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Report "Giustizia"  17-21 febbraio 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Giustizia

Il caso del giornalista Parwiz Kambakhsh e l'impegno italiano ( da "Articolo21.com" del 18-02-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: In un comunicato l'Unama sottolinea che i procedimenti giudiziari legati alla libertà di religione o espressione ci sono in molti paesi e richiedono una particolare attenzione. ''Le pressioni per le sentenze di colpevolezza, gli avvertimenti ai giornalisti, o come in questo caso, tenere un processo a porte chiuse senza che l?

I magistrati spagnoli scioperano per la modernizzazione della giustizia ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 19-02-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: anche del degrado e della lentezza del sistema giudiziario, con gli attuali 2,5 milioni di procedimenti non risolti. La tensione fra governo e opposizione sta tornando sulla giustizia a livelli di scontro dimenticati dalle politiche del marzo 2008. I magistrati, che minacciano altri scioperi, chiedono che gli investimenti per la giustizia siano triplicati nei prossimi cinque anni.

Dopo l'assoluzione dei quattro imputati per l'omicidio della giornalista russa ( da "Cittadino, Il" del 21-02-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Il primo problema è che il potere giudiziario russo non gode di alcuna reale indipendenza e autonomia dal potere esecutivo e legislativo.Il secondo problema è culturale, una sorta di eredità sovietica: per troppo tempo i magistrati sono stati addomesticati dal Cremlino (il famoso "diritto telefonico"), tanto che in un recente sondaggio una grande parte dei cittadini intervistati (

caso politkovskaia, l'inchiesta riparte ( da "Messaggero Veneto, Il" del 21-02-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Il primo problema è che il potere giudiziario russo non gode di alcuna reale indipendenza e autonomia dal potere esecutivo e legislativo. Il secondo problema è culturale, una sorta di eredità sovietica: per troppo tempo i magistrati sono stati addomesticati dal Cremlino (il famoso "diritto telefonico"), tanto che in un recente sondaggio la maggioranza dei cittadini intervistati,

Delitto Politkovskaia, l'inchiesta riparte da zero tra le polemiche ( da "Eco di Bergamo, L'" del 21-02-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Il primo problema è che il potere giudiziario russo non gode di alcuna reale indipendenza e autonomia dal potere esecutivo e legislativo. il vero imputato: la giustizia Il secondo problema è culturale, una sorta di eredità sovietica: per troppo tempo i magistrati sono stati addomesticati dal Cremlino (il famoso «diritto telefonico»

"Giustizia venduta": riaperto il dossier sulla morte della giornalista ( da "Gazzettino, Il" del 21-02-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Il primo problema è che il potere giudiziario russo non gode di alcuna reale indipendenza e autonomia dal potere esecutivo e legislativo. Il secondo problema è culturale, una sorta di eredità sovietica: per troppo tempo i magistrati sono stati addomesticati dal Cremlino (il famoso "diritto telefonico"), tanto che in un recente sondaggio la maggioranza dei cittadini intervistati,


Articoli

Il caso del giornalista Parwiz Kambakhsh e l'impegno italiano (sezione: Giustizia)

( da "Articolo21.com" del 18-02-2009)

Argomenti: Giustizia

Il caso del giornalista Parwiz Kambakhsh e l'impegno italiano di CISDA* Nell?ottobre del 2007 è stato incarcerato, nella provincia di Balkh (nel nord dell?Afghanistan), il giovane giornalista Parwiz Kambakhsh. Parwiz è stato accusato di blasfemia per aver distribuito un articolo, stampato da Internet, nel quale si parlava dei diritti delle donne nell?Islam. Inizialmente condannato a morte dall?oscurantista consiglio dei religiosi di Balkh, Parwiz ha aspettato per un anno, in galera, la sentenza della corte d?appello e ora la sua esecuzione è stata trasformata in 20 anni di reclusione. I suoi avvocati vogliono ricorrere alla corte suprema, ma senza una mobilitazione internazionale a favore di Parwiz la condanna sarà probabilmente confermata. Le infamanti accuse nei confronti di Parwiz da parte dei tribunali afghani dimostrano come in Afghanistan, a sette anni dall?invasione militare americana, la libertà di stampa sia totalmente negata e come non sia in vigore una giustizia che possa definirsi tale. Un altro esempio è quello di Naseer Fayyaz, un altro coraggioso giornalista, che per aver criticato il governo è stato minacciato di morte e perseguitato dai servizi segreti afghani (KHAD), finché si è trovato costretto a lasciare il Paese. In Afghanistan quella in vigore è solo la legge del più forte, e chiunque osi opporsi ai fondamentalisti al potere e alle autorità religiose viene punito con condanne esemplari, minacciato, costretto ad allontanarsi dal paese, ucciso, indagato dai servizi segreti. Durante la legislatura di centrodestra (2005-2006), il governo italiano - secondo le direttive varate dopo le conferenze di Bonn (2001) e di Londra (2006) - ha messo in piedi un costosissimo programma giustizia (71 milioni di euro, spesi dai contribuenti italiani) al quale hanno lavorato centinaia di esperti italiani, e con cui si sarebbe dovuto ricostruire il sistema giuridico afghano. L?assurda condanna di Parwiz Kambakhsh dimostra quanto il programma giustizia promosso dal nostro governo sia stato fallimentare, soprattutto a fronte dell?enorme spesa sostenuta. è anche un?ulteriore disfatta per Karzai e per i governi occidentali che hanno vestito dei noti criminali di guerra in giacca e cravatta definendoli democratici e portandoli al potere. Chiediamo che tutti i sinceri democratici, coloro che credono che non esista una giustizia di serie A, per gli occidentali, e una di serie B, per tutti gli altri, alzino la loro voce mobilitandosi in tutti i modi possibili e a tutti i livelli, per assicurare la libertà a Parwiz Kambakhsh e la libertà di espressione e la legalità a tutti i giornalisti e democratici afghani. Cosa possiamo fare? - Informare sulla situazione - Sollecitare la stampa affinchè non abbandoni Parwiz al suo destino continuando a denunciare il caso e a informare l'opinione pubblica - Chiedere al rappresentante del Governo italiano che si impegni a fare rispettare la giustizia in Afghanistan - Inviare la seguente lettera di protesta alle istituzioni afgane e alle organizzazioni internazionali impegnate nel paese. Testo in inglese da inviare: Release Parwiz Kambakhsh Parwiz Kambakhsh, a young afghan journalist, is imprisoned since October 2007. He was sentenced to death by the obscurantist Council of the Elders from Balkh province- Northern Afghanistan. After that, Parwiz spent a year in jail waiting for the court of appeal to attend his sentence. Now, his sentence to death has been turned into 20 years? imprisonment. The accusations are ridiculous and injudicious. In a country where for the last six years there are many claims regarding “democracy”, “human rights”, and “freedom of press”, fundamentalists control the justice system and try every possible way to mute anyone who criticizes or comments about the Northern Alliance criminals. Imprisonment of Parwiz Kambakhsh is not only for his enlightening articles in a local newspaper, “Jahan-e-Now” (The New World), but also because of his brother Yaqub Ibrahimi, who is a well-known, brave and realistic reporter and exposed many criminal faces from Jehadi mafia in Northern Afghanistan to the world public. We think that because Ibrahimi could not be silenced, the judges want to pursue their agenda by unlawfully imprisoning his brother in order to hush him. The Religious Scholars Council of Balkh province who have never condemned the criminal acts of the fundamentalist warlords in the north, now issued a verdict for the execution of Parwiz Kambakhsh. The detention of Mr. Kambakhsh is a demonstration that the Karzai government and his Western patrons have decorated the notorious criminals in pants and ties and brought them in power under the guise of “democrats”. For those reasons we ask the immediate release of Parwiz Kambakhsh. Per protestare vi invitiamo a inviare la lettera a: Ufficio di presidenza: president@afghanistangov.org UNAMA (Missione delle Nazioni Unite in Afghanistan) spokesman-unama@un.org Corte suprema dell?Afghanistan aquddus@supremecourt.gov.af Ambasciata d?Italia in Afghanistan ambasciata.kabul@esteri.it Per ulteriori informazioni: - CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane): cisda@tiscali.it - ISF (Information Safety and Freedom) Kambakhsh, una vicenda incredibile Il 21 ottobre 2008 una corte d'appello afghana ha annullato la sentenza di condanna a morte contro Sayed Parwez Kambakhsh condannandolo però a 20 anni di reclusione. Sayed era stato in primo grado destinato alle mani del boia. In realtà, tutto quello che il giovane reporter di 'Jahan e Now' (Il nuovo mondo) e studente di giornalismo ha fatto è stato scaricare da Internet del materiale sui diritti civili delle donne e diffonderlo fra gli studenti. Ma anche nell?Afghanistan odierno, non più sotto il pugno dei talebani ma nelle mani del presidente Hamid Karzai, un simile gesto può essere considerato reato, “blasfemia e distribuzione di testi diffamatori dell?Islam”, nonostante la Costituzione di Kabul garantisca, da un punto di vista formale, la libertà di espressione. «Un processo ridicolo quanto terribile», così le associazioni internazionali che lottano per la libertà di stampa nel mondo avevano definito il primo grado di giudizio a cui Sayed era stato sottoposto nella sua regione di origine. Un procedimento durato non più di dieci minuti dopo i quali era già stato condannato a morte: a Sayed non era stata data alcuna possibilità di difendersi in quel primo procedimento tenutosi sotto l?influenza del Consiglio dei Mullah nella corte di Mazar-i-Sharif. E anche il secondo processo quello che il 21 ottobre scorso ha “ridotto” la condanna a 20 anni, è stato definito «una farsa» dall?avvocato che ha difeso Sayed davanti alla Corte di Appello di Kabul. Afzal Nuristani ha infatti riferito che nel secondo processo la difesa «non è stata in grado di chiamare i suoi testimoni. La corte si è limitata ad ascoltare quelli dell?accusa, le cui deposizioni non avevano nulla a che fare con il caso». L?avvocato, inoltre, ha fatto appello direttamente al presidente Karzai perché interceda in questo caso, assicurando il rispetto della Costituzione e la legalità del sistema giudiziario, visto che, secondo Nuristani, «Sayed è stato condannato per un?accusa che non esiste in base alle nostre leggi». Tutto comincia... Nord dell?Afghanistan, ottobre 2007 Sayed Parwez Kambakhsh, 23 anni, studente dell?Università di Balhk, redattore di 'Jahan e Now' (Il nuovo mondo), un giornale della città di Mazar-i-Sharif, viene arrestato con l?accusa di essere un «ehaant be Islam», il termine usato dalla «Sharia» (la legge religiosa) per i blasfemi. Lui, studente di giornalismo, in realtà aveva solo mandato via e-mail ai compagni un articolo di un intellettuale iraniano dove si sosteneva che le donne dovrebbero avere gli stessi diritti degli uomini, anche in materia di matrimonio e in cui si chiedeva perché la fede islamica non si modernizza per dare più diritti alle donne. Sayed è fratello di Yaqub Ibrahimi, giornalista afghano molto noto per le sue inchieste contro droga e corruzione, che danno un mucchio di fastidio ai signori della guerra e mafiosi locali. Il 22 gennaio 2008 il tribunale di primo grado di Mazar-i-Sharif, riunito a porte chiuse senza la presenza dell'imputato e di un supporto legale, emette nei confronti del giovane giornalista la sentenza di condanna capitale. Il giorno dopo la missione Onu in Afghanistan (Unama) esprime profonda preoccupazione per la condanna a morte del giornalista, accusato di blasfemia e empietà, chiedendo un riesame del procedimento. In un comunicato l'Unama sottolinea che i procedimenti giudiziari legati alla libertà di religione o espressione ci sono in molti paesi e richiedono una particolare attenzione. ''Le pressioni per le sentenze di colpevolezza, gli avvertimenti ai giornalisti, o come in questo caso, tenere un processo a porte chiuse senza che l?imputato abbia avuto un legale, indicano possibili abusi nei processi'', dichiara la missione Onu. ''Questo non aiuta la causa della giustizia'', si legge ancora nel documento. L'Unama quindi chiede un riesame completo del caso e un processo d'appello. A mobilitarsi immediatamente per salvare la vita di Kambaksh si adoperano l'Associazione dei giornalisti indipendenti dell'Afghanistan (Aija), Reporters sans frontières, e l'associazione italiana Information Safety and Freedom. Quest'ultima il 25 gennaio dichiara in un comunicato stampa a cui aderiranno molte associazioni italiane che: “La condanna a morte di uno studente di giornalismo di 23 anni da parte di un Tribunale afgano, per blasfemia rappresenta una sconfitta dell?impegno internazionale per la costruzione della democrazia e un?oggettiva vittoria dei principi affermati dai Talebani. Salvare Kambakhsh dal patibolo non è solo un dovere morale per le associazioni dei giornalisti, quelle umanitarie e per le istituzioni internazionali, ma anche un preciso impegno politico per quei Governi e quella Comunità Internazionale che da anni si sono impegnati in una guerra che ha come obiettivo la costruzione di una effettiva democrazia in Afghanistan. Se un Tribunale del nuovo Stato afghano condanna a morte uno studente per un reato di opinione, vuol dire che si è molto lontani dal raggiungere gli obiettivi di quella missione. Rappresenta un vero e proprio, tragico, fallimento". Pochi giorni dopo la condanna, decine di manifestanti scendono in piazza a Kabul contro la sentenza. «Continueremo a protestare fin quando le nostre voci non saranno ascoltate», dice una donna tra i manifestanti. «Il procedimento di questo processo e l'imputazione a carico di Kambakhsh sono paragonabili ai processi e alle inquisizioni del periodo talebano» riesce a dichiarare un altro manifestante, prima che la polizia intervenga duramente per sciogliere la protesta. Il Senato afghano, chiamato a decidere sul caso, conferma la sentenza, ma a seguito di una grande mobilitazione internazionale - di personalità politiche, media, organizzazioni dei diritti umani -, il 3 febbraio 2008, il Senato afghano ritira la conferma della condanna a morte del giornalista. In un comunicato la Camera alta afghana definisce un "errore tecnico" la sua precedente decisione di approvare la condanna a morte. Ma ciò non significa che il giovane giornalista sarà rimesso in libertà, poiché la Meshrano Jirga (la Camera degli anziani) non ha nessun potere giudiziario, e la sua opinione ha una valenza solo politica. La legge prevede infatti due appelli sulla sentenza e l'eventuale condanna a morte dell'imputato, prevista dalla Costituzione per i reati di blasfemia, deve essere approvata dal capo dello Stato, Hamid Karzai. In un'intervista a Radio Free Afghanistan, il procuratore generale della provincia di Balkh Hafizullah Khaliqyar difende la sentenza, affermando che il processo è stato condotto in modo "molto islamico" e non c'è stata nessuna violazione dei diritti umani o della libertà di stampa. "Non ha fatto un errore giornalistico, ha insultato la nostra religione", dice Khaliqyar, il quale si spinge oltre nella conferenza stampa minacciando l'arresto per tutti i giornalisti afghani che si volessero levare a difesa di Kambakhsh. Il 17 aprile 2008, a Kabul, si apre il processo di appello nel quale il giornalista, finalmente assistito da un avvocato difensore, ribadisce la sua innocenza e rivela di aver subito delle torture volte a rendere una falsa confessione. Il capo d?accusa resta lo stesso: aver sostenuto la parità delle donne. Ma il processo viene subito sospeso. Il 2 settembre Me Afzal Nuristani, avvocato del giovane giornalista, dichiara: "Il tribunale di appello ha, per legge, due mesi di tempo per giudicare un imputato, ma dal 15 giugno scorso il processo è sospeso. Si attendono alcuni testimoni dalla città di Mazar-i-Sharif, ma essi non arrivano mai. La loro testimonianza non è importante poiché non sono testimoni diretti ma, seppure siano stati convocati tre volte, non si sono mai presentati. La sospensione quindi è da considerare illegale. Purtroppo questo problema non riguarda solo Pervez Kambakhsh, ma è diventata un'abitudine per la giustizia afghana e gli accusati innocenti come il mio assistito passano troppo tempo inutilmente in carcere. Nonostante un rapporto medico abbia confermato che Sayed Perwiz Kambakhsh sia stato più volte torturato durante la detenzione, i giudici non hanno ordinato la sua scarcerazione per motivi di salute". Il caso del giovane giornalista afghano è emblematico nella sua capacità di ricordare due elementi che hanno grande difficoltà a convivere sia nella situazione afghana sia, più in generale, in quella di tutta l'area mediorientale. L'impasse in cui si trovano i diritti all'espressione e alla parità di ogni cittadino. A sei anni dalla cacciata dei talebani questo è il paradosso in Afghanistan: nonostante siano tutelate dalla nuova Costituzione varata nel 2004, le donne - e chi le difende - versano in un clima di paura e di intimidazione. Il caso del giovane Sayed svela come le donne in Afghanistan vivano tutt?ora in un clima diffuso di paura e di intimidazione. “Molte di loro cominciano – rileva la deputata italiana Souad Sbai in un suo accorato appello diffuso all'inizio di settembre - a discutere di matrimoni forzati, lapidazioni e stupri compiuti durante il regime talebano e alcune associazioni di diritti umani hanno iniziato a documentare le atrocità”, ma “il dilagare dell'impunità” “sta alimentando un clima di sfiducia tra la popolazione, mentre il sistema giudiziario appare sempre più condizionato da forze conservatrici e fondamentaliste”. Se a partire dal 2002 hanno aperto nel Paese nuovi quotidiani, siti internet ed emittenti radiotelevisive, i reporter afghani hanno dovuto fronteggiare le minacce per le critiche mosse ai leader del nuovo Governo, ai ?signori della guerra? e ai rappresentanti religiosi. Ad oggi i Talebani controllano ancora alcuni territori a Sud e nel 2007 hanno organizzato circa 140 attacchi suicidi. Da ricordare che durante la loro dittatura, alle donne era proibito il lavoro, negata l?istruzione ed imposto il burqa. L?Afghanistan, ad oggi tra i Paesi più poveri al mondo, resta il primo produttore di papaveri da oppio. E' pur vero che dalla fine del regime talebano l'Afghanistan ha registrato cambiamenti rilevanti in campo scolastico e nelle infrastrutture: sei milioni di bambini sono andati a scuola per la prima volta e chilometri di strade sono stati costruiti. Ma circa tre quarti della popolazione è ancora analfabeta e la capitale dispone di energia elettrica solo per alcune ore al giorno. In questo scenario dove l'inflazione, la disoccupazione e la corruzione rappresentano le questioni più urgenti da affrontare per il Governo di Kabul, la condizione della donna resta immutata, laddove non è peggiorata, denunciano le organizzazioni umanitarie. “L'Italia non può restare a guardare” – sottolinea la deputata Souad Sbai – “sulla base delle responsabilità che esercita per il ritorno alla democrazia in Afghanistan, può scongiurare attraverso un'azione diplomatica la pena di morte richiesta per il giovane Sayed, reo di combattere per la difesa dei diritti umani e per l'emancipazione delle donne”. Come è stato verificato in molti casi, la mobilitazione internazionale (compresi i premi internazionali) esercitano, in quanto momento di attenzione e di discussione, una forte pressione nei confronti di quei governi che fanno della desolante assenza del diritto la loro arma più forte. 20 FEBBRAIO 2009 – h. 18,00 - Circolo della Stampa – Corso Venezia 16 – Sala Montanelli Incontro organizzato dal Circolo della Stampa con la collaborazione del CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) e dell'ISF (Information Safety and Freedom) “Giustizia e informazione in Afghanistan" Said Yaqub – giornalista afgano dell?IWPR Alfredo Mantica – Sottosegretario agli Esteri Andrea Nicastro – Inviato Speciale in Afghanistan per il Corriere della Sera Presenta l?incontro: Giovanni Negri – Presidente del Circolo della Stampa Moderatore: Gianni Barbacetto – giornalista 23 FEBBRAIO 2009 – h. 20.30 - Sala Guicciardini di via Macedonio Melloni, 3 Incontro Pubblico "Quale giustizia in Afghanistan?" Said Yaqub – giornalista afgano dell?IWPR Vittorio Agnoletto – Parlamento Europeo Stefano Neri – Information Safety Freedom E questi sono gli incontri organizzati con Yaqub fuori Milano e fuori Italia: 18 FEBBRAIO 2009 - BRUXELLES Incontro al Parlamento Europeo: Hearing organizzato dal gruppo GUE/NGL e da Hidden Theatre (Annet Henneman) 23 FEBBRAIO 2009 - BOLOGNA Incontro organizzato da Stefano Neri – Information Safety Freedom 25 e 26 FEBBRAIO 2009 - BARCELLONA Incontri organizzati dal Pen Club di Barcellona * Coordinamento italiano sostegno donne afghane www.italiarawa.it

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I magistrati spagnoli scioperano per la modernizzazione della giustizia (sezione: Giustizia)

( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 19-02-2009)

Argomenti: Giustizia

Esteri Pagina 113 I giudici: «Serve un sistema più rapido ed efficace» I magistrati spagnoli scioperano per la modernizzazione della giustizia I giudici: «Serve un sistema più rapido ed efficace» --> MADRID Storico sciopero dei magistrati in Spagna ieri contro il governo del premier socialista Josè Luis Zapatero: oltre la metà dei 4.400 togati iberici per la prima volta si sono astenuti dal lavoro per chiedere una profonda riforma e la modernizzazione del sistema giudiziario del paese, sempre più lento e inefficace. La protesta dei magistrati, definita «senza base legale» dal Consiglio generale del potere giudiziario (Cgpj, il Csm spagnolo), in quanto i giudici costituiscono un potere dello Stato, e definita dal ministro della giustizia Adriano Bermejo «corporativa», ha teso ulteriormente i rapporti fra governo socialista e opposizione già avvelenati dall'inchiesta del giudice Baltasar Garzon su una presunta tangentopoli a Madrid e Valencia che coinvolgerebbe ambienti del Partido Popular. Il leader del Pp Mariano Rajoy ha chiesto in parlamento le dimissioni di Bermejo, sotto accusa anche per avere partecipato il 7 febbraio a una battuta di caccia con Garzon poche ore dopo che il giudice, ritenuto di simpatie socialiste, aveva fatto arrestare tre imprenditori vicini all'opposizione. Bermejo - cui Zapatero ha confermato l'appoggio - ha seccamente respinto la richiesta di dimissioni del Pp, che lo vede responsabile anche del degrado e della lentezza del sistema giudiziario, con gli attuali 2,5 milioni di procedimenti non risolti. La tensione fra governo e opposizione sta tornando sulla giustizia a livelli di scontro dimenticati dalle politiche del marzo 2008. I magistrati, che minacciano altri scioperi, chiedono che gli investimenti per la giustizia siano triplicati nei prossimi cinque anni.

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Dopo l'assoluzione dei quattro imputati per l'omicidio della giornalista russa (sezione: Giustizia)

( da "Cittadino, Il" del 21-02-2009)

Argomenti: Giustizia

Processo Politkovskaia al palo Ora le indagini ripartono da zero MOSCA Riparte da zero tra polemiche e pessimismo l'inchiesta sull'uccisione della giornalista di opposizione Anna Politkovskaia, la più feroce voce critica della Russia putiniana, dopo il verdetto di non colpevolezza pronunciato giovedì a Mosca all'unanimità dalla giuria nei confronti di tutti e quattro gli imputati. Ieri il tribunale militare, emessa la sentenza assolutoria, ha ritrasmesso il fascicolo alla procura perché avvii nuove indagini. Ha inoltre riconosciuto il diritto degli accusati a chiedere un risarcimento per il processo. Ma ora, sul banco degli imputati, sono finiti gli inquirenti e tutto il sistema giudiziario del Paese, come emerge anche dalla stampa russa singolarmente concorde nel criticare «il fallimento totale» dell'inchiesta.Un naufragio giudiziario che ai difensori dei diritti umani non lascia molto ottimismo sulle prospettive di una nuova indagine. La sentenza, che ha sollevato sconcerto in tutto il mondo e prese di posizione di alcune capitali (Washington, Parigi), è diventata infatti l'ennesima cartina di tornasole di uno Stato di diritto tanto proclamato quanto quotidianamente sconfessato.Il primo problema è che il potere giudiziario russo non gode di alcuna reale indipendenza e autonomia dal potere esecutivo e legislativo.Il secondo problema è culturale, una sorta di eredità sovietica: per troppo tempo i magistrati sono stati addomesticati dal Cremlino (il famoso "diritto telefonico"), tanto che in un recente sondaggio una grande parte dei cittadini intervistati (dal 39% al 44% a secondo del grado di istruzione) non considera i tribunali come un potere indipendente. E certo non aiutano certe uscite, come quella cinica di Putin sulla marginalità della Politkovskaia, poco dopo il delitto.C'è poi il problema della corruzione e dei conflitti di potere, come quello tra la procura e il comitato d'indagine istituito nell'estate del 2007, che ha poi raccolto le prove del processo Politkovskaia. A dirigerlo è Aleksander Bastrikin, un uomo di fiducia di Vladimir Putin. Lo scorso luglio un deputato giornalista denunciò in modo documentato che faceva affari all'estero con un'impresa immobiliare nella Repubblica Ceca contravvenendo alle leggi. È bastata una smentita e Bastrikin é rimasto lì.In compenso uno dei suoi collaboratori, Dmitri Dovghi, che aveva denunciato come inchieste importanti siano state aperte su pressione delle autorità, è finito indagato per una tangente da 750 mila euro. Ha creato un caso anche la vicepresidente della suprema corte di arbitrato, Ielena Valiavina, rivelando che Valery Boiev, ex dirigente del Cremlino con Putin, l'aveva minacciata nel 2005 di rovinarle la carriera, se non avesse ribaltato una sentenza contro il servizio dei beni federali. Proprio oggi invece la presidente della stessa corte, Valentina Maikova, è stata destituita dai suoi colleghi per una vicenda da «affittopoli».Passando al caso Politkovskaia, non ci si deve quindi stupire se uno degli imputati ha sostenuto di avere ricevuto dagli investigatori la promessa di una pena ridotta se avesse coinvolto l'oligarca in esilio Boris Berezovski, nemico numero uno di Putin. Intanto altri difensori dei diritti umani ed altri giornalisti continuano ad essere uccisi, come l'avvocato Stanislav Markelov e la reporter Anastasia Baburova. Ma la giustizia russa sa anche colpire due volte lo stesso imputato, se vuole: per ironia della sorte, nel giorno dell'assoluzione nel processo Politkovskaia, è stato annunciato il processo bis a Mikhail Kodorkhovski, un altro nemico giurato di Putin.Claudio Salvalaggio

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caso politkovskaia, l'inchiesta riparte (sezione: Giustizia)

( da "Messaggero Veneto, Il" del 21-02-2009)

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L'annuncio dopo l'assoluzione dei 4 imputati di omicidio Caso Politkovskaia, l'inchiesta riparte Il tribunale manda il fascicolo al pm MOSCA MOSCA. Riparte da zero tra polemiche e pessimismo l'inchiesta sull'uccisione della giornalista di opposizione Anna Politkovskaia, la più feroce critica della Russia putiniana, dopo il verdetto di non colpevolezza pronunciato giovedì a Mosca dalla giuria nei confronti di tutti e quattro gli imputati. Ieri il tribunale militare, emessa la sentenza assolutoria, ha ritrasmesso il fascicolo alla procura perchè avvii nuove indagini e riconosciuto il diritto degli accusati a chiedere un risarcimento per l'ingiusto processo. Ma ora, sul banco degli imputati, sono finiti gli inquirenti e tutto il sistema giudiziario del Paese, come emerge anche dalla stampa russa singolarmente concorde nel criticare «il fallimento totale» dell'inchiesta. Un naufragio giudiziario che ai difensori dei diritti umani non lascia molto ottimismo sulle prospettive di una nuova indagine. La sentenza, che ha sollevato sconcerto in tutto il mondo e prese di posizione di alcune capitali (Washington, Parigi), è diventata l'ennesima cartina di tornasole di uno Stato di diritto tanto proclamato quanto quotidianamente sconfessato. Il primo problema è che il potere giudiziario russo non gode di alcuna reale indipendenza e autonomia dal potere esecutivo e legislativo. Il secondo problema è culturale, una sorta di eredità sovietica: per troppo tempo i magistrati sono stati addomesticati dal Cremlino (il famoso "diritto telefonico"), tanto che in un recente sondaggio la maggioranza dei cittadini intervistati, dal 39% al 44% a secondo del grado di istruzione, non considera i tribunali come un potere indipendente. E certo non aiutano certe uscite, come quella cinica di Putin sulla marginalità della Politkovskaia, poco dopo il delitto. C'è poi il problema della corruzione e dei conflitti di potere, come quello tra la procura e il comitato d'indagine istituito nell'estate del 2007, che ha poi raccolto le prove del processo Politkovskaia. A dirigerlo è Aleksander Bastrikin, un uomo di fiducia di Vladimir Putin. In luglio un deputato giornalista denunciò in modo documentato che faceva affari all'estero con un'impresa immobiliare nella Repubblica Ceca contravvenendo alle leggi. È bastata una smentita e Bastrikin è rimasto lì. In compenso uno dei suoi collaboratori, Dmitri Dovghi, che aveva denunciato come inchieste importanti siano state aperte su pressione delle autorità, è finito indagato per una tangente da 750 mila euro. Ha creato un caso anche la vicepresidente della suprema corte di arbitrato, Ielena Valiavina, rivelando che Valery Boiev, ex dirigente del Cremlino con Putin, l'aveva minacciata nel 2005 di rovinarle la carriera, se non avesse ribaltato una sentenza contro il servizio dei beni federali. Proprio oggi invece la presidente della stessa corte, Valentina Maikova, è stata destituita dai suoi colleghi per una vicenda da "affittopoli". Passando al caso Politkovskaia, non ci si deve quindi stupire se uno degli imputati ha sostenuto di aver ricevuto dagli investigatori la promessa di una pena ridotta se avesse coinvolto l'oligarca in esilio Boris Berezovski, nemico numero uno di Putin. Intanto altri difensori dei diritti umani e altri giornalisti continuano ad essere uccisi, come l'avvocato Stanislav Markelov e la reporter Anastasia Baburova. Ma la giustizia russa sa anche colpire due volte lo stesso imputato, se vuole: per ironia della sorte, nel giorno dell'assoluzione nel processo Politkovskaia, è stato annunciato il processo bis a Mikhail Kodorkhovski, un altro nemico giurato di Putin.

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Delitto Politkovskaia, l'inchiesta riparte da zero tra le polemiche (sezione: Giustizia)

( da "Eco di Bergamo, L'" del 21-02-2009)

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Delitto Politkovskaia, l'inchiesta riparte da zero tra le polemiche --> Ai quattro imputati assolti riconosciuto il diritto di chiedere un risarcimento Il fascicolo riassegnato alla procura per nuove indagini. Sconcerto nel Paese Sabato 21 Febbraio 2009 SOCIETA, pagina 13 e-mail print MOSCARiparte da zero tra polemiche e pessimismo l'inchiesta sull'uccisione della giornalista di opposizione Anna Politkovskaia, la più feroce critica della Russia putiniana, dopo il verdetto di non colpevolezza pronunciato giovedì a Mosca all'unanimità dalla giuria nei confronti di tutti e quattro gli imputati. Ieri il tribunale militare, emessa la sentenza assolutoria, ha ritrasmesso il fascicolo alla procura perché avvii nuove indagini e riconosciuto il diritto degli accusati a chiedere un risarcimento per l'ingiusto processo. Ma ora, sul banco degli imputati, sono finiti gli inquirenti e tutto il sistema giudiziario del Paese, come emerge anche dalla stampa russa singolarmente concorde nel criticare «il fallimento totale» dell'inchiesta. Un naufragio giudiziario che ai difensori dei diritti umani non lascia molto ottimismo sulle prospettive di una nuova indagine. la sentenza e le proteste La sentenza, che ha sollevato sconcerto in tutto il mondo e prese di posizione di alcune capitali (Washington, Parigi), è diventata l'ennesima cartina di tornasole di uno Stato di diritto tanto proclamato quanto quotidianamente sconfessato. Il primo problema è che il potere giudiziario russo non gode di alcuna reale indipendenza e autonomia dal potere esecutivo e legislativo. il vero imputato: la giustizia Il secondo problema è culturale, una sorta di eredità sovietica: per troppo tempo i magistrati sono stati addomesticati dal Cremlino (il famoso «diritto telefonico»), tanto che in un recente sondaggio la maggioranza dei cittadini intervistati, dal 39% al 44% a secondo del grado di istruzione, non considera i tribunali come un potere indipendente. E certo non aiutano certe uscite, come quella cinica di Putin sulla marginalità della Politkovskaia, poco dopo il delitto. C'è poi il problema della corruzione e dei conflitti di potere, come quello tra la procura e il comitato d'indagine istituito nell'estate del 2007, che ha poi raccolto le prove del processo Politkovskaia. A dirigerlo è Aleksander Bastrikin, un uomo di fiducia di Vladimir Putin. Lo scorso luglio un deputato giornalista denunciò in modo documentato che faceva affari all'estero con un'impresa immobiliare nella Repubblica Ceca contravvenendo alle leggi. È bastata una smentita e Bastrikin è rimasto lì. In compenso uno dei suoi collaboratori, Dmitri Dovghi, che aveva denunciato come inchieste importanti siano state aperte su pressione delle autorità, è finito indagato per una tangente da 750 mila euro. altri giornalisti uccisi Passando al caso Politkovskaia, non ci si deve quindi stupire se uno degli imputati ha sostenuto di aver ricevuto dagli investigatori la promessa di una pena ridotta se avesse coinvolto l'oligarca in esilio Boris Berezovski, nemico numero uno di Putin. Intanto altri difensori dei diritti umani ed altri giornalisti continuano ad essere uccisi, come l'avvocato Stanislav Markelov e la reporter Anastasia Baburova. Claudio Salvalaggio 21/02/2009 nascosto-->

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"Giustizia venduta": riaperto il dossier sulla morte della giornalista (sezione: Giustizia)

( da "Gazzettino, Il" del 21-02-2009)

Argomenti: Giustizia

"Giustizia venduta": riaperto il dossier sulla morte della giornalista Sabato 21 Febbraio 2009, Mosca All'indomani dell'unanime verdetto di non colpevolezza pronunciato giovedì a Mosca dalla giuria nei confronti di tutti e quattro gli imputati, riparte da zero tra polemiche e pessimismo l'inchiesta sull'uccisione della giornalista di opposizione Anna Politkovskaja, la voce ferocemente più critica della Russia putiniana. Ieri il tribunale militare, emessa la sentenza assolutoria, ha ritrasmesso il fascicolo alla procura perché avvii nuove indagini e ha pure riconosciuto il diritto degli accusati a chiedere un risarcimento per l'ingiusto processo. Ma ora, sul banco degli imputati, sono finiti gli inquirenti e tutto il sistema giudiziario del Paese, come emerge anche dalla stampa russa singolarmente concorde nel criticare «il fallimento totale» dell'inchiesta. Un naufragio giudiziario che ai difensori dei diritti umani non lascia molto ottimismo sulle prospettive di una nuova indagine. La sentenza, che ha sollevato sconcerto in tutto il mondo e prese di posizione a Parigi e Washington, è diventata l'ennesima cartina di tornasole di uno Stato di diritto tanto proclamato quanto quotidianamente sconfessato. Il primo problema è che il potere giudiziario russo non gode di alcuna reale indipendenza e autonomia dal potere esecutivo e legislativo. Il secondo problema è culturale, una sorta di eredità sovietica: per troppo tempo i magistrati sono stati addomesticati dal Cremlino (il famoso "diritto telefonico"), tanto che in un recente sondaggio la maggioranza dei cittadini intervistati, dal 39% al 44% a secondo del grado di istruzione, non considera i tribunali come un potere indipendente. E certo non aiutano certe uscite, come quella cinica di Putin sulla marginalità della Politkovskaja, poco dopo il delitto. C'è poi il problema della corruzione e dei conflitti di potere, come quello tra la procura e il comitato d'indagine istituito nell'estate del 2007, che ha poi raccolto le prove del processo Politkovskaja. A dirigerlo è Aleksander Bastrikin, un uomo di fiducia di Vladimir Putin. Lo scorso luglio un deputato giornalista denunciò in modo documentato che faceva affari all'estero con un'impresa immobiliare nella Repubblica Ceca contravvenendo alle leggi. È bastata una smentita e Bastrikin è rimasto lì. In compenso uno dei suoi collaboratori, Dmitri Dovghi, che aveva denunciato come inchieste importanti siano state aperte su pressione delle autorità, è finito indagato per una tangente da 750mila euro. Ha creato un caso anche la vicepresidente della suprema corte di arbitrato, Ielena Valiavina, rivelando che Valery Boiev, ex dirigente del Cremlino con Putin, l'aveva minacciata nel 2005 di rovinarle la carriera, se non avesse ribaltato una sentenza contro il servizio dei beni federali. E giusto ieri, la presidente della stessa corte, Valentina Maikova, è stata destituita dai suoi colleghi per una vicenda da "affittopoli". Tornando al caso Politkovskaja, non ci si deve quindi stupire se uno degli imputati ha sostenuto di aver ricevuto dagli investigatori la promessa di una pena ridotta se avesse coinvolto l'oligarca in esilio Boris Berezovski, nemico numero uno di Putin. Intanto altri difensori dei diritti umani ed altri giornalisti continuano ad essere uccisi, come l'avvocato Stanislav Markelov e la reporter Anastasia Baburova. Ma la giustizia russa sa anche colpire due volte lo stesso imputato, se vuole: per ironia della sorte, nel giorno dell'assoluzione nel processo Politkovskaja, è stato annunciato il processo bis a Mikhail Kodorkhovski, un altro nemico giurato di Putin.

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