" dell'Accordo per aggirarlo: le unità militari operative vengono rinominate" addestratori" e come tali liberate dai vincoli ( l'Italia in Afghanistan ha utilizzato lo stesso metodo per modificare i limiti previsti dalle nostre regole d'ingaggio); per giustificare raid contro obbiettivi situati in altri paesi, è sufficiente invocare una generica "legittima difesa"che, come si sa, in zone di guerra non è difficile da trovare. Questa marcia indietro è effetto degli equilibri immutati al Pentagono: Obama ha ricevuto pressioni per confermare il repubblicano Robert Gates come ministro della Difesa e il controllo del ritiro dall'Iraq difficilmente passerà dal Pentagono al Dipartimento di Stato. Come hanno già rivelato editorialisti Usa a fine novembre, in Iraq resteranno comunque 70.000 militari statunitensi "per un lungo periodo, anche al di là del 2011..!" Continuità si prospetta anche in Afghanistan. Obama si è impegnato a proseguirne l'occupazione militare: anzi ha promesso un aumento delle truppe, ridislocate dall'Iraq, in vista di un altro "surge". Si dimentica che la relativa stabilizzazione irachena è intervenuta non tanto per l'intervento militare del generale Petreus, quanto per l'avere prodotto - finalmente - alcune soluzioni politiche: come la trattativa coi sunniti che, tra le altre cose, ha reintegrato piu' di 100.000 appartenenti al partito Baath, già espulsi con miopia all'indomani della conquista militare di Baghdad. La popolazione afgana è sempre più ostile ai militari stranieri per via dei frequenti bombardamenti sui civili e per il peggioramento delle condizioni di vita: l'incremento di truppe non può essere considerato come fattore di stabilizzazione, tutt'altro e persino il presidente Karzai, intervenendo il 20 gennaio all'apertura del parlamento, ha chiesto alle forze straniere presenti nel paese di "rivedere la strategia militare e di sicurezza". I militari stranieri non solo non hanno conquistato cuori e menti degli afgani ma se li stanno inimicando sempre più: uno zelante generale Usa ha addirittura recentemente proposto di "sparare a vista" sui produttori di papaveri da oppio! Se poi l'aumento delle Truppe Usa e Nato tende a costruire basi avanzate per intervenire militarmente sui taliban in Pakistan, è chiaro che questo significa ampliare l'instabilità a tutta la regione. Quello che manca ancora è una soluzione politica sostenuta da adeguate risorse economiche che accompagnino una strategia d'uscita. Novità di rilievo Obama potrebbe produrle rispetto a Russia e Iran. Il disgelo con la Russia si è manifestato nelle settimane scorse con dichiarazioni di distensione del duo Medvedev-Putin a cui è seguito l'annuncio di ritiro dellla minaccia di utilizzo dei missili Iskander dalla base russa di Kaliningrad: minaccia fatta per ritorsione alle politiche aggressive di Bush, condotte per interposta Nato ( pressioni su Ucraina e Georgia per entrare nel Patto Atlantico ampliando l'isolamento della Russia) e sostanziate militarmente con l'installazione di tecnologie antimissilistiche nella repubblica Ceca e in Polonia: proprio ai confini con la Russia in pregiudizio degli equilibri strategici esistenti. Il fatto che Obama, fin dalla campagna elettorale, avesse dichiarato di volere "verificare l'utilità" dello scudo antimissile, ha aperto una porta nei confronti del dialogo con Mosca. Gli Stati Uniti hanno bisogno di vie di transito in territorio russo, per gli approvvigionamenti delle truppe che operano in Afghanistan: questo punto è stato anche merce di scambio, durante la recente guerra in Georgia, rispetto alla presenza di navi Usa della sesta flotta lungo le coste del Caspio. Altro terreno, minato da Bush e quindi da disinnescare, riguarda il rapporto con l'Europa divisa dai neocon tra nuova e vecchia Europa secondo un intransigente "o con noi o contro di noi". Non c'è dubbio che l'Europa dipenda in gran parte dalle risorse energetiche russe ma questo non significa perdita di autonomia politica, problema che, caso mai, si è evidenziato nei confronti degli Usa (basi militari, coproduzioni di armamenti, collaborazioni militari..).. La vera chiave per la stabilizzazione dell'intera area medio orientale e asiatica è nel rapporto che Obama saprà costruire con l'Iran, per via della molteplicità delle questioni che questo paese assume: dall'influenza di Teheran sul mondo scita (Iraq e Hezbollah in Libano) a quello radicale sunnita (Hamas nei territori palestinesi e Siria); dalla collaborazione nella stabilizzazione di Iraq e Afghanistan, ai rapporti economici che riguardano l'esportazioni del proprio greggio verso Cina e India; dal sostegno alla produzione iraniana di nucleare civile portata avanti da Russia e Cina nel consiglio di sicurezza dell'ONU, stoppando le proposte di sanzioni, al "cartello del gas" con Russia e Qatar. Ancora: la drammatica attualità ci ricorda che oggi una soluzione del problema israelo-palestinese non si dà senza il coinvolgimento di Theran, piu' ancora che della Lega araba. Per gli Stati Uniti, è necessario riconoscere il ruolo dell'Iran come potenza regionale, a costo di riequilibrare l'interlocuzione privilegiata col fronte arabo sunnita (Arabia Saudita, Egitto, Giordania). Questo significa richiamare Israele ad un principio di realtà. A poco vale aver dotato Tel Aviv dell'esercito più potente della regione quando questo continua a produrre morte ed odio. La "terra promessa" non era disabitata e non si può chiedere ad un popolo di morire in silenzio. Perché la vittoria di Obama passi dal piano simbolico a quello della realtà, occorre che la Casa Bianca inverta le priorità: non è il nucleare iraniano a premere (anche i servizi segreti Usa lo hanno riconosciuto e il tema della denuclearizzazione riguarderebbe l'intera area, da Israele a Pakistan) ma il medio oriente come "madre di tutte le questioni": l'ingiustizia e l'assimetria tra un paese che c'è e un popolo senza paese.

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Non siano lavoro e ambiente a pagare la crisi (sezione: Globalizzazione)

( da "AprileOnline.info" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Non siano lavoro e ambiente a pagare la crisi Firme varie, 02 febbraio 2009, 18:27 Il documento Il testo della piattaforma unitaria di tutta la sinistra, cioè dello schieramento che ha dato vita alla manifestazione dell'11 ottobre, sui temi della crisi economica. Un convegno a Roma il 15 febbraio al Centro Congressi Cavour NON SIANO LAVORO E AMBIENTE A PAGARE LA CRISI APRIRE LA STRADA AD UN'ALTERNATIVA E' POSSIBILE E NECESSARIO L'esplosione della crisi economica a livello mondiale conferma con drammatica evidenza i guasti ed i danni del neoliberismo, impostosi come "pensiero unico" dal tempo della Thatcher e di Reagan. La "globalizzazione" ha favorito le speculazioni, accentuato gli squilibri e le ingiustizie nel mondo ed all'interno dei singoli paesi. Oggi si sommano rallentamento dell'economia e crisi finanziaria; caduta degli investimenti e crescita della disoccupazione. Stanno apparendo ormai chiari i limiti culturali di una concezione "sviluppista" che ha creato enormi disuguaglianze; ha costretto intere popolazioni a migrare; ha alterato l'equilibrio dell'ecosistema planetario. In Italia ad una limitata capacità innovativa dell'apparato produttivo, con un capitale più rivolto alla finanza che agli investimenti, si sono sommate la crescita di disuguaglianze economiche e sociali, l'aumento della povertà, l'esplodere dei localismi, la crescita della precarietà, l'indebolimento dei diritti. Tutto ciò ha portato ad una profonda crisi della politica, a rischi per la stessa tenuta democratica del Paese. Per evitare che a pagare - come sempre - siano coloro che non hanno alcuna colpa, è necessario che la sinistra esca dalla afasia e recuperi una capacità di azione unitaria che si ponga al servizio della costruzione di un grande movimento all'altezza della crisi. Noi che abbiamo dato vita alla manifestazione dell'11 ottobre con il convincimento che fosse necessario contribuire alla rimessa in moto di una opposizione politica e sociale, vediamo con grande soddisfazione e speranza la forte ripresa delle lotte sociali in tutta Italia: dal referendum di Vicenza alla mobilitazione per la ripubblicizzazione dell'acqua; dal movimenti in difesa della scuola pubblica alle lotte dei lavoratori pubblici e privati promosse dalla CGIL e da altre strutture sindacali, tra cui i sindacati di base, sino al recente sciopero generale, che ha aperto una vera e propria nuova fase di mobilitazione sociale. Queste mobilitazioni devono potersi intrecciare e congiungere in un grande progetto di cambiamento e di trasformazione dell'economia e della società. Il documento che proponiamo non ha l'ambizione di offrire un'interpretazione della crisi, né vuole essere una piattaforma compiuta ma rappresenta un contributo per aprire la discussione. Vi dovranno essere momenti successivi nei quali, nel quadro di una diffusa iniziativa territoriale, gli obiettivi che ci proponiamo saranno approfonditi e precisati. Ora è importante avanzare delle proposte nella convinzione che, dentro la crisi, bisogna innanzitutto dare una risposta immediata agli uomini e alle donne che la subiscono con angoscia e preoccupazione. E' per questo che vorremmo che questo contributo fosse colto per quello che intende essere: un'occasione di confronto e di verifica della possibilità di costruire su concrete proposte una convergenza ampia a sinistra in grado di intervenire sull'emergenza ed aprire la strada ad orizzonti alternativi. Contro la crisi una nuova politica europea ed un piano per la stabilità monetaria A livello europeo la crisi finanziaria è sopraggiunta a contraddire l'orientamento della BCE - e di gran parte dei Governi europei - che fino a poco tempo fa consideravano l'inflazione il pericolo da contenere con una politica di alti tassi e soprattutto di compressione dei salari. Ora, invece, si interpreta la crisi come una fase di recessione dell'economia (ancora misurata esclusivamente sulla caduta del PIL) da fronteggiare con un aumento del deficit pubblico. Per questo viene meno la rigidità nel considerare inviolabili i vincoli del patto di Maastricht, in particolare per quanto riguarda il possibile superamento del deficit del 3%. E' stato deciso dal Consiglio Europeo un piano di interventi di 200 miliardi di euro, per stimolare la domanda e gli investimenti, maggiori sussidi di disoccupazione e misure di assistenza sociale. Si tratta di misure minime dettate dall'urgenza della situazione che vede la crisi peggiorare e scaricarsi sui Paesi europei. E' del tutto assente una scelta politica che rafforzi la coesione comunitaria contro la competizione tra gli Stati e che segni un cambiamento di impostazione delle politiche economiche e sociali. Per questo è importante il segnale che è venuto dal Parlamento Europeo con la bocciatura della direttiva che allungava l'orario di lavoro. è ora necessaria una ripresa di iniziativa per una nuova politica europea, che dia finalmente valore alla costruzione comunitaria, proponendo soluzioni per le condizioni materiali di vita e per i diritti delle cittadine e dei cittadini, delle lavoratrici e dei lavoratori. L'Unione Europea può essere l'area del mondo dove portare avanti in una prospettiva di pace un processo di riconversione delle produzioni e dei consumi, di creazione di nuove politiche di welfare universalistiche in grado di dare valore al lavoro di riproduzione della forza lavoro, di salvaguardia dell'ambiente. Ciò richiede una dialettica sociale e politica fondata su principi e pratiche democratiche, nella quale si valorizzi il conflitto sociale e possano misurarsi i diversi punti di vista generali corrispondenti ai differenti interessi, superando così la situazione degli ultimi decenni nei quali il capitale è stato assunto a paradigma fondamentale a cui tutto (lavoro e natura innanzitutto) doveva essere subordinato. Una delle condizioni per sostenere questo processo è un piano per la stabilità monetaria. Esso va portato avanti in ogni sede internazionale per potere giungere alla convocazione di una conferenza mondiale sulle questioni finanziarie e monetarie, che abbia l'ambizione, come fu per la conferenza di Bretton Woods nel '44, di porre le basi per un nuovo ordine economico internazionale. La crisi mondiale ha messo, infatti, in luce la totale inadeguatezza dei suoi organi di governo mondiali (come il Wto, il Fmi, La Banca mondiale) e la crisi dell'egemonia del dollaro e degli Stati Uniti sul piano economico. Il baricentro del capitalismo si sta spostando a Est. Se non vogliamo che ciò sia fattore di continue tensioni che possono sfociare in nuovi terribili conflitti distruttivi, bisogna prevedere una sede in cui, sotto l'egida dell'Onu, i Paesi si incontrino su un piano di parità per stabilire un nuovo sistema di cambi stabili, per limitare se non impedire le speculazioni finanziarie, per chiudere i paradisi fiscali, per decidere forme di tassazione dei movimenti di capitale e di intermediazione finanziaria, i cui proventi potrebbero alimentare un fondo per la difesa dell'ambiente e un modello di sviluppo non distruttivo per i Paesi del sud del mondo. Contro la politica del governo italiano La politica del Governo Italiano è caratterizzata da interventi socialmente discriminatori; da sottrazione di risorse al Mezzogiorno (aggravandone così la distanza dal resto e del Paese e dell'Europa); da un piano di investimenti in grandi opere che, oltre a essere non sostenibili dal punto di vista ambientale e spesso inutili, produrranno scarsi risultati occupazionali. Oggi servono, invece, interventi in grado di combinare qualità ambientale e creazione di nuovi posti di lavoro. Ciò che manca in Italia è soprattutto una nuova politica industriale. Il governo persegue una linea di angusta protezione degli equilibri più arretrati dell'industria nazionale senza aprire una reale prospettiva di rinnovamento, come ha dimostrato la resistenza al piano di abbattimento dei gas serra proposto dalla U.E. Questa politica, sollecitata dalla Confindustria, dimostra l'incapacità delle classi dirigenti del paese ad affrontare i cronici problemi dell'innovazione che hanno reso debole la struttura produttiva e hanno provocato la continua perdita di competitività del nostro paese ben prima che le conseguenze della crisi finanziaria arrivassero fino a noi. Il piano deciso dal governo italiano di 80 miliardi è in sostanza la riproposizione di decisioni di spesa già assunte, facenti riferimento ai Fondi europei. La quantità diretta a sostenere le retribuzioni e gli investimenti è del tutto risibile e inefficace. D'altro canto il solo aiuto alle banche non risolve il problema. In Italia in particolare si deve aggredire la crisi dal lato del lavoro (blocco dei licenziamenti, difesa dei salari e stabilizzazione dei rapporti di lavoro) e da quello della qualificazione del tessuto produttivo, puntando su settori tecnologicamente e socialmente innovativi; dando centralità alla questione della sostenibilità ambientale; affrontando la crisi di coesione del Paese che ha nel Mezzogiorno il suo punto cruciale per il sommarsi di problemi economici, sociali, politici, di funzionamento della P.A. con la questione criminale. Difendere l'occupazione e valorizzare il lavoro Le imprese stanno affrontando la crisi con un massiccio ricorso ai licenziamenti, cominciando dai più deboli: i lavoratori immigrati ed i precari. Occorre evitare che la crisi diventi un'occasione per riconfermare e rafforzare il modello che si è imposto negli ultimi decenni, fondato sul primato incontrastato e unilaterale dell'impresa e della subordinazione ad esso dei diritti e della funzione del lavoro. Non c'è credibilità in nessun piano anti-crisi, che non sia anche l'occasione di una politica industriale tesa a trasformare e qualificare il nostro apparato produttivo, se non si assumono come condizioni: l il blocco dei licenziamenti e delle interruzioni dei rapporti di lavoro precari, in vista di una loro progressiva stabilizzazione; l la sospensione della Legge Bossi-Fini che in questo momento diverrebbe solo uno strumento di espulsione di extracomunitari che hanno perduto il lavoro; l l'estensione degli ammortizzatori sociali a tutto il mercato del lavoro, comprendendovi ogni tipo di precariato, nel quadro di una politica sociale universalistica ispirata all'obiettivo della piena occupazione e tesa a realizzare misure generali di sostegno al reddito per inoccupati e disoccupati . Sono tutte richieste poste a base dello sciopero generale proclamato dalla CGIL il 12 dicembre e rilanciate negli scioperi e nelle manifestazioni territoriali e nazionali, generali e di categoria (a partire dagli appuntamenti fissati dalla Fiom e dalla Funzione Pubblica della Cgil), che hanno avuto luogo o si svolgeranno nelle prossime settimane. Sono gli stessi contenuti che saranno al centro della manifestazione nazionale che la CGIL ha indetto per il 4 aprile a Roma. In questo quadro anche un maggior volume di credito bancario è necessario. Vanno attivate linee di accesso al credito sostenute e controllate dallo Stato e dalle Regioni per favorire le attività economiche create dai lavoratori che hanno perso il lavoro a seguito della chiusura delle loro aziende o di chi vuole costruirsi autonomamente un futuro in una fase di scarso assorbimento di manodopera. Diventa urgente la definizione di un diverso e più favorevole regime fiscale per le "partite IVA" e le imprese fino a tre dipendenti. Serve un progetto di riforma dei mercati finanziari e del sistema bancario che stabilisca divieti precisi su prodotti finanziari rischiosi e offra garanzie per i risparmiatori. Le misure che debbono accompagnare il blocco dei licenziamenti e la sospensione dell'interruzione dei rapporti di lavoro precari (cassa integrazione a rotazione, orari ridotti, contratti di solidarietà) non debbono contraddire la scelta di una netta e chiara inversione di tendenza nella distribuzione della ricchezza tra salari, profitti e rendite, che contrasti l'impoverimento dei redditi da lavoro e la inammissibile diffusione di retribuzioni minime al di sotto la soglia di povertà . Contemporaneamente è necessario sviluppare un'iniziativa per un radicale cambiamento delle legislazione sul mercato del lavoro e sull'orario che porti all'eliminazione degli interventi legislativi che hanno determinato l'attuale situazione di flessibilità e precarietà. Una svolta è necessaria anche nelle relazioni sindacali per quel che riguarda l'irresponsabilità delle imprese a fronte dei problemi occupazionali, lo svuotamento progressivo della contrattazione collettiva e del diritto del lavoro, il continuo ripetersi di accordi separati privi di validazione democratica da parte dei lavoratori e delle lavoratrici, il tentativo di collocare il sindacato in una dimensione cogestionale e neo-corporativa. Si pone il problema urgente di regole democratiche che rendano vincolante il parere dei lavoratori e delle lavoratrici su piattaforme e accordi sindacali. Programmazione democratica e politiche fiscali L'attuale offensiva del Presidente del Consiglio sull'ottimismo e sulla tenuta dei consumi privati, oltre a scontrarsi con una crescita delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito e l'impoverimento di fasce crescenti della popolazione anche lavorativa, non fa i conti con l'osservazione - ormai consolidata nella riflessione economica - che un Paese non si arricchisce per il semplice fatto che le persone sono indotte a spendere tutto il loro reddito in consumi correnti (che ha portato all'intreccio di acquisto di merci e di loro spreco tipico del consumismo), ma si arricchisce quando si è in presenza di una politica degli investimenti tesa a innovare le strutture produttive e il sistema dei servizi, a cominciare da quelli pubblici. Interventi economici di questo tipo richiedono il superamento delle politiche neo-liberiste di de-regolazione e la ripresa dell'intervento pubblico in economia in un contesto di programmazione democratica. La graduazione degli interventi nel tempo e per priorità non deve rispondere a logiche di emergenza, ma ai problemi concreti dei territori e delle condizioni materiali di vita delle persone. Il primo e fondamentale, che tocca da vicino i lavoratori dipendenti come i piccoli risparmiatori, è la conferma dell'insicurezza e del rischio come elementi costituenti l'economia di mercato che solo l'intervento pubblico può affrontare con efficacia. L'azione per dare ruolo strategico all'intervento pubblico in economia e per la salvaguardia dei beni e dei servizi pubblici deve basarsi sopra l'ampliamento dell'iniziativa democratica dei cittadini, la riforma della politica ed il rafforzamento delle reti di sicurezza sociale. Assumono un'importanza sociale ed economica una serie di misure di giustizia fiscale come la tassazione delle rendite finanziarie, una maggiore progressività per i redditi più alti e la restituzione del drenaggio fiscale per i redditi da lavoro e da pensione, la lotta all'elusione ed all'evasione fiscale che è di nuovo in aumento. Scuola pubblica e Stato sociale Condizione per il cambiamento del sistema di produzione e di consumo è il riconoscimento della qualità del lavoro e l'utilizzo a pieno delle capacità e delle competenze formate dalla scuola, dall'università e dai centri di ricerca. L'altra faccia della perdita di efficienza del Paese è proprio l'impossibilità di entrare nel mercato del lavoro di tanti giovani, tra cui molte ragazze e moltissime donne, le cui competenze vengono negate e sottoutilizzare o malamente riconosciute nel circuito del precariato. La crisi della scuola e dell'università - che nasce dall'appannamento nell'opinione pubblica nazionale della loro funzione di formazione dei cittadini e delle cittadine dotati di una cultura generale e di un pensiero critico che sia a fondamento della libertà delle scelte di ognuno e di ognuna - pregiudica la capacità di rispondere alle domande di mobilità sociale e riconoscimento professionale che l'istruzione di massa attiva. La questione sollevata dal movimento degli studenti e dei ricercatori non si risolve solo con provvedimenti di sostegno economico e può precipitare verso logiche meritocratiche (lesive del riconoscimento vero del merito), se non si accompagna a proposte di riconversione economica, sociale, ambientale che richiedono buona occupazione e valorizzazione dei saperi. Alla base di una nuova idea di società sta la difesa e la qualificazione dello Stato sociale. Il Governo, con il suo "Libro verde", ha proposto un manifesto ideologico che disegna un arretramento delle tutele collettive per il lavoro; la privatizzazione dei servizi pubblici, la negazione dei diritti universali di cittadinanza e della soggettività delle donne. L'idea di fondo è che l'individuo (maschio e occidentale), con le sue forze e con il sostegno della famiglia o della comunità di appartenenza, deve farsi strada nel mondo, mentre al centro dell'economia sta l'impresa che scarica sulla società problemi determinati dalle sue scelte. Su questa base si sta preparando una nuova aggressione al sistema sanitario ed a quello previdenziale, di cui la proposta di innalzare l'età pensionabile delle donne è il primo avviso. Per la Sinistra il tema dei diritti, dell'inclusione sociale, del miglioramento delle reti dello Stato sociale deve avere come esclusivo riferimento l'art. 3 della Costituzione: è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Alcune proposte per il cambiamento Sulla base di questi orientamenti noi proponiamo: Un piano di riconversione per la sostenibilità ecologica dell'apparato produttivo - a cui finalizzare consistenti aiuti di Stato - ed un piano alternativo per l'energia basato sul rifiuto della scelta disastrosa del nucleare. è matura, tecnologicamente ed economicamente, una scelta a favore del risparmio energetico, dell'efficienza e delle energie rinnovabili. In questo modo è possibile e realistico puntare all'obiettivo di procurare al Paese gran parte dell'energia che gli è veramente necessaria. Da politiche economiche in grado di risolvere i problemi ambientali e quelli relativi al futuro industriale del paese può venire un contributo decisivo alla soluzione dei drammatici problemi sociali che la crisi sta producendo. La lotta per il lavoro deve collegarsi ad un idea di politica industriale che metta al centro scelte di sistema, come nel caso della mobilità, a cui ricondurre i vari interventi sia di mobilità pubblica che individuale secondo piano intermodali, fuori da una idea di gerarchia e concorrenza tra i vari prodotti, all'interno della quale costruire anche la stessa prospettiva della nostra industria automobilistica. Un programma di manutenzione delle strutture pubbliche (dagli edifici scolastici al recupero edilizio, dalle reti idriche alla rete stradale e ferroviaria "minore") e di messa in sicurezza del territorio (valorizzando le produzioni agricole locali oltre che la difesa delle risorse naturali, fermando l'ulteriore consumo di suolo). Questa è la grande opera pubblica di cui ha bisogno il Paese, può attivare rapidamente un flusso di spesa consistente rivolta ad un esteso sistema di piccole imprese e richiede un consistente utilizzo di lavoro anche qualificato. Un programma per la individuazione e valorizzazione sociale dei beni comuni in un ambito di gestione e fruizione collettiva (servizi acquedottistici, servizi alla mobilità, residenza popolare, beni demaniali, patrimonio artistico e paesaggistico, formazione permanente, ecc.) da sottrarre alle logiche del mercato (che si sono dimostrate inefficienti e controproducenti esposte al rischio di speculazione finanziaria) a favore di un vero federalismo municipaleUn piano di riqualificazione del lavoro pubblico, per migliorare i servizi, dando più spazio a figure professionali nuove. Il problema della P.A. è la presenza ancora eccessiva di figure professionali burocratiche e/o con compiti "riparativi" o "repressivi". Il sistema sanitario, ancora centrato sull'ospedale, ne è la prova come lo sono gli interventi nelle periferie urbane, che enfatizzano solo la questione della "sicurezza". Mancano (o sono mal utilizzate) le figure professionali "preventive" (l'assistente sociale, il maestro di strada, il geologo, l'urbanista, il "team" di professionisti della salute che fa prevenzione sul territorio o interviene a domicilio - si pensi alla condizione di tanti anziani ancora "istituzionalizzati" o lasciati alle famiglie e al mercato). La scelta di diminuire il numero delle e degli insegnanti, sacrificandoli sull'altare dei tagli di spesa (mentre servirebbe un piano di sviluppo dei servizi per l'infanzia e del tempo pieno e di una sua generalizzazione a tutto il Paese), è prova sufficiente dello stato di irresponsabilità del Governo a partire dalla sua campagna sui "fannulloni". Questa campagna può essere arginata efficacemente se la difesa del salario e del posto di lavoro dei dipendenti pubblici si accompagna ad una riorganizzazione dei servizi in direzione delle esigenze dei lavoratori e dei cittadini utenti. Un buon funzionamento della P.A. è condizione essenziale per il buon governo e lo sviluppo del Mezzogiorno. Un progetto per il rilancio di una economia autenticamente mutualistica, cooperativa, indivisa, partecipata, noprofit. La pluralità delle forme economiche produttive e degli stili di consumo rappresentano una indispensabile forma di vitalità del sistema paese che va salvaguardata contro ogni "pensiero unico" del capitale e della burocrazia.Un piano per un'economia declinata secondo una prospettiva di genere, a partire dal riconoscimento dei bisogni e dei desideri delle donne di autonomia economica e di presenza nel lavoro. Si è visto infatti, come questi obiettivi si possano garantire solo attraverso una differenziazione delle condizioni di accesso, di svolgimento, di garanzie nella formazione, nel lavoro, nel credito, e nella costante attività di lotta alle discriminazioni. Una revisione delle attuali strumentazioni per le politiche di genere al fine di incrementarne l'efficacia è dunque necessaria. Ad esempio e in prima battuta vanno ripristinate le condizioni volontarie e reversibili del part-time, anche in un'ottica di più equa ripartizione dei carichi di lavoro all'interno della famiglia, che si può perseguire prevedendo più fondi per le politiche di conciliazione. Va ripristinata la legge che tutela dal licenziamento le lavoratrici in caso di maternità e vanno ripristinati i fondi per i centri anti-violenza contro le donne. E' inoltre necessario uno specifico programma per la crescita dell'occupazione delle donne nelle aree meridionali e per ridurre la fase di precarietà delle giovani . Un progetto per l'innovazione, che sostenga la diffusione delle nuove tecnologie nella produzione e nei servizi secondo modelli organizzativi concordati e partecipati, che valorizzino la qualità del lavoro, che superino il divario nel territorio, tra Nord e Sud, tra metropoli e piccoli centri urbani. Il deficit tecnologico del nostro Paese è ancora collegato all'acquisto di brevetti e sistemi soprattutto dagli USA (in particolare da Microsoft). La diffusione di sistemi "open source" nella P.A. come nelle aziende privare non solo è utile alla nostra bilancia dei pagamenti, ma può mettere al lavoro una rete di università, piccole imprese innovative, "software houses", consulenti e ricercatori singoli ed associali diffusamente presente nel nostro Paese. In questa crisi la sinistra deve porsi l'obiettivo di costituire il principale punto di riferimento del mondo del lavoro e di tutti coloro che sono esposti più di altri ai suoi effetti. La convergenza unitaria di tutte le forze di sinistra su proposte comuni attraverso cui affrontare la situazione attuale deve costituire un primo passo. A questo bisogna far seguire la mobilitazione di tutte le energie intellettuali e sociali disponibili, di una vera e propria rete di forze e di competenze capaci di dar vita a un dialogo e a un confronto, basato sul rispetto delle reciproche autonomie, con il mondo sindacale che oggi stenta a trovare interlocutori politici all'altezza delle domande e dei bisogni di questa difficile fase della vita del Paese e del mondo intero. Maurizio Acerbo, Vittorio Agnoletto, Francesco Agresti, Mario Agostinelli, Fabio Amato, Andrea Amendola, Denise Amerini, Alessio Ammannati, Franco Argada, Andrea Bagni, Carlo Baldini, Fulvia Bandoli, Paola Barassi, Imma Barbarossa, Vittorio Bardi, Laura Bennati, Nerina Benuzzi, Enzo Bernardo, Maddalena Berrino, Luciano Berselli, Moreno Biagioni, Maria Luisa Boccia, Ugo Boghetta, Elio Bonfanti, Giacinto Botti, Alberto Bozzi, Massimo Brancato, Augustin Breda, Maurizio Brotini, Antonio Bruno, Roberto Buonamici, Paolo Cacciari, Giovanni Cadioli, Sebastiano Calleri, Maria Campese, Maria Grazia Campus, Elena Canali, Silvio Canapè, Giovanni Capuzzi, Giuseppe Cappella, Giorgio Carnicella, Aldo Carra, Wilma Casavecchia, Sergio Caserta, Antonio Castronovi, Francesca Cavalocchi, Salvatore Cavallo, Giuseppe Chiarante, Giampiero Ciabotti, Bruno Ceccarelli, Paolo Cento, Clara Centrella, Cesare Chiazza, Stefano Ciccone, Vincenzo Cilia, Paolo Ciofi, Neno Coldagelli, Silvana Dameri, Roberto D'Andrea, Ferruccio Danini, Elettra Deiana, Marinara De Biase, Jose Luis Del Roio, Loredana De Petris, Titti Di Salvo, Piero Di Siena, Angela Di Tommaso, Monica Donini, Erminia Emprin, Giorgio Fabozzi, Stefano Falcinelli, Roberta Fantozzi, Luigi Ferrajoli, Nino Ferraiuolo, Ciccio Ferrara, Riccardo Ferraro, Paola Festari, Pietro Folena, Francesco Fontanelli, Eleonora Forenza, Loredana Fraleone, Francesco Francescaglia, Umberto Franchi, Matteo Gaddi, Rina Gagliardi, Domenico Gallo, Francesco Garibaldo, Aldo Garzia, Rocco Giacomino, Alfonso Gianni, Sergio Giardina, Marco Giatti, Paul Ginsborg, Franco Giordano, Fabio Giovannini, Chiara Giunti, Elena Giusti, Alfiero Grandi, Claudio Grassi, Rita Guglielmetti, Massimo Ilardi, Donatella Ingrill, Renato Kneipp, Beniamino Lami, Jacopo Landi, Antonio Lareno, Rita Lavaggi, Antonio Lavorato, Betty Leone, Piero Leonesio, Carlo Leoni, Orazio Licandro, Mirko Lombardi, Carlo Lucchesi, Merida Madeo, Dora Maffezzoli, Alessandra Maltoni, Angela Mancuso, Ramon Mantovani, Roberto Mapelli, Laura Marchetti, Giulio Martucci, StefanoMaruca, Graziella Mascia, Benedetto Massimo, Ugo Mattei, Gianni Mattioli, Corrado Mauceri, Giorgio Mele, Lidia Menapace, Paolo Menichetti, Antonello Miccoli, Gennaro Migliore, Luciano Mignoli, Giovanni Milano, Pietro Milazzo, Gianni Mininni, Sergio Miramao, Massimo Misiti, Emilio Molinari, Siliano Mollitti, Andrea Montagni, Marco Montemegni, Sandro Morelli, Corrado Morgia, Roberto Mustacchio, Amanda Musco, Gianni Naggi, Andrea Nardoni, Marisa Nicchi, Nicola Nicolosi, Alfio Nicotra, Luigi Nieri, Luigi Nuzzi ,Franco Ottaviano, Costantino Pacioni, Nadia Pagano, Manuela Palermi, Grazia Paoletti, Gianni Palumbo, Nello Patta, Gianluigi Pegolo, Francesco Percuoco ,Verio Perna, Franca Peroni, Ciro Pesacane, Anna Picciolini, Elisabetta Piccolotti, Giuseppe Pierino, Francesco Piobbichi, Silvana Pisa, Adriano Podestà, Giovannella Podestà, Bianca Pomeranzi, Mimmo Porcaro, Luciano Pregnolato, Giovanni Prezioso, Matilde Provera, Rosa Rinaldi, Tiziano Rinaldini, Giorgio Riolo, Anna Maria Riviello, Augusto Rocchi, Domenico Ronca, Rossano Rossi, Giancarlo Saccoman, Francesco Saccomanno, Mario Sai, Raffaele K. Salinari, Pier Paolo Salvarani, Ersilia Salvato, Cesare Salvi, Bia Sarasini, Vittorio Sartogo, Francesco Scacciati, Laura Scalia, Maurizio Scarpa, Giacomo Schettini, Patrizia Sentinelli, Luigi Servo, Luisa Severi, Monica Sgherri, Adriano Sgrò, Massimiliano Smeriglio, Tommaso Sodano, Pier Luigi Sorti, Carlo Spagnolo, Giovanni Russo Spena, Claudio Stacchino, Donato Stefanelli, Giuseppe Sunseri, Walter Tacchinardi, Luigi Tamborrino, Salvatore Tassinari, Patrizio Tonon, Massimo Torelli, Aldo Tortorella, Sergio Tosini, Carmela Vella, Bruno Veneziani, Jacopo Venier, Luigi Vinci, Giuseppe Vittonati, Sergio Zampini, Katia Zanotti, Angelo Zola

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Eolico/ Italia terza in Europa e sesta nel Mondo per (sezione: Globalizzazione)

( da "Virgilio Notizie" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Roma, 2 feb. (Apcom-Nuova Energia) - L'Italia è al terzo posto in Europa per lo sfruttamento dell'energia eolica nel 2008 - dopo Germania e Spagna - e al sesto posto a livello mondiale. Lo riporta il rapporto della Global wind energy council, secondo cui tra il 2007 e il 2008, in Italia, c'è stato un aumento della capacità di 1.010 MW, su un totale di 3.736. Dati confortanti, che però sottolineano il profondo gap che ancora persiste con i Paesi locomotiva del settore: Usa, Germania e Spagna. A livello europeo, la Germania la fa da padrona con 23.903 Mw. Segue la Spagna con 16.754 e l'Italia. Quarta la Francia con 3.404. Su scala mondiale, invece, gli Usa conquistano il primato, scalzando la Germania. In un solo anno, gli Stati uniti hanno incrementato la loro capacità da 16.824 a 25.170 MW. Dopo Germania e Spagna, al quarto posto si inserisce la Cina che da 5.910 Mw è passato a 12.210. Segue l'India, la cui capacità ha raggiunto quota 9.645 Mw. Poi l'Italia e la Francia.

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CRISI, PREMIER CINESE WEN INTRAVEDE LA LUCE ALLA FINE DEL TUNNEL (sezione: Globalizzazione)

( da "Wall Street Italia" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Crisi, premier cinese Wen intravede la luce alla fine del tunnel -->di Adrian Croft LONDRA (Reuters) - Il premier cinese Wen Jiabao ha detto oggi che intravede la "luce alla fine del tunnel" ma ha sollecitato pacchetti di stimolo forti ed efficaci per far ripartire le economie colpite dalla crisi globale. "In alcuni posti la gente è delusa, frustrata e pessimista. E' preoccupata per l'attuale situazione", ha spiegato Wen nel corso di una conferenza durante una visita a Londra. "C'è la luce alla fine del tunnel ... Sto chiedendo fiducia, cooperazione e responsabilità, lo chiedo da tempo perché se lo faremo saremo in grado di salvare il mondo". Alla conferenza ha preso parte anche il premier britannico Gordon Brown, che si sta preparando a ospitare un summit di leader mondiali, in aprile, durante il quale verranno presentate le misure per contrastare gli effetti della crisi economica globale. Circa 20 milioni di migranti delle campagne cinesi hanno perso il lavoro a causa della crisi, facendo aumentare i timori di rivolte sociali. La crescita economica cinese ha registrato un rallentamento col tasso annuale al 6,8% nell'ultimo trimestre del 2008, ripercuotendosi anche sull'andamento complessivo dell'anno al 9% - il più basso in sette anni. Il governo cinese ha già assicurato 4 trilioni di yuan (585 miliardi di dollari) nei prossimi due anni per aiutare a far crescere la domanda interna. Intanto si sta lavorando ad alcuni progetti tra cui quello sulla ricostruzione della provincia sud-occidentale della Cina, colpita dal terremoto lo scorso maggio. Wen ha detto al Financial Times che è necessario fare di più. Negli ultimi giorni ci sono state tensioni tra Usa e Cina dopo che la nuova amministrazione statunitense ha accusato la Cina di manipolare il tasso di cambio per spingere l'export. Sull'origine della crisi finanziaria, Wen ha detto di credere che gli Usa si debbano assumere una ampia fetta della colpa. "Le cause della crisi finanziaria sono ovvie. Quelle principali sono che alcune economie hanno degli squilibri nella propria struttura economica. Per molto tempo hanno mantenuto un deficit doppio, commerciale e fiscale", ha puntualizzato il premier. La Cina ha contribuito a finanziare gli Stati Uniti con massicci investimenti nel debito Usa. Wen ha anche criticato il modello bancario occidentale.

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SCARPE VOLANTI (sezione: Globalizzazione)

( da "TGCom" del 02-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

2/2/2009 Londra,scarpe contro premier Cina Protesta di uno studente di Cambridge Un manifestante ha lanciato una scarpa contro il premier cinese Wen Jiabao il quale si apprestava a parlare durante una conferenza stampa. Wen stava parlando di globalizzazione durante un convegno organizzato dall'università di Cambridge quando è avvenuto l'incidente. "Come può Cambridge prostrarsi verso un dittatore?" ha urlato il giovane prima di lanciare la scarpa che è arrivata a meno di un metro dal premier di Pechino La scarpa, un gesto che imita quello del reporter iracheno contro George W. Bush di qualche settimana fa, è volata mentre Wen teneva un discorso sull'economia globale. Il dimostrante, la cui identità non è nota, è stato subito bloccato dalla sicurezza dell'ateneo inglese. La scarpa, per la cronaca, non è riuscita a colpire il suo obiettivo. Invia ad un amico

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Scioperi non autorizzati (sezione: Globalizzazione)

( da "Corriere delle Alpi" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Non è questo il modo di affrontare la crisi, sostiene il diplomatico inglese «Scioperi non autorizzati» L'ambasciatore Chaplin: benvenuti i vostri investimenti ANNALISA D'APRILE ROMA. «Gli scioperi dei lavoratori inglesi non sono autorizzati». Mentre a Lindsay, nel Lincolnshire, continuano le proteste anti-italiani degli operai inglesi, l'ambasciatore britannico a Roma, Edward Chaplin, spiega la posizione assunta dal governo inglese e conferma gli ottimi rapporti tra Italia e Gran Bretagna poco prima di un dibattito organizzato a Villa Wolkonsky e dedicato proprio a lavoro e crisi economica in Ue. Qual è l'opinione del governo rispetto alle rimostranze in atto in questi giorni? «Lo sciopero non è autorizzato dai sindacati. Fino ad un certo punto è stato comprensibile per la pressione della crisi finanziaria, che ha colpito la Gran Bretagna un po' più dell'Italia. Ma come ha detto il mio primo ministro, Gordon Brown, questo non è il modo giusto di risolvere il problema. Ed il governo è determinato a conservare un'economia aperta». Cosa farà Gordon Brown? «Ha già chiesto all'Agenzia indipendente per la mediazione di verificare che se ci siano state irregolarità nell'attribuzione degli appalti. Inoltre, ha sottolineato l'importanza per il futuro dell'economia britannica che si continui ad incoraggiare gli investimenti dell'Italia nel nostro Paese. Non possiamo tornare al protezionismo nel mercato del lavoro». C'è il rischio che le proteste si espandano nel resto del Paese? «Come ho detto è un segno della pressione della crisi economica che è globale e richiede una risposta globale. Collaboreremo con il governo italiano per trovare la risposta giusta. Ci sono molte aziende italiane che assumono lavoratori britannici, come ci sono aziende britanniche che assumono lavoratori italiani, francesi...questa è la globalizzazione a livello europeo, è il futuro e non possiamo tornare indietro. Si tratta di spiegare che la paura della recessione è normale, però dobbiamo trovare delle soluzioni». C'è stato un colloquio con il governo italiano. Di cosa avete parlato? «Ho avuto un incontro con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, ieri mattina. Era un appuntamento previsto per parlare di altre cose, come le presidenze del G20 e del G8. Ma abbiamo parlato della questione confermando gli ottimi rapporti tra i nostri Paesi». Spesso si dice che la Gran Bretagna sia più lontana dagli altri Paesi europei, questa crisi può avvicinarla in zona Ue? «La Gran Bretagna non è lontana dall'Europa. Ma entrare nell'euro non è la priorità per il momento. Ci sono altre cose da fare. Come trovare una soluzione per questa crisi economica internazionale».

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La nuova guerra del lavoro. La concorrenza ora si sposta all'interno dei Paesi ricchi (sezione: Globalizzazione)

( da "AmericaOggi Online" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

La nuova guerra del lavoro. La concorrenza ora si sposta all'interno dei Paesi ricchi di Paolo Tavella 03-02-2009 La vicenda in sé avrebbe contorni limitati e potrebbe venire in mente di archiviarla come un semplice contenzioso di lavoro. È invece di tutta evidenza che il caso degli ottanta operai italiani contestati in Gran Bretagna e accusati di portare via il posto alle maestranze locali rapresenta, meglio di qualsiasi trattato sociologico, quella che sarà la frontiera prossima ventura dei rapporti sociali e razziali non più tra Nord e Sud del mondo, tra il pianeta ricco e quello diseredato, ma anche all'interno del primo. Dall'idraulico polacco al portuale italiano, la guerra del lavoro è destinata ad allargarsi. E se l'extracomunitario "tradizionale", quello utilizzato per lavori preziosi ma di scarso o nessun "appeal" , faticosi e mal pagati, è stato in qualche misura metabolizzato dalle nazioni industrializzate, ora la frontiera si sposta sul lavoro specializzato. E qui la storia è solo all'inizio e rischia di avere interessanti sviluppi. Questo è un primo aspetto della vicenda inglese. Il secondo è di natura politica. Ieri da Bruxelles a Roma, passando per Londra è stato un susseguirsi di dichiarazioni in difesa dell'opportunità per le imprese di cercare e trovare sui mercati sbocchi di lavoro e di occupazione, senza badare a frontiere e bandiere. Tutto giusto, tutto vero. Non c'è infatti dubbio alcuno che richiudersi in difesa dei propri spazi, del proprio orticello, tirare su i ponti levatoi cercando un improbabile autosufficienza è una scelta che prima che dal diritto è destinata ad essere travolta dalla storia. Serve a poco ricordare che se si blocca l'appalto all'azienda italiana è del tutto evidente che reciprocamente si rischia di veder vanificato ogni sforzo dell'azienda inglese di approdare sul territorio italiano, con tanti saluti ai principi di concorrenza e libero mercato. Questo i Governi sembrano averlo ben chiaro. Ma poi la questione rischia di scappare di mano. E i governanti si trovano a dover affrontare le paure dei governati, ai quali dei dotti ragionamenti sul mondo senza frontiere non importa un bel nulla. O meglio di cui riescono a cogliere solo gli aspetti più inquietanti. Senza peli sulla lingua ieri in Italia con la franchezza che gli è propria quando si tratta di tranquillizzare pezzi dell'opinione pubblica a lei vicina, la Lega è tornata a minacciare. E a ribadire che in nome di una globalizzazione che nessuno sa bene come funzioni non si può portare via il lavoro alle maestranze padane: prima lavoriamo noi, poi, se serve, gli altri. Modo un po' grezzo ma sicuramente efficace di semplificare la più complessa questione del secolo XXI. E infatti, specie tra i ceti più colpiti dalla crisi, tra quelli più fragili e indifesi il messaggio fa potentemente breccia. Questo è un aspetto che può terrorizzare ma che va tenuto ben presente. E che soprattutto va "governato". Non basta dire che il mondo va così, è il progresso bellezza. Bisogna parallelamente costruire un sistema di garanzie sociali, di meccanismi di protezione in grado di far passare la grande paura sociale. Non ha senso ed è anzi irresponsabile soffiare sul fuoco irrazionale della difesa degli interessi locali o particolari. Ma trascurarli o snobbarli potrebbe avere effetti anche più pericolosi. Il grande falò delle proteste sociali potrebbe essere assai difficile da spegnere.

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bertinotti: "è una guerra fra poveri serve un piano europeo del lavoro" - alessandra longo (sezione: Globalizzazione)

( da "Repubblica, La" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Pagina 6 - Esteri Il ventre molle Perdere la dignità L´ex presidente della Camera accusa la cattiva globalizzazione: "Episodi del genere possono ripetersi" Bertinotti: "è una guerra fra poveri serve un Piano europeo del lavoro" Nella recessione, con il sindacato e la politica fuori gioco, l´operaio è diventato il ventre molle nelle mani della impresa e del mercato Quando il lavoro diventa una merce rara, perderlo significa perdere dignità sociale. è una gara per la vita che produce barbarie ALESSANDRA LONGO ROMA - Quel che succede in Inghilterra, è figlio della «cattiva globalizzazione», «della deriva liberista assunta dalle istituzioni europee», della «crisi del tessuto sociale», della solitudine degli operai, prima usati «come arma» per una «competizione al ribasso», poi, adesso, con la recessione, scaricati nel nome «della ristrutturazione dell´apparato produttivo». Fausto Bertinotti ragiona sulla protesta dei lavoratori inglesi del Lincolnshire contro i colleghi italiani. «Una lotta orribile - dice - che va condannata in radice - ma le cui ragioni ci obbligano a riflettere perché la tragedia è duplice, per chi subisce e per chi produce l´intimidazione». Per l´ex presidente della Camera c´è il rischio che episodi del genere possano ripetersi, «in una sorta di guerra civile latente». «Per questo andrebbe ripensata radicalmente la Costituzione materiale europea e ci vorrebbe subito, in Europa, un Piano del lavoro». Presidente, perché questa guerra tra poveri? «Perché succede così quando c´è penuria di lavoro, quando il lavoro diventa una merce rara e perderlo significa perdere cittadinanza, dignità sociale. E´ una competizione per la vita e per la morte e produce barbarie. Lo stupore di molti nasce da un deficit di memoria. Fatti del genere contrassegnano la storia dell´industrializzazione europea. In Francia, alla fine dell´800, ci fu una strage di operai italiani, linciati perché considerati crumiri...». Ma adesso c´è l´Europa. «Sì e noi continuiamo ad essere abbagliati dai primi gloriosi 30 anni dell´Europa, quelli della ricostruzione dell´unità dei lavoratori, dello stato sociale, del riconoscimento del ruolo del lavoro nelle costituzioni democratiche. E finiamo per non ricordarci cosa sono gli ingloriosi 30 anni successivi. La protesta degli inglesi non nasce dal nulla, si è prodotto un vulnus». Ce l´ha con la globalizzazione? «Con la cattiva globalizzazione. Ce l´ho con chi pensava che la globalizzazione potesse essere generatrice di una nuova leva di diritti disconnessi dal lavoro. Ce l´ho con la direttiva Bolkestein che non promuove la libera circolazione dei lavoratori ma produce dumping sociale, estende il contratto di lavoro rumeno anche in Italia». Lei dice in sostanza: gli inglesi sbagliano ma il malessere nasce dalle mancate risposte... «La classe dirigente europea ha una responsabilità storica in materia di lavoro. C´è stata una contrazione di diritti, un rovesciamento dei principi alla base delle Costituzioni democratiche, penso a quella francese, a quella italiana. Ogni lavoratore è rimasto solo, prima l´hanno fatto correre come una lepre nel nome della crescita, bassi salari e alta flessibilità, poi, nella fase della recessione, con il sindacato e la politica fuori gioco, con il tramonto della coscienza di classe e del movimento operaio, è diventato il ventre molle da comprimere, nelle mani dell´impresa e del mercato». Ecco che si arriva alla guerra tra poveri. «Nel caso degli inglesi, più che di razzismo parlerei di un nazionalismo concorrenziale che nasce dalla paura. Un peccato che, comunque, non può essere assolto». Dicono: prima noi, poi gli altri. «Sbagliano. Il primo lo sceglie comunque il sistema ed è quello che gli conviene di più, quasi mai quello che ha più bisogno». E da dove si parte allora? «Non c´è verso. Si deve partire dai bisogni dell´ultimo. La parola d´ordine rimane sempre: «Piena e buona occupazione». Senza questo orizzonte non c´è civiltà» Lei dipinge uno scenario pesante. Non pensa che la sinistra radicale europea abbia fatto una campagna antipatizzante nei confronti della globalizzazione producendo eccessiva diffidenza? «Niente affatto. Io sono per l´internazionalizzazione del lavoro. La battaglia contro la Bolkestein è stata una battaglia contro la cattiva globalizzazione. Quel che succede oggi dimostra la miopia dei dirigenti europei. Solo poco tempo fa chiunque parlasse di nazionalizzazione delle banche e grandi interventi pubblici nell´economia veniva accolto da sorrisi ironici. Adesso bisognerebbe cogliere la lezione che viene da questo smacco. Adesso bisognerebbe fare subito un Piano del lavoro in Europa per non dover mai scegliere, in futuro, tra l´operaio inglese e quello italiano».

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Uno studente di Cambridgelancia una scarpa a Wen Jiabao (sezione: Globalizzazione)

( da "Secolo XIX, Il" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Uno studente di Cambridgelancia una scarpa a Wen Jiabao la protesta Cambridge. La scarpa della protesta è caduta a un metro da Wen Jiabao nella sala da concerto della prestigiosa università di Cambridge dove il premier cinese stava tenendo una conferenza. Mentre il manifestante, un giovane occidentale, veniva portato via dagli uomini della sicurezza gridando «è uno scandalo», Wen, rimasto imperturbato di fronte alla scenata, ha ripreso a parlare rimproverando l'autore del gesto e affermando: «Questo comportamento riprovevole non comprometterà l'amicizia tra la Cina e il Regno Unito». La platea, composta per lo più da studenti di origine cinese, lo ha applaudito. «Come potete ascoltare le menzogne che racconta questo dittatore? Perché non lo contraddite?», ha urlato il manifestante prima di essere arrestato con l'accusa di disturbo dell'ordine pubblico. L'incidente ricorda il lancio della scarpa scagliata il 14 dicembre daungiornalista iracheno contro l'allora presidente degli Usa George W. Bush Baghdad. La settimana scorsa a Tikrit è stato eretto un monumento (poi rimosso) alla calzatura. 03/02/2009

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Ma l'Italia vuole essere protezionista? (sezione: Globalizzazione)

( da "Riformista, Il" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Verso il G8 Ma l'Italia vuole essere protezionista? Mentre il Forum di Davos si avvia a chiudere, comincia a essere chiaro quale sarà il tema più importante del prossimo G8 a presidenza italiana di metà febbraio: come fermare il protezionismo. Gordon Brown, anche per alleggerire le tensioni con l'Italia dovute alle manifestazione contro gli specialisti siciliani che dovranno lavorare in Inghilterra, ha ribadito ieri: «Sappiamo dalle crisi precedenti che un ripiego su politiche protezioniste limitate e di breve termine non farebbe che aggravare la recessione». E ha annunciato di voler raddoppiare (come se queste cose si decidessero a tavolino) le esportazioni inglesi verso Pechino in un anno, da 5,5 miliardi di euro a 11. Al suo fianco Wen Jabao, premier cinese che si è scoperto in queste settimane paladino del libero commercio. Anche la Commissione eruopea, con il suo portavoce Johannes Laitenberger, ha fatto capire ancora una volta di essere preoccupata per la tenuta del mercato interno europeo: «Non è richiudendosi su se stessi che si crea lavoro, al contrario se vogliamo mantenere il livello più elevato possibile di occupazione dobbiamo approfittare del mercato interno». All'aumento degli appelli a difesa della globalizzazione commerciale corrisponde la crescita dei danni che il protezionismo sta già iniziando a fare. Il ciclo di negoziati iniziati a Doha nel 2001 dall'organizzazione mondiale del commercio ha ridotto il tasso di protezione medio sui prodotti dal 22 per cento al 3,6. Ma non sono risultati che mettano al riparo da quello che potrebbe arrivare nei prossimi mesi. Lo scrive Paola Savona in un libro in uscita "Il governo dell'economia globale" (Marsilio): istituzioni come il Wto e le loro decisioni non sono immutabili ma dotate di una round-trip sovereignity, una sovranità che va e viene, concessa e poi ritirata quando prevalgono gli interessi nazionali. Senza violarne le regole i Paesi della Wto potrebbero cancellare i risultati raggiunti negli ultimi anni e portare le proprie tariffe doganali al livello massimo indicato dagli accordi multilaterali. Il risultato, stimano gli economisti Antoine Bouet e David Laborde sul sito Telos-eu.com, sarebbe il raddoppio del protezionismo mondiale. Se i negoziati del Doha round, come sembra, non produrranno un accordo, la perdita per il commercio mondiale sarà di almeno 336 miliardi di euro. Se le cose poi andassero peggio e gli Stati si chiudessero ancora di più adottando il livello di protezione più alto raggiunto nel periodo 1955-2008, allora la perdita per il commercio mondiale salirebbero a 728 miliardi, un crollo del 3,2 per cento. Per capire cosa questo potrebbe significare per l'Italia basta vedere quello che sta succedendo al settore delle acque minerali. Per reazione alla decisione dell'Unione europea di bloccare l'importazione di carni bovine americane considerate pericolose, gli Stati Uniti stanno per raddoppiare i dazi doganali sull'importazione di acque minerali, inserite nell'elenco che dei prodotti da penalizzare. Per capirci: se la San Pellegrino vendeva una bottiglia a un dollaro, ipotizzando che il suo costo di produzione fosse zero, aveva un profitto di un dollaro. Con le nuove regole il profitto diventerebbe nullo. In altri tempi sarebbe stata una normale guerra commerciale, di quelle che poi si risolvono con un compromesso o una concessione su altri tavoli. Ma nel contesto della crisi le nuove barriere, spiega Ettore Fortuna presidente dell'associazione di categoria Mineracqua, rischiano di mettere in seria difficoltà un settore che ci ha messo cent'anni per consolidare la propria presenza negli Stati Uniti e che era uno dei pochi pronti ad affrontare tempi difficili, perché vende un prodotto (le minerali) che in America è considerato quasi un lusso. E che quindi garantisce alti margini di profitto e una domanda stabile. Anche se l'Italia, con una tradizione di paese trasformatore (che importa ed esporta beni intermedi, quindi non autosufficiente) non potrebbe permettersi di essere protezionista, dalla Lega continuano a chiedere barriere alla dogana. Ieri lo ha fatto il ministro dell'Agricoltura Luca Zaia, prendendo spunto da un presunto traffico di agnelli bulgari e rumeni, macellati in Sardegna e rivenduti come italiani: «I nostri mercati vanno protetti con i dazi. Non si può pretendere che l'allevatore dell'Arborea al quale la produzione di latte costa 25 centesimi al litro possa confrontarsi con il latte che viene dalla Bulgaria a 19/20 centesimi». Tra una settimana, al G8 romano, il Governo dovrà decidere se sostenere la linea di Zaia o quella della Commissione europea. di Stefano Feltri 03/02/2009

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IL GENOMA DELL'ERBA FORNISCE INFORMAZIONI SULLA TOLLERANZA ALLA SICCITÀ (sezione: Globalizzazione)

( da "marketpress.info" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Martedì 03 Febbraio 2009 IL GENOMA DELL´ERBA FORNISCE INFORMAZIONI SULLA TOLLERANZA ALLA SICCITÀ Un team internazionale di ricercatori ha descritto il genoma del sorgo, un tipo di erba resistente alla siccità appartenente alla stessa famiglia della canna da zucchero e del granturco. Queste nuove scoperte, pubblicate sulla rivista Nature, hanno gettato luce su una preziosa fonte di cibo, foraggio e biocarburante ed hanno importanti implicazioni per l´agricoltura nelle regioni più aride con una popolazione in crescita, come l´Africa occidentale. In tutto il mondo si producono circa 60 milioni di tonnellate di sorgo l´anno, principalmente nel nord-est dell´Africa e nelle aree aride degli Usa e dell´India, che viene usato come base alimentare sia per l´uomo che per il bestiame. È anche coltivato come fonte di biocarburante, principalmente in Cina. Il grano di sorgo ha più proteine e meno grassi rispetto al granturco, ma ha un valore nutrizionale simile. Il sorgo dolce è simile alla canna da zucchero ma la sua resistenza al caldo e alla mancanza d´acqua lo rende più appetibile come coltura da biocarburante. Il sorgo usa un percorso fotosintetico chiamato "C4" che lo rende particolarmente adatto ad assimilare più carbonio ad alte temperature rispetto a piante che usano il normale percorso "C3", come il riso e il grano. È possibile che il genoma del sorgo recentemente descritto possa spianare la strada a futuri studi per modificare altre specie, specialmente la pianta del riso, per farle passare dal percorso C3 alla fotosintesi C4, aumentando così i raccolti e assorbendo più biossido di carbonio di quanto sia possibile adesso. Secondo questo studio, il piccolo genoma del sorgo lo rende un modello allettante per studiare le erbe C4. I ricercatori sono riusciti a stabilire una figura precisa e contigua dell´intero genoma del sorgo. Più precisamente, hanno identificato quelle duplicazioni del gene che non sono presenti in altri cereali e che potrebbero contribuire alla capacità del sorgo di sopportare la siccità. Il genoma del sorgo recentemente sequenziato ha ispirato studi comparativi con il genoma del riso, che era stato sequenziato quattro anni fa. Tali studi delle fondamenta genetiche di preziosi tratti agrari consentirà, si spera, agli scienziati di sviluppare programmi di riproduzione che potenzino il rendimento delle colture. "Adesso avremo un´idea migliore di quante proprietà dell´erba (come la resistenza alla siccità, lo zucchero nel gambo, o il rendimento del grano) sono criptate nei suoi geni," ha detto il dott. Joachim Messing della Rutgers University negli Usa, uno degli autori dello studio. "Sapere questo potrebbe permetterci di muovere lateralmente questi geni tra questi tipi di colture, per modificarle sulla base delle esigenze della posizione geografica e del clima. " Gli scienziati hanno usato un metodo di sequenziamento tramite "shotgun" per analizzare il genoma del sorgo. Questo metodo prende in considerazione la natura altamente ripetitiva dei grandi genomi, ha spiegato il dott. Messing, che ha sviluppato il metodo: "L´efficacia e l´utilità di questo metodo renderà più veloce e molto meno costoso il sequenziamento di altri genomi complessi in futuro. " In un commento di accompagnamento, il dott. Takuji Sasaki e il dott. Baltazar Antonio dell´Istituto nazionale di scienze agrobiologiche in Giappone sottolineano che "il vero valore delle informazioni genetiche delle piante sta nel tradurre questi dati in un miglioramento dei raccolti attraverso varie strategie di riproduzione". Continuano poi spiegando come la conoscenza della sequenza genetica del sorgo può essere applicata ad altre specie di erbe C4 come la canna da zucchero e il miscanto che sono state individuate come potenziali risorse per la produzione di bioetanolo. "Le informazioni che si possono estrarre dalla sequenza genomica di una pianta non sono, ovviamente, sufficienti di per sé a potenziare tratti come l´efficienza fotosintetica o la resistenza agli stress," hanno scritto il dott. Sasaki e il dott. Antonio. "Queste informazioni costituiscono però lo strumento più potente di cui disponiamo per scoprire modi di aumentare la quantità di alimenti ed energia prodotta dalle piante, e in questo modo far fronte alle richieste di un mondo alle prese con una popolazione sempre in crescita e con un clima imprevedibile. " Per ulteriori informazioni, visitare: Nature: http://www. Nature. Com/nature Rutgers University: http://www. Rutgers. Edu/ . . . <<BACK

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sacconi: a rischio il patto ue - vindice lecis (sezione: Globalizzazione)

( da "Tirreno, Il" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Pagina 6 - Attualità Sacconi: a rischio il patto Ue Anche il Portogallo protesta. I leghisti: succederà anche da noi «Capisco la rabbia, ma lascino in pace i nostri» dice Epifani VINDICE LECIS ROMA.Per il ministro del lavoro Maurizio Sacconi «la libera circolazione dei lavoratori è un principio fondante dell'Unione Europa, che non può essere in alcun modo messo in discussione, pena la crisi del patto comunitario». Riferendosi agli scioperi contro i lavoratori italiani in Gran Bretagna, il ministro ha lanciato un allarme sulla tenuta della coesione europea a partire dai suoi valori fondativi. Sono forti, infatti, le preoccupazioni in Europa. Il governo socialista portoghese ha denunciato quanto sta avvenendo nel Regno Unito con toni molto severi. «Si tratta di un tentativo di discriminazione assolutamnte inaccettabile» ha detto il ministro degli Esteri, Luis Amado, sottolineando le responsabilità dei governi «che devono evitare una deriva protezionistica, xenofoba, nazionalista che se non posta rapidamente sotto controllo con iniziative molto forti dei governi può portarci a una crisi ancora più grave». Il ministro britannico per le attività produttive Peter Mandelson ha voluto rassicurare i paesi europei: «E' importante rispettare e garantire il principio di libera circolazione nell'Ue», ha detto. Ma per il presidente del gruppo socialista europeo Rasmussen gli scioperi rappresentano la paura crescente tra gli operai e «la sconfitta per la Commissione europea in quanto ha consentito che la libera circolazione dei lavoratori avvenisse senza un'adeguata protezione». Su regole e valori che dovrebbero essere condivisi, si è scatenata una lite nella maggioranza di governo. Il capogruppo leghista alla Camera, Roberto Cota, ha solidarizzato con gli operai inglesi affermando che la globalizzazione «ci sta presentando il conto». Perché, secondo Cota, il mercato del lavoro dovrebbe essere «regolato dal territorio» e, prima o poi, «toccherà al Veneto» reagire alla presenza di lavoratori stranieri, comunitari o meno. «Nel Nord Est - ha spiegato - arriva manodopera straniera che toglie lavoro ai nostri». Che cosa fare? La ricetta «padana» è semplice: moratoria dei flussi di immigrati e sospensione di Schengen. Dichiarazioni che hanno fatto infuriare il sottosegretario al commercio estero Adolfo Urso (Pdl) che ha respinto le ipotesi protezionistiche definite «un veleno». «L'impresa siciliana aveva il dovere di utilizzare lavoratori altamente specializzati, per rispettare i tempi dell'appalto» ha detto Urso, criticando Cota perché «confonde la libera circolazione nell'Ue con l'immigtrazione extracomunitaria». Il sottosegretario ha ricordato che se venissero avallate pratiche protezionistiche dai governi europei «finirebbero per colpire proprio la produzione e quindi il lavoro italiano». Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, ha affermato di essere in contatto con il capo del sindacato inglese «che sa benissimo che gli accordi e le leggi prevedono il libero movimento di tutti i lavoratori. Capisco la rabbia ma i nostri lavoratori vanno lasciati in pace». Preoccupato anche il leader della Cisl, Raffele Bonanni per la «deriva qualunquistica e discriminatoria» in atto.

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Investire sul Sud (sezione: Globalizzazione)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Il Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-02-03 - pag: 12 autore: Investire sul Sud Il dibattito sull'utilizzo delle risorse pubbliche e in particolare dei fondi europei si è concentrato sul concetto di grandi opere di valenza strategica.L'ultimo intervento che mi è capitato di leggere in tal sensoè stato l'intervista a Cristiana Coppola,vicepresidente di Confindustria con delega per il Mezzogiorno,sul Sole del 27 gennaio.Quello che non mi sembra sia stato mai chiarito su questo argomento è il passaggio di come tali grandi interventi (infrastrutturali) possano concretamente impattare sullo sviluppo di un'economia disastrata come quella meridionale.Mi viene solo un sospetto: le grandi opere abitualmente vengono costruite da grandi imprese,magari aderenti al sistema di Confindustria,magari (nella stragrande maggioranza dei casi)con sede nel Nord Italia... Sergio Amato e-mail N el pacchetto di rilancio dell'economia Usa da (finora) 819 miliardi di dollari, 62 sono destinati esclusivamente agli investimenti in infrastrutture ed edifici scolastici. Anche Gran Bretagna, Canada, Cina, Francia, Germania e India stanno generosamente ricorrendo agli investimenti infrastrutturali nei pacchetti di stimolo alle proprie economie. L'idea, evidentemente, non deve essere così balzana. Quanto al Mezzogiorno italiano, dimostra Gianfranco Viesti nel suo recente Mezzogiono a tradimento (Laterza), che lì «la spesa per infrastrutture espressa in termini procapite è meno di tre quarti del resto del Paese. I risultati economici del Sud non possono che esserne stati conseguenti». Bloccare dunque gli investimenti per fare un dispetto alle aziende del Nord, associate a Confindustria (principale azionista di questo giornale), della quale peraltro fanno parte anche le imprese meridionali? Mi sembrerebbe una coraggiosa manifestazione di masochismo. E molti nel Sud non gradirebbero, come dimostra la lettera chesegue. • Povero Mezzogiorno Appare sempre più chiaro ed evidente che il Paese Italia, e il suo Governo, non sono assolutamente in grado di varare misure adeguate rispetto alla crisi devastante. In buona parte per inadeguatezza della classe che governa, ma fondamentalmente per il disastro della finanza pubblica. La riconferma è arrivata di fronte alle misure da adottare per la crisi del comparto auto. Alle decine di miliardi stanziati o ipotizzati da altri Governi europei, il nostro ha balbettato che per trovare 250 o al massimo 500 milioni, cioè meno di una fumata di sigaretta, occorrono dieci giorni lavorativi! Ciò, nonostante il ministro Castelli avesse indicato con chiarezza dove trovare i fondi e le risorse. A "Ballarò" ha candidamente affermato che «per la prima volta nella storia prendiamo i soldi dalle regioni povere del Sud per finanziare le industrie e le famiglie dei disoccupati del ricco Nord-Est». Cioè, derubiamo, ancora una volta e sempre, le regioni meridionali dei fondi che la Ue aveva destinato alle zone in ritardo di sviluppo. Evidentemente, nella mente di un nordista doc il ragionamento può apparire del tutto ovvio. Le schiere di disoccupati che purtroppo si profilano al Nord costituiscono sicuramente un problema assai più grave, dal momento che al Sud siamo abituati da semprea rimanere disoccupati.Un'indagine da parte di una Commissione parlamentare del Senato, presieduta dal compianto Beniamino Andreatta, nel lontano '92, concluse che «solo raddoppiando l'intervento straordinario, si porterebbe la spesa statale pro capite nelle regioni meridionali a livello comparabile con quello delle regioni settentrionali». Francesco Calvano email Nessun ritardo per Vito Nell'articolo sui rapporti tra ParlamentoeGovernopubblicatodome-nica 1Úfebbraio a pagina 10, per errore è stato attribuito al ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, il ritardo al Question time in Aula di cui è stato invece protagonista il ministro per l'Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi. Ce ne scusiamo con l'interessato e con i lettori.

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<L'identità è il nostro valore> (sezione: Globalizzazione)

( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Primo Piano Pagina 102 «L'identità è il nostro valore» Sollai, Unidade indipendentista e la Sardegna --> Sollai, Unidade indipendentista e la Sardegna di FABIO MANCA Peccato che non siano riusciti a coalizzarsi con l'Irs di Gavino Sale. Non perché ci siano divergenze politiche, ma perché «dopo il nostro appello all'unità hanno temporeggiato. A un certo punto non decidevano e noi dovevamo chiudere le liste». Sarebbe solo una questione di velocità, insomma. Non di conflitti. Altrimenti gli indipendentisti sarebbero stati tutti sotto lo stesso tetto. E magari avrebbero potuto sperare di superare lo sbarramento del 3%, ostacolo finora insormontabile nonostante una costante presenza a tutti gli appuntamenti politici. Certo, sommando i voti del 2004 non avrebbero raggiunto il 2% (0,58% e 5.031 voti Sardigna natzione, 1,13% e 9.724 consensi Irs) ma magari con A manca pro s'indipendentzia, Juventudi indipendentista 28 de abril e A foras, oggi riuniti assieme a Sardigna Natzione sotto l' Unidade indipendentista , il risultato sarebbe potuto migliorare. Fatto sta che la diaspora ancora una volta non si è ricomposta. Gianfranco Sollai, candidato presidente della nuova forza politica, non se ne fa un cruccio, anzi. L'ostacolo all'elezione, a suo avviso, non è il frazionamento indipendentista ma i mass media. «Danno tutto lo spazio ai partiti italiani, a noi solo le briciole». Significa che se aveste più spazio, otterreste un seggio in Consiglio? «Non è detto», ammette, «certo diffonderemmo di più le nostre idee». Avvocato penalista, nato 49 anni fa a Siamanna, una figlia, Sollai è antropologicamente e morfologicamente indipendentista. Stereotipo perfetto. Calvo, sopracciglia generose, occhi castani, sguardo fiero, ha una voce baritonale che gli regala autorevolezza e una forte cadenza barbaricina. Quando, nel 2006, si candidò a sindaco di Cagliari con Sardigna natzione (385 voti, lo 0,41%), annunciò, tra gli altri punti programmatici, la chiusura immediata delle Città mercato. Impossibile, in uno stato di diritto. Una provocazione, evidentemente, che tuttavia conteneva un messaggio. «È Cagliari che deve diventare città mercato ed essere valorizzata in tutti i suoi spazi». Oggi, che i suoi programmi abbracciano tutta l'Isola, ribadisce e amplia il concetto: «Siamo la Regione d'Europa con la più alta concentrazione di ipermercati e questo ha generato diseconomie nel territorio e abbassato la qualità dei prodotti consumati a vantaggio delle multinazionali e a svantaggio dei prodotti locali. È assurdo che noi consumiamo beni del settore agroalimentare che arrivano da migliaia di chilometri e ciò che produciano vada a finire altrove». E qui innesta un principio tipicamente indipendentista: «Dobbiamo riconvertire le industrie e incentivare, con leggi specifiche, lo sviluppo e la trasformazione delle risorse umane e naturali presenti in Sardegna e attivare politiche che favoriscano il consumo di prodotti locali». Non è il primo a sostenerlo. «Tra noi e gli altri c'è una differenza: noi tuteliamo le nostre risorse perché siamo convinti che possano portare ricchezza ai sardi, chi rappresenta i partiti italiani parla per slogan. Difendono altre identità, tutelano interessi nazionali che confliggono con i nostri». Ma è anche vero che ormai sono tutti convinti che la vera ricchezza stia proprio nelle specificità dei territori e delle produzioni. «È evidente, ma un conto sono le parole, un altro i fatti. Pensiamo alle aziende agropastorali. Se i partiti italiani avessero avuto a cuore la nostra produzione avrebbero fatto sì che ai produttori il latte ovino e caprino venisse pagato a un prezzo congruo, non alla stregua di un prodotto industriale. E avrebbero impedito che 30 mila aziende entrassero in crisi e molte di esse venissero pignorate». Che cosa proponete? «Nell'ambito di un ampio programma di tutela delle produzioni locali, l'istituzione di un marchio di qualità e incentivi al consumo di nicchia e prodotti locali derivanti dall'agricoltura e dall'allevamento che oggi faticano ad inserirsi nella grande distribuzione». E per quanto riguarda le aziende pignorate? «È pronta una proposta di legge di iniziativa popolare che modifica il codice di procedura civile e, per salvaguardare le potenzialità produttive, sancisce l'impignorabilità delle aziende agropastorali». Quando la presenterete? «Prima delle elezioni». Non è che lo fate per conquistare il voto di migliaia imprenditori con l'acqua alla gola? «È una proposta coerente con le nostre idee». Da decenni sostenete il diritto all'autodeterminazione: non è una proposta anacronistica? «Sosteniamo da sempre che ad ogni popolo debba essere concesso il diritto di scegliere secondo il principio internazionale dell'autodeterminazione. Un principio che chiediamo venga inserito nello statuto sardo assieme alla possibilità di svolgere, sul tema, un referendum popolare. Se una nazione non è indipendente non può autogovernarsi». In che cosa si esplica l'autogoverno? «Ad esempio con competenze primarie sui trasporti: vogliamo porre fine al monopolio della Tirrenia e promuovere nuovi bandi internazionali per la continuità territoriale che stabiliscano tariffe davvero agevolate e orari e scali legati alle esigenze dei sardi. Vogliamo nuove tratte low cost che colleghino la Sardegna anche con i paesi del Mediterraneo e il potenziamento dell'Arst. Ma tutto il nostro programma è ispirato all'autodeterminazione. L'industria, ad esempio». Che cosa proponete, a parte la riconversione della produzione? «Una legislazione che limiti la possibilità che imprenditori beneficino di contributi pubblici per creare aziende che chiudono dopo pochi anni e impedisca in caso di chiusura degli impianti di trasferire tutto fuori dalla Sardegna. È la Regione che deve rilevare infrastrutture e macchinari finanziati con soldi pubblici». Sulle servitù militari sono stati fatti passi avanti. Ma nei giorni scorsi il ministro La Russa ha annunciato la costruzione della nuova pista a Quirra. «Voglio dire subito una cosa: la liberazione di La Maddalena dalle basi americane non è stata una vittoria dei partiti italiani ma una coincidenza. È stata la Nato a decidere che quella base non era più utile». Intanto è stata smilitarizzata ed è in corso una riconversione. «Non scherziamo. Il G8 è stato presentato come un'occasione di sviluppo per l'Isola, in realtà si tratta dell'ennesimo affare per quelle aziende che stanno conducendo i lavori in condizioni di aperta illegalità, violando le leggi di tutela dei lavoratori. Basti dire che un sindacalista che ha provato a documentare l'illegalità è stato denunciato per spionaggio». Ma senza una legge speciale forse non si sarebbe riconvertita l'isola. «Non è così, se si decide di farlo si fa. Eppoi noi poniamo anche una questione politica: la Sardegna non è in guerra con nessuno e il G8 è una provocazione di stampo coloniale, prosecuzione di quel processo di deculturazione forzata che noi chiamiamo genocidio culturale». Torniamo alle basi. «Proponiamo un piano di smilitarizzazione totale, di bonifica del territorio e riconversione dell'economia militare. Vorrei ricordare che in Sardegna i militari occupano 24 mila ettari contro i 16 mila di tutta la penisola italiana. E che nel piccolo villaggio di Quirra su 150 persone, 20 sono morte per la stessa malattia e ad Escalaplano nel '98 14 bambini sono nati con gravissime malformazioni». Nel vostro programma contestate anche la politica delle entrate della giunta uscente. «Sia centrodestra che centrosinistra hanno fatto passare come una grande vittoria la ricontrattazione della vertenza entrate con lo Stato italiano. Noi riteniamo vergognoso che lo Stato abbia rubato per anni miliardi di euro di proprietà dei sardi e poi abbia gentilmente concesso di restituirli in piccole rate nei prossimi decenni. Noi li vogliamo tutti, subito e con gli interessi». Che legge elettorale vorreste? «Una legge rigorosamente proporzionale, per scardinare la blindatura delle coalizioni italiane». Senza sbarramento? «Lo sbarramento è necessario. Il problema della rappresentanza, lo ripeto, è un altro: lo spazio dedicato dai media alle piccole forze». Chiedete che gli stipendi dei consiglieri regionali vengano parificati a quelli dei metalmeccanici: un po' eccessivo? «Con grassi stipendi e onorificenze lo Stato italiano colonialista ricatta il popolo sardo. Noi pensiamo che la politica sia servizio al popolo». Che cosa pensa della scelta di una parte del Psd'az di candidarsi col centrodestra. «Una scelta incoerente, dettata da semplice opportunismo». Voi avete rifiutato di entrare nel centrosinistra. «Ho spiegato che non abbiamo gli stessi interessi dei partiti italiani. Vede, non è sufficiente mettersi l'abito in velluto o far suonare Procurade e moderare ai comizi o esporre la bandiera dei Quattro mori per dirsi indipendentisti o sardisti». Mentre parla, Sollai mostra un I Phone della Apple, tra i simboli universali della globalizzazione. Sembra una contraddizione, lui non concorda. «Penso che la globalizzazione contrasti con i principi di solidarietà, libertà e unità solo quando non riconosce e non rispetta altri popoli e altre identità. Non cambia niente se nel pianeta ci sono mille o duemila Stati, se c'è rispetto reciproco e unità per la soluzione dei problemi del pianeta».

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Se la sfida passa per la dogana telematica (sezione: Globalizzazione)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Il Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-02-03 - pag: 19 autore: M&M Se la sfida passa per la dogana telematica di Sara Cristaldi U n vero e proprio "big bang" coinvolgerà le dogane europee tra il 2009 e il 2010. Ma le imprese italiane, pur al corrente della svolta in corso, stentano a mettersi al passo. E, specie le più piccole, preferiscono invocare proroghe. La rivoluzione corre sulle strade della telematica, che implica reingegnerizzazione dei programmi di servizio (per le Dogane) e modifiche organizzative per tutti (Dogane e operatori). Con un cambio radicale di approccio in linea con l'evoluzione della disciplina dei commerci imposta dalla globalizzazione, per sopravvivere alla quale occorre giocare bene la carta del fattore tempo. In sostanza la dogana non va più solo vissuta come strumento di protezione e di difesa (contro contraffazioni e ai fini della sicurezza delle merci in ingresso) ma va anche (e soprattutto) utilizzata nella logica della facilitazione dei flussi commerciali e quindi dello sviluppo del Sistema Italia. Un processo avviato e percorso a tappe successive. Eppure i numeri parlano di un ancora scarso coinvolgimento delle imprese. è così, ad esempio, sul fronte del cosiddetto Aeo ( Operatore economico autorizzato), certificazione che permetterebbe di svolgere le operazioni doganali con procedure che si protrebbero definire "domiciliari" e quindi veloci con tutela dell'intera catena logistica. Dal 1Úgennaio 2008 sono state solo 130 le istanze per ottenerla, di cui il 70% nel Nord d'Italia,con impegno maggiore a Nord-Ovest. E l'attivo Nord-Est che fa? Certo gli ostacoli non mancano. Le Pmi, ad esempio, hanno ancora poca dimestichezza con la telematica e c'è anche chi tenta di approfittarsi di questa loro debolezza (assistenza a prezzi maggiorati e così via). è stato sottolineato anche la scorsa settimana a Verona nel corso di un road show dell'Agenzia delle Dogane volto a sensibilizzare le imprese locali. Anche se può suonare strano in tempi di calo della domanda estera, la strada è comunque obbligata. Meglio farsi trovare preparati, alla ripresa, a confrontarsi con un mondo sempre più aperto. E più veloce. sara.cristaldi@ilsole24ore.com

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Protezionismo & Alimentazione. (sezione: Globalizzazione)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Il Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-02-03 - pag: 19 autore: Protezionismo & Alimentazione. A rischio una serie di accordi bilaterali e le trattative multilaterali del Doha Round Tokyo in difesa sul fronte del cibo Stefano Carrer TOKYO. Dal nostro inviato O biettivo ufficiale del Governo: che il popolo mangi almeno 63 chili di riso l'anno e non solo 61. Non è uno scherzo, ma uno dei target fondamentali fissati dal ministero dell'Agricoltura giapponese,al fine di aumentare l'autosufficienza alimentare del Paese al 50% entro 10 anni rispetto all'attuale 40% (era del 73% nel 1965). Un obiettivo ambizioso che rischia di rinviare le prospettive di apertura del settore agricolo e di riduzioni tariffarie sull'import alimentare, ostacolando ulteriori fasi di liberalizzazione del commercio globale e accordi di libero scambio bilaterali. In Giappone, insomma, potrebbe arrivare una nuova stagione di protezionismo agricolo e di nazionalismo alimentare incoraggiata dall'alto. Il ministro Shigeru Ishiba sta per raddoppiare il suo ruolo come "ministro per le Riforme agricole".Il fulcro del cambiamento dovrebbe riguardare la revisione della politica che dal 1971 favorisce una riduzione dei terreni coltivati a riso per sostenere i prezzi. Un approccio per molti demenziale, che ha concorso a un aumento delle terre abbandonate (oggi l'8% della superficie utile) e scoraggiato coltivazioni alternative. La crisi alimentare globale della primavera scorsa ha fatto scattare un senso di allarmismo tale da far ipotizzare il pericolo di future carestie. L'agricoltura è declinata fino a contare solo per l'1,7% del Pil e oggi il contadino medio ha 65-70 anni. A primavera è anche scoppiata un'improvvisa crisi del burro:non se ne trovava più,ma la tariffa sull'import è rimasta al 35%. I rincari del carburante hanno poi costretto molti pescatori a ridurre le uscite in mare,in concomitanza con un ormai evidente depauperamento delle risorse ittiche. Ma anche alcuni clamorosi scandali su prodotti stranieri - dai ravioloni cinesi avariati al riso contaminato - hanno contribuito a creare le condizioni per un rilancio del made in Japan in patria. Il disagio del Giappone per la scarsa autosufficienza alimentare va rispettato,osserva Richard Col-lasse, presidente uscente della Camera di Commercio europea, ma la soluzione «dovrebbe concentrarsi più sul miglioramento dell'offerta locale che non sulle restrizioni all'import», in modo che il sistema diventi «efficiente nel fornire ai consumatori la massima scelta e sicurezza a prezzi ragionevoli ».Dall'American Chamber of Commerce arriva inoltre l'invito ad«aumentare la competitività internazionale dei prodotti agricoli giapponesi», anziché rafforzare le distorsioni di mercato. La Keidanren (la Confindustria nipponica) negli anni recenti aveva premuto per un allentamento dell'approccio protezionista, nella consapevolezza che il futuro di un Paese dipendente dall'importazione di risorse naturali e dall'export di manufatti si gioca su un commercio internazionale sempre più libero. Ma ora sembra aver messo la sordina alle sue sollecitazioni. Sono le imprese associate che stanno facendo le mosse più giuste:le case di trading rafforzano le attività di intermediazione su commodities agricole, mentrealcune grandi aziende come Kirin stanno acquistando grandi società estere nel ramo alimentare. Sul piano diplomatico, Tokyo è in prima fila non contro le restrizioni all'import, ma contro quelle all'export alimentare: in questo senso, si sta dando da fare per creare un approccio asiatico comune. «Va introdotto un dialogo e un coordinamento regionale su aspetti come lo stoccaggio, le politiche su commercio e biocarburanti, la protezione della proprietà intellettuale, la ricerca e sviluppo e gli investimenti nell'agricoltura», afferma Fukunari Kimura, capo economista della Eria, il nuovo centro studi promosso da Tokyo a supporto dei forum politici regionali. Una ricetta radicale invece è stata appena proposta dall'autorevole Japan Forum on International relations: con 21 audaci raccomandazioni (compresa quella di importare 50mila stranieri nelle campagne) delinea una« Japan's strategy for its agricolture in the globalized world » respingendo l'idea che il settore sia o possa essere vittima della globalizzazione. Anzi, sostiene che proprio il ritardo nell'integrazione con l'economia globalizzata sia la causa del ristagno. stefano.carrer@ilsole24ore.com www.jfir.or.jp/e/pr_e/pdf/31.pdf Per leggere il documento L'OBIETTIVO Dal punto di vista agricolo il Paese deve raggiungere l'indipendenza al 50% entro dieci anni. Prima si parlava del 40%

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Antitrust all'attacco delle banche (sezione: Globalizzazione)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Il Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-02-03 - pag: 29 autore: Credito. Segnalazione di Catricalà a Parlamento, Banca d'Italia e Consob: chieste nuove norme su trasparenza e conflitti d'interesse Antitrust all'attacco delle banche L'Authority: prima degli aiuti di Stato una profonda riforma della governance Rossella Bocciarelli ROMA Sono «inevitabili e urgenti» interventi di regolazione sulla governance di banche e assicurazioni. Il monito proviene dall'Antitrust, è contenuto in una segnalazione inviata a Parlamento, presidenza del Consiglio, Banca d'Italia e Consob e dà un seguito più formale (in quanto sollecita l'azione del legislatore) alle conclusioni già evidenziate dalla recente indagine conoscitiva sul sistema creditizio prodotta dall'authority guidata da Antonio Catricalà. Nella segnalazione si ricorda infatti che nell'indagine conoscitiva si auspicava una risposta in tempi rapidi sul versante delle iniziative di autoregolamentazione. Ma poiché «è mancata la reazione spontanea del sistema finanziario » l'Autorità adesso chiede che il progettato intervento pubblico a sostegno delle banche «sia inserito in un quadro di misure finalizzate a eliminare i conflitti di ruolo, a riformare assetti di governance ormai superati, a garantire la nozione di indipendenzae a introdurre maggiore trasparenza nel ruolo degli azionisti». Non basta. Secondo il Garante della concorrenza occorrono anche chiarimenti sulla normativa sui mutui per incentivare la portabilità e permettere la massima confrontabilità delle offerte. Inoltre, per i conti correnti, il documento consiglia «l'introduzione di un indice sintetico di costo comprensivo di tassi passivi e commissione di massimo scoperto ». La segnalazione si occupa anchedel comportamento delle fondazioni. «La loro centralità per la stabilità –osserva l'Antitrust –deve necessariamente essere bilanciata da una nuova modalità d'azione. Le fondazioni devono rendere chiaro il processo decisionale sulle modalità con le quali esercitano i diritti di voto nelle società partecipate e definire i criteri in base ai quali selezionano i candidati da proporre per le cariche degli organi di governo delle società partecipate,anche alla luce dell'esigenza di non candidare soggetti caratterizzati da conflitto di ruoli. è inoltre indispensabile – si sostiene –che la nomina degli stessi organi di governance delle fondazioni e la gestione del patrimonio siano ispirate a criteri oggettivi e trasparenti. Il documento dell'Antitrust affronta infine un problema annoso, quello della riforma delle banche popo-lari: occorrerebbe un intervento normativo per adeguare il regi-melegalevigentecherischiadies-seresolounostrumentoperevita-recambiamentiefficientineglias-settiazionariedigovernosocieta-r o, alla realtàattuale. Sull'esigenza di valorizzare al massimo gli aspetti di trasparenza, allo scopo di ripristinare la fiducia sui mercati finanziari internazionali si pronuncia d'altra parte, in un'analisi dello scenario globale svolta nell'intervista al Wall Street Journal, anche il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi. «Vi è bisogno di fare progressi significativi nello sviluppare maggiore trasparenza, in modo da capire cosa c'è nei bilanci delle banche e quali sono le vere valutazioni» osserva Draghi, intervistato come presidente del Financial stability forum. «In futuro, vi sarà un'inevitabile maggiore standardizzazione dei prodotti. Di per sé ciò costituirà un potente stimolo verso la trasparenza, perché sarà più agevole capire e prezzare i prodotti sulla base di una vera conoscenza. Complemento essenziale alla standardizzazione aggiunge Draghi– sarà la creazione di sistemi centralizzati di compensazione e regolamento dei mercati ». Ma una maggiore regolamentazione, chiede l'intervistatore del Wsj, non potrebbe costituire un freno all'innovazione finanziaria? «Vogliamo creare– replica Draghi–un sistema che non distrugga le prospettive dell'industria bancaria. La standardizzazione potrebbe forse costituire un freno allo sviluppo dell'innovazione finanziaria, ma contribuirà a far sì che tale crescita sia più sostenibile nel tempo». Quanto alle caratteristiche che dovrà avere il sistema bancario del futuro, Draghi osserva che «ciò che vogliamo è un set-tore finanziario, e bancario in particolare, dove ci sia più capitale, meno debiti, più regole e una vigilanza molto più forte. è necessario – sottolinea il Governatore, parlando delle regole per l'industria finanziaria mondiale, che saranno esaminate dal prossimo G20 di Londra – che tutto ciò avvenga in condizioni in cui vi sia parità concorrenziale. L'azione dei Governi è cruciale». Serve quindi un avallo politico a livello globale per queste strategie. Anche perché, conclude Draghi, ricordando i vantaggi portati dalla globalizzazione «rischiamo di perdere tutto se torneremo al protezionismo, assumendo iniziative soltanto a livello nazionale ». Sul versante operativo,c'è infine da segnalare che ieri ha materialmente iniziato ad operare il nuovo mercato interbancario col-lateralizzato (Mic) attivo sulla piattaforma di contrattazione di e-Mid. Finora, informa Bankitalia, hanno aderito 39 banche italiane ed estere. FINANZA SOTTO TIRO Per la commissione è da riformare anche il sistema di governo delle assicurazioni Il Governatore Draghi: più trasparenza per la fiducia

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L'ENTUSIASMO per Obama sembra aver contagiato anche il "freddo" Putin. Nel suo di... (sezione: Globalizzazione)

( da "Messaggero, Il" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Martedì 03 Febbraio 2009 Chiudi di CARLO JEAN L'ENTUSIASMO per Obama sembra aver contagiato anche il "freddo" Putin. Nel suo discorso di mercoledì scorso a Davos, all'apertura del World Economic Forum, egli ha abbandonato i toni polemici nei confronti degli Usa. Non li ha più accusati di perseguire una politica unilaterale, aggressiva ed egemonica, né di aver provocato con la loro ingordigia ed errori la crisi economica mondiale, che sta duramente colpendo anche la Russia. Ha sottolineato invece l'esigenza di una stretta cooperazione «perchè siamo tutti sulla stessa barca». Insomma, sorrisi e mano tesa rivolti evidentemente al nuovo presidente Usa. Le relazioni russo-americane hanno sempre avuto cicli alterni, di cooperazione e di tensione. Queste ultime hanno dominato dal 2004, da quando cioè gli Usa appoggiarono la "rivoluzione arancione" in Ucraina. Si sono poi inasprite dopo il conflitto in Georgia e con l'accettazione della Repubblica Ceca e della Polonia di schierare sui loro territori componenti del sistema antimissili americano (Bmd). "Alti" e "bassi" sono state influenzati soprattutto dalla situazione interna della Russia. Negli anni novanta, la cooperazione aveva prevalso. Intanto, perchè la priorità della politica estera russa sembrava essere l'integrazione in Occidente. Poi, perchè la Russia era debole ed aveva un disperato bisogno degli investimenti e delle tecnologie occidentali. Beninteso, gli allargamenti della Nato ed anche dell'Ue erano stati visti con sospetto dai russi. Erodevano i loro tradizionali spazi di influenza e di sicurezza. La situazione era considerata umiliante. La Russia, pur entrata a far parte del Club occidentale - dal G8 al Consiglio Nato-Russia - non ne faceva parte a pieno titolo. Non esercitava su di esso il "condominio"con gli Usa, di cui pensava di avere diritto. Forse, aspira anche oggi alla co-presidenza della "casa comune europea", recentemente riproposta da Medvedev. Con l'arrivo al potere di Putin e con la sua restaurazione "zarista" dell'ordine interno e della potenza russa, le cose sono cambiate. La Russia ha ripreso fiducia in se stessa ed ha rincominciato a svolgere una politica più assertiva nelle sue immediate periferie ed anche a livello globale. Putin è stato abile. Ha avuto anche fortuna. Ha potuto avvalersi degli alti prezzi del petrolio e del gas, della dipendenza energetica dell'Europa e delle Repubbliche ex-sovietiche e della "distrazione" degli Usa in Medio Oriente. Ha privilegiato i rapporti bilaterali con i singoli Stati europei, rendendone impossibile una politica comune nei riguardi della Russia. Oggi ne esistono due. Quella dell'Italia e della Germania, che danno priorità alla cooperazione sia economica che politica, anche nella persuasione che essa a poco a poco essa trasformerà la Russia. E quella degli Stati centro-orientali dell'Unione, del Regno Unito e della Svezia, che ritengono che la Russia stia subendo una pericolosa involuzione autoritaria ed imperiale. Solo la leadership americana può unificare tale due politiche. Non è sicuro, ma è l'unica a poterlo fare. Con il cambio della presidenza russa - da Putin a Medvedev - nulla è mutato nella strategia di Mosca. Il "presidente ombra" e "l'ombra del presidente" sono in completa sintonia. Invece, l'arrivo di Obama può segnare un cambiamento nella politica statunitense. L'entusiasmo generale non è attenuato dal rischio che Washington possa accordarsi con Mosca sulla testa degli europei. Continua in Europa l'aspettativa fideistica che Obama riesca a "quadrare il cerchio", tutelando gli interessi occidentali e - al tempo stesso - quelli russi. Anche Putin sembra persuaso che possa farlo. Per dare maggiore credibilità alla sua politica della "mano tesa", un anonimo alto esponente militare russo ha affermato - nello stesso giorno del discorso di Putin - che Mosca sospenderà lo schieramento dei missili nucleari a Kaliningrad, annunciato da Medvedev il 5 novembre, come "benvenuto" ad Obama dopo la sua nomination. La decisione russa sarebbe motivata dalla presunta volontà di Obama di dilazionare lo schieramento del sistema antimissili, perchè inaffidabile e troppo costoso. Se sono rose, fioriranno. La palla è ora in campo americano. Una risposta sarà forse data fra una settimana a Monaco di Baviera, alla Werkunde 2009, principale appuntamento annuale per discutere della sicurezza in Europa. In essa, il vicepresidente americano Joe Biden potrebbe rendere note le decisioni di Obama sugli antimissili e sulla ripresa del dialogo strategico fra gli USA e la Russia, in particolare in tema di accordi per la riduzione degli armamenti nucleari e convenzionali e per la sicurezza energetica dell'Europa. E' interessante notare come l'apertura nei confronti di Obama è molto simile a quella che Putin aveva fatto nel 2001 nei riguardi di Bush. Essa esprime - come allora - una visione ben precisa del futuro geopolitica della Russia. Se Washington riconoscesse quelli che Mosca considera i suoi interessi vitali in Europa, il Cremlino sarebbe disponibile ad un'ampia collaborazione con gli USA ed i loro alleati nei numerosi settori in cui sa che la Russia è indispensabile: dai rifornimenti all'Afghanistan - compromessi dall'instabilità del Pakistan - al Medio Oriente; dalla proliferazione nucleare alla sicurezza energetica; dall'ecologia alla composizione dei conflitti "addormentati", tuttora esistenti nello spazio ex-sovietico. Un dialogo fra Washington e Mosca è facilitato sia dalla gravità della crisi finanziaria in Russia sia dalle tensioni sorte in campo finanziario fra gli Usa e la Cina, illustrate dal professor Fortis sul Messaggero. Mosca ha sempre temuto che i cinesi amino il mercato degli Usa, più di quanto ne odino l'egemonia politico-strategica. Il loro spettro è "Chimerica", cioè un'intesa strutturale fra la Cina e gli Usa. Va da sé che un accordo russo-americano sarebbe particolarmente importante per paesi come l'Italia e la Germania, la cui politica estera, anche economica, è basata su di un delicato equilibrio fra i due paesi. Ne sarebbe anche favorevolmente influenzata la presidenza del G8, che l'Italia ha nel 2009. Infatti, l'ingresso di Mosca in tale gruppo era stato finalizzata - nel periodo della "luna di miele" fra l'Occidente e la Russia - per prolungare ad Est la Nato, raccordarla con il Giappone, e per costituire a più lungo termine un blocco dell'emisfero settentrionale. Se si ritenesse irrealizzabile tale obiettivo la partecipazione di Mosca non avrebbe senso. Sarebbe logico tornare al G7.

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Covre, l'eretico leghista <Non licenzio stranieri per assumere italiani> La Lega: si rischia la rivolta contro il lavoro straniero Tosi: <Non ce n'è per tutti> (sezione: Globalizzazione)

( da "Corriere del Veneto" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Corriere del Veneto - VERONA - sezione: PRIMOPIANO - data: 2009-02-03 num: - pag: 2 categoria: REDAZIONALE Covre, l'eretico leghista «Non licenzio stranieri per assumere italiani» La Lega: si rischia la rivolta contro il lavoro straniero Tosi: «Non ce n'è per tutti» L'imprenditore, la crisi e i tempi che cambiano «Sono bravi e mi ripagano, perché cambiarli?» Il sindaco di Verona, ma anche Cota e Manzato Con tanti esuberi, impensabile continuare così» VENEZIA — «Licenziare gli stranieri per salvare il posto agli italiani? E come faccio? Non posso mica privarmene, ormai sono troppo preziosi: e chi ci metto sennò alla galvanica?». Che a Bepi Covre piaccia inoltrarsi su strade solitarie, controcorrente, è cosa nota perlomeno dalla metà degli anni Novanta. Da quando, cioè, nonostante lo scranno a Montecitorio preferì rifuggire i propositi secessionisti del suo Carroccio, conquistandosi l'amato appellativo di «eretico leghista». Un'attitudine, quella al pensiero originale, che conferma pure ora che ha lasciato il proscenio politico per dedicarsi alla sua azienda di Gorgo al Monticano. Dove un dipendente, su quattro, è immigrato. «L'ideologia, in casi come questi, bisogna metterla da parte. Comanda il buonsenso ». Lei crede che gli operai del Lincolnshire potrebbero fare proseliti anche in Veneto, in un dilagare di picchetti nazionalisti? «Io vedo che da più parti, in queste settimane, si sta dando risalto alle diverse facce VERONA — Chissà come suona, nella lingua della Regina, il celeberrimo slogan padano «paroni a casa nostra». Perché, a ben guardare, non è forse questo quel che intendono i lavoratori della raffineria di Grimsby quando gridano nella nebbia: «Il lavoro inglese agli inglesi»? Via gli italiani ché stavolta, visti con gli occhi d'Oltremanica, sono loro gli stranieri invasori col cartellino in mano. E i leghisti, «dal punto di vista umano», capiscono. E avvertono: «Attenzione, perché con la crisi succederà la stessa cosa in Veneto: sarà rivolta contro la manodopera immigrata ». Lo dice il capogruppo alla Camera Roberto Cota, lo ribadisce il vicegovernatore Franco Manzato, e lo conferma pure il sindaco di Verona Flavio Tosi. Che propone una soluzione, radicale: «Bisogna applicare fino in fondo la Bossi Fini. Se dopo sei mesi lo straniero non ha un lavoro, se ne deve andare dall'Italia. Ci spiace, ma non ce n'è più per tutti». Per Tosi è «inevitabile» che di questi tempi si scatenino tensioni tra veneti ed immigrati fino ad oggi fianco a fianco in catena di montaggio: «L'imprenditore che si trova a dover licenziare è costretto a fare delle scelte ed è chiaro che chi lavora lì da una vita, è nato e cresciuto in questa terra, e prima ancora i suoi genitori, giustamente si aspetta di godere di qualche riguardo in più rispetto a chi è approdato in Veneto soltanto negli ultimi anni. Mi sembra una cosa assolutamente normale». Per il sindaco scaligero alle tensioni che si profilano all'orizzonte di un'unica medaglia. Non dicono forse la stessa cosa, pur con sfumature diverse, l'onorevole Cota, che chiede una sospensione di Schengen, il sindacalista Barbiero, che chiede di frenare i nuovi ingressi, ed il nuovo presidente americano Obama, che lancia il motto "Buy american"? La situazione è critica, ciascuno deve pensare per sé». Pensare per sé significa pensare prima agli italiani? si può rispondere Flavio Tosi Se dopo sei mesi non hai un contratto devi tornartene nel tuo paese «E' normale chiudersi a riccio di fronte alle difficoltà, io gli operai inglesi li capisco. Ma in Veneto, in questi anni, abbiamo fatto entrare migliaia e migliaia di stranieri, che ora vivono e lavorano qui. E dobbiamo pensare anche a loro». Stranieri chiamati a far lavori che i veneti non volevano fare più, a quel che s'è sempre detto. E se adesso i nativi avessero cambiato idea, e pur di non restare a casa fossero disposti a ridimensionare le loro pretese? «Gli immigrati non sono venuti qui soltanto perché i veneti non volevano più fare certi lavori, ma anche perché, ai bei tempi del boom, non si trovava manodopera sufficiente a soddisfare tutta la domanda». Lei è un leghista e pure un imprenditore: licenzierebbe uno straniero per salvare un italiano? «Ai miei occhi i dipendenti sono tutti uguali, la pelle non fa alcuna differenza. Se l'immigrato volesse tornare a casa, perché con la crisi non gli conviene più star qui, potrei pensare ad un aiuto economico, un incentivo, soltanto in un modo: «Potenziando la rete sociale chiamata a sostenere nell'immediato le persone licenziate ed applicando fino in fondo la legge Bossi Fini, ossia rispedendo a casa chi non ha un lavoro: se dopo sei mesi non hai un contratto devi tornartene al tuo Paese. Semmai in un secondo tempo, e solo se ce ne saranno le condizioni, potrai tornare in Italia ». Per Tosi a questa strada non ci sono alternative: «Con le migliaia di esuberi che ci attendono è impensabile riuscire a mantenere tutti. Sarebbe il definitivo collasso della spesa pubblica». Si dice preoccupato anche il vicegovernatore del Veneto Franco Manzato, che però non ritiene probabili veri e propri scioperi «anti stranieri» come quelli messi in atto in Gran Bretagna: «Il nostro tessuto produttivo è composto di piccole e medie imprese, scarsamente sindacalizzate, dunque credo sia improbabile assistere a proteste organizzate su larga scala. Più facilmente vi saranno tensioni localizzate, magari solo su quei singoli segmenti produttivi dove più alta è la percentuale di occupati immigrati. Quel che è certo è che nessuno, magari con la promessa di riprenderlo una volta passata la buriana. Ma cacciarli, quello proprio no. In molti casi non me lo potrei nemmeno permettere». in questo momento, è in grado di anticipare fino in fondo le conseguenze della prima vera crisi post globalizzazione, una cosa mai vista prima». Nel Carroccio, ad ogni modo, è diffusa la convinzione che la prima misura da attuare, almeno nel breve termine, sia la moratoria sui flussi già In che senso? «Molti di questi ragazzi sono cresciuti con me, arrivati a Gorgo per fare lavori di cui un ingegnere veneto non voleva neppure sentir parlare. Hanno imparato e adesso sono bravi, ho investito su di loro e loro mi hanno ripagato. Perché dovrei cacciarli? Per far posto a quell'ingegnere che ora piange amaro?». E allora la soluzione qual è? ventilata dal ministro dell'Interno Roberto Maroni: «Da tempi non sospetti sosteniamo la necessità di porre un freno alla libera circolazione delle persone - afferma il vice di Cota alla Camera, Luciano Dussin - L'ha fatto Zapatero in Spagna e nessuno si è scandalizzato. Dobbiamo introdurre i dazi a \\ Bepi Covre Stiamo smaltendo la sbornia della globalizzazione. Dobbiamo rallentare Il gestore A Porto Levante la base della Adriatic Lng, gestore del rigassificatore

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La società liquida di Bauman (sezione: Globalizzazione)

( da "Corriere della Sera" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Corriere della Sera - MILANO - sezione: Tempo Libero - data: 2009-02-03 num: - pag: 17 categoria: REDAZIONALE DEBUTTO La società liquida di Bauman Lo stravolgimento della società e dei rapporti interpersonali, la globalizzazione e la perdita di riferimenti. Il pensiero di Bauman, padre della teoria della «modernità liquida» è al centro di «Zygmunt Bauman» (foto) in scena allo Spazio Mil. Fino all'8/2. S. San Giovanni, via Granelli, e 15, h 21

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È noto (sezione: Globalizzazione)

( da "Corriere della Sera" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Prima Pagina - data: 2009-02-03 num: - pag: 1 autore: di BILL EMMOTT categoria: REDAZIONALE Proteste anti-italiani OPERAI, IL CONTAGIO DEL PROTEZIONISMO è noto che l'attuale recessione è globale e colpisce quasi tutti i Paesi. Di sicuro ne sta subendo gli effetti la parte ricca e industrializzata del mondo: l'Europa occidentale, l'America del Nord e il Giappone, e ovunque la disoccupazione è in crescita. è perciò davvero deprimente, per un inglese favorevole alla globalizzazione, al libero mercato e alla libertà di movimento delle persone, vedere operai inglesi che scioperano contro lavoratori italiani impiegati in una raffineria francese sulla costa orientale dell'Inghilterra. CONTINUA A PAGINA 6

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<Quel sindacato difende i lavoratori Guerra dei poveri voluta da Bruxelles> (sezione: Globalizzazione)

( da "Corriere della Sera" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Primo Piano - data: 2009-02-03 num: - pag: 5 categoria: REDAZIONALE Il leader della sinistra Fiom (Cgil) «Quel sindacato difende i lavoratori Guerra dei poveri voluta da Bruxelles» ROMA — «Quello che sta avvenendo nel Lincolnshire è il frutto ultimo della globalizzazione: una guerra tra poveri in un contesto di grave crisi economica». Giorgio Cremaschi, leader della sinistra Fiom (metalmeccanici iscritti alla Cgil), vorrebbe tanto dirlo che quelli come lui avevano avvertito da tempo che il liberismo avrebbe portato a questo, ma poi si trattiene, perché davanti alla guerra tra operai inglesi e operai italiani c'è poco da essere soddisfatti. Gli inglesi accusano gli italiani di portar via loro il lavoro. Non è un bello spettacolo, non trova? «Bisogna capire tutti i motivi della protesta. Noi non conosciamo questa azienda italiana con sede a Siracusa perché non è sindacalizzata, almeno dalla Fiom. E quindi non sono in grado di dire se essa, nel Lincolnshire, applica condizioni tali da giustificare la protesta dei lavoratori inglesi». In che senso? «Voglio dire che se gli operai italiani venissero pagati di meno rispetto a quelli inglesi o avessero condizioni contrattuali peggiori sarebbe giusta la lotta dei lavoratori inglesi, anche se sono consapevole che sicuramente sotto la protesta ci sono ragioni diverse tra loro». Quali? «Se operai altamente specializzati come quelli che lavorano alle piattaforme petrolifere si fanno tra loro la guerra, allora significa che lì stanno messi veramente male, che la crisi è arrivata anche in alto. è la conseguenza di un processo di deindustrializzazione che nel Regno Unito va avanti da molti anni. Ed è la conseguenza dell'avanzamento della "cultura della Bolkestein"». Cioè? «Della cultura figlia di quella direttiva europea sull'applicazione delle condizioni di lavoro del Paese d'origine. Insomma, se si arriva al dumping sociale, è chiaro che le vittime reagiscono». Fa impressione, però, che il sindacato inglese appoggi manifestazioni contro i lavoratori italiani. «Bisogna vedere come stanno le cose. Faccio un esempio. Se la Fiat decidesse di chiudere gli stabilimenti di Pomigliano o di Termini Imerese per spostare queste produzioni in Polonia, perché lì paga gli operai di meno, è chiaro che i nostri lavoratori scenderebbero in piazza. E il sindacato non potrebbe far altro che stare con loro». Ma qui il caso è diverso. Si tratta di un'azienda italiana che ha vinto regolarmente una gara nel Regno Unito e, ciò nonostante, le si organizzano contro manifestazioni e scioperi. «Il problema non è di essere contro gli immigrati italiani, ma di lottare per l'eguaglianza delle condizioni di lavoro. In questo senso, altro che contratto nazionale, ci vorrebbe un contratto europeo che impedisse forme di concorrenza sleale. E invece in Italia, con l'accordo sulle regole della contrattazione firmato da governo, imprese e Cisl e Uil, si vuole andare verso il contratto aziendale. Ecco dove porta». Lasciamo da parte la polemica sindacale e torniamo al punto. I cartelli issati dai lavoratori dicono: «Posti di lavoro inglesi per lavoratori inglesi». «è una frase del primo ministro Gordon Brown. Adesso leggo che anche il presidente americano Barack Obama pensa a misure di protezionismo per il settore dell'acciaio. Ma se poi succedono queste cose, non c'è da stupirsi». Giorgio Cremaschi Enrico Marro

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Tra Usa e Iran la diplomazia del badminton (sezione: Globalizzazione)

( da "Corriere della Sera" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri - data: 2009-02-03 num: - pag: 16 categoria: REDAZIONALE La trasferta Tra Usa e Iran la diplomazia del badminton *WASHINGTON — Con Teheran, anche l'Amministrazione Obama ricomincia dallo sport. Proseguendo una tradizione americana, che data dai tempi del ping-pong di Nixon con la Cina, una delegazione di 12 persone (8 atlete, 4 dirigenti e allenatori) parte oggi per l'Iran, dove parteciperà al torneo internazionale di badminton femminile, in programma nella capitale iraniana dal 5 all'8 febbraio. E' il primo atto di diplomazia sportiva dall'insediamento del nuovo presidente, che ha indicato l'avvio di un dialogo diretto con il regime degli ayatollah come uno dei capisaldi della sua nuova politica estera. Ma nel caso specifico, Obama segue un traccia già aperta da George W. Bush, che sin dal 2006 aveva promosso questo genere di iniziative. Trentadue atleti americani hanno infatti preso parte a manifestazioni sportive di lotta, basket, ping-pong e pallanuoto in Iran negli ultimi 2 anni, mentre 75 iraniani hanno fatto altrettanto in America. In più, altri 200 tra artisti, accademici e medici persiani hanno partecipato a programmi di scambio negli USA. Il Dipartimento di Stato ha dato molto risalto alla notizia della visita della squadra di badminton, definita parte di una più vasta iniziativa per approfondire i contatti fra i due popoli. Nelle prossime settimane, il presidente Obama dovrebbe annunciare la nomina di Dennis Ross, ex negoziatore di Bill Clinton in Medio Oriente, a inviato speciale per l'Iran. Seguirebbe l'apertura ufficiale di un dialogo fra i due Paesi, che non hanno relazioni diplomatiche dal 1979. Nel team Usa Eva Lee P. Val.

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Obama: più truppe a Kabul (sezione: Globalizzazione)

( da "Tempo, Il" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

stampa Medio oriente Obama: più truppe a Kabul Barack Obama è pronto ad inviare 15mila soldati supplementari in Afghanistan. Si tratterebbe di due brigate da combattimento, una dell'esercito ed una dei Marine, più una brigata di istruttori per le forze di sicurezza afgane. Ieri il ministro della Difesa americano, Robert Gates, lo stesso dell'amminsitrazione Bush ha illustrato al presidente Barack Obama e al vicepresidente Joseph Biden, i piani per l'invio delle nuove truppe in Afghanistan. Domenica, in una intervista alla Nbc, Obama aveva ipotizzato il rientro entro un anno, di militari dall'Iraq. Un numero «sostanziale» di ragazzi in divisa Usa sarà ritornato in patria di qui a un anno, ha dichiarato Obama, intervistato dalla Nbc in occasione della finalissima di football tra Steelers e Cardinals nello stadio di Tampa in Florida per il Super Bowls. L'Afghanistan è diventata «la più grande sfida militare per gli Stati Uniti», aveva detto Gates la scorsa settimana alla Commissione Forze Armate del Senato pur osservando che la nuova amministrazione democratica ha aspettative «realistiche e limitate» sul futuro del paese. E proprio ieri i talebani hanno rivendicato un attacco suicida contro un un commissariato di Tarin Kowt, capoluogo della provincia di Uruzgan, nell'Afghanistan centro-meridionale. Il kamikaze, che aveva su di sè un giubbotto esplosivo, per potersi avvicinare indisturbato si era camuffato indossando una falsa divisa d'ordinanza: una volta entrato nell'ufficio, si è fatto saltare in aria. Il bilancio ancora provvisorio è di 25 morti e diversi feriti. Si tratta del peggiore attacco contro le forze governative avvenuto nel Paese asiatico durante gli ultimi mesi. Il ministero della Difesa di Kabul ha reso noto dal canto suo che nella stessa provincia sono frattanto stati catturati altri tre aspiranti attentatori pronti a immolarsi. Sul fronte diplomatico grande attività per il nuovo segretario di Stato Usa. Hillary Clinton incontrerà oggi a Washington, il collega britannico, David Miliband, e quello tedesco, Frank-Walter Steinmeir. Al centro dei colloqui, secondo il portavoce, Robert Wood, Clinton discuterà con gli omologhi in particolare del dossier iraniano e della situazione in Afghanistan. Gli incontri si svolgeranno alla vigilia della riunione a Berlino del gruppo 5+1 sull'Iran, cui partecipano i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna) e la Germania.

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Gb/ Bertinotti: Non e' razzismo ma guerra fra poveri (sezione: Globalizzazione)

( da "Virgilio Notizie" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Roma, 3 feb. (Apcom) - Per la protesta degli operai inglesi contro gli italiani "più che di razzismo parlerei di un nazionalismo concorrenziale che nasce dalla paura". Lo dice Fausto Bertinotti, intervistato da 'Repubblica'. I lavoratori inglesi "sbagliano", avverte l'ex presidente della Camera, ma "la classe dirigente europea ha una responsabilità storica in materia di lavoro. C'è stata una contrazione di diritti, un rovesciamento dei principi alla base delle Costituzioni democratiche, penso a quella francese, a quella italiana". Bertinotti rivendica l'opposizione della sinistra contro la direttiva Bolkestein, "è stata una battaglia contro la cattiva globalizzazione", e propone ""un Piano del lavoro in Europa per non dover mai scegliere, in futuro, tra l'operaio inglese e quello italiano".

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Banche Centrali ancora all'opera (sezione: Globalizzazione)

( da "Trend-online" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Banche Centrali ancora all?opera FOREX, clicca qui per leggere la rassegna di Saverio Berlinzani , 03.02.2009 08:21 Scopri le migliori azioni per fare trading questa settimana!! Febbraio comincia ne più ne meno di come era finito il mese di gennaio. L?avversione al rischio resta altissima, e si intravede solo qualche sprazzo di luce in una situazione generale di buio e di paura. L?ism del settore manifatturiero Usa, pubblicato ieri pomeriggio, per un attimo ha rappresentato una speranza, essendo uscito superiore alle attese, ma poi la realtà ha ripreso il sopravvento. 35.6 contro il 32.9 del mese precedente (gennaio su dicembre) non significa poi questo recupero e rimane il dato più basso dal 1982 ad eccezion fatta del numero pubblicato proprio a dicembre 2008. La nuova amministrazione è impegnata su un duplice fronte, cercare di impostare il piano di salvataggio dell?economia nazionale da un lato, e impedire che la manipolazione valutaria possa rinforzare il dollaro indiscriminatamente all?estero. Il nuovo Segretario al Tesoro Geithner già in un paio di occasioni ha parlato di manipolazione quando si è trattato di affrontare il tema della Cina e dello Yuan ed ora, il 13 e 14 febbraio, in occasione del G7, cercherà di impedire ai Giapponesi, che intanto minacciano interventi per indebolire lo Yen, di farlo. Si entra quindi in una nuova era di discussioni, molto accese sicuramente e che riguarderanno il mercato dei cambi, come sempre ai margini dell?interesse della collettività, ma di grande interesse strategico per politici ed economisti. Sulle valute, a nostro avviso, si giocheranno le prossime partite a livello internazionale, in quanto la volontà unita alla necessità di svalutare di alcune aree si scontrerà con la stessa necessità da parte di altre. Insomma, tutti vogliono svalutare, ad eccezion fatta forse dell?Europa (che però ne avrebbe bisogno quanto tutti gli altri), ma nessuno può farlo a scapito della rivalutazione di qualcun altro. Ecco quindi che accanto ai Giapponesi ci segue pagina >>

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- CINA: SCOMPARSO AVVOCATO PER I DIRITTI UMANI (sezione: Globalizzazione)

( da "WindPress.it" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

03-02-2009 Sei in: Home > Documentazione > Comunicati stampa > 2009 > Febbraio > Cina: scomparso avvocato per i diritti umaniContenuto della paginaCina: noto avvocato per i diritti umani scomparso da due settimane e a rischio di tortura, denunciano tre organizzazioni per i diritti umaniCS016: 03/02/2009Gao Zhisheng Hu JiaAmnesty International, Human Rights Watch e Human Rights in China hanno sollecitato il governo di Pechino a fornire immediatamente informazioni su Gao Zhisheng, noto avvocato per i diritti umani, scomparso due settimane fa. Le tre organizzazioni per i diritti umani temono che Gao possa subire torture e chiedono il suo rilascio immediato. Gao era sotto costante sorveglianza di polizia insieme ai suoi familiari da quando, nel 2006, era stato condannato per "incitamento alla sovversione" con sospensione della pena. Le sue ultime notizie risalgono al 19 gennaio. Secondo fonti attendibili, sarebbe stato arrestato dalle forze di sicurezza e si troverebbe in stato di detenzione in un luogo imprecisato. Giudicato nel 2001 tra i dieci migliori avvocati di tutta la Cina da una pubblicazione del ministero della Giustizia, Gao un avvocato autodidatta che ha difeso le vittime di alcuni dei pi gravi e controversi casi di violazioni dei diritti umani da parte della polizia e di altri funzionari pubblici. Nel 2005 aveva scritto una serie di lettere al presidente Hu Jintao e al premier Wen Jiabao, chiedendo la cessazione delle torture ai danni dei praticanti del Falun Gong e la fine della persecuzione contro i cristiani e gli attivisti per i diritti umani. Nel settembre 2007 aveva trascorso alcune settimane in carcere per aver denunciato al Congresso Usa la situazione dei diritti umani in Cina. In quell'occasione, era stato sottoposto a brutali torture: pestaggi, scariche elettriche sui genitali, sigarette accese poste vicino agli occhi. Dopo il rilascio, persone a lui vicine lo avevano descritto come "un uomo distrutto", sia fisicamente che psicologicamente. Amnesty International, Human Rights Watch e Human Rights in China hanno chiesto ai governi e agli organismi intergovernativi di fare pressioni sul governo di Pechino affinch garantisca l'incolumit di Gao Zhisheng e ne disponga il rilascio il pi presto possibile. FINE DEL COMUNICATO Roma, 3 febbraio 2009 Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste: Amnesty International Italia - Ufficio stampa Tel. 06 4490224 - cell.348-6974361, e-mail press@amnesty.it?EmailFacebookDeliciousMySpaceTechnoratiDiggMenu di sezioneDocumentazioneComunicati stampaRapporto Annuale 2008ApprofondimentiPubblicazioniDona on-lineIscrivitiGiornate Amnesty 2008 5 per milleTutte le modalit per sostenerci...

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La terra ci salverà (sezione: Globalizzazione)

( da "Famiglia Cristiana" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

di Alberto Laggia - cultura@stpauls.it PROTAGONISTI INCONTRO CON SILVIA PÉREZ-VITORIA, VINCITRICE DEL PREMIO NONINO LA TERRA CI SALVERÀ Negli anni Sessanta, in America latina, scoprì che i contadini sono la classe più affamata della Terra. Da allora si è appassionata alla loro causa ed è diventata una studiosa militante. La sua visione del mondo è cambiata totalmente da quando, negli anni Sessanta in America latina, ha toccato con mano una delle contraddizioni sociali più terribili: vedere che i contadini, coloro cioè che producono quanto serve per sfamarci, sono la classe più affamata della Terra. Il dato della Fao (l?organizzazione delle Nazioni Unite per l?alimentazione e l?agricoltura) non lascia dubbi: 630 sugli 850 milioni di persone che nel mondo soffrono la fame fanno i coltivatori. Così Silvia Pérez-Vitoria, che abbiamo incontrato a Udine dove ha ricevuto il Premio Nonino, ha iniziato ad appassionarsi alla causa delle classi contadine, alla loro storia e alla loro fine annunciata. Da qui è partito lo studio dei movimenti per l?occupazione della terra come "Via Campesina", o i "Sem Terra" brasiliani, fino al "Landless Movement" sudafricano, e il Soc, il sindacato degli operai agrari, dell?Andalusia. E oggi, col suo nuovo libro Il ritorno dei contadini, tradotto dal francese da Jaca Book, questa studiosa-militante cerca di dimostrare che il nostro mondo avrà un futuro soltanto se ce l?avranno coloro che coltivano la terra. «Le organizzazioni contadine», spiega, «hanno formato nel tempo microsocietà con alta qualità di vita, producendo una riflessione sulle forme alternative all?agricoltura industriale e globalizzata. Sono nate vere e proprie università, come quelle in Venezuela, dove si formano i contadini del domani partendo dal recupero dei saperi antichi, mettendo in cattedra gli agricoltori». La tecnologia, l?avvento della chimica e la globalizzazione, secondo la Pérez, sono fra le cause maggiori dello sconvolgimento e del depauperamento della cultura contadina. «La mondializzazione mette in concorrenza sleale contadini che hanno produttività del tutto diverse da continente a continente». Per questo motivo, aggiunge, bisognerebbe passare dal principio di "sicurezza alimentare" ? che prevede anche l?importazione del 100 per cento delle derrate ? a quello di "sovranità alimentare" che punta alla produzione interna del fabbisogno. «La chimica è solo una delle soluzioni possibili, peraltro la più inquinante. Sono ben 500 milioni nel mondo i braccianti e gli agricoltori che non ricorrono a tecnologie industriali, perché non esistono soluzioni tecnologiche applicabili ovunque, ma si deve sempre tener conto dell?ecosistema». E per avvalorare la sua tesi, la Pérez cita un altro dato ripreso da un rapporto della Fao del 2007: se tutta l?attività agricola mondiale si convertisse in agricoltura biologica, abolendo perciò l?uso di prodotti chimici, ogni abitante della Terra avrebbe tra 2.640 e 4.380 calorie al giorno in più. «È solo un problema di rapporti politici di forza, perché tecnicamente le soluzioni ci sono già tutte», commenta. «Le multinazionali sono "un potere nel potere", ma non sono invulnerabili. Per esempio, in Francia le lotte dei "Falciatori volontari" che tagliavano le piante Ogm hanno scoraggiato la Monsanto (colosso multinazionale delle biotecnologie agrarie, ndr) a investire ancora nel nostro Paese in prodotti transgenici». Una questione che riguarda tutti L?agguerrita economista, infine, denuncia ad alta voce quello che definisce «l?occultamento della questione contadina», cioè il fatto che le problematiche agrarie siano scomparse dalle agende politiche dei Governi nazionali e della Comunità europea. Nel frattempo, però, ci sono segnali in controtendenza: «Vedo un ritorno alla terra da parte di tanti giovani francesi.. Si parla molto di mercato equo-solidale, di prodotti biologici, di slow food. Ma attenzione che non si tratti solo di mode. Sarebbe sbagliato, ad esempio, favorire il commercio equo-solidale con i Paesi lontani e non sostenere il contadino che vive nella fattoria vicino a noi». «Bisogna capire», conclude, «che la questione contadina ci riguarda tutti: la nostra alimentazione, il nostro ambiente e, in un futuro prossimo, il nostro stile di vita e la nostra cultura. Ciò non significa diventare tutti contadini, ma modificare l?aberrante nozione di sviluppo che fino a oggi ha pensato di sbarazzarsi di chi coltiva la terra».

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Famiglia Cristiana: "Il recupero dei lefebvriani rischia di appannare l'immagine della Chiesa cattolica" (sezione: Globalizzazione)

( da "Rai News 24" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Roma | 3 febbraio 2009 Famiglia Cristiana: "Il recupero dei lefebvriani rischia di appannare l'immagine della Chiesa cattolica" Il vescovo negazionista lefebvriano "Il recupero degli scismatici lefebvriani (con un vescovo che nega l'olocausto degli ebrei e preti che contestano l'esistenza delle camere a gas) rischia di appannare l'immagine della Chiesa cattolica e del Vaticano II, cosi' come la mano tesa alla Fraternita' di san Pio X avrebbe meritato ben altra regia e comunicazione": lo scrive 'Famiglia Cristiana', nel suo editoriale dedicato questa settimana al caso dei vescovi scismatici riammessi dal Papa e alla attualita' del Concilio Vaticano II. Il settimanale dei Paolini richiama quanto affermato dallo stesso Papa Benedetto XVI il 20 aprile 2005, all'indomani dell'elezione: "I documenti conciliari non hanno perso di attualita'; i loro insegnamenti si rivelano anzi particolarmente pertinenti in rapporto alle nuove istanze della Chiesa e della presente societa' globalizzata". Famiglia Cristiana ricorda come la 'Gaudium et spes' riaffermi 'la centralita' del lavoro, di valore superiore agli altri elementi della vita economica, poiche' questi hanno solo valore di strumento'". Cosi' come "e' attualissimo il richiamo che riserva ai politici: 'I partiti devono promuovere cio' che e' richiesto dal bene comune; mai e' lecito anteporre il proprio interesse a tale bene'". "E a quanti" continua il settimanale, "per meschini calcoli elettoralistici alimentano e cavalcano le ondate di xenofobia, il Concilio ricorda: 'Ogni genere di discriminazione circa i diritti fondamentali della persona, sia in campo sociale che culturale, in ragione del sesso, della razza, del colore, della condizione sociale, della lingua o religione, deve essere superato ed eliminato, come contrario al disegno di Dio'". ia.

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Primo satellite dell'Iran. Prove tecniche di missili pag.1 (sezione: Globalizzazione)

( da "Affari Italiani (Online)" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Iran/ Lancia il primo satellite. Preoccupazione di Usa, Gb e Francia Martedí 03.02.2009 16:50 Un comune impegno a fermare il programma nucleare della Corea del nord è stato assicurato dal neopresidente americano, Barack Obama, e dal collega sudcoreano, Lee Myung-ba, nel corso di un colloquio telefonico di 15 minuti. Lo ha reso noto il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, che ha sottolineato l'intenzione dei due Stati di impegnarsi per aumenttare la collaborazione anche con gli altri Paesi impegnati nei negoziati con Pyongyang, Russia, Cina e Giappone. Obama ha anche confermato che a breve, probabilmente gia' a meta' febbraio, il neo-segretario di Stato Hillary Clinton sara' a Seul in visita ufficiale. Spettera' a lei affrontare lo spinoso problema del nucleare nordcoreano. La telefonata fra i due leader, giunge in un momento di nuove tensioni nei rapporti fra le due Coree. La settimana scorsa, Pyongyang ha annullato tutti gli accordi firmati con Seul dopo l'avvio del processo di distensione, accusando il governo conservatore sudcoreano di sabotare il dialogo con accuse e provocazioni. Poco dopo il colloquio tra Obama e Lee, le intelligence di Seul e Washington hanno avvertito che potrebbe essere imminente il test di un nuovo missile balistico a lunga gittata da parte di Pyongyang. Il missile, un Teepong-2 su cui possono essere montate testate nucleari, e' stato individuato nei pressi della base di Dongchangri, costruita l'anno passato proprio per testare missili intercontinentali. Pyongyang aveva gia' sperimentato un'arma simile nel luglio 2006, ma il test falli' miseramente e il missile si disintegro' pochi minuti dopo aver lasciato la piattaforma di lancio. < < pagina precedente

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La nuova sfida possibile(?) di Obama">Dopo Guantanamo, la pena di morte La nuova sfida possibile(?) di Obama (sezione: Globalizzazione)

( da "Affari Italiani (Online)" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Politica Usa/ Dopo Guantanamo, la pena di morte. La nuova sfida possibile(?) di Obama Martedí 03.02.2009 16:30 Difficile che Barack Obama affronti il tema dell'abolizione della pena di morte a testa bassa. Ma la lobby abolizionista negli Usa (un Paese che, dopo Cina, Iran e pochi altri regimi, conta il numero più alto di giustiziati al mondo) guarda con fiducia alla Casa Bianca. Durante la campagna elettorale, Obama ha parlato di pena di morte solo in un'occasione, nel giugno scorso, quando la Corte Suprema stabilì che condannare qualcuno alla sentenza capitale per lo stupro di un bimbo è incostituzionale. "Ho detto a più riprese-disse in quell'occasione- che penso che la pena capitale dovrebbe essere applicata in pochissime circostanze per i crimini più efferati". "Io penso che lo stupro di un bimbo piccolo, di sei o otto anni, sia un crimine atroce e che se uno Stato decide che, in limitate, ristrette, ben definite circostanze, la pena di morte è applicabile almeno in via ipotetica, questo non violi la nostra Costituzione". "Obama e la pena di morte? Penso che cercherà di evitare la questione", liquida il tema Rob Warden, che guida il Center on Wrongful Convictions alla Northwestern University School of Law (l'osservatorio sulle sentenze sbagliate) istituito nella facoltaà di legge di Chicago, la capitale dell'Illinois dove Obama ha a lungo vissuto. "Ci sono troppi problemi pressanti: economia, relazioni internazionali, Medio Oriente, Iraq e Iran e poi ancora Afghanistan e Pakistan. Obama ha gia' troppe crisi da fronteggiare". In realtà a prescindere dalle sue convinzioni, come presidente Obama non ha il potere di abolire la pena di morte, ma potrebbe influenzare la riforma della giustizia penale e soprattutto le decisioni sulla pena di morte attraverso le sue nomine alla Corte Suprema. L'ultimo presidente Usa che rese pubblica la sua avversione alla pena capitale fu Franklin D. Roosevelt. Quando era governatore dell'Arkansans, Bill Clinton trasformò in ergastolo tutte le sentenze per gli accusati nel 'braccio della morte', un gesto simbolico che pero' gli costò la rielezione. E memore dello schiaffo, Clinton non tornò mai sulla questione da presidente. Obama dietro le quinte GUARDA LA GALLERY Obama è un politico "molto accorto, perfettamente consapevole che mostrarsi apertamente contrario alla pena di morte gli avrebbe impedito di essere eletto", dice Jennifer Bishop-Jenkins, in prima linea nel movimento abolizionista statunitense. L'avvocato ricorda che, quando nel'Illinois si arrivò a una riforma della legislazione in materia, Obama si mostroò defilato, ma fu poi decisivo per l'inserimento di alcuni cambiamenti garantisti nello statuto per le forze dell'ordine (per esempio, l'obbligo di registrare gli interrogatori nei casi di omicidio). E lo statuto, che è stato poi adottato anche da altri Stati, è attualmente considerato decisivo per evitare confessioni estorte. Da quando la pena di morte è stata reintrodotta nel 1976, è stata utilizzato solo per assassini e loro complici; e l'ultima persona giustiziata negli Usa senza essere stato condannato per omicidio risale al 1964. Ma gli abolizionisti si augurano che una presa di posizione, almeno a livello morale, possa portare a un cambio di mentalita' del Paese, dove peraltro i favorevoli alla pena di morte sono la grande maggioranza (il 65 per cento, secondo un recente sondaggio): "Il successo politico di Barack è vitale per riforme di lungo termine e di amplissimo raggio: lui ci deve trasformare dalla nazione che siamo in quella che dovremmo essere. E deve portare tutta la nostra nazione, troppo conservatrice, in un posto migliore".

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FAMIGLIA CRISTIANA: RECUPERO LEFEBVRIANI RISCHIA APPANNARE (sezione: Globalizzazione)

( da "Virgilio Notizie" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

(ASCA) - Roma, 3 feb - ''Il recupero degli scismatici lefebvriani (con un vescovo che nega l'olocausto degli ebrei e preti che contestano l'esistenza delle camere a gas) rischia di appannare l'immagine della Chiesa cattolica e del Vaticano II, cosi' come la mano tesa alla Fraternita' di san Pio X avrebbe meritato ben altra regia e comunicazione''. E' quanto afferma l'editoriale del prossimo numero di 'Famiglia Cristiana' dedicato all'attualita' e al valore del Concilio Vaticano II. Una riflessione, quella sui seguaci di Lefebvre e sulla riammissione dei vescovi scismatici che oggettivamente risuona critica nei confronti del Vaticano. Significativo che in quest'ottica la lunga premessa alla riflessione critica sia sul valore del Concilio Vaticano II, che e' ancora oggi il punto di contrasto con i lefebvriani. E il titolo dell'editoriale appare anche un'esortazione: ''Di fronte all'attuale crisi etica, sociale ed economica del mondo la chiesa ha molto da dire sulla scia del Concilio''. '''Occorre vigilare perche' non vengano usate formule che ci riportino indietro rispetto al concilio Vaticano II'. Con un articolo apparso il 2 febbraio del 2008 su La civilta' cattolica, il cardinale Carlo Maria Martini elencava -ricorda Famiglia Cristiana- 'alcune cose da evitare' nel Sinodo dei vescovi convocato per ottobre, e dedicato al tema La parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Il richiamo del cardinale fu letto come una preoccupazione indirizzata a quanti tendono a relegare il Concilio tra i reperti di un passato ingombrante, da 'tradire' piu' che 'tradurre' nella complessa realta' del nostro tempo. A questi 'affossatori' del Concilio, che cercano di arruolare abusivamente nelle loro truppe anche papa Ratzinger, vale la pena ricordare le parole che Benedetto XVI, appena eletto rivolse ai cardinali, il 20 aprile 2005, nella Cappella Sistina: 'Nell'accingermi al servizio che e' proprio del successore di Pietro, voglio affermare con forza la decisa volonta' di proseguire nell'impegno di attuazione del concilio Vaticano II, sulla scia dei miei predecessori e in fedele continuita' con la bimillenaria tradizione della Chiesa'. 'Col passare degli anni', proseguiva il Papa, 'i documenti conciliari non hanno perso di attualita'; i loro insegnamenti si rivelano anzi particolarmente pertinenti in rapporto alle nuove istanze della Chiesa e della presente societa' globalizzata'. Nelle sue parole si avvertiva l'eco del 'testamento spirituale' di Giovanni Paolo II: 'Stando sulla soglia del terzo millennio in medio Ecclesiae, desidero esprimere gratitudine allo Spirito Santo per il grande dono del concilio Vaticano II, al quale insieme con l'intera Chiesa mi sento debitore. Sono convinto che ancora a lungo sara' dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze che questo Concilio del XX secolo ci ha elargito. Come vescovo che ha partecipato all'evento conciliare dal primo all'ultimo giorno, desidero affidare questo grande patrimonio a tutti coloro che sono e saranno in futuro chiamati a realizzarlo'''. ''I documenti conciliari -prosegue il settimanale- non hanno perso di attualita'; i loro insegnamenti si rivelano anzi particolarmente pertinenti in rapporto alle nuove istanze della Chiesa e della presente societa' globalizzata''. Famiglia Cristiana ricorda come la Gaudium et spes riaffermi ''la centralita' del lavoro, ''di valore superiore agli altri elementi della vita economica, poiche' questi hanno solo valore di strumento''''. Cosi' come ''e' attualissimo il richiamo che riserva ai politici: ''I partiti devono promuovere cio' che e' richiesto dal bene comune; mai e' lecito anteporre il proprio interesse a tale bene''''. ''E a quanti'' continua il settimanale, ''per meschini calcoli elettoralistici alimentanoe cavalcano le ondate di xenofobia, il Concilio ricorda: ''Ogni genere di discriminazione circa i diritti fondamentali della persona, sia in campo sociale che culturale, in ragione del sesso, della razza, del colore, della condizione sociale, della lingua o religione, deve essere superato ed eliminato, come contrario al disegno di Dio''''.

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Obama e le guerre commerciali (sezione: Globalizzazione)

( da "AprileOnline.info" del 03-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Obama e le guerre commerciali Domenico Moro, 02 febbraio 2009, 18:23 Economia Dietro la retorica "universalistica" e "messianica" del discorso d'insediamento del neopresidente si delinea il fermo proposito di far pagare la crisi al resto del mondo, dopo averla scatenata con la pratica dell'indebitamento, riaffermando una egemonia che però non ha più le basi economiche di un cinquanta anni fa. Testimonianze concrete, l'atteggiamento aggressivo nei confronti della Cina e il protezionismo sul versante interno Nonostante lo sforzo di Obama di presentare al mondo il volto morbido dell'egemonia americana, sulle questioni di fondo, quelle dei rapporti economici, il suo esordio appare addirittura più aggressivo di quello dell'amministrazione Bush. Molto preoccupante, a detta della maggior parte degli analisti economici, è stata l'uscita la settimana scorsa del nuovo ministro del Tesoro Usa, secondo il quale la Cina si sarebbe resa colpevole di aver manipolato la sua valuta, lo yuan renmimbi. La gravità dell'affermazione sta nel fatto che, secondo gli accordi tra Usa e Cina, in caso di manipolazione valutaria, gli Usa si riterrebbero autorizzati ad introdurre dazi per le merci importate dal paese estremo orientale. Da tempo gli Usa premono affinché la Cina rivaluti la sua valuta, che, a detta degli americani, è sottovalutata per facilitare le esportazioni cinesi. Ma, mentre il precedente ministro del Tesoro, Paulson, preferiva assumere un atteggiamento "morbido", che prevedeva una rivalutazione graduale nel tempo, l'amministrazione Obama sembra meno disponibile a concedere dilazioni. Inoltre, i primi passi di Obama sono caratterizzati dalla ripresa del protezionismo, che per l'amministrazione repubblicana rappresentava una specie di bestemmia economica. Infatti, il pacchetto di stimolo economico anticrisi di oltre 800 miliardi di dollari che Obama presenterà al voto del Parlamento Usa è legato alla clausola del buy american, specialmente rivolta contro le importazioni di acciaio. Mentre in precedenza l'applicazione di tale norma era limitata alle spese per le autostrade, ora verrà estesa alle forniture per tutti i lavori pubblici. Anche il sostegno finanziario all'industria automobilistica Usa è diretto ai soli produttori di Detroit, a proprietà Usa. E questo sebbene case giapponesi e tedesche abbiamo molti impianti produttivi, specie nel sud degli Usa, e sebbene ci siano casi di prodotti, come la Toyota Sequoia, che hanno un contenuto americano dell'80%, superiore ad esempio a quello della Patriot, prodotta dalla Chrysler, che, sebbene considerata americanissima, è costruita con lavoro americano solo al 60%. Di fronte al protezionismo Usa si sono levate le proteste di Ue, Australia e Canada. Di particolare interesse è stata la critica che, a Davos, è stata rivolta agli Usa da Cina e Russia. Sia Wen Jintao che Putin hanno puntato l'indice sulle responsabilità degli Usa nello scoppio della crisi. Secondo Wen la crisi è stata causata da inappropriate scelte macroeconomiche basate sul basso risparmio e sugli alti consumi, oltre che sulla eccessiva espansione di istituzioni finanziare alla cieca ricerca di profitto. Putin è stato ancora più diretto, sostenendo che la crescita globale ha subito danni perché un unico centro regionale stampa moneta senza tregua e consuma ricchezza materiale, mentre altri centri producono merci a buon mercato. Una chiara allusione agli Usa che hanno accumulato un enorme debito commerciale estero (specie con l'estremo oriente) e lo finanziano stampando carta (dollari), contando sul fatto che il dollaro ricopre il ruolo di moneta internazionale. Inoltre, gli Usa finanziano con la vendita di titoli del tesoro in dollari anche il loro enorme debito pubblico federale. Non a caso sia Wen che Putin rivendicano una migliore regolazione delle varie valute di riserva e lo sviluppo di "molteplici valute di riserva regionali in aggiunta al dollaro". Molto interessante è stata anche la convergenza tra Cina e Germania, la cui cancelliera Merkel oltre ad esprimersi contro il protezionismo Usa ha rivendicato per l'Onu anche un ruolo di supervisione economica mondiale, con la costituzione di una sorta di Consiglio generale economico. La direzione presa dall'amministrazione Obama sembra rivolta ad accentuare la politica del passato, basata sull'ottenere finanziamenti dai paesi con grandi surplus commerciali. Ricordiamo che i maggiori possessori di titoli di stato Usa sono Giappone, Cina, Brasile e Russia e che il tesoro Usa si appresta a immettere sul mercato 2mila milardi di dollari in titoli di stato per finanziare le enormi spese anticicliche. Solo che, a differenza del passato, questo drenaggio finanziario, oltre ad aggravare la già pesante situazione di squilibrio nei conti mondiali, non verrebbe neanche compensato con l'acquisto Usa delle merci dei paesi finanziatori. Per la Cina in particolare il protezionismo si concretizzerebbe in una vera guerra commerciale. Ad esempio, suo è il 30% dell'acciaio importato dagli Usa. Già oggi, inoltre, il Pil cinese è decresciuto sensibilmente, e sono sempre di più gli operai che lasciano le zone industriali per ritornare nelle campagne, con conseguenze estremamente pesanti per lo sviluppo del Paese. Dietro la retorica "universalistica" e "messianica" del discorso d'insediamento di Obama si delinea il fermo proposito di far pagare la crisi al resto del mondo, dopo averla scatenata con la pratica dell'indebitamento, riaffermando una egemonia che però non ha più le basi economiche di un cinquanta anni fa, quando gli Usa contavano da soli il 60% dell'export e il 50% del Pil mondiale. Guerre commerciali e difesa ad oltranza del ruolo unico di valuta internazionale da parte del dollaro non fanno presagire nulla di buono. Anche considerando che le guerre commerciali ed il protezionismo storicamente non hanno mai favorito la pace tra i Paesi.

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Ciclo di conferenze (ore 18) per comprendere le origini, l'entità e la gravità dell&#... (sezione: Globalizzazione)

( da "Stampa, La" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Ciclo di conferenze (ore 18) per comprendere le origini, l'entità e la gravità dell'attuale crisi globale. S'inizia lunedì 9 marzo, con «Le origini: finanza e globalizzazione», con Mario Deaglio, docente ed economista. Il 16 è la volta de «I mercati occidentali. La crisi dagli Usa all'Europa», con Luca Paolazzi, direttore centro Studi Confindustria. Lunedì 23, «I mercati orientali. Bric, materie prime e petrolio», con Pierpaolo Celeste, direttore Area Studi, Ricerche e Statistiche Ice, e Stefania Stafutti, direttore Centro Alti Studi sulla Cina Contemporanea. Si chiude il 30 con «Come si esce dalla crisi?», tavola rotonda con Giovanni Bertolone, ad Alenia Aeronautica; Andrea Gavosto, direttore Fondazione Agnelli e Giuseppe Roma, direttore generale Censis. Conduce gli incontri Giuseppe Berta, storico dell'industria.

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Spazio. In orbita il primo satellite iraniano (sezione: Globalizzazione)

( da "AmericaOggi Online" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Spazio. In orbita il primo satellite iraniano 04-02-2009 TEHERAN. L'Iran ha annunciato ieri di avere messo in orbita il primo satellite interamente costruito nel Paese, così come il missile che lo ha portato nello spazio. Un annuncio che ha subito suscitato le preoccupazioni dell'Occidente per le possibili applicazioni a scopi militari della tecnologia missilistica acquisita. "La presenza ufficiale dell'Iran nello spazio è entrata nelle pagine della Storia", ha detto il presidente Mahmud Ahmadinejad annunciando il lancio, che alcune ore dopo è stato confermato da Washington. I responsabili iraniani del progetto hanno detto che il satellite, denominato Omid' (Speranza), è stato portato nello spazio da un vettore a due stadi, il Safir-2 (Ambasciatore-2). Il lancio è avvenuto nei giorni in cui a Teheran si festeggia il trentesimo anniversario della rivoluzione islamica e mentre permangono le preoccupazioni della comunità internazionale per il programma nucleare della Repubblica islamica. Oggi in Germania torneranno a riunirsi i sei Paesi che conducono il confronto con l'Iran su questo argomento: Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Germania e Francia. Ahmadinejad, che ha dato personalmente l'ordine di lancio ripetendo per tre volte le parole Allah Akbar (Dio è grande), ha negato ogni scopo militare. "Noi - ha affermato Ahmadinejad, citato dall'agenzia Isna - usiamo la scienza al servizio della pace, dell'amore, della fratellanza e del perfezionamento dell'Umanità". La concezione che della scienza ha l'Iran, ha aggiunto, "é basata sul monoteismo", mentre quella degli "espansionisti" è "una concezione satanica". Il lancio è avvenuto la notte scorsa. La televisione ha mostrato le immagini del missile nel cielo notturno. Ma nessuna informazione è stata data sull'ubicazione della base spaziale. Secondo i mezzi d'informazione di Teheran, il satellite è stato lanciato a scopi di ricerca nel settore delle telecomunicazioni e sarà fatto rientrare sulla Terra dopo un periodo fra uno e tre mesi. Fino ad allora effettuerà 15 orbite ellittiche ogni 24 ore, ad un'altitudine fra i 250 e i 400 chilometri. Gli Stati Uniti sono "molto preoccupati", ha detto il portavoce del Dipartimento di Stato, Robert Wood. Analoghe le reazioni subito arrivate dalla Gran Bretagna, dalla Francia e dalla presidenza ceca dell'Unione europea. Le potenze occidentali temono in particolare che i progressi in campo spaziale possano mettere Teheran in grado di sviluppare missili balistici sempre più perfezionati che potrebbero trasportare ordigni atomici. "Se la notizia fosse confermata, ciò significherebbe che i missili iraniano possono superare 2.000-3.000 chilometri e che sono in grado di colpire una parte l'Europa sud-orientale e Israele", ha commentato una fonte della Nato che ha chiesto di rimanere anonima. La Repubblica islamica continua invece ad affermare che il suo programma nucleare ha scopi esclusivamente civili. L'Iran, che ha finora ignorato quattro risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'Onu che gli chiedevano di sospendere l'arricchimento dell'uranio, ha detto di avere già testato con successo missili balistici come lo Shahab-3, che ha 2.000 chilometri di gittata. Il capo dell'Organizzazione aerospaziale iraniana, Reza Taqipur, ha detto alla televisione di Stato in lingua inglese PressTv che Teheran progetta di mettere in orbita "una serie di satelliti entro il 2010" per migliorare la gestione dei disastri naturali e la rete di telecomunicazioni del Paese. L'Iran vuole inoltre lanciare nello spazio il suo prima astronauta nel 2021. Un primo satellite, che l'Iran aveva detto di avere costruito, era stato lanciato nello spazio nell'ottobre del 2005 da un vettore e da una base russi.

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Politica estera. Comincia dall'Oriente la sfida di Hillary (sezione: Globalizzazione)

( da "AmericaOggi Online" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Politica estera. Comincia dall'Oriente la sfida di Hillary Emanuele Riccardi 04-02-2009 WASHINGTON. Con l'Iran, si parte da Oriente: ed è con preoccupazione e irritazione che gli Stati Uniti hanno reagito al lancio del satellite di Teheran (vedi pagina 21). Ma non è questa l'unica sfida: dall'Iran si passa al Kirzighistan, e poi dall'Afghanistan alla Cina e alla Corea del Nord, transitando per la Russia. Sono tutte ad est le prime sfide internazionali cui deve rispondere l'Amministrazione Usa di Barack Obama e di Hillary Clinton. In pochissime ore, il nuovo inquilino della Casa Bianca e il suo segretario di Stato sono stati messi alla prova su alcuni dei fronti più caldi dell'attualità internazionale, come se i loro nuovi interlocutori avessero voluto sperimentarne le capacità di risposta alle crisi. In quest'ottica, non stupisce affatto la decisione che si attribuisce alla Clinton di fare il suo primo viaggio, a metà febbraio, in Oriente, iniziando dal Giappone, toccando poi Cina e Corea del Sud. Storicamente si iniziava con l'Europa. In realtà è stato cosìanche questa volta, ma a Washington il segretario di Stato ha ricevuto ieri i colleghi di due tra i principali alleati europei, il britannico David Miliband e il tedesco Frank-Walter Steinmeier, riaffermando i legami transatlantici privilegiati. Giovedì toccherà al francese Bernard Kouchner. A preoccupare gli Stati Uniti è soprattutto il lancio del satellite iraniano, perché viene percepito come l'anticamera di un missile balistico in grado di raggiungere l'Europa (e in futuro anche gli Usa). La Clinton, la cui filosofia è quella dello 'smart power', il potere intelligente, ha mantenuto la sua promessa nei confronti di Teheran, cioé più carota ma anche più bastone. Da un lato il segretario di Stato ha confermato che gli Usa hanno "la mano tesa" verso l'Iran, ma il pugno di Teheran "si deve aprire". Dall'altro, Hillary ha minacciato Teheran di pesanti "conseguenze" se non rispetterà le risoluzioni Onu contro il nucleare. La Casa Bianca ha fatto notare che il lancio del missile non agevola la normalizzazione dei rapporti diplomatici. Preoccupa anche la perdita delle basi in Kirzighistan, indispensabili per le operazioni in Afghanistan: una perdita percepita, se non come una provocazione, almeno come un test, costruito ad arte dalla Russia. Un fatto che si verifica proprio quando gli Stati Uniti, come promesso da Obama in campagna elettorale, si apprestano a mandare rinforzi in Afghanistan, tra i 10 e i 15 mila uomini. Procedendo più ad Oriente, temendo un test missilistico della Corea del Nord, gli Stati Uniti hanno messo le mani avanti: un test sarebbe una "provocazione per Washington che si è detta "preoccupata" per le attività balistiche di Pyongyang, come ha indicato il portavoce del Dipartimento di Stato Robert Wood. Secondo indicazioni di intelligence, la Corea del Nord, che ufficialmente ha rinunciato al nucleare militare in cambio di aiuti energetici, si sta preparando al lancio di un missile intercontinentale capace di montare una testata nucleare e in grado di raggiungere l'Alaska o le coste occidentali degli Stati Uniti. La Cina, infine. Oltre all'influenza diretta che Pechino ha su Pyongyang, il discorso è soprattutto economico. Il segretario al Tesoro Timothy Geithner, che nei giorni scorsi aveva denunciato la politica dello yuan troppo basso, ha telefonato al vicepremier cinese Wang Qishan. I due ministri si sono impegnati a proseguire il dialogo tra i due Paesi sulle questioni economiche "in questo momento difficile per l'economia mondiale".

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"C'è Protezione" a Caresanablot (sezione: Globalizzazione)

( da "Stampa, La" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Evento Da venerdì debutta il grande Expo "C'è Protezione" a Caresanablot ALESSANDRO NASI CARESANABLOT Il polo fieristico di Caresanablot ospiterà da venerdì una tre giorni dedicata al mondo della Protezione civile intitolata «C'è Protezione». L'iniziativa, promossa dalla Provincia, è stata realizzata dalla società «Expoblot Srl» in collaborazione con «Studio 60» di Alessandria che gestiscono il centro fiere. «Si tratta di un vero e proprio expo ideato per offrire ai cittadini un'ampia panoramica delle attività realizzate attraverso momenti di incontro, confronto e spettacolo - spiega l'assessore provinciale alla Protezione civile Francesco Zanotti in sede di presentazione -. La gente ha fiducia in questa istituzione e così l'expo diventa la testimonianza diretta e tangibile per i visitatori dei grandi progressi che sono stati compiuti». La kermesse presenta un ricco programma di appuntamenti che da venerdì a domenica coinvolgerà i visitatori di tutte le età, con unità cinofile pronte all'intervento, elicotteri in volo per operazioni di salvataggio, mezzi e uomini coordinati in simulazioni molto realistiche e sommozzatori pronti all'immersione. Venerdì dalle 9 alle 12 più di mille ragazzi provenienti dalle scuole elementari e medie del territorio visiteranno la fiera con, alle 10, una dimostrazione pratica d'intervento dei cani antidroga della Polizia penitenziaria di Asti, nucleo cinofilo. Dalle 15 alle 18 il nucleo Sommozzatori Fipsas «Massimo Fusetti» inscenerà una simulazione di intervento in ambiente acquatico. Alle 19 verrà distribuita gratuitamente polenta con vino e gorgonzola a cura del Coordinamento della associazioni di volontariato della Protezione civile, a cui seguirà l'intrattenimento musicale con la Fanfara Ana, sezione di Ivrea. La giornata di sabato si presenta come la più ricca di appuntamenti. Nell'ottica di avvicinare i ragazzi alla Protezione civile, la Provincia ha ottenuto la collaborazione delle «Edizioni Whitelight» che, a partire dalle 9,15, distribuiranno agli studenti delle scuole superiori un'agenda con consigli e semplici regole di comportamento in situazioni di emergenza illustrate dalla mascotte «Salvo». Inoltre, grazie alla mediazione di Angela White, terrà un incontro con i ragazzi l'alpinista valsesiano Silvio «Gnaro» Mondinelli. Alle 10,30 si svolgerà la cerimonia di inaugurazione della prima edizione di «C'è Protezione. Salone della Protezione Civile e della sicurezza del cittadino» alla presenza delle autorità. Alle 11,30 inizierà invece il workshop intitolato «L'influenza dei lavori delle dotazioni di sicurezza stradale e di manutenzione sull'economia territoriale. La sicurezza in itinere», organizzato da Anas e Finco per dibattere sulla sicurezza stradale. Dalle 14 alle 18, dopo l'accoglienza dei Lupetti Ana, si svolgeranno le esercitazioni congiunte degli elicotteristi Vvf, dei Sommozzatori, delle Unità cinofile Vvf e del nucleo Speleo Alpini Fluviale che simuleranno operazioni di salvataggio con elicotteri. Alle 21, dopo la premiazione delle attività della Protezione Civile, andrà in scena il grande spettacolo organizzato dalla «Sb Communication». Maria Teresa Ruta presenterà la serata animata dal comico di Zelig Raul Cremona, dalle performance del corpo di ballo dell'Arkhè Danza e, come promesso dall'organizzatore Stefano Buscaglia, «da un altro ospite a sorpresa, direttamente da Napoli». Seguiranno l'evento programmi televisivi di Rai e Mediaset. Domenica dalle 10 alle 12,30 si svolgeranno le esercitazioni pratiche del 118, della Croce Rossa, della Pat, dei Vigili del fuoco e delle associazioni di volontariato della Protezione civile seguite, alle 12,30, dalla distribuzione gratuita della panissa. Oltre al Tir interattivo della Regione Piemonte con il sistema satellitare Emercomsat, verrà allestita un'area multimediale con dirette web e una piscina per le simulazioni. Entusiasmo per l'iniziativa da parte dell'amministratore delegato di «Expoblot» Ilenia Piccioni: «La nostra società si è assunta una grande responsabilità nei confronti di questo territorio e spero che con l'aiuto di tutti il polo espositivo diventi uno strumento importante di sviluppo, di sinergie e di comunicazione».

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La crisi alimenta una "coincidentia oppositorum" (sezione: Globalizzazione)

( da "Riformista, Il" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

La crisi alimenta una "coincidentia oppositorum" La crisi alimenta una "coincidentia oppositorum". A Davos "si predica" (bene): lanciando l'allarme contro le protezioni nazionali (forse non ancora divenute un vero e proprio indirizzo protezionistico), additando il pericolo che si infreni il processo di globalizzazione, ipotizzando, addirittura, l'istituzione, nell'Onu, di un Consiglio per la sicurezza economica, proclamando il rilancio, da parte del Wto, del Doha Round, ma poi nei singoli paesi - a opera o dei Governi o delle popolazioni - "si razzola" (male) con gli slogan inglesi contro i lavoratori italiani (pour cause approvati da esponenti della Lega), con il disegno di legge tedesco per le nazionalizzazioni bancarie, senza coordinamento europeo, con il "buy american" che tanto sta facendo discutere. Le nuove regole, il rafforzamento della supervisione finanziaria, la riforma degli organismi internazionali (Fondo monetario e Banca mondiale, prima ancora del Consiglio di sicurezza), il maggiore coordinamento tra gli Stati sembrano ricordare la prima parte delle relazioni internazionaliste nella sinistra di un tempo, che partivano per es. dalla Namibia per atterrare, poi, sui problemi del quartiere, unico tema all'ordine del giorno della discussione. L'incapacità, finora, di conseguire soluzioni globali alimenta chiusure nazionali. E la percezione dei gravissimi rischi di queste ultime è ancora debole. Altro che "glocale". Al più, siamo al "lobale". L'Italia rappresenta un caso a sé. Negli ultimi tempi, il Governo sostiene che la crisi deve essere affrontata a livello europeo e internazionale. Preannuncia proposte per dar vita a nuove giurisdizioni internazionali, per introdurre meccanismi di legal standard, per combattere i centri off shore. Si smorza, però, l'approccio globale quando - tra conti ignoti e assetto istituzionale incerto - si assegna priorità al federalismo fiscale, che viene fatto assurgere a riforma di struttura. Ritorna così la dimensione infranazionale. Ma non passa molto, ed ecco una drastica manovra di accentramento: il Governo sottrae ai Comuni 1,5 miliardi derivanti dalle dismissioni immobiliari e si accinge a intervenire in maniera pesante sulle risorse di pertinenza del Fondo sociale europeo, assegnate alle Regioni. Nel contempo, si autorizzano i Comuni di Roma e di Catania a derogare al Patto di stabilità interna. Centralizzazione contro decentralizzazione, dopo aver promosso l'inverso. Quale sia la linea dell'Esecutivo verso il basso (Regioni, Provincie e Comuni) e verso l'alto (Europa, organismi internazionali) è difficile individuare, se non quella del navigare a vista. Si risente di un generale disorientamento. E a esso il Governo aggiunge un proprio impegno. E' la politica economica del wait and see che non regge. Ci sono due occasioni in cui si potrebbe cominciare a mettere un po' d'ordine. La discussione alla Camera del disegno di legge approvato dal Senato sul federalismo fiscale e il G8 finanziario del 13 prossimo a Roma. Nel primo caso, sarebbe necessario un sostanziale ripensamento per fare piena luce sui costi, sulle connessioni, mancanti, con il più generale assetto istituzionale della rappresentanza, sui tempi di attuazione. Ci sarebbe un ampio spazio per il protagonismo dell'opposizione. Quanto al secondo evento, si tratterà di dare alla riunione un taglio efficacemente decisionale su regole e istituzioni, evitando che l'incontro si concluda con i soliti comunicati sullo stile della Sibilla Cumana. Sarebbe importante che l'evento - che poi sarà seguito dal G20 di aprile a Londra - fosse preceduto da un dibattito parlamentare. Sarebbe l'occasione per un generale dibattito sulla politica anticrisi. Un altro momento importante, per l'analisi dei profili internazionali, sarà il convegno "Forex" del 21 febbraio a cui interverrà Mario Draghi. Ma già in questa settimana si potrà tentare di dedurre la linea di marcia del Governo dal modo in cui si risolveranno le questioni del sostegno al settore auto e della regolamentazione dei Tremonti bond, che potranno essere emessi dalle banche per la loro patrimonializzazione (il ministro, abbandonando le citazioni dotte, ha detto, evocando le solanacee, che la disciplina sarà "così o Pomì"). Tuttavia, è sul versante della politica economica e istituzionale internazionale che è necessario agire con decisione. Non si può sostenere che la causa della crisi è a livello globale, che è lì che bisogna incidere e poi assumere una posizione di fatalistica attesa. Angelo De Mattia 04/02/2009

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PARLAMENTO EUROPEO: DIBATTITO IN AULA SU GUANTANAMO E CIA (sezione: Globalizzazione)

( da "marketpress.info" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Mercoledì 04 Febbraio 2009 PARLAMENTO EUROPEO: DIBATTITO IN AULA SU GUANTANAMO E CIA Strasburgo, 4 febbraio 2009 - Nel corso del dibattito in Aula, tutti si sono rallegrati per la decisione del Presidente Usa, Obama, di chiudere Guantanamo. Opinioni discordanti si sono invece registrate sull´opportunità o meno di accogliere i detenuti in Europa. Alcuni deputati hanno inoltre chiesto di far luce sul ruolo dei governi europei nelle attività della Cia sul territorio dell´Ue. Il Parlamento adotterà una risoluzione su Guantanamo. Dichiarazione della Presidenza - Alexandr Vondra, dopo aver rilevato le reiterate richieste del Parlamento affinché fosse chiuso Guantanamo, ha accolto con favore la decisione in tal senso assunta dal Presidente Obama. Ha quindi ricordato che il Consiglio ha discusso del modo in cui gli Stati membri possono offrire la loro assistenza agli Usa e, in particolare, della possibilità di accogliere ex detenuti di Guantanamo. Pur concordando sull´opportunità di giungere a una risposta politica comune, ha spiegato, l´eventuale azione europea coordinata solleva una serie di questioni politiche, legali e di sicurezza che richiedono un ulteriore esame e il coinvolgimento dei Ministri Ue della giustizia. Ha quindi assicurato che la Presidenza seguirà da vicino la questione, tenendo informato il Parlamento degli sviluppi. Apprezzando poi gli altri provvedimenti assunti da Obama, come lo stop degli interrogatori "rafforzati", il Ministro ha rilevato che consente un ulteriore rafforzamento della cooperazione tra l´Ue e gli Usa. Riguardo all´attività della Cia in Europa, ha sottolineato che il Consiglio «ha sempre reiterato il suo impegno a combattere il terrorismo ricorrendo a tutti i mezzi legali, poiché questo è una minaccia al nostro sistema di valori fondati sullo Stato di diritto». Ricordando che l´esistenza di prigioni segrete è contraria al diritto internazionale, ha esortato a concentrarsi sul futuro, piuttosto che sul passato, alla luce della nuova Presidenza Usa. Dichiarazione della Commissione - Jacques Barrot ha dichiarato che la Commissione si compiace dei «chiari mutamenti della politica americana», compresa «la maggior attenzione riservata ai diritti umani, in particolare ai sospettati di atti di terrorismo». L´unione europea aveva reiteratamente chiesto la chiusura di Guantanamo, ha aggiunto, e la posta in gioco «non è unicamente il rispetto del diritto internazionale», poiché le detenzioni senza processo «giocano in favore dei gruppi terroristici alla ricerca di nuovi affiliati». Ha quindi ricordato che, il 26 gennaio i Ministri degli affari esteri hanno discusso di Guantanamo per trovare un´azione concordata a livello Ue, rilevando che la questione di trovare «posti sicuri» per i detenuti sarà esaminata, ma si tratta di un «tema delicato». Fino ad ora, ha comunque osservato, gli Stati Uniti non hanno inviato richieste formali agli Stati membri per accogliere i detenuti. Il 26 febbraio il Consiglio giustizia e affari interni cercherà di trovare un approccio concertato a livello Ue ma, ha sottolineato, spetterà agli Stati membri prendere decisioni, caso per caso. Passando poi alla questione delle consegne da parte della Cia, Barrot ha evidenziato la necessità di sconfiggere il terrorismo rispettando i diritti umani, di stabilire la verità e, infine, di prevenire qualsiasi possibilità che tali atti si ripetano. Ha quindi ricordato di aver richiesto informazioni ad alcuni Stati membri, tra i quali la Polonia e la Romania, ma la responsabilità di condurre indagini compete essenzialmente alle autorità nazionali e non all´Ue. Interventi in nome dei gruppi politici - Hartmut Nassauer (Ppe/de, De) ha riconosciuto che «motivi di umanità» nei confronti di persone che sono state torturate, e che «hanno diritto alla nostra compassione», potrebbero giustificare l´accoglienza dei detenuti di Guantanamo in Europa. Tuttavia, ha sottolineato che occorre prendere in considerazione il fatto che molti di questi detenuti sono o sono stati terroristi e che «noi abbiamo l´obbligo di tutelare i cittadini europei da potenziali terroristi». Martin Schulz (Pse, De) ha risposto all´oratore precedente sottolineando che la sicurezza è stata messa in pericolo accettando che l´Amministrazione Bush agisse come ha fatto. Sarebbe quindi un errore «lasciare solo» il nuovo Presidente Usa che vuole cambiare direzione e ciò sarebbe in contraddizione con il ruolo dell´Ue di diffondere i diritti fondamentali e i suoi valori nel mondo. Guantanamo, ha aggiunto, «è un luogo di tortura e di vergogna, un simbolo che non si può accettare». Ricordando poi che la Carta Ue dei diritti fondamentali sancisce l´inviolabilità della dignità umana, ha sottolineato che tale principio «va garantito anche a coloro che violano i nostri principi». E´ solo così, ha concluso, «che possiamo contribuire alla sicurezza». Graham Watson (Alde/adle, Uk) si è compiaciuto per l´elezione del Presidente Obama e delle decisioni prese riguardo a Guantanamo e alle pratiche utilizzate nella lotta al terrorismo. Rallegrandosi inoltre per l´assicurazione che l´America ha disconosciuto le pratiche «squallide» come quella delle consegne straordinarie, ha ricordato che l´Europa non può restarne fuori, in quanto troppi Stati membri ne erano complici. L´atteggiamento individualista del 43° Presidente degli Stati Uniti, ha aggiunto, «ha portato ad un fallimento». Sui prigionieri di Guantanamo ha rilevato la necessità di una posizione coordinata a livello europeo, sottolineando che l´Europa sbaglierebbe a negare l´eventuale richiesta di aiuto americana. Konrad SzymaCski (Uen, Pl), rilevando che un detenuto rilasciato su nove «è tornato a fare il terrorista», ha affermato che occorre «tirar fuori i nostri cittadini», isolare quelli pericolosi e riformare la Convenzione di Ginevra. Kathalijne Buitenweg (Verdi/ale, Nl) ha apprezzato gli sforzi profusi per avere una risposta congiunta ed ha sottolineato che ci sono altrei carceri, come quelli in Afghanistan, che dovrebbero essere chiuse. In merito alle attività della Cia in Europa, ha sostenuto che «non si devono chiudere gli occhi sul passato» per il solo fatto che è cambiato il Presidente Usa. Gabriele Zimmer (Gue/ngl, De) ha sottolineato che per anni sono stati negati i diritti fondamentali e che ora si cerca di ripristinarli, ma l´Europa esita. Occorre invece che parli con voce univoca e che Guantanamo «serva da trampolino per altre azioni». Nils Lundgren (Ind/dem, Se), lodando Obama per le sue inziative, ha sostenuto che i detenuti non condannati hanno il diritto di non rimanere negli Usa, ma l´Ue non è obbligata ad accoglierli. Interventi dei deputati italiani - Per Claudio Fava (Pse, It), chiudendo Guantanamo «si permette di correggere un vulnus che ha mortificato il diritto internazionale e che soprattutto non è servito alla lotta contro il terrorismo». Ha però aggiunto che, oggi, «non basta cogliere con favore la scelta di Obama» poiché è anche «il tempo delle responsabilità . Che chiamano in causa anche l´Europa e gli Stati membri». Guantanamo, ha spiegato, «è anche il frutto del silenzio dell´Europa ed è la collaborazione di molti nostri governi con il sistema delle renditions». In questi anni, ha aggiunto, «è accaduto che, da una parte, i nostri governi dicevano che Guantanamo andava chiuso e, dall´altra, spedivano laggiù i funzionari di polizia a interrogare i detenuti». Si tratta, ha insistito, «di responsabilità negate quando questo Parlamento ha indagato, ma che sono state ammesse e accertate negli ultimi due anni». In proposito, ha citato le scuse di Blair per i voli Cia, le prove emerse sui sorvoli della Spagna e le ammissioni del governo portoghese sul fatto che il governo dell´allora Primo Ministro Barroso «sapeva e ha messo a disposizione aeroporti e cielo del Portogallo per voli illegali della Cia». Si è quindi chiesto «e il diritto dei cittadini a sapere?». Ha quindi osservato che in questi anni «abbiamo manifestato molta buona volontà e molta ipocrisia, anche nelle parole mancate da parte del Consiglio». Il Parlamento, ha quindi ricordato, «due anni fa ha rivolto 46 raccomandazioni al Consiglio: ci saremmo aspettati che di queste raccomandazioni almeno qualcuna venisse presa nel dovuto esame». Jas Gawronski (Ppe/de, It) si è rallegrato che la risoluzione riconosca l´opportunità per i paesi europei di accettare i prigionieri di Guantanamo, dicendosi d´accordo con i presidenti Schulz e Watson. Osservando poi che nella risoluzione si parla di importanti cambiamenti nella politica americana rispetto alle leggi umanitarie, ha sottolineato di vedere anch´egli «qualche cambiamento, certo di tono, ma anche molta continuità con la politica dell´"odiato" Bush, visto che Obama non ha abbandonato il programma di extraordinary renditions e delle prigioni della Cia in territorio straniero», ponendo ciò all´attenzione della Presidenza ceca «che sembra avere un´idea diversa». In proposito, ha affermato che «gli entusiasti di Obama» potrebbero «presto soffrire qualche delusione». «La propaganda antiamericana, già così attiva nella commissione Cia di due anni fa - ha proseguito - ritorna nell´interrogazione orale sui voli della Cia in Europa». Al riguardo ha evidenziato che in un considerando si denuncia l´esistenza di una struttura segreta della Cia in Polonia. Cosa che, a suo parere, «non dovrebbe scandalizzare», poiché «sarebbe semmai strano il contrario». Ha quindi concluso sostenendo che ai firmatari dell´interrogazione desse fastidio il fatto che tale struttura fosse segreta: «vorrebbero sempre che i servizi segreti agissero senza segretezza, all´aperto, e che gli aerei della Cia portassero "Cia" scritto sulle ali come fosse British Airways o Air France». A suo parere però, «saranno delusi: neanche Obama arriverà a questo». Per Marco Cappato (Alde/adle, It) «gli Stati Uniti hanno creato il problema Guantanamo, un Presidente degli Stati Uniti si prepara a risolverlo, dobbiamo sapere se l´Unione europea avrà una qualsiasi forza e capacità di giocare un ruolo». A suo parere, infatti, «l´Unione europea deve collaborare, i nostri Stati membri devono accogliere i prigionieri, come i prigionieri uiguri ad esempio, senza sottostare alle pressioni della Cina». «Se non facciamo questo», ha ammonito, «rischiamo di essere irrilevanti anche nella fase della chiusura di Guantanamo». Ha poi aggiunto che ciò «può essere l´inizio di un nuovo lavoro per l´emersione della verità, delle responsabilità dei nostri governi nazionali ? il governo portoghese, per esempio, quando era presidente Barroso ? rispetto al fatto che sia stata lasciata cadere la proposta di esilio a Saddam Hussein, proposta che era l´unica alternativa alla guerra e che i nostri governi, insieme a quello degli Stati Uniti, hanno lasciato cadere». . <<BACK

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Un fondo europeo per sostenere i lavoratori in difficoltà La proposta di rilanciare e di rifinanziare (fino a un miliardo di euro) strumenti comuni di sostegno al reddito di chi è (sezione: Globalizzazione)

( da "Unita, L'" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Un fondo europeo per sostenere i lavoratori in difficoltà La proposta di rilanciare e di rifinanziare (fino a un miliardo di euro) strumenti comuni di sostegno al reddito di chi è senza lavoro, indicando linee di governo della crisi La difficile situazione economica e produttiva in atto imporrebbe uno sforzo aggiuntivo da parte dell'Italia, sulla falsariga di altri Paesi che stanno stanziando molte più risorse finanziarie rispetto a quelle annunciate dal Governo italiano. Del resto non ci sono alternative se si vuole imprimere un cambiamento decisivo all'attuale fase, mettendo in campo un piano anti-crisi capace di rilanciare strutturalmente l'economia e di sostenere l'occupazione. Un piano serio e non giochi di prestigio, come quelli ipotizzati dall'esecutivo circa l'utilizzo dei Fondi europei destinati alla formazione (Fse). Obiettivi. Questo sforzo aggiuntivo è ciò che stiamo proponendo anche in Europa con la proposta, che abbiamo avanzato come Pd, di rilanciare il Fondo di adeguamento alla globalizzazione, ampliandone funzione ed obiettivi. Il Fondo, nato dall'utilizzo di residui di bilancio, aveva come obiettivo la protezione dei lavoratori nelle procedure di riduzione del personale determinate dallo spostamento di produzione nei Paesi emergenti. Pur a distanza di così poco tempo dalla sua introduzione, la Commissione europea ha già capito che occorre modificare il regolamento ampliando la durata del sostegno ai lavoratori (da un anno a due anni), aumentando l'ammissibilità (abbassando la soglia da mille a cinquecento lavoratori), elevando il contributo finanziario (con la parte a carico dello stato che si riduce dal 50 al 25%). Inclusione. Ha capito anche che occorre includere nel sostegno i lavoratori che subiscono le conseguenze della crisi economica e finanziaria, e non limitarsi a coloro che perdono il posto di lavoro. Ma non basta farlo secondo quanto indicato dalla Commissione. Innanzitutto non basta farlo in via temporanea ed eccezionale. Non stiamo parlando, infatti, della flessibilità del Patto di stabilità e di crescita. E dobbiamo essere chiari: non si possono più escludere le dinamiche intracomunitarie. Sarebbe dannosissima miopia. Bisogna cambiare la ragione sociale del Fondo. Dobbiamo far diventare questo strumento un vero propulsore di politiche attive del lavoro. Sostenibile. Rispettando il principio di sussidiarietà e le competenze degli stati, occorre dotarsi di un Fondo comune, con risorse adeguate, che regoli non solo le condizioni per la richiesta del sostegno, ma contenga anche vere e proprie linee guida comuni, per una governance economica in grado di orientare la gestione della crisi e di imprimere i necessari cambiamenti, all'insegna dello sviluppo socialmente ed ambientalmente sostenibile. Sulla base di tutto questo abbiamo proposto che il Fondo venga dotato di maggiori risorse finanziarie (un miliardo di euro rispetto ai 500 milioni attuali). Riteniamo che per tale strada sia possibile inaugurare, finalmente, un'idea più concreta di Europa sociale capace, con il concorso dei singoli Paesi, di fornire una risposta europea alla crisi. Sarebbe un modo questo anche per avvicinare maggiormente l'Europa ai cittadini, rendendo evidente le opportunità e le convenienze che sono insite in politiche europee innovative, all'altezza della fase che stiamo attraversando.

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Sarkozy l'europeo vira sul protezionismo (sezione: Globalizzazione)

( da "Manifesto, Il" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

AIUTI DI STATO Solo a chi compra francese Sarkozy «l'europeo» vira sul protezionismo Anna Maria Merlo PARIGI. L'articolo nascosto nelle 650 pagine del piano di rilancio da più di 800 miliardi di dollari, di Barak Obama, che suggerisce di «comprare americano». Condiziona infatti gli aiuti pubblici per le società di costruzione all'acquisto di acciaio e ferro made in Usa, e sta sollevando forti reazioni nel mondo. La clausola, che ha ricevuto l'appoggio del sindacato Afl-Cio, già approvata alla Camera, potrebbe essere estesa dal Senato ad altri settori. Il Canada, che esporta il 40% del proprio acciaio negli Usa, ha espresso «viva preoccupazione». L'Unione europea è scesa in campo. «Non rimarremo con le mani in mano», ha annunciato la Commissione, ricordando che esistono delle regole internazionali che permettono ricorsi giudiziari contro chi le contravviene. L'Italia ha già minacciato di appellarsi alla Wto. Angela Merkel ha telefonato ieri a Obama: «dobbiamo evitare il protezionismo», ha affermato la cancelliera. «Il protezionismo è una cattiva risposta» alla crisi, spiega la Germania, primo paese esportatore mondiale, che non a caso conta tra le proprie industrie alcuni colossi dell'acciaio. L'ambasciatore dell'Unione europea a Washington, John Bruton, ha inviato delle lettere all'amministrazione Usa - tra l'altro, anche alla segretaria di stato Hillary Clinton e al segretario al tesoro, Timothy Geithner - per ricordare che gli Usa, assieme a molti altri paesi, si sono impegnati a non fare ricorso a misure protezionistiche al vertice di Washington il 15 novembre scorso. Per John Bruton, se non viene rispettato questo impegno, c'è il «rischio di far entrare il mondo in una spirale protezionista che non può che aggravare la situazone delle nostre economie». Bruton ha evocato la possibilità di «una guerra commerciale»: prevedendo che «avrete meno, molto meno rilancio come effetto del vostro piano. Non ha nessun senso economico». A Davos, il direttore generale della Wto, Pascal Lamy, ha espresso la propria inquietudine per eventuali derive protezioniste. Ministri e finanzieri l'hanno raggiunto su questo punto, ma con sfumature diverse. In particolare, ha fatto scalpore una frase della ministra francese dell'economia, Christine Lagarde, peraltro fin qui conosciuta come una ultra-liberista: «il protezionismo è un male necessario» nel quadro del piano di rilancio, ha affermato. Lagarde considera che delle misure pritezioniste possono essere prese, perché «il piano di rilancio impegna soldi dei contribuenti e i governi devono assicurare che siano impiegati nell'interesse dei contribuenti». Per Lagarde l'unica clausola è che devono avere «un carattere temporaneo»: le misure protezioniste «sono cattive in sé, ma possono essere necessarie quando intervengono in modo concertato dappertutto nel mondo». Lagarde difende qui delle clausole contenute nel piano di rilancio francese. Sarkozy ha infatti condizionato gli aiuti all'industria automobilistica alla «contropartita» di non delocalizzare la produzione fuori di Francia; e potrebbe chiedere anche di «comprare francese» per quanto riguarda la componentistica. Il fronte europeo, così, manda i primi segnali di sfaldamento. Ancora prima dell'acciaio Usa, il protezionsimo già serpeggiava nel mondo. A parte i diritti di dogana triplicati per il roquefort francese - ultima decisoone dell'amministrazione Bush - la Russia ha aumentato le barriere per l'import di auto; e ci sono state misure protezioniste in Indonesia, India, Argentina, Ecuador. Nei fatti, però, il protezionismo più rischioso è quello della svalutazione monetaria: il costo del lavoro è 20 volte meno elevato in Cina che in Europa, ma è già molto più alto in India, malgrado situazioni abbastanza comparabili. E qui non ha tutti i torti Obama nel protestare con Pechino e chiedere una rivalutazione dello yuan.

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L'Australia usa tutte le armi anti-recessione (sezione: Globalizzazione)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Il Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-02-04 - pag: 8 autore: Le ricette per il rilancio. Tassi ai minimi, maxi-pacchetto fiscale e deprezzamento della valuta L'Australia usa tutte le armi anti-recessione Fabrizio Galimberti MELBOURNE Glenn Stevens, il Governatore della Reserve Bank australiana, disse qualche anno fa (quando non era ancora Governatore) che quando una Banca centrale deve decidere qualcosa deve chiedersi: «Quale mossa, fra quelle che potrei fare, è quella di cui potrei maggiormente pentirmi?». A giudicare dai quattro punti di riduzione dei tassi-guida in pochi mesi (incluso il punto deciso ieri), la mossa della quale avrebbe potuto maggiormentepentirsi sarebbe stata quella di non aver tagliato abbastanza il costo del denaro. E il cash rate è arrivato così al 3,25%, il livello più basso dai primi anni Sessanta. La politica monetaria è passata all'"avanti tutta" con maggior fortuna che in altri Paesi, nel senso che le riduzioni dei tassi-guida sono state trasmesse lungo la filiera del costo del danaro, e i tassi per famiglie e imprese ne hanno beneficiato per la quasi totalità. Ha certo aiutato il fatto che il sistema finanziario australiano si è rivelato più solido che altrove, senza troppa zavorra da titoli tossici. Sia in Europa che negli Stati Uniti, invece, l'allentamento della politica monetaria ha avuto molte difficoltà a filtrare nei tassi attivi delle banche. Ma non è solo la politica monetaria a essersi immessa nella corsia del rilancio. La politica di bilancio si è potuta permettere una manovra espansiva pari al 3,5-4% del Pil grazie all'ottima posizione di partenza: un surplus di bilancio strutturale, un debito pubblico lordo di solo il 14% del Pil (e un debito netto addirittura negativo). I surplus sono fatti per essere spesi quando la patria ha bisogno, e il Governo australiano non si è fatto pregare: un avanzo di bilancio del 2% del Pil nel 2008 diventerà un deficit nel 2009 e ancora per qualche anno questo deficit resterà al 2% del Pil. E la politica valutaria? Più che una politica, è una constatazione, dato che la moneta di un Paese come l'Australia è alla mercé dei mercati internazionali. Ma anche qui gli andamenti sono di supporto all'economia: il dollaro australiano si è pesantemente svalutato, a causa dei prezzi in calo delle materie prime e dei massicci ribassi dei tassi. Questo tris espansivo - moneta, bilancio, valuta - non eviterà all'economia australiana un forte rallentamento, ma almeno, se le cose non peggiorano, eviterà la recessione. Il Pil dovrebbe crescere dell'1% circa quest'anno. L'Australia in teoria avrebbe potuto essere colpita ancor più duramente dalla crisi: come Paese grande produttore di materie prime, e con i grandi clienti - Cina e Giappone - in difficoltà, l'economia australiana era fra le più esposte. Ma l'ottima gestione macroeconomica degli ultimi lustri ha permesso di metter da parte polpose riserve:l'alto livello dei tassi e dei surplus di bilancio hanno permesso di far scendere gli uni e gli altri senza perdere la fiducia dei mercati. fabrizio@bigpond.net.au MOSSA AGGRESSIVA La Banca centrale ha ridotto il costo del denaro di un punto portandolo al 3,25%, il livello più basso dagli anni 60

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In orbita il primo satellite degli ayatollah (sezione: Globalizzazione)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Il Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-02-04 - pag: 11 autore: In orbita il primo satellite degli ayatollah L'Iran ha annunciato di avere messo in orbita il primo satellite interamente costruito nel Paese, così come il vettore che lo ha portato nello spazio. Un annuncio che ha subito suscitato le preoccupazioni dell'Occidente e degli Usa per le possibili applicazioni a scopi militari della tecnologia missilistica acquisita. Il lancio è stato confermato da Washington. Il satellite Omid (Speranza) è stato trasportato da un vettore a due stadi, il Safir-2 (Ambasciatore-2). Oggi in Germania torneranno a riunirsi i sei Paesi che conducono il confronto con l'Iran sul nucleare: Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Germania e Francia. Secondo una fonte Nato i missili iraniani potrebbero colpire una parte dell'Europa Sud-orientale e Israele ( nella foto,il Safir-2 e il satellite Omid prima del lancio). ANSA

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De-globalizzare la finanza? Errore da evitare (sezione: Globalizzazione)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Il Sole-24 Ore sezione: COMMENTI E INCHIESTE data: 2009-02-04 - pag: 12 autore: MERCATI E MERCANTI ... De-globalizzare la finanza? Errore da evitare A parole, la lezione degli anni 30 è chiara a tutti: il protezionismo americano, e le ritorsioni degli altri Paesi, trasformarono la crisi finanziaria degli Stati Uniti nella Grande Depressione globale durata un decennio. Nei fatti, le cronache di questi giorni ci dicono che il messaggio non è così semplice da accettare sotto i morsi della recessione. Sotto i riflettori, le clausole Buy American nel pacchetto di stimolo fiscale dell'amministrazione Obama, e le proteste dei lavoratori inglesi contro l'"importazione" d'italiani. Sul fronte del commercio e persino del libero movimento di persone nell'Unione Europea, quindi, le truppe del protezionismo sono già in marcia. Si potrebbe aggiungere la lunga lista di misure elencate nel primo rapporto Wto sulle restrizioni ai commerci adottate subito dopo l'impegno del G-20 a non farlo, come ha ricordato il direttore dell'organizzazione,Pascal Lamy,in un'intervista al Sole 24 Ore. C'è un'altra faccia del protezionismo, meno evidente,che rischia tuttavia d'essere altrettanto perniciosa e anzi d'aggravare le conseguenze delle altre forme, ed è il protezionismo finanziario, stigmatizzato dal premier inglese Gordon Brown a Davos. Brown predica bene e razzola male (suo il «British jobs for British workers», posti britannici ai lavoratori britannici, che ispira i manifestanti anti-italiani) e anche il suo allarme sul protezionismo finanziario suona ipocrita, considerato che le autorità di Londra hanno sollecitato le banche che hanno ricevuto sostegni pubblici a far prestiti solo a imprese e famiglie britanniche. Dal punto di vista politico, c'è una logica nel chiedere che i salvataggi nazionali finanziati dai contribuenti beneficino soprattutto la comunità locale. Tuttavia, così si distorce la concorrenza, si comprime l'attività bancaria cross-border e si contrae nettamente il finanziamento al commercio, penalizzando le imprese più dinamiche che ancora riescono a stare sui mercati globali e accentuando il ridimensionamento degli scambi internazionali e quindi della crescita. I flussi di capitale verso i Paesi emergenti si sono dimezzati nel 2008 rispetto al record dell'anno precedente e per quest'anno l'Iif, l'associazione delle banche internazionali, prevede addirittura un crollo. La componente che s'indebolisce di più sono proprio i prestiti bancari, che vedranno un deflusso netto di 61 miliardi di dollari, mentre solo due anni fa il flusso positivo era di 410 miliardi. E questo andrà a colpire proprio quelle economie che ancora forniscono quel poco di crescita mondiale che è rimasta. Le pecche della globalizzazione finanziaria sono state messe a nudo dalla crisi, ma la de-globalizzazione finanziaria accelerata, come la chiama Willem Buiter, non sembra la strada migliore per uscirne. www.ilsole24ore.com/economia Online «Mercati e mercanti» di Alessandro Merli di Alessandro Merli

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Le imprese venete si schierano <Sì agli stranieri, protezionisti mai> (sezione: Globalizzazione)

( da "Corriere del Veneto" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Corriere del Veneto - VERONA - sezione: REGIONE - data: 2009-02-04 num: - pag: 8 categoria: REDAZIONALE Le imprese venete si schierano «Sì agli stranieri, protezionisti mai» Crisi e mercato del lavoro, monito (con accuse) alla politica VENEZIA — Il mondo imprenditoriale veneto risponde alle bordate leghiste e - in parte - sindacali con un coro di no. Alessandro Vardanega, presidente di Unindustria Treviso, e Mario Moretti Polegato, presidente di Geox, non hanno dubbi. Bocciano il «protezionismo» e rispediscono al mittente l'ipotesi di stop agli ingressi di nuovi stranieri per due anni, ventilata dal ministro dell'Interno Roberto Maroni, per tutelare i lavoratori italiani in questo periodo di crisi del Paese. Ma, soprattutto, non ritengono che nel Veneto esistano i presupposti per assistere a una «rivolta» di operai nei confronti di colleghi che provengono da altre nazioni. Vardanega sostiene che la globalizzazione, nel mercato del lavoro, non sia affatto un fallimento, mentre avanza seri dubbi, anche in virtù dei recenti accadimenti a sfondo giudiziario, sulla globalizzazione finanziaria che si è sviluppata senza regole. Moretti Polegato, reduce dal vertice di Davos (Svizzera), assicura che tutti i Paesi del mondo hanno manifestato in quella sede la volontà di far decollare il progetto di mondializzazione nato qualche anno fa. Ma, commenta, «questa realtà economica e geopolitica ha preso in contropiede la politica di molti Paesi, Italia compresa». Il nodo, se vogliamo, sta proprio qui: le risposte della politica a un mondo in continua evoluzione. Vardanega, presidente di Unindustria nella patria della Lega (il partito che vuole essere forza di lotta e di governo), lascia intendere che il campanilismo non ha più senso e alza il tiro verso l'esecutivo Berlusconi, accusandolo di «fare meno rispetto ad altri governi, come quelli francese e tedesco». Lo supporta, nel giudizio, anche Moretti Polegato, affermando senza mezzi termini che «la politica è rimasta indietro» e che, proprio per questo «deve accelerare il proprio processo culturale per essere all'altezza dei tempi». Insomma, il messaggio del mondo imprenditoriale è chiaro: con la politica protezionistica si torna indietro. E l'industria, pur consapevole del periodo di crisi, vuole guardare - e andare - avanti.

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Passera: aiutare la crescita fa bene anche ai conti pubblici (sezione: Globalizzazione)

( da "Corriere della Sera" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Primo Piano - data: 2009-02-04 num: - pag: 11 autore: di DARIO DI VICO categoria: REDAZIONALE Passera: aiutare la crescita fa bene anche ai conti pubblici «Sì ai Tremonti bond». «Riforme, ha ragione Ichino sul contratto unico» MILANO - Un lettore canadese ha raccontato al Financial Times di aver suggerito a sua nipote di 8 anni di portare in banca i 250 dollari messi assieme tra regali e mance. Ma la bambina lo ha freddato con una risposta secca: "No, nonno. Non ho fiducia nelle banche". Racconto la storiella a Corrado Passera di ritorno da Davos e gli chiedo da dove debbano ripartire banche e capitalismo. «Dalla responsabilità di cooperare per il bene comune» è la risposta. «Democrazia e capitalismo sono una conquista della nostra civiltà occidentale. Il nostro modello economico, che ha permesso l'uscita dalla miseria di miliardi di uomini e donne, perché ha saputo evolversi di continuo. Ora deve imparare dai suoi più recenti errori, evitare gli eccessi e diminuire le ingiustizie ». Vista così, la crisi è persino una grande occasione per toglierci di dosso quella che Passera chiama «l'ultima ideologia». Il mercato è un formidabile strumento ma parecchi dogmi sono caduti: la somma degli interessi individuali non porta sempre al bene comune, il gioco di domanda e offerta non sempre porta a prezzi significativi, la concorrenza non sempre porta all'equilibrio ma, anzi, - se non regolata - porta a bolle dove pochi guadagnano tanto e tanti perdono tutto. «Detto questo dobbiamo lavorare a un capitalismo più giusto e responsabile. La Storia non è finita nemmeno questa volta». Si riparte da un mondo che a Davos si è mostrato multipolare come non mai. Benvenuto, dunque, Mr. Obama, gli Usa continueranno ad avere un ruolo prioritario con il loro 19% del Pil del globo, «ma senza coinvolgere Cina, India e Russia non lo si governa ». Il G8 andrà in pensione e verrà sostituito probabilmente dal G20. «Il rammarico è che anche al Forum l'Europa è parsa disunita, debole, non all'altezza del ruolo che potrebbe avere. Gli orizzonti strategici si ampliano e la Ue purtroppo gioca solo di rimessa, nonostante tutti riconoscano che il modello europeo, mercato più tutela sociale, sia la via da seguire». Capitalismo responsabile non è per Passera «una contraddizione in termini». Anzi, «è una proposta per governare modernità e globalizzazione. Chi pensa che la globalizzazione vada fermata per superare la crisi, sbaglia di grosso. Anzi, se vogliamo ricostruire la fiducia a livello planetario, dobbiamo chiudere in tempi brevissimi il Doha Round». La peggiore delle cure sarebbe il protezionismo: già una volta ha gettato il mondo nella Depressione. Chi ne parla sembra dimenticare che le nostre migliori aziende dipendono per oltre il 50% dalle esportazioni. L'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo pensa che avere un manifatturiero ampio e diffuso «sia una benedizione» e chi voleva superarlo per crescere solo nei servizi «aveva evidentemente torto». Lo dimostra la storia della Total di Grimsby. Gli inglesi hanno rinunciato alla loro industria e sono costretti a dar lavoro alle aziende straniere specializzate. «Noi dovremmo valorizzare il manifatturiero competitivo: dare risorse e agevolazioni a chi investe nella propria azienda, la internazionalizza e magari la fonde con un'altra». Ma, obietto, un capitalismo responsabile che si ricandida a guidare il mondo ha bisogno di una classe dirigente capace di visione e in possesso di un'etica personale e pubblica. Invece le cronache sono piene di fatcats, di manager ingrassati a colpi di bonus miliardari e insensibili al bene comune. «Soprattutto nei paesi anglosassoni - risponde Passera - i sistemi di governance, tanto adulati dagli aedi di casa nostra, hanno creato sistemi di retribuzione abnormi che hanno esasperato l'orientamento al brevissimo termine ed esclusivamente al cosiddetto shareholders value. E' una stagione finita, certi comportamenti sono stati giustamente cancellati». Ma le stock option le avete copiate anche in Italia e anche lei ne ha usufruito. «Le stock option sono uno strumento utile se bene utilizzate mentre portano a risultati molto negativi se usate male. Mettere in condizione i manager di comprare nel tempo azioni della società che gestiscono non è sbagliato. L'importante è che le quantità siano ragionevoli, i meccanismi di assegnazione siano legati ai risultati di medio periodo e le tempistiche di vendita successiva premino la fedeltà all'azienda. Io sono addirittura di quelli che credono che un capo azienda debba tenere tutte le azioni che ha potuto comprare fino a quando mantiene la sua posizione». Il banchiere racconta che a Davos si è parlato del miliardo di giovani che in tutto il mondo cerca di entrare nel mercato del lavoro e dispera di riuscirci. «Il rischio è che la crisi tuteli chi è già tutelato e crei un'economia senza giovani. E faccia dell'Italia un Paese di giovani, di donne e di non-ancora-vecchi inattivi. Oggi chi è fuori dal mercato del lavoro e i precari pagano i privilegi e le rigidità di una parte di coloro che il lavoro ce l'hanno: ben vengano il contratto unico e le proposte del professor Ichino! Più in generale, se vogliamo costruire l'Italia di domani dobbiamo però affrontare finalmente i nodi strutturali della nostra società: l'eguaglianza dei punti di partenza, la scuola, la ricerca, la meritocrazia, la mobilità sociale». Volete una società più aperta ma poi le banche sono accusate di dare i soldi sempre e solo ai soliti noti. Un nome per tutti: la Fiat. «Pensa davvero che finanziamo Torino per scelta ideologica? Non è così. La Fiat ha fatto un grande lavoro di ristrutturazione e rilancio e a fronte di progetti industriali seri noi ci siamo stati. Ricordo la primavera del 2003: ero da poco entrato in banca e scoppiò il caso Fiat. Facemmo bene ad insistere per trovare una soluzione finanziaria che desse al gruppo un futuro. Non stiamo parlando di una sola azienda ma di un settore fatto di migliaia di aziende e di centinaia di migliaia di occupati». Ma non un soldo che andrà a Torino verrà tolto alle piccole imprese, assicura Passera. Cita i dati di Intesa Sanpaolo: 200 miliardi di affidamento alle piccole e piccolissime, 120 alle medie e grandi aziende. «In Italia non siamo al credit crunch, anche a gennaio - così come nel 2008 - come banca abbiamo aumentato l'ammontare di credito erogato malgrado il forte calo della domanda di finanziamenti e la forte crescita della rischiosità. Dai prossimi giorni farò un giro dell'Italia per spiegare ai nostri 8000 responsabili sul territorio che malgrado la crisi non ci tiriamo indietro». Ma i Tremonti bond poi alla fine li prenderete o no? Costano troppo? «Apprezziamo il lavoro del Tesoro e stiamo dando il nostro contributo per una soluzione equilibrata. Altri Paesi hanno dovuto fare operazioni di salvataggio, in Italia invece si sta solo valutando l'ipotesi di rafforzare il patrimonio delle banche perché possano crescere di più e sostenere ancora meglio l'economia reale». Passera pensa a un'operazione temporanea e che i soldi possano essere restituiti in capo a 2-3 anni «ma se il meccanismo fosse troppo costoso non ce lo potremmo permettere: le autorità europee, che hanno l'ultima parola, dovrebbero, a mio parere, favorire di più questo tipo di operazioni». E se alla fine questi bond restassero nel cassetto del Tesoro? «Si sarà persa un'occasione, perché se avremo meno patrimonio potremo erogare meno credito e potremo dare un contributo inferiore al superamento della crisi». Guai però a ripetergli la litania corrente secondo la quale le banche italiane si sono salvate perché antiquate. «Arretrati perché non abbiamo fatto finanza creativa? Perché abbiamo cercato di coniugare credito e responsabilità, perché abbiamo diffidato dell'eccessiva crescita a debito? Che avrei dovuto fare quando mi portavano ad esempio la Northern Rock che dava i prestiti a 30 anni e raccoglieva risorse sull'interbancario a tre mesi? O quando le banche di investimento facevano operazioni con un effetto leva pari a 60?». Tempo fa Passera propose un piano di 250 miliardi da spendere in 5 anni per finanziare opere infrastrutturali, incentivare investimenti privati e assicurare ammortizzatori sociali alle fasce non coperte. Il ministro Tremonti e il governo hanno scelto un'altra strada per non compromettere l'immagine rigorista di un Paese che dovrà tra breve chiedere ai risparmiatori di sottoscrivere i suoi titoli di Stato. Lei è rimasto della stessa opinione? «Sono preoccupato anch'io dello spread tra i nostri Btp e i bund, così come trovo sensatissima l'idea di dar vita a una sorta di eurobond per finanziare i grandi progetti» risponde. Ma, aggiunge, «siamo sicuri di non poter fare di più per recuperare l'enorme ritardo infrastrutturale che abbiamo accumulato e che necessiterebbe di quell'ammontare di impegni? 50 miliardi di euro all'anno sono tanti, ma non poi così tanti se mettiamo insieme ciò che il Cipe ha già avviato, gli stanziamenti già programmati per Fs e Anas, i fondi Bei. Forse si potrebbe razionalizzare il 10% dell'attuale spesa sul territorio per opere pubbliche, dismettere l'1% del patrimonio pubblico, recuperare il 2-3% di sprechi nella spesa pubblica. E attirare fondi privati: noi abbiamo creato una banca specializzata proprio nelle infrastrutture e nelle partnership tra pubblico e privato. Mi rendo conto delle difficoltà, ma se non riattiveremo una fase di crescita sostenibile i conti pubblici andranno comunque a gambe all'aria». Ma il sindaco di Torino Chiamparino accusa che sono stati buttati per l'Alitalia 3 miliardi di soldi pubblici. «Se fosse fallita, lo Stato se ne sarebbe probabilmente dovuti sobbarcare il doppio e avrebbe avuto alcune decine di migliaia di disoccupati in più. Lo dico senza polemica».

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Malta. Sul bordo dell'Europa (sezione: Globalizzazione)

( da "Tempi" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Come vivere in bilico sul bordo dell'Europa Ai confini del Vecchio Continente c'è un'isola non infelice (anzi) in cui non è permesso divorziare né abortire, dove i laburisti non inseguono Zapatero ma ammirano il Papa e dove le scuole cattoliche le paga lo Stato. Viaggio nella "fortezza" di Malta di Emanuele Boffi La Valletta (Malta) Vivono sul bordo del mondo europeo, in bilico geograficamente e umanamente tra modernità e tradizione, in un insolito miscuglio fra futuristiche tensioni centrifughe e una religione, la cattolica apostolica romana, ancora in grado di sprigionare la sua energia centripeta. è l'isola di Malta, lo scoglio su cui naufragò San Paolo, meta della fuga del Caravaggio, sede di quei celebri Cavalieri che non tentennarono a rischiare la vita per respingere l'avanzata musulmana. A circa metà strada tra Gibilterra e Alessandria, a nemmeno cento chilometri di distanza dalla Sicilia e a circa trecento dalle coste africane della Tunisia e della Libia, Malta condensa in sé elementi all'apparenza distanti e inconciliabili: fa parte dell'Unione Europea, ma il suo ordinamento se ne discosta assai, soprattutto in materia bioetica. I suoi abitanti hanno cognomi che rimandano ad avi arabi, inglesi e italiani e degli antenati hanno mantenuto la loquela e l'indole (commercianti come gli arabi, scrupolosi come i britannici, goderecci come gli italiani). Sono figli ed eredi di soldati, vivendo in città che paiono fortezze, eppure nella costituzione si dichiarano «neutrali» in caso di qualsivoglia conflitto. Fanno parte del Commonwealth, ricalcano il sistema politico da quello inglese, ma sono molto latini per mentalità: familisti, risparmiatori, cattolicissimi. Malta vive sull'orlo del mondo sviluppato come oggi lo conosciamo, ma della modernità usa solo quanto può far comodo per rendere la vita più agile: la tecnologia, la globalizzazione, il business. Per il resto, cioè per quanto concerne il cuore della quotidiana esperienza umana, Malta è l'archetipo del fatto che si può vivere senza i "diritti civili" e campare lo stesso fino a settanta, ottant'anni per i più robusti. Non per questo è "l'isola che c'è" o l'Eden, ma rimane un esempio in controtendenza rispetto al verso in cui gira il mondo. E si vedrà, nei lustri a venire, se i maltesi saranno capaci di resistere in equilibrio sull'orlo dell'Europa o se s'arrenderanno a una postura diversa. Un partito dallo 0,0049 per cento Quando il 19 ottobre del 2007 l'attivista olandese pro choice, Rebecca Gomperts, cercò di far attraccare la sua "Barca dell'aborto" sulle rive maltesi, fu rispedita, senza troppi complimenti, a casa. «Voleva convincere le nostre donne ad andare ad abortire sulla nave», ricorda Franco Galea, ex parlamentare del Partito nazionalista. «Robe da matti». A Malta il 93 per cento della popolazione è contrario all'aborto che, secondo la legge, è un reato, anche se c'è pericolo di vita per la madre. Sull'aborto non esiste discussione: tutti sono contrari, al di là di ogni simpatia politica. Alle ultime elezioni, il partito Alfa favorevole all'interruzione di gravidanza e al divorzio ha ottenuto lo 0,0049 per cento dei voti. Anni fa, ad una donna che voleva partire per la Russia per abortire è stato vietato l'espatrio. Come spiega Galea, vicino al Gift of Life, il movimento per la vita maltese, «qui nessuno si sogna di abortire anche se sappiamo che circa 180 donne all'anno vanno in Sicilia o in Inghilterra per farlo». In Europa ogni 25 secondi si consuma un aborto, ma i maltesi non si curano della propria "arretratezza". Anzi, si vantano di come la loro la società e lo Stato siano in grado di prestare aiuto alle giovani madri, con una rete assistenziale che permette, anche di fronte a una gravidanza indesiderata, di mettere in campo tutele concrete atte a scongiurare il rifiuto del figlio. Per questo, anche quando il Consiglio d'Europa ha richiamato gli Stati membri a garantire ai propri cittadini «l'aborto legale e sicuro», Malta si è opposta. E il suo primo ministro, Lawrence Gonzi, il 25 febbraio scorso, ha preso parola all'Onu per dichiarare che «nessuna raccomandazione circa i diritti delle donne può creare obblighi in capo a chiunque per considerare l'aborto come una forma di diritto alla salute della riproduzione». E solo per un pugno di voti, l'anno scorso, non è passato un emendamento per far inserire nella costituzione il riconoscimento della vita fin dal «concepimento». Lilli Gruber, il divorzio, gli embrioni L'aborto non è l'unico ambito di frizione con l'Europa. Secondo i dati, tra il 2001 e il 2005 il numero di divorzi nella Ue è aumentato dell'11 per cento (più 17 in Italia). A Malta, unico paese dell'eurozona, il divorzio non è permesso, anche se è consentita la separazione e a La Valletta sono riconosciuti quelli avvenuti all'estero. Agli atti del parlamento europeo si trova anche una dichiarazione dell'ex onorevole Lilli Gruber che, in data 26 ottobre 2006, presentò un'interrogazione scritta per capire perché l'Europa non ritenesse la non ammissione del divorzio «incompatibile con la Carta dei diritti fondamentali». Il problema del divorzio, rispetto a quello dell'aborto, è maggiormente dibattuto sull'isola. In particolare, il giovane leader laburista, Joseph Muscat, ha iniziato a sventolarne la bandiera per contraddistinguere la propria identità politica. Ma molti nel suo partito sono contrari al divorzio e il premier Gonzi, nipote dell'ex vescovo cattolico di Malta, ha assicurato che, finché sarà in carica, la questione non verrà messa all'ordine del giorno. Tuttavia, quel che potrà avvenire in futuro agita i sonni dei parlamentari cattolici del Partito nazionalista e degli uomini di Chiesa. Etienne Sciberras, sacerdote che lavora al tribunale ecclesiastico di Malta, racconta che «esiste una rete fittissima di solidarietà e di sostegno alla famiglia e ai giovani. Tuttavia anche noi constatiamo nella società maltese un generale allontanamento dalla pratica religiosa, sebbene in modo meno massiccio e repentino rispetto al continente. Se nel 1980 ricevevamo circa una ventina di richieste di annullamento di matrimonio, in questi anni le richieste sono salite a 170. La frequenza alla Messa domenicale, che vent'anni fa era all'83 per cento, oggi è scesa al 60». Michael Asciak, presidente del comitato di bioetica maltese, un passato nelle file del partito nazionalista, pensa che «prima o poi si arriverà ad un referendum e oggi non saprei dire se prevarrà l'ostilità o meno al divorzio». Asciak rivela anche che, proprio in queste settimane, ha presentato al governo la bozza di una legge per regolamentare il ricorso alla fecondazione assistita che a Malta è praticata solo in una clinica privata. Asciak elenca i punti fermi della legge: «Protezione degli embrioni di cui sarà vietato il congelamento, riconoscimento dell'inizio della vita dal concepimento, divieto di ricorrere all'utero in affitto e all'eterologa, fecondazione consentita solo a coniugi uniti da matrimonio o che dimostrino una coabitazione salda e duratura». Una legge, insomma, simile alla 40/2004 italiana. «Diciamo "no" anche all'uso di staminali embrionali e stiamo dibattendo se consentire il trasferimento in utero di due o tre embrioni». Asciak spiega con realismo che una legge è il male minore, necessaria anche per porre un freno ai numerosi «pasticci che si verificano nella clinica privata». Ho venduto più di Dan Brown Frans Sammut è una delle persone più conosciute sull'isola. Romanziere e intellettuale, vanta un record di tutto rispetto: nella sua biblioteca personale ha più di settemila volumi. Sammut, da sempre di simpatie socialiste, è stato assai vicino all'ex premier Alfred Sant: «Ricordo quando noi laburisti maltesi eravamo contrari all'adesione di Malta all'Europa e Romano Prodi insisteva con Sant: "Alfred, why?". Allora eravamo ostili all'Ue perché la percepivamo come una nuova forza colonialista, ma oggi no, l'antieuropeismo è ormai dimenticato». Quel che non è cambiato, invece, è il giudizio verso gli slanci relativisti di certi statisti della sinistra europea. «Non siamo dei fan di Zapatero. I laburisti maltesi sono anti-abortisti convinti, che c'entra il socialismo con l'aborto? La base del partito crede fortemente nella famiglia, e non prova nessun sentimento di inferiorità rispetto alle "mode" dei progressisti europei. Tutte le idee in materia di "diritti civili" che sembrano andare per la maggiore in Europa non ci convincono. Sono solo segni del decadimento del Vecchio Continente. Come se l'uomo fosse quasi stufo di sé, stanco persino di riprodursi». Fatto che, invece, non può essere detto per Malta che, assieme a Cipro, ha il più alto tasso di fertilità in Europa. E anche il record di famiglie numerose con 3,2 membri a nucleo (la media europea è 2,1). Sammut è molto affascinato, invece, da Benedetto XVI: «Sì, perché è un Pontefice che ama la ragione. Il suo discorso a Ratisbona è stato perfetto. Io adoro la cultura araba, ma gli islamici non devono prendersela col Papa se lui afferma verità storiche. Al contrario di quelle fesserie propagandate da Dan Brown. Lo sa che a Malta il mio libro contro di lui ha venduto più copie del Codice da Vinci?». Gli immigrati? Finiscono in Italia Così come l'Italia, anche Malta vive problematicamente l'immigrazione clandestina. Nel Belpaese il 2008 è stato l'anno dei record: ben 36.952 nuovi clandestini (nel 2007 erano stati 20.455). L'anno scorso, a Lampedusa, che a Malta è assai vicina, sono approdate ben 30.657 persone, triplicando quasi il dato del 2007 (11.749). Malta non è stata risparmiata dalle rotte della speranza e anche per la piccola isola i numeri si sono raddoppiati (nel 2008 vi sono approdate 84 navi e 2.775 persone; un migliaio l'anno precedente), così come le tragedie (71 le vittime di un gommone naufragato il 27 agosto e altri 10 morti il 20 settembre). Il problema di Malta nei confronti degli immigrati è uno solo: non ci stanno. L'isola è un alveare. Quattrocentomila cittadini, con una media di 1.200 abitanti per chilometro quadrato (densità inferiore solo a quella del Principato di Monaco, Singapore e Città del Vaticano), stanno assiepati su un territorio che misura 27 chilometri di lunghezza sull'asse sud-est nord-ovest e 14 chilometri sull'asse est-ovest. L'aumentare vertiginoso degli sbarchi inquieta non poco i maltesi, popolo assai accogliente, ma non per questo sprovveduto. Nazarene Azzopardi, medico che presta servizio volontario a Peace Lab, una delle strutture cattoliche che dà i primi soccorsi ai clandestini, li descrive così: «Nella maggior parte dei casi si tratta di uomini, solo un quindici per cento è costituito da donne e bambini. Arrivano dalla Somalia, dal Sudan, dal Ghana, dalla Nigeria, dal Ciad, dalla Costa D'Avorio. In molti si presentano con ferite da armi da fuoco o da machete. Spesso hanno malattie veneree e sono deperiti nel volto e nel fisico. Generalmente sono partiti dalla Tunisia perché è più vicina e perché sfruttano la corrente che rende il viaggio più agevole. Si presentano senza documenti che hanno buttato in mare per non farsi identificare. A volte, nei campi o negli alloggi che abbiamo messo a loro disposizione, la convivenza è difficile e scoppiano risse o litigi». Per i casi umanitari o per i rifugiati politici il sostegno è massimo, ma per gli altri si cerca spesso invano di rimandarli nei paesi d'origine. «Ma i più spariscono e nessuno sa spiegarsi dove finiscano. Forse in Italia». Formigoni persona non gradita A Malta ciò che è pubblico appare, a occhi italiani, come privato. L'ospedale de La Valletta, ad esempio, è un gioiello di efficienza. Le camere che ospitano i pazienti sono enormi e tutte provviste di letti da cui è possibile, per dire, usufruire del collegamento internet. Tuttavia il vero gioiello di Malta è costituito dal sistema educativo. Non solo la scuola privata, ma anche la scuola pubblica raggiunge punte d'eccellenza. La sorpresa maggiore riguarda, però, la scuola cattolica, i cui insegnanti sono pagati dallo Stato. Le scuole cattoliche vivono poi delle donazioni private e di quanto raccolto dalla Chiesa cattolica che, annualmente, promuove una colletta per sostenerle. L'iscrizione agli istituti gestiti da enti ecclesiastici è assai ambita e le richieste superano di gran lunga i posti disponibili, tanto che si è costretti, ogni anno, ad estrarre a sorte i fortunati che potranno accedervi. I maltesi sono assai convinti che lo Stato debba sovvenzionare le scuole cattoliche anche perché, da un punto di vista economico, «allo Stato costa meno pagare gli insegnanti delle cattoliche piuttosto che occuparsi dell'educazione di tutti i giovani». A tale situazione si è giunti dopo una "battaglia educativa" assai aspra. L'imprenditore Michael Mallia, ex diplomatico che ha lavorato per anni nelle ambasciate maltesi di Londra e Bruxelles, ex presidente della "Confindustria" locale, fu negli anni Ottanta a capo dell'associazione di insegnanti e genitori che si oppose al governo laburista di Dom Mintoff che volle mettere alle strette le scuole cattoliche. «Mintoff fece chiudere sei istituti gestiti da vari ordini religiosi maltesi e ordinò alla polizia di circondarli. Io, che pure ho sempre avuto simpatie socialiste, fui nominato a capo dell'associazione e organizzai comizi, assemblee e manifestazioni di piazza per fare opposizione alla decisione del governo. Chiudemmo tutte le settanta scuole cattoliche di Malta e organizzammo lezioni a casa per i nostri figli. Grazie ai miei contatti a Strasburgo, feci approvare una mozione europea contro le decisioni liberticide di Mintoff. Ricordo anche che il parlamentare Roberto Formigoni tentò di sbarcare sull'isola, ma fu respinto da Mintoff come persona non gradita». Dopo una serie di polemiche e scontri anche violenti, Mintoff fu costretto a cedere. Le scuole riaprirono, la Chiesa cedette proprietà allo Stato per il valore di 29 milioni di lire maltesi e, in cambio, il governo socialista garantì lo stipendio degli insegnanti delle cattoliche. Il fatto che in Italia, soprattutto di recente, si sia molto discusso sui finanziamenti che lo Stato concede alle scuole paritarie è, per Mallia, «un vicolo cieco. Perché il cordone della borsa, così, è sempre in mano allo Stato. E, a seconda del suo orientamento, i finanziamenti vengono più o meno elargiti». Invece «la battaglia da fare, anche dura, come abbiamo fatto a Malta, riguarda la questione educativa, non quella economica che è una sua conseguenza e sulla quale ci si può mettere d'accordo. Ma il punto sorgivo dell'azione deve essere la domanda su quale educazione vogliamo dare ai nostri figli. Oppure se preferiamo che ci sia qualcun altro che decida al posto nostro che cosa deve entrare nei loro cervelli». Anche se, prosegue, «la vera rivoluzione sarebbe l'introduzione del voucher. Io l'avevo proposta già negli anni Ottanta, ma non passò. Come si dice voucher in italiano?». Si dice buono scuola.

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Vito Panetta. Un sarto su misura (sezione: Globalizzazione)

( da "Tempi" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

La misura di un'eleganza d'altri tempi Da apprendista in bottega a grande sarto della Roma della Dolce Vita. Vito Panetta racconta la difficile avventura di cucire lo stile addosso a un mondo che cambia di Emanuela Campanile A nove anni inizia a lavorare: la mattina a scuola e il pomeriggio in bottega. Cinque anni da apprendista e poi il primo grande salto a Napoli, in via Chiaia. È l'inizio dell'ascesa professionale di Vito Panetta, Maestro sarto e presidente dell'Accademia Nazionale dei Sartori di Roma. Lucano, classe 1931, occhi vispi e un nodo alla cravatta da fare invidia; ma la scommessa, Panetta, la vince trasferendosi a Roma nel '57 e aprendo l'anno successivo la sua sartoria nei pressi di via Veneto. A quel tempo gli artigiani potevano osare, le botteghe rappresentavano per i giovani una concreta opportunità e l'Accademia Nazionale dei Sartori di largo dei Lombardi a Roma sfornava talenti accrescendo l'orgoglio nazionale per il made in Italy. «Dimostra con la qualità dell'opera e la solerzia sul lavoro la serietà professionale», recita lo statuto dell'Accademia sotto la voce "Essere Accademico". «Perché esordisce Panetta fare il sarto è una cosa seria. Piacentini di Roma o Donnini di Milano, erano sarti e uomini straordinari». Un concetto che si chiarisce ancor di più se si prosegue poi a leggere l'articolo 7: «Viene preso in considerazione il comportamento sociale e l'opera svolta, durante gli anni di lavoro, nel trasmettere disinteressatamente alle giovani leve le esperienze acquisite affinché la sartoria artigiana continui ad affermarsi in Italia e all'estero». Oggi la sartoria italiana, paladina del buon gusto e della qualità in tutto il mondo, risente non solo della dilagante crisi economica ma anche del mancato ricambio generazionale. «È più facile trovare qualcuno che voglia fare lo stilista piuttosto che il sarto» e a pagarne le conseguenze marchi famosissimi che per quasi un secolo sono stati esempi indiscussi di stile come l'atelier fiorentino Di Preta. Prima della Seconda guerra mondiale impiegava anche fino a 25 artigiani, oggi è costretto a chiudere per mancanza di personale specializzato. «Si parla sempre di come si consuma e non di come si produce, questo è un grande male e le istituzioni non incoraggiano». Quando Panetta iniziò, l'artigiano pagava solo il 2 per cento dell'Ici, «ora ci sono tante di quelle tasse che i giovani sono costretti a chiudere. Noi possiamo rimanere nel mercato internazionale solo puntando sulla qualità è il nostro passaporto per l'estero, ma l'epoca del made in Italy sta per finire». Se l'alta moda ha primeggiato è stato grazie agli operai qualificati nella sartoria e oggi, che non ci sono più giovani che si qualificano in questo campo, l'alta moda inizia a boccheggiare e a non essere più competitiva. Il giovane è l'elemento nuovo su cui scommettere, ma lo deve essere anche in termini qualitativi: «Le idee non bastano. L'artigiano serio non può improvvisare, ci vogliono anni di apprendimento e tanta esperienza. Bisogna saper dar forma e in sartoria, nella bottega, bisogna starci e passarci giornate intere». Per ovviare a questa emorragia di manodopera e perché non vada disperso il patrimonio di una delle più alte forme di artigianato, la stessa Accademia Nazionale dei Sartori ha adottato la formula Accademici Junior. E dunque: AAA. cercasi sarti, massimo trentacinquenni, fortemente motivati, iscrizione gratuita e quota annua 100 euro. Per accedere al corso, prima ancora di pensare alla retta, i giovani sarti e le giovani sarte devono essere presentati dal Delegato Regionale o da un Consigliere Nazionale che ne garantisca le qualità professionali e morali. Sarà chiesto agli allievi di rispettare, una volta accettati, lo Statuto vigente e di utilizzare il marchio dell'Accademia Nazionale dei Sartori solo dopo la nomina a socio partecipante. Con il rilascio dell'attestato di Giovane aspirante maestro potranno avere il diritto a partecipare a tutti i concorsi indetti dall'Accademia stessa. Fiore all'occhiello rimane ancora la tradizionale Scuola di taglio, che da circa mezzo secolo tramanda i segreti dell'arte sartoriale attraverso metodologie sempre al passo con i tempi. I corsi diretti da Maestri del taglio maschile e femminile come Domenico Luzzi e Rino Parisi, vengono programmati due volte l'anno sempre presso la sede dell'Accademia. La durata è di tre mesi con frequenza bisettimanale, l'accesso al corso è a numero chiuso e sono previste classi di massimo 12/14 allievi. Il percorso che condusse Panetta all'Accademia fu sicuramente diverso, il mercato non era globalizzato e diventare Maestro sarto significava entrare a far parte del Gotha dell'arte sartoriale assicurandosi il futuro. «Decidere di presentarmi all'Accademia fu un'altra delle mie sfide. Il presidente di allora mi disse che all'Accademia potevano accedere solo i grandi sarti. Gli risposi se intendesse grandi di età, altezza o capacità. Fui preso, era il 1972». Internet e i cellulari non esistevano, ma forse la comunicazione del passaparola dava ancora i suoi frutti. Oggi i giovani, secondo una ricerca dell'Istituto Piepoli e dell'Osservatorio Internazionale della Moda per conto di Unione Artigiani, non sembrano essere a conoscenza dei possibili sviluppi del settore della moda artigiana, delle opportunità di crescita e di guadagno e delle scuole professionali ad essa dedicate. Da qui, l'altro fronte di impegno dell'Accademia che per richiamare l'attenzione delle nuove generazioni, pubblica un mensile sia in forma cartacea Il Maestro Sarto che in versione telematica, offrendo una finestra semplificata ma di sicura qualità informativa. La rivista, bilingue italiano-inglese, si prefigge inoltre il rilancio nel mondo della sartoria italiana mantenendone viva la tradizione culturale. Lo Stato Pontificio e S. Omobono Una tradizione che si lega anche alla storia della Chiesa: l'antica Università dei Sartori fu fondata per volontà di Papa Gregorio XIII nel 1575. Dalla Corporazione dei Sarti lo Stato Pontificio riscuoteva annualmente un canone di 20 scudi e 20 libbre di cera lavorata. Prima sede dell'Università, vicus Jugarius, ai piedi del Campidoglio nei pressi della chiesa di S. Omobono, ancora luogo di culto dei Sartori. Tempi lontani da non poterli nemmeno immaginare, come inimmaginabile è la prospettiva che una tradizione antica di mezzo millennio, possa svanire. Vita dura dunque per gli artigiani, stritolati dalle tasse e dimenticati dai politici. «Hanno sempre promesso molto e mantenuto poco», spiega Panetta. «Siamo in perenne attesa di sostegni reali e ci sentiamo emarginati dal mondo produttivo. L'articolo 38 della Costituzione sugli aiuti e il sostegno non lo applicano. Applicano solo il 53, quello per pagare le tasse. Dicono che dobbiamo tentare all'estero ma non è nella natura dell'artigiano andare a scoprire terre promesse, imbarcarsi e aprire magari in Cina». Ormai l'allarme è dato, l'artigianato italiano tutto langue in una società in cui aumenta il numero di neoimprenditori e diminuisce quello degli apprendisti. Lo spiega molto bene una ricerca condotta dalla Confederazione nazionale dell'artigianato nel 2008. Il 30 per cento dei giovani che aspirano a un ruolo imprenditoriale sono disponibili ad intraprenderlo nel mondo dell'artigianato, spinti dal piacere per l'indipendenza, dalla passione e in coda dal denaro. A contrapporsi, il numero sempre più in calo dei giovani disposti a diventare lavoratori artigiani, convinti che si tratti di un lavoro duro e soprattutto privo di soddisfazioni. Un luogo comune inconcepibile per Panetta che ricorda i tempi da apprendista a Napoli, quando Mastro Simone gli faceva cucire e scucire decine di volte i bottoni alle giacche perché «la funzione del bottone è quella di correggere quando fa difetto. Questa è arte sartoriale». Ha gli occhi lucidi, il Maestro sarto Panetta, lui stesso non sa se riuscirà a trovare un giovane preparato da poter inserire nella sua sartoria, un giovane a cui affidare il suo sapere, la sua esperienza. Lui, che non amava il mondo del cinema e che preferiva fare i vestiti a grandi professionisti perché «l'abito fatto per un ricco di cultura è diverso da quello per il ricco di moneta». Oggi molte cose sono cambiate e i mercati internazionali, soprattutto quelli che si sono aperti con la globalizzazione, continuano a chiamare incuranti se la crisi del made in Italy sia economica o generazionale. Ma c'è chi continua a tenere e a lottare per non far affondare una tradizione preziosa. Che il Belpaese indossa a pennello.

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Sarkozy <l'europeo> vira sul protezionismo (sezione: Globalizzazione)

( da "Manifesto, Il" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

AIUTI DI STATO Sarkozy «l'europeo» vira sul protezionismo Solo a chi compra francese Anna Maria Merlo PARIGI. L'articolo nascosto nelle 650 pagine del piano di rilancio da più di 800 miliardi di dollari, di Barak Obama, che suggerisce di «comprare americano». Condiziona infatti gli aiuti pubblici per le società di costruzione all'acquisto di acciaio e ferro made in Usa, e sta sollevando forti reazioni nel mondo. La clausola, che ha ricevuto l'appoggio del sindacato Afl-Cio, già approvata alla Camera, potrebbe essere estesa dal Senato ad altri settori. Il Canada, che esporta il 40% del proprio acciaio negli Usa, ha espresso «viva preoccupazione». L'Unione europea è scesa in campo. «Non rimarremo con le mani in mano», ha annunciato la Commissione, ricordando che esistono delle regole internazionali che permettono ricorsi giudiziari contro chi le contravviene. L'Italia ha già minacciato di appellarsi alla Wto. Angela Merkel ha telefonato ieri a Obama: «dobbiamo evitare il protezionismo», ha affermato la cancelliera. «Il protezionismo è una cattiva risposta» alla crisi, spiega la Germania, primo paese esportatore mondiale, che non a caso conta tra le proprie industrie alcuni colossi dell'acciaio. L'ambasciatore dell'Unione europea a Washington, John Bruton, ha inviato delle lettere all'amministrazione Usa - tra l'altro, anche alla segretaria di stato Hillary Clinton e al segretario al tesoro, Timothy Geithner - per ricordare che gli Usa, assieme a molti altri paesi, si sono impegnati a non fare ricorso a misure protezionistiche al vertice di Washington il 15 novembre scorso. Per John Bruton, se non viene rispettato questo impegno, c'è il «rischio di far entrare il mondo in una spirale protezionista che non può che aggravare la situazone delle nostre economie». Bruton ha evocato la possibilità di «una guerra commerciale»: prevedendo che «avrete meno, molto meno rilancio come effetto del vostro piano. Non ha nessun senso economico». A Davos, il direttore generale della Wto, Pascal Lamy, ha espresso la propria inquietudine per eventuali derive protezioniste. Ministri e finanzieri l'hanno raggiunto su questo punto, ma con sfumature diverse. In particolare, ha fatto scalpore una frase della ministra francese dell'economia, Christine Lagarde, peraltro fin qui conosciuta come una ultra-liberista: «il protezionismo è un male necessario» nel quadro del piano di rilancio, ha affermato. Lagarde considera che delle misure pritezioniste possono essere prese, perché «il piano di rilancio impegna soldi dei contribuenti e i governi devono assicurare che siano impiegati nell'interesse dei contribuenti». Per Lagarde l'unica clausola è che devono avere «un carattere temporaneo»: le misure protezioniste «sono cattive in sé, ma possono essere necessarie quando intervengono in modo concertato dappertutto nel mondo». Lagarde difende qui delle clausole contenute nel piano di rilancio francese. Sarkozy ha infatti condizionato gli aiuti all'industria automobilistica alla «contropartita» di non delocalizzare la produzione fuori di Francia; e potrebbe chiedere anche di «comprare francese» per quanto riguarda la componentistica. Il fronte europeo, così, manda i primi segnali di sfaldamento. Ancora prima dell'acciaio Usa, il protezionsimo già serpeggiava nel mondo. A parte i diritti di dogana triplicati per il roquefort francese - ultima decisoone dell'amministrazione Bush - la Russia ha aumentato le barriere per l'import di auto; e ci sono state misure protezioniste in Indonesia, India, Argentina, Ecuador. Nei fatti, però, il protezionismo più rischioso è quello della svalutazione monetaria: il costo del lavoro è 20 volte meno elevato in Cina che in Europa, ma è già molto più alto in India, malgrado situazioni abbastanza comparabili. E qui non ha tutti i torti Obama nel protestare con Pechino e chiedere una rivalutazione dello yuan.

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Quei manager che si tagliano lo stipendio. (sezione: Globalizzazione)

( da "Giornale.it, Il" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Dopo lo scandalo dei bonus da 18 miliardi distribuiti ai manager dalle banche americane salvate dallo Stato, Obama corre ai ripari: oggi annuncia una norma che impone un limite di 500mila dollari agli stipendi dei dirigenti delle società che beneficiano dei sussidi pubblici. Bene, è un passo nella giusta direzione. Tuttavia, mi chiedo: i 18 miliardi rappresentano un abuso colossale e una distorsione di fondi pubblici: perchè Obama non ne pretende la restituzione? Se lo avesse fatto sarebbe stato davvero credibile, in questo modo invece premia la casta, legalizza l'ultima rapina. E invece in un frangente di crisi come questo sarebbe stato necessario un segnale molto più forte che, evidentemente, Obama non può permettersi. Segnali che invece giungono da alcune aziende private. In Giappone, ad esempio, i manager di alcune grandi società in difficoltà si sono ridotti del 30% lo stipendio. Lo stesso è avvenuto in Italia, nel mio mondo, quello dell'editoria. Il gruppo del Sole 24 Ore ha appena inviato una lettera a tutti i collaboratori in cui annuncia una riduzione dei compensi del 25% per fare fronte a quella che definisce la "Grande Crisi". La lettera è firmata dal direttore Ferruccio de Bortoli e dall'amministratore delegato Claudio Calabi, che hanno dato l'esempio riducendosi di un quarto lo stipendio. Che differenza rispetto ai banchieri di Wall Street! Questa è la strada giusta: se i tempi sono duri, lo sono per tutti. Ed è il capo che mostra la via assumendosi in prima persona i sacrifici richiesti. Io lo chiamo capitalismo responsabile e mi piace moltissimo. Scritto in economia, società, era obama, globalizzazione, democrazia, Italia, notizie nascoste, giornalismo Non commentato » (Nessun voto) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 02Feb 09 Ecco perché il clandestino in realtà non viene espulso Sul Giornale di ieri Stefano Zurlo ha scritto un bell'articolo, in cui racconta che cosa accade agli irregolari che vengono arrestati. Mi ha colpito questo passaggio: "È un meccanismo davvero surreale. Il clandestino viene espulso; non se ne va o torna di nascosto nel nostro Paese e allora scatta, obbligatorio, l'arresto. Ma i processi, di media, sono catene di montaggio delle scarcerazioni: l'imputato esce, in attesa del verdetto, e tanti saluti. Oppure, se la sentenza arriva di volata, viene condannato, ad una pena di 6-8-10 mesi. E subito dopo rimesso in libertà. Come è normale quando la pena è inferiore ai due anni. Insomma, l'irregolare viene afferrato dalla legge e dalla legge riconsegnato alla sua vita invisibile. Con una postilla: se lo acciufferanno di nuovo, sempre senza documenti, non potranno più processarlo: non si può giudicare due volte una persona per lo stesso reato". Se questa è la realtà, e non dubito che lo sia, la lotta ai clandestini è assolutamente inutile. Continueranno ad arrivare, sempre più numerosi, proprio perché è garantita l'impunità. E allora è necessario correre ai ripari, varando norme che non permettano la scarcerazione in attesa del processo e, come ho già scritto, che rendano obbligatorio il rilevamento, oltre delle impronte digitali, dell'iride dell'occhio. Solo così l'Italia può assumere una credibilità che oggi non ha. L'alternativa è che l'Italia si trasformi non in una società tendenzialmente multietnica, ma in un Paese anarchico con profonde ingiustizie sociali e un razzismo diffuso. Non c'è più tempo da perdere: tocca al governo di centrodestra proporre misure concrete. E al centrosinistra moderato di Veltroni sostenerle con spirito bipartisan. Perché il problema degli immigrati non ha più colore politico ma è sentito, con angoscia, dalla stragrande maggioranza degli italiani, compresi i progressisti. O no? Scritto in società, globalizzazione, democrazia, Italia, immigrazione Commenti ( 56 ) » (4 voti, il voto medio è: 5 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 30Jan 09 La casta di Wall Street? Continua ad arricchirsi. Negli ultimi giorni mi sono occupato nuovamente della casta dei banchieri, che ha inguaiato il mondo. Ho scoperto alcuni dettagli interessanti, ad esempio, che l'ex numero uno di Lehman Brothers, ha venduto la sua lussuosa residenza in Florida, stimata 14 milioni di dollari. Il prezzo? Cento dollari. Chi l'ha comprata? La moglie. E così si cautela contro eventuali creditori. Ipotesi peraltro remota, perché le leggi americane offrono ampie protezioni ai banchieri protagonisti della truffa del secolo. I protagonisti del disastro finanziario passano le loro giornate a giocare, a golf, bridge, cricket. E quelli che non si sono ritirati continuano ad arricchirsi. Nel 2008, mentre le loro società venivano salvate dal fallimento, i manager delle banche si sono accordati bonus per 18,4 miliardi di dollari, come spiego in un editoriale, nel quale pongo una domanda a questo punto fondamentale: è giusto salvare le banche se la casta non viene smantellata? Tremonti dice: a casa o in galera. Sono d'accordo con lui. Se il capitalismo vuole risorgere deve riscoprire una virtù indispensabile, quella della responsabilità individuale. E fare piazza pulita. Scritto in società, era obama, economia, globalizzazione, notizie nascoste, democrazia, gli usa e il mondo Commenti ( 72 ) » (6 voti, il voto medio è: 2.5 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 28Jan 09 Immigrazione, stiamo sbagliando (quasi) tutto? I fatti degli ultimi giorni hanno riportato alla ribalta la questione degli immigrati. Ne traggo tre riflessioni. 1) La crisi economica renderà ancora più acuto il problema dell'immigrazione all'interno della Ue. Romania e Bulgaria sono già in forte crisi economica e non mi stupirebbe se nei prossimi mesi aumentasse il numero di cittadini di questi Paesi che cerca fortuna nei Paesi europei ricchi; che, però, come ben sappiamo, non sono risparmiati dalla recessione. Rumeni, bulgari verranno qui ma non troveranno lavoro e molti di quelli che già abitano in Italia lo perderanno. La situazione rischia di diventare rapidamente esplosiva: povertà, indegenza, disperazione, dunque probabile aumento della delinquenza spicciola e molto potenziale manodopera per la malavita e per gli imprenditori italiani schiavisti (che esistono e vanno combattuti energicamente) . Tutto questo alimenterà il razzismo e l'incomprensione reciproca. Occorre che l'Unione europea prenda iniziative straordinarie per limitare la libertà di circolazione delle persone, anche ripristinando, transitoriamente i visti. 2) L'immigrazione extra Ue non si combatte solo alzando barriere, che in realtà servono a poco, perchè, come ha dimostrato l'ultimi rapporto della Fondazione Ismu, dei 450 mila stranieri che arrivano illegalmente, solo 120mila attraversano il Mediterraneo. Gli altri sbarcano con un visto regolare (di studio, turistico o per lavori stagionali) e si danno alla macchia. Come si combatte questo fenomeno? Imitando gli americani: che prendono la foto e le impronte digitali a tutti i visitatori, In tal modo (magari anche con il controllo dell'iride) si creerebbe una banca dati europea che rende facilmente identificabili i clandestini. 3) Gli immigrati non partono spinti solo dalla povertà, ma anche - anzi, soprattutto - per inseguire il mito di un'Europa Eldorado, come ho spiegato in questa analisi. Il mito non viene mai scalfito dai media nè nè dalla sociteà africana, che anzi continu ad alimentarlo. «Gli africani quando partono non immaginano che fuori possa fare più freddo che dentro un frigorifero», mi ha detto Gustave Prosper Sanvee, direttore della tv cattolica del Togo. Dunque se vogliamo limitare le partenze è necessario che gli immigrati sappiano che l'Europa non è un paradiso, ma spesso un purgatorio fatto di stenti, sofferenza, spesso umiliazioni e che ci ce la fa deve rispettare regole sociali e di convivenza che sono molto diverse da quelle africane. Ma per raggiungere questo obiettivo è necessario che l'Europa promuova una politica di comunicazione mirata alle popolazioni Africane, che oggi è inesistente. Da qui la mia riflessione: perché non provare un approccio diverso sull'immigrazione? Ho l'impressione che le misure tentate non abbiano prodotto gli effetti sperati e siano destinate al fallimento anche in futuro. In altre parole, l'Italia e l'Europa stanno sbagliando (quasi) tutto. O no? Scritto in società, europa, globalizzazione, immigrazione Commenti ( 72 ) » (5 voti, il voto medio è: 3.4 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 25Jan 09 Resa dei conti tra la Cina e gli Usa? Il sito del Giornale nelle ultime 48 ore ha dovuto affrontare la migrazione da un provider a un altro e dunque anche l'accesso al blog è stato difficile, soprattutto in certe zone d'Italia. Mi scuso per questo inconveniente, ora risolto. Negli ultimi due giorni sul Giornale ho scritto ancora di Obama, che ha litigato con il Vaticano sull'aborto e per la prima volta ha avuto qualche screzio con la stampa americana, finora notoriamente compiacente. I giornalisti Usa tra l'altro si sono accorti che un lobbista dell'industria delle armi è stato nominato numero due del Pentagono, vicenda di cui abbiamo già parlato nei giorni scorsi su questo blog. Era ora. Ma la notizia più significativa riguarda la Cina, sebbene non abbia avuto molto rilievo sui giornali italiani. E' accaduto questo: il segretario al Tesoro Timothy Geithner che giovedì, durante le audizioni alla Commissione finanze del Senato, aveva accusato Pechino di «manipolare le quotazioni dello yuan per ottenre scorrettamente vantaggi commerciali», aprendo di fatto l'iter che, in base a una legge del 1988, permetterebbe al governo americano di imporre sanzioni ovvero barriere tariffarie. La Cina ha risposto smentendo le accuse, mentre il ministro degli Esteri di Pechino ha chiamato Hillary Clinton ammonendola a non compiere passi falsi. Perchè questo screzio? I fattori di attrito sono diversi, ma a mio giudizio ne prevale uno: quello del debito americano. La Cina è da qualche anno il primo sottoscrittore al mondo di Buono del tesoro Usa, ma una decina di giorni fa ha annunciato che intende ridurre il proprio impegno e usare una parte delle risorse per rilanciare l'economia interna. L'America, però, non può permetterlo; anzi, visto che il suo deficit pubblico quest'anno triplicherà, vorrebbe che Pechino aumentasse gli acquisti di Treasury. L'affondo di Geithner ha l'aria di un monito ai cinesi: se Pechino non si ricrede, Washington si vendicherà alzando le barriere doganali; dunque rendendo impervio l'accesso a un mercato che rappresenta il principale sbocco ai beni «made in China». Si scatenerebbe una guerra commerciale e finanziaria da cui usciremmo tutti perdenti. Lo spettro è quello di un dollaro in caduta libera e di una Cina in profonda depressione, che aggraverebbe la crisi dell'economia mondiale. Domanda: lo scenario è credibile? Ragionavolmente uno scontro non conviene a nessuno e pertanto dovrebbe prevalere la ragionevolezza. Fino a quando la Cina, che secondo alcuni economisti sarebbe già in depressione, è disposta a usare le proprie risorse per finanziare il deficit americano? E Obama è in grado di gestire con saggezza rapporti delicati e cruciali come questi? Scritto in economia, era obama, globalizzazione, notizie nascoste, cina, gli usa e il mondo Commenti ( 23 ) » (8 voti, il voto medio è: 3.25 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 23Jan 09 Basta torture. Bravo Obama, ma come la mettiamo con l'Iran? "L'America non tortura", ha dichiarato ieri Obama rinfrancando chi ha sempre visto nell'America un baluardo di civiltà, saldamente ancorato ai valori della democrazia e della Costituzione. Quell'America è tornata. Bravo Obama, ma McCain, se avesse vinto, avrebbe fatto altrettanto. Entrambi sono convinti che la guerra al terrorismo non possa essere condotta violando i principi che l'America ha sempre proclamato di rispettare, proponendosi pertanto come un modello virtuoso per gli altri Paesi. La stragrande maggioranza dei detenuti di Guantanamo è risultata innocente, ma per molti mesi ha vissuto in condizioni orribili, da lager sovietico, senza assistenza legale, per molto tempo senza nemmeno il monitoraggio della Croce Rossa. Segregati, senza colpa. E nelle prigioni segrete della Cia è successo di tutto: sevizie orribili, alcuni prigionieri sono spariti nel nulla. Ma quanti di loro erano terroristi? Pochi. Obama (e McCain) sono convinti che la guerra ad Al Qaida debba essere risoluta ed energica, ma senza ricorrere a metodi tipici di una dittatura e non di una grande democrazia. La chiusura di Guantanamo e delle prigioni Cia ha anche una valenza politica, perché rafforza e precisa il messaggio di apertura al mondo arabo e all'Iran, con cui la Casa Bianca è pronta ad avviare "negoziati diretti senza precondizioni", come spiego in questo articolo, mentre si rafforzano i segnali di un raffreddamento dei rapporti con Israele (anticipati su questo blog il 14 gennaio). Ieri ho parlato con alcuni esperti di Washington e, off the record, una fonte qualificata del governo americano mi ha fatto notare che Obama nel suo discorso di insediamento non ha citato Israele. E chi è il primo leader straniero con cui Barack ha parlato? Il palestinese Abu Mazen. Basta torture ed è un bene; ma anche meno Israele e più Iran, rapporti ancora più stretti con le potenze del Golfo persico e dunque mano tesa all'Islam fondamentalista sia sunnita che sciita. Scelta strategica lungimirante o clamoroso errore che contraddice i valori degli Usa, premiando regimi come l'Iran e l'Arabia Saudita che calpestano i diritti umani? Scritto in israele, era obama, democrazia, medio oriente, gli usa e il mondo, islam Commenti ( 103 ) » (7 voti, il voto medio è: 2 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 21Jan 09 Ha ragione Tremonti: bisogna scegliere chi salvare. Le borse crollano, ci risiamo.. ma perchè? Colpa di Obama, come qualcuno ha suggerito sui giornali? No, i mercati finanziari scendono perchè temono che nemmeno Obama, nonostante gli interventi promessi, possa risollevare l'economia, perlomeno non i tempi brevi. Nonostante i ribassi di Piazza Affari e l'entità del debito pubblico, l'Italia è in una posizione più favorevole rispetto ad altri Paesi, come ha spiegato uno dei nostri economisti più brillanti Marco Fortis, in un'intervista a Rodolfo Parietti. Ma la crisi è globale e da sola l'Italia non ce la può fare. E allora bisogna capirne le ragioni e le dinamiche. Un giornalista del Corriere del Ticino, Alfonso Tuor, da tempo si segnala per la precisione e la lungimiranza delle sue analisi. Venerdì scorso, dunque prima del capitombolo di Wall Street, ha pubblicato un editoriale in cui spiega che cosa sta accadendo. La sua è una visione "tremontiana" e la ritengo assai convincente. Ecco i passaggi più significativi del suo articolo: Concluso il periodo delle ferie natalizie, è tornato alla ribalta il problema centrale di questa crisi: lo stato comatoso del settore finanziario. Infatti non vi sono miglioramenti delle condizioni di salute del sistema bancario, nonostante le ricapitalizzazioni degli istituti di credito americani ed europei operate dagli Stati e i continui interventi delle banche centrali. (.)Lo stesso presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha dovuto ammettere che non vi è alcuna speranza di uscire da questa crisi se non si risana il sistema bancario. Bernanke ha addirittura precisato che risulterà insufficiente anche il pacchetto fiscale di Obama da 800 miliardi di dollari. (.) Il motivo è semplice. La crisi finanziaria ha già investito l'economia reale. Le industrie europee, americane e di altri continenti si trovano strette in una tenaglia: da un canto, i fatturati diminuiscono rapidamente (in alcuni rami si registrano contrazioni del 30%) e, dall'altra, l'accesso al credito è chiuso, poiché il sistema bancario è riluttante a concedere nuovi crediti, oppure è estremamente oneroso, con tassi di interesse molto elevati nonostante il ribasso del costo del denaro attuato dalle banche centrali. La conseguenza è un circolo vizioso: la recessione produce nuove sofferenze che aggravano la crisi bancaria, le banche concedono meno prestiti rendendo più profonda la recessione e così via. In pratica, il settore bancario non svolge più (non concedendo crediti) il suo ruolo di trasmissione degli impulsi di politica monetaria. Quindi, anche il taglio dei tassi europei riduce i costi di rifinanziamento delle banche, ma ha scarsa o nessuna influenza sull'accesso e sul costo del credito delle imprese industriali. Ora, l'oligarchia finanziaria che ha causato questa crisi, con l'autorevole sostegno della Federal Reserve, sostiene una tesi semplice: non si può uscire dalla crisi, se prima gli Stati non risanano il sistema bancario. Questa tesi, apparentemente seduttiva, dimentica di esplicitare i costi enormi di questo salvataggio. Un'idea della grandezza dei capitali necessari la si può ricavare dalle migliaia di miliardi finora spesi da Stati e da banche centrali senza ottenere alcun risultato apprezzabile. Negli Stati Uniti si sono già spesi 8.000 miliardi di dollari, nell'Unione Europea la cifra è di poco inferiore. Per risanare i catastrofici bilanci delle grandi banche occorrerebbero altre migliaia di miliardi. Se non si crede alla teoria che i soldi possano essere stampati all'infinito senza alcuna conseguenza negativa, bisogna concludere che i governi devono scegliere chi aiutare, poiché non hanno le risorse finanziarie per salvare sia le famiglie sia le imprese sia le banche. È quanto ha deto recentemente il ministro italiano Giulio Tremonti, il quale teme che il tentativo di salvare tutti farà sì che non si riuscirà ad aiutare nessuno e si provocherà unicamente un ulteriore peggioramento della crisi. Come sostiene Tremonti, bisogna ammettere realisticamente che si può salvare solo la parte buona del sistema bancario e concentrare le risorse per rilanciare l'economia, per difendere l'occupazione e il sistema industriale. Per essere più chiari, fino a quando non si cominceranno a fare queste scelte non vi è alcuna possibilità che si esca veramente dalla crisi. Il costo di salvare tutto e tutti rischia di essere tale da incrinare la fiducia nei titoli con cui gli Stati finanziano i loro disavanzi pubblici e nelle stesse monete. A questo riguardo già si cominciano ad avvertire alcuni segnali preoccupanti. (.) In attesa che le élites politiche si affranchino dallo stato di dipendenza nei confronti dell'oligarchia finanziaria, saremo costretti a confrontarci con l'aggravarsi della recessione, con continui interventi miliardari per salvare le banche e pacchetti di rilancio che non produrranno gli effetti desiderati, ma solo un sollievo temporaneo. Insomma, continueremo ad assistere al peggioramento della crisi. Domanda: Tuor ha ragione ? E' possibile salvare solo alcune banche mantenendo la funzionalità del sistema finanziario? Scritto in società, economia, europa, globalizzazione, gli usa e il mondo Commenti ( 26 ) » (6 voti, il voto medio è: 3.5 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 20Jan 09 Obama, l'uomo del Pentagono (e di Wall Street) Obama sarà davvero un riformatore? Più passa il tempo e più sono convinto di no. Sta diventando l'uomo dell'establishment ovvero di quel mondo che in campagna elettorale aveva promesso di cambiare. "Yes we can", ("sì, si può fare") e "Change we can believe in" (il cambiamento in cui credere) sono più che mai slogan retorici e dunque vuoti. E per averne conferma basta scorrere l'elenco dei ministri e dei consiglieri. Facce nuove? Pochissime, sono quasi tutti ex collaboratori di Bill Clinton e quasi tutti legati a interessi particolari, soprattutto in due campi: finanza e difesa. Come fa Obama a riformare il sistema finanziario se affida il Tesoro a Geithner e sceglie come superconsigliere Summers ovvero due pupilli del presidente di Citigroup ed ex ministro del tesoro Rubin? Non scordiamocelo: fu Rubin ad avviare il processo di deregolamentazione dei mercati finanziari che è all'origine dell'attuale recessione. E negli ultimi mesi dietro le quinte è stato lui a manovrare con lo stesso Obama e con Bush per ottenere gli aiuti multimilardari al settore e in particolare i miliardi necessari per salvare la stessa Citigroup. Che credibilità ha un presidente che conferma alla guida del Pentagono Robert Gates, il ministro di Bush, e, soprattutto, che nomina suo vice William Lynn? Voi direte: e chi è Lynn? E' uno dei più noti lobbisti dell'industria delle armi e al Pentagono è stato incaricato di presiedere il comitato per. gli acquisti di armamenti. ma la gente non lo sa: perchè i grandi media americani questa notizia l'hanno data in breve o non l'hanno pubblicata affatto. E' così che Obama intende combattere la corruzione e gli interessi particolari? Temo che una certa Washington abbia già inghiottito Barack.. o sbaglio? Scritto in democrazia, notizie nascoste, presidenziali usa, gli usa e il mondo Commenti ( 94 ) » (7 voti, il voto medio è: 3.57 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 18Jan 09 Preghiera islamica anche al Colosseo. Ora basta Riepiloghiamo: il 6 gennaio gli islamici hanno pregato contemporaneamente a Milano di fronte al Duomo e a Bologna in piazza Maggiore davanti alla Chiesa di San Petronio. Il 10 gennaio nuova preghiera a Milano di fronte alla Stazione centrale. Ieri gli islamici hanno conquistato il piazzale di fronte al Colosseo, mentre a Bologna la questura ha vietato un'altra preghiera in pubblico prevista per il 24 gennaio. Mi spiace di dover proporre nel giro di pochi giorni il terzo post sullo stesso tema, ma non posso esimermi: questi fatti dimostrano che si tratta non di iniziative estemporanee, ma di provocazioni nell'ambito di una precisa strategia da parte dei fondamentalisti islamici sunniti che si riconoscono nell'Ucoii e dunque nei Fratelli musulmani. Con questa gente non si scherza. Nelle prossime settimane capiremo qual è il loro obiettivo finale, ma sin d'ora è chiaro che vogliono da un lato intimidire i musulmani moderati assumendo la guida di tutti i movimenti islamici in Italia, dall'altro dimostrare agli italiani, laici e cattolici, di essere in grado di occupare i luoghi più significativi delle nostre città, sfidando le leggi, i nostri valori e il buon senso. Non rispettano, non vogliono rispettare; abusano dell'ospitalità ricevuta. Ed è più che mai urgente una risposta ferma, autorevole da parte dello Stato, della società civile e della Chiesa. Resto convinto che i seguaci dell'Ucoii e di un Islam involuto e antimoderano siano una piccola minoranza tra i musulmani presenti nel nostro Paese. Ma con questi fanatici non ci può essere dialogo: l'Italia non ha bisogno di loro. E occorre che lo sappiano subito. Non c'è più tempo, non si può aspettare. Scritto in società, democrazia, Italia, immigrazione, islam Commenti ( 110 ) » (6 voti, il voto medio è: 4.33 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 15Jan 09 Battisti libero grazie a Carla Bruni. Ci risiamo. Dopo aver salvato la brigatista Marina Petrella, Carla Bruni in Srakozy avrebbe avuto un ruolo decisivo nel convincere il Brasile a non concedere all'Italia l'estradizione del terrorista Battisti. Lo scrivono i giornali brasiliani, ricordando che la coppia presidenziale francese ha trascorso le vacanze natalizie in Brasile, durante le quali ha incontrato il presidente Lula, inducendolo al dietro-front. Poco fa l'Eliso ha smentito, ma l'avvocato di Battisti, Eric Turon conferma: «Il presidente Sarkozy ha accettato di organizzare una riunione con il segretario nazionale della giustizia brasiliana, Romeu Tuma Jr, colloquio grazie al quale Battisti ha ottenuto lo status di rifugiato politico», ha detto al quotidiano Folha de S.Paulo. Insomma, il sospetto è fondato. Lo schema ormai è noto: lei ammalia, lui esegue. Diabolica, inqualificabile, pericolosissima Carlà. C'è ancora qualcuno disposto a cantarne le lodi? PS Segnalo questo godibilissimo pezzo di Stenio Solinas. Scritto in democrazia, Italia, francia Commenti ( 58 ) » (3 voti, il voto medio è: 3.67 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico Post precedenti Chi sono Sono inviato speciale di politica internazionale. Sposato, ho tre figli. Risiedo a Milano e giro il mondo. Tutti gli articoli di Marcello Foa su ilGiornale.it contatti Categorie cina (16) democrazia (50) economia (21) era obama (4) europa (9) francia (20) germania (3) giornalismo (43) gli usa e il mondo (50) globalizzazione (31) immigrazione (37) islam (18) israele (1) Italia (140) medio oriente (12) notizie nascoste (37) presidenziali usa (22) russia (13) sindacati (1) società (10) svizzera (4) turchia (12) Varie (16) I più inviati Dietro la vicenda Alitalia la mano della lobby europea - 4 Emails Una vita meritocratica... - 4 Emails Abbiamo vinto l'Expo. 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Difatti, appunto maristaurru, e proprio così, hai ragione. Salutonen. Ultime news An error has occured; the feed is probably down. Try again later. Blog amici Ethica, blog filosofico di qualità ICT Watch, il blog di Piero Macrì sulle nuove tecnologie il blog di Alessandro Gilioli il blog di Andrea Tornielli Il blog di Faré su Internet & comunicazione il blog di Marista Urru il blog megliotardichemai Il circolo Rosselli, socialismo liberale Il pranista, blog su PR e comunicazione Metropolis, il blog Alberto Taliani Orientalia 4 all Placida signora, il blog di Mitì Vigliero spindoctor, il blog di Marco Cacciotto Wolly, il blog di Paolo Valenti Da non perdere La misteriosa e improvvisa ricchezza di Erdogan La Turchia e l'islamizzazione strisciante Quelle donne turche imprigionate dal velo Vince Erdogan e la Turchia diventa più islamica siti che mi piacciono Cricri créations poétiques, gioielli con l'anima Il sito di R. 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CRISI: PERICOLO GUERRE COMMERCIALI, SI ACCENDE OVUNQUE IL DIBATTITO (sezione: Globalizzazione)

( da "Wall Street Italia" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

CRISI: PERICOLO GUERRE COMMERCIALI, SI ACCENDE OVUNQUE IL DIBATTITO di MPS Capital Services La clausola "Buy American" contenuta nel piano approvato alla camera Usa ha scatenato la dura reazione da parte della Commissione Ue, che prenderà in esame ogni violazione eventuale del trattato del WTO. -->*Questo documento e' stato preparato da MPS Capital Services ed e' rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori e clientela professionale ai sensi dell'allegato n.3 al reg. n.16190 della Consob. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita' alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita' di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI. (WSI) ? Tassi d'interesse: in area Euro la sessione di ieri si è conclusa con calo dei tassi sulla parte a breve termine ed un rialzo sul lungo con il differenziale 2-10 anni in rialzo a 185 pb dai 178 del giorno prima. Si restringe ancora lo spread sul decennale Italia-Germania sceso a 126 pb dai 134, movimento guidato dal calo del tasso decennale italiano a fronte di un rialzo di quello tedesco. È? rallentata invece la discesa del tasso Euribor tre mesi che ieri è stato fissato a 2,06% dai 2,07%. Intanto, secondo FT, la Commissione europea non ha accettato la proposta francese di concedere aiuti al settore auto subordinati all?acquisto di componentistica da fornitori domestici da parte dei produttori. Gli operatori resteranno in attesa della riunione della Bce di domani. Secondo Market News la Bce non ha discusso l?ipotesi di introduzione di misure di quantitative easing. Nel frattempo il veicolo francese SFEF di emanazione governativa, creato a supporto del settore bancario, ha proceduto all?emissione di 6Mld? di un nuovo titolo biennale. Sul decennale la resistenza si colloca a 3,39% e 3,44% Sopravvivere non e' sufficiente, ci sono sempre grandi opportunita' di guadagno. Hai mai provato ad abbonarti a INSIDER? Costa meno di 1 euro al giorno. Clicca sul link INSIDER Negli Usa tassi di mercato in rialzo sulla scia del recupero dei mercati azionari ed in attesa dell?annuncio dei quantitativi in emissione la prossima settimana che potrebbero raggiungere i 70Mld$, con la possibilità anche dell?annuncio della reintroduzione di emissioni sulla scadenza a 7 anni, non più utilizzata dal 1993. La clausola "Buy American" contenuta nel piano approvato alla camera ha scatenato ieri un aspro dibattito, con una dura reazione da parte della Commissione europea che ha dichiarato che prenderà in esame ogni violazione eventuale del trattato del WTO. Lo stesso presidente Obama si è schierato contro tale clausola manifestando l?intenzione di evitare guerre commerciali. Nel frattempo nel piano in discussione al Senato è stato aggiunto un emendamento che contempla la possibilità che gli acquirenti di auto possano dedurre le tasse sull?acquisto oltre agli interessi pagati per i relativi finanziamenti. Continuano inoltre le indiscrezioni sul contenuto del piano di supporto al settore finanziario che dovrebbe essere annunciato la prossima settimana. L?ipotesi di creazione di una bad bank non viene per ora data del tutto certa, emergendo piuttosto la preferenza per l?ipotesi di offerta di garanzia sugli asset tossici. Contro l?ipotesi della bad bank giocano due fattori in particolare: 1) l?elevato costo che secondo alcuni analisti potrebbe anche arrivare a 4000Mld$; 2) la difficoltà di valutazione degli asset tossici. Tale ipotesi sembra però trovare consenso in UK, dove il primo ministro ha lasciato intendere la sua preferenza per modelli ibridi, dove accanto alla bad bank vi sarebbero anche garanzie governative. Sul fronte macro sono arrivati segnali postivi in relazione ai contratti su negoziazioni di case di dicembre, un segnale che appare però ancora prematuro per poter ipotizzare un effettivo sintomo di recupero. Infine la Fed ha annunciato l?estensione fino al 30 ottobre di 5 linee di iniezione di liquidità, in scadenza il prossimo 30 aprile. Sul decennale resistenza a 2,90%. Valute: Dollaro in deprezzamento vs. Euro verosimilmente sull?ipotesi di ripercussioni negative per gli Usa laddove si instaurasse una guerra commerciale scatenata dalla clausola Buy American. Per oggi resistenza a quota 1,3140. Yen in deprezzamento verso Euro con il cross poco al di sotto della resistenza 117. Il supporto si colloca a 113. Continua a rimanere sotto soglia 90 il cross vs Dollaro, con il supporto di breve periodo collocato in area 88,50-60. Questa notte, Muto ex membro della BoJ, ha dichiarato che la contrazione del Pil nel quarto trimestre potrebbe attestarsi nell?ordine dell?11-12% annualizzato. Il dato è atteso il 16 febbraio. Materie prime: positivo il greggio Wti sulla notizia che la produzione Opec a gennaio è calata del 3,5% rispetto dicembre. In rialzo gli industriali guidati dal rame (+6,3%) sulla notizia che la Cina ha investito una seconda parte (130MldYuan dopo i 100Mld del quarto trimestre ?08) del piano da 4.000Mld Yuan di stimolo all?economia. Tra i preziosi in calo l?oro (-1,6%) e l?argento (-1%). Tra gli agricoli proseguono le vendite su grano (-2%) e mais (-2,4%) su segnali di esportazioni Usa in calo e condizioni meteo favorevoli al raccolto. Copyright © MPS Capital Services. All rights reserved

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Protezionismo: istinto primordiale! (sezione: Globalizzazione)

( da "Trend-online" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Protezionismo: istinto primordiale! BLOG, clicca qui per leggere la rassegna di Andrea Mazzalai , 04.02.2009 14:21 Scopri le migliori azioni per fare trading questa settimana!! Protezionismo: sì come un immenso istinto primordiale, istinto di sopravvivenza che contraddistingue ogni essere di questa terra, un istinto che nasce dal profondo, dall'inconscio che alle volte sfugge ai confini della ragione, una ragione storica che ci racconta che la causa più ricercata che approfondi e prolungò la Grande Depressione fu appunto il protezionismo. Un insieme di politiche economiche atte a proteggere la produzione nazionale attraverso un insieme di strumenti economici appunto, dazi doganali per aumentare il prezzo delle merci importate a favore di quelle nazionali, pratiche di dumping che consistono nel manovrare artificialmente i prezzi delle merci esportate per eliminare la concorrenza, agevolazioni fiscali, manovre sui cambi e quant'altro. Istinto primordiale, il protezionismo, un potenziale omicida che proviene dalla storia, il potenziale killer della globalizzazione, anche se oggi il fallimento della globalizzazione stessa è un suicidio in piena regola, un suicidio cercato, una globalizzazione delle merci e dei capitali, prima che dell'uomo. Al di la delle parole ufficiali di circostanza oggi l'istinto primordiale torna ad affacciarsi nelle politiche economiche e finanziarie di tutto il mondo, qualcuno lo definirebbe un sano egoismo delle nazioni, non serve certamente ricordare il fallimento recente del Doha Round, ne le dichiarazioni "consapevoli" al termine dello "storico" recente G20 contro il protezionismo, parole al vento. A nulla serve osservare che l'unico punto d'incontro tra democratici e repubblicani americani nell'approvazione del New Deal del 21° secolo è la famigerata "Buy American" (puro acciaio americano per le infrastrutture del NewDeal, ma non solo) essenza stessa di un protezionismo criticato paradossalmente da multinazionali americane quali Caterpillar e General Electric segue pagina >>

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Protezionismo: istinto primordiale! pag.1 (sezione: Globalizzazione)

( da "Trend-online" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Protezionismo: istinto primordiale! BLOG, clicca qui per leggere la rassegna di Andrea Mazzalai , 04.02.2009 14:21 Scopri le migliori azioni per fare trading questa settimana!! le quali conglomerate internazionali temono la possibile ritorsione dei mercati mondiali, aziende che vivono di globalizzazione. "C'è protezionismo implicito in quello che stà accadendo" ha sussurrato Gordon Brown, primo ministro inglese. Non solo negli aiuti di Stato ma anche una sorta di protezionismo finanziario, banche globali che ora tornano a casa dalla Madre Patria, figliolo prodigo della situazione! La socializzazione delle perdite e la privatizzazione dei profitti è in fondo una sorta di protezionismo strisciante. Chi ama veramente il libero mercato avrebbe preferito lasciare fare al mercato. Ma nazionalizzando o garantendo i colossi del credito, tecnicamente falliti, si fa un torto al sistema finanziario virtuoso, migliaia di piccole banche che non hanno partecipato all'orgia del credito, alla finanza creativa, banche che hanno radici nel territorio, banche fondate su valori vecchi come la storia. In una parola banche locali, banche del territorio, banche di credito cooperativo, l'essenza di un sistema che proviene dalla storia stessa, fondate su valori più solidi del breve termine, banche che consapevolmente o inconsapevolmente non hanno seguito il pensiero unico, banche patrimonialmente solide da riscoprire nei Vostri territori. Nessun governo che abbia subbordinato gli aiuti al sistema finanziario alla concessione di credito all'economia, se non a parole, parole scritte sulla sabbia. L'ultimo Senior Loan Officer Survey testimonia che il credit crunch continua. Dall'intervista in questione appare evidente come la domanda di prestiti da parte delle imprese e delle famiglie in America, ma non solo, ha continuato ad indebolirsi, nessun dubbio vista l'impennata del risparmio americano appena comunicata la scorsa settimana, una consapevolezza d'oro spesso obbligata dalla chiusura del credito da parte segue pagina >>

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Protezionismo: istinto primordiale! pag.4 (sezione: Globalizzazione)

( da "Trend-online" del 04-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Protezionismo: istinto primordiale! BLOG, clicca qui per leggere la rassegna di Andrea Mazzalai , 04.02.2009 14:21 Scopri le migliori azioni per fare trading questa settimana!! a noi contribuire privatamente al sostegno di progetti ed adozioni in questo momento difficile, i nostri governi, le istituzioni quando la crisi avanza notoriamente tagliano partendo sempre dai più deboli...... Comunque vada stimoli fiscali o nazionalizzazioni, New Deal o sostegni a pioggia, l'ombra del protezionismo sarà sempre con noi.....protezionismo convenzionale, non si combatte il debito privato con il debito pubblico sostiene giustamente Tremonti...peccato che non sempre in passato la pensava in questa maniera quando sussurrava di ipotecare le case per far correre i consumi! E pensare che i sussidi statali sono vietati..... Comunque sia oggi Tremonti è il più illuminato di questa immensa schiera di medici al capezzale dell'economia mondiale, medici che regolarmente ricorrono a pratiche del passato,.....non si cura un malato con il metadone, serve una crisi di astinenza per uscire da questa immensa droga. Il protezionismo è anche sussurrare un giorno si e un giorno no le manipolazioni della Cina, in fondo è giocare con il fuoco, meglio con un'atomica in mano, manovrare la propria moneta non è altro che protezionismo lo stesso protezionismo che l'America rivede nel suo "Buy American" si la pagliuzza nell'occhio del vicino e la trave che non si vede......tranne sperare che qualcuno continui ad acquistare il proprio debito pubblico. In Cina 20 milioni di esseri umani, non numeri come vogliono gli economisti, tornano a casa dopo essere stati sfruttati in nome della globalizzazione, secondo i dati del ministero dell'agricoltura sono il 15 % di oltre 130 milioni di immigrati provenienti dalle zone rurali.....nel corso dell'anno potrebbero salire a 26 milioni e oltre aggiungo io, con possibili conseguenze di stabilità sociale....se la Cina non cresce almeno del 7 % all'anno addio lavoro...addio sicurezze...addio segue pagina >>

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A Valenza un seminario sulla cultura globalizzata (sezione: Globalizzazione)

( da "Stampa, La" del 05-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

MEDIA PASCOLI A Valenza un seminario sulla cultura globalizzata «Joe l'idraulico e il multilateralismo», è il titolo di un seminario di formazione regionale che si terrà l'11, il 12 e il 24 febbraio al centro San Rocco in piazza Statuto a Valenza. Relatori Vittorio Emanuele Parsi, docente dell'Università Cattolica del Sacro cuore ed editorialista de La Stampa e Riccardo Redaelli docente di Storia delle civiltà e delle culture politiche. L'iniziativa, partita dalla media Pascoli, è stata subito raccolta dal Comune e dal Rotary che ieri l'hanno presentata: «In 5 anni la Pascoli ne ha fatta di strada, utilizzando strumenti all'avanguardia, dovuti a molteplici investimenti e per un totale di 240 mila euro - ha spiegato il dirigente scolastico Maurizio Carandini -; dopo i corsi di aggiornamento del personale, ci siamo proposti percorsi di formazione di alta qualità, sfociati in questa idea». Per il presidente del Rotary, la collaborazione con la Pascoli è cominciata con il progetto Arte e oro: «Ora, abbiamo messo a disposizione della scuola e della città una lavagna interattiva - sottolinea Marco Arrigoni - tra le altre iniziative, la collaborazione con il Politecnico di Torino per i master del gioiello e con il Comune per L'età creativa". L'assessore Pier Giorgio Manfredi ha aggiunto: «Il seminario contribuirà alla convivenza tra le etnie, vera espressione della libertà».

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"Difendiamo l'economia reale" L'appello di Susta al Parlamento Ue (sezione: Globalizzazione)

( da "Stampa, La" del 05-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

"Difendiamo l'economia reale" L'appello di Susta al Parlamento Ue Il tessile europeo è competitivo perché sa essere innovativo e creativo e sa generare quelle «eredità dinamiche» - come le chiama Susan Berger - in virtù delle quali le aziende hanno dimostrato grande capacità di adattamento alle novità, coniugando il «fare» con il «saper fare». «Non si possono chiedere più innovazione, più creatività, più qualità (come vuole anche la Piattaforma tecnologica all'interno del 7° programma quadro per la ricerca) e poi mantenere regole o non cambiarne altre, che favoriscono il prodotto che vale meno sul presupposto che il minor costo sia di per sè il vero e unico "interesse del consumatore". Ci vuole un riconoscimento istituzionale che riduca il dumping che altera la concorrenza leale - spiega Gianluca Susta che l'altro giorno è intervenuto a Strasburgo sulla crisi del settore tessile europeo - Al Commissario Ashton abbiamo chiesto un regolamento sul Made in; maggiore lotta alla contraffazione e alla pirateria commerciale e ricorso alle procedure antidumping; assoluta reciprocità con Usa, Canada e Giappone; proroga delle misure verso l'export cinese al 31 dicembre 2009; l'ampliamento del fondo adeguamento alla globalizzazione e l' aumento dei fondi alla piattaforma tecnologica tessile, infine credito agevolato e garantito sostegno all'export. Non regge più una concezione - cara ai Paesi nordici - secondo cui lo sviluppo dipende solo dalla finanza e dai servizi avanzati: la crisi ha dimostrato quanto sia importante l'economia reale che, nel caso specifico, significa ancora 2,5 milioni di occupati e un saldo commerciale che nel 2007 era ad esempio in Italia ancora di 10 miliardi di euro e fino a giugno 2008, prima della crisi mondiale, era ancora salito del 2,8%».

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Obama blocca gli stipendi d'oro dei manager delle aziende salvate (sezione: Globalizzazione)

( da "Unita, L'" del 05-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Obama blocca gli stipendi d'oro dei manager delle aziende salvate La crisi «toglie il sonno» al primo presidente nero degli Stati Uniti. Per questo accelera. Ieri ha annunciato il taglio degli stipendi d'oro dei manager delle aziende salvate con i soldi pubblici. La festa è finita. Barack Obama ha annunciato un limite agli stipendi dei manager delle aziende in crisi. E la cancellazione di tutti i bonus sinora intascati a dispetto di conti economici disastrosi. Il provvedimento riguarda principalmente Wall Street, il cuore della finanza americana e mondiale, che all'improvviso s'è scoperto un gigante dai piedi d'argilla. L'agente scatenante della crisi che «mi toglie il sonno la notte - ha detto il neo presidente Usa - Ora sappiamo che ci sono dirigenti che continuano a incassare enormi bonus nonostante le loro aziende stiano a galla solo grazie a interventi pubblici straordinari. Soldi di cittadini che pagano le tasse -- E questo fa giustamente infuriare l'opinione pubblica». E ha messo in chiaro che senza un tempestivo intervento del Congresso «una catastrofe è alle porte». L'annuncio è stato dato dalla Casa Bianca nel corso di una conferenza stampa congiunta con il segretario al Tesoro Timothy Geithner e fissa a 500mila dollari lordi l'anno il compenso massimo per qualsiasi manager di banca o società che abbia usufruito o intenda usufruire di aiuti da parte del governo federale. «Imporremo delle restrizioni in cambio di ogni aiuto federale, perché non vogliamo più vedere i vecchi trucchi a cui abbiamo assistito in passato». Obama, tra le altre considerazioni, ha bollato i manager di «cattivo gusto». E ha ammesso apertamente di aver sbagliato per aver in un primo momento selezionato personaggi inguaiati col fisco per posizioni di governo. Geithner si é impegnato a fornire entro la prossima settimana ulteriori dettagli sulla strategia di spesa dei circa 350 miliardi di dollari di aiuti rimamenti nel pacchetto noto come «Troubled Asset Relief Program». Il programma di acquisto e garanzia dei titoli spazzatura. TAGLIO GIGANTESCO Mezzo milione di dollari l'anno sono comunque una cifra straordinariamente alta in confronto al reddito medio di una famiglia Americana, e addirittura un compenso stellare rispetto al salario minimo che la legge fissa a 6 dollari e 15 centesimi l'ora. Eppure si tratta di un taglio gigantesco rispetto a quello che è stato l'andazzo nel settore finanziario, dove i milioni s'intascavano come noccioline. Mettendo insieme società di assicurazioni, finanziarie e banche finite a gambe all'aria o sull'orlo del tracollo, si scopre che lo scorso anno i dirigenti di queste aziende si sono portati a casa un totale di 18,4 miliardi di dollari. Solo come «premi di produzione». Tra I gruppi che dovranno mettersi immediatamente in riga con I nuovi limiti salariali, il colosso assicurativo Aig e il colosso bancario Citigroup. A parte isolate accuse di «populismo», l'opinione generale degli analisti è che l'amministrazione Obama stia muovendo nella giuste direzione. Anche se non esistono formule o ricette sicure per l'uscita dal tunnel. Troppi sono i fattori in gioco e l'incertezza aumenta in modo esponenziale considerando le dinamiche di un'economia che muove su scala globale. Cina in recessione Secondo la lettura dei dati relative al terzo trimester di quest'anno data da Nouriel Roubini, l'economista vivente più citato dopo il premio Nobel Paul Krugman, anche la Cina è entrata ufficialmente in recessione. Questo fa temere un'ulteriore abbassamento dei prezzi da parte di Pechino per non intaccare il volume di esportazioni verso gli Stati Uniti. L'amministrazione Obama ha tuttavia escluso la possibilità di ricorrere a misure protezionistiche agendo sulle tariffe doganali. La sfida sarà nell'investimento in nuove tecnologie e nella eco compatibilità della produzione. ROBERTO REZZO robertorezzo@unita.it

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Il Sol Levante, miniera di buoni affari (sezione: Globalizzazione)

( da "Finanza e Mercati" del 05-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Il Sol Levante, miniera di buoni affari da Finanza&Mercati del 05-02-2009 GRACE YEO* Lo stereotipo del Giappone, si sa, è quello di un regno ripiegato su sé stesso: una vita politica particolare, una popolazione che invecchia e una miriade di aziende con un percorso originale, in parte rilevante sganciato dal profitto e dagli interessi degli azionisti, elementi chiave per gli investitori. In quest'ottica, il mercato azionario giapponese è, nel migliore dei casi, un'opportunità di diversificazione del rischio nei periodi negativi, ma da ignorare in quelli positivi. Questo radicato pregiudizio, a mio avviso sbagliato, offre un'occasione per fare ottimi affari. L'economia giapponese, in realtà, è agganciata in maniera strettissima al resto del mondo e, in particolare, all'Asia affacciata sul Pacifico. L'export di Tokyo rappresenta più di metà della regione, assai sopra la quota dell'Europa e quella degli Stati Uniti. Gli investimenti diretti in Asia sono cresciuti regolarmente nell'ultimo decennio fino a toccare la cifra record di 19.000 miliardi di yen alla fine del 2007. Altri indicatori per gli Usa (vedi la leadership di Toyota) e in Europa testimoniano la profonda internazionalizzazione dell'economia del Sol Levante. Proprio a partire dalla vocazione di economia con stretti collegamenti a livello internazionale e regionale, si possono individuare le migliori opportunità. Con un occhio di riguardo alla dipendenza dal mercato cinese (per l'export) e dall'Australia (per le materie prime). È importante utilizzare una prospettiva d'insieme per sfruttare quei «vuoti di informazione» che hanno creato spazio per attraenti operazioni di arbitraggio, a partire dal settore delle materie prime. Ragioniamo sulla dinamica dell'offerta e della domanda nelle commodities in Cina/India e in Australia. Poiché certi settori - per esempio quello delle materie prime - rispondono a fattori globali, il confronto tra le informazioni e i dati provenienti da fonti diverse ci consente di individuare gli eventuali settori non coperti. Viceversa, attenersi alle analisi conservative dei management giapponesi o alle guidance degli analisti sarebbe limitante. Per esempio, pochi si sono soffermati sul vero significato delle tre distinte trattative per fusioni svoltesi a dicembre su tre continenti nel settore del carbone. L'ampio spread tra il prezzo delle azioni e il prezzo implicito che gli attori del settore sono pronti a imputare a queste acquisizioni suggerisce che gli investitori sono diventati eccessivamente negativi riguardo alla sostenibilità della tendenza all'adeguamento al rialzo del prezzo del carbone. Analogamente, i prezzi delle azioni dell'acciaio sono scesi in previsione di una flessione degli utili dovuta agli aggiustamenti della produzione. Tuttavia, i prezzi dei rottami di acciaio stanno già registrando una inversione di tendenza a seguito del drastico esaurimento dell'inventario di rottami ferrosi della Hyundai Steel. Il nostro investimento in Sumitomo Metal poggia sul presupposto che, nei prossimi due trimestri, i magazzini dovranno essere riforniti per forza. Il Giappone è un enigma, ma solo perché il giudizio è spesso viziato da stereotipi. Il Giappone è un'opportunità cui occorre andare incontro e non un rischio da cui fuggire. Mentre il mondo vede l'attuale crisi come l'opportunità di una vita per posizionarsi nel mercato Usa, a nostro avviso, solo il Giappone può veramente vantare questo titolo. I prezzi delle azioni hanno toccato i livelli più bassi degli ultimi cinquant'anni e più del 90% delle società giapponesi presenta quotazioni inferiori al valore di libro: perciò sono convinto che ci sia la possibilità di raccogliere i frutti che altri non vedono. *Portfolio manager - Legg Mason International Equities - Singapore

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Nucleare, l'Iran insiste <Non rinunciamo a un nostro diritto> (sezione: Globalizzazione)

( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 05-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Esteri Pagina 110 teheran Nucleare, l'Iran insiste «Non rinunciamo a un nostro diritto» Teheran --> TEHERAN L'Iran ha detto di essere deciso a «insistere nei propri diritti» in campo nucleare, invitando le potenze del gruppo dei 5+1, che oggi sono tornate a riunirsi in Germania, ad accettare «la realtà». Le affermazioni sono state fatte ieri dal portavoce del ministero degli Esteri, Hassan Qashqavi, dopo che martedì Ue e Usa avevano reagito con allarme alla messa in orbita del suo primo satellite di Teheran. Sviluppo che si teme possa aiutare l'Iran a mettere a punto missili balistici sempre più sofisticati. Ma iero a Wiesbaden, dove si sono riuniti a livello di dirigenti diplomatici dei rispettivi ministeri degli Esteri, i 5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania), hanno messo l'accento favorevolmente nel loro comunicato finale sulla «volontà dell'amministrazione americana di avviare discussioni con l'Iran, così come espressa dal presidente Obama». Una volontà che comporta un netto cambiamento di linea rispetto alla chiusura del suo predecessore George W. Bush. Il sestetto ha però detto anche chiaramente a Teheran che deve «cooperare pienamente» con le Nazioni Unite. E da parte sua il ministro degli esteri russo, Serghei Ivanov, ha dichiarato che Mosca è pronta a contribuire al dialogo tra Usa-Iran. L'Iran ha già ignorato cinque risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'Onu che chiedevano di sospendere l' arricchimento dell'uranio, l'aspetto più delicato del suo programma poichè questa tecnologia consentirebbe anche di produrre materiale fissile per armi atomiche.

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crisi finanziaria, le cause affondano nella globalizzazione e nel capitalismo (sezione: Globalizzazione)

( da "Tirreno, Il" del 05-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Pagina 4 - Pisa Crisi finanziaria, le cause affondano nella globalizzazione e nel capitalismo La crisi economica che ha travolto la finanza mondiale sta colpendo in modo strutturale l'economia reale del nostro Paese. Sono molte le cause di questa crisi finanziaria senza precedenti: dai derivati, ai mutui subprime, all'eccessivo ricorso al debito e al consumo, ad assicurazioni e banche che in assenza di adeguate regole e controlli hanno spadroneggiato senza freni fino ad ora, ma in particolare molte responsabilità vanno attribuite al Wto, ovvero l'organizzazione mondiale del commercio che ha regolato la globalizzazione e il turbo capitalismo (ovviamente in modo sbagliato). Il nostro Paese sta vivendo un momento particolarmente critico, con un aumento esponenziale della disoccupazione legato da una parte (primi mesi dell'anno 2009) alla perdita del posto di lavoro per centinaia di migliaia di precari dall'altra la chiusura di migliaia di piccole e medie imprese e il ridimensionamento dei dipendeti con contratto a tempo indeterminato nelle grandi aziende e nei loro indotti (nei prossimi mesi). Calano i consumi, scende l'inflazione, perciò da una parte i "fortunati" che riusciranno a mantenere il loro posto di lavoro senza un calo delle ore effettuate, saranno agevolati visto il forte calo dei prezzi, dall'altra le istituzioni dovranno adoperarsi nel modo più efficace e immediato per disinnescare quella potente bomba a tempo che io chiamarei con un termine: "disoccupazione dilagante". Se considerate negativo un forte aumento dell'inflazione, sappiate che l'inverso ovvero un forte calo che si tramuti in deflazione sarebbe assai più grave e devastante per il tessuto sociale del nostro grande Paese. Andrea Mion

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Obama verso l'addio a Stranamore? (sezione: Globalizzazione)

( da "Riformista, Il" del 05-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

zero nuke il "times" rivela che il presidente proporrà al Cremlino di tagliare fino all'80% delle testate Obama verso l'addio a Stranamore? di Giampiero Giacomello Barack Obama sarebbe pronto a proporre alla Russia un taglio radicale delle testate nucleari, fino all'80 per cento degli arsenali attuali. La rivelazione pubblicata ieri dal Times ha già trovato una disponibilità di massima da parte di Mosca per bocca del vicepremier Sergei Ivanov. Il compito, alla Casa Bianca, sarebbe affidato ad un ufficio ad hoc, diretto da Gary Samore, che ha svolto gli stessi compiti sotto Bill Clinton. È ragionevole un progetto del genere? È possibile? La risposta ad entrambe le domande è positiva. Tanto più che i propositi di disarmo coincidono con il disgelo avviato dalle prime decisioni della neonata amministrazione Obama, revisione del progetto dello scudo anti-missili in primis. Iniziamo con il dire che, al momento, sia la Russia sia gli Stati Uniti, dispongono di un numero di testate nucleari più che sufficienti ad infliggersi a vicenda danni spaventosi. I loro arsenali poi sono molto superiori a quelli delle altre potenze nucleari, dichiarate o meno. In termini assoluti, il Trattato di Mosca, firmato da Usa e Russia nel 2002 e che rappresenta l'ultima versione dei trattati Start, prevede che entro il 2012 le due potenze riducano il numero di testate a 1700-2000 per parte, rispetto alle oltre 4mila per gli Stati Uniti e più di 5mila per la Russia (all'apice della Guerra Fredda, il numero complessivo era di quasi 80mila, di vario tipo). Anche con la riduzione del Trattato di Mosca, gli arsenali delle due potenze nucleari supererebbero, di molto, tutti gli altri paesi dotati di arsenale nucleare: Regno Unito, Francia e Cina, insieme, non arrivano nemmeno a mille, India e Pakistan congiuntamente ne posseggono circa un centinaio e così anche Israele, mentre la Corea del Nord ne possiede meno di 10 (almeno secondo le stime). Partendo dai numeri del Trattato di Mosca (circa 4mila), una riduzione dell'80 per cento porterebbe i due paesi a tagliare più di 3mila testate, mantenendone quindi disponibili circa 4-500 ciascuno. Anche così Usa e Russia potrebbero infliggersi danni devastanti, per non parlare di quello che potrebbero fare ad altri paesi nucleari. I numeri di partenza potrebbero essere diversi, ma la riduzione sarebbe in ogni caso sostanziale e metterebbe sotto pressione le rimanenti potenze nucleari dichiarate per tagli significativi anche ai loro arsenali. La proposta definita «zero nuke», portata avanti da gruppi per il disarmo nucleare in vari paesi, sembra avere già sostenitori anche nel governo britannico oltre che in quello americano. È vero che non si arriverà mai all'eliminazione completa delle armi nucleari, ma l'obbiettivo è quello di portare gli arsenali nucleari al livello più basso possibile, senza compromettere la capacità di dissuasione. Ovviamente, una riduzione del numero complessivo di testate riproporrebbe la questione della qualità delle armi rimaste. Alcuni esperti nucleari, infatti, sostengono che la riduzione è possibile solo a fronte di una maggiore efficienza delle testate. In altre parole si tratterebbe di mantenere la stessa capacità di distruzione con meno ordigni. Ma la questione è aperta, e non è detto che lo scambio quantità-qualità sia, dopo tutto, necessario. Inoltre, il vantaggio di una riduzione complessiva degli arsenali nucleari, giustificherebbe l'impresa di un taglio sostanziale da parte delle due maggiori potenze. Russia e Stati Uniti, con qualche centinaio di testate, per la maggior parte a bordo di sottomarini nucleari che essendo praticamente invulnerabili garantiscono la capacità di "secondo colpo", manterrebbero la dissuasione reciproca e potrebbero ancora annientare qualsiasi altro avversario nucleare. I livelli della Guerra Fredda erano «giustificati« dal fatto che molti, da entrambe le parti, erano convinti che fosse effettivamente possibile «combattere" una guerra nucleare. 05/02/2009

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CRISI DELL'AUTO: I DEPUTATI EUROPEI CHIEDONO AIUTI PER L'INDUSTRIA (sezione: Globalizzazione)

( da "marketpress.info" del 05-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Giovedì 05 Febbraio 2009 CRISI DELL´AUTO: I DEPUTATI EUROPEI CHIEDONO AIUTI PER L´INDUSTRIA Strasburgo, 5 febbraio 2009 - Nel dibattito in Aula tutti i deputati hanno sottolineato la crisi profonda attraversata dall´industria dell´auto europeo. In molti hanno chiesto un più forte coordinamento a livello europeo delle azioni. Queste dovrebbero riguardare principalmente il rinnovo del parco macchine verso modelli più ecologici, l´innovazione, la ripresa dei crediti all´industria e la tutela dell´occupazione. Per il commissario Verheugen il futuro dell´industria europea sarà ecologico, oppure non ci sarà futuro. Dichiarazione del Consiglio in carica - Alexandr Vondra ha anzitutto sottolineato l´importanza del tema in discussione, rilevando come l´industria automobilistica sia «un fattore chiave dell´economia europea». Grazie alla sua adattabilità dell´industria comunitaria, ha aggiunto, le auto europee sono tra le migliori, le più innovative, sicure, competitive e rispettose dell´ambiente» e «bisogna essere fieri di questi risultati». Ma la crisi economica globale ha portato a una riduzione delle vendite dell´8% nel 2008, rispetto all´anno precedente, e la situazione potrebbe peggiorare nel 2009, anche per l´indotto. Il Ministro ha poi sottolineato che queste difficoltà mettono a repentaglio molti posti di lavoro e, pertanto, l´industria deve essere incoraggiata ad affrontare i suoi problemi strutturali, come la sovracapacità produttiva. A tale proposito, ha ricordato che il piano di risanamento economico europeo e i programmi nazionali prevedono una serie di aiuti. Questi, ha però precisato, devono concentrarsi sull´innovazione, essere mirati e coordinati e rispettare i principi della concorrenza equa e dell´apertura dei mercati. Ha quindi ammonito che non ci deve essere una «corsa ai sussidi» e non è possibile distorcere la concorrenza. Il Consiglio, ha aggiunto, collaborerà con la Commissione per esaminare la possibilità di migliorare i prestiti e proseguirà con il suo dialogo con gli Usa e gli altri partner. Riguardo agli strumenti a disposizione dell´Ue ha posto l´accento su quelli che favoriscono l´innovazione. Al riguardo andranno valutate le potenzialità dei sistemi a propulsione ibrida e elettrica e delle cellule a combustibile. I regimi di rottamazione, ha aggiunto, possono dare impulso alla domanda e avere un impatto positivo. In proposito, ha anche affermato che la Presidenza ha chiesto alla Commissione di proporre al Consiglio europeo di primavera uno schema coordinato volto a incoraggiare il rinnovo del parco auto. Dichiarazione della Commissione - Günter Verheugen ha invitato tutti «alla prudenza» per evitare «di suscitare aspettative che non potranno essere onorate». L´industria dell´auto, ha aggiunto, è un indicatore della congiuntura generale e il «grave rallentamento» della domanda si ripercuote anche in altri settori. Questa riduzione, ha spiegato, è sintomo della mancanza di fiducia e dell´attesa di nuovi sviluppi, pertanto occorre prendere delle misure, tutti insieme, per ripristinare tale fiducia. Dopo aver enumerato le caratteristiche del settore (12 milioni di occupati, orientamento all´esportazione, ecc. ), ha sottolineato che il crollo delle vendite ha portato a 2 milioni di auto invendute. Il surplus di capacità produttiva, ha spiegato, è dell´ordine del 20% per alcune fonti, più alto per altre, e vi sono 400. 000 posti di lavoro a rischio. Il commissario ha poi avvertito che non vi sono garanzie che tutti i siti di produzione esistenti saranno ancora attivi alla fine dell´anno: «la concorrenza è pesante» e l´industria deve promuovere migliori prestazioni. Ha quindi osservato che la legislazione Ue rende la situazione ancora più difficile visto che porta a un aumento dei prezzi. Occorre quindi aumentare la produttività, cosa che avrà conseguenze sull´occupazione. Gli obiettivi della politica Ue, ha poi spiegato, sono di far uscire l´industria dalla crisi e migliorarne la competitività, «affinché l´Ue resti il centro dell´industria automobilistica mondiale». Descrivendo le misure adottate fino ad oggi, il commissario ha ricordato il credito di 9 miliardi di euro, ma ha anche avvertito che «i fondi Bei sono esauriti» e che è necessario garantire ulteriori finanziamenti. Gli Stati membri sono anche autorizzati a ricorrere ad aiuti di Stato per sostenere l´industria, purché questi siano «mirati e non distorcano la concorrenza». Ha poi sottolineato che gli aiuti non devono discriminare i produttori, favorendo l´industria nazionale, e possono consistere nella rottamazione di auto vecchie a favore di modelli più ecologici che abbiano ad esempio minori emissioni. Più a lungo termine, ha menzionato le raccomandazioni di Cars 21 sulla ricerca e l´innovazione. Il commissario ha poi sottolineato che la principale conclusione delle sue discussioni con gli Stati membri è «il no al protezionismo». A livello internazionale, invece, bisogna guardare alle azioni degli Usa: se non è nell´interesse dell´Europa che l´industria americana fallisca, va anche assicurato che gli aiuti di cui beneficia non penalizzino i produttori Ue. Concludendo, ha affermato che «l´industria europea è capace e pronta a reagire per garantire il suo futuro». Interventi in nome dei gruppi politici - Jean-paul Gauzes (Ppe/de, Fr) osservando che il messaggio del commissario «non è di speranza e non contribuisce a ripristinare la fiducia», teme invece che rappresenti un incitamento agli Stati membri a muoversi da soli. A suo parere l´Ue deve invece fare ben altro per un´industria così importante. Ha quindi sottolineato che una risposta coordinata «è fondamentale e urgente per sostenere e amplificare le azioni già intraprese dagli Stati membri». Ha poi sostenuto che, prima di tutto, è indispensabile che il sistema bancario finanzi normalmente l´industria, «ossia a dei tassi e a delle condizioni normali, e con dei volumi che corrispondono ai bisogni dell´industria». Inoltre, «occorre dare un futuro all´industria» ed è quindi indispensabile una vera politica industriale che guardi al futuro e acceleri gli sviluppi necessari, in particolare, nel campo della protezione dell´ambiente e delle esigenze dello sviluppo sostenibile. Ma è anche primordiale che lo sforzo d´innovazione non si realizzi a discapito della crisi e che gli aiuti permettano di agire in questo campo. Guido Sacconi (Pse, It) ha detto di condividere la preoccupazione e il realismo espresso dal commissario. Ha quindi rilevato che una stima prevede una perdita potenziale di 2 milioni di posti di lavoro nel 2009 nell´intera filiera automobilistica, «la maggior parte dei quali nella componentistica». Ha quindi osservato che «viviamo una straordinaria contraddizione: da un lato abbiamo un parco veicolare privato e pubblico molto obsoleto, con alti livelli di emissioni e, dall´altro lato, una domanda che è fortemente rallentata, se non addirittura crollata». Sostenendo di aver apprezzato molto il piano di rilancio deciso dalla Commissione, pur con i suoi limiti, ha sottolineato di intervenire sulla domanda: «una vera manovra anticiclica . Anche in funzione degli obiettivi ambientali». Deplorando che ogni Stato membro abbia preso iniziative individuali e che l´Italia «finora non ha fatto niente», ha auspicato che al Consiglio "Competitività" della prossima primavera «ci sia il massimo di coordinamento, almeno sui criteri», collegando ad esempio i piani di rottamazione «a precisi obiettivi di emissioni». In proposito ha giudicato «intelligente» la soluzione adottata in Francia che consiste nel «variare l´entità del bonus messo a disposizione dell´acquirente a seconda del livello di emissioni della vettura comprata». A suo parere, questo sarebbe «un sistema "win-win", in cui ci guadagnerebbero tutti: l´occupazione, l´innovazione, la competitività e anche l´ambiente». Per Patrizia Toia (Alde/adle, It) «la crisi del settore auto è diventata crisi di un intero comparto, dell´indotto, di altri settori collegati, delle reti commerciali e quindi dei servizi» e ha «prospettive drammatiche sotto il profilo dell´occupazione». Il crollo delle immatricolazioni, a suo parere, «dimostra che non è una crisi di un settore tecnologicamente obsoleto, non nasce all´interno del settore, dall´interno di questa o quell´azienda, per errori manageriali, è bensì una crisi di sistema e come tale va affrontata urgentemente e con decisione proprio dalle istituzioni europee». Se occorre sostenere la domanda, visto che «i consumi sono l´unico volano della ripresa», è anche necessario garantire «un sostegno creditizio per riprendere la produzione, pagare i materiali, sostenere l´occupazione, anche di fronte a un calo degli ordinativi e della domanda». Sottolineando che l´America e alcuni paesi europei stanno già intervenendo e auspicando che l´Italia «passi dalle proposte generiche alle iniziative concrete», ha sollecitato «una più forte azione europea nel piano di rilancio» e anche oltre poiché «il destino delle grandi case europee è un destino comune e i grandi produttori europei non devono trovare concorrenza all´interno del mercato comune sotto forma di diverse forme di aiuti di Stato o di agevolazioni, ma devono trovare una risposta dell´Europa forte, incisiva e coordinata». Anche perché «le sorti del mercato europeo dell´auto si misurano nella capacità di affrontare insieme la concorrenza mondiale». Ha quindi concluso chiedendo che «il sostegno non sia un aiuto, peggio un soccorso, che lascia tutto com´è, ma un incentivo per una capacità competitiva futura del settore sotto il profilo delle innovazioni, di produzioni compatibili con l´ambiente e anche di tecnologie più rispettose dell´ambiente e della sicurezza dei viaggiatori e dei trasporti». Anche Guntars Krasts (Uen, Lv) ha affermato che lo sviluppo è collegato alla disponibilità del credito. Dopo la normalizzazione dei sistemi creditizi, ha spiegato, dovrà essere possibile agire sul settore, salvaguardando la competitività e le prestazioni ecologiche. Rebecca Harms (Verdi/ale, De) ha rilevato l´esigenza di gestire la crisi economica assieme a quella ambientale, sostenendo che sarebbe un errore non essere ambiziosi a favore delle misure per il cambiamento climatico. In proposito, ha deplorato che si sia fatto troppo poco in questa materia. A suo parere, occorre «difendere le auto piccole e ecologiche» e esaminare le potenzialità di quelle elettriche. E´ anche necessario avere una visione d´insieme sul settore dei trasporti e, quindi, considerare anche i mezzi pubblici e incentivare i sistemi sostenibili per il futuro. Per Roberto Musacchio (Gue/ngl, It) «è ormai evidente che la crisi finanziaria è diventata economica e ora sociale, drammatica». E ciò «lo dimostra la situazione dell´auto, dove si presume siano a rischio oltre due milioni di posti di lavoro», soprattutto i più deboli ossia gli anziani e i precari. A suo parere occorre quindi «agire con rapidità e forza» e, in proposito, ha sottolineato la necessità di un coordinamento europeo diretto all´innovazione in relazione al pacchetto clima e al regolamento sulle emissioni. Ma deve anche riguardare la questione sociale: «nessun lavoratore, a partire da quelli anziani e da quelli precari, deve essere espulso, poiché non si può fare l´innovazione cacciando i lavoratori». Pertanto, è necessario adeguare il Fondo sulla globalizzazione e il Fondo sociale, perché «il lavoro in Europa torni ad essere centrale, ad avere quel ruolo che spetta ad esso come fondatore di democrazia». Patrick Louis (Ind/dem, Fr) ha affermato che il settore dell´auto «soffre delle delocalizzazioni e dei dumping sociale, ambientale e fiscale». A suo parere la sola soluzione per difendersi «dai 4X4 americani sovvenzionati e dopati dal ribasso del dollaro . E dai veicoli di gamma inferiore provenienti dalla Turchia o dalla Cina» è di «ristabilire le tariffe esterne comuni». Solo i dazi compensatori alle frontiere, ha insistito, «possono ristabilire uno scambio internazionale leale». Replica della Commissione - Günter Verheugen ha insistito sul fatto che «le misure a breve termine non possono essere in contraddizione con gli obiettivi di lungo termine: il futuro dell´industria europea sarà ecologico, oppure non ci sarà futuro!». Occorre quindi riorientare il settore, nonostante la crisi. Riguardo all´occupazione, ha ricordato che la Commissione ha avanzato delle proposte per un del Fondo di adeguamento più flessibile e, in proposito, ha sottolineato la necessità di agire rapidamente per salvaguardare e aiutare i lavoratori meno qualificati. In merito alla rottamazione, ha rilevato che non vi possono essere norme Ue sugli importi dei premi, ma che sono state proposte delle forbici. . <<BACK

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Frattini: Riforma delle istituzioni internazionali. "Non dobbiamo aver paura" (sezione: Globalizzazione)

( da "AmericaOggi Online" del 05-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Frattini: Riforma delle istituzioni internazionali. "Non dobbiamo aver paura" 05-02-2009 PERUGIA. Integrazione. Riforma delle istituzioni internazionali. Coinvolgimento dei Paesi emergenti e delle organizzazioni regionali per "una nuova governance globale". Perché in un momento di crisi drammatica, la prima cosa dalla quale la comunità internazionale non deve lasciarsi "sopraffare" è la "paura". Dall'Università per stranieri di Perugia - luogo simbolo di una riuscita integrazione e di una globalizzazione dal volto "buono" - Franco Frattini sceglie suggestioni rooseveltiane per trasmettere lo spirito che l'Italia intende imprimere al suo anno di presidenza del G8. L'"incertezza" e la "paralisi", ammonisce infatti il titolare della Farnesina davanti alla platea dell'Aula Magna di Palazzo Gallega per l'inaugurazione dell'anno accademico, sono nemiche del cambiamento, dell'innovazione, necessari - entrambi - per trascinare il Pianeta fuori dalle secche della "più grave crisi economica e finanziaria" dalla Depressione del '29 e per diffondere una nuova "sicurezza" tra i cittadini angosciati dalle minacce del terrorismo internazionale. "L'unica cosa che non possiamo e non dobbiamo fare in questo momento è non decidere", è il ragionamento di Frattini, che esorta i leader mondiali a mettere in campo quelle "risorse morali" indispensabili per uscire dal tunnel. Il G8 italiano è entrato ormai nel vivo. A giorni la riunione dei ministri dell'Economia del G7 aprirà il lungo anno di incontri che culminerà nel summit di luglio de La Maddalena. E il ministro incentra la sua "lectio magistralis" proprio sulle priorità che Roma ha inserito in agenda, a partire dalla creazione di "una nuova governance globale", nella quale G8 e G20 - il foro creato per far fronte allo tsunami che ha investito l'economia mondiale - devono collaborare, schivando il rischio di entrare in una sterile "competizione". Lotta al cambiamento climatico e al terrorismo internazionale, sviluppo dell'Africa e dei Paesi economicamente meno avanzati e governo della globalizzazione sono le altre emergenze di un anno che deve segnare "la svolta". Il nuovo modello messo a punto dalla diplomazia italiana, ricorda Frattini, è quello delle "geometrie variabili": il tradizionale summit degli Otto Grandi sarà rafforzato infatti dal coinvolgimento dei Grandi emergenti, o meglio già emersi (Cina, India, Brasile, Messico, Sudafrica e Egitto), e da alcuni "panel" tematici su crisi regionali (Africa, Medio Oriente, Afghanistan-Pakistan) ai quali interverranno i leader interessati. "Non solo per prendere un caffé con i Grandi della Terra - puntualizza il titolare della Farnesina - ma per una collaborazione strutturata ed effettiva". A questo si aggiungerà probabilmente una conferenza da tenere sempre in Italia delle organizzazioni regionali - il ministro cita in primo luogo Unione africana e Lega Araba - che possono avere un ruolo strategico nel risolvere i focolai di crisi locali. Ed anche per l'Europa, avverte poi Frattini, è arrivato il momento di assumersi responsabilità dirette, in primo luogo nel campo della sicurezza, che sia economica, energetica o militare: la nuova amministrazione Usa di Barack Obama chiede questo, e se l'Europa non vuole sparire dalla scena globale deve dare "risposte".

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Crisi finanziaria e ecologica, un'unica origine: il capitalismo (sezione: Globalizzazione)

( da "AprileOnline.info" del 05-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Crisi finanziaria e ecologica, un'unica origine: il capitalismo Carla Ravaioli*, 05 febbraio 2009, 13:05 Approfondimento/2 Rilancio produttivo, crescita, consumi, " green business", sono le parole d'ordine anche della sinistra, ammantata di uno stanco scetticismo. Manca il coraggio di guardare più lontano, al mondo, e capire che così com'è non regge più. In pochi comprendono qual'è la posta in gioco e quanta libertà sia consentita da una crisi come quella attuale "Ma tu lo sai quante crisi ha attraversato il capitalismo? E quali speranze ogni volta sono nate nel mondo del lavoro? Speranze poi puntualmente crollate di fronte a clamorosi rilanci del sistema, alla conquista di nuovi pezzi di mondo?" Di questo tenore è di regola la risposta delle sinistre quando si avanzi l'idea che, forse, la crisi attuale potrebbe proporsi come occasione per provare a ripensare il mondo, magari guardando il capitalismo come un fenomeno non necessariamente eterno. Le eccezioni non mancano, ma sono rare, e di solito non vanno oltre l'auspicio. D'altronde lo stanco scetticismo delle sinistre circa un possibile superamento del capitalismo non può stupire. Nulla di simile gli ultimi secoli della nostra storia promettono o autorizzano a sperare. Ma si dimentica che la storia è fatta di cose che prima non c'erano. E la storia più recente è stata appunto un lungo succedersi di fenomeni nuovi, non pochi di dimensioni clamorose, che contribuiscono a fare di quella attuale una crisi decisamente diversa. Oggi, parlando di crisi, ci si riferisce a quella che ha colpito prima le grandi banche americane, poi la finanza mondiale, e ora va mettendo in panne l'economia tutta intera, con pesanti ricadute su occupazione, condizioni dei ceti più deboli, ecc. Ma in realtà le crisi che scuotono il mondo oggi sono due, la seconda non meno della prima determinante per il nostro futuro; due crisi (a parere di non pochi cervelli di tutto rispetto) strettamente connesse l'una all'altra. Mi riferisco alla crisi ecologica planetaria, che la politica - di sinistra come di destra - ha a lungo ignorato, nonostante i sempre più allarmati richiami della scienza mondiale; che solo di recente ha preso in considerazione, ma solo per alcuni aspetti, e con provvedimenti lontanissimi dall'essere risolutivi. Inoltre senza mai considerarne il diretto rapporto con il sistema produttivo. Eppure il problema è tutt'altro che sconosciuto. Fin dal primo affermarsi del capitalismo industriale grandi pensatori della scienza economica e non solo sono andati interrogandosi sull'aporia di una produzione in crescita esponenziale all'interno di uno spazio dato e non dilatabile quale il pianeta Terra, costretta pertanto a confrontarsi con l'inevitabile esauribilità delle risorse di cui si alimenta. La cosa apparve poi inoppugnabile quando (particolarmente per merito di Nicholas Georgescu Roegen,(1) che in base al 2° principio della termodinamica dimostrò l'inevitabile e irreversibile degrado dell'energia e delle materie prime impiegate nei processi produttivi industriali) fu scientificamente provato che il capitalismo andava consumando la base stessa del suo operare. E sempre più risultò evidente via via che (stagioni impazzite, ghiacci polari disciolti, alluvioni cicloni tornado sempre più devastanti, enormi ingestibili mucchi di rifiuti, 3 milioni di morti, 50 milioni di profughi) il guasto degli ecosistemi è andato palesandosi in tutta la sua terribilità. Pagine e pagine di tutti i giornali sono dedicate a questi temi; puntualmente si rende noto che, secondo la scienza più accreditata, le risorse disponibili sono in via di esaurimento, e che continuando a consumare al ritmo attuale presto avremmo bisogno di 5,4 pianeti; che buona parte delle coste del globo finiranno sott'acqua, quelle italiane per prime; che in molte città respirare è un grave rischio. Eccetera. Ma sono i medesimi organi d'informazione a dedicare spazi ancor più ampi e vistosi alla preoccupazione per l'auto che non "tira" come dovrebbe, al Pil che non cresce abbastanza, ai mercati che rischiano una battuta d'arresto: facendosi tramiti convinti, e spesso entusiasti, dell'invito al consumo. La crescita - non importa se all'interno di uno spazio che non può crescere - rimane la nostra stella polare. Una sorta di schizofrenia che appartiene d'altronde all'intero agire economico e sociale. Basti ascoltare qualche convegno tra grandi industriali, magari affiancati da illustri economisti e noti politici: da sempre, e ancora oggi, l'ambiente, i rischi che anche all'economia il suo dissesto comporta, sono del tutto ignorati, o evocati per brevi accenni. Ma lo stesso accade se l'ascolto è dedicato a un dibattito tra sindacalisti, politici di sinistra, economisti di analoga collocazione politica. Come se non fosse la natura, l'ecosistema, a fornire tutto quanto il lavoro trasforma, quanto consente all'impresa di esistere, all'economia di operare. Come se non provenisse dalla natura, non "fosse natura", tutto quanto vediamo, tocchiamo, usiamo, indossiamo, mangiamo, beviamo, respiriamo... Per tutti, imprenditori, banchieri, economisti, politici di ogni colore, il collasso degli ecosistemi non è che una variabile marginale, di cui è inevitabile occuparsi quando causa danni di qualche entità: una seccatura insomma, un disturbo collaterale, nulla che riguardi le radici dell'agire economico. Accennavo sopra ad alcuni aspetti del problema ambiente che economisti e politici da alcuni anni hanno preso in seria considerazione; i quali però con le cause della crisi ecologica non hanno molto a che fare, non almeno nei modi e per i motivi dell'interessamento. E' dall'inizio del 2000 che la "fine del petrolio", o comunque la crescente antieconomicità della sua estrazione, suscita viva preoccupazione tra economisti e politici; e anche l'innalzamento della temperatura del globo comincia a suscitare qualche interrogativo negli ambienti che "contano". Nasce così un interesse via via più vivace per le energie alternative (vecchio cavallo di battaglia dei Verdi, a lungo duramente osteggiato dalle compagnie petrolifere) e per ogni ritrovato capace di assicurare risparmio energetico; ciò che presto dà luogo a un fiorente "green business". E la parola stessa dice quale sia il vero, o comunque prioritario, scopo di questa nuova politica, di fatto opposto a quello per cui si batte l'ambientalismo più qualificato, e per cui le stesse "rinnovabili" sono state pensate. Di questo genere sono oggi, in presenza della recessione mondiale, i soli provvedimenti dedicati all'ambiente da tutti i governi. D'altronde in perfetta sintonia con le posizioni che ignorano lo squilibrio ecologico in tutta la sua complessità, limitandolo all'"effetto serra" (certo la sua manifestazione più vistosa e devastante, ma non la sola, né risolvibile con i mezzi proposti) così da diffondere l'illusione di un possibile felice futuro, che grazie al "green business" garantirà un forte rilancio della crescita, consentendo produzione e uso di motori di ogni sorta, senza limiti e al netto da inquinamenti. In linea dunque con l'insistita sollecitazione al consumo rivolta a popolazioni impoverite, indebitate, disoccupate; con l'imperterrita strategia della cementificazione, che va programmando grattacieli, superstrade, alte velocità, nuovi piccoli e grandi aeroporti, villaggi e porti turistici, interi quartieri destinati a restare, come in Usa, invenduti; e con la logica che affida al mercato e alle sue "leggi" il compito di dettare la politica economica, solo nell'eccezionalità del momento disponibile a una momentanea deroga che affidi allo Stato la salvezza di giganti finanziari e industriali in bancarotta. E però sono sempre più numerose le voci - anche di commentatori lontani da ogni estremismo - che apertamente denunciano l'insensatezza di questa linea e in vario modo argomentano la necessità di superare, o comunque ripensare, il capitalismo. L'elenco è lungo e include grandi nomi della cultura mondiale: Eric J.Hobsbowm, Edgard Morin, Jurgen Habermas, Ulrich Beck, Nicholas Stern, Paul Virilio... E, nell'ambito di questa lettura nettamente critica dell'economia mondiale, è di particolare interesse l'affermazione e la messa a fuoco di una radice comune delle due crisi, quella economico-finanziaria e quella ecologica, da alcuni intuita più che dimostrata, ma dettagliatamente analizzata da altri. Il primo non solo a intuire ma a descrivere il modo in cui i due fenomeni si influenzano a vicenda, è stato André Gorz, il quale, in particolare in un articolo pubblicato poco prima della sua morte(2), con parole addirittura profetiche ha indicato nella sovrapproduzione l'origine della crisi finanziaria. Egli nota infatti come l'enorme massa monetaria, derivante dalla vendita delle merci prodotte in quantità sempre più massicce, e in crescente difficoltà nella propria messa a profitto, sempre più si orienti a investire nell'"industria finanziaria": quella che "crea danaro mediante danaro (...) comprando e vendendo titoli finanziari e gonfiando bolle speculative", dando l'impressione di grande floridezza economica, ma fondata "in realtà su una crescita vertiginosa di debiti di ogni sorta (...) destinata prima o poi a esplodere, portando al limite al crollo del sistema bancario mondiale". La sovrapproduzione è d'altronde un fenomeno che Gorz in precedenza aveva ampiamente studiato come tipico dell'economia capitalistica, connesso alla stessa meccanica dell'accumulazione e promosso dalla cultura consumistica (3). E appunto l'assurdo del consumismo, cioè della "quantità in continua espansione" (dimensione precipua del capitalismo, fisicamente incompatibile con le dimensioni della Terra) aveva segnalato come causa principale dello squilibrio ecosistemico. In questa analisi trovando accenti vicini al pensiero di Immanuel Wallerstein(4) che, pur senza specificamente occuparsi di ambiente, si è ripetutamente soffermato sulla progressiva riduzione di spazi disponibili all'espansionismo del capitale; anche lui dunque indicando nei "limiti del pianeta" una delle cause della crisi "sistemica", che da anni diagnosticava come irreversibile. Ad accomunare le due crisi, e a ricondurle a un'unica origine, cioè l'insostenibilità (fisica oltre che sociale) del capitalismo, è anche il celebre antropologo Jared Diamond (5). Di "due minacce", entrambe determinate dai processi di globalizzazione parla in un suo ponderoso saggio l'economista indiano Prem Shankar Jha (6). Sul complesso effetto negativo - sociale, ambientale, finanziario - della globalizzazione neoliberista, insiste anche Walden Bello(7). "Le due crisi si alimentano a vicenda", scrive il prestigioso notista politico George Monbiot (8)... L'elenco è assai più lungo di così. D'altronde non manca soltanto un elenco completo degli autori, bensì un quadro organico di questo ormai nutrito filone di pensiero. Il perché non è difficile da intuire: si tratta di posizioni che parlano dell'impossibilità di trovare soluzione ai tremendi problemi attuali all'interno del capitalismo, ed esprimono ben scarsa fiducia in una sua piena ripresa; posizioni opposte a quelle prevalenti, coltivate dai media e dalle più potenti agenzie d'opinione. Che si tenda a ignorarle non può stupire: come sempre "le idee dominanti sono quelle delle classi dominanti". E qua ci si ritrova al punto da cui questo articolo si è mosso. Al fatto cioè che tra le sinistre manchino tentativi di leggere il terremoto che scuote oggi la società come un'occasione per ripensarla: provarci almeno, sperarlo, sognarlo... Ripeto: rilancio produttivo, crescita, consumi, sono le parole d'ordine anche a sinistra, e anche tra i pochi che indicano il capitale come "il nemico" da combattere. E non serve dire che tra le organizzazioni del lavoro questi obiettivi hanno fini e urgenze diversi da quelli delle destre; o che è più facile trovare occupazione in un'azienda in ripresa piuttosto che in una in pieno dissesto. Sono indubbie verità ma di breve respiro, certo da considerare nella pratica immediata, ma che non dovrebbero inibire il coraggio di guardare più lontano, di capire che oggi nemmeno le cose di casa nostra si possono risolvere, o anche solo leggere correttamente, se non si guarda al mondo, del quale le cose di casa nostra sono ormai parte più o meno omogenea; e che a guardarlo attentamente, il mondo, si capisce che così com'è non regge più. Come concordemente ritengono i commentatori appena citati. I quali tra l'altro, tutti, fanno riferimento all'ambiente quale determinante della nostra condizione presente e futura. Problema che le sinistre, alla pari delle destre, hanno a lungo rifiutato di considerare, e che neppure oggi seriamente considerano, quanto meno non nella sua complessità: accodandosi all'entusiasmo per le "rinnovabili" e in generale per il "business verde", sempre in funzione dell'auspicato "rilancio produttivo" (ripeto, non proprio la medicina più adatta alla malattia), e magari genericamente riferendosi alla "qualificazione" dell'ambiente, mentre (fatta eccezione per alcune "sinistre critiche") ignorano, o apertamente contrastano, le battaglie locali (Tav, Dal Molin, Civitavecchia, ponte di Messina, ecc., per limitarmi ad alcuni casi italiani) che, benché limitati, sono coerenti antefatti di quella che dovrebbe essere la giusta cura per la natura gravemente ammalata. Anche Claudio Napoleoni si interrogava su questa "timidezza" delle Sinistre, quasi una "sorta di complesso di inferiorità nei confronti di quelle che vengono chiamate le leggi economiche"; per cui - diceva - "nei partiti comunisti c'è sempre stato un curioso miscuglio, di esigenza di superamento del capitalismo e di paura di disturbare un assetto al di fuori del quale non sembra esistere possibilità di ordine." (9) E forse sarebbe utile chiedersene il perché, magari rileggendo la storia, non per concedersi ai rimpianti o impegnarsi al recupero di identità perdute, ma per capire come è nata quella quota di "industrialismo" che innegabilmente appartiene alle sinistre. Che forse addirittura risale al momento in cui Henry Ford spontaneamente aumenta il salario dei suoi operai perché comprino le sue auto: cioè al primo gesto esplicito compiuto dalla grande industria al fine di reperire un bacino di consumo adeguato alla programmata dilatazione dei mercati; avvio di quel processo di assimilazione della classe lavoratrice a valori e modelli funzionali alla crescita del prodotto, impostasi poi come una sorta di mutazione antropologica. Mentre la "rivoluzione", pur senza mai essere cancellata come obiettivo ultimo delle sinistre, in qualche modo "entrava in sonno". La cosa d'altronde ha certo comportato anche risultati positivi. Per decenni in Occidente le sinistre hanno avuto spazio per conseguire cospicui miglioramenti nelle condizioni dei lavoratori; in qualche modo creando anche una larga speranza di ricchezza per tutti. Speranza poi duramente delusa con la netta inversione di tendenza degli ultimi decenni: sia nella sempre più disuguale distribuzione del reddito (oggi l'1 % della popolazione del mondo ne detiene il 50%), sia nella crescente insicurezza (di occupazione, di mansione, di salario, di orario) che caratterizza il lavoro e il suo abuso; una precarietà diffusa, cui anche la percezione del rischio ambientale si somma in un pesante disagio. Il tentativo di salvarci da questa realtà, e dal terrificante futuro che potrebbe seguirne, esige un deciso scatto di fantasia, oltre che un'enorme dose di coraggio: recuperando l'idea di "rivoluzione", ma ripensandone il senso e i modi alla luce dell'ultima storia. "Violento, profondo rivolgimento dell'ordine politico-sociale costituito, tendente a mutare radicalmente governi, istituzioni, rapporti economico-sociali", così (non troppo diversamente da analoghi repertori) recita "Il Nuovo Zingarelli" alla voce "Rivoluzione" (10): descrivendo (a mio parere con buona approssimazione) ciò che un'azione capace di conseguire un soddisfacente risanamento degli ecosistemi, così da garantire il futuro della specie umana, richiederebbe. Vale a dire (come quasi vent'anni fa André Gorz già lucidamente intendeva) l'assunzione dell'equilibrio ecologico come asse portante di un nuovo ordine mondiale: per una trasformazione del paradigma economico, con "un rallentamento dell' accumulazione", e dunque un calo generale dei consumi e della distruzione di risorse, ma insieme con un nuovo impianto dei rapporti sociali non più "motivato dall'opportunità economica", e definito invece soprattutto da una decisa correzione delle disuguaglianze. (11) Superamento del capitalismo dunque, e generale ripensamento della convivenza umana e degli istituti che la definiscono e governano. La rivoluzione, appunto. Rivoluzione ecologica, economica, sociale, culturale. Una rivoluzione che somiglia pochissimo a quelle del passato. L'aggettivo "violento", che apre la "voce" dello Zingarelli sopra riportata, fa riferimento a quello che è stato finora il tratto precipuo di tutte le rivoluzioni, nei loro processi come nel loro assunto. Ma questo è ciò che occorre superare, per inventare una rivoluzione diversa. In altra occasione (12) ho parlato di una "rivoluzione dolce", incisiva e tenace e però priva di eventi traumatici e sanguinosi, che in nessun modo preveda uso della forza. Forse, chissà, l'obiettivo di questa nuova rivoluzione, e i suoi processi, potrebbero magari imporsi come incontestabili, addirittura ovvie, necessità. E' lo stesso Gorz a suggerirlo: "Alla lunga, ciò che è ecologicamente irragionevole, non potrà essere economicamente razionale". (13) Certo, è comprensibile come un'impresa di tale portata, anche quando si ritenga non infondata nelle sue ragioni, difficilmente possa trovare concreta disponibilità. Da che parte incominciare, è un interrogativo che pare senza risposte. A meno che non sia la crisi stessa a dare suggerimenti. Di recente più d'uno ha avanzato l'idea di una forte riduzione degli orari di lavoro così da poter "dividere equamente" la disoccupazione, e/o sostituire la cassa integrazione. La proposta ha incontrato un certo ascolto, qualcuno si è spinto a recuperare l'ipotesi sessantottina del "salario di cittadinanza", ne è nato un minimo di dibattito. Insomma dalla mancanza di lavoro, che per molti è già una dura realtà e per moltissimi una disperante prospettiva, si è rimesso in pista un discorso cui qualche decennio fa si era guardato come alla possibilità di una vera, grande rivoluzione, individuale e sociale. Dopotutto, dove sta scritto (se non appunto nelle logiche del capitalismo industriale) che la più gran parte della vita debba essere spesa lavorando? Ma la "rivoluzione del tempo" è una possibilità da potersi recuperare (anche) al fine di quel rallentamento dell' accumulazione capitalistica necessario a una concreta difesa dell'ambiente, oltre che presupposto di rapporti sociali più equi. Alla proposta non poteva non seguire la domanda "Chi paga?". Ma subito si è risposto ricordando che Luigi Einaudi, che non era un barricadero, teorizzava l'esigenza di un'imposta patrimoniale di successione che, oltre una certa soglia di reddito, tassasse i patrimoni per un'aliquota del 50 %, al fine di combattere le disuguaglianze. Nato senz'altro obiettivo che la difesa dell'occupazione, senza mettere in discussione il rilancio produttivo, il discorso relativo ai tempi di lavoro (uno dei temi più carichi di implicazioni politiche, sociali e esistenziali, caro a tutti i grandi utopisti, e su cui anche Marx ha a lungo ragionato) potrebbe dunque trovare futuro proprio entro la prospettiva di "rivoluzione" di nuovo conio cui accennavo. Come si vede, se si trova il coraggio di uscire dai vicoli asfittici della piccola politica consueta, si trovano anche le ragioni per sostenerlo e pure gli antefatti su cui appoggiarlo. Ma c'è un altro tema, presente nel frantumato dibattito di quel che resta delle sinistre, che potrebbe partecipare alla medesima ipotesi, divenirne forse materia decisiva. Penso al pacifismo, alla sua denuncia della guerra praticata come normale strumento politico, che un'idea di rivoluzione non violenta non potrebbe ignorare. Anche perché la guerra, tra l'altro, è agente crudelissimo di devastazione ambientale. A partire dalle armi: merci che pesantemente inquinano, nell'essere prodotte, trasportate e "consumate"; merci che rappresentano oggi il 3,5% del Pil mondiale (cifre ufficiali, assai inferiori alla realtà, dato il floridissimo contrabbando del settore) e che costituiscono uno dei pochi mercati oggi in crescita; al rilancio del quale, secondo autorevoli opinionisti, non è estraneo il moltiplicarsi di guerre, guerriglie, terrorismi. Qualora, per (oggi pressoché surreale) ipotesi, la produzione di armi venisse proibita, questa da sola costituirebbe una concreta risposta alla necessità ecologica di contenere la produzione; oltre a inserirsi nel modo più naturale in quella "rivoluzione diversa", ecologica economica sociale culturale, di cui dicevo. (14) Insomma, se le sinistre ci provassero a considerare la possibilità di un mondo senza capitalismo, forse oggi l'impresa non sarebbe del tutto disperata. NOTE 1) Cfr. Nicholas Georgescu-Roegen, „The Entropy Law and the Economic Process"; Cambridge (Mass) 1971 2) A. Gorz, "Crise mondiale, décroissence et sortie du capitalisme", in « Entropia », Printemps 2007, pp.51-59. 3) A. Gorz, "Capitalismo, socialismo, ecologia", Roma 1992 4) CfrI. I.Wallerstein, „Dopo il liberalismo", Milano 1999, e "Il declino dell'America", Milano 2004. 5) Cfr. J. Diamond, "Collasso", Torino 2005. 6) Cfr.P. Shankar Jah, „Il caos prossimo venturo", Vicenza 2007 7) Walden Bello, "Deglobalizziamo", intervista a cura di G. Battiston, Il manifesto 11-12-08. 8) George Monbiot, The Guardian, 12 - 12 - 08 9) Claudio Napoleoni, in "La politica degli orari di lavoro", Dialogo in appendice a Carla.Ravaioli, "Tempo da vendere, Tempo da usare", 2° edizione. Milano 1988. p.144. 10) Zingarelli, "Vocabolario della lingua italiana", Bologna 1990, p.1651 11) A. Gorz , "Capitalismo, Socialismo, Ecologia", cit. pp. 72-78 passim. 12) C. Ravaioli, "La crescita non è illimitata", "Carta" giugno 2004 13)A. Gorz, "Capitalismo, Socialismo, Ecologia", cit. p. 74. 14) Cfr. Carla Ravaioli, "Ambiente e pace - Una sola rivoluzione", Milano 2008. *L'articolo è apparso su "Alternative per il socialismo", Gennaio-Febbraio 2009

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Usa/ Anche Cina e Indonesia in primo viaggio ufficiale di (sezione: Globalizzazione)

( da "Virgilio Notizie" del 05-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

New York, 5 feb. (Apcom) - Sarà l'Asia la meta del primo viaggio ufficiale del segretario di Stato americano, Hillary Clinton. La notizia, circolata già nei giorni scorsi, è stata confermata questa mattina dal portavoce del dipartimento di Stato, Robert Wood. Clinton partirà per la sua prima missione diplomatica il 15 febbraio e visiterà Tokyo, Seul, Pechino e Jakarta. Al centro dell'agenda ci sarà la crisi economica internazionale e la strategia per fermare il programma nucleare nordcoreano. Clinton discuterà i dettagli del viaggio questa sera a Washington in una cena che avrà al centro le relazioni con i Paesi asiatici. I rapporti con Pechino sono sotto particolare attenzione degli osservatori in vista di una possibile visita a Washington del ministro degli Esteri cinese il prossimo 20 febbraio. Il segretario di Stato ha chiesto di inserire nel programma del viaggio la tappa in Indonesia, il più grande Paese musulmano del mondo per numero di abitanti. La visita a Jakarta è vista come il primo passo della nuova diplomazia statunitense verso il mondo islamico, in attesa della visita del presidente Barack Obama ad una della grandi capitali musulmane, annunciata subito dopo le elezioni di novembre.

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Caso Eluana, un giudizio controcorrente che fa riflettere. (sezione: Globalizzazione)

( da "Giornale.it, Il" del 05-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Ho seguito con crescente turbamento le polemiche sulla vicenda di Eluana. Chiunque abbia provato che cosa significhi assistere un proprio caro che ha subito danni al cervello, non può che provare una struggente solidarietà con il padre di Eluana. Questo è un dramma intimo, straziante, che richiede raccoglimento e invece è diventato il tema di una battaglia furibonda da entrambi gli schieramenti. Stamattina ho letto sulla Stampa l'opinione controcorrente di un autorevole cattolico, quella dell'arcivescovo Giuseppe Casale che dice: «Mi sento vicinissimo a papà Peppino. Quella di Eluana non è più vita, porre termine al suo calvario è un atto di misericordia». «Non è tollerabile accanirsi ancora nè proseguire questo stucchevole can can. C'è poco da dire: l'alimentazione e l'idratazione artificiali sono assimilabili a trattamenti medici. E se una cura non porta a nessun beneficio può essere legittimamente interrotta». E ancora: "Si è creato il 'caso Englarò agitando lo spettro dell'eutanasia, ma qui non si tratta di eutanasia. Alla fine anche Giovanni Paolo II ha richiesto di non insistere con interventi terapeutici inutili. Vedo quasi il gusto di accanirsi su una persona chiusa nella sua sofferenza irreversibile. Una vita senza relazioni, alimentata artificialmente non è vita. Come cattolici dovremmo interrompere tutto questo clamore e dovremmo essere più sereni affinchè la sorte di Eluana possa svilupparsi naturalmente - aggiunge monsignor Casale - . I trattamenti medici cui è stata sottoposta non possono prolungare una vera vita, ma solo un calvario disumano. È giusto lasciarla andare nelle mani di Dio.» «L'alimentazione artificiale - conclude Monsignor Casale - è accanimento terapeutico, se la si interrompe Eluana muore. Rispettiamo le sue ultime volontà e non lasciamo solo un padre che, appena si saranno spenti i riflettori di una parossistica attenzione, sarà in esclusiva compagnia del suo dolore. Io lo comprendo, prego per lui, gli sono vicino. Neanche io vorrei vivere attaccato alle macchine come Eluana, anche per me chiederei di staccare la spina. Eluana non c'è più già da tanto, da molto tempo prima della rimozione del sondino che simula un'esistenza definitivamente svanita». Le parole di Monsignor Casale fanno riflettere. Che abbia ragione lui? Scritto in società, Italia, giornalismo Commenti ( 4 ) » (2 voti, il voto medio è: 5 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 04Feb 09 Quei manager che si tagliano lo stipendio. Dopo lo scandalo dei bonus da 18 miliardi distribuiti ai manager dalle banche americane salvate dallo Stato, Obama corre ai ripari: oggi annuncia una norma che impone un limite di 500mila dollari agli stipendi dei dirigenti delle società che beneficiano dei sussidi pubblici. Bene, è un passo nella giusta direzione. Tuttavia, mi chiedo: i 18 miliardi rappresentano un abuso colossale e una distorsione di fondi pubblici: perchè Obama non ne pretende la restituzione? Se lo avesse fatto sarebbe stato davvero credibile, in questo modo invece premia la casta, legalizza l'ultima rapina. E invece in un frangente di crisi come questo sarebbe stato necessario un segnale molto più forte che, evidentemente, Obama non può permettersi. Segnali che invece giungono da alcune aziende private. In Giappone, ad esempio, i manager di alcune grandi società in difficoltà si sono ridotti del 30% lo stipendio. Lo stesso è avvenuto in Italia, nel mio mondo, quello dell'editoria. Il gruppo del Sole 24 Ore ha appena inviato una lettera a tutti i collaboratori in cui annuncia una riduzione dei compensi del 25% per fare fronte a quella che definisce la "Grande Crisi". La lettera è firmata dal direttore Ferruccio de Bortoli e dall'amministratore delegato Claudio Calabi, che hanno dato l'esempio riducendosi di un quarto lo stipendio. Che differenza rispetto ai banchieri di Wall Street! Questa è la strada giusta: se i tempi sono duri, lo sono per tutti. Ed è il capo che mostra la via assumendosi in prima persona i sacrifici richiesti. Io lo chiamo capitalismo responsabile e mi piace moltissimo. Scritto in economia, società, era obama, globalizzazione, democrazia, Italia, notizie nascoste, giornalismo Commenti ( 60 ) » (2 voti, il voto medio è: 5 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 02Feb 09 Ecco perché il clandestino in realtà non viene espulso Sul Giornale di ieri Stefano Zurlo ha scritto un bell'articolo, in cui racconta che cosa accade agli irregolari che vengono arrestati. Mi ha colpito questo passaggio: "È un meccanismo davvero surreale. Il clandestino viene espulso; non se ne va o torna di nascosto nel nostro Paese e allora scatta, obbligatorio, l'arresto. Ma i processi, di media, sono catene di montaggio delle scarcerazioni: l'imputato esce, in attesa del verdetto, e tanti saluti. Oppure, se la sentenza arriva di volata, viene condannato, ad una pena di 6-8-10 mesi. E subito dopo rimesso in libertà. Come è normale quando la pena è inferiore ai due anni. Insomma, l'irregolare viene afferrato dalla legge e dalla legge riconsegnato alla sua vita invisibile. Con una postilla: se lo acciufferanno di nuovo, sempre senza documenti, non potranno più processarlo: non si può giudicare due volte una persona per lo stesso reato". Se questa è la realtà, e non dubito che lo sia, la lotta ai clandestini è assolutamente inutile. Continueranno ad arrivare, sempre più numerosi, proprio perché è garantita l'impunità. E allora è necessario correre ai ripari, varando norme che non permettano la scarcerazione in attesa del processo e, come ho già scritto, che rendano obbligatorio il rilevamento, oltre delle impronte digitali, dell'iride dell'occhio. Solo così l'Italia può assumere una credibilità che oggi non ha. L'alternativa è che l'Italia si trasformi non in una società tendenzialmente multietnica, ma in un Paese anarchico con profonde ingiustizie sociali e un razzismo diffuso. Non c'è più tempo da perdere: tocca al governo di centrodestra proporre misure concrete. E al centrosinistra moderato di Veltroni sostenerle con spirito bipartisan. Perché il problema degli immigrati non ha più colore politico ma è sentito, con angoscia, dalla stragrande maggioranza degli italiani, compresi i progressisti. O no? Scritto in società, globalizzazione, democrazia, Italia, immigrazione Commenti ( 69 ) » (5 voti, il voto medio è: 5 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 30Jan 09 La casta di Wall Street? Continua ad arricchirsi. Negli ultimi giorni mi sono occupato nuovamente della casta dei banchieri, che ha inguaiato il mondo. Ho scoperto alcuni dettagli interessanti, ad esempio, che l'ex numero uno di Lehman Brothers, ha venduto la sua lussuosa residenza in Florida, stimata 14 milioni di dollari. Il prezzo? Cento dollari. Chi l'ha comprata? La moglie. E così si cautela contro eventuali creditori. Ipotesi peraltro remota, perché le leggi americane offrono ampie protezioni ai banchieri protagonisti della truffa del secolo. I protagonisti del disastro finanziario passano le loro giornate a giocare, a golf, bridge, cricket. E quelli che non si sono ritirati continuano ad arricchirsi. Nel 2008, mentre le loro società venivano salvate dal fallimento, i manager delle banche si sono accordati bonus per 18,4 miliardi di dollari, come spiego in un editoriale, nel quale pongo una domanda a questo punto fondamentale: è giusto salvare le banche se la casta non viene smantellata? Tremonti dice: a casa o in galera. Sono d'accordo con lui. Se il capitalismo vuole risorgere deve riscoprire una virtù indispensabile, quella della responsabilità individuale. E fare piazza pulita. Scritto in società, era obama, economia, globalizzazione, notizie nascoste, democrazia, gli usa e il mondo Commenti ( 73 ) » (7 voti, il voto medio è: 2.86 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 28Jan 09 Immigrazione, stiamo sbagliando (quasi) tutto? I fatti degli ultimi giorni hanno riportato alla ribalta la questione degli immigrati. Ne traggo tre riflessioni. 1) La crisi economica renderà ancora più acuto il problema dell'immigrazione all'interno della Ue. Romania e Bulgaria sono già in forte crisi economica e non mi stupirebbe se nei prossimi mesi aumentasse il numero di cittadini di questi Paesi che cerca fortuna nei Paesi europei ricchi; che, però, come ben sappiamo, non sono risparmiati dalla recessione. Rumeni, bulgari verranno qui ma non troveranno lavoro e molti di quelli che già abitano in Italia lo perderanno. La situazione rischia di diventare rapidamente esplosiva: povertà, indegenza, disperazione, dunque probabile aumento della delinquenza spicciola e molto potenziale manodopera per la malavita e per gli imprenditori italiani schiavisti (che esistono e vanno combattuti energicamente) . Tutto questo alimenterà il razzismo e l'incomprensione reciproca. Occorre che l'Unione europea prenda iniziative straordinarie per limitare la libertà di circolazione delle persone, anche ripristinando, transitoriamente i visti. 2) L'immigrazione extra Ue non si combatte solo alzando barriere, che in realtà servono a poco, perchè, come ha dimostrato l'ultimi rapporto della Fondazione Ismu, dei 450 mila stranieri che arrivano illegalmente, solo 120mila attraversano il Mediterraneo. Gli altri sbarcano con un visto regolare (di studio, turistico o per lavori stagionali) e si danno alla macchia. Come si combatte questo fenomeno? Imitando gli americani: che prendono la foto e le impronte digitali a tutti i visitatori, In tal modo (magari anche con il controllo dell'iride) si creerebbe una banca dati europea che rende facilmente identificabili i clandestini. 3) Gli immigrati non partono spinti solo dalla povertà, ma anche - anzi, soprattutto - per inseguire il mito di un'Europa Eldorado, come ho spiegato in questa analisi. Il mito non viene mai scalfito dai media nè nè dalla sociteà africana, che anzi continu ad alimentarlo. «Gli africani quando partono non immaginano che fuori possa fare più freddo che dentro un frigorifero», mi ha detto Gustave Prosper Sanvee, direttore della tv cattolica del Togo. Dunque se vogliamo limitare le partenze è necessario che gli immigrati sappiano che l'Europa non è un paradiso, ma spesso un purgatorio fatto di stenti, sofferenza, spesso umiliazioni e che ci ce la fa deve rispettare regole sociali e di convivenza che sono molto diverse da quelle africane. Ma per raggiungere questo obiettivo è necessario che l'Europa promuova una politica di comunicazione mirata alle popolazioni Africane, che oggi è inesistente. Da qui la mia riflessione: perché non provare un approccio diverso sull'immigrazione? Ho l'impressione che le misure tentate non abbiano prodotto gli effetti sperati e siano destinate al fallimento anche in futuro. In altre parole, l'Italia e l'Europa stanno sbagliando (quasi) tutto. O no? Scritto in società, europa, globalizzazione, immigrazione Commenti ( 72 ) » (6 voti, il voto medio è: 3.67 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 25Jan 09 Resa dei conti tra la Cina e gli Usa? Il sito del Giornale nelle ultime 48 ore ha dovuto affrontare la migrazione da un provider a un altro e dunque anche l'accesso al blog è stato difficile, soprattutto in certe zone d'Italia. Mi scuso per questo inconveniente, ora risolto. Negli ultimi due giorni sul Giornale ho scritto ancora di Obama, che ha litigato con il Vaticano sull'aborto e per la prima volta ha avuto qualche screzio con la stampa americana, finora notoriamente compiacente. I giornalisti Usa tra l'altro si sono accorti che un lobbista dell'industria delle armi è stato nominato numero due del Pentagono, vicenda di cui abbiamo già parlato nei giorni scorsi su questo blog. Era ora. Ma la notizia più significativa riguarda la Cina, sebbene non abbia avuto molto rilievo sui giornali italiani. E' accaduto questo: il segretario al Tesoro Timothy Geithner che giovedì, durante le audizioni alla Commissione finanze del Senato, aveva accusato Pechino di «manipolare le quotazioni dello yuan per ottenre scorrettamente vantaggi commerciali», aprendo di fatto l'iter che, in base a una legge del 1988, permetterebbe al governo americano di imporre sanzioni ovvero barriere tariffarie. La Cina ha risposto smentendo le accuse, mentre il ministro degli Esteri di Pechino ha chiamato Hillary Clinton ammonendola a non compiere passi falsi. Perchè questo screzio? I fattori di attrito sono diversi, ma a mio giudizio ne prevale uno: quello del debito americano. La Cina è da qualche anno il primo sottoscrittore al mondo di Buono del tesoro Usa, ma una decina di giorni fa ha annunciato che intende ridurre il proprio impegno e usare una parte delle risorse per rilanciare l'economia interna. L'America, però, non può permetterlo; anzi, visto che il suo deficit pubblico quest'anno triplicherà, vorrebbe che Pechino aumentasse gli acquisti di Treasury. L'affondo di Geithner ha l'aria di un monito ai cinesi: se Pechino non si ricrede, Washington si vendicherà alzando le barriere doganali; dunque rendendo impervio l'accesso a un mercato che rappresenta il principale sbocco ai beni «made in China». Si scatenerebbe una guerra commerciale e finanziaria da cui usciremmo tutti perdenti. Lo spettro è quello di un dollaro in caduta libera e di una Cina in profonda depressione, che aggraverebbe la crisi dell'economia mondiale. Domanda: lo scenario è credibile? Ragionavolmente uno scontro non conviene a nessuno e pertanto dovrebbe prevalere la ragionevolezza. Fino a quando la Cina, che secondo alcuni economisti sarebbe già in depressione, è disposta a usare le proprie risorse per finanziare il deficit americano? E Obama è in grado di gestire con saggezza rapporti delicati e cruciali come questi? Scritto in economia, era obama, globalizzazione, notizie nascoste, cina, gli usa e il mondo Commenti ( 23 ) » (9 voti, il voto medio è: 3.44 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 23Jan 09 Basta torture. Bravo Obama, ma come la mettiamo con l'Iran? "L'America non tortura", ha dichiarato ieri Obama rinfrancando chi ha sempre visto nell'America un baluardo di civiltà, saldamente ancorato ai valori della democrazia e della Costituzione. Quell'America è tornata. Bravo Obama, ma McCain, se avesse vinto, avrebbe fatto altrettanto. Entrambi sono convinti che la guerra al terrorismo non possa essere condotta violando i principi che l'America ha sempre proclamato di rispettare, proponendosi pertanto come un modello virtuoso per gli altri Paesi. La stragrande maggioranza dei detenuti di Guantanamo è risultata innocente, ma per molti mesi ha vissuto in condizioni orribili, da lager sovietico, senza assistenza legale, per molto tempo senza nemmeno il monitoraggio della Croce Rossa. Segregati, senza colpa. E nelle prigioni segrete della Cia è successo di tutto: sevizie orribili, alcuni prigionieri sono spariti nel nulla. Ma quanti di loro erano terroristi? Pochi. Obama (e McCain) sono convinti che la guerra ad Al Qaida debba essere risoluta ed energica, ma senza ricorrere a metodi tipici di una dittatura e non di una grande democrazia. La chiusura di Guantanamo e delle prigioni Cia ha anche una valenza politica, perché rafforza e precisa il messaggio di apertura al mondo arabo e all'Iran, con cui la Casa Bianca è pronta ad avviare "negoziati diretti senza precondizioni", come spiego in questo articolo, mentre si rafforzano i segnali di un raffreddamento dei rapporti con Israele (anticipati su questo blog il 14 gennaio). Ieri ho parlato con alcuni esperti di Washington e, off the record, una fonte qualificata del governo americano mi ha fatto notare che Obama nel suo discorso di insediamento non ha citato Israele. E chi è il primo leader straniero con cui Barack ha parlato? Il palestinese Abu Mazen. Basta torture ed è un bene; ma anche meno Israele e più Iran, rapporti ancora più stretti con le potenze del Golfo persico e dunque mano tesa all'Islam fondamentalista sia sunnita che sciita. Scelta strategica lungimirante o clamoroso errore che contraddice i valori degli Usa, premiando regimi come l'Iran e l'Arabia Saudita che calpestano i diritti umani? Scritto in israele, era obama, democrazia, medio oriente, gli usa e il mondo, islam Commenti ( 103 ) » (7 voti, il voto medio è: 2 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 21Jan 09 Ha ragione Tremonti: bisogna scegliere chi salvare. Le borse crollano, ci risiamo.. ma perchè? Colpa di Obama, come qualcuno ha suggerito sui giornali? No, i mercati finanziari scendono perchè temono che nemmeno Obama, nonostante gli interventi promessi, possa risollevare l'economia, perlomeno non i tempi brevi. Nonostante i ribassi di Piazza Affari e l'entità del debito pubblico, l'Italia è in una posizione più favorevole rispetto ad altri Paesi, come ha spiegato uno dei nostri economisti più brillanti Marco Fortis, in un'intervista a Rodolfo Parietti. Ma la crisi è globale e da sola l'Italia non ce la può fare. E allora bisogna capirne le ragioni e le dinamiche. Un giornalista del Corriere del Ticino, Alfonso Tuor, da tempo si segnala per la precisione e la lungimiranza delle sue analisi. Venerdì scorso, dunque prima del capitombolo di Wall Street, ha pubblicato un editoriale in cui spiega che cosa sta accadendo. La sua è una visione "tremontiana" e la ritengo assai convincente. Ecco i passaggi più significativi del suo articolo: Concluso il periodo delle ferie natalizie, è tornato alla ribalta il problema centrale di questa crisi: lo stato comatoso del settore finanziario. Infatti non vi sono miglioramenti delle condizioni di salute del sistema bancario, nonostante le ricapitalizzazioni degli istituti di credito americani ed europei operate dagli Stati e i continui interventi delle banche centrali. (.)Lo stesso presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha dovuto ammettere che non vi è alcuna speranza di uscire da questa crisi se non si risana il sistema bancario. Bernanke ha addirittura precisato che risulterà insufficiente anche il pacchetto fiscale di Obama da 800 miliardi di dollari. (.) Il motivo è semplice. La crisi finanziaria ha già investito l'economia reale. Le industrie europee, americane e di altri continenti si trovano strette in una tenaglia: da un canto, i fatturati diminuiscono rapidamente (in alcuni rami si registrano contrazioni del 30%) e, dall'altra, l'accesso al credito è chiuso, poiché il sistema bancario è riluttante a concedere nuovi crediti, oppure è estremamente oneroso, con tassi di interesse molto elevati nonostante il ribasso del costo del denaro attuato dalle banche centrali. La conseguenza è un circolo vizioso: la recessione produce nuove sofferenze che aggravano la crisi bancaria, le banche concedono meno prestiti rendendo più profonda la recessione e così via. In pratica, il settore bancario non svolge più (non concedendo crediti) il suo ruolo di trasmissione degli impulsi di politica monetaria. Quindi, anche il taglio dei tassi europei riduce i costi di rifinanziamento delle banche, ma ha scarsa o nessuna influenza sull'accesso e sul costo del credito delle imprese industriali. Ora, l'oligarchia finanziaria che ha causato questa crisi, con l'autorevole sostegno della Federal Reserve, sostiene una tesi semplice: non si può uscire dalla crisi, se prima gli Stati non risanano il sistema bancario. Questa tesi, apparentemente seduttiva, dimentica di esplicitare i costi enormi di questo salvataggio. Un'idea della grandezza dei capitali necessari la si può ricavare dalle migliaia di miliardi finora spesi da Stati e da banche centrali senza ottenere alcun risultato apprezzabile. Negli Stati Uniti si sono già spesi 8.000 miliardi di dollari, nell'Unione Europea la cifra è di poco inferiore. Per risanare i catastrofici bilanci delle grandi banche occorrerebbero altre migliaia di miliardi. Se non si crede alla teoria che i soldi possano essere stampati all'infinito senza alcuna conseguenza negativa, bisogna concludere che i governi devono scegliere chi aiutare, poiché non hanno le risorse finanziarie per salvare sia le famiglie sia le imprese sia le banche. È quanto ha deto recentemente il ministro italiano Giulio Tremonti, il quale teme che il tentativo di salvare tutti farà sì che non si riuscirà ad aiutare nessuno e si provocherà unicamente un ulteriore peggioramento della crisi. Come sostiene Tremonti, bisogna ammettere realisticamente che si può salvare solo la parte buona del sistema bancario e concentrare le risorse per rilanciare l'economia, per difendere l'occupazione e il sistema industriale. Per essere più chiari, fino a quando non si cominceranno a fare queste scelte non vi è alcuna possibilità che si esca veramente dalla crisi. Il costo di salvare tutto e tutti rischia di essere tale da incrinare la fiducia nei titoli con cui gli Stati finanziano i loro disavanzi pubblici e nelle stesse monete. A questo riguardo già si cominciano ad avvertire alcuni segnali preoccupanti. (.) In attesa che le élites politiche si affranchino dallo stato di dipendenza nei confronti dell'oligarchia finanziaria, saremo costretti a confrontarci con l'aggravarsi della recessione, con continui interventi miliardari per salvare le banche e pacchetti di rilancio che non produrranno gli effetti desiderati, ma solo un sollievo temporaneo. Insomma, continueremo ad assistere al peggioramento della crisi. Domanda: Tuor ha ragione ? E' possibile salvare solo alcune banche mantenendo la funzionalità del sistema finanziario? Scritto in società, economia, europa, globalizzazione, gli usa e il mondo Commenti ( 26 ) » (6 voti, il voto medio è: 3.5 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 20Jan 09 Obama, l'uomo del Pentagono (e di Wall Street) Obama sarà davvero un riformatore? Più passa il tempo e più sono convinto di no. Sta diventando l'uomo dell'establishment ovvero di quel mondo che in campagna elettorale aveva promesso di cambiare. "Yes we can", ("sì, si può fare") e "Change we can believe in" (il cambiamento in cui credere) sono più che mai slogan retorici e dunque vuoti. E per averne conferma basta scorrere l'elenco dei ministri e dei consiglieri. Facce nuove? Pochissime, sono quasi tutti ex collaboratori di Bill Clinton e quasi tutti legati a interessi particolari, soprattutto in due campi: finanza e difesa. Come fa Obama a riformare il sistema finanziario se affida il Tesoro a Geithner e sceglie come superconsigliere Summers ovvero due pupilli del presidente di Citigroup ed ex ministro del tesoro Rubin? Non scordiamocelo: fu Rubin ad avviare il processo di deregolamentazione dei mercati finanziari che è all'origine dell'attuale recessione. E negli ultimi mesi dietro le quinte è stato lui a manovrare con lo stesso Obama e con Bush per ottenere gli aiuti multimilardari al settore e in particolare i miliardi necessari per salvare la stessa Citigroup. Che credibilità ha un presidente che conferma alla guida del Pentagono Robert Gates, il ministro di Bush, e, soprattutto, che nomina suo vice William Lynn? Voi direte: e chi è Lynn? E' uno dei più noti lobbisti dell'industria delle armi e al Pentagono è stato incaricato di presiedere il comitato per. gli acquisti di armamenti. ma la gente non lo sa: perchè i grandi media americani questa notizia l'hanno data in breve o non l'hanno pubblicata affatto. E' così che Obama intende combattere la corruzione e gli interessi particolari? Temo che una certa Washington abbia già inghiottito Barack.. o sbaglio? Scritto in democrazia, notizie nascoste, presidenziali usa, gli usa e il mondo Commenti ( 94 ) » (7 voti, il voto medio è: 3.57 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 18Jan 09 Preghiera islamica anche al Colosseo. Ora basta Riepiloghiamo: il 6 gennaio gli islamici hanno pregato contemporaneamente a Milano di fronte al Duomo e a Bologna in piazza Maggiore davanti alla Chiesa di San Petronio. Il 10 gennaio nuova preghiera a Milano di fronte alla Stazione centrale. Ieri gli islamici hanno conquistato il piazzale di fronte al Colosseo, mentre a Bologna la questura ha vietato un'altra preghiera in pubblico prevista per il 24 gennaio. Mi spiace di dover proporre nel giro di pochi giorni il terzo post sullo stesso tema, ma non posso esimermi: questi fatti dimostrano che si tratta non di iniziative estemporanee, ma di provocazioni nell'ambito di una precisa strategia da parte dei fondamentalisti islamici sunniti che si riconoscono nell'Ucoii e dunque nei Fratelli musulmani. Con questa gente non si scherza. Nelle prossime settimane capiremo qual è il loro obiettivo finale, ma sin d'ora è chiaro che vogliono da un lato intimidire i musulmani moderati assumendo la guida di tutti i movimenti islamici in Italia, dall'altro dimostrare agli italiani, laici e cattolici, di essere in grado di occupare i luoghi più significativi delle nostre città, sfidando le leggi, i nostri valori e il buon senso. Non rispettano, non vogliono rispettare; abusano dell'ospitalità ricevuta. Ed è più che mai urgente una risposta ferma, autorevole da parte dello Stato, della società civile e della Chiesa. Resto convinto che i seguaci dell'Ucoii e di un Islam involuto e antimoderano siano una piccola minoranza tra i musulmani presenti nel nostro Paese. Ma con questi fanatici non ci può essere dialogo: l'Italia non ha bisogno di loro. E occorre che lo sappiano subito. Non c'è più tempo, non si può aspettare. Scritto in società, democrazia, Italia, immigrazione, islam Commenti ( 110 ) » (7 voti, il voto medio è: 4.43 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico Post precedenti Chi sono Sono inviato speciale di politica internazionale. Sposato, ho tre figli. Risiedo a Milano e giro il mondo. 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Francamente trovo agghiacciante l'abnorme intromissione... bo.mario: Un fatto triste, molto privato, è stato utilizzato per una sarabanda di oche starnazzanti. Compare come... 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Se la colpa della crisi è di Reagan, Clinton era repubblicano (sezione: Globalizzazione)

( da "Milano Finanza (MF)" del 06-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

MF Numero 026  pag. 7 del 6/2/2009 | Indietro Se la colpa della crisi è di Reagan, Clinton era repubblicano COMMENTI & ANALISI Di Guido Salerno Aletta Addossare la colpa della crisi finanziaria ed economica americana alla presidenza Bush jr, legando addirittura con un unico filo rosso la politica estera di Ronald Reagan con quella dei due Bush, padre e figlio, significa cancellare la presidenza Clinton, democratico come il nuovo presidente, ed il suo contributo determinante al processo di una globalizzazione senza regole di cui paghiamo tutti le conseguenze. Fu a Davos, come sempre vetrina mediatica d'eccezione, che Clinton dette l'annuncio, il 30 gennaio 2000. Così un giornale italiano dell'epoca riporta le affermazioni di Clinton: «Dobbiamo riaffermare con la massima chiarezza che l'apertura dei mercati e il commercio basato sulle regole è il miglior motore conosciuto per aumentare il tenore di vita, ridurre il danno ambientale e costruire una comune prosperità, e questo è vero a Detroit, Davos, Dacca o Dakar». La prima conseguenza di questa affermazione di principio è che Washington farà di tutto per portare la Cina nel Wto. Ma che il traino alla crescita dei paesi più poveri dovesse derivare dalla domanda dei paesi ricchi era altrettanto chiaro. Clinton proseguiva così: «Molti hanno contestato il libero commercio perché genuinamente preoccupati per i poveri e gli svantaggiati, ma dovrebbero chiedersi che prospettive di lavoro avrebbe l'operaio tessile del Bangladesh se quell'industria potesse contare solo sui consumatori interni». Il processo di globalizzazione, che sembrava essere stato bloccato dopo le proteste dei no-global a Seattle, ripartì. Anche se bisognava convincere i cittadini americani, spaventati dai cambiamenti, che l'apertura dei mercati comporta per le loro vite, che la sofferenza di allora sarebbe stata ripagata in futuro. Ma la coesione all'interno della società americana sarebbe venuta meno. La deregolamentazione finanziaria, la politica di concessione di prestiti anche a prenditori subprime, era nelle cose. Così come il debito pubblico italiano ha lenito nel tempo conflitti sociali e territoriali altrimenti ingestibili, salvo a torreggiare ancora sulle nostre teste, così il credito alle famiglie americane ha nascosto loro per anni gli effetti dirompenti della competizione internazionale, che ha messo progressivamente fuori mercato interi settori industriali e livelli di reddito acquisiti. Questa è l'eredità che Obama riceve dal suo predecessore Clinton. (riproduzione riservata) colpa  Davos  Reagan  Bush  Clinton  crisi  

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Così si è perso il concetto di banca (sezione: Globalizzazione)

( da "Milano Finanza (MF)" del 06-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

MF Numero 026  pag. 18 del 6/2/2009 | Indietro Così si è perso il concetto di banca DIRCREDITO - FD Di Gabriele Tosi* IL SISTEMA BANCARIO ITALIANO (E MONDIALE) NON SI è ADATTATO AI PROBLEMI DELL'ECONOMIA L'azienda di credito del secolo scorso sapeva quello che faceva; oggi non lo sa più. Le cause della crisi globale sono lì a indicarcelo. Dobbiamo ricostruire il sistema bancario, cominciando dal personale C'era una volta la Banca. Nei racconti, un po' patetici, dei nostri vecchi, la Banca era un'istituzione seriosa, che risiedeva per lo più in vecchi palazzi, resi preziosi da stucchi e tappeti, dove funzionari un po' distaccati prendevano in custodia i risparmi della gente e ne garantivano la conservazione fino al momento in cui si rivelassero necessari per affrontare i problemi familiari. Anzi, era quasi un miracolo, assicuravano anche degli interessi, sia pure con tassi molto modesti. Nella cultura comune era la Banca di deposito, la cui funzione primaria era di mantenere la fiducia dei risparmiatori. Che poi il denaro depositato fosse anche impiegato in qualche modo, non era evidente, malgrado la funzione bancaria non potesse prescindere da questa attività. La redditività delle aziende bancarie era bassa, ma tranquilla per effetto dello stretto legame con il territorio, che permetteva ai dirigenti bancari di controllare l'economia locale con un'efficacia che oggi non ci sogneremmo neanche. Lavorando nella nicchia che si era scelta (territoriale o settoriale) ogni banca poteva contare su una serie di conoscenze approfondite sul mercato di riferimento, conoscenze che erano investite nella preparazione dei quadri aziendali. Di qui l'interesse e la necessità per le aziende di curare gli investimenti in formazione del personale; e di fidelizzare il personale stesso per evitare il passaggio alla concorrenza; le ricche prestazioni dei fondi integrativi pensione avevano questo scopo principale. Poi venne la globalizzazione. Prima di tutto la globalizzazione come obiettivo di fondo: tutti gli sforzi erano tesi a rimuovere gli ostacoli alla circolazione del capitale e dei lavoratori; quindi abbandono delle nicchie di mercato per consentire gli investimenti anche su mercati che ciascuna banca non era in grado di controllare: trasferimento degli investimenti dal settore dell'economia in quello della finanza, dove gli ostacoli alla circolazione erano nulli, ma nullo era anche il grado di controllo sui rischi che ci si accollava. Le grandi banche d'affari all'estero facevano scuola. Naturalmente anche la circolazione del personale avrebbe dovuto essere favorita; quindi precarizzazione e stimolo al turnover; chi non era d'accordo era obsoleto e destinato all'esubero. Senza contare che, mentre la circolazione dei capitali poteva usufruire dei moderni mezzi di comunicazione, la circolazione del personale non poteva essere provocata premendo un bottone. Problemi culturali impediscono al personale il facile adattamento ad altri ambienti di lavoro, e la precarizzazione, anziché una opportunità, è stata vista come un sopruso. Così il sistema bancario, nella rincorsa alle snelle procedure bancarie del mondo occidentale, ha sperperato la risorsa fondamentale che aveva in mano, il personale. Ha trasformato una classe di gestori dell'economia locale in una classe di venditori di prodotti costruiti all'esterno, senza trasparenza né controllo; offrendo ai clienti, ex-depositanti e oggi pseudo-investitori, insieme alla proprietà di titoli forse spazzatura, tutti i rischi che nel passato si assumeva la banca in proprio. Sfruttando e sperperando la fiducia che secoli di banca avevano accumulato. Poi la crisi nel mercato economico mondiale ha messo in evidenza che la globalizzazione priva di controlli costituiva un suicidio per gli investitori; e che tutto quel peso di burocrazia e di controlli (lacci e laccioli) aveva una sua ragion d'essere, anche se deprimeva la velocità di circolazione. E adesso? Certamente usciremo dalla crisi: perfino le economie più liberali hanno scoperto il bello dell'intervento statale, che tampona il danno fatto da pochi speculatori con i soldi di tanti contribuenti. Ma dobbiamo anche ripensare l'organizzazione delle banche. Dobbiamo ricostruire una cultura d'azienda, nella quale i giovani si possano riconoscere, sensibile ai valori etici e alla responsabilità sociale. Dobbiamo isolare chi del sistema si pasce senza contribuirvi, o peggio meramente lo sfrutta pensando solo all'interesse personale e non all'indispensabile funzione economica che la banca deve svolgere nell'interesse sociale. Il personale direttivo, che tanto ha già pagato nei processi di aggregazione e trasformazione che hanno portato a questi risultati, ha il diritto di avere il giusto riconoscimento e di tornare protagonista nella crescita delle aziende. Non scarichiamo i nostri problemi sugli altri; dobbiamo lavorare insieme. Ci aspettiamo che le aziende facciano altrettanto, con il massimo di trasparenza e buona fede. Se vogliono sopravvivere. *Segretario generale aggiunto crisi  Mondiale  SISTEMA BANCARIO ITALIANO  Banca  ADATTATO AI PROBLEMI DELL'ECONOMIA  personale  

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"Tag" da esportare dai muri alla galleria (sezione: Globalizzazione)

( da "Stampa, La" del 06-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

DALL'11 FEBBRAIO AL CIRCOLO AMANTES "Tag" da esportare dai muri alla galleria Il contesto urbano, con le sue continue trasformazioni, è lo spazio in cui si muovono i 2 writer torinesi CT e KVRZ, nati entrambi nel 1985. Il Writing consiste nello scrivere il proprio nome, o la propria sigla, su muraglioni e fabbriche abbandonate. Si tratta di un fenomeno diffuso in tutte le piccole e grandi città del mondo globalizzato, luoghi in cui identità e appartenenza sono concetti spesso indefiniti. Nella cultura giovanile dell'Hip-Hop, la strada è luogo di socialità, affettività ed espressività artistica ed è l'unica vera radice in grado di legare i ragazzi a un territorio specifico. Per la galleria del Circolo Culturale Amantes, CT e KVRZ presentano «Make your mark» (Fai il tuo segno), con inaugurazione l'11 febbraio alle ore 19. Il progetto espositivo, fino al 2 marzo, consiste nella rielaborazione delle sigle fatte dai 2 artisti sulla strada. Lo spazio proprio dell'arte, la galleria, si presta a una maggiore ricercatezza estetica e alla sperimentazione di materiali diversi. CT realizza la propria tag con una serie di morsure ad acido su lastre di zinco. KVRZ trasforma le sue lettere in oggetti tridimensionali e ne fa sculture in legno. Stampe calcografiche, disegni e fotografie documentano le fasi di lavoro e il legame con lo scenario urbano. \ «MAKE YOUR DREAM» CT & KVRZ CIRCOLO CULTURALE AMANTES Orario: lun-sab 18/1, dall'11 febbraio al 2 marzo

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"l'operazione motorola non è stata un fallimento" (sezione: Globalizzazione)

( da "Repubblica, La" del 06-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Pagina V - Torino Marcarini, direttore dell´area di ricerca dell´azienda Usa "L´operazione Motorola non è stata un fallimento" Il nostro centro è stato un fiore all´occhiello Abbiamo formato ingegneri preparati e creato un indotto «Non voglio polemizzare con il rettore Pelizzetti, però non credo si possa definire fallimentare l´esperienza Motorola». Massimo Marcarini, direttore generale del Centro ricerche torinese dell´azienda americana, sta lavorando alla sua ultima missione: traghettare i 180 lavoratori (su 330 circa) verso l´acquirente Reply. Perché l´operazione Motorola non è stata un fallimento? «Negli anni il Centro ha dato un contributo notevole allo sviluppo del territorio. Posso citare i 540 milioni di euro di stipendi pagati, avevamo l´obiettivo di arrivare a 350 dipendenti e abbiamo superato i 400. Abbiamo formato ingegneri preparati e creato un indotto». Quindi Torino non è Bangalore, come dice il rettore Pelizzetti? «No, è diverso. Dieci anni fa Motorola non è arrivata a Torino per sfruttare una situazione e poi trasferire tutto in Cina o in India, ma ha aperto un centro che è diventato un fiore all´occhiello della stessa azienda. Il fatto è che a un certo punto, per questioni di mercato, ha dovuto dismettere». Il tessuto torinese riuscirà ad assorbire tutti i dipendenti non inclusi nel progetto Reply? «Dai dati che ho in mano ci sono buone possibilità per ricollocare localmente una parte notevole di questi lavoratori. E non dimentichiamoci che qualcuno ha intenzione di aprire attività proprie». Che fine faranno i circa 200 dipendenti che lavoravano nelle società del vostro indotto? «Fa parte del business. Sono aziende che offrono servizi e i loro committenti sono in crisi devo organizzarsi per offrirli a qualcun altro. Sono predisposte per assorbire certi colpi». Alcuni lamentano troppa attenzione nei vostri confronti rispetto ad altre crisi aziendali in cui il personale era meno professionalizzato e quindi più difficile da collocare. Cosa ne pensa? «Non so se sia stata data troppa attenzione, ma credo che il valore delle competenze in gioco sia importante per creare successivamente uno sviluppo per il territorio e per aiutare la zona a superare la crisi». (ste.p.)

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Metti l'export dentro una casa di vetro (sezione: Globalizzazione)

( da "Finanza e Mercati" del 06-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Metti l'export dentro una casa di vetro da Finanza&Mercati del 06-02-2009 UGO BERTONE Fenzi, a capo di Federvarie (25 associazioni industriali) e Presidente onorario di Gimav, l'associazione dei produttori di macchine per la lavorazione del vetro (nicchia del mercato mondiale in cui l'Italia è leader, il 72% del fatturato destinato oltre confine), è un tipico centauro del made in Italy. Abituato a muoversi nell'economia globale, più attento a Cnn che a Bruno Vespa, al Financial Times che alle cronache nostrane. Ma fortemente legato alle tradizioni della «vecchia» scuola in materia di governance, capitalismo familiare e antipatia, anzi, allergia alla leva finanziaria. Cosa che, ai tempi del grande crack, non è certo un'offesa. Entusiasta della globalizzazione, ma da sempre, senza farne mistero, ostile all'euro. «Abbiamo compromesso un percorso di crescita formidabile. Ci avessero lasciato cinque anni ancora, gliel'avremmo fatta vedere a tedeschi e francesi. Partner? Io li ho sempre visti come concorrenti». Ottimista nel Dna, anche sotto la tempesta. «Ne verremo fuori. E sa perché? L'economia italiana è fatta di imprenditori che mettono in azienda il 90% dei profitti, rafforzando il patrimonio, senza dover distribuire utili ad azionisti esterni e super manager che assorbono super stock option». Imprenditori che, in caso di ammortamenti liberi, non si tirerebbero indietro di fronte ad una «macchina nuova»: una fresatrice o un tornio, mica una Ferrari. «Ce n'è tanta di gente così. Un imprenditore che ne ha la possibilità non si fa sfuggire l'occasione di investire a condizioni convenienti. E se la macchina non lavora oggi, sarà pronta per la ripresa. Ecco, è questo il messaggio che conta di più: saranno anni difficili, ma prima o poi si ripartirà. Anzi, ripartirà chi ha le carte in regola. Guai se l'Italia smobilita. La nostra ricchezza, da sempre, sta nel manifatturiero. Purché rivolto ad un mercato di sei miliardi di consumatori, non ai 60 milioni di casa nostra, l'1% della popolazione». Belle parole, dottor Fenzi. Ma la sua proposta è comunque un sacrificio per il fisco. «Non è la mia proposta, ma quella che Federmacchine ha appena inviato al ministro Tremonti. E dimostriamo che il costo è modesto, se non nullo se si pensa ai possibili benefici sull'Iva, come dimostra la tabella. Ma faremmo lavorare le aziende che producono valore vero, mica la pubblica amministrazione che droga il pil». «La crisi sarà lunga e dura - continua -. Noi l'abbiamo già sperimentato nei nostri impianti in Usa e Canada: la domanda è caduta del 30% un anno fa, e si è stabilizzata lì. Ma nessuna impresa può permettersi di raggiungere il break even con un calo del 30 per cento. E così si taglia sui costi: prima gli interinali, poi gli addetti a tempo determinato, Poi c'è la Cig». Messa così non c'è speranza? «Sa cosa le dico? Era peggio sei mesi fa. Allora, oltre a tutto questo, c'era l'impennata dei costi delle materie prime. Adesso, su quel fronte si può respirare. Anche se in Cina mi stanno ripartendo i prezzi dell'acciaio». E gli aiuti all'export? «Meglio una vittoria ai Mondiali per la nostra reputazione che promozioni che non servono a nulla». E ancora: «Perché non si premiano i campioni dell'export con un taglio fiscale? Ogni 10% di export in più, un punto di Ires in meno. Serve questo, non le processioni dietro Napolitano in India, Cina...». «Sì, ci sarà selezione. E noi stiamo pensando a un'acquisizione. La Borsa? Negli Usa mi sono scontrato per un merger contro un concorrente cresciuto grazie a una politica di M&A finanziato al Nasdaq. Un'azienda che aveva accumulato un enorme goodwill da far pagare ai soci di minoranza. Meglio stare alla larga». E alla Fenzi, 550 milioni di giro d'affari, come ad si è già insediato il figlio. In attesa che entri il nipotino. «I manager riflettono - conclude - ma gli imprenditori decidono». È fatto così Dino Fenzi, a capo di Federvarie (25 associazioni industriali) e Presidente onorario di Gimav, l'associazione dei produttori di macchine per la lavorazione del vetro (nicchia del mercato mondiale in cui l'Italia è leader, il 72% del fatturato destinato oltre confine). Fino al primo semestre del 2008 una storia di grande successo: negli ultimi dieci anni l'export è cresciuto ad un tasso medio del 9,35%, in barba alle turbolenze delle economie o alla crescente concorrenza del Far East. Poi... «Poi lo stop. Improvviso. Senza precedenti». Ma basta così. Il dottor Fenzi deve alzarsi alle cinque. Destinazione l'Inghilterra. Poi toccherà alla Baviera, ad un passo dalla Repubblica Ceka. E a Shanghai. Altro che stop.

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Quei manager che si tagliano lo stipendio (sezione: Globalizzazione)

( da "Giornale.it, Il" del 06-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Ho seguito con crescente turbamento le polemiche sulla vicenda di Eluana. Chiunque abbia provato che cosa significhi assistere un proprio caro che ha subito danni al cervello, non può che provare una struggente solidarietà con il padre di Eluana. Questo è un dramma intimo, straziante, che richiede raccoglimento e invece è diventato il tema di una battaglia furibonda da entrambi gli schieramenti. Stamattina ho letto sulla Stampa l'opinione controcorrente di un autorevole cattolico, quella dell'arcivescovo Giuseppe Casale che dice: «Mi sento vicinissimo a papà Peppino. Quella di Eluana non è più vita, porre termine al suo calvario è un atto di misericordia». «Non è tollerabile accanirsi ancora nè proseguire questo stucchevole can can. C'è poco da dire: l'alimentazione e l'idratazione artificiali sono assimilabili a trattamenti medici. E se una cura non porta a nessun beneficio può essere legittimamente interrotta». E ancora: "Si è creato il 'caso Englarò agitando lo spettro dell'eutanasia, ma qui non si tratta di eutanasia. Alla fine anche Giovanni Paolo II ha richiesto di non insistere con interventi terapeutici inutili. Vedo quasi il gusto di accanirsi su una persona chiusa nella sua sofferenza irreversibile. Una vita senza relazioni, alimentata artificialmente non è vita. Come cattolici dovremmo interrompere tutto questo clamore e dovremmo essere più sereni affinchè la sorte di Eluana possa svilupparsi naturalmente - aggiunge monsignor Casale - . I trattamenti medici cui è stata sottoposta non possono prolungare una vera vita, ma solo un calvario disumano. È giusto lasciarla andare nelle mani di Dio.» «L'alimentazione artificiale - conclude Monsignor Casale - è accanimento terapeutico, se la si interrompe Eluana muore. Rispettiamo le sue ultime volontà e non lasciamo solo un padre che, appena si saranno spenti i riflettori di una parossistica attenzione, sarà in esclusiva compagnia del suo dolore. Io lo comprendo, prego per lui, gli sono vicino. Neanche io vorrei vivere attaccato alle macchine come Eluana, anche per me chiederei di staccare la spina. Eluana non c'è più già da tanto, da molto tempo prima della rimozione del sondino che simula un'esistenza definitivamente svanita». Le parole di Monsignor Casale fanno riflettere. Che abbia ragione lui? Scritto in società, Italia, giornalismo Commenti ( 12 ) » (2 voti, il voto medio è: 5 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 04Feb 09 Quei manager che si tagliano lo stipendio. Dopo lo scandalo dei bonus da 18 miliardi distribuiti ai manager dalle banche americane salvate dallo Stato, Obama corre ai ripari: oggi annuncia una norma che impone un limite di 500mila dollari agli stipendi dei dirigenti delle società che beneficiano dei sussidi pubblici. Bene, è un passo nella giusta direzione. Tuttavia, mi chiedo: i 18 miliardi rappresentano un abuso colossale e una distorsione di fondi pubblici: perchè Obama non ne pretende la restituzione? Se lo avesse fatto sarebbe stato davvero credibile, in questo modo invece premia la casta, legalizza l'ultima rapina. E invece in un frangente di crisi come questo sarebbe stato necessario un segnale molto più forte che, evidentemente, Obama non può permettersi. Segnali che invece giungono da alcune aziende private. In Giappone, ad esempio, i manager di alcune grandi società in difficoltà si sono ridotti del 30% lo stipendio. Lo stesso è avvenuto in Italia, nel mio mondo, quello dell'editoria. Il gruppo del Sole 24 Ore ha appena inviato una lettera a tutti i collaboratori in cui annuncia una riduzione dei compensi del 25% per fare fronte a quella che definisce la "Grande Crisi". La lettera è firmata dal direttore Ferruccio de Bortoli e dall'amministratore delegato Claudio Calabi, che hanno dato l'esempio riducendosi di un quarto lo stipendio. Che differenza rispetto ai banchieri di Wall Street! Questa è la strada giusta: se i tempi sono duri, lo sono per tutti. Ed è il capo che mostra la via assumendosi in prima persona i sacrifici richiesti. Io lo chiamo capitalismo responsabile e mi piace moltissimo. Scritto in economia, società, era obama, globalizzazione, democrazia, Italia, notizie nascoste, giornalismo Commenti ( 64 ) » (2 voti, il voto medio è: 5 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 02Feb 09 Ecco perché il clandestino in realtà non viene espulso Sul Giornale di ieri Stefano Zurlo ha scritto un bell'articolo, in cui racconta che cosa accade agli irregolari che vengono arrestati. Mi ha colpito questo passaggio: "È un meccanismo davvero surreale. Il clandestino viene espulso; non se ne va o torna di nascosto nel nostro Paese e allora scatta, obbligatorio, l'arresto. Ma i processi, di media, sono catene di montaggio delle scarcerazioni: l'imputato esce, in attesa del verdetto, e tanti saluti. Oppure, se la sentenza arriva di volata, viene condannato, ad una pena di 6-8-10 mesi. E subito dopo rimesso in libertà. Come è normale quando la pena è inferiore ai due anni. Insomma, l'irregolare viene afferrato dalla legge e dalla legge riconsegnato alla sua vita invisibile. Con una postilla: se lo acciufferanno di nuovo, sempre senza documenti, non potranno più processarlo: non si può giudicare due volte una persona per lo stesso reato". Se questa è la realtà, e non dubito che lo sia, la lotta ai clandestini è assolutamente inutile. Continueranno ad arrivare, sempre più numerosi, proprio perché è garantita l'impunità. E allora è necessario correre ai ripari, varando norme che non permettano la scarcerazione in attesa del processo e, come ho già scritto, che rendano obbligatorio il rilevamento, oltre delle impronte digitali, dell'iride dell'occhio. Solo così l'Italia può assumere una credibilità che oggi non ha. L'alternativa è che l'Italia si trasformi non in una società tendenzialmente multietnica, ma in un Paese anarchico con profonde ingiustizie sociali e un razzismo diffuso. Non c'è più tempo da perdere: tocca al governo di centrodestra proporre misure concrete. E al centrosinistra moderato di Veltroni sostenerle con spirito bipartisan. Perché il problema degli immigrati non ha più colore politico ma è sentito, con angoscia, dalla stragrande maggioranza degli italiani, compresi i progressisti. O no? Scritto in società, globalizzazione, democrazia, Italia, immigrazione Commenti ( 69 ) » (5 voti, il voto medio è: 5 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 30Jan 09 La casta di Wall Street? Continua ad arricchirsi. Negli ultimi giorni mi sono occupato nuovamente della casta dei banchieri, che ha inguaiato il mondo. Ho scoperto alcuni dettagli interessanti, ad esempio, che l'ex numero uno di Lehman Brothers, ha venduto la sua lussuosa residenza in Florida, stimata 14 milioni di dollari. Il prezzo? Cento dollari. Chi l'ha comprata? La moglie. E così si cautela contro eventuali creditori. Ipotesi peraltro remota, perché le leggi americane offrono ampie protezioni ai banchieri protagonisti della truffa del secolo. I protagonisti del disastro finanziario passano le loro giornate a giocare, a golf, bridge, cricket. E quelli che non si sono ritirati continuano ad arricchirsi. Nel 2008, mentre le loro società venivano salvate dal fallimento, i manager delle banche si sono accordati bonus per 18,4 miliardi di dollari, come spiego in un editoriale, nel quale pongo una domanda a questo punto fondamentale: è giusto salvare le banche se la casta non viene smantellata? Tremonti dice: a casa o in galera. Sono d'accordo con lui. Se il capitalismo vuole risorgere deve riscoprire una virtù indispensabile, quella della responsabilità individuale. E fare piazza pulita. Scritto in società, era obama, economia, globalizzazione, notizie nascoste, democrazia, gli usa e il mondo Commenti ( 73 ) » (7 voti, il voto medio è: 2.86 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 28Jan 09 Immigrazione, stiamo sbagliando (quasi) tutto? I fatti degli ultimi giorni hanno riportato alla ribalta la questione degli immigrati. Ne traggo tre riflessioni. 1) La crisi economica renderà ancora più acuto il problema dell'immigrazione all'interno della Ue. Romania e Bulgaria sono già in forte crisi economica e non mi stupirebbe se nei prossimi mesi aumentasse il numero di cittadini di questi Paesi che cerca fortuna nei Paesi europei ricchi; che, però, come ben sappiamo, non sono risparmiati dalla recessione. Rumeni, bulgari verranno qui ma non troveranno lavoro e molti di quelli che già abitano in Italia lo perderanno. La situazione rischia di diventare rapidamente esplosiva: povertà, indegenza, disperazione, dunque probabile aumento della delinquenza spicciola e molto potenziale manodopera per la malavita e per gli imprenditori italiani schiavisti (che esistono e vanno combattuti energicamente) . Tutto questo alimenterà il razzismo e l'incomprensione reciproca. Occorre che l'Unione europea prenda iniziative straordinarie per limitare la libertà di circolazione delle persone, anche ripristinando, transitoriamente i visti. 2) L'immigrazione extra Ue non si combatte solo alzando barriere, che in realtà servono a poco, perchè, come ha dimostrato l'ultimi rapporto della Fondazione Ismu, dei 450 mila stranieri che arrivano illegalmente, solo 120mila attraversano il Mediterraneo. Gli altri sbarcano con un visto regolare (di studio, turistico o per lavori stagionali) e si danno alla macchia. Come si combatte questo fenomeno? Imitando gli americani: che prendono la foto e le impronte digitali a tutti i visitatori, In tal modo (magari anche con il controllo dell'iride) si creerebbe una banca dati europea che rende facilmente identificabili i clandestini. 3) Gli immigrati non partono spinti solo dalla povertà, ma anche - anzi, soprattutto - per inseguire il mito di un'Europa Eldorado, come ho spiegato in questa analisi. Il mito non viene mai scalfito dai media nè nè dalla sociteà africana, che anzi continu ad alimentarlo. «Gli africani quando partono non immaginano che fuori possa fare più freddo che dentro un frigorifero», mi ha detto Gustave Prosper Sanvee, direttore della tv cattolica del Togo. Dunque se vogliamo limitare le partenze è necessario che gli immigrati sappiano che l'Europa non è un paradiso, ma spesso un purgatorio fatto di stenti, sofferenza, spesso umiliazioni e che ci ce la fa deve rispettare regole sociali e di convivenza che sono molto diverse da quelle africane. Ma per raggiungere questo obiettivo è necessario che l'Europa promuova una politica di comunicazione mirata alle popolazioni Africane, che oggi è inesistente. Da qui la mia riflessione: perché non provare un approccio diverso sull'immigrazione? Ho l'impressione che le misure tentate non abbiano prodotto gli effetti sperati e siano destinate al fallimento anche in futuro. In altre parole, l'Italia e l'Europa stanno sbagliando (quasi) tutto. O no? Scritto in società, europa, globalizzazione, immigrazione Commenti ( 72 ) » (6 voti, il voto medio è: 3.67 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 25Jan 09 Resa dei conti tra la Cina e gli Usa? Il sito del Giornale nelle ultime 48 ore ha dovuto affrontare la migrazione da un provider a un altro e dunque anche l'accesso al blog è stato difficile, soprattutto in certe zone d'Italia. Mi scuso per questo inconveniente, ora risolto. Negli ultimi due giorni sul Giornale ho scritto ancora di Obama, che ha litigato con il Vaticano sull'aborto e per la prima volta ha avuto qualche screzio con la stampa americana, finora notoriamente compiacente. I giornalisti Usa tra l'altro si sono accorti che un lobbista dell'industria delle armi è stato nominato numero due del Pentagono, vicenda di cui abbiamo già parlato nei giorni scorsi su questo blog. Era ora. Ma la notizia più significativa riguarda la Cina, sebbene non abbia avuto molto rilievo sui giornali italiani. E' accaduto questo: il segretario al Tesoro Timothy Geithner che giovedì, durante le audizioni alla Commissione finanze del Senato, aveva accusato Pechino di «manipolare le quotazioni dello yuan per ottenre scorrettamente vantaggi commerciali», aprendo di fatto l'iter che, in base a una legge del 1988, permetterebbe al governo americano di imporre sanzioni ovvero barriere tariffarie. La Cina ha risposto smentendo le accuse, mentre il ministro degli Esteri di Pechino ha chiamato Hillary Clinton ammonendola a non compiere passi falsi. Perchè questo screzio? I fattori di attrito sono diversi, ma a mio giudizio ne prevale uno: quello del debito americano. La Cina è da qualche anno il primo sottoscrittore al mondo di Buono del tesoro Usa, ma una decina di giorni fa ha annunciato che intende ridurre il proprio impegno e usare una parte delle risorse per rilanciare l'economia interna. L'America, però, non può permetterlo; anzi, visto che il suo deficit pubblico quest'anno triplicherà, vorrebbe che Pechino aumentasse gli acquisti di Treasury. L'affondo di Geithner ha l'aria di un monito ai cinesi: se Pechino non si ricrede, Washington si vendicherà alzando le barriere doganali; dunque rendendo impervio l'accesso a un mercato che rappresenta il principale sbocco ai beni «made in China». Si scatenerebbe una guerra commerciale e finanziaria da cui usciremmo tutti perdenti. Lo spettro è quello di un dollaro in caduta libera e di una Cina in profonda depressione, che aggraverebbe la crisi dell'economia mondiale. Domanda: lo scenario è credibile? Ragionavolmente uno scontro non conviene a nessuno e pertanto dovrebbe prevalere la ragionevolezza. Fino a quando la Cina, che secondo alcuni economisti sarebbe già in depressione, è disposta a usare le proprie risorse per finanziare il deficit americano? E Obama è in grado di gestire con saggezza rapporti delicati e cruciali come questi? Scritto in economia, era obama, globalizzazione, notizie nascoste, cina, gli usa e il mondo Commenti ( 23 ) » (9 voti, il voto medio è: 3.44 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 23Jan 09 Basta torture. Bravo Obama, ma come la mettiamo con l'Iran? "L'America non tortura", ha dichiarato ieri Obama rinfrancando chi ha sempre visto nell'America un baluardo di civiltà, saldamente ancorato ai valori della democrazia e della Costituzione. Quell'America è tornata. Bravo Obama, ma McCain, se avesse vinto, avrebbe fatto altrettanto. Entrambi sono convinti che la guerra al terrorismo non possa essere condotta violando i principi che l'America ha sempre proclamato di rispettare, proponendosi pertanto come un modello virtuoso per gli altri Paesi. La stragrande maggioranza dei detenuti di Guantanamo è risultata innocente, ma per molti mesi ha vissuto in condizioni orribili, da lager sovietico, senza assistenza legale, per molto tempo senza nemmeno il monitoraggio della Croce Rossa. Segregati, senza colpa. E nelle prigioni segrete della Cia è successo di tutto: sevizie orribili, alcuni prigionieri sono spariti nel nulla. Ma quanti di loro erano terroristi? Pochi. Obama (e McCain) sono convinti che la guerra ad Al Qaida debba essere risoluta ed energica, ma senza ricorrere a metodi tipici di una dittatura e non di una grande democrazia. La chiusura di Guantanamo e delle prigioni Cia ha anche una valenza politica, perché rafforza e precisa il messaggio di apertura al mondo arabo e all'Iran, con cui la Casa Bianca è pronta ad avviare "negoziati diretti senza precondizioni", come spiego in questo articolo, mentre si rafforzano i segnali di un raffreddamento dei rapporti con Israele (anticipati su questo blog il 14 gennaio). Ieri ho parlato con alcuni esperti di Washington e, off the record, una fonte qualificata del governo americano mi ha fatto notare che Obama nel suo discorso di insediamento non ha citato Israele. E chi è il primo leader straniero con cui Barack ha parlato? Il palestinese Abu Mazen. Basta torture ed è un bene; ma anche meno Israele e più Iran, rapporti ancora più stretti con le potenze del Golfo persico e dunque mano tesa all'Islam fondamentalista sia sunnita che sciita. Scelta strategica lungimirante o clamoroso errore che contraddice i valori degli Usa, premiando regimi come l'Iran e l'Arabia Saudita che calpestano i diritti umani? Scritto in israele, era obama, democrazia, medio oriente, gli usa e il mondo, islam Commenti ( 103 ) » (7 voti, il voto medio è: 2 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 21Jan 09 Ha ragione Tremonti: bisogna scegliere chi salvare. Le borse crollano, ci risiamo.. ma perchè? Colpa di Obama, come qualcuno ha suggerito sui giornali? No, i mercati finanziari scendono perchè temono che nemmeno Obama, nonostante gli interventi promessi, possa risollevare l'economia, perlomeno non i tempi brevi. Nonostante i ribassi di Piazza Affari e l'entità del debito pubblico, l'Italia è in una posizione più favorevole rispetto ad altri Paesi, come ha spiegato uno dei nostri economisti più brillanti Marco Fortis, in un'intervista a Rodolfo Parietti. Ma la crisi è globale e da sola l'Italia non ce la può fare. E allora bisogna capirne le ragioni e le dinamiche. Un giornalista del Corriere del Ticino, Alfonso Tuor, da tempo si segnala per la precisione e la lungimiranza delle sue analisi. Venerdì scorso, dunque prima del capitombolo di Wall Street, ha pubblicato un editoriale in cui spiega che cosa sta accadendo. La sua è una visione "tremontiana" e la ritengo assai convincente. Ecco i passaggi più significativi del suo articolo: Concluso il periodo delle ferie natalizie, è tornato alla ribalta il problema centrale di questa crisi: lo stato comatoso del settore finanziario. Infatti non vi sono miglioramenti delle condizioni di salute del sistema bancario, nonostante le ricapitalizzazioni degli istituti di credito americani ed europei operate dagli Stati e i continui interventi delle banche centrali. (.)Lo stesso presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha dovuto ammettere che non vi è alcuna speranza di uscire da questa crisi se non si risana il sistema bancario. Bernanke ha addirittura precisato che risulterà insufficiente anche il pacchetto fiscale di Obama da 800 miliardi di dollari. (.) Il motivo è semplice. La crisi finanziaria ha già investito l'economia reale. Le industrie europee, americane e di altri continenti si trovano strette in una tenaglia: da un canto, i fatturati diminuiscono rapidamente (in alcuni rami si registrano contrazioni del 30%) e, dall'altra, l'accesso al credito è chiuso, poiché il sistema bancario è riluttante a concedere nuovi crediti, oppure è estremamente oneroso, con tassi di interesse molto elevati nonostante il ribasso del costo del denaro attuato dalle banche centrali. La conseguenza è un circolo vizioso: la recessione produce nuove sofferenze che aggravano la crisi bancaria, le banche concedono meno prestiti rendendo più profonda la recessione e così via. In pratica, il settore bancario non svolge più (non concedendo crediti) il suo ruolo di trasmissione degli impulsi di politica monetaria. Quindi, anche il taglio dei tassi europei riduce i costi di rifinanziamento delle banche, ma ha scarsa o nessuna influenza sull'accesso e sul costo del credito delle imprese industriali. Ora, l'oligarchia finanziaria che ha causato questa crisi, con l'autorevole sostegno della Federal Reserve, sostiene una tesi semplice: non si può uscire dalla crisi, se prima gli Stati non risanano il sistema bancario. Questa tesi, apparentemente seduttiva, dimentica di esplicitare i costi enormi di questo salvataggio. Un'idea della grandezza dei capitali necessari la si può ricavare dalle migliaia di miliardi finora spesi da Stati e da banche centrali senza ottenere alcun risultato apprezzabile. Negli Stati Uniti si sono già spesi 8.000 miliardi di dollari, nell'Unione Europea la cifra è di poco inferiore. Per risanare i catastrofici bilanci delle grandi banche occorrerebbero altre migliaia di miliardi. Se non si crede alla teoria che i soldi possano essere stampati all'infinito senza alcuna conseguenza negativa, bisogna concludere che i governi devono scegliere chi aiutare, poiché non hanno le risorse finanziarie per salvare sia le famiglie sia le imprese sia le banche. È quanto ha deto recentemente il ministro italiano Giulio Tremonti, il quale teme che il tentativo di salvare tutti farà sì che non si riuscirà ad aiutare nessuno e si provocherà unicamente un ulteriore peggioramento della crisi. Come sostiene Tremonti, bisogna ammettere realisticamente che si può salvare solo la parte buona del sistema bancario e concentrare le risorse per rilanciare l'economia, per difendere l'occupazione e il sistema industriale. Per essere più chiari, fino a quando non si cominceranno a fare queste scelte non vi è alcuna possibilità che si esca veramente dalla crisi. Il costo di salvare tutto e tutti rischia di essere tale da incrinare la fiducia nei titoli con cui gli Stati finanziano i loro disavanzi pubblici e nelle stesse monete. A questo riguardo già si cominciano ad avvertire alcuni segnali preoccupanti. (.) In attesa che le élites politiche si affranchino dallo stato di dipendenza nei confronti dell'oligarchia finanziaria, saremo costretti a confrontarci con l'aggravarsi della recessione, con continui interventi miliardari per salvare le banche e pacchetti di rilancio che non produrranno gli effetti desiderati, ma solo un sollievo temporaneo. Insomma, continueremo ad assistere al peggioramento della crisi. Domanda: Tuor ha ragione ? E' possibile salvare solo alcune banche mantenendo la funzionalità del sistema finanziario? Scritto in società, economia, europa, globalizzazione, gli usa e il mondo Commenti ( 26 ) » (6 voti, il voto medio è: 3.5 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 20Jan 09 Obama, l'uomo del Pentagono (e di Wall Street) Obama sarà davvero un riformatore? Più passa il tempo e più sono convinto di no. Sta diventando l'uomo dell'establishment ovvero di quel mondo che in campagna elettorale aveva promesso di cambiare. "Yes we can", ("sì, si può fare") e "Change we can believe in" (il cambiamento in cui credere) sono più che mai slogan retorici e dunque vuoti. E per averne conferma basta scorrere l'elenco dei ministri e dei consiglieri. Facce nuove? Pochissime, sono quasi tutti ex collaboratori di Bill Clinton e quasi tutti legati a interessi particolari, soprattutto in due campi: finanza e difesa. Come fa Obama a riformare il sistema finanziario se affida il Tesoro a Geithner e sceglie come superconsigliere Summers ovvero due pupilli del presidente di Citigroup ed ex ministro del tesoro Rubin? Non scordiamocelo: fu Rubin ad avviare il processo di deregolamentazione dei mercati finanziari che è all'origine dell'attuale recessione. E negli ultimi mesi dietro le quinte è stato lui a manovrare con lo stesso Obama e con Bush per ottenere gli aiuti multimilardari al settore e in particolare i miliardi necessari per salvare la stessa Citigroup. Che credibilità ha un presidente che conferma alla guida del Pentagono Robert Gates, il ministro di Bush, e, soprattutto, che nomina suo vice William Lynn? Voi direte: e chi è Lynn? E' uno dei più noti lobbisti dell'industria delle armi e al Pentagono è stato incaricato di presiedere il comitato per. gli acquisti di armamenti. ma la gente non lo sa: perchè i grandi media americani questa notizia l'hanno data in breve o non l'hanno pubblicata affatto. E' così che Obama intende combattere la corruzione e gli interessi particolari? Temo che una certa Washington abbia già inghiottito Barack.. o sbaglio? Scritto in democrazia, notizie nascoste, presidenziali usa, gli usa e il mondo Commenti ( 94 ) » (7 voti, il voto medio è: 3.57 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 18Jan 09 Preghiera islamica anche al Colosseo. Ora basta Riepiloghiamo: il 6 gennaio gli islamici hanno pregato contemporaneamente a Milano di fronte al Duomo e a Bologna in piazza Maggiore davanti alla Chiesa di San Petronio. Il 10 gennaio nuova preghiera a Milano di fronte alla Stazione centrale. Ieri gli islamici hanno conquistato il piazzale di fronte al Colosseo, mentre a Bologna la questura ha vietato un'altra preghiera in pubblico prevista per il 24 gennaio. Mi spiace di dover proporre nel giro di pochi giorni il terzo post sullo stesso tema, ma non posso esimermi: questi fatti dimostrano che si tratta non di iniziative estemporanee, ma di provocazioni nell'ambito di una precisa strategia da parte dei fondamentalisti islamici sunniti che si riconoscono nell'Ucoii e dunque nei Fratelli musulmani. Con questa gente non si scherza. Nelle prossime settimane capiremo qual è il loro obiettivo finale, ma sin d'ora è chiaro che vogliono da un lato intimidire i musulmani moderati assumendo la guida di tutti i movimenti islamici in Italia, dall'altro dimostrare agli italiani, laici e cattolici, di essere in grado di occupare i luoghi più significativi delle nostre città, sfidando le leggi, i nostri valori e il buon senso. Non rispettano, non vogliono rispettare; abusano dell'ospitalità ricevuta. Ed è più che mai urgente una risposta ferma, autorevole da parte dello Stato, della società civile e della Chiesa. Resto convinto che i seguaci dell'Ucoii e di un Islam involuto e antimoderano siano una piccola minoranza tra i musulmani presenti nel nostro Paese. Ma con questi fanatici non ci può essere dialogo: l'Italia non ha bisogno di loro. E occorre che lo sappiano subito. Non c'è più tempo, non si può aspettare. Scritto in società, democrazia, Italia, immigrazione, islam Commenti ( 110 ) » (7 voti, il voto medio è: 4.43 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico Post precedenti Chi sono Sono inviato speciale di politica internazionale. Sposato, ho tre figli. Risiedo a Milano e giro il mondo. Tutti gli articoli di Marcello Foa su ilGiornale.it contatti Categorie cina (16) democrazia (50) economia (21) era obama (4) europa (9) francia (20) germania (3) giornalismo (44) gli usa e il mondo (50) globalizzazione (31) immigrazione (37) islam (18) israele (1) Italia (141) medio oriente (12) notizie nascoste (37) presidenziali usa (22) russia (13) sindacati (1) società (11) svizzera (4) turchia (12) Varie (16) I più inviati Dietro la vicenda Alitalia la mano della lobby europea - 4 Emails Una vita meritocratica... - 4 Emails Abbiamo vinto l'Expo. E ora come la mettiamo con Malpensa? - 3 Emails Ecco come si può davvero aiutare il Tibet - 3 Emails Attenti, Londra tollera la Shaaria... - 3 Emails Usa, la tragica ripicca di un popolo a lungo raggirato - 3 Emails In una lettera il ritratto dell'Italia di oggi - 2 Emails Dalla Svizzera una lezione (anche per il centrodestra italiano) - 2 Emails Milva e quei sette milioni nascosti... per la vecchiaia - 2 Emails Quello stile di "Repubblica"... - 2 Emails Ultime discussioni Marcello Foa: Grazie a tutti per i vostri interventi, ma grazie in particolare a Franco Parpaiola, che si è trovato... Davide K: Il problema, Marcello (non il "capo" ;)), è che le statistiche ufficiali, putroppo, non sono... lino: leggevo tempo fa in un articolo di filippo facci che solo in italia sono addirittura migliaia le persone alle... Franco Parpaiola: Salve. Grazie fedenrico, se ti può aiutare a ripassare il tuo modo di vedere, forse questo potrà... Rodolfo de Trent: Quanto sta accedendo attorno al dolore di un padre è, secondo me, di una crudeltà agghiacciante.... Ultime news Eluana: bozza pronta, no di Fini e Colle Il padre: su mia figlia violenza inauditaAdesso i medici potranno denunciare i clandestiniSicurezza, dai medici denunce su clandestini Cei: noi non lo faremoBattisti, l'Europarlamento al Brasile: "Tenga conto della sentenza dell'Italia"Abrahamowicz: "Vaticano II peggio di un'eresia"Fano, operaio 34enne adesca 15enne in chat poi lo stupro: arrestatoGrande fratello sui telefonini: saremo sorvegliati 24 ore su 24Giro del Qatar, ciclista morto in hotelEmirati arabi: altroparlanti vietati per la preghiera nelle moscheeRissa Federica-Gianluca e vola anche un bicchiere Blog amici Ethica, blog filosofico di qualità ICT Watch, il blog di Piero Macrì sulle nuove tecnologie il blog di Alessandro Gilioli il blog di Andrea Tornielli Il blog di Faré su Internet & comunicazione il blog di Marista Urru il blog megliotardichemai Il circolo Rosselli, socialismo liberale Il pranista, blog su PR e comunicazione Metropolis, il blog Alberto Taliani Orientalia 4 all Placida signora, il blog di Mitì Vigliero spindoctor, il blog di Marco Cacciotto Wolly, il blog di Paolo Valenti Da non perdere La misteriosa e improvvisa ricchezza di Erdogan La Turchia e l'islamizzazione strisciante Quelle donne turche imprigionate dal velo Vince Erdogan e la Turchia diventa più islamica siti che mi piacciono Cricri créations poétiques, gioielli con l'anima Il sito di R. Gatti, tutto per capire le insidie della droga Italiani per Ron Paul, un bel blog sulle elezioni Usa USI, Università della Svizzera Italiana Siti di Informazione Comincialitalia, il primo quotidiano italiano dei cittadini il blog di Di Ricco, un giornalista italiano in Libano il sito di Fausto Biloslavo il sito di Radio 3 Mondo Jones, un eccellente giornalista inglese La zanzara di Cruciani - Radio 24 Osservatorio Europeo di Giornalismo Prima Pagina, la rassegna stampa di Radio 3 Sito web ilGiornale.it February 2009 M T W T F S S « Jan 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 Archivio dei post February 2009 (3) January 2009 (14) December 2008 (11) November 2008 (10) October 2008 (13) September 2008 (13) August 2008 (9) July 2008 (6) June 2008 (11) May 2008 (8) April 2008 (14) March 2008 (16) February 2008 (14) January 2008 (15) December 2007 (14) November 2007 (21) October 2007 (24) September 2007 (24) August 2007 (32) July 2007 (15) Trackback recenti Dall'America una cura forte per l'editoria: Orientalia4All Haramlik: E per smettere di fumare, una bella Cristoterapia Il Blog di Marcello Foa: Attenti, in Veneto è iniziata la rivolta dei comuni I più votati Ancora su Vasco Rossi e la droga - 54 Votes Una vita meritocratica... - 34 Votes I mutui subprime, la frode della Casta delle banche - 24 Votes Petrolio, libero mercato o libera speculazione? - 20 Votes E la sicurezza? Ai politici non interessa più - 18 Votes Quando i Tg "aiutano" la camorra... - 18 Votes Ma Beppe Grillo è il modello della nuova Italia? - 17 Votes Quanti immigrati può sostenere l'Italia che arranca? - 16 Votes Primarie Usa, truccata la vittoria di Hillary? - 15 Votes Immigrazione: e se avesse ragione Maroni? - 15 Votes Recent Posts Caso Eluana, un giudizio controcorrente che fa riflettere Quei manager che si tagliano lo stipendio. Ecco perché il clandestino in realtà non viene espulso La casta di Wall Street? Continua ad arricchirsi. Immigrazione, stiamo sbagliando (quasi) tutto? Resa dei conti tra la Cina e gli Usa? Basta torture. Bravo Obama, ma come la mettiamo con l'Iran? Ha ragione Tremonti: bisogna scegliere chi salvare. Obama, l'uomo del Pentagono (e di Wall Street) Preghiera islamica anche al Colosseo. 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GENOVA 2001: IL G8 E LA GIUSTIZIA ROVESCIATA (sezione: Globalizzazione)

( da "Corriere della Sera" del 06-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Lettere al Corriere - data: 2009-02-06 num: - pag: 43 categoria: REDAZIONALE Risponde Sergio Romano GENOVA 2001: IL G8 E LA GIUSTIZIA ROVESCIATA In un editoriale, a proposito del G8 di Genova, lei ha parlato di «errori» della polizia ( Corriere, 25 gennaio). Poiché io non credo che le violenze perpetrate dai tutori dell'ordine pubblico, descritte allora anche dal Corriere, possano definirsi come errori involontari le chiedo di precisare il suo pensiero in merito. Luciano Sgarbi lucsgar@alice.it Caro Sgarbi, R icordo bene il G8 anche perché dovetti occuparmene a più riprese sul Corriere con crescente imbarazzo. Forse il miglior modo per rispondere alla sua lettera è quello di spiegare le ragioni di quell'imbarazzo. Fu evidente sin dall'inizio che l'incontro di Genova sarebbe diventato un doppio appuntamento: il primo, internazionale, per gli avversari della globalizzazione, e il secondo, nazionale, per gli oppositori del governo Berlusconi, costituito dopo le elezioni della primavera. Fu altrettanto chiaro che il doppio appuntamento avrebbe richiamato a Genova le frange più violente della sinistra extra-parlamentare italiana e europea, tutte decise a impadronirsi dell'avvenimento per indirizzarlo verso i loro obiettivi. Volevano lo scontro e lo provocarono con una furia devastatrice che superò, per forza e ampiezza, quella delle altre manifestazioni degli stessi mesi contro la globalizzazione. Ricordo le reazioni dei genovesi e una intervista in cui Sergio Cofferati, allora segretario della Cgil, si dichiarò sconcertato da una tale ondata di violenza. I dimostranti più facinorosi ottennero ciò che desideravano. Gli organizzatori dei cortei non poterono o non vollero isolarli. La polizia perdette il controllo delle strade, subì una evidente umiliazione e consumò nelle ore successive una sorta di vendetta. Ci trovammo allora a dover decidere nella nostra coscienza quale dei due mali fosse il peggiore. La furia distruttrice delle frange anarchiche o il comportamento irresponsabile di una parte della polizia? Un liberale, in queste circostanze, non può che considerare i peccati della polizia più gravi di quelli dei devastatori. Gli Stati di diritto debbono essere severi con coloro che attentano violentemente all'ordine pubblico, ma non possono permettere che la polizia diventi giudice e giustiziera. Fra i due mali, in altre parole, il secondo, in quel particolare momento, era peggiore del primo e andava fermamente denunciato. Ma la denuncia delle violenze poliziesche ha avuto l'effetto di oscurare agli occhi del Paese l'esistenza di un'altra piaga di cui la società italiana non è ancora riuscita a curarsi: quella di gruppi pseudo rivoluzionari che concepiscono la politica come lotta armata. I sindacati e i migliori eredi del Pci li conoscono e riescono, nel corso delle loro manifestazioni, a controllarli. Ma vi sono altre forze politiche che li corteggiano, li lusingano, li difendono e giustificano le loro azioni con strampalati argomenti sociologici. è accaduto così che il ragazzo Giuliani sia diventato un martire e che il G8 venga ricordato esclusivamente per il deplorevole comportamento di una parte delle forze di polizia. è questa, caro Sgarbi, la ragione del mio imbarazzo. Un brutto evento è utile al futuro del Paese quando viene analizzato e ricordato nel suoi termini reali. Quello di Genova nel 2001 continua a essere ricordato e analizzato nel peggiore dei modi. La pubblica memoria non ha smesso di condannare la polizia, che mi sembra essersi resa conto dei suoi errori; e ha assolto i devastatori di Genova, diventati ormai i vincitori morali di quelle disastrose giornate.

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L'Inverno di un sistema! pag.4 (sezione: Globalizzazione)

( da "Trend-online" del 06-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

L'Inverno di un sistema! BLOG, clicca qui per leggere la rassegna di Andrea Mazzalai , 06.02.2009 08:35 Scopri le migliori azioni per fare trading questa settimana!! contribuenti si oppongono infatti almeno quattro contro-argomenti. Primo, sotto il profilo legale, una simile norma discriminatoriaviola gli accordi della Wto sugli appalti pubblici (Government procurement agreement) originati alla chiusura dell`Uruguay Round alla fine del 1995 e attualmente sottoscritti, oltre che dagli Usa, dai 27 membri Ue, dal Giappone e altri Paesi, anche se non da Brasile, Russia, India e Cina. t dunque facile prevedere che questi Paesi organizzeranno un`immediata rappresaglia sullo stesso terreno. Un accurato e recentissimo studio di Hufbauer e Schott (Peterson Institute) calcola che, a fronte di circa 9mila posti lavoro ame- ricani garantiti dalla rigida applicazione del "Buy American" alle prossime forniture pubbliche (non solo per l`acciaio), si produrrebbe in tempi rapidi una perdita secca di circa 32mila posti di lavoro per minori esportazioni statunitensi, nell`ipotesi che pur un modesto 5% delle commesse di questi Paesi escludesse per rappresaglia le imprese americane dai propri fornitori. Un saldo non proprio esaltante. Si aggiunga che un`esplicita clausola di non discriminazione nelle commesse pubbliche è contenuta nel capitolo io dell`accordo di libero scambio Nafta, a garanzia di Canada e Messico. Secondo, il "Buy American" non piacerebbe affatto ai numerosi produttori di autoveicoli, elettrodomestici, opere e costruzioni civili, meccanica pesante, cioè i maggiori utilizzatori di acciaio che dovrebbero con ogni probabilità subire rincari nei prezzi dei loro acquisti. Un po` come avviene quando un dazio su prodotti intermedi spiazza la competitività da costi dei produttori di beni finali (nei testi di economia si parla di eventualità di "dazi effettivi negativi"). Terzo, assistiamo ormai da al meno due decenni al proliferare di strategie industriali di outsourcing segue pagina >>

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L'Inverno di un sistema! pag.3 (sezione: Globalizzazione)

( da "Trend-online" del 06-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

L'Inverno di un sistema! BLOG, clicca qui per leggere la rassegna di Andrea Mazzalai , 06.02.2009 08:35 Scopri le migliori azioni per fare trading questa settimana!! della globalizzazione fallita, distrugge il lavoro, dopo che per anni l'outsorcing e la delocalizzazione hanno provveduto ad eliminare la nostra industria manifatturiera...in buona parte. ........Thomas Gibson, presidente dell`Associazione delle imprese siderurgiche statunitensi, aveva proclamato il mese scorso: «I contribuenti vogliono essere sicuri che il loro denaro servirà a creare posti di lavoro americani in America, non posti di lavoro cinesi in Cina». Uno slogan a presa sicura. . Ora non resta che attendere ma ho la strana sensazione che nei dati di oggi troveremo qualche sorpresa, magari un eccesso di distorsioni stagionali alimentate dall'ormai leggendario CES/NET Birth/Death Model che lo scorso anno in piena depressione finanziaria, manifatturiera ed immmobiliare è riuscito ad aggiungere complessivamente un numero rilevante di posti virtuali, stagionali, un modello assolutamente non in grado di intercettare le svolte economiche. Il mese di gennaio solitamente è un mese di revisione complessiva. Prontamente la versione dell`American Recovery and Investment Act 2009, votata il 28 gennaio alla Camera Usa, dedica mezza pagina alla clausola "Buy American", per cui la domanda di acciaio derivante dalle commesse pubbliche incluse nel maxi-piano di rilancio dell`economia deve essere soddisfatta da produzione domestica e non importata. Il Senato sta ora dibattendo un`estensione della clausola a tutti i manufatti oggetto delle medesime commesse pubbliche. La lobby dei siderurgici ha colpito nel segno. Purtroppo, a meno che Barack Obama (come sembra emergere dalle sue ultime dichiarazioni di stampo anti-protezionista) intervenga a bloccare o riformulare la legge; l`effetto ultimo sarà una perdita netta, non una difesa dei posti di lavoro americani. Al fascino suadente dello slogan sul denaro dei segue pagina >>

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Russia e Cina malvisti, ma Usa restano i più cattivi (sezione: Globalizzazione)

( da "Virgilio Notizie" del 06-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Roma, 6 feb. (Apcom) - L'immagine nel mondo di Mosca e Pechino peggiora progressivamente, ma anche quella Washington non gode di ottima salute. Un sondaggio condotto per la Bbc registra il "rating" nei confronti della Cina peggiorare di 6 punti percentuali, al 39%, mentre il giudizio negativo sulla Russia sale di 8 punti, al 42%. In media il 43% della popolazione mondiale valuta in modo negativo l'impatto degli Stati Uniti sul resto del mondo. La ricerca, che ha coinvolto 13mila persone di 21 paesi diversi, è stata condotta dall'istituto internazionale GlobeScan nel quadro del Programma sulle Attitudini politiche internazionali (Pipa) dell'Università del Maryland nelle dieci settimane precedenti al 1 febbraio. Nel corso dell'indagine precedente gli intervistati avevano mostrato un'attitudine più accondiscendente nei confronti di questi due paesi, sostenendo che tanto la Cina che la Russia avevano complessivamente un'influenza positiva nel mondo. Sulla Cina l'opinione è esattamente spaccata in due: il 40% considera il suo ruolo in modo negativo, il 39% in modo positivo. "Evidentemente, ci vuole ben altro che dei Giochi olimpici riusciti per spazzare via i timori della gente", commenta il presidente di GlobeScan, Doug Miller. Per quanto riguarda Mosca, l'opinione pubblica mondiale è più schierata: 42% di giudizi negativi, contro il 30% di giudizi positivi. "Tanto più si comporta come l'ex Unione sovietica, tanto meno viene apprezzata dai cittadini al di fuori dei suoi confini", spiega Miller. Per la prima volta dal 2005 (da quando è iniziato questo tipo di sondaggi) gli Stati uniti hanno sorpassato la Russia sui rating positivi, con una media del 40% rispetto al 35% dello scorso anno. Ma la politica di Washington è ancora considerata in modo negativo dal 43% degli intervistati (lo scorso anno era il 47%). L'immagine degli Stati uniti è migliorata in sei paesi. "Nonostante questo sondaggio mostri che molte persone nel mondo si augurano che l'elezione di Obama porti ad un miglioramento delle relazioni Usa con il resto del mondo, è chiaro che la sua elezione da sola non è sufficiente a far cambiare la rotta", commenta Steven Kull, direttore di Pipa. Fra i Paesi meglio considerati al mondo spicca la Germania, che gode della maggioranza dei pareri positivi in tutti i Paesi del sondaggio e il cui ruolo nel mondo viene considerato positivo da una media del 61% della popolazione mondiale, contro il 55% dello scorso anno. Anche l'immagine della Gran Bretagna è migliorata nettamente, dal 51% al 58%. I risultati finali si basano sulle risposte di 13.575 persone di 21 Paesi di tutto il mondo. Il sondaggio prevede un margine di errore tra 2,4% e 4,4%.

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La conquista dell'Africa decolla da Vicenza (sezione: Globalizzazione)

( da "Manifesto, Il" del 06-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

AFRICOM Il Dal Molin nel dispositivo Usa La conquista dell'Africa decolla da Vicenza Manlio Dinucci Il giorno prima dell'occupazione dell'aeroporto Dal Molin per impedire la costruzione della nuova base Usa, è giunta a Vicenza da Washington la vice-segretaria della Difesa per gli affari africani, Theresa Whelan, per confermare che Vicenza avrà un ruolo sempre più importante nella strategia statunitense. Lo scorso dicembre, infatti, la Forza tattica nel Sud Europa (Setaf) è stata trasformata nello U.S. Army Africa (Esercito Usa per l'Africa), componente del Comando Africa (AfriCom) divenuto operativo in ottobre. In un seminario svoltosi alla Caserma Ederle, ora quartier generale Setaf/U.S. Army Africa, la Whelan ha sottolineato che tale trasformazione costituisce «un nuovo modo di guardare all'Africa». La Whelan e il gen. William Garrett, comandante dello U.S. Army Africa, hanno spiegato che il nuovo comando si concentra sull'addestramento di militari africani, fornendo anche «la guida su come gestire le loro forze». In questo è affiancato dal Centro di eccellenza per le Stability Police Units (CoESPU), istituito dai Carabinieri a Vicenza per addestrare forze di «peacekeeping» in gran parte africane: la Wheelan vi si è recata in visita, intrattenendosi in particolare col vice-direttore del Centro, il colonnello Charles Bradley dello U.S. Army. Il quartier generale di Vicenza opererà nel continente africano con «piccoli gruppi» (complessivamente, all'inizio, 600 uomini), ma sarà pronto, se necessario, a condurre operazioni di «risposta alle crisi», servendosi della 173esima brigata aviotrasportata, di stanza a Vicenza. I «piccoli gruppi», comprendenti anche unità della Guardia nazionale e della Riserva, attueranno in Africa «programmi di cooperazione», aiutando a «promuovere la stabilità regionale e le relazioni tra civili e militari». Nei prossimi anni, ha sottolineato il gen. Garrett, «lo U.S. Army Africa continuerà a crescere». Crescerà di pari passo il ruolo del comando delle forze navali AfriCom, situato a Napoli. Si tratta di un «impegno prolungato», frutto del «riconoscimento americano della crescente importanza strategica dell'Africa». A riconoscere tale importanza non sono però solo gli Usa. Lo dimostra l'affollamento di navi da guerra lungo le coste del Corno d'Africa, con la motivazione della lotta contro i pirati somali. In quest'area strategica - comprendente il Golfo di Aden all'imboccatura del Mar Rosso (dove, a Gibuti, è stazionata una task force statunitense) - incrociano la Combined Task Force 151, una forza navale Usa cui partecipano unità di 20 paesi alleati; lo Standing Nato Maritime Group 2, un gruppo navale Nato, e la EuNavFor Atalanta, una squadra dell'Unione europea. Ma sono presenti anche navi da guerra cinesi e russe, cui si aggiungeranno quelle giapponesi. E lo scorso dicembre il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha votato all'unanimità una risoluzione, presentata dagli Usa, che autorizza a «inseguire i pirati all'interno della Somalia». Qui, dopo il ritiro delle truppe etiopi (inviate nel 2006 in una operazione a regia Usa), i movimenti islamici hanno ripreso il controllo del territorio. In questa e altre zone - soprattutto l'Africa occidentale, ricca di petrolio e altre materie prime strategiche - l'AfriCom fa leva sulle élite militari per portare il maggior numero di paesi africani nella sfera d'influenza statunitense. Compito non facile, sia per la crescente resistenza delle popolazioni (in particolare nel delta del Niger), sia per la crescente concorrenza cinese. La Cina è il secondo partner commerciale dell'Africa, dopo gli Stati uniti, ma i suoi investimenti sono in forte crescita anche nei paesi più legati agli Usa. In Etiopia, lo scorso gennaio, la China Exim Bank ha investito 170 milioni di dollari per la costruzione di un complesso residenziale di lusso ad Addis Abeba, e un'altra società cinese, la Setco, ha annunciato la costruzione della più grande fabbrica di pvc del paese. In Liberia, la China Union Investment Company ha investito 2,6 miliardi di dollari nelle miniere di ferro. Società cinesi hanno effettuato grossi investimenti (2 miliardi di dollari per paese) anche nei settori petroliferi di Nigeria e Angola, finora dominati dalle compagnie occidentali. Ma la concorrenza cinese agli Usa non si limita al piano economico. Pechino sostiene governi, come quelli dello Zimbabwe e del Sudan, invisi a Washington, ai quali fornisce anche armi. È una tacita, ma per questo non meno reale sfida agli interessi statunitensi e occidentali in Africa, la cui «crescente importanza strategica» è chiara non solo a Washington ma anche a Pechino. Da qui il «nuovo modo di guardare all'Africa», cui l'Italia si accoda, che in realtà è solo un modo nuovo di realizzare la vecchia politica coloniale.

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toyota affonda, perdite triplicate s&p e moody's la retrocedono - federico rampini (sezione: Globalizzazione)

( da "Repubblica, La" del 07-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Pagina 19 - Economia Toyota affonda, perdite triplicate S&P e Moody´s la retrocedono Crolla la domanda, gli incentivi non risollevano le vendite Addio alla "tripla A". Mercato colpito dal calo del potere d´acquisto FEDERICO RAMPINI Nello stesso giorno in cui il governo italiano vara gli incentivi per l´auto crolla il bilancio della Toyota: un buco improvviso di 3 miliardi di euro affonda la casa automobilistica fin qui più solida e competitiva del mondo. La coincidenza non è di buon auspicio. Gli eco-incentivi faranno ripartire un mercato agonizzante, o sono risorse sprecate? Per rispondere è essenziale capire la natura di questa crisi, ben diversa da altri cicli congiunturali che l´automobile ha conosciuto in passato. In questa fase la causa dominante del disastro dell´automobile, in tutto il mondo, è la caduta della domanda dei consumatori. Se non si dà potere d´acquisto alle famiglie, intervenire dal lato dell´offerta (come si fa con gli incentivi all´auto che di fatto riducono i prezzi) è una ricetta inadeguata. Non si salva neppure chi produce le auto migliori del mondo: le Toyota lo sono, almeno secondo il verdetto dei consumatori, visto che dall´anno scorso il colosso giapponese ha conquistato la leadership mondiale delle vendite superando la General Motors. Toyota è stata la casa più lungimirante nell´anticipare gli effetti della crisi energetica, mise sul mercato la sua Prius ibrida (motore misto a elettricità e benzina) più di dieci anni fa. Ha costruito un predominio sull´affidabilità, i prezzi, il controllo dei costi. Eppure Toyota è nell´occhio del ciclone. Due mesi dopo aver annunciato il primo bilancio in rosso nella sua storia, ieri ha nuovamente sorpreso i mercati con l´improvvisa rivelazione che le perdite sono il triplo del previsto (450 miliardi di yen). Ha subìto l´onta di un downgrading della sua solvibilità finanziaria, perdendo il voto Aaa presso Standard & Poor´s e Moodys. Quando un leader globale come Toyota vede precipitare del 31% in un mese le vendite in America, del 24% in Europa e del 14% in Giappone, non c´è politica di aiuti di Stato né di incentivi che possa aiutarlo. All´estremità opposta del mercato, chi non ha saputo innovare né ha la stessa reputazione di qualità della Toyota, ha provato a spingere fino in fondo la logica degli incentivi. «Compra due auto al prezzo di una», è la trovata di alcuni disperati concessionari Chrysler negli Stati Uniti. Ha conquistato qualche titolo sui giornali, ma l´effetto sulle vendite è stato nullo. A gennaio il bollettino delle immatricolazioni sul territorio Usa è stato catastrofico: meno 49% General Motors, meno 40% Ford, meno 55% Chrysler. La causa fondamentale è nei dati usciti ieri sul mercato del lavoro. L´America sta distruggendo 600.000 posti di lavoro al mese. Una simile ecatombe riduce il reddito delle famiglie, e accentua l´atmosfera di insicurezza generale. Dare sussidi alle case automobilistiche - come pure il Congresso di Washington s´intestardisce a fare - può tappare buchi nei bilanci per qualche semestre, ma l´effetto sulle vendite è inesistente. Ridurre i prezzi, per volontà propria dei produttori o grazie agli eco-incentivi per la rottamazione, non aggredisce la causa. La maggioranza dei consumatori non ha la scelta. Deve tenersi l´auto che ha, e rinviare ogni acquisto, finché non ha certezze che il suo reddito torna a salire. La controprova: gli unici due mercati al mondo che hanno continuato a registrare un aumento nelle vendite di autovetture sono la Cina e l´India. Non a caso, due nazioni dove la crisi ha rallentato la crescita ma non al punto da generare una recessione. L´aumento del Pil e dei redditi si è ridotto ma ha ancora il segno positivo nei due giganti asiatici. Inoltre Cina e India non sono mercati di sostituzione bensì hanno un vasto ceto medio che si avvicina alla "prima motorizzazione", l´acquisto della prima vettura familiare. La chiave, dunque, è sempre dal lato della domanda. E´ grazie alla domanda che la Cina ha superato gli Stati Uniti diventando il primo mercato mondiale dell´automobile (10,7 milioni di vendite cinesi su base annua, contro 9,8 milioni in America). Naturalmente tutti quei governi che intervengono ad aiutare l´industria dell´auto lo fanno in nome di un´emergenza sociale. Ed è pur vero che in confronto ai costi delle crisi bancarie i due miliardi di euro che Roma stanza per gli eco-incentivi alla rottamazione sono poca cosa. Il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ha ricordato che se si include tutto l´indotto la crisi dell´auto minaccia 300.000 posti di lavoro. Ma la politica degli incentivi ha effetti perversi che sono stati messi a fuoco con precisione dall´economista Paolo Manasse (sul sito www. lavoce. info). Poiché il reddito spendibile delle famiglie italiane ristagna o è in calo, l´effetto degli incentivi è spostare la domanda dei consumatori a favore dell´auto, ma penalizzando altri beni. Per ogni 100 euro di maggior spesa per un´auto di piccola-media cilindrata, se ne spendono tra i 25 e i 90 in meno altri prodotti come lavatrici, hi-fi e altri elettrodomestici. Poiché anche l´industria del "bianco" (elettrodomestici) ha importanti basi produttive in Italia, non stupisce che qualche mese fa circolasse l´ipotesi di allargare gli eco-incentivi ai frigoriferi. E´ una spirale senza fine, in cui ogni settore può sentirsi legittimato a chiedere aiuti di Stato sull´esempio dell´automobile. E´ una via irta di tentazioni protezioniste, perché ogni governo cerca di aiutare i "suoi" industriali; in questa gara l´Italia ha solo da perdere perché ha meno risorse pubbliche da spendere. Il vero problema resta comunque l´inefficacia. Una corda si può tirare ma non si può spingere. La decisione di consumare non si può inculcare a forza, a chi non ne ha né la motivazione né i mezzi.

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Dal protezionismo al neonazionalismo semantica della crisi (sezione: Globalizzazione)

( da "Riformista, Il" del 07-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Evoluzioni/1 La questione commerciale non è più solo economica, ma politica e strategica Dal protezionismo al neonazionalismo semantica della crisi Geoeconomia. Non è più tempo di scontri di civiltà. Come ha intuito Robert Kagan, ora i problemi arrivano dalle nazioni e lo dimostrano la crisi della Wto e le tensioni nel mercato unico europeo. di Stefano Feltri In tempi di crisi anche il linguaggio ha un ruolo: identifica i problemi, suggerisce soluzioni, ispira slogan e programmi elettorali. Ieri l'unico vero giornale globale, cioè l'Economist, ha scelto per la sua copertina il titolo "The return of economic nationalism". Nazionalismo, non protezionismo. Perché come dimostrano le tensioni registrate tra Italia e Gran Bretagna nell'ultima settimana (scioperi di operai contro gli specialisti siciliani che hanno vinto un subappalto della Total vicino Londra) ormai il tema del libero commercio, delle barriere, del sostegno alle economie domestiche a spese di quelle vicine, è uscito dal dibattito accademico tra economisti per diventare una questione politica, con aspetti diplomatici e di relazioni internazionali. Sarà una coincidenza, ma sull'edizione asiatica del Time di oggi anche il columnist Chan Akya individua un legame tra due concetti spesso usati come sinonimi: «Proteste che invocano il nazionalismo come debole scusa per il protezionismo si sono sentite in tutto il continente europeo», e chiude il suo commento invocando un dumping finanziario dei paesi asiatici in Europa e America per evitare di pagare il conto della crisi. Il primo segnale del nuovo clima è arrivato, sostiene l'Economist, dal provvedimento buy american che vincola gli aiuti di Stato federali all'acquisto di beni e servizi americani, una clausola di cui lo stesso Barack Obama non è convinto e che già è stata ammorbidit, ma che secondo l'Economist dovrebbe addirittura essere cancellata. Oppure il mondo sprofonderà in «deep trouble», grandi problemi. Perché i piani anticrisi nazionali sono già di per sè un fattore di tensione, in quanto creano condizioni di vantaggio per le imprese radicate nei paesi più interventisti, ma se includono clausole protezioniste la situazione può degenerare. Basta vedere il caso francese: il presidente Nicola Sarkozy ha promesso che il sostegno ai produttori di auto sarà vincolato alla tutela dei lavoratori francesi, e solo di quelli, una disposizione che forse (ancora non è chiaro) potrebbe addirittura essere interpretata come un obbligo di acquistare anche beni intermedi e componentistica fabriqué en France. Contro tutti i principi del mercato unico europeo che, come denuncia quasi tutte le settimane la Commissione europea, rischia di essere la vera vittima di questa nuova fase della crisi. La riscoperta dell'interesse nazionale - economico, ma anche "strategico", aggettivo che sempre accompagna le industrie di cui bisogna giustificare il salvataggio - era già stata prevista dal più brillante dei neocon americani, Robert Kagan, che sul Weekly Standard e poi nel suo libro "Il ritorno della storia e la fine dei sogni" scriveva: «Il nazionalismo, e la nazione stessa, non è affatto indebolito dalla globalizzazione, è ritornato in cerca di vendetta. E il più significativo il ritorno di nazionalismo delle grandi potenze». La visione di Samuel Huntington (1996) di un mondo in cui le nazioni scompaiono e restano solo le civiltà destinate a uno scontro lungo «linee di faglia» etinco religiose è già invecchiata, così come quella di Francis Fukuyama (fine della storia, il capitalismo all'Occidentale ha vinto), e persino il concetto di Free World (il mondo libnero uscito dalla Guerra fredda che ruota attorno all'asse Angloamericano) dello storico Timothy Girton Ash sembra superato. Per citare ancora Kagan: «Ci sono nuove linee di faglia geopolitiche dove le ambizioni delle grandi potenze si sovrappongono e dove è più probabile che si scatenino i terremoti del futuro». E queste nuove linee di faglia, racconta la cronaca di questi giorni, sono le dogane, quelle fisiche per i beni e quelle virtuali per la finanza. Ma come ha intuito l'Economist, negli snodi di queste tensioni ci sono le nazioni, non le aggregazioni regionali, come sembrava fino a pochi mesi fa: l'Europa che aveva cancellato le frontiere al proprio interno le sta riscoprendo, con incentivi differenziati che creano squilibri su base nazionale, dall'auto alla garanzia dei depositi bancari, e con la fine del semestre di presidenza francese ha perso l'unico leader (Sarkozy) che era riuscito a presentarsi come referente politico del'intera Unione. E la crisi del mercato unico coincide con la presidenza dell'euroscettico e impalpabile Mirek Topolanek, primo ministro ceco. La seconda area di libero scambio più grande del mondo, il Nafta (Stati Uniti, Messico, Canada) risente del ritrovato isolazionismo, almeno commerciale, di Washington, mentre perfino la Cina non può più usare i frutti della propria crescita economica per espandere la propria influenza e consiladare un blocco asiatico, ma si sta ripiegando sulle proprie esigenze interne dopo il rallentamento della corsa del Pil. E il Wto è virtualmente morto, impiccato al round di negoziati di Doha 2001 che non si è mai concluso e nel quale neppure il suo segretario Pascal Lamy sembra riporre grandi speranze. Ora è il momento delle nazioni. 07/02/2009

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Coraggio e fantasia per vedere la luce in fondo al tunnel (sezione: Globalizzazione)

( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 07-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Commenti Pagina 341 Coraggio e fantasia per vedere la luce in fondo al tunnel --> Col passare del tempo, le ricadute della recessione e della disoccupazione vanno appesantendosi, a livello globale e regionale. I dati recenti delle Nazioni Unite (Onu) confermano la frenata della crescita economica persino nei Paesi emergenti (Cina, India che facevano da traino con incrementi a due cifre percentuali) e in quelli in via di sviluppo. Nei Paesi industrializzati dove la crescita media era sostenuta ma non esagerata, si prevedono sostanziali marce indietro (eurogruppo). Riguardo alla disoccupazione, si calcola che i senza lavoro nel mondo hanno raggiunto quota un miliardo. Nell'Unione europea (Ue), sono i Paesi dell'eurogruppo che registrano i maggiori incrementi nel numero dei disoccupati (molti dei quali senza cassa integrazione). Rispetto all'Europa, negli Usa la situazione è peggiore: si scopre che quattro milioni di bambini non beneficiano di copertura sanitaria. Il presidente Barack Obama vi ha posto rimedio, con priorità, onorando i suoi impegni elettorali. La tesi ormai condivisa (ad eccezione dell'ottimismo di facciata e del patriottismo di maniera) è che si tratti della crisi più grave, seconda solo a quella scoppiata nel 1929. Mentre si conosce la durata storica della Grande Depressione, l'incertezza regna sovrana, tra specialisti e decisori politici, sulla durata della crisi attuale. La tendenza è che anche questa non sarà breve. L'aspetto positivo da rilevare è, tuttavia, il diverso comportamento assunto dai decisori politici attuali rispetto a quelli che affrontarono la crisi ottant'anni fa. In effetti, i responsabili politici d'allora agirono a compartimenti stagni che allungarono la durata della crisi mentre quelli di oggi possono agire in un sistema di vasi comunicanti che ne facilitano l'accorciamento. Una prima risposta al nuovo comportamento è stata data nel summit dei capi di Stato e di governo del G20 che ha affrontato, principalmente, lo tsunami finanziario, a Washington a metà novembre 2008. Il prossimo vertice G20, fissato a Londra per il 2 aprile, oltre a fissare nuove regole per evitare il ripetersi di simili caos finanziari, dovrà necessariamente trovare risposte appropriate per affrontare e assorbire la crisi dell'economia reale e l'impennata della disoccupazione. È utile rilevare a riguardo l'originalità della proposta fatta dalla cancelliera tedesca Angela Merkel di creare in seno all'Onu un Consiglio di sicurezza economica, simile a quello di difesa ma con più equa ripartizione di diritti e doveri, vista la portata planetaria di questi fenomeni. La nuova presa di coscienza dell'America (grazie alla vittoria elettorale del presidente Obama e alla maggioranza democratica al Congresso), dell'Europa (grazie all'esempio della coesione più marcata dell'Ue durante la presidenza francese), dei Paesi emergenti e dei Paesi in via di sviluppo (grazie all'accresciuta importanza del loro ruolo), potrebbe dar luogo progressivamente a un mondo più equo e sostenibile (grazie all'auspicio "onusiano", già citato, formulato da Angela Merkel e alla rivoluzione verde di Obama che segue quella lanciata dall'Ue). Il tutto è politicamente realizzabile a condizione di eliminare sul nascere nuovi fenomeni protezionisti nazionali o regionali come Buy American, Achetez Français, comprare cinese o padano (lanciati di recente e poi ritrattati), perché essi fanno a pugni in un mondo globalizzato. È doveroso, tuttavia, analizzare le cause che danno luogo a questo tipo di fenomeni (compreso quello sollevato dagli operai inglesi contro gli operai italiani, perché si tratta nel caso Total di guerre tra poveri). Sono fenomeni, per giunta, vietati in seno all'Ue a difesa della libera circolazione della manodopera e dal rigetto del dumping sociale, per evitare atti discriminatori tra i Ventisette. Con volontà e perseveranza politica, la crisi può essere ridotta non solo nella sua durata ma può trasformarsi in una nuova opportunità per il genere umano, passando progressivamente dalla rivoluzione industriale inquinante e tecnicamente obsoleta alla rivoluzione verde (con grandi manifatture hightech e medie e piccole imprese) di sviluppo sostenibile, che salvaguardi l'ambiente, protegga la salute, crei milioni di posti di lavoro e riduca la miseria nel mondo. Il coraggio e la fantasia, tenendo saldi i piedi per terra ed evitando di sminuire la gravità della crisi in corso, spronano a rimboccarci le maniche e ci lasciano intravedere un raggio di luce in fondo al tunnel. ANTONIO MARONGIU (marongiuantonio@tiscali.it)

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Le scorte schiacciano l'alluminio (sezione: Globalizzazione)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 07-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Il Sole-24 Ore sezione: MATERIE PRIME data: 2009-02-07 - pag: 34 autore: Metalli non ferrosi. L'offerta non scende abbastanza - Stock Lme vicini a 2,87 milioni di tonnellate Le scorte schiacciano l'alluminio Riaffiora l'idea di un nuovo Memorandum of understanding Roberto Capezzuoli Negli ultimi mesi i tagli all'attività delle fonderie di alluminio hanno raggiunto i 5,5 milioni di tonn., quasi il 14% della capacità complessiva. L'impatto sulle quotazioni del London Metal Exchange (Lme) è stato però modesto: il prezzo settlement ha toccato il 23 gennaio 1.290 $/tonn., minimo degli ultimi sei anni, e solo in seguito si è visto un graduale rialzo, fino ai 1.422 $ di ieri. Il record storico del luglio scorso ( 3.291,50 $) è lontano e i valori attuali sono del 45% inferiori a quelli di un anno prima. La sensazione degli addetti ai lavori è che occorrano cure più drastiche, perché i consumi, specialmente nell'auto e nell'edilizia,calano più rapidamente dell'offerta. Ad amplificare la situazione c'è l'abnorme quantità di alluminio giacente nei magazzini Lme: quasi 2,87 milioni di tonn., un volume mai visto, che rischia di obbligare i magazzini a custodire l'alluminio all'aperto, per evitare che non resti spazio agli altri metalli. Qualche operatore non esclude che le scorte salgano entro l'anno fino a 4 milioni di tonn., perché il deposito può favorire la concessione di crediti e perché una parte dei costi è "pagata" dal contango (il prezzo per consegna differita infatti è più alto di quello cash). La situazione ha accelerato l'annuncio di nuove riduzioni dell'attività. In precedenza la Cina aveva diminuito l'output del 20%, tagliando 2,5 milioni di tonnellate annue,l'americana Alcoa nelle scorse settimane aveva ridotto la produzione di 750mila tonn., seguita da vicino da tutti i big dell'alluminio. Negli ultimi due giorni la statunitense Century ha ipotizzato la chiusura di Ravenswood, fonderia da 170mila tonnellate annue, e la norvegese Norsk Hydro si è detta pronta a sospendere del tutto l'impianto tedesco di Neuss, capace di 230mila tonn. ma gravato da alti costi dell'energia. La mossa più incisiva peròè stata annunciata da Rusal, il numero uno russo, feudo di Oleg Deripaska, che ne controlla il 56,76%. Deripaska ha appena sostenuto che «non è più il caso di sperare, è meglio prepararsi al peggio». Da aprile il gruppo ridurrà del 5% la forza lavoro (oggi a 90mila unità, in 19 Paesi), dell'11% la produzione di alluminio e del 30% quella dell'intermedio allumina (sarà sacrificata anche l'italiana Eurallumina,che produce oltre un milione di tonnellate annue). «C'è una forte eccedenza – dice Deripaska – che porterà a scenari del tutto nuovi, destinati a confermarsi per i prossimi 7-10 anni». L'ipotesi di tagli definiti da un Memorandum of Understanding, come quello deciso nel '94 dai grandi Paesi produttori (Usa, Canada, Norvegia, Ue,Australia e Russia,responsabile quest'ultima delle eccedenze a causa del tracollo dei consumi della sua industria bellica) non sembra percorribile: ogni accordo oggi dovrebbe infatti passare al vaglio della Cina edella Wto.

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Usa, la salvezza nel debito pubblico (sezione: Globalizzazione)

( da "Corriere della Sera" del 07-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Focus Vuota - data: 2009-02-07 num: - pag: 12 categoria: REDAZIONALE Il fabbisogno Il Tesoro dovrà raccogliere 2 mila miliardi di dollari per riuscire a finanziare i piani di rilancio economico L'esposizione Oggi le famiglie hanno un saldo negativo uguale al pil. Risparmio e recessione potrebbero farlo scendere all'85% Usa, la salvezza nel debito pubblico La Fed disposta ad acquistare i titoli del Tesoro per pagare i salvataggi. è la prima volta nella sua storia I l 28 gennaio 2009 è scivolato via nelle cronache finanziarie. Eppure potrebbe acquisire una rilevanza particolare nella storia delle Depressionomics. E' stato infatti in quel martedì di ordinaria tensione a Wall Street che la Federal Reserve ha annunciato di essere pronta a sottoscrivere i titoli del debito pubblico degli Stati Uniti in emissione nei prossimi mesi per finanziare gli stimoli all'economia lanciati dal presidente Obama e la serie, non si sa quanto lunga, dei salvataggi aperta dal suo predecessore Bush. Il governatore della Federal Reserve di Richmond, l'economista Jeffrey Lacker, avrebbe voluto l'inizio immediato degli acquisti e perciò ha votato contro la più cauta decisione del Federal Open Market Committee che passerà all'azione quando se ne ravviserà l'utilità per la salute del mercato. Ma già l'annuncio di una tale disponibilità non ha precedenti nei 95 anni di storia delle 12 banche centrali nazionali che formano il sistema della Federal Reserve. I titoli di Stato sono sempre figurati nell'attivo di queste istituzioni quale contropartita di quella speciale posta passiva che è costituita dalla base monetaria, ovvero dai dollari in circolazione. In questi 18 turbolentissimi mesi, la Fed ha scambiato una parte degli 800 miliardi di Treasury Bills e affini che aveva all'attivo, merce buona e sicura, con anticipazioni alle banche e titoli tossici di varia natura da queste rilevati, merce rischiosa o addirittura scadente. Una decisione sostanzialmente obbligata per evitare il collasso irrimediabile del sistema bancario e però insufficiente allo scopo. Adesso, il presidente della Fed, Ben Bernanke, si dice pronto a ben altro, e cioè a «investire» in nuovi titoli pubblici. A questo punto, la prima domanda è: perché la svolta? La risposta — ovvia e, al tempo stesso, molto seria — può essere così riassunta: l'emittente, e cioè il Tesoro, si assicura la promessa di soccorso da parte della banca centrale perché non è più certo che quanti finora son corsi a sottoscrivere le sue obbligazioni lo facciano ancora nella misura necessaria. L'America è sempre meno creditrice di se stessa. Ormai il 44% del debito pubblico costituito da titoli negoziabili è in mani estere e due terzi di questa cifra fa capo alle banche centrali di Giappone e Cina. E nessun investitore internazionale è tranquillo sulla tenuta del cambio del dollaro. Si potrebbe dunque indagare sui legami personali tra il nuovo segretario al Tesoro, Tim Geithner, che prima governava la Federal Reserve di New York, e i suoi ex colleghi per capire se e come quelle relazioni abbiano favorito la svolta che mette definitivamente la Fed al servizio del Tesoro. Il tema sarebbe interessante anche per un Paese come l'Italia che a suo tempo presentò il divorzio della sua banca centrale dal Tesoro una scelta di virtuoso rigore. Ma ci disperderemmo. Meglio porci la seconda domanda: quanti soldi servono al Tesoro Usa? Al netto delle obbligazioni in scadenza da rifinanziare, Geithner dovrà raccogliere 2.000-2.500 miliardi di dollari per coprire la coda del piano Paulson, i sostegni a Fannie Mae e Freddie Mac e al sistema dei mutui immobiliari e delle carte di credito, ora in fase di attuazione, nonché lo stimolo obamiano all'economia per 825 miliardi. E' una massa imponente di denaro, un terzo di quella parte del debito pubblico federale, 6.300 miliardi, detenuta dagli investitori nazionali e internazionali (poi, come spieghiamo nell'altro articolo, ci sono le altre componenti, palesi e opache, del debito pubblico). E' vero che la fuga dalla Borsa e dal mattone non è ancora finita. Ma è anche vero che questo processo di disinvestimento è in atto da tempo e tende ormai a ricostituire sempre meno liquidità. Lo scoppio della bolla non è senza conseguenze e diminuisce drasticamente la ricchezza finanziaria trasferibile da un impiego all'altro. Ed è ancor più vero che il Tesoro americano avrà concorrenti agguerriti nei Tesori di Eurolandia, anch'essi impegnati in imponenti emissioni aggiuntive, mentre i Paesi con le maggiori riserve valutarie, a cominciare dalla Cina, dovranno riorientare una parte dei flussi monetari verso il mercato interno. Una spia delle nuove incertezze si è già accesa con l'incremento dei tassi sui titoli decennali dal 2% al 2,95%. Se dunque un pronto intervento della Federal Reserve entra nel novero delle probabilità, la terza domanda che viene spontanea è: con quali soldi Bernanke pagherà i titoli del suo ex collega Geithner? Poiché la Fed ha già impegnato tutte le sue risorse, sarebbe molto rischioso, ammesso che sia possibile, raccogliere depositi a breve dalle banche per comprare obbligazioni a medio termine del Tesoro. Con ogni probabilità, la Fed stamperà nuova moneta, e lo farà in grande copia. Il rischio di inflazione è immanente in un rapido incremento della quantità di moneta, ma la scarsità della domanda ne rinvia la manifestazione all'avvio della ripresa. E siccome ogni giorno ha la sua pena, se ne riparlerà più avanti. L'emergenza, adesso, è il contrasto della recessione. Ma l'impennata debito pubblico nel Paese più importante del mondo che l'aveva fin qui considerato il peggiore dei debiti, segno inequivocabile di inefficienza terzomondista, cambia comunque il paesaggio dell'economia. Gli Usa — lo dicono in tanti — hanno alimentato il loro sviluppo con uno smodato ricorso al debito. Tutti (famiglie, imprese, banche, finanziarie, amministrazioni pubbliche centrali e periferiche) hanno fatto ricor

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L'Iran fa tremare Obama e il mondo">Dopo il satellite la bomba atomica L'Iran fa tremare Obama e il mondo (sezione: Globalizzazione)

( da "Affari Italiani (Online)" del 07-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

L'Iran fa tremare Obama e il mondo Sabato 07.02.2009 14:00 In America la parte migliore del potere non è come gestirlo, ma come raggiungerlo. Lo sta scoprendo Obama, la cui lunga ed esaltante campagna presidenziale ha entusiasmato il mondo intero e galvanizzato lo stesso giovane senatore dell'Illinois. Poi ha vinto e adesso gli tocca far seguire i fatti alle parole. Criticare da fuori è più facile che gestire da dentro e adesso, tra congedi forzati di membri appena nominati del suo staff e sorprese dall'estero, Obama scopre addirittura che il suo predecessore non aveva tutti i torti quando spingeva per la costruzione di un ombrello missilistico in Europa. Non ha nemmeno finito di rassicurare la Russia promettendo di non procedere con quel progetto ed ecco che l'Iran lancia un satellite utilizzando un vettore a combustibile solido in grado di portare testate convenzionali o nucleari in Europa ed in tutto il Medio Oriente, Israele incluso ovviamente. Sembra di essere tornati alla Guerra Fredda: presidenti, primi ministri ed i loro stati maggiori europei e americani sono naso all'insù ad osservare preoccupati il decollo del satellite iraniano, che oltre a ricevere e lanciare trasmissioni su diverse frequenze lancia anche all'Occidente e ad Israele un messaggio poco rassicurante. Questo è un "film" che abbiamo già visto: tra non molto, al massimo un paio d'anni, l'Iran annuncerà al mondo il successo del suo primo esperimento nucleare militare. Prima di quell'annuncio ci sono due possibili strade da seguire. La prima: non fare nulla ed osservare atterriti quanto è già avvenuto con India e Pakistan negli anni '70, tuttalpiù replicando la farsa degli inutili gruppi di contatto, totalmente superflui finchè Russia e Cina continueranno più o meno scopertamente ad aiutare gli ayatollah. La seconda: iniziare da subito una pesante offensiva diplomatica ed economica contro l'Iran, volta ad un vero isolamento di quel regime. Mentre India e Pakistan sono comunque democrazie (la prima è la più grande del mondo e la seconda ha recentemente defenestrato incruentamente un "dittatore"), l'Iran è un paese la cui rivoluzione è stata in realtà un vero golpe che ha instaurato un regime teocratico e feroce. Come abbiamo prefigurato su queste colonne, gli USA sono stati colti di sorpresa, né il nuovo Segretario di Stato Hillary Clinton ha mai speso una parola degna di rilievo sul nucleare iraniano. L'idea di sedersi a tavolino con Ahmadinejad e trattare con lui può essere ancora valida, ma appare più una prospettiva volta al "damage control" che non uno stop effettivo alle ambizioni nucleari iraniane. Oltretutto, chi conosce il mondo arabo, sa che presso quelle culture il gesto di disponibilità è spesso frainteso per segnale di debolezza. Pur riconoscendo alla diplomazia e alla leadership iraniana una maggiore sofisticazione nel disbrigo degli affari internazionali, il timore che una forma mentale antica contribuisca a creare equivoci è forte. In ogni caso, in questo quadro ogni strategia di dialogo è vana se prima non capiamo se questa che sembra destinata a diventare una potenza militare provvista di arma nucleare intenda continuare a bluffare o piuttosto non dia ascolto per davvero ai suoi alleati più moderati e alle Nazioni Unite. Obama dietro le quinte GUARDA LA GALLERY pagina successiva >>

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MARCEGAGLIA: FMI, URGENTI RIFORME, CONCORRENZA E PENSIONI (sezione: Globalizzazione)

( da "Wall Street Italia" del 07-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Marcegaglia: Fmi, urgenti riforme, concorrenza e pensioni di ANSA Inaccettabile un credito alle imprese da 70 mld con lo Stato -->(ANSA) - VENEZIA, 7 FEB - Lo scenario Fmi di un'Italia dalle prospettive 'tetre' non e' del tutto condivisibile ma occorre che il Paese attui le riforme. Cosi' la Marcegaglia che vuole riforma pensioni,piu' concorrenza, riduzione spesa pubblica improduttiva.E'poi 'inaccettabile' un credito alle imprese da 70 miliardi di euro con lo Stato' e, se le risorse europee non saranno sufficienti,lo Stato stanzi piu' soldi per gli ammortizzatori sociali.Si pensi a sgravi fiscali. No allo Stato in banche o imprese'. 'Sarebbe un errore fatale','siamo appena usciti da questo vizio' ha sentenziato la Marcegaglia. Sul linguaggio Fmi: 'Non lo condivido del tutto ma in questo momento non dobbiamo dimenticarci di fare le riforme'. Sul credito di 70 miliardi, la presidente e' del parere che si ricorra alla Cassa depositi e prestiti ma 'meglio sarebbe se lo Stato paga direttamente il credito alle imprese'. E' urgente che 'chi perde il posto di lavoro sia supportato da ammortizzatori sociali. Vogliamo uno stanziamento maggiore'. Uno spiraglio nella crisi ci sara' nel 2010, con un miglioramento delle aree emergenti come Cina, India e Africa. 'Bisogna tenere i nervi saldi non bisogna non fare nulla'. Sulla vicenda Lindsey la Marcegaglia ha messo in guardia dal protezionismo, come sembra stia per avvenire in Usa sul fronte dell'acciaio.(ANSA).

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Marcegaglia: Fmi, urgenti riforme, concorrenza e pensioni (sezione: Globalizzazione)

( da "Trend-online" del 07-02-2009)

Argomenti: Cina Usa

Marcegaglia: Fmi, urgenti riforme, concorrenza e pensioni ANSA NEWS, clicca qui per leggere la rassegna di Ansa , 07.02.2009 15:00 Scopri le migliori azioni per fare trading questa settimana!! (ANSA) - VENEZIA, 7 FEB - Lo scenario Fmi di un'Italia dalle prospettive 'tetre' non e' del tutto condivisibile ma occorre che il Paese attui le riforme. Cosi' la Marcegaglia che vuole riforma pensioni,piu' concorrenza, riduzione spesa pubblica improduttiva.E'poi 'inaccettabile' un credito alle imprese da 70 miliardi di euro con lo Stato' e, se le risorse europee non saranno sufficienti,lo Stato stanzi piu' soldi per gli ammortizzatori sociali.Si pensi a sgravi fiscali. No allo Stato in banche o imprese'. 'Sarebbe un errore fatale','siamo appena usciti da questo vizio' ha sentenziato la Marcegaglia. Sul linguaggio Fmi: 'Non lo condivido del tutto ma in questo momento non dobbiamo dimenticarci di fare le riforme'. Sul credito di 70 miliardi, la presidente e' del parere che si ricorra alla Cassa depositi e prestiti ma 'meglio sarebbe se lo Stato paga direttamente il credito alle imprese'. E' urgente che 'chi perde il posto di lavoro sia supportato da ammortizzatori sociali. Vogliamo uno stanziamento maggiore'. Uno spiraglio nella crisi ci sara' nel 2010, con un miglioramento delle aree emergenti come Cina, India e Africa. 'Bisogna tenere i nervi saldi non bisogna non fare nulla'. Sulla vicenda Lindsey la Marcegaglia ha messo in guardia dal protezionismo, come sembra stia per avvenire in Usa sul fronte dell'acciaio.(ANSA).

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