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Report "Giustizia"  21 luglio 16 agosto 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Giustizia

Europa è in Baviera la tua ultima fermata ( da "Sole 24 Ore, Il" del 21-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: è in Baviera la tua ultima fermata di Carlo Bastasin A ngela Merkel sta cercando di sopire gli effetti della sentenza della Corte costituzionale tedesca che a inizio mese ha denunciato rilevanti carenze di democrazia nell'integrazione politica europea. Imponendo la riforma della legge di accompagnamento a quella di ratifica del Trattato di Lisbona, i giudici di Karlsruhe –

In Baviera l'ultima fermata della Ue ( da "Sole 24 Ore, Il" del 21-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte costituzionale con uno speciale procedimento. Le poche voci sagge che hanno commentato la sentenza sulla stampa tedesca riconoscono che un tale sistema renderebbe impossibile una politica europea da parte tedesca esponendo ogni accordo raggiunto al tavolo di Bruxelles dal governo o da altri organi politici alla verosimile contestazione di qualsiasi nazionalista ipocondriaco

Apo Ocalan prepara la road map per la pace tra kurdi e Turchia ( da "Manifesto, Il" del 21-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: il presidente della camera di commercio, la moglie di un giudice della corte costituzionale. Altri 86 imputati sono sotto processo dallo scorso ottobre. L'udienza di ieri è stata aggiornata al 6 agosto. Ergenekon è venuta alla luce dopo la scoperta di 27 bombe a mano, il 12 giugno 2007, in una casa di Umraniye, a Istanbul.

Il Tar blocca le fusioni delle Comunità montane ( da "Stampa, La" del 22-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Mentre la Toscana e il Veneto hanno impugnato davanti alla Corte Costituzionale la norma della Finanziaria che dispone il piano degli accorpamenti (recepita dal Piemonte). In Valle Susa sono già previste le elezioni per il rinnovo delle cariche elettive e si stanno contrapponendo le candidature per la presidenza.

Quella guerra infinita che ha spezzato Mamma Rai ( da "Unita, L'" del 22-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: il coraggio di riconoscere che è prima di tutto servita a non tener conto di una sentenza della Corte costituzionale. E non si dice che ha creato le condizioni per l'attuale ingovernabilità della Rai. Nel libro non c'è una parola sulla necessità di mettere la Rai nella condizione di essere diretta come una grande azienda della comunicazione in un'epoca di rivoluzione tecnologica.

Per me Franco Debenedetti è un ex collega del Senato che una volta ha detto: La Rai è... ( da "Unita, L'" del 22-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: il coraggio di riconoscere che è prima di tutto servita a non tener conto di una sentenza della Corte costituzionale. E non si dice che ha creato le condizioni per l'attuale ingovernabilità della Rai. Nel libro non c'è una parola sulla necessità di mettere la Rai nella condizione di essere diretta come una grande azienda della comunicazione in un'epoca di rivoluzione tecnologica.

Tra Lodo Alfano e stretta sulle pubblicazioni. ( da "Sole 24 Ore, Il" del 22-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: cioè dopo che la Corte costituzionale si sarà pronunciata, il 6 ottobre, sul Lodo Alfano, lo scudo processuale per le alte cariche dello Stato. «Onde evitare, anche lontanamente, che ci siano spunti per alzare la tensione- spiega Centaro- il termine per la presentazione degli emendamenti sarà fissato, verosimilmente, dopo il Lodo,

Le Commissioni danno il via libera, ora il voto di fiducia ( da "Manifesto, Il" del 22-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: 000 precari delle poste per cui la Corte Costituzionale aveva, con sentenza, disposto il reintegro. Stra-confermata anche la «mini riforma delle pensioni» che inchioderà le donne della pubblica amministrazione al lavoro fino ai 65 anni di età entro il 2018, con un sistema di «scalini» identico a quello che sostituì lo «scalone di Maroni» ai tempi del governo Prodi-

Protocolli standard per indire le gare ( da "Sole 24 Ore, Il (Nord Est)" del 22-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: «Il funzionamento della centrale è per ora rinviato, perché collegato all'entrata in vigore della legge provinciale sui lavori pubblici 10/2008, impugnata dal Governo davanti alla Corte Costituzionale e in attesa di definitivo pronunciamento », aggiunge il presidente

I VIZI DELLA COOPTAZIONE UN BUON METODO USATO MALE ( da "Corriere della Sera" del 22-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte costituzionale composta da magi-- strati cooptati potrebbe essere meglio di una corte in cui alcuni di essi sono scelti dal Parlamento e quindi dai partiti. Attenzione quindi a non buttare via il bambino con l'acqua sporca. Cerchiamo di ricordare piuttosto che la cooptazione funziona male se il titolare pensa soprattutto alla conservazione del potere personale o familiare.

Magistratura, politica, libertà di associazione, legittimità, intervento legislativo ( da "AltaLex" del 22-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte Costituzionale Sentenza 17 luglio 2009, n. 224 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Francesco AMIRANTE Presidente - Ugo DE SIERVO Giudice - Paolo MADDALENA " - Alfonso QUARANTA " - Franco GALLO " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " -

Caccia in deroga: nuova richiesta di condanna dell'Italia dall'Ue ( da "Sestopotere.com" del 22-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Vogliamo ricordare che il 25 giugno 2008 la Corte Costituzionale ha dichiarato l?illegittimità di un?analoga legge approvata nel 2007 dalla Regione Lombardia. La Corte – spiegano le associazioni - ha infatti bocciato la possibilità di ricorrere alle deroghe attraverso una legge-provvedimento in quanto in netto contrasto le previsioni della legge 157/1992,

ma il cavaliere teme i sondaggi "ora mi serve la pace sociale" - claudio tito ( da "Repubblica, La" del 23-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: il disegno di legge sulle intercettazioni e affrontare «con fiducia» il giudizio della Corte costituzionale sul Lodo Alfano. Un patto "informale" che vorrebbe sottoporre presto alla valutazione del Quirinale. «Per il resto - sono i ragionamenti svolti nelle ultime ore con lo staff - dobbiamo puntare su azioni di governo concrete, come la ricostruzione in Abruzzo.

la famiglia scrive al ministro bondi "date il petruzzelli alla fondazione" ( da "Repubblica, La" del 23-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: in esecuzione e nel rispetto di quel protocollo d´intesa del 21 novembre 2002 in cui ha sempre creduto e che ha sempre difeso, anche dall´esproprio illegittimo, annullato dalla Corte Costituzionale con sentenza del 30 aprile 2008». Si chiede inoltre la rimozione «di ogni opera o realizzazione architettonica difforme dalle previsioni contrattuali».

La distanza fra il paese reale e il paese del sultano in accappatoio detentore del "lettone di ... ( da "Unita, L'" del 23-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Il figlio di un giudice della Corte Costituzionale che sta per decidere la sorte di un ministro (Matteoli) viene promosso dal ministro medesimo alla guida di un importante ente pubblico. Lo spirito del tempo è questo. Vent'anni fa moriva Paolo Baffi, lontano predecessore di Draghi.

Di Pietro attacca il Colle sulla firma delle leggi No comment all'iniziativa ( da "Unita, L'" del 23-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: firma del Lodo Alfano al mancato intervento dopo la cena di Berlusconi con due giudici della Corte Costituzionale. Napolitano «spieghi e non offenda». Ai piedi del Colle si sono ritrovati Di Pietro e un po' di amici, una trentina, poco più che sono stati fermati dalle forze dell'ordine perché la manifestazione, anche se micro, non era stata nè preannunciata, nè quindi autorizzata.

Chi non salta italiano è! , così cantava l'allora ministro della Giustizia... ( da "Unita, L'" del 23-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Non era questo né lo spirito né la lettera della riforma dell'articolo 96 della Costituzione che sottraeva alla Corte costituzionale l'accertamento dei reati ministeriali per darlo alla magistratura ordinaria. Tanto più, sostiene Felice Casson, che «il Senato avrebbe potuto attendere il pronunciamento della Corte Costituzionale sul caso analogo del ministro Matteoli».

Figlio del giudice costituzionale a capo dell'Aviazione civile ( da "Unita, L'" del 23-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte Costituzionale, partecipa al voto che in qualche modo "assolve" proprio il ministro Matteoli dall'accusa di favoreggiamento. Qui serve una parentesi. Perchè c'è una storia nella storia. Nel 2004 il ministro Matteoli è accusato di favoreggiamento dalla procura di Livorno per aver avvisato il prefetto di un'indagine a suo carico per presunti abusi edilizi relativi alla costruzione

Nel 1989 fu abolito il tribunale ad hoc ( da "Unita, L'" del 23-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: presso la Corte Costituzionale, per i reati ministeriali. La nuova formulazione dice: «Il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati,

Un lodo Alfano per i ministri Il voto al Senato salva Castelli ( da "Unita, L'" del 23-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Non era questo né lo spirito né la lettera della riforma dell'articolo 96 della Costituzione che sottraeva alla Corte costituzionale l'accertamento dei reati ministeriali per darlo alla magistratura ordinaria. Tanto più, sostiene Felice Casson, che «il Senato avrebbe potuto attendere il pronunciamento della Corte Costituzionale sul caso analogo del ministro Matteoli».

Per l'Irap salvezza più vicina alla Consulta ( da "Sole 24 Ore, Il" del 23-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Irap passerà indenne al vaglio della Corte costituzionale. è questo,infatti,l'orientamento che starebbe prevalendo tra i giudici della Consulta. L'ordinanza (il relatore è il giudice Sabino Cassese) che fa salvo il contestato tributo regionale sulle attività produttive sarà depositata con ogni probabilità la prossima settimana.

Rimborsi Ici alle coop agricole ( da "Sole 24 Ore, Il" del 23-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte costituzionale. Illegittimo il divieto di restituzione dei versamenti precedenti il 2008 Rimborsi Ici alle coop agricole Si apre la strada per la presentazione delle istanze ai Comuni Luigi Lovecchio è illegittimo il divieto di restituzione dell'Ici versata dalle cooperative agricole per gli anni precedenti al 2008.

Province autonome competenti sul paesaggio ( da "Sole 24 Ore, Il" del 23-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Federalismo Province autonome competenti sul paesaggio La Corte costituzionale, con la sentenza n. 225 depositata ieri, ha dato ragione alla provincia di Trento dichiarando l'illegitimità di un passaggio del Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, riconoscendo i limiti dello Stato in materia di protezione del paesaggio.

Polizze in recupero dal 2010 ( da "Sole 24 Ore, Il" del 23-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: E da ultimo è arrivata la sentenza della Corte Costituzionale che ha giudicando legittimo il nuovo modello di indennizzo diretto nella Rc auto – è l'assicuratore del danneggiato che risarcisce il cliente ricevendo successivamente un forfait dalla compagnia del danneggiante –

Niente impunità per i reati gravi ( da "Sole 24 Ore, Il" del 23-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: collegato al condono tributario ( fino al 2002), la Corte costituzionale aveva opportunamente chiarito che, a pena di provocare un indebito arricchimento per lo Stato, della non punibilitàdovessero fruire pure i componenti del collegio sindacale (e quindi anche i consulenti) delle società i cui amministratori avevano fatto luogo al condono.

Precari a terra: salta l'una tantum ( da "Manifesto, Il" del 23-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: assunzioni nel settore pubblico e che dunque mette fuori i 25 mila precari delle Poste per i quali la Corte costituzionale aveva disposto il reintegro. E non è tutto. Con il metodo ormai consolidato dell'azzardare provvedimenti tramite emendamenti, il decreto «anticrisi», sul quale con ogni probabilità il governo già oggi metterà la fiducia, si è arricchito di vere e proprie chicche.

Il Cavaliere teme i sondaggi "Ora mi serve la pace sociale" ( da "Repubblica.it" del 23-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: il disegno di legge sulle intercettazioni e affrontare "con fiducia" il giudizio della Corte costituzionale sul Lodo Alfano. Un patto "informale" che vorrebbe sottoporre presto alla valutazione del Quirinale. "Per il resto - sono i ragionamenti svolti nelle ultime ore con lo staff - dobbiamo puntare su azioni di governo concrete, come la ricostruzione in Abruzzo.

Processo tributario - Nuovi termini ( da "AltaLex" del 23-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: tenendo altresì conto di quanto disposto dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 139 del 15 dicembre 1967 e n. 159 del 06 luglio 1971. Di conseguenza, secondo me, il Legislatore tributario fin dall?inizio ha voluto fare riferimento agli stessi termini del processo civile e non poteva certo comportarsi diversamente trattandosi dei medesimi istituti giuridici;

Caccia: La Ue condanna l'Italia per colpa del Veneto ( da "Sestopotere.com" del 23-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Vogliamo ricordare che il 25 giugno 2008 la Corte Costituzionale ha dichiarato l?illegittimità di un?analoga legge approvata nel 2007 dalla Regione Lombardia. La Corte – spiegano le associazioni - ha infatti bocciato la possibilità di ricorrere alle deroghe attraverso una legge-provvedimento in quanto in netto contrasto con le previsioni della legge 157/1992,

Processo penale, il Csm boccia la riforma: vìola la Costituzione ( da "Unita, L'" del 24-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: di fronte ad analoghe circostanze, aveva ammonito il Csm a non esprimere un vaglio di costituzionalità che compete ad altre istituzioni». O come Italo Bocchino, presidente vicario del gruppo del Pdl alla Camera, secondo cui «il Csm continua ad ergersi a terza Camera dello Stato o a istituzione gemella della Corte Costituzionale».

Tensioni e manovre sulla Corte Costituzionale Il giudice: Ero assente ( da "Unita, L'" del 24-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: giorno in cui i quindici giudici emeriti della Corte Costituzionale cominceranno la discussione sul Lodo Alfano, se sia costituzionale o meno la legge che crea lo scudo processuale per le quattro più alte cariche dello Stato, dal premier al Presidente della Repubblica passando per il presidente del Senato e della Camera.

La deducibilità del 10% salva il tributo ( da "Sole 24 Ore, Il" del 24-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte costituzionale. Per l'ordinanza decisivo lo ius superveniens La deducibilità del 10% salva il tributo Marco Bellinazzo ROMA L'Irap non è incostituzionale. L'ordinanza che, dopo i rinvii del febbraio 2007 e del marzo 2008, sigillerà la legittimità dell'imposta regionale sulle attività produttive sarà depositata la prossima settimana (

Riforma incostituzionale ( da "Manifesto, Il" del 24-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: il vicepresidente Mancino ha cercato di smorzare i toni spiegando che quella del Csm non è stata affatto una bocciatura. Semmai, un «parere articolato, perché il Csm non promuove e non boccia nulla», e in ogni caso «il ministro Alfano, a cui (il documento ndr) è diretto, farà le sue valutazioni, accoglierà ciò che riterrà accoglibile e accantonerà ciò che non lo persuade».

( da "Manifesto, Il" del 24-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: il vicepresidente Mancino ha cercato di smorzare i toni spiegando che quella del Csm non è stata affatto una bocciatura. Semmai, un «parere articolato, perché il Csm non promuove e non boccia nulla», e in ogni caso «il ministro Alfano, a cui (il documento ndr) è diretto, farà le sue valutazioni, accoglierà ciò che riterrà accoglibile e accantonerà ciò che non lo persuade».

Sulla surroga dell'INAIL dopo le Sezioni Unite ( da "AltaLex" del 24-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La sentenza della Corte Costituzionale n. 184/1986 è stata superata dalla sentenza della stessa Corte n. 372/1994, poi seguita dalle sentenze gemelle del 2003. Il danno non è mai in re ipsa ed il giudice dovrà porre a fondamento della propria decisione non solo la consulenza tecnica d?

"Legittimo sospetto" e dubbi legittimi intorno alla nuova disciplina della rimessione del processo ( da "AltaLex" del 24-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: la Corte Costituzionale a ?salvare? la disposizione in esame vanno rintracciate in esigenze di carattere burocratico: l?ingresso di elementi discrezionali, agevolato dalla formulazione della fattispecie, consentiva alla Corte di cassazione, a fronte delle frequenti richieste di rimessione, fenomeno anch?

Per l'IRAP occorre sempre l'autonoma organizzazione ( da "AltaLex" del 24-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: e più marcato il possibile contrasto della imposta stessa con i principi costituzionali di uguaglianza, di capacità contributiva e di tutela del lavoro, tanto da determinare l'intervento della Corte costituzionale. 4. Il giudice delle leggi, con la sentenza n. 156 del 2001, ha sancito la legittimità costituzionale dell'imposta osservando che «l'IRAP non è un'imposta sul reddito,

È illegittima la riduzione del fuori ruolo ( da "Sole 24 Ore, Il" del 25-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: pag: 23 autore: PROFESSORI è illegittima la riduzione del fuori ruolo La Corte costituzionale, con sentenza 236/09, ha dichiarato illegittima la norma che riduce la durata del collocamento fuori ruolo per i professori universitari che stanno svolgendo tale periodo. Si tratta dell'articolo 2, comma 434, della legge 244/07.

Nessuna penalità automatica alle regioni ( da "Sole 24 Ore, Il" del 25-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Comunità montane Nessuna penalità automatica alle regioni ROMA La Corte costituzionale spazza via la parte "automatica" della stretta impressa nel 2008 dal Governo Prodi alle comunità montane. I giudici della Consulta, con la sentenza n. 237 depositata ieri, hanno infatti accolto alcuni rilievi sollevati dalle regioni Toscana e Veneto e dichiarato incostituzionali il comma 20,

La Consulta corregge il Codice dell'ambiente ( da "Sole 24 Ore, Il" del 25-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: ambiente Gugliemo Saporito La Corte costituzionale riscrive, in parte, il Codice dell'ambiente con un pacchetto di sentenze di illegittimità. Da qui l'opportunità di una rapida ricognizione degli effetti dell'intervento della Consulta. Sui bilanci dell'Autorità di ambito la Corte (sentenza 246/2009) elimina la norma (articolo 148,

Concerto sul suolo ( da "Sole 24 Ore, Il" del 25-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: minoritaria delle regioni ma la Corte costituzionale –sentenza 232 – ritiene che i piani di bacino sono il fondamentale strumento di pianificazione di difesa del suolo e delle acque. «Gli interessi regionali risultano adeguatanebte tutelati dalla forma di collaborazione previsa dal Codice» Il programma di intervento Produce effetti nella materia del governo del terriroria,

Accertamento valido anche se prematuro ( da "Sole 24 Ore, Il" del 25-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Lo ha affermato la Corte costituzionale, con la sentenza 244 depositata ieri. Per la Consulta la norma non lede alcun principio costituzionale, tanto meno gli articoli 24 e 111 che esigono il rispetto di principi processuali. La norma censurata, infatti, è diretta a regolare il procedimento di accertamento tributario e non ha natura processuale.

Sulla tariffa rifiuti parola ai giudici fiscali ( da "Sole 24 Ore, Il" del 25-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: prima della recente rimessione della questione alla Corte costituzionale da parte delle Sezioni unite, anche la prima sezione civile della Corte di cassazione, con la sentenza 5298 del 5 marzo 2009, ha affermato che la tariffa rifiuti è un'entrata tributaria perché non costituisce il corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta dal cittadino.

I TEDESCHI E L'EUROPA FINE DELL'AMBIGUITÀ ( da "Corriere della Sera" del 25-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: AMBIGUITÀ La sentenza del 30 giugno della Corte Costituzionale tedesca sulla compatibilità della Costituzione della Germania con il trattato di Lisbona è stata inizialmente accolta con favore negli ambienti politici di Berlino e Bruxelles. Tuttavia, a seguito di un più attento esame, sono emersi parecchi dubbi, a causa degli ostacoli che essa pone sulla strada della integrazione europea.

Nozze fra due donne I giudici: "No per legge" ( da "Stampa, La" del 26-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: entro il 31 luglio, presenteremo un reclamo alla Corte d'Appello». L'avvocato Potè ha aggiunto: «Speravamo che i giudici saluzzesi aderissero almeno alla seconda domanda dell'istanza, che prevedeva di rimettere gli atti alla Corte Costituzionale come ha fatto, invece, in un'altra situazione il Tribunale di Venezia».

Telecamere in piazzaVittorio ( da "Stampa, La" del 27-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: LA CORTE COSTITUZIONALE REINTEGRA I DOCENTI CHE USUFRUIVANO DEL FUORI RUOLO IL GRANDE FRATELLO All'interno COMUNEAPPARECCHI IN FUNZIONE 24 ORE SU 24 DA SETTEMBRE, SERVIRANNO ANCHE PER LA SICUREZZA Il ritorno di 30 prof di 72 anni «Nelle scuole l'amianto è sotto controllo» In città più di 10 mila occhi indiscreti Telecamere in piazzaVittorio Alessandro Mondo Dopo l'

Reintegrati i prof over 70 In pensione i più giovani ( da "Stampa, La" del 27-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: che lo scorso autunno gli ha dato ragione rinviando la «leggina» incriminata alla Corte Costituzionale. Centinaia di «baroni» tra 72 e 75 anni hanno fatto altrettanto. E sono stati reintegrati . Adesso anche la Consulta si è pronunciata: la norma è incostituzionale, a quei docenti andava consentito di terminare i loro tre anni di «fuori ruolo».

Comunità montane: è caos ( da "Stampa, La" del 27-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Il Tar ad aprile aveva rinviato la questione alla Corte costituzionale, che deve ancora dire la sua. La scorsa settimana il tribunale ha deciso la sospensione della legge dopo un ulteriore ricorso contro il decreto della Regione del 3 giugno con il quale si convocano i comizi per l'elezione dei nuovi presidenti a partire dal 31 luglio, mentre gli attuali diventano commissari.

Antefatti e postfatti del mobbing ( da "AltaLex" del 27-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: come avviene a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1988 e dal D.Lgs. 38/2000 (art. 10). In particolare, l?istruttoria medico-legale non può prescindere da un?accurata anamnesi lavorativa dell?assicurato, arricchita di tutti gli elementi raccolti presso i datori di lavoro ed i colleghi dell?

Riforma del processo penale: il parere del Consiglio Superiore della Magistratura ( da "AltaLex" del 27-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: risoluzione CSM 19 maggio 1993). La necessità di trovare un giusto equilibrio tra diverse e contrapposte esigenze non può legittimare la creazione di un meccanismo che, sulla base delle apparenze, incide sulla compatibilità del giudice sovrapponendo il piano delle espressioni del pensiero a questioni relative alla capacità del giudice di esaminare e decidere su condotte individuali.

Tutela penale, differenti discipline, legittimità, precisazioni ( da "AltaLex" del 27-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: nota di Adolfo Liarò) | tutela penale | Corte Costituzionale Sentenza 14 luglio 2009, n. 217 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Francesco AMIRANTE Presidente - Ugo DE SIERVO Giudice - Paolo MADDALENA ? - Alfio FINOCCHIARO ?

Prof reintegrati in Università scatta la rivolta dei precari ( da "Stampa, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: DOPO LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE SUI DOCENTI TRA 72 E 74 ANNI Prof reintegrati in Università scatta la rivolta dei precari

I baroni rientrano dalla finestra e per noi non c'è nessuna speranza ( da "Stampa, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: ANDREA ROSSI Ora che la Corte Costituzionale ha stabilito che i docenti "fuori ruolo" mandati in pensione prima del tempo vanno reintegrati la rivolta dei precari è scattata in un amen. «I baroni escono dalla porta e rientrano dalla finestra; noi usciamo e basta». All'inizio del prossimo anno accademico una trentina di professori tra 72 e 74 anni rientreranno in servizio (

Comunità montane in attesa di verdetto ( da "Stampa, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: tesi accolta dalla Corte costituzionale, che a sua volta si è pronunciata a favore dei ricorsi presentati dalle amministrazioni regionali di Toscana e Veneto contro la Finanziaria 2008. Nell'incontro di ieri a Torino, fra Regione e Uncem, è stato annunciato che «la Regione farà ricorso al Consiglio di Stato contro l'ordinanza del Tar che ha sospeso la legge sulle comunità montane.

La Camera pronta a salvare Matteoli ( da "Unita, L'" del 28-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte Costituzionale. Intanto il tempo è passato e una cosa è certa: il ministro Matteoli non sarà mai processato per quei fatti. Che sono questi. Nel 2004 l'allora ministro dell'Ambiente Altero Matteoli fu rinviato a giudizio a Livorno, sezione di Cecina, per favoreggiamento poichè aveva avvisato il prefetto di Livorno di essere a sua volta indagato per una storia di abusi edilizi

Congo, l'Alta corte proclama eletto il contestato Nguesso La Corte costituzionale del... ( da "Unita, L'" del 28-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Congo, l'Alta corte proclama eletto il contestato Nguesso La Corte costituzionale del Congo ha proclamato Dinis Sassou Nguesso presidente. La Corte, presieduta da Gerard Bitsindou, ha respinto il ricorso delle opposizioni che avevano denunciato brogli diffusi nel voto del 12 luglio.

Beni demaniali e responsabilità della Pubblica Amministrazione ( da "AltaLex" del 28-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: 1999 della Corte Costituzionale, con la quale si ampliavano le ipotesi di applicabilità dell?art. 2051 c.c. Da quel momento la regola generale contenuta nell?art. 2043 c.c. ha svolto una funzione residuale nei casi di responsabilità della P.A. per danni causati da beni demaniali, in quanto richiamato solo in via subordinata rispetto all?

pd, bersani stoppa emiliano segretario - raffaele lorusso ( da "Repubblica, La" del 29-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: così come sancito dalla Corte costituzionale (il senatore Gianrico Carofiglio ha restituito la tessera del Pd). Anche su questo Emiliano sembra però determinato. «A noi - racconta l´assessore regionale Guglielmo Minervini - ha detto che quando si porrà il problema lo affronterà e, se sarà il caso, si dimetterà dalla magistratura».

COnsulta per cena ( da "Unita, L'" del 29-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Il figlio di un giudice costituzionale promosso a cariche importanti nel mezzo di decisioni delicate proprio sul ministro sponsor della promozione.Una volta si diceva Corte Costituzionale e scattava il rispetto dovuto a chi sta sopra di tutto a garanzia dei diritti di tutti.

Il tribunale dei ministri salva Matteoli ( da "Manifesto, Il" del 29-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: che approva a larga maggioranza la decisione di trasmettere il quesito alla Corte costituzionale, l'unico organo considerato idoneo a stabilire se un reato può essere o meno considerato ministeriale. Ma per non perder tempo, il ministro Matteoli si porta avanti con il lavoro e dà incarico al suo legale (e collega di An) Giuseppe Consolo di studiare il caso e trovare una soluzione.

Pisicchio: doveva abbandonare, questione di credibilità ( da "Corriere della Sera" del 29-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: il giudiziario che esonda sugli altri poteri». Pino Pisicchio è stato eletto nelle liste dell'Italia dei Valori ma già nella scorsa legislatura, da presidente della Commissione Giustizia della Camera, ha dimostrato una certa propensione a contrastare gli spiriti giustizialisti che pure nel suo partito hanno spesso il sopravvento.

De Magistris si tiene la toga: ( da "Manifesto, Il" del 29-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: CSM De Magistris si tiene la toga: «Mi dimetterò, ma non ora» Aveva detto che avrebbe lasciato la magistratura in modo definitivo. Ma al momento di decidere, persino il pm Luigi De Magistris, cui certo non manca il coraggio, ha tentennato ancora.

Comunità, slitta il commissariamento La giunta regionale deciderà martedì ( da "Stampa, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: sentenze del Tar in merito al ricorso della Comunità Antigorio Divedro e Formazza e quella della Corte Costituzionale che fa riferimento all'esposto delle Regioni Veneto e Toscana sulla legittimità della Finanziaria 2008 in merito al riordino degli enti montani, che ha ribadito la competenza regionale sulla riforma, sta per delinearsi il futuro di queste nuove «agenzie per lo sviluppo».

polemica sui decreti anticrisi berlusconi: un piano per il sud - francesco bei ( da "Repubblica, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: che minacciano ricorsi a pioggia alla Corte costituzionale perché il decreto, dicono, intacca le loro competenze esclusive. «Il clima che viviamo - preannuncia Vasco Errani, il presidente della conferenza delle regioni - non può che portare a questo». Ma ieri è stata anche la giornata dell´atteso vertice ministeriale a palazzo Grazioli sulla questione del piano per il Sud.

- (segue dalla copertina) roberto bianchin ( da "Repubblica, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: è stata bocciata nel maggio scorso dalla Corte Costituzionale che l´ha giudicata «illegittima». I comitati autonomisti hanno annunciato ricorsi al Capo dello Stato e all´Unione Europea. Ma lo stop della Consulta non ha frenato le spinte leghiste. Alcuni senatori del Carroccio hanno preparato una legge per inserire il dialetto tra le materie da studiare a scuola.

Fumata nera tra Sky e RaiSat ( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: «Si potrà anche raggiungere un accordo con Bruxelles - spiega D'Angelo - ma la Corte Costituzionale ha sottolineato che il digitale terrestre deve liberare risorse per soggetti terzi. Se dopo la gara, i maggiori operatori potranno aumentare il numero delle loro reti, le risorse per gli altri soggetti si restringeranno».

La strategia autoritaria del governo ( da "Manifesto, Il" del 30-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte costituzionale e Consiglio superiore della magistratura modificati nella loro composizione attraverso l'aumento dei membri di nomina politica. Il Presidente della Repubblica sarà quindi capo del governo, capo delle forze armate, capo del Csm e magari, se lo scenario di infiltrazione mafiosa nel tessuto economico e politico-

CSM: nuove regole per la tutela dell'indipendenza e del prestigio dei magistrati ( da "AltaLex" del 30-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: CSM: nuove regole per la tutela dell'indipendenza e del prestigio dei magistrati Consiglio Superiore della Magistratura, decreto 15.07.2009, G.U. 20.07.2009 Commenta | Stampa | Segnala | Condividi Gli interventi del CSM a tutela di magistrati o della magistratura hanno come presupposto l'esistenza di comportamenti lesivi del prestigio e dell'

bassolino contesta il governo - giuseppe del bello ( da "Repubblica, La" del 31-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Davanti al Tar per profili di illegittimità e alla Corte costituzionale». Il giorno dell´arrivo ufficiale del documento a Palazzo Santa Lucia è anche quello della resa dei conti. E il presidente Bassolino rivendica le proprie ragioni. A partire dal ruolo di commissario che, precisa, sarà «accettato ma con riserva».

Campania, Sanità commissariata Bassolino ricorre a Tar e Consulta ( da "Unita, L'" del 31-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: si cercava di scrivere un testo che fosse inappuntabile per evitare i già annunciati ricorsi al Tar o alla Corte Costituzionale. Ma il ricorso ci sarà comunque. La giunta campana ricorrerà a Tar e Corte Costituzionale contro il decreto di commissariamento della sanità emanato dal governo. Bassolino firmerà comunque tutti gli atti da commissario, ma «con riserva».

L'Irap si salva all'esame Consulta ( da "Sole 24 Ore, Il" del 31-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte costituzionale ha infatti restituito gli atti alle Commissioni tributarie rimettenti perché valutino l'impatto della novella di cui all'articolo 6 del decreto legge 185/08. In forza di questa disposizione, è deducibile dalle imposte sui redditi una quota pari al 10% dell'Irap versata, forfetariamente riferibile alle spese sostenute a titolo di personale dipendente e di oneri

La pronuncia moltiplicherà i rinvii alla Corte ( da "Sole 24 Ore, Il" del 31-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: redditi la Corte costituzionale avrebbe dovuto pronunciarsi in termini di logica giuridica, cercando il collegamento di essa con le imposte sui redditi, ma nell'ordinanza n. 258/2009 la Corte ha voluto dare al requisito della «rilevanza » della questione di costituzionalità proposta un significato indistinto tale da consentire ogni tipo di soluzione da parte dei giudici tributari.

Andata e ritorno ( da "Sole 24 Ore, Il" del 31-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: dovranno valutare se la novità normativa intervenuta eliminio meno tutti i dubbi di costituzionalità Gli sviluppi possibili Con buona probabilità le Commissioni tributarie rimetteranno nuovamente la questione all'esame della Corte costituzionale, perché la deducibilità del 10%dell'Irap non consente di tener conto di tutti i costi della produzione effettivamente sostenuti dalle imprese

Regole territoriali per i rischi rilevanti ( da "Sole 24 Ore, Il" del 31-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte costituzionale, con sentenza 248 del 16 luglio. Il governo aveva sollevato la questione di legittimità di alcuni articoli della legge della regione Puglia 7 maggio 2008, n. 6, che le attribuiscono l'esercizio di funzioni di indirizzo e coordinamento sui pericoli di incidenti rilevanti, sostenendo che la norma regionale lede la competenza legislativa dello Stato nella tutela

Eccessiva discrezionalità ( da "Sole 24 Ore, Il" del 31-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Sentenza Corte Costituzionale 252/2009 La Regione Marche, nel disciplinare in modo autonomo le modalità di selezione del personale esterno destinatoa collaborare con i gruppi consiliari e le segreterie della Giunta, non ha previsto alcun criterio selettivo alternativoa quelli dettati dalla legge statale.

Vincoli statali per le consulenze ( da "Sole 24 Ore, Il" del 31-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Con questi motivi la Corte Costituzionale ( sentenza 252/2009, depositata ieri) ha bocciato la legge 7/2008 delle Marche nella parte in cui consente di conferire incarichi esterni e instaurare rapporti di collaborazione coordinata e continuativa indipendentemente dai requisiti fissati dalla legge sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze della Pa (

La Campania impugna il Dl sulla sanità ( da "Sole 24 Ore, Il" del 31-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte costituzionale il decreto dicommissariamento deliberato la settimana scorsa dal Consiglio dei ministri. La scelta di Bassolino è legata, ha detto egli stesso, all'indicazione del sub commissario o dei sub commissari previsti. Mentre il ricorso al Tar e alla Consulta fa perno sui profili di illegittimità che si lamentano nella decisione del Governo di arrivare al commissariamento,

Lavoratore che assiste handicappato trasferibile in caso di incompatibilità ambientale ( da "AltaLex" del 31-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La Corte compie una configurazione giuridica delle posizioni soggettive riconosciute dalla norma, e i limiti del relativo esercizio all?interno del rapporto di lavoro, alla luce dei numerosi interventi della Corte costituzionale, che, collocando le agevolazioni in esame all?

"incompatibile? decida il parlamento" ( da "Repubblica, La" del 01-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La discesa in campo di Michele Emiliano potrebbe essere frenata da una recente sentenza della corte costituzionale che pone l´impossibilità per i magistrati di avere tessere di partito. Il sindaco di Bari, concentrato a presentare la sua candidatura alla segreteria del Pd, ha preferito rimandare ogni decisione ad un altro momento. «è un problema serio, ma mal posto.

Assunzioni ampie per i precari ( da "Sole 24 Ore, Il" del 01-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La Corte costituzionale, infatti, ha puntualmente bocciato le norme che hanno provato a imporre a sindaci e presidenti di provincia limiti puntuali sulle assunzioni, in contrasto con l'autonomia riconosciuta a comuni e province. Per loro, dunque, i margini di manovra sulle stabilizzazioni sono quelli generali che disciplinano la spesa di personale:

OSPEDALI Bassolino contro Roma: Decido io ( da "Manifesto, Il" del 01-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Farà ricorso al Tar e alla Corte Costituzionale per alcuni punti del decreto. E sta valutando di nominare, entro il 31 ottobre, i nuovi direttori generali di alcune Aziende sanitarie ed ospedaliere. Il governo, invece, non è riuscito a persuadere Andrea Monorchio che quella campana sarebbe stata una sfida facile.

ambiente, losappio contro fitto "fa perdere alla puglia soldi e lavoro" - paolo viotti ( da "Repubblica, La" del 02-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte costituzionale che ha ritenuto «non fondate le questioni di legittimità costituzionale» poste dal ministro in relazione alla legge regionale sulle industrie a rischio, la cosiddetta "legge Seveso". Un anno fa la Regione approvò una norma con la quale, con trent´anni di ritardo, si recepivano le direttive nazionali sulla prevenzione dei disastri ecologici in relazione alle grandi

il tribunale: sì ai matrimoni gay quel divieto è irragionevole - filippo tosatto ( da "Repubblica, La" del 02-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: ordinanza che solleva davanti alla Corte Costituzionale una questione di legittimità degli articoli del codice civile che impediscono le nozze gay, sono i magistrati della terza sezione civile del Tribunale di Venezia presieduta da Maurizio Gionfrida. L´ordinanza, che risale al 3 aprile scorso e reca la firma del giudice Silvia Bianchi,

Cossiga vent'anni dopo le picconate ( da "Corriere della Sera" del 02-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Lì dentro c'è tutto: l'assetto semipresidenziale dello Stato, l'elezione diretta del presidente della Repubblica, la divisione delle carriere in magistratura, la riforma della stessa Corte costituzionale... tu presentala e voglio vedere come farà il centrosinistra a non votarla». Marzio Breda

Comunità montane blindate dagli Statuti oltre che dalla Carta ( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 03-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: inequivocabile la Corte costituzionale in alcuni passaggi chiave della sentenza 237/2009 depositata il 24 luglio scorso. Su ricorso del Veneto e della Toscana, la Corte dichiara l'illegittimità di alcune disposizioni della Finanziaria 2008 (commi 20, 21, ultimo periodo, e 22 della legge 244 del 2007) sul riordino delle comunità montane finalizzato alla riduzione delle spese di funzionamento,

"gianfranco ha ragione, forse abbiamo esagerato" - giovanna casadio ( da "Repubblica, La" del 04-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Ma prima che la Corte costituzionale imponesse la non reiterazione dei decreti - dopo la scadenza non si può rinnovare - i governi di centrosinistra, la Dc in testa, ripresentavano un decreto anche sei, sette volte. Davvero il Parlamento veniva esautorato. Ormai se le Camere non trasformano in legge un decreto, questo decade.

Impianti di energia rinnovabile e verifica preventiva dell'interesse archeologico ( da "AltaLex" del 04-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La Corte costituzionale, con la sentenza n. 364 del 2006, pur affermando la legittimità dell?intervento regionale sul piano delle competenze costituzionalmente assegnate (trattandosi di energia), ha in ogni caso dichiarato la incostituzionalità della norma regionale poiché si poneva in contrasto con il principio fondamentale posto dall'

La Russa: "Fini ha ragione forse abbiamo esagerato" ( da "Repubblica.it" del 04-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Ma prima che la Corte costituzionale imponesse la non reiterazione dei decreti - dopo la scadenza non si può rinnovare - i governi di centrosinistra, la Dc in testa, ripresentavano un decreto anche sei, sette volte. Davvero il Parlamento veniva esautorato. Ormai se le Camere non trasformano in legge un decreto, questo decade.

incarichi esterni delle asl e farmacie i carabinieri acquisiscono nuove carte - gabriella de matteis giuliano foschini ( da "Repubblica, La" del 05-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: articolo 14 della legge è stato anche impugnato dinanzi alla Corte Costituzionale dal governo secondo cui la Regione non avrebbe potuto legiferare su una materia che rientra invece nelle competenze dello Stato. La Corte rigettò però il ricorso. Sin qui il dibattito politico, ora la legge, però, diventa materia d´indagine della procura.

"noi, scandalizzati vogliono creare il caos" ( da "Repubblica, La" del 05-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La Corte Costituzionale ha già annullato l´esproprio, ora cercheremo di far bocciare la class action». Intanto, l´unica cosa di cui nessuno parla è la riapertura del teatro. «Abbiamo più volte invocato spiegazioni dal ministro Bondi: deve chiarire i motivi del ritardo nella riconsegna del Petruzzelli alla Fondazione.

La retromarcia di Rezart Taçi Il Bologna resta ai Menarini ( da "Unita, L'" del 05-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: com) hanno scritto che la Corte costituzionale locale ha accolto il ricorso di un gruppo di petrolieri bocciando la decisione del governo di Sali Berisha di affidare il monopolio della distribuzione di diesel ecologico (D2) alla Armo, la compagnia ex statale acquistata da Taçi.

Dai commercialisti l'allarme sull'Irap ( da "Sole 24 Ore, Il" del 05-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: per quanti hanno avuto oneri e spese per il personale è una costruzione giuridica solo per salvare l'imposta regionale alla Corte costituzionale ». Siciliotti denuncia anche situazioni ambigue: ci sono strutture e società di servizi che promettono ai clienti di avere una piattaforma informatica in grado di trasmettere la domanda in pochi secondi, così da accappararsi i fondi.

La regione partecipa alla class action per il teatro ( da "Manifesto, Il" del 05-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: alla proprietà passate anche attraverso un esproprio deciso dal governo e annullato dalla Corte Costituzionale nel 2008. Il teatro, infatti, è privato ma sorge su suolo pubblico in concessione. Dopo l'incendio, il restauro è stato fatto anche grazie ad un protocollo d'intesa tra proprietari, regione, provincia e comune di Bari, la cui validità è messa in discussione dalla Regione.

Bari, i carabinieri tornano in Regione ( da "Corriere della Sera" del 05-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Norma impugnata dal governo di fronte alla Corte Costituzionale. Il pm ha acquisito gli atti preparatori della legge per capire se era ispirata da interessi illeciti. «Solo l'interesse dei cittadini ad avere due farmacie nei paesini che ne hanno una sola e sono costretti a fare chilometri quando è chiusa», rivendica Vittorio Potì, l'ex consigliere regionale socialista,

Sanzioni amministrative: percezione sensoriale dell'agente e querela di falso ( da "AltaLex" del 05-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: come sottolineato in materia dalla Corte Costituzionale (cfr. n. 50411/ 987) - è funzionale l?efficacia di piena prova attribuita all?atto pubblico dall?art. 2700, c.c., e per il cui perseguimento il legislatore ha ritenuto necessario e sufficiente in tema di sanzioni amministrative, da un lato, non porre limiti alla contestazione dell?

Friuli, presidente Renzo Tondo incontra Raffaele Fitto : vertice sulla legge anticrisi ( da "Sestopotere.com" del 05-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Il presidente Tondo ha comunque informato il ministro che, in via cautelativa e in vista della scadenza dei termini, la Giunta regionale di domani autorizzerà l'Avvocatura della Regione a costituirsi in giudizio in merito all'impugnazione della legge davanti alla Corte costituzionale.

Terremoto: numeri record della solidarietà per l'Abruzzo ( da "Sestopotere.com" del 05-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: ex Presidente della Corte Costituzionale, da Vito d?Ambrosio, ex Presidente della Regione Marche nel periodo in cui la Regione fu colpita dal terremoto del 1997, da Natalino Irti, abruzzese e membro dell?Accademia dei Lincei e da Fernanda Contri ex Vice Presidente della Corte Costituzionale, che è stata designata anche a presiedere il Comitato stesso.

Regione Friuli: tavolo con Governo su tributi Inps ( da "Sestopotere.com" del 05-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Dopo la sentenza favorevole della Corte costituzionale la nostra Regione ha acquisito un diritto di essenziale rilevanza. Pur consapevoli delle difficoltà economiche che il nostro Paese sta attraversando, non posso quindi esimermi dal rappresentare con forza al Governo un diritto certificato".

la crociata vaticana e le mani sulla vita - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 06-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Governo vogliono trarre profitto dalle lezioni impartite dalla Corte costituzionale con due recenti sentenze che indicano quali debbano essere i rapporti tra potere legislativo, potere medico e potere individuale quando si affrontano temi che riguardano la vita delle persone. Viene ribadito il ruolo centrale dell´autodeterminazione, per la prima volta riconosciuta esplicitamente come "

Nichi Vendola esce trafelato da una riunione delle Regioni sulla sanità e borbotta: E
...
( da "Unita, L'" del 06-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Norme che sono state legittimate dalla Corte Costituzionale. Ma il problema è un altro». Quale? «È il rimbalzo mediatico. La mia faccia è comparsa sul Tg1 mentre si parlava di prostituzione e cocaina, inchiesta che tocca la destra e Berlusconi. Su di me c'è stata una intensità comunicativa che non ha eguali».

Ambiente promosso a pieni voti ( da "Sole 24 Ore, Il" del 06-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: 12 Regioni lo impugnarono di fronte alla Corte costituzionale, con 130 contestazioni e richieste, che andavano dalla cancellazione radicale dell'intero provvedimento all'impugnazione di minuzie procedurali, tipo l'utilizzazione dei poteri sostitutivi delle Regioni in caso di inadempienze da parte dei gestori del ciclo dei rifiuti.

Tangenti per farmacie Bari, sequestrate altre carte ( da "Corriere della Sera" del 06-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: atti di fronte alla Corte Costituzionale, contro il parere dei 14 ex gestori provvisori (difesi inizialmente da Giovanni Pellegrino, ex senatore ds ed ex presidente della Commissione stragi, all'epoca presidente della Provincia di Lecce, e poi dalla figlia di lui Valeria e da altri colleghi): «La legge venne approvata in una seduta segnata dalle proteste dei farmacisti presenti.

Onida: standard etici decisivi nella vita pubblica ( da "Corriere della Sera" del 06-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte costituzionale e l'editoriale di Panebianco: la sinistra non può trascurare questo problema Onida: standard etici decisivi nella vita pubblica ROMA «La posizione della sinistra viene dipinta in modo un po' caricaturale. Ma, a parte questo, mi sembra che ci sia una confusione tra due aspetti: quello della critica alla moralità privata del premier e quello della lotta alla corruzione.

Irap, indeducibilità dalle imposte sui redditi, legittimità ( da "AltaLex" del 06-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: legittimità Corte Costituzionale , sentenza 30.07.2009 n° 258 Stampa | Segnala | Condividi | irap | imposte sui redditi | deducibilità | Corte costituzionale Sentenza 30 luglio 2009 N. 258 LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Francesco AMIRANTE Presidente Ugo DE SIERVO Giudice Paolo MADDALENA " Alfio FINOCCHIARO " Alfonso QUARANTA "

Spetta al GA la giurisdizione in materia di scorrimento di graduatorie degli idonei ( da "AltaLex" del 07-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La sentenza della Corte Costituzionale n.390\2004 invocata dai ricorrenti ha dichiarato costituzionale dell'art. 3, comma 60, 1.n.350\2003 limitatamente alla parte in cui dispone che le assunzioni a tempo indetenninato «devono, comunque, essere contenute (...) entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell'

Ici agricola, 3,5 milioni di euro alle cooperative di Reggio Emilia ( da "Sestopotere.com" del 07-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La cifra è stata calcolata da Confcooperative (relatrice davanti alla Corte con l?avvocato Ermanno Belli), che ha valutato in oltre 700.000 euro all?anno l?imposta a carico delle cooperative di trasformazione reggiane. “L?effetto della sentenza della Corte Costituzionale – spiega Confcooperative –

Comunità montane avanti tutta ( da "Stampa, La" del 08-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte Costituzionale, che riconosce le Regioni competenti in materia». Per quanto riguarda il commissariamento, tutto rimane ancora congelato come illustra sempre Ronzani: «Ovviamente i commissari non sono stati ancora nominati, proprio in attesa di conoscere il verdetto del Consiglio di Stato sulla sentenza sospensiva emessa dal Tar nei confronti del provvedimento di accorpamento

"in autunno tenteranno di buttarmi giù" il premier chiama alle armi i media di casa - claudio tito ( da "Repubblica, La" del 08-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: sentenza della Corte costituzionale che si esprimerà sul Lodo Alfano, ossia sullo scudo che protegge le più alte cariche istituzionali dalle indagini della magistratura. Il tutto - ripete sempre più spesso il Cavaliere - «ingigantito» dai mass media. Un clima che - sono le osservazioni di molti dei suoi collaboratori - rischia di trovare sponde nei settori della maggioranza più «

Referendum, il sì a valanga Mamadou Tandja inarrestabile ( da "Manifesto, Il" del 08-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: e sostituito i membri della Corte costituzionale. Questi provvedimenti hanno suscitato molte critiche anche all'estero, in Africa ma anche in Europa e negli Stati uniti. L'Unione europea ha già sospeso l'erogazione di una «tranche» di aiuti e minacciato «serie conseguenze» nella cooperazione con il Niger se Tandja porterà avanti - come ormai assai plausibile -

"In autunno tenteranno di buttarmi giù" il premier chiama alle armi i media di casa ( da "Repubblica.it" del 08-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: sentenza della Corte costituzionale che si esprimerà sul Lodo Alfano, ossia sullo scudo che protegge le più alte cariche istituzionali dalle indagini della magistratura. Il tutto - ripete sempre più spesso il Cavaliere - "ingigantito" dai mass media. Un clima che - sono le osservazioni di molti dei suoi collaboratori - rischia di trovare sponde nei settori della maggioranza più "

Il notaio deve pagare l'Irap ( da "Sole 24 Ore, Il" del 08-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte costituzionale, sentenza 156/2001) e, invece, del tutto dipendente dal titolare professionista, è esclusa l'applicazione dell'imposta (Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione XIV, sentenza 98/2005). I professionisti, quindi, sono soggetti all'Irap quando nella loro attività si avvalgono di collaboratori,

Esentati i medici del Ssn ( da "Sole 24 Ore, Il" del 08-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: la Corte di cassazione ha elaborato a partire dalla sentenza della Corte costituzionale 156/2001 che ha riconosciuto imponibili i redditi di lavoro autonomo solo nei casi in cui l'attività sia esercitata con un'organizzazione in grado di imprimere alle capacità lavorative e produttive del professionista un impulso economicamente rilevante che altrimenti non riuscirebbe a ottenere.

perché la lega sta facendo ammuina - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 09-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: problemi della delega e dei decreti delegati per la graduale attuazione del federalismo fiscale, nonché la riforma costituzionale che trasformerà il Senato in Assemblea delle autonomie con tutto il ricasco che una tale trasformazione avrà sull´organizzazione del governo, delle istituzioni di controllo a cominciare dal Parlamento, dalla Corte costituzionale e dall´Ordine giudiziario.

Perché la Lega sta facendo ammuina ( da "Repubblica.it" del 09-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: problemi della delega e dei decreti delegati per la graduale attuazione del federalismo fiscale, nonché la riforma costituzionale che trasformerà il Senato in Assemblea delle autonomie con tutto il ricasco che una tale trasformazione avrà sull'organizzazione del governo, delle istituzioni di controllo a cominciare dal Parlamento, dalla Corte costituzionale e dall'Ordine giudiziario.

il potere senza controllo - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 10-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: appunto la Presidenza della Repubblica e la Corte costituzionale, di cui cresce la responsabilità. I casi ricordati prima, infatti, non sono una eccezione o una emersione casuale di pulsioni autoritarie. Rappresentano la conferma di una linea avviata fin dall´inizio della legislatura: con il Lodo Alfano e gli attacchi ripetuti e le minacce rivolte a giudici costituzionali e ordinari;

Tassa sul lusso della Sardegna senza avallo Ue ( da "Sole 24 Ore, Il" del 10-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: rimarcando la svolta sul punto da parte della Corte costituzionale (la quale aveva in passato negato tale possibilità, da ultimo con l'ordinanza n. 536/1995) e sottolineando come essa ora si inserisca «nella cerchia delle corti costituzionali nazionali che intrattengono un rapporto di cooperazione attivo con la Corte di giustizia».

Tassa rifiuti senza Iva: sei milioni di famiglie hanno diritto al rimborso ( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 10-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La decisione della Corte costituzionale, nella sentenza 238/2009, fa cadere l'Iva al 10%applicata sulla tariffa, e apre per 6 milioni di famiglie la strada del rimborso, che può riguardare anche gli arretrati degli anni scorsi. La decisione riguarda anche operatori economici e imprese.

Per far quadrare i conti da domani si pagherà di più ( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 10-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: prelievo Per far quadrare i conti da domani si pagherà di più Paolo Maggiore La decisione della Corte costituzionale sulla natura tributaria della tariffa d'igiene ambientale sembra venire incontro a una esigenza di diminuzione dei costi sostenuti dalle famiglie, certamente auspicabile in un momento di crisi economica. Ma siamo veramente sicuri che sia questo il risultato raggiungibile?

L'effetto domino crea il caos fiscale per le imprese ( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 10-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte costituzionale, chiamata a confermare la natura tributaria della Tia agli effetti del contenzioso. Ma nella corposa motivazione, opera di un autorevole studioso del diritto tributario come il professor Franco Gallo, la Corte dichiara che l'Iva non può essere applicata, non esistendo una differenza sostanziale tra Tarsu e Tia e mancando la condizione essenziale di corrispettività

Rischio rimborsi sulla tariffa rifiuti ( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 10-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: si è dovuti arrivare fino alla Corte costituzionale, che con la sentenza 238/2009 (si veda Il Sole 24 Ore del 25 luglio) ha chiuso un dibattito durato anni. I giudici delle leggi non hanno avuto dubbi, e ribaltando i ragionamenti di molti tribunali amministrativi hanno decretato che la tariffa, a guardarla bene, è una tassa.

LE COMPONENTI ( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 10-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: mancata correlazione fra quantità e qualità del servizioe corrispettivo pagato dai consumatori ha determinato la sentenza della Corte costituzionale che ha stabilito la natura tributaria e non tariffaria della Tia Iva è il 10% sulla somma di parte fissa e parte variabile Addizionale provinciale è un'ulteriore aliquota (spesso del 5%) applicata sulla somma di parte fissa e variabile

Sull'acqua indennizzi da ottobre ma non si sa dove trovare i soldi ( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 10-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: altra bocciatura della Corte costituzionale Sull'acqua indennizzi da ottobre ma non si sa dove trovare i soldi La tariffa rifiuti non è la prima voce dei servizi localia uscire male dall'esame della Corte costituzionale. A ottobre dell'anno scorso i giudici delle leggi si erano esercitati sul canone di depurazione, sentenziando una verità ovvia ma rivoluzionaria:

Contenzioso con più cautele nel nuovo processo civile ( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 10-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: della Corte costituzionale n. 64 del 10 marzo 2008, il giudice individuato nonè quello corretto, quali sono le conseguenze del suo errore? Le conseguenze sono di tipo processuale, in caso di difetto di giurisdizione il giudice infatti invece di dichiarare inammissibile il ricorso, dichiara la propria carenza di giurisdizione con sentenza e rimette le parti al giudice competente.

Il controllo preventivo rischia di bloccare i processi contabili ( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 10-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: ordinamento: nella sentenza 29/1995 la Corte costituzionale aveva negato la possibilità di avviare l'azione di danno senza un preciso rispetto degli «inviolabili» diritti di difesa, tra i quali c'è l'esistenza di una notizia preesistente all'azione, già astrattamente configurabile come sospetto di «illecito contabile ».

C'è un matrimonio gay legale in Italia "Ecco come sono riuscito a registrarlo" ( da "Repubblica.it" del 10-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: In attesa del verdetto della Corte costituzionale - chiamata in causa dal Tribunale di Venezia e da quello di Trento che hanno considerato fondate le ragioni delle coppie omosessuali che chiedono di accedere all'istituto del matrimonio - dai faldoni dello stato civile italiano esce una storia surreale, fatta di equivoci e vita vissuta.

Addio a Marini professore con Cossiga ( da "Stampa, La" del 11-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga (docente di Diritto costituzionale) cui era legato da profonda amicizia. Marini è stato anche pro-rettore dell'Università tra il 1982 e il 1984 e giudice della sezione della Corte Costituzionale incaricata di giudicare il presidente della Repubblica in caso di messa in stato d'accusa.

Priorità al nuovo processo penale ( da "Sole 24 Ore, Il" del 11-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: la decisione della Corte costituzionale sul Lodo Alfano - lo scudo per le alte cariche dello Stato - attesa per il 6 ottobre. Grazie al Lodo, il premier è "uscito" momentaneamente dal processo Mills, in cui è accusato di aver corrotto l'avvocato inglese condannato nel frattempo a 4 anni e sei mesi per falsa testimonianza («mentì per salvare Silvio Berlusconi »

La Tia alla scoperta di sanzioni e ravvedimenti ( da "Sole 24 Ore, Il" del 11-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Lovecchio Secondo la Corte Costituzionale (sentenza 238/09), la Tia, in quanto tassa, non può essere soggetta a Iva, poiché vi sarebbe incompatibilità tra l'imposta sul valore aggiunto e una prestazione di carattere tributario (si veda «Il Sole 24 Ore»di ieri).L'affermazione perentoria si fonda sull'assunto secondo cui una tassa non si qualifica mai come corrispettivo di un servizio,

Germania, arrivano le unioni omosessuali ( da "Corriere della Sera" del 11-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: ha ritirato il ricorso alla Corte costituzionale federale contro il rafforzamento dei diritti delle coppie gay e lesbiche, stabilito da una legge del 2005. Nessuna spiegazione, nessun comunicato ufficiale a motivare la marcia indietro: l'anticipazione, comparsa ieri sulla prima pagina della Süddeutsche Zeitung , è stata poi confermata dal ministro bavarese della Giustizia,

Chi ci fa la morale? ( da "Stampa, La" del 12-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: presidente della Corte costituzionale, Giovanni Maria Flick - si obbedisca al concetto di legge permissiva che ho imparato da un cattolico adulto come Leopoldo Elia». Flick, che si definisce un cattolico vecchio, un giuspositivista costituzionale, si richiama a Elia perché «ha ragione Bagnasco: se è l'opinione pubblica a stabilire la morale si va incontro alla dittatura della maggioranza.

quadrifoglio rischia pioggia di ricorsi - michele bocci ( da "Repubblica, La" del 12-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Firenze Quadrifoglio rischia pioggia di ricorsi La Corte Costituzionale cancella l´Iva dalla tariffa rifiuti Riunione per capire come far fronte ad un esborso che potrebbe arrivare a 10 milioni MICHELE BOCCI La Corte Costituzionale toglie l´Iva dalla tariffa sui rifiuti, la Tia, e al Quadrifoglio temono una pioggia di ricorsi.

Quel contratto nuovo a metà ( da "Sole 24 Ore, Il" del 12-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: ex giudice della Corte Costituzionale e già legale del premier Silvio Berlusconi in diversi processi civili. Ma qual è la carta d'identità della Kalos? Si tratta di una cooperativa di Milano che ha chiuso il bilancio 2007 con un valore della produzione di soli 50mila euro, divenuti 7,1 milioni l'anno successivo.

L'Agenzia alleggerisce le sanzioni ( da "Sole 24 Ore, Il" del 12-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: rilevato che la norma originaria venne ritenuta incostituzionale (sentenza Corte costituzionale 144/05) nella parte in cui non ammetteva la possibilità per il datore di lavoro di dimostrare che il rapporto irregolare era iniziato dopo il 1Ú gennaio. Oggi la sanzione varia da 1.500 a 12mila euro per ogni lavoratore, maggiorata di 150 euro per ciascuna giornata di lavoro effettivo.

Negli scrutini nessun vantaggio dalla religione ( da "Sole 24 Ore, Il" del 12-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: enunciato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 203/89), ritenuto garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà religiosa, in regime di pluralismo confessionale e culturale: «sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente –

Religione via dagli scrutini ( da "Manifesto, Il" del 12-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: dalla Corte Costituzionale (n.203/1989) come «garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà religiosa, in regime di pluralismo confessionale e culturale», precisando che «sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico»

( da "Corriere della Sera" del 12-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: comprese delle sentenze della Corte costituzionale. Mi sembra quindi assai difficile che questa sentenza del Tar del Lazio possa trovare accoglienza da parte del Consiglio di Stato». A causa della pausa di agosto la commissione della Cei per l'educazione cattolica, la scuola e l'università verrà convocata dal suo presidente, il vescovo di Como Diego Coletti,

I nuovi 7 Comuni dell' Alta Valmarecchia nella provincia di Rimini, commento Lorenzo Valenti ( da "Sestopotere.com" del 12-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: annunciato alla stampa di rinunciare alla presentazione del ricorso contro la legge teste approvata presso la Corte Costituzionale. E? un opportuno segno di distensione verso la nostra vallata che interpretiamo nel segno di una auspicabile collaborazione interregionale nel delicato momento del passaggio di regione: conclude il Presidente della Comunità Montana Alta Valmarecchia.

Cittadinanze onorarie eccellenti ( da "Stampa, La" del 13-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte Costituzionale) «per l'impegno civico che ha dimostrato lungo tutta la sua carriera che lo ha portato sino a ricoprire la carica di presidente della Corte Costituzionale, e per il suo impegno nella Fondazione Courmayeur» e a Piero Savoretti (fondatore delle Funivie Val Veny) «per le grandi capacità imprenditoriali che ne hanno fatto uno dei più riconosciuti esponenti del tessuto

Le polemiche, i sospetti. Le intercettazioni e le testimonianze delle show girl coinvolte nel Bari-g... ( da "Unita, L'" del 13-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La misura fu poi bocciata in alcune sue parti dalla Corte Costituzionale e poi, per essere proprio sicuri, abolita completamente dal neo governatore Cappellacci ad una settimana dal suo insediamento. Che Briatore sia ben visto dagli amministratori del centro destra non è un mistero: lo conferma la concessione per cinque anni firmata dall'ex sindaco di Arzachena Pasquale Ragnedda (

Un regolamento per i figli dei clandestini ( da "Manifesto, Il" del 13-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: il governo possa cercare di bloccarlo facendo ricorso alla Corte costituzionale. Non sarebbe la prima volta. La stessa cosa accadde infatti con la legge che, sempre a Genova, consentiva agli immigrati di votare alle elezioni amministrative. «Certo, la possibilità esiste - ammette l'assessore - ma ricordiamoci che stiamo parlando dei diritti dei bambini».

processo in piazza a giulio cesare ( da "Repubblica, La" del 14-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Il tribunale del popolo sarà presieduto da Giuseppe Tesauro, giudice della Corte costituzionale. Giudici: Claudio Tringali (presidente tribunale Vallo della Lucania), Raffaele Quaranta (penalista), Nicola D´Angelo (magistrato), Raffaele Grisolia, (docente di filologia). A sostenere l´accusa: il Procuratore Corrado Lembo e il giudice Nicola Graziano.

religione, il vicariato di roma avverte "a settembre battaglia agli scrutini" ( da "Repubblica, La" del 14-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Diciamo no alla religione insegnata secondo i dettami del catechismo - afferma Mario Di Carlo, coordinatore della Consulta romana per la laicità delle istituzioni - e per sancire una volta per tutte il principio di "non discriminazione", spiegheremo ai giudici del Consiglio di Stato che è necessario l´intervento della Corte Costituzionale».

Sull'ora di religione è battaglia di ricorsi ( da "Manifesto, Il" del 14-08-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: In caso di invalidazione anche di questo pronunciamento faremo ricorso alla Corte costituzionale», minaccia Domenico Maselli, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei). Ma la diatriba sull'ora di religione rischia di spostare il cuore del problema sulla scuola pubblica in Italia. Seriamente compromessa tra un taglio gelminiano e una «sparata» leghista.


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Europa è in Baviera la tua ultima fermata (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 21-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMA data: 2009-07-21 - pag: 1 autore: SENTENZA TEDESCA Europa è in Baviera la tua ultima fermata di Carlo Bastasin A ngela Merkel sta cercando di sopire gli effetti della sentenza della Corte costituzionale tedesca che a inizio mese ha denunciato rilevanti carenze di democrazia nell'integrazione politica europea. Imponendo la riforma della legge di accompagnamento a quella di ratifica del Trattato di Lisbona, i giudici di Karlsruhe – secondo le parole di un ex presidente della Corte – hanno fissato «il chiaro capolinea » dell'integrazione europea. L'Europa è ora in bilico su un difficile esercizio di aggiramento della sentenza da parte della politica tedesca, chiamata a riscrivere la legge e a evitare di dover rinazionalizzare le politiche sociale, economica e di sicurezza. Si tratta forse della minaccia più grave che sia mai pesata sul destino dell'Unione europea, innescata nel paese più importante e proprio nel momento in cui la crisi globale richiederebbe maggior coordinamento politico. Le trattative si svolgono tra Berlino e Monaco, sotterranee ma veementi. Il partito bavarese promotore della linea antieuropea, la Csu, ha dovuto moderarei toni. La stampa, che aveva salutato la sentenza di Karlsruhe e cantato la fine dell'europeismo tedesco, è ora più cauta. Tutti i maggiori partiti, tranne la sinistra estrema che è tra i promotori delle cause, sottolineano i danni per la stessa Germania, isolata dalla sentenza. Ma il genio è ormai fuori dalla lampada. La sentenza nasconde anche una suggestione: «Il Trattato di Lisbona ampliando le competenze della Ue ha aumentato e non ridotto il deficit democratico», ciò dovrebbe giustificare la costruzione di un sistema politico europeo più responsabile, una vera unione politica, come ricorda la sentenza stessa. Ma l'iniziale, disordinato tentativo di limitare i danni con interpretazioni ottimistiche sta cadendo nel vuoto. Sotto accusa sono tutte le decisioni europee prese non all'unanimità, e non solo. Proprio in queste ore, di fronte alle richieste islandesi di entrare nella Ue, alcuni parlamentari bavaresi hanno minacciato di appellarsi alla Corte di Karlsruhe, come se i tedeschi disponessero di un loro speciale diritto di veto sulle questioni europee, originato dall'inalienabile diritto di voto sulle questioni nazionali. E questo è infatti il senso della sentenza dei giudici di Karlsruhe. Continua u pagina 13 l'articolo prosegue in altra pagina

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In Baviera l'ultima fermata della Ue (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 21-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: COMMENTI E INCHIESTE data: 2009-07-21 - pag: 13 autore: DALLA PRIMA In Baviera l'ultima fermata della Ue Nei 421 paragrafi della sentenza i giudici impongono che, «nel caso di espansione nelle pretese di responsabilità dell'Unione europea», venga eseguita una «verifica di competenza » in modo che «resti salvaguardata l'intoccabile componente cruciale dell'identità della Legge fondamentale tedesca». Di fatto attraverso questa formulazione la Corte di Karlsruhe si attribuisce il diritto di valutare quali siano le competenze che fissano i confini dell'integrazione europea e che non devono essere «scavalcati». Sia nei principi generali, sia nei dettagli. Un giurista vicino alla Corte, interpellato da un settimanale, definisce questa formulazione la versione più intelligente di una riserva contrattuale, un diritto di veto "più dinamico e flessibile", tale da negare all'Unione europea deleghe di iniziativa non specificamente autorizzate dai parlamenti nazionali e tale da consegnare alla sensibilità della Corte di Karlsruhe il giudizio decisivo su ogni passo di Berlino verso l'integrazione europea. Karlsruhe diventa la sede primaria di accertamento di legittimità dei rapporti tra Berlino e la Ue e di conseguenza anche dentro la Ue. In tal senso i giudici tedeschi si pongono espressamente al di sopra dei poteri della stessa Corte di Giustizia europea. Si tratta di un regolamento di conti tra le due Corti dopo una concorrenza che durava da almeno 17 anni, da quando sono nate le prime contestazioni del Trattato di Maastricht. A quella europea fa capo l'ultimo giudizio sulla validità e il rispetto della norma europea, ma Karlsruhe riconoscendosi l'unica competenza sul giudizio di costituzionalità per la Germania pone se stessa – seppur tra alcuni artifici cautelativi in cui riconosce la superiorità del diritto europeo su quelli nazionali nonché il principio di apertura, sancito dalla Legge fondamentale, alla Comunità internazionale e in particolare all'Europa –come istanza successiva ma indispensabile, e quindi al di sopra, del sì eventuale della Corte del Lussemburgo. Il ragionamento è relativamente semplice. La Corte tedesca stabilisce che l'Unione europea ha forma di stato federale, ma ha una legittimità derivata da quella degli stati nazionali. Non ha le procedure di decisione di uno stato federale e non rispetta sotto vari aspetti i caratteri di una democrazia compiuta in cui si possa esprimere la volontà di cittadini uguali e di un popolo omogeneo. In ragione di ciò, le competenze che possono fare capo all'Unione europea sono solo quelle che non possono influenzare in modo sostanziale le condizioni di vita dei cittadini, in base naturalmente alle convinzioni dei giudici di Karlsruhe. Secondo la sentenza,l'unificazione europea non può essere realizzata in modo che gli stati membri non trattengano spazio sufficiente di potere per determinare la formazione delle circostanze vitali nella sfera economica, culturale e sociale. Fa capo alla politica nazionale lo spazio privato della responsabilità privata del cittadino e della sicurezza politica, privata ma anche sociale, protette dai diritti fondamentali. Fanno capo ai parlamenti nazionali anche «le decisioni politiche che devono ricondursi a intese preesistenti ( Vorverstaendnisse) con riferimento a cultura, politica e linguaggio e che si esprimono in uno spazio politico attraverso il sistema dei partiti o in spazi organizzati parlamentari entro i quali l'opinione pubblica in materia politica si dispiega discorsivamente». Il trasferimento di sovranità, qualora possibile, è comunque da intendersi in un'accezione molto ristretta soprattutto negli ambiti della giustizia penale, del monopolio della forza militare e civile, nelle decisioni fondamentali in materia fiscale, in tema cioè di imposte e di spesa pubblica, nella formazione delle circostanze vitali da parte delle politiche sociali e delle decisioni rilevanti in materia culturale come l'istruzione, il sistema scolastico, le disposizioni che presidiano il sistema dei media e le relazioni con le comunità religiose. La Corte sottolinea il ruolo essenziale alla democrazia dell'opinione pubblica di cui non riconosce traccia in Europa. Nonostante il Trattato di Lisbona richiami il ruolo del Parlamento europeo come ambito politico in cui possono esprimersi i rappresentanti dei cittadini europei, i giudici tedeschi liquidano il parlamento di Strasburgo come un organo «non rappresentativo di un popolo europeo sovrano ». Il requisito di eguaglianza dei cittadini europei di fronte alle procedure decisionali non sarebbe rispettato perché i criteri elettivi non sono proporzionali alla popolazione (ogni parlamentare maltese viene eletto da un numero di votanti pari a un quattordicesimo di quelli dei colleghi tedeschi) contraddicendo il principio di non discriminazione per ragioni di nazionalità. Questo sistema è coerente solo con un'Unione europea concepita non come Stato ma come Associazione (Verbund) di stati sovrani, a fronte del quale non c'è dunque un popolo sovrano, né un organo plenipotenziario rappresentativo nella forma di un Parlamento, bensì un'unione di popoli ognuno sovrano attraverso l'espressione di volontà nei parlamenti nazionali. In tal senso il deficit democratico non potrà essere compensato attraverso un'attribuzione di poteri crescenti al Parlamento europeo. Al contrario, il percorso deve essere riportato indietro verso i parlamenti nazionali assicurando – quanto meno a quello tedesco – pieno diritto di decisione su ogni tema europeo. Un composito insieme di condizioni vitali in una società caratterizzata da unità storica, culturale e linguistica – francamente nostalgiche e impossibili da ritrovare in società moderne – giustificano con un ragionamento circolare il criterio di "identità costituzionale" che naturalmente non può essere danneggiato da Bruxelles. Come ha felicemente sintetizzato il settimanale Der Spiegel, per i giudici «l'identità viene prima dell'integrazione ». Ma è perfino peggio: l'attenzione all'identità della norma sembra nascondere un'idea di identità di popolo, per ragioni storico, culturali e linguistiche, che si sperava bandita dalle menti tedesche. Il giorno dopo la pubblicazione della sentenza l'ex giudice costituzionale Paul Kirchhof, riemerso dopo una breve e disastrosa esperienza politica, ha espresso sulla Faz il suo compiacimento: la sentenza rappresenta «il chiaro capolinea » per la Ue, «non ci potrà essere uno stato europeo finché la costituzione tedesca avrà vita». A chi si illude tuttora che la sentenza sia una forma perversa per richiedere maggiori sforzi di costruzione di una più compiuta democrazia europea, Kirchhof propina la sua sentenza: «L'Unione europea è un'unione contrattuale tra stati sovrani e in quanto tale uno spazio politico di rango secondario». La dottrina di Kirchhof è ora rappresentata dal giudice Udo di Fabio, che la Faz ha salutato come un interessante esempio di immigrato «che ricorda ai tedeschi la libertà duramente guadagnata», come un Nino Manfredi che si fosse tinto i capelli di biondo nazionalismo giuridico. Kirchhof esclude espressamente che la sovranità in materia di politica di bilancio e politica fiscale possa essere né comunitarizzata, né condivisa. In tale circostanza un avvocato della Corte potrebbe solo appellarsi alla sostanziale ignoranza in materia economica che caratterizza i giudici di Karlsruhe. Ma ciò che è stupefacente è che nemmeno l'evidente necessità di coordinare le politiche fiscali europee emersa con la crisi globale ha smosso la pupilla dei costituzionalisti col tocco rosso in capo. Invocando infine nella sentenza una modifica delle procedure parlamentari, i giudici tedeschi chiedono che, a fronte di qualsiasi disposizione europea, ogni singolo cittadino possa appellarsi alla Corte costituzionale con uno speciale procedimento. Le poche voci sagge che hanno commentato la sentenza sulla stampa tedesca riconoscono che un tale sistema renderebbe impossibile una politica europea da parte tedesca esponendo ogni accordo raggiunto al tavolo di Bruxelles dal governo o da altri organi politici alla verosimile contestazione di qualsiasi nazionalista ipocondriaco di fronte a giudici notoriamente euro-critici. Nessun paese inoltre potrebbe basare la propria politica europea su un'intesa con la Germania, la cui capacità di decisione sarebbe costantemente esposta al rischio di smentita da parte del potere giudiziario. Carlo Bastasin carlo.bastasin@ilsole24ore.com © RIPRODUZIONE RISERVATA LIMITI ALLA SOVRANITà La sentenza dei giudici della Corte di Karlsruhe stabilisce la prevalenza dell'identità nazionale sull'integrazione europea REGOLAMENTO DI CONTI Il conflitto di competenze con la Corte di Giustizia durava da 17 anni: sul Trattato di Maastricht le prime contestazioni

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Apo Ocalan prepara la road map per la pace tra kurdi e Turchia (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 21-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ANKARA Al via il processo contro Ergenekon: chiesto l'ergastolo per due generali. E dal carcere di Imrali il leader annuncia la svolta Apo Ocalan prepara la road map per la pace tra kurdi e Turchia Orsola Casagrande Eppur si muove. Nonostante il governo turco faccia di tutto per dare del paese un'immagine di stabilità, il paese di Ataturk è in fermento. Migliaia di persone scendono in piazza quasi quotidianamente per chiedere al governo di accettare la proposta di pace del Pkk. La società civile si ribella contro l'ingerenza dell'esercito negli affari politici del paese. I sindacati rivendicano il loro ruolo sfidando una legislazione che li penalizza escludendoli da molti luoghi di lavoro. Le donne prendono la parola per dire basta a una violenza domestica e più in generale di genere sempre più pesante. Gli omosessuali occupano le strade per chiedere rispetto. Ieri si è aperto il secondo processo Ergenekon. La Gladio turca è alla sbarra e il pm chiede l'ergastolo per i generali Sener Euygur e Hursit Tolon, accusati di essere ai vertici dell'organizzazione che negli anni ha ordinato omicidi, pianificato golpe e fatto «sparire» centinaia di attivisti politici e sindacali. Insieme ai generali altre 54 persone sono imputate. Tra loro giornalisti, il presidente della camera di commercio, la moglie di un giudice della corte costituzionale. Altri 86 imputati sono sotto processo dallo scorso ottobre. L'udienza di ieri è stata aggiornata al 6 agosto. Ergenekon è venuta alla luce dopo la scoperta di 27 bombe a mano, il 12 giugno 2007, in una casa di Umraniye, a Istanbul. La casa era di proprietà di un generale dell'esercito in pensione. L'analisi delle bombe ha confermato che erano le stesse utilizzate in un attentato contro la redazione del quotidiano Cumhuriyet, nel 2006. Ma gli occhi dei commentatori turchi sono da qualche giorno puntati su Imrali, l'isola-carcere in cui da dieci anni è detenuto Abdullah Ocalan. Il leader del Pkk ha fatto sapere tramite i suoi avvocati che tra metà agosto e il 1 settembre renderà pubblica la sua road map. Una proposta di pace che starà al governo turco decidere se cogliere o meno. Il Pkk dal canto suo ha prolungato il suo cessate il fuoco unilaterale fino al primo settembre proprio per consentire al presidente Ocalan di terminare la stesura della «yol haritasi», la road map appunto. Un documento che conterrà le proposte e le considerazioni che in questi mesi sono state discusse e approvate in Kurdistan, Turchia e Europa. Dagli intellettuali alle organizzazioni kurde della società civile, dai rappresentanti politici kurdi ai guerriglieri, tutti hanno avuto occasione di dire la loro sulla formulazione di una proposta per una soluzione negoziata del conflitto kurdo-turco. Nelle settimane scorse Murat Karayilan, membro del comitato centrale del Pkk, ha rilasciato un'intervista al giornalista di Milliyet Hasan Cemal. «Nessuno - dice Karayilan - può sconfiggere il Pkk militarmente e questo è ampiamente dimostrato dal conflitto in atto ormai da 25 anni». «Quando entrambe le parti coinvolte nel conflitto avranno cessato le azioni militari - prosegue -, il passo successivo è negoziare con Abdullah Ocalan. Se la Turchia non vorrà negoziare con Ocalan, l'alternativa è negoziare con la leadership del Pkk. Se anche questo non sarà accettato, l'alternativa è negoziare attraverso il Dtp o un "comitato di saggi", composto da persone rispettate, che potrà avviare un dialogo con lo stato». Quanto alla deposizione delle armi, come precondizione, Karayilan è chiaro. «Deporre le armi è una fase successiva. Prima le armi devono essere mute. Nessuno deve usarle. Nella prima fase le armi saranno mute, quindi comincerà il dialogo». La richiesta del Pkk è di «un Kurdistan democratico e autonomo. Quello che intendiamo per autonomia non significa federazione. Non si tratta di ritracciare confini. Quella che proponiamo è una soluzione che preserva l'unità dello stato».

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Il Tar blocca le fusioni delle Comunità montane (sezione: Giustizia)

( da "Stampa, La" del 22-07-2009)

Argomenti: Giustizia

POLEMICA IN REGIONEL'ASSESSORE LUIGI RICCA ANNUNCIA: «FAREMO RICORSO AL CONSIGLIO DI STATO» Il Tar blocca le fusioni delle Comunità montane Per ora interessati due enti; incertezze sul futuro [FIRMA]ALESSANDRO MONDO Caos sulle comunità montane piemontesi, soggette ad un accorpamento che rischia di essere smentito a suon di carte bollate. E' di ieri la notizia che il Tar Piemonte, con due ordinanze, ha accolto il ricorso di due comunità montane - Alta Valle Susa e Valle Antigorio - decise a puntare i piedi contro la legge regionale del luglio 2008 che ridurrà da 48 a 22 le comunità sul territorio. Per la cronaca, l'Alta Valle Susa - rappresentata e difesa dall'avvocato Paolo Scaparone, professore di Diritto civile all'Università di Torino - avrebbe dovuto essere accorpata alla Bassa Valle Susa, dando luogo ad un'enclave di quasi 120 mila abitanti (la più grande della regione). La Valle Antigorio, invece, avrebbe dovuto fondersi con le comunità montane della Valle Ossola. Da qui il ricorso al Tar, con richiesta di annullamento: richiesta accolta solo in parte, visto che per ora il Tribunale regionale si è limitato a disporre la sospensiva. Il senso è quello di una vittoria ai punti per le due comunità interessate, che in attesa del prevedibile ricorso da parte della Regione congela l'intero piano degli accorpamenti in Piemonte. Stando all'assessore Sergio Ricca, infatti, la sospensiva disposta dai magistrati per le comunità Alta Valle Susa e Valle Antigorio interessa automaticamente tutti gli altri accorpamenti contenuti nella medesima legge regionale. Mentre per Mauro Carena, presidente della comunità Alta Valle Susa, «non si tratta di una vittoria politica, nè di destra nè di sinistra, ma l'ordinanza del Tar è il riconoscimento di una legge sbagliata». «Prendiamo atto del provvedimento - commenta Ricca -. Stiamo valutando con il nostro ufficio legale, ricorreremo al Consiglio di Stato confidando nella sentenza di merito». Resta l'incertezza per i corsi ed i ricorsi - normativi e giudiziari - che inceppano il piano degli accorpamenti previsto dalla legge regionale: dall'ordinanza del Tar al disegno di legge Calderoni, che di fatto propone l'abolizione delle comunità montane. Mentre la Toscana e il Veneto hanno impugnato davanti alla Corte Costituzionale la norma della Finanziaria che dispone il piano degli accorpamenti (recepita dal Piemonte). In Valle Susa sono già previste le elezioni per il rinnovo delle cariche elettive e si stanno contrapponendo le candidature per la presidenza. Nel migliore dei casi, la posizione del Tar rimette i giochi in discussione. Esulta Osvaldo Napoli, vicepresidente dei deputati del Pdl: «E' una sconfessione netta dell'operato della giunta-Bresso, il minimo che deve fare è bloccare il rinnovo dei consigli di Comunità previsti per l'autunno».

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Quella guerra infinita che ha spezzato Mamma Rai (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 22-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Quella guerra infinita che ha spezzato Mamma Rai Il libro di Franco Debenedetti e Antonio Pilati sul rapporto tra televisione e politica: una ricostruzione affetta da inquietanti strabismi CARLO ROGNONI Per me Franco Debenedetti è un ex collega del Senato che una volta ha detto: «La Rai è un dinosauro e prima o poi dovrà sparire. Meglio prima che poi». E di Antonio Pilati so che è un grande esperto di media, voluto da Forza Italia fra i commissari, prima dell'Agcom e poi dell'Antitrust. È così vicino a Mediaset che si racconta sia stato fra i consiglieri del governo Berlusconi per la legge Gasparri. Ebbene su quella legge ho scritto un libro (Inferno tv) proprio per denunciare quello che non funziona. Questa premessa mi serve a far capire con quale spirito mi sono prima avvicinato a La guerra dei trent'anni ovvero «politica e televisione in Italia 1975 - 2008» (Einaudi, 19 euro). La strana coppia - Debenedetti è un ex parlamentare di centrosinistra, Pilati un grande esperto «prestato» a Forza Italia e alle Autorità indipendenti - ha un merito: ci racconta «la questione televisiva» - così intrecciata con la vita politica - in maniera non conformista, provocatoria. La tesi di fondo è condivisibile: se in Italia la tv è un caso politico sempre aperto, la responsabilità è tutta dei partiti. Non hanno mai seriamente tentato di risolvere la questione, di affrontarla come un fatto economico-industriale. Hanno preferito pensarla come un media da condizionare o su cui mettere le mani. È tuttavia sull'interpretazione di alcune fasi della guerra televisiva è difficile essere d'accordo. C'è infatti una gran voglia di sparare ad alzo zero sulla sinistra e sui suoi ritardi culturali - che pure ci sono stati - mentre c'è reticenza se non addirittura complicità nel guardare benevolmente a Berlusconi. Non più tardi di qualche giorno fa abbiamo letto di Veltroni che ha fatto l'elogio di Craxi «che interpretò meglio di ogni altro uomo politico come la società italiana stava cambiando». Ebbene la nascita della tv commerciale - ci raccontano i due - rappresenta un momento di modernità e fu largamente sponsorizzata da Craxi anche contro la Dc di De Mita e il Pci di Berlinguer. Lo stretto rapporto fra Craxi e Berlusconi si fonda sulla convinzione di Craxi che «la spettacolarizzazione della politica è necessaria a una forza come la sua». Craxi sarà ospite di Berlusconi tutti i capodanni dal 1985 al 1991. A tagliare la strada a Craxi si impegna la Repubblica di Scalfari. In ballo non c'è solo la torta pubblicitaria, non c'è solo lo scontro per il controllo della Mondadori azionista di Repubblica, c'è un disegno più ambizioso: puntare su Dc e Pci, «partiti su cui si era retto l'equilibrio politico del dopoguerra», per giocare con loro la carta della modernizzazione del Paese. E questo contro il tentativo del nuovo Psi di costruire un nuovo equilibrio politico: anche attraverso «la grande riforma», più governabilità, «supremazia della politica sulle interpretazioni della magistratura», più «attenzione al consenso popolare». È una tesi suggestiva. C'è un passaggio del libro che è forse il più controverso: «L'Editoriale L'Espresso è un gruppo mediatico industriale» che segue «un percorso speculare a quello di Fininvest. Nel senso che i giornali nascono politici e approdano alla grande impresa, mentre la televisione nasce come impresa e approda alla politica». Anomalie macroscopiche Ma ecco il punto più polemico: «Se proprio si vuole usare la parola «anomalia», è semmai anomalo il ruolo politico di un direttore di giornale, quale ebbe personalmente Eugenio Scalfari negli anni del compromesso storico». Beh, caro Debenedetti come si fa - se non per provocazione - a mettere l'accento sull'anomalia di Scalfari e non su quella macroscopica di Berlusconi? Dc e Pci, e Scalfari, dunque come rappresentanti della conservazione. Il Psi e Berlusconi come paladini del rinnovamento! Non è forse vero che a difendere a tutti i costi la Rai si impegnarono proprio i primi contrastando le reti Fininvest? Già, ma quello che Debenedetti e Pilati non dicono è che, una volta ottenuto il risultato di restare padrone di tre reti, è diventato proprio Berlusconi il difensore della Rai: gli serviva poter dire che le sue tre reti erano indispensabili se si voleva far concorrenza alle tre reti del servizio pubblico. Quando Berlusconi entra in politica, «la questione televisiva» fa un salto di qualità. E i due autori finiscono per mettere in secondo piano «il conflitto di interessi» che pure ammettono esserci, mentre accusano intellettuali (per esempio Bobbio) e partiti di sinistra di vedere di fatto nella tv lo strumento del diavolo. Cercano di smontare la tesi che «chi controlla reti televisive gode di un vantaggio verso le altre forze politiche, che falsa il gioco democratico». Detto brutalmente: la sinistra ha usato «la questione televisiva» come un'arma impropria, «ha avuto un ruolo di supplenza, ha riempito il vuoto di pensiero politico». La sinistra preferisce demonizzare Berlusconi con le sue tv piuttosto che fare i conti con i propri errori. C'è del vero. Ma come si fa a scrivere che «con l'espansione dei consumi e il proliferare delle marche, che narrano storie e declinano identità, la televisione amplia in misura cospicua la propria influenza sociale» e poi di fatto negare il peso condizionante, formativo, propagandistico della tv nelle mani di un uomo al potere? Quello che mi è piaciuto di meno è poi la difesa della legge Gasparri. Non si ha il coraggio di riconoscere che è prima di tutto servita a non tener conto di una sentenza della Corte costituzionale. E non si dice che ha creato le condizioni per l'attuale ingovernabilità della Rai. Nel libro non c'è una parola sulla necessità di mettere la Rai nella condizione di essere diretta come una grande azienda della comunicazione in un'epoca di rivoluzione tecnologica. Non c'è il coraggio di completare la propria analisi critica della questione televisiva. Altrimenti si dovrebbe dire che a Berlusconi piace poter mettere le mani sulla Rai, spartirsela con i suoi alleati. Come spiegare altrimenti quello che sta succedendo? Una potente vice direzione generale a un uomo della Lega Nord, la direzione del Tg 1 a un giornalista fidato, la divisione della radio in tre in modo da accontentare tutti! Purtroppo «la guerra dei trent'anni» non è affatto finita. Sta entrando in una fase nuova grazie alle tecnologie digitali. È vero che ormai la tv è un media stanco. E tuttavia il controllo della Rai da parte di Berlusconi non è mai stato così stringente. E fino a quando non si riconoscerà che la Rai è una grande azienda alle prese con un cambiamento epocale e non un media da asservire al vincitore, la guerra non potrà dichiararsi conclusa. La polemica

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Per me Franco Debenedetti è un ex collega del Senato che una volta ha detto: La Rai è... (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 22-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Per me Franco Debenedetti è un ex collega del Senato che una volta ha detto: «La Rai è un dinosauro e prima o poi dovrà sparire. Meglio prima che poi». E di Antonio Pilati so che è un grande esperto di media, voluto da Forza Italia fra i commissari, prima dell'Agcom e poi dell'Antitrust. È così vicino a Mediaset che si racconta sia stato fra i consiglieri del governo Berlusconi per la legge Gasparri. Ebbene su quella legge ho scritto un libro (Inferno tv) proprio per denunciare quello che non funziona. Questa premessa mi serve a far capire con quale spirito mi sono prima avvicinato a La guerra dei trent'anni ovvero «politica e televisione in Italia 1975 - 2008» (Einaudi, 19 euro). La strana coppia - Debenedetti è un ex parlamentare di centrosinistra, Pilati un grande esperto «prestato» a Forza Italia e alle Autorità indipendenti - ha un merito: ci racconta «la questione televisiva» - così intrecciata con la vita politica - in maniera non conformista, provocatoria. La tesi di fondo è condivisibile: se in Italia la tv è un caso politico sempre aperto, la responsabilità è tutta dei partiti. Non hanno mai seriamente tentato di risolvere la questione, di affrontarla come un fatto economico-industriale. Hanno preferito pensarla come un media da condizionare o su cui mettere le mani. È tuttavia sull'interpretazione di alcune fasi della guerra televisiva è difficile essere d'accordo. C'è infatti una gran voglia di sparare ad alzo zero sulla sinistra e sui suoi ritardi culturali - che pure ci sono stati - mentre c'è reticenza se non addirittura complicità nel guardare benevolmente a Berlusconi. Non più tardi di qualche giorno fa abbiamo letto di Veltroni che ha fatto l'elogio di Craxi «che interpretò meglio di ogni altro uomo politico come la società italiana stava cambiando». Ebbene la nascita della tv commerciale - ci raccontano i due - rappresenta un momento di modernità e fu largamente sponsorizzata da Craxi anche contro la Dc di De Mita e il Pci di Berlinguer. Lo stretto rapporto fra Craxi e Berlusconi si fonda sulla convinzione di Craxi che «la spettacolarizzazione della politica è necessaria a una forza come la sua». Craxi sarà ospite di Berlusconi tutti i capodanni dal 1985 al 1991. A tagliare la strada a Craxi si impegna la Repubblica di Scalfari. In ballo non c'è solo la torta pubblicitaria, non c'è solo lo scontro per il controllo della Mondadori azionista di Repubblica, c'è un disegno più ambizioso: puntare su Dc e Pci, «partiti su cui si era retto l'equilibrio politico del dopoguerra», per giocare con loro la carta della modernizzazione del Paese. E questo contro il tentativo del nuovo Psi di costruire un nuovo equilibrio politico: anche attraverso «la grande riforma», più governabilità, «supremazia della politica sulle interpretazioni della magistratura», più «attenzione al consenso popolare». È una tesi suggestiva. C'è un passaggio del libro che è forse il più controverso: «L'Editoriale L'Espresso è un gruppo mediatico industriale» che segue «un percorso speculare a quello di Fininvest. Nel senso che i giornali nascono politici e approdano alla grande impresa, mentre la televisione nasce come impresa e approda alla politica». Anomalie macroscopiche Ma ecco il punto più polemico: «Se proprio si vuole usare la parola «anomalia», è semmai anomalo il ruolo politico di un direttore di giornale, quale ebbe personalmente Eugenio Scalfari negli anni del compromesso storico». Beh, caro Debenedetti come si fa - se non per provocazione - a mettere l'accento sull'anomalia di Scalfari e non su quella macroscopica di Berlusconi? Dc e Pci, e Scalfari, dunque come rappresentanti della conservazione. Il Psi e Berlusconi come paladini del rinnovamento! Non è forse vero che a difendere a tutti i costi la Rai si impegnarono proprio i primi contrastando le reti Fininvest? Già, ma quello che Debenedetti e Pilati non dicono è che, una volta ottenuto il risultato di restare padrone di tre reti, è diventato proprio Berlusconi il difensore della Rai: gli serviva poter dire che le sue tre reti erano indispensabili se si voleva far concorrenza alle tre reti del servizio pubblico. Quando Berlusconi entra in politica, «la questione televisiva» fa un salto di qualità. E i due autori finiscono per mettere in secondo piano «il conflitto di interessi» che pure ammettono esserci, mentre accusano intellettuali (per esempio Bobbio) e partiti di sinistra di vedere di fatto nella tv lo strumento del diavolo. Cercano di smontare la tesi che «chi controlla reti televisive gode di un vantaggio verso le altre forze politiche, che falsa il gioco democratico». Detto brutalmente: la sinistra ha usato «la questione televisiva» come un'arma impropria, «ha avuto un ruolo di supplenza, ha riempito il vuoto di pensiero politico». La sinistra preferisce demonizzare Berlusconi con le sue tv piuttosto che fare i conti con i propri errori. C'è del vero. Ma come si fa a scrivere che «con l'espansione dei consumi e il proliferare delle marche, che narrano storie e declinano identità, la televisione amplia in misura cospicua la propria influenza sociale» e poi di fatto negare il peso condizionante, formativo, propagandistico della tv nelle mani di un uomo al potere? Quello che mi è piaciuto di meno è poi la difesa della legge Gasparri. Non si ha il coraggio di riconoscere che è prima di tutto servita a non tener conto di una sentenza della Corte costituzionale. E non si dice che ha creato le condizioni per l'attuale ingovernabilità della Rai. Nel libro non c'è una parola sulla necessità di mettere la Rai nella condizione di essere diretta come una grande azienda della comunicazione in un'epoca di rivoluzione tecnologica. Non c'è il coraggio di completare la propria analisi critica della questione televisiva. Altrimenti si dovrebbe dire che a Berlusconi piace poter mettere le mani sulla Rai, spartirsela con i suoi alleati. Come spiegare altrimenti quello che sta succedendo? Una potente vice direzione generale a un uomo della Lega Nord, la direzione del Tg 1 a un giornalista fidato, la divisione della radio in tre in modo da accontentare tutti! Purtroppo «la guerra dei trent'anni» non è affatto finita. Sta entrando in una fase nuova grazie alle tecnologie digitali. È vero che ormai la tv è un media stanco. E tuttavia il controllo della Rai da parte di Berlusconi non è mai stato così stringente. E fino a quando non si riconoscerà che la Rai è una grande azienda alle prese con un cambiamento epocale e non un media da asservire al vincitore, la guerra non potrà dichiararsi conclusa.

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Tra Lodo Alfano e stretta sulle pubblicazioni. (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 22-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: POLITICA E SOCIETA data: 2009-07-22 - pag: 14 autore: Tra Lodo Alfano e stretta sulle pubblicazioni. A ottobre i capitoli più scottanti: la maggioranza attende la pronuncia della Consulta Ma il dialogo sulla giustizia è in salita Donatella Stasio ROMA «Direi che un minimo di disponibilità a percorrere una via mediana c'è; una via che se anche non soddisfa, non scontenta ». Da siciliano, Roberto Centaro dosa le parole per dire che la maggioranza non sarà sorda all'appello al dialogo del Presidente della Repubblica sul Ddl intercettazioni.Purché l'opposizione, aggiunge, «non pretenda di imporre le proprie scelte; altrimenti per noi sarebbe un suicidio ». Peraltro, il relatore al Senato del provvedimento lascia intendere che non si entrerà nel vivo dell'esame prima di metà ottobre, cioè dopo che la Corte costituzionale si sarà pronunciata, il 6 ottobre, sul Lodo Alfano, lo scudo processuale per le alte cariche dello Stato. «Onde evitare, anche lontanamente, che ci siano spunti per alzare la tensione- spiega Centaro- il termine per la presentazione degli emendamenti sarà fissato, verosimilmente, dopo il Lodo, verso metà ottobre». Prima di allora, ci sarà spazio per audizioni (si parte domani con giornalisti e editori e si continuerà la settimana prossima con Anm, avvocati, Procuratore nazionale antimafia) e poi seguiranno le repliche del relatore e del Governo. Nel frattempo, la «Consulta della giustizia del Pdl» (di cui Centaro fa parte) tenterà di trovare una linea unitaria tra le sue diverse anime: quella più dialogante, che spinge per un testo condiviso, rappresentata da Fini- Bongiorno, e quella più intransigente, rappresentata da Niccolò Ghedini, consigliere giuridico del premier. Certo è che le intercettazioni non figurano nell'agenda della maggioranza di qui alla fine di agosto, sebbene la tradizione voglia che, da anni, proprio ad agosto, Berlusconi abbia sempre rilanciato questo tema dalla sua villa in Sardegna. Anche le parole di Gianfranco Fini sono state un preciso segnale politico alla maggioranza e, ovviamente, all'opposizione. Il presidente della Camera non è entrato nel merito delle correzioni, ma è ormai noto che tra i punti da rivedere ci sono anzitutto i presupposti in base ai quali si possono autorizzare le intercettazioni; presupposti talmente stringenti che, secondo l'Anm,depotenziano fortemente le indagini contro ignoti e persino quelle contro la mafia. Il testo della Camera parla di «evidenti indizi di colpevolezza» in luogo dei «gravi indizi di reato» previsti attualmente dal Codice, «che è come dire - ha osservato ieri Donatella Ferranti del Pd - che per fare una perquisizione si deve già sapere chi è il colpevole». «Di tornare indietro, non se ne parla», dice Centaro, mentre i finiani sono molto più flessibili. Idem sulla possibilità di rivedere le multe salate previste per gli editori in caso di violazione del divieto di pubblicare le intercettazioni. Ancora da discutere la posizione sulla norma transitoria che, nel testo attuale, esclude l'applicazione delle nuove norme ai processi in corso, ma pone una serie di problemi (organizzativi e di costituzionalità) da far presagire il caos negli uffici giudiziari. «è un problema di civiltà politica che riguarda tutti, nessuno è al sicuro» diceva ieri il vicecapogruppo Pdl al Senato, Gaetano Quagliariello, a proposito della riforma, confermando che il rinvio all'autunno è stato determinato dalle parole di Napolitano. La Lega, con Matteo Brigandì, sostiene che per dialogare è necessario che «una parte della magistratura e i partiti di minoranza non si barrichino dietro le loro posizioni »,ma l'Idvfa sapere che «non si può avere alcun tipo di dialogo se il governo non cambia la porcheria che ha portato in Parlamento». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Le Commissioni danno il via libera, ora il voto di fiducia (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 22-07-2009)

Argomenti: Giustizia

DECRETO ANTI-CRISI Le Commissioni danno il via libera, ora il voto di fiducia Francesco Piccioni Tra forzature procedurali e pasticci normativi, la «manovra d'estate» è stata licenziata ieri dalle commissioni Bilancio e Finanze della Camera. Ora passa all'esame dell'aula, ma il voto finale è atteso per la prossima settimana. Un voto di fiducia, naturalmente, perché il «maxi-pacchetto emendativo» è il solito calderone di provvedimenti disomogenei che non avrebbe potuto mai passare indenne. Anche in commissione, per fare solo un esempio, il governo è finito in minoranza su un innocuo emendamento relativo all'authority dell'energia. Un minimo di polemica si è prodotta intorno all'ennesimo ricorso alla fiducia, visto che questa prassi viene considerata da tutti «normale» solo per i provvedimenti legati alla manovra finanziaria; cosa che questo decreto formalmente non è (lo è invece il Dpef, ancora in discussione). Il ministro-principe di questa operazione, Giulio Tremonti, se l'è cavata definendolo solo «l'aggiornamento della finanziaria triennale approvata lo scorso anno». Lo stesso Gianfranco Fini, inizialmente indicato come possibile fustigatore in aula, ha ammesso come pacifica la richiesta di fiducia, a meno che il governo non presenti «ulteriori interventi di cui non ci sia stata conoscenza in commissione». Ma un po' di maretta all'interno della maggioranza è venuta egualmente alla luce. L'Mpa del siciliano Lombardo ha votato contro e minaccia di fare altrettanto sulla fiducia perché «c'è stata chiusura totale alle nostre richieste per il Mezzogiorno». Il ministro dell'ambiente, Stefania Prestigiacomo, ha invece protestato per i poteri eccezionali concessi ai «commissari ad hoc» nominati dalla presidenza del consiglio per gli «interventi urgenti» relativi alle reti di energia. «Potrebbe essere applicata anche per le centrali nucleari», ha rivelato, e «sopprime di fatto il ruolo del ministero dell'ambiente - così come anche degli enti locali - nel delicato iter autorizzativo per la realizzazione di centrali di produzione». Brunetta e Sacconi hanno invece continuato a duellare sull'opportunità di mandare obbligatoriamente in pensione gli statali con 40 anni di contributi (anche figurativi), tranne che per i magistrati, i docenti universitari e i primari ospedalieri. Ma non si è capito chi abbia prevalso. I punti salienti della manovra erano noti da settimane. Confermato lo «scudo fiscale» per le attività finanziarie illecitamente trasferite all'estero: basterà pagare il 5%, se detenute in paesi dello «spazio economico europeo»; dovranno invece rientrare obbligatoriamente se collocate in paesi che non ne fanno parte (tipo la Svizzera). Confermata anche la sanatoria per badanti e colf extracomunitarie, ma il soggetto che vuole regolarizzarle deve guadagnare almeno 20.000 euro se single, o 25.000 come nucleo familiare. Senza sorprese anche la «moratoria dei crediti» che piccole e medie imprese hanno con le banche. Una norma-ponte concede al ministro dell'economia 120 giorni per definire una convenzione con l'Abi per incentivare le banche ad «attenuare» gli oneri finanziari per questi soggetti. Niente da fare, invece, per l'occupazione negli enti pubblici economici. Prorogato il blocco delle assunzioni; e quindi resteranno fuori i 25.000 precari delle poste per cui la Corte Costituzionale aveva, con sentenza, disposto il reintegro. Stra-confermata anche la «mini riforma delle pensioni» che inchioderà le donne della pubblica amministrazione al lavoro fino ai 65 anni di età entro il 2018, con un sistema di «scalini» identico a quello che sostituì lo «scalone di Maroni» ai tempi del governo Prodi-bis. Quando si dice la fantasia al potere...

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Protocolli standard per indire le gare (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il (Nord Est)" del 22-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Nord-Est sezione: EST data: 2009-07-22 - pag: 13 autore: Pronta al via la centrale di committenza Protocolli standard per indire le gare Una centrale di committenza per supportare le amministrazioni pubbliche trentine nella gestione delle procedure relative ai contratti di lavori, servizi e forniture. A deliberare la nascita dell'Agenzia, la Giunta della Provincia autonoma, che si occuperà di nominare anche il Cda, composto da due membri designati dall'Esecutivo stesso, due dal Consiglio delle autonomie locali, oltre al direttore. La centrale di committenza assisterà Provincia e amministrazioni comunali (ma anche società pubbliche, aziende di servizi alla persona, ecc) nella fase di controllo e di esecuzione dei contratti: curerà le procedure a evidenza pubblica per la scelta del contraente, l'affidamento di incarichi di progettazione, direzione lavori e coordinamento sicurezza sopra soglia comunitaria, fornirà inoltre assistenza alle stazioni appaltanti, dal contenuto dei bandi ai criteri di aggiudicazione. «Un provvedimento assai utile, in grado di sanare la schizofrenia con la quale si muovono i Comuni – commenta Mario Agostini, presidente Ordine architetti di Trento, 1.030 iscritti – Attualmente infatti enti locali, anche territorialmente attigui, indicono gare d'appalto con criteri assolutamente differenti, in mancanza di una procedura standard». La centrale di committenza creata dalla Provincia dovrebbe introdurre variabili di metodo e standard sulle prestazioni uguali per tutti gli enti, ad esempio regole sul massimo ribasso accettabile. A questo riguardo, difficilmente i Comuni hanno gli strumenti adeguati a valutare le offerte dei progettisti, non solo in base al prezzo, ma anche alla qualità della progettazione offerta e alla possibilità che i tempi di esecuzione indicati nel bando vengano rispettati. «Il provvedimento piace ai professionisti, ma incontra la resistenza delle amministrazioni minori che vorrebbero fare da sole, senza sottostare al controllo e ricevere indicazioni da un'agenzia autonoma, ma di emanazione provinciale», aggiunge Agostini. «Il funzionamento della centrale è per ora rinviato, perché collegato all'entrata in vigore della legge provinciale sui lavori pubblici 10/2008, impugnata dal Governo davanti alla Corte Costituzionale e in attesa di definitivo pronunciamento », aggiunge il presidente

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I VIZI DELLA COOPTAZIONE UN BUON METODO USATO MALE (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 22-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Lettere al Corriere data: 22/07/2009 - pag: 33 Risponde Sergio Romano I VIZI DELLA COOPTAZIONE UN BUON METODO USATO MALE Sicuramente avrà letto anche lei l'articolo «Quegli amici che affondano l'Italia» su Il Sole 24 Ore dell'11 luglio. Alla luce dello scenario denunciato in questo articolo, e che purtroppo rappresenta la nostra realtà quotidiana, e quale madre di due ragazzi laureati entrambi con 110 e lode che si affacciano ora al mondo del lavoro, mi domando che speranze abbiano i miei figli, e tanti altri come loro, di trovare un'occupazione dignitosa, non godendo né di «amicizie», né di «parentele» con quelli che contano. Sabina Petrelli Roma Cara Signora, P er coloro che non hanno letto l'articolo ricordo che Michele Ainis, professore universitario e commentatore politico, parla della cooptazione, vale a dire di quel metodo che consente a un organo, a una classe sociale o a un ordine professionale di designare e reclutare i suoi nuovi membri. Il metodo non è soltanto italiano e ha antiche tradizioni, ma sopravvive più tenacemente in Italia di quanto accada in altre democrazie. I professori scelgono i professori, i politici scelgono i politici e molti mestieri o professioni rimangono nelle stesse famiglie da una generazione all'altra. Secondo Ainis, poco meno della metà della classe dirigente italiana è scelta da chi ricopre gli stessi incarichi. Ainis ha ragione naturalmente, e avrebbe potuto aggiungere che la cooptazione soffoca gli entusiasmi giovanili e favorisce l'invecchiamento della classe dirigente. Là dove le chiavi della successione sono saldamente nelle mani del titolare di un incarico, i giovani coltivano i suoi favori e si adattano ad attendere pazientemente che si faccia da parte. Si potrebbe persino sostenere che la cooptazione educa i giovani a essere remissivi e servili. Siamo un Paese governato da vecchi dove i giovani, quando arrivano al potere, sono già vecchi, fisicamente e moralmente. Eppure non vorrei, cara signora, che il pessimo spettacolo italiano ci facesse dimenticare che anche la cooptazione, come la raccomandazione, ha i suoi meriti. Chi meglio di un professore è in grado di valutare le qualità culturali e le doti di carattere dei suoi allievi? Chi meglio di un uomo politico è in grado di pesare le virtù e i difetti dei suoi colleghi più giovani? Sarei persino incline a pensare che una Corte costituzionale composta da magi-- strati cooptati potrebbe essere meglio di una corte in cui alcuni di essi sono scelti dal Parlamento e quindi dai partiti. Attenzione quindi a non buttare via il bambino con l'acqua sporca. Cerchiamo di ricordare piuttosto che la cooptazione funziona male se il titolare pensa soprattutto alla conservazione del potere personale o familiare. Là dove le sue preoccupazioni sono la dignità e il futuro dell'istituzione e dell'ordine professionale a cui appartiene, la cooptazione è ancora il migliore dei metodi possibili.

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Magistratura, politica, libertà di associazione, legittimità, intervento legislativo (sezione: Giustizia)

( da "AltaLex" del 22-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Magistratura, politica, libertà di associazione, legittimità, intervento legislativo Corte Costituzionale , sentenza 17.07.2009 n° 224 Commenta | Stampa | Segnala | Condividi Magistratura – politica – libertà di associazione – legittimità – intervento legislativo Nel bilanciamento tra la libertà di associarsi in partiti, tutelata dall'art. 49 Cost., e l'esigenza di assicurare la terzietà dei magistrati ed anche l'immagine di estraneità agli interessi dei partiti che si contendono il campo, l'art. 98, terzo comma, Cost. ha demandato al legislatore ordinario la facoltà di stabilire «limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati» (nonché per le altre categorie di funzionari pubblici ivi contemplate: «i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all'estero»). La Costituzione, quindi, se non impone, tuttavia consente che il legislatore ordinario introduca, a tutela e salvaguardia dell'imparzialità e dell'indipendenza dell'ordine giudiziario, il divieto di iscrizione ai partiti politici per i magistrati: quindi, per rafforzare la garanzia della loro soggezione soltanto alla Costituzione e alla legge e per evitare che l'esercizio delle loro delicate funzioni sia offuscato dall'essere essi legati ad una struttura partitica che importa anche vincoli gerarchici interni. (Fonte: Altalex Massimario 28/2009) Corte Costituzionale Sentenza 17 luglio 2009, n. 224 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Francesco AMIRANTE Presidente - Ugo DE SIERVO Giudice - Paolo MADDALENA " - Alfonso QUARANTA " - Franco GALLO " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " - Paolo Maria NAPOLITANO " - Giuseppe FRIGO " - Alessandro CRISCUOLO " - Paolo GROSSI " ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 25 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f, della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo sostituito dall'art. 1, comma 3, lettera d), numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269 (Sospensione dell'efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario), promosso dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, nel procedimento relativo a L.B., con ordinanza dell'11 novembre 2008, iscritta al n. 23 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 6, prima serie speciale, dell'anno 2009. Udito nella camera di consiglio del 10 giugno 2009 il Giudice relatore Paolo Maddalena. Ritenuto in fatto La Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, con ordinanza dell'11 novembre 2008, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 18, 49 e 98 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 25 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f, della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo sostituito dall'art. 1, comma 3, lettera d), numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269 (Sospensione dell'efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario). La Sezione disciplinare rimettente premette che il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha esercitato l'azione disciplinare nei confronti del dott. Luigi Bobbio, magistrato attualmente fuori del ruolo organico della magistratura perché addetto ad una funzione di consulenza parlamentare, già parlamentare egli stesso, contestandogli la violazione degli artt. 1 e 3, comma 1, lettera h), del d.lgs. n. 109 del 2006, come modificato dalla legge n. 269 del 2006, nonché del codice etico della magistratura, per avere egli in data 5 maggio 2007 accettato ed assunto la carica di presidente della federazione provinciale di Napoli del partito di Alleanza Nazionale. La norma denunciata configura quale illecito disciplinare l'iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici ovvero il coinvolgimento nelle attività di soggetti operanti nel settore economico o finanziario che possono condizionare l'esercizio delle funzioni o comunque compromettere l'immagine del magistrato. Il giudice a quo rileva che, nella lettera e nella logica della legge, l'incarico politico, ovvero l'assunzione della qualità di appartenente ad un partito politico e più ancora l'assunzione di una carica rilevante in un partito politico, atti che esplicitano e presuppongono una coerente attività politica, non vengono in alcun modo differenziate a seconda che si tratti, o meno, di partiti politici sicuramente “legittimi” e come tali anche rappresentati in Parlamento. Secondo il rimettente, l'art. 49 Cost. fonda il diritto, in capo ad ogni cittadino senza distinzione di sorta, di associarsi liberamente, ovvero senza condizionamento formale o sostanziale, in partiti, per concorrere all'obiettivo fondamentale che è la determinazione democratica della politica nazionale. Osserva ancora la Sezione disciplinare che l'art. 98, ultimo comma, Cost. prevede che la legge possa stabilire limitazioni all'esercizio del diritto di elettorato passivo, tra l'altro, dei magistrati. La legge ordinaria disciplina espressamente l'esercizio di siffatto diritto con l'apposita limitazione costituita dal preventivo collocamento fuori ruolo (art. 8 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 – «Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati», nel testo modificato dalla legge 3 febbraio 1997, n. 13). La pacifica legittimità della candidatura elettorale di un magistrato fa ritenere che il legislatore non ignori la natura intrinsecamente politica ed inevitabilmente partitica della stessa, la quale dunque, se giustifica il limite della previsione della predetta cautela, non verrebbe perciò stesso respinta. Invece, la norma denunciata – precisa il rimettente – introduce «un vero e proprio divieto formale ed assoluto» di iscrizione ai partiti politici per i magistrati, «rafforzato da una sanzione per la sua violazione». Ad avviso della Sezione disciplinare, «nell'economia del giudizio di non manifesta infondatezza», siffatto divieto assoluto andrebbe «oltre la nozione giuridica della mera limitazione, ovvero di una regolamentazione che contemperi il diritto politico del singolo con l'esigenza di imparzialità, anche percepita, del giudice». Nella volontà del Costituente sarebbe esclusa ogni assimilazione tra i partiti politici in quanto tali ed i centri di affari o di potere affaristico, che la norma denunciata tuttavia menziona, nella sua previsione punitiva, nel medesimo contesto e con una particella alternativa, quasi che il giudizio di disvalore per tutte siffatte possibili appartenenze che al giudice si intendono vietare debba essere di necessità eguale. Ad avviso del giudice rimettente, «quanto alla partecipazione o al coinvolgimento del magistrato in centri di affari o di potere anche politicamente orientati» non si porrebbe alcun «problema di rispetto del principio costituzionale della parità dei diritti politici, a partire dal diritto di associazione di cui all'art. 2 Cost., in capo a tutti i cittadini», mentre detto problema si presenterebbe per la minacciata punizione della iscrizione e della partecipazione sistematica alla vita di un “partito legittimo”. La disposizione denunciata, in definitiva, rivelerebbe una sorta di contraddizione – non superabile in via interpretativa – con la normativa che legittima, disciplinandola, la partecipazione del magistrato alle elezioni. Vi sarebbe, inoltre, un evidente contrasto tra la proibizione e la punizione di cui si tratta ed il complesso ed articolato regime costituzionale, imperniato sull'art. 18 Cost., che vede nel partito politico rispettoso del metodo della legge fondamentale, e quindi non organizzato militarmente, un essenziale luogo di democrazia ed individua la partecipazione allo stesso anche quale diritto della personalità, oltre che quale irrinunciabile strumento di democrazia e, dunque, estensione del principio di cui all'art. 3 della Costituzione. Considerato in diritto 1. La questione di legittimità costituzionale posta dall'ordinanza in epigrafe investe l'art. 3, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 25 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f, della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo sostituito dall'art. 1, comma 3, lettera d), numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269 (Sospensione dell'efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario), il quale configura quale illecito disciplinare – accanto al coinvolgimento nelle attività di soggetti operanti nel settore economico o finanziario che possono condizionare l'esercizio delle funzioni o comunque compromettere l'immagine del magistrato – l'iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa del magistrato a partiti politici. Ad avviso della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, che ha sollevato il dubbio di legittimità costituzionale in riferimento agli articoli 2, 3, 18, 49 e 98 della Costituzione, il divieto formale ed assoluto di iscrizione ai partiti politici per il magistrato, rafforzato da una sanzione per la sua violazione, andrebbe oltre la nozione giuridica della mera limitazione, ovvero di una regolamentazione che contemperi il diritto politico del singolo con l'esigenza di imparzialità, anche percepita, del giudice; e irragionevolmente assimilerebbe nel medesimo giudizio di disvalore l'appartenenza a partiti politici ed a centri di affari o di potere affaristico. La norma denunciata, inoltre, confliggerebbe con il principio costituzionale della parità dei diritti politici, a partire dal diritto di associazione di cui all'art. 2 Cost., in capo a tutti i cittadini; e rivelerebbe una contraddizione con la normativa (art. 8 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 – «Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati», nel testo modificato dalla legge 3 febbraio 1997, n. 13) che legittima, disciplinandola attraverso l'istituto del preventivo collocamento fuori ruolo, la partecipazione del magistrato alle elezioni. Più in generale, la proibizione e la punizione in esame contrasterebbero con il complesso ed articolato regime costituzionale, imperniato sull'art. 18 Cost., che vede nel partito politico rispettoso del metodo della legge fondamentale, e quindi non organizzato militarmente, un essenziale luogo di democrazia ed individua la partecipazione allo stesso anche quale diritto della personalità, oltre che quale irrinunciabile strumento di democrazia e, dunque, estensione del principio di cui all'art. 3 della Costituzione. 2. La questione non è fondata. Deve riconoscersi – e non sono possibili dubbi in proposito – che i magistrati debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino e che quindi possono, com'è ovvio, non solo condividere un'idea politica, ma anche espressamente manifestare le proprie opzioni al riguardo. Ma deve, del pari, ammettersi che le funzioni esercitate e la qualifica rivestita dai magistrati non sono indifferenti e prive di effetto per l'ordinamento costituzionale (sentenza n. 100 del 1981). Per la natura della loro funzione, la Costituzione riserva ai magistrati una disciplina del tutto particolare, contenuta nel titolo IV della parte II (artt. 101 e ss.): questa disciplina, da un lato, assicura una posizione peculiare, dall'altro, correlativamente, comporta l'imposizione di speciali doveri. I magistrati, per dettato costituzionale (artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma, Cost.), debbono essere imparziali e indipendenti e tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialità. Proprio in questa prospettiva, nel bilanciamento tra la libertà di associarsi in partiti, tutelata dall'art. 49 Cost., e l'esigenza di assicurare la terzietà dei magistrati ed anche l'immagine di estraneità agli interessi dei partiti che si contendono il campo, l'art. 98, terzo comma, Cost. ha demandato al legislatore ordinario la facoltà di stabilire «limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati» (nonché per le altre categorie di funzionari pubblici ivi contemplate: «i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all'estero»). La Costituzione, quindi, se non impone, tuttavia consente che il legislatore ordinario introduca, a tutela e salvaguardia dell'imparzialità e dell'indipendenza dell'ordine giudiziario, il divieto di iscrizione ai partiti politici per i magistrati: quindi, per rafforzare la garanzia della loro soggezione soltanto alla Costituzione e alla legge e per evitare che l'esercizio delle loro delicate funzioni sia offuscato dall'essere essi legati ad una struttura partitica che importa anche vincoli gerarchici interni. La norma impugnata ha dato attuazione alla previsione costituzionale stabilendo che costituisce illecito disciplinare non solo l'iscrizione, ma anche «la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici»: accanto al dato formale dell'iscrizione, pertanto, rileva, ed è parimenti precluso al magistrato, l'organico schieramento con una delle parti politiche in gioco, essendo anch'esso suscettibile, al pari dell'iscrizione, di condizionare l'esercizio indipendente ed imparziale delle funzioni e di comprometterne l'immagine. Non è ravvisabile, pertanto, alcuna violazione dei parametri costituzionali invocati dal giudice rimettente, perché, nel disegno costituzionale, l'estraneità del magistrato alla politica dei partiti e dei suoi metodi è un valore di particolare rilievo e mira a salvaguardare l'indipendente ed imparziale esercizio delle funzioni giudiziarie, dovendo il cittadino essere rassicurato sul fatto che l'attività del magistrato, sia esso giudice o pubblico ministero, non sia guidata dal desiderio di far prevalere una parte politica. In particolare, non contrasta con quei parametri l'assolutezza del divieto, ossia il fatto che esso si rivolga a tutti i magistrati, senza eccezioni, e quindi anche a coloro che, come nel caso sottoposto all'attenzione della Sezione disciplinare rimettente, non esercitano attualmente funzioni giudiziarie. Infatti, l'introduzione del divieto si correla ad un dovere di imparzialità e questo grava sul magistrato, coinvolgendo anche il suo operare da semplice cittadino, in ogni momento della sua vita professionale, anche quando egli sia stato, temporaneamente, collocato fuori ruolo per lo svolgimento di un compito tecnico. Né vi è contraddizione con il diritto di elettorato passivo spettante ai magistrati, e ciò sia per la diversità delle situazioni poste a raffronto (un conto è l'iscrizione o comunque la partecipazione sistematica e continuativa alla vita di un partito politico, altro è l'accesso alle cariche elettive), sia perché quel diritto non è senza limitazioni. Infine, non è ragione di illegittimità costituzionale la circostanza che la disposizione censurata configuri come illecito disciplinare, sotto la medesima lettera h), accanto alla iscrizione o alla partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici, il coinvolgimento nelle attività di soggetti operanti nel settore economico o finanziario che possono condizionare l'esercizio delle funzioni o comunque compromettere l'immagine del magistrato. Non si tratta di una indebita assimilazione, in un medesimo giudizio di disvalore, di due ipotesi di ben diversa portata. Il legislatore, piuttosto, è stato spinto dall'esigenza di porre una tutela rafforzata dell'immagine di indipendenza del magistrato, la quale può essere posta in pericolo tanto dall'essere il magistrato politicamente impegnato e vincolato ad una struttura partitica, quanto dai condizionamenti, anche sotto il profilo dell'immagine, derivanti dal coinvolgimento nella attività di soggetti operanti nel settore economico o finanziario. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 25 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f, della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo sostituito dall'art. 1, comma 3, lettera d), numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269 (Sospensione dell'efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario), sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3, 18, 49 e 98 della Costituzione, dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura con l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2009. F.to: Francesco AMIRANTE, Presidente Paolo MADDALENA, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2009. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA Commenta | Stampa | Segnala | Condividi |

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Caccia in deroga: nuova richiesta di condanna dell'Italia dall'Ue (sezione: Giustizia)

( da "Sestopotere.com" del 22-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Caccia in deroga: nuova richiesta di condanna dell'Italia dall'Ue (22/7/2009 15:37) | (Sesto Potere) - Roma - 22 luglio 2009 - “La nuova richiesta di condanna per l’Italia presentata dalla Commissione europea non arriva inaspettata, avevamo già avvisato la regione Veneto che attraverso l’utilizzo improprio, ormai un vero e proprio abuso, dello strumento delle deroghe avrebbe aggravato la posizione dell’Italia rispetto alla procedura d’infrazione in corso ”. E’ quanto dichiarano ENPA, LAC, LAV, LEGAMBIENTE, LIPU, VAS e WWF a proposito della richiesta avanzata dalla Commissione europea di condannare l’Italia al pagamento delle spese in giudizio per le ripetute violazioni della Direttiva 9/409/CEE commesse dal Veneto riguardo la concessione di deroghe ad esercitare la caccia nei confronti di specie protette. La richiesta di condanna arriva mentre sono in discussione al Consiglio Regionale del Veneto due nuove proposte di legge inerenti l’applicazione del regime di deroga per la stagione venatoria 2009/2010. Proposte che non faranno altro che aggravare ulteriormente la posizione dell’Italia e del Veneto rispetto alle procedure di infrazione riguardanti la caccia in deroga, sia per lo strumento previsto che per i contenuti, dato che la richiesta di estendere la caccia a specie oggi protette dalla normativa europea va da 5 addirittura a 11 specie. Vogliamo ricordare che il 25 giugno 2008 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di un’analoga legge approvata nel 2007 dalla Regione Lombardia. La Corte – spiegano le associazioni - ha infatti bocciato la possibilità di ricorrere alle deroghe attraverso una legge-provvedimento in quanto in netto contrasto le previsioni della legge 157/1992, articolo 19 bis, poiché tale atto impedisce l’esercizio del potere di annullamento da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri. “Siamo di fronte a una situazione di particolare gravità – concludono ENPA, LAC, LAV, LEGAMBIENTE, LIPU, VAS e WWF – per la quale chiediamo al Presidente Galan un autorevole e fermo intervento, istituzionale e politico per impedire che un nuovo provvedimento di deroga venga attivato e al Consiglio regionale di respingere tali proposte e di adottare provvedimenti che sanino la posizione del Veneto rispetto alle procedure di infrazione”.

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ma il cavaliere teme i sondaggi "ora mi serve la pace sociale" - claudio tito (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 23-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina 3 - Interni Ma il Cavaliere teme i sondaggi "Ora mi serve la pace sociale" "L´autunno sarà difficile, dialogo anche coi sindacati" Il premier: bisogna ritrovare il feeling con il Paese e far dimenticare gli scandali A Palazzo Chigi clima "più sereno" in vista del giudizio della Consulta sul lodo Alfano CLAUDIO TITO ROMA - «Una nuova legittimazione». Un piano per provare a far dimenticare gli scandali di questi tre mesi e costruire una «pace sociale» in grado di sostenere le difficoltà del prossimo «autunno caldo». I sondaggi non sono più brillanti come all´inizio dell´anno. La speranza di presentarsi come «il presidente di tutta l´Italia» si è allontanata. Le spine dell´esecutivo crescono e rischiano di moltiplicarsi da settembre in poi. Silvio Berlusconi, allora, tenta la "mossa del cavallo". Cambiare strategia per impostare una «fase nuova» del suo governo e per rivitalizzare il rapporto con gli elettori. Evitando lo scontro diretto con l´opposizione e avviando un «rinnovato dialogo» con le parti sociali. Compresa la Cgil di Guglielmo Epifani. Il Cavaliere, insomma, è convinto che le ultime vicende «non avranno alcun effetto sulla durata dell´esecutivo». Il suo timore, semmai, è che possano condizionarne i risultati. Ha paura della paralisi. E in più che si incrini definitivamente il feeling con gli italiani. Il caso Noemi, gli scatti osè di Villa Certosa, adesso le registrazioni di Patrizia D´Addario, infatti, stanno pesando sul suo indice di popolarità. I sondaggi segnano un flessione per quanto riguarda la fiducia nel premier. Ma la sua preoccupazione, appunto, è un´altra. Che la luna di miele sia definitivamente tramontata e che il clima di «scontro» possa congelare ogni scelta di «lungo periodo» della sua maggioranza. Tant´è che negli ultimi giorni, ha iniziato a discutere con i suoi fedelissimi, sulla strategia da studiare per la ripresa dopo la pausa estiva. «Resto convinto che questa vicenda della D´Addario non cambierà la situazione rispetto a noi. Non c´è la possibilità che l´asse nazionale si sposti a sinistra. Il Paese - è il suo ragionamento - ha già digerito tutto». Il problema però è il «feeling» con gli italiani. «Dobbiamo ricostruire la sintonia», dice. «Indispensabile» per affrontare il prossimo «autunno caldo» e compiere scelte capaci di dar vita a «riforme strutturali». A partire da quella previdenziale e della sanità. E già, perché gli studi che girano sulle scrivanie di Palazzo Chigi e del ministero del Tesoro non lasciano molte speranze su quel che accadrà alla nostra economia da settembre in poi. Aziende costrette a chiudere i battenti soprattutto nei distretti settentrionali, il pil ulteriormente in discesa. In più proprio tra qualche mese scatteranno le vertenze per il rinnovo di importanti contratti come quello del pubblico impiego. Una situazione esplosiva che, anche per il presidente dl consiglio, potrebbe imporre decisioni «drastiche» ma «condivise». Non solo con la Lega. Non a caso negli ultimi giorni il capo del governo ha incaricato "ambasciatori" e ministri di ricucire il dialogo con «tutte» le parti sociali. Ieri ha chiamato a Palazzo Grazioli Emma Marcegaglia, il presidente di Confindustria. Di recente Gianni Letta ha sentito i segretari di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti. E soprattutto la scorsa settimana Giulio Tremonti è corso all´Assemblea di programma della Cgil proponendo di «fare insieme l´ultimo miglio». Il tutto, appunto, per scommettere su una nuova "pace sociale" che generi una «nuova legittimazione» e faccia dimenticare gli scandali. Proprio in questa ottica Berlusconi ha dato ordine di chiudere senza scossoni l´ultima partita di nomine nelle società controllate dallo Stato. Senza rivoluzioni. Nel braccio di ferro che ha visto sfidarsi Letta e Tremonti, allora, ha decisamente avuto la meglio il primo. Risultato: solo conferme. All´Anas è rimasto Pietro Ciucci, alle Poste Massimo Sarmi (che rischiava di chiudere anticipatamente il suo mandato), a Fincantieri ci sarà ancora Giuseppe Bono, a Fintecna Maurizio Prato. Per non parlare del caso Eni-Porto Torres per il quale il Cavaliere ha chiesto ai vertici del "cane a sei zampe" di trovare l´accordo con «tutti» i sindacati. Non solo. Secondo il premier, è indispensabile un ragionamento analogo anche per i rapporti con l´opposizione. «Non penso alla possibilità di "grandi intese" sulle riforme istituzionali», puntualizza a ogni piè sospinto. Eppure, Berlusconi si è convinto che un clima «più disteso» possa servire sia al centrodestra, sia al centrosinistra. «Loro - dice - possono avere la possibilità di tenere il loro congresso serenamente». In cambio il governo - tra settembre e ottobre - potrebbe esaminare «altrettanto serenamente» il disegno di legge sulle intercettazioni e affrontare «con fiducia» il giudizio della Corte costituzionale sul Lodo Alfano. Un patto "informale" che vorrebbe sottoporre presto alla valutazione del Quirinale. «Per il resto - sono i ragionamenti svolti nelle ultime ore con lo staff - dobbiamo puntare su azioni di governo concrete, come la ricostruzione in Abruzzo. E poi comunicare meglio quello che facciamo». In attesa di verificare se davvero potrà siglare la "pace sociale".

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la famiglia scrive al ministro bondi "date il petruzzelli alla fondazione" (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 23-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina XIII - Bari La famiglia scrive al ministro Bondi "Date il Petruzzelli alla Fondazione" La famiglia Messeni Nemagna, proprietaria del teatro Petruzzelli, in una lettera inviata al ministero per i Beni culturali, chiede che «con urgenza si proceda alla consegna dei locali teatrali alla Fondazione». Una richiesta «in esecuzione e nel rispetto di quel protocollo d´intesa del 21 novembre 2002 in cui ha sempre creduto e che ha sempre difeso, anche dall´esproprio illegittimo, annullato dalla Corte Costituzionale con sentenza del 30 aprile 2008». Si chiede inoltre la rimozione «di ogni opera o realizzazione architettonica difforme dalle previsioni contrattuali».

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La distanza fra il paese reale e il paese del sultano in accappatoio detentore del "lettone di ... (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 23-07-2009)

Argomenti: Giustizia

La distanza fra il paese reale e il paese del sultano in accappatoio detentore del "lettone di Putin" e in subordine della carica di primo ministro è un abisso tragico la cui foto, oggi, è quella del postino che recapita trecento lettere di licenziamento agli sfollati delle tendopoli dell'Aquila. I terremotati bisogna immaginarli per quello che sono, non una indisciplinata colonia estiva di liceali ripetenti gestita da Bertolaso coi pass e gli orari di coprifuoco ma persone una volta dentisti e idraulici, maestre d'asilo e architetti, orfani e studenti universitari oggi rimasti senza casa, spesso senza famiglia, senza intimità, senza progetti ma dotati purtroppo di un indirizzo collettivo al quale far giungere in blocco le lettere. Le smista poi un addetto della protezione civile, racconta Marco Bucciantini. «Lei ha perso il lavoro». Licenziare gli sfollati è come far pagare l'affitto ai deportati. Una beffa crudele e consueta: togliere a chi ha già perso tutto. Il virile anziano leader scherza davanti alla sua ennesima platea plaudente, «non sono un santo», dice. Non c'è nessun dubbio. Non è a lui dunque che gli eventuali credenti superstiti, in Abruzzo e altrove, potranno chiedere il miracolo. Neppure, del resto, c'è chi gli chieda il rispetto del Contratto con gli italiani, quella trovata da cabaret alla quale molti - si direbbe dai successivi esiti elettorali - hanno creduto. Al posto dell'ennesimo milione di posti di lavoro promesso come il ritornello di una canzone di Apicella arriveranno piuttosto in autunno, dice il Cnel, mezzo milione di nuovi disoccupati. Cinquecentomila persone tra i privilegiati che lo detengono stanno per perdere il posto di lavoro. Le fabbriche del Nord consumano il 25% di energia in meno dunque producono un quarto di meno. I consumi di beni ordinari è in calo. Chi non ha non spende. Chi non vende non produce. Il motore del Paese è vicino allo stallo. Il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi sentito dalla commissione Antimafia avvisa del rischio che un'eventuale ripresa sia "strozzata dal crimine". La crisi è un affare per la malavita. La corruzione eletta a sistema allontana investitori e turisti. Le mafie e le camorre fanno il resto. I componenti dell'esecutivo (Castelli) provano a far passare in modo subdolo una sorta di lodo Alfano per i ministri, impunità anche per loro. Il figlio di un giudice della Corte Costituzionale che sta per decidere la sorte di un ministro (Matteoli) viene promosso dal ministro medesimo alla guida di un importante ente pubblico. Lo spirito del tempo è questo. Vent'anni fa moriva Paolo Baffi, lontano predecessore di Draghi. Ne scrive per noi Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio. Nella bella intervista a Rinaldo Gianola dice Mario Sarcinelli, di Baffi il più stretto collaboratore: «L'esempio degli uomini, anche i più illustri, si dimentica facilmente soprattutto da parte delle generazioni che non ne sono state dirette testimoni. L'etica e anche il diritto si rivelano impari nella lotta col potere. Ecco perché la democrazia è una forma di governo superiore, poiché permette il ricambio della classe o del gruppo che governa, ma anche quando non è bloccata, come a lungo fu in Italia, non è detto che rinnovi la mentalità clientelare, frantumi le coalizioni di interessi, diffonda la cultura del bene comune».

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Di Pietro attacca il Colle sulla firma delle leggi No comment all'iniziativa (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 23-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Di Pietro attacca il Colle sulla firma delle leggi «No comment» all'iniziativa MARCELLA CIARNELLI Ancora una volta l'onorevole Antonio Di Pietro mostra di preferire la piazza all'aula parlamentare. E così il leader dell'Italia dei Valori si è presentato al Colle per dare pubblicità ad una lettera indirizzata al presidente della Repubblica che contiene una lunga requisitoria sull'operato di Napolitano, a cominciare dall'ultimo episodio, quello delle notazioni con cui il Capo dello Stato ha accompagnato la firma della legge sulla sicurezza, a tornare indietro. Solo una «letterina di rimprovero» che non è piaciuta a Di Pietro che nel suo editto elenca tutta una serie di altre omissioni che sarebbero state fatte dal Quirinale, secondo la sua interpretazione della Costituzione, dalla firma del Lodo Alfano al mancato intervento dopo la cena di Berlusconi con due giudici della Corte Costituzionale. Napolitano «spieghi e non offenda». Ai piedi del Colle si sono ritrovati Di Pietro e un po' di amici, una trentina, poco più che sono stati fermati dalle forze dell'ordine perché la manifestazione, anche se micro, non era stata nè preannunciata, nè quindi autorizzata. Un po' di discussioni ma alla fine i manifestanti sono stati fatti avvicinare al Quirinale dove di Di Pietro ha potuto portare a termine una missione con scopi più che altro mediatici e si è guadagnato le riprese televisive sue e dei supporter con maglietta «Giorgio non firmare» allusive ad una firma, quella sotto la legge sulle intercettazioni, di cui bisogna ancora discutere. Un'azione preventiva contro un bersaglio, il presidente, individuato con preoccupante determinazione. A dar man forte ha provveduto anche Marco Travaglio sul blog di Micromega. La reazione del Pd La «scimitarra» dell'Italia dei Valori contro il Quirinale che ha scelto la strada del «no comment». Quel che aveva da dire il presidente, a proposito della «letterina», l'ha ampiamente argomentato nella missiva inviata al capo del governo e per conoscenza ai presidenti delle Camere per rendere edotto il Parlamento sui «dubbi e le perplessità» suscitati dalla legge sulla sicurezza sottoposta alla sua firma. E nell'intervento, in occasione del Ventaglio, si era rivolto direttamente al «fiero guerriero» che contesta l'uso «della piuma d'oca» e che «invoca, polemicamente e di continuo, poteri e perfino doveri d'intervento che non ho, mostra di aver compreso poco della Costituzione e della forma di governo, non presidenziale che essa ha fondato». Nessuna risposta,all'Idv. Al Colle è salito Dario Franceschini. Nei giorni scorsi c'erano stati colloqui con Bersani, Cesa e Casini e anche esponenti del governo, per un confronto sulla situazione del Paese. «Di Pietro non mostra ritegno nel destabilizzare le istituzioni al fine di lucrare vantaggi politici» hanno affermato in una nota congiunta i capigruppo Pd di Senato e Camera, Finocchiaro e Soro. «Chi non ci vuole non ci merita» la replica. Antonio Di Pietro all'attacco del Colle armato di una lettera-scimitarra contro la presunta piuma d'oca del presidente. Azione mediatica con pochi supporter. Il Pd: «Destabilizza le istituzioni». No comment del Colle.

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Chi non salta italiano è! , così cantava l'allora ministro della Giustizia... (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 23-07-2009)

Argomenti: Giustizia

«Chi non salta italiano è!», così cantava l'allora ministro della Giustizia Roberto Castelli sotto Montecitorio, unendosi a una manifestazione di giovani padani. Ieri il voto del Senato, prima nella giunta per le autorizzazioni a procedere e poi in Aula, ha sancito (170 voti contro 120) - fra le proteste dell'opposizione - che il ministro era nelle sue funzioni, che egli perseguiva «un preminente interesse pubblico» e che, quindi, nelle vicende giudiziarie scaturite da quell'episodio la magistratura ordinaria non abbia voce in capitolo. Grande bagarre, dunque, per una storia complicata e piccola nel merito ma che ha portato - accusa l'opposizione - a uno stravolgimento della carta fondamentale, la Costituzione, che stabilisce l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e che, con la riforma del 1989, abolì l'immunità dei ministri. «Hanno introdotto surrettiziamente - dà l'allarme la capogruppo Pd Anna Finocchiaro - un lodo Alfano per i ministri. È questo il risultato che la maggioranza voleva raggiungere, facendo ciò che non gli è riuscito con il lodo Alfano». I fatti del 2004 Mentre Castelli saltava con i giovani padani passò Oliviero Diliberto che, il giorno dopo, in una trasmissione di «Telecamere» gli rinfacciò quel comportamento poco consono a un ministro della Repubblica. La replica fu violentissima: «Meglio saltare che mandare in giro a sprangare come fai tu». E poi, riferendosi al caso di Silvia Baraldini: «Favorisci il rientro dei terroristi in Italia». «Quelli che sparavano e stanno in Francia sono amici tuoi». Tanto che la conduttrice, alla fine, gli chiese se volesse chiedere scusa al suo predecessore al dicastero della Giustizia. «Non chiedo scusa a uno che libera i terroristi come ha fatto lui». Partì, il 27 aprile 2004, la denuncia per diffamazione di Oliviero Diliberto. E la schermaglia giudiziaria: il 30 giugno 2004 il Senato decide che le parole del ministro sono insindacabili. il 13 dicembre dello stesso anno il cosiddetto Tribunale dei ministri, ovvero un collegio di tre giudici presso il tribunale ordinario, stabilisce la propria incompetenza, «non si configura un reato ministeriale, e rinvia - come prevede la legge - alla giustizia ordinaria. Nel luglio 2007 la Consulta annulla la decisione del Senato sulla «insindacabilità». Il vulnus costituzionale È a questo punto che Roberto Castelli, oggi sottosegretario alle infrastrutture, gioca d'anticipo sulla magistratura ordinaria. E si rivolge lui stesso alla Giunta. Ed è qui, denuncia l'opposizione, la prima violazione della legge costituzionale. Secondo l'articolo 96 della Carta, infatti, solo i magistrati e non il singolo, possono sollecitare la Giunta di palazzo Madama. Ma non basta, la Giunta si è comportata, sostiene Anna Finocchiaro come se esistesse «un potere delle Camere di valutare la ministerialità del reato, di valutarla di propria iniziativa». On demand, su richiesta dell'interessato e, per di più, di entrare nel merito. Non era questo né lo spirito né la lettera della riforma dell'articolo 96 della Costituzione che sottraeva alla Corte costituzionale l'accertamento dei reati ministeriali per darlo alla magistratura ordinaria. Tanto più, sostiene Felice Casson, che «il Senato avrebbe potuto attendere il pronunciamento della Corte Costituzionale sul caso analogo del ministro Matteoli». «sarebbe stato saggio, per evitare, come chiede il capo dello Stato, conflitti tra istituzioni. Ma evidentemente a questa maggioranza di evitare conflitti non glie ne importa niente». Mentre Castelli controattacca, «è il tribunale dei ministri che ha violato le regole, non io», il senatore Francesco Sanna accusa: «La Giunta non ha visto le carte del Tribunale dei ministri, non ha potuto ascoltare nemmeno Castelli, si è basata solo sulle carte dell'avvocato Ghedini».

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Figlio del giudice costituzionale a capo dell'Aviazione civile (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 23-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Figlio del giudice costituzionale a capo dell'Aviazione civile CLAUDIA FUSANI La storia è questa: un avvocato di 44 anni è promosso alla guida di un importante ente pubblico mentre il padre, giudice, è impegnato in una decisione assai delicata che riguarda il ministro che ha proposto e ottenuto la nomina del figlio. Probabilmente si tratta solo di una coincidenza, uno di quegli incroci temporali che neppure il diavolo riuscirebbe a mettere in piedi. Probabilmente. E al bando i maligni, chi ci vuole vedere altro, piani e strategie. Magari scambi di favori, ohibò. E però la storia va raccontata tutta. Per filo e per segno. Il 4 di giugno l'avvocato Alessio Quaranta, 44 anni, sposato, due figli, professionista stimato, un curriculum segnato dai ruoli dirigenziali all'interno dell'Enac, diventa n°1 dell'Ente nazionale di aviazione civile, l'organismo che decide tutto in materia di voli, aeroporti e licenze e sicurezza. Insomma, un Signor incarico. La nomina di Quaranta viene fatta dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro competente, Altero Matteoli ( Trasporti). Un paio di settimane dopo, anche se i giornali ne parlano solo il 9 luglio, succede che un altro Quaranta, Alfonso padre di Alessio e giudice della Corte Costituzionale, partecipa al voto che in qualche modo "assolve" proprio il ministro Matteoli dall'accusa di favoreggiamento. Qui serve una parentesi. Perchè c'è una storia nella storia. Nel 2004 il ministro Matteoli è accusato di favoreggiamento dalla procura di Livorno per aver avvisato il prefetto di un'indagine a suo carico per presunti abusi edilizi relativi alla costruzione di un residence all'isola d'Elba. All'epoca Matteoli è ministro dell'Ambiente e in quanto tale chiede alla Giunta per la autorizzazioni a procedere di deliberare che «i fatti a lui ascritti siano dichiarati attinenti alle sue funzioni ministeriali». Nel frattempo il tribunale di Livorno, dopo che il Tribunale dei ministri di Firenze si era spogliato del procedimento perchè non si trattava di reato ministeriale, rinvia a giudizio il ministro per favoreggiamento. Matteoli si oppone, investe della questione la Giunta della camera che solleva il conflitto di attribuzione di poteri presso la Corte Costituzionale. La quale, e torniamo a oggi, decide di rinviare tutto alla Giunta della Camera. Ma quella della Consulta non è stata una decisione serena. Anzi. E' stata presa a maggioranza - è ipotizzabile una conta di 8 sì e sette no - e ha registrato la contrarietà del vicepresidente della Corte Ugo De Siervo che, pur essendo il relatore, non scriverà le motivazioni di una scelta che non condivide. Non si capisce infatti come possa essere una prerogativa ministeriale avvisare una persona di essere sotto inchiesta. E' un fatto che la decisione della Corte sta facendo molto discutere nel merito. E inquieta sapere che uno di quei giudici che hanno deciso, in un modo o nell'altro, su una sorta di Lodo Matteoli, è il padre di un professionista che lo stesso Matteoli ha appena promosso. L'ex dg consulente al ministero Coincidenze. E malignità. Nulla di più. Che però non finiscono qua. Infatti l'ex dg di Enac, Silvano Manera, ex comandante di Alitalia, è candidato a diventare consulente dello stesso ministro Matteoli. Insomma, tutti contenti e nessuno a piedi.Il caso Matteoli slitta a settembre. Sarà la Camera a decidere se il reato è ministeriale o meno. Resta aperto il caso Consulta: dopo la cena a casa del giudice Mazzella con il premier, il sottosegretario e il ministro della Giustizia, arriva ora il caso Matteoli-Quaranta. E a ottobre, sempre la Consulta, dovrà decidere sulla costituzionalità del Lodo Alfano. In pratica se processare il premier oppure no. Dopo la cena a casa del giudice Mazzella un nuovo caso-Consulta. Pochi giorni prima che il giudice Alfonso Quaranta decidesse sul lodo Matteoli il figlio di Quaranta è diventato direttore dell'Enac. Su proposta di Matteoli.

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Nel 1989 fu abolito il tribunale ad hoc (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 23-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Nel 1989 fu abolito il tribunale ad hoc La riforma Nel 1989 fu modificato l'articolo 96 della Carta. Prima si prevedeva un tribunale ad hoc, presso la Corte Costituzionale, per i reati ministeriali. La nuova formulazione dice: «Il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale». Un collegio di tre magistrati fa le indagini preliminari e chiede a Camera o Senato l'autorizzazione.

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Un lodo Alfano per i ministri Il voto al Senato salva Castelli (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 23-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Un lodo Alfano per i ministri Il voto al Senato salva Castelli JOLANDA BUFALINI «Chi non salta italiano è!», così cantava l'allora ministro della Giustizia Roberto Castelli sotto Montecitorio, unendosi a una manifestazione di giovani padani. Ieri il voto del Senato, prima nella giunta per le autorizzazioni a procedere e poi in Aula, ha sancito (170 voti contro 120) - fra le proteste dell'opposizione - che il ministro era nelle sue funzioni, che egli perseguiva «un preminente interesse pubblico» e che, quindi, nelle vicende giudiziarie scaturite da quell'episodio la magistratura ordinaria non abbia voce in capitolo. Grande bagarre, dunque, per una storia complicata e piccola nel merito ma che ha portato - accusa l'opposizione - a uno stravolgimento della carta fondamentale, la Costituzione, che stabilisce l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e che, con la riforma del 1989, abolì l'immunità dei ministri. «Hanno introdotto surrettiziamente - dà l'allarme la capogruppo Pd Anna Finocchiaro - un lodo Alfano per i ministri. È questo il risultato che la maggioranza voleva raggiungere, facendo ciò che non gli è riuscito con il lodo Alfano». I fatti del 2004 Mentre Castelli saltava con i giovani padani passò Oliviero Diliberto che, il giorno dopo, in una trasmissione di «Telecamere» gli rinfacciò quel comportamento poco consono a un ministro della Repubblica. La replica fu violentissima: «Meglio saltare che mandare in giro a sprangare come fai tu». E poi, riferendosi al caso di Silvia Baraldini: «Favorisci il rientro dei terroristi in Italia». «Quelli che sparavano e stanno in Francia sono amici tuoi». Tanto che la conduttrice, alla fine, gli chiese se volesse chiedere scusa al suo predecessore al dicastero della Giustizia. «Non chiedo scusa a uno che libera i terroristi come ha fatto lui». Partì, il 27 aprile 2004, la denuncia per diffamazione di Oliviero Diliberto. E la schermaglia giudiziaria: il 30 giugno 2004 il Senato decide che le parole del ministro sono insindacabili. il 13 dicembre dello stesso anno il cosiddetto Tribunale dei ministri, ovvero un collegio di tre giudici presso il tribunale ordinario, stabilisce la propria incompetenza, «non si configura un reato ministeriale, e rinvia - come prevede la legge - alla giustizia ordinaria. Nel luglio 2007 la Consulta annulla la decisione del Senato sulla «insindacabilità». Il vulnus costituzionale È a questo punto che Roberto Castelli, oggi sottosegretario alle infrastrutture, gioca d'anticipo sulla magistratura ordinaria. E si rivolge lui stesso alla Giunta. Ed è qui, denuncia l'opposizione, la prima violazione della legge costituzionale. Secondo l'articolo 96 della Carta, infatti, solo i magistrati e non il singolo, possono sollecitare la Giunta di palazzo Madama. Ma non basta, la Giunta si è comportata, sostiene Anna Finocchiaro come se esistesse «un potere delle Camere di valutare la ministerialità del reato, di valutarla di propria iniziativa». On demand, su richiesta dell'interessato e, per di più, di entrare nel merito. Non era questo né lo spirito né la lettera della riforma dell'articolo 96 della Costituzione che sottraeva alla Corte costituzionale l'accertamento dei reati ministeriali per darlo alla magistratura ordinaria. Tanto più, sostiene Felice Casson, che «il Senato avrebbe potuto attendere il pronunciamento della Corte Costituzionale sul caso analogo del ministro Matteoli». «sarebbe stato saggio, per evitare, come chiede il capo dello Stato, conflitti tra istituzioni. Ma evidentemente a questa maggioranza di evitare conflitti non glie ne importa niente». Mentre Castelli controattacca, «è il tribunale dei ministri che ha violato le regole, non io», il senatore Francesco Sanna accusa: «La Giunta non ha visto le carte del Tribunale dei ministri, non ha potuto ascoltare nemmeno Castelli, si è basata solo sulle carte dell'avvocato Ghedini». Il ministro Castelli salvato dalla sua maggioranza con 170 voti contro 120. Ma l'opposizione accusa: violata la legge e la Carta costituzionale, avete introdotto un lodo Alfano anche per i ministri.

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Per l'Irap salvezza più vicina alla Consulta (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 23-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-23 - pag: 23 autore: Imposte contese. Sul nodo della deducibilità Per l'Irap «salvezza» più vicina alla Consulta Marco Bellinazzo ROMA L'Irap passerà indenne al vaglio della Corte costituzionale. è questo,infatti,l'orientamento che starebbe prevalendo tra i giudici della Consulta. L'ordinanza (il relatore è il giudice Sabino Cassese) che fa salvo il contestato tributo regionale sulle attività produttive sarà depositata con ogni probabilità la prossima settimana. Nelle considerazioni della Corte, chiamata fin dal 2004 dalle commissioni tributarie di mezza Italia a pronunciarsi sull'indeducibilità dell'Irap aifini dei tributi erariali (sancita dall'articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 446/97), avranno pesato, indubbiamente, le novità relative alla parziale deducibilità del 10% del costo del lavoro introdotta dalla manovra anti-crisi della scorsa estate (decreto legge 185/08), i nuovi scenari istituzionali legati all'implementazione del federalismo fiscale e i timori per l'impatto di un'eventuale bocciatura sui conti pubblici (l'Irap garantisce qualcosa come 40 miliardi all'Erario) e, in particolare, sui fondi per la sanità. Nelle ordinanze di rimessione che si sono succedute in questi anni – tra le più recenti (ma con altro taglio) quelle della Ctp di Bologna del 3 aprile e del 25 giugno 2009 – i capi d'"imputazione" contro l'Irap sono andati moltiplicandosi. In definitiva, però, è stata l'indeducibilità dell'imposta a essere accusata di violare il principio di capacità contributiva (articolo 53 della Costituzione), in quanto comporterebbe la "doppia" incidenza del prelievo, perchè le imposte sui redditi graverebbero anche sull'Irap. Ovvero l'incidenza dell'imposta su un reddito negativo: quando le imprese tassate sono in perdita l'Irap, in effetti, grava comunque su costo del lavoro e interessi passivi. Solo quando saranno rese note le motivazioni, naturalmente, sarà possibile ricostruire l'excursus giuridico seguito dalla Corte. In alternativa alla semplice dichiarazione di inammissibilità o infondatezza della questione si starebbe valutando anche la possibilità di ritenere "determinante" l'elemento dello ius superveniens. Per i giudici costituzionali si aprirebbero così due strade: potrebbero trarre la convinzione del superamento tout court della presunta illegittimità dell'Irap; oppure rinviare il problema alle Commissioni tributarie affinchè valutino se lo sconto forfettario del 10% dell'Irap dalla base imponibile Ires e Irpef (in relazione ai costi sostenuti per personale e interessi passivi) abbia garantito all'imposta regionale pieno diritto di cittadinanza nell'ordinamento tributario. © RIPRODUZIONE RISERVATA LE INDICAZIONI I giudici della Corte dovrebbero considerare superate le questioni di legittimità degli ultimi anni

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Rimborsi Ici alle coop agricole (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 23-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-23 - pag: 25 autore: Corte costituzionale. Illegittimo il divieto di restituzione dei versamenti precedenti il 2008 Rimborsi Ici alle coop agricole Si apre la strada per la presentazione delle istanze ai Comuni Luigi Lovecchio è illegittimo il divieto di restituzione dell'Ici versata dalle cooperative agricole per gli anni precedenti al 2008. Con la sentenza 227/09, la Corte costituzionale ha infatti dichiarato l'incostituzionalità della previsione contenuta nell'articolo 2, comma 4 della legge 244/07, che disponeva il blocco dei rimborsi Ici sui fabbricati strumentali delle cooperative. Gli effetti della sentenza potrebbero rivelarsi dirompenti, posto che sull'applicabilità dell'imposta comunale agli immobili delle cooperative agricole sono pendenti numerosi contenziosi, anche di ingente entità. La pronuncia della Corte costituzionale si segnala per la puntuale ricostruzione storica della nozione di ruralità, a partire dalla originaria formulazione dell'articolo 9 del decreto legge 557/93. In forza di questa norma, ai fini della definizione di fabbricato rurale occorreva l'identità soggettiva del proprietario del terreno e del proprietario del fabbricato asservito al fondo. Questo impediva, dunque, il riconoscimento della ruralità agli immobili delle cooperative agricole, in ragione del fatto che la titolarità dei terreni appartiene normalmente ai soci delle coop. Con l'inserimentodel comma 3 bis all'interno dell'articolo 9, si è poi proceduto a disciplinare autonomamente i fabbricati rurali strumentali. Secondo la prevalente lettura di tale comma, la norma dovrebbe consentire di attribuire la qualifica di ruralità ai beni oggettivamente destinati ad attività agricole, indipendentemente dal possesso dei fondi cui essi afferiscono. La Corte costituzionale ricorda tuttavia anche il recente filone giurisprudenziale inaugurato dalla Cassazione con numerose sentenze emesse nell'estate del 2008, a fronte del quale tutti i fabbricati rurali dovrebbero scontare l'Ici. Tanto, in ragione del fatto che la ruralità rileverebbe solo ai fini del classamento degli immobili, non anche ai fini dell'esenzione dal tributo comunale. In un quadro interpretativo già sufficientemente controverso, si inseriscono le innovazioni introdotte a fine 2007 e nei primi mesi del 2009. Si tratta in particolare: • dell'articolo 42 bis del Dl 159/07, che ha completamente sostituito la definizione di fabbricato rurale, menzionando espressamente, tra l'altro, le cooperative agricole; • dell'articolo 2, comma 4 della legge 244/07, che ha sancito il divieto di rimborso dell'Ici versata sulle costruzioni strumentali delle cooperative; • dell'articolo 23, comma 1 bis del Dl 207/08, che contiene una disposizione interpretativa in materia di ruralità. La sentenza della Corte non prende posizione sulla natura interpretativa o innovativa dell'articolo 42 bis, ritenendo sufficiente l'esame della sola disposizione incriminata, recata nella legge 244/07. Osserva in proposito la Corte costituzione che se l'Ici era dovuta dalle cooperative per le annualità precedenti il 2008, non avrebbe avuto senso il divieto di rimborso disposto nel 2007. Ne consegue che l'unica finalità perseguita nella legge 244/07 è quella di impedire il rimborso di una somma altrimenti indebita. A rafforzare tale conclusione, la pronuncia si richiama anche alla disposizione contenuta nel Dl 207/08. La norma, qualificata dalla Corte come interpretativa, afferma infatti che i fabbricati rurali devono intendersi esclusi dal presupposto dell'Ici. Stando così le cose, la sentenza non ha potuto che confermare i precedenti a fronte dei quali è irragionevole la disparità di trattamento tra soggetti che hanno pagato un tributo indebito, ai quali si preclude il rimborso, e soggetti che invece non hanno versato nulla sin dall'inizio. La disposizione dell'articolo 2, comma 4 della legge 244/07 è stata pertanto dichiarata costituzionalmente illegittima. Si apre a questo punto la strada per le istanze di rimborso dell'Ici pagata dalle cooperative agricole. Al riguardo, occorre ricordare che le sentenze di incostituzionalità non producono effetti per i rapporti esauriti. Ne consegue che, in linea di principio, non sono ammesse restituzioni in caso di sentenze passate in giudicato, accertamenti divenuti definitivi e decorrenza dei termini per il rimborso. La scadenza per i rimborsi è di cinque anni dal pagamento. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL QUADRO Cinque anni per la domanda La sentenza non avrà nessun effetto se si è prodotto il giudicato o l'accertamento definitivo

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Province autonome competenti sul paesaggio (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 23-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-23 - pag: 25 autore: Federalismo Province autonome competenti sul paesaggio La Corte costituzionale, con la sentenza n. 225 depositata ieri, ha dato ragione alla provincia di Trento dichiarando l'illegitimità di un passaggio del Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, riconoscendo i limiti dello Stato in materia di protezione del paesaggio. Veniva contestato, in particolare, un comma ritenuto in contrasto con la competenza primaria della Provincia autonoma di Trento in materia di tutela del paesaggio, sancita dallo Statuto speciale del Trentino Alto Adige. Si tratta del comma 3 dell'articolo 131 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Per la Consulta bisogna ricordare che le disposizioni della legge costituzionale n. 3 del 2001 (che assegna allo Stato competenze in materia di paesaggio) non sono destinate a prevalere sugli statuti speciali di autonomia ed è proprio in questa prospettiva che, con specifico riferimento alla competenza legislativa della Provincia autonoma di Trento, la stessa Consulta, con la sentenza n. 62 del 2008, ha richiamato la competenza legislativa esclusiva in materia di «tutela del paesaggio ». Una conclusione che è stata poi corroborata anche da una successiva pronuncia della stessa Corte cstituzionale che aveva riconsciuto una posizione esclusiva analoga anche alla Valle d'Aosta.

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Polizze in recupero dal 2010 (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 23-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: FINANZA E MERCATI data: 2009-07-23 - pag: 37 autore: Assicurazioni. Per il Ceo della compagnia la Rc auto è stata penalizzata dalle modifiche al bonus-malus Polizze in recupero dal 2010 Marchionni (Fondiaria Sai): le semestrali saranno ancora difficili Riccardo Sabbatini «Penso che sia stato toccato il fondo e che il 2010 vedrà un recupero ma, allo stesso tempo, immagino che le semestrali in arrivo ancora non porteranno buone notizie». L'amministratore delegato di Fondiaria Sai Fausto Marchionni non condivide il pessimismo del Ceo di Allianz Michael Dickmann sui tempi lunghi del recupero del settore assicurativo dalle secche della crisi. Nell'immediato, tuttavia, la sua previsione è che le compagnie italiane si preparino ad archiviare semestrali ancora difficili con risultati «più vicini a quelli del primo trimestre 2008 che alla semestrale dello scorso anno». Con l'attenzione dei manager, per l'interoesercizio,concentrata a migliorare i bilanci tecnici ed a tenere la barra diritta sulla solidità patrimoniale. «è la mia bussola. Certamente teniamo in considerazione le esigenze degli azionisti ma sotto il livello di 130% del margine di solvibilità non intendiamo scendere». In questa fase di congiuntura negativa gli assicuratori italiani hanno una spina sul fianco, la Rc Auto. Dopo anni di utili tecnici nel 2008 il combined ratio ( il rapporto tra il totale delle spese e dei premi incassati) a livello di mercato a superato nuovamente quota 100 (100,8% secondo le rilevazioni dell'Ania, l'associazione delle compagnie) e, nonostante i ritocchi tariffari già decisi da molte società la situazione sta peggiorando. A soffrire è anche Fondiaria Sai che da sempre detiene la leadership del mercato (con una quota del 23%). Sono le conseguenze, perduranti, del decreto Bersani che ha innescato –sottolinea Marchionni – una «deregolamentazione selvaggia ». Le reti agenziali – nonostante gli incentivi al plurimandato «non si sono spostate, non c'è stato il temuto sconquasso ». Al di sotto degli agenti, al livello di subagenti e produttori, qualche effetto invece c'è stato con venditori che si sono spostati da una compagnia all'altra alla ricerca di chi faceva gli sconti maggiori per i portafogli che erano in grado di trasferire. Le compagnie hanno perso il controllo della flessibilità a vantaggio dei distributori. A tutto questo si sono aggiunte le conseguenze «devastanti» delle modifiche al bonus-malus che hanno consentito di attribuire a tutta la famiglia la classe di merito più favorevole. «In un solo anno la classe migliore – sottolinea Marchionni - si è incrermentata del 40% a livello di sistema mentre le peggiori sono praticamente sparite». Ma le cattive notizie non si fermano qui. Negli ultimi mesi le maggiori insidie alle compagnie sono venute dalla magistratura. Ha iniziato il tribunale di Milano elevando le tabelle di risarcimento per i danni fisici che, se fossero ribaltate interamente sui prezzi – stima Fonsai – comporterebbero incrementi medi del 3- 3,5 per cento. E da ultimo è arrivata la sentenza della Corte Costituzionale che ha giudicando legittimo il nuovo modello di indennizzo diretto nella Rc auto – è l'assicuratore del danneggiato che risarcisce il cliente ricevendo successivamente un forfait dalla compagnia del danneggiante – ma allo stesso tempo ha accordato all'automobilista il diritto, se insoddisfatto del trattamento, di rivolgersi alla compagnia del danneggiante. Come avveniva in precedenza. «Tutto questo è suscettibile di vanificare completamente il modello scelto dal legislatore rendendo ingestibile la cassa di compensazione tra le compagnie. Facciamo l'esempio che una compagnia abbia risarcito per 500 euro il suo cliente e che quest'ultimo abbia successivamente chiesto e ottenuto altri 700 euro dalla compagnia del danneggiante, già obbligata a versare il forfait (ad esempio di 1500 euro). La prima avrà guadagnato ma per l'altra avrà subito una perdita doppia».C'è anche una beffa. «Nel contenzioso con l'automobilista la seconda compagnia non potrà utilizzare in tempi brevi neppure i dati sull'incidente visto che l'Antitrust ha vietato lo scambio di informazioni tra gli assicuratori, considerandolo collusivo». LE STIME «I conti del comparto dovrebbero essere più vicini a quelli del primo trimestre 2008 che a quelli di giugno dello scorso anno» Al vertice. Fausto Marchionni, a.d. di Fondiaria Sai FOTOGRAMMA

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Niente impunità per i reati gravi (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 23-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-07-23 - pag: 5 autore: ANALISI Niente impunità per i reati gravi di Ivo Caraccioli P er evitare che i contribuenti che aderiscono al rientro dei capitali si "autodenuncino" per i reati collegati all'esportazione illecita, il provvedimento prevede una causa estintiva del reato (o causa di non punibilità), limitatamente peraltro a quelli di «dichiarazione infedele » e «omessa dichiarazione » dei redditi e Iva di cui agli articoli 4 e 5 del decreto legislativo 74/2000 (oltre ai reati di cui alla legge 516/82 a eccezione di quelli previsti dall'articolo 4 lettere d) e f) della stessa legge). Una scelta minimale onde evitare che il provvedimento provochi l'impunibilità per reati più gravi,solo indirettamente collegati all'esportazione o non meritevoli di estinzione. è quindi, in ogni caso, inesatto parlare di «condono dei reati». Sempre nel campo dei reati fiscali, non vi sono, quindi, compresi, ad esempio, quelli in materia di fatture false (utilizzazione in dichiarazione ed emissione: articoli 2 e 8 dello stesso decreto legislativo). In proposito si devono, comunque, tenere presenti gli orientamenti della giurisprudenza, anche della Cassazione, secondo cui non dà luogo all'articolo 2, ma all'articolo 4, la deduzione di costi non inerenti (fatturati a un contribuente al posto dell'altro). Parimenti, per l'utilizzatore, la deduzione di costi, pur realmente sostenuti, provenienti da soggetti diversi da quelli che hanno ceduto i beni ed effettuato la prestazione di servizi. In base all'articolo 182 del Codice penale le cause di estinzione del reato si applicano solo alla persona a cui direttamente si riferiscono e non sono quindi estendibili ai concorrenti nel reato. Peraltro, in relazione allo scudo bis, collegato al condono tributario ( fino al 2002), la Corte costituzionale aveva opportunamente chiarito che, a pena di provocare un indebito arricchimento per lo Stato, della non punibilitàdovessero fruire pure i componenti del collegio sindacale (e quindi anche i consulenti) delle società i cui amministratori avevano fatto luogo al condono. Un principio generale che deve valere anche in relazione allo "scudo", tenendo presente peraltro che non deve trattarsi di società, e quindi il principio vale solo per i consulenti o altri concorrenti. Questo, si badi, riguarda i concorrenti " esterni", non quelli "interni" (ad esempio, se il rimpatrio effettuato dal socio di una società semplice o associazione equiparata estingue con lo scudo l'ammontare dell'evasione penalmente rilevante, la causa di non punibilità vale per tutti i soci od associati). è previsto, come normalmente accade, che dell'estinzione non si possa godere se sono già iniziate ispezioni, verifiche, accessi. Questa formula, essendo limitativa di un diritto, va peraltro intesa in senso restrittivo, e quindi unicamente con riferimento ai soggetti direttamente verificati.Ad esempio,se l'accesso è finalizzato ad acquisire documenti relativi a un contribuente detenuti dallo studio di consulenza, non è impedito l'effetto estintivo dello scudo riguardo agli eventuali reati, connessi alla vicenda, commessi dal consulente (ad esempio mancata dichiarazione dei redditi derivati dalla consulenza stessa). © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Precari a terra: salta l'una tantum (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 23-07-2009)

Argomenti: Giustizia

DECRETO ANTICRISI GOVERNO Un emendamento cambia destinazione alla copertura Precari a terra: salta l'una tantum «L'Istat deve restare pubblica», ma vanno aumentate le risorse e riformato lo statuto. La lotta dei rilevatori delle «forze di lavoro», precari cococò da 7 anni e ora a rischio licenziamento. Mentre nel decreto «anticrisi» spunta un emendamento che eliminina l'indennità una tantum per i collaboratori a progetto, sbandierata dal governo nei mesi scorsi Sara Farolfi ROMA Era marzo, l'uscita dal tunnel della crisi non si intravedeva neppure e il governo annunciava in pompa magna il raddoppio, dal 10 al 20%, dell'indennità per i collaboratori a progetto (co.co.pro). «Non lasceremo indietro nessuno», suonava allora la parola d'ordine, palleggiata all'occorrenza tra i ministri. Grande retorica, pochi i persuasi dell'impatto della misura, 100 milioni i fondi stanziati per la copertura 2009. «Ma ne metteremo altrettanti anche per il 2010», aveva giurato Sacconi. E invece niente. Niente raddoppio, ma neppure niente «elemosina», come in tanti l'avevano definita. Tra le pieghe dei 150 emendamenti presentati al decreto «anticrisi», infatti, viene cambiata la destinazione d'uso di quei 100 milioni stanziati per finanziare l'una tantum per i collaboratori a progetto (in monocommittenza), e che ora invece andranno a finire, «tutti o in parte», nel Fondo sociale per l'occupazione e la formazione. Neppure le briciole insomma per chi, se espulso dal mercato del lavoro, non ha diritto neppure al sussidio di disoccupazione: diversi economisti avevano mostrato l'esiguità della misura - il 20% della retribuzione 2008, pari a circa 1600 euro di una tantum, per una platea pari al 12,5% dei collaboratori a progetto, secondo le stime de Lavoce.info. Tutto ciò fa il paio con quell'altra norma del decreto che proroga il blocco delle assunzioni nel settore pubblico e che dunque mette fuori i 25 mila precari delle Poste per i quali la Corte costituzionale aveva disposto il reintegro. E non è tutto. Con il metodo ormai consolidato dell'azzardare provvedimenti tramite emendamenti, il decreto «anticrisi», sul quale con ogni probabilità il governo già oggi metterà la fiducia, si è arricchito di vere e proprie chicche. Come la «mini» liberalizzazione del trasporto pubblico locale. L'obiettivo, spiegano i due emendatari di casa Pdl, è quello di «promuovere l'efficienza e la concorrenza nei singoli settori del trasporto pubblico», a tal fine almeno il 10% dei servizi di trasporto pubblico locale dovranno essere affidati tramite gara a imprese non controllate dagli enti locali. E ancora, la completa esautorazione del ministero dell'ambiente e degli enti locali nelle autorizzazioni per la realizzazione di centrali di produzione e di distribuzione di energia, nucleare incluso. Dopo la denuncia della stessa ministra Prestigiacomo, ieri l'allarme è arrivato anche dall'Anci (l'associazione dei comuni) e da Legambiente. La società Stretto di Messina può invece dormire sonni tranquilli: è sempre un emendamento a stanziare 1,3 miliardi di euro, e a trasformare l'amministratore delegato della società, Pietro Ciucci, in commissario straordinario con il compito di rimuovere gli ostacoli frapposti al riavvio delle attività. I terremotati abruzzesi invece dovranno rimborsare allo stato le tasse non pagate in questi mesi (dal terremoto in poi), non è chiaro se con o senza interessi. A proposito, arriva invece una 'buona' notizia per gli ex terremotati di Marche e Umbria (era il 1997): anche per loro c'era il rimborso di quanto non pagato allo stato ma, si decide ora, «senza maggiorazione, sanzione nè interessi». I proventi della «porno tax» - prevede un altro emendamento - andranno al ministero dei beni culturali per interventi a favore dello spettacolo, anche se ancora non si è parlato di ripristino del Fondo unico, su cui si è mobilitato in questi giorni tutto il mondo della cultura. Alcune modifiche sono state fatte alla cosiddetta Tremonti ter, quella parte del decreto che riguarda i benefici alle imprese: le agevolazioni fiscali ci saranno solo per l'acquisto di macchinari nuovi ma decadranno (zampino leghista) qualora gli strumenti così acquisiti vengano ad aziende di paesi extra Ue. Ultima chicca: lo stop ai sacchetti non biodegradabili scatterà solo dal 2011 (e non più da inizio 2010). Su tutto il provvedimento - che contiene lo scudo fiscale, la sanatoria per colf e badanti e la riforma delle pensioni per le dipendenti pubbliche da quest'anno, ma dal 2015 per tutti, uomini e donne, pubblici e privati - il governo dovrebbe mettere la fiducia già oggi. Il decreto dovrebbe arrivare in senato giovedì 30 luglio, per il voto finale entro il primo week end di agosto. Dati i malumori, anche dentro la stessa maggioranza, non sono escluse modifiche, che riporterebbero il testo in terza lettura alla camera. Foto: UN PRECARIO IN PIAZZA /FOTO EMBLEMA. A SINISTRA, IL MINISTRO DELL'ECONOMIA TREMONTI

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Il Cavaliere teme i sondaggi "Ora mi serve la pace sociale" (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica.it" del 23-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ROMA - "Una nuova legittimazione". Un piano per provare a far dimenticare gli scandali di questi tre mesi e costruire una "pace sociale" in grado di sostenere le difficoltà del prossimo "autunno caldo". I sondaggi non sono più brillanti come all'inizio dell'anno. La speranza di presentarsi come "il presidente di tutta l'Italia" si è allontanata. Le spine dell'esecutivo crescono e rischiano di moltiplicarsi da settembre in poi. Silvio Berlusconi, allora, tenta la "mossa del cavallo". Cambiare strategia per impostare una "fase nuova" del suo governo e per rivitalizzare il rapporto con gli elettori. Evitando lo scontro diretto con l'opposizione e avviando un "rinnovato dialogo" con le parti sociali. Compresa la Cgil di Guglielmo Epifani. Il Cavaliere, insomma, è convinto che le ultime vicende "non avranno alcun effetto sulla durata dell'esecutivo". Il suo timore, semmai, è che possano condizionarne i risultati. Ha paura della paralisi. E in più che si incrini definitivamente il feeling con gli italiani. Il caso Noemi, gli scatti osè di Villa Certosa, adesso le registrazioni di Patrizia D'Addario, infatti, stanno pesando sul suo indice di popolarità. I sondaggi segnano un flessione per quanto riguarda la fiducia nel premier. Ma la sua preoccupazione, appunto, è un'altra. Che la luna di miele sia definitivamente tramontata e che il clima di "scontro" possa congelare ogni scelta di "lungo periodo" della sua maggioranza. Tant'è che negli ultimi giorni, ha iniziato a discutere con i suoi fedelissimi, sulla strategia da studiare per la ripresa dopo la pausa estiva. OAS_RICH('Middle'); "Resto convinto che questa vicenda della D'Addario non cambierà la situazione rispetto a noi. Non c'è la possibilità che l'asse nazionale si sposti a sinistra. Il Paese - è il suo ragionamento - ha già digerito tutto". Il problema però è il "feeling" con gli italiani. "Dobbiamo ricostruire la sintonia", dice. "Indispensabile" per affrontare il prossimo "autunno caldo" e compiere scelte capaci di dar vita a "riforme strutturali". A partire da quella previdenziale e della sanità. E già, perché gli studi che girano sulle scrivanie di Palazzo Chigi e del ministero del Tesoro non lasciano molte speranze su quel che accadrà alla nostra economia da settembre in poi. Aziende costrette a chiudere i battenti soprattutto nei distretti settentrionali, il pil ulteriormente in discesa. In più proprio tra qualche mese scatteranno le vertenze per il rinnovo di importanti contratti come quello del pubblico impiego. Una situazione esplosiva che, anche per il presidente dl consiglio, potrebbe imporre decisioni "drastiche" ma "condivise". Non solo con la Lega. Non a caso negli ultimi giorni il capo del governo ha incaricato "ambasciatori" e ministri di ricucire il dialogo con "tutte" le parti sociali. Ieri ha chiamato a Palazzo Grazioli Emma Marcegaglia, il presidente di Confindustria. Di recente Gianni Letta ha sentito i segretari di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti. E soprattutto la scorsa settimana Giulio Tremonti è corso all'Assemblea di programma della Cgil proponendo di "fare insieme l'ultimo miglio". Il tutto, appunto, per scommettere su una nuova "pace sociale" che generi una "nuova legittimazione" e faccia dimenticare gli scandali. Proprio in questa ottica Berlusconi ha dato ordine di chiudere senza scossoni l'ultima partita di nomine nelle società controllate dallo Stato. Senza rivoluzioni. Nel braccio di ferro che ha visto sfidarsi Letta e Tremonti, allora, ha decisamente avuto la meglio il primo. Risultato: solo conferme. All'Anas è rimasto Pietro Ciucci, alle Poste Massimo Sarmi (che rischiava di chiudere anticipatamente il suo mandato), a Fincantieri ci sarà ancora Giuseppe Bono, a Fintecna Maurizio Prato. Per non parlare del caso Eni-Porto Torres per il quale il Cavaliere ha chiesto ai vertici del "cane a sei zampe" di trovare l'accordo con "tutti" i sindacati. Non solo. Secondo il premier, è indispensabile un ragionamento analogo anche per i rapporti con l'opposizione. "Non penso alla possibilità di "grandi intese" sulle riforme istituzionali", puntualizza a ogni piè sospinto. Eppure, Berlusconi si è convinto che un clima "più disteso" possa servire sia al centrodestra, sia al centrosinistra. "Loro - dice - possono avere la possibilità di tenere il loro congresso serenamente". In cambio il governo - tra settembre e ottobre - potrebbe esaminare "altrettanto serenamente" il disegno di legge sulle intercettazioni e affrontare "con fiducia" il giudizio della Corte costituzionale sul Lodo Alfano. Un patto "informale" che vorrebbe sottoporre presto alla valutazione del Quirinale. "Per il resto - sono i ragionamenti svolti nelle ultime ore con lo staff - dobbiamo puntare su azioni di governo concrete, come la ricostruzione in Abruzzo. E poi comunicare meglio quello che facciamo". In attesa di verificare se davvero potrà siglare la "pace sociale". (23 luglio 2009

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Processo tributario - Nuovi termini (sezione: Giustizia)

( da "AltaLex" del 23-07-2009)

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Processo tributario - Nuovi termini Articolo di Maurizio Villani 23.07.2009 Commenta | Stampa | Segnala | Condividi | processo tributario | termini processuali | riforma del processo civile | condanna alle spese di giudizio | Maurizio Villani | Processo tributario - Nuovi termini di Maurizio Villani La riforma del processo civile (Legge 18 giugno 2009, n. 69, in S.O. n. 95/L alla G.U. del 19 giugno 2009, n. 140), entrata in vigore sabato 04 luglio 2009, ha modificato molti termini processuali e ciò ha avuto conseguenze anche nel processo tributario. Oltre ai termini, di cui si tratterà oltre, tra le principali novità che interesseranno il processo tributario, schematicamente, segnalo: l’abrogazione dell’art. 366-bis c.p.c., che prevedeva l’obbligo per il ricorrente in Cassazione di proporre i famigerati quesiti di diritto; le modifiche alla consulenza tecnica d’ufficio – CTU – (artt. 191 e 195 c.p.c.), che sarà più celere; la sanabilità dei vizi (artt. 83 e 182, comma 2, c.p.c.) in tema di procura alle liti ed al difetto di rappresentanza o di autorizzazione; soprattutto, la sostanziale modifica in tema di condanna alle spese di giudizio (art. 92, comma 2, c.p.c.), per cui: “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”. Per comprendere meglio e stabilire i nuovi termini nel processo tributario, secondo me, è necessario preliminarmente evidenziare la seguente tripartizione, conseguenza di determinati presupposti giuridici e processuali. Infatti, nel processo tributario, è necessario distinguere: termini che richiamano espressamente le norme del codice di procedura civile e, di conseguenza, ne subiscono le recenti modifiche; termini che sono stabiliti esclusivamente per la particolare natura del processo tributario e, di conseguenza, rimangono inalterati; termini che, seppure non richiamano espressamente le norme del codice di procedura civile, sono previsti nella stessa misura del processo civile e, di conseguenza, per un principio di coerenza processuale, in assenza peraltro di specifiche giustificazioni, devono ritenersi modificati nella stessa misura di quelli previsti nel processo civile, perché compatibili. A) Termini espressamente modificati 1) L’art. 38, comma 3, D.Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992 prevedeva che: “Se nessuna delle parti provvede alla notificazione della sentenza, si applica l’art. 327, comma 1, del codice di procedura civile. Tale disposizione non si applica se la parte non costituita dimostri di non avere avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione d’udienza”. Quindi, il c.d. termine lungo per l’appello ed il ricorso per Cassazione era di 1 anno e 46 giorni, conteggiando anche la sospensione feriale dei termini. Oltretutto, il suddetto termine era suscettibile di un ulteriore analogo prolungamento di 46 giorni quando l’ultimo giorno della prima proroga veniva a cadere dopo l’inizio del nuovo periodo feriale dell’anno successivo (Cassazione, Sez. Tributaria, sentenza n. 12373 del 28 gennaio 2009, depositata il 27 maggio 2009). Con le recenti modifiche processuali, l’art. 327, comma 1, c.p.c. è stato così sostituito: “Indipendentemente dalla notificazione, l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione per motivi indicati nei numeri 4) e 5) dell’articolo 395 non possono proporsi dopo decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza”. Di conseguenza, il nuovo termine lungo, a partire dal 04 luglio 2009, è di sei mesi, che eventualmente può essere prorogato di 46 giorni (se ricade nel periodo feriale 1° agosto - 15 settembre) e mai due volte, come in precedenza. L’art. 38, comma 3, cit. prevede, in ogni caso, che il c.d. “termine lungo” non si applica se la parte non costituita dimostri di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione d’udienza. La Corte di Cassazione, Sez. Trib., con la sentenza n. 12623 del 28 maggio 2009, ha stabilito che: “Così come alla parte a conoscenza del processo che non si sia volutamente costituita, anche (ed anzi a fortiori) alla parte che, come nella specie, avendo avuto conoscenza del processo, si sia tardivamente costituita incombe comunque l’onere di impugnare la sentenza nel termine di decadenza (n.d.r. oggi sei mesi) dalla pubblicazione della sentenza stessa, che la legge prescrive a tutela della certezza delle situazioni giuridiche, anche se alla parte tardivamente costituita non sia stata fatta comunicazione né dell’avviso di trattazione né del deposito della sentenza”. Resta naturalmente sempre possibile accelerare lo svolgimento del processo, procedendo senza indugio alla notificazione della sentenza subito dopo il deposito per far scattare il termine “breve” di 60 giorni, oltre la sospensione feriale dei termini. 2) L’art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 546 cit., stabiliva: “E’ ammesso il regolamento preventivo di giurisdizione previsto dall’art. 41, primo comma, del codice di procedura civile”. Inoltre, l’art. 50 c.p.c. prevedeva: “Se la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente avviene nel termine fissato nella sentenza dal giudice e. in mancanza, in quello di sei mesi dalla comunicazione della sentenza di regolamento o della sentenza che dichiara l’incompetenza del giudice adito, il processo continua davanti al nuovo giudice. Se la riassunzione non avviene nei termini su indicati, il processo si estingue”. Dopo la riforma processuale, il succitato art. 50, comma 1, c.p.c. è stato così sostituito: “Se la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente avviene nel termine fissato nella ordinanza dal giudice e in mancanza in quello di tre mesi dalla comunicazione della ordinanza di regolamento o della ordinanza che dichiara l’incompetenza del giudice adito, il processo continua davanti al nuovo giudice”. Quindi il nuovo termine per la riassunzione della causa è di tre mesi e non più di sei mesi, in caso di regolamento di giurisdizione (art. 41 c.p.c.). 3) L’art. 64, comma 1, D.Lgs. n. 546 cit. prevedeva che: “Contro le sentenze delle commissioni tributarie che involgono accertamenti di fatto e che sul punto non sono ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate è ammessa la revocazione ai sensi dell’art. 395 del codice di procedura civile”. L’art. 327, comma 1, c.p.c. prima delle modifiche prevedeva il termine lungo di 1 anno e 46 giorni; dopo le modifiche, invece, il termine è stato ridotto a sei mesi (vedi precedente lett. A). Di conseguenza, oggi, la revocazione per i soli e particolari motivi indicati nei numeri 4) e 5) dell’art. 395 c.p.c. non può proporsi decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza. Avverso le sentenze di mera legittimità della Corte di Cassazione non è ammissibile l’impugnazione per revocazione per contrasto di giudicati, ai sensi dell’art. 395, n. 5, c.p.c., non essendo tale ipotesi espressamente contemplata nella disciplina anteriore al D.Lgs. n. 40/2006 né in quella successiva (artt. 391-bis e 391-ter c.p.c.), secondo una scelta discrezionale del Legislatore, non in contrasto con alcun principio e norma costituzionale, atteso che il diritto di difesa ed altri diritti costituzionalmente garantiti non risultano violati dalla disciplina delle condizioni e dei limiti entro i quali può essere fatto valere il giudicato, la cui stabilità rappresenta un valore costituzionale, condivisibile anche alla luce della circostanza che l’ammissibilità di tale impugnazione sarebbe logicamente e giuridicamente incompatibile con la natura delle sentenze di mera illegittimità, che danno luogo solo al giudicato in senso formale e non a quello sostanziale (Cass., Sez. trib., ordinanza n. 13914 del 06 maggio 2009, depositata il 15 giugno 2009). 4) Infine, è opportuno precisare che i nuovi termini si applicano ai giudizi instaurati dopo il 04 luglio 2009. Se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo. La suddetta proroga si applica altresì ai termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono nella giornata del sabato. B) Termini rimasti invariati I termini rimasti invariati perché esclusivamente previsti nel processo tributario, alcuni senza alcun collegamento, neppure indiretto, con i termini del processo civile, sono i seguenti: 1) il termine breve di 60 giorni previsto dall’art. 51, comma 1, D.Lgs. n. 546 cit.; 2) il termine di 60 giorni previsto per la particolare procedura tributaria di cui all’art. 54, comma 2, D.Lgs. n. 546 cit.; infatti, nello stesso atto di appello depositato, può essere proposto, a pena di inammissibilità, appello incidentale; 3) il termine breve per il ricorso per Cassazione di 60 giorni decorrente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte, come previsto dall’art. 62, comma 2, D.Lgs. n. 546 cit. e dall’art. 325, comma 2 c.p.c., rimasto invariato; 4) il termine di 60 giorni per proporre la revocazione per i particolari e specifici motivi di cui ai numeri 1,2,3 e 6 dell’art. 395 c.p.c., come previsto dall’art. 51, comma 2, D.Lgs. n. 546 cit.. Nei suddetti casi, il termine di 60 giorni decorre dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o sono state dichiarate false le prove o è stato recuperato il documento o è passata in giudicato la sentenza che accerta il dolo del giudice. Se i fatti sopra menzionati avvengono durante il termine per l’appello il termine stesso è prorogato dal giorno dell’avvenimento in modo da raggiungere i 60 giorni da esso, ai sensi e per gli effetti dell’art. 64, comma 3, D.Lgs. n. 546 cit.. C) Termini implicitamente modificati 1) L’art. 43, comma 1 e 2, D.Lgs. n. 546 cit., in tema di ripresa del processo sospeso o interrotto, prevedeva il termine di 6 mesi che era uguale al termine di sei mesi previsto dagli artt. 297, comma 1, e 305 c.p.c., prima delle modifiche introdotte dalla Legge n. 69/2009, tenendo altresì conto di quanto disposto dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 139 del 15 dicembre 1967 e n. 159 del 06 luglio 1971. Di conseguenza, secondo me, il Legislatore tributario fin dall’inizio ha voluto fare riferimento agli stessi termini del processo civile e non poteva certo comportarsi diversamente trattandosi dei medesimi istituti giuridici; quindi, non è stata assolutamente una scelta legislativa autonoma da parte del Legislatore tributario. Con la recente riforma i termini di cui ai citati artt. 297, comma 1, e 305 c.p.c. sono stati ridotti a 3 mesi; non vedo il motivo di lasciare nel processo tributario termini più lunghi, soprattutto in presenza dei medesimi istituti giuridici processuali in questione, che non possono certo definirsi incompatibili con il processo tributario, alla luce dell’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 546 cit.. Infatti: i casi di interruzione del processo tributario (art. 40 D.Lgs. n. 546 cit.) sono praticamente uguali a quelli previsti e disciplinati dagli artt. 299-300 e 301 c.p.c., salvo che il fatto riguardi l’ufficio tributario (logicamente non poteva essere diversamente, in quando si è in presenza di un ufficio pubblico e non di una persona); i casi di sospensione del processo tributario non sono soltanto quelli previsti dall’art. 39 D.Lgs. n. 546 cit. ma c’è da aggiungere anche il caso di cui all’art. 295 c.p.c. della sospensione necessaria: “Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa” (per esempio, artt. 34, 313 e 337, comma 2, c.p.c.). Il suddetto art. 295 c.p.c., come sostituito dall’art. 35 della Legge n. 353 del 26 novembre 1990, quindi prima del D.Lgs. n. 546/1992, è applicabile anche al processo tributario, secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione (da ultimo, Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 14814 del 04 giugno 2008). Infatti, secondo i giudici di legittimità, nel processo tributario, l’art. 39 cit. può limitare i rapporti esterni, ovverosia i rapporti tra processo tributario e processi non tributari, ma non anche i rapporti interni fra i processi tributari, per i quali valgono le disposizioni del codice di procedura civile, tra cui il disposto dell’art. 295 c.p.c.. Così, per esempio: ne consegue che va cassata la decisione resa dal giudice tributario che non abbia sospeso il processo, pronunciando nel merito sull’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’ICI relativo ad un immobile in ordine al quale l’UTE (oggi Agenzia del Territorio) aveva notificato l’attribuzione della rendita, autonomamente impugnata in altro giudizio, pregiudiziale, non ancora definito (Cassazione, sentenze nn. 13082/2006, 9203/2007); analogamente, è stata cassata la sentenza pronunziata in base all’esito non definitivo della causa pregiudiziale concernente il rifiuto di riconoscimento del diritto alle agevolazioni per il Mezzogiorno, portata alla cognizione di altro giudice tributario (Cassazione, sentenze nn. 9999/2006, 24408/2005); così pure è stato ritenuto che la pendenza di una controversia sul reddito di una società di persone soggetta ad ILOR, cui abbia partecipato il singolo socio dell’ente, comporta l’obbligo di sospendere, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., la separata causa eventualmente promossa dal socio stesso ai fini IRPEF, per il reddito di partecipazione (Cassazione, sentenza n. 5366/2006); in quest’ultimo caso, il contrasto giurisprudenziale è stato risolto dalla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con le sentenze nn. 14815/2008 e 14816/2008, nel senso che non si tratta di una semplice questione di pregiudizialità, riferibile al fenomeno della mera connessione oggettiva, ma di giudizio necessariamente unico (per la unicità dell’accertamento e per la sussistenza del vincolo del litisconsorzio necessario) all’interno del quale la questione della ricostruzione del reddito societario riveste il carattere di questione preliminare di merito, non suscettibile di acquisire la forza del giudicato, se non nei confronti dei soggetti che abbiano partecipato al processo nel quale si è formato il giudicato stesso. In definitiva,quando viene riconosciuto il vincolo della consequenzialità necessaria, il procedimento dipendente, se non è stato riunito (o non è stato possibile riunirlo) al principale, deve essere sospeso ai sensi dell’art. 295 c.p.c. in attesa dell’esito di quest’ultimo (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 14814/2008). Infine, non si può escludere che il giudice tributario, anche per i rapporti esterni tra processo tributario ed altri processi (civile o amministrativo), ritenga necessario ed indispensabile attendere l’esito finale degli altri giudizi; infatti, la succitata giurisprudenza della Corte di Cassazione mentre obbliga il giudice tributario all’applicazione dell’art. 295 c.p.c. nei rapporti interni tra i processi tributari, non fa assoluto divieto (o peggio ancora impedisce) al giudice tributario di applicare l’art. 295 c.p.c. anche nei rapporti esterni tra processi. Oltretutto, l’art. 2, comma 3, D. Lgs. n. 546 cit. non esclude che il giudice tributario rinvii la causa perché non se la sente di risolvere, in via incidentale, questioni civili o amministrative alquanto delicate e complesse. In definitiva, secondo me, alla luce di tutte le considerazioni giuridiche e giurisprudenziali di cui sopra, non vedo il motivo perché: nel processo civile, la fissazione della nuova udienza dopo la sospensione dell’art. 295 c.p.c. deve avvenire entro il termine perentorio di 3 mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia civile o amministrativa (art. 297, comma 1, c.p.c. riformato); mentre nel processo tributario ci dovrebbe essere il termine di 6 mesi, quando sia nel rapporto interno (tra processi tributari) sia, eventualmente, tra rapporti esterni (tra processo tributario e processi civili ed amministrativi) sostanzialmente la situazione processuale non cambia, sempre in funzione dell’art. 295 c.p.c.. Inoltre, sia il processo tributario (art. 39 D.Lgs. n. 546 cit.) sia il processo civile (art. 313 c.p.c.) devono essere sospesi quando è presentata una querela di falso, per cui non è logico, anche per una questione di coerenza processuale, che per una stessa fattispecie i termini di riassunzione siano diversi, in mancanza di una specifica giustificazione ed incompatibilità. Secondo me, ripeto, il legislatore tributario, prima della riforma del codice di procedura civile, ha voluto prevedere lo stesso termine di 6 mesi, trattandosi dei medesimi istituti giuridici, per cui ritengo che la riduzione a 3 mesi debba essere applicata al processo tributario; questo anche per una questione di prudenza professionale, in attesa di un chiaro intervento risolutivo da parte del Legislatore, con interpretazione autentica, o della Corte di Cassazione. 2) Stesso discorso può farsi anche per l’art. 63, comma 1, D.Lgs. n. 546 cit., dove peraltro all’art. 62, comma 2, D.Lgs. cit. è previsto che “Al ricorso per Cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto”. Infatti, come nel caso di cui al precedente n. 1, anche nel succitato art. 63, comma 1, il Legislatore tributario ha voluto fare riferimento espresso allo stesso termine annuale previsto dall’art. 392, comma 1, c.p.c., prima delle modifiche. Infatti, non vedo alcuna giustificazione giuridica e processuale di prevedere due termini diversi (1 anno e 46 giorni per il processo tributario e 3 mesi per il processo civile) per lo stesso istituto giuridico della riassunzione. Sarebbe assurdo se per una sentenza civile il termine è di 3 mesi (art. 392, comma 1, c.p.c. riformato) mentre se trattasi di una sentenza tributaria (peraltro emessa dalla Corte di Cassazione – Sezione tributaria civile) il termine dovrebbe essere 1 anno e 46 giorni, con la possibilità di un secondo riconteggio (vedi lett. A n. 1 del presente articolo). Secondo me, anche in questo caso, non vedo alcuna logica incompatibilità con il processo civile, tanto è vero che, ripeto, prima delle recenti modifiche, i termini erano uguali. Infine, in allegato al presente articolo, presento un quadro sinottico dei nuovi termini processuali, nel processo tributario, dopo la recente riforma del processo civile. Quadro sinottico Processo tributario Nuovi termini processuali dopo la riforma del processo civile (legge n. 69 del 18 giugno 2009, pubblicata in g.u. n. 140 s.o. n. 95/l del 19 giugno 2009, entrata in vigore sabato 04 luglio 2009) Articolo D.Lgs. n. 546/92 Argomento Termini sino al 3 luglio 2009 (Processo Tributario) Articoli C.P.C. al 3 luglio 2009 Articoli C.P.C. dal 4 luglio 2009 (Processo Civile) Nuovi termini dal 4 luglio 2009 (Processo Tributario) Note 3, co. 2 Regolamento preventivo di giurisdizione. Termine per la riassunzione della causa. 6 mesi 41, co. 1-50 41, co. 1-50 3 mesi (NOVITA’) Il termine di 3 mesi decorre dalla comunicazione dell’ordinanza di regolamento o dell’ordinanza che dichiara l’incompetenza del giudice adito; in difetto, il processo si estingue. 38, co. 3 Termine lungo per l’appello ed il ricorso per Cassazione 1 anno + 46 gg. 327, co. 1 327, co. 1 6 mesi (NOVITA’) Indipendentemente dalla notificazione, il termine lungo di 6 mesi decorre dalla pubblicazione della sentenza. Tale disposizione non si applica se la parte non costituita dimostri di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione d’udienza. 43, co. 1 Ripresa del processo sospeso o interrotto 6 mesi 297-305 297-305 3 mesi (NOVITA’) Se col provvedimento di sospensione non è stata fissata l’udienza in cui il processo deve proseguire, le parti devono chiedere la fissazione entro il termine perentorio di 3 mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia civile o amministrativa di cui all’art. 295 c.p.c..Il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di 3 mesi dall’interruzione, altrimenti si estingue. 51, co. 1 Appello – Termine breve 60 gg. 325 325 60 gg. Immutato 54, co. 2 Appello incidentale 60 gg. // // 60 gg. Particolare procedura tributaria. Nello stesso atto di appello depositato può essere proposto, a pena di inammissibilità, appello incidentale. 62, co. 2 Ricorso per Cassazione 60 gg. 325, co. 2 325, co. 2 60 gg. Termine breve decorrente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte. 63, co. 1 Cassazione – Giudizio di rinvio 1 anno + 46 gg. 392, co. 1 392, co. 1 3 mesi (NOVITA’) La riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio può essere fatta da ciascuna delle parti non oltre 3 mesi dalla pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione. 51, co. 2 Revocazione (art. 395 nn.1-2-3-6 c.p.c.) 60 gg. 325, co. 1 325, co. 1 60 giorni E’ di 60 giorni il termine per proporre la revocazione. Se i fatti menzionati nell’art. 395 nn. 1,2,3 e 6 c.p.c. avvengono durante il termine per l’appello, il termine stesso è prorogato dal giorno dell’avvenimento in modo da raggiungere i 60 giorni da esso. 64, co. 1 Revocazione (art. 395 nn.4-5 c.p.c.) 1 anno + 46 giorni 327, co. 1 327, co. 1 6 mesi (NOVITA’) N.B. I nuovi termini si applicano ai giudizi instaurati dopo il 04 luglio 2009. - Se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo. - La suddetta proroga si applica altresì ai termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono nella giornata del sabato. Casi particolari. Indipendentemente dalla notificazione, la revocazione per i motivi particolari indicati nei numeri 4 e 5 dell’art. 395 c.p.c. non possono proporsi dopo decorsi 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza. Commenta | Stampa | Segnala | Condividi |

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Caccia: La Ue condanna l'Italia per colpa del Veneto (sezione: Giustizia)

( da "Sestopotere.com" del 23-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Caccia: La Ue condanna l'Italia per colpa del Veneto (23/7/2009 15:26) | (Sesto Potere) - Roma - 23 luglio 2009 - “La nuova richiesta di condanna per l’Italia presentata dalla Commissione europea non arriva inaspettata. Avevamo già avvisato la regione Veneto che attraverso l’utilizzo improprio, ormai un vero e proprio abuso, dello strumento delle deroghe avrebbe aggravato la posizione dell’Italia rispetto alla procedura d’infrazione in corso ”. E’ quanto dichiarano ENPA, LAC, LEGAMBIENTE, LIPU e WWF a proposito della richiesta avanzata dalla Commissione europea di condannare l’Italia al pagamento delle spese in giudizio per le ripetute violazioni della Direttiva 79/409/CEE commesse dal Veneto dal 2005 al 2008 riguardo la concessione di deroghe a esercitare la caccia nei confronti di specie protette. La richiesta di condanna arriva mentre sono in discussione al Consiglio Regionale del Veneto due nuove proposte di legge inerenti l’applicazione del regime di deroga per la stagione venatoria 2009/2010. Proposte che non faranno altro che aggravare ulteriormente la posizione dell’Italia e del Veneto rispetto alle procedure di infrazione riguardanti la caccia in deroga, sia per lo strumento previsto che per i contenuti, dato che la richiesta di estendere la caccia a specie oggi protette dalla normativa europea va da 5 addirittura a 11 specie. Vogliamo ricordare che il 25 giugno 2008 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di un’analoga legge approvata nel 2007 dalla Regione Lombardia. La Corte – spiegano le associazioni - ha infatti bocciato la possibilità di ricorrere alle deroghe attraverso una legge-provvedimento in quanto in netto contrasto con le previsioni della legge 157/1992, articolo 19 bis, poiché tale atto impedisce l’esercizio del potere di annullamento da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri. “Siamo di fronte a una situazione di particolare gravità – concludono ENPA, LAC, LEGAMBIENTE, LIPU e WWF – per la quale chiediamo al Presidente Galan un deciso ripensamento, respingendo tali proposte e adottando invece, con urgenza, provvedimenti che sanino la posizione del Veneto rispetto a queste procedure d’infrazione”.

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Processo penale, il Csm boccia la riforma: vìola la Costituzione (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 24-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Processo penale, il Csm boccia la riforma: vìola la Costituzione MASSIMO SOLANI Non bastano nemmeno le cautele del vicepresidente Nicola Mancino a bagnare la miccia dell'ennesimo scontro fra il Consiglio Superiore della Magistratura è la maggioranza di governo. «I pareri che l'organo di autogoverno esprime non vincolano le autorità di governo e meno che mai il Parlamento, sovrano nelle sue decisioni - spiega in una nota - sulla riforma del processo penale la Commissione competente del Csm ha lavorato per quattro mesi e ha tenuto molte riunioni nel corso delle quali ha elaborato in progress un testo di suggerimenti, avanzato perplessità e, perché no, anche critiche. Ma c'è uno spazio per le critiche?». Perché la decisione del Plenum del Csm (contrari soltanto i due laici del Pdl, astenuto ugo Bergamo dell'Udc mentre i togati della corrente più moderata, Magistratura Indipendente, hanno votato a favore dissociandosi soltanto su alcune norme relative all'astensione e alla ricusazione) rischia ora di scatenare un nuovo putiferio dopo l'approvazione del parere redatto dalla settima commissione che, di fatto, stronca il disegno di legge del ministro della Giustizia Alfano sul nuovo processo penale. IN CONTRASTO LA CARTA Un ddl che, secondo il Csm, viola principi costituzionali come l'obbligatorietà dell'azione penale e la ragionevole durata dei processi, e che avrà effetti «gravi» sull'efficacia delle indagini. Sotto accusa soprattutto l'orientamento del governo di "spostare" il motore delle indagini nelle mani della polizia giudiziaria sottraendo al Pm la facoltà di acquisire direttamente le notizie di reato mentre gravi critiche le ha raccolte anche la decisione di cancellare la dipendenza dei servizi di polizia giudiziaria dal Pm e quella di instaurare una sorta di concorrenza e controllo reciproco tra il Pm e la polizia giudiziaria, di cui oltretutto viene «rafforzata la dipendenza dal potere esecutivo». In questo modo, infatti, «viene meno l'obbligatorietà dell'azione penale e la separazione dei poteri». «Così non sarebbero state possibili le indagini sulla strage di Bologna, sulla P2 e sui Nar», ha tuonato Betta Cesqui (Md). O più in generale quelle «sui poteri forti», ha fatto notare Fabio Roia (Unicost), secondo cui il ddl Alfano contiene quattro violazioni della Costituzione e due norme dettate «dall'attualità giudiziaria». Un chiaro riferimento a quella parte del ddl che impedisce di acquisire le sentenze irrevocabili per i reati meno gravi. «Norme - commenta un consigliere - che sembrano studiate apposta per il processo Mills». Una stroncatura senza appello, si diceva, che il ministro della Giustizia Alfano si è sforzato di incassare senza scomporsi troppo di fronte agli inviti dell'opposizione a tenere conto dei rilievi del Csm. «Il consiglio esprime pareri - ha infatti commentato laconico il Guardasigilli - è il Parlamento che promuove o boccia i ddl». Toni decisamente più morbidi rispetto a quelli usati da altri membri della maggioranza. Come Gaetano Quagliariello: «È un vulnus istituzionale di inaudita gravità - ha tuonato il vicepresidente dei senatori del Pdl - dal momento che appena un anno fa il capo dello stato, di fronte ad analoghe circostanze, aveva ammonito il Csm a non esprimere un vaglio di costituzionalità che compete ad altre istituzioni». O come Italo Bocchino, presidente vicario del gruppo del Pdl alla Camera, secondo cui «il Csm continua ad ergersi a terza Camera dello Stato o a istituzione gemella della Corte Costituzionale». Accuse di fronte alle quali Mancino ha replicato: «Mi dispiace si parli ancora di invadenza o di terza Camera. La prima critica rischia d'essere aprioristica, la seconda fa parte di un repertorio di cui ci si deve liberare». Fuoco di fila del Pdl contro il parere approvato dal Plenum sul ddl per il nuovo processo penale. Che, secondo il Csm, viola in più punti la Costituzione: dall'obbligatorietà dell'azione penale alla separazione dei poteri.

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Tensioni e manovre sulla Corte Costituzionale Il giudice: Ero assente (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 24-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Tensioni e manovre sulla Corte Costituzionale Il giudice: «Ero assente» CLAUDIA FUSANI Tensioni, imbarazzi e grandi manovre alla Consulta. E siamo solo a luglio. Il meglio, o il peggio, deve ancora arrivare. Via via che si avvicina il 6 ottobre, giorno in cui i quindici giudici emeriti della Corte Costituzionale cominceranno la discussione sul Lodo Alfano, se sia costituzionale o meno la legge che crea lo scudo processuale per le quattro più alte cariche dello Stato, dal premier al Presidente della Repubblica passando per il presidente del Senato e della Camera. Solo che l'unica alta carica sotto processo è il Presidente del Consiglio. E quella di ottobre è una data decisiva per la tenuta del governo. L'ultimo imbarazzo è di ieri quando la Corte ha dovuto precisare che «il giudice Alfonso Quaranta non ha partecipato alla fase dell'udienza in cui è stata discussa la causa riguardante il ministro Matteoli». Il fatto è che il ministro Matteoli aveva appena promosso (4 giugno) il figlio del giudice, l'avvocato Alessio, alla guida dell'Enac, una poltrona che conta nel manuale Cencelli della pubblica amministrazione. E che lo stesso ministro Matteoli il 7 luglio è stato "salvato" dalla Corte medesima con una decisione molto tribolata che in pratica lo mette al riparo, rinviando il tutto alla Giunta per le autorizzazioni della Camera, dal rinvio a giudizio deciso dal tribunale di Livorno con l'accusa di favoreggiamento. Era il 2004, il ministro - oggi ai Trasporti, all'epoca all'Ambiente - aveva informato il prefetto di Livorno di un'inchiesta a suo carico per presunti abusi edilizi. Matteoli rivendica la competenza del Tribunale dei ministri. La Consulta gli ha dato ragione. Spaccandosi come una mela, però, visto che il presunto favoreggiamento non sarebbe avvenuto nello svolgimento delle funzioni di ministro. Tanto che il relatore, il vicepresidente Ugo De Siervo, secondo il quale il procedimento è di competenza del tribunale ordinario, non scriverà le motivazioni. Le decisioni della Corte sono sempre segrete. Impossibile sapere ufficialmente chi ha votato cosa. Si sa però che la decisione su Matteoli è passata con uno, massimo due voti di scarto. E che il giudice Quaranta, in evidente conflitto di interesse familiare, ha ritenuto opportuno assentarsi dalla seduta «dopo averlo comunicato al presidente Amirante». Non poteva fare altro il giudice Quaranta, dopo che una settimana prima l'ovattato palazzo della Consulta era stato investito dallo scoppio di un altro bubbone. A maggio, infatti, Berlusconi, Letta e Alfano erano stati a cena a casa Mazzella, un altro giudice costituzionale, presente anche il giudice Napolitano. La cena, definita dal governo «una cosa tra amici», aveva già acceso dubbi sulla necessaria neutralità della Corte. Il presidente Amirante era stato costretto ad intervenire con un comunicato per dire che la Consulta «deciderà come sempre in modo imparziale e obiettivo». Restano l'intreccio di conflitti e l'accavallamento di date tra nomine politiche e decisioni della Consulta. Potevano essere evitati? Si fa notare all'Enac che «la promozione del pur bravo figlio di Quaranta, su proposta di Matteoli, ha tolto il posto al candidato naturale». L'attuale vicedirettore Alfredo Sciacchitano. Ancora un caso alla Consulta. La Corte "salva" Matteoli che due settimane prima promuove al vertice dell'Enac il figlio del giudice Quaranta. Che dice: «Non ho partecipato a quella decisione». E a ottobre il lodo Alfano.

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La deducibilità del 10% salva il tributo (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 24-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-24 - pag: 27 autore: Corte costituzionale. Per l'ordinanza decisivo lo ius superveniens La deducibilità del 10% salva il tributo Marco Bellinazzo ROMA L'Irap non è incostituzionale. L'ordinanza che, dopo i rinvii del febbraio 2007 e del marzo 2008, sigillerà la legittimità dell'imposta regionale sulle attività produttive sarà depositata la prossima settimana (e comunque prima della pausa estiva) nella cancelleria del Palazzo della Consulta. I giudici costituzionali (il relatore è Sabino Cassese) valutano però con attenzione il "taglio" da dare alla decisione che, di fatto, respinge le censure sollevate in questi anni da numerose commissioni tributarie (Genova, Parma, Chieti e Bologna, tanto per citarne alcune). Da parte di queste ultime infatti è stata messa in discussione, in un'ottica di proporzionalità del prelievo all'effettiva capacità contributiva, l'indeducibilità dell'Irap ai fini dei tributi erariali (principio stabilito dall'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 446/97). Rispetto al quadro normativo all'interno del quale la maggior parte delle commissioni tributarie ha messo in dubbio la correttezza costituzionale dell'Irap sono intervenute, a "sanare" parzialmente la situazione, alcune novità legislative di cui si è indubbiamente dovuto tener conto. E proprio questo ius superveniens, anche in vista dell'evoluzione del federalismo fiscale, si è dimostrato decisivo per la scelta della Consulta. In primo luogo, va ricordata la manovra sul "cuneo fiscale" (Finanziaria 2008) che, nell'ottica di alleggerire per le aziende il costo del lavoro, ha tentato di correggere l'impianto della base imponibile Irap. In secondo luogo, il decreto legge anti-crisi dello scorso autunno (185/08) con il quale è stato introdotto uno sconto forfetario del 10% dell'Irap dalla base imponibile Ires e Irpef in funzione dei costi sostenuti per il personale e gli interessi passivi. Uno sconto che, peraltro, ha aperto la strada anche a parziali rimborsi per il passato. Scartata dunque l'ipotesi di una bocciatura dell'Irap, che sarebbe costata alle casse statali una decina di miliardi sui 40 di entrate annue prodotte dall'imposta, per i giudici costituzionali sono teoricamente due le soluzioni adottabili: dichiarare la non fondatezza o l'inammissibilità delle questioni di legittimità alla luce delle modifiche normative, ritenendo perciò cessata la materia del contendere; oppure richiamare in causa le commissioni tributarie provinciali nell'auspicio che risolvano le liti pendenti in base alla deducibilità parziale del 10% dell'Irap dai tributi erariali ammessa con il decreto legge 185/08. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Riforma incostituzionale (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 24-07-2009)

Argomenti: Giustizia

INGIUSTIZIA Le toghe votano contro la nuova riforma penale. «Pericolosa» anche perché impedisce ai giudici di esprimere opinioni politiche sugli imputati. Il centrodestra la prende male. Gasparri: «Sono sconcertato, non hanno obbedito alla richiesta di Napolitano». Il ministro della giustizia Alfano minimizza: «E' solo un parere, in ogni caso decide la maggioranza al governo». Niente testo a favore dei giudici che indagarono Berlusconi. Se ne parla a settembre. Forse CSM Bocciata la legge che dà alla poliz «Riforma incostituzionale» Sa. M. ROMA Un «gravi» al posto di «devastanti», invece dei «dubbi di costituzionalità» una definizione che parla di «norme censurabili con riguardo» alla costituzione. E via tagliuzzando (poco) qua e là. Non è cambiato poi tanto il documento del Consiglio superiore della magistratura che, dopo il voto in commissione della scorsa settimana, ieri è stato approvato anche dal plenum di palazzo dei Marescialli. Come richiesto dal vicepresidente Nicola Mancino il testo è stato emendato di qualche aggettivo. Ma la sostanza resta: la riforma del processo penale presentata dal ministro Alfano è giudicata «incostituzionale». Praticamente da tutto il consiglio superiore, con i soli voti contrari di due laici del centrodestra Michele Saponara e Gianfranco Anedda e il «no» di Magistratura indipendente per la parte che mette limiti più stretti alla «libertà di espressione dei giudici». In aula uno degli interventi più duri è stato proprio di Antonio Patrono, ex segretario dei moderati di Mi. «Trovo sconcertante», ha detto, «che nella relazione che accompagna la legge si spieghi come il fine ultimo del progetto è mettere in regime di concorrenza e controllo reciproco pubblico ministero e polizia giudiziaria. Questa legge consente alla polizia di controllare il pm, con il rischio, per lo meno, che ci siano tre o quattro indagini parallele e che il vero colpevole resti impunito ex lege». In sintesi, aggiunge Roberto Carrelli Palombi (Unicost), «c'è una evidente volontà di escludere il magistrato dall'attività investigativa». La proposta Alfano affida alla polizia giudiziaria il compito esclusivo di trovare la notizia di reato, con la possibilità di comunicare i risultati alla magistratura anche molti mesi dopo l'avvio dell'inchiesta e di svolgere interrogatori e sequestri. Ma a far discutere sono anche gli articoli in cui si dice che, davanti ad un conflitto tra procure, il procuratore generale presso la Cassazione può decidere che l'inchiesta sia affidata ad un altro ufficio. Scelto da lui. O quella in cui si stabilisce che un giudice debba essere escluso da un processo tutte le volte che ha espresso un «giudizio» nei confronti delle parti del procedimento «tale da provocare fondato motivo di pregiudizio all'imparzialità del giudice». «E' come dire che se oggi dico che Mourinho è un pessimo allenatore dell'Inter non potrò giudicarlo né ora né mai, per un qualunque reato che abbia commesso», sintetizza Livio Pepino di Magistratura democratica. «Col paradosso che qualunque giudizio, anche non insultante, possa essere usato per sostenere la ricusazione», dice ancora Vincenzo Siniscalchi (laico del Pd). «Ci si dice che il problema è la lunghezza dei processi e invece su questa si interviene ben poco», spiega Fabio Roia (Unicost). Dopo il voto del plenum e le proteste del centrodestra - Gasparri: «Sono sconcertato», il ministro Alfano: «E' solo un parere, il parlamento decide» - il vicepresidente Mancino ha cercato di smorzare i toni spiegando che quella del Csm non è stata affatto una bocciatura. Semmai, un «parere articolato, perché il Csm non promuove e non boccia nulla», e in ogni caso «il ministro Alfano, a cui (il documento ndr) è diretto, farà le sue valutazioni, accoglierà ciò che riterrà accoglibile e accantonerà ciò che non lo persuade». Passato il voto, resta il tema delle pratiche a tutela. Soprattutto quella a favore della giudice del processo Mills, Nicoletta Gandus, variamente accusata da Berlusconi. Dopo l'ennesima riunione del consiglio di presidenza, Mancino ha deciso di non mettere l'argomento neppure all'ordine del giorno dell'assemblea di oggi. Con il rischio che, a settembre, tutti i documenti a favore delle toghe (compreso quello per Armando Spataro in seguito all'inchiesta sul rapimento di Abu omar) tornino in una commissione riformata e decisamente più moderata. Se finora nessuno dei membri togati ha avuto dubbi nel sostenere i giudici sotto attacco almeno un rischio si correrebbe: quello che i documenti restino impantananti ancora molto, molto, a lungo. voti contrari Il testo del Consiglio superiore è stato votato da tutto il plenum. Pollice verso solo da due dei tre laici eletti dal centrodestra. Che accusano: «Giudizi poco propositivi» Foto: AL CENTRO, UNA PERQUISIZIONE DI POLIZIA /FOTO AP SOPRA, IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

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(sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 24-07-2009)

Argomenti: Giustizia

CSM - Bocciata la legge che dà alla poliz «Riforma incostituzionale» INGIUSTIZIA. Le toghe votano contro la nuova riforma penale. «Pericolosa» anche perché impedisce ai giudici di esprimere opinioni politiche sugli imputati. Il centrodestra la prende male. Gasparri: «Sono sconcertato, non hanno obbedito alla richiesta di Napolitano». Il ministro della giustizia Alfano minimizza: «E' solo un parere, in ogni caso decide la maggioranza al governo». Niente testo a favore dei giudici che indagarono Berlusconi. Se ne parla a settembre. Forse Sa. M. ROMA Un «gravi» al posto di «devastanti», invece dei «dubbi di costituzionalità» una definizione che parla di «norme censurabili con riguardo» alla costituzione. E via tagliuzzando (poco) qua e là. Non è cambiato poi tanto il documento del Consiglio superiore della magistratura che, dopo il voto in commissione della scorsa settimana, ieri è stato approvato anche dal plenum di palazzo dei Marescialli. Come richiesto dal vicepresidente Nicola Mancino il testo è stato emendato di qualche aggettivo. Ma la sostanza resta: la riforma del processo penale presentata dal ministro Alfano è giudicata «incostituzionale». Praticamente da tutto il consiglio superiore, con i soli voti contrari di due laici del centrodestra Michele Saponara e Gianfranco Anedda e il «no» di Magistratura indipendente per la parte che mette limiti più stretti alla «libertà di espressione dei giudici». In aula uno degli interventi più duri è stato proprio di Antonio Patrono, ex segretario dei moderati di Mi. «Trovo sconcertante», ha detto, «che nella relazione che accompagna la legge si spieghi come il fine ultimo del progetto è mettere in regime di concorrenza e controllo reciproco pubblico ministero e polizia giudiziaria. Questa legge consente alla polizia di controllare il pm, con il rischio, per lo meno, che ci siano tre o quattro indagini parallele e che il vero colpevole resti impunito ex lege». In sintesi, aggiunge Roberto Carrelli Palombi (Unicost), «c'è una evidente volontà di escludere il magistrato dall'attività investigativa». La proposta Alfano affida alla polizia giudiziaria il compito esclusivo di trovare la notizia di reato, con la possibilità di comunicare i risultati alla magistratura anche molti mesi dopo l'avvio dell'inchiesta e di svolgere interrogatori e sequestri. Ma a far discutere sono anche gli articoli in cui si dice che, davanti ad un conflitto tra procure, il procuratore generale presso la Cassazione può decidere che l'inchiesta sia affidata ad un altro ufficio. Scelto da lui. O quella in cui si stabilisce che un giudice debba essere escluso da un processo tutte le volte che ha espresso un «giudizio» nei confronti delle parti del procedimento «tale da provocare fondato motivo di pregiudizio all'imparzialità del giudice». «E' come dire che se oggi dico che Mourinho è un pessimo allenatore dell'Inter non potrò giudicarlo né ora né mai, per un qualunque reato che abbia commesso», sintetizza Livio Pepino di Magistratura democratica. «Col paradosso che qualunque giudizio, anche non insultante, possa essere usato per sostenere la ricusazione», dice ancora Vincenzo Siniscalchi (laico del Pd). «Ci si dice che il problema è la lunghezza dei processi e invece su questa si interviene ben poco», spiega Fabio Roia (Unicost). Dopo il voto del plenum e le proteste del centrodestra - Gasparri: «Sono sconcertato», il ministro Alfano: «E' solo un parere, il parlamento decide» - il vicepresidente Mancino ha cercato di smorzare i toni spiegando che quella del Csm non è stata affatto una bocciatura. Semmai, un «parere articolato, perché il Csm non promuove e non boccia nulla», e in ogni caso «il ministro Alfano, a cui (il documento ndr) è diretto, farà le sue valutazioni, accoglierà ciò che riterrà accoglibile e accantonerà ciò che non lo persuade». Passato il voto, resta il tema delle pratiche a tutela. Soprattutto quella a favore della giudice del processo Mills, Nicoletta Gandus, variamente accusata da Berlusconi. Dopo l'ennesima riunione del consiglio di presidenza, Mancino ha deciso di non mettere l'argomento neppure all'ordine del giorno dell'assemblea di oggi. Con il rischio che, a settembre, tutti i documenti a favore delle toghe (compreso quello per Armando Spataro in seguito all'inchiesta sul rapimento di Abu omar) tornino in una commissione riformata e decisamente più moderata. Se finora nessuno dei membri togati ha avuto dubbi nel sostenere i giudici sotto attacco almeno un rischio si correrebbe: quello che i documenti restino impantananti ancora molto, molto, a lungo.

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Sulla surroga dell'INAIL dopo le Sezioni Unite (sezione: Giustizia)

( da "AltaLex" del 24-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Sulla surroga dell’INAIL dopo le Sezioni Unite Tribunale Milano, sez. V civile, sentenza 09.06.2009 n° 7515 Stampa | Segnala | Condividi | | Tribunale di Milano Sezione V Civile Sentenza 9 giugno 2009, n. 7515 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI MILANO SEZIONE V CIVILE In persona del Giudice Istruttore, in funzione di Giudice Unico, dott. Damiano Spera, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al R.G. n. 26093/04 , promossa da L. R., con gli avv.ti Giuseppe Centola ed Ezio Centola - attore - contro UFFICIO CENTRALE ITALIANO Soc. Cons. a r.l., con l’avv. Filippo Martini - convenuto - e SOC. PH SERVICES X. convenuti contumaci – nonché ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO (I.N.A.I.L.), con l’avv. Pierpaolo Piluso - terzo chiamato - e M. M., in proprio L. R. e M. M., quali genitori esercenti la potestà sulla minore L. K., con gli avv.ti Fausto Felice e Ferruccio Felice - terzi intervenuti - CONCLUSIONI Per l’attore: vedi foglio n. 3 Per il convenuto: vedi foglio n. 4 Per il terzo chiamato: vedi fogli n. 5-6 Per i terzi intervenuti: vedi fogli n. 7-8 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, R. L. esponeva: che il giorno 28.08.2002, alle ore 22,20 circa, sull’Autostrada A/4 Venezia-Milano in località Capriate San Gervaso (BG), l’attore, mentre si trovava ad espletare attività lavorativa di manutenzione autostradale alle dipendenze di Nuova Omege S.p.A. Edilizia, veniva investito da un camion, il cui conducente si allontanava dopo il sinistro senza prestare soccorso; che quest’ultimo veniva poi individuato e tratto in arresto, identificandosi nella persona di X., residente in Francia, così come in Francia aveva sede la società Ph Services, proprietaria dell’autocarro condotto dal signor X.; che, nel sinistro, lattore riportava gravissime lesioni, da cui derivava lunghissima malattia con postumi permanenti e che, pertanto, anche avuto riguardo alla sua giovane età, l’attore aveva subito ingenti danni patrimoniali, biologici, morali, esistenziali. Tra l’altro, non potendo espletare attività lavorativa e dunque non riuscendo a provvedere al pagamento del mutuo fondiario contratto, era stato costretto a vendere il proprio appartamento sito in Como; che alcun indennizzo era ancora stato offerto dall’Ufficio Centrale Italiano, garante per la responsabilità civile relativa a veicolo estero. Conveniva pertanto in giudizio la Società Ph Services, X. e l’ Ufficio Centrale Italiano soc. cons. a r.l. (di seguito, UCI) e concludeva affinché il Tribunale - preliminarmente disponendo a loro carico, ex art. 24 L. 990/69, provvisionale di Euro 500.000,00 od in diversa misura - condannasse i convenuti, in via tra loro solidale, al risarcimento di tutti i danni derivanti dalle lesioni riportate nell’anzidetto sinistro, nella misura da accertarsi e previa deduzione della rivalsa INAIL; il tutto oltre interessi legali e rivalutazione monetaria. Instaurato il contradditorio sull’istanza ai sensi dell’art. 24 L. 990/69, il Tribunale assegnava a R. L., ponendola a carico solidale dei convenuti, la somma di Euro 500.000,00, da imputarsi alla liquidazione definitiva del danno. Instauratosi il contraddittorio, si costituiva il convenuto UCI, che, condividendo l’attribuzione di responsabilità del sinistro in capo al X., si limitava a contestare il quantum delle pretese avversarie; previo differimento dell’udienza, l’U.C.I. provvedeva a chiamare in causa l’INAIL, al fine di ripartire, secondo le legittime spettanze, le voci di danno tra il soggetto danneggiante e l’assicuratore sociale. Intervenivano volontariamente M. M. in proprio, nonché la stessa e R. L. in qualità di genitori esercenti la potestà sulla minore L. K., onde ottenere – previa declaratoria di esclusiva responsabilità del sinistro in capo al convenuto X. Jacky – la condanna dei convenuti al ristoro dei danni morali, biologici, patrimoniali patiti dalle medesime M. M. e K. L., rispettivamente moglie e figlia dell’attore, in conseguenza del sinistro occorso a quest’ultimo. Si costituiva, infine, il terzo chiamato INAIL, deducendo di aver già erogato al signor L., in conseguenza del sinistro in oggetto, prestazioni per l’ammontare totale di Euro 419.868,38; chiedeva pertanto, in via riconvenzionale, che il signor X. e Ph Services venissero condannati in solido al rimborso in suo favore della predetta somma, nonché di eventuali ulteriori somme che l’INAIL potesse essere tenuto a corrispondere in dipendenza dello stesso evento. Dichiarata la contumacia dei convenuti X. e Ph Services, il terzo chiamato INAIL precisava, ai sensi dell’art. 183 comma 5 c.p.c., che le prestazioni erogate in favore di R. L. ammontavano a complessivi Euro 445.582,22. Il G.I. disponeva consulenza tecnica d’ufficio medico-legale diretta ad accertare e a quantificare i danni patiti dall’attore, nonché da M. M. e dalla figlia minore K. L.. Conclusa l’istruttoria, ritenuta la causa matura per la decisione, il giudice invitava le parti a precisare le proprie conclusioni come in epigrafe trascritte; disposto lo scambio delle sole comparse conclusionali, all’udienza di discussione dell’11.3.2009, la causa veniva assegnata in decisione, ai sensi dell'art. 281 quinquies cpv. c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE Ritiene il Tribunale che debba essere dichiarata la responsabilità – peraltro non contestata – nella produzione del sinistro per cui è causa, in capo al convenuto X.. Gli elementi di prova desumibili dal rapporto di incidente redatto dalla Polizia Stradale di Seriate, nonché dalle dichiarazioni che i due colleghi dell’attore (presenti sul posto al momento del fatto) hanno reso sia ai verbalizzanti della Polizia Stradale sia all’Ispettorato del lavoro (cfr. verbale di inchiesta DPL 28.11.2002), consentono un’univoca ricostruzione dell’accadimento. In data 28.08.2002, R. L., mentre era intento ad apporre una segnaletica di deviazione sulla corsia di emergenza dell’autostrada Venezia-Milano, in località Capriate, veniva urtato e scagliato a terra dall’autocarro condotto da X.. Lo stesso mezzo proseguiva la sua corsa, sfiorando lo specchietto retrovisore del furgone degli operai, fermo sulla corsia di emergenza. Risulta per tabulas, inoltre, che l’attore – il cui corpo veniva interamente rinvenuto all’interno della corsia di emergenza – al momento dell’impatto indossava l’apposita tuta di colore arancione catarifrangente. Deve pertanto ritenersi che la presenza del signor L. a piedi sull’asfalto fosse ben visibile; e ciò considerando, altresì, che il furgone degli operai, fermo sulla corsia di emergenza con luci accese (cfr. verbale DPL), avrebbe dovuto facilmente richiamare l’attenzione dei conducenti i mezzi in transito sul tratto autostradale in questione ed imporre particolare cautela nella percorrenza dello stesso. Ritiene dunque il Tribunale indubitabile, alla luce degli elementi obiettivi acquisiti, la piena responsabilità del convenuto che, per imprudenza, negligenza ed imperizia, ha cagionato l’incidente di cui trattasi, invadendo, senza avvedersi degli operai al lavoro, la corsia di emergenza. Per quanto attiene al quantum, va osservato: che, a seguito dell’impatto, l’attore veniva ricoverato, in stato di coma profondo, agli Ospedali Riuniti di Bergamo, riportando, tra l’altro, trauma cranioencefalico con danno assonale diffuso e focolai contusivi cerebrali multipli, fratture multiple, contusione epatica, renale e polmonare; che l’attore veniva, tra l’altro, sottoposto ad intervento chirurgico sull’omero destro con utilizzo di fissatore esterno; che, dopo lunghissima degenza anche presso l’istituto Clinico Villa Aprica per la riabilitazione, l’attore veniva dimesso con diagnosi di postumi di trauma cranioencefalico, fratture multiple del cingolo scapolare destro ed arto superiore destro, lesione severa del plesso brachiale destro con deficit subtotale dell’arto superiore destro, fratture costali multiple; che il 22.12.2003 si concludeva la riabilitazione, prendendosi atto della persistente paralisi dell’arto superiore destro, ed il 13.01.2004, all’esito di controllo neurologico, si decideva per la stabilizzazione del quadro clinico; che, nella primavera 2004, l’attore ricorreva, altresì, ad ausilio specialistico per lamentati deficit sessuali, con alterazione della libido e della funzione eiaculatoria; che i C.T.U. hanno quantificato in 59 giorni (corrispondenti alla degenza ospedaliera) il periodo di inabilità temporanea assoluta ed in quindici mesi quello di inabilità temporanea parziale (mediamente all’80%), con una durata totale di malattia, pertanto, di diciassette mesi; che tuttora persiste situazione di sostanziale perdita funzionale dell’arto, cui si è associata sindrome dolorosa cronica, il cui trattamento richiede la somministrazione cronica di morfina; che, sul piano psichico, l’attore presenta, tra l’altro, deficit di memoria e di giudizio, concomitanti a sintomatologia ansioso-depressiva, che i C.T.U. hanno ritenuto riconducibili ad una reazione psicologica all’evento lesivo in oggetto, oltre che alla presenza di sofferenza frontale secondaria al riportato trauma cranioencefalico; che i C.T.U. hanno pertanto ritenuto individuabile, complessivamente, una lesione dell’integrità psico-fisica dell’attore pari al 75%; che, ad avviso dei C.T.U., i sopra enunciati postumi hanno determinato la perdita completa della capacità lavorativa specifica dell’attore, dovendosi valutare, da un lato, la plegia dell’arto superiore dominante (ostativa allo svolgimento di attività manuali) e, d’altro lato, la compromissione del generale assetto neuro-psichico (ostativa allo svolgimento di mansioni lavorative esposte ad eventi imprevedibili); che le spese di cura documentate, sostenute dal signor L., devono ritenersi, secondo i C.T.U., pertinenti e congrue per l’importo di € 1.598,97; che sono state altresì documentate spese per copia di cartelle cliniche e per consulenza tecnica di parte per complessivi € 332,00; che, invece, nessun danno biologico, né permanente né temporaneo, veniva dai C.T.U. riconosciuto relativamente alla signora M. M. ed alla minore K. L.. Questo giudice condivide le argomentazioni e le conclusioni cui sono pervenuti i C.T.U., con metodo corretto ed immune da vizi logici o di altra natura. Pertanto, alla luce delle risultanze sopra esposte, ritiene il Tribunale che l’attore abbia certamente subito il danno biologico e, cioè, quello derivante da illecito lesivo dell’integrità psico-fisica della persona, che, quale evento interno al fatto lesivo della salute, deve necessariamente esistere in presenza delle accertate lesioni, e che prescinde dal danno correlato alla capacità di produzione del reddito; dovendosi, tuttavia, sin d’ora precisare che il predetto danno biologico viene qui in rilievo a meri fini descrittivi quale componente medicalmente accertata del più complesso danno non patrimoniale subito. Come è noto, infatti, la Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 26972/2008) ha recentemente ritenuto che, nell’ambito del danno non patrimoniale, il riferimento a determinati tipi di pregiudizi, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. E’ compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione. E’ mutata, invece, la nozione di danno morale soggettivo. La nozione di “danno morale soggettivo transeunte va definitivamente superata”; non ne parla la legge ed è inadeguata se si pensa che la sofferenza morale cagionata da reato non è necessariamente transeunte, ben potendo l’effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo. Nell’ambito del danno non patrimoniale il danno morale non individua una autonoma sottocategoria, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi, quello “costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento”. Viene riaffermata, invece, la nozione di danno biologico, come danno conseguente alla lesione del diritto inviolabile della salute, nell’accezione normativa di cui agli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni. Si noti, poi, che le Sez. Unite, pur negando la sussistenza del “danno esistenziale” come voce autonoma di danno non patrimoniale, non disdegnano affatto di menzionare “i pregiudizi esistenziali” concernenti aspetti relazionali della vita, che possono accertarsi come compresi nel danno biologico c.d. dinamico. Rilevano poi che certamente incluso nel danno biologico, se derivante da lesione dell'integrità psicofisica, è il pregiudizio da perdita o compromissione della sessualità, del quale pure non può, a pena di incorrere in duplicazione risarcitoria, darsi separato indennizzo. Analogamente, deve dirsi per il c.d. danno da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto, laddove “la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato”. Circa i criteri di liquidazione, il giudice, coerentemente con quanto statuito dalla Cassazione a Sez. Unite citate, è chiamato a valutare congiuntamente, entro il danno biologico, tutte le sofferenze soggettivamente patite dall’attore, in relazione alle condizioni personali dello stesso ed ai risvolti che concretamente la lesione all’integrità psico-fisica ha comportato. Così stigmatizzano le Sezioni Unite: “Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Egualmente determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua nuova configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato”. Le Sez. Unite ribadiscono tuttavia che il danno non patrimoniale, quale danno conseguenza, deve essere allegato e provato. La sentenza della Corte Costituzionale n. 184/1986 è stata superata dalla sentenza della stessa Corte n. 372/1994, poi seguita dalle sentenze gemelle del 2003. Il danno non è mai in re ipsa ed il giudice dovrà porre a fondamento della propria decisione non solo la consulenza tecnica d’ufficio, ma anche “tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze) avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni” (ex artt. 115 cpv. c.p.c e 2727 e ss. c.c.). Alla luce di questa innovativa sentenza, devono essere necessariamente rivisti i criteri di liquidazione tabellare adottati dagli Uffici Giudiziari. In particolare, la tabella milanese (ad eccezione del danno morale) già comprendeva, nella nozione unitaria del danno biologico, la molteplicità delle singole possibili “voci” di pregiudizi, non lasciando spazio ad autonome liquidazioni del danno alla vita di relazione, del danno estetico, del danno alla sfera sessuale, ecc.; la tabella prevedeva, separatamente, solamente la liquidazione del danno morale, nella misura da un quarto alla metà dell’importo liquidato per il danno biologico. Incorreva dunque anche questa tabella nelle censure delle Sez. Unite, perché produceva una duplicazione di risarcimento del danno. Come risolvere questo problema, salvaguardando in pari tempo i valori monetari finora riconosciuti? E’ stato necessario approvare una nuova tabella. La nuova tabella milanese muove dal presupposto che i criteri di liquidazione del danno non patrimoniale da lesione del bene salute debbano prevedere valori monetari che siano riconducibili a quelli già riconosciuti precedentemente, sia a titolo di danno biologico che di danno morale, da liquidarsi dal giudice complessivamente, all’esito di una unitaria personalizzazione del danno accertato. In sostanza, per ciascun punto percentuale di menomazione dell’integrità psicofisica, si liquiderà un importo che dia ristoro alle conseguenze della lesione in termini “medi”: in relazione agli aspetti anatomo-funzionali, agli aspetti relazionali, agli aspetti di sofferenza soggettiva, ritenuti provati anche presuntivamente. Il giudice - in considerazione delle peculiarità allegate e provate nella fattispecie concreta, con specifico riguardo sia alla “sofferenza soggettiva” che alle “particolari condizioni soggettive del danneggiato” (nozione accolta anche dagli artt. 138 e 139 Cod. delle Assicurazioni) - procederà ad un’adeguata e complessiva “personalizzazione” della liquidazione del danno entro valori monetari stabiliti in un predeterminato range di aumento dei citati importi “medi”. Con gli stessi criteri il giudice liquiderà anche il danno biologico temporaneo, comprensivo altresì del danno morale, entro un range che consenta un’idonea personalizzazione. In ogni caso, il giudice sarà sempre libero di liquidare importi diversi da quelli indicati in tabella, con congrua motivazione, soprattutto laddove la fattispecie concreta presenti aspetti affatto peculiari. Nella fattispecie in esame, il Tribunale dovrà necessariamente tenere conto di tutto quanto sinora esposto ai fini di una corretta liquidazione del danno subito dall’attore. Tale operazione dev’essere compiuta, peraltro, non soltanto in ragione delle domande risarcitorie svolte dall’attore medesimo, ma anche ai fini dell’azione di surroga svolta dall’INAIL nei confronti dei convenuti riconosciuti responsabili, per le somme corrisposte dall’ente all’attore. Ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale patito da R. L., occorrerà pertanto tenere conto delle accertate invalidità, della giovane età dell’attore (al momento dell’accadimento ventiseienne), delle condizioni di vita (tra queste la circostanza, di cui ancora infra, che l’attore vantava bell’aspetto e velleità di sfruttarlo a fini economici o, comunque, di metterlo in risalto), delle risultanze probatorie, dell’espletata CTU, della rilevantissima entità del danno biologico, delle particolari sofferenze fisiche e psichiche sofferte e degli innumerevoli gravi pregiudizi che una menomazione psico-fisica, quale quella subita dall’attore, comporta su un giovane, inevitabilmente compromettendone la sfera relazionale e sessuale. Tenuto infine conto dei nuovi criteri tabellari sopra delineati, stimasi equo liquidare, per il complessivo risarcimento del danno non patrimoniale da lesione al diritto alla salute nella sua nuova accezione onnicomprensiva e “dinamica”, la somma già rivalutata di Euro 750.000,00; per il danno biologico temporaneo – reputandosi equo calcolare (avuto riguardo, sempre, a tale valutazione complessiva del danno biologico) un parametro medio giornaliero di circa Euro 100,00 per l’inabilità totale – si liquida la somma già rivalutata di Euro 43.100,00. Conformemente ai dicta delle Sezioni Unite richiamati, non residua spazio per il risarcimento di ulteriori pregiudizi non patrimoniali (quali, in particolare, i dedotti danni morale ed esistenziale), poiché tutti già ricompresi in quelli già liquidati, risultando altrimenti certa la duplicazione risarcitoria del medesimo danno. Il danno non patrimoniale subìto dall’attore viene, pertanto, quantificato nell’importo rivalutato di Euro 793.100,00. Quanto al danno patrimoniale, deve aversi riguardo, anzitutto, alle spese sostenute, ritenute congrue dai C.T.U. per l’importo di Euro 1.598,97, al quale va aggiunto l’importo delle ulteriori spese documentate di Euro 332,00, per un totale di Euro 1.930,97. Questa somma, rivalutata ad oggi secondo gli indici I.S.T.A.T., è pari ad (arrotondati) Euro 2.201,00. In punto di lucro cessante per perdita della capacità lavorativa specifica, il danno dev’essere quantificato considerando un reddito annuo oggi pari a circa Euro 16.000,00 (come documentato) ed utilizzando le tabelle di capitalizzazione di cui al R.D. 9.10.1922 n. 1403, con coefficiente di sopravvivenza pari a 18,557 per il totale di Euro 296.912,00, da decurtarsi nella misura del 15% avuto riguardo allo scarto tra vita fisica e vita lavorativa e pertanto si liquida la somma di (arrotondati) Euro 252.375,00. Dal momento che il danno patrimoniale da capacità lavorativa specifica è stato determinato nella misura del 100%, non può essere distintamente liquidato, pena incorrere in duplicazione risarcitoria, il danno patrimoniale da inabilità temporanea. Non può, inoltre, essere accolta la domanda relativa al danno da perdita di chance, con riferimento alla compromissione definitiva della possibilità per l’attore (asseritamente già offertagli in passato) di posare o sfilare come modello e, così, di integrare le proprie entrare reddituali. L’accoglimento della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante esige, infatti, la prova dell’esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile (da ultimo, Cass. 4052/2009). In tal senso, non risulta sufficientemente ed univocamente probante l’unico elemento oggettivo risultante per tabulas, ossia la circostanza che l’attore si sia fatto scattare delle fotografie professionali (un c.d. book) per mettere in risalto il proprio aspetto fisico. Le deduzioni svolte in punto e, segnatamente, il principio di prova desumibile dal book fotografico versato in atti, sono stati tuttavia considerati (come innanzi accennato) ai fini della complessiva valutazione del danno non patrimoniale subito dall’attore, in quanto compromissione delle sue condizioni di vita. Il danno patrimoniale complessivamente subito dall’attore deve, pertanto, essere liquidato nell’importo rivalutato di Euro 254.576,00. Tuttavia, sul diritto al risarcimento dei predetti valori incide la rivalsa esercitata dall’assicuratore pubblico, che ha allegato e dimostrato di aver liquidato all’attore, in ragione dell’infortunio de quo, i seguenti importi: Euro 20.254,72 a titolo di indennità per 500 giorni di inabilità temporanea assoluta dall’1.9.2002 al 13.1.2004; Euro 77,47 per spese mediche e accertamenti medico-legali; Euro 43.627,73 per ratei di rendita corrisposti dal 14.1.2004, data di decorrenza della rendita, al 22.2.2006, data di effettuazione dei calcoli; Euro 1.105,70 a titolo di interessi maturati sui ratei fino a quest’ultima data; dette somme, rivalutate ad oggi sono pari a complessivi Euro 71.380,00. L’I.N.A.I.L. ha inoltre liquidato all’attore la somma di Euro 185.582,70, a titolo di valore capitale della quota di rendita erogata quale indennizzo del danno biologico, calcolato alla data del 22.2.2006, nonché la somma di Euro 194.933,90, a titolo di valore capitale della quota di rendita erogata quale indennizzo del danno patrimoniale, calcolato sempre alla stessa data. In definitiva, l’I.N.A.I.L. ha liquidato la somma di (arrotondati) Euro 266.314,00 per le conseguenze patrimoniali del sinistro e la somma di Euro 185.582,70 per il danno biologico. In relazione alla domanda di surroga ex art. 1916 c.c. svolta dall’INAIL con riferimento alle dette somme, si rendono necessarie alcune premesse. L’art. 13 del D. lgs. 38/2000, anche accogliendo le sollecitazioni al riguardo avanzate dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 87/1991), ha inserito il danno biologico nella copertura indennitaria dell’assicuratore sociale. Il problema del c.d. danno differenziale, ossia del risarcimento di quel danno che il lavoratore può ottenere, ai sensi dell’art. 10 commi 6 e 7 del D.P.R. 1124/1965, dal datore di lavoro penalmente responsabile o dai terzi civilmente responsabili, se e nella misura in cui tale danno superi l’ammontare delle indennità corrisposte dall’INAIL, era problema che trovava una sua (non pacifica) sistemazione in termini sia qualitativi – il danno differenziale relativo alle poste di credito non ristorabili dall’INAIL: danno biologico temporaneo, danno biologico permanente sino al 5%, danno morale ed esistenziale, esborsi ecc. – sia in termini quantitativi, avuto riguardo, cioè, al differenziale relativo alle poste indennizzate. A tale proposito, il nodo della questione era costituito soprattutto dalla scindibilità o meno delle poste ai fini della rivalsa. Poiché di regola il danno biologico veniva liquidato in sede civilistica in misura maggiore di quella indennizzata dall’INAIL e il danno patrimoniale, invece, era liquidato in misura inferiore a quest’ultima, parte della giurisprudenza riteneva – al fine di evitare l’indebita locupletazione del lavoratore infortunato – di dover raffrontare unitariamente i rispettivi ristori (civilistico e previdenziale) e consentire la surroga INAIL per l’intero ammontare versato a titolo di danno biologico e patrimoniale (vedi in proposito Cass. n. 10035/2004). Un’altra parte della dottrina e della giurisprudenza operando la scomposizione delle singole voci indennizzate dall’INAIL in definitiva aumentava l’importo del danno differenziale riconosciuto al danneggiato e, conseguentemente, diminuiva l’importo riconosciuto all’INAIL in accoglimento della domanda di surroga. Il recente intervento delle Sezioni Unite, che ha ridisegnato la nozione di danno alla persona come onnicomprensiva ed ha riportato il sistema risarcitorio alla sua originale bipolarità tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, impone una diversa soluzione. Si pone anzitutto all’interprete la questione dell’omogeneità - ai fini della surroga INAIL e della liquidazione al danneggiato del c.d. danno differenziale - tra il danno biologico ristorato dal sistema previdenziale con criteri standardizzati ed il danno biologico liquidato civilisticamente in maniera “personalizzata” (comprensiva, tra l’altro, dell’intero ammontare che, in precedenza, veniva liquidato a titolo di danno morale e pacificamente riconosciuto per l’intero, in quanto non indennizzato dall’INAIL, al lavoratore). Ritiene questo Tribunale che la soluzione positiva alla questione sia imposta dallo stesso intervento del Giudice nomofilattico, che preclude ogni possibilità di scomposizione del danno alla persona in poste distintamente risarcibili, onde non incorrere in duplicazioni risarcitorie, e che, chiaramente, delinea una nozione anche ontologicamente unitaria del danno biologico, “del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente”. Non può dunque il giudice scorporare all’interno del danno non patrimoniale riconosciuto, pena la violazione di questi principi (e neppure ai soli fini della surroga INAIL), la quota relativa al danno biologico “standard” da quella relativa ad ulteriori componenti non valutate dall’INAIL ai fini indennitari. Parte della giurisprudenza - onde pervenire all’affermazione di sopravvivenza del danno morale come categoria autonoma e ontologicamente diversa dal danno biologico e della scindibilità di queste due voci di danno ai fini del riconoscimento del danno differenziale - si è adoperata in una interpretazione della sentenza n. 26972/2008 che, invero, contrasta apertamente con i principi di diritto accolti nella stessa pronuncia. Si è, in particolare, affermato che le Sez. Unite avrebbero inteso evitare solo la duplicazione risarcitoria in presenza di un danno biologico c.d. “dinamico” o personalizzato; la surroga INAIL, a sua volta, sarebbe esercitabile solo entro il danno biologico c.d. “statico” o “puro”, mentre l’ente nulla avrebbe diritto ad ottenere sul quantum riconosciuto a titolo di danno biologico “dinamico” e personalizzato e sull’intero (e ancora una volta distinto) danno morale. Come accennato, questa tesi non può essere condivisa. Le Sezioni Unite sono tassative nell’espungere dal sistema ogni possibilità di frammentazione, a fini risarcitori, del danno non patrimoniale. Infatti, non vi sono ragioni per ritenere che la Suprema Corte abbia inteso negare l’esistenza e la risarcibilità delle sofferenze fisiche e morali in presenza di danno biologico. Le Sezioni Unite hanno semplicemente “bacchettato” i giudici (togati ed onorari), perché procedono a queste liquidazioni con errati automatismi tabellari. I giudici non si avvedono che, quando c’è lesione biologica, i pregiudizi conseguenti alla menomazione psicofisica - “il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare” e quello ravvisato nella pena e nel dolore conseguenti e cioè “nella sofferenza morale determinata dal non poter fare” - sono, in definitiva, due facce della stessa medaglia, essendo la sofferenza morale “componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale”. Il giudice deve quindi, con congrua motivazione, “procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”. Per altro verso, il danno biologico cui ha riguardo la normativa previdenziale non può sostanziarsi in concetto ontologicamente distinto da quello cui ha riguardo la normativa civilistica. Mentre ex art. 13 D.lgs n. 38/2000 devono essere cogentemente applicati i criteri di liquidazione standard disciplinati dalla tabella degli indennizzi, in relazione ai baréme previsti dalla tabella delle menomazioni, nel processo civile muta il tipo e l’entità della tutela che richiede una valutazione maggiormente complessa e personalizzata ai fini risarcitori. Tuttavia, non può conseguire a queste diverse modalità di accertamento e liquidazione, il venir meno del diritto dell’ente al recupero di quanto versato per il ristoro dello stesso danno. Del resto, alla luce della nozione di danno biologico prevista dall’art. 13 citato e dagli artt. 138 e 139 Codice delle Assicurazioni accolta espressamente dalle Sezioni Unite, di danno biologico “statico” e cioè del tutto avulso dagli aspetti interelazionali, ritiene questo Tribunale, “non è più dato discorrere”, perché “per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”. Ed ancora, proprio l’aspetto dinamico relazionale connaturato al danno biologico comporta, anche per questo verso, l’impossibilità di scindere le sofferenze fisiche e psichiche dai pregiudizi anatomo-funzionali conseguenti alla menomazione psico-fisica. Ed, infatti, ha senso accertare un pregiudizio anatomo-funzionale del tutto avulso dalla sofferenza psico-fisica? Anche una gravissima menomazione fisica, scissa da qualsivoglia sofferenza morale e/o percezione del dolore, darebbe luogo ad un irrisorio risarcimento perché, in definitiva, il vero danno consiste nella percezione “emotiva” della menomazione e delle conseguenti alterazioni delle condizioni di vita della vittima in un contesto sociale. Una differente conclusione comporterebbe proprio quella duplicazione risarcitoria del danno non patrimoniale che lo sforzo ricostruttivo delle Sezioni Unite ha inteso scongiurare, programmaticamente premettendo, nella sentenza n. 26972/2008 che già le sentenze gemelle del 2003 “avevano avuto cura di precisare che non era proficuo ritagliare all’interno della generale categoria del danno non patrimoniale specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo (n. 8828/2003) e di rilevare che la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. doveva essere riguardata non già come occasione di incremento delle poste di danno (e mai come strumento di duplicazione del risarcimento degli stessi pregiudizi), ma per colmare le lacune della tutela risarcitoria della persona (n. 8827/2003). Considerazioni che le Sezioni Unite condividono” e pervenendo infine ad affermare che“Il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre”. In definitiva, il giudice – una volta liquidato il danno non patrimoniale civilisticamente risarcibile e conseguente alla lesione del bene salute – non può fare altro che raffrontare tale importo, senza ulteriori e non più consentiti distinguo, con il quantum erogato dall’ente a titolo di danno biologico, accogliendo la domanda di surroga per l’intero relativo ammontare (nei limiti dell’importo risarcitorio liquidato) e riconoscendo in capo al danneggiato il diritto al risarcimento dell’importo differenziale. Altra questione, posta e non pacificamente risolta in passato, e della quale ora si rende quanto mai opportuno un ripensamento, è quella relativa alla scindibilità delle poste di danno biologico e patrimoniale ai fini della rivalsa. Si potrebbe sostenere che l’INAIL possa agire in surroga per tutti gli importi unitariamente liquidati al danneggiato. In tal modo si consentirebbe all’INAIL di rivalersi per l’intero (sempre, ovviamente, nei limiti del quantum civilisticamente liquidato a titolo complessivamente patrimoniale e non patrimoniale), senza distinguere tra somma e/o quota di rendita erogata per danno biologico e somma e/o quota di rendita erogata per le conseguenze patrimoniali dell’infortunio, consentendo all’ente (in caso di maggior indennizzo erogato a titolo patrimoniale), di rivalersi integralmente erodendo così una quota dell’importo risarcitorio spettante al danneggiato a titolo di danno non patrimoniale. Questo giudice ritiene inaccettabile una simile soluzione. Se già in precedenza i dicta tanto della Corte Costituzionale (sentenze nn. 319/1989, 87/1991, 356/1991, 485/1991), quanto della Corte di Cassazione (sentenze nn. 3944/1995, 9761/1995, 4218/1998, 15859/2000, 8182/2001, 10289/2001) avevano affermato il principio della non comprimibilità del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale, tale principio, oggi, deve essere affermato con ancor più vigore. In altri termini, tanto la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. (che consente il completo ristoro del danno, necessariamente personalizzato conseguente alla lesione del bene salute) quanto la ricostruita netta bipolarità del sistema del danno alla persona (che impone la reductio ad unum del danno non patrimoniale, ma impedisce ogni fungibilità tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale) escludono che il diritto del lavoratore all’integrale risarcimento del danno non patrimoniale (differenziale) possa essere in qualche modo compresso dalle ragioni creditorie dell’ente assicuratore relative al costo sopportato per le conseguenze patrimoniali del sinistro. Qualora tale costo sia superiore all’importo civilisticamente liquidato a titolo di danno patrimoniale, solo questa eccedenza non potrà che restare a carico dell’INAIL, che l’ha sostenuta, per le finalità previdenziali proprie dell’ente. Se, infatti, il sistema della responsabilità civile mira a garantire il risarcimento integrale, scopo di quello previdenziale è la liberazione del lavoratore e della sua famiglia dallo stato di bisogno, in attuazione dell’art. 38 Cost., mediante prestazioni strutturate come indennizzo, ove l’eventualità di un ristoro non esaustivo del danno è compensata dall’automaticità e rapidità dell’erogazione. Alla luce di tutte le esposte considerazioni, si possono ora esaminare la domanda di surroga INAIL svolta nel presente giudizio e la posizione dell’attore circa eventuali danni differenziali. Il danno patrimoniale già riconosciuto dall’INAIL è pari ad Euro 266.314,00 e, per l’effetto, non spetta all’attore (che ha subito un danno patrimoniale pari ad Euro 254.576,00) alcun danno patrimoniale differenziale. I convenuti devono essere condannati al pagamento, in favore dell’INAIL, della somma riconosciuta di Euro 254.576,00 oltre interessi legali dal 18.03.2005 (data della domanda) al saldo. Il danno non patrimoniale già liquidato a tale titolo dall’ente è pari ad Euro 185.582,70 e, pertanto, il danno differenziale è pari ad Euro 607.517,30 (Euro 793.100,00 - 185.582,70). L’attore, a titolo di acconto, ha ricevuto altresì la somma di Euro 500.000,00, somma che, rivalutata dalla data del versamento (29.07.2004) ad oggi secondo gli indici I.S.T.A.T., è pari ad Euro 546.191,00. Pertanto il danno differenziale, al cui pagamento in favore dell’attore i convenuti in solido devono essere condannati, è pari ad Euro 61.326,30. Sugli importi predetti devono essere riconosciuti gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene perduto. Gli interessi compensativi - secondo il più recente indirizzo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (v. sentenza n. 1712/1995) - decorrono dal momento della produzione dell'evento dannoso sino a quello del versamento dell'acconto e, poi, da tale data fino alla presente decisione; per ciascuno di questi periodi, gli interessi compensativi si possono calcolare applicando un tasso annuo medio ponderato sul danno rivalutato. Tale tasso di interesse è ottenuto "ponderando" l'interesse legale sulla somma sopra liquidata, che - "devalutata" alla data del fatto illecito, in base agli indici I.S.T.A.T. costo vita - si incrementa mese per mese, mediante gli stessi indici di rivalutazione, sino alla data dell'acconto e poi, detratto quest'ultimo, fino alla data della presente sentenza. Da oggi, giorno della liquidazione, all'effettivo saldo decorrono gli interessi legali sulla somma di Euro 61.326,30 dovuta all’attore. Pertanto, alla luce degli esposti criteri, i convenuti devono essere condannati al pagamento in solido, in favore dell’attore, della complessiva somma di Euro 61.326,30 , oltre: - interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato del 3%, sulla somma di Euro 793.100,00 dal 28.08.2002 (data del sinistro) al 29.07.2004 (data dell’acconto); - interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato del 3%, sulla somma di Euro 61.326,30 dal 29.07.2004 (data dell’acconto) ad oggi; - interessi, al tasso legale, su quest'ultimo importo, da oggi al saldo effettivo. I convenuti devono, inoltre, essere condannati in solido al pagamento in surroga all’INAIL della complessiva somma di Euro 185.582,70, liquidata in moneta attuale, oltre agli interessi al tasso legale dal 18.03.2005 (data della domanda) al saldo effettivo. Per quanto attiene ai danni lamentati da M. M. e dalla minore K. L., moglie e figlia dell’attore, il Tribunale osserva che, nonostante vada condivisa la conclusione dei nominati C.T.U. circa l’assenza, in capo alle medesime, del lamentato danno biologico in quanto lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile, non può disconoscersi, secondo dati di comune esperienza e con accertamento presuntivo (sulla base, tra l’altro, dei dati, in termini di disagio psicologico, emergenti dalla C.T.U. effettuata), l’ingente danno non patrimoniale subito da entrambe in conseguenza dei fatti di causa. Viene in rilievo in particolare (anche se non – per tutto quanto già esposto – come autonoma voce di danno, ma soltanto come categoria descrittiva) il citato danno da grave lesione del rapporto parentale subìto dalle due congiunte dell’attore. Il rapporto tra i prossimi congiunti è compromesso dalle condizioni fisiche e psichiche dell’attore accertate dai CTU, i quali hanno anche evidenziato frequenti attacchi d’ira e reazioni incontrollate: danno valutabile unitariamente nel suo aspetto di sofferenza interiore già patita (soprattutto da M. M., per la compromissione del rapporto di coniugio) e patienda (soprattutto dalla minore K., per la precocissima compromissione del rapporto con la figura paterna), nonché in quanto conseguenza della lesione dei diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.) da riconoscersi in capo alle due congiunte di R. L.. Avuto pertanto riguardo a tali aspetti, al sesso, all’età (ventottenne all’epoca del sinistro la signora M., di appena due anni la piccola K.), alle condizioni di vita delle intervenute (ed all’intervenuta separazione, a quanto consta, dei due coniugi), si ritiene equo liquidare, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, alla minore K. L. l’importo già rivalutato di Euro 300.000,00 ed alla signora M. M. l’importo già rivalutato di Euro 150.000,00. Anche su tali importi andranno calcolati, secondo gli esplicitati criteri, gli interessi compensativi dalla data del sinistro e gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo. Pertanto i convenuti in solido devono essere condannati al pagamento, in favore di L. R. e M. M., quali genitori esercenti la potestà sulla figlia minore L. K. e a M. M. in proprio, delle somme, rispettivamente, di Euro 300.000,00 e di Euro 150.000,00, oltre interessi compensativi su ciascuna somma al tasso annuo medio ponderato del 3% dalla data del sinistro ad oggi ed interessi legali su ciascuna delle predette somme di Euro 300.000,00 ed Euro 150.000,00 da oggi al saldo effettivo. Quanto esposto è assorbente rispetto alle altre domande, eccezioni ed istanze proposte dalle parti. Le spese della consulenza tecnica d’ufficio vanno poste a carico dei convenuti in solido. Consegue alla soccombenza la condanna dei convenuti in solido a rifondere le spese processuali all'attore (da liquidarsi in favore degli avv.ti Giuseppe Centola ed Ezio Centola, antistatari ex art. 93 c.p.c.), agli intervenuti (da liquidarsi in favore dell’avv. Ferruccio Felice, antistatario ex art. 93 c.p.c.) ed al terzo chiamato. La presente sentenza è dichiarata provvisoriamente esecutiva ex lege. P.Q.M. Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, così provvede: dichiara la responsabilità esclusiva di X. nella causazione del sinistro occorso a L. R. il 28.08.2002; condanna i convenuti in solido X., Ph Services e U.C.I. al pagamento, in favore dell'attore, della somma di Euro 61.326,30, oltre interessi come specificati in motivazione; condanna i convenuti in solido X., Ph Services e U.C.I. al pagamento, in favore di L. R. e M. M. in qualità di genitori esercenti la potestà sulla minore L. K., della somma di Euro 300.000,00, oltre interessi come specificati in motivazione; condanna i convenuti in solido X., Ph Services e U.C.I. al pagamento, in favore di M. M. in proprio, della somma di Euro 150.000,00, oltre interessi come specificati in motivazione; condanna i convenuti in solido X., Ph Services e U.C.I. al pagamento, in favore dell’INAIL, delle somme di Euro 254.576,00 e di Euro 185.582,70, oltre interessi legali dal 18.03.2005 al saldo; rigetta le altre domande, eccezioni ed istanze proposte dalle parti; pone le spese della consulenza tecnica d’ufficio a carico dei predetti convenuti in solido; condanna i predetti convenuti in solido a rifondere all'attore, le spese processuali, che liquida in Euro 1.463,63 per anticipazioni, Euro 232,00 per esborsi, Euro 7.200,00 per diritti, Euro 18.000,00 per onorario di avvocato, Euro 3.150,00 per spese generali, oltre C.P.A. ed I.V.A., da liquidarsi in favore degli avv.ti Giuseppe Centola ed Ezio Centola, antistatari; condanna i predetti convenuti in solido a rifondere agli intervenuti, le spese processuali, che liquida in Euro 2.070,62 per esborsi ed anticipazioni, Euro 4.113,00 per diritti, Euro 12.000,00 per onorario di avvocato, Euro 2.014,13 per spese generali, oltre C.P.A. ed I.V.A., da liquidarsi in favore dell’avv. Ferruccio Felice, antistatario; condanna i predetti convenuti in solido a rifondere al terzo chiamato, le spese processuali, che liquida in Euro 20,00 per esborsi, Euro 5.749,00 per diritti, Euro 12.000,00 per onorario di avvocato, Euro 2.218,63 per spese generali, oltre C.P.A. ed I.V.A.; dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva. Milano, 9 giugno 2009. Il Giudice Istruttore in funzione di giudice unico dr. Damiano SPERA Stampa | Segnala | Condividi |

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"Legittimo sospetto" e dubbi legittimi intorno alla nuova disciplina della rimessione del processo (sezione: Giustizia)

( da "AltaLex" del 24-07-2009)

Argomenti: Giustizia

"Legittimo sospetto" e dubbi legittimi intorno alla nuova disciplina della rimessione del processo Articolo di Federico Martella 24.07.2009 Commenta | Stampa | Segnala | Condividi | legittimo sospetto | rimessione del processo | Federico Martella | “Legittimo sospetto” e dubbi legittimi intorno alla nuova disciplina della rimessione del processo di Federico Martella I -“Legittimo sospetto” e profili funzionali della rimessione Quando si parla di “legittimo sospetto” ci si riferisce ad un presupposto applicativo dell’istituto giuridico della rimessione dei processi. Quest’ultimo, attualmente contemplato dall’art. 45 c.p.p., concretando una deroga a previsioni ordinarie in materia di competenza, comporta, come noto, il trasferimento del processo da una ad altra sede giudiziaria. Ratio ispiratrice del rimedio è la necessità di assicurare l’imparzialità della decisione finale rispetto a fattori di turbativa ambientale, capaci di incidere, dall’esterno, sulla regolarità processuale, intaccando così la genuinità del verdetto definitivo. Obiettivo del legislatore non è però quello di rendere insensibile agli interessi di parte il giudice persona, essendo a ciò predisposto l’istituto della ricusazione. Si tratta qui di garantire l’imparzialità del giudice-organo o, meglio, dell’intero ufficio giudiziario cui il giudice organo appartiene. Il bene protetto, in breve, è la regolarità dei giudizi connessi a quello stesso ufficio, che potrebbe risultare pregiudicata non necessariamente da parzialità del singolo o dei singoli giudici, ma per effetto della lesione, provocata dai suddetti fattori di turbativa, alla libertà morale di qualsiasi soggetto che nel processo intervenga. Ulteriore elemento di diversità rispetto alla ricusazione risiede - secondo la ricostruzione più accreditata - nella natura delle ragioni determinanti l’esigenza del trasferimento: esulando da rapporti personali intercorrenti fra le parti e il giudice persona, esse devono sostanziarsi, come accennato, in situazioni o fattori ambientali abnormi ed esterni all’ufficio giudiziario. Così come appena illustrate, le caratteristiche strutturali della rimessione si presentano idonee a fare della stessa uno strumento di carattere eccezionale. Per l’attuale disciplina, che solo in parte, come si vedrà, sembra capace di riprodurre, sul piano applicativo, lo schema strutturale dell’istituto ora riferito, il trasferimento di sede giudiziaria va disposto qualora “gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano al processo ovvero la sicurezza o l’incolumità pubblica, o determinano motivi di legittimo sospetto”. Anche nell’odierno testo, licenziato dal legislatore del 2002, il “legittimo sospetto” (rectius: i “motivi di legittimo sospetto”) compare, tra le fattispecie applicative della rimessione. Esso, per la verità, rappresenta una formula giuridica di antica tradizione. Inserito, in termini di “legittima sospezione”, fra i casi di trasferimento processuale già nell’art. 766 c.p.p. del 1865, attraversa anche le successive esperienze codicistiche costituendo causa di translatio iudicii nel codice di procedura del 1913 nonché in quello del 1930: in quest’ultimo, in particolare, risultava contemplato dall’art. 55 c.p.p. abr. assieme ai “gravi motivi di ordine pubblico”, ulteriore fattispecie rimessiva prevista dalla disciplina previgente [1]. Con l’ingresso del nuovo codice di procedura penale del 1989 viene invece soppresso: l’originaria versione dell’attuale art. 45 c.p.p., prima dell’ultimo intervento (legge Cirami, 5 novembre 2002), aveva infatti sostituito il “legittimo sospetto” con altra formula di cui nel prosieguo si darà conto. L’ultima riforma ha infine sancito, come detto, la reintroduzione dei “motivi di legittimo sospetto” tra le condizioni operative della rimessione. Dato singolare, in materia, è il peculiare e storico parallelismo tra la costante presenza del “legittimo sospetto”, nella disciplina della rimessione, e dominanti indirizzi interpretativi, dottrinali e giurisprudenziali, sfavorevoli al suo ingresso o alla sua conservazione nella fattispecie ordinaria. Non si spiegherebbe, dunque, proprio a fronte di opinioni di segno contrario, la sua permanenza all’interno delle varie esperienze codicistiche. La perplessità, peraltro, si dissolve ove si tenga conto dell’alto tasso di politicità che caratterizza l’istituto della rimessione. La storia dello stesso si è sempre contraddistinta per i relativi impieghi strumentali, rapportabili alle più varie ragioni di parte, avallati da formule, come appunto il “legittimo sospetto”, che, agevolando l’ingresso di valutazioni discrezionali nei meccanismi di accertamento delle cause di modificazione della competenza, hanno consentito utilizzazioni dell’istituto dirette a soddisfare esigenze estranee al processo. Non è certo questa la sede per un’analisi politica della questione, ma nella trattazione tecnico-normativa della rimessione e dei rapporti fra questa e il “legittimo sospetto” è bene dunque tenere sempre presente le ragioni di carattere extragiuridico sottese alle varie opzioni normative. Fra gli autori, del resto, si sottolinea ormai da tempo la necessità di un approccio sociologico e politico nello studio delle norme, segnatamente di quelle del processo penale [2]. II - Rimessione del processo e garanzie costituzionali La rimessione, come accennato, rientra nel sistema delle competenze giurisdizionali in qualità di deroga a previsioni ordinarie fissate dal legislatore. Al pari di tutte le norme dettate in materia, anche quelle relative alla disciplina dell’istituto devono tuttavia uniformarsi al precetto costituzionale dell’art. 25 comma 1 Cost., che rappresenta - secondo consolidato orientamento - il parametro di legittimità di tutta la normativa dettata in punto di competenza. Secondo tale norma “nessuno può essere distolto dal suo giudice naturale precostituito per legge”. Ora, la rimessione in quanto tale, non si pone certo in contrasto con tale previsione, non comportando, di per sé, alcuna distrazione dal giudice fissato per legge. Il legislatore è infatti libero, in materia di competenza, di contemplare discrezionalmente eccezioni alle regole ordinarie [3]. Tanto più quando si tratta di assicurare, come succede per la rimessione, lo svolgimento imparziale dei giudizi. Il contrasto col precetto costituzionale suddetto discende, semmai, dalla eventuale difformità della disciplina dell’istituto, e in particolare delle modalità di concretizzazione della deroga, rispetto al fulcro centrale dell’art. 25 comma 1 Cost., rintracciabile, per opinione dominante, nel valore della precostituzione legale. Il significato precettivo di tale garanzia va rinvenuto nella necessità della costituzione previa della competenza giurisdizionale rispetto alla verificazione di una certa controversia: il giudice competente rispetto ad una vicenda processuale dovrà cioè risultare assegnato in una fase antecedente al suo insorgere, non invece a posteriori, successivamente alla verificazione della stessa. Ciò costituisce, secondo un indirizzo dottrinale, il contenuto della “norma sostanziale” dell’art. 25 comma 1 Cost. Ad esso si aggiunge una “norma formale”, pure individuata dagli interpreti fra i significati della disposizione, secondo cui il precetto costituzionale in esame detta una riserva di legge assoluta nei meccanismi di determinazione delle competenze. La costituzione previa delle stesse, in particolare, deve avvenire sulla base di soli criteri legali, non invece dipendere da provvedimenti discrezionali di qualsivoglia organo giurisdizionale. E ciò, come può intuirsi, e come verrà meglio detto, per ragioni attinenti al valore dell’imparzialità. Sarebbe pertanto incostituzionale una legge che, pur disponendo per il futuro, prevedesse un’alternativa fra competenze, risolubile a posteriori, a controversia già instaurata, per mezzo di provvedimento di un certo soggetto giurisdizionale. Il mancato rispetto, in tal modo, della norma formale, si tradurrebbe nel pregiudizio alla norma sostanziale suddetta [4]. L’adeguamento allo schema precettivo, così come descritto, insito nella precostituzione legale implica, in punto di rimessione, la necessità di una duplice operazione normativa da eseguirsi, da un lato, sul piano della individuazione del giudice del rinvio, il giudice cui, a seguito della decisione circa lo spostamento, sarà attribuita la competenza, dall’altro mediante una corretta redazione della disciplina dei presupposti della rimessione. Quanto al primo profilo, la legittimità costituzionale dell’istituto è legata alla previa fissazione legale, rispetto alla regiudicanda e al sopraggiungere delle cause di rimessione, dell’ufficio cui dovrà destinarsi la competenza nel caso di decisione positiva circa la translatio iudicii. Il ruolo del soggetto che disporrà il trasferimento processuale si ridurrà in tal modo all’esercizio di una funzione meramente esecutiva di precetti legislativi prefissati. Problema più serio, passando al secondo aspetto, è garantire tale figura del “giudice esecutore di criteri legali prefissati” nella fase di accertamento dei presupposti di rimessione. Anche qui sussiste l’obbligo per il legislatore di descrivere con espressioni puntuali le varie situazioni operative del rimedio. Lo scopo, in cui - come accennato - risiede la ratio della norma costituzionale in esame, che più avanti verrà esplicitata, è quello di evitare, proprio per ragioni di imparzialità, nella fase di accertamento di tali cause, l’ingresso di valutazioni discrezionali tali da far dipendere la transaltio iudicii, e dunque la determinazione della nuova competenza, da una decisione arbitraria, motivata in base alle più disparate ragioni e svincolata da ogni parametro legalmente precostituito. La storia dell’istituto, invero, dimostra come spesso inadeguate, proprio in rapporto alla garanzia espressa dall’art. 25 comma 1 Cost., si siano rivelate la varie soluzioni normative adottate per descrivere i fattori determinanti lo spostamento processuale. Non a caso l’insoddisfazione per le scelte legislative di volta in volta adoperate hanno indotto vari giudici a sollevare questioni di legittimità costituzionale. Fin dagli albori, d’altronde, le stesse tecniche interpretative hanno sempre incontrato serie difficoltà nell’elaborare opzioni normative capaci di tipizzare compiutamente le fattispecie applicative della rimessione nel rispetto della garanzia del giudice precostituito per legge. Significativo, del resto, è che in dottrina si tenda a parlare, in rapporto alla stessa rimessione, come di un istituto a legalità di grado inferiore, e a concludere che la verifica di costituzionalità dei relativi presupposti - profilo più controverso di tutta la normativa - stante la difficoltà di rintracciare ipotesi tassative, sfuma, sostanzialmente, in un controllo di ragionevolezza [5]. II - Segue: divergenze interpretative sull’art. 25 comma 1 Cost. e ricadute in punto di rimessione. La precostituzione legale nella prospettiva del principio di imparzialità. Palesemente irragionevole, a tutto concedere, appariva - di fronte al valore della precostituzione legale - il dettato ordinario dell’art. 55 c.p.p. abr. Suo tramite, la rimessione del procedimento poteva essere disposta per “gravi motivi di ordine pubblico” o per “legittimo sospetto”con conseguente designazione del giudice del rinvio affidata a provvedimento discrezionale della Corte di Cassazione. L’incostituzionalità della norma, sotto il profilo dei presupposti operativi del rimedio, più volte sottolineata in dottrina e fra gli stessi giudici, discendeva dall’eccessiva vaghezza delle formule adottate. Il “legittimo sospetto”, in particolare, implicando il richiamo ad un generico dubbio circa l’imparzialità del giudice, era (ed è) locuzione inidonea a fornire parametri oggettivi capaci di ridurre la discrezionalità dell’organo chiamato a decidere sulla richiesta di trasferimento processuale. Per via di tale ambiguità normativa la decisione circa la nuova competenza risultava individuata - in contrasto con l’art. 25 comma 1 Cost. - in base ad una scelta arbitraria, compiuta a posteriori rispetto all’insorgere della controversia. Sintomatico, del resto, di simile difficoltà interpretativa, generata dal “legittimo sospetto”, era il ricorrente fenomeno di sovrapposizioni con l’istituto della ricusazione [6]. Applicazioni distorte potevano registrarsi anche in rapporto all’ulteriore caso di rimessione, facente capo ai “gravi motivi di ordine pubblico”. Tramite simile presupposto, si giungeva spesso ad aberranti attuazioni della disciplina della rimessione rispetto al profilo teleologico della stessa. Non di rado si attribuiva rilevanza a disordini ambientali a prescindere dalla circostanza che essi si ripercuotessero sulla sfera processuale. Tanto che la competenza veniva spesso trasferita non in quanto il disordine pubblico pregiudicasse la regolarità processuale ma, all'opposto, perché lo svolgimento in loco di un certo processo comportava agitazioni pregiudizievoli per l’ordine pubblico senza riverbero alcuno sull’imparzialità del giudizio. Tale impiego della rimessione, quale rimedio diretto a salvaguardare beni di carattere extraprocessuale, era rafforzato dalla circostanza che la fattispecie dei “motivi gravi di ordine pubblico” non richiedeva l’incidenza di simile causa sulla regolarità del processo [7]. Ma anche nella più corretta delle interpretazioni, rivolta cioè ad intendere il presupposto in esame operante solo se lesivo dell’imparzialità del giudizio, rimaneva il carattere estremamente vago e omnicomprensivo dello stesso, inidoneo a rendere percettibile l’elemento valutativo nel giudizio sulla necessità o meno della rimessione. Il codice del 1930, al riguardo, aveva infatti fatto registrare un regresso, in punto di tassatività, rispetto alla previsione contemplata nel codice del 1913, che si riferiva alla “pubblica sicurezza” - intesa come ordre dan la rue - rappresentante senza dubbio un parametro più determinato. L’incompatibilità costituzionale dell’art. 55 c.p.p. abr. poteva desumersi, oltretutto, dal profilo riguardante l’individuazione del giudice di rinvio. A seguito dell’esito positivo del giudizio concernente l’accertamento delle condizioni operative della rimessione, la nuova autorità competente veniva infatti individuata con provvedimento discrezionale della Corte di Cassazione. Essendo tale aspetto della disciplina completamente svincolato da parametri oggettivi predeterminati, da solo sarebbe bastato a fondare una declaratoria di incostituzionalità della norma in questione, per macroscopico contrasto con l’art. 25 comma 1 Cost. Non può certo ravvisarsi, al riguardo, nella qualità o autorevolezza di qualsivoglia organo giurisdizionale un qualche limite surroganeo al valore della precostituzione legale. I forti dubbi sulla legittimità dell’art. 55 c.p.p. abr., che indussero vari giudici ad investire la Consulta della questione, non portarono all’estromissione di tale disciplina ordinaria dall’ordinamento [8]. A parere degli autori, le ragioni di fondo che condussero, in quella occasione, la Corte Costituzionale a “salvare” la disposizione in esame vanno rintracciate in esigenze di carattere burocratico: l’ingresso di elementi discrezionali, agevolato dalla formulazione della fattispecie, consentiva alla Corte di cassazione, a fronte delle frequenti richieste di rimessione, fenomeno anch’esso facilitato dalle larghe maglie della norma, di perseguire una migliore organizzazione e distribuzione del lavoro giurisdizionale. Non ci si può tuttavia esimere dall’analisi degli altri rilievi, pertinenti stavolta alla discussione tecnica, formulati dal Giudice delle leggi, proprio in quella vicenda, a sostegno della scelta circa la compatibilità costituzionale dell’art. 55 c.p.p. abr. Tanto più che quelle stesse argomentazioni verranno recepite da successivi indirizzi dottrinali volti a sostenere la perfetta legittimità di quella disciplina e di altre soluzioni normative non necessariamente conformi alla precostituzione legale. Come detto, quest’ultima è considerata dall’indirizzo ormai prevalente l’unico valore contemplato dall’art. 25 comma 1 Cost. La conclusione si giustifica considerando precostituzione e naturalità, anch’essa prevista dalla norma, come termini perfettamente sovrapponibili. Si tratterebbe, in sostanza, di un’endiadi: il riferimento alla naturalità non altera il significato della disposizione, rinvenibile nella sola precostituzione legale. E l’adeguamento a tale valore, nella disciplina della rimessione, si traduce nella necessità, come visto, di redigere una fattispecie imperniata sul rispetto del principio di tassatività, sia in ordine ai presupposti applicativi sia sul piano concernente l’individuazione del giudice del rinvio [9]. Sulla base di una lettura disgiuntiva del precetto in esame, diffusa per lo più in passato ed inaugurata dalla Consulta nella suddetta vicenda, si giunge invece a considerare la “naturalità” come termine diverso ed indipendente rispetto alla precostituzione. Il giudice naturale è stato via via identificato, in particolare, nel giudice indipendente, imparziale, nel giudice di fronte al quale trovano piena attuazione tutte le garanzie per lo svolgimento del giusto processo. E l’art. 25 comma 1 Cost., affermando che nessuno possa essere distolto dal proprio giudice naturale, inteso nel senso ora descritto, sancisce, si dice, proprio il diritto di ciascuno di essere giudicato da un giudice imparziale, indipendente, naturale [10]. Appare chiaro dunque come la dimostrazione della compatibilità costituzionale della rimessione, in una simile ricostruzione, risulti compito assai agevole. Essendo infatti, quest’ultima, rimedio diretto a salvaguardare le garanzie sottese proprio al concetto di naturalità, è ipso facto perfettamente legittima. L’identità di ratio fra la norma costituzionale e la disciplina della rimessione costituisce, in sostanza, per simili indirizzi, l’argomento fondante la compatibilità della stessa con la Carta fondamentale. E ciò, per di più, anche quando la disciplina ordinaria dell’istituto non risulti conforme al valore della precostituzione, quando cioè la decisione circa il trasferimento processuale e l’individuazione del giudice del rinvio dipenda da una scelta dell’organo giurisdizionale: la preminenza da accordarsi alle garanzie espresse dalla naturalità, perseguite dalla rimessione, rende infatti tollerabile il mancato rispetto della precostituzione, che nulla può pretendere dalla normativa ordinaria in quanto mirante, questa, a dare attuazione alla naturalità, cioè dire a quelle (presunte) superiori garanzie. Da tali rilievi si sarebbe dovuto, quindi, desumere la legittimità dell’art. 55 c.p.p. abr., in tanto costituzionalmente compatibile in quanto orientato a realizzare le garanzie insite nel concetto di naturalità. Assai criticabile appare peraltro il percorso ermeneutico seguito nell’interpretazione dell’art. 25 comma 1 Cost. da parte della riferita impostazione. Essa non sembra cogliere il vero significato della disposizione costituzionale in esame. Arbitraria, intanto, come ormai rileva la dottrina maggioritaria, appare l’operazione con cui si tende a ricondurre alla naturalità l’insieme delle garanzie processuali suddette: non si specificano infatti i criteri in base ai quali tale nozione viene, per così dire, riempita da simili principi costituzionali. In un quid vacui, elusivo della verifica di costituzionalità della rimessione, si risolve poi l’operazione diretta ad inferire la perfetta legittimità della stessa dalla mera considerazione circa la finalità perseguita dall’istituto. Forviante, al riguardo, è l’istituzione di una sorta di contrapposizione fra naturalità e precostituzione, con abdicazione della seconda per la prima, quasi che la seconda esprimesse valori contrastanti con quelli contenuti - secondo tale indirizzo - nella naturalità. La precostituzione rappresenta invero un valore che si pone in stretto rapporto di continuità col principio di imparzialità e con tutti quei principi di volta in volta assegnati alla naturalità. Richiedendo, come visto, che sia la sola legge a presiedere la fase di fissazione delle competenze giurisdizionali affida ad un criterio oggettivo l’assolvimento di tale funzione, preoccupandosi di garantire l’assenza di scelte discrezionali. Il meccanismo da essa implicato non è altro che una manifestazione del principio di imparzialità, perché chi cerca il giusto cerca l’imparziale e l’imparziale è nella legge, nell’affermazione di una volontà generale ed astratta in quanto scevra dell’elemento passionale [11]. Quest’ultimo, per riportare il discorso sulla rimessione, getta dubbi proprio sull’imparzialità delle modalità di individuazione della nuova sede giudiziaria. Insinuandosi, per via di formule indeterminate, nella fase di accertamento dei presupposti applicativi e in quella relativa alla designazione del giudice di rinvio, potrebbe risultare preordinato a perseguire esigenze di interesse particolaristico, estranee alla regolarità del processo. E quand’anche così non fosse, la sola possibilità di decisioni discrezionali sarebbe comunque idonea a generare dubbi sull’apparenza di imparzialità, altro valore pertinente alla giurisdizione che un ordinamento come il nostro ha il compito di garantire [12]. L’esigenza di evitare simili risultati costituisce la ratio sottesa alla garanzia della precostituzione legale. Lungi dall’essere dunque cristallizzato nel concetto di naturalità, il principio di imparzialità si pone come canone informatore di tutto l’ordinamento costituzionale. E altre garanzie, racchiuse nel tessuto della Carta fondamentale, fra cui, per esempio, il diritto di difesa, la presunzione di innocenza, concorrono ad affermarlo. Fra esse compare anche la precostituzione legale, che si preoccupa di attuarlo già “in partenza”, al momento cioè di fissazione della competenza del giudice. L’art. 25 comma 1 Cost., in buona sostanza, contempla una garanzia che rappresenta una specie del più ampio genere dell’imparzialità. IV - Disciplina ordinaria della rimessione: la soluzione normativa del 1989. La progressiva valorizzazione della precostituzione legale ha senza dubbio esercitato notevole influenza sulla scelta normativa compiuta dal legislatore del 1989, che ha abbandonato la soluzione del codice abrogato. Nella vigenza di quest’ultimo, la giurisprudenza aveva infatti elaborato criteri interpretativi volti a razionalizzare le fattispecie del “legittimo sospetto” e dei “gravi motivi di ordine pubblico” nella prospettiva di uniformare la disciplina ordinaria al dettato costituzionale. Trattasi di criteri che il nuovo codice di rito, in punto di rimessione, sembra recepire appieno [13]. Con formulazione radicalmente diversa dalla vecchia disciplina, l’art. 45 c.p.p., nella versione originaria, prevedeva, infatti, che la rimessione si sarebbe potuta disporre “in ogni stato e grado del processo di merito, quando la sicurezza o l’incolumità pubblica ovvero la libertà delle persone che partecipano al processo sono pregiudicate da gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili”. Il nuovo dettato positivo aveva invero suscitato più di un consenso in dottrina. Si è autorevolmente sottolineato, al riguardo, come il legislatore meglio non avrebbe potuto esprimere le nuove fattispecie di rimessione [14]. Apprezzabile, in effetti, risultava la soluzione sia sul piano delle condizioni legittimanti sia in punto di individuazione del giudice del rinvio. Per quanto riguarda quest’ultimo profilo, dopo una serie di riforme, per vero introdotte sotto la vigenza del vecchio codice, si è giunti a prevedere, con disposizione tra l’altro attuale, che il nuovo giudice cui va attribuita la competenza deve risultare (pre)assegnato sulla base dei meccanismi di cui all’art. 11 c.p.p. [15]. Non meno soddisfazioni si erano registrate anche con riferimento all’aspetto dei presupposti applicativi del rimedio. E ciò sia in ordine al parametro causale sia rispetto a quello effettuale, momenti, entrambi, in cui si articola, anche attualmente, lo schema di accertamento implicato dalla norma. Il primo, più in particolare, è espresso dalle “gravi situazioni locali”, cioè da quei fattori causali costituenti l’indefettibile presupposto per l’esistenza della turbativa processuale (prius); il secondo dal “pregiudizio alla sicurezza o pubblica incolumità” o dalla “libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo”, elementi la cui sussistenza soltanto, in presenza del fattore causale, produce, per l’appunto, l’effetto dello spostamento di competenza (posterius). Quest’ultima locuzione (“libertà delle persone che partecipano al processo”) è quella che ha esplicitato la fattispecie del “legittimo sospetto”, segnando un indubbio progresso sul piano costituzionale. Dovendo, infatti, la decisione circa il trasferimento di sede giudiziaria passare per la verifica del pregiudizio alla libertà morale di autodeterminazione di ciascun soggetto, maggiormente percettibile di quanto non fosse il richiamo al dubbio generico circa l’imparzialità del giudice, evocato dal “legittimo sospetto”, risulta il parametro di valutazione in ordine a tale scelta [16]. Lo stesso è a dirsi per l’altro caso di rimessione, vale a dire i “gravi motivi di ordine pubblico”. La formula è stata tradotta in una nozione, anch’essa, più circoscritta e maggiormente percepibile: tale infatti è la “sicurezza o pubblica incolumità” rispetto al poliedrico concetto di ordine pubblico. Ciò che va maggiormente evidenziato, sotto questo aspetto, è l’avvenuto dissolvimento di ogni dubbio circa la natura della rimessione, istituto recuperato, con la formula originaria, fra gli strumenti di tutela di interessi esclusivamente processuali. Come si è visto, il cambio di sede giudiziaria veniva talora disposto - nella disciplina previgente - anche in ragione di disordini, esterni al processo, che sullo stesso non si ripercuotevano; la rimessione finiva spesso per soddisfare interessi estranei alla salvaguardia della serenità processuale. Tali applicazioni si giustificavano, come rilevato, per l’ambiguità della disciplina previgente che, per l’appunto, consentiva la rimessione per motivi di ordine pubblico senza specificare la necessità circa la relativa incidenza sul processo. A ciò si aggiungeva la circostanza per cui lo spostamento di sede, per tale causa, rientrava nelle sole prerogative della parte pubblica, essendo, si diceva, la tutela di tali esigenze, quelle di ordine pubblico, estranea all’interesse delle parti private, autorizzate solo ad avanzare richiesta di rimessione per “legittimo sospetto”. Da tale ulteriore profilo ci si poteva in effetti rendere conto dell’equivoco, anche legislativo, attorno alla natura e funzione di un istituto giuridico che invece, secondo l’opinione comune, doveva intendersi come uno strumento di tutela esclusivamente processuale. Il legislatore del 1989 recepisce simile indirizzo fugando al riguardo ogni perplessità. Il pregiudizio alla “sicurezza o alla incolumità pubblica” acquistava infatti rilevanza, per la previsione iniziale, a condizione che esso si traducesse in un’alterazione del processo: esprimeva simile necessità la formula di chiusura della fattispecie “tali da turbare lo svolgimento del processo”, da riferirsi evidentemente al solo pregiudizio della sicurezza o incolumità suddette, attesane la relativa superfluità ove rapportata alla lesione della libertà di determinazione degli altri soggetti partecipanti, la cui sussistenza implica ipso facto la lesione al principio di imparzialità. Ristabilita ogni chiarezza sul piano teleologico restava peraltro qualche dubbio sull’idoneità della suddetta locuzione (“tali da turbare lo svolgimento del processo”) ad offrire al giudicante parametri altrettanto certi, in fase effettuale, per l’accertamento dell’effettiva alterazione della regolarità processuale. La genericità della stessa non forniva infatti al giudice un preciso elemento di valutazione. Ciò avveniva invece - ed avviene - per la “libertà di determinazione delle persone che al processo partecipano”, altro parametro effettuale capace, come visto, di orientare, condizionandola, la scelta dell’organo giurisdizionale su elementi ben determinati [17]. Parimenti apprezzata, come detto, è stata la scelta normativa sul profilo causale della fattispecie. Esso è sintetizzato dall’espressione “gravi situazioni locali”. La locuzione sembra, in primo luogo, evocare il richiamo a fattori di turbativa ambientale esterni all’ufficio giudiziario, per poi chiarire la necessità della dimensione locale di tali situazioni: il carattere nazionale dell’elemento di turbativa vanificherebbe, si capisce, il cambio di sede giudiziaria. Il requisito di gravità, invece, esprime la necessità del carattere abnorme ed eccezionale delle stesse, cioè dire la notevole consistenza di simili fattori. Esso funge da filtro selettivo rispetto ai fattori da assumere come idonei a dar luogo a rimessione, implicando - al contempo - l’intuibile considerazione circa il carattere eccezionale del rimedio [18]. Altrettanto scontato poi è che, per via della stessa gravità, i suddetti fattori di turbativa non potranno interpretarsi se non in modo tale da incidere sulla regolarità processuale altrettanto gravemente. V – Segue: reintroduzione del “legittimo sospetto” fra i casi di rimessione: riesumazione di una formula incostituzionale. Fra le ragioni ispiratrici l’ultimo intervento di riforma della disciplina della rimessione, avvenuto con legge del 5 novembre 2002 (c.d. legge Cirami), compare proprio l’accennato rilievo del carattere eccezionale dell’istituto. Più precisamente, le rare applicazioni registratesi in materia - a partire dall’introduzione del nuovo codice di rito - si sarebbero dovute interpretare, secondo il nuovo legislatore, come un indice di assenza di imparzialità. Essendo cioè la rimessione strumento volto a perseguire tale valore, la sua scarsa applicazione rileverebbe come un sintomo di mancata attuazione dello stesso. E ciò stride all’interno di un contesto in cui l’esigenza di garantire il principio di imparzialità si pone, inderogabilmente, alla luce della recente proclamazione legislativa di tale fondamentale garanzia, avvenuta con legge costituzionale (art. 111 comma 2 Cost.) [19]. Tutt’altro che fondati, simili rilievi sembrano riecheggiare piuttosto quegli indirizzi, ormai superati, volti a valorizzare il requisito della naturalità, in termini di imparzialità, giusto processo et similia, a discapito della precostituzione. E ad inferire, dunque, la legittimità della rimessione dalla circostanza mera che questa è diretta a realizzare la tutela della imparzialità insita nel concetto di naturalità ex art. 25 comma 1 Cost. Interventi modificativi della disciplina in esame non possono perciò trovare giustificazione in tali argomenti: le ragioni interpretative invalidanti simile impostazione, da ogni indirizzo ormai abbandonate, sono state sopra illustrate, a proposito del rapporto di continuità fra precostituzione ed imparzialità. Né decisivo, al riguardo, attesane l’inconcludenza, appare il richiamo all’impiego eccezionale del rimedio: applicazioni poco frequenti dello stesso si pongono semmai in linea con le stesse caratteristiche strutturali che lo definiscono [20]. In realtà, il senso della nuova scelta normativa, che fra un momento verrà riferita, si comprende ove si tenga conto del reale - e neanche tanto celato [21] - intento legislativo, conforme del resto alla tradizione politica dell’istituto, di intervenire su una ben nota vicenda processuale. A dire il vero, l’iter legislativo di riforma si attiva a seguito di un dubbio di legittimità costituzionale sollevato dalle sezioni unite della Corte di cassazione proprio in punto di mancata riproduzione del “legittimo sospetto”, da parte del legislatore del 1989, nella disciplina dei casi di rimessione [22]. I giudici traevano argomento da una presunta lacuna normativa, derivante dalla discrepanza tra le previsioni della legge delega (art. 2 direttiva n. 17) e la soluzione adottata dal legislatore nell’art. 45 c.p.p. In effetti, secondo le disposizioni della legge delega la rimessione si sarebbe dovuta disporre ancora per “gravi ed oggettivi motivi di ordine pubblico” e per “legittimo sospetto”. La scelta del legislatore, come visto, risulta tuttavia difforme da tale previsione: in particolare, per quello che qui interessa, si era accantonato il “legittimo sospetto”, che a tanti equivoci aveva dato luogo, a favore della suddetta formula del “pregiudizio alla libertà delle persone che partecipano al processo” che, ad avviso della Corte, non riusciva a sintetizzare tutte le situazioni pregiudizievoli per l’imparzialità, situazioni - peraltro non meglio individuate - rimaste fuori dal dato positivo. Il rilievo dei supremi giudici è parso, a rigore, ineccepibile. La constatazione, peraltro, è sembrata tanto ovvia quanto poco significativa. L’opzione seguita dal legislatore si configurava infatti come il frutto di una scelta altamente ponderata, volta a recepire i criteri elaborati da dottrina e giurisprudenza all’interno di un secolare dibattito che, però, nell’occasione, la Corte trascura completamente; criteri, fra l’altro, perfettamente in linea col valore della precostituzione legale, che pure il legislatore avrebbe dovuto tenere in considerazione, attesa oltretutto, la previsione della legge delega stessa secondo cui, nella redazione del codice, si sarebbero comunque dovuti attuare i principi costituzionali [23]. Sta di fatto che la questione sollevata dalla Corte ha, per così dire, rafforzato gli intenti di modifica del legislatore che, per di più, interviene prima che la Consulta si pronunci sulla questione, modificando la disciplina della rimessione. A fronte di tale modifica, la nuova normativa, sul piano dei presupposti operativi, stabilisce che il trasferimento di sede processuale può essere disposto qualora “gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano al processo ovvero la sicurezza o l’incolumità pubblica, o determinano motivi di legittimo sospetto”. Una prima considerazione attiene al fatto che la constatazione circa il suddetto difetto di delega non ha dato luogo alla riproduzione dell’intero contenuto dell’art. 55 c.p.p. abr. La reintroduzione del “legittimo sospetto” come autonoma causa di rimessione, pure prevista dal disegno originario della legge Cirami, avrebbe portato ad una grossolana violazione della precostituzione legale. La modifica si inserisce invece nella previsione normativa, in aggiunta ai casi di rimessione previsti dal dettato originario, licenziato dal legislatore del 1989. Prima di ogni altro rilievo sul “legittimo sospetto”, profilo che qui maggiormente interessa, occorre sottolineare un dato, apparentemente innocuo ma, in realtà, tanto innovativo quanto problematico. Ci si riferisce alla diversa formulazione sintattica della fattispecie. Può notarsi, in particolare, come all’interno della stessa, l’elemento di chiusura non sia più rappresentato - a differenza della formula precedente - dall’espressione “tali da turbare lo svolgimento del processo”, significativa della necessità che il pregiudizio alla pubblica sicurezza dovesse ripercuotersi sulla tranquillità processuale, in ossequio alla natura del rimedio. Oggi, le gravi situazioni locali, già di per sé tali da turbare lo svolgimento processuale, rilevano, ai fini della translatio iudicii, ove pregiudichino “la libertà delle persone che partecipano al processo”, ovvero determinino “motivi di legittimo sospetto” ovvero ledano la “sicurezza e pubblica incolumità”. Quest’ultima rientra fra le previsioni conclusive, di chiusura della fattispecie, restando svincolata dal “tali da turbare lo svolgimento del processo”. Ciò potrebbe dare il via ad interpretazioni, tanto diffuse nella previgente disciplina, volte a favorire la rimessione anche a fronte di agitazioni esterne al processo e destinate a non ripercuotersi sullo stesso. Con espressione simbolica, al riguardo, si è detto che cambiando l’ordine dei fattori, nel processo penale, il risultato cambia: potrebbe infatti nuovamente essere rimessa in discussione, alla luce di tale modifica, la natura stessa dell’istituto quale strumento di tutela di interessi esclusivamente interni al processo [24]. I dubbi interpretativi che si presentano invece attorno alla locuzione “motivi di legittimo sospetto” sono gli stessi che si erano registrati nella vigenza delle trascorse esperienze codicistiche. L’eccessiva genericità della formula favorisce l’ingresso di valutazioni discrezionali in ordine al trasferimento processuale, dando luogo a decisioni arbitrarie contrastanti col valore della precostituzione. Le perplessità si acuiscono ove poi si consideri che il presupposto applicativo si aggiunge a quello relativo al “pregiudizio alla libertà delle persone che partecipano al processo”, formula, come detto, coniata dagli interpreti per esplicare proprio la vecchia fattispecie del “legittimo sospetto”. Sarebbe stato dunque meglio, paradossalmente, se il legislatore del 2002 avesse sostituito la suddetta formula con i “motivi di legittimo sospetto”: in tal modo, per via interpretativa, si sarebbe potuto forse continuare ad intendere tale ultima locuzione come esprimente i casi di pregiudizio alla libera determinazione delle persone partecipanti al processo. Per effetto della nuova disposizione, invece, il legislatore crea, tramite la riesumazione della screditata fattispecie, una lacuna normativa, questa sì, foriera di applicazioni arbitrarie, incompatibile con l’art. 25 comma 1 Cost. [25]. Le preoccupazioni ora esposte si giustificano anche alla luce dell’orientamento seguito dalla rara giurisprudenza che dopo la riforma si è delineata sul punto [26]. Pur avendo, nell’occasione, la Suprema Corte, ribadito in premessa la necessità dell’impiego eccezionale della rimessione, ha fornito un’interpretazione poco convincente del requisito dei “motivi di legittimo sospetto”. Per effetto di questi la rimessione deve essere disposta, secondo i giudici, quando le situazioni locali gravi siano tali da provocare un serio e “pericolo concreto circa l’imparzialità del giudice”. La soluzione non introduce elemento interpretativo alcuno capace di specificare meglio la fattispecie attraverso il riferimento a parametri più specifici. Il “pericolo concreto per l’imparzialità del giudice”, a ben guardare, è locuzione perfettamente sovrapponibile ai “motivi di legittimo sospetto” nulla aggiungendo e nulla togliendo a quest’ultima. Assai ardua, del resto, risulta come più volte ribadito, l’opera di individuazione di criteri capaci di razionalizzare una formula vaga, come quella in questione, insuperabilmente in contrasto con il principio del giudice precostituito per legge. VI - La richiesta di rimessione: soggetti ed effetti. Significative innovazioni in materia di rimessione, per via dell’ingresso del nuovo codice, si sono altresì registrate in punto di soggetti legittimati a proporre relativa istanza. Si è detto che - nel sistema precedente - rispetto ai “gravi motivi di ordine pubblico”, legittimata, al riguardo, era la sola parte pubblica, in considerazione della estraneità del privato rispetto agli interessi sottesi a tale tipo di pregiudizio. Al di là dell’ambiguità legislativa, insita in simile previsione, circa la natura stessa dell’istituto, l’impossibilità per il privato di richiedere la rimessione in tali ipotesi concretava una lesione al principio della par condicio fra le parti processuali. Il pregiudizio all’ordine pubblico poteva infatti tradursi anche in una lesione della tranquillità processuale. Col nuovo codice, si pone fine a tale disparità. Sicché oggi la rimessione per lesione della “sicurezza o pubblica incolumità” può essere chiesta anche dal privato, atteso che la stessa è concepita come elemento rilevante, salvo i rilievi sopra compiuti a proposito del cambio di formulazione sintattica, in quanto diretto a ripercuotersi sulla sfera processuale, e ad intaccare dunque anche un interesse del privato. A dire il vero, la riforma del 1989, come quella del 2002, rappresenta un’occasione perduta per la mancata estensione della facoltà di chiedere la rimessione anche alle altre parti processuali. Se l’istituto mira infatti a garantire il bene della imparzialità del giudizio, tende a proteggere un oggetto giuridico rientrante in realtà nell’interesse di ogni soggetto partecipante al processo. Opportuna dunque sarebbe stata l’attribuzione anche a tali soggetti (parte civile, responsabile civile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria) della possibilità di avanzare istanza di rimessione [27]. Qualche considerazione, in ultimo, va fatta anche sul piano degli effetti connessi alla presentazione della richiesta. Per evitare impieghi strumentali del rimedio, il legislatore del 1989, nella versione originaria dell’art. 47 c.p.p., aveva previsto - al comma 1 - che la richiesta di rimessione non avrebbe prodotto alcuna sospensione automatica del processo. La norma si poneva in linea col valore della “efficienza processuale”, ulteriore principio informatore del nostro sistema, recentemente oggetto di esplicita proclamazione (art. 111 comma 2 Cost.). Nella prospettiva di contemperare tale esigenza con quella dell’imparzialità del giudizio, si era altresì introdotto un divieto, per il giudice procedente, di pronunciare sentenza fino al momento in cui non si fosse concluso l’incidente di rimessione. In caso contrario, ci si sarebbe trovati di fronte ad una pronuncia conclusiva della questione emessa proprio dallo iudex suspectus; a dispetto del principio di imparzialità. Lo sforzo di raggiungere un punto di equilibrio tra tali esigenze non ebbe tuttavia successo. L’obiettivo perseguito fu in particolare vanificato dalla previsione concernente il divieto di pronunciare sentenza, che poteva tradursi invero in uno strumento di pregiudizio al valore della ragionevole durata. La norma infatti avrebbe potuto favorire una reiterazione strumentale di richieste di rimessione volte a bloccare i processi, nell’intento di far implodere le vicende giudiziarie mediante la prescrizione del reato. Ben presto, dunque, la Consulta, pronunciandosi su tale profilo della disciplina, perviene, con sentenza n. 353 del 1996, a dichiarare incostituzionale la previsione introdotta dal legislatore del 1989. Più di un dubbio circa il rispetto delle statuizioni compiute in quella occasione dalla Corte Costituzionale sorge oggi sulla nuova disciplina, nella parte in cui si occupa di tale aspetto. L’attuale art. 47 c.p.p. dispone che il giudice procedente sospende il processo in prossimità delle conclusioni o discussioni a seguito della comunicazione, da parte della Corte di cassazione, della assegnazione della richiesta alle sezioni unite o altra sezione, introducendo così un meccanismo normativo apparentemente razionale in ordine al contemperamento tra esigenze di efficienza processuale e di imparzialità. Si è fatto notare, infatti, come spesso la valutazione delle richieste di rimessione in seno all’attività del Primo presidente della Suprema Corte si risolva in una verifica superficiale rivolta soprattutto a soddisfare esigenze amministrative di organizzazione del lavoro. In sostanza, il vaglio in questione si limita ad un controllo poco approfondito, idoneo ad escludere le sole richieste ictu oculi inammissibili. E con la non meglio definibile locuzione dei “motivi di legittimo sospetto”, idonea ad autorizzare il richiamo a qualsivoglia generica perplessità sull’imparzialità del giudice, non risulterà certo arduo formulare richieste apparentemente fondate e diverse da altre identiche istanze prima presentate. Il combinato disposto delle norme relative agli effetti della richiesta e di quelle facenti capo ai casi di trasferimento processuale, segnatamente del “legittimo sospetto”, legittimerebbe pertanto una nuova declaratoria di incostituzionalità per contrasto col valore della ragionevole durata dei processi [28]. La soppressione dei “motivi di legittimo sospetto” si porrebbe, pertanto, come un passo obbligato non solo per il rispetto della precostituzione legale, e dunque della imparzialità del giudice. Risulterebbe maggiormente protetta, per via di un simile intervento, anche l’ulteriore garanzia dell’efficienza processuale, così come proclamata dall’art. 111, comma 2, Costituzione. _______________ [1] Per riferimenti storici della disciplina del rimedio v. G. Spangher, La rimessione dei procedimenti, vol. I, precedenti storici e profili di legittimità costituzionale, Giuffrè 1984, p. 57 ss.; nonché L. Giuliani, Rimessione del processo e valori costituzionali ,Giappichelli 2002, p. 30 ss. [2] Cfr. M. Nobili, La procedura penale tra “dommatica” e sociologia: significato politico di una vecchia polemica, in La questione criminale, 1977, p. 51 ss. [3] A. Pizzorusso, La competenza del giudice come materia ricoperta da riserva di legge, in Giur. it., 1963, I, c. 1313 ss. [4] Corte Cost., 7 luglio 1962 n. 88 relativa all’incostituzionalità dell’art. 30 c.p.p. abr., in Giur. Cost.,1962., annotata da A. Micheli, In tema di illegittimità costituzionale della proroga della competenza in materia penale p. 960. Sui concetti di norma “formale” e “sostanziale” insiti nel precetto costituzionale in esame, cfr. A. Pizzorusso, La competenza del giudice, cit., p. 1313 ss. [5] M. Nobili, in Commento all’art 25 comma 1° Cost., in Commentario della Costituzione. Rapporti civili (art 24-26), a cura di G. Branca, p. 203 ss. [6] G. Spangher, La rimessione dei procedimenti, vol. I, cit., p. 169 ss., il quale osserva che “il generico riferimento al collettivo sospetto (legittimo) della rimessione sembrava suggerire il richiamo alla specificità del sospetto individuale della ricusazione, facendo confluire i confini tra i due istituti in una zona d’ombra dove finivano inevitabilmente per confondersi”. Per i casi più discussi di rimessione per “legittimo sospetto”, cfr., tra gli altri, Cass. Sez. I, 9 ottobre 1961, Durando, in Cass. pen., 1962, p. 45; Cass. Sez. I, 7 luglio 1961, Vasques, ivi, 1962, p. 44. [7]Fra i casi di rimessione per ordine pubblico che hanno suscitato maggior clamore; cfr., fra gli altri, Cass., Sez. I, 30 giugno, 1966, Mattalia, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1966, p. 1097 ss.; Cass., Sez. I, 13 ottobre 1972, Valpreda, in Foro. it., 1972, II, c. 489 (Processo per la strage di Piazza Fontana). [8] Cfr. Corte Cost. 27 aprile 1963 n. 50, annotata da G. Conso, La costituzionalità dell’art. 55 c.p.p. alla luce di una sentenza provvidenziale, in Riv. it. dir e proc. pen. 1963, p. 624, con cui la Consulta dichiara la perfetta compatibilità dell’art. 55 c.p.p. abr. [9] Per tutti, M. Nobili, in Commento all’art 25 comma 1° Cost. cit. [10] Per simile ricostruzione, cfr. G. Ichino, Precostituzione e naturalità del giudice nello spostamento di competenza per materia previsto dalla legge 14 ottobre 1974, n. 497. Nuove norme contro la criminalità, in Riv. it. dir e proc. pen, 1975, p. 574. A. A. Dalia, Sulla precostituzione del giudice naturale come fondamentale garanzia di certezza per l’imputato, con particolare riguardo ai rapporti tra la competenza penale dei consoli e dei comandanti di porto, in Riv. it. dir e proc. pen., 1965, p. 507; oppure da ultimo Id., L’imputato e suoi diritti, in Il giornale, 8 novembre 2002; E. Somma “Naturalità” e Precostituzione” del giudice cit., p. 827. [11] E. Zappalà, La ricusazione del giudice penale, Giuffrè, 1989, p. 10 ss.; G. Illuminati, La nuova disciplina della rimessione del processo, Francesco Caprioli (a cura di), Giappichelli, 2004, p. 61 ss. [12] L. Giuliani, Rimessione del processo, cit., p. 152 ss. [13] In realtà, era stata la stessa Corte Costituzionale che, pur avendo dichiarato, nella vicenda suddetta (nota 8), la legittimità dell’art. 55 c.p.p abr. aveva fornito indicazioni interpretative sulle formule dei presupposti applicativi della rimessione, essendosi accorta dell’eccessiva vaghezza delle stesse. In quella stessa occasione, attraverso un’interpretazione restrittiva delle condizioni legittimanti la rimessione, la Consulta affermava che la rimessione per ordine pubblico si sarebbe dovuta disporre “per gravi perturbamenti della pubblica tranquillità e pacifica convivenza dei cittadini, con pericolo per la sicurezza delle persone”; mentre la rimessione per legittimo sospetto doveva concretarsi quando con “mezzi diretti o indiretti, non esclusa la violenza nei riguardi delle persone che partecipano al processo si tenta di influire sullo svolgimento dello stesso”. I criteri hanno senz’altro esercitato un’influenza decisiva nella formulazione della fattispecie da parte del legislatore del 1989. [14] F. Cordero, Quando il sonno della ragione (giudiziaria) genera mostri, in Dir. giust., 2002, n. 30, p. 8, il quale afferma come il legislatore non avrebbe potuto esprimere meglio l’elemento di valutazione da cui far discendere eventualmente il trasferimento processuale: “la libertà di autodeterminarsi rappresenta l’optimum”; perciò meritano lodi i compilatori dell’art. 45 c.p.p.; era il solo modo in cui fossero definibili i presupposti della rimessione”. [15] In relazione a tale aspetto si dovette infatti registrare un progressivo cambiamento della disciplina originaria con conseguente adeguamento della stessa al dettato costituzionale. Una prima modifica, dovuta alla legge 15 dicembre 1972, n. 773, limitava la scelta ai giudici “compresi nel distretto della stessa Corte d’appello a cui appartiene il giudice competente, ovvero nel distretto di una Corte d’appello vicina”; infine la legge 22 dicembre 1980, n. 879, aveva previsto una regola analoga a quella attualmente vigente, mediante un rinvio al criterio automatico di attribuzione della competenza, in virtù del quale andava designato il giudice egualmente competente per materia del capoluogo del distretto della corte d’appello più vicina, tenuto conto “della distanza chilometrica ferroviaria e se del caso marittima”. Oggi, per la determinazione del giudice del rinvio, l’art. 45 c.p.p. rinvia all’art. 11c.p.p. [16] N. Galantini, Commento agli artt. 45-49, in Commentario del nuovo codice di procedura penale, diretto da E. Amodio-O. Dominioni, vol. I, Giuffrè, 1989, p. 270. [17] L. Giuliani, Rimessione del processo, cit. p. 203. [18] T. Rafaraci, La nuova disciplina della rimessione del processo, Giappichelli, 2004, p. 79 ss. [19] Cfr., per es., il disegno di legge d’iniziativa dei senatori Pera, Centaro ed altri, recante “norme di attuazione del principio costituzionale dell’imparzialità dei magistrati”, in Atti Senato XIII leg., Documenti, Disegni di legge e relazioni, doc. n. 4621, nel quale, fra l’altro, comparivano proposte dirette ad apportare modifiche alla sfera applicativa dell’istituto al fine proprio di ottenere un maggior potenziamento del principio d’imparzialità così come sancito dalla nuova disposizione costituzionale contemplata dall’art. 111 comma 2 Cost. Su tale linea si colloca anche la legge Cirami. [20] In questo senso, P. Ferrua, La rimessione per legittimo sospetto è legge, in Dir. giust., 2002 (40), p. 10. [21] Cirami, “Arrivare presto all’approvazione perché a Milano succedono cose strane”, in Corriere della Sera, 10 luglio 2002. [22] Cass. Sez. Un., 29 maggio 2002, Berlusconi, in Guida dir., 2002, n. 29, p. 80, con nota di E. Marzaduri, L’approvazione di un testo diverso dalla delega implica solo la responsabilità politica del governo. [23] V. Grevi, Un sorprendente dubbio delle Sezioni unite in tema di rimessione del processo: incostituzionale l’art. 45 c.p.p. per “difetto di delega” rispetto alla previsione del “legittimo sospetto”?, in Cass. pen., 2002, p. 3015 ss. [24] V. Grevi, Gravità delle situazioni locali perturbatrici del processo e “legittimo sospetto”: le Sezioni unite si orientano per una stretta interpretazione dei presupposti della rimessione, in Cass. pen., 2003, p. 2237 ss., [25] G. Illuminati, La nuova disciplina della rimessione del processo, cit., p. 76. [26] Ci si riferisce a Cass., Sez. Un., 27 gennaio 2003, Berlusconi, in Cass. pen., 2003, p. 2163, n. 627. [27] L. Giuliani, Rimessione del processo, cit., p. 412 ss. [28] M. Bargis, Richiesta di rimessione e vicende sospensive del processo, in La nuova disciplina della rimessione della rimessione, cit., p. 159. Commenta | Stampa | Segnala | Condividi |

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Per l'IRAP occorre sempre l'autonoma organizzazione (sezione: Giustizia)

( da "AltaLex" del 24-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Per l’IRAP occorre sempre l’autonoma organizzazione Cassazione civile , SS.UU., sentenza 26.05.2009 n° 12108 (Gaetano Reale) Commenta | Stampa | Segnala | Condividi L’art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997 stabilisce che “l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta (…) alla prestazione dei servizi” è presupposto dell’IRAP. Come è noto, la Corte costituzionale con la sentenza 156/2001 ha escluso dall’IRAP i professionisti, ossia i contribuenti individuali esercenti arti e professioni, che svolgono la loro attività senza organizzazione di capitali o lavoro altrui. Al contrario, la nozione di impresa si basa sul concetto di organizzazione. L’elemento organizzativo – si legge nella citata sentenza 156/01 § 9.2- è connaturato alla nozione stessa di impresa. Di conseguenza non è nemmeno ipotizzabile un’impresa senza organizzazione e quindi le imprese sono sempre soggette ad IRAP senza possibilità di dimostrare l’assenza di autonoma organizzazione. In un precedente intervento, avevo sottolineato il limite di validità di questa impostazione, che resta circoscritta solo ad una categoria di contribuenti, ossia ai lavoratori autonomi. Avevo anche anticipato la rilevanza della questione con riferimento alla figura dell’agente di commercio, stante una giurisprudenza piuttosto contrastante e incerta sul punto. In molti casi, infatti, gli agenti di commercio e i promotori finanziari ottenevano ragione da parte dei giudici cui si rivolgevano, benché rimanesse fuori discussione la questione preliminare se l’agente di commercio sia in generale un lavoratore autonomo, e come tale quindi produttore di reddito di lavoro autonomo, con tutto ciò che ne consegue in materia IRAP (debenza subordinata alla autonoma organizzazione; onere della prova dell’assenza della stessa a carico del contribuente, ecc.) oppure sia un imprenditore (e conseguente assoggettabilità all’IRAP senza necessità di accertare la presenza di autonoma organizzazione, atteso che l'elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, come chiarito dalla Cass. 2582/2008 e soprattutto da C. Cost. 156/2001). Ora, sulla questione, si sono pronunciate le SSUU della Cassazione con la sentenza 12108/09 del 26 maggio 2009, dirimendo – si spera una volta per tutte – la disparità di vedute esistente anche fra le sezioni semplici. Le SSUU partono dalla nota sentenza 156/2001 della Corte costituzionale e in particolare dalla considerazione che “9.2 – (…) L'assoggettamento all'imposta in esame del valore aggiunto prodotto da ogni tipo di attività autonomamente organizzata, sia essa di carattere imprenditoriale o professionale, è d'altro canto pienamente conforme ai principi di eguaglianza e di capacità contributiva - identica essendo, in entrambi i casi, l'idoneità alla contribuzione ricollegabile alla nuova ricchezza prodotta - né appare in alcun modo lesivo della garanzia costituzionale del lavoro. È tuttavia vero - come taluni rimettenti rilevano - che mentre l'elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l'attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un'attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui. Ma è evidente che nel caso di una attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione - il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto - risulterà mancante il presupposto stesso dell'imposta sulle attività produttive, per l'appunto rappresentato, secondo l'art. 2, dall'"esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi", con la conseguente inapplicabilità dell'imposta stessa.” Sulla base di tale considerazione, le SS.UU. sottolineano due punti: primo: che occorre distinguere la nozione di impresa e quella di lavoro autonomo e che tale distinzione deve essere tracciata sulla base della normativa IRAP e delle sue specifiche esigenze tributaristiche (cfr. §5 e 6 SS.UU. n. 12108/09); secondo: discende dal primo punto che occorre sempre verificare in concreto da parte del giudice di merito se ricorre il requisito dell’autonoma organizzazione; e detto requisito non solo potrebbe ricorrere nel caso di attività di lavoro autonomo, ma potrebbe anche mancare nel caso di attività imprenditoriale. La ratio decidendi della sentenza si richiama a precedenti della Corte costituzionale (n. 42/1980), in cui si sottolineava l’importanza di ancorare la tassazione a indici reali, concreti di ricchezza effettiva. In mancanza di un indice siffatto, la tassazione sarebbe incostituzionale. Quindi, non è sufficiente affermare che l’agente di commercio o il promotore finanziario esercita attività d’impresa per inferire sic et simpliciter che si tratti di attività assoggettata ad IRAP. È necessario, invece, esaminare se sussiste il presupposto impositivo a cui è subordinata la tassazione IRAP, ossia l’autonoma organizzazione. Ciò in quanto non solo è possibile ipotizzare così un’impresa senza organizzazione come un’attività autonomamente organizzata di lavoro autonomo; ma ciò che rende l’IRAP conforme a Costituzione è la produzione di un valore aggiunto da parte dell’organizzazione di capitale o lavoro altrui (cfr. §4 e 8). Del resto, nemmeno la normativa nazionale né quella comunitaria richiedono l’esistenza di una qualche organizzazione per l’esercizio dell’attività propria degli agenti di commercio o dei promotori finanziari (cfr. § 9). La conclusione inevitabile di tale ragionamento è che gli agenti di commercio, come pure i promotori, sono soggetti ad IRAP solo quando sussista il requisito dell’autonoma organizzazione. In definitiva, le SSUU hanno sposato un preciso orientamento della giurisprudenza della Quinta Sezione (cfr. § 5; ma anche della stessa Corte Suprema di Cassazione, in particolare v Cass. 3676/2007; 3678/2007 e 8177/2007). La quale esclude che l’attività d’impresa sia, per ciò solo, sempre organizzata e perciò assoggettata ad IRAP indipendentemente da ogni accertamento in fatto del presupposto dell’autonoma organizzazione, respingendo così la tesi per la quale l’IRAP è tout court dovuta per il solo fatto di esercitare un’attività rientrante nell’art. 2195 cod. civ.. Le SSUU hanno invece ritenuto costituzionalmente orientata la diversa interpretazione che postula una valutazione complessiva, caso per caso, dell’attività svolta dal contribuente, prendendo atto che nella realtà tale attività può assumere forme variabili dalla figura del lavoro dipendente, a quella d’impresa, passando anche per quella di lavoro autonomo. In conclusione, l’IRAP vuole colpire solo la grande impresa, dotata di una grande organizzazione spersonalizzata, nel senso cioè di essere in grado di svolgere l’attività produttiva del valore aggiunto, oggetto del tributo, anche in assenza del «titolare» ovvero anche quando muta la persona del titolare. Sarà a questo punto interessante verificare la validità della tesi assunta dalle SS.UU. anche nei confronti delle più tipica e diffusa struttura d’impresa in Italia, costituita da piccole società di persone o di capitali, formate dall’imprenditore e dai suoi familiari e dotate generalmente di una minima organizzazione, laddove il fattore «lavoro» personale e familiare prevale sul «capitale». (Altalex, 24 luglio 2009. Nota di Gaetano Reale) | irap | autonoma organizzazione | Gaetano Reale | SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Sentenza 26 maggio 2009, n. 12108 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO ...omissis... ha pronunciato la seguente SENTENZA ...omissis... SVOLGIMENTO DEL PROCESSO La controversia concerne l'impugnazione del silenzio rifiuto opposto dall'amministrazione all'istanza del contribuente che chiedeva il rimborso dell'RAP corrisposta per gli anni 1998, 1999, 2000 e 2001 in relazione allapropria attività di agente di commercio. La Commissione adita rigettava il ricorso, ma la decisione era riformata inappello, con la sentenza in epigrafe, sul presupposto che l'imposta possa essere applicata solo laddove sussista (e nella specie, il giudice di merito negava che sussistesse in concreto) una "abituale organizzazione" di capitale, beni strumentali e prestazioni di terzi. Avverso tale sentenza l'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione con unico motivo, illustrato anche con memoria. Il contribuente non si è costituito. La causa è chiamata innanzi a queste Sezioni Unite in quanto la Quinta Sezione civile della Corte, riscontrata l'esistenza di un contrasto di giurisprudenza interna alla Sezione sulla assoggettabilità ad IRAP dell'attività svoltadall'agente di commercio e dal promotore finanziario, con ordinanza n. 36 del 9 giugno 2008, rimetteva al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione, ritenuta anche di massima di particolare importanza, se i contribuenti le cui attività costituiscono "esercizio di impresa" ai sensi dell'art. 2195 c.c. (come nel caso di specie quella di "agente di commercio") possano essere considerati "lavoratori autonomi professionali" e, quindi, essere assoggettati ad IRAP, solo qualora sia accertata unaorganizzazione autonoma della loro attività, ovvero se lo debbano essere, comunque, "ontologicamente", in relazione al fatto che svolgono una delleattività considerate dal richiamato art. 2195 c.c.. MOTIVAZIONE 1. Con l'unico motivo di ricorso l'Agenzia delle Entrate denuncia violazionee falsa applicazione degli arti. 1742 e ss. cc, 2195 cc, 3, comma 144, L. n. 662 del 1996, 2, 3, 8, 27 e 36, D.Lgs. n. 446 del 1997. Ad avvisodell'amministrazione ricorrente occorre chiedersi se, per l'applicabilità dell'IRAP in relazione agli agenti di commercio eventualmente non organizzatim forma di impresa, «sia comunque necessario l'accertamento in fatto del presupposto della autonoma organizzazione», così come per i lavoratori autonomi: ed è questa, sinteticamente espressa, la questione che la Quinta Sezione civile ha sottoposto alla valutazione di queste Sezioni Unite. A tale domanda, secondo la parte ricorrente dovrebbe darsi risposta negativa. Non possono utilizzarsi, infatti, le conclusioni cui la giurisprudenza erapervenuta con riferimento agli agenti di commercio in merito all'applicazione dell'ILOR, in quanto tale imposta, pur essendo tra quelle sostituite con l'IRAP, aveva un diverso presupposto di imposizione, essendo: a) la prima, una imposta di carattere patrimoniale, destinata a colpire i redditi da capitaleo quelli ad essi assimilabili con esclusione dei redditi frutto esclusivo di attività lavorativa del soggetto, laddove quest'ultima sia esplicata senza unrequisito minimo di imprenditorialità; b) la seconda, una imposta a caratterereale, il cui presupposto è «costituito dall'esercizio abituale di un'attivitàautonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi». Tale presupposto sarebbe «ontologicamente presente» nell'attività dell'agente di commercio, il quale è un «intermediario autonomo dell'imprenditore commerciale», riveste egli stesso «la qualifica di imprenditore commerciale, ausiliario dell'imprenditore commerciale preponente, al quale non è vincolato da subordinazione» e su di lui «ricade il rischio economico e giuridico dell'attività di promozione di contratti per conto del preponente». Sottolinea, infine, la parte ricorrente chel'agente di commercio oltre ad essere iscritto nel Ruolo degli agenti dicommercio deve essere altresì iscritto «al registro delle imprese, obbligo riservato esclusivamente a chi svolge attività di natura commerciale». 2. Di fronte al problema posto dal ricorso, la posizione espressa dalla Quinta Sezione civile di questa Corte non è stata univoca.Pronunciando in ordine all'attività del promotore finanziario la Sezione, con la sentenza n. 3673 del 2007, ha cassato una sentenza, la quale aveva accolto l'istanza del contribuente, affermando che l'imposta è dovuta soltanto quando la combinazione di mezzi e persone prevalga sull'apporto del titolare,essendo tale da poter operare, e quindi produrre reddito, indipendentemente dall'attività personale di quest'ultimo, sulla base del seguente principio: «In tema di IRAP, anche alla stregua dell'interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, l'esistenza di un'autonoma organizzazione, che costituisce il presuppostoper l'assoggettamento ad imposizione dei soggetti esercenti arti o professioni indicati dall'art. 49, comma primo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, esclusi i casi di soggetti inseriti in strutture organizzative riferibili ad altruiresponsabilità ed interesse, non dev'essere intesa in senso soggettivo, come auto-organizzazione creata e gestita dal professionista senza vincoli di subordinazione, ma in senso oggettivo, come esistenza di un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui, risultante dall'aggregazione di beni strumentali e/o di lavoro altrui. Essa è riscontrabile ogni qual volta il professionista si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui, o impieghi nell'organizzazione beni strumentali eccedenti, per quantità o valore, il minimo comunemente ritenuto indispensabile per l'esercizio dell'attività, costituendo indice di tale eccedenza, fra l'altro, l'avvenuta deduzione deirelativi costi ai fini dell'IRPEF o dell'IVA, ed incombendo al contribuente che agisce per il rimborso dell'imposta indebitamente versata l'onere di provare l'assenza delle predette condizioni». Sempre con riferimento alla medesima attività, la Sezione, con la sentenzan. 8177 del 2007, ha affermato che: «In tema di IRAP, anche alla stregua dell'interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, l'assoggettamento ad imposta dell'attività di promotore finanziario postula una valutazione complessiva dell'attività svolta dal contribuente, la quale può assumere in concreto connotati variabili tra la figura del lavoro subordinato dipendente, esente da impo-sta, quella del lavoro autonomo, assoggettabile ad imposta solo in presenzadi un'autonoma organizzazione, e quella dell'attività d'impresa, pacificamente sottoposta ad imposizione». In tal modo si è evidenziata la necessità di procedere ad una valutazione caso per caso. Pronunciando in ordine alla attività di rappresentante di commercio, la Sezione, con la sentenza n. 7899 del 2007, ha affermato che: «In tema di IRAP, l'indagine circa l'esistenza di una struttura organizzativa idonea a realizzareun incremento potenziale della produttività derivante dalla mera autoorganizzazione del lavoro personale si impone esclusivamente in riferimento allavoro autonomo professionale, nel quale la prestazione personale del contribuente costituisce di regola l'elemento essenziale dell'attività, che puòben essere esercitata anche in assenza di un'autonoma organizzazione: essanon è pertanto necessaria ai fini dell'assoggettamento ad imposizione dell'attività di agente o rappresentante di commercio (ancorché operante in re-gime di contabilità semplificata), i cui redditi, riferendosi ad un'attivitàcommerciale secondo la previsione dell'art. 2195 cod. civ., sono per questasola circostanza qualificabili come redditi d'impresa». Emerge da queste pronunce una diversità di posizioni interpretative che simuovono tra i due opposti poli della valutazione caso per caso della situazione concreta del singolo agente di commercio o promotore finanziario alquale si riferisca l'imposizione e della soggezione tout court di tali soggettiall'imposta per il solo fatto di esercitare una delle attività ausiliarie indicatenell'art. 2195 c.c.. La questione è, con tutta evidenza, una questione di massima di particolareimportanza, in ragione delle conseguenze che possono derivare dal seguire l'una o l'altra ricostruzione del dato normativo. 3. La soluzione non può prescindere dalla interpretazione che della natura edella ratio dell'imposta ha dato la Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 21 maggio 2001. L'IRAP è stata istituita in base alla legge delega n. 662 del 1996 (art. 3, comma 143, lett. a) come imposta a carattere reale da applicare «in relazione all'esercizio di una attività organizzata per la produzione di beni o servizi, nei confronti degli imprenditori individuali, delle società, degli enti commerciali e non commerciali, degli esercenti arti e professioni, dello Stato edelle altre amministrazioni pubbliche». La base imponibile è determinata in base «al valore aggiunto prodotto nel territorio regionale», con modalità diverse a seconda dei soggetti incisi (art. 3, comma 144, lettere, a, be e). All'attuazione della delega ha provveduto il D.Lgs. n. 446 del 1997, il qualeprevede che l'imposta, a carattere reale e indeducibile ai fini delle imposte sui redditi (art. 1), abbia come presupposto, laddove non si tratti di attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato (ipotesi in cui l'imposta si applica in ogni caso), «l'esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi» (art. 2, come modificato dall'art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 137 del 1998).Tra i soggetti incisi dall'imposta sono collocate le persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate a norma dell'art. 5, comma 3, D.P.R. n. 917 del 1986, esercenti arti e professioni di cui all'art. 49, comma 1, del medesimo decreto (art. 3, comma 1, lettera e), ossia i lavoratori autonomi, la categoria di contribuenti rispetto alla quale è apparsa più discutibile la identificazione dei requisiti per l'applicabilità dell'imposta e più marcato il possibile contrasto della imposta stessa con i principi costituzionali di uguaglianza, di capacità contributiva e di tutela del lavoro, tanto da determinare l'intervento della Corte costituzionale. 4. Il giudice delle leggi, con la sentenza n. 156 del 2001, ha sancito la legittimità costituzionale dell'imposta osservando che «l'IRAP non è un'imposta sul reddito, bensì un'imposta di carattere reale che colpisce ... il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate», sicché «non riguardando la normativa denunciata la tassazione dei redditi personali, le censure (di illegittimità costituzionale) riferite all'asserita equiparazione deltrattamento fiscale dei redditi di lavoro autonomo a quello dei redditi di impresa risultano fondate su un presupposto palesemente erroneo». A giudizio della Corte costituzionale, «l'assoggettamento all'imposta in esame del valore aggiunto prodotto da ogni tino di attività autonomamente organizzata, sia essa di carattere imprenditoriale o professionale, è d'altrocanto pienamente conforme ai principi di eguaglianza e di capacità contributiva - identica essendo, in entrambi i casi, l'idoneità alla contribuzione ricollegabile alla nuova ricchezza prodotta - né appare in alcun modo lesivo della garanzia costituzionale del lavoro»: tuttavia, se «l'elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi perquanto riguarda l'attività di lavoro autonomo, ancorché svolto con caratteredi abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un'attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui». Ciò non determina l'illegittimità dell'imposta, ma solo la sua inapplicabilità «nel caso di una attività professionale che fosse svolta in assenza di elementidi organizzazione - il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto», perché «risulterà mancante il presupposto stesso dell'imposta sulle attività produttive, per l'appunto rappresentato, secondo l'art. 2 (D.Lgs. n. 446 del 1997, come modificato dall'art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 137 del 1998), dall'esercizio abituale diun'attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi». 5. Seguendo le linee tracciate dalla Consulta - la cui «sentenza dichiarativa dell'infondatezza della questione (di illegittimità costituzionale dell'IRAP),pur non essendo vincolante per il giudice chiamato successivamente ad applicare quella norma, rappresenta, per l'autorevolezza della fonte da cui proviene, un fondamentale contributo ermeneutico, che non può essere disconosciuto senza valida ragione» (v. Cass. n. 5747 del 2007), la Quinta Sezione civile della Corte di Cassazione ha affermato il principio, che il Collegio condivide, secondo cui «l'esercizio delle attività di lavoro autonomo di cuiall'art. 49, comma primo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nella versione vigente fino al 31 dicembre 2003) e all'art. 53, comma primo, del medesimo d.P.R. (nella versione vigente dal 1° gennaio 2004) è escluso dall'applicazione dell'imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell'autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qual-siasi forma, il responsabile dell'organizzazione, e non sia quindi inserito instrutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo Vid quod plerumgue accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell'imposta asseritamentenon dovuta dare la prova dell'assenza delle predette condizioni (Cass. n. 3676 del 2007). Questo orientamento coglie e valorizza l'elemento distintivo che il giudicedelle leggi ha tracciato, nella ricordata sentenza n. 156 del 2001, tra l'attività di lavoro autonomo che abbia i requisiti di "organizzazione" per essere legit-timamente incisa dall'imposta e l'attività di lavoro autonomo che tali requisiti non abbia; e cioè l'«organizzazione di capitali o lavoro altrui». Tuttavia, poiché la Corte costituzionale ha anche distinto, ai fini dell'applicazione dell'imposta, tra "impresa", nella quale l'elemento organizzativo sarebbe «connaturato», e "lavoro autonomo", rispetto al quale sarebbe necessario un accertamento caso per caso dell'esistenza di una «autonoma organizzazio-ne», resta ineludibile, per la soluzione del problema che qui interessa, accertare in base a quali criteri si possa dire che un determinato soggetto, rispettoal quale debba essere applicata l'imposta, sia definibile un "imprenditore" equando un "lavoratore autonomo". Invero, da un lato, il giudice delle leggi non definisce quando vi sia "impre-sa" e, dall'altro, solo «l'attività esercitata dalle società e dagli enti, compresigli organi e le arruninistrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta» (art. 2, comma 1, secondo periodo, D.Lgs. n. 446 del 1997), in quanto per le persone fisiche la soggezione all'imposta è subordinata all'«esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi» (art. 2, comma 1, primo periodo, del citato decreto). Orbene, poiché la persona fisica può svolgere le attività predette, sia come imprenditore indivi-duale, sia come lavoratore autonomo, purché ne risultino accertate le relativecondizioni, diventa essenziale verificare quale sia, tra il polo dell'impresa eil polo del lavoro autonomo, la collocazione dell'esercizio delle attività ausiliare di cui all'art. 2195 ce, nel cui quadro si collocano tanto l'agente dicommercio, quanto il promotore finanziario.6. In questa direzione non soccorre la nozione civilistica di "imprenditore" e di "lavoratore autonomo", perché su questo piano "imprenditore" è una categoria soggettiva, mentre "lavoratore autonomo" è una qualifica contrattuale", senza che tra l'una e l'altra possa darsi incompatibilità, ben potendo il"lavoratore autonomo" essere un "imprenditore". Diversa sembrerebbe essere la situazione se si fa riferimento alla «nozione tributaria" di "imprenditore" e di "lavoratore autonomo" che emerge dagli arti. 49 e 51, D.P.R. n. 917del 1986 (nel testo anteriore alla riforma del 2004, oggi arti. 53 e 55). Nel quadro della disciplina del Testo Unico sulle imposte dirette, il lavoroautonomo appare una nozione residuale, intendendosi per reddito di lavoroautonomo quel che non è reddito di lavoro dipendente (art. 46), né reddito diimpresa (art. 51), né reddito agrario (art. 29). L'art. 49, comma 1, dispone, infatti: «sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall'esercizio di arti e professioni. Per esercizio di arti e professioni si intende l'esercizioper professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle considerate nel capo VI» (il quale disciplina i redditidi impresa). L'art. 51, comma 1, a sua volta dispone: «Sono redditi d'impresa quelli che derivano dall'esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si intende l'esercizio per professione abituale,ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell'art. 2195 del codice civilee delle attività indicate alle lettere b) e e) del comma 2 dell'art. 29 che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma d'impresa». La formulazione normativa indica chiaramente che il legislatore, ai fini delleimposte sul reddito, ha dato rilevanza esclusivamente ad un profilo qualitativo, includendo nel reddito di impresa l'esercizio di tutte quelle attività cheabbiano natura oggettivamente commerciale, senza tener conto del profiloquantitativo, cioè proprio della dimensione organizzativa dell'attività, nella quale deve essere valutato il "peso" del lavoro personale dd soggetto, che quell'attività svolge, sull'impiego del capitale e sull'utilizzazione del lavoro altrui: tanto non sorprende, se si prende in considerazione la circostanza cheil citato art. 51 considera le attività indicate dall'art. 2195 cc. produttive direddito di impresa «anche se non organizzate in forma d'impresa». Ma a quel che è stabilito per le imposte sul reddito non può essere riconosciuta una efficacia condizionante ai fini dell'interpretazione di imposte, come è l'IRAP, che rispondono ad altri criteri e ad una diversa ratio impositiva. 7. Del resto, l'esigenza di radicare nell'ordinamento tributario una più rassi-curante distinzione tra "impresa" e "lavoro autonomo" è stata individuata dal giudice delle leggi fin dalla sentenza n. 42 del 1980, con la quale veniva dichiarata costituzionalmente illegittima la sottoposizione ad ILOR dei redditi di lavoro autonomo non assimilabili ai redditi di impresa. All'epoca,facendo riferimento all'art. 51, D.P.R. n. 597 del 1973, il cui contenuto nonera dissimile da quello dell'art. 51 T.U.I.R. (nella formulazione antecedentela riforma del 2004), la Corte costituzionale affermava: «allo stato attualedell'ordinamento tributario, che non può essere diversamente articolato dallaCorte stessa, la distinzione fra i redditi di lavoro e i redditi d'impresa dovràessere operata alla stregua dell'art. 51 del D.P.R. n. 597 del 1973: dal qualegià risulta un ampliamento della nozione d'impresa, rispetto ai criteri adottati nel codice civile». Ma esprimeva la propria insoddisfazione per lo statusquo, sostanzialmente suggerendo al legislatore di stabilire «nei limiti dellaragionevolezza - ulteriori criteri, specificativi di quelli dettati dall'art. 51». Allorché tornò ad occuparsi della legittimità costituzionale dell'ILOR proprio relativamente ai soggetti che svolgono le attività ausiliarie indicate nell'art. 2195 cc, come gli agenti di commercio, la Corte costituzionale, verificata la mancata realizzazione dell'invito già rivolto al legislatore - pur ribadendo di non essere «abilitata ad introdurre nella materia dell'imposta locale sui redditi - mediante pronunce di accoglimento parziale - nuove classificazioni dei tipi di reddito, interne rispetto a quelle operate o comunque considerate dalla legislazione tributaria» non poteva esimersi dal rilevare la peculiarità della fattispecie. Cosi essa affermò che «in presenza di "attività ausiliarie" come quella dei rappresentanti di commercio senza deposito,degli agenti di commercio, degli artigiani, dei procacciatori d'affari in cam-po assicurativo, si rende ancor più necessario, soprattutto ai fini dell'imposta locale sui redditi, verificare preliminarmente se ricorrano o meno i requisiti minimi perché si possa realmente parlare d'impresa, e non invece, di lavoro autonomo, onde evitare che la capacità contributiva correlata all'ILOR, siapresunta, nelle singole ipotesi, indipendentemente da ogni fondamento effettuale»: e ne affidava il compito alla interpretazione della concreta fattispecie da parte del giudice di merito. La strada non è diversa per quanto riguarda l'IRAP, la quale, pur essendo una imposta diversa dall'ILOR, presuppone, comunque e soprattutto allaluce delle indicazioni emergenti dalla sentenza n. 156 del 2001 della Corte costituzionale, che il lavoro autonomo possa essere legittimamente inciso solo qualora vi sia «organizzazione di capitali o lavoro altrui», ossia quandovi sia un quid pluris che ecceda il lavoro personale di colui che svolge l'attività di riferimento.8. Orbene, tenuto conto che la Corte costituzionale ha più volte affermato che «le presunzioni tributarie non sono di per sé illegittime, ma debbono fondarsi su "indici concretamente rivelatori di ricchezza" ovvero su "fattireali", quand'anche difficilmente accertabili, affinché l'imposizione non abbia una «base fittizia"» (v. Corte cost. n. 42 del 1980), deve prendersi attoche esiste tra il "territorio dell'impresa" e il «territorio del lavoro autonomo" un'area grigia, una linea mobile di confine, rappresentata dallo svolgimento delle attività ausiliarie di cui all'art. 2195 cc, le quali, pur essendo ai fini delle imposte sul reddito considerate produttive di reddito d'impresa, posso-no essere (e spesso sono) svolte dal soggetto senza «organizzazione di capitali o lavoro altrui». Se, infatti, si considerassero ai fini IRAP queste attività tout court "attività di impresa", l'imposta non troverebbe corrispondenza nella sua ratio, e finirebbe per colpire una "base fittizia", un "fatto non reale", in contraddizione con una interpretazione costituzionalmente orientata del presupposto impositivo. Non è, infatti, la oggettiva natura dell'attività svolta ad essere alla base dell'imposta, ma il modo - autonoma organizza-zione - in cui la stessa è svolta, ad essere la razionale giustificazione di una imposizione sul valore aggiunto prodotto, un quid che eccede il lavoro personale del soggetto agente ed implica appunto organizzazione di capitalio lavoro altrui»: se ciò non fosse, e il lavoro personale bastasse, l'imposta considerata, non solo non sarebbe vincolata all'esistenza di una «autonoma organizzazione», ma si trasformerebbe inevitabilmente in una sostanziale "imposta sul reddito". 9. D'altro canto la legge non esige l'esistenza di una particolare struttura perlo svolgimento dell'attività dell'agente di commercio e del promotore finanziano. Secondo la legge regolatrice «l'attività di agente di commercio si intendeesercitata da chiunque venga stabilmente incaricato da una o più imprese dipromuovere la conclusione di contratti in una o più zone determinate» (art. 1, comma 1, L. n. 204 del 1985). In modo non dissimile si esprime la Direttiva comunitaria n. 86/653/CEE secondo la quale per "agente commerciale" si intende la persona che, in qualità di intermediario indipendente, è incaricata in maniera permanente di trattare per un'altra persona, qui di seguito chiamata "preponente", la vendita o l'acquisto di merci, ovvero di trattare edi concludere dette operazioni in nome e per conto del preponente» (art. 1, comma 2). Si tratta di una «attività professionale» (terminologia utilizzatnella direttiva europea) consistente in una prestazione d'opera per l'esercizidella quale non è necessitata una struttura d'impresa, né valgono a supportare una "presunzione" in questo senso né l'assunzione del rischio per la conclusione del contratto (peraltro, il "rischio" non è elemento normativamente considerato né dalla legge nazionale, né dalla direttiva europea), né il paga-mento a provvigione (che può, d'altro canto essere strutturato anche in unaparte fissa ed una parte variabile): entrambi gli elementi attengono alla modalità della "retribuzione" e al legame che viene stabilito dalle parti tra l'obbligazione assunta e il risultato conseguito. Ma ciò non determina necessariamente la trasformazione dell'attività professionale in attività di impresa, come non lo determinata l'obbligatorietà dell'iscrizione in un determinato ruolo (tenuto presso le Camere di Commercio, art. 2, comma 2, L. n. 204 del 1985 e D.M. 21 agosto 1985), previsione non dissimile dall'iscrizione adalbi per lo svolgimento di altre specifiche attività professionali e che, comunque, non può, nel caso di specie, determinare, pena il conflitto con la ricordata direttiva europea, la nullità di un contratto concluso da un soggettonon iscritto (Corte Giustizia Europea, sentenza Bellone del 13 luglio 2000, C-456/98, e sentenza Caprini del 6 marzo 2003, C-485/01). Non dissimile è la situazione del promotore finanziario, il quale è definitodalla legge come «la persona fisica che, in qualità di agente collegato ai sensi della direttiva 2004/39/CE (ossia «persona fisica o giuridica che, sotto lapiena e incondizionata responsabilità di una sola impresa di investimentoper conto della quale opera, promuove i servizi di investimento e/o servizi accessori presso clienti o potenziali clienti, riceve e trasmette le istruzioni ogli ordini dei clienti riguardanti servizi di investimento o strumenti finanziari, colloca strumenti finanziari e/o presta consulenza ai clienti o potenziali clienti rispetto a detti strumenti o servizi finanziari»), esercita professionalmente l'offerta fuori sede come dipendente, agente o mandatario» (art. 31, comma 2, D.lgs. n. 58 del 1998, come sostituito dall'art. 6, D.Lgs. n. 164 del 2007). E anch'egli, alla stregua di altri professionisti è iscritto ad un apposito albo (art. 31, comma 4, D.lgs. n. 58 del 1998, come sostituito dall'art. 14, L. n. 262 del 2005: albo tenuto dal 1 gennaio 2009, dall'Organismoper la tenuta dell'Albo unico dei promotori finanziari, sulla base del regola-mento CONSOB n. 16190 del 2007, art. 91 ss.). 10. Pertanto, anche con riferimento all'agente di commercio e al promotore finanziario (quest'ultimo per l'ipotesi che lo stesso non sia un "lavoratore dipendente", come è possibile che egli sia alla luce dell'art. 31, comma 2, D.lgs. n. 58 del 1998) deve essere ribadito il principio che la soggezione ad IRAP della loro attività è possibile solo nell'ipotesi nelle quali sussista il requisito dell'autonoma organizzazione che costituisce accertamento di fatto spettante al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Deve essere quindi affermato il seguente principio di diritto: «In tema di IRAP, a norma del combinato disposto degli arti. 2, coma 1,primo periodo, e 3, comma 1, lettera e), del digs. 15 dicembre 1997, n. 44, l'esercizio delle attività di agente di commercio, di cui all'art, art. 1, L. n. 204 del 1985, e di promotore finanziario di cui all'art. 31, comma 2, D.Lgs. n. 58 del 1998, è escluso dall'applicazione dell'imposta soltanto qualora sitratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell'autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo Vid quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell'imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell'assenza delle predette condizioni». 11. Nel caso di specie, tale accertamento è stato condotto dal giudice di merito il quale è giunto alla conclusione che «il contribuente risulta esercitare l'attività di rappresentante di commercio con l'esclusivo apporto del proprio impegno, senza l'ausilio di rilevanti mezzi specifici, di capitali e/o prestazioni lavorative di terzi, situazione peraltro non contestata dall'Ufficio». Tale accertamento di fatto non è oggetto di censura nel ricorso nel quale si so-stiene esclusivamente la soggezione ontologica dell'agente di commercio all'imposizione sul valore aggiunto prodotto. Pertanto il ricorso deve essere rigettato. La novità della questione giustificala compensazione delle spese della presente fase del giudizio. P.Q.M. LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso. Compensa le spese. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 maggio 2009. Commenta | Stampa | Segnala | Condividi |

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È illegittima la riduzione del fuori ruolo (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 25-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-25 - pag: 23 autore: PROFESSORI è illegittima la riduzione del fuori ruolo La Corte costituzionale, con sentenza 236/09, ha dichiarato illegittima la norma che riduce la durata del collocamento fuori ruolo per i professori universitari che stanno svolgendo tale periodo. Si tratta dell'articolo 2, comma 434, della legge 244/07. La Corte riconosce la discrezionalità del legislatore di cancellare il periodo di fuori ruolo, per agevolare il ricambio generazionale. Tuttavia, questo obiettivo non può tradire il principio di affidamento nella sicurezza giuridica di quanti stanno svolgendo il periodo di fuori ruolo, che viene progressivamente ridotto da tre a un anno, finoall'abolizionedal1Úgennaio 2010. Questa norma, secondo la Corte costituzionale, impone un sacrificio ai docenti coinvolti, senza salvaguardare, per il numero ridotto dei professori, gli equilibri di bilancio. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Nessuna penalità automatica alle regioni (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 25-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-25 - pag: 24 autore: Comunità montane Nessuna penalità automatica alle regioni ROMA La Corte costituzionale spazza via la parte "automatica" della stretta impressa nel 2008 dal Governo Prodi alle comunità montane. I giudici della Consulta, con la sentenza n. 237 depositata ieri, hanno infatti accolto alcuni rilievi sollevati dalle regioni Toscana e Veneto e dichiarato incostituzionali il comma 20,l'ultimo periodo del comma 21 e il comma 22 dell'articolo 2 della Finanziaria 2008 (legge 244 del 2007). Le regioni, in verità, avevano messo sotto accusa l'intera sezione della manovra (i commi da 17 a 22) con le disposizioni che avevano previsto il riordino delle comunità montane con l'obiettivo di ridurre, a regime, la spesa corrente per il loro funzionamento almeno di un terzo rispetto al 2007. Secondo Toscana e Veneto, infatti, le norme statali erano lesive della loro potestà legislativa e lo stato non era legittimato ad adottarle. La Consulta ha però accolto solo in parte le censure. I giudici, infatti, hanno salvato la sostanza delle restrizioni, bocciando le critiche ai commi 17 (che ha imposto alle regioni di riordinare le comunità montane riducendo la spesa), 18 (che ha fissato i criteri per le leggi regionali) e 19. Mentre è stata dichiarata incostituzionale la parte "automatica" della stretta. Vale a dire la soppressione – automatica appunto – (contenuta nei commi 20, 21 e 22) delle comunità montane prive di determinati requisiti (come avere almeno metà dei comuni situati per l'80% almeno a 500 metri sul livello del mare) nelle regioni che non avessero provveduto da sé al riordino. V. M. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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La Consulta corregge il Codice dell'ambiente (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 25-07-2009)

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Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-25 - pag: 24 autore: Raffica di censure sulle disposizioni di salvaguardia La Consulta corregge il Codice dell'ambiente Gugliemo Saporito La Corte costituzionale riscrive, in parte, il Codice dell'ambiente con un pacchetto di sentenze di illegittimità. Da qui l'opportunità di una rapida ricognizione degli effetti dell'intervento della Consulta. Sui bilanci dell'Autorità di ambito la Corte (sentenza 246/2009) elimina la norma (articolo 148, comma 3 del decreto legislativo 152 del 2006) nella parte in cui prevede l'obbligo di affissione dei bilanci. Si tratta, infatti, di una disciplina di minuto dettaglio, che regola una specifica modalità di pubblicità. Ciò, secondo la Corte, incide sulla materia dei servizi pubblici locali, senza che possano essere invocate competenze statali quali la tutela della concorrenza o la tutela dell'ambiente. La norma eccede, quindi, le competenze statali perchè non è necessario che lo Stato si spinga fino a disciplinare dove e come debbano essere pubblicati i bilanci delle Autorità d'ambito. L'articolo 241 del decreto legislativo 152/2006 è inciso dalla sentenza 247, in quanto emerge una violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni. La materia della bonifica dei siti contaminati si colloca nell'ambito della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, di esclusiva competenza statale: tuttavia la bonifica delle aree adibite alla produzione agricola o all'allevamento del bestiame, ha aspetti peculiari, con una normativa differenziata. Questo motiva il coinvolgimento, nell'emanazione del regolamento relativo agli interventi nelle aree di produzione agricola, sia del ministro delle Attività produttive che di quello delle Politiche agricole e forestali, chiamati a esprimere il "concerto". E nel concerto volto alla adozione di regolamenti, la bonifica dei siti e l'agricoltura, sono collegati, al punto da esigere una leale collaborazione e l'apporto partecipativo delle Regioni. Queste ultime hanno, infatti, una competenza legislativa residuale, con specifiche attribuzioni, costituzionalmente tute-late, in tema di agricoltura e zootecnia. Da questo deriva la necessità che le regioni, in sede di adozione del regolamento emanato dal ministro dell'Ambiente non solo di concerto con quelli delle Attività produttive e delle Politiche agricole, siano sentite attraverso la Conferenza unificata. Quest'ultima è, infatti, il luogo giuridico istituzionalmente preposto ai momenti di concertazione fra Stato, Regioni ed enti locali. Cade, poi, per effetto della sentenza n. 249/2009, l'articolo 199, comma 93 del decreto legislativo 152/2006, nella parte in cui attribuisce allo Stato (ministero dell'Ambiente) un potere sostitutivo nel caso in cui le autorità competenti non realizzino gli interventi previsti dal piano regionale di gestione dei rifiuti, tutte le volte che tali omissioni possano arrecare un pregiudizio all'attuazione del piano. Emerge, infatti, un contrasto con gli articoli 117, 118 e 120 della Costituzione, che fondano un potere sostitutivo dello Stato su enti locali e in materie di competenza regionale. Ambiti nei quali il potere sostitutivo avrebbe dovuto essere riconosciuto, in via preliminare, alle Regioni. Secondo il giudice delle leggi, l'articolo 118 della Costituzione attribuisce in via di principio ai Comuni, in tutte le materie, le funzioni amministrative, ma riserva la possibilità che tali funzioni, per esigenze di unitarietà, siano conferite, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, ai livelli territoriali di governo di dimensioni più ampie. In conseguenza, la previsione di eccezionali sostituzioni di un livello a un altro per il compimento di specifici atti, considerati dalla legge necessari per il perseguimento degli interessi unitari coinvolti, e non compiuti tempestivamente dall'ente competente spettano alla legge regionale, che deve prevedere anche l'esercizio di funzioni amministrative di competenza dei Comuni, comprensive di poteri sostitutivi in capo a organi regionali, per il compimento di atti o attività obbligatorie, nel caso di inerzia o di inadempimento da parte dell'ente competente. Poichè la norma statale prevede l'intervento sostitutivo dello Stato qualora Comuni, Province e, per quanto attiene ai rifiuti urbani, le cosiddette Autorità d'ambito,non realizzino gli interventi del piano regionale di gestione dei rifiuti, nei termini e con le modalità nello stesso stabilite, si genererebbe una sostituzione statale in danno della regione con lesione delle sue attribuzioni. Infine, la sentenza n. 250 sottrae allo Stato una competenza in materia di formazione professionale (articolo 287, comma 1 del decreto 152/ 2006), poichè tale competenza spetta alle regioni. La conduzione di impianti termici civili avviene attraverso personale abilitato: non spetta, però, all'Ispettorato provinciale del lavoro il compito di rilasciare il patentino di abilitazione, ma alle regioni. Questi enti hanno, infatti, competenza in tema di rilascio dell'abilitazione alla conduzione di impianti termici civili compresa l'istituzione dei relativi corsi di formazione. © RIPRODUZIONE RISERVATA LE PRONUNCE Al centro delle decisioni la ripartizione delle competenze fra gli enti territoriali I RIFIUTI Stop ai poteri sostitutivi dello Stato nel caso di mancata attuazione del piano regionale

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Concerto sul suolo (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 25-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-25 - pag: 24 autore: «Concerto» sul suolo Autorità di bacino Il Codice dell'ambiente, decreto legislativo 152/2006, sopprime le autorità di bacino e istituisce le autorità distrettuali: secondo le regioni esse costituirebbero una sorta di amministrazione decentrata dello Stato, con partecipazione minoritaria delle regioni ma la Corte costituzionale –sentenza 232 – ritiene che i piani di bacino sono il fondamentale strumento di pianificazione di difesa del suolo e delle acque. «Gli interessi regionali risultano adeguatanebte tutelati dalla forma di collaborazione previsa dal Codice» Il programma di intervento Produce effetti nella materia del governo del terriroria, che ricade sotto la competenza legislativa concorrente. Per questo la Corte costituzionale – sempre con la sentenza 232 – ritiene illegittima la norma del Codice dell'ambiente là dove non prevede il parere della Conferenza unificata Difesa del suolo Gli interventi in materia di difesa del suolo appartengono – rileva la Corte costituzionale – alla materia della tutela dell'ambiente e hanno riflessi significativi sull'esercizio delle attribuzioni regionali in materia di governo del territorio. Il principio di leale collaborazione «impone un coinvolgimento delle Regioni e la norma va dichiarata illegittima nella parte in cui non stabilisce che la programmazione e il finanziamento degli interventi in difesa del suolo avvengano quando è stata sentita la Conferenza unificata

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Accertamento valido anche se prematuro (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 25-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-25 - pag: 24 autore: Sì a notifiche prima di 60 giorni dal Pvc Accertamento valido anche se prematuro è manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale della norma dello Statuto del contribuente (articolo 12, comma 7 della legge 212/2000) che, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, impone agli uffici tributari di non notificare l'avviso di accertamento prima del decorso dei 60 giorni, anche se non è prevista una sanzione di nullità in caso di mancato rispetto del termine da parte del Fisco. Lo ha affermato la Corte costituzionale, con la sentenza 244 depositata ieri. Per la Consulta la norma non lede alcun principio costituzionale, tanto meno gli articoli 24 e 111 che esigono il rispetto di principi processuali. La norma censurata, infatti, è diretta a regolare il procedimento di accertamento tributario e non ha natura processuale. La disposizione denunciata di incostituzionalità, nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, stabilisce che, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro 60 giorni osservazioni e richieste che sono valutate dall'agenzia delle Entrate. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del termine, «salvo casi di particolare e motivata urgenza ». Per il giudice delle leggi, però, il fatto che non sia prevista una sanzione ad hoc in caso di inosservanza del termine da parte dell'amministrazione finanziaria non pone la norma in contrasto con la Costituzione. Se. Tro. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Sulla tariffa rifiuti parola ai giudici fiscali (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 25-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-25 - pag: 24 autore: Corte costituzionale. Risolto il nodo-competenza Sulla tariffa rifiuti parola ai giudici fiscali Sergio Trovato La tariffa rifiuti è un'entrata tributaria. Quindi, non è in contrasto con la Costituzione la norma che ha attribuito al giudice tributario la competenza a decidere in caso di contestazioni degli atti emanati dai Comuni o dai soggetti affidatari. Lo ha stabilito la Corte costituzionale (presidente Amirante, redattore Franco Gallo), con la sentenza 238 depositata ieri. La Consulta mette così la parola fine alla questione riguardante la natura della Tia (tariffa d'igiene ambientale),che ha creato un contrasto giurisprudenziale tra i giudici sia di merito sia di legittimità. Per il giudice di pace di Catania e la Commissione provinciale di Prato, che hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale, si tratterebbe di un prelievo di natura non tributaria, ma privatistica. Quindi, trattandosi di un corrispettivo contrattuale, sarebbe in contrasto con la Costituzione la disposizione (articolo 2 del decreto legislativo 546/1992, come modificato dall'articolo 3 bis della legge 248/2005) che demanda alle Commissioni tributarie il potere di decidere sulle relative controversie. Per i giudici costituzionali, invece, le caratteristiche strutturali e funzionali della Tia «rendono evidente che tale prelievo presenta tutte le caratteristiche del tributo» e che, pertanto, «non è inquadrabile tra le entrate non tributarie, ma costituisce una mera variante della Tarsu» conservando la qualifica di tributo propria di quest'ultima. Del resto, prima della recente rimessione della questione alla Corte costituzionale da parte delle Sezioni unite, anche la prima sezione civile della Corte di cassazione, con la sentenza 5298 del 5 marzo 2009, ha affermato che la tariffa rifiuti è un'entrata tributaria perché non costituisce il corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta dal cittadino. Quindi, in caso di mancato pagamento della somma dovuta dal contribuente, il credito può essere insinuato nel passivo fallimentare e gode del privilegio speciale che l'articolo 2752 del Codice civile assicura ai tributi locali. In effetti, il presupposto della Tia è l'occupazione o conduzione di locali o aree scoperte a uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali, a qualsiasi uso adibiti, nel territorio comunale. I costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti giacenti su strade e aree pubbliche e soggette a uso pubblico devono essere coperti dai Comuni con l'istituzione di una tariffa, composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio e da una quota rapportata a quanti-tà di rifiuti conferiti, servizio fornito e costi di gestione. Tuttavia, è necessario che il servizio venga effettuato a prescindere dalla domanda dell'utente e deve essere finanziato in base al principio di capacità contributiva. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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I TEDESCHI E L'EUROPA FINE DELL'AMBIGUITÀ (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 25-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Lettere al Corriere data: 25/07/2009 - pag: 37 Risponde Sergio Romano I TEDESCHI E L'EUROPA FINE DELL'AMBIGUITÀ La sentenza del 30 giugno della Corte Costituzionale tedesca sulla compatibilità della Costituzione della Germania con il trattato di Lisbona è stata inizialmente accolta con favore negli ambienti politici di Berlino e Bruxelles. Tuttavia, a seguito di un più attento esame, sono emersi parecchi dubbi, a causa degli ostacoli che essa pone sulla strada della integrazione europea. Leggo sulla Süddeutsche Zeitung dell'11 luglio un articolo di Alfred Grosser secondo il quale la sentenza è una pietra tombale sul ruolo propulsivo che la Germania ha avuto in Europa da Adenauer fino a oggi. È verosimile? Potrebbe spiegare quale impatto avrà la sentenza della Corte tedesca? Mario Gerolimetto mantese@iuav.it Caro Gerolimetto, A lfred Grosser, emigrato in Francia negli anni Trenta, è uno dei migliori conoscitori della Repubblica federale e della sua storia istituzionale. I suoi timori non mi sorprendono. Giudizi altrettanto preoccupati e molti interrogativi sono stati formulati in Italia da Antonio Padoa Schioppa, da Giuseppe Guarino sul Corriere del 19 luglio, e da Riccardo Perissich, collaboratore di Altiero Spinelli e autore di un libro su «L'Unione Europea» apparso un anno fa presso Longanesi. Molti hanno accolto con un sospiro di sollievo l'approvazione del testo del Trattato di Lisbona, ma hanno letto con inquietudine la parte della sentenza in cui la Corte ricorda che il cuore della democrazia tedesca è il suo parlamento e che il governo delle Repubblica federale non potrà ratificare prima di avere sottoposto al Bundestag una legge che ne rafforzi le competenze e lo metta in condizione di vigilare su ogni ulteriore trasferimento della sovranità nazionale. Come dice Perissich, la Corte avverte il governo «che l'estensione delle competenze dell'Unione ha raggiunto materie per cui la Germania non può consentire ulteriori deleghe di sovranità senza rischiare il sovvertimento delle garanzie che la costituzione dà al popolo tedesco». Perissich pensa che queste posizioni riflettano gli umori euroscettici di questi ultimi anni e teme che la sentenza finisca per fornire argomenti e alibi a tutti coloro che vogliono boicottare il processo d'integrazione europea. Eppure la sentenza potrebbe avere qualche effetto positivo. In uno dei suoi passaggi i giudici osservano che l'Ue ha allargato la sfera dei propri poteri sino ad avere una forma che corrisponde, in alcuni settori, a quella di uno Stato federale. Ma i suoi processi decisionali e il modo con cui vengono scelte le sue cariche restano quelli di una organizzazione internazionale e appartengono al dominio del diritto internazionale. Fino a quando la legittimità democratica delle istituzioni dell'Ue non sarà garantita da un popolo europeo, il potere deve quindi restare saldamente nelle mani degli Stati membri. In Germania, dice la Corte, l'ingresso in uno Stato federale richiederebbe un nuova costituzione, priva di quelle regole che oggi impediscono la rinuncia alla sovranità nazionale. Non sarà facile naturalmente persuadere i tedeschi a modificare la loro costituzione. Ma la Corte ha il merito di avere messo in evidenza l'anomalia di una istituzione che assomiglia a certi animali mitologici, per metà uomini e per metà animali. L'Ue non può continuare a essere indefinitamente un ibrido fra Stato federale e organizzazione internazionale. Se non vuole rinunciare alla moneta unica, al mercato unico, alla politica agricola comune e alla politica commerciale comune, dovrà uscire da questa ambiguità e fare una chiara scelta costituzionale.

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Nozze fra due donne I giudici: "No per legge" (sezione: Giustizia)

( da "Stampa, La" del 26-07-2009)

Argomenti: Giustizia

TRIBUNALE DI SALUZZO. COPPIA DI MARENE Nozze fra due donne I giudici: "No per legge" [FIRMA]ANDREA GARASSINO SALUZZO Niente matrimonio tra due donne a Marene. Sarebbe stato il primo celebrato in Italia, ma l'autorità giudiziaria si è pronunciata in senso contrario. La coppia, nei mesi scorsi, aveva chiesto in municipio la pubblicazione per la celebrazione del matrimonio civile. Il funzionario comunale, però, aveva bocciato l'istanza e le due fidanzate si erano rivolte al Tribunale di Saluzzo, raccogliendo l'appello della dell'associazione «Certi Diritti» che, insieme a «Rete Lanford», promuove la campagna «Affermazione civile» per il diritto al matrimonio degli omosessuali. I giudici saluzzesi, nei giorni scorsi, hanno depositato la sentenza che respinge il ricorso delle due fidanzate marenesi. «Per il Tribunale - ha spiegato l'avvocato che si è occupato della vicenda delle due donne, Michele Potè di Torino - deve essere il legislatore a decidere in materia. Le clienti non sono soddisfatte di questo pronunciamento e pertanto, entro il 31 luglio, presenteremo un reclamo alla Corte d'Appello». L'avvocato Potè ha aggiunto: «Speravamo che i giudici saluzzesi aderissero almeno alla seconda domanda dell'istanza, che prevedeva di rimettere gli atti alla Corte Costituzionale come ha fatto, invece, in un'altra situazione il Tribunale di Venezia». La Procura di Saluzzo, con il pubblico ministero Maurizio Ascione, prima in Italia secondo «Rete Lanford», non aveva appoggiato il diniego del Comune, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, e non si era neanche opposto alla celebrazione del matrimonio. Il magistrato si era rimesso alla decisione dei giudici.

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Telecamere in piazzaVittorio (sezione: Giustizia)

( da "Stampa, La" del 27-07-2009)

Argomenti: Giustizia

LA CORTE COSTITUZIONALE REINTEGRA I DOCENTI CHE USUFRUIVANO DEL FUORI RUOLO IL GRANDE FRATELLO All'interno COMUNEAPPARECCHI IN FUNZIONE 24 ORE SU 24 DA SETTEMBRE, SERVIRANNO ANCHE PER LA SICUREZZA Il ritorno di 30 prof di 72 anni «Nelle scuole l'amianto è sotto controllo» In città più di 10 mila occhi indiscreti Telecamere in piazzaVittorio Alessandro Mondo Dopo l'inchiesta sui 27 morti parla l'assessore: solo 4 istituti da bonificare Servizio Sei occhi elettronici immortaleranno chi parcheggia l'auto in divieto Telecamere contro gli abusivi della sosta in piazza Vittorio. Sei occhi elettronici a sorvegliare, 24 ore su 24, gli automobilisti più incivili che, infischiandosene del divieto permanente di sosta su tutta la piazza, abbandonano uno sciame di vetture (ad alto tasso di Suv) lungo i portici, arrivando addirittura a spostare le piramidi di cemento pesanti come macigni pur di parcheggiare. «È l'ultima chance, l'unico accorgimento che potrà produrre risultati veri - ha spiegato ieri l'assessore ai Vigili urbani Domenico Mangone - in capo a un mese ne sistemeremo una ad ogni esedra, in grado di immortalare le targhe di chi non potrebbe lasciare l'auto in quella piazza. Saranno molto ben segnalate e al momento rappresentano l'unica forma di dissuasione in grado di stroncare il fenomeno». Ci sono voluti parecchi mesi, ma adesso siamo alla decisione: qualche giorno fa il comandante del Corpo di via Bologna, Mauro Famigli, insieme con il direttore della Divisione nuove tecnologie Sandro Golzio, ha fatto un primo sopralluogo in piazza Vittorio. Emanuela Minucci A PAGINA 48

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Reintegrati i prof over 70 In pensione i più giovani (sezione: Giustizia)

( da "Stampa, La" del 27-07-2009)

Argomenti: Giustizia

RIENTRO DI MASSA il caso Rinviato il ricambio generazionale Norma incostituzionale: i "fuori ruolo" rientrano in cattedra Al Politecnico sono 28 Apripista con il ricorso è stato Roberto Pomè ANDREA ROSSI Reintegrati i prof over 70 In pensione i più giovani Non pensavo di sollevare un simile polverone, però sono contento: quell'articoletto imboscato nella Finanziaria era ignobile». L'ultima beffa per l'Università italiana è nata dal gesto di rabbia di un professore. Un anno fa Girolamo Cotroneo, 74 anni, docente di Storia della Filosofia all'università di Messina, ha ricevuto una lettera dal suo ateneo. «Diceva che il mio periodo di "fuori-ruolo" sarebbe terminato in anticipo. Mi mandavano in pensione. E io ho reagito». Il fuori ruolo - il triennio aggiuntivo di insegnamento concesso ai docenti di 72 anni - è stato abolito dalla Finanziaria 2007, con effetto retroattivo. Le università nell'ultimo anno hanno così mandato in pensione 1500 docenti tra 72 e 75 anni che avevano già chiesto e ottenuto di mantenere la cattedra per altri tre anni. Tutto bene, finché il professor Cotroneo ha fatto ricorso. «Ero indignato. Andarmene dopo 40 anni, non mi sarebbe costato nulla. Ma non si cambiano le regole in corsa». Si è rivolto al Tar di Catania, che lo scorso autunno gli ha dato ragione rinviando la «leggina» incriminata alla Corte Costituzionale. Centinaia di «baroni» tra 72 e 75 anni hanno fatto altrettanto. E sono stati reintegrati . Adesso anche la Consulta si è pronunciata: la norma è incostituzionale, a quei docenti andava consentito di terminare i loro tre anni di «fuori ruolo». Succederà anche a Torino: al Politecnico, ma soprattutto all'Università dove, il primo novembre del 2008, 28 docenti sono stati mandati a casa dall'oggi al domani. Tanti hanno seguito l'esempio del professor Cotroneo e si sono rivolti al Tar. Apripista, in realtà, è stato un docente del «Poli», Roberto Pomè, seguito a ruota dai giuristi Sergio Chiarloni e Marino Bin e dal sociologo Guido Sertorio, tutti reintegrati più tardi. Come Giorgio Cerruti di Castiglione e Valeria Ramacciotti, professori di Letteratura Francese a Lingue e l'economista Giorgio Pellicelli. Un'ondata. Altro che il tanto declamato esodo dei baroni. «Hanno cacciato a pedate nel sedere centinaia di docenti e adesso ne pagano le conseguenze», esulta Antonino Liberatore, presidente dell'Unione sindacale dei professori universitari di ruolo. «La colpa è dei rettori e della loro foga nel ripianare i bilanci in rosso. Hanno fatto pressione sul governo di allora (Prodi, ndr) per mandare in pensione anticipata i docenti, calpestando i loro diritti. Un'azione dissennata». «Era un legge fatta male. A forza di andare avanti per imposizioni succede di emanare norme frettolose che si ritorcono contro chi le ha volute», aggiunge Mimmo Pantaleo, segretario nazionale della Cgil-Flc. Il paradosso è che gli atenei con le casse vuote, sfruttando una legge dello scorso anno, a ottobre cominceranno a mandare in pensione i professori ordinari a 70 anni anziché a 72. L'obiettivo è duplice: risparmiare e accelerare il ricambio generazionale. L'esodo riguarderà circa 3500 professori tra novembre e il 2009. A Torino l'Università conta di pensionarne 89 quest'anno e 79 l'anno prossimo, il Politecnico una trentina. Ma, ora che la Consulta si è pronunciata, si dovranno riprendere i 75enni e pagare loro stipendi da 130-140 mila euro l'anno. Alla faccia del ricambio. «Non è ammissibile che una questione così delicata sia risolta nelle aule di tribunale», dice Enrico Decleva, presidente della Conferenza dei rettori. «Servono leggi chiare che mettano gli atenei in condizione di agire al riparo dai ricorsi. Ci sono troppe norme equivoche». Ma il professor Cotroneo non vive di sensi di colpa: «Quella legge era ingiusta. Le regole non si cambiano in corsa». Potrebbe non essere finita. Davanti alla Corte pendono altre sentenze dei Tar italiani, che hanno reintegrato i docenti che avevano chiesto di accedere al fuori ruolo spiegando che la loro esperienza e chiara fama andavano tutelate. Se la Corte dovesse avallare anche questa impostazione per gli atenei sarebbero altri 1500 docenti over 70 sul groppone, e a Torino una quarantina tra Università e Politecnico.

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Comunità montane: è caos (sezione: Giustizia)

( da "Stampa, La" del 27-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ENTI LOCALI. OGGI INCONTRO CON LA REGIONE Comunità montane: è caos Il Tar sospende la riforma regionale, rischia di restarne soltanto una [FIRMA]GIAMPIERO CARBONE ALESSANDRIA Comunità montane sempre più nel caos. Il Tar Piemonte ha sospeso la legge regionale del 2008 che ha stabilito la riduzione degli enti montani da 48 a 31, con una serie di accorpamenti «forzati». Contro questa legge la Comunità montana Alta Valle Susa aveva presentato ricorso in quanto la norma avrebbe leso l'autonomia dei singoli enti e trovava fondamento nella legge Finanziaria 2008, considerata incostituzionale dai ricorrenti (tesi considerata rilevante dai giudici) in quanto le Comunità montane sono materia esclusiva delle Regioni. Il Tar ad aprile aveva rinviato la questione alla Corte costituzionale, che deve ancora dire la sua. La scorsa settimana il tribunale ha deciso la sospensione della legge dopo un ulteriore ricorso contro il decreto della Regione del 3 giugno con il quale si convocano i comizi per l'elezione dei nuovi presidenti a partire dal 31 luglio, mentre gli attuali diventano commissari. E' stato fermato quindi l'iter che in provincia di Alessandria prevede la riduzione da quattro a due Comunità montane, con l'accorpamento di Alta Val Lemme Alto Ovadese con la Suol d'Aleramo, da una parte, e di Valli Borbera e Spinti con Valli Curone, Grue, Ossona, dall'altra. Un percorso finora sofferto e contestato per i timori di prevalenza di un territorio sull'altro, specie tra Curone e Borbera, e di peso eccessivo dei Comuni collinari rispetto ai montani nell'altra situazione. Marco Mazzarello (Alta Val Lemme Alto Ovadese), spiega che oggi «ci sarà un incontro a Torino tra Uncem e Regione per capire come muoversi. E' una situazione disastrosa poiché potrebbe tornare in vigore la legge Lanzillotta del 2007, che teneva in vita soltanto le Comunità montane con una media di 600 metri di altitudine, il che per la nostra provincia significa mantenere in vita solo la Val Borbera. Oltretutto, era già stata fissata la data delle elezioni dei nuovi Consigli, il 7 novembre». A creare ulteriore confusione c'è anche il disegno di legge Calderoli, sostenuto dal governo: prevede la cancellazione a livello statale delle Comunità montane con una drastica riduzione dei fondi governativi. Commenta Vincenzo Caprile, a capo della Val Curone: «Il governo intende eliminare le Comunità montane per istituire le Unioni di Comuni, che dovrebbero essere le agenzie di sviluppo del territorio, lo stesso ruolo stabilito dalla Regione per le Comunità. Ricordo inoltre che si tratta solo di un disegno di legge e che in Parlamento subirà certamente delle modifiche».

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Antefatti e postfatti del mobbing (sezione: Giustizia)

( da "AltaLex" del 27-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Antefatti e postfatti del mobbing Articolo di Aldo Niccoli 27.07.2009 Commenta | Stampa | Segnala | Condividi | mobbing | Antefatti e postfatti del mobbing: personalità del mobbizzato, conflittualità dell’ambiente di lavoro, configurabilità dell’infortunio sul lavoro, responsabilità verso l’ufficio. di Aldo Niccoli Di rilievo sono tre recenti pronunce sulla materia del mobbing: trattasi di Cass., sez. Lav., sent. 3785 del 17 febbraio 2009, sent. 21 aprile 2009, n. 9477 e T.A.R. Lazio, Sez. I quater, sent. del 5 maggio 2009, n. 4564 (1). La prima esclude la configurabilità del mobbing ove in un ufficio sia riscontrata in concreto una conflittualità diffusa, piuttosto che anche una vera condotta prevaricatrice da parte del superiore; la seconda spiega come un lavoratore che abbia difficoltà caratteriali proprie, a prescindere dal contesto lavorativo, non può poi imputare allo stesso dei comportamenti rientranti in alcune fattispecie di mobbing aziendale (es: emarginazione, trasferimento ad altro reparto); la terza enuncia a chiare lettere che il trasferimento per incompatibilità ambientale non ha di per sé carattere sanzionatorio e non configura il mobbing. Le citate pronunce danno in questa sede la stura per affrontare un aspetto specifico di un argomento ormai trattato in ogni aspetto e forma. Essendo il mobbing ormai ricostruibile come una figura di reato, possiamo prendere a prestito, pur con una certa licenza, la terminologia penalistica: in questa sede analizzeremo, pertanto, gli antefatti ed i postfatti del mobbing, che non sempre vengono approfonditi congiuntamente e a tutto campo in quanto sono profili, per così dire, collaterali, del fenomeno mobbing. Trattasi, quindi, della valutazione del contesto lavorativo nel quale operano mobbizzati e mobbizzanti, terreno che secondo le cd. buone prassi deve accogliere al meglio ogni lavoratore, traducendosi in un obbligo di protezione (preventivo e successivo) a carico del datore di lavoro; trattasi anche delle parallele condizioni psicologiche soggettive del mobbizzato, prescindenti dal mobbing. Trattasi, ancora, della connessione con l’infortunio sul lavoro e quindi della non solo risarcibilità diretta ma indennizzabilità o pensionabilità ai fini inail; a tale aspetto si ricollega poi l’argomento della responsabilità patrimoniale di chi ha causato o non impedito il mobbing nei confronti della struttura che ha certamente subito una diminuzione patrimoniale sia in termini diretti, a seguito di condanna ad un risarcimento, sia in via mediata, per la perdita o lesione di un’unità lavorativa (2). Quanto alla sentenza n. 3785/2009 della Sezione Lavoro della Cassazione, essa si distingue sotto due aspetti: difatti, essa da un lato ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso in concreto il mobbing poiché aveva in concreto riscontrato una certa conflittualità in ufficio, ma non anche ravvisato una condotta prevaricatrice del superiore del dipendente, mentre dall’altro ha precisato la nozione di mobbing, richiedendo: a) una pluralità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, posti in essere intenzionalmente in modo sistematico e durevole contro il dipendente con volontà vessatoria (3); b) l’accadimento dell’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio. Quanto al soggetto su cui incombe l'onere della prova, al lavoratore che lamenti di aver subito un danno alla salute a causa dell'attività lavorativa svolta compete l'onere di provare l'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro e il nesso causale fra questi due elementi; una volta che il lavoratore abbia provato tali circostanze, grava sul datore di lavoro l'onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno. La nocività dell’ambiente di lavoro è elemento di notevole rilevanza anche per la di poco successiva Cass., sent. 9477/2009; la Corte ha respinto la ricostruzione proposta nell’esposizione di una lavoratrice, che asseriva di essere stata oggetto per anni di continue vessazioni da parte di colleghi e superiori nel corso dell’attività lavorativa e sul luogo di lavoro, nonché di essere stata demansionata e che a causa di tali condotte, imputabili anche alla datrice di lavoro, era caduta in uno stato di prostrazione (sindrome ansiosi-depressiva), chiedendo perciò la condanna al risarcimento dei danni alla professionalità, biologico psichico, morale ed esistenziale. La Corte ha invece accolto la ricostruzione della Corte di Appello, che aveva concluso non negando il clima di conflitto determinatosi all’interno della azienda nei vari reparti in cui la ricorrente aveva operato, ma ridimensionadone la portata e attribuendone la responsabilità soprattutto a problemi caratteriali e di rapporto della stessa, quindi ad un suo disagio esistenziale ovvero ad una sua condizione psicologica alterata. In tale quadro di riferimento, la Corte ha piuttosto valorizzato il tentativo di superare la situazione conflittuale creatasi tra la ricorrente e le proprie colleghe col trasferimento della stessa ad altro reparto, in adesione a quanto richiesto o comunque suggerito dalla stessa lavoratrice; infine, ha escluso una possibile responsabilità del datore di lavoro, comunque valutata come solo confusamente e genericamente dedotta dall’appellante, in ragione del fatto che il responsabile del personale, come la responsabile dello specifico reparto, si erano adeguatamente attivati, sia pure inutilmente, per risolvere la situazione. Quanto a quello che con una certa licenza rispetto ai termini giuridici, abbiamo chiamato postfatto, va osservato come nel corso dell’ultimo decennio alcuni operatori del diritto stanno facendo affiorare l’idea che si possa configurare un qualche legame tra le fattispecie di infortunio sul lavoro ed il fenomeno del mobbing. Nell’economia di questa esposizione, per poter meglio centrare la questione, è opportuno fare prima un piccolo passo indietro. Si parla di infortunio sul lavoro nelle situazioni in cui un lavoratore, a causa e in occasione del servizio, contrae una manifestazione patologica che invalidi sia le sue capacità lavorative che la sua persona. Si assiste pertanto ad un fenomeno bidirezionale, che fa emergere danni morali e materiali, in quanto si concretizza la lesione del diritto alla piena esplicazione della personalità del lavoratore, alla sua realizzazione nel luogo di lavoro, e si ha anche un danno economico per la stessa amministrazione, che deve privarsi per un certo periodo di un lavoratore, o che addirittura potrà trovarsi a doverne fare un impiego ridotto o comunque diverso. Si spiegano allora tutte le cautele che circondano un fenomeno del genere: al di là di quelle formali, legate alla denuncia alle autorità competenti da parte dell’ufficio di appartenenza se l’infortunio supera la soglia temporale dei tre giorni, sussistono veri e propri obblighi di protezione e di diligenza ai sensi della normativa sulla sicurezza nel luoghi di lavoro, in capo sia al datore di lavoro che al lavoratore stesso. Sarà infatti onere/obbligo (un vero munus) del lavoratore aver cura di non incorrere in situazioni di pericolo, che possano quindi originare danni alla sua persona o a quella di altri lavoratori o terzi; dovrà pertanto tenere una condotta diligente, e dovrà segnalare agli uffici competenti eventuali guasti, carenze o situazioni di pericolo per sé o per gli altri, che abbia riscontrato durante la sua attività lavorativa. Ove questo elemento manchi, sarà poi da vedere se e in che misura potrà essere addebitata allo stesso lavoratore una responsabilità esclusiva o concorrente, in caso di infortunio suo o di altri. Si è detto concorrente, in quanto certo non verrà meno la responsabilità, di natura oggettiva, del datore di lavoro, nel caso in cui l’infortunio sia comunque ascrivibile ad una carenza dal luogo o delle procedure da questi gestite o coordinate. Ricostruito così l’infortunio sul lavoro, va visto poi quali analogie esso presenta col fenomeno del mobbing e con le sue implicazioni lavorative e sociali. Si parla di mobbing quando ci si riferisce ad un fenomeno di aggressione, compulsione, afflizione, emarginazione di un lavoratore, ad opera di un gruppo di colleghi o da parte di superiori (4); le modalità di realizzazione sono quindi del tutto varie, come del resto si osserva dalla casistica giurisprudenziale. Un autorevole studioso di mobbing, il Leymann, così lo ha definito nel 1996: “Comunicazione ostile e contraria ai principi etici, perpetrata in modo sistematico da una o più persone principalmente contro un singolo individuo che viene per questo spinto in una posizione di impotenza e impossibilità di difesa e qui costretto a restare da continue attività ostili “. Da un’analisi coordinata dalla d.ssa Menelao (responsabile dei centri ascolto mobbing della UIL) dopo l’emanazione della direttiva europea sulla violenza del 26/4/2007, le conseguenza principali subite dalla vittima sono riconducibili a quattro categorie: disturbi psicopatologici (disturbo post-traumatico da stress, disturbi di ansia, disturbi dell’adattamento, depressione), alterazione dell’equilibrio socio-emotivo (stati di preallarme, isolamento, ossessione, anestesia reattiva, depersonalizzazione), alterazioni psico-fisiologiche (disturbi del sonno, della sessualità, gastrointestinali, senso di oppressione, cefalea, vertigini, tachicardia, dermatosi), disturbi del comportamento (disturbi alimentari, disturbi da sostanze psicoattive, aggressività); il tutto, con possibili alterazioni psicosomatiche degli apparati digerente, respiratorio, cardiaco o osteo-articolare e muscolare. In alcuni casi, inoltre, il senso di svilimento può portare anche ad atti di autolesionismo o al suicidio (Di Martino, De Santis). Da una recente osservazione condotta dall’INAIL di Isernia (coordinata dal dr. Iacoviello) presso l'Ambulatorio Specializzato per i Disturbi da Disadattamento Lavorativo dell'ASL Napoli 1 (coordinato dal dr. Pappone), emerge che tre sono le dimensioni del rischio psico-sociale sul luogo di lavoro: 1) Stress organizzativo: un ambiente di lavoro con una organizzazione non sana attraverso un iniziale vissuto di inadeguatezza induce a produrre uno sforzo per adeguare le proprie risorse e le proprie strategie alle richieste del contesto. Da questa fase di stress positivo si transita verso una condizione di stress negativo se lo sforzo di adeguamento non riesce oppure se al riuscito adeguamento fa seguito un nuovo cambiamento troppo precoce che richiede un nuovo sforzo. 2) Costrittività organizzativa: un ambito intermedio tra le condizioni di stress organizzativo e le azioni di mobbing, può generare la sensazione di essere costretto a condizioni che non rispondono allo scopo della funzione lavorativa, traducendosi in incapacità di comprendere il contesto lavorativo e impotenza di fronte ad esso 3) Mobbing: nel mobbing si aggiunge ai due precedenti un elemento traumatico (dal punto di vista psichico): l’azione persecutoria è in genere fortemente attivante dal punto di vista emotiva e distorce una relazione (tra il lavoratore e l’Azienda, tra il lavoratore e il dirigente o tra il lavoratore e il lavoro) che ha sempre forti implicazioni emotive. In questo contesto emotivamente significativo è messa in atto una strategia che modifica l’identità della persona nel contesto lavorativo (ne cambia in altre parole le regole di interazione e io significati delle azioni della vittima verso il gruppo e del gruppo verso la vittima) comportando per la vittima la necessità di una revisione delle proprie convinzioni su se stesso sul mondo e sulle relazioni interumane. Quando la gravità delle azioni, in relazione alle possibilità di adattamento della vittima, supera le capacità di elaborazione emozionale dei fatti, si produce un’esperienza traumatica in senso proprio che produce il corteo di sintomi del disturbo post- traumatico da stress. L’INAIL, con la Circolare n. 71 del 17/12/2003, già aveva fornito, per la prima volta, delle precise indicazioni sull’inquadramento a fini medico legali dei disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro, compreso il mobbing. In effetti, la costrittività organizzativa comprende anche il cosiddetto “mobbing strategico”, ossia quell’insieme di azioni poste in essere nell’ambiente di lavoro con lo scopo di allontanare o emarginare il lavoratore (5). Per quanto la decisione di restringere la prestazione assicurativa ai soli casi di “mobbing strategico” possa sembrare una intenzionale limitazione degli oneri dell’Istituto essa, tuttavia, ribadisce l’importanza di vincolare, con un preciso nesso causale, la patologia di cui si chiede il riconoscimento ad uno specifico rischio lavorativo e non alla semplice coincidenza con l’attività lavorativa e l’ambiente lavorativo stesso. Contrariamente a quanto avviene nei casi di mobbing, in presenza di accertata condizione di costrittività organizzativa l’individuazione o meno di specifiche responsabilità soggettive non pregiudica il riconoscimento della malattia professionale. Gli accertamenti clinici e medico-legali non possono ovviamente prescindere dallo stato anteriore del soggetto. La preesistenza di disturbi psichici non esclude la possibilità di riconoscimento di malattia professionale, purché la patologia denunciata tragga origine con elevata probabilità dall’esposizione al rischio accertato come causa unica o preminente. In questa ottica, la trattazione delle patologie da costrittività organizzativa segue il percorso delle malattie professionali non tabellate, come avviene a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1988 e dal D.Lgs. 38/2000 (art. 10). In particolare, l’istruttoria medico-legale non può prescindere da un’accurata anamnesi lavorativa dell’assicurato, arricchita di tutti gli elementi raccolti presso i datori di lavoro ed i colleghi dell’assicurato mediante accertamenti ispettivi mirati. L’assetto delineatosi a seguito della Circolare INAIL n. 71/2003 è stato modificato col D.M. del 27/04/2004, emanato in forza dell’art. 10 del D.Lgs. n. 38/2000, che – sostituendo il precedente D.M. del 18/04/1973 - ha aggiornato l’elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia ai sensi dell’art. 139 del T.U. sulle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Il suddetto D.M., recependo il testo della citata Circolare INAIL, ha introdotto, nella “lista II (malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità)”, anche le “malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzione dell’organizzazione del lavoro” (cd. gruppo 7), riguardo alle condizioni lavorative di costrittività organizzativa cui sono correlabili” (6). Il T.A.R. del Lazio, con decisione n. 5454 del 4 luglio 2005, è tuttavia intervenuto sulla citata Circolare INAIL n. 71/2003 e sul citato D.M. 27/04/2004, a seguito di due ricorsi presentati da Confindustria, da Confagricoltura e dall’A.B.I., con e in rappresentanza di alcuni loro iscritti, contro l’INAIL e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. In entrambi i casi, la res controversa si incentrava sull’opposizione a che il mobbing, attraverso vari mezzi, potesse assurgere al rango di malattia professionale tipizzata indennizzabile in assenza di definizioni scientifiche certe. La Circolare n. 71/2003 è stata, quindi, considerata violativa dell’art. 10, co. 1, del D.Lgs. n. 38/2000, “nella misura in cui siffatta integrazione deriva non già dal rigoroso accertamento da parte della Commissione scientifica per l’elaborazione e la revisione periodica delle tabelle ex artt. 3 e 211 del DPR n. 1124/1965, né tampoco dall’espressa volizione dei Ministeri a ciò competenti, bensì da un Comitato interno all’Ente e senza le garanzie, pure partecipative, recate dal citato D.lgs. 38/2000”. Viceversa, il T.A.R. non ha intaccato il D.M. del 27 aprile 2004, ritenendolo il sintomo di un “principio di precauzione in una vicenda, quale quella del mobbing, ove l’assenza di norme nazionali definite, la complessità degli accertamenti e fattuali e la probabile regolazione da parte dell’UE devono indurre a trattare i casi patologici emergenti con estrema prudenza e con la dovuta serietà e rigore d’approccio”. Si è quindi ritenuto (Cantisani) che conseguenza di tale decisione è che le cd. costrettività organizzative e il mobbing strategico tornano ad essere considerati quali semplici fattori di rischio generico, per cui il lavoratore avrà l’onere di provare non solo la sussistenza della malattia ma pure il nesso causale tra la stessa e l’attività lavorativa. Caduta ogni presunzione ed agevolazione, i casi di mobbing potranno comunque continuare ad essere normalmente denunciati all’INAIL sulla scorta della sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1989, in quanto malattie professionali cd. non tabellate. Ne deriva che in fase accertativa sarà d’obbligo una maggiore cautela, perché, a questo punto, ripristinato lo status quo ante la Circolare n. 71/2003, l’onere della prova dell’origine professionale è tornato a tutti gli effetti in capo al lavoratore, coerentemente all’art. 10 del D.Lgs. 38/2000). Altri autori (Remotti) (7) offrono una lettura di maggior respiro del citato intervento del T.A.R. Lazio, sottolineando che a ben vedere la citata sentenza (la cui valenza è certamente riferibile tanto al settore privato che a quello cd. pubblico privatizzato) non stabilisce che non è possibile estendere a malattie cd. non tabellate la normativa concernente gli infortuni sul lavoro; tanto, per concludere nel senso che piuttosto è sempre necessaria l’individuazione del nesso eziologico tra malattia e luogo di lavoro (elemento cui non la circolare non dà la giusta rilevanza), e che per le malattie non tabellate non può certo operare la medesima presunzione che si applica a quelle cd. tabellate. Ciò in quanto, diversamente facendo, con l’attribuzione della citata presunzione, l’INAIL nella sostanza scavalcherebbe la previsione di legge per creare esso stesso un’inversione dell’onere della prova, a detrimento del datore di lavoro; l’Istituto deve invece limitare il suo raggio di azione a offrire agli uffici destinatari delle proprie circolari solo un complesso di elementi identificativi della patologia. Altro aspetto rilevante della sentenza è che poi i giudici non si limitano all’analisi della circolare ma stabiliscono di fatto che il mobbing, più che essere una malattia autonoma e diagnosticabile come tale, è condicio sine qua non che può far insorgere malattie, per lo più tabellate (8). Fin qui il risultato della ricostruzione sotto l’angolo visuale del lavoratore, il quale, dimostrato il mobbing ed la sua derivazione dal contesto lavorativo, potrà anche avanzare pretese risarcitorie art. 2043 c.c. di natura sia patrimoniale che non patrimoniale. Sotto un aspetto diverso, inoltre, la condotta mobbizzante priva un’unità produttiva (ente pubblico, ufficio privato, studio professionale) di una risorsa umana, rendendola improduttiva o propensa all’errore, arrecando così un danno alla stessa struttura lavorativa; ancora, il danno può estendersi al danno all’immagine per l’ente, al danno all’erario per gli uffici pubblici, all’aumento del contenzioso e alla maggiore incidenza di infortuni e malattie professionali, senza contare poi le conseguenze per l’intera società civile (in termini di assistenza sociale o comunque di recupero psicologico della vittima) (9). Anche questo aspetto può presentare profili risarcitori, e in tale contesto si dovrà tener in debito conto come è stata fronteggiata in via preventiva e/o successiva dal datore di lavoro rientrandosi nel pieno campo di applicazione degli artt. 2049 e 2087 c.c., e della disciplina sulla salute e sicurezza nel luogo di lavoro, di cui al D.Lgs. 81/2008, che ha recepito il D.Lgs. 626/1994 e succ. mod. e integr.. Da uno studio comparativo a livello comunitario, frutto di un team coordinato dal dr. Iacoviello dell’INAIL di Isernia, si nota come nel nostro Paese riveste in materia un fondamentale rilievo la norma di cui all’art. 2087 c.c., che, ad integrazione ex lege delle obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro, dispone “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Tale norma codicistica pone a carico del datore di lavoro uno speciale ed autonomo obbligo (anzitutto preventivo), di protezione della persona del lavoratore, recando una previsione particolarmente ampia ed elastica, comprensiva non solo del rispetto delle condizioni e dei limiti imposti dalle leggi e dai regolamenti per la prevenzione degli infortuni e per l’igiene del lavoro, ma anche dell’introduzione e manutenzione delle misure idonee, nelle concrete condizioni aziendali, a prevenire infortuni ed eventuali situazioni di pericolo per il lavoratore, derivanti da fattori naturali o artificiali di nocività o penosità presenti nell’ambiente di lavoro. Il descritto obbligo di protezione, inoltre, non attiene solo al profilo dell’integrità psico-fisica dei lavoratori, ma anche a quello della personalità morale (da intendersi nel senso di “sociale”). Quest’ultimo aspetto, a lungo trascurato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, significa che nella fase dell’esecuzione del rapporto di lavoro deve essere rispettata la “persona” del debitore di opere, sia in senso fisico, sia nella direzione più ampiamente etica, in modo da evitare che il prestatore di lavoro, anziché cedere energie e forza-lavoro, sia costretto a “scambiare” ed alienare i propri diritti personalissimi (Caracuta). La giurisprudenza di legittimità ha più volte escluso che si versi in un’ipotesi di responsabilità oggettiva, ben avendo il datore di lavoro la possibilità di fornire la prova di avere adottato tutte le cautele richieste dall’ordinaria diligenza; pertanto, ove l’infortunio si verifichi comunque, pur se oggettivamente avrebbe potuto essere evitato, il pregiudizio non sarà addebitabile all’incolpevole e diligente imprenditore. In giurisprudenza è stato chiarito che la responsabilità diretta ex art. 2087 c.c. del datore di lavoro per la lesione della salute del lavoratore è esclusa quando sono eccezionali, inevitabili ed assolutamente imprevedibili le conseguenze che in concreto scaturiscono, per il soggetto passivo, dall’atteggiamento perpetrato in azienda (in questo caso si è ritenuto non sussistente il nesso causale). La costante giurisprudenza ha letto l’art. 2087 c.c. tenendo conto dei principi dell’ordinamento, particolarmente del diritto alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione, nonché del limite che l’art. 41, comma 2, della stessa Costituzione pone al principio della libertà di iniziativa economica privata, vietandone l’esercizio con modalità tali da pregiudicare la sicurezza e la dignità umana. L’art. 2087 c.c., così interpretato, e letto anche alla luce degli obblighi di correttezza e buona fede risultante dagli articoli 1175 (10) e 1375 c.c., è considerato norma di chiusura del sistema di protezione del lavoratore, che impone al datore di lavoro non solo l’adozione delle misure richieste specificatamente dalla legge, dall’esperienza e dalle conoscenze tecniche, ma anche l’obbligo più generale di attuare tutte le misure generiche di prudenza e diligenza necessarie al fine di tutelare l’incolumità ed integrità psico-fisica del lavoratore. Da questa disposizione viene quindi fatto derivare sia il divieto per il datore di lavoro di compiere direttamente qualsiasi comportamento, quale ne siano la natura e l’oggetto, lesivo dell’integrità fisica e della personalità morale del dipendente, sia di prevenire e scoraggiare la realizzazione di simili condotte nell’ambito ed in connessione con lo svolgimento dell’attività lavorativa. L’inadempimento di tale suo obbligo, genera la responsabilità contrattuale dal datore di lavoro. Il datore di lavoro privato o pubblico (se si tratta di cd. lavoro pubblico privatizzato), inoltre, ai sensi dell’art. 2219 del c. c. (secondo il quale ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto), può licenziare per giusta causa il proprio dipendente nel quale dovesse ravvisare il ruolo di mobber (11), ledendo la dignità dei colleghi e la funzionalità dell’ambiente di lavoro. Ancora, ai sensi del D.Lgs. 626/1994, di attuazione delle direttive CEE sul miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro, poi confluito nel D.Lgs. 81/2008, si sancisce il passaggio dalla tutela dell'integrità fisica a quella psico-fisica del lavoratore, introduce il concetto di salute non più intesa solo come assenza di malattia ma come benessere e assenza di disagio, nell'art. 3 (Misure generali di tutela) sono evidenti gli elementi utili a far rientrare il fenomeno mobbing tra i rischi connessi all'attività lavorativa e gli artt. 4 e 17 identificano, differenziandole per competenze, le figure responsabili della sorveglianza della salute del lavoratore. Fondandosi su questa condivisa analisi dell’ordinamento, la Corte dei conti, Sezione terza centrale d'appello con la basilare sentenza n. 623/2005, ha asserito che una volta che il giudice civile (o penale) abbia legittimamente imposto il risarcimento di un qualunque tipo di danno (e in tale concetto rientra il danno per mobbing inflitto o non impedito) è evidente che ciò determina una diminuzione patrimoniale per le risorse finanziarie dell'amministrazione interessata e non può non tradursi in un danno erariale (12). Ove pertanto emerga dal riconoscimento di un tal genere di risarcimento una “tutela” del lavoratore (in quanto parte debole del rapporto) nei confronti della Amministrazione, non avrebbe fondamento giuridico escludere poi diretti riflessi economici sul patrimonio del convenuto, visto che (e nei limiti in cui) la necessità di attivare tale tutela si è resa necessaria proprio per il suo comportamento illecito, commissivo od omissivo. Si deve, dunque, asserire che il danno da mobbing, ove esistente, sarà fonte ed oggetto di azione di rivalsa della P.A. nei confronti dell'agente pubblico. In proposito, avendo la Corte dei Conti in forza dell’art.103 Cost. la generale competenza nelle materie di contabilità pubblica, e quindi competendole la conoscenza di condanne patrimoniali a carico della P.A. e denunce di ingiustificata lesione del patrimonio pubblico, la Procura Regionale presso la Sezione giurisdizionale regionale competente per territorio, diventa in ciascuna ipotesi il giudice naturale titolare esclusivo dell’azione risarcitoria, che va attivata nel termine prescrizionale di cinque anni dall’evento dannoso. Nel caso del mobbing, la situazione è di maggior vantaggio per il recupero dell’esborso eventualmente chiesto alla P.A.: difatti, il danno cagionato, consistente nell’esborso di danaro pubblico ingiustamente patito dall’amministrazione, si configura come fattispecie di danno indiretto, per cui in tali vicende, che si sostanziano in un danno conseguente a sentenza, il termine per l’attivazione dell’azione risarcitoria può iniziare a decorrere anche dopo molti anni dalla verificazione del fatto integrante gli estremi della fattispecie di mobbing. E’ importante ricordare, comunque, che ai fini dell’accertamento della responsabilità nell’azione di rivalsa il giudice contabile deve individuare il dolo o la colpa grave dell’agente pubblico e altresì valutare il vantaggio che comunque possa esser stato conseguito dall’Amministrazione grazie al comportamento, pur se per altri versi illecito o dannoso, riferibile al dipendente. Va, infine, posto nel dovuto risalto che si possa giungere a sanzionare come mobbing anche il caso di accertata responsabilità dirigenziale dovuta a non corretta gestione delle risorse umane ex art. 21 del D.Lgs. 165/2001 (13). Infatti, come noto, la riscontrata cattiva gestione delle risorse umane rientra nella più generale categoria dei risultati dell’attività amministrativa e dell’attività di gestione riconnessa alla funzione dirigenziale, che, in quanto tale, può determinare l’applicazione di non secondarie conseguenze nel mancato conferimento della retribuzione di risultato, nella revoca dell’incarico dirigenziale o nella destinazione ad altra funzione (Prinari). Ciò si pone in linea con le recenti innovazioni legislative, nelle disposizioni concernenti la responsabilità dirigenziale. In particolare, una eventuale fattispecie di responsabilità diretta o indiretta da mobbing, rientra in pieno nelle circostanze da valutare in sede di responsabilità dirigenziale, cui l’art. 6, L. 15/2009 fa riferimento, pur generico, nel porre i principi e criteri in materia di dirigenza pubblica volti all’espletamento della delega conferita al Governo per il riordino della materia. Il comma 2 dell’art. 6, difatti, impone di affermare la piena autonomia e responsabilità del dirigente, in qualità di soggetto che esercita i poteri del datore di lavoro pubblico, nella gestione delle risorse umane (lett. a), prevedere una specifica ipotesi di responsabilità del dirigente, in relazione agli effettivi poteri datoriali, nel caso di omessa vigilanza sulla effettiva produttività delle risorse umane assegnate e sull’efficienza della relativa struttura nonché, all’esito dell’accertamento della predetta responsabilità, il divieto di corrispondergli il trattamento economico accessorio (lett. b), prevedere la decadenza dal diritto al trattamento economico accessorio nei confronti del dirigente il quale, senza giustificato motivo, non abbia avviato il procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti, nei casi in cui sarebbe stato dovuto (lett.c), (sia pur limitando la responsabilità civile dei dirigenti alle ipotesi di dolo e di colpa grave, in relazione alla decisione di avviare il procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti della pubblica amministrazione di appartenenza – lett. d), nonché prevedere sanzioni adeguate per le condotte dei dirigenti i quali, pur consapevoli di atti posti in essere dai dipendenti rilevanti ai fini della responsabilità disciplinare, omettano di avviare il procedimento disciplinare entro i termini di decadenza previsti, ovvero in ordine a tali atti rendano valutazioni irragionevoli o manifestamente infondate. Infine,va evidenziato come, in astratto, non si possa escludere che sussistano situazioni mobbizzanti e correlativa responsabilità dirigenziale anche in presenza di modelli organizzativi e regole di servizio della P.A. ancora vigenti ma non più conformi all’evoluzione intervenuta nella coscienza sociale; trattasi di prassi che il dirigente, soprattutto ove qualificabile come datore di lavoro ai termini della disciplina sulla salute e sicurezza nel luogo di lavoro, è tenuto a rivedere ed aggiornare, in omaggio al rispetto delle cd. buone prassi, che si rivolgono non solo all’utenza ma anche ai lavoratori, nel rispetto dei principi, di respiro comunitario, di governance delle risorse umane. ______________ 1. Edita anche su http://www.studiolegalelaw.it/consulenza-legale/tag/mobbing. 2. Sull’argomento basilare è Corte dei conti, Sez. III centrale d'appello, sent. 25/10/2005, n. 623, edita anche su http://www.lavoropa.it/archivio/1000/1400/1460/1462/SentenzaCorteConti2005n623.htm. 3. In verità, una variante del mobbing è lo “straining”,per aversi il quale è sufficiente una singola azione con effetti duraturi nel tempo, proprio come nel caso di un demansionamento. 4. Si tratta del cd. mobbing cd. verticale, che si definisce poi bossing, ove si intenda indicare un’azione persecutoria utilizzata quale strumento attuativo di una politica di riorganizzazione aziendale finalizzata alla riduzione del personale o all’esclusione dei lavoratori scomodi. 5. Un coevo studio condotto dalla direzione Generale dell’INAIL ha consentito poi di ricondurre i disturbi psichici da costrittività organizzativa ai due quadri morbosi suscettibili di ammissione a tutela, ossia la sindrome da disadattamento (disturbo dell’adattamento cronico) e la sindrome post – traumatica da stress (disturbo post – traumatico da stress). Il danno subito dalla persona è calcolato dall’INAIL applicando la tabella per la valutazione del danno biologico periodicamente aggiornata con D.M., distinguendo tra disturbo post–traumatico da stress cronico moderato o disturbo dell’adattamento cronico lieve-moderato, valutabile fino al 6% (punto 180 della tabella di cui al D.M.12/07/2000) e disturbo post–traumatico da stress cronico severo o disturbo dell’adattamento cronico severo, valutabile fino al 15% (punto 181 della tabella). Il riconoscimento di un punteggio massimo del 15%, sembrerebbe escludere la possibilità della costituzione della rendita (possibile, in base al citato decreto, per punteggi maggiori del 15%). Ciò potrebbe trovare una sua giustificazione nel fatto che queste patologie sono generalmente reversibili o comunque suscettibili di miglioramento, nel momento in cui viene a cessare lo stimolo che le ha determinate. In una concezione del lavoro in cui la prestazione professionale diventa sempre più globale, coinvolgendo l’individuo in tutta la sua interezza, con il proprio vissuto affettivo e le proprie dinamiche relazionali, assumono particolare importanza proprio le modalità con le quali il lavoro è organizzato e gestito. Perché è soprattutto dalla distorsione della relazione tra le figure coinvolte con ruoli diversi nei processi lavorativi che possono scaturire situazioni di disagio psichico. Bisogna quindi stare attenti al rischio che quella che è una risorsa (la flessibilità) possa finire con l’essere confusa con lo scopo (il benessere dei lavoratori e la produttività dell’azienda). È necessario pertanto tradurre l’organizzazione aziendale in una coerente pratica gestionale al fine della valorizzazione delle risorse umane e del capitale sociale dell’azienda. Trasparenza, comunicazione chiara, occasioni di scambio, sistemi operativi corretti e abbattimento dei pregiudizi sono obiettivi da perseguire per sradicare situazioni di stress e sofferenza nei luoghi di lavoro (Bettoni). In proposito è stato comunque osservato (Cantisani) come la Direzione Generale dell’INAIL, nell’atto di uniformare le procedure in vigore presso le varie Direzioni Regionali, ha infatti semplicemente stilato un elenco (esplicitamente “orientativo”) di quelle che ha chiamato “costrittività organizzative”, inserendo a margine il c.d. “mobbing strategico”. Quest’ultimo è stato specificamente ricollegato a “finalità lavorative”, con l’espressa condizione che “le azioni finalizzate ad allontanare o emarginare il lavoratore rivestono rilevanza assicurativa solo se si concretizzano in una delle situazioni di “costrittività organizzativa” di cui all’elenco riportato o in altre ad esse assimilabili. Oltretutto, le incongruenze (rectius: costrittività) organizzative, per assumere rilevanza, avrebbero dovuto “avere caratteristiche strutturali, durature ed oggettive e, come tali, verificabili e documentabili tramite riscontri altrettanto oggettivi e non suscettibili di discrezionalità interpretativa”. 6. L’intervento del D.M. ha non solo comportato un’ulteriore limitazione (cautelativa) nel potenziale riconoscimento delle patologie presuntivamente correlabili al mobbing ma ha anche ingenerato un pericoloso sistema di denunce di ufficio presso le Procure della Repubblica e gli altri organi competenti, con conseguente catastrofe nella credibilità stessa delle certificazioni mediche – pubbliche e private - attestanti le suddette diagnosi. Semplificando, la situazione che si delinea è questa: ogni medico, a propria discrezione, una volta redatta una certificazione di “disturbo da disadattamento” potrebbe sentirsi tenuto (ai sensi dell’art. 139 del D.P.R. 1124/1965) a denunciare la malattia professionale alle Autorità competenti. Quest’ultime (in particolare l’Ispettorato del lavoro competente per territorio), ma anche lo stesso assicurato o, addirittura, proprio l’INAIL, potrebbero ritenere inoltre di sporgere denuncia o semplicemente di portare a conoscenza anche dell’Autorità giudiziaria penale la notizia del reato previsto dall’art. 590 co.3 c.p., che ai sensi del comma 4, è perseguibile d’ufficio. Di guisa, considerato che qualunque comportamento colposo che abbia causato una malattia professionale costituisce reato di lesioni colpose gravi, in tutti i casi di malattia professionale indennizzata, l’INAIL potrebbe aprire un’azione di regresso. 7. Remotti, Pubblica amministrazione e infortuni sul lavoro, Simone, 2006. 8. I comportamenti di mobbing o di molestie sessuali provocano spesso alla lavoratrice o al lavoratore vere patologie che impediscono lo svolgimento della prestazione, determinando la sospensione del rapporto di lavoro per malattia. Quando dette malattie raggiungano notevole durata, si pone dunque il problema di evitare al lavoratore la perdita del posto di lavoro determinata dalla maturazione del periodo di comporto (per assenza continuativa o anche per sommatoria di assenze frazionate), problema rilevante per il lavoratore, che dovrà tenere un conto esatto delle proprie assenze per malattia, stante la giurisprudenza prevalente, anche di legittimità (Cass. 18/2/1995, n. 1757), che nega la sussistenza di un obbligo del datore di lavoro di avvisare il lavoratore della prossima scadenza del periodo di comporto, salvo poi a dover rispondere ad un precisa istanza di accesso del lavoratore. All'approssimarsi della scadenza del comporto il lavoratore potrà tenere tre differenti comportamenti: 1- se il tipo di patologia lo consente, potrà decidere di rientrare al lavoro non avvalendosi del diritto alla sospensione del rapporto per malattia, ritenendo prevalente l'interesse alla conservazione del rapporto (evitando il licenziamento, sia pure impugnabile); 2- quando previsto dal contratto collettivo applicabile, al fine di evitare ulteriori periodi di malattia potrà richiedere un periodo di aspettativa non retribuita (o al più eventuali ferie non godute); 3- potrà attivarsi per inibire al datore di lavoro l'atto di recesso, o comunque per precostituirne più saldamente le ragioni di impugnazione. In proposito, si segnala che un consistente orientamento giurisprudenziale ritiene illegittimo il licenziamento intimato per superamento del comporto, ove i periodi di assenza per malattia siano originati da un insalubre ambiente di lavoro, e, quindi, da un'inottemperanza datoriale agli obblighi di cui all'art. 2087 c.c. (v. C. Cass.14/5/1994 n. 4723, in MGL, 1994, pag.597 ss.); analogamente, sembra sostenibile che anche nei casi di menomazione dell'integrità psicofisica derivanti da mobbing, il protrarsi dell'assenza oltre i termini del comporto renda illegittimo un eventuale licenziamento. Un argomento indiretto a favore di tale tesi si rinviene anche nell'art. 1, co. 7 L. n. 68/1999, il quale, sia pure per la specifica materia dei disabili, esprime il principio che il datore di lavoro è tenuto a garantire l'occupazione al lavoratore che abbia acquisito una disabilità per infortunio sul lavoro o per malattia professionale. Tuttavia, poiché il datore di lavoro non deve essere informato della diagnosi che dà luogo alla sospensione del rapporto per malattia (deve conoscere solo la prognosi), potrebbe essere opportuno in questi casi far risaltare espressamente il nesso tra i comportamenti scorretti di mobbing e la malattia indotta, facendo formale diffida dall'adottare atti di recesso per superamento del periodo di comporto (Scarpelli, Lazzaroni, Manassero, Guaglione, Sozzi, Venanzi, Boracchia). 9. Questione cara alla Corte dei Conti (dalla storica decisione 10/QM/2003 delle sue SS.RR. alla n. 135/2009 della Sez. I Centrale d'Appello e alla n. 306/2009 della Sez. giurisd. Toscana), quella della risarcibilità dell’accertato danno all’immagine dell’amministrazione, ormai ritenuto pacificamente risarcibile con liquidazione in via equitativa a carico dell’autore della lesione del decoro dell’amministrazione. La questione comunque, è tranquillamente esportabile al campo privatistico, ben potendo un’azienda chiedere al mobber o a chi, dovendo e potendo, non lo ha fermato, un risarcimento per danni all’immagine per eventuali divulgazioni a mezzo stampa di notizie concernenti il mobbing aziendale. Sul tema interessante anche Cass. Civ., Sez. Lav., sent. 23744/2008, sul punto di danno all’immagine lamentato non dall’ente bensì dal professionista a contratto con un’Asl, la quale, nel non mettere a disposizione del professionista le strutture indispensabili al corretto svolgimento dell’attività lavorativa, non adempieva al contratto di lavoro. 10. In particolare, l’art. 1175 pone una regola fondamentale statuendo che il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza nello svolgimento del rapporto obbligatorio. In tema di esecuzione del contratto, quale è anche quello di lavoro, la buona fede si atteggia come impegno di cooperazione ed un obbligo di solidarietà che impone a ciascun contraente di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali, o dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, siano idonei a preservare gli interessi della controparte senza rappresentare un’apprezzabile sacrificio. La buona fede rappresenta un vero e proprio dovere giuridico, che viene violato non solo nel caso in cui una delle parti abbia agito con il proposito doloso di recare pregiudizio all’altra (e tale potrebbe essere il caso del mobbing verticale cioè attuato volontariamente dal datore di lavoro direttamente o tramite altri compagni di lavoro dallo stesso istigati), ma anche se il comportamento da essa tenuto non sia stato, comunque, improntato alla diligente correttezza ed al senso di solidarietà sociale che integrano appunto il contenuto della buona fede (in tal caso il datore di lavoro potrà essere chiamato a rispondere a titolo di culpa in eligendo, se non sarà in grado di circondarsi di collaboratori competenti e corretti, e di culpa in vigilando, nel caso in cui ometta di vigilare sui propri dipendenti per evitare che si verifichino lesioni di un diritto soggettivo assoluto: quello alla salute). Poiché nella fase di esecuzione del contratto le parti, al fine di conservare integre le reciproche ragioni, devono comportarsi con correttezza e secondo buona fede, anche la mera inerzia cosciente e volontaria in caso di mobbing orizzontale, ossia esercitato dai colleghi (e sia coscientemente ignorato o sottovalutato dal comune superiore gerarchico), che sia di ostacolo al soddisfacimento del diritto della controparte, ripercotendosi negativamente sul risultato finale avuto di mira nel regolamento contrattuale degli opposti interessi, contrasta con i doveri di correttezza e di buona fede e può configurare inadempimento. 11. Il potere del datore di sanzionare disciplinarmente i lavoratori che mettono in atto comportamenti molesti verso gli altri può valere non solo nei casi in cui le condotte lesive siano compiute ad opera dei superiori nei confronti dei soggetti sottoposti al loro potere gerarchico, ma anche nell’ipotesi opposta: il datore di lavoro può sanzionare, specificamente recedendo dal rapporto di lavoro, le condotte gravemente offensive, gli insulti, ingiurie e minacce dei lavoratori di livello inferiore nei confronti del superiore. In tali condotte sono state spesso riscontrate lesioni del prestigio del datore di lavoro per il buon andamento dell’azienda, negazione del potere gerarchico e rifiuto di obbedienza all’ordine di lavoro legittimamente dato, con violazione dei diritti del datore all’ordinato adempimento della prestazione lavorativa e corrispondente violazione degli obblighi del lavoratore di diligenza e di osservanza delle disposizioni dettate per l’esecuzione e la disciplina del lavoro (Cass. 25/10/90, n. 10344). E’ stato anche ritenuto licenziabile il lavoratore risultato essere il responsabile di diverbi ripetuti, tali da determinare un ambiente lavorativo insopportabile . Secondo una parte della giurisprudenza di merito, la responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c., può concorrere con quella extracontrattuale originata dalla violazione di diritti soggettivi primari (vengono in rilevo la lesione del diritto primario ed assoluto alla salute ex art. 32 Cost. e di quello alla sicurezza e dignità – nella specie dei lavoratori – sancito dall’art. 41, comma 2, Cost.) poiché sul datore di lavoro grava il generale obbligo di neminem ledere previsto dall’art. 2043 c.c. ed anche quello specificatamente stabilito dall’art. 2049 c.c. (responsabilità indiretta dei padroni e committenti per il fatto illecito dei loro dipendenti nell’esercizio delle incombenze lavorative). Le norme appena richiamate possono inoltre combinarsi con altre applicabili alle specifiche condotte che integrano il mobbing (ad esempio l’art. 2103 c.c. nel caso in cui venga intaccato il valore professionale del lavoratore), e deve in particolare essere sempre tenuta presente anche la disposizione penalistica contenuta nell’art. 590 c.p. (reato di lesioni personali colpose), che sanziona, con previsione generale, chi cagiona per colpa una lesione personale ad altri soggetti (reato punibile a querela di parte, e d’ufficio solo nei casi in cui siano state violate norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o sia stata determinata una malattia professionale). Va in proposito osservato come la Cassazione ha, già da tempo sottolineato che il datore di lavoro è tenuto, facendo uso dei poteri disciplinari nei confronti del molestatore, a proteggere la dipendente dalle molestie sessuali di un superiore gerarchico -Cass., 18/4/2000 n. 5049, nel sito www.legge-e-giustizia.it – arrivando anche a considerare il licenziamento quale provvedimento necessario e dovuto (Cass. 19/4/2000 n. 5157, in RGL news, 2/2000). 12. Il danno qualificato come erariale, quindi, per sussistere, deve essere: a) certo (il danno deve essersi verificato in tutti i suoi elementi); b) attuale (lo stesso deve sussistere tanto al momento della proposizione della domanda che a quello della decisione); c) concreto (la perdita deve essersi materialmente realizzata); d) determinato (la perdita deve essere quantificata o quantificabile secondo i principi propri del codice civile). Il danno erariale, poi, è qualificato diretto, quando lo stesso sia causato ab ovo alla P.A., ovvero indiretto, nelle ipotesi in cui il danno cagionato originariamente nei confronti di terzi, si rifletta, a seguito di pronuncia giurisdizionale di tipo risarcitorio, a carico della P.A.. 13. Il primo comma dell’art. 21 D.Lgs. 165/2001 stabilisce che il mancato raggiungimento degli obiettivi, ovvero l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente, valutati con i sistemi e le garanzie di cui all'articolo 5 del D.Lgs. 286/1999, comportano, ferma restando l'eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l'impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. In relazione alla gravità dei casi, l'amministrazione può, inoltre, revocare l'incarico collocando il dirigente a disposizione dei ruoli di cui all'art. 23 (ruoli unici dei dirigenti istituiti presso ogni amministrazione dello Stato), ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo quanto previsto dal contratto collettivo della rispettiva area dirigenziale. Commenta | Stampa | Segnala | Condividi |

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Riforma del processo penale: il parere del Consiglio Superiore della Magistratura (sezione: Giustizia)

( da "AltaLex" del 27-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Riforma del processo penale: il parere del Consiglio Superiore della Magistratura Consiglio Superiore della Magistratura, parere 23.07.2009 Commenta | Stampa | Segnala | Condividi Sul tema del proposto riassetto dei rapporti tra PM e polizia giudiziaria [...] preme, conclusivamente, sottolineare che l'ampliamento dell’autonomia di quest'ultima – tanto nella ricerca delle notizie di reato quanto nelle scelte investigative – determinerà, con ogni probabilità, rilevanti conflitti e inefficienze. E' una delle critiche contenute nel Parere 23 luglio 2009 con il quale il Consiglio Superiore della Magistratura si è espresso in merito alla riforma del processo penale (DDL approvato dal CdM il 6 febbraio 2009). In particolare, si afferma, "venendo nei fatti a mancare l’indispensabile ruolo di dominus delle indagini da parte del PM, si origineranno interferenze e sovrapposizioni sia delle attività dei diversi organi di polizia giudiziaria (si pensi a realtà territoriali complesse, dove finiscono con l’intrecciarsi vicende procedimentali autonome ma riconducibili a medesimi gruppi criminali) sia di tali attività con le investigazioni gestite dal PM". "Tutto ciò, per altro verso, non potrà che comportare una minore tutela degli interessi della difesa, atteso che le garanzie di indipendenza e imparzialità, per quanto già ampiamente sopra dedotto, costituiscono patrimonio proprio non della polizia giudiziaria ma dell’autorità giudiziaria". (Altalex, 27 luglio 2009) | processo penale | Ddl Alfano | riforma del processo penale | Consiglio Superiore della Magistratura | CONSIGLIO SUPRERIORE DELLA MAGISTRATURA, PARERE 23 LUGLIO 2009 Parere sul disegno di legge n. 1440/S recante "Disposizioni in materia di procedimento penale, ordinamento giudiziario ed equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo" (Delibera del 23 luglio 2009) «Il disegno di legge n. 1440 consta di 8 capi e 35 articoli. I capi I, II, III, IV e VI hanno per oggetto modifiche al codice di procedura penale; il capo V contiene norme in materia di ordinamento giudiziario; il capo VII contiene deleghe al governo in materia di: a1) comunicazioni e notificazioni del procedimento penale e modalità di audizioni di testimoni a distanza, a2) misure cautelari personali e reali, a3) sospensione del processo da celebrare in assenza dell’imputato, a4) digitalizzazione del processo civile e penale nonché dell’amministrazione della giustizia, a5) elezione dei viceprocuratori onorari presso il giudice di pace; il capo VIII è dedicato alle disposizioni transitorie. L'opportunità di esprimere sollecitamente il parere – anche in ossequio ai rilievi effettuati sul punto dal Capo dello Stato – e la necessità di compiere un esame analitico delle singole disposizioni (considerata la complessità dell’intervento legislativo) rendono opportuna una trattazione separata delle singole parti del disegno di legge, cominciando dai capi contenenti le più importanti modifiche al processo penale (capi I e III) e riservando al prosieguo l’esame delle disposizioni in tema di rimedi contro l'irragionevole durata del processo, di ordinamento giudiziario e di deleghe al Governo. Come di regola, il parere sarà concentrato sui punti di maggior rilievo del disegno di legge e limitato, ai sensi dell'art. 10 della legge 24 marzo 1958, n. 195, ai profili riguardanti le previsioni con specifiche ricadute sul funzionamento della giustizia nonché sulla disciplina dei diritti fondamentali costituzionalmente previsti. ***** 1. Il capo I estende anzitutto (art. 1) la competenza della corte di assise facendo rientrare in essa anche i delitti di cui agli artt. 630, 1° comma, c.p. e 51, commi 3 bis e 3 quater, c.p.p. (eccettuati quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p.) e la celebrazione, per i reati di competenza, del giudizio abbreviato (art. 438 bis c.p.p.). Mentre la seconda previsione ha un evidente carattere di razionalizzazione del sistema, la prima suscita non poche perplessità. In particolare: b1) l’aumento di competenza è quantitativamente ingente e destinato – in assenza di congrui correttivi degli organici (non previsti nel testo in esame) – a determinare una ulteriore dilatazione dei tempi processuali, per di più con riferimento a delitti di particolare gravità, in possibile violazione anche del principio di ragionevole durata del processo ; b2) molti dei delitti di cui all’art. 51, commi 3 bis e 3 quater, c.p.p. presentano notevole complessità tecnico giuridica e si prestano – come l’esperienza insegna – a delicate questioni processuali, con conseguente necessità di una preparazione tecnico giuridica estranea alla componente di estrazione popolare (indicata soprattutto per le valutazioni di fatto e per i giudizi sulla qualità del reato e del reo e sulla quantificazione della pena); b3) il maggior coinvolgimento di giudici non professionali nelle decisioni su fatti riguardanti reati di criminalità organizzata può determinare, soprattutto nelle regioni del Sud maggiormente caratterizzate dalla presenza di associazioni di stampo mafioso, una pericolosa esposizione personale degli stessi giudici popolari; 2. In secondo luogo l'art. 1 attribuisce al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, in caso di «eccezionali situazioni di contrasto» fra diversi uffici del pubblico ministero tali da «pregiudicare l’ordinato esercizio dell’attività ovvero da ledere il prestigio degli uffici medesimi», il potere, di trasferire il processo «ad altro ufficio» del pubblico ministero (nuovo comma 5 bis dell’art. 54 bis c.p.p.). Ai fini della individuazione dell'ufficio terzo a cui trasferire il processo, il Procuratore generale deve fare riferimento al reato più grave per cui si procede ovvero, in caso di pari gravità, al primo reato e in relazione ad esso determinare l’ufficio competente secondo i criteri di cui all'art. 11 c.p.p. L’intervento legislativo si completa con la precisazione che, nella ipotesi richiamata, le funzioni di giudice per le indagini preliminari sono esercitate dal giudice presso cui ha sede il pubblico ministero individuato dal Procuratore generale (art. 328, comma 1 quinques, c.p.p.). La previsione, non a caso definita extra ordinem nella relazione illustrativa, si presta a numerosi rilievi critici. In particolare: c1) la risoluzione dei contrasti negativi e positivi tra uffici del pubblico ministero, relativi alle attribuzioni di competenza dei procedimenti, è già esaurientemente disciplinata dagli articoli 54 e 54 bis c.p.p.; c2) i presupposti per l’attivazione del procedimento sono del tutto evanescenti: il riferimento a «eccezionali situazioni di contrasto» non chiarisce se si debba trattare di un contrasto sulla competenza, come negli altri casi previsti dagli artt. 54 e seg. c.p.p., ovvero se l’ipotesi possa configurarsi in presenza di altre imprevedibili situazioni di fatto. In realtà il contrasto positivo o negativo circa la competenza fra diversi uffici di procura altro non è che una apparente difficoltà nell’attribuzione della competenza; al contrario l’eccezionalità di una situazione è un fenomeno che difficilmente trova riscontro nella terminologia giuridica la quale deve essere precisa e chiara, al fine di evitare interpretazioni e applicazioni eccessivamente soggettive; c3) viziate da insuperabile genericità – e la circostanza appare particolarmente grave in una materia come quella relativa ai criteri di attribuzione della competenza nei procedimenti penali che coinvolge, come si è detto, il principio del giudice naturale – sono altresì le espressioni «ordinato esercizio dell’attività» e «prestigio degli uffici medesimi», che evocano concetti sfumati e influenzati dall'amplificazione mediatica degli eventi. In sostanza, con la innovazione proposta si darebbe vita a un singolare subprocedimento gestito dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione per la soluzione di contrasti dai contorni indefiniti teso a sottrarre la competenza a entrambi gli uffici contendenti e con l'applicazione straordinaria dell'art. 11 c.p.p. (che, come noto, risponde alla diversa finalità di determinare la competenza per i procedimenti nei confronti dei magistrati). La conseguenza è la alterazione dei principi che regolano la fissazione della competenza e la risoluzione dei contrasti attraverso un'abdicazione degli ordinari strumenti processuali. Si aggiunga che – salvo il riferimento a recenti episodi di cronaca, peraltro risolti agevolmente attraverso un sapiente utilizzo degli strumenti processuali disponibili – è difficile comprendere la ratio della innovazione e, in particolare, la ragione per cui, in presenza di un contrasto sulla competenza suscettibile di soluzione con gli strumenti processuali ordinari e di presupposti del tutto generici, si debba derogare alla normativa del codice, facendo ricorso a un criterio di determinazione anomalo che individua, senza alcun legame con i principi, un terzo ufficio del pubblico ministero e da esso far dipendere anche la competenza del giudice per le indagini preliminari. In definitiva, la norma si presenta incerta nei presupposti, illogica nelle conseguenze e potrebbe porsi in problematico rapporto con il principio cardine del nostro sistema giudiziario, in base al quale ogni controversia, o procedimento, deve avere il suo giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.). 3. Anche la materia dell’astensione e ricusazione del giudice è attinta da modifiche. Quanto all'astensione, il disegno di legge amplia l'ipotesi di cui alla lettera h dell'art. 36 c.p.p. («altre gravi ragioni di convenienza» diverse da quelle indicate nelle lettere precedenti) precisando che tali gravi ragioni possono essere «anche rappresentate da giudizi espressi fuori dall'esercizio delle funzioni giudiziarie, nei confronti delle parti del procedimento e tali da provocare fondato motivo di pregiudizio all'imparzialità del giudice». Tale regola viene, poi, estesa alla ricusazione, laddove il disegno di legge prevede che all’art. 37 c.p.p. venga inserita fra le ipotesi di astensione che possono determinare la ricusazione del giudice anche la lettera h dell’art. 36 nel nuovo testo. Secondo la relazione illustrativa l'intervento in esame è necessario per colmare una lacuna del sistema, poiché una manifestazione di giudizio da parte del magistrato può tradursi in un pregiudizio alla sua imparzialità. In particolare – prosegue la relazione – il giudice deve accostarsi non solo all'oggetto ma anche ai soggetti del processo, senza essersi formato sugli stessi alcuna opinione e senza averla trasfusa, rispettivamente, in pareri o consigli e giudizi che potrebbero pregiudicare la sua imprescindibile posizione di imparzialità. E ciò in quanto i giudizi, critici o adesivi, formulati verso tutte le parti del processo (il pubblico ministero, l'imputato, la parte civile, i difensori) gettano un'ombra sulla terzietà del giudice. La funzione della norma è all'evidenza quella di limitare la possibilità dei magistrati di esprimere, individualmente o collettivamente, opinioni o posizioni in merito a condotte di pubblico interesse, ancorché estranee alle questioni dedotte in giudizio. Ciò si presta ad alcuni rilievi. In particolare, affermare che i giudizi, critici o adesivi, nei confronti dell'operato di una parte processuale o di un difensore possono rappresentare, di per sé, un sintomo di pregiudizio con riferimento alla trattazione di un procedimento nel quale è coinvolto uno dei soggetti predetti, significa porre un serio limite alla manifestazione del pensiero del giudice, in contrasto con il dictum della sentenza n. 100 del 1981 della Corte costituzionale secondo cui «il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero non tollera limiti soggettivi e compete quindi anche ai magistrati, ai quali non può essere inibito di esprimere le proprie opinioni, di consenso o dissenso, sulle vicende che interessano l'attività giudiziaria e sui provvedimenti legislativi in elaborazione che incidono sul funzionamento della giustizia» (cfr. risoluzione CSM 19 maggio 1993). La necessità di trovare un giusto equilibrio tra diverse e contrapposte esigenze non può legittimare la creazione di un meccanismo che, sulla base delle apparenze, incide sulla compatibilità del giudice sovrapponendo il piano delle espressioni del pensiero a questioni relative alla capacità del giudice di esaminare e decidere su condotte individuali. Una tale dilatazione del concetto di imparzialità sembra dettata da un presupposto, non dimostrato ed erroneo, in virtù del quale i magistrati non sarebbero in grado di distinguere la valutazione delle idee dall’esame e dal giudizio sui fatti e sulle condotte loro sottoposti in osservanza del dettato normativo. Tale presupposto, che ha tutti i connotati del pregiudizio, altera la cognizione del problema e rischia di far assumere al concetto di imparzialità un significato indefinito in grado di scardinare, senza ragione, un gran numero di processi. Specie quando le posizioni delle parti processuali assumono, per qualsiasi ragione, una rilevanza di interesse generale può verificarsi che anche dei magistrati prendano posizione a favore o contro un determinato aspetto della questione sollevata. Trarre da ciò la certezza di un pregiudizio nei confronti delle persone fisiche, eventualmente sottoposte al giudizio, significa effettuare un salto logico difficilmente inquadrabile in schemi razionali e ascrivibile alla categoria suggestiva dei pregiudizi indotti dall’insofferenza per il controllo di legalità. L’imparzialità del giudice è un principio cardine del sistema: è per il giudice l’essenza stessa del decidere. Il giudice deve essere estraneo e terzo rispetto al processo e non deve avere interessi diretti che possano essere condizionati dalla decisione. Egli è tenuto ad osservare la più rigorosa imparzialità nel decidere, ma ciò non vuol dire che egli non abbia diritto ad avere e a manifestare opinioni nel dibattito culturale e sociale. Ma le ipotesi di incompatibilità del giudice sono regolate dal principio di legalità, che non consente di far ricorso a criteri indeterminati, soprattutto in presenza di una norma (l'art. 36 c.p.p.) che già prevede, fra le cause di astensione, l'inimicizia grave (ictu oculi idonea ad escludere l’imparzialità). Ne consegue che, laddove i giudizi sulle parti non siano sintomo di inimicizia personale ma si caratterizzino semplicemente come valutazioni sulle opinioni o sulle posizioni assunte, non si giustifica una nuova ipotesi di astensione. Ed invero, l’implicazione derivante dalle personali opinioni non rientra nel concetto di imparzialità così come non è tenuto ad astenersi, né può essere ricusato, il giudice che abbia pronunciato in precedenza una decisione su questioni di diritto analoghe a quella su cui si deve pronunciare o che abbia manifestato in sede accademica il proprio convincimento in ordine ad essa. Ciò solo dovrebbe porre in evidenza che l'indistinta dilatazione del concetto di imparzialità conduce a conseguenze paradossali logicamente non sostenibili. 4. Gli artt. 3 e 5 del disegno di legge riguardano la ridefinizione del rapporto tra pubblico ministero e polizia giudiziaria. 4.1. Le modifiche contenute nell’art. 3 eliminano anzitutto ogni possibilità di acquisizione diretta della notizia di reato da parte del PM, configurando un suo approccio “passivo” al riguardo e demandando in via esclusiva detta acquisizione alla polizia giudiziaria. Si modificano a tal fine sia l'art. 55 c.p.p. («Funzioni della polizia giudiziaria») sia l’art. 330 c.p.p., escludendo anche da tale norma la possibilità che il PM proceda d’iniziativa all’acquisizione della notizia di reato; viene, poi, espunto il riferimento a tale possibilità anche dall’art. 335 c.p.p. e dall’art. 12, comma 1, della legge n. 274/2000 relativa ai procedimenti innanzi al giudice di pace. Il disegno di legge procede, poi, alla precisazione dei rapporti fra PM e polizia giudiziaria. Viene in primo luogo riformulato l’art. 56 c.p.p. («Servizi e sezioni di polizia giudiziaria») con eliminazione della attuale premessa generale secondo cui «le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte alla dipendenza e sotto la direzione dell’autorità giudiziaria» e con la previsione che le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte dalle sezioni di PG istituite presso ogni procura della Repubblica «alla dipendenza e sotto la direzione» dell’autorità giudiziaria ovvero dai «servizi di polizia giudiziaria previsti dalla legge, nonché dagli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria appartenenti agli altri organi cui la legge fa obbligo di compiere indagini a seguito di una notizia di reato» semplicemente «sotto la direzione» (anziché «alle dipendenze») dell’autorità giudiziaria. Muta, quindi, sia la qualificazione dei rapporti fra autorità giudiziaria e polizia giudiziaria – diversa da quella riferibile alle tradizionali «sezioni di PG» –, sia la modalità descrittiva dell'attività della PG nei rapporti con l'autorità giudiziaria. Si opera, quindi, una novellazione dell'art. 326 c.p.p., in relazione al quale particolarmente significativa è la precisazione che il PM «assume le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale tenuto conto anche dei risultati delle indagini della polizia giudiziaria» (precisazione non contenuta nel testo vigente). Nella relazione introduttiva del disegno di legge sono esplicitate le ragioni poste a fondamento delle modifiche proposte. In tale relazione si afferma, infatti, che con esse si è voluto distinguere «più nettamente i compiti della polizia giudiziaria e del pubblico ministero, per creare i presupposti di una maggiore "concorrenza" e controllo reciproco». Le disposizioni richiamate – pur tenendo conto dell'intento di razionalizzazione che, secondo la relazione di accompagnamento, le anima – non appaiono condivisibili né sotto l'aspetto della ratio che le ispira né, tanto meno, nell’effetto che realizzano. 4.2. In via preliminare si evidenzia che, come è stato sottolineato da autorevole dottrina, le norme appaiono censurabili con riguardo sia all’art. 109 (in base al quale «l’Autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria»), sia all’art. 112 Cost. (che sancisce il principio di obbligatorietà dell’azione penale). Può ricordarsi in proposito che la Corte costituzionale è intervenuta ripetutamente a chiarire il senso della disposizione contenuta nell'art. 109 Cost. e ancora da ultimo, nella sentenza n. 394/1998, ha ribadito (riprendendo quando affermato nelle sentenze n. 94/1963 e n. 114/1968) che le norme del codice di procedura penale, «in attuazione del precetto costituzionale che attribuisce all'autorità giudiziaria il potere di disporre direttamente della polizia giudiziaria (art. 109 Cost.), stabiliscono che le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte alle dipendenze e sotto la direzione della stessa autorità: dalle apposite sezioni di polizia giudiziaria istituite presso ogni procura della Repubblica, dai servizi di polizia giudiziaria inquadrati presso le diverse amministrazioni cui tale compito sia rimesso, dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria appartenenti ad altri organi, che hanno l'obbligo di compiere indagini a seguito di una notizia di reato (art. 56 cod. proc. pen.). (…) Vi è sempre, in tutte le distinte configurazioni organizzative, un diretto legame funzionale con l'autorità giudiziaria, che si riflette in vario modo sulle condizioni sia di stato che di impiego degli addetti». Sviluppando tali rilievi la distinzione operata dall’art. 3, comma 1, lett. b, del disegno di legge tra sezioni di polizia giudiziaria e servizi di polizia giudiziaria appare difficilmente compatibile con l'assetto costituzionale nella parte in cui pone solo le prime «alla dipendenza» dell’autorità giudiziaria, stabilendo per i secondi che agiscano «sotto la direzione dell'autorità giudiziaria» ma non alle sue dipendenze. La diversificazione inoltre risulta in contrasto con l’obiettivo di rendere maggiormente efficace l’azione investigativa che, nella prassi, è prevalentemente affidata ai servizi di polizia giudiziaria (notoriamente forniti di maggiori risorse umane e materiali). Invero tale diversificazione, indebolendo il rapporto di subordinazione funzionale della polizia giudiziaria rispetto al pubblico ministero, si traduce in una sottrazione alla magistratura dei mezzi necessari per compiere le indagini e per concluderle celermente, finendo così per incidere negativamente sull’obbligatorietà dell’azione penale. Non sfugge, infatti, il nesso strumentale sussistente tra il principio di obbligatorietà dell’azione penale, sancito dall’art. 112 Cost., e la direttiva della disponibilità diretta della polizia giudiziaria in favore dell’autorità giudiziaria. Il principio espresso dall’art. 112 garantisce tra l’altro, secondo l'unanime insegnamento dottrinale, l'indipendenza funzionale del pubblico ministero da ogni altro potere e in particolare dal potere esecutivo. Orbene, è chiaro che, nonostante l'indipendenza di status del PM e il correlato obbligo di procedere di fronte a ogni notizia di reato, il principio di obbligatorietà dell'azione penale potrebbe essere sostanzialmente eluso dalla concreta organizzazione della polizia giudiziaria, perché quest’ultima – in quanto principale fonte di cognizione delle notitiae criminis, fondamentale strumento di indagine e organo esecutivo dei provvedimenti giudiziari in materia penale – rappresenta la “chiave di volta” dell’intero sistema dell’azione penale. È, infatti, evidente che – come è stato scritto – «per quanto efficiente un sistema repressivo penale possa risultare, è del tutto normale che gran parte dei reati commessi (..) rimangano impuniti e che la determinazione dei reati che debbano restare impuniti dipenda, oltre che dal caso e dalla capacità degli autori di non farsi scoprire, soprattutto dalle scelte di politica giudiziaria compiute dagli organi di polizia giudiziaria e da chi li dirige». Pertanto, chi gestisce la polizia giudiziaria può condizionarne l’iniziativa determinando un rafforzamento della sua dipendenza dal potere esecutivo. Gli organi di polizia giudiziaria, infatti, nelle loro diverse articolazioni, integrano strutture gerarchicamente dipendenti dal Governo, ragion per cui essi stessi non sono assistiti dalle garanzie di autonomia e indipendenza che caratterizzano, invece, gli uffici del pubblico ministero. 4.3. Per quanto riguarda più specificamente la eliminazione del potere del PM di acquisire anche di propria iniziativa le notizie di reato (1), è agevole rilevare, in sintonia con quanto osservato da autorevole dottrina, che tale eliminazione realizza un vulnus al principio della obbligatorietà dell’azione penale, per la cui concreta operatività è necessaria appunto l'esistenza di una notizia di reato. Per poter attuare il dettato costituzionale, infatti, il PM deve poter agire anche di propria iniziativa, altrimenti l'obbligatorietà risulterebbe condizionata dalla preliminare attività della polizia giudiziaria, priva dei necessari requisiti di autonomia e indipendenza. Va, poi, sottolineato che la proposta modifica dell’art. 326 c.p.p. non si limita a rafforzare il ruolo e i poteri della polizia giudiziaria ma capovolge il rapporto ordinamentale oggi esistente tra PM e polizia medesima. Invero, il nuovo testo dell’art. 326 prevede che le determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione penale siano assunte dal PM «tenuto conto anche dei risultati delle indagini della polizia giudiziaria». In realtà, gli organi requirenti devono già oggi necessariamente tenerne conto, atteso che è proprio alla polizia giudiziaria che viene delegato lo svolgimento delle indagini, di talché è sull'esito delle stesse che, fisiologicamente. Il PM fonda le proprie determinazioni. La proposta specificazione, tuttavia, sembra volere vincolare il PM a motivare le scelte compiute allorquando le stesse non siano in linea con le conclusioni raggiunte dalla polizia giudiziaria, che si trasforma così inaccettabilmente in un organo di controllo dell’attività rimessa all'esclusiva competenza del PM. 4.4. Le considerazioni fino ad ora svolte conducono a formulare un giudizio di non condivisibilità anche con riferimento alle modifiche proposte dall’art. 5 del disegno di legge, laddove le stesse, in linea di ideale continuità con quanto previsto all’art. 3, contribuiscono ad ampliare i poteri della polizia giudiziaria nella fase delle indagini preliminari, sviluppando e completando il quadro di radicale mutamento dell’assetto dei rapporti con il PM, nella prospettiva già sopra delineata di indebolimento del rapporto di dipendenza funzionale oggi esistente. In particolare: - l'art. 5, comma 1, lett. a, modifica l’art. 348, comma 3, c.p.p. in materia di assicurazione delle fonti di prova. La disposizione vigente prevede che, dopo l’intervento del PM, la polizia giudiziaria compie gli atti ad essa specificamente delegati da quest’ultimo, esegue le sue direttive ed inoltre svolge di propria iniziativa, informandone prontamente il PM, tutte le altre attività di indagine per accertare i reati ovvero richieste da elementi successivamente emersi e assicura le nuovi fonti di prova. A seguito della riformulazione operata dalla lettera in esame, l’informativa che la polizia giudiziaria deve fare al PM sulle indagini che essa ha compiuto non dovrà più essere effettuata “prontamente”. Risulta evidente come la soppressione dell’avverbio determini conseguenze non di poco conto, giacché alla polizia giudiziaria non risulta più imposto alcun termine per informare il PM delle attività poste in essere autonomamente, la conseguenza di immediata percepibilità, sarà quella che una comunicazione non tempestiva delle investigazioni di polizia giudiziaria, in tal modo disancorate dalla cadenze temporali proprie delle indagini preliminari, comporterà il concreto rischio di una loro inutilizzabilità per superamento dei tempi di indagine ai sensi dell’art. 407, ultimo comma, del codice di procedura penale. Ciò appare in contrasto con l’attuale sistematica codicistica, che configura il PM quale dominus delle indagini, giacché egli non sarebbe più messo al corrente in maniera tempestiva delle investigazioni in atto, con le gravi conseguenze che da ciò possono derivare in termini sia di efficacia sia di efficienza dell'azione investigativa; - l'art. 5, comma 1 lett. b, attribuisce agli ufficiali di polizia giudiziaria il potere di compiere gli accertamenti urgenti ex art. 354 c.p.p. di propria iniziativa, anche quando sarebbe possibile un intervento tempestivo del PM. Attualmente tale potere può essere esercitato solo nei caso in cui il PM non possa intervenire tempestivamente ovvero non abbia ancora assunto la direzione delle indagini. Secondo la relazione illustrativa, con la normativa proposta si assicura l'esecuzione immediata dell’atto urgente, in presenza delle esigenze probatorie e del periculum in mora, rappresentato dal rischio di alterazione, dispersione o modificazione delle cose o tracce o luoghi oggetto di indagine. Resta fermo che, una volta effettuato il sequestro, il relativo verbale va trasmesso senza ritardo e, comunque, non oltre le quarantotto ore, al pubblico ministero del luogo dove il sequestro è stato eseguito, per la convalida. Anche per la modifica in esame valgono le considerazioni esposte al punto che precede in ordine al reale intento perseguito dalla norma, vale a dire l’estromissione del PM dalle indagini, con l'ulteriore precisazione che essa consentirà di compiere le delicate attività previste dall’art. 354 c.p.p. – attività generalmente non ripetibili – senza alcun controllo preventivo; - l'art. 5, comma 1 lett. d, stabilisce che fino a quando non riceve la notizia di reato, il PM non può compiere alcuna attività di indagine né personalmente né avvalendosi della polizia giudiziaria. Esso consente inoltre alla polizia giudiziaria di compiere, su delega del PM, l'interrogatorio della persona sottoposta a restrizione della libertà personale (attualmente, l'art. 370, comma 1, c.p.p. prevede che possano essere delegati alla polizia giudiziaria solo gli interrogatori e i confronti cui partecipi la persona sottoposta alle indagini che si trovi in stato di libertà). La lettera in esame stabilisce infine che il PM può impartire le direttive e le deleghe di indagine esclusivamente al dirigente del servizio o della sezione di polizia giudiziaria. È evidente che le disposizioni in esame contribuiscono ulteriormente ed ingiustificatamente a ridurre il ruolo del PM nell'ambito dell'attività d'indagine. Non appare, invero, condivisibile che l’organo requirente si rivolga soltanto ai dirigenti dei servizi e delle sezioni di polizia giudiziaria, giacché tale limitazione determinerebbe non un’accelerazione dei tempi d’indagine ma, al contrario, una loro dilatazione, imponendo sulla medesima delega plurime e successive interlocuzioni che finirebbero con l'influire anche sull’efficacia dell’attività investigativa. Qualche perplessità desta anche la proposta delegabilità alla polizia giudiziaria degli interrogatori degli indagati in vinculis. Invero, per un verso, non va sottovalutato che tali interrogatori sono utilizzabili in dibattimento secondo le previsioni di cui agli artt. 513, comma 1, e 503, comma 5, c.p.p.; per altro verso, viene – ancora una volta – svalutata la funzione di garanzia propria del PM, il quale, nello svolgimento delle indagini, deve ricercare, ai sensi dell’art. 358 c.p.p., anche elementi a favore dell’indagato. Sul tema del proposto riassetto dei rapporti tra PM e polizia giudiziaria, preme, conclusivamente, sottolineare che l'ampliamento dell’autonomia di quest'ultima – tanto nella ricerca delle notizie di reato quanto nelle scelte investigative – determinerà, con ogni probabilità, rilevanti conflitti e inefficienze. Infatti, venendo nei fatti a mancare l’indispensabile ruolo di dominus delle indagini da parte del PM, si origineranno interferenze e sovrapposizioni sia delle attività dei diversi organi di polizia giudiziaria (si pensi a realtà territoriali complesse, dove finiscono con l’intrecciarsi vicende procedimentali autonome ma riconducibili a medesimi gruppi criminali) sia di tali attività con le investigazioni gestite dal PM. Peraltro la formulazione del disegno di legge non esclude la possibilità che la polizia giudiziaria compia, in via autonoma, attività anche in contrasto con le direttive impartite dal PM, il che contribuirà ulteriormente a danneggiare l’efficacia dell’azione investigativa. Tutto ciò, per altro verso, non potrà che comportare una minore tutela degli interessi della difesa, atteso che le garanzie di indipendenza e imparzialità, per quanto già ampiamente sopra dedotto, costituiscono patrimonio proprio non della polizia giudiziaria ma dell’autorità giudiziaria. Invero la Carta costituzionale delinea la figura del pubblico ministero quale garante della legalità dell’azione penale e dei diritti dell’indagato e dell’imputato, e dunque organo di giustizia con il compito di accertare in modo imparziale l’esistenza delle condizioni di esercizio dell’azione penale. Proprio tale ruolo risulta essere in conflitto con la ratio del disegno di legge, diretto a «creare i presupposti di una maggiore concorrenza e controllo reciproco», giacché tali attività presuppongono una parità ordinamentale tra PM e polizia giudiziaria, la quale, tuttavia, non è in alcun modo rinvenibile nel quadro costituzionale. 5. L’art. 3, comma 1, lett. c, del disegno di legge interviene anche sull’art. 291 c.p.p., in cui viene inserito un comma 1 ter carico di conseguenze sia sul piano processuale, sia su quello dell'assetto gerarchico dei rapporti interni all’ufficio del pubblico ministero. In particolare viene stabilito che l’assenso scritto del Procuratore della Repubblica (o del Procuratore aggiunto o del magistrato appositamente delegato), previsto dall’art. 3 del decreto legislativo n. 196/2006 per la formulazione di richieste di misure cautelari personali o reali, è necessario a pena di inammissibilità della richiesta. Sulla questione, come è noto, sono intervenute di recente le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione con la sentenza n. 8388/09, la quale ha ritenuto che l'ammissibilità della richiesta di applicazione di misure cautelari personali, presentata dal magistrato dell'ufficio del pubblico ministero, assegnatario del procedimento, non implica l'assenso scritto del procuratore della Repubblica, previsto dall'art. 3, comma secondo, decreto legislativo n. 106 del 2006, che, pertanto, non è condizione di validità della conseguente ordinanza cautelare del giudice. L'intervento normativo mira a contraddire il principio espresso dal Supremo collegio in quanto intende sovrapporre i piani, quello ordinamentale e quello processuale, dando vita in modo incongruo all’unico caso in cui un profilo organizzativo interno all’ufficio di procura si riflette sul piano processuale determinando una ipotesi di inammissibilità della richiesta di misura cautelare. Ciò, oltre ad essere eccentrico rispetto al regime ordinario utilizzato in tutti i casi di possibile influenza delle norme ordinamentali sul piano processuale, conduce a una gerarchizzazione dell'ufficio di procura oltre il modello della riforma dell'ordinamento giudiziario appena varata. 6. L’art. 3, comma 1 lett. f n. 2, interviene, poi, nella materia delle indagini per fatti non costituenti notizia di reato. Viene, in particolare, inserito nell’art. 335 c.p.p. il comma 3 ter, con il quale si stabilisce che «delle notizie iscritte in registri diversi dal registro di cui al presente articolo (ndr, registro delle notizie di reato) non può essere fatto alcun uso, né può essere svolto in relazione ad esse alcun atto di indagine». Secondo la relazione illustrativa, «il pubblico ministero non potrà far uso dei poteri afferenti alle indagini preliminari in relazione a notizie che non sono state classificate come notizie di reato e che, di conseguenza, non sono state inserite nei registri ad esse relativi, previsti dai decreti del Ministro della giustizia, ai quali fa rinvio l’articolo 2 del regolamento per l’esecuzione del codice di procedura penale (da ultimo, vedi il decreto del Ministro della giustizia 27 marzo 2000, n. 264, recante regolamento per la tenuta dei registri presso gli uffici giudiziari). Pertanto, per svolgere o delegare una qualsiasi attività di indagine, il pubblico ministero dovrà prima operare una variazione dell'iscrizione». La disposizione non appare funzionale a garantire l’efficacia e l’efficienza dell’azione investigativa e contribuisce a svilire ulteriormente la funzione del pubblico ministero, laddove mira ad impedire che siano svolti anche meri accertamenti – così come oggi avviene – in ordine a notizie diverse da quelle iscritte nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. Invero, è pacifico che spetta esclusivamente al PM il potere di selezionare i fatti di rilevanza penale a sua conoscenza e che tale attività di qualificazione giuridica è strumentale alla operatività di determinate garanzie, connesse alla configurazione di accadimenti penalmente rilevanti ascrivibili a soggetti individuati ovvero individuabili. Ciò nondimeno le notizie non classificabili quali notizie di reato possono pur sempre comportare la necessità di accertamenti diretti a verificare se nei fatti in esse descritti siano o meno prospettabili ipotesi di reato (si pensi, a titolo meramente esemplificativo, alle segnalazioni che pervengono alla Procura della Repubblica in ordine a decessi sospetti ovvero alle missive che si limitano a narrare degli accadimenti senza, però, denunciare alcunché). Con la modifica proposta sembra volersi impedire all’autorità giudiziaria di compiere tali indispensabili accertamenti (così come oggi vengono definiti per distinguerli dalle indagini), di talché la ricaduta immediata non potrà che essere l’iscrizione ai sensi dell’art. 335 c.p.p. anche per quelle notizie che, ad oggi, formalmente non lo richiederebbero. 7. L’art. 5, comma 1 lett. e, propone l’inserimento di un art. 370 bis («Indagini tecnico-scientifiche»), in base al quale è riconosciuta al PM la possibilità di delegare l’esecuzione di indagini e accertamenti tecnicoscientifici direttamente ai servizi di investigazione scientifica istituiti presso i diversi servizi centrali e territoriali di polizia giudiziaria. La disposizione appare idonea ad accelerare le attività d’indagine, in quanto consente al PM di rivolgersi direttamente a detti servizi, senza dover preventivamente rivolgersi alla locale polizia giudiziaria e, peraltro, risolve utilmente la questione postasi in ordine alla delegabilità di tali indagini alla polizia giudiziaria. Del pari favorevolmente, in ragione della sua funzione acceleratoria del procedimento, deve accogliersi la modifica proposta dall’art. 5, comma 1, lett. c, in base alla quale, nel caso in cui il PM abbia intenzione di procedere a un accertamento tecnico non ripetibile ai sensi dell'art. 360 c.p.p. e la persona sottoposta alle indagini, prima del conferimento dell'incarico, formuli riserva di promuovere incidente probatorio, viene imposto che la richiesta di incidente probatorio sia presentata nei 10 giorni successivi alla suddetta riserva. Conseguentemente, la lettera g del medesimo comma modifica l'art. 398, comma 1, c.p.p., prevedendo che entro due giorni dalla scadenza del termine suddetto, il giudice pronunci ordinanza con la quale accoglie, dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di incidente probatorio. Infine, l’articolo 5 integra la disciplina delle investigazioni difensive. In primo luogo, con la lettera f del comma 1, sono inseriti nell’articolo 391 bis del codice di procedura penale due nuovi commi. Il comma 11 bis prevede che, quando la persona informata citata dal difensore non si presenta per il «colloquio», il giudice, su richiesta motivata dello stesso difensore, ne dispone l’accompagnamento coattivo. Ciò risponde alla tendenziale parificazione tra accusa e difesa e – come sottolinea la relazione illustrativa – «colma la lacuna della novella del dicembre 2000, che si limitava a prevedere le conseguenze del comportamento dell’informato che, comparendo dinanzi al difensore, si avvalga della facoltà di tacere». In proposito, tuttavia, sembrerebbe più idoneo consentire al giudice la facoltà di valutare la necessità e l’opportunità di disporre l’accompagnamento coattivo, al fine di limitare il ricorso ad uno strumento coercitivo ai casi strettamente necessari. Il comma 11 ter chiarisce, inoltre, che i soggetti che svolgono le investigazioni difensive, nello stesso procedimento o in procedimenti connessi o in indagini collegate, possono informarsi reciprocamente e possono comunicare al proprio assistito sia le attività da essi espletate, sia lo stato delle indagini dell’autorità giudiziaria. 8. L’art. 4 del disegno di legge si sofferma sui termini a difesa, il diritto alla prova e l’acquisizione delle sentenze irrevocabili: - con riferimento ai termini a difesa viene inserito nell'art. 108 c.p.p. un comma 1 bis, che estende ai casi previsti nell’art. 97, 4° comma, c.p.p. (semplice assenza del difensore titolare, di fiducia o d’ufficio) la possibilità per il difensore designato d’ufficio per l’udienza di ottenere un termine a difesa, che in questo caso non può comunque essere inferiore a 48 ore (con rilevanti ricadute in punto di scadenza dei termini di custodia cautelare). La previsione è di per sé condivisibile in quanto dà attuazione non formale al diritto di difesa ma – così come formulata – può dar luogo ad abusi non contenibili, con gravi ricadute sul principio di ragionevole durata; - con riferimento al diritto alla prova si riscrive parzialmente l’art. 190 c.p.p. mediante la sostituzione dei primi due commi, escludendo il vaglio del giudice sulla eventuale manifesta superfluità della prova (pur se resta ferma la possibilità successiva di esclusione delle prove superflue nel corso dell'istruttoria dibattimentale) ed eliminando la previsione secondo cui «la legge stabilisce i casi in cui le prove sono ammesse di ufficio». In particolare non condivisibile è il disposto della lett. b, che interviene a limitare il vaglio sull’ammissibilità delle prove, mantenendo la sola possibilità per il giudice di escludere quelle vietate dalla legge e manifestamente irrilevanti, ma non più quelle manifestamente superflue. Contrariamente a quanto rappresentato nella relazione introduttiva del disegno di legge, per cui l’innovazione intenderebbe tutelare il principio costituzionale del giusto processo, non è dato comprendere quale effettiva lesione alla disponibilità delle parti ovvero al principio di formazione in contraddittorio delle prove possa comportare il consentire al decidente, in via immediata e preventiva, di eliminare tutte quelle prove che, in maniera manifesta, risultino ab initio inutili rispetto ai fatti integranti il thema decidendum. L'indicata decisione, d'altro canto, appare sminuire la funzione giudicante e la discrezionalità rimessa al giudice in sede di ammissione delle prove, la quale, invece, opera senza un approfondito sindacato del merito, limitandosi all'esclusione delle sole prove palesemente superflue ai fini del giudizio. Una valutazione che lambisca il merito processuale, del resto, é comunque rimessa all’organo decidente nella stessa fase ammissiva, allorquando, guardando solo alla palese evidenza, è chiamato ad escludere le prove manifestamente irrilevanti. Nemmeno sufficiente appare il richiamo alla possibilità di rinviare l'esclusione delle prove manifestamente superflue ad una successiva fase processuale, e cioè nel corso dell'istruttoria dibattimentale, atteso che, del pari, non è dato comprendere le ragioni per cui debba essere posticipato fino a tale momento un giudizio che, invece, deve essere effettuato sulla sola evidenza dell’inutilità della prova, senza, dunque, la necessità del conforto delle risultanze di merito scaturite da altre attività processuali. La soluzione normativa indicata determina una irragionevole delimitazione della discrezionalità connessa all’esercizio della funzione giudicante e un pesante limite al celere svolgimento del giudizio, la cui durata è inevitabilmente allungata con la reiterata assunzione di prove superflue, con connesse conseguenze dilatorie assai pericolose sulla decorrenza dei termini di durata delle misure cautelari e sui tempi di prescrizione dei reati; - con riferimento alla richiesta di esame di testimoni, periti, consulenti tecnici o delle persone indicate nell’art. 210 c.p.p. si prevede, modificando l’art. 468, comma 1, c.p.p., che le parti che intendono formularla, oltre a dover depositare tempestivamente entro sette giorni dalla data del dibattimento la lista delle persone da sentire, debbano anche indicare tanto le circostanze “specifiche” su cui la persona deve essere sentita, quanto le ragioni per le quali la persona citata è in grado di riferirle (precisazione, quest’ultima, non prevista nel testo vigente). La modifica rende ancor più incomprensibili i limiti all’intervento del giudice teso a limitare le prove superflue di cui si è detto nel punto che precede; - con riferimento alla acquisizione delle sentenze irrevocabili di cui all’art. 238 bis, il nuovo testo la limita ai soli procedimenti relativi ai delitti di cui all’art. 51, commi 3 bis e 3 quater, e di cui all’art. 407, comma 2, lett. a c.p.p. L’introduzione di tale regime diversificato tra i procedimenti riguardanti le fattispecie delittuose di maggior allarme sociale e quelli riguardanti i reati meno gravi determina per tali ultimi giudizi – senza plausibili ragioni (considerato anche il recente intervento della Corte costituzionale che, con la sentenza n. 29 del 2009, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità sollevata sul punto) – un inutile aggravio nello svolgimento del dibattimento e un conseguente allungamento dei tempi necessari per l’accertamento di fatti e situazioni già acclarati in un procedimento svoltosi in contraddittorio tra le parti e deciso con sentenza pronunciata dall'Autorità giudiziaria (particolarmente nocivo in quanto relativo a reati notoriamente caratterizzati da termini prescrizionali più brevi). 9. L’art. 6 del disegno di legge interviene in materia di indagini preliminari, proroga del termine, durata massima delle indagini preliminari, avocazione e in materia di giudizio abbreviato, con un intervento mirato soprattutto all’accrescimento delle garanzie dell’indagato. 9.1. Questi i punti fondamentali dell’intervento novellistico: - trascurando la soppressione del comma 1 bis dell’art. 405 c.p.p., in quanto già abrogato dalla Corte costituzionale con la recentissima sentenza n. 121/2009, viene proposto di modificare integralmente il 2° comma del medesimo art. 405. In particolare il nuovo testo prevede che il termine ordinario di sei mesi entro i quali il PM deve ordinariamente chiedere il rinvio a giudizio dell’indagato (e da cui decorre anche il termine per la proroga delle indagini preliminari), decorra non già dalla data di iscrizione del nominativo nel registro corrispondente (come nel testo vigente), bensì dalla data in cui tale nominativo emerge agli atti, Coerentemente, poi, il testo demanda al giudice la possibilità di verificare la correttezza della data di iscrizione effettuata dal PM e di determinare egli stesso il giusto termine di decorrenza, con effetti diretti sulla utilizzabilità/inutilizzabilità degli atti; - viene precisato il contenuto della richiesta di proroga delle indagini preliminari di cui al secondo periodo del 1° comma dell’art. 406. A fronte dell’attuale testo, che prescrive solo che la richiesta contiene l’indicazione della notizia di reato e l’esposizione dei motivi che la giustificano, il testo proposto stabilisce che la richiesta di proroga deve contenere le generalità della persona sottoposta alle indagini, l’indicazione della notizia di reato, del luogo e del tempo del reato, nonché «l'esposizione dei motivi specifici che giustificano la richiesta sulla base delle indagini svolte»: dunque i motivi della richiesta dovranno essere “specifici” e giustificati dalle indagini svolte; - viene inserito all’art. 407 c.p.p. il comma 3 bis: con tale norma si stabilisce che, nel caso di trasmissione degli atti per competenza ad altra autorità giudiziaria e in ogni «altro» caso in cui si verifica la regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, se i termini sono scaduti le indagini possono essere proseguite solo per ulteriori sei mesi; - pensato prima della dichiarazione di incostituzionalità del comma 1 bis dell’art. 405, l’articolato prevede, poi, l’inserimento nell’art. 408 di un comma 1 bis, che sostanzialmente ripropone la regola per cui il PM deve chiedere l’archiviazione laddove l’ordinanza che dispone la misura cautelare sia stata annullata per mancanza di gravi indizi di colpevolezza e non siano stati acquisiti ulteriori elementi a carico dell’indagato. - viene riscritto integralmente l’art. 409 c.p.p., dedicato ai provvedimenti del giudice sulla richiesta di archiviazione. In particolare: d1) è esclusa la necessità di effettuare l’udienza in camera di consiglio nel caso in cui il giudice, non accogliendo la richiesta di archiviazione del PM, ritenga necessario lo svolgimento di nuove indagini: in tal caso semplicemente il giudice provvede con ordinanza ad indicare le indagini necessarie fissando il termine per il loro compimento; d2) lo schema procedimentale per gli altri casi di mancato accoglimento della richiesta di archiviazione resta sostanzialmente invariato, con la necessità dell’udienza camerale e degli avvisi e con la comunicazione al Procuratore generale; - viene prevista l’avocazione “necessaria” del procedimento da parte del Procuratore generale nel caso che siano decorsi 120 giorni dal termine di scadenza delle indagini preliminari senza che il PM abbia assunto determinazioni chiedendo il rinvio a giudizio o l’archiviazione del procedimento. Si prevede, poi, l’inserimento nell’art. 413 di un comma 2 bis, nel quale si stabilisce che se il Procuratore generale, compulsato dall’indagato o dalla persona offesa ad effettuare l’avocazione, non abbia provveduto in tal senso o comunque non abbia formulato le sue richieste nel termine di 30 giorni, l’indagato o la persona offesa possono stimolare il GIP, chiedendogli di fissare un termine non superiore a 60 giorni per la formulazione da parte del PM delle richieste; - si propone di inserire nell'art. 415 c.p.p. un comma 2 bis, fissando anche nei processi a carico di “ignoti” un termine massimo di durata delle indagini preliminari identico a quello fissato per i procedimenti a carico di “noti”; - viene eliminato l’obbligo di avviso di conclusione delle indagini di cui all’art. 415 bis nel caso in cui durante le indagini preliminari il PM abbia comunque provveduto ad inviare all’indagato l’informazione di garanzia di cui all’art. 369 o un atto equipollente, con tutte le correzioni codicistiche conseguenti. Questa scelta induce, poi, il disegno di legge ad allungare i termini per la fissazione dell’udienza preliminare, consentendo che essa venga fissata entro 60 (e non più 30) giorni dalla richiesta di rinvio a giudizio e che gli avvisi vengano notificati almeno 30 (e non più 10) giorni prima della data di udienza (artt. 418 e 419 c.p.p.); - si prevede, poi, un intervento sulle modalità della modificazione dell’imputazione nel corso dell’udienza preliminare, di cui all’art 423 c.p.p. Rispetto al testo vigente si precisa che in caso di modificazioni dell’imputazione l’imputato può chiedere un termine e difesa, in tal caso il giudice sospende l’udienza per un termine non superiore a venti giorni; l’imputato può anche formulare richiesta di integrazione probatoria ai sensi dell’art. 422; - viene modificata la disciplina relativa all’attività integrativa di indagine del PM o del difensore successiva al rinvio a giudizio. In particolare viene limitata la possibilità di svolgere attività integrativa successivamente all’ordinanza dibattimentale che decide sull’ammissione delle prove di cui all’art. 495 c.p.p.; in tal caso l’attività integrativa potrà essere svolta solo in caso di scoperta di fonti di prova decisive sopravvenute o non conosciute in precedenza o quando si rendono necessari ulteriori accertamenti sulla base di elementi nuovi emersi nel corso del processo e previa autorizzazione del giudice nel contraddittorio della parti; - si interviene inoltre sulla indicazione degli atti che compongono il fascicolo per il dibattimento, di cui all’art. 431 c.p.p.. Fra gli atti che devono comporre tale fascicolo viene inserito l’avviso di conclusione delle indagini di cui all’art. 415 bis, ove previsto, o l’informazione di garanzia di cui all’art. 369 o altro atto equipollente; - poiché, come anticipato, viene attribuita alla corte di assise la celebrazione del rito abbreviato per i processi di propria competenza, il disegno di legge disciplina, con l’art. 438 bis, le relative modalità di richiesta, precisando che l’imputato dovrà in tal caso avanzarla prima della dichiarazione di apertura del dibattimento; - viene inserito nell’art. 501 un comma 2 bis in forza del quale la disciplina per l’esame dei periti e dei consulenti tecnici si applica anche agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria che abbiano svolto gli accertamenti tecnico-scientifici di cui all’art. 370 bis; - viene infine modificato il comma 4 dell'art. 558, in termini tali da rendere eccezionale l’ipotesi che il PM ordini che l’arrestato in flagranza sia posto a sua disposizione a norma dell’art. 386 presentandolo direttamente in udienza in stato di arresto per la convalida ed il giudizio entro 48 ore dall’arresto. 9.2. Le disposizioni richiamate presentano un contenuto disomogeneo, rispetto al quale è necessario esprimere giudizi di segno diversificato. Numerose innovazioni devono essere valutate in maniera favorevole, in quanto finalizzate a scopi deflattivi senza nessun parallelo pregiudizio per le garanzie dell’indagato: - certamente positiva è la proposta di indicare con ordinanza immediatamente emessa dal GIP, senza la necessità di celebrare l’udienza in camera di consiglio, le nuove indagini da svolgersi da parte del PM in caso di mancato accoglimento della richiesta di archiviazione, dovendosi considerare l'udienza camerale a tali fini assai poco incisiva o realmente apportatrice di significativi contributi processuali. L’unico dubbio, caso mai, attiene all’opportunità della precisazione effettuata nel dettato normativo per cui, in tali casi, i termini di cui all’art. 407, commi 1 e 2, non possono essere superati di oltre sei mesi, con imposizione, dunque, di tempi assai esigui per lo svolgimento delle nuove indagini; - parimenti idonea, per le evidenti conseguenze acceleratorie che ne scaturiscono, è, poi, la scelta del legislatore di prevedere l’eliminazione dell’obbligo di avviso di conclusione delle indagini preliminari nelle ipotesi in cui il PM abbia già comunque provveduto ad inviare all’indagato l'informazione di garanzia o un atto ad essa equipollente, con conseguente allungamento dei termini per la fissazione dell’udienza preliminare; - allo stesso modo opportuna è la previsione che limita la possibilità di svolgere attività integrativa di indagine da parte del PM o del difensore successivamente all’ordinanza dibattimentale che decide sull’ammissione delle prove; - devono essere altresì considerate favorevolmente, per le garanzie ad esse connesse, le previsioni che introducono: la possibilità per l’imputato di chiedere un termine a difesa, ovvero formulare richiesta di integrazione probatoria, nel caso di modifica dell’imputazione nel corso dell’udienza preliminare; l’inserimento nel fascicolo per il dibattimento dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, ove previsto, o dell’informazione di garanzia o di altro atto equipollente; l’estensione della disciplina che regola l’esame dei periti e dei consulenti tecnici anche agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria che abbiano svolto accertamenti tecnico-scientifici. Ciò detto: - la norma introdotta dalla lett. d non può essere ritenuta concretamente applicabile, in quanto sostanzialmente ripropone, sia pure senza addivenire ad una perfetta coincidenza, il contenuto della disposizione dell’art. 405, comma 1bis, c.p.p. già abrogata dalla Corte costituzionale con la recentissima sentenza n. 121/2009; - sicuramente incerta nella sua formulazione, seppur dettata da ragioni apprezzabili, è la previsione normativa che modifica il dies a quo della decorrenza del termine di durata delle indagini preliminari, non più coincidente con la data di iscrizione del nominativo dell’indagato nel registro delle notizie di reato, bensì corrispondente alla data in cui tale nominativo emerge dagli atti, demandando, peraltro, ad un successiva verifica del giudice la valutazione di correttezza della data di iscrizione (e ciò soprattutto tenendo conto della mancanza, nel nostro sistema processuale, di una definizione univoca del concetto di «notizia di reato» la cui introduzione sarebbe invece certamente opportuna); - pericoloso, per l’evidente incertezza del dettato normativo, appare l’ancoraggio effettuato tra la nozione di data in cui per la prima volta il nome dell’indagato risulta dalle emergenze processuali e quella in cui deve essere effettuata l’iscrizione dello stesso indagato nel registro delle notizie di reato. La persona successivamente indagata, infatti, può in vario modo comparire in una fase assai iniziale delle indagini – ad esempio quale persona informata sui fatti o come apparente persona offesa – e poi solo dopo un lasso temporale assai considerevole – magari in esito a lunghe operazioni di accertamento o per una successiva chiamata in correità – essere considerato il presumibile autore del reato. In tali casi appare del tutto evidente come l’assunzione tardiva di una simile consapevolezza da parte degli inquirenti, magari in limine alla scadenza del termine per lo svolgimento delle indagini preliminari, precluda ingiustificatamente la possibilità da parte del PM di compiere, nella dovuta maniera, importanti attività investigative. Deve rilevarsi, poi, come in caso di diversa valutazione del termine di decorrenza fra giudice e PM vi sia il concreto pericolo che possano divenire inutilizzabili non solo gli atti compiuti nel lasso temporale finale delle indagini, corrispondente al periodo di differente valutazione, bensì anche tutti gli atti di indagine svolti in una fase intermedia, laddove, come nella quasi totalità dei procedimenti avviene, vi siano stati provvedimenti di proroga della durata delle indagini preliminari. Il fine di favorire leliminazione di possibili discrezionalità da parte del PM nella scelta del momento in cui procedere all’iscrizione dell’indagato nel registro delle notizie di reato appare perseguito, pertanto, a scapito della certezza interpretativa del dettato normativo, con possibili negative ripercussioni processuali sia in sede di svolgimento di attività di indagine che di utilizzabilità delle risultanze investigative acquisite; - fortemente limitante, con ulteriore possibilità di frenare lo svolgimento delle attività di indagine, è la disposizione che introduce la necessità di indicare, nella richiesta di proroga delle indagini preliminari, «l’esposizione dei motivi specifici che giustificano la richiesta sulla base delle indagini svolte». Tale disposizione, da un lato pretende la presenza di ulteriori e ben circostanziati elementi che possano giustificare il rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento di ulteriori indagini, così rendendo meno semplice l’emissione del provvedimento autorizzatorio, mentre dall’altro lato, proprio al fine di favorire l’adozione del provvedimento di accoglimento, sembra indurre il PM a pericolose discovery delle risultanze processuali già acquisite, con conseguenti rischi di pregiudizio dell’ancora espletanda attività investigativa; - nemmeno favorevole può essere il giudizio sulla norma che introduce il principio per cui, nel caso di trasmissione degli atti per competenza ad altra autorità giudiziaria, è prevista la possibilità di svolgere le indagini, il cui termine sia già scaduto, per soli ulteriori sei mesi. Tale disposizione, infatti, appare eccessivamente penalizzante nei confronti dell’ufficio inquirente successivamente dichiarato competente, perché esso, senza alcuna condotta a sé imputabile, si vede privato della possibilità di svolgere un’attività investigativa adeguata; - qualche perplessità suscita l’esplicita previsione per i procedimenti a carico di ignoti di termini massimi di durata delle indagini preliminari identici a quelli fissati per i procedimenti nei confronti di indagati noti, risolvendo in conformità al più recente dictum delle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza 28 marzo 2006 n. 13040) il risalente contrasto giurisprudenziale sul punto. Sarebbe infatti opportuno, intervenendo in materia, dettare una disciplina ad hoc, idonea a contemperare la necessaria celerità della attività di indagine con le esigenze specifiche del procedimento a carico di ignoti; - generica, infine, appare la norma che limita la possibilità da parte del PM di ordinare che l'arrestato in flagranza sia posto a sua disposizione ai soli casi in cui sussistano «specifici ed eccezionali motivi di assoluta necessità». La mancanza di tassatività della previsione normativa, infatti, impedisce di comprendere quando e in quali situazioni sia rimessa al PM l’esercizio della indicata facoltà. ***** 10. L’art. 8 del capo III («Disposizioni in materia di impugnazioni e di revisione delle sentenze a seguito di condanna della Corte Europea dei diritti dell’Uomo») reca disposizioni in materia di impugnazione e di revisione della sentenza. 10.1. In particolare: - le lettere b e d disciplinano il nuovo istituto della “dichiarazione di impugnazione”. La lett. b inserisce il nuovo art. 568 bis c.p.p., il quale prevede che, salvo che sia stata pronunciata sentenza contumaciale, entro 3 giorni dalla lettura del dispositivo il PM, l’imputato, il suo difensore e, limitatamente agli effetti civili, la parte civile, che intendono proporre impugnazione devono formulare, a pena di decadenza, specifica dichiarazione in tal senso. La lett. d modifica, di conseguenza, l’elenco dei casi di inammissibilità dell’impugnazione previsti dall’art. 591 c.p.p., inserendovi anche la mancata osservanza di quanto previsto dal nuovo art. 568-bis c.p.p.; - la lett. a introduce nel comma 3 ter dell’art. 544 una nuova modalità di redazione della sentenza, stabilendo che se nessuna delle parti formula la dichiarazione di impugnazione la motivazione della decisione si limita ad una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata; - le modifiche di cui alle lettere c, f e h eliminano la facoltà per l’imputato di redigere e presentare personalmente ricorso per cassazione, imponendo al medesimo di ricorrere ad un avvocato iscritto nell’albo dei patrocinanti in cassazione. Viene modificato, conseguentemente, l’art. 607, comma 1, c.p.p., stabilendo che l’imputato può proporre ricorso per cassazione solamente tramite un difensore (lett. f), oltre che l’art. 613 c.p.p., disponendo che, in ogni caso, nel giudizio di cassazione l’atto di ricorso, le memorie e i motivi nuovi devono essere sottoscritti, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della corte di cassazione (lett. h). Si precisa, ancora, che la possibilità per l’imputato di proporre impugnazione personalmente o per mezzo di un procuratore speciale vale solo nei casi in cui non sia diversamente previsto (lett. c). - la lett. e prevede che l’appello debba essere deciso in camera di consiglio, oltre che nelle ipotesi elencate nell’art. 599, comma 1, c.p.p., anche quando abbia esclusivamente ad oggetto la qualificazione giuridica del fatto. - la lett. g disciplina diversamente da quanto attualmente previsto la fattispecie della c.d. “inammissibilità originaria” del ricorso per cassazione, e cioè le cause di inammissibilità esterne al contenuto dell’atto impugnato. Essa introduce i nuovi commi 1 ter e 1 quater dell’art. 610 c.p.p., in cui sono elencati i casi in cui la Suprema Corte, sentito il Procuratore generale, dichiara l’inammissibilità del ricorso senza bisogno di fissare previamente la camera di consiglio, e cioè quando: e1) il ricorso è stato proposto dopo la scadenza del termine stabilito; e2) il ricorso è assolutamente privo dei motivi di impugnazione; e3) il ricorso non è sottoscritto da un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione; e4) vi è rinunzia al ricorso; e5) il ricorso é stato proposto contro una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ed esso debba essere dichiarato inammissibile; - la lett. i prevede nel nuovo comma 1 bis dell’art. 618 c.p.p. un’ulteriore ipotesi di rimessione del ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione per i casi in cui una sezione singola della stessa Corte non intenda conformarsi al più recente principio di diritto con il quale le sezioni unite hanno già risolto un contrasto tra sezioni singole. 10.2. La disposizione dell’art. 8 di un maggiore impatto in termini applicativi è certamente quella che introduce la “dichiarazione di impugnazione”, con conseguente previsione di una motivazione semplificata della sentenza in caso di mancata proposizione della suddetta dichiarazione nel termine decadenziale di tre giorni. L’indubbia finalità deflattiva posta base dell’istituto, ex se da valutare in termini favorevoli, sembra, tuttavia, avere spinto il legislatore all’adozione di un’opzione processuale fonte di significativi dubbi applicativi. La circostanza che l’impugnazione della sentenza venga rimessa alla decisione di una delle parti nel ristretto termine di tre giorni dalla lettura del dispositivo e senza la possibilità di conoscere il percorso motivazionale sotteso alla decisione pone problemi di compatibilità dell’istituto con il diritto di difesa e la corretta gestione del mandato accusatorio. L'insicurezza presumibilmente correlata all'obbligo di prendere una decisione “definitiva” in un lasso temporale talmente esiguo, sull’emotività della appena avvenuta lettura del dispositivo ed in assenza di un qualsivoglia parametro valutativo che possa orientare sulle ragioni di opportunità per cui impugnare (o meno) la sentenza, rendono agevole la prognosi che la misura deflattiva così introdotta verrà in gran parte disattesa, essendo probabile che possa verificarsi, quale opportuna cautela, un ricorso costante alla proposizione di un immediato appello da parte del soccombente. Addirittura è da ritenersi, proprio in antitesi alle finalità dell’istituto, che in alcuni casi potrà optarsi per la proposizione di impugnazioni che, all’esito di una ponderata ed attenta valutazione delle motivazioni della sentenza, potrebbero altrimenti non essere avanzate. La modifica concernente l2eliminazione della possibilità di ricorso personale per cassazione suscita, a sua volta, perplessità. Essa, infatti, incide sull'esplicazione del diritto di difesa – qualificato come «inviolabile in ogni stato e grado del procedimento» dall’art. 24, comma 2, Cost. – nello specifico ambito del processo penale. Il diritto di difesa dell’imputato, infatti, nel vigente sistema processuale, si estrinseca attraverso la possibilità di nomina di un difensore tecnico ovvero attraverso la predisposizione di una difesa materiale o autodifesa da parte dello stesso imputato. Il richiamato sistema bipolare di difesa trova rispondenza nella disciplina dettata dall'art. 6, comma 3, lett. c, della Convenzione EDU; la Convenzione europea dei diritti dell’uomo attribuisce, invero, all’imputato la possibilità di scegliere tra autodifesa e assistenza tecnica di un difensore, privilegiando la prima delle richiamate facoltà. Conseguentemente, la eliminazione del diritto dell'imputato di presentare personalmente il ricorso per cassazione appare non in sintonia con il complessivo sistema multilivello di protezione dei diritti di difesa emergente dalla richiamata normativa. Con riguardo, poi, alle ulteriori innovazioni previste dalle norme dell’art. 8 un giudizio certamente favorevole, in quanto misura idonea a snellire i lavori della Suprema Corte, deve essere espresso con riferimento alla disposizione della lett. g, che sancisce la previsione di talune situazioni di immediata declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, senza necessità di procedere nelle complesse forme dell’udienza camerale. Lo stesso non è a dirsi, invece, con riferimento alla disposizione che autorizza il ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione nei casi in cui una sezione non intenda conformarsi al più recente principio di diritto con il quale le sezioni unite hanno già risolto un contrasto tra sezioni singole. L’indubbia positiva conseguenza che deriva all’espletamento della funzione nomofilattica rischia, infatti, di determinare un pericoloso appesantimento dei lavori della Suprema Corte. 11. L’art. 9 prevede l’introduzione di una nuova ipotesi di revisione delle sentenze per i casi di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione delle disposizioni di cui all’art. 6, paragrafo 3, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. La lett. a, pertanto, modifica l’art. 630 c.p.p., aggiungendo l’indicata ipotesi a quelle per le quali il nostro ordinamento consente la revisione delle sentenze definitive. La lett. b aggiunge all’art. 631 c.p.p. il nuovo comma 1 bis, secondo il quale la domanda di revisione in caso di condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo è ammessa solo quando, al momento della sua presentazione, il condannato si trovi in stato di detenzione o vi debba essere sottoposto in virtù di un ordine di esecuzione, anche se sospeso, ovvero sia soggetto all’esecuzione di una misura alternativa alla detenzione, diversa dalla pena pecuniaria. La domanda di revisione deve essere dichiarata inammissibile dalla Corte di appello, anche di ufficio, quando viene proposta dopo tre mesi dalla data in cui la sentenza è divenuta definitiva (lett. d). Ai sensi della disposizione transitoria di cui all’art. 33, comma 4, del disegno di legge, la domanda di revisione delle sentenze divenute definitive prima della data di entrata in vigore della legge in esame deve essere formulata, a pena di inammissibilità, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa. Nella relazione al disegno di legge si evidenzia che la norma di cui viene proposta l2introduzione risponde all2invito espresso dalla Corte costituzionale (sent. n. 129 del 16 aprile 2008) che, in modo esplicito, ha sollecitato il legislatore nazionale a un intervento normativo da effettuarsi secondo il modello revocatorio, ampliando i casi di revisione, al fine di rispettare l2obbligo di conformarsi alle sentenze definitive della Corte EDU, sancito a carico delle «Alte Parti contraenti» dall’art. 46 della Convenzione. Nel commentare l’introduzione della nuova ipotesi di revisione, va osservato che la novella aggiunge, opportunamente, uno strumento ad hoc a quelli già presenti nel nostro sistema processuale tesi a consentire al giudice nazionale l'adozione di misure di carattere individuale per emendare la specifica violazione convenzionale accertata dalla Corte di Strasburgo (strumenti ai quali lo stesso disegno di legge sembra fare riferimento allorché, nell’art. 10, introduce l’art. 201-bis disposizioni di attuazione e transitorie cpp, rubricato «Adempimenti in caso di sentenza di condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo», che, nel secondo comma, prevede che «il Ministro della giustizia, ricevuta la sentenza, ne dispone senza indugio la traduzione in lingua italiana e la inoltra al procuratore generale presso la corte di appello competente»). 12. L’art. 10 reca modifiche alle disposizioni di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale. 12.1. In particolare: - le lettere da a a d attenuano i poteri dei Procuratori generali presso la Corte di appello in materia di trasferimenti e di promozioni del personale delle sezioni di polizia giudiziaria; - la lett. e prevede che gli atti inseriti in registri diversi da quello delle notizie di reato debbano essere distrutti decorso un periodo di tempo predeterminato (1 o 5 anni); - la lett. f dispone l’obbligo per gli appartenenti ai servizi di investigazione scientifica, che siano stati nominati consulenti tecnici o periti, di versare il 30% del compenso percepito al servizio di polizia giudiziaria di appartenenza; - la lett. g limita il potere del giudice di disporre il trasferimento dell’arrestato o del fermato per la comparizione davanti a sé esclusivamente ai casi in cui sussistano eccezionali motivi di necessità ed urgenza; - la lett. h dispone che in tutte le aule di udienza i banchi riservati alle parti debbano essere posti allo stesso livello di fronte all’organo giudicante; - la lett. i prevede l’onere per il Presidente del Consiglio dei ministri, nei casi di ricezione di una sentenza di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione dell’art. 6, paragrafo 3, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, di trasmettere copia autentica della sentenza al Ministro della giustizia che, dispostane la traduzione, ne provvede l’inoltre al Procuratore generale presso la Corte di appello competente. 12.2. Due delle disposizioni citate meritano un commento. In primo luogo, la trasformazione da autorizzazione in mero parere del sindacato espresso dal Procuratore generale o dal Procuratore della Repubblica in sede di trasferimento, allontanamento o promozione del personale delle sezioni di polizia giudiziaria o degli ufficiali posti a dirigere i servizi di polizia giudiziaria completa il disegno di controproducente separazione tra PM e polizia giudiziaria. Analogamente, la disposizione della lett. e, che prevede l’obbligo di distruzione dopo un anno degli atti inseriti in registri diversi da quello delle notizie di reato (termine esteso a cinque anni con riguardo alle denunce o ai documenti anonimi) è priva di utilità specifica e disfunzionale rispetto all'efficacia e all'efficienza dell’azione investigativa coordinata dal PM, atteso che, favorendo una rapida distruzione di tali tipologie di documenti, si contribuisce ad impedire che possano essere svolti, magari dopo un certo lasso di tempo ed in esito a successive acquisizioni probatorie, anche dei semplici accertamenti su notizie diverse da quelle iscritte nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., così determinando l’irrimediabile perdita di documenti ipoteticamente passibili di importanti sviluppi processuali. 13. L’art. 11 modifica l’art. 2, comma 1, della legge 7 dicembre 1969, n. 742, stabilendo che la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, compresi quelli stabiliti per la fase delle indagini preliminari, non opera nei procedimenti relativi a imputati sottoposti a qualsiasi tipo di misura cautelare personale (e non già solo, come attualmente previsto, per gli imputati sottoposti alla custodia cautelare in carcere). Si tratta di una innovazione da salutare con favore, in quanto finalizzata a ristabilire una situazione di uguaglianza sostanziale tra le diverse ipotesi di sottoposizione a misura cautelare personale, atteso che essa, per quanto esplicato nella relazione illustrativa, tende a correggere «una disparità di trattamento ingiustificata, nel segno della doverosa accelerazione del processo ogni qualvolta sussista un sacrificio della libertà personale». Occorrerà, peraltro, prestare attenzione alle ricadute pratiche che, soprattutto negli uffici giudiziari con maggiori quantitativi di pendenze, deriveranno dall’applicazione immediata della norma, considerato che la presenza anche di un solo indagato o imputato sottoposto a misura coercitiva diversa da quella custodiale imporrà una trattazione più rapida ed immediata del fascicolo processuale, con complicazioni nella gestione dei ruoli di udienza e nella trattazione degli altri fascicoli processuali. 14. L’art. 12, modificando l’art. 3, comma 5, della legge 11 dicembre 1984, n. 839, dispone la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del testo integrale di tutte le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo che constatano, a carico dello Stato italiano, la violazione di una o più disposizioni dell’art. 6, paragrafo 3, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Con tale norma si introduce una specifica forma di pubblicità delle sentenze di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione delle disposizioni di cui all’art. 6, paragrafo 3, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il cui principale scopo appare quello di consentire la concreta applicazione della nuova ipotesi di revisione delle sentenze definitive prevista dall’art. 9 del disegno di legge, alla cui norma, pertanto, la presente disposizione è strutturalmente correlata.». Il presente parere viene trasmesso al Ministro della giustizia. _____________ (1) Il riferimento – come si è già accennato – è all’art. 3, comma 1 lett. a, che riformula l’art. 55, comma 1, c.p.p., attribuendo alla polizia giudiziaria l’esclusiva nella raccolta delle notizie di reato; all’art. 3, comma 1 lett. d, che sostituisce il vigente art. 326 c.p.p. con lo scopo di imporre al PM l’obbligo di assumere le determinazione inerenti l’esercizio dell’azione penale tenendo conto anche dei risultati delle indagini di polizia giudiziaria; all’art. 3, comma 1 lett. e, che modifica l’art. 330 c.p.p. – che disciplina l’acquisizione delle notizie di reato – privando il PM di prendere notizia dei reati di propria iniziativa e attribuendo tale attività in via esclusiva alla polizia giudiziaria; all’art. 3, comma 1 lett. f, n. 1, che modifica l’art. 335 c.p.p., in materia di registro delle notizie di reato, eliminando il riferimento al potere del PM di iscrivere in tale registro le notizie di reato che egli abbia acquisito di propria iniziativa; all’art. 3, comma 2, che modifica, conseguentemente, l’art. 12 D.Lgs. 274/2000, eliminando il riferimento al potere del PM di prendere direttamente notizia di un reato di competenza del giudice di pace. 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Tutela penale, differenti discipline, legittimità, precisazioni (sezione: Giustizia)

( da "AltaLex" del 27-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Tutela penale, differenti discipline, legittimità, precisazioni Corte Costituzionale , sentenza 14.07.2009 n° 217 Stampa | Segnala | Condividi La separazione dell’azione civile dal processo penale non può essere considerata come evoluzione o menomazione del diritto di tutela giurisdizionale, costituendone una modalità che generalmente è alternativa, ma che il legislatore, nell’ambito del suo potere discrezionale, può scegliere come esclusiva in vista di altri interessi da tutelare come quello della speditezza del processo penale e che l’autonomo esercizio dell’azione di restituzione o risarcitoria nel processo civile non comprime il diritto di difesa, il quale potrà essere esercitato secondo le regole generali del codice di procedura civile. (Fonte: Altalex Massimario 29/2009. Cfr. nota di Adolfo Liarò) | tutela penale | Corte Costituzionale Sentenza 14 luglio 2009, n. 217 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Francesco AMIRANTE Presidente - Ugo DE SIERVO Giudice - Paolo MADDALENA “ - Alfio FINOCCHIARO “ - Alfonso QUARANTA “ - Franco GALLO “ - Luigi MAZZELLA “ - Gaetano SILVESTRI “ - Sabino CASSESE “ - Maria Rita SAULLE “ - Giuseppe TESAURO “ - Paolo Maria NAPOLITANO “ - Giuseppe FRIGO “ - Alessandro CRISCUOLO “ - Paolo GROSSI “ ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 420-ter, comma 5, e 484, comma 2-bis, del codice di procedura penale promosso dal Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Francavilla Fontana, nel procedimento penale a carico di S. M., con ordinanza del 2 ottobre 2008, iscritta al n. 24 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2009. Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 10 giugno 2009 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo. Ritenuto in fatto 1.— Il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Francavilla Fontana, con ordinanza del 2 ottobre 2008, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 420-ter, comma 5, e dell’art. 484, comma 2-bis, del codice di procedura penale nella parte in cui «non consentono al giudice del dibattimento di rinviare ad una nuova udienza nel caso in cui l’assenza del difensore della costituita parte civile sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento prontamente comunicato». Il rimettente premette di essere chiamato a decidere in un procedimento penale a carico di S. M., imputato del delitto di cui all’art. 570 codice penale (violazione degli obblighi di assistenza familiare), in relazione al quale, in data 5 giugno 2007, il difensore della costituita parte civile P. M. ha depositato in cancelleria un certificato medico, datato 4 giugno 2007, attestante condizioni di salute incompatibili con la sua comparizione per l’udienza del 7 giugno 2007. Il giudice a quo riferisce che all’udienza del 7 giugno 2007 non ha accolto la richiesta di differimento dell’udienza, in forza del combinato disposto degli artt. 420-ter, comma 5, e 484, comma 2-bis, cod. proc. pen., in quanto dette norme riservano il diritto di differimento dell’udienza in caso di legittimo impedimento, prontamente comunicato, soltanto al difensore dell’imputato, sicché, nella medesima udienza, ai sensi dell’art. 519 cod. proc. pen., ha provveduto all’ammissione di prove testimoniali richieste dall’imputato a seguito di contestazione suppletiva. Precisa, inoltre, che all’udienza dell’8 maggio 2008 il difensore della parte civile ha eccepito, ai sensi dell’art. 180 cod. proc. pen., la nullità dell’ordinanza con la quale il giudicante ha respinto la richiesta di rinvio dell’udienza del 7 giugno 2007 e del provvedimento di ammissione delle nuove prove richieste dall’imputato, per violazione dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen., ovvero per inosservanza delle disposizioni concernenti l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza della parte civile costituita; in particolare, il difensore della parte civile ha eccepito che l’ordinanza di ammissione delle prove richieste dall’imputato, a seguito della contestazione suppletiva, è stata pronunziata nonostante la sua assenza, dovuta ad impedimento assoluto, prontamente comunicato e, quindi, senza alcun contraddittorio con una delle parti del processo. Il giudice rimettente prospetta la violazione degli artt. 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, Cost. ritenendo, in punto di rilevanza della questione, che l’eccezione di nullità e, quindi, il giudizio non possono essere definiti indipendentemente dalla risoluzione della questione di costituzionalità in esame, giacché l’incostituzionalità degli artt. 420-ter, comma 5 e 484, comma 2-bis, «nei termini prospettati dal difensore della parte civile imporrebbe al decidente di accogliere l’eccezione di nullità». Pone in evidenza il rimettente che la questione appare non manifestamente infondata, in quanto «la mancata estensione da parte del combinato disposto degli articoli 420-ter comma 5, e 484 comma 2-bis, cod. proc. pen. al difensore della parte civile dell’istituto del rinvio dell’udienza in caso di mancata comparizione, quanto meno quando la stessa sia dovuta, come nel caso in esame, ad impossibilità assoluta per forza maggiore sembra contrastare» con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., con quello della parità delle parti nel processo di cui al secondo comma dell’art. 111 Cost. e con il principio di inviolabilità della difesa di cui ai commi primo e secondo dell’art. 24 Cost. L’omessa previsione contrasterebbe, secondo il rimettente, con il principio di uguaglianza, «stante l’irragionevole discriminazione operata tra il difensore dell’imputato ed il difensore della parte civile che vengono a trovarsi nella medesima situazione incolpevole»; con il principio della parità delle parti nel processo, «stante l’attribuzione del diritto al differimento dell’udienza al difensore di una delle parti del processo penale e la negazione di tale identico diritto al difensore della parte civile che si trova nella medesima situazione»; inoltre, con il principio della inviolabilità della difesa, «sicuramente applicabile anche alla persona offesa dal reato in relazione alle sue pretese civilistiche: diritto la cui effettività sarebbe vulnerata dallo svolgimento di attività processuale nella quale l’imputato ed il suo difensore possono svolgere la loro difesa in assenza della parte civile e del suo difensore impossibilitato a presenziare per forza maggiore». 2. — Con atto depositato in data 3 marzo 2009, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito la manifesta irrilevanza della questione. La difesa erariale ha evidenziato che la questione sollevata dal rimettente, «al fine di operare una corretta disamina del caso oggetto di cognizione», deve essere affrontata nella «appropriata e diversa sede normativa dell’art. 519 cod. proc. pen., con particolare riguardo al comma 3 della norma medesima». Osserva che la citata disposizione, in caso di contestazione suppletiva, effettuata ai sensi degli artt. 516, 517 e 518 cod. proc. pen., nelle previsioni di cui ai commi 1 e 2, impone al giudice di concedere termini per la difesa e di sospendere il dibattimento, se l’imputato ne faccia richiesta; inoltre, il comma 3 prevede che il presidente dispone la citazione della persona offesa osservando un termine non inferiore a cinque giorni. L’Avvocatura ritiene che «secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata della norma processuale in esame, una volta che lo stesso ordinamento processuale contempla la possibilità che dopo l’apertura del dibattimento i fatti di reato per cui si procede vengano integrati e ridefiniti e, dunque, che il processo conosca nuovi sviluppi, sarebbe illogico e contraddittorio – rispetto a questi ultimi – impedire ai soggetti coinvolti l’esercizio dei loro fondamentali diritti di ordine processuale». La difesa pubblica indica alcune decisioni della Corte costituzionale con cui è stata riconosciuta la facoltà dell’imputato di richiedere il “patteggiamento” (sentenza n. 265 del 1994) e di proporre domanda di oblazione (sentenza n. 530 del 1995), ma anche la facoltà del pubblico ministero e delle parti private diverse dall’imputato di chiedere l’ammissione di nuove prove in relazione alle contestazioni introdotte in via suppletiva (sentenze n. 50 del 1995 e n. 241 del 1992); inoltre, evidenzia che la possibilità di chiedere l’ammissione di nuove prove sussiste a prescindere dalla circostanza che la contestazione suppletiva abbia ad oggetto un fatto – reato già risultante dagli atti prima dell’inizio del dibattimento o al momento dell’esercizio dell’azione penale o, ancora, un fatto emerso successivamente nel corso dell’istruzione dibattimentale. L’interveniente indica, altresì, la giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui, in caso di contestazioni suppletive formulate ai sensi degli artt. 516, 517 e 518 cod. proc. pen., la parte offesa, ancorché presente, ha diritto anch’essa, come l’imputato, alla sospensione del dibattimento, onde potersi costituire parte civile per la nuova udienza. Analogo diritto spetta anche alla parte civile già costituita, in vista della possibile modifica, sotto il profilo tanto della causa petendi, quanto del petitum dei già costituiti rapporti processuali (Cass., sentenze n. 12732 del 2000 e n. 10660 del 1995). L’Avvocatura sostiene, dunque, che nel caso di specie difetta il nesso di pregiudizialità che deve necessariamente sussistere tra la soluzione della questione e la decisione del giudizio principale, e ciò in quanto «l’eccezione di nullità sollevata nel giudizio a quo», essendo «riconducibile esclusivamente alla mera inosservanza della disposizione di cui all’art. 519, comma 3, cod. proc. pen. è suscettibile di essere decisa indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice a quo». Considerato in diritto 1.— Il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Francavilla Fontana, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 420-ter, comma 5, e dell’art. 484, comma 2-bis, del codice di procedura penale nella parte in cui «non consentono al giudice del dibattimento di rinviare ad una nuova udienza nel caso in cui l’assenza del difensore della costituita parte civile sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento prontamente comunicato». Il rimettente, chiamato a decidere in un procedimento penale a carico di S. M., imputato del delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, in relazione al quale, in data 5 giugno 2007, il difensore della costituita parte civile P. M. ha prodotto un certificato medico, datato 4 giugno 2007, attestante condizioni di salute incompatibili con la sua comparizione per l’udienza del 7 giugno 2007, osserva che all’udienza indicata ha respinto la richiesta di differimento in forza del combinato disposto degli articoli 420-ter, comma 5, e 484, comma 2-bis, cod. proc. pen., che riserva il diritto di differimento dell’udienza, in caso di legittimo impedimento prontamente comunicato, soltanto al difensore dell’imputato; pertanto, all’udienza del 7 giugno 2007, ai sensi dell’art. 519 cod. proc. pen., ha provveduto all’ammissione delle prove testimoniali richieste dall’imputato a seguito di contestazione suppletiva. Sussisterebbe, secondo il giudice a quo, la violazione degli artt. 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., in quanto l’omessa previsione del diritto del difensore della parte civile al differimento dell’udienza, in caso di impedimento legittimo, prontamente comunicato, violerebbe il principio di uguaglianza, «stante l’irragionevole discriminazione operata tra il difensore dell’imputato ed il difensore della parte civile che vengono a trovarsi nella medesima situazione incolpevole»; il principio della inviolabilità della difesa, «sicuramente applicabile anche alla persona offesa dal reato in relazione alle sue pretese civilistiche: diritto la cui effettività sarebbe vulnerata dallo svolgimento di attività processuale nella quale l’imputato ed il suo difensore possono svolgere la loro difesa in assenza della parte civile e del suo difensore impossibilitato a presenziare per forza maggiore»; inoltre, sarebbe in contrasto con il principio della parità delle parti nel processo, «stante l’attribuzione del diritto al differimento dell’udienza al difensore di una delle parti del processo penale e la negazione di tale identico diritto al difensore della parte civile che si trova nella medesima situazione». E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito la manifesta irrilevanza della questione in considerazione del difetto del nesso di pregiudizialità che deve sussistere tra la soluzione della questione e la decisione del giudizio principale. 2.— L’eccezione di inammissibilità per manifesta irrilevanza, sollevata dall’Avvocatura dello Stato, non è fondata. Essa si richiama ad una situazione processuale diversa da quella descritta nell’ordinanza di rimessione, ossia alla situazione in cui, a seguito di nuove contestazioni (artt. 516 e seguenti, cod. proc. pen.), il presidente debba disporre la citazione della persona offesa (art. 178, lett. c, cod. proc. pen.), osservando un termine non inferiore a cinque giorni (art. 519, comma 3, cod. proc. pen.). Ma il difensore della parte civile non fa valere, a quanto risulta dall’ordinanza di rimessione, la violazione di diritti processuali inerenti alla contestazione suppletiva. Si duole, invece, di una diversa (presunta) violazione, correlata al mancato rinvio dell’udienza per il dedotto suo impedimento a parteciparvi. Pertanto, non è ravvisabile la carenza del nesso di pregiudizialità tra la soluzione della questione e la decisione del giudizio principale, nei termini prospettati dall’Avvocatura dello Stato. La difesa erariale omette, inoltre, di adempiere all’onere di indicare circostanze a riscontro di ciò che sostiene, in quanto non fornisce elementi idonei a dimostrare che l’udienza nella quale il pubblico ministero ha formulato la contestazione suppletiva sia stata la stessa cui il difensore di parte civile non ha potuto partecipare, per impedimento legittimo. Posto, infatti, che l’obbligo per il giudice, sanzionato a pena di nullità dal comma 3 dell’art. 519 cod. proc. pen., di concedere il termine in caso di contestazione suppletiva, anche in favore della persona offesa e della parte civile, è immediatamente collegato alla formulazione della contestazione stessa, soltanto qualora la nuova contestazione fosse stata formulata all’udienza alla quale il difensore della parte civile è stato nella impossibilità di partecipare, il giudice a quo avrebbe potuto decidere l’eccezione di nullità ricorrendo alla disposizione menzionata (art. 519, comma 3, cod. proc. pen.). 3.— Nel merito, la questione non è fondata. Si deve premettere che il codice di procedura penale del 1988, introducendo nell’ordinamento il processo penale di tipo accusatorio, ha comportato significativi riflessi sui rapporti tra processo penale ed azione civile, ispirati non p– come accadeva nel previgente sistema processuale penale di tipo inquisitorio – alla prevalenza del processo penale su quello civile e amministrativo, quanto, piuttosto, alla separazione dei giudizi ed alla indipendenza del giudizio civile e amministrativo da quello penale. L’intero corpo normativo processuale risulta, infatti, strutturato sulla diversità delle posizioni processuali della parte civile e dell’imputato, in particolare, sul carattere accessorio, subordinato ed eventuale dell’azione civile rispetto al processo penale; si tratta di disposizioni che delineano una netta diversificazione dei diritti e dei poteri processuali attribuiti alla parte civile ed all’imputato, costituenti, dunque, situazioni soggettive non omologabili. La non equiparabilità delle posizioni soggettive in questione e il favor separationis tra azione civile ed azione penale è alla base della più volte affermata non irragionevolezza della scelta del legislatore, nei casi in cui non ha esteso anche alla parte civile facoltà e diritti attribuiti in via esclusiva all’imputato ed in quelli in cui non ha riconosciuto autonomi diritti e facoltà alla parte civile. Questa Corte, infatti, non ha ritenuto discriminatoria la scelta del legislatore di consentire soltanto all’imputato ed al pubblico ministero di formulare la richiesta di rimessione del processo (sentenza n. 168 del 2006); né ha ritenuto irragionevole il mancato riconoscimento alla parte civile del diritto di impugnare il provvedimento con il quale la sua istanza di sequestro conservativo sia stata respinta (ordinanza n. 424 del 1998); anzi, ha affermato la ragionevolezza del comma 2 dell’art. 495 cod. proc. pen., nella parte in cui attribuisce soltanto all’imputato ed al pubblico ministero, e non anche alla parte civile, il diritto alla prova contraria (sentenza n. 532 del 1995). Inoltre, la Corte, già sotto la vigenza del codice di procedura penale del 1930, ha ritenuto la portata non discriminatoria dell’art.175 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedeva, in tema di notificazioni, l’obbligo di disporre le ricerche del danneggiato nei luoghi di nascita e di ultima dimora, così come era previsto per l’imputato (sentenza n. 187 del 1972). La Corte, dunque, tutte le volte in cui è stata chiamata a decidere sui rapporti tra azione civile e azione penale, ha costantemente affermato il principio per cui «imputato e parte civile esprimono due entità soggettive fortemente diversificate, non solo sul piano del differente risalto degli interessi coinvolti, ma anche e soprattutto per l’impossibilità di configurare in capo ad essi un paradigma di par condicio valido come regola generale su cui conformare i relativi diritti e poteri processuali. Questa Corte, d’altra parte, ha costantemente avuto modo di affermare che le differenze di “trattamento processuale” tra le parti sono legittime, sempre che abbiano una loro ragionevole base all’interno del sistema processuale. Se ciò vale per le parti necessarie del processo, a fortiori è possibile tracciare un ragionevole discrimen in riferimento alle parti eventuali: specie nelle ipotesi in cui – come nel caso della parte civile nel processo penale – sia assicurato un diretto ed incondizionato ristoro dei propri diritti attraverso l’azione sempre esercitabile in sede propria» (sentenza n. 168 del 2006). Si deve, inoltre, ribadire che la Corte, nel legittimare la differenza del trattamento processuale, nei termini indicati, ha, al contempo, affermato che l’eventuale impossibilità per il danneggiato di partecipare al processo penale non incide in modo apprezzabile sul diritto di difesa e sulla parità delle parti, data la possibilità di esercitare l’azione di risarcimento del danno nella sede civile ed anche, atteso il carattere accessorio e subordinato dell’azione civile, in considerazione della facoltà del danneggiato dal reato di scegliere di far valere i propri diritti nella sede propria oppure in quella penale dopo aver effettuato una valutazione comparativa dei relativi vantaggi (sentenza n. 168 del 2006; ordinanza n. 124 del 1999). Ciò premesso, le argomentazioni del rimettente in ordine all’omessa estensione del diritto del differimento dell’udienza anche al difensore della parte civile, non sono idonee a superare le considerazioni sopra richiamate, che debbono essere qui ribadite, con la conseguenza che le norme denunziate si sottraggono alle censure mosse con riferimento agli artt. 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, Cost. Anche con riferimento alla diversità della disciplina concernente l’impedimento del difensore dell’imputato e di quello di parte civile, non può non venire in rilievo, ancora una volta, la eterogeneità delle posizioni processuali nel cui interesse il difensore compie e riceve tutti gli atti del procedimento. La scelta del legislatore di non estendere anche al difensore della parte civile il diritto al differimento dell’udienza non è, dunque, irragionevole, e ciò in quanto il differente rilievo degli interessi di cui l’imputato e la parte civile sono portatori, e la diversa natura degli scopi perseguiti, si riflettono anche sulla disciplina prevista in relazione al diritto di partecipazione al processo e, quindi, alla presenza del difensore. La non irragionevolezza della disposizione censurata deve essere affermata anche in considerazione di altri interessi da tutelare, quale quello della speditezza del processo penale, interesse che, evidentemente, il legislatore non ha inteso compromettere attraverso la previsione del diritto al rinvio anche per il difensore della parte civile, dovendo attribuirsi precipuo rilievo al dato che nel processo penale l’imputato è soggetto direttamente coinvolto, mentre la parte civile sceglie, liberamente, di far valere le proprie pretese civili in esso, anziché in sede civile. In tal senso è significativa la sentenza n. 39369 del 2 ottobre 2008 della Corte di cassazione che, nell’escludere la possibilità di estendere l’applicazione dell’articolo 420-ter cod. proc. pen. al difensore della parte civile, ha affermato che la diversità di disciplina non appare irragionevole, in considerazione dei plurimi strumenti presenti nell’ordinamento per chi chiede la tutela dei propri interessi civili in una valutazione comparativa con l’interesse alla speditezza processuale. Con tale pronunzia la Corte di cassazione ha ribadito quanto già espresso da questa Corte nella sentenza n. 433 del 1977, secondo cui «la separazione dell’azione civile dal processo penale non può essere considerata come evoluzione o menomazione del diritto di tutela giurisdizionale, costituendone una modalità che generalmente è alternativa, ma che il legislatore, nell’ambito del suo potere discrezionale, può scegliere come esclusiva in vista di altri interessi da tutelare come quello della speditezza del processo penale e che l’autonomo esercizio dell’azione di restituzione o risarcitoria nel processo civile non comprime il diritto di difesa, il quale potrà essere esercitato secondo le regole generali del codice di procedura civile». Con riferimento alla violazione dell’art. 24 Cost., sotto il profilo per cui l’effettività del diritto di difesa della parte civile sarebbe vulnerata dallo svolgimento di attività processuale nella quale l’imputato ed il suo difensore possono svolgere la loro difesa, in assenza della parte civile e del suo difensore, si deve rilevare che tale lesione non sussiste. Ciò non solo perché ben può il difensore legittimamente impedito nominare un sostituto, il quale esercita i diritti e assume i doveri del difensore ai sensi dell’art. 102 cod. proc. pen., ma anche perché, come più volte affermato da questa Corte, l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno nel processo penale non rappresenta l’unico strumento di tutela giudiziaria a disposizione della parte civile «per l’esistenza di validi e praticabili percorsi giudiziari alternativi nella piena disponibilità del danneggiato (azione risarcitoria davanti al giudice civile)» (ordinanze n. 562 del 2000 e n. 424 del 1998). Le considerazioni esposte conducono, altresì, ad escludere la violazione del secondo comma dell’articolo 111 Cost., in particolare, del principio della parità delle parti, atteso che la previsione della facoltà prevista in capo alla parte civile di trasferire, in qualsiasi momento, l’azione per il risarcimento del danno derivante dal reato nella sede civile, esclude di regola pregiudizi agli interessi di cui è portatrice. In conclusione, la questione di legittimità costituzionale, sollevata con l’ordinanza indicata in epigrafe, deve essere dichiarata non fondata. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 420-ter, comma 5, e dell’art. 484, comma 2-bis, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Francavilla Fontana, con l’ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2009. F.to: Francesco AMIRANTE, Presidente Alessandro CRISCUOLO, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 14 luglio 2009. Stampa | Segnala | Condividi |

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Prof reintegrati in Università scatta la rivolta dei precari (sezione: Giustizia)

( da "Stampa, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Giustizia

DOPO LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE SUI DOCENTI TRA 72 E 74 ANNI Prof reintegrati in Università scatta la rivolta dei precari

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I baroni rientrano dalla finestra e per noi non c'è nessuna speranza (sezione: Giustizia)

( da "Stampa, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Giustizia

«I baroni rientrano dalla finestra e per noi non c'è nessuna speranza» [FIRMA]ANDREA ROSSI Ora che la Corte Costituzionale ha stabilito che i docenti "fuori ruolo" mandati in pensione prima del tempo vanno reintegrati la rivolta dei precari è scattata in un amen. «I baroni escono dalla porta e rientrano dalla finestra; noi usciamo e basta». All'inizio del prossimo anno accademico una trentina di professori tra 72 e 74 anni rientreranno in servizio (alcuni, per effetto di una serie di sentenze del Tar sono già tornati al loro posto) e contribuiranno a zavorrare le casse dell'ateneo. Sempre a inizio anno scatteranno i pensionamenti dei docenti di 70 anni (89, altri 79 se ne andranno a novembre del 2010). Un paradosso: il possibile risparmio, privandosi dei professori settantenni, sarà in parte eroso dal rientro dei 74enni. Senza contare che molti pensionandi in realtà continueranno a lavorare in università, avendo già accettato un bienni di collaborazione a 20 mila euro l'anno. Il coordinamento dei precari, dopo la sentenza della Consulta, ha calcolato il bilancio di quest'operazione: nel 2006-2007 i contratti di collaborazione da 20mila euro per i professori in pensione sono costati all'ateneo di via Po 280 mila euro, lievitati a 540 mila l'anno successivo. Nell'anno accademico che sta per finire la spesa è crescita a 656 mila euro. Nulla in confronto a quel che succederà da novembre: molti di coloro che andranno in pensione hanno già ottenuto il biennio aggiuntivo con cui l'Università intende non disperdere il patrimonio di sapere e mantenere in vita i progetti di ricerca avviati da questi docenti. «Di questo passo, però, per noi non ci sarà mai spazio», spiegano dal Coordinamento. La spesa per i contratti di collaborazione è destinata a crescere, ma non per tutti. «A molti precari, che facevano docenza a contratto, hanno offerto un contratto simbolico da 50 euro. E ne sborsano 20mila per tenere agganciati quelli che vanno in pensione».

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Comunità montane in attesa di verdetto (sezione: Giustizia)

( da "Stampa, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ALTRO RICORSO Comunità montane in attesa di verdetto Si deciderà nei tribunali il futuro delle comunità montane. Il Tar la scorsa settimana aveva sospeso la legge regionale del 2008 sugli accorpamenti, accogliendo la richiesta della Comunità Montana Alta Valle Susa. Secondo i giudici, era da tenere in considerazione il rilievo mosso dall'ente valsusino sulla Finanziaria 2008, la quale imponeva alle Regioni di determinare gli accorpamenti, norma considerata incostituzionale in quanto la legislazione sulle comunità montane sarebbe materia esclusiva delle Regioni. Una tesi accolta dalla Corte costituzionale, che a sua volta si è pronunciata a favore dei ricorsi presentati dalle amministrazioni regionali di Toscana e Veneto contro la Finanziaria 2008. Nell'incontro di ieri a Torino, fra Regione e Uncem, è stato annunciato che «la Regione farà ricorso al Consiglio di Stato contro l'ordinanza del Tar che ha sospeso la legge sulle comunità montane. Confidiamo in un esito favorevole dopo la sentenza della Corte Costituzionale, che fa cadere molti dei presupposti della sospensiva del Tar». La Consulta ha anche annullato il comma che stabiliva il parametro dei 600 metri di altitudine stabilito in Finanziaria, con il quale si individuavano le comunità da considerarsi effettivamente montane. Applicato in provincia, avrebbe lasciato «in vita» solo la Valli Borbera e Spinti. La Regione vuole quindi proseguire nell'accorpamento: a breve, con la decadenza di giunte e consigli, i presidenti delle comunità montane diventeranno commissari. In provincia, da 4 si passerà a 2 comunità con l'unione tra Valli Borbera e Spinti e Valli Curone, Grue, Ossona da una parte e Alta Val Lemme Alto Ovadese e Suol D'Aleramo.

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La Camera pronta a salvare Matteoli (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 28-07-2009)

Argomenti: Giustizia

La Camera pronta a «salvare» Matteoli C.FUS. C'era una volta un rinvio a giudizio a carico del ministro Matteoli per favoreggiamento. C'era una volta. E da oggi non ci sarà più. Per due motivi. Perchè stamani la Giunta delle autorizzazioni della Camera, presieduta da Pierluigi Castagnetti (Pd), negherà l'autorizzazione a carico del ministro delle Infrastrutture pur non essendo ancora stata ufficialmente investita del problema. Nel frattempo, il processo, tuttora pendente al Tribunale dei ministri di Firenze e a quello ordinario di Livorno, andrà presto in prescrizione. Forse già in agosto. E chi s'è visto s'è visto. La vicenda è molto tecnica, balla dal 2004, ha coinvolto il tribunale di Livorno, dove nasce, il tribunale dei ministri di Firenze, dove approda in un primo momento, è rimbalzata alla Camera già due legislature fa e poi alla Corte Costituzionale. Intanto il tempo è passato e una cosa è certa: il ministro Matteoli non sarà mai processato per quei fatti. Che sono questi. Nel 2004 l'allora ministro dell'Ambiente Altero Matteoli fu rinviato a giudizio a Livorno, sezione di Cecina, per favoreggiamento poichè aveva avvisato il prefetto di Livorno di essere a sua volta indagato per una storia di abusi edilizi all'isola d'Elba. Matteoli fece di tutto per dimostrare di aver commesso il reato nell'esercizio delle proprie funzioni ministeriali e quindi di dover avere l'autorizzazione a procedere della Camera al giudizio. Il punto è che il tribunale di Livorno ha sempre sostenuto che spifferare al prefetto di essere indagato non c'entrava nulla con l'esercizio delle proprie funzioni. Comunque, il fascicolo da allora ha cominciato a transitare da Livorno a Firenze a Roma. Ha costretto la Consulta a pronunciarsi spaccandosi come una mela. E' stato perso un sacco di tempo. Oggi la giunta della Camera dirà no al processo. Anche se nessuno, in realtà, glielo ha ancora chiesto. In barba a regole e leggi. E la vicenda, complici i tempi della precrizione, sarà chiusa per sempre. Si chiude oggi la vicenda processuale del ministro Matteoli. A giudizio per favoreggiamento dal 2004, il processo non è mai stato celebrato. Oggi la Giunta delle autorizzazioni della Camera dirà no al giudizio.

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Congo, l'Alta corte proclama eletto il contestato Nguesso La Corte costituzionale del... (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 28-07-2009)

Argomenti: Giustizia

In pillole A Gaza Hamas ordina il velo alle donne avvocato Il movimento radicale islamico Hamas che governa la Striscia di Gaza dal 2007 ha imposto a tutte le donne avvocato delle corti di giustizia di vestirsi di colori scuri e coprirsi la testa con il velo. Bill Gates dà addio a Facebook «Troppe richieste d'amicizia» Esasperato Bill Gates lascia Facebook. «Avevo 10 mila persone che volevano diventare mie amiche», ha riferito il fondatore della Microsoft. Ha definito «troppo problematico» gestire il suo profilo. Congo, l'Alta corte proclama eletto il contestato Nguesso La Corte costituzionale del Congo ha proclamato Dinis Sassou Nguesso presidente. La Corte, presieduta da Gerard Bitsindou, ha respinto il ricorso delle opposizioni che avevano denunciato brogli diffusi nel voto del 12 luglio.

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Beni demaniali e responsabilità della Pubblica Amministrazione (sezione: Giustizia)

( da "AltaLex" del 28-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Beni demaniali e responsabilità della Pubblica Amministrazione Cassazione civile , sez. III, sentenza 09.04.2009 n° 8692 Commenta | Stampa | Segnala | Condividi La sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 9 aprile 2009, n. 8692 si inserisce nell’ambito di una discussione dottrinale molto sentita dati i suoi immediati risvolti pratici. Infatti il principio di diritto enunciato definisce gli oneri probatori gravanti su ciascuna parte in materia di insidia e trabocchetto, nel caso di danno provocato da un’anomalia di un bene demaniale. Il caso in questione riguarda la richiesta di risarcimento avanzata dal ricorrente nei confronti della regione Piemonte, a seguito dei danni subiti dal suo motoscafo durante la navigazione sul lago Maggiore, per l’impatto con rocce semiaffioranti presenti sul fondale e non segnalate dalle carte nautiche. La particolarità delle condizioni in cui si è verificato l’incidente, vale a dire nei pressi di un bene demaniale di grande estensione con conseguente impossibilità di esercitare un effettivo potere di controllo e vigilanza, ha fatto sì che la norma posta a fondamento della richiesta di risarcimento fosse l’art. 2043 c.c. e non il più specifico art. 2051 c.c. In particolare il ricorrente, pur avendo dimostrato l’esistenza di un’insidia e il nesso causale tra tale anomalia e il danno subito, ha visto rifiutare la propria richiesta risarcitoria prima dal Tribunale di Verbania e successivamente dalla Corte d’ Appello di Torino, per non aver assolto l’onere della prova in ordine al comportamento colposamente omissivo della Regione nell’indicare puntualmente i dati necessari ad una sicura navigazione lacuale. Ricorrendo in Corte di Cassazione il danneggiato ha invece affermato che condizione necessaria e sufficiente per la declaratoria di responsabilità ex art. 2043 c.c. è la sola prova dell’esistenza dell’insidia, da lui ampiamente dimostrata. I giudici di legittimità hanno giudicato motivato il ricorso, cassando con rinvio la decisione di secondo grado, asserendo innanzitutto che l’art. 2043 c.c. non limita ai soli casi di insidia e trabocchetto la responsabilità della pubblica amministrazione; inoltre il principio di diritto al quale il giudice di rinvio dovrà attenersi sancisce che graverà sul danneggiato il solo onere di provare l’anomalia del bene demaniale, che costituisce fatto di per sé idoneo a configurare un comportamento colposo della P.A., sulla quale ricade conseguentemente l’onere della prova dei fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità che l’utente si sia trovato nella possibilità di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la suddetta anomalia o l’impossibilità oggettiva di rimuovere la situazione di pericolo. Questa sentenza si pone sulla scia di precedenti interventi della Corte di Cassazione, tendenti a eliminare i privilegi tuttora concessi alla Pubblica Amministrazione nei rapporti con i privati, in vista di un progressivo innalzamento del grado di responsabilizzazione degli Enti Pubblici. Questo indirizzo, ormai consolidato in giurisprudenza, trova le proprie origini nella pronuncia n. 156/1999 della Corte Costituzionale, con la quale si ampliavano le ipotesi di applicabilità dell’art. 2051 c.c. Da quel momento la regola generale contenuta nell’art. 2043 c.c. ha svolto una funzione residuale nei casi di responsabilità della P.A. per danni causati da beni demaniali, in quanto richiamato solo in via subordinata rispetto all’art. 2051 c.c. In concreto e allo stato attuale del diritto e della giurisprudenza, la presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia va valutata alla luce di una complessa indagine condotta dal giudice di merito con riferimento al caso singolo, per stabilire se la P.A. aveva o meno la possibilità di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sui beni demaniali, con la conseguenza che l'impossibilità di siffatto potere non potrebbe ricollegarsi puramente e semplicemente alla notevole estensione del bene e all'uso generale e diretto da parte dei terzi, considerati solo meri indici di tale impossibilità. Nonostante l’art. 2043 c.c. dovesse rappresentare una sorta di “rete di sicurezza” per tutti quei casi che non rientravano nella fattispecie dell’art. 2051 c.c., fino a pochi anni fa si è limitata molto la portata di questa regola generale, subordinandola ai concetti di insidia e trabocchetto di creazione giurisprudenziale. Imponendo al danneggiato la prova dell’insidia o trabocchetto si è cercato di proteggere la pubblica amministrazione da una eccessiva richiesta di risarcimenti, ma si è anche operata un’interpretazione della clausola generale del neminem laedere in contrasto con il tenore letterale e la portata sostanziale della norma, che stabilisce quasi un “incondizionato” favor per il danneggiato. Non a caso è sempre nel 1999 con la sentenza delle Sezioni Unite n. 500 che l’art. 2043 c.c. comincia ad estendere la propria portata. Infatti viene sancita la natura di interessi meritevoli di tutela degli interessi legittimi, nei rapporti tra privati e pubblica amministrazione. Inoltre viene riconosciuto come norma primaria ( e non più come norma secondaria che sanziona l’inosservanza di norme primarie di condotta-divieto), che tratta del danno ingiusto, consistente nella lesione di situazioni giuridiche tutelate dall’ordinamento; situazioni che non sono riconosciute tali a priori dalla legge, ma che vanno costruite volata a volta dal giudice. Nel caso in cui l’interesse o il diritto che si assume leso sia legislativamente riconosciuto, il giudice si troverà di fronte un diritto soggettivo e non dovrà motivare ulteriormente la sua scelta; in caso contrario, egli non dovrà agire arbitrariamente, ma sulla scorta del diritto positivo, stabilendo un confronto tra i contrapposti interessi delle parti in causa. E’ evidente l’introduzione dell’elemento dell’insidia o trabocchetto restringeva notevolmente l’ambito di operatività del principio contenuto nell’art. 2043 c.c., in quanto si poneva a carico del privato cittadino il dovere di evitare, per quanto possibile, ogni situazione di pericolo che possa eventualmente presentarsi durante la fruizione degli spazi di demanio pubblico. Infatti il danneggiato doveva dimostrare che il danno non era visibile o prevedibile, prova non facile da raggiungere e che contentiva alla difesa della P.A. di puntare sulla negligenza o disattenzione del danneggiato per sottrarsi completamente alla richiesta di risarcimento o per concludere il contenzioso con la dichiarazione di un concorso di colpa ex art. 1227 c.c. In seguito alle fondamentali sentenze 20 Febbraio 2006 n. 3651 e 14 Marzo 2006 n. 5445 della Cassazione civile, sezione III, il soggetto che lamenti un danno derivante dalla mancata manutenzione della strada - e ne chieda il risarcimento ai sensi dell’art.2043 c.c. (e non ai sensi dell’art.2051 c.c.) - sarà tenuto a provare i consueti elementi strutturali dell’illecito e in particolare l’esistenza di un’anomalia del bene demaniale (e segnatamente della strada) idonea a configurare il comportamento colposo della P.A. Non sarà, invece, tenuto alla prova della sussistenza dell’insidia o trabocchetto, restando in capo alla P.A. l’onere della prova dei fatti cd. impeditivi (ossia la prova dell’inesistenza della predetta anomalia, della visibilità e prevedibilità di essa etc.). con la conseguenza che la P.A. sarebbe responsabile di ogni danno causato dal cattivo stato o dalla cattiva manutenzione delle strade di cui è custode, in quanto esercente su di esse un diritto di proprietà, a meno che tali danni non possano essere effettivamente ricondotti ad eventi fortuiti. Con la sentenza in esame n. 8692/2009 viene ribadito il concetto che la responsabilità della Pubblica Amministrazione non è limitata ai soli casi di insidia e trabocchetto, e che nell’ottica di una effettiva parità in ambito giurisdizionale tra Enti pubblici e soggetti privati, la circostanza che soggetto responsabile sia la pubblica amministrazione non modifica gli oneri probatori propri della regola generale ex art. 2043 c.c. Infatti il danneggiato dovrà dimostrare l’anomalia del bene demaniale che ha causato il danno, restando a carico della P.A. la prova di ogni fatto impeditivo che possa escludere la propria responsabilità. (Altalex, 28 luglio 2009. Nota di Maria Antonietta Crocitto e Caterina D'Ambruoso) | beni demaniali | responsabilità della P.A. | insidia | Maria Antonietta Crocitto | Caterina D'Ambruoso | SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III CIVILE Sentenza 9 aprile 2009, n. 8692 Testo Integrale Commenta | Stampa | Segnala | Condividi |

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pd, bersani stoppa emiliano segretario - raffaele lorusso (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 29-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina IV - Bari Pd, Bersani stoppa Emiliano segretario "No ai doppi incarichi". Ma il sindaco: "Io incompatibile? Vado avanti" D´Alema venerdì a Bari, resta in campo Lavarra Ma incombe la Consulta RAFFAELE LORUSSO Emiliano candidato unico alla segreteria del Pd pugliese? «Vecchia politica». I sostenitori di Pierluigi Bersani gelano Piero Fassino e Ignazio Marino. Emiliano non ha però alcuna voglia di mollare. «Vado avanti lo stesso, altro che incompatibilità», ha detto l´altro giorno durante il pranzo con Piero Fassino e i sostenitori pugliesi della mozione di Dario Franceschini. Un proposito ribadito ieri durante il faccia a faccia di oltre un´ora con Mario Loizzo, che a nome dei dalemiani e dei sostenitori della mozione di Pierluigi Bersani ha cercato invano di farlo recedere. Anche chiedendogli di indicare un altro candidato alla segreteria. Emiliano non si è fatto trovare impreparato. «Non ho altri nomi perché me li bruciate tutti», si è lasciato andare. Ufficialmente il sindaco di Bari si mostra più cauto, ma di fatto conferma di non avere alcuna voglia di mollare: «Non ho deciso nulla, ma aspetto che i sostenitori di Bersani candidino qualcuno. Con tutto il rispetto per il coordinamento regionale, aspetto di parlare con Bersani». Si profila uno scontro con l´ala dalemiana. Che pare decisa a presentare il proprio candidato: Enzo Lavarra. L´ex premier sarà a Bari venerdì. Il documento con cui ieri il coordinamento regionale della mozione Bersani ha respinto la proposta di candidatura unitaria lascia pochi spazi di manovra. «La vitalità democratica del nostro congresso - si legge nella nota sottoscritta da Ugo Malagnino, Francesco Boccia e Gaetano Piepoli - si esprime nella discussione più aperta, fra opzioni, intorno a identità, programma, alleanze politiche, forma moderna di partito. Queste opinioni vivono anche nella piattaforma per il confronto tra le candidature a livello regionale. La proposta di un candidato unico fra mozioni diverse è tipico esempio di vecchia politica, perché nega la fisiologia del confronto democratico». I tre coordinatori pugliesi della mozione Bersani ricordano anche che «la nostra area assume l´incompatibilità fra incarichi di governo e funzioni di leadership del partito». Un altro aspetto, tutt´altro che secondario, riguarda l´impossibilità per i magistrati, anche in aspettativa, di essere iscritti a partiti, così come sancito dalla Corte costituzionale (il senatore Gianrico Carofiglio ha restituito la tessera del Pd). Anche su questo Emiliano sembra però determinato. «A noi - racconta l´assessore regionale Guglielmo Minervini - ha detto che quando si porrà il problema lo affronterà e, se sarà il caso, si dimetterà dalla magistratura».

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COnsulta per cena (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 29-07-2009)

Argomenti: Giustizia

COnsulta per cena questione di regole Cenette conviviali tra giudici, ministri e Presidente del Consiglio, per menu la riforma della magistratura. Il figlio di un giudice costituzionale promosso a cariche importanti nel mezzo di decisioni delicate proprio sul ministro sponsor della promozione.Una volta si diceva Corte Costituzionale e scattava il rispetto dovuto a chi sta sopra di tutto a garanzia dei diritti di tutti. Il giudice delle leggi, titolo VI della Carta, le garanzie costituzionali. Oggi si dice Consulta e sorgono i sospetti di inciucio. Anche qui, un altro potere rosicchiato e indebolito. Gravissimo visto che proprio la Corte, in ottobre, discuterà il lodo Alfano. Deciderà, in pratica, se Berlusconi dovrà tornare in aula imputato per il processo Mills. A fine giugno s'è saputo della cena a casa del giudice Luigi Mazzella, intorno al tavolo un altro giudice della Corte, Paolo Maria Napolitano, il premier Berlusconi, il sottosegretario Letta, il ministro della Giustizia Alfano. Cena rivendicata dal governo in aula e dagli stessi giudici a mezzo stampa. Pochi giorni fa la notizia che Alessio Quaranta, figlio del giudice della Consulta, era stato promosso direttore generale dell'Enac su proposta del ministro Matteoli che la Corte, negli stessi giorni, salvava da un processo per favoreggiamento. La composizione della Corte è sempre la stessa, 5 giudici nominati dal Presidente della Repubblica, 5 dal Parlamento in seduta comune, 5 tra le magistrature ordinarie e amministrative. Berlusconi ha in mente di mettere mano anche qua, a modo suo ma più in là. Visto che non si ha memoria di un chiacchiericcio del genere intorno alla Consulta, non resta che concludere che sono cambiati i criteri di scelta dei giudici. Prevale il genere grand commis. La cultura e la sensibilità giuridica non sembrano criteri così dirimenti.

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Il tribunale dei ministri salva Matteoli (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 29-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ABUSIVISMO EDILIZIO Il tribunale dei ministri salva Matteoli Stefano Milani Altero Matteoli, come da pronostico, è salvo. Nessuna autorizzazione a procedere nei suoi confronti, a giudizio dal 2004 con l'accusa di favoreggiamento nell'ambito di un'inchiesta per abusi edilizi sull'isola d'Elba. Ieri la Giunta per le autorizzazioni della Camera ha approvato la relazione di Maurizio Paniz (Pdl) che toglie dall'imbarazzo il ministro delle Infrastrutture, tra le proteste dell'opposizione, e non sarà dunque processato. Mettendo così fine a una querelle cominciata sei anni prima e condita da diversi colpi di scena. All'epoca dei fatti Matteoli era sempre ministro ma si occupava di Ambiente. Un giorno prese il telefono e chiamò il prefetto di Livorno per avere informazioni su una «voce» di denuncia a suo carico per abusi edilizi commessi sull'isola toscana. La notizia si rivelò vera, peccato però che il prefetto livornese non ne sapesse ancora nulla, e così Matteoli si beccò due belle denunce: una per favoreggiamento e un'altra per rivelazione di segreto d'ufficio in relazione all'inchiesta sul «mostro di Procchio», un complesso in costruzione a Marciana, all'Elba. Inchiesta che ha coinvolto, fra gli altri, un giudice e due prefetti accusati di corruzione. A quel punto la palla passa ad un pubblico ministero di Livorno che, una volta esaminate le carte, decide per l'archiviazione. Sbugiardato pochi giorni dopo dal Gip che ritenne invece valide le accuse. E mandò avanti il procedimento senza però chiedere l'autorizzazione a procedere, giudicando la telefonata di Matteoli un atto non compiuto nelle funzioni di ministro, e dunque senza bisogno di un via libera parlamentare. Tutto risolto? Neanche per idea. Il nuovo stop arriva direttamente dalla Camera dei deputati, allora presieduta da Fausto Bertinotti, che approva a larga maggioranza la decisione di trasmettere il quesito alla Corte costituzionale, l'unico organo considerato idoneo a stabilire se un reato può essere o meno considerato ministeriale. Ma per non perder tempo, il ministro Matteoli si porta avanti con il lavoro e dà incarico al suo legale (e collega di An) Giuseppe Consolo di studiare il caso e trovare una soluzione. Detto fatto: l'avvocato presenta un progetto di legge in cui chiariva una norma costituzionale del 1989 riguardante i reati ministeriali. Il testo però non è stato mai discusso, ed è ora superato dal voto compatto di ieri della maggioranza a favore della relazione di Paniz, che ora passa al vaglio dell'Aula. L'opposizione ha votato contro ad eccezione della deputata del Pd Donatella Ferranti che ha ritenuto la votazione della Giunta «illegittima» in quanto, come spiega il Presidente Pierluigi Castagnetti, «l'autorità giudiziaria non ci ha dato comunicazione di nulla: nè dell'archiviazione del procedimento, nè della richiesta di autorizzazione a procedere». Lo scorso 9 luglio, infatti, la Corte Costituzionale aveva annullato il rinvio a giudizio del tribunale di Livorno nei confronti di Matteoli dando ragione alla Camera dei deputati che aveva sollevato nella XV legislatura un conflitto tra poteri.

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Pisicchio: doveva abbandonare, questione di credibilità (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 29-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Politica data: 29/07/2009 - pag: 14 Il collega di partito «Di Pietro non entrò in politica da pm, così il potere giudiziario esonda sugli altri» Pisicchio: doveva abbandonare, questione di credibilità ROMA «Montesquieu, il teorico della divisione dei poteri, avrebbe parecchio da osservare sul caso De Magistris e, in generale, sulla fase politica che stiamo attraversando: l'esecutivo che invade il legislativo, il legislativo che non sa bene cosa fare, il giudiziario che esonda sugli altri poteri». Pino Pisicchio è stato eletto nelle liste dell'Italia dei Valori ma già nella scorsa legislatura, da presidente della Commissione Giustizia della Camera, ha dimostrato una certa propensione a contrastare gli spiriti giustizialisti che pure nel suo partito hanno spesso il sopravvento. E anche stavolta non si smentisce: «L'onorevole De Magistris avrebbe fatto bene a seguire l'esempio di Di Pietro. Dimettendosi dalla magistratura una volta entrato in politica». Proprio quello che disse Di Pietro il 18 marzo presentando le candidature. I magistrati che si candidano dovrebbero dimettersi? «Io l'ho fatto, De Magistris lo farà. Per noi è una regola». Eppure, ora... «La credibilità di Antonio Di Pietro è stata costruita non solo attraverso un quindicennio di comportamenti coerenti con uno stile tutto suo, per carità ed assolutamente efficaci. Ma all'origine di tutto c'è una partenza scandita da un gesto, importante e icastico, rimasto nell'immaginario collettivo: ovvero il pubblico ministero che si toglie la toga e entra in politica. Ma lo fa non il giorno successivo, non con la toga sulle spalle...». Di Pietro, prima di accettare l'incarico di ministro nel governo Prodi, aspetta che si concludano una serie di processi in cui era stato coinvolto a Brescia. «Lui entra in politica quando ha messo una distanza importante tra sé e quegli episodi. Non ricordo bene, poi, quanti mesi fossero passati tra le sue dimissioni e la candidatura nel collegio del Mugello». Invece De Magistris, almeno per ora, ha ritenuto di non doversi dimetter e. «E' chiaro. Ognuno risponde con la sua sensibilità, con il proprio modo di porsi davanti a certi passaggi delicati della vita politica » . Non dimettendosi potrebbe causare un danno di immagine al partito? «De Magistris non fa nulla di eccepibile sotto il profilo giuridico formale. Però, sicuramente, non si mette sulla stessa linea che ha caratterizzato la storia politica di Antonio Di Pietro». Anche dal punto di vista dei tempi di entrata in politica c'è una differenza. De Magistris ha esercitato le funzioni, seppure di giudice del Riesame a Napoli perché trasferito dal Csm, fino a poche settimane prima di essere eletto. «Non c'è dubbio che, nella nostra Repubblica, da un certo momento in poi, questa indistinzione tra poteri sia diventata un po' la cifra. Se per avventura dovesse ritornare in vita Montesquieu, cui si fa risalire la divisione dei poteri, avrebbe un momento di spavento » . Eppure De Magistris non è il primo magistrato a scegliere l'impegno diretto in politica. «Sono un cultore delle statistiche: c'è stata una stagione, la prima legislatura del maggioritario, in cui abbiamo avuto in addirittura Parlamento il 2,4 per cento di magistrati eletti. Gente che ha fatto esattamente quel che sta facendo l'onorevole De Magistris: si metteva in aspettativa». E molti di questi sono tornati in ruolo. «Certo, molti sono tornati ad esercitare il ruolo di magistrato». Alla fine De Magistris spezzerà questa consuetudine? «Lui evidentemente ha deciso di dare una tempistica diversa. Ha deciso di scandire la sua uscita dalla magistratura maniera diversa. Un modo legittimo, che rientra nelle sue prerogative. Personalmente, tuttavia, ho preferito e preferisco lo stile di Di Pietro». D.Mart.

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De Magistris si tiene la toga: (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 29-07-2009)

Argomenti: Giustizia

CSM De Magistris si tiene la toga: «Mi dimetterò, ma non ora» Aveva detto che avrebbe lasciato la magistratura in modo definitivo. Ma al momento di decidere, persino il pm Luigi De Magistris, cui certo non manca il coraggio, ha tentennato ancora. Ieri ha confermato al Csm la richiesta di essere tenuto in aspettativa mentre svolge la carica di Eurodeputato a Strasburgo. Insomma, resta magistrato, con la possibilità di rientrare in carriera se e quando dovesse terminare l'esperienza politica. A marzo, la richiesta di aspettativa aveva fatto innervosire anche il vicepresidente del Csm Nicola Mancino che aveva chiesto a De Magistris di «non tornare». Una presa di posizione dura, cui il pm ha risposto nuovamente ieri: «Confermo che non rientrerò in magistratura e che mi dimetterò. Ma i tempi delle mie dimissioni non me li farò indicare o dettare da nessuno, se non dalla mia coscienza». A scanso di equivoci ha poi precisato di essere «in aspettativa senza retribuzioni e senza contributi».

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Comunità, slitta il commissariamento La giunta regionale deciderà martedì (sezione: Giustizia)

( da "Stampa, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Giustizia

COSTI DELLA POLITICA. RIORDINO DEGLI ENTI MONTANI Comunità, slitta il commissariamento La giunta regionale deciderà martedì Slitta il commissariamento dei presidenti delle Comunità montane. Previsto per venerdì, il passo che farà partire il conto alla rovescia in attesa del 7 novembre, data dell'elezione dei nuovi Consigli, è stato rimandato di qualche giorno. «Martedì la giunta regionale delibererà in tal senso, solo allora potremo dare una data certa sui commissariamenti», spiega il consigliere regionale Marco Travaglini. Dopo gli ultimi giorni convulsi con le sentenze del Tar in merito al ricorso della Comunità Antigorio Divedro e Formazza e quella della Corte Costituzionale che fa riferimento all'esposto delle Regioni Veneto e Toscana sulla legittimità della Finanziaria 2008 in merito al riordino degli enti montani, che ha ribadito la competenza regionale sulla riforma, sta per delinearsi il futuro di queste nuove «agenzie per lo sviluppo». «Avevamo ragione noi. La Regione era ed è competente sulle Comunità montane e la riforma è stata corretta oltre che giusta e necessaria» spiega ancora Travaglini in sintonia con il collega consigliere regionale Aldo Reschigna. La sentenza della Corte Costituzionale annulla di fatto uno dei presupposti su cui il Tar aveva basato la decisione relativa agli accorpamenti. «Ora possiamo partire con i commissariamenti dei presidenti, ma soprattutto possiamo iniziare a lavorare per il futuro delle Comunità - continua Travaglini -. La cosa più importante è ora discutere in maniera costruttiva con gli attuali enti. Noi non vogliamo imporre la redistribuzione dei ricavi che vengono generati su un determinato territorio, penso a questo proposito all'accordo tra la Antigorio Divedro e Formazza e l'Enel per il rio Cairasca». Sulla questione tra la Regione e la comunità con sede a Crodo torna anche uno degli assessori dell'ente montano: «Il riordino - afferma Arturo Lincio - nazionale e regionale delle Comunità montane avrebbe dovuto prefiggersi e conseguire chiari parametri di virtuosità come elementi obbligatori e fondamentali, per sostenere appunto gli enti meglio amministrati. Il ricorso al Tar e quello al Consiglio di Stato sono divenuti necessari per sostenere una legittima, giusta e doverosa difesa del territorio e dei suoi cittadini».

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polemica sui decreti anticrisi berlusconi: un piano per il sud - francesco bei (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina 2 - Interni Polemica sui decreti anticrisi Berlusconi: un piano per il Sud Il dl al Senato, verso la fiducia. Vertice di ministri con il premier Il premier: "Ho questo male che mi affligge, andrò 9 giorni da quelli che fanno dimagrire" FRANCESCO BEI ROMA - I parlamentari della maggioranza hanno già la testa sotto l´ombrellone (ieri alla Camera, sul Dpef, sono mancati 90 voti tra Pdl e Lega) e così, per non rischiare, il governo sarà costretto a mettere la fiducia anche al Senato sul cosiddetto decreto "anticrisi". Ma la fretta di approvarlo prima che suoni la campanella delle vacanze costringe palazzo Chigi a una doppia acrobazia, dovendo inserire le modifiche - imprescindibili, sia per ottenere l´ok di Napolitano, sia per tacitare i malumori interni al Pdl - in un altro decreto legge anziché attraverso la regolare procedura emendativa. «Un pasticcio indecente e inaccettabile», secondo la capogruppo del Pd al Senato, Anna Finocchiaro, che sottolinea come il governo sia costretto a varare un secondo decreto «altrimenti i deputati della maggioranza non potranno andare in ferie nei prossimi giorni». E alle ferie pensa anche Berlusconi, che ieri sera, incontrando i senatori Pdl, ha annunciato che andrà in un centro benessere a farsi curare il torcicollo: «Ho questo male che mi affligge da tempo, andrò 9 giorni da quelli che fanno dimagrire». Sul piede di guerra ci sono anche le regioni, che minacciano ricorsi a pioggia alla Corte costituzionale perché il decreto, dicono, intacca le loro competenze esclusive. «Il clima che viviamo - preannuncia Vasco Errani, il presidente della conferenza delle regioni - non può che portare a questo». Ma ieri è stata anche la giornata dell´atteso vertice ministeriale a palazzo Grazioli sulla questione del piano per il Sud. Tutto rinviato a data da destinarsi: gli unici a vedere i "piccioli" in concreto saranno i siciliani, che hanno fatto la voce grossa con Berlusconi e Tremonti. Così, durante la riunione a casa di Berlusconi, viene stabilito che il Cipe di domani servirà a sbloccare circa 4 miliardi di risorse già stanziate a favore della Sicilia. Ovviamente la cosa non ha fatto piacere a Raffaele Fitto, che nel vertice ha chiesto interventi per tutto il Mezzogiorno e non solo per l´isola di Micciché e Lombardo. Anche Angelino Alfano, benché siciliano, ha fatto notare come la regione disponga di diversi miliardi di finanziamenti mai utilizzati. «Prima - ha detto il Guardasigilli - dimostrino di spendere bene quello che hanno già avuto». Ma al Cavaliere premeva chiudere la grana Micciché («i suoi attacchi sono diventati intollerabili», si è sfogato durante il summit) e quei 4 miliardi del Cipe gli sono sembrati il prezzo giusto per non rischiare una scissione nei gruppi parlamentari e la nascita del partito del Sud. Per le altre regioni meridionali è stato invece tutto rimandato a dopo l´estate. «Si tratta di un "work in progress" - ha affermato il premier - per la preparazione di un piano Berlusconi per il Sud che annunceremo nel prossimo Consiglio dei ministri e che poi presenteremo in tutte le sue particolarità al ritorno dal periodo feriale». Insomma, al consiglio dei ministri di domani, spiegano da palazzo Chigi, dovrebbero essere annunciate al più le linee guida del Piano, in attesa di capire quali opere finanziarie e, soprattutto, con quali soldi. In ogni caso, durante il vertice, Berlusconi ha difeso il ministro dell´Economia dagli attacchi concentrici che gli venivano portati dai colleghi. Altre volte, anche di recente, ha dovuto ricordare a Tremonti che «il premier sono io», ma ieri in pubblico lo ha difeso: «Non è quel mostro che dice di no a tutto. Anche a lui piacerebbe dire di sì, ma ha un compito difficile: è la realtà dei conti che si impone».

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- (segue dalla copertina) roberto bianchin (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina 30 - Cronaca Dalla parlata di Gizzeria al tabarkino sardo: in Italia non c´è città senza il suo dialetto Ma è sempre meno diffuso. Solo il 16%, ormai, lo usa con assiduità. E quasi mai con gli estranei Però in molte scuole del Nord è materia di studio. Per riscoprire le tradizioni, ma anche per effetto delle battaglie leghiste Nella stessa regione spesso cambiano accenti e inflessioni In altri casi anche le parole A Bergamo il poeta Zanetti ha stilato una grammatica e l´ingegner Giavazzi fa ricevute orobiche (SEGUE DALLA COPERTINA) ROBERTO BIANCHIN Perché conoscere i dialetti, secondo il presidente dell´Istituto di cultura delle lingue del Csr, Pierfranco Bruni, «è definire un processo storico e antropologico di una comunità, dal momento che i dialetti non sono strutture linguistiche minoritarie né lingue altre rispetto alla lingua italiana. Ma sono il vero tessuto di appartenenza a un territorio all´interno di un processo che punta rigorosamente alla difesa della cultura italiana. Quindi, rafforzano l´identità della lingua ufficiale di una nazione». In Italia non c´è regione, città, e persino paese, che non abbia il suo dialetto. Da quello di Gizzeria, tipico di alcuni paesi calabresi, al Tabarkino parlato a Carloforte, in Sardegna. Fra gallo-italici del Nord, veneti, toscani, centrali, meridionali, siciliani, sardi, se ne contano la bellezza di seimila. Molto diversi uno dall´altro. Anche all´interno della stessa regione quando appaiono simili. In alcuni casi solo per accenti e inflessioni, come tra Palermo e Catania, in altri casi anche per le parole. Persino nelle isole della laguna di Venezia si parlano dialetti diversi: quello di Burano non è uguale a quello di Pellestrina. Cantati da Porta e da Belli, da Trilussa e Pasolini, da Baffo e Marin, o messi in prosa da Camilleri, i "dialectos", che non è spagnolo ma latino e greco, sono in realtà idiomi locali, «varietà linguistiche», secondo gli studiosi. «Vere e proprie lingue», secondo il regista Maurizio Scaparro, teorico della "confusione dei linguaggi", che nei suoi lavori ha spesso esaltato le due "lingue" ufficiali del teatro italiano, il napoletano e il veneziano. «Io credo che il dialetto rimanga una forza integra - spiega - il fatto è che sta cambiando il mondo, e che ai dialetti di base si stanno aggiungendo nuove lingue. Ma quello che mi preoccupa di più è che sta diminuendo l´italiano, nel senso che sono sempre di più quelli che lo parlano male, e lo stanno sostituendo con un semi-inglese da ragionieri. Ma perché mai dobbiamo chiamare del welfare il ministero del lavoro e democratic party la festa dell´unità? Mi sa che c´è qualcosa che sta cambiando, sì. Ma in male». Quello che cambia, intanto, è l´uso del dialetto. Secondo l´Istat, l´utilizzo esclusivo del dialetto, soprattutto nell´ambito familiare, è diminuito «significativamente» nel tempo. In pochi anni si è praticamente dimezzato, passando dal 32% del 1988 al solo 16% del 2006. è invece aumentato un «uso misto» di italiano e dialetto, e dal 2000 al 2006 è molto cresciuto l´uso esclusivo dell´italiano, sia in famiglia (45%) che con gli amici (48%), e specie con gli estranei: 72%. Il dialetto continua ad essere parlato soprattutto in famiglia (16%), meno con gli amici (13%) e molto poco con gli estranei: appena il 5%. L´Istat segnala anche che l´uso esclusivo del dialetto cresce con l´aumentare dell´età (lo parlano il 32% di chi ha più di 65 anni) e riguarda maggiormente «coloro che hanno un titolo di studio basso». Tra le regioni in cui il dialetto resiste meglio figura la Lombardia, dove un abitante su dieci, circa 800mila persone, parla abitualmente il dialetto in famiglia, e dove dal 2000 è cresciuto del 4% il numero di quelli che con gli estranei usano pressoché indifferentemente sia l´italiano che il dialetto. Effetto dovuto, probabilmente, anche alle iniziative di partiti come la Lega, che al Nord sull´uso del dialetto hanno impostato da tempo una battaglia identitaria. Con epicentro, nel caso lombardo, la città di Bergamo, patria del ministro Calderoli, dove un abitante su dieci parla solo il bergamasco, dove il poeta Umberto Zanetti ha stilato una preziosa "grammatica bergamasca" e l´ingegner Giancarlo Giavazzi, che scrive nell´idioma orobico anche le presentazioni dei progetti e le ricevute ai clienti, si è sobbarcato l´immane fatica di tradurre in bergamasco nientemeno che le favole di Andersen, col risultato, dice lui, di «entusiasmare i ragazzini». Ma è la scuola l´ultima vera frontiera della difesa del dialetto. Alla media di Terno d´Isola, sempre in provincia di Bergamo, il dialetto si insegna da anni. «Testi, poesie e film in bergamasco - spiega Luciano Ravasio, l´insegnante - per raccontare la nostra campagna e le sue tradizioni». Altre lezioni in dialetto si svolgono regolarmente in Lombardia alle elementari di Torre Boldone, Bagnatica, Brusaporto, Villa di Serio, e in alcune scuole del Veneto. In una elementare non statale di Treviso, di ispirazione cattolica, il dialetto è diventato addirittura materia di studio obbligatoria. Ha potuto farlo, spiegano, grazie all´autonomia concessa per legge a tutti gli istituti scolastici, che prevede per ogni corso di studi che il 20 per cento delle ore che costituiscono i "curricola" possa essere diverso dalle materie istituzionali. Mentre in molte regioni italiane si fanno corsi di dialetto, sia pure non scolastici, come a Bologna dove il "Caurs ed Bulgnais" è molto seguito da gente di ogni età. In Friuli ci hanno provato addirittura con una legge regionale a introdurre l´obbligo del dialetto friulano. Anzi, della lingua friulana, la "marilenghe", la madrelingua, come la chiamano. Guai a chiamarla dialetto. E non solo nelle scuole, un´ora di friulano la settimana, ma anche negli uffici pubblici, che avrebbero dovuto stendere gli atti anche in friulano, e nei consigli delle istituzioni locali, dove gli interventi avrebbero dovuto essere fatti, oltre che in italiano, anche in friulano. Ma la legge regionale, voluta dalla precedente giunta di centrosinistra guidata da Riccardo Illy, è stata bocciata nel maggio scorso dalla Corte Costituzionale che l´ha giudicata «illegittima». I comitati autonomisti hanno annunciato ricorsi al Capo dello Stato e all´Unione Europea. Ma lo stop della Consulta non ha frenato le spinte leghiste. Alcuni senatori del Carroccio hanno preparato una legge per inserire il dialetto tra le materie da studiare a scuola. Il ministro dell´agricoltura Luca Zaia, che ogni tanto tiene comizi in dialetto, è uno dei più fieri sostenitori del progetto: «Le lingue sono ricchezze che appartengono ai popoli e non alle burocrazie. Penso al mio Veneto. è una lingua usata in modo trasversale rispetto alle varie classi della società. Si parla nei consigli di amministrazione, nelle aziende, nelle fabbriche, a tutti i livelli. è il significato di mille anni di storia e non la difesa di una volontà dell´amarcord. Dietro la difesa identitaria c´è la difesa di una cultura, di una tradizione, della storia del nostro popolo». Cita l´Imperatore Adriano, il ministro, che definisce come «uno dei più grandi». «Lui diceva che aveva sempre governato in latino ma pensando in greco, cioè in quella che considerava la sua lingua madre». Anche per l´oste Ivano «si pensa e ci si arrabbia in dialetto, e poi casomai si traduce in italiano». Il vero problema, spiega l´attore veneziano Lino Toffolo, «è che per noi l´italiano è la prima lingua straniera». Va anche detto che non tutti i dialetti, da Nord a Sud, sono ritenuti uguali. Il viceministro leghista Roberto Castelli, per esempio, trova «una cosa insopportabile, che dà fastidio» che in televisione «parlino tutti in romanesco». Perfino nella fiction su Papa Giovanni XXIII. «Era un bergamasco verace, e sentirlo parlare con l´accento romanesco è storicamente sbagliato».

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Fumata nera tra Sky e RaiSat (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: ECONOMIA E IMPRESE data: 2009-07-30 - pag: 23 autore: Tv. L'a.d. Mockridge annuncia il lancio di 10 nuovi canali che sostituiranno quelli di Viale Mazzini Fumata nera tra Sky e RaiSat Naufraga la trattativa per il rinnovo del contratto fino al 2016 Marco Mele La trattativa che non c'è mai stata – se non in extremis – è fallita. Sky lancia dal primo agosto dieci nuovi canali, in sostituzione di quelli di RaiSat. Il Cda della Rai ne discute oggi. In vista del rush finale, il servizio pubblico ha avanzato una controfferta relativa ai soli canali di RaiSat. Sky ha ribadito di aver chiesto sin dall'inizio la garanzia di avere sulla piattaforma satellitare l'offerta gratuita digitale della Rai, per chiudere l'intesa su RaiSat. Le due parti non sono lontane, invece, dal chiudere l'accordo sull'acquisto di film Rai da parte di Sky. I canali RaiSat, escluso il Gambero Rosso, che resta su Sky, si trasferiranno sul digitale terrestre. Non saranno più a pagamento ma gratuiti, finanziati dalla pubblicità e saranno visibili anche da TivùSat, la piattaforma satellitare Rai-Mediaset. I costi saranno tutti a carico della Rai: sinora sono stati "coperti" al 100% da Sky. La Rai esce così definitivamente dalla pay tv. I suoi canali generalisti restano su Sky ma, come per Mediaset, alcuni programmi, nel tempo, saranno "oscurati" agli abbonati Sky. «Parecchi mesi prima della scadenza del contratto- sottolinea Tom Mockridge, amministratore delegato di Sky Italia Sky ha fatto tutti i passi necessari per raggiungere l'obiettivo di un accordo con Rai. Abbiamo inviato alla Rai, il 22 aprile scorso, un'offerta vincolante di Sky del valore economico di 350 milioni di euro come minimo garantito (per sette anni, ndr). Non solo l'offerta di canali per gli abbonati Sky non diminuirà ma abbiamo colto quest'opportunità per renderla migliore». Il primo dei dieci nuovi cana-li è Sky Cinema Italia: ma è possibile che la Rai non dedichi un canale al cinema nazionale e Rupert Murdoch sì? Il secondo è Baby Tv - che ha sollevato le perplessità di alcune associazioni di genitori - il canale di Fox Channels Italy dedicato ai bambini in età prescolare e alle loro famiglie, privo di pubblicità. Per bambini e ragazzi arrivano anche Nick Junior, Playhouse +1 e Nickelodeon +1. Una novità assoluta è Fox Retro che raccoglie le migliori serie tv degli anni 60-70-80. Ci saranno poi Lady Channel, già in onda, dedicato alle telenovele, Comedy Central +1, Onda Latina Tve Gambero Rosso. L'Autorità per le comunicazioni, intanto, sta definendo il regolamento per assegnare le cinque frequenze digitali nazionali. Il confronto con la commissione Ue va avanti ma si aspettano due verifiche prima di varare il testo: una avverrà nei prossimi giorni, l'altra all'esito della prevista consultazione pubblica. Sembra acquisito che il "tetto" richiesto dalla Ue, pari a cinque reti-multiplex digitali terrestri ("tetto" dal quale sono escluse quelle per la tv mobile in Dvb- h), non va inteso come un limite antitrust permanente ma è valido solo per il totale cui potrà arrivare ogni gruppo al termine della "gara". Gara che poi è un beauty contest, che dà ampi margini di potere discrezionale a chi deve assegnare le cinque reti, per due delle quali potranno concorrere Rai e Mediaset. Tale posizione trova in disaccordo Nicola D'Angelo, uno dei componenti dell'Autorità per le comunicazioni. «Si potrà anche raggiungere un accordo con Bruxelles - spiega D'Angelo - ma la Corte Costituzionale ha sottolineato che il digitale terrestre deve liberare risorse per soggetti terzi. Se dopo la gara, i maggiori operatori potranno aumentare il numero delle loro reti, le risorse per gli altri soggetti si restringeranno». Il regolamento, secondo le intese raggiunte sinora con Bruxelles dovrebbe vietare, per cinque anni, il trading e il leasing delle frequenze acquisite con la "gara" ai maggiori operatori. La misura sarà asimmetrica: tale divieto non varrà per gli operatori "minori". Non esistendo un limite di legge che limiti il numero di reti, Rai e Mediaset potranno acquisire nuove frequenze dagli altri operatori, fermo restando il divieto di trading su quelle " ereditate" (quattro) e su quella eventualmente assegnata con le gara? «Un altro problema - aggiunge D'Angelo - è che la qualità delle reti da assegnare non è la stessa. I multiplex non sono tutti uguali: a chi andranno quelli con maggiori qualità? Nella riunione di ieri, tra l'altro, non è stato presentato l'indispensabile Piano nazionale delle frequenze». © RIPRODUZIONE RISERVATA L'AGCOM L'Authority sta definendo il regolamento per assegnare le cinque frequenze digitali nazionali, mentre continua il confronto con Bruxelles Top manager. Tom Mockridge, a.d. di Sky Italia INFOPHOTO

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La strategia autoritaria del governo (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 30-07-2009)

Argomenti: Giustizia

La strategia autoritaria del governo Luigi de Magistris * Credo sia un grave errore pensare che il governo Berlusconi, la maggioranza berlusconiana, non persegua una ben precisa strategia che mira a modificare in modo radicalmente autoritario ed illiberale il nostro Paese. Il disegno, di chiara matrice piduista, impone sia ampie revisioni costituzionali che svuotamenti della Carta attraverso la legislazione ordinaria: matrice di fondo è la soppressione di quella che gli anglosassoni chiamano balance of powers, il bilanciamento dei poteri. La Costituzione deve subire - in tale progetto strategico - una svolta presidenziale, con la concentrazione dei poteri di governo nelle mani di un'unica persona: il Parlamento ridotto a mero organo di ratifica dei voleri della maggioranza, Corte costituzionale e Consiglio superiore della magistratura modificati nella loro composizione attraverso l'aumento dei membri di nomina politica. Il Presidente della Repubblica sarà quindi capo del governo, capo delle forze armate, capo del Csm e magari, se lo scenario di infiltrazione mafiosa nel tessuto economico e politico-istituzionale del nostro paese rimarrà quello attuale, anche capo dei capi. Dal momento che anche una maggioranza di chiara ispirazione autoritaria ed illiberale non potrà mai abolire formalmente l'art. 3 della Costituzione (l'uguaglianza delle persone di fronte alla legge) e l'art. 21 della Costituzione (libera manifestazione del pensiero e diritto di cronaca) ecco che si colpiscono - attraverso lo strumento della legge ordinaria - quelli che sono due baluardi di ogni stato di diritto che consentono l'effettiva attuazione di tali principi: l'autonomia e l'indipendenza della magistratura e dell'informazione. In questi ultimi mesi la maggioranza sta portando avanti un disegno di complessivo annichilimento dell'autonomia della magistratura e dell'indipendenza, libertà e pluralismo dell'informazione. Corollari di un disegno autoritario di questo tipo sono anche taluni censurabili provvedimenti normativi adottati negli ultimi mesi e che offrono una chiara cornice dell'avanzare del fascismo del terzo millennio: 1) le ronde che - mortificando le forze dell'ordine - introducono la privatizzazione della sicurezza pubblica e l'istituzionalizzazione in alcune aree del controllo del territorio da parte della criminalità organizzata (tipico strumento utilizzato nel ventennio del secolo scorso e nel periodo iniziale dei paramilitari colombiani); 2) il ricorso sempre maggiore ai militari per compiti di ordine pubblico che - soprattutto in un'ottica di presidenzialismo di chiara ispirazione piduista - potranno essere utilizzati per affrontare conflitti sociali e reprimere il dissenso che viene sempre più criminalizzato nel nostro paese attraverso pratiche liberticide tipiche della tolleranza zero; 3) la criminalizzazione dell'immigrato in quanto tale e non perché ha commesso un reato, ossia l'introduzione della colpa d'autore tanto cara al regime nazi-fascista, con tratti xenofobi indegni di un paese democratico. Un disegno autoritario di tale portata nasce e si consolida attraverso un ricercato crollo etico anche grazie all'imperversare della pubblicità commerciale, del consolidamento della teoria del consumatore universale, del radicamento del pensiero unico, del rovesciamento dei valori: non conta chi sei, qual è la tua storia, ma quanto appari; il culto del profitto, dell'avere al posto dell'essere, del dio denaro. Un revisionismo culturale realizzato in anni di bombardamento mediatico, in un conflitto di interessi mai affrontato da un opaco centro-sinistra intriso da tanti conflitti d'interessi. Un definitivo controllo delle coscienze e la narcotizzazione delle menti e finanche dei cuori deve passare attraverso la mortificazione della scuola pubblica, dell'università e della ricerca: deve apparire che siamo un paese normale (quanto bello ed attuale quell'articolo di Domenico Starnone che parlava di normale devianza). Di fronte ad un disegno che appare a tratti anche eversivo dell'ordine costituzionale; di fronte ad un paese dove le mafie condizionano in modo devastante parte significativa del Pil e riciclano immani somme di denaro in ogni settore suscettibile di valutazione economica ed in ogni parte del territorio nazionale; di fronte ad una capillare penetrazione della criminalità organizzata in vasti settori della politica e delle istituzioni, attraverso soprattutto il controllo della spesa pubblica; di fronte ad un collante sempre più evidente tra sistema politico castale e criminalità organizzata; di fronte a tutto questo, le forze democratiche - in qualunque articolazione della società civile siano presenti - debbono impegnarsi concretamente per impedire la realizzazione di un tale progetto politico che condurrà inesorabilmente alla fine dello Stato di diritto. Così come chi è investito di ruoli istituzionali e non è ancora totalmente assuefatto a tale sistema di potere deve battere un colpo per difendere la Costituzione nata dalla Resistenza e per far sì che venga attuata giorno per giorno. * parlamentare europeo Idv

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CSM: nuove regole per la tutela dell'indipendenza e del prestigio dei magistrati (sezione: Giustizia)

( da "AltaLex" del 30-07-2009)

Argomenti: Giustizia

CSM: nuove regole per la tutela dell'indipendenza e del prestigio dei magistrati Consiglio Superiore della Magistratura, decreto 15.07.2009, G.U. 20.07.2009 Commenta | Stampa | Segnala | Condividi Gli interventi del CSM a tutela di magistrati o della magistratura hanno come presupposto l'esistenza di comportamenti lesivi del prestigio e dell'indipendente esercizio della giurisdizione tali da determinare un turbamento al regolare svolgimento o alla credibilità della funzione giudiziaria. Lo stabilisce il Decreto 15 luglio 2009 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale 20 luglio 2009, n. 166) con il quale Consiglio Superiore della Magistratura ha definito la procedura specifica per gli interventi a tutela dell'indipendenza e del prestigio dei magistrati e della funzione giudiziaria. In particolare le richieste di interventi a tutela sono trasmesse dal Comitato di Presidenza alla Prima Commissione, che procede alla verifica dell'esistenza dei presupposti per l'avvio della relativa procedura e se la Commissione ritiene che i comportamenti segnalati siano effettivamente lesivi del prestigio e dell'indipendente esercizio della giurisdizione, tali da determinare un turbamento al regolare svolgimento o alla credibilità della funzione giudiziaria, delibera l'apertura della pratica (a maggioranza dei componenti della commissione) e procede all'istruttoria ed alla formulazione della proposta da sottoporre all'Assemblea plenaria. (Altalex, 30 luglio 2009) | Consiglio Superiore della Magistratura | magistratura | indipendenza della magistratura | CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, DECRETO 15 luglio 2009 Inserimento dell'articolo 21-bis nel regolamento interno del Consiglio Superiore della Magistratura. (09A08569) (GU n. 166 del 20-7-2009) IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Visto l'art. 20 n. 7 della legge 24 marzo 1958, n. 195; Visto il testo attualmente vigente del Regolamento interno del Consiglio superiore della magistratura; Vista la delibera in data 2 luglio 2009 con la quale il Consiglio superiore della magistratura ha inserito l'art. 21-bis del Regolamento interno; Decreta: Dopo l'art. 21 del Regolamento interno e' inserito il seguente articolo: «Art. 21-bis (Procedura per gli interventi a tutela dell'indipendenza e del prestigio dei magistrati e della funzione giudiziaria). - 1. Gli interventi del Consiglio a tutela di magistrati o della magistratura hanno come presupposto l'esistenza di comportamenti lesivi del prestigio e dell'indipendente esercizio della giurisdizione tali da determinare un turbamento al regolare svolgimento o alla credibilita' della funzione giudiziaria. 2. Le richieste di interventi a tutela ai sensi del comma precedente sono trasmesse dal Comitato di Presidenza alla Prima Commissione, che procede alla verifica della esistenza dei presupposti per l'avvio della relativa procedura. Quando la Commissione ritiene che i comportamenti segnalati siano lesivi del prestigio e dell'indipendente esercizio della giurisdizione, tali da determinare un turbamento al regolare svolgimento o alla credibilita' della funzione giudiziaria, delibera l'apertura della pratica e procede all'istruttoria ed alla formulazione della proposta da sottoporre all'Assemblea plenaria. La deliberazione di apertura della pratica e' assunta dalla maggioranza dei componenti della commissione. 3. Se non viene disposta l'apertura della pratica, la Prima Commissione ne propone l'archiviazione. La proposta e' depositata presso la Segreteria generale del Consiglio e del deposito e' data tempestiva notizia al Presidente ed a tutti i componenti del Consiglio superiore con la procedura prevista dall'art. 44, comma 4, del presente Regolamento interno. Decorsi dieci giorni dalla avvenuta comunicazione del deposito la proposta si intende definitivamente approvata. Se entro dieci giorni dalla avvenuta comunicazione del deposito almeno la meta' dei componenti del Consiglio fa richiesta di apertura della pratica, gli atti sono trasmessi alla Prima Commissione per la trattazione e la formulazione della proposta da sottoporre all'approvazione dell'Assemblea plenaria.». Roma, 15 luglio 2009 NAPOLITANO Il segretario generale: Visconti Commenta | Stampa | Segnala | Condividi |

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bassolino contesta il governo - giuseppe del bello (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 31-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina VI - Napoli Bassolino contesta il governo Ricorso a Tar e Consulta, ma il presidente sarà commissario "Si è proceduto in modo abnorme Palazzo Chigi non può fare quel che vuole" GIUSEPPE DEL BELLO Decisione ingiusta e immotivata. Disparità di trattamento. Grave blocco istituzionale. è deciso. «La giunta ha dato mandato di impugnare il decreto di commissariamento della sanità. Davanti al Tar per profili di illegittimità e alla Corte costituzionale». Il giorno dell´arrivo ufficiale del documento a Palazzo Santa Lucia è anche quello della resa dei conti. E il presidente Bassolino rivendica le proprie ragioni. A partire dal ruolo di commissario che, precisa, sarà «accettato ma con riserva». «Habemus decretum», ironizza sventolando il provvedimento, «e dopo l´ennesima sollecitazione finalmente è pervenuto nella sua sede naturale». Così, se due giorni fa l´ente di via Santa Lucia aveva annunciato un´azione legale nei confronti del governo per ottenere un milione e 700 mila euro, ieri è stato contestato il decreto. «Nei nostri confronti rispetto alla Sicilia c´è stato un trattamento diverso», riepiloga il governatore, «che prende il via nel novembre dell´anno scorso, quando alla fine del tavolo tecnico si pervenne per Campania e Sicilia alle stesse conclusioni. Pochi giorni dopo però, mentre per quest´ultima la lettera firmata da Berlusconi "invitava" a produrre ulteriori atti, per la Campania il termine "invito" era stato sostituito da "diffida", parola che precede il commissariamento. Allora capii che era già stato deciso». Non è tutto. Bassolino rivela che il provvedimento presenta "vizi procedurali": «Si è andati al Consiglio dei ministri senza prima passare per il tavolo politico». Poi tocca alle "prescrizioni". Sono diciotto quelle menzionate nel decreto cui il commissario dovrà ottemperare: «Sono state indicate sotto questa forma questioni e obblighi su cui la Regione ha già deliberato», aggiunge, «per esempio l´accordo che abbiamo siglato col Vecchio Policlinico». «Si è proceduto in modo abnorme: noi vogliano far valere i diritti per tutelare la salute dei cittadini». Per la futura attività di commissario (sempreché si trovi un accordo sul o sui subcommissari), ribadisce: «Tutti gli atti che firmerò da commissario saranno portati in giunta come avrei fatto da presidente, e l´assessore Santangelo continuerà a svolgere la sua attività. Il governo non può fare quel che vuole e io ho fiducia in un giudizio del Tar e della Corte che ci consenta di riprendere a lavorare con i poteri ordinari».

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Campania, Sanità commissariata Bassolino ricorre a Tar e Consulta (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 31-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Campania, Sanità commissariata Bassolino ricorre a Tar e Consulta GIUSEPPE VITTORI Sul commissariamento della sanità campana, deciso dal Consiglio dei Ministri, la giunta della Regione Campania ha dato mandato per impugnare il decreto di commissariamento davanti al Tar per profili di illegittimità e davanti alla Corte Costituzionale per conflitti di attribuzione. Nonostante questo, il governatore Antonio Bassolino, che ha accusato il governo di aver «provocato in modo unilaterale una lesione nei rapporti istituzionali», ha annunciato di accettare l'incarico di commissario della Sanità, anche se «con riserva». Una decisione, ha spiegato in una conferenza stampa, presa «non in rapporto ai ricorsi, ma per alcuni punti del decreto, come la scelta del sub commissario o sub commissari per i tempi indicati». «Il Governo non può pensare di fare quello che gli pare, senza tener conto degli sforzi e degli impegni», Nonostante questo, ha sottolineato Bassolino, «firmerò tutti gli atti da commissario ma saranno comunque discussi in giunta». Durante la conferenza stampa, Antonio Bassolino ha parlato di «numerosi profili di illegittimità» contenuti nel decreto di commissariamento della sanità in Campania. E tra tutti ha citato «l'evidente disparità di trattamento tra la Campania e la Sicilia». Bassolino ha ricordato il tavolo tecnico del 10 ottobre 2008 quando si parlò dei casi Campania, Sicilia e Molise: un tavolo che si concluse con le stesse considerazioni per tutte e tre le Regioni, avviare cioè le procedure che avrebbero portato al commissariamento. «Ma mentre per la Campania e per il Molise si utilizzò il termine diffida - ha detto Bassolino - per la Sicilia in modo singolare si utilizzò il termine invito. C'è stata una evidente e grave disparità di trattamento, il che porta nella vicenda la discrezionalità politica e, quindi, un vulnus nei rapporti istituzionali». Il ritardo con cui l'atto di commissariamento è arrivato (cinque giorni) viene maliziosamente attribuito al lavoro tecnico di compilazione dell'atto soprattutto dal punto formale. Insomma, si cercava di scrivere un testo che fosse inappuntabile per evitare i già annunciati ricorsi al Tar o alla Corte Costituzionale. Ma il ricorso ci sarà comunque. La giunta campana ricorrerà a Tar e Corte Costituzionale contro il decreto di commissariamento della sanità emanato dal governo. Bassolino firmerà comunque tutti gli atti da commissario, ma «con riserva».

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L'Irap si salva all'esame Consulta (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 31-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-31 - pag: 23 autore: Imposte contese. Depositata l'ordinanza cha ha preso in esame l'indeducibilità dal prelievo sui redditi L'Irap si salva all'esame Consulta Determinante lo sconto del 10% a forfait - La parola torna ai giudici tributari Luigi Lovecchio Punto e a capo sulla questione della deducibilità dell'Irap dalle imposte sui redditi. Con l'ordinanza 258, la Corte costituzionale ha infatti restituito gli atti alle Commissioni tributarie rimettenti perché valutino l'impatto della novella di cui all'articolo 6 del decreto legge 185/08. In forza di questa disposizione, è deducibile dalle imposte sui redditi una quota pari al 10% dell'Irap versata, forfetariamente riferibile alle spese sostenute a titolo di personale dipendente e di oneri finanziari. Tutto lascia comunque credere che la questione verrà riproposta in termini non molto diversi a quelli già prospettati alla Consulta. L'ordinanza è molto interessante perché consente di misurare le tesi contrapposte dei giudici tributari, da un lato, e dell'Avvocatura dello Stato, dall'altro. Le Commissioni tributarie di Genova e di Bologna hanno in particolare dubitato della legittimità costituzionale del divieto di deducibilità dell'Irap dalle imposte sui redditi, per sospetta violazione dell'articolo 53 della Costituzione. è stato in particolare messo in evidenza come il divieto comporti l'assolvimento delle imposte non su un reddito netto, ma su un reddito lordo, non depurato cioè di tutte le spese inerenti alla sua produzione. Può così accadere, pertanto, che un'impresa in perdita debba subire comunque l'imposizione reddituale, per effetto della variazione in aumento rappresentata dall'Irap pagata e non deducibile. Ciò però, sempre secondo i giudici rimettenti, si risolverebbe in una violazione del principio della capacità contributiva, che richiede l'assunzionedi un indice rappresentativo di un effettivo arricchimento economico. A queste obiezioni ha risposto l'Avvocatura dello Stato, osservando in primo luogo che rientra nella discrezionalità del legislatore il compito di fissare la misura della deducibilità degli oneri sostenuti per la produzione del reddito. Rileva ancora l'Erario come il principio della indeducibilità dell'Irap discenda dalla natura di tributo reale dell'imposta regionale e dal fatto che l'Irap colpirebbe una capacità contributiva che sfugge all'imposizione reddituale, colmando così una lacuna dell'ordinamento. Non è mancata inoltre l'eccezione relativa all'esigenza di semplificazione dei rapporti finanziari tra i diversi livelli di Governo. Nell'ipotesi della deducibilità, infatti, qualsiasi manovra sull'aliquota di imposta, decisa dalla Regione o dallo Stato nell'ambito dell'entrata di propria competenza, si ripercuoterebbe sul gettito del tributo gestito dall'altro livello di Governo. La Consulta, nel prendere in esame le contrapposte eccezioni, ha tenuto in considerazione la novella,rappresentata dall'articolo 6 del Dl 185/ 08, relativa alla parziale deducibilità dell'Irap, sia per l'esercizio 2008 sia per le annualità pregresse. Conseguentemente, l'ordinanza ha disposto la trasmissione degli atti alle Commissioni tributarie, affinché valutino la rilevanza della predetta modifica legislativa e motivino l'eventuale ulteriore rimessione degli atti alla Corte costituzionale. A questo punto, è facile prevedere che la questione sarà comunque riproposta dai giudici tributari. La ratio della deducibilità riferita alla componente lavoro e agli oneri finanziari risiede nell'esigenza di tener conto della quota parte dell'imposta regionale astrattamente imputabile a costi della produzione che sono deducibili ai fini dell'imposizione diretta. Il punto è però che la misura del 10% è forfetaria e non è dunque commisurata all'entità delle spese effettivamente sostenute. Ciò comporta che sono messi sullo stesso piano soggetti che sopportano costi minimali per retribuzioni e interessi ( imprese capital intensive) e soggetti che invece sono fortemente incisi da tali spese (imprese labour intensive o sottocapitalizzate), a tutto danno di questi ultimi. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL PROSSIMO PASSAGGIO Spetterà alle commissioni valutare se dopo il Dl 185 restano i margini per un'ulteriore questione di legittimità

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La pronuncia moltiplicherà i rinvii alla Corte (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 31-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-31 - pag: 23 autore: ANALISI La pronuncia moltiplicherà i rinvii alla Corte di Enrico De Mita T utta la vicenda dell'Irap e della sua deducibilità dalle imposte sui redditi è espressione di una politica tributaria priva di logica sistematica. Le fasi di questa politica sono le seguenti: • la stessa istituzione dell'Irap e della sua giustificazione in termini di capacità contributiva e di compatibilità con il sistema tributario italiano; • il divieto di dedurre l'imposta da quelle sui redditi; • la deduzione successivamente introdotta del •0% e articolata in più ipotesi (un atto di demagogia più che una razionalizzazione del tributo). Di fronte all'indeducibilità dell'Irap dalle imposte sui redditi la Corte costituzionale avrebbe dovuto pronunciarsi in termini di logica giuridica, cercando il collegamento di essa con le imposte sui redditi, ma nell'ordinanza n. 258/2009 la Corte ha voluto dare al requisito della «rilevanza » della questione di costituzionalità proposta un significato indistinto tale da consentire ogni tipo di soluzione da parte dei giudici tributari. E così, facendo lo stesso gioco del decreto legge 185/2008, ha ritenuto che la rilevanza cambiasse a seconda non solo dell'oggetto del ricorso ma in base agli spazi consentiti al giudice tributario non dalla legge organica ma dai diversi profili del decreto. Sicché le ipotesi di rilevanza della questione di costituzionalità si potranno moltiplicare all'infinito. Difatti l'articolo 6 del decreto è qualcosa di peggio di una circolare: la deducibilità del 10% dell'Irap pagata è configurata come forfettizzazione dell'imposta sulla quota di essa e come limite del rimborso negli anni di competenza rinviando addirittura l'integrazione delle risorse a successivi provvedimenti legislativi. Anziché rilevare l'arbitrarietà del decreto legge al fine di giudicare della costituzionalità della vicenda la Corte ha seguito la logica governativa sicché ha espresso un'ordinanza sbrigativa che agisce come moltiplicatore delle nuove formulazioni dell'ordinanza che ci saranno a seguito del rinvio degli atti. Tutto viene rimandato alle calende greche. Una giurisprudenza necessitata? No! Una giurisprudenza pigra. Perché la giurisprudenza della Corte costituzionale è stata definita necessitata dalla migliore dottrina quando non si poteva decidere diversamente rispetto a obiettivi dai quali non si poteva prescindere come fu la conservazione delle condizioni tributarie. L'ordinanza non è giurisprudenza necessitata ma adeguamento a una confusa politica tributaria priva di logica in parte demagogica (come dimostrato dal rinvio a nuove leggi). La Corte avrebbe potuto dare un quadro sistematico della materia in ordine all'indeducibilità dell'Irap e stabilire entro quali limiti c'era diritto al rimborso anziché rimettere alle commissioni tributarie il giudizio di costituzionalità entro un quadro molto più confuso. L'ordinanza della Corte potrebbe essere apprezzata come censura al potere politico se ci fosse almeno un cenno critico al provvedimento di legge, almeno laddove questo non è un atto normativo ma solo rinvio a «successivi provvedimenti legislativi». Le commissioni tributarie e i contribuenti frattanto che debbono fare? Aspettare. Questa è la giurisprudenza " necessitata"? © RIPRODUZIONE RISERVATA IL QUADRO La scelta non è dovuta a giurisprudenza «necessitata» ma soltanto a valutazioni pigre

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Andata e ritorno (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 31-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-31 - pag: 23 autore: Andata e ritorno La questione La questione esaminata dalla Corte costituzionale riguarda la deducibilità dell'Irap dalle imposte sui redditi. I giudici remittenti, infatti, dubitavano della legittimità della indeducibilità dell'Irap sotto il profilo della compatibilità con l'articolo 53 della Costituzione La modifica intervenuta La Corte costituzionale ha restituito gli atti ai giudici tributari affinché questi valutino la rilevanza dell'intervento previsto dall'articolo 6 del decreto legge 185/08, in base al quale è deducibile ai fini delle imposte sui redditi il 10% dell'Irap pagata,forfettariamente riferibile alle spese del personale e agli oneri finanziari La prossima tappa Le Commissioni tributarie dovranno valutare se la novità normativa intervenuta eliminio meno tutti i dubbi di costituzionalità Gli sviluppi possibili Con buona probabilità le Commissioni tributarie rimetteranno nuovamente la questione all'esame della Corte costituzionale, perché la deducibilità del 10%dell'Irap non consente di tener conto di tutti i costi della produzione effettivamente sostenuti dalle imprese

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Regole territoriali per i rischi rilevanti (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 31-07-2009)

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Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI GIUSTIZIA data: 2009-07-31 - pag: 29 autore: Legittime le disposizioni pugliesi Regole territoriali per i rischi rilevanti Paolo Pipere Le regioni possono legittimamente disciplinare la materia delle imprese a rischio di incidente rilevante. Lo ha deciso la Corte costituzionale, con sentenza 248 del 16 luglio. Il governo aveva sollevato la questione di legittimità di alcuni articoli della legge della regione Puglia 7 maggio 2008, n. 6, che le attribuiscono l'esercizio di funzioni di indirizzo e coordinamento sui pericoli di incidenti rilevanti, sostenendo che la norma regionale lede la competenza legislativa dello Stato nella tutela dell'ambiente, e contrasta con il decreto legislativo 334/1999 (attuazione della direttiva 96/82/Ce sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti per sostanze pericolose). La Corte ha stabilito che l'attribuzione alla regione di funzioni di indirizzo e coordinamento in materia di pericoli di incidenti rilevanti non solo non viola la potestà legislativa dello Stato, ma costituisce applicazione di quanto alla regione demanda la legge statale. Secondo la Corte, la fissazione di indirizzi strategici e programmatici e di linee guida in materia di controlli regionali non è lesiva della competenza statale perché garantisce l'omogenea applicazione della disciplina nel territorio regionale nel rispetto degli standard fissati dal legislatore. La Consulta ha respinto anche, con sentenza 250 (si veda «Il Sole 24 Ore» del 25 luglio), il ricorso di alcune regioni contro una serie di disposizioni in materiadi emissioni in atmosfera contenute nel decreto legislativo 152/2006 (norme in materia ambientale). La Puglia sosteneva che le norme avrebbero introdotto una disciplina di estremo dettaglio, non giustificata dall'esigenza di predisporre standard di tutela uniformi, privando le regioni della possibilità di calibrare i procedimenti in relazione alle peculiarità dei territori. La Calabria ha contestato, tra l'altro, la competenza statale sulla abilitazione alla conduzione degli impianti termici civili, che sottrarrebbe alle regioni una competenza di dettaglio riconducibile alla materia della «tutela della salute» e della «tutela e sicurezza del lavoro». Il Piemonte ha impugnato la parte quinta del decreto legislativo anche sostenendo che viola principi del diritto comunitario e di convenzioni internazionali. Sul primo punto (norme procedimentali eccessivamente dettagliate), la Corte ha ritenuto che «la riconduzione della disposizione censurata alla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente esclude in radice che la Regione possa contestarne il carattere dettagliato». Le censure relative alla non conformità alle norme comunitarie sono state respinte perché insufficientemente motivate. La conduzione di impianti termici civili al solo personale abilitato, non è – secondo la Corte – un aspetto di dettaglio della normativa, ma «ne costituisce piuttosto un cardine, dal momento che affida tale compito solo a chi disponga di una formazione professionale che lo renda idoneo a prevenire, e comunque a gestire nel migliore dei modi, gli effetti pregiudizievoli per l'ambiente e la salute», anche se è stata dichiarata l'illegittimità della disposizione nella parte in cui attribuisce all'ispettorato provinciale del lavoro il compito di rilasciare l'attestato di abilitazione. © RIPRODUZIONE RISERVATA L'INDICAZIONE Per i giudici le regioni possono disciplinare la materia senza lesione delle competenze centrali

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Eccessiva discrezionalità (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 31-07-2009)

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Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI GIUSTIZIA data: 2009-07-31 - pag: 29 autore: Eccessiva discrezionalità • Sentenza Corte Costituzionale 252/2009 La Regione Marche, nel disciplinare in modo autonomo le modalità di selezione del personale esterno destinatoa collaborare con i gruppi consiliari e le segreterie della Giunta, non ha previsto alcun criterio selettivo alternativoa quelli dettati dalla legge statale. è consentito così l'accesso a tali uffici di personale esterno del tutto privo di qualificazione, in modo irragionevole e in violazione del canone di buon andamento della pubblica amministrazione. Deve essere dichiarata l'illegittimità (...) nella parte in cui consentono il conferimento di incarichi (...) e l'instaurazione di rapporti di collaborazione (...) indipendentemente dai requisiti fissati dall'articolo 7,comma6 del Dlgs n. 165 del 2001.

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Vincoli statali per le consulenze (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 31-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI GIUSTIZIA data: 2009-07-31 - pag: 29 autore: Consulta. Stop alle Marche Vincoli statali per le consulenze Alessandro Galimberti ROMA Nella scelta dei collaboratori esterni le Regioni devono rispettare i canoni della ragionevolezza e del buon andamento della pubblica amministrazione, pur nei limiti dell'autonomia riconosciuta loro anche dalla Consulta (sentenze 187/1990 e 1130/1988). Con questi motivi la Corte Costituzionale ( sentenza 252/2009, depositata ieri) ha bocciato la legge 7/2008 delle Marche nella parte in cui consente di conferire incarichi esterni e instaurare rapporti di collaborazione coordinata e continuativa indipendentemente dai requisiti fissati dalla legge sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze della Pa (decreto legislativo 165/2001). La normativa dichiarata incostituzionale permetteva ai gruppi consiliari regionali e per analogia alla giunta- di scegliersi consulenti esterni sottraendosi ai limiti rigidi fissati dalla legge nazionale, e cioè «la particolare e comprovata specializzazione universitaria» dei candidati da contrattualizzare. Proprio sulla rigidità della norma statale si era appuntata la difesa delle Marche, contro l'eccezione di incostituzionalità sollevata dalla Presidenza del Consiglio: la stretta contenuta nella legge 244 del 2007, che sostituiva l'espressione «esperti di comprovata esperienza» con l'ulteriore requisito della «specializzazione universitaria», avrebbe «vanificato il residuo spazio di intervento normativo in materia da parte delle Regioni », comprimendo così la potestà legislativa concorrente dell'autonomia (articolo 117 della Costituzione). Lo stop dei giudici costituzionali è scattato però sulla violazione degli articoli 3 (uguaglianza) e 97 (buon andamento e imparzialità) della Carta dei diritti fondamentali. Le regole regionali, per la loro genericità, determinerebbero «l'inserimento nell'organizzazione pubblica di soggetti che non offrono le necessarie garanzie di professionalità e competenza »; quanto ai paletti fissati dal legislatore nazionale, «non comprimono affatto l'autonomia delle Regioni, ma si limitano a stabilire dei criteri oggettivi di professionalità, che non mettono in discussione il ca-rattere discrezionale della scelta dei collaboratori». E le Regioni possono anche derogarvi, ma dentro binari normativi che garantiscano «professionalità e competenza dei collaboratori», scongiurando così il pericolo «clientelare». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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La Campania impugna il Dl sulla sanità (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 31-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-07-31 - pag: 5 autore: COMMISSARIAMENTO La Campania impugna il Dl sulla sanità Antonio Bassolino ha deciso ieri di accettare «con riserva » il ruolo di commissario per la Sanità in Campania. Ma nello stesso tempo la giuntaha dato mandato per impugnare davanti al Tar e alla Corte costituzionale il decreto dicommissariamento deliberato la settimana scorsa dal Consiglio dei ministri. La scelta di Bassolino è legata, ha detto egli stesso, all'indicazione del sub commissario o dei sub commissari previsti. Mentre il ricorso al Tar e alla Consulta fa perno sui profili di illegittimità che si lamentano nella decisione del Governo di arrivare al commissariamento, con cifre e valutazioni di merito che la giunta contesta apertamente. Con un punto politico in particolare («discrezionalità politica », l'ha definita) segnalato da Bassolino: «L'evidente disparità di trattamento tra la Campania e la Sicilia». La Sicilia, infatti, almeno finora ha evitato il commissario.

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Lavoratore che assiste handicappato trasferibile in caso di incompatibilità ambientale (sezione: Giustizia)

( da "AltaLex" del 31-07-2009)

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Lavoratore che assiste handicappato trasferibile in caso di incompatibilità ambientale Cassazione civile , sez. III, sentenza 09.07.2009 n° 16102 (Adolfo Liarò) Commenta | Stampa | Segnala | Condividi La corte dice: si al trasferimento del prestatore di lavoro che assiste una persona portatore di handicap, senza il suo consenso, solo nel caso in cui la sua permanenza possa recare forte pregiudizio all’attivita’ lavorativa prestata. “In tema di assistenza alle persone handicappate deve affermarsi il diritto del genitore o del familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, di non essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede, non potendo subire limitazioni in caso di mobilità connessa ad ordinarie esigenze tecnico-produttive dell’azienda, ovvero della pubblica amministrazione, non è invece attuabile ove sia accertata, in base ad una verifica rigorosa anche in sede giurisdizionale, la incompatibilità della permanenza del lavoratore nella sede di lavoro”. Norme interessate Codice civile Art. 2103 - Prestazione del lavoro Comma 3: <>. Comma 4 :<>. Legge 05.02.1992, n. 104 Art. 33, comma 5 (legge ?quadro per l?assistenza, l?integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) come modificato dall?art. 19, l. 08/03/2000 n. 53 Comma 5: <>. Decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 Art. 467 ?si fa luogo al trasferimento d?ufficio soltanto in caso di soppressione di posto o di cattedre, ovvero per accertata situazione di incompatibilità di permanenza del personale nella scuola o nella sede? Principi costituzionali interessati Costituzione Art. 3 = sotto il profilo del principio di solidarietà; Art. 97 = con riguardo al principio di buon andamento e dell?imparzialità dell?Amministrazione; Art. 41 = in relazione alle esigenze organizzative ed economiche del datore di lavoro. Il caso A causa dei comportamenti dell?insegnante sul posto di lavoro (la quale assisteva una persona handicappata), si era venuta a creare una situazione di acuta conflittualità con i colleghi, nonché con gli alunni e le loro famiglie, sicchè veniva disposto il trasferimento per incompatibilità ambientale. Il trasferimento veniva impugnato e, con sentenza del 24 giugno 2004 la Corte d?appello di Messina, confermava la decisione di primo grado diretta alla declaratoria di illegittimità del trasferimento, disposto per incompatibilità ambientale, della professoressa accudente una persona portatore di handicap. La Corte territoriale riteneva che, assistendo la docente un familiare handicappato con lei convivente, rientrava nella previsione normativa agevolatrice di cui all?art. 33, corna 5, della legge n. 104 del 1992, la quale statuisce l?impossibilità di trasferimento senza il consenso della stessa. Né secondo i giudici d?appello esiste una norma di legge che prevede, in tale ipotesi, un bilanciamento fra interessi familiari del lavoratore con quelli tecnico -produttivi del datore di lavoro. Avverso questa sentenza veniva proposto gravame e, con ordinanza di rimessione della Corte di Cassazione, Sezione lavoro, venivano adite le Sezioni unite a causa della particolare importanza rivestita dalla controversia ai sensi dell?art. 374, comma 2, c.p.c.. Inquadramento della problematica La Suprema Corte veniva investita, nelle sue Sezioni Unite, per districarsi in una problematica di estrema importanza. Il quesito verteva sull?applicazione o meno dell?art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 (legge?quadro per l?assistenza, l?integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), che prevede agevolazioni per i lavoratori che assistono soggetti portatori di handicap qualora ci si trovi in possibili situazioni lesive degli interessi del datore di lavoro, come ad esempio in ipotesi di incompatibilità ambientali. Si pone cioè la questione dell?ammissibilità del trasferimento d?ufficio del lavoratore, che si trovi nella situazione familiare prevista dalla norma, ma in ipotesi di accertata incompatibilità ambientale, tali da non garantire il normale svolgimento della prestazione lavorativa richiesta. Quindi è richiesto, alla Suprema Corte, di bilanciare tra i principi avallati dall?articolo in parola, così come modificato dall?art. 19 della legge 8 marzo 2000, n. 53, il quale dispone che <> ed i principi Costituzionali relativi al buon andamento e imparzialità dei pubblici uffici finalizzati all?attuazione del principio costituzionale mediante l?ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e la determinazione di precisi livelli di efficienza per ciascuna struttura della pubblica amministrazione. La risposta della Corte I Cassazionisti sono quindi chiamati a vagliare la possibilità o meno di applicazione della disposizione di cuiall?art. 33, comma 5, l. n. 104/1992 e successive modificazioni, che richiede il preventivo consenso al trasferimento per i lavoratori che assistono soggetti portatori di handicap, nel caso in cui lo stesso lavoratore si trovi in situazione di in ipotesi di ?accertata incompatibilità ambientale?. Esaminando la vexata quaestio, i Giudici Ermellini iniziano con l?esame del dato normativo e, in particolare, dell?art. 33, l. 104/1992, così come modificato dall?art. 19 della legge 8 marzo 2000, n. 53, al comma 5, il quale dispone che << il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito, senza il suo consenso, ad altra sede>>. La norma, in origine prevedeva che il lavoratore dovesse essere categoricamente un convivente della persona handicappata, ma tale requisito è stato eliminato dal richiamato art. 19, l. n. 53/2000. La stessa legge all?art. 20 precisa, però, che l?assistenza deve essere prestata con continuità e in via esclusiva. Inoltre, la fruizione di tali agevolazioni presuppone che la condizione di portatore di handicap deve essere accertata mediante ?le commissioni mediche previste dall?art. 4 della stessa legge n. 104 del 1992? (cfr., ex plurimis, Cass. n. 8436 del 2003). La Corte compie una configurazione giuridica delle posizioni soggettive riconosciute dalla norma, e i limiti del relativo esercizio all?interno del rapporto di lavoro, alla luce dei numerosi interventi della Corte costituzionale, che, collocando le agevolazioni in esame all?interno di un?ampia sfera di applicazione della legge n. 104 del 1992, diretta ad assicurare, in termini quanto più possibile soddisfacente, la tutela dei soggetti portatori di handicap, destinata a incidere sul settore sanitario e assistenziale, sulla formazione professionale, sulle condizioni di lavoro, sulla integrazione scolastica, ha precisato ?la discrezionalità del Legislatore nell?individuare le diverse misure operative finalizzate a garantire la condizione del portatore di handicap mediante la interrelazione e la integrazione dei valori espressi dal disegno costituzionale? (cfr. Corte cost. n. 406 del 1992; id., n. 325 del 1996). In questa ottica ? le misure previste dall?art. 33, comma 5, devono intendersi come razionalmente inserite in un ampio complesso normativo riconducibile al principio sancito dall?art. 3, secondo comma, della Costituzione che deve trovare attuazione mediante meccanismi di solidarietà che, da un lato, non si identificano esclusivamente con l?assistenza familiare e, dall?altro, devono coesistere e bilanciarsi con altri valori costituzionali?. Le Sezioni Unite, al riguardo, osservano che la tutela è riconosciuta come s?è visto, a seguito della richiamata legge n. 53 del 2000, al lavoratore che provveda all?assistenza della persona handicappata pur non essendo con essa convivente, sì che ?l?agevolazione è diretta non tanto a garantire la presenza del lavoratore nel proprio nucleo familiare, quanto evitare che la persona handicappata resti priva assistenza in ad di relazione alla sede lavorativa del familiare che la assiste, di modo che possa risultare compromessa la sua tutela psico - fisica e la sua integrazione nella famiglia e nella collettività? (cfr. Corte cost. n. 19 del 2009); e, d?altra parte, un?uguale agevolazione, quanto alla scelta della sede di lavoro e alla inamovibilità, è prevista dal comma sesto dello stesso art. 33 in favore della persona handicappata in situazione di gravità, così confermandosi che, in generale, il destinatario della tutela realizzata mediante le agevolazioni previste dalla legge non è il nucleo familiare in sé, bensì la persona portatrice di handicap. Un?interpetrazione come sopra delineata è in netta sintonia con la definizione contenuta nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, approvata il 13 dicembre 2006, là dove prevede che ?la finalità comune dei diversi ordinamenti viene identificata nella piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri, nonché con la nuova classificazione adottata nel 1999 dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha sostituito il termine <> con ?attività personali? e i termini ?handicap? e <> con il termine <>?. Corollario della suesposta asserzione è che l?efficacia di questa tutela si realizza anche mediante una regolamentazione del contratto di lavoro in cui è parte il familiare della persona tutelata, là dove il riconoscimento di diritti in capo al lavoratore è in funzione del diritto del portatore di handicap a ricevere assistenza. In considerazione dei richiamati orientamenti della Corte costituzionale, già le sezioni unite, occupandosi del diritto di scelta della sede di lavoro a conclusione di una procedura concorsuale pubblica, hanno avuto modo di rilevare che ?l?art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 non configura in generale, in capo ai soggetti ivi individuati, un diritto assoluto e illimitato, poiché esso può essere fatto valere allorquando, alla stregua di un equo bilanciamento fra tutti gli implicati interessi costituzionalmente rilevanti, il suo esercizio non finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive ed organizzative del datore di lavoro e per tradursi , soprattutto nei casi relativi a rapporti di lavoro pubblico, in un danno per l?interesse della collettività? (cfr. Cass., sez. un., n. 7945/2008) Quest?ultimo rilievo, attesta l?esigenza che deve avere ogni interesse individuale, quantunque garantito dalla Costituzione, di compatibilità con la stessa e, nella fattispecie, con il principio di buon andamento e imparzialità dei pubblici uffici, ciò trova un significativo riscontro nella legge-delega 3 marzo 2009, n. 15, finalizzata alla attuazione del principio costituzionale mediante l?ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e la determinazione di precisi livelli di efficienza per ciascuna struttura della pubblica amministrazione. Mette conto rilevare che il bilanciamento degli indicati interessi avviene a livelli diversi in relazione alle distinte posizioni soggettive contemplate dalla disposizione in esame. A tal proposito, afferma la Corte, ?la limitazione del diritto, in ragione della concomitanza di valori di rilievo costituzionale, quali i principi distintamente espressi dall?art. 97 e dall?art. 41 Cost., si esplicita nella norma, con riguardo alla scelta della sede di lavoro all?atto dell?assunzione (od anche in via di successivo trasferimento a domanda: cfr., da ultimo, con riferimento all?ipotesi dell?art. 33, comma 6, Cass. n. 3896 del 2009), con l?inciso ?ove possibile?, che vale a configurare una subordinazione del diritto alla condizione che il suo esercizio non comporti una lesione eccessiva delle esigenze organizzative ed economiche del datore di lavoro privato, ovvero non determini un danno per la collettività compromettendo il buon andamento e l?efficienza della pubblica amministrazione? (cfr. Corte cost. n. 372 del 2002; Cass., sez. un., n. 7945 del 2008, cit.; Cass. n. 1396 del 2006; id., n. 8436 del 2003; id., n. 12692 del 2002) La mancanza di tale esplicitazione per l?ipotesi del trasferimento, per il quale la seconda parte della disposizione prevede semplicemente che il lavoratore non può essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso, esprime una diversa scelta di valori che è collegata alla diversità delle due situazioni, e specificamente ai riflessi negativi per il portatore di handicap di un trasferimento di sede del congiunto a fronte di una situazione assistenziale già consolidata. Tuttavia, ?la scelta operata dal Legislatore significa soltanto che in questa ipotesi l?interesse della persona handicappata, ponendosi come limite esterno del potere datoriale di trasferimento, quale disciplinato in via generale dall?art. 2103 c.c., prevale sulle ordinarie esigenze produttive e organizzative del datore di lavoro; ma non esclude che il medesimo interesse, pure prevalente rispetto alle predette esigenze, debba conciliarsi con altri rilevanti interessi, diversi da quelli sottesi alla ordinaria mobilità, che possono entrare in gioco nello svolgimento del rapporto di lavoro, pubblico o privato, così come avviene in altre ipotesi di divieto di trasferimento previste dall?ordinamento per le quali la considerazione dei princìpi costituzionali coinvolti può determinare, concretamente, un limite alla prescrizione di inamovibilità? (cfr. art. 22, secondo comma, della legge n. 300 del 1970; art. 78, comma 6, del decreto legislativo n. 267 del 2000; art. 2, sesto comma, della legge n. 1264 del 1971, introdotto dall?art. 17, comma 1, della legge n. 53 del 2000). La ricognizione di siffatti interessi è presente nella evoluzione della giurisprudenza di legittimità, che ha individuato ?situazioni di fatto, di incompatibilità ambientale, che, se pure prescindono da ragioni punitive o disciplinari e sono riconducibili in via sistematica all?art. 2103 c.c., si distinguono dalle ordinarie esigenze di assetto organizzativo in quanto costituiscono esse stesse causa di disorganizzazione e disfunzione realizzando, di per sé, un?obiettiva esigenza di modifica del luogo di lavoro? (cfr. Cass. n. 4265 del 2007; id., 10252 del 1995). Si tratta, a ben vedere, di situazioni che possono essere accomunate alla soppressione del posto, per il fatto che in entrambi i casi il mutamento della sede corrisponde alla necessità obiettiva, da accertare rigorosamente anche in sede giurisdizionale, di conservare al lavoratore il posto di lavoro, ove risulti l?impossibilità della prosecuzione del rapporto nella precedente sede. E, peraltro, la eadem ratio delle due ipotesi si rinviene proprio nella previsione normativa applicabile nella controversia in esame, che é l?art. 467 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 ? inserito in un testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione che prevede, all?art. 601, l?applicazione, anche per la mobilità, delle agevolazioni della legge n. 104 del 1992 ? dispone che ?si fa luogo al trasferimento d?ufficio soltanto in caso di soppressione di posto o di cattedre, ovvero per accertata situazione di incompatibilità di permanenza del personale nella scuola o nella sede?. Proprio nell?ottica di considerare ciascun principio e ciascun valore ?senza perdere di vista, comunque, l?insieme normativo? (cfr. Corte cost. n. 325 del 1996, cit.), i giudici della Suprema Corte, affermano che ?occorre anche osservare come l?accertata esistenza di tali situazioni comporti in realtà una pluralità di esigenze, ognuna diversa dalla mera mobilità del personale, che si identificano non soltanto con il funzionamento dell?azienda, ovvero dell?ente pubblico, ma anche con la necessità di conservare il posto al lavoratore: necessità che si riflette, d?altronde, sulla stessa persona handicappata, poiché la perdita del lavoro comporterebbe per il familiare uno squilibrio di assetti destinato a mettere a rischio la stessa possibilità dell?assistenza?. Pertanto ?la particolarità delle esigenze sottese a tali situazioni, riconducibili a valori di rilievo costituzionale e allo stesso mantenimento dell?assistenza alle persone handicappate, determina la inapplicabilità, in caso di soppressione del posto o di incompatibilità ambientale, della tutela di cui all?art. 33, comma 5, seconda parte, della legge n. 104 del 1992, che riguarda invece le ipotesi di mobilità dei lavoratori per ordinarie ragioni tecnico? produttive. In conclusione, ai sensi dei suesposti rilievi, la Suprema Corte ritiene che ?deve affermarsi, alla luce di una interpretazione dell?art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 orientata alla complessiva considerazione dei principi e dei valori costituzionali coinvolti, il diritto del genitore o del familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, di non essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede, mentre non può subire limitazioni in caso di mobilità connessa ad ordinarie esigenze tecnico-produttive dell?azienda, ovvero della pubblica amministrazione, non è invece attuabile ove sia accertata, in base ad una verifica rigorosa anche in sede giurisdizionale, la incompatibilità della permanenza del lavoratore nella sede di lavoro?. (Altalex, 31 luglio 2009. Nota di Adolfo Liarò) | lavoratore | handicap | insegnante | trasferimento del lavoratore | Adolfo Liarò | SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III CIVILE Sentenza 9 luglio 2009, n. 16102 (Presidente G. B. Petti, Relatore B. Spagna Musso) Svolgimento del processo 1. - Con sentenza del 24 giugno 2004 la Corte d'appello di Messina, respingendo il gravame proposto dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, ha confermato la decisione di primo grado con cui il Tribunale di Patti, in funzione di giudice del lavoro, aveva accolto la domanda di S. A., docente di scuola elementare, diretta alla declaratoria di illegittimità del proprio trasferimento dal Circolo didattico di Tortorici a quello di Galati Mamertino, disposto - per incompatibilità ambientale - per 1'anno scolastico 1998-1999. 1.1. - La Corte territoriale ha ritenuto che la A., asssistendo un familiare handicappato con lei convivente, ai sensi dell' art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, non potesse essere trasferita senza il proprio consenso, non prevedendo la legge, in tale ipotesi, alcun bilanciamento degli interessi familiari del lavoratore con quelli tecnico-produttivi del datore di lavoro, così come invece previsto dal Legislatore per l'ipotesi di prima assegnazione della sede di lavoro, in cui 1'interesse del lavoratore è tutelato "ove possibile". Ha aggiunto che, nel caso di specie, si era verificata, a causa di comportamenti dell'insegnante, una situazione di acuta conflittualità con i colleghi, nonché con gli alunni e le loro famiglie, sì che il trasferimento non garantiva, comunque, l'interesse dell'Amministrazione, non potendosi escludere che una analoga situazione si ripetesse anche in altra sede. 2.- Avverso questa sentenza il Ministero ha proposto ricorso per cassazione deducendo due motivi di impugnazione. 3.- La lavoratrice non ha svolto attività difensive in questa sede. 4 - Il ricorso è stato assegnato a queste Sezioni unite, ai sensi dell' art. 374, secondo comma, c.p.c., a seguito di ordinanza di rimessione della Sezione lavoro che ha segnalato la particolare importanza della questione sottoposta alla Corte di cassazione. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo di ricorso viene denunciata violazione e falsa applicazione dell' art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 e dell'art. 468 del decreto legislativo n. 297 del 1994, nonché insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Si addebita alla sentenza impugnata di avere introdotto una netta distinzione fra 1'ipotesi dì prima assegnazione della sede di servizio, nella quale avrebbero rilievo anche le esigenze organizzative dell'Amministrazione, e quella del trasferimento, ove sarebbe indispensabile il consenso del lavoratore, finendo così per trascurare la ratio delle disposizioni in esame e per comprimere eccessivamente i poteri della Amministrazione datrice di lavoro, specialmente in relazione alle ipotesi di trasferimento d'ufficio previste dalla legge. 2. - Con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell' art. 468, sopra richiamato, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Si censura la decisione della Corte d'appello per avere ritenuto illegittimo il trasferimento in base al rilievo che la situazione di incompatibilità, che vi aveva dato causa, si sarebbe potuta verificare anche in una sede diversa, sì che la misura adottata non fosse quindi quella più idonea a risolvere i problemi ambientali creatisi presso la scuola di assegnazione. 3. - L'esame del primo motivo presuppone l'interpretazione dell' art. 33, comma 5, sopra richiamato, e, in particolare, pone la questione dell' ammissibilità del trasferimento d'ufficio del lavoratore, che si trovi nella situazione familiare prevista dalla norma, in ipotesi di accertata incompatibilità ambientale. 4 . - La legge 5 febbraio 1992, n. 104 (legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) prevede, all' art. 33, agevolazioni per i lavoratori che assistono soggetti portatori di handicap. In particolare, il quinto comma, così come modificato dall'art. 19 della legge 8 marzo 2000, n. 53, dispone che il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito, senza il suo consenso, ad altra sede. La norma prevedeva, originariamente, che il lavoratore fosse convivente con la persona handicappata, ma tale requisito è stato eliminato dal richiamato art. 19 della legge n. 53 del 2000; l'art. 20 di tale legge ha precisato che l'assistenza deve essere prestata con continuità e in via esclusiva. Inoltre, la fruizione di tali agevolazioni presuppone che la condizione di portatore di handicap deve essere accertata mediante le commissioni mediche previste dall' art. 4 della stessa legge n. 104 del 1992 (cfr., ex plurimis, Cass. n. 8436 del 2003). 4.1. - Sul piano sistematico, la configurazione giuridica delle posizioni soggettive riconosciute dalla norma, e i limiti del relativo esercizio all' interno del rapporto di lavoro, devono essere individuati alla luce dei numerosi interventi della Corte >costituzionale, che - collocando le agevolazioni in esame all' interno di un'ampia sfera di applicazione della legge n. 104 del 1992, diretta ad assicurare, in termini quanto più possibile soddisfacente, la tutela dei soggetti portatori di handicap, destinata a incidere sul settore sanitario e assistenziale, sulla formazione professionale, sulle condizioni di lavoro, sulla integrazione scolastica - ha tuttavia precisato la discrezionalità del Legislatore nell'individuare le diverse misure operative finalizzate a garantire la condizione del portatore di handicap mediante la interrelazione e la integrazione dei valori espressi dal disegno costituzionale (cfr. Corte cost. n. 406 del 1992; id., n. 325 del 1996). In questa ottica, le misure previste dall' art. 33, comma 5, devono intendersi come razionalmente inserite in un ampio complesso normativo - riconducibile al principio sancito dall' art. 3, secondo comma, della Costituzione - che deve trovare attuazione mediante meccanismi di solidarietà che, da un lato, non si identificano esclusivamente con 1'assistenza familiare e, dall' altro, devono coesistere e bilanciarsi con altri valori costituzionali. Può osservarsi, al riguardo, che la tutela è riconosciuta - come s'è visto, a seguito della richiamata legge n. 53 del 2000 - al lavoratore che provveda all' assistenza della persona handicappata pur non essendo con essa convivente, sì che l'agevolazione è diretta non tanto a garantire la presenza del lavoratore nel proprio nucleo familiare, quanto ad evitare che la persona handicappata resti priva di assistenza in relazione alla sede lavorativa del familiare che la assiste, di modo che possa risultare compromessa la sua tutela psico-fisica e la sua integrazione nella famiglia e nella collettività (cfr. Corte cost. n. 19 del 2009) ; e, d'altra parte, un'uguale agevolazione, quanto alla scelta della sede di lavoro e alla inamovibilità, è prevista dal comma sesto dello stesso art. 33 in favore della persona handicappata in situazione di gravità, così confermandosi che, in generale, il destinatario della tutela realizzata mediante le agevolazioni previste dalla legge non è il nucleo familiare in sé, bensì la persona portatrice dì handicap. Una configurazione siffatta, d'altronde, è in linea con la definizione contenuta nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, approvata il 13 dicembre 200 6, là dove la finalità comune dei diversi ordinamenti viene identificata nella piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri, nonché con la nuova classificazione adottata nel 1999 dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha sostituito il termine "disabilità" con "attività personali" e i termini "handicap" e "svantaggio esistenziale" con il termine "partecipazione sociale". L'efficacia di questa tutela si realizza, per quanto qui interessa, anche mediante una regolamentazione del contratto di lavoro in cui è parte il familiare della persona tutelata, là dove il riconoscimento di diritti in capo al lavoratore è in funzione del diritto del portatore dì handicap a ricevere assistenza. 4.2. - In considerazione dei richiamati orientamenti della Corte costituzionale, queste Sezioni unite, occupandosi del diritto dì scelta della sede di lavoro a conclusione di una procedura concorsuale pubblica, hanno già avuto modo di rilevare che 1 ' art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 non configura in generale, in capo ai soggetti ivi individuati, un diritto assoluto e illimitato, poiché esso può essere fatto valere allorquando, alla stregua di un equo bilanciamento fra tutti gli implicati interessi costituzionalmente rilevanti, il suo esercizio non finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive ed organizzative del datore di lavoro e per tradursi - soprattutto nei casi relativi a rapporti di lavoro pubblico - in un danno per 1'interesse della collettività (cfr. Cass., sez. un., n. 7945 del 2008) . Quest'ultimo rilievo, inerente all'esigenza di una compatibilità di ogni interesse individuale quantunque garantito dalla Costituzione - con il principio di buon andamento e imparzialità dei pubblici uffici, viene sottolineato nell'ordinanza di rimessione della Sezione lavoro e, d'altra parte, trova un significativo riscontro nella legge-delega 3 marzo 2009f n. 15, finalizzata alla attuazione del principio costituzionale mediante 1'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e la determinazione di precisi livelli di efficienza per ciascuna struttura della pubblica amministrazione. 4.3. - Mette conto rilevare che il bilanciamento degli indicati interessi avviene a livelli diversi in relazione alle distinte posizioni soggettive contemplate dalla disposizione in esame. La limitazione del diritto, in ragione della concomitanza di valori di rilievo costituzionale, quali i principi distintamente espressi dall'art. 97 e dall' art. 41 Cost., si esplicita nella norma, con riguardo alla scelta della sede di lavoro all' atto dell'assunzione (od anche in via di successivo trasferimento a domanda : cfr., da ultimo, con riferimento all' ipotesi dell'art. 33, comma 6, Cass. n. 3896 del 2009), con 1'inciso "ove possibile", che vale a configurare una subordinazione del diritto alla condizione che il suo esercizio non comporti una lesione eccessiva delle esigenze organizzative ed economiche del datore di lavoro privato, ovvero non determini un danno per la collettività compromettendo il buon andamento e 1'efficienza della pubblica amministrazione (cf r. Corte cost. n. 372 del 2 002 ; Cass., sez. un., n. 7945 del 2008, cit.; Cass. n. 1396 del 2006; id., n. 8436 del 2003; id., n. 12692 del 2002). La mancanza di tale esplicitazione per l'ipotesi del trasferimento, per il quale la seconda parte della disposizione prevede semplicemente che il lavoratore non può essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso, esprime una diversa scelta di valori che è collegata alla diversità delle due situazioni, e specificamente ai riflessi negativi per il portatore di handicap di un trasferimento di sede del congiunto a fronte di una situazione assistenziale già consolidata. Tuttavia, la scelta operata dal Legislatore significa soltanto che in questa ipotesi 1'interesse della persona handicappata, ponendosi come limite esterno del potere datoriale di trasferimento, quale disciplinato in via generale dall' art. 2103 c. c., prevale sulle ordinarie esigenze produttive e organizzative del datore dì lavoro; ma non esclude che il medesimo interesse, pure prevalente rispetto alle predette esigenze, debba conciliarsi con altri rilevanti interessi, diversi da quelli sottesi alla ordinaria mobilità, che possono entrare in gioco nello svolgimento del rapporto di lavoro, pubblico o privato, così come avviene in altre ipotesi di divieto di trasferimento previste dall' ordinamento per le quali la considerazione dei princìpi costituzionali coinvolti può determinare, concretamente, un limite alla prescrizione di inamovibilità (cfr. art. 22, secondo comma, della legge n. 300 del 1970; art. 78, comma 6, del decreto legislativo n. 267 del 2000; art. 2, sesto comma, della legge n. 1264 del 1971, introdotto dall'art. 17, comma 1, della legge n. 53 del 2000). 4.4. - La ricognizione di siffatti interessi è presente nella evoluzione della giurisprudenza di legittimità, che ha individuato situazioni di fatto, di incompatibilità ambientale, che, se pure prescindono da ragioni punitive o disciplinari e sono riconducibili in via sistematica all'art. 2103 ce, si distinguono dalle ordinarie esigenze di assetto organizzativo in quanto costituiscono esse stesse causa di disorganizzazione e disfunzione realizzando, di per sé, un'obiettiva esigenza di modifica del luogo di lavoro (cfr. Cass. n. 4265 del 2007; id., 10252 del 1995). Si tratta, a ben vedere, di situazioni che possono essere accomunate alla soppressione del posto, per il fatto che in entrambi i casi il mutamento della sede corrisponde alla necessità obiettiva, da accertare rigorosamente anche in sede giurisdizionale, di conservare al lavoratore il posto di lavoro, ove risulti 1'impossibilità della prosecuzione del rapporto nella precedente sede. E, peraltro, la eadem ratio delle due ipotesi si rinviene proprio nella previsione normativa applicabile nella controversia in esame, che l'art. 467 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 - inserito in un testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione che prevede, all' art. 601, l'applicazione, anche per la mobilità, delle agevolazioni della legge n. 104 del 1992 dispone che si fa luogo al trasferimento d'ufficio soltanto in caso di soppressione di posto o di cattedre, ovvero per accertata situazione di incompatibilità di permanenza del personale nella scuola o nella sede. Proprio nell'ottica di considerare ciascun principio e ciascun valore "senza perdere di vista, comunque, l'insieme normativo" (cfr. Corte cost. n. 325 del 1996, cit.), occorre anche osservare come l'accertata esistenza di tali situazioni comporti in realtà una pluralità di esigenze - ognuna diversa dalla mera mobilità del personale - che si identificano non soltanto con il funzionamento dell'azienda, ovvero dell' ente pubblico, ma anche con la necessità di conservare il posto al lavoratore: necessità che si riflette, d'altronde, sulla stessa persona handicappata, poiché la perdita del lavoro comporterebbe per il familiare uno squilibrio di assetti destinato a mettere a rischio la stessa possibilità dell'assistenza. Pertanto, la particolarità delle esigenze sottese a tali situazioni, riconducibili a valori di rilievo costituzionale e allo stesso mantenimento dell' assistenza alle persone handicappate, determina la inapplicabilità, in caso di soppressione del posto o di incompatibilità ambientale, della tutela di cui all'art. 33, comma 5, seconda parte, della legge n. 104 del 1992, che riguarda invece le ipotesi di mobilità dei lavoratori per ordinarie ragioni tecnico-produttive . 4.5. - In conclusione, si deve affermare che, alla luce di una interpretazione dell'art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 orientata alla complessiva considerazione dei principi e dei valori costituzionali coinvolti, il diritto del genitore o del familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, di non essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede, mentre non può subire limitazioni in caso di mobilità connessa ad ordinarie esigenze tecnico-produttive dell' azienda, ovvero della pubblica amministrazione, non è invece attuabile ove sia accertata, in base ad una verifica rigorosa anche in sede giurisdizionale, la incompatibilità della permanenza del lavoratore nella sede di lavoro. 4.6. - Alla stregua dell' enunciato principio di diritto, si rivela fondato il primo motivo di ricorso poiché la sentenza impugnata ha affermato la illegittimità del trasferimento della docente, odierna intimata, pure in presenza di una accertata, gravissima situazione di incompatibilità ambientale nella sede di assegnazione. 5. - Fondato è anche il secondo motivo. La concorrente ratio decidendi della sentenza impugnata si fonda sull'affermazione che la misura del trasferimento non era comunque quella più idonea, in quanto la conflittualità dei rapporti personali, addebitabili alla docente, si sarebbe ripresentata in una sede diversa. Orbene, tale affermazione si rivela in netto contrasto con i principi di diritto sopra enunciati, secondo cui il trasferimento d'ufficio del lavoratore per incompatibilità ambientale, evitando la cessazione del rapporto di lavoro, concorre a realizzare le finalità dell'assistenza alla persona handicappata. Nella specie, il provvedimento di trasferimento si configura come misura necessaria a contemperare i diversi interessi coinvolti - della scuola, della lavoratrice e del familiare assistito - , non essendo consentito, d'altra parte, sopperire a tale oggettiva incompatibilità con il licenziamento, che presuppone comunque l'accertamento di autonome ragioni, del tutto estranee all'oggetto della presente controversia. 6. - Il ricorso va pertanto accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata. 7. - La causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell' art. 38 4, secondo comma, c.p.c., con il rigetto della domanda proposta dalla A.. 8. - La difficoltà delle questioni giuridiche trattate induce a compensare fra le parti le spese dell'intero processo. P.Q.M. La Corte, a sezioni unite, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa fra le parti le spese dell'intero processo. Così deciso in Roma, il 23 giugno 2009 Il Consigliere estensore Commenta | Stampa | Segnala | Condividi |

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"incompatibile? decida il parlamento" (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 01-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina IV - Bari Il leader in carica spiega la decisione di andare avanti. Ed è pronto anche ad affrontare la Consulta "Incompatibile? Decida il Parlamento" La discesa in campo di Michele Emiliano potrebbe essere frenata da una recente sentenza della corte costituzionale che pone l´impossibilità per i magistrati di avere tessere di partito. Il sindaco di Bari, concentrato a presentare la sua candidatura alla segreteria del Pd, ha preferito rimandare ogni decisione ad un altro momento. «è un problema serio, ma mal posto. Deve occuparsene il Parlamento», ha detto, allontanando da sé la responsabilità di assumere una qualsiasi decisione sull´argomento. «Ho deciso di candidarmi alla segreteria regionale del Pd da solo, senza alcun altro apparentamento con le correnti o le mozioni». Così il sindaco di Bari e attuale segretario regionale del Pd, Michele Emiliano, ha spiegato la sua decisione di candidarsi alla segreteria. «Ho deciso di farlo - ha spiegato - nella speranza che il mio invito all´unità del partito, almeno quella pugliese visto che su quella nazionale non ho potuto fare nulla, in qualche modo potesse realizzare il progetto che tutti i democratici pugliesi e anche i cittadini vorrebbero vedere realizzarsi». Progetti elencati dallo stesso Emiliano: «Accelerare i risultati di governo alla Regione, avviare la campagna elettorale visto che mancano sette mesi al voto ed evitare che uno scontro sanguinoso, credo meramente di potere all´interno del Pd, possa finire per dare l´impressione a tutti gli italiani che mentre nel Paese c´è una gravissima crisi economica e scoppia la questione del Mezzogiorno, il Pd è impegnato solo su mozioni molto simili tra loro come quella di Bersani e quella di Franceschini, in una guerra fratricida dove c´è addirittura il sospetto, da parte di qualcuno, che lo scopo del congresso sia eliminare l´altro dal gioco». Emiliano è ancora convinto della bontà di una proposta unitaria: «Mi candido alla segreteria regionale del Pd perchè ho la speranza che almeno in Puglia una candidatura unitaria possa essere raggiunta».

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Assunzioni ampie per i precari (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 01-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-08-01 - pag: 23 autore: Manovra d'estate. Le indicazioni dell'Anci Assunzioni ampie per i «precari» Gianni Trovati MILANO La manovra d'estate rimette in moto il sistema delle stabilizzazioni del personale pubblico precario, e negli enti locali può anche trovare applicazioni più ampie rispetto a quelle previste per gli uffici statali. A sottolineare gli spazi di manovra concessi ai sindaci dalla legge di conversione del Dl 78/2009, che attende il via libera definitivo dal Senato, è l'Anci, che in una nota passa in rassegna le conseguenze applicative della nuova apertura sulle assunzioni. La manovra consente alle Pa di riservare fino al 40% dei posti a concorso ai precari che possano ambire al posto fisso, ma la soglia si può alzare al 50% per i comuni che si costituiscano in un'unione con almeno 20mila abitanti. La soglia alta, secondo i tecnici dell'associazione, è applicabile a tutte le unioni, anche quelle già attive, purché raggiungano la soglia dei 20mila abitanti, ma per avere una conferma ufficiale si chiede una presa di posizione da parte della Funzione pubblica. Agli enti locali, sottolinea il documento Anci, non si possono applicare nemmeno i vincoli finanziari che impongono ( articolo 17, comma 13 del provvedimento) di non dedicare alle stabilizzazioni più del 40% delle risorse disponibili per il nuovo personale. La Corte costituzionale, infatti, ha puntualmente bocciato le norme che hanno provato a imporre a sindaci e presidenti di provincia limiti puntuali sulle assunzioni, in contrasto con l'autonomia riconosciuta a comuni e province. Per loro, dunque, i margini di manovra sulle stabilizzazioni sono quelli generali che disciplinano la spesa di personale: gli enti soggetti al Patto di stabilità devono continuare ad assicurare la riduzione complessiva delle spese di personale (secondo i meccanismi di calcolo previsti dal comma 557 della Finanziaria 2007), e quelli sotto i 5mila abitanti devono evitare di superare i livelli del 2004 (come imposto dal comma 562 della stessa legge). La manovra estiva in corso di approvazione cambia anche le regole per la gestione del lavoro flessibile, eliminando il vincolo dei tre anni per l'utilizzo dello stesso lavoratore con più formule contrattuali. Non si tratta, però, di un via libera alla formazione di nuovo precariato, che viene tenuta sotto controllo in due modi: i dirigenti degli uffici dove si verificano irregolarità nella gestione dei contratti flessibili non riceveranno in busta i premi di risultato, e ogni anno le amministrazioni dovranno inviare un «rapporto analitico» ai revisori dei conti e alla Funzione pubblica. Lo stop alla retribuzione dei risultato per i dirigenti scatterà anche per le irregolarità nell'affidamento di incarichi. www.ilsole24ore.com/norme La nota Anci sul personale © RIPRODUZIONE RISERVATA LE PRECISAZIONI La riserva nei concorsi si può alzare al 50% nelle unioni di comuni I vincoli finanziari non riguardano le autonomie

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OSPEDALI Bassolino contro Roma: Decido io (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 01-08-2009)

Argomenti: Giustizia

OSPEDALI Bassolino contro Roma: «Decido io» Dopo aver accettato l'incarico di commissario alla sanità campana «con riserva», il presidente della regione non demorde e mantiene la questione sul terreno dello scontro. Farà ricorso al Tar e alla Corte Costituzionale per alcuni punti del decreto. E sta valutando di nominare, entro il 31 ottobre, i nuovi direttori generali di alcune Aziende sanitarie ed ospedaliere. Il governo, invece, non è riuscito a persuadere Andrea Monorchio che quella campana sarebbe stata una sfida facile. L'ex ragioniere generale dello stato era stato proposto per la carica di sub commissario. Ma nelle ultime ore, il dirigente ha evidenziato le sue preoccupazioni, in particolare viste le scadenze elettorali che attendono la Campania. In sintesi, Monorchio ha il timore che molte scelte da operare in una «sanità commissariata» possano contrastare con la campagna elettorale che partirà tra qualche settimana. «Preferisco non immischiarmi in queste beghe», avrebbe confidato ad un orecchio attento che ha poi raccontato tutto al Velino. Lo scontro, insomma, è destinato a durare.

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ambiente, losappio contro fitto "fa perdere alla puglia soldi e lavoro" - paolo viotti (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 02-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina VIII - Bari Ambiente, Losappio contro Fitto "Fa perdere alla Puglia soldi e lavoro" Bloccata per un anno la legge sulle industrie a rischio La Consulta ha ritenuto "non fondate" le osservazioni del ministro PAOLO VIOTTI Un anno «perso per un atto di arroganza di un ministro, un anno che ha fatto perdere alla Puglia e ai pugliesi risorse economiche, lavoro e garanzie in tema ambientale». A lanciare l´accusa è l´assessore regionale al Lavoro, Michele Losappio, che ieri si è scagliato contro il ministro per gli Affari regionali, Raffaele Fitto. A scatenare la polemica la decisione della Corte costituzionale che ha ritenuto «non fondate le questioni di legittimità costituzionale» poste dal ministro in relazione alla legge regionale sulle industrie a rischio, la cosiddetta "legge Seveso". Un anno fa la Regione approvò una norma con la quale, con trent´anni di ritardo, si recepivano le direttive nazionali sulla prevenzione dei disastri ecologici in relazione alle grandi fabbriche, direttive varate dopo appunto l´incidente di Seveso. Il ministro Fitto, però, appena insediato, impugnò la legge sostenendo che non tocca alla Regione, ma allo Stato, «classificare e sorvegliare le aziende più pericolose». Evidentemente sbagliava, o per lo meno questo sostiene oggi la Corte costituzionale che ha respinto l´azione del governo. «Quello - dice ora Losappio - fu uno dei primi atti compiuti dal ministro Fitto: era il 17 luglio del 2008, poche settimane dopo la nascita del governo Berlusconi. Un atto incredibile visto che tutti sappiamo quale sia il bisogno o meglio la necessità per un territorio come il nostro, contraddistinto da grandi impianti e dai tre siti di interesse nazionale, e cioè Brindisi, Taranto e Manfredonia. Più volte - continua l´assessore - in questi ultimi mesi nel petrolchimico di Brindisi e nella raffineria di Taranto nuvole di sostanze chimiche e fiamme altissime hanno allarmato i cittadini e costretto l´Arpa ad interventi di verifica per fortuna rassicuranti nel loro responso. Cosa potrebbe succedere in caso di esplosione o di fuoriuscita di sostanze velenose? è a questa domanda che noi volevamo rispondere con la legge che io, da assessore all´Ecologia, presentai». «Questa torsione di competenze che ha voluto intraprendere questo ministro per mostrare subito il rigore del comando - continua Losappio - ha causato danni. Per un anno la Regione non ha potuto applicare la sua legge, che prevede un accordo di programma con lo Stato come condizione indispensabile per l´operatività. Un altro anno di ritardo e, questo sì, tutto sulle spalle del ministro». Dalla Regione ricordano poi che «le direttive europee recepite sono diverse perché progressivamente hanno spostato il baricentro dalla tutela dei lavoratori delle industrie a quella dei cittadini del territorio. Non in contrapposizione, però, ma come allargamento delle forme di garanzia per la salute di tutti». Come dimostra il caso Ilva-diossine - conclude Losappio - è questa la scommessa del nostro futuro: una alleanza fra il mondo del lavoro e della produzione ed il territorio e l´ambiente per vivere e lavorare senza angosce e contrapposizioni. Lavorare e vivere, finalmente». SEGUE A PAGINA VI

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il tribunale: sì ai matrimoni gay quel divieto è irragionevole - filippo tosatto (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 02-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina 16 - Cronaca Il tribunale: sì ai matrimoni gay quel divieto è irragionevole Venezia, sollevata alla Consulta la questione di legittimità L´ordinanza nasce dal ricorso di una coppia di uomini. L´ira di Carlo Giovanardi FILIPPO TOSATTO VENEZIA - «La norma che esclude gli omosessuali dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso non ha alcuna giustificazione razionale». A sostenerlo, in un´ordinanza che solleva davanti alla Corte Costituzionale una questione di legittimità degli articoli del codice civile che impediscono le nozze gay, sono i magistrati della terza sezione civile del Tribunale di Venezia presieduta da Maurizio Gionfrida. L´ordinanza, che risale al 3 aprile scorso e reca la firma del giudice Silvia Bianchi, nasce dal ricorso di una coppia di omosessuali - conviventi da 20 anni - che, vistisi negare la pubblicazione di nozze dall´ufficiale di stato civile del municipio, hanno sollevato il diritto costituzionale a sposarsi. Una provocazione civile, sostenuta dall´associazione radicale "Certi diritti", che non ha però lasciato insensibili i giudici. Che, infatti, ipotizzano il contrasto tra le disposizioni "proibizioniste" del codice civile e i principi della Carta, a cominciare da quello di uguaglianza (art. 3) e dal riconoscimento dei diritti fondamentali dell´uomo (art. 2). «Il diritto di sposarsi configura un diritto fondamentale della persona, riconosciuto sia dalla Costituzione sia a livello sovranazionale», commenta il tribunale veneto, citando la Dichiarazione universale dei diritti dell´uomo e la Carta dei diritti fondamentali dell´Unione Europea. E argomenta: «La libertà di sposarsi (o di non sposarsi) e di scegliere il coniuge autonomamente riguarda la sfera dell´individualità». è perciò «una scelta sulla quale lo Stato non può interferire, a meno che non vi siano interessi prevalenti incompatibili». E, nel caso di matrimoni tra persone dello stesso sesso, uomini o donne che siano, «il Tribunale non individua alcun pericolo di lesione ad interessi pubblici o privati di rilevanza costituzionale, quali potrebbero essere la sicurezza o la salute pubblica». Di più: il divieto alle nozze gay è ritenuto «irragionevole» anche alla luce dell´analoga situazione dei transessuali, che «ottenuta la rettificazione di attribuzione di sesso in applicazione possono contrarre matrimonio con persone del proprio sesso di nascita». Un´interpretazione che ha già suscitato le ire del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi, lesto a definire «sconcertante» l´ordinanza. Secondo l´esponente del centrodestra si tratta dell´«ennesimo provocatorio ed eversivo tentativo, da parte di magistrati ideologicamente schierati, di scavalcare e mettere davanti al fatto compiuto il Parlamento». Di tutt´altro avviso la sezione veneta dell´Anm: l´associazione magistrati difende i colleghi dalle critiche «gravi e offensive», ribadendo che la loro iniziativa muove «nel pieno rispetto delle prerogative e nei limiti dei poteri del tribunale».

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Cossiga vent'anni dopo le picconate (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 02-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Politica data: 02/08/2009 - pag: 13 L'intervista L'ex capo dello Stato: facevo il matto per poter dire la verità Cossiga vent'anni dopo le picconate «Potessi tornare indietro starei zitto» «Dissi che servivano le riforme ma nella Dc nessuno capì e neanche nel Pci, tranne D'Alema» ROMA A vent'anni dalla sua prima picconata, rifarebbe tutto, presidente Cossiga? «No, proprio no. Non ne valeva la pena. Se potessi tornare indietro, me ne starei zitto e buono. Se allora mi fossi comportato così, probabilmente mi avrebbero rieletto, e c'era una quota di mondo politico che lo voleva. Ma ero incazzato come una belva e non potevo tacere». Sarebbe dunque stato meglio lasciare le cose come stavano, visto quello che è venuto dopo? «A parte il fatto che una Seconda Repubblica non è mai nata e l'ibrido che c'è oggi sta ormai morendo, chissà che cosa sarà la Terza. Pensando ai vecchi tempi, il dualismo Dc-Pci funzionava molto meglio del bipolarismo barbarico di adesso, se non altro perché un accordo lo si trovava sempre. Mentre ora ci si scontra quotidianamente con la bava alla bocca, senza combinare niente di buono». È passata una generazione da quando Francesco Cossiga lanciò il primo segnale della svolta che sarebbe sfociata nella traumatica «era del piccone». Il 9 novembre 1989 era crollato il Muro di Berlino e l'allora presidente della Repubblica giudicò l'evento un'occasione liberatoria anche per l'Italia. Di cui approfittare subito. Insomma: era il momento di rimuovere quel «fattore K» che aveva relegato il Pci fuori dalla stanza dei bottoni costringendoci a «un'alternanza di governi senza alternative al governo» e di riformare in profondità le istituzioni. Per il suo avvertimento il capo dello Stato usò il messaggio di fine anno. «Sono cambiate tante cose all'Est... siamo a un nuovo punto di partenza, anche noi italiani abbiamo bisogno del vento della libertà». Qualcuno definì «enigmatico» il messaggio... «Invece era chiarissimo. Spiegavo che il Muro era caduto addosso pure a noi. Che bisognava abolire la conventio ad excludendum verso i comunisti, chiudere la 'guerra fredda interna' ed emancipare il cosiddetto arco costituzionale. Denunciavo che il sistema non reggeva più. Che serviva una rigenerazione istituzionale, un secondo tempo per la Repubblica. E lasciavo intendere che, se non avessimo fatto nulla, ci avrebbero preso a pietrate per le strade». Era, insomma, una profezia della catastrofe. «Sì. Venne da me Antonio Gava, un potente della Dc, il mio partito, per chiedermi che cosa volessi mai. Tentai di dirglielo e non capì. Ma anche nel Pci-Pds il discorso fu giudicato criptico: tranne D'Alema, nessuno capiva. Avevano sempre vissuto all'opposizione e sull'opposizione, non era facile per loro pensare di assumersi responsabilità di governo. Più comodo sospettarmi e, più tardi, attaccarmi». E lei ha ricambiato con gli interessi. Fu allora che cominciò la sua seconda vita? «Ci furono varie tappe: il discorso del Capodanno 1989, un intervento a Edimburgo nel quale approfondivo l'urgenza di 'ampliare l'ambito della democrazia' cancellando l'interdetto politico verso il Pci, e infine il mio messaggio alle Camere. Erano gli anni del patto tra Craxi, Andreotti e Forlani, il Caf. Sollecitavo la grande riforma di cui c'era bisogno per schivare la crisi che stava per esplodere. Andreotti, all'epoca premier, rifiutò di controfirmare il documento per la presentazione in Parlamento perché, si difese, non lo condivideva. Lo firmò il ministro della Giustizia Martelli. Fu il momento più difficile, per me. Sembravano tutti ciechi». Cossiga «l'incompreso»: è la sua eterna autodifesa. «Purtroppo era così. Tornò al Quirinale il povero Gava. 'Francesco, ma cosa vuoi? Perché ti agiti tanto per questa riforma? Abbiamo lavorato benissimo per quarant'anni con questo sistema, possiamo farlo per altri quaranta'. Socialisti, liberali, repubblicani votarono a favore e, nell' ex Pci, il costituzionalista Barbera. Tutti gli altri sostenevano che il mio era un progetto ad alto rischio, quasi eversivo. Non sapevano che ad aiutarmi a stendere il messaggio erano stati Amato e Martinazzoli » . Nessuno dei due certo accusabile di «frenesie autoritarie». Ma quella stagione fu un incrocio di complotti. Lei parlava di una congiura per spodestarla dal Colle, tirarono fuori Gladio. «Dissero che ero il tutore di quella struttura clandestina europea chiamata Stay Behind, e da noi Gladio, accusata di mille nefandezze. Era comodo prendersela con me, nonostante avessi avuto un ruolo poco più che marginale. Ero il Cossiga 'amerikano' e le uniche firme trovate sui documenti erano mie, anche se chi autorizzò per primo l'accordo con la Cia e con gli inglesi fu Moro insieme a Taviani, con la consulenza di Enrico Mattei. Senza contare che tutti i presidenti del Consiglio sapevano. Ho domandato ad Andreotti perché avesse rivelato il segreto e mi ha risposto che, cessata la guerra fredda, non c'era più motivo di tacere. Una volta il premier inglese Major mi chiese: 'Era proprio necessario dirlo?'. Beh, lasciamo perdere...». Gladio fu un capitolo dell'«intrigo» per farla dimettere? «Ci fu anche una cena a casa di Eugenio Scalfari alla quale era presente, tra gli altri, il gran borghese del Pri, Visentini. Si parlava di me e a un certo punto Scalfari disse: 'Se non riusciamo a metterlo sotto impeachment, facciamo almeno votare una mozione al Parlamento perché sia sottoposto a perizia psichiatrica'. Mi volevano mandare a casa con la camicia di forza. Visentini raccontò la cosa al liberale Altissimo, che mi telefonò subito. A quel punto, potevo mai stare zitto?» E infatti, come tutti ricordano, non tacque. «Dicevano che ero in preda a una 'tempesta neuro-vegetativa'. In realtà facevo il matto per poter dire la verità, come il fool del teatro elisabettiano. Ero incazzato perché non mi capivano né i comunisti né la Dc, per la quale restavo un irregolare... Ero incazzato come il sardo che sono, e lei sa che ho antenati pastori, testardi e durissimi» . Certe sue esternazioni restano memorabili per le stilettate incendiarie verso i suoi nemici. «Di alcune, premeditati atti di legittima difesa, ho chiesto scusa. Per esempio mi sono pentito della definizione di 'zombie con i baffi' ad Achille Occhetto». Lo shock era che lei bombardava il quartier generale, come aveva fatto Mao durante la rivoluzione culturale in Cina. «Precisamente. E il quartier generale, che era il vertice della Dc, non capiva nulla» . Nessun altro pentimento, oggi? «Mi ero fatto patrocinatore di un salto nel futuro, ma ero troppo in anticipo. Taviani, nelle sue memorie, scrive che sarei stato un buon politico se avessi pensato meno al passato e al futuro, concentrandomi sul presente. Ecco il mio errore: volevo liberare un sistema bloccato, ma ho fatto il passo più lungo della gamba. E il cerchio che avevo aperto nell'89 si è chiuso solo molto dopo, con il traghettamento dei post-comunisti al governo, quando creai un partito transitorio proprio per questo scopo, l'Udr, e proposi al mio successore al Quirinale, Scalfaro, di affidare a D'Alema l'incarico di formare il governo. Il passaggio era completato. Quella sera andai a cena con Berlusconi (senza la D'Addario, beninteso) e cercai di convincerlo ad astenersi, ciò che sarebbe stato il mio capolavoro... non ce la feci». Presidente Cossiga, se lei ha contribuito a emancipare gli ex comunisti, ha visto però cadere nel vuoto la sua richiesta di grandi riforme. «E' così. Sono stati vent'anni sprecati e la mia storia resta soltanto una testimonianza a uso degli storici. Le riforme non hanno voluto farle. Il giorno in cui Berlusconi mi anticipò che voleva presentare la sua riforma della Costituzione, quella bocciata dal referendum, gli dissi: perché non prendi la proposta uscita dalla Bicamerale di D'Alema e la presenti tale e quale? Lì dentro c'è tutto: l'assetto semipresidenziale dello Stato, l'elezione diretta del presidente della Repubblica, la divisione delle carriere in magistratura, la riforma della stessa Corte costituzionale... tu presentala e voglio vedere come farà il centrosinistra a non votarla». Marzio Breda

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Comunità montane blindate dagli Statuti oltre che dalla Carta (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 03-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore del lunedì sezione: AUTONOMIE LOCALI E PA data: 2009-08-03 - pag: 39 autore: Autonomie. Ddl Calderoli e Consulta Comunità montane blindate dagli Statuti oltre che dalla Carta Eduardo Racca Lo Stato non può sopprimere le comunità montane. Lo afferma in modo inequivocabile la Corte costituzionale in alcuni passaggi chiave della sentenza 237/2009 depositata il 24 luglio scorso. Su ricorso del Veneto e della Toscana, la Corte dichiara l'illegittimità di alcune disposizioni della Finanziaria 2008 (commi 20, 21, ultimo periodo, e 22 della legge 244 del 2007) sul riordino delle comunità montane finalizzato alla riduzione delle spese di funzionamento, perché in contrasto con l'articolo 117 della Costituzione (si veda anche Il Sole 24 Ore del 25 luglio). La pronuncia non solo risuscita alcune comunità del Veneto, tolte illegittimamente dalla circolazione in maniera automatica, ma impone che dal disegno di legge sul nuovo Codice delle autonomie, approvato in prima lettura dal Governo, venga eliminato l'articolo 17 che prevede la soppressione tout- court di questi enti e richiama espressamente l'abrogato articolo 2, comma 22, della Finanziaria 2008. Nella sua pronuncia, la Consulta ha ribadito quanto già affermato nelle precedenti sentenze 244 e 456 del 2005 e 397 del 2006, ma totalmente ignorato a livello centrale. E cioè che, dall'entrata in vigore del nuovo titolo V della Costituzione, la disciplina delle comunità montane «rientra nella competenza legislativa residuale delle Regioni ai sensi dell'articolo 117, quarto comma». Per quanto attiene alla minacciata soppressione delle comunità montane, ogni decisione in merito spetta quindi esclusivamente alle Regioni. Ma nemmeno loro possono agire liberamente, perché devono rispettare i principi espressi nei loro Statuti. Se le comunità montane sono state "blindate" da una norma Statutaria - come è avvenuto nella maggior parte delle Regioni - per procedere alla loro soppressione occorrerà prima modificare lo Statuto (con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti il consiglio, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi, secondo la speciale procedura dettata dall'articolo 123 della Costituzione) e poi emanare una legge ordinaria. La sentenza non dà tuttavia piena soddisfazione alla Toscana e al Veneto che avevano sollevato la questione di legittimità costituzionale sull'intero pacchetto delle disposizioni concernenti il riordino delle comunità montane,disciplinato dall'articolo 2, commi da 17 a 22, Finanziaria 2008. La Corte salva - sia pure attraverso una lettura autonomista e non vincolistica delle disposizioni relative alle modalità per attuare il riordino delle comunità montane - la disciplina contenuta nei commi da 17 a 19 ( che imponevano tale riordino quale mezzo per «ridurre a regime la spesa corrente» per il loro funzionamento «per un importo pari almeno a un terzo della quota del fondo ordinario» statale per l'anno 2007),perché espressione di principi fondamentali concernenti il coordinamento della finanza pubblica. Boccia invece la disciplina di dettaglio e di applicazione automatica – contenuta nei commi 20, 21 (ultimo periodo) e 22 – perché «non lascia alle Regioni alcuno spazio di autonoma scelta e dispone, in via principale, direttamente la conseguenza, anche molto incisiva, della soppressione delle comunità» in base a rigorosi parametri altimetrici e associativi, qualora le Regioni stesse non abbiano provveduto al loro riordino. La normativa abrogata dalla Corte imponeva infatti, tra l'altro, la soppressione automatica delle comunità montane in cui almeno la metà dei comuni non sono situati per almeno l'80% della loro superficie al di sopra di 500 metri (600 sulle Alpi) di altitudine sul livello del mare, oppure non sono situati per almeno il 50% della loro superficie al di sopra di 500 metri di altitudine sul livello del mare e nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e quella superiore è almeno di 500 metri (600 nelle Regioni alpine) e la soppressione delle comunità con meno di 5 comuni. © RIPRODUZIONE RISERVATA COMPETENZE Dopo la sentenza 237/2009 della Corte costituzionale il riordino va affidato alle scelte autonome delle Regioni ITER LUNGO Nemmeno i governatori hanno mano libera: in molti casi è indispensabile il doppio passaggio per cambiare lo Statuto

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"gianfranco ha ragione, forse abbiamo esagerato" - giovanna casadio (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 04-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina 2 - Interni Il ministro della Difesa La Russa ammette l´eccesso di maxi-emendamenti ma chiede nuove regole "Gianfranco ha ragione, forse abbiamo esagerato" "Questa è una maggioranza coesa. Meno fiducie se non ci sarà ostruzionismo" GIOVANNA CASADIO ROMA - «Lo riconosco, il governo ricorre alla fiducia, ai maxiemendamenti spesso senza necessità, per semplificare o per accelerare». Ignazio La Russa non ha difficoltà ad ammetterlo. Il ministro della Difesa, alle prese con il varo delle misure-sicurezza prima delle ferie d´agosto, fa autocritica. «Gianfranco - dice - ha ben detto, del resto questa è una preoccupazione di tutti i presidenti della Camera, da alcune legislature a questa parte. L´ha fatto con chiarezza. Fintanto che le regole sono queste, il presidente dei deputati è giusto che vigili affinché siano rispettate. Però il primo a rendersi conto che occorre una riforma globale e regolamentare del Parlamento è proprio lui. Lo dice da quindici anni che va rivisto il bicameralismo, che bisogna procedere a semplificazioni. I regolamenti andrebbero modificati ponendo ad esempio, una data ultima entro cui decidere». Ministro La Russa, non faccia però come Ponzio Pilato. «Nient´affatto. Ma prima che la Corte costituzionale imponesse la non reiterazione dei decreti - dopo la scadenza non si può rinnovare - i governi di centrosinistra, la Dc in testa, ripresentavano un decreto anche sei, sette volte. Davvero il Parlamento veniva esautorato. Ormai se le Camere non trasformano in legge un decreto, questo decade. Oggi c´è una maggiore sensibilità e una più forte attenzione al Parlamento. Un tempo era meno sentita, non che non esistesse, solo che nessuno pensava di gridare allo scandalo». Il governo Berlusconi in quattordici mesi ha posto 24 volte la fiducia. Le pare poco? Non è il caso di fare autocritica? «Infatti sostengo che ci si può sforzare di fare qualche fiducia in meno: ho dato il buon esempio l´altro giorno. Nel decreto anticrisi era stato inserito il finanziamento delle missioni militari all´estero. Sono andato alle commissioni parlamentari riunite esteri e difesa e ho dato il via libera perché fosse tolto dal decreto e diventasse un disegno di legge. è stato possibile anche perché c´è stata collaborazione tra una larghissima parte dell´opposizione e la maggioranza. Così si è realizzato il risultato di non sottrarre al Parlamento e alle commissioni una competenza che era loro». L´opposizione, però, fa solo la propria parte. Il governo vuole metterle la sordina? «Ci vogliono meno voti di fiducia, i ministri devono avere più buona volontà e pazienza, e l´opposizione deve rinunciare a ritardare strumentalmente l´approvazione, o la bocciatura, dei provvedimenti. Questa è la ricetta». Lei si muove nel solco di Fini? «Gianfranco si è rivolto a tutti, non ce l´ha solo con il governo Berlusconi. Il problema c´è, anche se è un problema vecchio. Va affrontato. Nel breve periodo ci vuole una maggiore condivisione e una maggiore disponibilità a non strumentalizzare, a non esasperare le posizioni. Se lecitamente l´opposizione allunga i tempi, lecitamente il governo ricorre agli strumenti per accorciarli». Il ricorso alla fiducia serve pure a camuffare le crepe nella coalizone? «Questa è la maggioranza più coesa dal dopoguerra a oggi».

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Impianti di energia rinnovabile e verifica preventiva dell'interesse archeologico (sezione: Giustizia)

( da "AltaLex" del 04-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Impianti di energia rinnovabile e verifica preventiva dell’interesse archeologico TAR Lecce-Puglia, sez. I, sentenza 18.07.2009 n° 1890 (Alfredo Matranga) Commenta | Stampa | Segnala | Condividi Anche per gli impianti di energia rinnovabile trova applicazione il principio della verifica preventiva dell’interesse archeologico. E' con questo principio che Tar Lecce ha accolto il ricorso qualora sull’area, anche in assenza di specifici vincoli, risulti attestata sulla base di documentazione attendibile la presenza di seri “indizi di culturalità”, ossia di elementi di rilevante interesse archeologico. Per li Tar in tema di realizzazione di impianti di energia rinnovabile, sussiste la violazione dell’art. 12 comma 7, d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, quando le amministrazioni partecipanti al procedimento de quo non hanno tenuto adeguatamente conto della sussistenza di fondamentali aspetti di carattere storico-antropologico e culturale. Peraltro, per Tar da un lato: il parere di conformità alla normativa antincendio necessario per tutti gli impianti di produzione di energia elettrica rientranti nell’elenco di cui al D.M. 16 febbraio 1982 deve essere acquisito per gli impianti di energia rinnovabile, preventivamente, o comunque all’interno della apposita conferenza di servizi; dall'altro il concetto di precarietà (mobilità) di un manufatto o di un impianto dipende non già dal suo sistema di ancoraggio, ma dalla sua idoneità a determinare una stabile trasformazione del territorio, sicché tale carattere va escluso quando trattasi di un impianto di energia rinnovabile. (Altalex, 4 agosto 2009. Nota di Alfredo Matranga) | energie rinnovabili | energia eolica | interesse culturale | interesse archeologico | Alfredo Matranga | T.A.R. Puglia - Lecce Sezione I Sentenza 18 luglio 2009, n. 1890 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA Sul ricorso numero di registro generale 418 del 2009, proposto da: X., rappresentato e difeso dagli avv. Andrea Memmo, Valeria Pellegrino, con domicilio eletto presso Valeria Pellegrino in Lecce, via Augusto Imperatore, 16; contro Regione Puglia, rappresentato e difeso dall'avv. Antonella Loffredo, con domicilio eletto presso Antonella Loffredo in Lecce, via Moro, 1; comune di Giuggianello, non costituito; comune di Minervino, non costituito; comune di Muro Leccese, non costituito; comune di Palmariggi, non costituito; ARPA Puglia, non costituita; Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia, Ministero della Difesa, Ministero dell'Interno, Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per i beni paesaggistici, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Ministero delle Comunicazioni, Ente Nazionale Aviazione Civile - Enac, tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Lecce, via Rubichi; nei confronti di Wind Service S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Mariano, Luigi Quinto e Pietro Quinto, con domicilio eletto presso Pietro Quinto in Lecce, via Garibaldi 43; Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale Spa, Enel Distribuzione, Autorità di Bacino della Puglia, Anas, tutti non costituiti; e con l'intervento di ad adiuvandum: Unione Terre D'Oriente, rappresentato e difeso dagli avv.ti Andrea Memmo e Valeria Pellegrino, con domicilio eletto presso Valeria Pellegrino in Lecce, via Augusto Imperatore, 16; Provincia di Lecce, rappresentato e difeso dagli avv.ti Maria Giovanna Capoccia e Francesca Testi, con domicilio eletto presso Maria Giovanna Capoccia in Lecce, Ufficio Legale C/Amm.Ne Prov.Le; per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia, della determinazione del Dirigente Servizio Industria della Regione Puglia 10.10.2008 n. 1065, pubblicata sul BURP 31.12.2008 n. 204, avente ad oggetto Autorizzazione Unica alla costruzione ed esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica della potenza di 24,00 MW, e delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili alla costruzione dell’impianto stesso da realizzarsi nel Comune di Giuggianello (Le), ai sensi del comma 3 dell’articolo 12 del Decreto Legislativo 387 del 2003, ad opera della Società Wind Service Srl, con sede legale in Soleto (Le); di tutti gli atti e i provvedimenti istruttori richiamati nella stessa determinazione ivi compresi gli atti di definizione della conferenza di servizi e tra questi in particolare di: verbale 16.12.04 della conferenza di servizi, nota 15.6.05 n. 38/4324 del Settore Industria e Energia della Reg. Puglia (sconosciuta dalla ricorrente), determinazione dirigenziale 15.2.06 n. 83 del Settore Ecologia della Reg. Puglia, verbale 6.12.06 della conferenza di servizi (sconosciuto dalla ricorrente), nota 19.12.2006 n. 11373 del Ministero per i Beni Culturali e le Attività Culturali di Lecce; nota ASL Le 2 - Maglie prot. N. 2021 del 16 dicembre 2004, nota prot. 6633 del 12 novembre 2004 del Corpo Forestale dello Stato Coordinamento Provinciale di Lecce (sconosciuta dalla ricorrente); nota prot. n. DD/P2003014383 del 4.11.2003 di Enel - Divisione Infrastrutture e Reti – Roma, nota prot. n. 46009 del 22.11.2006 della Provincia di Lecce - Servizio Strade (sconosciuta dalla ricorrente), parere favorevole del Comune di Giuggianello (di estremi e contenuti sconosciuti), nota prot. n. RGC-16/43/49069/2/240/04 del 27.12.2004 della Aeronautica Militare 16° Reparto Genio Campale - Ufficio Demanio (sconosciuta dalla ricorrente); nota del Ministero delle Comunicazioni - Bari prot. n. IT-BA/2-IE/VIE/7947 del 13 novembre 2006 (sconosciuta dalla ricorrente), nota del Comando Reclutamento e Forze di Completamento “Puglia” Prot. n. M_D E 23161/0003006 del 27.2.2007 (sconosciuta dalla ricorrente), note Arpa Puglia Bari, prot. n. 17701 del 13.12.2006 (sconosciute dalla ricorrente); deliberazione di Giunta Comunale n. 136 del 29.11.2007 del Comune di Minervino di Lecce, deliberazione del Consiglio Comunale n. 7 del 29.4.2008 del Comune di Palmariggi, nota prot. N. 7181 del 15.11.2006 della Autorità di Bacino della Puglia, nota del Consorzio di Bonifica Ugento Li Foggi prot. N. 186 del 18.1.2007, tutte sconosciute dalla ricorrente; verbale 6.12.2006 della conferenza di servizi (sconosciuto dalla ricorrente), nota 9.1.07 n. 38/192 del Settore Industria della Regione Puglia, determinazione dirigenziale 11.12.2007 n. 631 del Settore Ecologia della Regione Puglia, autorizzazione paesaggistica 7.7.2008 n. 1447/2008 del Comune di Giuggianello (sconosciuta dalla ricorrente), atto di impegno 24.4.08 e atto di convenzione 24.4.08 tra Regione Puglia-Comune di Giuggianello-Wind Service s.r.l.; nonché ancora dei pareri 11.6.07 e 12.6.07 del Responsabile dell’UTC del Comune di Giuggianello, delle note 26.10.06 e 29.11.06 del Responsabile dell’UTC del Comune di Giuggianello, della nota 19.12.06 n. 11373 della Soprintendenza BBAACC, della nota 17.01.08 n. 448 del Dirigente Settore Industria della Regione Puglia, dell’atto 10.6.03 del Responsabile dell’UTC del Comune di Giuggianello; di ogni altro atto presupposto, connesso, collegato e/o consequenziale;. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Lecce; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali – Soprintendenza per i beni archeologici; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Comunicazioni; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Wind Service S.r.l.; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Ente Nazionale Aviazione Civile - Enac; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Consorzio di Bonifica Ugento e Li Foggi; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20/05/2009 il dott. Massimo Santini e uditi per le parti gli Avv.ti Valeria Pellegrino, Memmo, Luigi Quinto, Pietro Quinto, Mariano, Vantaggiato per Loffredo, Pedone e De Giuseppe; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO Con nota del 28 ottobre 2004 la Wind Service s.r.l. richiedeva alla Regione Puglia il rilascio della autorizzazione unica di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, per la installazione di 14 pale eoliche, pari ad una potenza di 28 MW, all’interno del Comune di Giuggianello (LE). Nel 2004 si teneva una prima conferenza di servizi, con la quale si avviavano i relativi lavori istruttori. Con determinazione n. 83 del 15 febbraio 2006, il settore ecologia della Regione escludeva dal canto suo l’impianto dalla procedura di VIA. In data 6 dicembre 2006, la conferenza di servizi convocata dalla Regione si pronunciava positivamente in ordine al progetto, disponendo altresì alcune prescrizioni che comportavano lo spostamento di alcuni aerogeneratori e dunque una nuova tavola di progetto (1bis) a tal fine esplicativa. La nuova progettazione veniva ulteriormente sottoposta alla verifica di assoggettabilità a VIA, ulteriormente esclusa, poi, dal dirigente di settore. Inoltre, poiché emergeva che tutte le torri ricadono in area C del PUTT, veniva richiesta l’autorizzazione paesaggistica al Comune di Giuggianello, il quale si esprimeva positivamente con nota del 7 luglio 2008. In esito a tale istruttoria la Regione Puglia, settore industria, adottava la determinazione n. 1065 del 10 ottobre 2008, con la quale si autorizzava l’installazione di 12 pale eoliche. L’associazione ricorrente interponeva dunque gravame per i seguenti motivi, così enucleabili: 1. Violazione degli artt. 14 ss. della legge n. 241 del 1990, nella parte in cui le amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi non si sarebbero espresse sul progetto definitivo, dato che a seguito della conferenza stessa alcune delle pale sarebbero state spostate senza che la conferenza si fosse ulteriormente espressa su dette variazioni progettuali; 2. Violazione degli artt. 14 ss. della legge n. 241 del 1990 nella parte in cui la valutazione di impatto ambientale sarebbe avvenuta ben oltre la conclusione dei lavori della conferenza di servizi; 3. Violazione degli artt. 14 ss. della legge n. 241 del 1990 nella parte in cui non sono stati chiamati a partecipare, ai lavori della conferenza suddetta, anche i comuni di Sanarica, Giurdignano e Poggiardo, che in ogni caso gravitano intorno all’area oggetto dell’intervento; 4. Violazione delle norme in materia di conferenza di servizi nella parte in cui la Provincia di Lecce è stata convocata alla prima delle riunioni previste (2004) senza tenere conto dei termini che debbono necessariamente intercorrere tra avviso della riunione e riunione stessa; 5.1. Violazione delle disposizioni di cui agli artt. 14 ss. nella parte in cui la Soprintendenza Archeologica non è stata messa nella condizioni di partecipare effettivamente alla conferenza di servizi; 5.2. Conseguente difetto di istruttoria, in quanto non sarebbe stato sufficientemente valutato il particolare interesse storico ed archeologico dell’area oggetto di intervento; 6. Violazione della disposizioni in tema di conferenza di servizi nella parte in cui non è stato chiamato a partecipare il Comando provinciale dei Vigili del Fuoco; 7. Violazione delle norme del PUTT nella parte in cui non è stata rilasciata l’attestazione di compatibilità paesaggistica da parte della Regione Puglia; 8. Violazione del regolamento regionale n. 16 del 2006, il quale impone la previa adozione del piano regolatore degli impianti eolici (c.d. PRIE) ai fini della realizzazione dell’intervento de quo; 9. Violazione dell’art. 2, comma 1, della legge regionale n. 31 del 2008, nella parte in cui si vieta la installazione di siffatti impianti all’interno di aree caratterizzate dalla presenza di “ulivi monumentali”; 10. Violazione in ogni caso della legge regionale n. 14 del 2007, la quale tutela per l’appunto gli ulivi monumentali qualora il loro valore storico-antropologico sia accertato e rappresentato da idonee documentazioni di carattere storico. Ciò in quanto il progetto prevede in più parti l’espianto di alcuni olivi che poi saranno ripiantumati; 11. Violazione della delibera regionale n. 35 del 2007 per difetto di istruttoria relativa alla analisi del fabbisogno energetico ed alla compatibilità dell’impianto con altri impianti già previsti nell’area de qua. Non si sarebbe peraltro osservato quanto previsto nel parere della Provincia di Lecce del 16 dicembre 2004; 12. Violazione dell’art. 12, comma 7, del d.lgs. n. 387 del 2003, nella parte in cui la Regione non avrebbe adeguatamente tenuto conto del patrimonio culturale e del paesaggio rurale riguardante la predetta area; 13. Violazione dell’art. 13 del regolamento regionale n. 16 del 2006 nella parte in cui non sarebbe rispettato il c.d. parametro di controllo; 14. Eccesso di potere per sviamento laddove il Comune di Giuggianello ha espresso parere favorevole in merito alla proposta della Wind, rispetto ad altre ditte, soltanto in ragione delle maggiori roylaties da questa eventualmente versate; 15. Difetto di istruttoria, dovuta in particolare a carenze progettuali relative alle dimensioni delle torri eoliche che la conferenza di servizi non avrebbe correttamente rilevato; 16. Violazione sotto vari profili delle linee guida regionali in materia di installazione di impianti eolici (delibera giunta regionale n. 131 del 2004). Più in particolare: a) non sarebbe rispettata la distanza minima (2 km) tra impianto e centro abitato; b) non sarebbe rispettata la distanza minima (15 volte il diametro del rotore) tra impianto e area edificabile; c) non sarebbe stata correttamente indicata la gittata massima degli elementi rotanti in caso di rottura accidentale; d) non sarebbe rispettato l’indice di ventosità media annua del sito ; e) il trasformatore non sarebbe all’interno della torre; f) non sarebbe rispettata la distanza minima tra impianto e strade provinciali e nazionali. Si è costituita in giudizio, oltre alla Regione Puglia ed alle amministrazioni statali interessate, anche la società controinteressata la quale ha eccepito, in particolare: la carenza di interesse in capo alla associazione ricorrente per quanto riguarda la mancata partecipazione alla conferenza di alcuni comuni contermini; la circostanza secondo cui la Soprintendenza archeologica sarebbe comunque stata resa edotta dell’intervento de quo, i cui elaborati progettuali aveva ricevuto in copia da parte della società interessata; l’assenza in ogni caso di un interesse di tipo archeologico, dato che l’area non è sottoposta al relativo vincolo; la disposizione regionale sul PRIE è illegittima e va disapplicata; non vi sono ulivi monumentali né per dimensione, né per accertato valore storico-antroplogico. La medesima società controinteressata ha poi depositato perizia di parte dalla quale risulta che l’installazione di alcuni aerogeneratori comporterebbe qualche problematica relativa alla presenza, nell’area interessata, di elementi di interesse archeologico. In particolare, due degli aerogeneratori sarebbero localizzati in aree ascrivibili ad elevati fattori di rischio archeologico (uno ricadente in località San Giovanni e l’altro nell’area del Masso della Vecchia), motivo questo che avrebbe indotto i medesimi periti di parte a suggerire in ogni caso, per tali aree, l’effettuazione di preventivi saggi archeologici. Con ulteriore perizia agronomica la stessa parte controinteressata riconosce che la localizzazione di alcuni aerogeneratori interessa una zona caratterizzata dalla presenza di ulivi, sottolineando altresì che l’aerogeneratore n. 9 – già segnalato in ordine al fattore di rischio archeologico – è inserito in un’area con presenza di ulivi che “potrebbero” possedere il carattere della monumentalità sia per le dimensioni, sia per la vicinanza al predetto Masso della Vecchia. Proponeva poi intervento “ad adiuvandum” la Unione di Comuni denominata Terre d’Oriente – costituita da alcuni comuni contermini a quello di Giuggianello tra cui anche le amministrazioni comunali di Poggiardo e Giurdignano - la quale aveva a suo tempo presentato, altresì, ricorso straordinario dinanzi al Capo dello Stato. DIRITTO 1. Si affronta in via preliminare la questione relativa alla ammissibilità dell’intervento dispiegato dalla Unione di Comuni denominata “Terre d’Oriente”. Quest’ultima amministrazione ha infatti presentato ricorso straordinario avverso la determinazione dirigenziale n. 1065 del 10 ottobre 2008, dopo che l’odierna ricorrente aveva già interposto (e depositato) il presente gravame contro il medesimo atto. Si tratta in altre parole della impugnazione dello stesso atto amministrativo, da parte di due soggetti diversi, rispettivamente dinanzi a questa autorità giurisdizionale amministrativa e dinanzi al Capo dello Stato. Secondo una certa posizione giurisprudenziale, la regola dell’alternatività scatterebbe soltanto in ipotesi di duplice identità, oggettiva e soggettiva. Ritiene invece il collegio di aderire a quella parte della dottrina la quale afferma che, in caso di impugnazione dello stesso atto, la previa presentazione di uno dei due rimedi, da parte di uno degli interessati al suo annullamento, condiziona la scelta degli altri cointeressati (posizione processuale più correttamente da attribuire, come si vedrà più avanti, alla predetta Unione): e ciò in quanto occorre evitare una discordanza di pronunziamenti sul medesimo atto: esigenza questa che è proprio alla base della regola della suddetta alternatività. Nel caso di specie andrebbe dunque accordata prevalenza al mezzo giurisdizionale, in quanto pacificamente esperito prima rispetto a quello amministrativo. Tanto premesso va ritenuto ammissibile l’ingresso in questa sede della posizione vantata dalla Unione in parola, attesa l’esigenza di garantire comunque a taluni soggetti, a fronte della perentorietà scaturente dalla predetta regola processuale dell’alternatività, un livello minimo di effettività della tutela giurisdizionale ai sensi degli artt. 24 e 113 Cost. Tale posizione deve peraltro essere considerata alla stregua non di interveniente, quanto piuttosto di cointeressata: e ciò dal momento che i due soggetti (Unione di Comuni e associazione X.) sono in realtà portatori di interessi identici, ossia diretti ed immediati, in merito all’impugnativa dell’atto di cui si discute, laddove l’intervento ad adiuvandum postula la presenza a livello processuale di soggetti che coltivano un interesse in ogni caso riflesso e indiretto rispetto a quello coltivato in via principale dal ricorrente originario. La suddetta riqualificazione della posizione ricoperta dalla Unione come cointeressata implica pertanto il previo riconoscimento, ancora più a monte, del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile, dal momento che la stessa non poteva essere a conoscenza della presenza di un ricorso giurisdizionale promosso da altri (è infatti pacifico che il ricorso non deve essere notificato anche ai cointeressati). 2. Nel merito, il primo motivo di ricorso è infondato. Obiettivo della conferenza di servizi è infatti la massima semplificazione procedimentale: pertanto, poiché lo spostamento di alcuni aerogeneratori è avvenuto proprio a seguito delle prescrizioni imposte dalla conferenza di servizi, una nuova sottoposizione del progetto nel frattempo adeguato alle predette prescrizioni avrebbe costituito una inevitabile forma di aggravio del procedimento, avendo dovuto la conferenza esprimersi – se del caso – in termini di mera conferma circa soluzioni dalla stessa prospettate. In altre parole, gli spostamenti in questione erano non solo ampiamente conosciuti dai partecipanti alla conferenza, ma dagli stessi prescritti, tanto che la redazione della tavola 1-bis, come si evince dalla relazione istruttoria allegata alla determina di autorizzazione unica qui impugnata, è “esplicativa degli spostamenti avvenuti in sede di conferenza di servizi”. 3. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato. Il settore ecologia della Regione Puglia, in data 9 gennaio 2007 (dunque successivamente all’esito dei lavori della conferenza in data 6 dicembre 2006) non ha infatti adottato un parere VIA (valutazione di impatto ambientale), bensì una (ulteriore) determinazione di esclusione della VIA, che per le stesse ragioni legate all’inutile aggravio del procedimento non avrebbe aggiunto alcunché rispetto alle valutazioni già operate in sede di conferenza (la prescrizione circa l’abbattimento di alberi è infatti già contenuta, nella sostanza, nel parere del Corpo forestale dello Stato). Del resto, le valutazioni della conferenza debbono concentrarsi, secondo quanto previsto dall’art. 14-ter della legge n. 241, unicamente sui pareri VIA, ossia sugli atti in cui vengono espresse determinate posizioni ed eventuali prescrizioni, non anche sulle “determinazioni di esclusione dalla VIA”. 4. Il quarto motivo è senz’altro inammissibile in quanto genericamente formulato. Al di là di ogni considerazione circa la effettiva (ed utile) partecipazione della Provincia di Lecce ai lavori della conferenza di servizi (i quali si sono protratti sino al 2006, con conseguente inclusione delle valutazioni espresse dalla amministrazione provinciale), non è infatti chiaro in che termini la Provincia non sarebbe stata messa in grado di valutare tempestivamente, in vista della prima riunione del 16 dicembre 2004, i documenti progettuali posti alla base della richiesta di autorizzazione. In altre parole, non vi è cenno nel ricorso alla specifica violazione del termine di cui all’art. 14-ter, comma 1, della legge n. 241 del 1990, con particolare riferimento alla data di ricezione della convocazione della predetta riunione del 14 dicembre 2004. Peraltro, le osservazioni formulate dalla Provincia si attestano su un progetto che ha formato oggetto di successive e profonde modifiche e sul quale la stessa amministrazione, con nota del 26 novembre 2006, ha poi prestato sostanziale assenso. 5. È invece fondato il motivo di ricorso sub 5) sia in relazione alla mancata convocazione della Soprintendenza archeologica, o meglio della sua convocazione in violazione delle regole del procedimento relativo alla conferenza di servizi, sia in ordine al lamentato difetto di istruttoria concernente la sussistenza di un eventuale interesse culturale con riferimento all’area in questione.. 5.1. Quanto al primo profilo si evince, dagli atti versati in giudizio, come la soprintendenza archeologica non sia stata convocata in occasione della prima conferenza e sia stata sì convocata, ma in dispregio dei termini previsti dalla legge n. 241 del 1990, in relazione alla conferenza conclusiva del 6 dicembre 2006. A tale ultimo riguardo la lettera di convocazione è partita il 1° dicembre 2006 e pervenuta soltanto il successivo 13 dicembre, laddove la riunione si era già tenuta il 6 dicembre. Ne deriva la palese violazione di cui all’art. 14-ter, comma 1, della legge n. 241 del 1990, laddove è previsto che la convocazione della riunione “deve pervenire alle amministrazioni interessate … almeno cinque giorni prima della relativa data”. Termine questo ampiamente obliterato dalla amministrazione regionale, la quale ha peraltro provveduto ad inviare la predetta convocazione soltanto al quinto giorno antecedente la riunione, così ampliando le possibilità di incorrere in un vizio di regolarità procedimentale come quello qui esaminato e vagliato. D’altra parte, il progetto modificato non è stato neppure inviato nella nota in data 8 gennaio 2007, con la quale l’amministrazione regionale si è limitata a dare atto della conclusione dei lavori della conferenza: pertanto, la soprintendenza archeologica non era in condizioni di chiedere una riapertura della suddetta conferenza di servizi. Né può valere la circostanza per cui la società interessata avrebbe più volte sollecitato il parere della suddetta soprintendenza, non potendo esso costituire elemento idoneo a sanare né tanto meno a surrogare la individuata irregolarità della convocazione (tanto più che le suddette note inviate dalla società non contenevano il riferimento alla riunione della conferenza di servizi del 6 dicembre 2006). 5.2. Ne deriva dalla mancata partecipazione della soprintendenza archeologica – aggravata dal mancato invio del verbale conclusivo, dal quale si sarebbe ricavato peraltro lo spostamento di alcuni aerogeneratori e dunque la modifica del progetto iniziale – non solo (e non tanto) l’irregolarità del procedimento in seno alla conferenza di servizi, ma anche (e soprattutto) il difetto di istruttoria di cui il provvedimento conclusivo sarebbe ineludibilmente viziato (secondo profilo della censura sollevata). L’eventuale apporto della Soprintendenza avrebbe infatti consentito quelle analisi e quegli approfondimenti necessari per poter consapevolmente e razionalmente intervenire sulla modifica di luoghi che, da quanto emerso in questa sede (si veda in questo senso la memoria difensiva prodotta dalla amministrazione dei beni culturali), senz’altro presentano profili di indubbio interesse storico, archeologico ed antropologico. 5.2.1. Ciò è quanto si rileva non solo dalla copiosa documentazione versata in atti dalla parte ricorrente (ricomprensiva di dati bibliografici e di evidenze in superficie di cui si è offerta riproduzione fotografica), ma anche dalla relazione prodotta in giudizio dalla stesa società controinteressata. Relazione dalla quale si evince, in particolare, che l’installazione di almeno due degli aerogeneratori progettati ricadono in aree ad elevato fattore di rischio archeologico (nella specie, rispettivamente il n. 8 in località “Masso della Vecchia” ed il n. 9 in località “San Giovanni”). Tanto che i periti stessi concludono il proprio esame consigliando la effettuazione di “indagini dirette con saggi preventivi o indagini indirette”. 5.2.2. Ritiene pertanto il collegio che, al di là della presenza o meno di vincoli archeologici sull’area de qua, ciò che rileva è l’incontestato (ed anzi confermato) rilievo di elementi di seria consistenza che fanno propendere per l’oggettiva rilevanza archeologica dell’area in questione (o quanto meno su parte di essa). 5.2.3. Onde individuare il corretto percorso che le amministrazioni coinvolte nel procedimento avrebbero dovuto osservare nel caso di specie giova innanzitutto rammentare, sul piano normativo, che l’art. 1, comma 3, del codice dei beni culturali (decreto legislativo n. 42 del 2004) prevede che “lo Stato, le Regioni, le città metropolitane, le province e i comuni assicurano e sostengono la conservazione del patrimonio culturale e ne consentono la pubblica fruizione e la valorizzazione”. Il successivo art. 5, comma 1, dal canto suo, stabilisce che le regioni nonché gli altri enti pubblici territoriali (comuni, province, etc.) cooperano con lo Stato nell’esercizio delle funzioni di tutela di cui al Titolo I della parte seconda del Codice stesso. Ciò appare in linea con quanto previsto dalle disposizioni costituzionali di cui agli artt. 9 – a norma del quale la Repubblica (da intendersi, ai sensi dell’art. 114 Cost., come costituita da Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato) tutela tra l’altro il paesaggio ed il patrimonio storico e artistico della Nazione – e 118, terzo comma, Cost., il quale fonda il principio di leale collaborazione tra Stato e regioni proprio in materia di tutela dei beni culturali. L’art. 9 Cost., si può ben dire, esprime quindi il fondamentale valore del “pluralismo culturale” in base al quale l’azione congiunta di più agenti istituzionali rappresenta senza dubbio, nella logica del “compito comune” e dunque della leale collaborazione, la migliore garanzia che siano valorizzate le istanze culturali minoritarie e periferiche. In questa stessa direzione, l’art. 14, comma 1, del codice BAC, prevede che il procedimento per la dichiarazione di interesse culturale viene avviato dal soprintendente “anche” su motivata richiesta della regione e di ogni altro ente territoriale interessato. Non si trascuri poi, in questo quadro, la possibilità offerta dall’intervento dei privati, in applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, quarto comma, Cost. e dei meccanismi partecipativi non ancora completamente collaudati di cui all’art. 9 della legge n. 241 del 1990. Nell’ottica della “governance” dei beni culturali (concetto questo che implica come noto un elevato livello di cooperazione tra attori statuali da una parte ed attori non statuali dall’altra parte), tale modello sembra peraltro trovare oggi ampia conferma in quanto previsto dall’art. 3-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006 (codice dell’ambiente). Questa disposizione, rubricata “principio dell’azione ambientale”, prevede infatti che “la tutela dell’ambiente … e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche e private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione”. 5.2.4. Tanto premesso si ritiene che, al di là della illegittime modalità di convocazione della competente soprintendenza archeologica, l’invocato difetto di istruttoria sussiste proprio alla luce del predetto quadro normativo (di rango primario e costituzionale) il quale impone, pure nei confronti di regioni ed enti locali (qui partecipanti a vario titolo al procedimento de quo), di apprestare tutte le misure necessarie per garantire – anche in attuazione del principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. – una tutela adeguata del patrimonio culturale rientrante nella loro sfera di interesse. Siffatta tutela, nel caso di specie, avrebbe dovuto in particolare concretizzarsi – come già anticipato – mediante una analisi più approfondita dello stato dei luoghi che avrebbe potuto comportare, in prima battuta, il ricorso allo strumento cautelare della inibitoria preventiva di cui all’art. 28, comma 2, del codice BAC, e poi eventualmente, in seconda battuta, la dichiarazione di interesse culturale di cui agli artt. 13 e 14 del codice stesso. Ed infatti, il menzionato art. 28, comma 2, viene applicato anche per interventi progettati e non ancora avviati ed in relazione a beni per i quali non sia ancora intervenuta intervenuta la dichiarazione di interesse culturale di cui all’art. 13 del codice. Ed anzi a tale strumento per lo più si ricorre proprio allo scopo di giungere, se del caso, a questo tipo di dichiarazione. Del resto, una simile dichiarazione avrebbe potuto eventualmente coinvolgere – nella specie – soltanto parte dell’area interessata dall’intervento, così consentendo, nell’interesse stesso della società controinteressata, una modifica progettuale tale da rimodulare e concentrare la realizzazione dello stesso in area non caratterizzata da elementi di rilievo culturale. Tale modus operandi è stato di recente regolamentato, nel dettaglio, all’interno del codice dei contratti pubblici, ove si è affermato il principio della verifica preventiva dell’interesse archeologico. Pur non avendo il legislatore codificato la stessa procedura per quanto riguarda le opere sì di interesse pubblico come quelle in esame (impianti di energia rinnovabile) ma pur sempre ad iniziativa privata, si ritiene in ogni caso che alle medesime conclusioni possa giungersi qualora sull’area, anche in assenza di specifici vincoli, risulti attestata sulla base di documentazione attendibile la presenza di seri “indizi di culturalità”, ossia di elementi di rilevante interesse archeologico. “Indizi” che – come nella specie avvenuto – ben potrebbero emergere, altresì, in base all’azione dei privati, ossia in applicazione del principio dell’azione ambientale di cui al menzionato art. 3-ter del d.lgs. n. 152 del 2006. In tale ipotesi deve allora innestarsi un adeguato livello di approfondimento istruttorio – da parte non solo della soprintendenza statale ma anche di altri soggetti territorialmente interessati, in ottemperanza al principio buon andamento nonché di doverosa e leale collaborazione interistituzionale – diretto a vagliare preliminarmente la eventuale sussistenza dei presupposti richiesti dalla normativa di settore per l’applicazione dei relativi meccanismi di tutela (artt. 28 e 13 del codice BAC). E ciò anche al fine – come già detto – di offrire al privato che intende svolgere l’iniziativa imprenditoriale di avere un quadro di certezze più ampio riguardo alle effettive possibilità legali connesse alla realizzazione dell’intervento. Prevale in questo senso un principio di effettività della tutela del bene culturale il quale consenta, in una ottica eminentemente sostanzialista, di prescindere se del caso dalla sussistenza o meno di un provvedimento vincolistico di natura formale: la dichiarazione di interesse culturale, per l’orientamento dominante, implica infatti la preesistenza rispetto ad essa della “culturalità” del bene. 5.2.5. Per tutti i motivi suddetti la specifica censura concernente il difetto di istruttoria merita dunque accoglimento. 6. Si affrontano ora, per ragioni di ordine logico e sistematico, i motivi di ricorso rubricati sub numeri 10, 12 e 3 della parte in fatto. 6.1. Con il motivo sub 10) si eccepisce la violazione della legge regionale n. 14 del 2007 nella parte in cui si autorizza l’intervento su aree caratterizzate dalla presenza di ulivi monumentali, intendendosi per tali non solo quelli aventi determinate dimensioni, ma anche quelli che possiedono età plurisecolare deducibile da un “accertato valore storico-antropologico per citazione o rappresentazione in documenti o rappresentazioni iconiche-storiche” (art. 2, comma 1, lettera b, della legge regionale citata). Premesso che ai sensi dell’art. 15 della stessa legge regionale questa forma di tutela è consentita, nelle more della formazione degli elenchi degli ulivi monumentali di cui all’art. 5 della legge regionale, per gli ulivi plurisecolari rispondenti ad una delle caratteristiche di cui all’art. 2, da una serie di documenti versati in giudizio emerge come parte dell’area interessata dall’intervento sia in effetti caratterizzata dalla presenza di ulivi puntualmente citati all’interno di rappresentazioni, illustrazioni e citazioni di carattere storico, archeologico, letterario ed antroplogico. Più in particolare: a) scrive Nicandro, autore greco del II secolo a.c., che “Dagli ulivi del Colle i fanciulli intrappolati nel legno emettono gemiti udibili talvolta nella notte dagli umani”; b) il testo di Vincenzo Ruggeri dell’aprile 1989 (“Memorie di storia”) richiama la presenza di ulivi a fare da cornice ai racconti popolari sui luoghi di cui si discute; c) nei “Bozzetti di Viaggio” di Cosimo De Giorgi (1882) si richiamano per l’appunto gli oliveti della “Serra di Giuggianello”; d) la pubblicazione di Paul Arthur “Masseria quattro macine”, di carattere storico-archeologico, fa riferimento alla tradizionale coltivazione di uliveti nella zona di interesse. La stessa relazione agronomica depositata dalla società controinteressata ammette la presenza di ulivi monumentali di questo tipo, e in particolare di quelli allocati in località “Masso della Vecchia”. Alla luce di quanto sopra riportato appare evidente la presenza – almeno su parte dell’area interessata dal progettato intervento – di uno dei due presupposti richiesti dalla legge regionale ai fini dell’applicazione delle misure di tutela ammesse, altresì, nel descritto periodo transitorio (cfr. artt. 2 e 15 della legge regionale citata): da tanto consegue l’accoglimento del motivo di ricorso rubricato al punto n. 10. 6.2. Parallelamente è da ritenere fondato il motivo di cui al punto n. 12, con il quale si lamenta la violazione dell’art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387 del 2003, nella parte in cui si impone, alle amministrazioni deputate al rilascio delle previste autorizzazioni relative ad impianti di energia rinnovabile, di tenere conto del “patrimonio culturale” e del “paesaggio rurale” concernente l’area oggetto dei predetti interventi. Detto patrimonio culturale, nella specie, è per l’appunto costituito da una serie di miti e leggende che si sono sviluppati, nel corso del tempo, intorno ai luoghi di cui si discute (sito megalitico c.d. delle “Rocce Sacre”). Varie sono le testimonianze in questa direzione – tra cui anche quelle poc’anzi citate con riferimento alla presenza di ulivi monumentali - le quali stanno a testimoniare il grande valore simbolico e storico-etnografico dell’area in questione. Sono infatti presenti, in questo luogo chiamato anche il “Colle dei Fanciulli e delle Ninfe”, una serie di monoliti evocati in antiche credenze popolari – ed in particolare della tradizione contadina - legate alla ritenuta presenza di forze magiche e benefiche che governavano lo svolgersi degli eventi nelle campagne. Pertanto, le amministrazioni partecipanti al procedimento de quo avrebbero dovuto adeguatamente tenere conto, altresì, della sussistenza di questi fondamentali aspetti di carattere storico-antroplogico e culturale. Da quanto sopra detto deriva l’accoglimento dello specifico motivo di ricorso. 6.3. Va conseguentemente accolto il motivo sub n. 3, con il quale si deduce la violazione degli artt. 14 ss. della legge n. 241 del 1990 nella parte in cui non sono stati chiamati a partecipare, ai lavori della conferenza suddetta, anche i comuni di Sanarica, Giurdignano e Poggiardo, i quali graviterebbero in ogni caso intorno all’area oggetto dell’intervento. Detti comuni distano rispettivamente 3,5, 7 e 5 km dall’area dell’intervento. Quanto all’interesse a coltivare tale parte di gravame da parte dell’associazione ricorrente, esso risiede nella possibilità che la conferenza di servizi si esprima nuovamente ed approfonditamente sull’oggetto dell’intervento anche attraverso una gamma più ampia e soprattutto più fedele dei soggetti effettivamente “legati”, per le ragioni prima evidenziate, all’area interessata dall’intervento medesimo. L’interesse risiede in altre parole nella più allargata possibile partecipazione di tutti i soggetti che si trovano nell’orbita del sito di ritenuta meritevolezza sul piano culturale, in modo da pervenire ad una posizione adeguatamente condivisa, informata e consapevole circa la tutela da accordare al patrimonio storico archeologico di cui si discute. Quanto invece rispetto all’interesse, da parte di questi comuni, in ordine alla realizzazione o meno dell’impianto in oggetto e dunque alla partecipazione in seno alla conferenza di servizi indetta dalla Regione, ciò appare stretta derivazione di quanto appena affermato al punto n. 6.2. Ed infatti la presenza di miti e leggende, da intendersi quali racconti di avvenimenti che hanno avuto luogo nel tempo primordiale (la serra di Giuggianello è altresì chiamata “La collina dei Fanciulli e delle Ninfe”), determina un legame tra le popolazioni che ruotano attorno all’area de qua che va ben oltre la percezione visiva e dunque fisica dei luoghi che formano oggetto del presente intervento; tale legame – basato su un luogo ritenuto di fondamentale valore simbolico – ha piuttosto un carattere spirituale e sentimentale, sì da radicare ben più profonde radici di identità culturale tra diverse comunità, pur se non necessariamente contermini. Ne deriva da quanto sopra l’accoglimento del motivo sub 3) e l’ulteriore conferma circa la legittimazione ad agire in questa sede da parte della Unione Terre d’Oriente. 7. Circa la mancata convocazione del Comando provinciale dei Vigili del Fuoco si osserva che la delibera regionale n. 35 del 2007 contempla in effetti, tra gli enti chiamati a partecipare ai lavori della conferenza di servizi di cui si discute, anche la predetta amministrazione. Ora, a prescindere dalla circostanza che tale disposizione regionale è entrata in vigore in un momento successivo alla conclusione dei lavori della conferenza, si osserva che la normativa già vigente al momento dell’avvio del procedimento in oggetto (artt. 1 e 2 del DPR n. 37 del 1998) prevede in ogni caso il rilascio del parere di conformità alla normativa antincendio per tutti gli impianti di produzione di energia elettrica rientranti nell’elenco di cui al DM 16 febbraio 1982. È ben vero che gli impianti di energia rinnovabile non rientrano espressamente in tale elenco, ma ciò e senz’altro dovuto al fatto che, al tempo della emanazione del predetto decreto ministeriale, siffatti impianti erano pressoché sconosciuti al legislatore. La presenza di cavidotti, nonché di cabine di consegna e di trasformazione elettrica, fa invece propendere per la necessità di acquisire preventivamente, o comunque all’interno della apposita conferenza di servizi, lo specifico nulla osta previsto dalla normativa anti incendio, così come ricognitivamente previsto dalla predetta delibera regionale n. 35 del 2007. Lo specifico motivo di ricorso è dunque fondato. 8. Per quanto attiene alla mancata attestazione di compatibilità paesaggistica da parte della Regione, si osserva che il PUTT richiede tale adempimento, al punto 5.04 delle NTA, in relazione ad opere di rilevante trasformazione ai sensi dell’art. 4.01 dello stesso documento di piano. Quest’ultimo, a sua volta, definisce quali “opere di rilevante trasformazione territoriale quelle derivanti dalla infrastrutturazione … relativa a: … energia”, evidenziando al tempo stesso che debba trattarsi altresì di opere “comportanti modificazioni permanenti”. Parte controinteressata assume che gli impianti in questione avrebbero al contrario carattere precario e non permanente, requisito questo necessario ai fini della applicazione della richiamata disposizione regionale in tema di tutela paesaggistica. Occorre tuttavia rilevare, al riguardo, che per la giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 15 giugno 2000, n. 3321; sez. V, 30 ottobre 2000, n. 5828) il concetto di precarietà (mobilità) di un manufatto o di un impianto come quello di specie “dipende non già dal suo sistema di ancoraggio, ma dalla sua idoneità a determinare una stabile trasformazione del territorio. Il detto carattere va quindi escluso quando trattasi di struttura destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo”. La permanenza o meno di un manufatto o di un impianto deve dunque essere letta in termini “funzionali”, piuttosto che “strutturali”. Ebbene, è indubbo che l’impianto in questione sia in grado di realizzare una siffatta prolungata utilità nel tempo (tanto lunga da poter costituire elemento idoneo, di per sé, ad agevolare l’acquisto della proprietà immobiliare in ragione del decorso del tempo). A siffatta conclusione si perviene ove soltanto si consideri la natura e l’efficacia (durevole nel tempo) del provvedimento autorizzatorio di cui si discute, preordinato a consentire l’esercizio di una complessa attività imprenditoriale che, anche per assicurare il ritorno degli investimenti (c.d. “break even point”), non potrà che essere svolta per molti anni. Anche tale censura, per i motivi sopra indicati, deve dunque trovare accoglimento. 9. In ordine alla assenza del PRIE (piano regolatore degli impianti eolici) quale elemento ostativo alla autorizzazione dell’impianto eolico, si rammenta in proposito che la legge Regione Puglia n. 9 del 2005 aveva a suo tempo stabilito che le procedure autorizzatorie in materia di impianti di energia eolica erano sospese fino all'approvazione del piano energetico ambientale regionale e, comunque, fino al 30 giugno 2006. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 364 del 2006, pur affermando la legittimità dell’intervento regionale sul piano delle competenze costituzionalmente assegnate (trattandosi di energia), ha in ogni caso dichiarato la incostituzionalità della norma regionale poiché si poneva in contrasto con il principio fondamentale posto dall'art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003, il quale fissa, alla stregua di principio fondamentale di semplificazione ed accelerazione dell’azione amministrativa in subiecta materia (produzione di energia), un termine massimo di 180 gg. per la conclusione del procedimento autorizzativo: termine questo che nella specie sarebbe stato superato dalla prevista moratoria (c.d. ad tempus). A questa declaratoria ha fatto seguito il regolamento regionale n. 16 del 2006, il quale ha previsto la adozione da parte dei comuni di piani regolatori degli impianti eolici, soggetti ad approvazione regionale. La disposizione transitoria di cui all’art. 14, comma 1, prevede che, decorsi 180 gg. dalla entrata in vigore del regolamento, in assenza di PRIE – così vengono definiti i suddetti piani di settore – non possono più essere approvati impianti eolici in quella determinata località. Anche ragionando in termini di effetto equivalente, si osserva tuttavia come in questo modo si passerebbe da una sospensione “ad tempus” ad una sospensione “sine die”, dato che la mancata approvazione del PRIE nei suddetti termini, peraltro meramente ordinatori, se per un verso già comporta il superamento del tempo massimo stabilito dalla legge statale di principio, per altro verso si traduce in concreto in una moratoria a tempo indeterminato (per l’appunto, sine die) se poi tale inerzia si protrae nel tempo senza che ad essa l’ordinamento (regionale) riconnetta una qualche sanzione o conseguenza negativa. Determinandosi de facto, in questo modo, non solo un ritardo ma addirittura la sostanziale impossibilità di installare in determinate aree della regione gli impianti di cui si discute (stante l’inerzia comunale o regionale rispettivamente ad adottare o ad approvare il suddetto piano di settore), ne consegue la violazione della suddetta normativa nazionale e comunitaria non solo nella parte in cui si impone la conclusione del procedimento entro tempi che siano “certi”, ma anche laddove viene espresso un certo favor legislativo per la realizzazione di tali impianti, ritenuti come noto di pubblica utilità, senza che ad essa vengano frapposti ostacoli di carattere normativo ed amministrativo (si veda in proposito anche l’art. 6 della direttiva comunitaria 2001/77/CE) o comunque preclusioni di carattere generale ed assoluto. Da quanto sopra detto, al collegio non resta che disapplicare la disposizione di cui all’art. 14, comma 1, ultimo periodo, del regolamento regionale n. 16 del 2006, in quanto contrastante con i suddetti principi fondamentali della legge statale e delle presupposte disposizioni di derivazione comunitaria. Ne deriva ulteriormente il rigetto della censura in argomento. 10. Infondato è poi il motivo con cui si deduce la violazione della legge regionale n. 31 del 2008, e ciò in quanto al momento della adozione della determinazione impugnata (10 ottobre 2008) la legge regionale non era stata ancora pubblicata (21 ottobre 2008), né tanto meno entrata in vigore. 11. È invece generica e dunque inammissibile la censura riguardante la delibera regionale n. 35 del 2007. Il difetto di istruttoria di cui sarebbe viziato il provvedimento gravato non è stato infatti sufficientemente allegato mediante elementi seri e circostanziati. Parimenti generica ed inammissibile è la censura riguardante la mancata osservanza del parere espresso dalla Provincia di Lecce in data 16 dicembre 2004, dato che non viene neppure indicato a quale parte del predetto parere l’amministrazione regionale non si sarebbe attenuta. 12. Ancora generico è l’ulteriore motivo con cui si lamenta l’omessa valutazione del parametro di controllo di cui all’art. 13 del regolamento regionale n. 16 del 2006, il quale è costituito dal rapporto tra la somma delle lunghezze di tutti gli aerogeneratori ed il lato della superficie comunale; tale rapporto non deve superare il valore di 0,75. Il motivo è palesemente inammissibile in quanto non viene allegato il benché minimo elemento utile a poter calcolare tale rapporto. D’altronde si consideri che il comma 7 dell’art. 14 del regolamento regionale n. 16 del 2006 esclude dalla applicazione del suddetto parametro le istanze presentate, come nella specie, prima della adozione del regolamento stesso. 13. La censura riguardante la scelta da parte del Comune di Giuggianello nei confronti di Wind, asseritamente ispirata da ragioni unicamente connesse alla migliore offerta economica da questa presentata (mediante royalties) rispetto ad altri operatori, è inammissibile per difetto di interesse, e ciò in quanto una simile censura poteva essere sollevata soltanto da un soggetto avente aspirazione ad installare analogo impianto nella stessa zona. Peraltro la associazione ricorrente tutela interessi di tipo ambientale, nella specie non altrimenti rinvenibili (trattandosi infatti di aspetti meramente economici). 14. La censura riguardante la carenza progettuale concernente le torri è generica, dunque inammissibile, in quanto l’associazione ricorrente non ha sufficientemente allegato, al di là delle ritenute incompletezze, l’insussistenza dei prescritti requisiti dimensionali. 15. Con riferimento all’ultima censura, riguardante la asserita violazione della delibera regionale n. 131 del 2004, si osserva che – al di là della loro condizionata efficacia alla entrata in vigore del piano energetico regionale (poi adottato con delibera n. 827 del 2007) – molte delle previsioni in esso contemplate sono state poi superate da successivi regolamenti regionali (regolamentazioni per la verità succedutesi in materia in modo quasi alluvionale, con conseguente difficoltà per gli interpreti e gli operatori di avere un quadro organico e razionale di riferimento normativo), ed in particolare dal citato regolamento regionale n. 16 del 2006. Nel merito delle singole censure si osserva dunque come le stesse siano in parte infondate ed in parte inammissibili. In particolare: a) la distanza minima dal centro abitato è stata ridotta ad 1 km ad opera del regolamento regionale n. 16 del 2006 (art. 6, comma 3, lettera d). Tale distanza sarebbe dunque rispettata, distando 1,6 km l’aerogeneratore più vicino al centro abitato di Palmariggi; b) la distanza minima pari a 15 volte il rotore non è stata ripresa dal ridetto regolamento regionale del 2006, il quale si limita ad affermare – coerentemente con quanto detto al punto a) – che è sufficiente la distanza di 1 km dal centro abitato (lo stesso ricorrente ha affermato al riguardo che la gittata massima di residui è in ogni caso di 500 mt); c) la società contro interessata indica in 220 mt la gittata massima degli elementi rotanti in caso di rottura accidentale. La ricorrente contesta tale assunto sulla base di uno studio condotto in collaborazione con l’Università – che indicherebbe tale gittata in 500-600 mt. – senza tuttavia indicare il percorso attraverso il quale si giungerebbe a tale conclusione, né si allega al riguardo la esistenza di eventuali relazioni di approfondimento tematico. La censura è dunque inammissibile in quanto genericamente formulata; d) quanto all’indice di ventosità media, lo stesso è ora mutato in base all’art. 14, comma 3, lettera A), del regolamento n. 16 del 2006, il quale fissa tale valore in 1.600 ore annue. In base a tale nuovo parametro non sono state dedotte specifiche contestazioni; e) l’art. 10 del regolamento regionale conferma la previsione della delibera 131 secondo cui per gli impianti superiori ad 1 MW il trasformatore deve essere all’interno della torre. Tale requisito tecnico appare in ogni caso confermato sulla base dei documenti progettuali versati in atti dalla medesima ricorrente [cfr. doc. 22 della produzione originaria, ossia la relazione tecnica al progetto definitivo del luglio 2006, pag. 11 (norme sulle linee elettriche)]; f) quanto alla distanza tra pale e strade, la perizia giurata prodotta dalla società controinteressata indica in 300 mt tale valore, corrispondente a quello previsto dal regolamento regionale n. 16 del 2006 (art. 14, comma 3, lettera C); 16. Per tutte le ragioni sopra individuate il ricorso è fondato, in relazione ai motivi affrontati nei punti 5, 6 e 7, con conseguente annullamento della autorizzazione regionale 10 ottobre 2008, n. 1065, nonché delle determinazioni di non assoggettabilità a VIA n. 83 del 15 febbraio 2006 e n. 631 in data 11 dicembre 2007 della stessa Regione Puglia. Stante la complessità e la sostanziale novità delle numerose questioni qui affrontate sussistono in ogni caso giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce, Prima Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 418/2009, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto annulla la determinazione 10 ottobre 2008, n. 1065, del Dirigente servizio industria della Regione Puglia, nonché le determinazioni rispettivamente 15 febbraio 2006, n. 83, e 11 dicembre 2007, n. 631, entrambe del Dirigente settore ecologia della Regione Puglia. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 20/05/2009 con l'intervento dei Magistrati: Aldo Ravalli, Presidente Luigi Viola, Consigliere Massimo Santini, Referendario, Estensore DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 18/07/2009. 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La Russa: "Fini ha ragione forse abbiamo esagerato" (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica.it" del 04-08-2009)

Argomenti: Giustizia

ROMA - "Lo riconosco, il governo ricorre alla fiducia, ai maxiemendamenti spesso senza necessità, per semplificare o per accelerare". Ignazio La Russa non ha difficoltà ad ammetterlo. Il ministro della Difesa, alle prese con il varo delle misure-sicurezza prima delle ferie d'agosto, fa autocritica. "Gianfranco - dice - ha ben detto, del resto questa è una preoccupazione di tutti i presidenti della Camera, da alcune legislature a questa parte. L'ha fatto con chiarezza. Fintanto che le regole sono queste, il presidente dei deputati è giusto che vigili affinché siano rispettate. Però il primo a rendersi conto che occorre una riforma globale e regolamentare del Parlamento è proprio lui. Lo dice da quindici anni che va rivisto il bicameralismo, che bisogna procedere a semplificazioni. I regolamenti andrebbero modificati ponendo ad esempio, una data ultima entro cui decidere". Ministro La Russa, non faccia però come Ponzio Pilato. "Nient'affatto. Ma prima che la Corte costituzionale imponesse la non reiterazione dei decreti - dopo la scadenza non si può rinnovare - i governi di centrosinistra, la Dc in testa, ripresentavano un decreto anche sei, sette volte. Davvero il Parlamento veniva esautorato. Ormai se le Camere non trasformano in legge un decreto, questo decade. Oggi c'è una maggiore sensibilità e una più forte attenzione al Parlamento. Un tempo era meno sentita, non che non esistesse, solo che nessuno pensava di gridare allo scandalo". Il governo Berlusconi in quattordici mesi ha posto 24 volte la fiducia. Le pare poco? Non è il caso di fare autocritica? OAS_RICH('Middle'); "Infatti sostengo che ci si può sforzare di fare qualche fiducia in meno: ho dato il buon esempio l'altro giorno. Nel decreto anticrisi era stato inserito il finanziamento delle missioni militari all'estero. Sono andato alle commissioni parlamentari riunite esteri e difesa e ho dato il via libera perché fosse tolto dal decreto e diventasse un disegno di legge. È stato possibile anche perché c'è stata collaborazione tra una larghissima parte dell'opposizione e la maggioranza. Così si è realizzato il risultato di non sottrarre al Parlamento e alle commissioni una competenza che era loro". L'opposizione, però, fa solo la propria parte. Il governo vuole metterle la sordina? "Ci vogliono meno voti di fiducia, i ministri devono avere più buona volontà e pazienza, e l'opposizione deve rinunciare a ritardare strumentalmente l'approvazione, o la bocciatura, dei provvedimenti. Questa è la ricetta". Lei si muove nel solco di Fini? "Gianfranco si è rivolto a tutti, non ce l'ha solo con il governo Berlusconi. Il problema c'è, anche se è un problema vecchio. Va affrontato. Nel breve periodo ci vuole una maggiore condivisione e una maggiore disponibilità a non strumentalizzare, a non esasperare le posizioni. Se lecitamente l'opposizione allunga i tempi, lecitamente il governo ricorre agli strumenti per accorciarli". Il ricorso alla fiducia serve pure a camuffare le crepe nella coalizone? "Questa è la maggioranza più coesa dal dopoguerra a oggi". (4 agosto 2009

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incarichi esterni delle asl e farmacie i carabinieri acquisiscono nuove carte - gabriella de matteis giuliano foschini (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 05-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina II - Bari In prima linea Incarichi esterni delle Asl e farmacie i carabinieri acquisiscono nuove carte Verifiche su una delibera per Fiore: al setaccio gli atti dal 2005 Rispetto al centrodestra noi non abbiamo messo la testa sotto la sabbia I nostri sono stati atteggiamenti anche molto duri ma esemplari GABRIELLA DE MATTEIS GIULIANO FOSCHINI Le consulenze esterne, chieste dall´assessorato alla Sanità e dall´Ares. E la legge con la quale il consiglio regionale ha modificato i criteri per l´apertura di nuove farmacie. L´inchiesta della procura di Bari che ha coinvolto il centrosinistra, ora, si concentra su nuovi aspetti. Ieri mattina i carabinieri, su ordine del sostituto procuratore Desirèe Digeronimo, sono arrivati negli uffici dell´assessorato alla Sanità, al quartiere Japigia e hanno esibito un decreto di esibizione. Hanno chiesto di poter acquisire la documentazione delle consulenze che, dal 2005, ad oggi sono state autorizzate dalla Regione nel settore della sanità. Una in particolare ha richiamato l´attenzione degli investigatori: quella, richiesta dall´assessorato nel giugno luglio del 2006 e poi siglata dal Policlinico di Bari. A beneficiare è stato l´attuale assessore regionale alla Sanità, l´anestesista Tommaso Fiore che, per la sua prestazione, per un anno, fu regolarmente retribuito. Gratuita, invece, la consulenza fornita dal medico, dal 2007 al 2008, al presidente della Regione Nichi Vendola. Queste parte delle carte che i carabinieri del nucleo investigativo hanno chiesto di esibire. Sotto la lente di ingrandimento anche le consulenze legali a cui le Asl hanno fatto ricorso. Ma l´inchiesta nel quale è indagato l´ex assessore Alberto Tedesco, ora, si estesa anche ad legge regionale: è la 19 del 2008. L´articolo 14 autorizza l´apertura di nuove farmacie ogni 3500 abitanti (e non più 5000 come, invece, prevedeva la normativa nazionale) nei comuni con una popolazione non superiore alle 12.500 unità. Il provvedimento, approvato nel luglio del 2008 soprattutto, avevano spiegato i consiglieri proponenti, per supplire alla carenza di farmacie in alcuni comuni del Salento, suscitò alcune polemiche. L´articolo 14 della legge è stato anche impugnato dinanzi alla Corte Costituzionale dal governo secondo cui la Regione non avrebbe potuto legiferare su una materia che rientra invece nelle competenze dello Stato. La Corte rigettò però il ricorso. Sin qui il dibattito politico, ora la legge, però, diventa materia d´indagine della procura. Alla base delle nuove acquisizioni ci sono alcuni sospetti, nutriti dagli investigatori dopo la lettura delle intercettazioni e l´interrogatorio dell´ex direttore dell´Asl di Bari Lea Cosentino. La consulenza esterna affidata a Fiore, secondo la Dda, potrebbe dimostrare una sorta di continuità tra la gestione Tedesco e quella dell´attuale assessore. Gli altri incarichi esterni, invece, rientrerebbero, ma è solo un´ipotesi investigativa, in una logica di spartizione del potere. La legge regionale sulle farmacie, infine, sospettano gli investigatori, sarebbe il frutto di alcune pressioni. Queste almeno le motivazioni che hanno portato i carabinieri a compiere nuove acquisizioni.

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"noi, scandalizzati vogliono creare il caos" (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 05-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina V - Bari Parla Ascanio Amenduni, l´avvocato dei privati "Noi, scandalizzati vogliono creare il caos" «Non sono sorpreso, ma resto scandalizzato del fatto che un ente pubblico, come la Regione Puglia, che ha firmato responsabilmente un contratto, possa poi rimangiarsi la propria adesione». è la reazione di Ascanio Amenduni, legale del 75 per cento della famiglia Messeni Nemagna, proprietaria del Petruzzelli, dinanzi alla notizia del disconoscimento della Regione del protocollo del 2002. Anche l´avvocatura dello Stato ne ha contestato la validità appena una settimana fa. «è la stessa tesi sostenuta davanti alla Corte che, bocciando l´esproprio, l´ha espressamente disattesa» Cosa la scandalizza invece nella scelta della Regione? «Ogni questione fu composta col protocollo d´intesa, ogni dettaglio fu discusso fino in fondo. Ecco perché sono stupito di come si possa calpestare il passato contrattuale. Sta di fatto che è grazie a quel contratto che ha preso avvio la ricostruzione e che la stessa Fondazione è nata come ente lirico». E se la class action dovesse vincere? «Tutte le spese della ricostruzione ricadrebbero sul Comune. Questo si sottovaluta e si sottace: fuori dal protocollo d´intesa non vedo che il caos. La Regione nel riconoscere poi la nullità dei patti del 2002, non è forse la stessa che chiede l´ingresso della Fondazione nel teatro?». I vostri prossimi passi? «Proveremo a far fare un´altra brutta figura allo Stato. La Corte Costituzionale ha già annullato l´esproprio, ora cercheremo di far bocciare la class action». Intanto, l´unica cosa di cui nessuno parla è la riapertura del teatro. «Abbiamo più volte invocato spiegazioni dal ministro Bondi: deve chiarire i motivi del ritardo nella riconsegna del Petruzzelli alla Fondazione. Soprattutto perché un non proprietario, lo Stato in questo caso, non può detenere un immobile altrui». (a.d.g.)

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La retromarcia di Rezart Taçi Il Bologna resta ai Menarini (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 05-08-2009)

Argomenti: Giustizia

La retromarcia di Rezart Taçi Il Bologna resta ai Menarini ANDREA BONZI Tace, il petroliere albanese Rezart Taçi. Proprio ora che doveva far parlare i fatti (e i petrodollari), prendendo in mano le redini del Bologna Calcio. Invece, dopo settimane di annunci che avevano innescato un toto-giocatori capace di far sognare il popolo rossoblù (Lavezzi e Di Natale, per fare due nomi), tutto si è sgonfiato. Taçi non compra più. ADDIO BOLOGNA La conferma è arrivata nella serata di ieri. Taçi ha dichiarato all'emittente albanese on line «Top-channel» di «non aver sottoscritto l'accordo definitivo», ma di «non poter rivelare i dettagli». Nella decisione non avrebbe influito l'incontro di alcuni giorni fa a palazzo Chigi con Silvio Berlusconi, a cui il petroliere è vicino (la Taçi Oil International è sponsor del Milan in Albania). «Non credo che il premier, con tutti i problemi che deve affrontare, si interessi anche di questioni di calcio», ha detto Taçi, evidentemente informato del burrascoso periodo che sta passando Berlusconi. Poi ha aggiunto di essere ancora «interessato a partecipare al campionato italiano». Ma non al Bologna. DIETRO ALLA ROTTURA Renzo e Francesca Menarini, gli attuali proprietari del Bologna, sono sconcertati dalla retromarcia di Taçi. E oggi accoglieranno i cronisti a Casteldebole per illustrare il loro punto di vista. Tutto è accaduto in 24 ore: la fumata bianca era attesa per lunedì, era già stata prenotata la sala di un grande albergo di Bologna per incontrare la stampa. Una ventina di milioni di euro la cifra pattuita in cambio dell'80% del società. Ma, al momento della firma, il magnate albanese si è tirato indietro. E lo ha fatto sapere inizialmente con uno stringato sms (!) del suo addetto stampa, in cui si confermava«di non procedere alla finalizzazione del contratto» per l'acquisto del Bologna. Già, perché c'era già un'intesa nero su bianco, e lunedì - a quanto pare - era l'ultimo giorno utile per sfilarsi dall'impegno senza pagare penali. INTRIGO BALCANICO Perché è saltato tutto? Le tesi sono diverse. Quasi tramontata l'ipotesi di tirare la corda per ottenere uno sconto in extremis sul prezzo pattuito, è facile siano altre le considerazioni che abbiano fatto riflettere Taçi sull'opportunità di investire (tanto) denaro su una compagine che, l'anno scorso, si è salvata all'ultima giornata. Il 28 luglio scorso, alcuni siti albanesi (www.balkaninsight.com) hanno scritto che la Corte costituzionale locale ha accolto il ricorso di un gruppo di petrolieri bocciando la decisione del governo di Sali Berisha di affidare il monopolio della distribuzione di diesel ecologico (D2) alla Armo, la compagnia ex statale acquistata da Taçi. Una partita, quella del monopolio di questo carburante, che varrebbe - sostengono i concorrenti del tycoon albanese - ben 180 milioni di euro. La decisione della Corte è vincolante, e forse Taçi vuole valutarne bene le conseguenze. Secondo il quotidiano albanese «Tema» (riportato dal sito www.rinascitabalcanica.com), invece, Taçi avrebbe usato il clamore dell'acquisto del Bologna come «diversivo» per distrarre l'attenzione dalla richiesta di sconto al governo albanese sull'accisa di 6.500 tonnellate di petrolio attualmente ancorate al porto di Valona. Sia come sia, l'addio dell'albanese ai rossoblù sembra definitivo. Non comprerà più il Bologna, Rezart Taçi. All'ultimo minuto il petroliere albanese ha fatto saltare la trattativa lasciando di stucco i Menarini, attuali proprietari della società. Diverse ipotesi sul clamoroso bidone.

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Dai commercialisti l'allarme sull'Irap (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 05-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-08-05 - pag: 5 autore: Dai commercialisti l'allarme sull'Irap Maria Carla De Cesari ROMA La lotteria telematica fissata al 15 settembre per ottenere i rimborsi Irap «non è una procedura degna di un Paese civile ». Il diritto del contribuente non può essere affidato alla destrezza nell'inviare un file e a bypassare eventuali ingorghi nella rete, per arrivare prima degli altri, prima che si esaurisca il plafond delle risorse. I commercialisti, mentre stanno chiudendo le ultime dichiarazioni relative agli studi di settore, non usano mezzi toni per definire la gara online, per prenotare il rimborso Irap. «Il punto è semplice: se il contribuente ha diritto al rimborso Irap e se ci sono i soldi per tutti, come si va dicendo, non si capisce perché dovremmo affidarci alla prenotazione online», afferma Claudio Siciliotti, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti. «Non si può chiedere al contribuente – incalza Luigi Carunchio, presidente dei giovani commercialisti dell'Ungdcec – una gara di abilità per ottenere ciò che gli spetta. Non è su queste basi che si costruisce un rapporto di fiducia con il Fisco». «Una graduatoria fatta in base all'abilità o alla fortuna telematica – osserva Piero Panzetta, delegato per la fiscalità del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro – è discriminatoria. Le informazioni da trasmettere all'agenzia sono il risultato di procedure complicate: si rischia di fare un gran lavoro e di restare a bocca asciutta». Per i commercialisti «la decisione dell'agenzia delle Entrate di rinviare a settembre il click-day inizialmente fissato per il 12 giugno è stata una prova di responsabilità. Tuttavia – dice Siciliotti – non basta. Il meccanismo va rivisto. Se guardiamo all'esperienza del bonus per ricerca e innovazione i fondi sono stati esauriti in 12 secondi. Se si ripete per l'Irap questa situazione, allora è lecito pensare che il rimborso del 10% per quanti hanno avuto oneri e spese per il personale è una costruzione giuridica solo per salvare l'imposta regionale alla Corte costituzionale ». Siciliotti denuncia anche situazioni ambigue: ci sono strutture e società di servizi che promettono ai clienti di avere una piattaforma informatica in grado di trasmettere la domanda in pochi secondi, così da accappararsi i fondi. Ogni pratica andata a buon fine può costare 500 euro o il 2% di quanto chiesto a rimborso. Insomma, la gara telematica mette in moto un mercato parallelo per ottenere un diritto. Tutto questo dopo calcoli complicati: occorre riprendere le dichiarazioni 2004-2007, individuare l'Irap versata in acconto e saldo, verificare l'esistenza di oneri per interessi e personale, rideterminare l'imponibile Ires o Irpef deducendo il 10% dell'Irap pagata e quantificare le minori imposte. Addizionali comprese. © RIPRODUZIONE RISERVATA LA CRITICA La prenotazione online è fissata per il 15 settembre Claudio Siciliotti: «Non è una procedura degna di un paese civile»

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La regione partecipa alla class action per il teatro (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 05-08-2009)

Argomenti: Giustizia

PETRUZZELLI La regione partecipa alla class action per il teatro La regione Puglia si costituirà in giudizio accanto ai promotori della class action che sostengono che la proprietà del Teatro Petruzzelli di Bari, ricostruito interamente con denaro pubblico, debba essere pubblica. «Con questa decisione - ha annunciato l'assessore regionale alle attività culturali, Silvia Godelli - la regione Puglia ribadisce la propria ferma posizione in favore della acquisizione del Teatro». Il Petruzzelli, semidistrutto nel 1991 da un incendio doloso, è completamente ricostruito (anche se tuttora chiuso) ma non sono risolte le questioni giuridiche relative alla proprietà passate anche attraverso un esproprio deciso dal governo e annullato dalla Corte Costituzionale nel 2008. Il teatro, infatti, è privato ma sorge su suolo pubblico in concessione. Dopo l'incendio, il restauro è stato fatto anche grazie ad un protocollo d'intesa tra proprietari, regione, provincia e comune di Bari, la cui validità è messa in discussione dalla Regione.

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Bari, i carabinieri tornano in Regione (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 05-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Politica data: 05/08/2009 - pag: 12 Il caso Sequestrati nuovi documenti. Il presidente della giunta dispone controlli sulla sanità: il buco del settore è di un miliardo Bari, i carabinieri tornano in Regione L'inchiesta si allarga alle farmacie. Il governatore: non sono indagato e non lo sarò DAL NOSTRO INVIATO BARI «Non sono indagato e non lo sarò». Nichi Vendola si mostra sereno e combattivo, malgrado le indagini del pubblico ministero antimafia Desirè Digeronimo sulla presunta «organizzazione criminale » interna alla sua giunta dedita a e scambiare appalti, voti e favori a imprenditori e boss locali, non allentino la morsa delle acquisizioni. I carabinieri ieri sono tornati negli uffici della Regione Puglia per portare via una nuova pila di documenti. Carte che riguardano le consulenze esterne, una delle quali fornita dall'attuale assessore alla Sanità Tommaso Fiore, anestesista del Policlinico, al suo predecessore Alberto Tedesco ora sotto indagine. Ma la novità di ieri è stata l'allargamento dell'indagine a una legge regionale, quella che ha modificato i criteri per l'apertura di nuove farmacie. In Italia, unico Paese europeo, se ne può aprire solo una ogni 5.000 abitanti. La Puglia, il 2 luglio 2008, ha abbassato il quorum a 3.500 abitanti, autorizzando nuove aperture nei comuni al di sotto dei 12.500 abitanti. Norma impugnata dal governo di fronte alla Corte Costituzionale. Il pm ha acquisito gli atti preparatori della legge per capire se era ispirata da interessi illeciti. «Solo l'interesse dei cittadini ad avere due farmacie nei paesini che ne hanno una sola e sono costretti a fare chilometri quando è chiusa», rivendica Vittorio Potì, l'ex consigliere regionale socialista, neo sindaco di Melendugno, che l'ha proposta, «e ne sono orgoglioso, anche se magari mi indagheranno. Qui c'è da avere paura di tutto». Non teme nulla invece Nichi Vendola. Mentre la Lady Asl pugliese, indagata per appalti e nomine pilotati, ripete di «aver subito minacce» e pressioni e parla di «sacche di non controllo» nella sanità, il governatore va al contrattacco: «Noi non abbiamo messo la testa sotto la sabbia. Non ho avuto nessuna indulgenza » ha detto ieri, dopo aver ripescato come consulente esterno a 60 mila euro l'anno l'ex assessore Massimo Ostilio (Udeur), estromesso nel rimpasto di luglio scorso che doveva fugare le ombre dalla giunta. Poi ha varato una raffica di provvedimenti: controlli rafforzati con il sostegno della Guardia di Finanza e la revisione degli accreditamenti e della lista dei consulenti (che il pm ha subito acquisito). Ma ha un'altra grana: il debito della sanità pugliese è di un miliardo di euro. Vendola avrebbe pensato a convincere i creditori delle Asl a cedere i loro crediti a un operatore finanziario, forse un pool di banche, che rimborserebbe immediatamente i debiti e verrebbe a sua volta rimborsato dalla regione in qualche anno. E il Pdl attacca: «Dopo tante bugie, il re è nudo». I vincoli Sospetta la decisione di ridurre i vincoli per l'apertura degli esercizi per la vendita di medicinali Virginia Piccolillo © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Sanzioni amministrative: percezione sensoriale dell'agente e querela di falso (sezione: Giustizia)

( da "AltaLex" del 05-08-2009)

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Sanzioni amministrative: percezione sensoriale dell'agente e querela di falso Cassazione civile , SS.UU., sentenza 24.07.2009 n° 17355 Commenta | Stampa | Segnala | Condividi Il verbale di accertamento delle violazioni amministrative contenente le attestazioni riguardanti i fatti oggetto di percezione sensoriale del pubblico ufficiale fa piena prova fino a querela di falso. E' quanto stabilito dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 17355 del 24 luglio scorso. Secondo i Supremi giudici è invece ammessa la contestazione e la prova delle circostanze di fatto della violazione che non sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale o rispetto alle quali l’atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile oggettiva contraddittorietà. (Altalex, 6 agosto 2009) | sanzioni amministrative | ordinanza-ingiunzione | querela di falso | SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI SENTENZA 24.07.2009, n. 17355 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il Giudice di Pace de L’Aquila con sentenza del 17 novembre 2003, in accoglimento dell’opposizione proposta da (…) annullò il verbale del 6 ottobre 2002, con il quale la Polstrada aveva accertato la violazione dell’art. 172, 1° ed 8° co., C.d.S., per avere il (…) circolato alla guida di un veicolo senza utilizzare la cintura di sicurezza. Osservò il giudice che, non potendo il verbale fare piena prova ex art. 2700, c.c., di un fatto non avvenuto alla presenza degli agenti di polizia, ma presunto dall’ osservazione a distanza del momentaneo arresto del veicolo, e che avendo il (…) giustificato l’arresto con l’esigenza di sistemare meglio la cintura di sicurezza da lui indossata, trovava applicazione il disposto dell’art, 22, 120 cc,., L. n. 689/81, secondo il quale l’opposizione deve essere accolta quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente. L’Ufficio territoriale del Governo è ricorso con un motivo per la cassazione della sentenza e l’intimato non ha resistito in giudizio. Il ricorso, assegnato alla seconda sezione civile della Corte, è stato rimesso alle Sezioni Unite per la particolare importanza della questione relativa all’efficacia probatoria delle attestazioni contenute nel verbale di accertamento delle violazioni amministrative e, segnatamente, di quelle alle norme del C.d.S, riguardanti i fatti oggetto di percezione sensoriale del pubblico ufficiale che le abbia accertate. MOTIVI DELLA DECISIONE Con l’unico motivo, il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5, c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 2700, c.c., e degli artt. 21, 22, 22 bis e 23, L. n. 689/81, avendo ritenuto presunto un fatto percepito visivamente dagli agenti accertatori e rispetto al quale il verbale di accertamento, costituendo un atto pubblico, faceva fede fino a querela di falso. Il motivo è fondato. La questione dell’efficacia probatoria dei fatti attestati nel processo verbale di accertamento delle violazioni amministrative, e dei suoi limiti, nel giudizio di opposizione promosso ex art. 23, L. 24 novembre 1981 n. 689 (modifiche al sistema penale), avverso l’ordinanza ingiunzione irrogativa di una sanzione pecuniaria (id est ex art. 204 - bis, C.d.S,), è stata già esaminata dalle Sezioni Unite di questa Corte, le quali nella sentenza n. 125451/92 hanno posto in rilievo che: il processo verbale costituisce un atto pubblico, in quanto forma necessaria dell’ esternazione dell’ atto di accertamento che il pubblico ufficiale compie sulla base dell’attribuzione normativa di uno specifico potere di documentazione, con effetti costitutivi sostanziali, prima che processuali, perché soltanto attraverso il veicolo necessario di detto atto di accertamento può essere determinato il credito della sanzione pecuniaria che l’autorità competente dovrà riscuotere con I ‘ordinanza -ingiunzione; l’art. 2700 c.c. attribuisce all’atto pubblico l’efficacia di piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti; il giudizio di opposizione all’ordinanza - ingiunzione, benché formalmente costruito dagli artt. 22 e segg., L. n. 689/1981, come giudizio d’impugnazione del provvedimento ed investa innanzitutto la legittimità formale dell’atto, tende all’accertamento negativo della pretesa sanzionatoria della p.a e si configura da un punto di vista procedimentale come un giudizio civile, del quale vanno applicate le regole generali, salvo espressa contraria disposizione; l’esercizio del diritto di difesa nel procedimento di opposizione all’ordinanza - ingiunzione non è pregiudicato dalla fede privilegiata del verbale di accertamento, potendo I ‘interessato impugnare l‘atto con la querela di falso e fare ricorso nel relativo giudizio ai formali mezzi di prova; - l’efficacia di prova legale del verbale non può estendersi alle valutazioni espresse dal pubblico ufficiale ed alla menzione di fatti avvenuti in sua presenza, che possono risolversi in apprezzamenti personali, perché mediati attraverso la occasionale percezione sensoriale di accadimenti, che si svolgono così repentinamente da non potersi verificare e controllare secondo un metro obiettivo, senza alcun margine di apprezzamento”. Ai rilievi non sono seguiti nella giurisprudenza significativi dissensi quanto alla natura di atto pubblico del verbale dl accertamento ed alla gerarchia della prova che, in virtù del disposto dell’art. 116, 1° co, c.p.c., questa introduceva nel giudizio di opposizione all’ordinanza ingiunzione del pagamento delle sanzioni e, tanto meno, quanto all’esclusione dalla fede privilegiata delle valutazioni espresse dal pubblico ufficiale, mentre relativamente alla categoria degli apprezzamenti personali è evidente in successive decisioni una deriva non soltanto verso l’inclusione in essi di una generalità di fatti attestati nel verbale, sul mero fondamento della possibilità di distinguere la loro percezione in statica o dinamica e dell’idoneità delle sole percezioni statiche a dare certezza al fatto accertato, ma anche verso una generale ed indiscriminata possibilità di prova nel procedimento ex art. 23, L. n. 689/1981, dell ‘errore del pubblico ufficiale nelle percezioni dinamiche, in base all’assunto, sostanzialmente contraddittorio, che l’efficacia probatoria piena dell’ atto pubblico sia condizionata dalle ragioni poste a base della contestazione dei fatti in esso attestati, inoltre, con specifico riferimento alla materia della circolazione stradale, nella quale è più frequente la percezione dinamica dei fatti integranti le violazioni, sono stati in qualche caso anche ignorati, ed in altri travisati, i requisiti dell’occasionalità della percezione e della repentinità dell’accadimento, enucleati dalle Sezioni Unite, e nel giudizio di opposizione all’ordinanza -ingiunzione è stato ritenuto talora di per sé risolutivo il solo disconoscimento da parte dell’interessato dei fatti oggetto di percezione dinamica, e talaltra ammesso l’espletamento della prova contraria, in base all’unica considerazione della limitata durata dello stimolo sensoriale percepito dal pubblico ufficiale e della sua ridotta possibilità di verifica (cfr. ad esempio, il rilevamento del numero di targa di una autovettura in movimento, (cass. Civ. sent. n. 3522/1999; o il superamento di un semaforo recante luce rossa, cass. civ., sent. n. 140482/005), A tale orientamento, benché in parte ispirato a condivisibili esigenze di concentrazione ed accelerazione processuale e di salvaguardia del diritto di difesa, non può essere dato ulteriore seguito, non soltanto per il suo approssimativo intendimento della nozione di apprezzamento personale fornita dalla sentenza n. 12545/1992 e dei limiti di attendibilità del fenomeno della percezione dinamica, che è frutto, al pari di quella statica, del necessario concorso di una pluralità di stimoli sensoriali in ogni caso elaborati dal pubblico ufficiale nella loro complessità, concludenza e decisività secondo la sua esperienza e qualificata professionalità, ma soprattutto per la lesione che esso ha comportato, e può ulteriormente comportare, al superiore interesse alla certezza giuridica dell’attività svolta dai pubblici ufficiali” ed alle “esigenze di garanzia del buon andamento della P. A.”, alla cui tutela - come sottolineato in materia dalla Corte Costituzionale (cfr. n. 50411/ 987) - è funzionale l’efficacia di piena prova attribuita all’atto pubblico dall’art. 2700, c.c., e per il cui perseguimento il legislatore ha ritenuto necessario e sufficiente in tema di sanzioni amministrative, da un lato, non porre limiti alla contestazione dell’accertamento nel ricorso amministrativo dell’ interessato (cfr. n. 18, L. n. 689/1981; art, 203, d.p.r. a 2851/1992) e, dall’altro, tipizzare il contenuto del verbale, prevedendo l’obbligo del pubblico ufficiale non soltanto di esporre il fatto in forma sommaria (cfr. per tutti art. 383, d.p.r. 16 dicembre 1992, o 495 ed all. VLI), ma anche di indicare in esso gli estremi precisi e dettagliati della violazione (cfr. art. 201, dpr. 30 aprile 1992, n. 285). La correlazione tra il dovere di menzionare nel verbale in modo preciso e dettagliato, anche se sommario, l’elemento fattuale della violazione e l’efficacia che l’art. 2700 c.c. attribuisce ai fatti che il pubblico ufficiale attesta nell’atto pubblico essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, comportano infatti che tale efficacia concerne inevitabilmente tutti gli accadimenti e le circostanze pertinenti alla violazione menzionati nell’atto indipendentemente dalle modalità statica o dinamica della loro percezione, fermo l’obbligo del pubblico ufficiale di descrivere le particolari condizioni soggettive ed oggettive dell’accertamento, giacché egli deve dare conto nell’atto pubblico non soltanto della sua presenza ai fatti attestati, ma anche delle regioni per le quale detta presenza ne ha consentito l’attestazione. L’approccio alla questione relativa all’ammissibilità della contestazione e della prova nel giudizio di opposizione all’ordinanza ingiunzione non va conseguentemente condotto con riferimento alle circostanze di fatto della violazione attestate nel verbale come percepite direttamente ed immediatamente dal pubblico ufficiale ed alla possibilità o probabilità di un errore nella loro percezione, ma esclusivamente in relazione a circostanze che esulano dall’ accertamento, quali l’identificazione dell’attore della violazione e la sua capacità o la sussistenza dell’elemento soggettivo o di cause di esclusione della responsabilità, ovvero rispetto alle quali l’atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile oggettiva contraddittorietà (ad esempio, tra numero di targa e tipo di veicolo al quale questa attribuita). Ogni diversa contestazione, in esse comprese quelle relative alla mancata particolareggiata esposizione delle circostanze dell’accertamento od alla non idoneità di essa a conferire certezza ai fatti attestati nel verbale, va invece svolta nel procedimento di querela di falso, che consente di accertare senza preclusione di alcun mezzo di prova qualsiasi alterazione nell’atto pubblico, pur se involontaria o dovuta a cause accidentali, della realtà degli accadimenti o del loro effettivo svolgersi ed il cui esercizio è imposto, oltre che dalla già menzionata tutela della certezza dell’ attività amministrativa, anche dall’interesse pubblico alla verifica in sede giurisdizionale della correttezza dell’operato del pubblico ufficiale che ha redatto. Deve, conseguentemente, essere affermato il principio che: "nel giudizio di opposizione ad ordinanza - ingiunzione del pagamento di una sanzione amministrativa è ammessa la contestazione e la prova unicamente delle circostanze di fatto della violazione che non sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale o rispetto alle quali l’atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile oggettiva contraddittorietà mentre è riservato al giudizio di querela di falso, nel quale non sussistono limiti di prova e che è diretto anche a verificare la correttezza dell’operato del pubblico ufficiale la proposizione e l’esame di ogni questione concernente l’alterazione nel verbale, pur se involontaria o dovuta a cause accidentali, della realtà degli accadimenti e dell’effettivo svolgersi dei fatti”. Detto principio è stato disatteso dalla sentenza impugnata, giacché ha escluso l’efficacia probatoria del verbale nel quale gli agenti della polstrada avevano attestato di avere direttamente percepito la commissione della violazione in base ad un apprezzamento del carattere presunto della percezione a lui precluso nel giudizio di opposizione dalla fede privilegiata del verbale di accertamento. Alla fondatezza del motivo seguono la cassazione della sentenza e, a norma dell’art. 384 2° co c.p.c., il rigetto dell’opposizione proposta dall’intimato davanti al giudice di pace, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. Le spese del giudizio vanno dichiarate non ripetibili tenuto conto della novità del principio enunciato. P.Q.M. Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. Decidendo nel merito rigetta l’opposizione proposta dal (…) avverso il verbale di accertamento della violazione e dichiara non ripetibili le spese del giudizio. 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Friuli, presidente Renzo Tondo incontra Raffaele Fitto : vertice sulla legge anticrisi (sezione: Giustizia)

( da "Sestopotere.com" del 05-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Friuli, presidente Renzo Tondo incontra Raffaele Fitto : vertice sulla legge anticrisi (5/8/2009 18:08) | (Sesto Potere) - Trieste - 5 agosto 2009 - Sulle obiezioni che il Governo ha avanzato nei confronti della legge anticrisi approvata dalla Regione Friuli Venezia Giulia, saranno individuate soluzioni in grado di "confermare l'intendimento del legislatore regionale". è questo l'esito dell'incontro, avvenuto oggi a Roma, tra il presidente della Regione Renzo Tondo e il ministro per i Rapporti con le Regioni Raffaele Fitto. Al centro dell'incontro c'è stata la recente decisione del Consiglio dei ministri di impugnare davanti alla Corte costituzione alcune norme, relative in particolare alla semplificazione delle procedure di appalto, della legge regionale anticrisi, messa a punto e varata dalla Regione Friuli Venezia Giulia per affrontare la crisi economica. "Al ministro - ha detto Tondo al termine dell'incontro - ho ribadito l'urgenza di questo provvedimento, che è stato approvato proprio per rispondere con rapidità ai problemi che la crisi ha aperto nell'economia e nella società del Friuli Venezia Giulia, per sostenere le imprese e le famiglie. Ho chiesto al ministro la possibilità di trovare, pur nel rispetto della legittimità costituzionale, percorsi che riaffermino le finalità della legge". Il ministro Fitto ha dato ampia disponibilità in questo senso, ribadendo l'importanza del principio di leale collaborazione fra istituzioni. Il ministro ha dato mandato agli uffici di avviare una serie di approfondimenti tecnici, in modo da ricercare soluzioni che preservino l'intendimento del legislatore regionale. Il presidente Tondo ha comunque informato il ministro che, in via cautelativa e in vista della scadenza dei termini, la Giunta regionale di domani autorizzerà l'Avvocatura della Regione a costituirsi in giudizio in merito all'impugnazione della legge davanti alla Corte costituzionale.

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Terremoto: numeri record della solidarietà per l'Abruzzo (sezione: Giustizia)

( da "Sestopotere.com" del 05-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Terremoto: numeri record della solidarietà per l'Abruzzo (5/8/2009 19:16) | (Sesto Potere) - Roma - 5 agosto 2009 Prima riunione oggi a L’Aquila del Comitato dei Garanti, costituto con un’apposita ordinanza di protezione civile, che avrà il compito di assicurare la supervisione alla gestione delle donazioni fatte dagli italiani all’indomani del terremoto dello scorso 6 aprile in Abruzzo ed affidate alla Protezione Civile Nazionale. La riunione di oggi, che si è tenuta presso la Scuola Ispettori e Sovrintendenti della Guardia di Finanza a Coppito, ha visto la partecipazione di tutti i rappresentanti del Comitato, composto dal Senatore Franco Marini, abruzzese ed ex Presidente del Senato, da Cesare Mirabelli, ex Presidente della Corte Costituzionale, da Vito d’Ambrosio, ex Presidente della Regione Marche nel periodo in cui la Regione fu colpita dal terremoto del 1997, da Natalino Irti, abruzzese e membro dell’Accademia dei Lincei e da Fernanda Contri ex Vice Presidente della Corte Costituzionale, che è stata designata anche a presiedere il Comitato stesso. Ad oggi l’importo complessivo delle donazioni ammonta a 74.677.720 euro, una cifra record che si compone delle donazioni dirette alla Protezione Civile Nazionale (circa 53 milioni di euro) e quelle agli Enti Locali che sono state comunque finalizzate con il coordinamento del Dipartimento (circa 22 milioni di euro). La cifra record di oltre 74 milioni e mezzo di euro è stata raggiunta grazie alla straordinaria solidarietà dimostrata concretamente da milioni di italiani e da moltissime amministrazioni pubbliche e private che hanno effettuato versamenti direttamente sui conti correnti aperti dalla Protezione Civile Nazionale per 13.709.746 euro, inviato sms per donare uno o due euro per un totale di 18.523.443 euro e fornito strutture per sistemazioni temporanee per circa 22 milioni di euro. Nel corso della riunione, a cui ha partecipato anche il Capo del Dipartimento Guido Bertolaso, sono state condivise le prime proposte per l’utilizzazione delle risorse economiche, in parte già finalizzate direttamente dai donatori. Infatti, i primi indirizzi per la destinazione delle donazioni prevedono che circa 40 milioni e mezzo di euro siano utilizzati nell’ambito del progetto C.A.S.E., che prevede la realizzazione di moduli abitativi per i cittadini dell’Aquila, proprio come indicato da importanti soggetti pubblici e privati. Oltre 11 milioni di euro, inoltre, saranno finalizzati ad iniziative destinate al sostegno della popolazione colpita dal terremoto, alla ripresa economica del territorio ed al sistema scolastico ed universitario. Infine, circa 22 milioni di euro serviranno alla realizzazione di moduli abitativi ed altre strutture per le comunità colpite dal terremoto residenti nei comuni diversi da quello dell’Aquila.

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Regione Friuli: tavolo con Governo su tributi Inps (sezione: Giustizia)

( da "Sestopotere.com" del 05-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Regione Friuli: tavolo con Governo su tributi Inps (5/8/2009 18:20) | (Sesto Potere) - Trieste - 5 agosto 2009 - Sarà istituito un tavolo tecnico-politico con il Governo per arrivare a una soluzione condivisa sulla questione delle compartecipazioni che la Regione vanta sui tributi versati dai pensionati dell'INPS residenti in Friuli Venezia Giulia. Lo ha assicurato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Gianni Letta, incontrando oggi a Roma a Palazzo Chigi il presidente della Regione Renzo Tondo. "Il Friuli Venezia Giulia - ha detto Tondo - ha storicamente sempre adottato un approccio responsabile anche nella rivendicazione dei propri diritti. Dopo la sentenza favorevole della Corte costituzionale la nostra Regione ha acquisito un diritto di essenziale rilevanza. Pur consapevoli delle difficoltà economiche che il nostro Paese sta attraversando, non posso quindi esimermi dal rappresentare con forza al Governo un diritto certificato". Tondo ha quindi chiesto la disponibilità ad aprire un tavolo di confronto con il Governo sulla questione delle compartecipazioni INPS, una proposta che il sottosegretario Letta ha condiviso. Il tavolo potrà iniziare a operare subito dopo la pausa estiva, in settembre. Il sottosegretario si è impegnato a riferire subito della questione al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, in vista dell'incontro di questa sera tra lo stesso Berlusconi e la Conferenza dei presidenti delle Regioni, a cui prenderà parte anche Tondo.

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la crociata vaticana e le mani sulla vita - (segue dalla prima pagina) (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 06-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina 37 - Cultura Con l´assalto all´autorizzazione all´uso della Ru486 ritorna il tempo dei diktat La crociata vaticana e le mani sulla vita Non è ammissibile la pretesa autoritaria di fare dell´Italia un luogo dove alle donne è preclusa la possibilità di fare le stesse scelte di quelle degli altri paesi (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) aluti ciascuno in cuor suo e secondo la propria fede la possibilità di affiancare l´aborto farmacologico a quello chirurgico. è inammissibile, invece, la pretesa autoritaria e illegale di fare dell´Italia un luogo dove alle donne è preclusa la possibilità di fare le stesse scelte delle donne di quasi tutti gli altri paesi europei; e dove si violano consolidate regole europee sulla registrazione dei farmaci, fondate sul "mutuo riconoscimento": quando il farmaco è già stato autorizzato in un altro paese europeo, si può chiedere che venga autorizzato anche in altri. Questa procedura implica che si possa discutere sulle modalità dell´autorizzazione, non sul concederla o negarla. E nel comunicato dell´Agenzia italiana per il farmaco si dice che l´autorizzazione «conclude quell´iter registrativo di mutuo riconoscimento seguito dagli altri paesi europei». Se, invece di abbandonarsi alle invettive, si fossero lette queste poche parole e le equilibrate considerazioni del direttore dell´Agenzia, si sarebbero evitate molte sciocchezze e forzature. Dica pure il presidente della Cei che l´autorizzazione della pillola Ru486 apre una «crepa nella nostra civiltà»: l´autorizzazione ad esagerare non si nega a nessuno. Ma quando il responsabile per queste materie della stessa Cei dice perentoriamente che «il governo deve bloccare tutto», siamo di fronte alla negazione dello Stato di diritto, del suo essere fondato su regole e procedure che tutti devono rispettare. Altro che Stato e Chiesa, «ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani», come vuole l´articolo 7 della Costituzione! Di questo clima bisogna tenere conto, perché si cercherà di svuotare in via amministrativa quell´autorizzazione, già severissima, ricorrendo alle abituali falsificazioni dei dati scientifici, come sta accadendo con il riferimento a 29 donne morte ricorrendo a quella pillola. Ma, a parte il fatto che alcuni di quei casi sono controversi, si tratterebbe comunque di 29 casi in ventun´anni e su un totale di milioni di donne: si è fatto notare che, nello stesso arco di tempo, i morti per aspirina sono stati 50. Questa manipolazione mostra come si vogliano creare le condizioni per una rinnovata offensiva contro la libertà femminile, invocando la mozione con la quale la Camera impegna il Governo a promuovere una risoluzione dell´Onu «che condanni l´uso dell´aborto come strumento di controllo demografico». Conviene vigilare perché questa richiesta non divenga il pretesto per nuove forme di condanna delle donne, per imporre presenze di "dissuasori" nei consultori, per contrastare le politiche di educazione sessuale e di informazione sulla contraccezione, come quelle svolte dalle organizzazioni internazionali alle quali Obama è tornato ad assicurare i finanziamenti. La volontà di limitare la libertà di scelta e di espropriare le persone del diritto di governare la propria vita, era già comparsa nelle discussioni che accompagnano il dibattito parlamentare sul testamento biologico. Si contrappongono le decisioni sulla morte dignitosa e la cura e l´accompagnamento del morente. La vita, non la morte, dovrebbe essere oggetto dell´attenzione. Vivere, non morire, con dignità. Qui l´ambiguità è massima. Proprio la riflessione laica ha sottolineato che, se la morte appartiene alla natura, il morire è sempre più governabile dall´uomo, appartiene alla sua vita, e dunque rientra nell´autonomia delle scelte di ciascuno. E non si può contrapporre la vocazione della Chiesa alla cura a una sorta di estraneità pubblica. In questi anni sono stati proprio i laici a insistere sulla necessità delle cure palliative, sulla iniqua distribuzione sul territorio di hospices e centri per la terapia antidolore, sulla complessiva necessità di servizi per le persone. Il Governo, pronto ad approvare decreti incostituzionali per impedire l´esercizio di diritti, non ha riconosciuto quelle altre priorità, né mette a disposizione risorse adeguate. Invece è proprio qui che la presenza pubblica è necessaria, per consentire a ciascuno di fare le sue scelte. Una strategia di libertà positiva, esattamente l´opposto delle politiche proibizioniste che si cerca di imporre attraverso il disegno di legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento già approvato dal Senato. Nei giorni scorsi un alto prelato, sempre assai loquace, si è spinto a dire che quel testo è ottimo e che non è possibile mettere in discussione uno dei suoi punti più controversi, quello sull´alimentazione e l´idratazione forzata, perché la scienza avrebbe unanimemente concluso che non sono trattamenti terapeutici. Non è così, come è stato mille volte ricordato richiamando le posizioni delle maggiori società mediche internazionali. Ma questi sono segni inquietanti di una volontà di chiusura che si ritrova anche nella relazione che, nella Commissione Affari sociali della Camera, ha avviato l´esame del disegno di legge. Una chiusura tutta ideologica, sorda alla voce dei moltissimi studiosi che hanno sottolineato le infinite sgrammaticature e contraddizioni di quel testo. Né maggioranza e Governo vogliono trarre profitto dalle lezioni impartite dalla Corte costituzionale con due recenti sentenze che indicano quali debbano essere i rapporti tra potere legislativo, potere medico e potere individuale quando si affrontano temi che riguardano la vita delle persone. Viene ribadito il ruolo centrale dell´autodeterminazione, per la prima volta riconosciuta esplicitamente come "diritto fondamentale" della persona. Il consenso informato dell´interessato rimane l´ineliminabile e vincolante punto di partenza. Il legislatore deve tener conto delle «acquisizioni scientifiche e sperimentali che sono in continua evoluzione», sì che «la regola di fondo deve essere l´autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali». Le pretese del legislatore-scienziato, che vuol definire che cosa sia un trattamento terapeutico, e del legislatore-medico, che vuol stabilire se e come curare, vengono esplicitamente dichiarate illegittime. E, al tempo stesso, la definizione dello spazio proprio delle acquisizioni scientifiche e dell´autonomia del medico viene affidata al consenso della persona, ribadendosi così il ruolo ineliminabile della volontà individuale. Questo è il quadro costituzionale che la politica deve rispettare se vuole che le sue decisioni siano legittime. In questo modo difende anche la propria autonomia di fronte a chi vuole trasformarla in potere biopolitico che si impadronisce della vita delle persone, introducendo pericolosi doveri verso la "comunità", o in potere subordinato a imposizioni esterne. Credo proprio che non debba essere seguito l´esempio dell´"amico Putin", che tre settimane fa ha consentito alla Chiesa ortodossa un diritto di esame preventivo di tutte le leggi che riguardano temi eticamente sensibili.

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Nichi Vendola esce trafelato da una riunione delle Regioni sulla sanità e borbotta: E
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(sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 06-08-2009)

Argomenti: Giustizia

PIETRO SPATARO Nichi Vendola esce trafelato da una riunione delle Regioni sulla sanità e borbotta: «E' assurdo. Berlusconi ci riceve prima di andarsene in ferie, vuole lasciarci il cerino acceso in mano». Accusa il governo di imporre i tagli e di non fare interventi strutturali. Dice che così si eliminano diritti e servizi, protesta... Non vorrà scaricare sul governo lo scandalo della sanità pugliese? «No, non voglio tergiversare. Dico però che siamo di fronte a diverse inchieste. La prima riguarda il circuito Angelucci e i rapporti con Fitto. Non dimentichiamo che la Procura ha avanzato una istanza di carcerazione per Fitto che il Parlamento ha respinto. La seconda riguarda il sistema Tarantini. Dalle intercettazioni viene fuori il ruolo di un rampollo del centrodestra pugliese, Tato Greco. E tra i soci occulti di Tarantini c'è anche Fitto. Da qui parte il filone della cocaina e delle escort ed emerge la confidenza straordinaria che Tarantini aveva con Berlusconi». Pare anche con alcuni esponenti del centrosinistra. Il vice della sua giunta, Frisullo, c'è finito in mezzo... «Diciamo che alcuni schizzi di fango sono finiti pure sul centrosinistra. Frisullo però non è stato mai indagato, finora non sono emersi fatti penalmente rilevanti». Vabbè però non ne è uscito bene. Poi c'è il caso Tedesco, l'ex assessore alla sanità nel mirino dei pm. «Certo, c'è Alberto Tedesco. Il quale, però, si è dimesso appena uscita la notizia sull'Ansa». Questo gli fa onore. Ma le accuse sono pesanti, non crede? «Guardi io credo che siamo di fronte a un teorema giudiziario, Da questa vicenda ricavo sicuramente un giudizio politico. Ma aspetto ancora che le ipotesi di reato vengano incardinate». È una critica ai magistrati? «Io penso che la magistratura debba fare il proprio lavoro. Ma penso anche che il pm abbia compiuto degli azzardi nelle modalità di procedere. C'è stata una inutile spettacolarizzazione: hanno sguinzagliato i poliziotti per tutta Bari a caccia dei bilanci dei partiti che sono su Internet. Così come è discutibile indagare sulla formazione di una legge, quella che aumenta il numero delle farmacie e che ha scatenato la lobby dell'Ordine dei farmacisti. Norme che sono state legittimate dalla Corte Costituzionale. Ma il problema è un altro». Quale? «È il rimbalzo mediatico. La mia faccia è comparsa sul Tg1 mentre si parlava di prostituzione e cocaina, inchiesta che tocca la destra e Berlusconi. Su di me c'è stata una intensità comunicativa che non ha eguali». Lei ha mai conosciuto Tarantini? «Ma non scherziamo. Non ho mai conosciuto né Tarantini né l'altro imprenditore Romeo. Se penso all'onorevole Bocchino che aveva conversazioni imbarazzanti con l'imprenditore Romeo e che ha avuto l'opportunità di stare su tutti i tg per difendersi vedo una differenza. Io ho subito una campagna mediatica. Ma non sono indagato. E se conosco bene la mia vita sarà difficile che mi indaghino. Diciamo la verità: i giornali della destra hanno compiuto operazioni di cecchinaggio». Qualche critica è arrivata anche dal suo campo... «Sì, il fuoco amico. C'è addirittura qualcuno screditato, penso all'onorevole Boccia che ho battuto alle primarie, che si presta a operazioni di basso sciacallaggio». D'accordo, ma perché lei ha messo in giunta uno come Tedesco i cui familiari avevano partecipazioni in società di tipo ospedaliero e che ha portato ai vertici della sanità quello che ha disegnato il piano di Fitto? «Ho pensato allora che dovessi evitare lo spoil system. Quel signore portato ai vertici della sanità, Morlacco, era considerato in giro per l'Italia uno dei migliori tecnici. Mi dicevano: se lo molli avvertimi». Quindi è d'accordo con Emiliano che denuncia il governo bipartisan della sanità pugliese? «Certo che c'è un trasversalismo degli affari. C'è in Puglia e in tutta Italia. La sanità è come un casinò: entri e ci sono le slot machine, poi trovi le roulette e poi l'azzardo si fa più forte». Sempre Emiliano ha puntato il dito contro il sistema di potere dalemiano. Lei che ne pensa? «No, no, cerchiamo di uscire dalla contesa congressuale del Pd. Io vedo che l'area dalemiana è molto articolata e frastagliata. E poi voglio dire che i candidati scelti per la segreteria regionale del Pd sono quattro persone eccellenti, hanno messo in campo una nuova classe dirigente». Perché ha scelto Tedesco? «Lui mi è stato presentato da tutti come persona di primo piano, un conoscitore del sistema sanitario. Attorno a lui c'era un forte consenso». Ma insomma nessun rimprovero? «Sì non sono mai riuscito a diffidare del genere umano e poi ho peccato di ingenuità. Questo sì». Lo nominerebbe ancora assessore? «Se avessi potuto leggere alcune intercettazioni avrei fatto sicuramente un'altra scelta». Lei ha detto che la sua giunta ha fatto un grande lavoro sulla legalità in ogni settore. Perché l'ha azzerata? «Perché dopo i casi di Tedesco e Frisullo bisognava dare un messaggio forte ai cittadini. Mi sono assunto una responsabilità mi sono fatto carico della questione morale che per me è una una bussola». Eppure gli elettori dicono: siamo come la destra, affari e politica... «Chiedetevi perché ho avuto più servizi giornalistici di Totò Cuffaro. Loro vogliono dimostrare che siamo tutti uguali». A questo punto l'anno prossimo che fa, si ricandida? Sul Corriere si dice che il solito D'Alema lavora a un patto Pd-Udc e sarebbe già pronta Adriana Poli Bortone, ex An ora centrista... «Si tratta di ricostruzioni fantasiose. Dico che nonostante questa campagna il mio rapporto con il popolo resta forte e la speranza che abbiamo aperto non è esaurita». Ma lei si ricandida? «Diciamo che penso di essere il candidato naturale». Che ne pensa del congresso Pd? Qualcuno dice: vedrete che Vendola finirà lì... «Sono molto interessato al congresso dei democratici ma sono anche molto innamorato di Sinistra e Libertà». E se Sinistra e Libertà finisse nel Pd? «Oppure: se il Pd finisse in Sinistra e Libertà?»

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Ambiente promosso a pieni voti (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 06-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-08-06 - pag: 23 autore: Lettera Ambiente promosso a pieni voti C ontro il decreto legislativo 152 /2006 (erroneamente definito poi Codice ambientale), voluto dal ministro Altero Matteoli nel terzo Governo Berlusconi, l'opposizione e i movimenti ambientalisti conformisti sollevarono forti proteste, assumendo «la certa incostituzionalità» e «la chiara violazione della normativa ambientale» della procedura e del contenuto. Appena entrato in vigore, 12 Regioni lo impugnarono di fronte alla Corte costituzionale, con 130 contestazioni e richieste, che andavano dalla cancellazione radicale dell'intero provvedimento all'impugnazione di minuzie procedurali, tipo l'utilizzazione dei poteri sostitutivi delle Regioni in caso di inadempienze da parte dei gestori del ciclo dei rifiuti. Immediatamente la Corte rigettò la richiesta di sospensiva; nei giorni scorsi ha emesso le sentenze n. 225, 246, 247 e 249, con le quali è stata decisa l'intera materia. Il dato finale è significativo: di 130 capi di ricorso ne sono stati accolti 6; 45 sono stati dichiarati inammissibili; 60 non fondati; cessata la materia del contendere in 19 casi. Non può negarsi che il provvedimento, nel suo impianto complessivo come nelle singole norme, abbia superato gloriosamente la verifica di costituzionalità. Ma c'è di più: al momento dell'approvazione il provvedimento era stato notificato alla commissione Ue per eventuali rilievi. Bene, rilievi non ce ne sono stati, e la recente direttiva rifiuti è in gran parte ispirata al contenuto del 152, che è stato così confermato in perfetta sintonia con le regole comunitarie. Sconfitta totale, quindi, per coloro che avversarono l'attuazione della delega ambientale. Paolo Togni Già capo di gabinetto del ministero dell'Ambiente

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Tangenti per farmacie Bari, sequestrate altre carte (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 06-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Politica data: 06/08/2009 - pag: 13 L'inchiesta Gasparri attacca Vendola. Il governatore: lo cito per danni Tangenti per «regalare» farmacie Bari, sequestrate altre carte L'ipotesi di accusa del pm. Blitz dei carabinieri in Regione DAL NOSTRO INVIATO BARI Tangenti in cambio di una leggina regionale fatta ad hoc per regalare la farmacia a 14 farmacisti che non ne avevano diritto. E' questo il sospetto che guida il pm Desirè Digeronimo nelle nuove acquisizioni, compiute ieri alla Regione Puglia dal nucleo investigativo dei carabinieri. Dubbi tutti da verificare, nell'ipotesi di accusa che sia esistito, all'interno della giunta Vendola, un comitato di affari che scambiava appalti, voti, nomine, favori a boss locali e, appunto, leggine per gli amici. Sospetti nati da intercettazioni. Rafforzati negli investigatori da alcune stranezze riscontrate nei primi accertamenti: come l'assegnazione di una sede a un farmacista ottantenne a San Giovanni Rotondo. Nel giorno delle farmacie, scambio di insulti tra Maurizio Gasparri, presidente dei senatori Pdl e il governatore Nichi Vendola. Gasparri: «Se la magistratura esita a indagare Vendola, non potrà evitare la sua interdizione. O è coinvolto nel disastro della sanità pugliese o non si è accorto di niente e allora è inadeguato». Replica di Vendola: «Occupati del marciume della destra». Controreplica di Gasparri: «E' un fallito politico e morale». Vendola presenta querela per danni e la parola passa, anche in questo caso, alla magistratura. La storia dei 14 farmacisti baciati dalla leggina che ha suscitato la curiosità del pm ha suscitato scandalo fra i colleghi e ricorsi ancora pendenti. La racconta Francesca Conchiglia, presidente di Federfarma Puglia e nel consiglio di presidenza nazionale: «E' una vergogna che noi denunciamo da cinque anni invano. A quei quattordici erano state date in gestione provvisoria farmacie vacanti che però nel 2006 dovevano andare ai regolari vincitori di un concorso iniziato nel '99. I quattordici incassarono dai vincitori l'indennità di avvio (una buonuscita legittima che può arrivare fino a 4-500 mila euro). Ma poi vennero trasformati da questa legge-vergogna in assegnatari di sedi. Come i vincitori. Anzi di più. A loro fu anche concesso scegliere la sede che preferivano e hanno preso le più redditizie». «Ma fa notare la presidente Conchiglia la cosa che più ci meravigliò fu che l'ex assessore alla Sanità Alberto Tedesco, prima contrario, poi fece passare questa norma. Ci furono proteste enormi. E, secondo me, la legge regionale che abbassò il quorum per favorire i criteri di apertura di altre sedi, venne fatta per tacitarle ». Ricorda le contestazioni anche l'avvocato Saverio Basile, legale di alcuni farmacisti che hanno presentato ricorso contro la norma, chiedendo la remissione degli atti di fronte alla Corte Costituzionale, contro il parere dei 14 ex gestori provvisori (difesi inizialmente da Giovanni Pellegrino, ex senatore ds ed ex presidente della Commissione stragi, all'epoca presidente della Provincia di Lecce, e poi dalla figlia di lui Valeria e da altri colleghi): «La legge venne approvata in una seduta segnata dalle proteste dei farmacisti presenti. Ma la cosa strana è che, nel sito della regione Puglia di quella seduta non vi è più traccia». Virginia Piccolillo © RIPRODUZIONE RISERVATA Il pm Desirè Digeronimo , sostituto procuratore di Bari: ora indaga anche sulle autorizzazioni date in via provvisoria a 14 farmacie pugliesi nel periodo che ha preceduto l'approvazione della legge regionale che ha rivisto i criteri demografici (abbassandoli) per l'apertura di nuovi punti vendita di medicinali nei Comuni fino a 12.500 abitanti Stranezze Tra le «stranezze» anche l'assegnazione di una rivendita a un farmacista ottantenne

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Onida: standard etici decisivi nella vita pubblica (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 06-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Politica data: 06/08/2009 - pag: 13 L'intervista L'ex presidente della Corte costituzionale e l'editoriale di Panebianco: la sinistra non può trascurare questo problema Onida: standard etici decisivi nella vita pubblica ROMA «La posizione della sinistra viene dipinta in modo un po' caricaturale. Ma, a parte questo, mi sembra che ci sia una confusione tra due aspetti: quello della critica alla moralità privata del premier e quello della lotta alla corruzione. Una cosa è la moralità nella vita pubblica, un'altra se la moralità privata dei personaggi pubblici debba, e come, essere oggetto di attenzione ». Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale, interviene nel dibattito aperto dall'editoriale di Angelo Panebianco, pubblicato sul Corriere del 3 agosto. La lotta alla corruzione, secondo Panebianco, tocca alla magistratura non alla politica. «È esatto, se ci si riferisce al contrasto dei singoli episodi. Come anche il fatto che sia compito della politica incidere sulle condizioni che provocano la corruzione». Però? «Però c'è una palese contraddizione. Perché poi, a questa premessa, si fa seguire la necessità di un accordo con la maggioranza sul tema delle intercettazioni » . Accordo che non condivide? «Se si impediscono o si rendono molto difficili le intercettazioni, si creano le condizioni per accrescere l'impunità dei corrotti. Dunque, si incide negativamente sulle condizioni che provocano la corruzione». Il moralismo non è pericoloso? «Bisogna intendersi. Chiedo: c'è o non c'è un problema di etica pubblica? So che c'è chi ritiene che sia più importante l'efficienza e che si possa tollerare un grado più o meno alto di corruzione. Ma questo mi sembra inaccettabile. A parte il fatto che noi spesso non abbiamo nemmeno l'efficienza». Non è rischiosa la gara a chi è più «pulito»? «Noi non vogliamo santi: vogliamo persone pulite e che non mescolino interessi privati e interessi pubblici». Il moralismo giustizialista si fa risalire a Mani Pulite. «Non voglio santificare quell'epoca: si devono riconoscere anche gli errori e gli eccessi. Ma non si può neanche dire che l'obiettivo della lotta alla corruzione fosse sbagliato». A Di Pietro spesso viene rimproverato l'estremismo. «Non c'entra. Quello che mi scandalizza è che passi un messaggio secondo cui la sinistra dovrebbe dimenticare, trascurare o addirittura considerare sbagliato l'obiettivo di garantire standard etici nella vita pubblica. Perseguire il rigore è necessario, e non ha niente a che vedere con l'estremismo verbale». Si accusa la magistratura di avere ecceduto. «È vero che ci sono stati anche eccessi, ma questi vanno combattuti sul terreno proprio. È sbagliato usare la legge per 'tagliare le unghie' ai magistrati. Gli anticorpi ci sono già e sono le regole. Fra l'altro, quelle che consentono l'intervento della Corte costituzionale, quando è il caso, anche contro eventuali deviazioni della magistratura ». La sinistra, da Mani Pulite in poi, è stata considerata molto vicina ai magistrati. «Anche questa mi pare un po' una leggenda. Ci sono stati spesso, a destra ma talora anche a sinistra, atteggiamenti politici per nulla favorevoli all'opera della magistratura, come l'approvazione di certe leggi e le pratiche seguite sulle immunità dei parlamentari o di altre cariche politiche. Non è un problema di fiancheggiamento ai pm: le leggi e la prassi debbono adeguarsi ai contenuti necessari per garantire alti standard di moralità pubblica ». Alessandro Trocino © RIPRODUZIONE RISERVATA Giurista Valerio Onida, 73 anni, presidente emerito della Consulta

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Irap, indeducibilità dalle imposte sui redditi, legittimità (sezione: Giustizia)

( da "AltaLex" del 06-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Irap, indeducibilità dalle imposte sui redditi, legittimità Corte Costituzionale , sentenza 30.07.2009 n° 258 Stampa | Segnala | Condividi | irap | imposte sui redditi | deducibilità | Corte costituzionale Sentenza 30 luglio 2009 N. 258 LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Francesco AMIRANTE Presidente Ugo DE SIERVO Giudice Paolo MADDALENA " Alfio FINOCCHIARO " Alfonso QUARANTA " Franco GALLO " Luigi MAZZELLA " Gaetano SILVESTRI " Sabino CASSESE " Maria Rita SAULLE " Giuseppe TESAURO " Paolo Maria NAPOLITANO " Giuseppe FRIGO " Alessandro CRISCUOLO " Paolo GROSSI " ha pronunciato la seguente ORDINANZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) e dell’art. 10 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), promossi dalla Commissione tributaria provinciale di Genova con ordinanza del 12 febbraio 2004, dalla Commissione tributaria provinciale di Parma con quattro ordinanze del 23 marzo 2006, dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti con ordinanza del 30 ottobre 2006, dalla Commissione tributaria provinciale di Parma con ordinanza del 9 novembre 2006, dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna con due ordinanze del 24 settembre 2007, ordinanze rispettivamente iscritte al n. 521 del registro ordinanze 2004, ai nn. da 180 a 183, 362 e 498 del registro ordinanze 2007 ed ai nn. 36 e 37 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2004, nn. 14, 20 e 26, prima serie speciale, dell’anno 2007 e n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2008. Visti l’atto di costituzione di Francesco Paolucci ed altro nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell’udienza pubblica del 7 luglio 2009 e nella camera di consiglio dell’8 luglio 2009 il Giudice relatore Sabino Cassese; uditi l’avvocato Vittorio Paolucci per Francesco Paolucci ed altro e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto che nel corso di un giudizio, promosso da una società per azioni avverso il provvedimento di diniego dell’Agenzia delle entrate, in relazione all’istanza di rimborso dell’imposta sui redditi delle persone giuridiche (Irpeg), per la quota indeducibile dell’imposta regionale sulle attività produttive (Irap), la Commissione tributaria provinciale di Genova ha sollevato, con riferimento all’art. 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), nella parte in cui vieta la deducibilità dell’Irap dalle imposte sui redditi (r.o. n. 521 del 2004); che, in ordine alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, la Commissione osserva che essa condiziona direttamente ed inequivocabilmente la domanda di restituzione dell’Irpeg formulata dalla società ricorrente; che, per quanto riguarda la non manifesta infondatezza della questione, la Commissione ritiene che, con riferimento al reddito di impresa, l’esclusione della deducibilità dell’Irap (che per l’imprenditore rappresenta un fattore economico di spesa) dal reddito assoggettato alle imposte sui redditi determina l’imposizione non su un reddito netto, il quale è e deve essere l’indice di capacità contributiva che giustifica l’imposizione erariale, ma su un reddito lordo e, quindi, può verificarsi che imprese la cui gestione sia in perdita paghino ugualmente Irpef ed Irpeg come se avessero prodotto un reddito, mentre altre imprese con gestione in utile vengano assoggettate ad imposta con prelievo pari o superiore all’utile stesso, con conseguente violazione dell’art. 53 Cost.; che nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o l’infondatezza della questione; che, secondo la difesa statale, l’inammissibilità discende dalla insufficiente descrizione della fattispecie da parte del giudice rimettente, perché la censura è basata su una «situazione-limite» di imprese in perdita o assoggettate a Irap di importo pari o superiore all’utile, non corrispondente alla situazione dell’impresa ricorrente, e perché dall’ordinanza non risulta chiaro se gli importi Irap chiesti dalla società ricorrente in rimborso siano versamenti in acconto o solo accantonamenti; che, prosegue l’Avvocatura generale dello Stato, nel merito la questione è palesemente infondata, perché la non deducibilità dalle imposte personali dipende dalla natura di imposta reale dell’Irap e dal fatto che essa è stata istituita «anche per raggiungere capacità contributiva che, altrimenti sfuggirebbe alla imposizione "personale" o da questa sarebbe solo marginalmente lambita; la Irap ha in sostanza doverosamente colmato una lacuna rispetto alla piena applicazione del predetto parametro»; che, in prossimità dell’udienza fissata per la trattazione (20 febbraio 2007), l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria con ulteriori argomentazioni a difesa della norma impugnata, rilevando che rientra nella discrezionalità del legislatore l’individuazione non solo del fatto espressivo della idoneità alla contribuzione, ma anche dell’entità e della proporzionalità dell’onere tributario, anche con riferimento agli oneri deducibili, e che la scelta della non deducibilità non è irragionevole ed arbitraria, in considerazione della fisiologica traslabilità dell’onere fiscale e delle ragioni di semplificazione, sotto il profilo della gestione amministrativa dell’imposta e della regolazione dei flussi finanziari tra Stato e Regioni; che nel corso di quattro procedimenti promossi da soci di una società in nome collettivo avverso l’Agenzia delle entrate di Parma, volti all’annullamento del silenzio rifiuto opposto dalla stessa all’istanza di restituzione di somme versate a titolo di Irpef, per la quota non deducibile dell’Irap, la Commissione provinciale tributaria di Parma, con quattro distinte ordinanze di contenuto analogo, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997, con riferimento all’art. 53 Cost. (r.o. nn. 180, 181, 182 e 183 del 2007); che, in ordine alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, la Commissione osserva che essa condiziona direttamente la domanda di restituzione dell’Irpef formulata dai ricorrenti; che, per quanto riguarda la non manifesta infondatezza della questione, la Commissione ritiene che «l’indeducibilità dell’Irap dalla base imponibile ai fini Irpef del socio confligge, con tutta evidenza, con il principio di capacità contributiva espresso dall’art. 53 Cost., atteso che l’Irpef finisce per gravare non già su di un reddito netto e realmente indicativo della capacità contributiva, bensì su un reddito lordo e fittiziamente attribuito al contribuente, per effetto della mancata deduzione dell’Irap già versata» e che la duplicazione d’imposta «confligge anche con il principio di ragionevolezza»; che in tutti e quattro i giudizi dinanzi alla Corte è intervenuto, con atti di contenuto analogo, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o l’infondatezza della questione; che, in punto di ammissibilità, la difesa statale deduce il difetto di adeguata motivazione in ordine alla rilevanza, non spiegando adeguatamente il giudice rimettente a quale titolo il ricorrente nel giudizio principale, socio di una società in nome collettivo, abbia chiesto il parziale rimborso dell’Irpef pagata personalmente, adducendo a motivo della richiesta l’illegittimità della norma che impedisce la deducibilità dalle imposte sui redditi dell’Irap corrisposta, nel caso in esame, da un soggetto di imposta diverso dal ricorrente medesimo; che, nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato afferma che la prevista indeducibilità dell’Irap dalle imposte dirette costituisce il frutto di una consapevole scelta operata dal legislatore, non irragionevole, in coerenza con il sistema tributario e con la prevista destinazione del gettito dell’Irap alle Regioni; che, nel corso di un procedimento promosso da un socio di una società in nome collettivo avverso l’Agenzia delle entrate di Ortona, volto all’annullamento del silenzio rifiuto opposto all’istanza di restituzione di somme versate a titolo di Irpef, per la quota indeducibile dell’Irap, la Commissione tributaria provinciale di Chieti ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997, in riferimento all’art. 53 Cost. (r.o. n. 362 del 2007); che la Commissione rimettente ritiene rilevante la questione di legittimità costituzionale, in quanto «l’eventuale caducazione o manipolazione della norma censurata determinerebbe il favorevole scrutinio della domanda di rimborso dell’Irpef»; che, per quanto riguarda la non manifesta infondatezza della questione, la Commissione richiama l’ordinanza della Commissione tributaria provinciale di Genova (r.o. n. 521 del 2004), in ordine alla possibilità che imprese, la cui gestione sia effettivamente in perdita, a causa della mancata deduzione dell’Irap, paghino ugualmente Irpef e Irpeg come se avessero prodotto un reddito e osserva che tale effetto estremamente distorsivo «vulnera, all’evidenza, il principio di capacità contributiva, ex art. 53 Cost. […], siccome implica una strutturale, irrazionale ed ingiustificata divaricazione tra il reddito effettivo e quello imponibile»; che nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta inammissibilità o l’infondatezza della questione; che, in punto di inammissibilità, la difesa erariale deduce il difetto di adeguata motivazione in ordine alla rilevanza, non spiegando sufficientemente il giudice rimettente a quale titolo il ricorrente nel giudizio principale, socio di una società in nome collettivo, abbia chiesto il parziale rimborso dell’Irpef pagata personalmente, adducendo a motivo della richiesta l’illegittimità della norma che impedisce la deducibilità dalle imposte sui redditi dell’Irap corrisposta, nel caso in esame, da un soggetto di imposta diverso dal ricorrente medesimo; che, nel merito, l’Avvocatura dello Stato sostiene che rientra nella discrezionalità del legislatore non solo individuare i singoli fatti indice di ricchezza ed espressivi della capacità contributiva, ma anche definire il regime giuridico tributario del fatto assunto come presupposto della imposizione, con particolare riferimento al reddito imponibile ai fini delle imposte dirette, e che l’indeducibilità dell’Irap costituisce il frutto di una consapevole scelta operata dal legislatore, in coerenza con il sistema tributario e con la prevista destinazione del gettito dell’Irap alle Regioni; che nel corso di un giudizio, promosso da una società per azioni avverso il provvedimento di diniego dell’Agenzia delle entrate di Parma, in relazione all’istanza di rimborso dell’imposta sui redditi delle persone giuridiche (Irpeg), per la quota indeducibile dell’imposta regionale sulle attività produttive (Irap), la Commissione tributaria provinciale di Parma ha sollevato, con riferimento all’art. 53 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997 (r.o. n. 498 del 2007); che, in ordine alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, la Commissione osserva che essa condiziona direttamente ed inequivocabilmente la domanda di restituzione dell’Irpeg formulata dalla società ricorrente; che, per quanto riguarda la non manifesta infondatezza della questione, la Commissione ritiene che «l’indeducibilità dell’Irap dalla base imponibile ai fini Irpeg confligge, con tutta evidenza, con il principio di capacità contributiva espresso dall’art. 53 Cost., atteso che l’Irpeg finisce per gravare non su un reddito netto e realmente indicativo della capacità contributiva, bensì su un reddito lordo e fittiziamente attribuito al contribuente, per effetto della mancata deduzione dell’Irap già versata», e che la duplicazione d’imposta «confligge anche con il principio di ragionevolezza, atteso che l’imposta Irpef viene ad essere pagata anche sull’imposta Irap»; che nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza della questione; che l’Avvocatura generale dello Stato osserva che l’Irap colpisce non il reddito, ma il valore della produzione netta derivante dall’attività esercitata, che il relativo onere economico gravante sulla produzione ben può essere dal soggetto passivo traslato, secondo le leggi del mercato, sul prezzo dei beni e dei servizi prodotti, che compete alla discrezionalità del legislatore individuare quali oneri siano deducibili e che l’indeducibilità è spiegabile con la necessità di mantenere distinto il sistema della finanza pubblica statale, alimentato con i tributi erariali, da quello facente capo alle singole Regioni e con l’esigenza dello Stato di pianificare scelte di programmazione economica e finanziaria; che nel corso di due giudizi promossi da altrettanti avvocati avverso l’Agenzia delle entrate di Bologna, per ottenere l’annullamento del silenzio rifiuto in ordine all’istanza di rimborso della maggiore imposta Irpef dichiarata in conseguenza della mancata deduzione dell’importo versato a titolo di Irap dalla base imponibile Irpef, la Commissione tributaria provinciale di Bologna, con due ordinanze di contenuto analogo, ha sollevato, con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), e dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997 (r.o. nn. 36 e 37 del 2008); che la Commissione rimettente riferisce che i ricorrenti invocano l’illegittimità costituzionale delle disposizioni menzionate, affermando che esse violano, in primo luogo, l’art. 53 Cost., in quanto l’imposizione dell’Irap produrrebbe una riduzione del reddito e la mancata deducibilità determinerebbe l’assoggettamento a imposta in assenza di reddito effettivo e di capacità contributiva, e, in secondo luogo, l’art. 3 Cost., per la disparità di trattamento tra le imprese e i lavoratori autonomi, soggetti all’Irap, e i lavoratori dipendenti, non soggetti a essa; che la Commissione riferisce altresì di aver sospeso i due giudizi in attesa della definizione della questione di legittimità costituzionale relativa alle stesse disposizioni, sollevata da essa stessa nel corso di un altro giudizio, e dichiarata inammissibile da questa Corte con l’ordinanza n. 100 del 2007, e che, a seguito di questa ordinanza, i ricorrenti hanno contestato le motivazioni della medesima, ritenendo che la dichiarazione di inammissibilità sia stata basata su «capziose argomentazioni» e chiedendo alla Commissione di sollevare nuovamente la questione di legittimità costituzionale; che la Commissione tributaria rimettente ritiene che la questione sollevata dai ricorrenti sia meritevole di considerazione e non sia manifestamente infondata; che nei due giudizi è intervenuto, con due atti di contenuto analogo, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta inammissibilità o l’infondatezza della questione; che, in punto di inammissibilità, la difesa erariale osserva che la Commissione tributaria si limita a trascrivere l’eccezione di illegittimità costituzionale così come sollevata dai ricorrenti, senza un’autonoma motivazione sulla non manifesta infondatezza; che, nel merito, l’Avvocatura dello Stato, dopo aver richiamato la giurisprudenza costituzionale secondo cui l’individuazione degli oneri deducibili rientra nella discrezionalità del legislatore, rammenta che in tema di imposte sui redditi la legge ha sempre tendenzialmente escluso la deducibilità di oneri di natura fiscale e che la deduzione di un’imposta dall’imponibile di un’altra attenua, sino alla possibilità di neutralizzarlo, l’effetto economico perseguito con il prelievo, mentre la disparità di trattamento tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti è già stata esclusa dalla sentenza n. 156 del 2001; che nei due giudizi sono intervenuti, con atti di contenuto analogo, i ricorrenti dei giudizi principali, chiedendo che la questione sia dichiarata ammissibile e fondata, argomentando in ordine alla violazione del principio di capacità contributiva derivante dal fatto che l’importo versato a titolo di Irap riduce il reddito e, quindi, la capacità contributiva; che, in prossimità dell’udienza fissata per la trattazione (7 luglio 2009), l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria, relativa a entrambi i giudizi, nella quale, oltre a insistere sull’infondatezza della questione, rileva la sopravvenienza dell’art. 6 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e afferma l’inammissibilità della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza, in considerazione della giurisprudenza secondo cui il reddito dello studio associato è soggetto a Irap a meno che il contribuente dimostri che esso è derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati, in quanto le ordinanze di rimessione non fornirebbero alcuna motivazione sulle ragioni per cui i ricorrenti sarebbero assoggettati all’imposta; che anche i ricorrenti nei giudizi principali hanno depositato due memorie, di contenuto analogo, con le quali essi ribadiscono gli argomenti già esposti e ne sviluppano ulteriori, rilevando, tra l’altro, che la Corte deve decidere in base al diritto, senza tener conto degli effetti di un’eventuale pronuncia di accoglimento sul bilancio dello Stato. Considerato che tutte le Commissioni provinciali tributarie rimettenti dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), nella parte in cui esclude la deducibilità dell’Irap dalle imposte sui redditi, con riferimento all’art. 53 Cost., sotto il profilo del principio della capacità contributiva, che la sola Commissione tributaria provinciale di Parma (r.o. nn. 180, 181, 182 e 187 del 2007) ne dubita anche con riferimento al principio di ragionevolezza e che la sola Commissione tributaria provinciale di Bologna dubita, altresì, della legittimità costituzionale dell’art. 10 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), per la stessa ragione e sotto gli stessi profili, nonché sotto il profilo della disparità di trattamento tra le imprese e i lavoratori autonomi, soggetti all’Irap, e i lavoratori dipendenti, non soggetti a essa; che le questioni sollevate dalle ordinanze sono in gran parte coincidenti e, pertanto, i relativi giudizi devono essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia; che le questioni sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Parma sono manifestamente inammissibili, in quanto le ordinanze – pur motivando in ordine alla questione sollevata – non contengono nel dispositivo l’indicazione del petitum, e che alcune di esse (r.o. nn. 180, 181, 182 e 183 del 2007, con l’eccezione, quindi, dell’ordinanza di cui al r.o. n. 498) non spiegano a quale titolo i ricorrenti, soci di società in nome collettivo, abbiano chiesto il parziale rimborso di un’imposta da essi pagata personalmente (Irpef), adducendo a motivo della richiesta l’illegittimità dell’indeducibilità dall’Irpef dell’Irap corrisposta dalla società, cioè da un diverso soggetto d’imposta (ordinanze n. 242 e n. 100 del 2007); che la questione sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti è manifestamente inammissibile, in quanto anche la relativa ordinanza (r.o. n. 362 del 2007) non spiega a quale titolo il ricorrente, socio di società in nome collettivo, abbia chiesto il parziale rimborso di un’imposta pagata personalmente (Irpef), adducendo a motivo della richiesta l’illegittimità dell’indeducibilità dalle imposte sui redditi dell’Irap corrisposta dalla società, cioè da un diverso soggetto d’imposta; che, per quanto riguarda le questioni sollevate dalle Commissioni tributarie provinciali di Genova e di Bologna, successivamente alla proposizione delle questioni, è entrato in vigore il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2; che l’art. 6 del citato decreto-legge n. 185 del 2008 prevede che, a partire dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2008, è ammesso in deduzione un importo pari al 10 per cento dell’Irap, «forfetariamente riferita all’imposta dovuta sulla quota imponibile degli interessi passivi e oneri assimilati al netto degli interessi attivi e proventi assimilati ovvero delle spese per il personale dipendente e assimilato al netto delle deduzioni spettanti», e che, per i periodi di imposta anteriori, per i quali era stata presentata istanza di rimborso, è ammesso il rimborso per una somma fino al 10 per cento dell’Irap dell’anno di competenza, da eseguirsi secondo l’ordine cronologico di presentazione delle istanze, nel rispetto dei limiti di spesa indicati, e che, ai fini dell’eventuale completamento dei rimborsi, si provvederà all’integrazione delle risorse con successivi provvedimenti legislativi; che, pertanto, occorre restituire gli atti alle Commissioni tributarie rimettenti, perché operino una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione (ex multis, ordinanze nn. 112, 43 e 26 del 2009). per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), sollevate, con riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Parma e dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti, con le ordinanze indicate in epigrafe; ordina la restituzione degli atti alla Commissione tributaria provinciale di Genova e alla Commissione tributaria provinciale di Bologna. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 luglio 2009. F.to: Francesco AMIRANTE, Presidente Sabino CASSESE, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2009. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA Stampa | Segnala | Condividi |

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Spetta al GA la giurisdizione in materia di scorrimento di graduatorie degli idonei (sezione: Giustizia)

( da "AltaLex" del 07-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Spetta al GA la giurisdizione in materia di scorrimento di graduatorie degli idonei Tribunale Lecce, sez. lavoro, ordinanza 21.07.2009 (Alfredo Matranga) Stampa | Segnala | Condividi Per il Giudice del lavoro di Lecce spetta alla giurisdizione del Giudice ordinario la cognizione delle controversie relative allo scorrimento delle graduatorie, come più volte ribadito dalla giurisprudenza della Cassazione. Nella specie, la controversia riguardava l’utilizzazione mediante scorrimento di due graduatorie degli idonei per lo stesso profilo di assistente amministrativo: una approvata nel 1999 e l’altra nel 2005. Per il GdL di Lecce, preliminarmente, sono da ritenere ancora valide le graduatorie approvate nel 1999 e vanno pertanto utilizzate in caso di assunzione mediante scorrimento delle stesse. Nel caso il ricorso d'urgenza e' stato proposto dagli idonei della graduatoria del '05 che l'Asl ha deciso pure di utilizzare, unitamente a quella del ’99, e che non erano rientrati nella delibera di scorrimento perche' eccedenti, momentaneamente, rispetto alle esigenze dell'azienda. I ricorrenti hanno sostenuto l'intervenuta scadenza della graduatoria del '99. Viceversa, il Giudice ha rigettato il ricorso aderendo alle tesi dei controinteressati secondo cui la validita' delle graduatorie approvate dal '99 in poi e' stata nel tempo sempre prorogata dalle leggi finanziarie nazionali e regionali e, da ultimo, dall’art. 5 del Decreto Mille Proroghe D.L. n. 207/08 (convertito in L. n. 14/09 e, aggiungiamo noi, dal Decreto Anticrisi, art. 17 comma 19, al vaglio delle Camere per la conversione). (Altalex, 7 agosto 2009. Nota di Alfredo Matranga) | concorsi | scorrimento delle graduatorie | giurisdizione amministrativa | Alfredo Matranga | Tribunale di Lecce Sezione Lavoro Ordinanza 21 luglio 2009 ordinanza ex artt. 669 bis e segg., 700 c.p.c. Il Giudice del lavoro sciogliendo la riserva nel procedimento ex art. 700 c.p.c. n. 9154\2009 R.G. tra **** (ricorrenti) e A.S.L. di Lecce, **** (resistenti); rilevato che tra i resistenti si sono costituiti in giudizio la A.S.L., ****; esaminati gli atti e sentite le parti costituite; letti gli artt. 669 bis e segg., 700 c.p.c.; osserva quanto segue. La controversia riguarda le contrapposte posizioni dei ricorrenti, collocati come candidati "idonei" nella graduatoria di un concorso pubblico per la copertura dì posti di assistente amministrativo bandito dalla (ora soppressa) Azienda Ospedaliera "Vito Fazzi" di Lecce con deliberazione n.330 del 1998, approvata con deliberazione n.3072 del 20.12.2005 dalla A.U.S.L. LE\l (A.U.S.L. nella quale nel 2003 è stata incorporata la predetta Azienda Ospedaliera, e le posizioni dei resistenti (diversi dalla attuale A.S.L.), collocati come candidati "idonei" in un'altra graduatoria, ossia in quella relativa al concorso per assistente amministrativo bandito dalla A.U.S.L. LE\1 con deliberazione n.949 del 09.03.1995, approvata con deliberazione D.G. n.12 del 11.1.1999. In sostanza i due concorsi sono stati banditi da due soggetti che in origine erano distinti e che poi sono confluiti in un unico ente (A.U.S.L. LE\1), il quale, da ultimo, a seguito di ulteriori variazioni, ha assunto la denominazione di A.S.L. (Azienda Sanitaria Locale) di Lecce. Con deliberazione n.1498 del 06.05.2009 la A.S.L. di Lecce ha deciso di procedere all'assunzione di 15 assistenti amministrativi attingendo alla graduatoria approvata nel 2005; tuttavia, in un secondo momento, revocata la deliberazione n.1498, con successiva deliberazione n.1773 del 29.05.2009 ha stabilito di coprire 16 posti per il 50% mediante lo scorrimento della graduatoria approvata nel 2005 e per il residuo 50% mediante lo scorrimento della graduatoria approvata nel 1999. I ricorrenti deducono l'illegittimità della deliberazione del 29.05.2009 per una serie di motivi, diretti a dimostrare che i 16 posti di assistente amministrativo devono essere coperti attingendo solo alla graduatoria approvata per ultima. La A.S.L. di Lecce e gli altri resistenti contestano l'avverse deduzioni sotto diversi profili, processuali e di merito, e chiedono il rigetto del ricorso. Non appare fondata l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario. Ed invero, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario lcontroversie aventi ad oggetto it mancato (o insufficiente) scorrimento della graduatoria concorsuale, in quanto it candidato idoneo, vantando una determinata posizione nella graduatoria gia approvata ed it possesso dei requisiti previsti dal bando, fa valere il diritto all'assunzione senza porre in discussione le procedure concorsuali devolute al giudice amministrativo (cfr. Cass. n.8736\2008; n.26113\2007). Va altresi disattesa l'eccezione di giudicato, sollevata dalla resistente P. D. con riferimento alla sentenza n.5619 resa dal T.A.R. Puglia, sede di Lecce, 2.12.2006 su ricorso della stessa P. e di altri nei confronti della A.U.S.L. LE\ 1 e di altri, in quanto sulla questione relativa alla validita e all'efficacia della graduatoria approvata nel 1999 (e quindi sulla questione ora sottoposta alla cognizione di questo Giudice) it T.A.R. ha espressamente precisato che le sue valutazioni ed argomentazioni sono !imitate at raffronto tra la posizione degli allora ricorrenti, idonei nel concorso dell'AUSL Le \1 1 (graduatoria 1999), e la posizione dei vincitori del concorso dell'A.O.Vito Fazzi (graduatoria del 2005), senza estendersi ai graduati ulteriori di tale ultima procedura. Si rileva inoltre che la prodotta ordinanza del T.A.R. Puglia, sede di Lecce, del 16.09.2009, con la quale a stata disposta la sospensione dell'efficacia della deliberazione del Direttore Generale della A.S.L. LE n.1773 \ 2009, non preclude l'esame della domanda cautelare di ****, atteso, tra l'altro, che tale ordinanza ha efficacia temporanea fino at 03.09.2009 e che a stata resa in un processo at quale non partecipano (neppure tra i soggetti per i quali a stata ivi disposta l'integrazione del contraddittorio) i ricorrenti ed i resistenti - eccezione della A.S.L.- del presente procedimento d'urgenza. Nel merito occorre in primo luogo affrontare l'aspetto della persistenza o meno della validità della graduatoria approvata con deliberazione D.G. dell' 11.01.1999. Dal bando di concorso del 09.03.1995 (v. copia Bollettino Ufficiale Regione Puglia n.32\1992 prodotto da P.) emerge che l'approvazione della relativa graduatoria e la nomina dei vincitori sono regolate dall'art.9 1.n.207\1985, it quale prevede, tra l'altro, che "(...) Le graduatorie relative ai concorsi effettuati in applicazione della presente Legge rimangono valide per un biennio dalla data di approvazione da parte del comitato di gestione. (...)" Quindi la graduatoria dell' 11.01.1999, in difetto di proroghe, avrebbe esplicato efficacia fino all' 11.01.2001. Tuttavia aè nel frattempo intervenuta la legge della Regime Puglia n.28\2000 che all'art.23, comma 3, ha stabilito che "Fino all'attuazione di quanto previsto ai commi 1 e 2 e fatto divieto alle Aziende sanitarie di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, nonche di procedere all'avvio di bandi concorsuali per poste resisi vacanti o che si renderanno vacanti" (ai commi 1 e 2 si prevedeva la rideterminazione delle piante organiche delle aziende sanitarie e la riduzione del personale dipendente): - L'art.8 della Legge della Regione Puglia n.32 \2001, at comma 8 ha poi stabilito che "La validita delle graduatorie dei concorsi pubblici delle Aziende sanitarie, sospesa cilia data di entrata in vigore della Lr. 28/2000, riprende efficacia con riferimento ai termini fissati dal comma 5 del presente articolo" (il comma 5 fa a sua volta implicito riferimento alla rideterminazione degli organici e alla ristrutturazione della rete ospedaliera). Come emerge dalla deliberazione D.G. A.U.S.L. LE\l n.3072 del 2005 la nuova dotazione organica della stessa A.U.S.L 8 stata rideterminata con deliberazione n.4032 del 09.12.2003, approvata dalla Giunta della Regione Puglia il 27.04.2004; pertanto dal 27.4.2004 la validita della graduatoria dell'11.01.199, che era rimasta sospesa 22.12.2000 (giomo di entrata in vigore della 1.r. n.28\2000), ha ripreso efficacia per i residui 20 giorni (quelli che intercorrevano tra il 22.12.2000 e l'11.1.2001), restando valida alneno fino al 17.5.2004. Ma nel frattempo a intervenuta la 1. 24.12.2003, n. 350, che all'art.3, comma 60, ha previsto che "Ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo accordo tra Governo, regioni e autonomie locali da concludere in sede di Conferenza unificata, sono fissati per le amministrazioni regionali, per le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti che abbiano rispettato le regole del patto di stability interno per l'anno 2003 e gli enti del Servizio sanitario nazionale, criteri e limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per l'anno 2004. (..)Per gli end del Servizio sanitario nazionale possono essere disposte esclusivamente assunzioni, entro i limiti predetti, di personale appartenente al ruolo sanitario."; il comma 61 della stessa nonna ha poi stabilito che "I termini di validita delle graduatorie per le assunzioni di personale presso be amministrazioni pubbliche che per l'anno 2004 sono soggette a limitazioni delle assunzioni sono prorogati di un anno.". La sentenza della Corte Costituzionale n.390\2004 invocata dai ricorrenti ha dichiarato costituzionale dell'art. 3, comma 60, 1.n.350\2003 limitatamente alla parte in cui dispone che le assunzioni a tempo indetenninato «devono, comunque, essere contenute (...) entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell'anno 2003». Come emerge dally motivazione della stessa sentenza, l'illegittimiti costituzionale deriva dal fatto che si tratta di una disposizione che non si limita a fissare un principio di coordinamento della finanza pubblica -in attuazione del precetto costituzionale che attribuisce alla legge statale tale compito-, ma incide direttamente sull'entita della copertura delle vacanze verificatesi nel 2002, e, imponendo che tale copertura non sia superiore al 50 per cento, determina una indebita invasion, da parte della legge statale, delParea (organizzazione della propria struttura amministrativa) riservata alle autonomie regionali e degli enti locali: la legge statale pub, infatti, prescrivere criteri ed obiettivi, come, per esempio, ii contenimento della spesa pubblica, ma non pile imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi. Il resto dell'art. 3, comma 60, nella parte in cui prevede la stipulazione di un accordo tra Governo, Regioni e autonomie locali al fine di stabilire i criteri ed i limiti delle assunzioni a tempo indeterminato per l’anno 2004, ha resistito al vaglio di costituzionalita ed a conseguentemente legittimo. Ciò induce a ritenere che gli enti del servizio sanitario, menzionati nello stesso art.3, comma 60, fossero comunque soggetti alle altre limitazioni nelle assunzioni del personale, ossia a quelle limitazioni che dovevano essere stabilite mediante il predetto accordo. Anche alle aziende sanitarie locali, quindi, sembra estendersi la proroga di un anno dei termini di validità delle graduatorie, disposta dall'art.3, comma, 61 , l. n. 350\2003 per le amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni per l'anno 2004, risultando tale norma riferibile alle "limitazioni delle assunzioni" diverse rispetto a quelle dichiarate incostituzionali. L'art. 1, comma 98, 1. 30.12.2004 n.111 ha poi previsto analoghi accordi tra Governo, Regioni, autonomie locali ed enti del servizio nazionale per la fissazione di criteri e limiti per le assunzioni per il triennio 2005-2007 e l'art. l, comma 100, della stessa l. n. 111/2004 ha stabilito che i termini di validità delle graduatorie per le assunzioni di personale presso le amministrazioni pubbliche che per gli anni 2005, 2006 e 2007 sono soggette a limitazioni delle assunzioni sono prorogati di un triennio. Tale termine risulta essere stato successivamente prorogato al 31 dicembre 2008 dall'articolo 1, comma 536, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e al 31 dicembre 2009 dall'articolo 5, comma 1, del D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, nella 1. n. 14\2009. A proposito dell'ultimo intervento normativo tra quelli citati, si rileva che l'art. 5 del D.L. n. 207\2008 originariamente prevedeva la proroga al 31 dicembre 2009 della validità delle graduatorie per le assunzioni a tempo indeterminato approvate successivamente al 10 gennaio 2001 relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni, ma, in sede di legge di conversione, l'art.5 è stato modificato con la disposizione che estende la proroga alle graduatorie approvate successivamente all' 1.1.1999. E' in base a tale modifica che sembra potersi dire, nei limiti di questa fase processuale cautelare a cognizione sommaria, che la graduatoria del concorso per assistente amministrativo della A.U.S.L. LE\I approvata 1' 11.01.1999 (nella quale sono inseriti come "idonei" i resistenti diversi dall'azienda sanitaria) all'epoca della deliberazione D.G. n. 1498 del 6.5.2009, con cui la A.S.L. di Lecce ha disposto di procedere all'assunzione a tempo indeterminato di un certo numero di assistenti amministrativi, fosse ancora valida ed efficace. Per tale ragione con la successiva deliberazione D.G. n. 1773 del 26.5.2009 la A.S.L., nel prendere atto della modifica apportata al predetto D.L. n.207\2008 dalla legge di conversione n.14\2009, e revocando la precedente determinazione che attingeva solo alla graduatoria approvata nel 2005, ha disposto di assumere una parte dei nuovi assistenti amministrativi scorrendo tale graduatoria e un'altra parte scorrendo la graduatoria approvata nel 1999. Il secondo motivo di doglianza dei ricorrenti attiene al fatto che le graduatorie dei candidati idonei non potrebbero essere utilizzate per la copertura di posti istituiti successivamente all'approvazione delle graduatorie medesime, ossia con la pianta organica adottata dalla AUSL con delibera n. 4302 del 9.12.2003. Tuttavia, dalle deliberazioni D.G. A.S.L. di Lecce n. 1498\2009 e n. 1773\2009 risulta che i posti che la stesssa A.S.L. intende coprire sono quelli vacanti previsti dalla pianta organica approvata con deliberazione n. 4213 del 13.11.2007, con la conseguenza che anche la graduatoria approvata nel 2005, essendo anteriore alla predetta pianta organica, risentirebbe, in ipotesi, degli stessi problemi sollevati dai ricorrenti con riferimento alla graduatoria del 1999. In ogni caso giova rilevare che dal testo della predetta deliberazione n.4213\2007 (prodotta dalla A.S.L.) emerge che la dotazione organica della Azienda Sanitaria Locale di Lecce (istituita nel 2007 a seguito dell'incorporazione delle preesistenti A.U.S.L. Le\1 e A.U.S.L. Le\2) è determinata dalla sommatoria delle due cessate A.U.S.L. e che anche nella determinazione della pianta organica del 1 2003 (allorchè l'Azienda Ospedaliera Vito Pazzi fu incorporata nella AUSL LE\1) sembra essersi posta la necessità di accorpare gli organici dei due enti (incorporato ed incorporante). Pertanto nemmeno il secondo motivo di ricorso appare accoglibile. Il terzo motivo attiene all'asserita insussistenza di un potere di autotutela della pubblica amministrazione (con riferimento alla delibera n. 1773\2009 che ha revocato la n. 1498\2009) nella veste di datore di lavoro in ambito di pubblico impiego privatizzato. Ma in questa sede è sufficiente osservare che nella fattispecie in esame il rapporto di lavoro pubblico con gli idonei delle due graduatorie non è ancora sorto, trovandosi il procedimento in una fase anteriore alla conclusione del contratto di lavoro. Il quarto punto di doglianza dei ricorrenti riguarda l'asserita illegittimità della deliberazione n. 1773\2009 per la mancata comunicazione agli interessati (in base agli artt. 7,8,10 1. n. 241\1990) dell'avvio del procedimento di revoca della precedente deliberazione che era a loro favorevole. Tuttavia, alla luce della ratio dell'art. 21 octies 1. n. 241\1990, poichè la deliberazione n. 1773\2009 ha posto rimedio ad una precedente deliberazione che violava l'art.5 del D.L. n. 207\2008 convertito, con modificazioni, nella 1. n. 14\2009, il dedotto vizio procedimentale non appare idoneo a consentire la disapplicazione dell'atto deliberativo. Non è quindi ravvisabile, per i motivi fin qui analiticamente indicati, il fumus boni juris in ordine alla pretesa dei ricorrenti di coprire i posti in questione solo mediante lo scorrimento della graduatoria del 2005 e con esclusione dello scorrimento della graduatoria del 1999. Il ricorso cautelare va quindi rigettato. La peculiare complessità delle questioni giuridiche affrontate, che si manifesta anche nel ricorso, da parte di più soggetti, a tutele giurisdizionali di tipo diverso, giustifica la compensazione delle spese processuali. p.q.m. Il Tribunale di Lecce, in finzione di Giudice del Lavoro, rigetta il ricorso ex art. 700 c.p.c.. Compensa tra le parti le spese del procedimento. Il Giudice del Lavoro Dott.ssa M. Grazia Corbascio Stampa | Segnala | Condividi |

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Ici agricola, 3,5 milioni di euro alle cooperative di Reggio Emilia (sezione: Giustizia)

( da "Sestopotere.com" del 07-08-2009)

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Ici agricola, 3,5 milioni di euro alle cooperative di Reggio Emilia (7/8/2009 20:02) | (Sesto Potere) - Reggio Emilia - 7 agosto 2009 - Vale 3,5 milioni di euro per le cooperative agroalimentari reggiane la sentenza della Corte costituzionale che ha definitivamente sancito che queste imprese non erano tenute al pagamento dell’Ici, stabilendo al tempo stesso che alle cooperative di trasformazione (latterie e cantine sociali in primis) spetta il rimborso delle somme versate negli ultimi cinque anni. La cifra è stata calcolata da Confcooperative (relatrice davanti alla Corte con l’avvocato Ermanno Belli), che ha valutato in oltre 700.000 euro all’anno l’imposta a carico delle cooperative di trasformazione reggiane. “L’effetto della sentenza della Corte Costituzionale – spiega Confcooperative – è che nelle casse delle imprese rientreranno somme che abbiamo sempre ritenuto non dovute, tanto che a partire dal 2007 abbiamo esplicitamente invitato le nostre associate a sospendere ogni versamento, ritenendo ingiusta l’applicazione dell’Ici e del tutto inopportuna la via del versamento con la successiva richiesta di rimborso, che avrebbe comportato un esborso immediato, tempi lunghi e assolutamente incerti per la restituzione e, oltretutto, il mancato rispetto della dignità e delle istanze delle nostre imprese”. “Un segnale forte – spiega Confcooperative – che ha concorso a sbloccare una situazione caratterizzata da una assoluta incertezza legislativa e dal conseguente moltiplicarsi di pareri e sentenze contraddittorie sull’effettivo assoggettamento all’obbligo di pagamento dell’Imposta comunale sugli immobili da parte delle cooperative di trasformazione”. Dedotti i mancati versamenti da parte delle imprese e sulla base dei criteri applicativi della sentenza, i rimborsi – secondo la Confcooperative – si attesteranno tra 1,8 e 2,2 milioni di euro per le cooperative di trasformazione reggiane: “all’affermazione di un principio – sottolinea la Confcooperative – corrisponde dunque anche una cifra rilevante, tanto più importante in una fase di prolungata crisi del settore”. “Sebbene vi siano imprese che vedranno rientrare nelle loro casse decine di migliaia di euro, è evidente che il rimborso dell’Ici non è una soluzione rispetto a queste difficoltà”. “La crisi del comparto agricolo – conclude la Confcooperative - richiede più decise politiche di sostegno ai produttori, interventi strutturali sulla tutela e la promozione dei prodotti, azioni atte al contenimento del costo del lavoro, interventi di credito agevolato per la liquidità delle aziende e i futuri investimenti, il ripristino di aiuti alla stagionatura del parmigiano-reggiano, ma i rimborsi rappresenteranno comunque una boccata d’ossigeno e, soprattutto, vanno valutati come effetto di una sentenza che si tradurrà in minori costi per il futuro”.

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Comunità montane avanti tutta (sezione: Giustizia)

( da "Stampa, La" del 08-08-2009)

Argomenti: Giustizia

ENTI LOCALI. APPROVATO IL REGOLAMENTO ELETTORALE Comunità montane avanti tutta A novembre forse si vota. Scontro sulla sede a Casapinta «Meglio Crocemosso» [FIRMA]MATTEO PRIA VALLE MOSSO La Regione accelera i tempi per arrivare all'accorpamento delle Comunità montane, nonostante si rimanga ancora in attesa che il Consiglio di Stato si esprima sulla sentenza sospensiva del Tar. La giunta regionale ha voluto portarsi avanti con il lavoro adottando il regolamento che disciplina il sistema elettorale delle Comunità montane, presentato dalla presidente Mercedes Bresso e dall'assessore Luigi Sergio Ricca. Questo documento riguarda la formazione della base elettorale, la procedura per la preparazione e presentazione delle candidature, la verifica delle liste elettorali, la composizione degli uffici elettorali, lo svolgimento delle operazioni di voto, di scrutinio e di proclamazione degli eletti. «L'approvazione di questo testo dà il via all'accorpamento - spiega il consigliere regionale Wilmer Ronzani -. E' un'azione motivata dalla sentenza emessa dalla Corte Costituzionale, che riconosce le Regioni competenti in materia». Per quanto riguarda il commissariamento, tutto rimane ancora congelato come illustra sempre Ronzani: «Ovviamente i commissari non sono stati ancora nominati, proprio in attesa di conoscere il verdetto del Consiglio di Stato sulla sentenza sospensiva emessa dal Tar nei confronti del provvedimento di accorpamento promosso dalla Regione». Per il nuovo ente che vedrà la fusione di Valsessera, Valle di Mosso e Prealpi, si dovrebbe votare il 7 novembre, e sono chiamati a farlo i 421 consiglieri comunali dei 31 paesi che formeranno la nuova comunità montana. Tanti i nodi ancora da risolvere. Uno riguarda la sede. Stando al regolamento della Regione, la scelta potrebbe cadere su Casapinta, dato che la Prealpi ha il maggior numero di abitanti. Proprio questa opzione non sembra essere stata digerita dai presidenti di Valle di Mosso e Valsessera, Enzo Cravello e Pier Giorgio Fava, che hanno scritto una lettera di proteste formali in Regione sostenendo invece l'idea di fissare la sede a Crocemosso, zona ritenuta più centrale all'interno del territorio e con uffici meglio organizzati. L'ente della Valle di Mosso infatti gestisce diversi servizi associati tra i Comuni della zona, ed è dotato di un organico fatto di tecnici preparati. Più lineare la situazione invece per la Valsesia, che con l'accorpamento di fatto non vedrà particolari cambiamenti: la sede rimarrà sempre la stessa, l'unica novità riguarderà l'ampliamento del proprio territorio con l'annessione di due nuovi Comuni, ovvero quelli di Postua e Guardabosone, che facevano parte della Valsessera.

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"in autunno tenteranno di buttarmi giù" il premier chiama alle armi i media di casa - claudio tito (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 08-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina 3 - Interni "In autunno tenteranno di buttarmi giù" il premier chiama alle armi i media di casa Riunione ad Arcore con i fedelissimi. "Dobbiamo comu- nicare meglio tutti i nostri risultati" Feltri al "Giornale" e Giordano a "Italia1" per dare più smalto alla linea filo-governo CLAUDIO TITO ROMA - «Prepariamoci ad una fase difficile. In autunno ci sarà l´ultimo tentativo di buttarmi giù con le solite armi della sinistra». Solo pochi giorni fa, durante una cena con un gruppo di fedelissimi ad Arcore, Silvio Berlusconi ha iniziato a organizzare la "campagna d´autunno". Dopo gli ultimi passaggi parlamentari - in primo luogo l´approvazione faticosa del decreto anticrisi - il Cavaliere non ha nascosto i timori su quella che ha definito «una fase difficile». La paura del «complotto», i sospetti su eventuali «ribaltoni» e semplicemente i rischi di una dinamica economica ingarbugliata stanno agitando i sonni del premier. I quattro mesi di qui a fine anno sono infatti considerati «decisivi». Il vero banco di prova per l´esecutivo. «Se lo supereremo - è la convinzione di tutto lo staff del presidente del Consiglio - tutto il resto sarà più facile». I timori, infatti, riguardano il possibile picco della crisi economica. L´ultimo dato sul pil ha segnato un´ulteriore flessione. Il meno 6% di ieri è un indice ancora peggiore rispetto alle previsioni, già fosche, di Palazzo Chigi. Le stime sul calo dell´occupazione indicano un profondo rosso. Un contesto che, coniugato alle vicende personali e al pressing di buona parte della stampa estera, sta allarmando il capo del governo. Il quale ha messo subito in cantiere le sue contromosse. A suo giudizio, infatti, se davvero la recessione dovesse rilasciare i suoi effetti più negativi proprio in autunno, «qualcuno potrebbe approfittarne». Il sospetto della «campagna» di aggressione nei suoi confronti non riesce a dissolversi. Una manovra che, a suo giudizio, potrebbe essere giocata sulla paralisi economica, sugli scandali che negli ultimi tre mesi hanno condizionato l´attività dell´esecutivo e sulla sentenza della Corte costituzionale che si esprimerà sul Lodo Alfano, ossia sullo scudo che protegge le più alte cariche istituzionali dalle indagini della magistratura. Il tutto - ripete sempre più spesso il Cavaliere - «ingigantito» dai mass media. Un clima che - sono le osservazioni di molti dei suoi collaboratori - rischia di trovare sponde nei settori della maggioranza più «influenzabili». Non a caso, ieri il presidente del Consiglio ha insistito nell´allontanare alcune interpretazioni secondo cui le questioni private lo abbiano reso «ricattabile». Per lo stesso motivo, dunque, ha puntato i suoi riflettori su giornali e tv. «Noi - spiegava nella stessa riunione che si è tenuta a Villa San Martino - dobbiamo riuscire a dire tutto quello che facciamo. Spesso non comunichiamo tutti i nostri risultati. Nei mass media ci sono troppi pregiudizi. E adesso è arrivato il momento di superarli». Non per niente ha premuto sull´acceleratore per le nomine della Rai. Come aveva fatto nel 2002 con il cosiddetto "editto di Sofia", anche ieri ha puntato l´indice contro la tv pubblica (in particolare il Tg3) e il gruppo L´Espresso-Repubblica. Ma soprattutto ha ripreso a muoversi sullo scacchiere delle sue imprese editoriali. Ha «ripescato» Vittorio Feltri proprio per assegnare al Giornale una linea più aggressiva. Un direttore in grado di avere pure «una faccia televisiva». Ha spostato Mulè a Panorama dopo l´addio di Belpietro e ha fatto rientrare Giordano a Italia1. Tutte operazioni legate da un unico filo rosso: quello tessuto per allestire una difesa intorno al governo sotto il profilo della comunicazione. Anche perché, sebbene Berlusconi parli di «record» per quanto riguarda gli indici di popolarità, nelle ultime settimane anche i suoi sondaggisti di fiducia hanno dovuto registrare un calo. Il 68% di popolarità non è più il 72% segnalato ad aprile. Una flessione - ripete in questi giorni - provocata soprattutto dalla scarsa attenzione degli organi di informazione all´attività dell´esecutivo. Senza contare la recente diffidenza emersa nel mondo cattolico e il fastidio che serpeggia nell´universo femminile in seguite ai noti scandali. Il precedente sondaggio, ad esempio, segnava un meno 13% tra le donne. Un contesto, dunque, che per Berlusconi impone un contrattacco. Tant´è che da settembre i suoi riflettori si accenderanno anche sull´altro punto: la politica internazionale. Perché, al di là delle dichiarazioni pubbliche, il premier si sta lamentando dei danni subiti dalla sua immagine all´estero. E dopo le vacanze estive è pronto ad un tour de force in giro per le cancellerie europee.

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Referendum, il sì a valanga Mamadou Tandja inarrestabile (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 08-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Referendum, il sì a valanga Mamadou Tandja inarrestabile Ha vinto il «sì», con il 92,50 per cento dei voti: è questo, secondo la Commissione elettorale, il risultato del controverso referendum sulla modifica della Costituzione che si è tenuto martedì scorso in Niger. Il tasso di affluenza alle urne, sempre secondo la Commissione, è stato del 68,26 per cento. Il voto popolare del 4 agosto era stato voluto dal presidente Mamadou Tandja, il cui secondo mandato consecutivo scadrà il 22 Dicembre. Grazie alle modifiche approvate con il referendum, Tandja potrà rimanere in carica altri tre anni e ripresentarsi senza limiti. Il voto era stato boicottato dall'opposizione e preceduto da una vasta campagna di sensibilizzazione della società civile sui valori democratici. Per contrastare l'opposizione al referendum, nei mesi scorsi Tandja aveva sciolto il parlamento, il principale partito anti-governativo (Convention démocratique et sociale) e sostituito i membri della Corte costituzionale. Questi provvedimenti hanno suscitato molte critiche anche all'estero, in Africa ma anche in Europa e negli Stati uniti. L'Unione europea ha già sospeso l'erogazione di una «tranche» di aiuti e minacciato «serie conseguenze» nella cooperazione con il Niger se Tandja porterà avanti - come ormai assai plausibile - i suoi piani autoritari.

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"In autunno tenteranno di buttarmi giù" il premier chiama alle armi i media di casa (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica.it" del 08-08-2009)

Argomenti: Giustizia

ROMA - "Prepariamoci ad una fase difficile. In autunno ci sarà l'ultimo tentativo di buttarmi giù con le solite armi della sinistra". Solo pochi giorni fa, durante una cena con un gruppo di fedelissimi ad Arcore, Silvio Berlusconi ha iniziato a organizzare la "campagna d'autunno". Dopo gli ultimi passaggi parlamentari - in primo luogo l'approvazione faticosa del decreto anticrisi - il Cavaliere non ha nascosto i timori su quella che ha definito "una fase difficile". La paura del "complotto", i sospetti su eventuali "ribaltoni" e semplicemente i rischi di una dinamica economica ingarbugliata stanno agitando i sonni del premier. I quattro mesi di qui a fine anno sono infatti considerati "decisivi". Il vero banco di prova per l'esecutivo. "Se lo supereremo - è la convinzione di tutto lo staff del presidente del Consiglio - tutto il resto sarà più facile". I timori, infatti, riguardano il possibile picco della crisi economica. L'ultimo dato sul pil ha segnato un'ulteriore flessione. Il meno 6% di ieri è un indice ancora peggiore rispetto alle previsioni, già fosche, di Palazzo Chigi. Le stime sul calo dell'occupazione indicano un profondo rosso. Un contesto che, coniugato alle vicende personali e al pressing di buona parte della stampa estera, sta allarmando il capo del governo. Il quale ha messo subito in cantiere le sue contromosse. A suo giudizio, infatti, se davvero la recessione dovesse rilasciare i suoi effetti più negativi proprio in autunno, "qualcuno potrebbe approfittarne". Il sospetto della "campagna" di aggressione nei suoi confronti non riesce a dissolversi. Una manovra che, a suo giudizio, potrebbe essere giocata sulla paralisi economica, sugli scandali che negli ultimi tre mesi hanno condizionato l'attività dell'esecutivo e sulla sentenza della Corte costituzionale che si esprimerà sul Lodo Alfano, ossia sullo scudo che protegge le più alte cariche istituzionali dalle indagini della magistratura. Il tutto - ripete sempre più spesso il Cavaliere - "ingigantito" dai mass media. Un clima che - sono le osservazioni di molti dei suoi collaboratori - rischia di trovare sponde nei settori della maggioranza più "influenzabili". Non a caso, ieri il presidente del Consiglio ha insistito nell'allontanare alcune interpretazioni secondo cui le questioni private lo abbiano reso "ricattabile". OAS_RICH('Middle'); Per lo stesso motivo, dunque, ha puntato i suoi riflettori su giornali e tv. "Noi - spiegava nella stessa riunione che si è tenuta a Villa San Martino - dobbiamo riuscire a dire tutto quello che facciamo. Spesso non comunichiamo tutti i nostri risultati. Nei mass media ci sono troppi pregiudizi. E adesso è arrivato il momento di superarli". Non per niente ha premuto sull'acceleratore per le nomine della Rai. Come aveva fatto nel 2002 con il cosiddetto "editto di Sofia", anche ieri ha puntato l'indice contro la tv pubblica (in particolare il Tg3) e il gruppo L'Espresso-Repubblica. Ma soprattutto ha ripreso a muoversi sullo scacchiere delle sue imprese editoriali. Ha "ripescato" Vittorio Feltri proprio per assegnare al Giornale una linea più aggressiva. Un direttore in grado di avere pure "una faccia televisiva". Ha spostato Mulè a Panorama dopo l'addio di Belpietro e ha fatto rientrare Giordano a Italia1. Tutte operazioni legate da un unico filo rosso: quello tessuto per allestire una difesa intorno al governo sotto il profilo della comunicazione. Anche perché, sebbene Berlusconi parli di "record" per quanto riguarda gli indici di popolarità, nelle ultime settimane anche i suoi sondaggisti di fiducia hanno dovuto registrare un calo. Il 68% di popolarità non è più il 72% segnalato ad aprile. Una flessione - ripete in questi giorni - provocata soprattutto dalla scarsa attenzione degli organi di informazione all'attività dell'esecutivo. Senza contare la recente diffidenza emersa nel mondo cattolico e il fastidio che serpeggia nell'universo femminile in seguite ai noti scandali. Il precedente sondaggio, ad esempio, segnava un meno 13% tra le donne. Un contesto, dunque, che per Berlusconi impone un contrattacco. Tant'è che da settembre i suoi riflettori si accenderanno anche sull'altro punto: la politica internazionale. Perché, al di là delle dichiarazioni pubbliche, il premier si sta lamentando dei danni subiti dalla sua immagine all'estero. E dopo le vacanze estive è pronto ad un tour de force in giro per le cancellerie europee. (8 agosto 2009

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Il notaio deve pagare l'Irap (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 08-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI PROFESSIONISTI data: 2009-08-08 - pag: 19 autore: Imposte contese. La Corte di cassazione precisa gli obblighi sul prelievo regionale Il notaio deve pagare l'Irap Non è rilevante che l'organizzazione derivi da pubbliche funzioni Sergio Trovato I notai sono soggetti all'Irap anche se la loro attività professionale è autonomamente organizzata per lo svolgimento di pubbliche funzioni ed è lo stesso legislatore che gli impone il collegamento telematico con enti pubblici e banche dati e l'utilizzo di personale necessario al corretto svolgimento degli incarichi. Lo ha affermato la sezione tributaria della Corte di cassazione, con la sentenza 16855 del 20 luglio 2009. Un notaio aveva chiesto il rimborso dell'Irap per l'inesistenza del presupposto del tributo, in quanto l'organizzazione dell'attività professionale è imposta ex lege per l'espletamento di pubbliche funzioni. Il ricorso era stato accolto in primo grado. In appello, invece, il giudice aveva ritenuto esistente il presupposto d'imposta perché il professionista faceva ricorso al lavoro dipendente e utilizzava beni strumentali. Anche per i giudici di piazza Cavour non hanno alcun rilievo «le considerazioni circa la ricorrenza obbligata di una autonomia organizzativa e di una complessità organizzativa nell'attività dei notai». Del resto, la Cassazione (sentenza 14693/2009) ha chiarito, per esempio, come sia sufficiente la presenza di elementi modesti di organizzazione nello svolgimento dell'attività professionale e l'ausilio di un collaboratore non occasionale, anche se a tempo parziale, perché un professionista possa essere assoggettato al pagamento dell'imposta. Nella motivazione della sentenza 16855 i giudici di legittimità hanno ribadito che per il pagamento dell'Irap è richiesta l'autonoma organizzazione,costituita da impiego di capitali, risorse, beni strumentali e lavoro altrui non occasionale. Dunque, la presenza di elementi che da soli sono in grado di accrescere la potenzialità reddituale del contribuente. In presenza di un reddito che non è direttamente riconducibile a un'organizzazione autonoma (Corte costituzionale, sentenza 156/2001) e, invece, del tutto dipendente dal titolare professionista, è esclusa l'applicazione dell'imposta (Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione XIV, sentenza 98/2005). I professionisti, quindi, sono soggetti all'Irap quando nella loro attività si avvalgono di collaboratori, effettuano investimenti economici e utilizzano sofisticate strutture informatiche, che da soli sono idonei a creare un quid pluris di capacità contributiva e un valore aggiunto tassabile. Il loro reddito non può essere assoggettato a Irap quando è il risultato solo del lavoro personale. La mancanza di organizzazione può essere dimostrata attraverso la documentazione dei costi sostenuti nell'esercizio dell'attività. Anche i giudici di merito, dunque, hanno sostenuto che l'imposta è dovuta quando si è in presenza di un contribuente che eserciti l'attività con un'organizzazione autonoma, costituita da un insieme di capitale, anche se di importo non elevato, e di lavoro, coordinati in modo tale da creare valore aggiunto con un ridotto apporto personale del professionista. © RIPRODUZIONE RISERVATA L'INDICAZIONE Per i giudici di legittimità non incide il fatto che l'utilizzo della struttura sia imposto dall'attività per conto dello stato

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Esentati i medici del Ssn (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 08-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI PROFESSIONISTI data: 2009-08-08 - pag: 19 autore: La Ctp di Torino: l'organizzazione non ha effetti economici Esentati i medici del Ssn Alessandro Meloncelli Due sentenze della commissione tributaria provinciale di Torino (Sezione XIII, sentenze 74 e 75 del 7 luglio) hanno fornito un contributo alla progressiva definizione del presupposto di applicazione dell'Irap ai redditi di lavoro autonomo, rappresentato dalla necessaria autonomia dell'organizzazione utilizzata nell'esercizio dell'attività. I redditi ritratti dall'attività esercitata dai medici di medicina generale (Mmg) in convenzione con il Ssn non sono assoggettabili a Irap, affermano i giudici, «qualunque sia l'organizzazione che il medico intende darsi, in quanto non produce vantaggi economici maggiori rispetto a quelli prodotti con le proprie capacità individuali». La Ctp di Torino ha come presupposto la definizione di autonoma organizzazione che la Corte di cassazione ha elaborato a partire dalla sentenza della Corte costituzionale 156/2001 che ha riconosciuto imponibili i redditi di lavoro autonomo solo nei casi in cui l'attività sia esercitata con un'organizzazione in grado di imprimere alle capacità lavorative e produttive del professionista un impulso economicamente rilevante che altrimenti non riuscirebbe a ottenere. Su questa definizione una larghissima giurisprudenza di merito ha trovato spazio, individuando l'esistenza del presupposto impositivo con una valutazione caso per caso dell'importanza assunta dal numero dei dipendenti e dalla consistenza e natura dei beni strumentali. In termini più generali, l'organizzazione ha assunto la qualifica di autonoma con una valutazione di tipo sostanzialmente quantitativo, in base all'ampiezza dei fattori produttivi impiegati. La valutazione quindi si incentra su una rilevazione di fatto su cui la Cassazione peraltro in varie occasioni si è rifiutata di intervenire, rinviando il giudizio alle Ctr. Il profilo di novità nel caso dei medici convenzionati con il Ssn consiste nella conclusione che l'organizzazione a supporto del lavoratore autonomo non può mai avere le caratteristiche dell'autonomia tali da configurare il presupposto imponibile dell'Irap. Qualunque sia l'ampiezza, l'articolazione e l'efficienza della propria struttura organizzativa l'attività del medico non beneficia di alcun impulso economicamente rilevante. Infatti, la natura soggettiva dei medici di medicina generale con molte difficoltà è assimilabile a quella degli autonomi. è previsto dagli accordi convenzionali con il Ssn un regime di vincoli rigoroso entro i quali sono tenuti a esercitare l'attività: orari, conformità a standard predefiniti, obbligatorietà della struttura minima e limiti di età. La struttura dei compensi nonè basata sulla libera contrattazione tra le parti, ma è legata a parametri ancorati al numero degli assistiti. La consistenza della struttura organizzativa, pertanto, si risolve in un onere che diminuisce i proventi prestabiliti, migliorando la qualità della prestazione piuttosto che accrescendone le potenzialità economiche. In questo senso è netta la conclusione della Ctp: «Manca quindi quel "quid pluris" che l'organizzazione può dare in termini di arricchimento del medico, in sovrappiù rispetto a quanto da lui prodotto con le proprie capacità individuali». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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perché la lega sta facendo ammuina - (segue dalla prima pagina) (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 09-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina 23 - Commenti PERCHé LA LEGA STA FACENDO AMMUINA (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Le due insicurezze e le isterie che ne derivano – quella del premier e quella della Lega – rischiano di raggiungere la loro massima intensità nei prossimi mesi a partire dalla ripresa di settembre, con conseguenze preoccupanti sulla tenuta democratica. Perciò è urgente e necessario approfondire questa diagnosi e ricercarne le cause. * * * Sappiamo da sempre quali siano gli obiettivi politici della Lega: staccare le sorti del lombardo-veneto e possibilmente dell´intera Padania dal resto del Paese. Per un lungo periodo vagheggiarono una vera e propria secessione mantenendo semmai un innocuo legame confederativo con le altre zone del paese. Ma visto che la Padania in quanto tale era malvista come entità politico-territoriale da moltissimi dei suoi abitanti, ripiegarono sul federalismo, fiscale e istituzionale. L´obiettivo era ed è quello di trattenere il reddito e la ricchezza nei luoghi dove si forma, concedendo blande forme di perequazione alle zone più deboli. E poiché l´alleanza politica con la Lega è sempre stato uno dei punti fermi di Berlusconi a partire dalla sua prima discesa in campo, così il federalismo fiscale e istituzionale diventò anche un obiettivo di Forza Italia ed ora del Partito della libertà, essendosi in buona parte spente le resistenze un tempo opposte da An in nome dell´unità nazionale. Poiché un obiettivo così complesso come quello di trasformare uno Stato unitario e centralizzato in un´unione di regioni federate aveva bisogno di aggregare ampi e solidi consensi in tutto il Paese e poiché il federalismo in quanto tale quei consensi non era in grado di produrli, gli strumenti per ottenerli furono individuati nei due temi, strettamente connessi tra loro, della sicurezza e della lotta contro l´immigrazione. Fu messa in campo tutta la potenza mediatica della quale Berlusconi dispone per montare al massimo la "paura percepita" dei reati e il loro collegamento con l´immigrazione. In particolare con quella clandestina, ma anche con quella regolarizzata che ammonta ormai a quasi 5 milioni di persone. Questa strategia, che aveva già dato i primi risultati nella legislatura 2001-2006, fu ampiamente premiata durante la campagna elettorale del 2007 ed ha raggiunto ora il punto culmine di attuazione. La legge-quadro sul federalismo è stata votata (con l´astensione del centrosinistra) nello scorso maggio. Pochi giorni fa è stata approvata la legge sulla sicurezza. Alla ripresa di settembre verranno sul tavolo i problemi della delega e dei decreti delegati per la graduale attuazione del federalismo fiscale, nonché la riforma costituzionale che trasformerà il Senato in Assemblea delle autonomie con tutto il ricasco che una tale trasformazione avrà sull´organizzazione del governo, delle istituzioni di controllo a cominciare dal Parlamento, dalla Corte costituzionale e dall´Ordine giudiziario. Per finire con inevitabili modifiche sul ruolo del presidente della Repubblica. Insomma, un sommovimento istituzionale di ampie dimensioni che ha come radice il federalismo fiscale e come obiettivo della Lega quello di "isolare" la parte ricca ed efficiente del paese dal contagio con la parte "povera, brutta e cattiva" che vive "oziosa e parassitaria" nel Centro e nel Sud. Poiché questa strategia sta andando avanti ed è stata fin qui largamente premiata per l´asse Berlusconi-Bossi, sembrerebbe incongruo parlare di isteria, soprattutto per quanto riguarda la Lega. E invece no. La strategia nordista si trova infatti proprio ora ad una stretta e in uno stallo che forse i suoi fautori non avevano previsto e che rischia di frantumargli in mano il giocattolo che volevano costruire. * * * Voglio dire che, passando da una versione generica e ideologica ad una concreta, sono emerse alcune gravi difficoltà ed alcune profonde reazioni che stanno prendendo corpo e suscitando crescente inquietudine. Non si tratta soltanto della rabbiosa rivendicazione dei siciliani di Lombardo e di Micciché, che il premier è ancora in grado di tacitare con regalie personali e spostamento di risorse. Si tratta dell´incognita del federalismo fiscale che è arrivata ormai al punto di svolta. Dopo la legge-quadro che è stata un puro elenco di intenzioni e di vaghi principi, si profila ora il passaggio dall´ideologia al merito, emergono le contraddizioni, la diversità degli interessi, la complessità dei parametri e soprattutto l´incognita del costo. Nessuno è in grado di dire quanto costerà il federalismo fiscale, chi ne sopporterà l´onere maggiore, quali ne saranno i vantaggi per la comunità nazionale, per le zone più ricche come per quelle più povere, tenendo presente che ricchezza e povertà non sono divisibili soltanto tra il Nord e il Sud poiché aree ricche esistono anche nel Mezzogiorno (soprattutto quelle che coincidono con le organizzazioni criminali e con le clientele della zona grigia) così come sacche di povertà frastagliano anche il Nord. Le cifre del federalismo fiscale non le conosce nessuno, neppure il ministro dell´Economia che pure dovrebbe esserne debitamente informato. Quelle cifre danno (a regime) un saldo attivo o un saldo passivo? Quanto tempo dovrà passare perché il sistema funzioni a pieno ritmo? E che cosa accadrà nel frattempo, quali scosse, quali tensioni si verificheranno e quali ceti sociali e quali territori avvertiranno quelle scosse con maggiore intensità? Questo nodo di domande ha fatto dire a chi spinge avanti il progetto federalista che la qualità del budino si conoscerà dopo averlo mangiato. Lo stesso Tremonti ha usato l´immagine del budino. Dal canto mio dico, parafrasando, che il federalismo fiscale è come l´araba fenice: che ci sia ciascuno lo dice, come sia nessuno lo sa. Potrà essere un salto di qualità oppure una trappola di sabbie mobili, una più solida democrazia oppure un brulicare di burocrazie, un diretto controllo dei cittadini o una delega in bianco a gruppi di potere locali. Infine un´accresciuta solidarietà oppure una secessione silenziosa e lo sfasciamento del paese. Tutto si svolge alla cieca. Ecco perché perfino la Lega è impaurita ed ecco perché i tempi di realizzazione concreta del federalismo fiscale saranno inevitabilmente allungati. Nel frattempo però il consenso popolare rischia di smottare e alcuni segnali già ci sono. In vista di questo pericolo il terzetto di punta della Lega ha deciso di fare "ammuina": le ronde, le gabbie salariali, il ritiro delle missioni militari all´estero, la guerra delle bandiere regionali contro quella nazionale, sono pura e semplice "ammuina" per nascondere che l´incognita del federalismo fa paura perfino a coloro che lo hanno voluto e portato avanti fino ad un punto di non ritorno. Domenica scorsa scrissi che questa situazione di disfacimento e di secessione silenziosa richiede il lancio di un allarme rosso che blocchi la deriva e metta in campo tutte le energie positive, latenti ma disperse, e le riporti in campo. Ripeto quel mio invito. E´ il momento che queste energie potenziali entrino in scena, si manifestino, usino gli strumenti che ci sono per costruirne altri più appropriati ed efficaci. Temo che non ci sia tempo da perdere. L´abbiamo detto tante volte in questi quindici anni ed anche prima. Purtroppo era sempre vero ma questa volta è più vero che mai. * * * Post Scriptum. Il ministro Brunetta (ma sì, quel simpaticone) ci ha scritto una lettera a proposito dello sfondamento della spesa ordinaria di 35 miliardi tra il 2008 e il 2009. Avevo scritto che uno sfondamento di tali dimensioni in una fase di crisi e dissesto dei nostri conti pubblici (anche se il ministro Tremonti continua pervicacemente a negare quest´evidenza da lui stesso documentata nell´ultimo Dpef) era incomprensibile. Quei miliardi di euro equivalgono ad un aumento del 4,9 per cento della spesa ordinaria. Vogliamo sapere a che cosa sono serviti. E´ una curiosità morbosa? Tremonti dovrebbe rispondere ma ecco che in sua vece ha risposto Brunetta nella lettera da noi pubblicata. So bene che con questo «post scriptum» espongo i lettori di "Repubblica" al rischio di un´altra lettera del Brunetta medesimo, ma le cifre da lui fornite chiedono risposta. Dunque. Scrive il ministro della Funzione pubblica che tra il 2008 e il 2009 le spese della Pubblica amministrazione destinate al personale sono aumentate di circa quattro miliardi. Il ministro ne spiega la ragione e noi non vogliamo entrare nel merito. Spiega anche che la spesa per "Consumi intermedi" è a sua volta aumentata da un anno all´altro di 3850 milioni. Non dice il perché, debbo dedurne che si tratta di sprechi. Altro Brunetta non dice. Il totale delle risorse da lui giustificate nel modo suddetto ammonta dunque a poco meno di otto miliardi. Lo sfondamento della spesa ordinaria è stato di 35 miliardi. La differenza per la quale attendiamo ancora notizie dal ministro dell´Economia o dal suo vice alla Funzione pubblica è quindi di 27 miliardi di euro. Volete per favore dire alla pubblica opinione come diavolo li avete spesi?

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Perché la Lega sta facendo ammuina (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica.it" del 09-08-2009)

Argomenti: Giustizia

LA PAROLA "isteria" e l'aggettivo "isterico" sono stati usati per la prima volta da Ezio Mauro nel suo articolo di ieri a proposito dei recentissimi comportamenti del nostro presidente del Consiglio. Si sente braccato, inventa un suo ruolo maieutico in tutte le trattative internazionali che si rivela però del tutto infondato (a cominciare dal vertice russo-turco sul gasdotto); insulta come delinquenti due giornalisti che fanno domande scomode ma pertinenti nel corso di una conferenza stampa da lui convocata; teme l'arrivo di un settembre difficile per il governo e per lui e lo dice nel corso d'una riunione con i suoi collaboratori mentre contemporaneamente riafferma che il peggio della crisi è passato e che da settembre verrà il bello. Insomma isteria. Isteria da insicurezza psicologica, economica, politica. Osservo tuttavia che il presidente del Consiglio non è il solo a soffrire di questo sintomo e a manifestarlo con i suoi comportamenti. Ne sta infatti visibilmente soffrendo il partito a lui più vicino, quello dalla cui tenuta dipende la permanenza in carica del governo e del premier. Parlo della Lega Nord e del terzetto che la guida: Umberto Bossi e i suoi colonnelli Calderoli e Maroni. I loro più recenti comportamenti non consentono dubbi su questa diagnosi: il terzetto di punta della Lega sembra in preda ad un male oscuro al quale cerca di sottrarsi inseguendo alternative che hanno il solo effetto di peggiorare la situazione e di scaricarne gli effetti negativi non tanto sulla Lega quanto sull'intera comunità nazionale. Le due insicurezze e le isterie che ne derivano - quella del premier e quella della Lega - rischiano di raggiungere la loro massima intensità nei prossimi mesi a partire dalla ripresa di settembre, con conseguenze preoccupanti sulla tenuta democratica. Perciò è urgente e necessario approfondire questa diagnosi e ricercarne le cause. OAS_RICH('Middle'); * * * Sappiamo da sempre quali siano gli obiettivi politici della Lega: staccare le sorti del lombardo-veneto e possibilmente dell'intera Padania dal resto del Paese. Per un lungo periodo vagheggiarono una vera e propria secessione mantenendo semmai un innocuo legame confederativo con le altre zone del paese. Ma visto che la Padania in quanto tale era malvista come entità politico-territoriale da moltissimi dei suoi abitanti, ripiegarono sul federalismo, fiscale e istituzionale. L'obiettivo era ed è quello di trattenere il reddito e la ricchezza nei luoghi dove si forma, concedendo blande forme di perequazione alle zone più deboli. E poiché l'alleanza politica con la Lega è sempre stato uno dei punti fermi di Berlusconi a partire dalla sua prima discesa in campo, così il federalismo fiscale e istituzionale diventò anche un obiettivo di Forza Italia ed ora del Partito della libertà, essendosi in buona parte spente le resistenze un tempo opposte da An in nome dell'unità nazionale. Poiché un obiettivo così complesso come quello di trasformare uno Stato unitario e centralizzato in un'unione di regioni federate aveva bisogno di aggregare ampi e solidi consensi in tutto il Paese e poiché il federalismo in quanto tale quei consensi non era in grado di produrli, gli strumenti per ottenerli furono individuati nei due temi, strettamente connessi tra loro, della sicurezza e della lotta contro l'immigrazione. Fu messa in campo tutta la potenza mediatica della quale Berlusconi dispone per montare al massimo la "paura percepita" dei reati e il loro collegamento con l'immigrazione. In particolare con quella clandestina, ma anche con quella regolarizzata che ammonta ormai a quasi 5 milioni di persone. Questa strategia, che aveva già dato i primi risultati nella legislatura 2001-2006, fu ampiamente premiata durante la campagna elettorale del 2007 ed ha raggiunto ora il punto culmine di attuazione. La legge-quadro sul federalismo è stata votata (con l'astensione del centrosinistra) nello scorso maggio. Pochi giorni fa è stata approvata la legge sulla sicurezza. Alla ripresa di settembre verranno sul tavolo i problemi della delega e dei decreti delegati per la graduale attuazione del federalismo fiscale, nonché la riforma costituzionale che trasformerà il Senato in Assemblea delle autonomie con tutto il ricasco che una tale trasformazione avrà sull'organizzazione del governo, delle istituzioni di controllo a cominciare dal Parlamento, dalla Corte costituzionale e dall'Ordine giudiziario. Per finire con inevitabili modifiche sul ruolo del presidente della Repubblica. Insomma, un sommovimento istituzionale di ampie dimensioni che ha come radice il federalismo fiscale e come obiettivo della Lega quello di "isolare" la parte ricca ed efficiente del paese dal contagio con la parte "povera, brutta e cattiva" che vive "oziosa e parassitaria" nel Centro e nel Sud. Poiché questa strategia sta andando avanti ed è stata fin qui largamente premiata per l'asse Berlusconi-Bossi, sembrerebbe incongruo parlare di isteria, soprattutto per quanto riguarda la Lega. E invece no. La strategia nordista si trova infatti proprio ora ad una stretta e in uno stallo che forse i suoi fautori non avevano previsto e che rischia di frantumargli in mano il giocattolo che volevano costruire. * * * Voglio dire che, passando da una versione generica e ideologica ad una concreta, sono emerse alcune gravi difficoltà ed alcune profonde reazioni che stanno prendendo corpo e suscitando crescente inquietudine. Non si tratta soltanto della rabbiosa rivendicazione dei siciliani di Lombardo e di Micciché, che il premier è ancora in grado di tacitare con regalie personali e spostamento di risorse. Si tratta dell'incognita del federalismo fiscale che è arrivata ormai al punto di svolta. Dopo la legge-quadro che è stata un puro elenco di intenzioni e di vaghi principi, si profila ora il passaggio dall'ideologia al merito, emergono le contraddizioni, la diversità degli interessi, la complessità dei parametri e soprattutto l'incognita del costo. Nessuno è in grado di dire quanto costerà il federalismo fiscale, chi ne sopporterà l'onere maggiore, quali ne saranno i vantaggi per la comunità nazionale, per le zone più ricche come per quelle più povere, tenendo presente che ricchezza e povertà non sono divisibili soltanto tra il Nord e il Sud poiché aree ricche esistono anche nel Mezzogiorno (soprattutto quelle che coincidono con le organizzazioni criminali e con le clientele della zona grigia) così come sacche di povertà frastagliano anche il Nord. Le cifre del federalismo fiscale non le conosce nessuno, neppure il ministro dell'Economia che pure dovrebbe esserne debitamente informato. Quelle cifre danno (a regime) un saldo attivo o un saldo passivo? Quanto tempo dovrà passare perché il sistema funzioni a pieno ritmo? E che cosa accadrà nel frattempo, quali scosse, quali tensioni si verificheranno e quali ceti sociali e quali territori avvertiranno quelle scosse con maggiore intensità? Questo nodo di domande ha fatto dire a chi spinge avanti il progetto federalista che la qualità del budino si conoscerà dopo averlo mangiato. Lo stesso Tremonti ha usato l'immagine del budino. Dal canto mio dico, parafrasando, che il federalismo fiscale è come l'araba fenice: che ci sia ciascuno lo dice, come sia nessuno lo sa. Potrà essere un salto di qualità oppure una trappola di sabbie mobili, una più solida democrazia oppure un brulicare di burocrazie, un diretto controllo dei cittadini o una delega in bianco a gruppi di potere locali. Infine un'accresciuta solidarietà oppure una secessione silenziosa e lo sfasciamento del paese. Tutto si svolge alla cieca. Ecco perché perfino la Lega è impaurita ed ecco perché i tempi di realizzazione concreta del federalismo fiscale saranno inevitabilmente allungati. Nel frattempo però il consenso popolare rischia di smottare e alcuni segnali già ci sono. In vista di questo pericolo il terzetto di punta della Lega ha deciso di fare "ammuina": le ronde, le gabbie salariali, il ritiro delle missioni militari all'estero, la guerra delle bandiere regionali contro quella nazionale, sono pura e semplice "ammuina" per nascondere che l'incognita del federalismo fa paura perfino a coloro che lo hanno voluto e portato avanti fino ad un punto di non ritorno. Domenica scorsa scrissi che questa situazione di disfacimento e di secessione silenziosa richiede il lancio di un allarme rosso che blocchi la deriva e metta in campo tutte le energie positive, latenti ma disperse, e le riporti in campo. Ripeto quel mio invito. E' il momento che queste energie potenziali entrino in scena, si manifestino, usino gli strumenti che ci sono per costruirne altri più appropriati ed efficaci. Temo che non ci sia tempo da perdere. L'abbiamo detto tante volte in questi quindici anni ed anche prima. Purtroppo era sempre vero ma questa volta è più vero che mai. * * * Post Scriptum. Il ministro Brunetta (ma sì, quel simpaticone) ci ha scritto una lettera a proposito dello sfondamento della spesa ordinaria di 35 miliardi tra il 2008 e il 2009. Avevo scritto che uno sfondamento di tali dimensioni in una fase di crisi e dissesto dei nostri conti pubblici (anche se il ministro Tremonti continua pervicacemente a negare quest'evidenza da lui stesso documentata nell'ultimo Dpef) era incomprensibile. Quei miliardi di euro equivalgono ad un aumento del 4,9 per cento della spesa ordinaria. Vogliamo sapere a che cosa sono serviti. E' una curiosità morbosa? Tremonti dovrebbe rispondere ma ecco che in sua vece ha risposto Brunetta nella lettera da noi pubblicata. So bene che con questo "post scriptum" espongo i lettori di "Repubblica" al rischio di un'altra lettera del Brunetta medesimo, ma le cifre da lui fornite chiedono risposta. Dunque. Scrive il ministro della Funzione pubblica che tra il 2008 e il 2009 le spese della Pubblica amministrazione destinate al personale sono aumentate di circa quattro miliardi. Il ministro ne spiega la ragione e noi non vogliamo entrare nel merito. Spiega anche che la spesa per "Consumi intermedi" è a sua volta aumentata da un anno all'altro di 3850 milioni. Non dice il perché, debbo dedurne che si tratta di sprechi. Altro Brunetta non dice. Il totale delle risorse da lui giustificate nel modo suddetto ammonta dunque a poco meno di otto miliardi. Lo sfondamento della spesa ordinaria è stato di 35 miliardi. La differenza per la quale attendiamo ancora notizie dal ministro dell'Economia o dal suo vice alla Funzione pubblica è quindi di 27 miliardi di euro. Volete per favore dire alla pubblica opinione come diavolo li avete spesi? (9 agosto 2009

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il potere senza controllo - (segue dalla prima pagina) (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 10-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina 21 - Commenti IL POTERE SENZA CONTROLLO (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Piuttosto nella concretissima dimensione istituzionale dove, invece, si è realizzato uno stravolgimento continuo del sistema delle garanzie al quale sono affidate le possibilità stesse di funzionamento della democrazia. Consideriamo quel che è avvenuto solo nelle ultime settimane. Si è andati all´assalto della Banca d´Italia e della Corte dei Conti. Si è stravolto in forme sconcertanti l´uso del decreto legge. Si è inflitta l´ennesima mortificazione al Parlamento, con un ricorso al voto di fiducia che azzera l´autonomia di deputati e senatori e conferma l´ostilità mai nascosta di Berlusconi per l´istituzione parlamentare. Si è realizzata una nuova blindatura del sistema televisivo intorno agli interessi delle reti Mediaset, ai quali vengono subordinate le reti che dovrebbero essere pubbliche. Si è manifestata una volta di più l´ostilità per la libertà di informazione e di critica, con toni variamente intimidatori verso chi scrive cronache sportive o riferisce di vizi privati che annientano le virtù pubbliche. Un comune denominatore unisce queste diverse iniziative. Il bisogno di un potere sciolto da ogni controllo; l´insofferenza per una opinione pubblica critica e vitale, non ridotta a "carne da sondaggio"; il disprezzo per ogni "governo delle leggi" che dia la regola al "governo degli uomini". Alcuni guai sono stati evitati, almeno per il momento. Grazie al provvido intervento del Presidente della Repubblica vengono salvaguardate l´autonomia della Banca d´Italia e la possibilità della Corte dei Conti di continuare a esercitare il controllo sul funzionamento delle amministrazioni pubbliche. Il Presidente della Camera, anche se inascoltato, non si stanca di ricordare quale sia il valore, davvero non negoziabile, della democrazia parlamentare. Ma più passa il tempo più la tenacia di Napolitano e Fini si rivela come il segno di difficoltà gravi del sistema istituzionale, la cui buona salute non può essere affidata ad una sorta di guerriglia istituzionale divenuta ormai quasi quotidiana. Intendiamoci. La "custodia" della Costituzione garantita dal Presidente della Repubblica è preziosa, ma rivela pure come garanzie e controlli fondamentali non siano più patrimonio dell´intero sistema, ma vadano rifugiandosi in alcuni suoi luoghi soltanto, appunto la Presidenza della Repubblica e la Corte costituzionale, di cui cresce la responsabilità. I casi ricordati prima, infatti, non sono una eccezione o una emersione casuale di pulsioni autoritarie. Rappresentano la conferma di una linea avviata fin dall´inizio della legislatura: con il Lodo Alfano e gli attacchi ripetuti e le minacce rivolte a giudici costituzionali e ordinari; con la drastica riduzione dei poteri di controllo della magistratura e del sistema dell´informazione affidata al disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche; con la negazione della stessa separazione dei poteri, che ha avuto la sua manifestazione più clamorosa, ma non unica, in occasione del caso Englaro, quando si cercò di cancellare in via legislativa una sentenza già passata in giudicato. Proprio questa vicenda consente di cogliere l´altra faccia della politica istituzionale di questo governo e della sua maggioranza. Mentre si opera tenacemente per affrancare il potere esecutivo da ogni forma di controllo, questo medesimo potere agisce anche con violenza per assumere il controllo della vita delle persone, cancellando diritti, negando l´idea stessa d´una moderna cittadinanza come patrimonio inalienabile e non comprimibile d´ogni persona. La logica dei controlli democratici è così capovolta. Di nuovo vicende recentissime. Questi sono i giorni dell´entrata in vigore del pacchetto sicurezza e dell´attacco all´autorizzazione all´uso della pillola Ru486. I diritti delle donne e degli immigrati vengono esplicitamente messi in discussione, con un inquietante ritorno verso forme di discriminazione e stigmatizzazione sociale. Quale sia l´idea di dignità e libertà femminile coltivata da questa maggioranza lo ha rivelato la "cultura" messa in campo dai comportamenti del presidente del Consiglio e dalle difese apprestate dalla sua corte. Una cultura, peraltro, che continua a fare un uso spudoratamente strumentale del riferimento alla tutela della privacy per assicurare coperture ad una figura pubblica per definizione, come il presidente del Consiglio, e per far passare norme autoritarie in materia di intercettazioni telefoniche, mentre si approva una più generale riduzione delle garanzie modificando, per asserite ragioni di efficienza, l´articolo 1 proprio del codice sulla privacy. Schizofrenia istituzionale o manifestazione ulteriore del doppio movimento in materia di controlli, inaccettabili per i potenti e costrittivi per le persone? Un inquietante "efficientismo penale" percorre il testo sulla sicurezza appena entrato in vigore. Ne conosciamo le caratteristiche. Una pericolosa privatizzazione della sicurezza pubblica attraverso le ronde. La negazione della cittadinanza come insieme di diritti che accompagnano la persona in qualsiasi luogo del mondo in cui si trovi attraverso il reato di immigrazione clandestina che porta con sé la cancellazione di diritti fondamentali come quelli di sposarsi o di avere una abitazione, e rende precaria la possibilità del diritto alla salute, all´istruzione, al riconoscimento e alla educazione dei figli (dove sono gli scatenati difensori della famiglia?). Ce lo ha appena ricordato il Presidente della Repubblica, sottolineando che la piena integrazione degli immigrati e la sicurezza sui luoghi di lavoro "sono diritti fondamentali ed esigenze totali e civili", in un messaggio significativamente letto dal presidente della Camera in uno dei luoghi simbolo della tragedia dell´emigrazione italiana, Marcinelle. La regressione culturale e civile incarnata dagli ultimi provvedimenti è evidentissima, e ha la sua origine e il suo fondamento soprattutto nella politica della Lega, la cui influenza è cresciuta a dismisura e sta producendo una curvatura del sistema istituzionale nel senso dell´accettazione della logica della diseguaglianza e della discriminazione come via per la legittimazione di identità separate e della costruzione di una cittadinanza a geometria variabile, non solo tra italiani e immigrati, ma tra gli stessi italiani in base alle appartenenze regionali. Non sono folclore i test di cultura regionale, già presi in considerazione dal ministro dell´Istruzione, o il "pluralismo delle bandiere" o il modo in cui si propongono le gabbie salariali. Più si seguono le iniziative politiche della maggioranza, più si fa pesante il bilancio istituzionale di questi quattordici mesi. Siamo di fronte a una strisciante revisione costituzionale, ad un vero e proprio abbandono della logica della Costituzione repubblicana proprio nella sua parte più significativa e impegnativa, quella dei principi e dei diritti. Le istituzioni repubblicane si scompongono lungo strategie che parlano di dissoluzione, non di federalismo. Sono le dichiarazioni di esponenti politici con impegnative responsabilità pubbliche, e non aggressive interpretazioni "laiciste", a dare la prova di una crescente debolezza dello Stato, di una sua perdita di autonomia di fronte alle gerarchie vaticane, come sta accadendo con la pretesa di far intervenire Parlamento e governo per bloccare il ricorso alla pillola Ru486. Per evitare di essere sempre più prigionieri di questa perversa "costituzione materiale", servono almeno due mosse. La prima riguarda la necessità di uscire da una forma di schizofrenia politico-istituzionale robustamente presente nel mondo del centrosinistra: si può continuare a fare analisi che rivelano i guasti di questi anni senza chiedersi se all´origine di tutto questo non vi sia pure quell´ingegneria costituzionale che ha secondato la personalizzazione del potere? La seconda rimanda alle proposte di riforma indicate come le più urgenti, in primo luogo quella dei regolamenti parlamentari che, almeno in alcune proposte, assomiglia pericolosamente a una semplice razionalizzazione delle prassi che oggi vengono indicate come spoliazione delle prerogative delle Camere. Di tutto questo bisognerà discutere, liberi dalle malie che il presidente del Consiglio cerca di esercitare su una opinione pubblica sempre meno informata e, soprattutto, dalle arretratezze di cui sono ancora prigionieri troppi suoi oppositori.

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Tassa sul lusso della Sardegna senza avallo Ue (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 10-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-08-09 - pag: 15 autore: FISCO E COSTITUZIONE Tassa sul lusso della Sardegna senza avallo Ue di Enrico De Mita imposta su aeromobili e unità di diporto istituita dalla RegioneSardegna nell'ambito delle cosiddette L' che un ruolo significativo è rivestito dalle questioni fiscali, "tasse sul lusso", applicata in maniera differenziata a seconda che i contribuenti siano o meno residenti in Sardegna, è illegittima dal punto di vista del diritto comunitario, per due motivi: sia in quanto restrizione alla libera prestazione dei servizi (articolo 49 del Trattato Ce), sia in quanto aiuto di Stato alle imprese con domicilio fiscale in Sardegna ( articolo 87 del Trattato). Queste le conclusioni dell'avvocato generale Juliane Kokott nel procedimento di fronte alla Corte di giustizia su una delle cosiddette "tasse sul lusso" istituite dalla Regione Sardegna nel 2006 e nel 2007 (conclusioni presentate il 2 luglio 2009, nella causa C-169/2008). La Regione Sardegna, nel 2006, introdusse quella che la stampa quotidiana aveva frettolosamente denominato appunto "tassa sul lusso": si tratta in realtà di distinte imposte, non già sul lusso, ma piuttosto sul turismo. Esse colpiscono, rispettivamente le plusvalenze dei fabbricati adibiti a seconde case, le seconde case a uso turistico, gli aeromobili e unità da diporto; viene anche introdotta una imposta di scopo. La legge 4/2006, istitutiva appunto tali imposte, era stata impugnata dal Governo di fronte alla Corte costituzionale, per farne dichiarare l'illegittimità. La successiva legge regionale 2/2007, che aveva l'obiettivo di correggere alcuni punti della precedente disciplina, secondo quanto rilevato dal Governo, era stata anch'essa impugnata di fronte alla Corte. Questa, nella sentenza 102/2008, riuniti i due ricorsi, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'imposta che colpisce le plusvalenze dei fabbricati adibiti a seconde case e di quella che colpisce le seconde case a uso turistico; ha invece dichiarato infondata la questione con riguardo all'imposta di soggiorno. Con l'ordinanza 103/2008, invece, la Corte ha sottoposto alla Corte di giustizia una questione di interpretazione del Trattato Ue, in riferimento all'applicabilità dell'imposta su aeromobili e unità di diporto alle imprese esercenti tali attività in maniera differenziata a seconda che siano o meno residenti in Sardegna. Avevamo già rilevato come tale profilo sia quello più interessante dal punto di vista dei principi dell'ordinamento, in quanto per la prima volta la Corte costituzionale ha sospeso un giudizio dinanzi a sé per inviare la questione alla Corte di giustizia. E ben coglie l'importanza di questo aspetto l'avvocatura generale nelle conclusioni del 2 luglio, sottolineandone la novità addirittura in apertura, rimarcando la svolta sul punto da parte della Corte costituzionale (la quale aveva in passato negato tale possibilità, da ultimo con l'ordinanza n. 536/1995) e sottolineando come essa ora si inserisca «nella cerchia delle corti costituzionali nazionali che intrattengono un rapporto di cooperazione attivo con la Corte di giustizia». Non è la prima volta, d'altra parte, nel lungo e dialettico percorso che contrassegna il rapporto tra la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana e quella della Corte di giustizia quale occasione per formulare principi di rilevante portata anche per il profilo più generale dei rapporti fra i due ordinamenti. Venendo al merito della questione, le conclusioni dell'avvocato generale non lasciano spazio a dubbi di sorta. La norma che introduce l'imposta regionale sullo scalo turistico nei confronti di soggetti non aventi domicilio fiscale in Sardegna, nell'assoggettare a tassazione le imprese non aventi domicilio fiscale in Sardegna, crea una discriminazione rispetto alle imprese che, pur svolgendo la stessa attività, non sono tenute al pagamento del tributo per il solo fatto di avere domicilio fiscale nella Regione. Detta discriminazione si pone in contrasto con l'ordinamento sia come restrizione alla libera prestazione dei servizi (articolo 49 del Trattato), sia come aiuto di Stato alle imprese con domicilio fiscale in Sardegna (articolo 87 del Trattato), con effetti discriminatori e distorsivi della concorrenza. Né valgono, a salvare il tributo le giustificazioni via via addotte dalla Regione e tutte cassate dall'avvocato generale: tributo ambientale, tutela della salute, coerenza del regime fiscale, carattere insulare della Sardegna, considerazioni di politica sociale. Se dunque, come è prevedibile in base alla casistica passata, le conclusioni dell'avvocato generale verranno accolte dalla Corte di giustizia nella sentenza, una soltanto delle quattro imposte istituite dalla Regione Sardegna sopravviverà alle censure di illegittimità costituzionale e comunitaria, vale a dire l'imposta regionale di soggiorno. La Corte costituzionale aveva affermato, con riguardo a essa, che è giustificabile un prelievo fiscale a carico soltanto dei soggiornanti non residenti nell'isola, avendo detta imposizione «lo scopo di finanziare il complesso delle spese connesse alla tutela dell'ambiente e alla promozione del turismo sostenibile nell'intera Regione,con gli opportuni aggiustamenti compensativi tra le varie zone». Non a caso un'imposta simile esiste in vari Stati dell'Unione europea, pur non sussistendo una specifica normativa comunitaria in materia di imposte di soggiorno (basti pensare, ad esempio, alla Kurtaxe tedesca, alla taxe de séjour francese, all'impuesto sobre las estancias en empresas turÍsticas de alojamiento già vigente nella Comunità autonoma delle Isole Baleari, all'impÔt sur les chambres d'hÔtels et de pensions a Bruxelles). © RIPRODUZIONE RISERVATA COOPERAZIONE Per la prima volta la Consulta ha sospeso un giudizio e lo ha sottoposto alla Corte europea PER L'AVVOCATO GENERALE I prelievi differenziati ai non residenti limitano la prestazione di servizi e falsano la concorrenza

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Tassa rifiuti senza Iva: sei milioni di famiglie hanno diritto al rimborso (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 10-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore del lunedì sezione: PRIMA data: 2009-08-10 - pag: 1 autore: Comuni. Dopo la sentenza della Consulta Tassa rifiuti senza Iva: sei milioni di famiglie hanno diritto al rimborso La tariffa rifiuti è in realtà una tassa, perché il suo costo non è direttamente proporzionale alla qualità e quantità del servizio reso. La decisione della Corte costituzionale, nella sentenza 238/2009, fa cadere l'Iva al 10%applicata sulla tariffa, e apre per 6 milioni di famiglie la strada del rimborso, che può riguardare anche gli arretrati degli anni scorsi. La decisione riguarda anche operatori economici e imprese. Chi è esente Iva ha lo stesso trattamento delle famiglie, mentre chi finora ha scaricato l'imposta pagata dovrebbe addirittura restituire le somme all'Erario. In gioco c'è una partita da 200 milioni l'anno e un intervento legislativo è urgente per evitare il caos fiscale. Persa l'Iva, i gestori dovranno poi rimodulare le tariffe, e il rischio è quello di dover pagare più di prima. Servizi u pagina 5 l'articolo prosegue in altra pagina

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Per far quadrare i conti da domani si pagherà di più (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 10-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore del lunedì sezione: IN PRIMO PIANO data: 2009-08-10 - pag: 5 autore: Il futuro. La ristrutturazione del prelievo Per far quadrare i conti da domani si pagherà di più Paolo Maggiore La decisione della Corte costituzionale sulla natura tributaria della tariffa d'igiene ambientale sembra venire incontro a una esigenza di diminuzione dei costi sostenuti dalle famiglie, certamente auspicabile in un momento di crisi economica. Ma siamo veramente sicuri che sia questo il risultato raggiungibile? Purtroppo, almeno per quel che riguarda il futuro, l'effetto rischia di essere opposto. Il sistema di determinazione della tariffa, indipendentemente dalla sua natura, deve portare obbligatoriamente alla copertura di tutti i costi sostenuti per l'espletamento del servizio. Ed è su questa base certa che occorre valutare le conseguenze future, destinate a vanificare gliaspetti positivi contenuti nella Sentenza della Corte. L'articolo 19 del Dpr 633/1972 prevede infatti che se i ricavi di un'azienda sono esenti o comunque non soggetti all'imposta, l'azienda non può detrarre l'Iva pagata sugli acquisti, che quindi si trasforma in un costo aziendale da tener presente nella determinazione dei "listini prezzi". Considerato che per le aziende del settore l'Iva sugli acquisti è in gran parte ad aliquota 20%, ma che non tutti i costi sono soggetti all'imposta, si può ragionevolmente ritenere che l'aggravio per l'indetraibilità si attesti intorno al 14 per cento. Questo importo andrà obbligatoriamente recuperato nella determinazione della tariffa per gli utenti. L'effetto perverso dell'eliminazione dell'imponibilità Iva, quindi, comporta per i consumatori un risparmio iniziale del 10% e un aggravio successivo di almeno il 14 per cento. Questa è una delle motivazioni che intutti questi anni non avevano consentito di arrivare a una lettura univoca della struttura tariffaria, in assenza di qualsiasi interpretazione autentica fornita dal legislatore. Che però può intervenire ora. Il riconoscimento della privativa da parte dell'ente locale anche nel caso di gestione del servizio affidata a terzi dovrà poi avere risvolti su una serie di problemi specifici. Uno concerne il servizio svolto nei confronti delle scuole statali, apparentemente favorite nella determinazione della tariffa dall'articolo 33-bis della legge 31/2008 che, a questo punto, potrebbe ritenersi a rischio di incostituzionalità. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL MECCANISMO La legge impone ai gestori la copertura integrale dei costi e il gioco della detraibilità farà caricare oneri maggiori rispetto all'imposta decaduta

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L'effetto domino crea il caos fiscale per le imprese (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 10-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore del lunedì sezione: IN PRIMO PIANO data: 2009-08-10 - pag: 5 autore: L'effetto domino crea il caos fiscale per le imprese Raffaele Rizzardi I cittadini, gli enti e le aziende contribuiscono al pagamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, ricevendo la cartella esattoriale – se il comune continua ad applicare la Tarsu, cioè una tassa – oppure una normale fattura, con Iva del 10%, emessa dalla società che gestisce il servizio, nel caso in cui il prelievo abbia assunto la denominazione di Tia (tariffa di igiene ambientale). L'importo addebitato al contribuente è calcolato secondo le stesse modalità in entrambi i casi: anche la Tia copre pure il costo dello spazzamento delle strade e si applica secondo criteri di tipo fiscale e non in proporzione alla quantità dei rifiuti che possono essere prodotti. Basta guardare il regolamento della Tia di una città turistica che ha adottato questo sistema: i non residenti – che magari stanno per un mese in due persone – pagano come cinque residenti tutto l'anno, cioè non in proporzione ai rifiuti che potrebbero produrre, e quindi senza alcun rapporto con la quantità e la qualità del servizio, condizione essenziale per l'emissione di una fattura con Iva. Il tema dell'onere dell'Iva sulla Tia era già stato al centro di molti interventi delle associazioni di consumatori, specie dopo che il legislatore e la Cassazione avevano riconosciuto che anche la "tariffa" è un vero tributo, per cui le liti relative devono essere portate dal giudice tributario. L'agenzia delle Entrate aveva risposto con la risoluzione 250/E del 17 giugno 2008, sostenendo che l'Iva è dovuta, richiamando la circolare 111/E del 21 maggio 1999, in quanto la Tia avrebbe natura di corrispettivo, e quindi di prestazione di servizi. Nulla da eccepire – e il problema si pone ora in modo particolare – sull'aspetto della procedura di recupero del tributo: l'utente non ha alcun titolo verso l'erario, deve chiedere il rimborso (ove spettante) al gestore, e sarà lui ad attivarsi nei confronti dell'erario. Questa costruzione è stata demolita dalla Corte costituzionale, chiamata a confermare la natura tributaria della Tia agli effetti del contenzioso. Ma nella corposa motivazione, opera di un autorevole studioso del diritto tributario come il professor Franco Gallo, la Corte dichiara che l'Iva non può essere applicata, non esistendo una differenza sostanziale tra Tarsu e Tia e mancando la condizione essenziale di corrispettività tra il servizio reso al singolo cittadino e quanto gli si chiede di pagare. Tra le tante conseguenze di questa sentenza c'è anche la ricaduta sull'Irap, per l'articolo 5-bis del Dlgs 446/97, relativo al calcolo dell'imponibile per le imprese individuali e societarie che non hanno optato per la tassazione a bilancio. Se la Tia era una prestazione di servizi, risultava deducibile per il tributo regionale, mentre non lo era la Tarsu, che non aveva questa natura. Ma se anche la Tia è una tassa, hanno sbagliato a dedurre tutti coloro che l'hanno considerata nel significato ora inammissibile. Tra i tanti pasticci della Tia c'è il problema delle modalità pratiche del contenzioso: la Corte costituzionale afferma che l'ente impositore resta il comune, e non la società che emette la "bolletta". Questo documento deve avere però i requisiti degli avvisi tributari, ma non si comprende come vada calcolato il termine di decadenza di 60 giorni per ricorrere, considerando che la "bolletta" non ha una notifica con data certa. Tornando all'imposta sul valore aggiunto, vi sono effetti di grande rilievo per il passato, in quanto tutti coloro che hanno ricevuto le fatture con Iva possono chiedere la restituzione al gestore che le ha emesse. Il gestore, a sua volta, potrà chiedere il rimborso all'erario (qui il tema controverso riguarda i termini per farlo, come insegna una sentenza della Corte di giustizia europea, la C-35/05 del 2007) ma dovrà restituire la detrazione che ha operato, "scaricando" l'Iva sui beni strumentali e sugli altri acquisti di beni e servizi. In questo modo però si evidenzierà un maggior costo del servizio, corrispondente a questa imposta indetraibile. Ma anche i soggetti con normale attività di impresa o di lavoro autonomo dovrebbero restituire all'erario la detrazione sulla Tia, in quanto non spetta se l'Iva non è dovuta. Per evitare il caos, il legislatore deve intervenire nella materia, concordando una soluzione semplificata con la Commissione europea, per evitare che scelte affrettate possano dar luogo a una procedura di infrazione alle direttive. © RIPRODUZIONE RISERVATA LA CATENA Le aziende hanno il diritto di rivalersi sull'Erario, ma devono riversare le somme prima dedotte CONTROMOSSE Per evitare contenziosi il legislatore deve concordare in fretta una soluzione chiara con l'Unione europea

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Rischio rimborsi sulla tariffa rifiuti (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 10-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore del lunedì sezione: IN PRIMO PIANO data: 2009-08-10 - pag: 5 autore: Rischio rimborsi sulla tariffa rifiuti La Tia perde l'Iva al 10%: più di sei milioni di famiglie in lizza per la restituzione Alessandro Garzon Gianni Trovati Si scrive tariffa, ma si legge tassa. Per avere l'ultima parola sulla «natura» della tariffa di igiene ambientale, la Tia, che si paga per lo smaltimento dei rifiuti, si è dovuti arrivare fino alla Corte costituzionale, che con la sentenza 238/2009 (si veda Il Sole 24 Ore del 25 luglio) ha chiuso un dibattito durato anni. I giudici delle leggi non hanno avuto dubbi, e ribaltando i ragionamenti di molti tribunali amministrativi hanno decretato che la tariffa, a guardarla bene, è una tassa. Messa così sembra una disputa per appassionati di filosofia del diritto tributario, per di più su un tema non proprio affascinante come quello dei rifiuti. Ma la questione muove interessi assai concreti e diffusi, che mettono in gioco centinaia di milioni di euro l'anno. In quanto tassa, la Tia non può essere appesantita dall'Iva, che quindi è stata finora chiesta illegittimamente ai contribuenti. La notizia ha due facce: buona per le famiglie e per le attività che non scaricano l'Iva, e che ora possono chiedere il rimborso degli arretrati, e cattiva per gli altri, che rischiano di trovarsi nuovi costi non detraibili al posto dell'Iva che prima veniva dedotta. Il ballo dell'Iva interessa quasi 17 milioni di cittadini (cioè più di 6 milioni di famiglie) e tutti gli operatori economici sparsi nei 1.193 comuni che finora hanno adottato la Tia abbandonando la vecchia tassa sui rifiuti solidi urbani (Tarsu). La somma in gioco, ovviamente, dipende dal conto annuale presentato dal gestore, su cui fino a oggi si è applicata l'Iva al 10 per cento. A una famiglia di quattro persone che abita a Roma in 100 metri quadrati, per esempio, il servizio rifiuti costa 375 euro all'anno, di cui 33 di Iva (l'imposta non si applica sull'addizionale provinciale). Nella capitale, però, la tariffa ha debuttato nel 2003, per cui i contribuenti potrebbero reclamare l'arretrato fiscale di sei anni. Per quasi mezzo milione di italiani la richiesta può andare ancora più indietro, perché il loro comune ha abbandonato la vecchia tassa all'inizio del decennio, mentre in 680mila, abitanti in comuni appena approdati alla tariffa, possono chiedere solo la cifra annuale. Il ballo dell'Iva potrebbe essere fermato solo con un aumento retroattivo della tariffa, per coprire la perdita dell'Iva e stoppare l'offensiva del contribuente. Una mossa, questa, che da un lato potrebbe corrispondere al principio per cui la tariffa deve coprire tutti i costi di gestione del servizio (ribadito dall'articolo 49 del Dlgs 22/2009), ma dall'altro si scontra con il divieto di introdurre aumenti tariffari validi per il passato (Dlgs 446/1997). La partita si fa più ricca per le utenze diverse da quelle domestiche, che pagano tariffe più alte rispetto a quelle riservate alle famiglie. In questo caso, come accennato sopra, l'esito del dare-avere dipende però dalle regole fiscali previste per la singola attività: chi è esente Iva (per esempio uno studio medico o un'assicurazione) incontra un risultato analogo a quello delle famiglie, perché non poteva in alcun modo detrarre l'imposta pagata, che quindi gli restava "in carico". Gli altri, invece, troveranno dalla ristrutturazione tariffe per compensare la mancata Iva, un costo nuovo al posto di quello che prima scaricavano. Le cifre possono essere consistenti. Chi ha un negozio di media grandezza a Padova, per esempio, paga per lo smaltimento 1.750 euro all'anno, di cui 150 di Iva, mentre l'Iva di un albergo con ristorante a Firenze vola oltre quota 5mila euro, perché la gestione dei rifiuti costa quasi 58mila euro ogni anno. Basando la stima sulle medie tariffarie registrate nell'ultimo rapporto governativo sui rifiuti (si può consultare al sito www.apat.it) è possibile stimare che tra famiglie e imprese la partita viaggi oggi intorno ai 200 milioni l'anno. Le richieste di rimborso, poi, sono destinate a innescare un effetto domino nel rapporto dei gestori con i comuni e con l'erario. Il futuro, invece, non riserva sconti ai contribuenti, né eccessivi problemi finanziari a gestori e comuni (che però dovranno riaccogliere in bilancio entrate tariffarie e costi del servizio). I gestori e, più in generale, tutti gli appaltatori del servizio, dovranno fatturare al comune il servizio reso, dopodiché il comune non potrà che includere l'Iva tra i costi che concorrono alla determinazione della tariffa. E il giro di giostra potrebbe non essere piacevole per il contribuente (si veda anche l'articolo in basso). Le casse dello Stato potrebbero guadagnare cifre consistenti perché l'addio all'Iva ferma il gioco delle detrazioni da parte delle aziende. I sindaci, comunque, dovranno in fretta mettere mano ai regolamenti per disciplinare accertamento e liquidazione del tributo, oltre alle sanzioni per chi non paga e alle modalità del contenzioso. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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LE COMPONENTI (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 10-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore del lunedì sezione: IN PRIMO PIANO data: 2009-08-10 - pag: 5 autore: LE COMPONENTI Parte fissa è la quota di tariffa che nasce per misurare le «componenti essenziali» del costo del servizio, gli investimenti e gli ammortamenti Parte variabile è l'aliquota che dovrebbe essere correlata in modo più specifico alla quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornitoe all'entità dei costi di gestione. In realtà i meccanismi di calcolo di parte fissa e variabile sono sostanzialmente analoghi per l'utente,e proprio la mancata correlazione fra quantità e qualità del servizioe corrispettivo pagato dai consumatori ha determinato la sentenza della Corte costituzionale che ha stabilito la natura tributaria e non tariffaria della Tia Iva è il 10% sulla somma di parte fissa e parte variabile Addizionale provinciale è un'ulteriore aliquota (spesso del 5%) applicata sulla somma di parte fissa e variabile

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Sull'acqua indennizzi da ottobre ma non si sa dove trovare i soldi (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 10-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore del lunedì sezione: IN PRIMO PIANO data: 2009-08-10 - pag: 5 autore: L'altra bocciatura della Corte costituzionale Sull'acqua indennizzi da ottobre ma non si sa dove trovare i soldi La tariffa rifiuti non è la prima voce dei servizi localia uscire male dall'esame della Corte costituzionale. A ottobre dell'anno scorso i giudici delle leggi si erano esercitati sul canone di depurazione, sentenziando una verità ovvia ma rivoluzionaria: chi nonè collegato all'impianto non deve pagare il servizio. Tra un mesee mezzo 14 milioni di italiani dovrebbero cominciarea ricevere i rimborsi, ma nessuno sa ancora dove prendere i soldi. Anche in quel caso, infatti, la riflessione in punta di diritto assestava una bordata ai conti dei gestori (gli Ato, ambiti territoriali ottimali, che la riforma Calderoli ora vuole cancellare), che per anni hanno chiesto puntualmente a una famiglia su quattro di pagare in media 70 euro per un servizio non reso. Il dettaglio vale 350 milioni all'anno, 3,2 miliardi di arretrati (fino al 3 ottobre 2000, data di nascita dell'attuale sistema tariffario) e mandaa picco bilanci e programmi di investimento (20 miliardi nei prossimi 15 anni) per costruire gli impianti dove non ci sono. La corsa all'indennizzo, alimentata anche dalle associazioni dei consumatori, è partita subito, ma con altrettanta rapidità è stata congelata dal governo, che per decreto ha reintrodotto il canone per tuttie ha preso tempo per gestire la grana dell'arretrato.Il canone di depurazione (Dl 208/2008, articolo 8-sexies) è diventato una «componente vincolata», che l'utente deve pagare anche se non ha il servizio quando il gestore ha avviato almeno la progettazione delle opere. Il decreto ha provato a intervenire anche sul passato, e forzando la sentenza della Corte ha stralciato dai rimborsi i soldi già spesi per progettare o avviare i depuratori mancanti. Il resto in qualche modo va restituito (anche a rate, in cinque anni), ma nelle casse degli Ato i soldi non ci sono e il rebus rimane insolubile. Il regolamento per i rimborsi, previsto per febbraio, è ancora fermo al ministero dell'Ambiente, e il Coviri, che doveva proporlo, nel frattempo è stato addirittura abolito dal decreto per l'emergenza Abruzzo. G.Tr. © RIPRODUZIONE RISERVATA REGOLAMENTO IN RITARDO Al 25% degli italiani spetta il recupero per il canone versato senza depurazione, ma il nodo-risorse ritarda il via libera del ministero

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Contenzioso con più cautele nel nuovo processo civile (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 10-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore del lunedì sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-08-10 - pag: 40 autore: ANCI RISPONDE Contenzioso con più cautele nel nuovo processo civile Mariantonietta Di Vincenzo La delega per la riforma del processo civile contiene anche disposizioni di immediata operatività sul contenzioso tributario. Gli enti locali sono chiamati a un'attenta ponderazione degli atti processuali per assicurare la migliore tutela riducendo i rischi di responsabilità amministrativa. La compensazione delle spese non potrà più essere pronunciata per «giusti motivi» ma, oltre che per soccombenza reciproca, soltanto per «gravi ed eccezionali ragioni». La parte soccombente potrà comunque essere condannata anche al pagamento di una somma ulteriore da determinare per equità. Si introduce inoltre un filtro per il giudizio in Cassazione: il ricorso è inammissibile se il giudice di secondo grado ha deciso secondo l'indirizzo della Corte e, se dall'esame del ricorso, risulta che parte ricorrente non ricaverebbe nessun vantaggio. Le difese dell'ente locale dovranno pertanto essere impostate in modo da assicurare l'accesso ai gradi superiori di giudizio e tali da evitare l'addebito di spese per non avere contrastato adeguatamente le argomentazioni della controparte. © RIPRODUZIONE RISERVATA La translatio iudicii Un contribuente ha impugnato un atto relativo al Cosap di fronte alla Commissione tributaria. In base alla sentenza della Corte costituzionale n. 64 del 10 marzo 2008, il giudice individuato nonè quello corretto, quali sono le conseguenze del suo errore? Le conseguenze sono di tipo processuale, in caso di difetto di giurisdizione il giudice infatti invece di dichiarare inammissibile il ricorso, dichiara la propria carenza di giurisdizione con sentenza e rimette le parti al giudice competente. In questo caso il contribuente avrà l'onere di riassumere la causa di fronte al giudice ordinario. La legittimazione passiva è stato notificato all'ente, oltre che al concessionario, un ricorso alla Commissione tributaria provinciale avverso una cartella di pagamento relativa all'anno 2002 (ruolo reso esecutivo il 23/9/2002). Il contribuente ha contestatoe sollevato eccezione di nullità della cartella di pagamento impugnata per intervenuta prescrizionee conseguente decadenza dei termini di riscossione (violazione dell'articolo 17,comma 1, lettera c) Dpr n. 602/73 e successive modificazioni) nonché eccezione di nullità della cartella di pagamento impugnata per violazione dell'articolo 6 comma 1 legge n. 212/2000. Considerato che la cartella di pagamento è stata notificata al contribuente il 4/4/2009,l'Ente è stato ingiustamente chiamato in giudizio? Il ricorrente ha contestato esclusivamente vizi propri della cartella, che è un atto dell'agente della riscossione; l'ente, pertanto, si deve costituire in giudizio, facendo rilevare alla commissione tributaria il difetto di legittimazione passiva, in quanto l'unico legittimato è appunto l'agente della riscossione. Essendosi così costituito in giudizio, l'ente locale può verificare il contegno tenuto dall'agente della riscossione; se rileva responsabilità da parte di questo, le farà valere in sede di controllo delle comunicazioni di inesigibilità, ai sensi degli articoli 19 e 20 del Dlgs 112/1999. Le agevolazioni per gli imprenditori agricoli Il Comune ha notificato gli avvisi di accertamento in rettifica per gli anni 2004/2007 a un contribuente che dichiarava i terreni edificabili come agricoli senza conduzione diretta. Il contribuente, medico condotto in pensione dal 2003, ha aderito all'accertamento con adesione per tutti gli anni e ha pagato le prime rate. Ora chiede il rimborso perché l'Inps con effetto retroattivo dal 2004 gli ha riconosciuto la qualifica di imprenditore agricolo. Per il periodo dal 2004 al 2006 i terreni sono stati dati in affitto con contratto ad una società di fatto di cui è socio lo stesso contribuente, pertanto nella dichiarazione dei redditi personale risultava reddito agrario nullo mentre vi sono altri redditi da fabbricati e da partecipazioni e il reddito da attività agricola veniva dichiarato dalla società di fatto. Il contribuente per il periodo 2004e per gli anni seguenti ha diritto alle agevolazioni previste per gli imprenditori agricoli ai fini Ici? L'atto di adesione è definitivo e non può essere modificato, né costituisce atto impugnabile. In caso di mancato pagamento, l'ufficio iscrive a ruolo le rate residue (articolo 8, comma 3-bis del Dlgs 218/1997). L'ufficio può comunque agire in autotutela; nel caso di specie, tuttavia, l'agevolazione non spetta perché il terreno non è condotto direttamente dal contribuente, ma dalla società. Fiscalmente, tali soggetti sono distinti e di ciò ne dà contezza lo stesso comune istante, mostrando come il reddito agrario sia stato dichiarato dalla società e non dal contribuente. «Il Sole-24 Ore del lunedì» pubblica in questa rubrica una selezione delle risposte fornite dall'Anci ai quesiti (che qui appaiono in forma anonima) degli amministratori locali. I Comuni possono accedere al servizio «Anci-risponde» — solo se sono abbonati — per consultare la banca dati, porre domandee ricevere la risposta, all'indirizzo Internet Web www.ancitel.it. I quesiti non devono, però, essere inviati al Sole-24 Ore. Per informazioni, le amministrazioni possono utilizzare il numero di telefono 06762911 o l'e-mail «ancirisponde@ancitel.it».

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Il controllo preventivo rischia di bloccare i processi contabili (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 10-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore del lunedì sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-08-10 - pag: 40 autore: INTERVENTO Il «controllo preventivo» rischia di bloccare i processi contabili di Aldo Carosi N ella sua versione definitiva, la manovra d'estate prevede che l'azione del pubblico ministero contabile si possa esercitare solo di fronte a «specifica e precisa notizia di danno», e dispone la nullità, reclamabile da «chiunque vi abbia interesse», di «qualunque atto istruttorio o processuale» che violi la nuova norma. La ragione dell'intervento sarebbe quella di assicurare una tutela contro gli straripamenti dell'attività dei Pm,con l'acquisizione seriale di atti secondo il principio «scava, scava che prima o poi qualcosa viene fuori». In realtà questa esigenza trova già tutela nell'ordinamento: nella sentenza 29/1995 la Corte costituzionale aveva negato la possibilità di avviare l'azione di danno senza un preciso rispetto degli «inviolabili» diritti di difesa, tra i quali c'è l'esistenza di una notizia preesistente all'azione, già astrattamente configurabile come sospetto di «illecito contabile ». Se proprio si volevano contrastare in modo più netto situazioni di straripamento dei poteri istruttori senza attendere il giudizio di merito, si poteva comunque prevedere una impugnativa entro ristretti termini temporali dall'avviso ma non certo prescrivere una nullità sconfinata. Le conseguenze di una così sproporzionata soluzione è l'assoluto indebolimento dell'azione di responsabilità, che rimane in balia di qualsiasi vizio formale. La locuzione «specifica e concreta notizia », con la sua accezione generica, è in grado di ingenerare profonde disparità interpretative sia nei Pm contabili sia nei collegi giudicanti, con complicazioni processuali di infinito sviluppo e con conseguenti margini di incertezza sugli esiti dei processi, incompatibili con i principi di imparzialità, ragionevolezza e trasparenza. La formulazione lascia indefiniti profili fondamentali del diritto processuale: le forme di impulso dell'azione rivendicante la nullità, l'eventuale contraddittorio con il Pm, la natura dei provvedimenti giudiziali, le eventuali preclusioni in relazione ad illeciti collegati a quelli colpiti da nullità. La formulazione della norma sembra travalicare principi cardine come l'intangibilità del giudicato, dal momento che la nullità è rilevabile in qualsiasi momento, in tal mondo lasciando spazio a strategie difensive opportunistiche. Dal punto di vista della funzionalità del processo contabile, la norma introduce un previo controllo del giudice sul pubblico ministero, con creazione di situazioni di incompatibilità per i giudici che si siano pronunciati sulla validità degli atti istruttori prima della decisione di merito. Considerati i limitati organici delle sezioni regionali, anche questo fatto può condurre a stasi e rallentamenti intollerabili. L'illecito contabile, salvo specifiche ipotesi definite dalla legge, non è interamente tipizzato ma è incardinato in fatti dannosi eterogenei. A questa complessità è proporzionale l'entità del danno, per cui una specificazione in termini di concretezza dello stesso (si pensi alla materia dei derivati e della finanza creativa, per la quale non di rado i giudici penali e contabili devono ricorrere a consulenze specialistiche per chiarire l'essenza stessa del fatto giuridico) può divenire penalizzante proprio per i comportamenti che più pregiudicano gli interessi della collettività. Con il risultato che la nuova norma potrebbe indurre un riflusso della giurisdizione contabile verso fattispecie dannose minimali, per le quali non sarebbe opportuno conservare una giurisdizione speciale. Discorso a parte merita la retroattività della norma, che mette in pericolo una serie di procedimenti in corso su materie delicatissime quali il dissesto della Sanità, lo sperpero di fondi per investimenti produttivi, la cattiva utilizzazione dei subprime e così via. Proprio queste fattispecie renderanno probabile un notevole numero di ricorsi, finalizzati a rallentare o ad impedire lo svolgimento dei processi. Ma la vicenda parlamentare svela, in realtà, la episodicità e l'anomalia dei contesti normativi in cui sono emerse negli ultimi tempi le disposizioni sulla Corte dei conti. Queste norme dovrebbero rispondere a un disegno organico per assicurare certezza, efficienza, imparzialità nell'amministrazione della giustizia. è auspicabile, in sede di conversione del decreto, un ripensamento della norma sulle nullità, per bilanciare meglio gli interessi del diritto alla difesa con quelli dell'Erario e della collettività, e circoscrivere il suo grave impatto al solo arco temporale di vigenza. * Magistrato della Corte dei conti © RIPRODUZIONE RISERVATA IL VINCOLO L'obbligo di procedere solo con notizie di danno specifiche e precise lascia all'arbitrio la scelta delle azioni da annullare

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C'è un matrimonio gay legale in Italia "Ecco come sono riuscito a registrarlo" (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica.it" del 10-08-2009)

Argomenti: Giustizia

ROMA - In Italia esiste almeno una coppia omosessuale legalmente sposata. Non per una scelta illuminata della politica, ma grazie alla burocrazia. Che si è ingarbugliata e, scambiando un nome maschile per femminile, ha finito per inserire nei registri dello stato civile le nozze celebrate a San Francisco tra due uomini. In attesa del verdetto della Corte costituzionale - chiamata in causa dal Tribunale di Venezia e da quello di Trento che hanno considerato fondate le ragioni delle coppie omosessuali che chiedono di accedere all'istituto del matrimonio - dai faldoni dello stato civile italiano esce una storia surreale, fatta di equivoci e vita vissuta. Una storia che permette ai suoi protagonisti di dirsi sposati di fronte alla legge in un Paese in cui non sono riconosciute come tali neanche le coppie di fatto. Protagonisti un bancario italiano di 36 anni e il suo compagno, consulente aziendale francese di un anno più giovane. Si conoscono a Francoforte dieci anni fa e subito decidono di convivere. Sono una coppia solida, affiatata, vera. Ma sulla carta non esistono. Si trasferiscono a Parigi, acquistano casa, la ristrutturano, fanno progetti per il futuro. Ricacciano in un angolo, come un pensiero fastidioso, l'idea che la loro unione per l'amministrazione pubblica non valga nulla. Poi il viaggio che cambia la vita, una vacanza a lungo progettata nel West America. E una coincidenza: il loro volo decolla a settembre, nei giorni in cui la California accetta di sposare coppie dello stesso sesso e non residenti. Il referendum che abrogherà questa possibilità non si è ancora svolto, a San Francisco gli omosessuali esibiscono i documenti e si giurano fedeltà nella gioia e nel dolore. Alla fine saranno circa 18mila le unioni celebrate in quella breve stagione di libertà, tra maggio e ottobre 2008. "Tra queste anche la nostra - spiega il 36enne -. Il mio compagno inizialmente era titubante, saremmo stati soli, senza famiglia e amici. Io invece lo desideravo perché volevo sentirmi finalmente una persona 'normale', non più di serie B. Pensavo inoltre che la domanda di trascrizione in Italia mi sarebbe stata rifiutata: volevo ricorrere alla Corte europea dei diritti dell'uomo, combattere una battaglia di civiltà". OAS_RICH('Middle'); Scelgono una cerimonia privata, senza testimoni, un treppiedi con la telecamera a riprenderli e l'emozione di sentire che l'amore non ha barriere: "Prima e dopo di noi c'erano coppie eterosessuali, nessuna discriminazione". Qualche mese più tardi inviteranno amici e famigliari in Francia per una festa in cui proietteranno il video della cerimonia. "Abbiamo chiesto al giudice di pace di poterci sposare sotto la cupola del municipio e quando gli abbiamo spiegato che non ci saremmo scambiati le fedi, perché le avevamo già da anni, ha replicato che non era importante perché quello che contava era il cerchio che formavamo e che da adesso in poi ci avrebbe unito". Riconosciuta l'unione in America e assicurati i diritti in Francia - "Qualche mese dopo ci siamo pacsati" - restava un'unica cosa: cambiare lo stato civile in Italia, da celibe a sposato. "Ho seguito la trafila burocratica, rimandando il certificato di matrimonio a Sacramento affinché le autorità notarili californiane lo apostillassero (convalidassero). Dopo averli fatti tradurre da un traduttore giurato, ho raccolto i documenti e li ho spediti al consolato italiano in California. In America sugli atti di matrimonio non vi sono indicazioni sul sesso dei contraenti, ma solo i nominativi. Il mio compagno ha un nome che termina con la 'e', scambiato spesso per femminile. Non hanno fatto domande, hanno messo tutti i timbri che servivano e hanno inviato l'incartamento al ministero degli Esteri a Roma, che a sua volta ha convalidato e trasmesso tutto in Italia al Comune dove risulto come residente all'estero". L'atto di matrimonio viene trascritto e il trentaseienne non è più celibe: "Sono sposato, sposato a tutti gli effetti... Peccato solo che mio marito figuri come moglie". La vecchia idea di trasformare se stesso in un simbolo per il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali è ancora presente: "Ho deciso di rinviare perché ci vuole energia per spendersi in prima persona, ma prima o poi lo farò: è assurdo che in Europa basti passare il confine per trovarsi da sposati a celibi". A meno che, una volta tanto, non sia la burocrazia a venire in aiuto. (10 agosto 2009

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Addio a Marini professore con Cossiga (sezione: Giustizia)

( da "Stampa, La" del 11-08-2009)

Argomenti: Giustizia

DIRITTO PENALE Addio a Marini professore con Cossiga È morto il professor Giuliano Marini, 74 anni, ex docente di Diritto penale all'Università di Torino. Era malato da tempo. Marini è stato allievo prediletto del luminare torinese del diritto Marcello Gallo, fondatore della «scuola penale» torinese. Aveva iniziato la carriera universitaria a Sassari, a fianco dall'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga (docente di Diritto costituzionale) cui era legato da profonda amicizia. Marini è stato anche pro-rettore dell'Università tra il 1982 e il 1984 e giudice della sezione della Corte Costituzionale incaricata di giudicare il presidente della Repubblica in caso di messa in stato d'accusa.

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Priorità al nuovo processo penale (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 11-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: POLITICA E SOCIETA data: 2009-08-11 - pag: 12 autore: Giustizia. Berlusconi annuncia l'agenda dell'autunno - Il no di opposizione, Csm ed Anm: si dilatano inutilmente i tempi Priorità al nuovo processo penale Il premier accelera sulla riforma: limiti ai pm e più autonomia alla polizia giudiziaria Donatella Stasio ROMA «A settembre porteremo a termine la riforma del processo penale». Silvio Berlusconi rompe la consolidata tradizione di rilanciare, più o meno intorno a ferragosto,l'emergenza intercettazioni, con annessa stretta sugli ascolti e sulle sanzioni per magistrati e giornalisti; stavolta, nell'indicare le priorità del governo alla ripresa dell'attività, decide di puntare sul processo penale. Provvedimento «devastante » – per dirla con le parole del Csm – poiché depotenzia fortemente le indagini, allunga la durata dei processi, pone le premesse per il controllo del governo sul pubblico ministero. «Una riforma quasi eversiva », dice Massimo Donadi dell'Idv, secondo cui l'affermazione del premier è «velleitaria e campata per aria». «Per noi è il provvedimento più pericoloso, per loro il più vantaggioso- rincara la dose il senatore del Pd Felice Casson - perché punta a interferire sulle indagini, indirizzandole. è assolutamente impossibile pensare che venga approvato alla ripresa dei lavori ». «Una boutade estiva», chiosa Michele Vietti dell'Udc. Il ddl sul processo penale è ancora alle primissime battute, al Senato. Varato dal Consiglio dei ministri il 6 febbraio scorso, è dal 10 marzo all'esame della commissione Giustizia, che ne ha appena avviato la discussione, sospesa a metà luglio e rinviata a settembre per lasciare spazio al ddl sulle intercettazioni, poi slittato anch'esso all'autunno. Su entrambi, il Csm ha speso parole durissime che, nel caso delle intercettazioni, hanno avuto un'eco nella moral suasion del Presidente della Repubblica dopo il voto della Camera. Sul processo penale, il parere dell'Organo di autogoverno della magistratura è stato, forse, persino più duro, quanto a rilievi di incostituzionalità; tanto da far dire al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che «l'iter parlamentare è ancora lungo e ci sarà tempo per ogni riflessione ». Era metà luglio. Ora Berlusconi preannuncia «il completamento» della riforma entro l'autunno. Casson lo esclude,non foss'altro perché la precedenza dovrebbe andare alla riforma dell'ordinamento forense ( il 15 settembre scade il termine per gli emendamenti) seguita dalle intercettazioni (alla ripresa, dopo le audizioni del procuratore antimafia e del capo della polizia, ci saranno le repliche e poi gli emendamenti). Ma maggioranza e opposizione concordano nel ritenere che sull'iter parlamentare di entrambi i ddl peserà un fattore esterno: la decisione della Corte costituzionale sul Lodo Alfano - lo scudo per le alte cariche dello Stato - attesa per il 6 ottobre. Grazie al Lodo, il premier è "uscito" momentaneamente dal processo Mills, in cui è accusato di aver corrotto l'avvocato inglese condannato nel frattempo a 4 anni e sei mesi per falsa testimonianza («mentì per salvare Silvio Berlusconi », ha scritto il Tribunale di Milano nella sentenza di condanna). Se la Consulta dovesse dichiarare illegittimo il Lodo, il processo a Berlusconi si rimetterebbe in moto, anche se davanti a un collegio diverso da quello che ha condannato Mills (presieduto da Nicoletta Gandus, il giudice più volte ricusato, senza successo, dai legali del premier, perché in passato ha criticato la politica del centro destra) e con una prospettiva di corto respiro, poiché la prescrizione maturerà nella primavera del 2010. Impossibile, entro quella data, arrivare anche a una sentenza di primo grado. Tanto più se dovesse essere approvato, così com'è, il ddl sul processo penale. Il provvedimento contiene una serie di norme che, secondo l'opposizione, il Csm e l'Anm,dilatano i tempi della giu-stizia, aumentando «in maniera ingiustificata i poteri della difesa ». è, ad esempio, ampliato il potere dell'imputato di far ammettere le prove a discarico, anche se manifestamente superflue (potranno essere escluse solo durante l'istruttoria dibattimentale). Inoltre (salvo nei processi di mafia) le sentenze definitive non potranno più essere acquisite come prova dei fatti già accertati, per cui nel processo Berlusconi la sentenza Mills non avrebbe alcun peso, anche se passata in giudicato (entro fine anno comincerà l'appello). Ancora: il ddl consente all'imputato di ricusare il giudice anche se ha espresso giudizi nei confronti delle parti fuori dall'esercizio delle sue funzioni. Queste e numerose altre norme sono finite nel mirino del Csm, indipendentemente dal fatto di essere o meno "ad personam", come dice l'opposizione. Ma più di tutte, nel mirino sono finite le disposizioni che sganciano la polizia giudiziaria dal pm: quest'ultimo non potrà più acquisire direttamente le notizie di reato, ma avrà un ruolo «passivo» rispetto alla pg, non più alle sue dipendenze. Il che significa, secondo il Csm, «eludere » il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, ridurre il ruolo del pm nelle indagini, rafforzare il legame polizia giudiziaria- potere esecutivo. E, quindi, aprire la strada al controllo politico sulle indagini. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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La Tia alla scoperta di sanzioni e ravvedimenti (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 11-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-08-11 - pag: 25 autore: Tributi locali/2. Dopo la sentenza della Consulta La «Tia» alla scoperta di sanzioni e ravvedimenti Luigi Lovecchio Secondo la Corte Costituzionale (sentenza 238/09), la Tia, in quanto tassa, non può essere soggetta a Iva, poiché vi sarebbe incompatibilità tra l'imposta sul valore aggiunto e una prestazione di carattere tributario (si veda «Il Sole 24 Ore»di ieri).L'affermazione perentoria si fonda sull'assunto secondo cui una tassa non si qualifica mai come corrispettivo di un servizio, poiché è dovuta in base a legge e non in forza di un contratto. Ne discende che, in caso di prelievo tributario, difetterebbe il presupposto oggettivo dell'Iva (cessione di beni o prestazione di servizi). Al più, il rapporto tra il servizio e la tassa viene qualificato da dottrina e giurisprudenza in termini di para commutatività e mai di corrispettività. Del resto, in caso di applicazione della vecchia Tarsu si è sempre data per scontata l'esclusione Iva. L'asserzione della Consulta si pone in contrasto sia con le istruzioni ministeriali, sia, per vero, con una certa giurisprudenza della stessa Corte di cassazione. Nel recente passato, quando si è trattato di discutere della natura dei diritti d'imbarco aeroportuali, la Corte ne aveva accertato inizialmente la qualificazione tributaria, rilevando come tale natura non fosse di per sé incompatibile con l'Iva. Sotto questo profilo, va detto tuttavia che l'interpretazione della Consulta appare più convincente. L'esclusione da Iva comporta un duplice effetto in capo a gestori e utenti. Nei confronti dell'utente famiglia, che non può detrarre l'imposta, l'aspettativa è quella di una riduzione del costo. In realtà, non è detto che questo accada nella totalità dei casi. L'espulsione dalla sfera di applicazione del tributo determina, infatti,l'impossibilità per il gestore di recuperare l'Iva assolta sugli acquisti. Si apre inoltre il fronte per il pregresso. I principi della tutela dell'affidamento edella buona fede escludono senz'altro l'applicazione di sanzioni nei confronti dei soggetti passivi. Ciò non impedirà però il moltiplicarsi delle istanze di rimborso da parte delle famiglie. Una soluzione legislativa sembra, inoltre, di non agevole praticabilità. Si discute, infatti, dei fondamentali di una imposta retta dalla disciplina comunitaria. Né ovviamente varrebbe adottare una disposizione interpretativa che sancisca la natura privatistica della Tia. Come osservato dalla Corte costituzionale, infatti, la qualificazione di un'entrata discende dalla sua struttura e non dal nome. La natura tributaria della tariffa rifiuti porta con sé ulteriori conseguenze. In primo luogo, la stessa sentenza n. 238 ha riconosciuto pacificamente applicabili le sanzioni tributarie. Tra queste, si segnala la sanzione per omesso o ritardato pagamento dei tributi, prevista nell'articolo 13 del decreto legislativo 471/97, pari al 30% della somma dovuta. Trovano, inoltre, ingresso il ravvedimento operoso e l'accertamento con adesione, previa delibera comunale di recepimento. Non va dimenticato, ancora, che la Tia rientra a questo punto nell'operatività del " mini testo unico" delle procedure dei tributi locali, contenuto nei commi 158 e seguenti dell'articolo 1 della legge 296/06. Questo significa che i controlli devono essere effettuati entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di commissione della violazione. Le rettifiche devono concretizzarsi in veri e propri avvisi di accertamento da notificare secondo le regole di legge. E ancora, la riscossione coattiva della tariffa va effettuata entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo. La Consulta ha inoltre avvertito che eventuali lacune legislative nella fase dei controlli vanno colmate con modifiche nei regolamenti comunali. Gli enti locali dovranno provvedere al più presto. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Germania, arrivano le unioni omosessuali (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 11-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 11/08/2009 - pag: 17 Svolta Ritirato il ricorso della Baviera contro il rafforzamento dei diritti delle coppie gay Germania, arrivano le unioni omosessuali DAL NOSTRO INVIATO BERLINO L'ultimo ostacolo per la graduale equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio è crollato all'improvviso, nel bel mezzo del «Sommerloch», il vuoto estivo di notizie che come ogni anno lascia la Germania a crogiolarsi piacevolmente sotto il sole d'agosto. La notizia ha colto tutti di sorpresa: il governo bavarese, il più cattolico tra i Länder tedeschi, ha ritirato il ricorso alla Corte costituzionale federale contro il rafforzamento dei diritti delle coppie gay e lesbiche, stabilito da una legge del 2005. Nessuna spiegazione, nessun comunicato ufficiale a motivare la marcia indietro: l'anticipazione, comparsa ieri sulla prima pagina della Süddeutsche Zeitung , è stata poi confermata dal ministro bavarese della Giustizia, la cristianosociale Beate Merk: il Land non ha più obiezioni contro la cosiddetta Stiefkind- Adoption , la possibilità di adottare i figli naturali del partner, anche quando la coppia sia composta da persone dello stesso sesso. Un passaggio contenuto nella legge federale, cui il governo di Monaco si era pervicacemente opposto. Ora, con un atto depositato l'8 luglio (ma emerso solo oggi), il via libera. E chissà se, come scrive la Süddeutsche , è una pura coincidenza il fatto che proprio a inizio luglio siano stati resi noti due studi effettuati dall'Istituto sulla famiglia dell'università di Bamberg e da quello di Pedagogia infantile, a Monaco concordi nello stabilire come non vi sia alcuna differenza nello sviluppo dei bambini cresciuti in coppie tradizionali o nelle Regenbogenfamilien, le «famiglie arcobaleno»: ad essere fondamentali sono le attenzioni ricevute, non l'orientamento sessuale dei genitori. La Csu aveva polemizzato con le due ricerche, ma a quanto pare il loro contenuto ha colpito nel segno. Anche perché a detta degli esperti del partito e della Fdp, suo partner di governo il ricorso non aveva possibilità di successo; le manovre affini tentate dalla Baviera e dalla Sassonia erano già fallite miseramente. Esulta la Fdp, a favore di un allargamento dei diritti di gay e lesbiche: «Abbiamo aiutato la Csu a sbarcare nel 21Ú secolo», dichiara la presidente liberaldemocratica Sabine Leutheusser- Schnarrenberger. Esultano anche i media di entrambi gli schieramenti: per la Berliner Zeitung, il principale quotidiano berlinese, di centrosinistra, il governo bavarese «è finalmente entrato nella società tedesca, che da molto tempo ha fatto pace con l'omosessualità »; per il liberalconservatore Frankfurter Rundschau , «una famiglia ha bisogno di bambini e genitori e questi possono esistere anche in una famiglia arcobaleno ». Da parte sua, la ministra Merk mette le mani avanti: Stiefkind-Adoption sì, ma nessuna apertura globale sul fronte adozione extrafamiliare. «Continuerò a difendere il matrimonio e la famiglia contro ogni graduale equiparazione ». In Germania sono 2.200 i bimbi allevati da «famiglie arcobaleno», in maggioranza composte da due donne. Gabriela Jacomella © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Chi ci fa la morale? (sezione: Giustizia)

( da "Stampa, La" del 12-08-2009)

Argomenti: Giustizia

IL CREDENTE IL LAICO Polemica La Chiesa non vuole scelte etiche decise a maggioranza Le posizioni Chi ci fa la morale? Pensa seguendo la fede che anche le norme abbiano derivazione divina Come decidere cosa è bene o male per la società Ubbidisce a un imperativo categorico della ragione e non accetta ingerenze MATTIA FELTRI ROMA Non è l'opinione pubblica a scegliere che cosa è morale o immorale», ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana. Il bene e il male non siano decisi dalle convinzioni della maggioranza o, come ha già sostenuto l'arcivescovo emerito di Bologna, Giacomo Biffi, «la verità non si stabilisce per alzata di mano». E, dunque, la morale non può combaciare con le consuetudini di una società, nemmeno se - proprio come scriveva ieri sul Corriere della Sera il filosofo Remo Bodei - «nella sfera sessuale l'uso dei contraccettivi (...) rende donne e uomini più propensi alle avventure, alle trasgressioni e all'eros fine a se stesso, in comportamenti fortemente biasimati dalla morale ereditata e dalle chiese non solo cristiane». Per combinazione, sempre ieri, ma sulla Repubblica e affrontando il parallelo offerto da Benedetto XVI fra il nazismo e il nichilismo, Adriano Sofri ha ricordato che «la Chiesa cattolica non ha il monopolio della conoscenza (e tanto meno della pratica) del bene, così come non ne è esclusa. La strada è difficile, per ciascuno. Le fede religiosa non può essere una compagnia di assicurazione, né pubblica né privata». L'articolo di Bodei - titolato «La dittatura dei desideri» - sembra andare incontro alle tesi di Bagnasco, e all'opposto pare dirigersi Sofri. Chi stabilisce che cosa è morale? La prassi di una comunità oppure il diritto naturale cui si è richiamato il direttore dell'Osservatore Romano, Gian Maria Vian? E' morale ciò che la maggioranza considera accettabile o ci sono valori - per usare un'espressione cara alla dottrina cattolica - non negoziabili? Lo storico del cristianesimo Alberto Melloni vuole intanto evitare fraintendimenti: «Il cardinale Bagnasco non sostiene che la morale cattolica debba essere imposta: è soltanto proposta». La morale, lo dice Melloni, lo aveva detto martedì Bagnasco, lo ripete Rocco Buttiglione, è «della coscienza». Il problema, dunque, lo sottolinea Gianni Vattimo: «Se uno è credente ritiene che la morale abbia una derivazione divina. Se uno è kantiano ubbidisce a un imperativo categorico della ragione e ritiene di esercitare la morale in proprio, e non riconosce autorità esterna. Non è facile. Il guaio sorge quando la morale deve tradursi in legge e lì, è scontato, comanda la maggioranza». La considerazione è condivisa. Buttiglione però rifiuta decisamente che la maggioranza sia per forza nel giusto: «Anzi, che abbia spesso torto lo sappiamo dai tempi di Socrate, condannato da una maggioranza. E gli evangelisti non mettono in dubbio che fu una maggioranza a salvare Barabba e a mandare a morte Gesù». E allora? E allora, continua Buttiglione, «bisogna affidarsi a Machiavelli: il popolo fa sempre la cosa giusta se gli vengono forniti gli strumenti adeguati alla valutazione». Insomma, l'intervento di Bagnasco sarebbe semplicemente diretto al popolo credente, ad incitarlo anche se si ritrova in minoranza su buona parte dei temi bioetici, a non avere paura di essere fuori dal mucchio, come sovente ha ammonito Joseph Ratzinger. Buttiglione ci sta, e rimarca: «L'idea di Bagnasco, di tutta la Chiesa, è l'idea di Platone su cui si basa la cultura occidentale: la democrazia non produce la verità ma produce delle leggi e sono leggi che hanno sempre la possibilità di appello. Se oggi esistono leggi contrarie alle leggi della Chiesa, significa che ci siamo spiegati male, e che dobbiamo chiederci dove abbiamo sbagliato per porvi rimedio». Per esempio, dice, un giorno o l'altro - fra un anno, fra un secolo - la morale cattolica e la legge coincideranno, e l'aborto sarà unanimemente rifiutato. «Purché - obietta l'ex presidente della Corte costituzionale, Giovanni Maria Flick - si obbedisca al concetto di legge permissiva che ho imparato da un cattolico adulto come Leopoldo Elia». Flick, che si definisce un cattolico vecchio, un giuspositivista costituzionale, si richiama a Elia perché «ha ragione Bagnasco: se è l'opinione pubblica a stabilire la morale si va incontro alla dittatura della maggioranza. Ma i valori non possono essere imposti: se c'è una minoranza che vuole usare il preservativo o ricorrere all'aborto, deve avere la libertà di farlo». E quindi, un cattolico non può praticare l'aborto ma nemmeno può impedirne la pratica ad altri, purché vengano rispettati i valori costituzionali: «Ecco perché la morale e la legge non confliggono. Io ho due vangeli, quello rivelato e quello laico, che è la Costituzione. Anche la Costituzione ha valori non negoziabili, e sono valori spesso coincidenti con quelli propugnati dal Vangelo. Quando il Papa andò in Parlamento a invocare un atto di clemenza per i carcerati, non faceva altro che ripetere l'articolo 27 della Carta, secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Eppure Vattimo conserva un dubbio: «Quando la Chiesa dice che la maggioranza non esprime la morale dice un'ovvietà, ma mi rimane il sospetto che nell'affermare così fortemente la sua morale, la sua morale di minoranza, cerchi il modo di farla valere per tutti. Oggi Ratzinger e i suoi dicono di interpretare il vero senso della sessualità, ma della sessualità hanno sempre fatto carne di porco. E l'espressione mi sembra calzante». E' un punto di vista rifiutato da Melloni per il quale, fra l'altro, l'appello di Bagnasco era rivolto non tanto alle questioni sessuali e bioetiche («su cui il Vaticano si è pronunciato diffusamente e fortemente»), quando alle politiche della sicurezza, al diffondersi delle ronde, «alle quali si affida l'educazione dei diciottenni, cresciuti secondo precetti di odio e paura». E' insomma una Chiesa, dice Melloni, che non si arrende allo spirito dei tempi, e vuole partecipare alla costruzione della città, della civitas. Lo fa attraverso i suoi valori irrinunciabili così come Flick («almeno finché l'Italia è repubblicana») non rinuncia al valore irrinunciabile e costituzionale della laicità. «E la democrazia vive», e vive la laicità, «finché alle minoranze resta il diritto di non sentirsi nel torto», chiosa Buttiglione.

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quadrifoglio rischia pioggia di ricorsi - michele bocci (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 12-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina IV - Firenze Quadrifoglio rischia pioggia di ricorsi La Corte Costituzionale cancella l´Iva dalla tariffa rifiuti Riunione per capire come far fronte ad un esborso che potrebbe arrivare a 10 milioni MICHELE BOCCI La Corte Costituzionale toglie l´Iva dalla tariffa sui rifiuti, la Tia, e al Quadrifoglio temono una pioggia di ricorsi. C´è il rischio di dover rendere il 10% di ciascuna bolletta incassata dal 2005 ad oggi. Ieri all´azienda controllata dal Comune hanno fatto una riunione per chiarire i contorni del problema, ipotizzando di dover restituire a cittadini ed imprese anche 8-10 milioni di euro: sarebbe un colpo durissimo ai bilanci. Quei soldi sono stati riscossi e subito girati allo Stato, visto che l´Iva è un´imposta, e dunque non sono praticamente mai stati nelle casse del Quadrifoglio. La sentenza di un paio di settimane fa della Corte Costituzionale chiude una lunga battaglia giudiziaria sulla Tia, affermando che si tratta di una tassa e dunque non può essere tassata. Sulla tariffa di igiene ambientale si era espressa anche la Cassazione con una sentenza che la considerava ugualmente un tributo e l´agenzia delle Entrate, che ha risposto con una risoluzione per riaffermare la sua natura di prestazione di servizi su cui si doveva quindi pagare l´Iva. Per il futuro la decisione della Corte Costituzionale non dovrebbe portare benefici alle tasche dei cittadini perché se Quadrifoglio non incasserà più l´Iva non potrà più detrarla sugli acquisti. Ne verrà fuori un aumento dei costi aziendali che inevitabilmente andrà ad incidere sulle tariffe, cioè sulle bollette dei cittadini. Secondo qualcuno queste potrebbero addirittura diventare più elevate di quando comprendevano l´Iva. «Noi comunque aspettiamo un intervento normativo che accolga la sentenza della Corte Costituzionale. Fino ad allora non potremo certo emettere fatture senza Iva, sarebbe un inadempimento nei confronti dell´erario», dice Livio Giannotti, amministratore delegato di Quadrifoglio. I crucci più seri ai dirigenti dell´azienda del Comune vengono gettando lo sguardo al passato. Teoricamente cittadini ed imprese potrebbero avviare una serie di ricorsi per avere indietro i soldi dati in questi anni come Iva. «Noi non possiamo restituirla perché l´abbiamo già versata alle casse dello Stato», dice sempre Giannotti. Ma i ricorsi potranno essere fatti proprio contro il gestore del servizio rifiuti, che successivamente dovrà chiedere il rimborso all´erario. Una procedura i cui tempi potrebbero essere piuttosto lunghi, con evidenti danni per le casse del Quadrifoglio, che si troverebbe ad anticipare somme ingenti. Un problema ancora più complesso riguarda chi ha un´attività di imprese o di lavoro autonomo, che si troverebbe a dover restituire all´erario la detrazione ottenuta sulla Tia, che non spetta visto che l´Iva non era dovuta.

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Quel contratto nuovo a metà (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 12-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: ECONOMIA E IMPRESE data: 2009-08-12 - pag: 19 autore: La storia. Kalos già coinvolta in passato per le pulizie Quel contratto nuovo a metà MILANO Treni più puliti cercansi. Le nuove aziende che stanno sostituendo le vecchie nei servizi di pulizia delle carrozze – la Pietro Mazzoni Ambiente e il gruppo Di Stasio – potrebbero non essere tanto nuove. E non solo perché, come rivelato dal Sole 24 Ore lo scorso 31 luglio, nelle fasi di pre-aggiudicazione degli ultimi 35 lotti in ben 18 casi le "vecchie" erano ancora in pole position nella classifica del bando («Ma si tratta di un'ammissione con riserva », puntualizza Trenitalia), quanto perché le "nuove" in alcuni casi già comparivano come subappalti delle società che oggi si vogliono sostituire. I fatti: il 7 agosto l'amministratore delegato delle Ferrovie, Mauro Moretti, dichiarava al Tg1 : «Le Fs hanno contestato alle ditte il lavoro svolto non correttamente e gli hanno intimato di pulire i treni (...), ma c'è una novità (...) abbiamo fatto subentrare l'impresa Kalos e assunto i lavoratori di San Lorenzo». Ed è appunto la cooperativa Kalos la nuova impresa subentrata temporaneamente alla Ceias e alla Saes, oggi in stato di fallimento, ambedue controllate del gruppo Di Stasio e attualmente sotto l'amministrazione giudiziale dell'avvocato Romano Vaccarella, ex giudice della Corte Costituzionale e già legale del premier Silvio Berlusconi in diversi processi civili. Ma qual è la carta d'identità della Kalos? Si tratta di una cooperativa di Milano che ha chiuso il bilancio 2007 con un valore della produzione di soli 50mila euro, divenuti 7,1 milioni l'anno successivo. Cosa è successo nel frattempo? Alla Kalos Trenitalia starebbe progressivamente rigirando, come dichiarato dallo stesso Moretti, parte delle commesse prima in capo alle controllate del gruppo Di Stasio. Dal subappalto all'appalto. Nel marzo scorso le Fs hanno rescisso con la Saes il contratto riferito al lotto 13 Calabria, del valore di 7,5 milioni di euro, affidandolo proprio alla Kalos, che a sua volta lo avrebbe girato a un'altra cooperativa, la consorziata New Labor, sempre di Milano. In aprile, invece, alla Ceias sarebbe stato rescisso un contratto riferito al lotto 14 Friuli Venezia Giulia, questa volta da 5 milioni di euro e trasferito alla Carma Srl, con sede sociale ancora nel capoluogo lombardo. Eppure, secondo quanto risulta al Sole 24 Ore, i rapporti tra le Ferrovie e il gruppo Kalos sarebbero antecedenti ai più recenti cambi. Addirittura alla Kalos le stesse Ceias e Saes avrebbero subappaltato negli scorsi mesi parte del proprio lavoro, come dimostrano i pagamenti effettuati alla fine di luglio proprio da Ceias e Saes all'indirizzo della Kalos (rispettivamente 175mila e 185mila euro). Questa la replica delle Ferrovie: «Con la Kalos abbiamo stipulato dei contratti "tampone", cioè provvisori, per garantire l'attività di pulizia dei treni, in attesa della conclusione della procedura di fronte al Consiglio di stato. I contratti con le controllate del gruppo Di Stasio sono stati rescissi perché non venivano più fornite le informazione rispetto alla tracciabilità del pagamento dei lavoratori». D.Le. daniele.lepido@ilsole24ore.com © RIPRODUZIONE RISERVATA LA SCELTA Le Ferrovie: «Con la coop milanese solo contratti tampone in attesa della conclusione della procedura davanti al Consiglio di stato»

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L'Agenzia alleggerisce le sanzioni (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 12-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-08-12 - pag: 23 autore: Le Entrate spiegano il favor rei per la maxi-multa sull'attività in nero L'Agenzia alleggerisce le sanzioni Giuseppe Maccarone Quando una disposizione sanzionatoria viene cambiata, la stessa violazione, a seconda del periodo in cui è commessa, può essere punita con sanzioni di diverso peso. Sulla base del principio del favor rei, si può applicare quella meno pesante. A tal fine, si devono mettere a confronto le norme (quella attualmente in vigore con quella vigente all'epoca della violazione) comminando, anche d'ufficio, la sanzione che, effettivamente, risulta più favorevole al trasgressore. Non è possibile applicare una combinazione di disposizioni più favorevoli delle diverse leggi, in quanto se ne creerebbe una ulteriore, inammissibile (Cassazione 1994/05). Restano esclusi i provvedimenti di irrogazione diventati definitivi. Con la risoluzione 211/E/09 l'agenzia delle Entrate torna a parlare di favor rei.L'oggetto è la maxi sanzione per il lavoro nero (comma 3, articolo 3 del Dl 12/02). Ora la maxi sanzione è di competenza della direzione provinciale del Lavoro, ma resta competenza dell'Agenzia per le violazioni con-statate sino all'11 agosto 2006. Nel testo in vigore fino all'11 agosto 2006 la maxi sanzione andava da un minimo del 200% a un massimo del 400% del costo del lavoro di ogni lavoratore in nero, per il periodo compreso dall'inizio dell'anno e sino alla data di constatazione dell'illecito. In seguito la quantificazione della sanzione è cambiata ma va anche rilevato che la norma originaria venne ritenuta incostituzionale (sentenza Corte costituzionale 144/05) nella parte in cui non ammetteva la possibilità per il datore di lavoro di dimostrare che il rapporto irregolare era iniziato dopo il 1Ú gennaio. Oggi la sanzione varia da 1.500 a 12mila euro per ogni lavoratore, maggiorata di 150 euro per ciascuna giornata di lavoro effettivo. Nella prima parte della risoluzione l'Agenzia affronta la problematica collegata alla commisurazione della sanzione in base al testo previgente. Per effetto della pronuncia della Consulta, il meccanismo presuntivo in funzione del quale il periodo di applicazio-nedellasanzioneerasempreindi-viduabile al 1Ú gennaio dell'anno di constatazione della violazione, è superato. Se il datore di lavoro è in grado di produrre prove che attestino che il rapporto ha avuto inizio in data diversa, il minor periodo deve costituire il parametro della sanzione. Rispetto, invece, alla sanzione vigente, commisurata al periodo di lavoro nero (150 euro per ogni giornata di lavoro effettivo), l'Agenzia afferma che per quantificarla si devono valutare le prove; in mancanza e laddove un supplemento di indagini non sia proficuo, la sanzione va applicata alla sola giornata di lavoro constatata al momento dell'ispezione. Se la sanzione è stata comminata ma il relativo provvedimento non è de-finitivo, la stessa deve essere ridotta, prevedendo anche il rimborso di quanto pagato in più. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL CHIARIMENTO La penalità aggiuntiva di 150 euro va comminata solo se è possibile provare l'impiego effettivo nel sommerso

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Negli scrutini nessun vantaggio dalla religione (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 12-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI GIUSTIZIA data: 2009-08-12 - pag: 29 autore: Scuola. Sentenza del Tar Lazio Negli scrutini nessun vantaggio dalla religione ROMA I docenti di religione cattolica non possono partecipare «a pieno titolo» agli scrutini ed il loro insegnamento non può avere effetti sulla determinazione del credito scolastico: a stabilirlo è il Tar del Lazio, che, con la sentenza n. 7076, ha accolto i ricorsi presentati, a partire dal 2007, da alcuni studenti, supportati da diverse associazioni laiche e confessioni religiose non cattoliche, che chiedevano l'annullamento delle ordinanze ministeriali firmate dall'ex ministro Giuseppe Fioroni e adottate durante gli esami di Stato del 2007 e 2008. La bocciatura delle ordinanze è stata spiegata dal Tar attraverso motivazioni che si soffermano su concetti di principio: «in una società democratica –affermano i giudici – certamente può essere considerata una violazione del principio del pluralismo il collegamento dell'insegnamento della religione con consistenti vantaggi sul piano del profitto scolastico e quindi con un'implicita promessa di vantaggi didattici, professionali ed in definitiva materiali». Ne deriva che l'inclusione della religione nella "rosa" delle materie oggetto dei giudizi sugli allieviè ritenuta illegittima: secondo il Tar questa interpretazione, data dal ministero dell'Istruzione, «appare aver generato una violazione dei diritti di libertà religiosa e della libera espressione del pensiero; nonché di libera determinazione degli studenti relativamente all'insegnamento della religione cattolica». Nella sentenza, i giudici ricordano anche il principio della laicità dello Stato, enunciato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 203/89), ritenuto garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà religiosa, in regime di pluralismo confessionale e culturale: «sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente – sottolinea il Tar – essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico». Partendo da questo concetto di fondo lo stesso metro va adottato per i crediti formativi utilizzati dai commissari della maturità, derivanti da esperienze extra- curricolari svolte nell'ultimo triennio delle superiori e che hanno incidenza diretta nella formazione del punteggio finale ( fino a 25 punti). Per i giudici del tribunale del Lazio «l'attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, dà luogo ad una precisa forma di discriminazione, dato che lo Stato italiano non assicura identicamente la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni ovvero per chi dichiara di non professare alcuna religione in Etica morale pubblica». La sentenza ha precisato poi che «lo Stato, dopo aver sancito il postulato costituzionale dell'assoluta, inviolabile libertà di coscienza nelle questioni religiose, di professione e di pratica di qualsiasi culto noto, non può conferire ad una determinata confessione una posizione dominante». N. T. © RIPRODUZIONE RISERVATA I PRINCIPI Per i giudici amministrativi il profitto deve essere «neutrale» rispetto alla confessione professata

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Religione via dagli scrutini (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 12-08-2009)

Argomenti: Giustizia

SCUOLA Accolti i ricorsi di alcune associazioni contro l'ordinanza Fioroni Religione via dagli scrutini Il Tar del Lazio: non vale per i crediti formativi alla maturità Stefano Milani ROMA ROMA Non c'è più religione, verrebbe da dire con una battutaccia. Ma in realtà è esattamente quello che ha deciso il Tar del Lazio che di fatto ha bloccato i docenti di religione cattolica a partecipare «a pieno titolo» agli scrutini e decidendo che il loro insegnamento non può avere effetti sulla determinazione del credito scolastico finale. Tanto basta perché oggi la scuola italiana possa definirsi po' più laica. E visto i tempi che corrono anche avanzare di un centimetro è come vincere una maratona. La questione è annosa, risale ai tempi in cui a sedere sulla poltrona più alta di viale Trastevere era il ministro Fioroni, che emanò alcune ordinanze ministeriali - avallate anche dall'attuale ministro Gelmini - per gli esami di Stato del 2007 e 2008 che prevedevano la valutazione della frequenza dell'insegnamento della religione cattolica ai fini della determinazione del credito scolastico, e la partecipazione «a pieno titolo» agli scrutini da parte degli insegnanti della materia. Ci ha pensato ora una sentenza del Tar (n. 7076 del 17 luglio 2009) a riazzerare tutto, accogliendo due ricorsi presentati da alcuni studenti e studentesse insieme a numerose associazioni laiche e confessioni religiose non cattoliche. Secondo il giudice amministrativo «l'attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, dà luogo ad una precisa forma di discriminazione, dato che lo Stato Italiano non assicura identicamente la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni ovvero per chi dichiara di non professare alcuna religione in Etica Morale Pubblica». A peggiorare la situazione sono intervenuti poi i recenti tagli al personale docente inferti del ministro «unico» Mariastella Gelmini, che hanno eliminato anche la più remota speranza di poter istituire corsi alternativi per carenza di insegnanti. Oltre al merito della questione, la sentenza del Tar è importante soprattutto perché dà una concreta applicazione al principio supremo della laicità dello Stato enunciato dalla Corte Costituzionale (n.203/1989) come «garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà religiosa, in regime di pluralismo confessionale e culturale», precisando che «sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico». La scelta di avvalersi o meno dell'insegnamento della religione cattolica deve essere perciò assolutamente libera e in nessun modo condizionata. La notizia fa felice tutte quelle associazioni coordinate dalla Consulta romana per la Laicità delle istituzioni e dall'associazione «per la Scuola della Repubblica» che da anni portano avanti questa «battaglia di civiltà» e che giudicano la sentenza «illuminante». Ad esse il Tar ha riconosciuto la richiesta di salvaguardia dei valori di carattere morale, spirituale e/o confessionale che «sono tutelati - secondo i giudici amministrativi del Lazio - direttamente dalla Costituzione e che quindi come tali non possono restare estranei all'alveo della tutela del giudice amministrativo». Antonia Sani, tra le prime firmatarie del ricorso, non si accontenta e fa sapere che le associazioni e le confessioni delle altre religioni continueranno ad operare «per garantire il rispetto di tali limiti», auspicando che il ministero dell'Istruzione ora «prenda atto dell'illegittimità delle ordinanze e non le riproponga negli anni a venire». Consapevole che «la strada è ancora lunga» lancia già la prossima sfida: collocare l'ora di religione cattolica fuori dall'orario obbligatorio. Ovvero buttare giù quel concordato che dura da più di vent'anni. Era il 16 dicembre 1985 quando veniva emanato il Dpr 751, la storica intesa Falcucci-Poletti attuativa del nuovo regime concordatario per l'insegnamento della religione cattolica (Irc) nelle scuole statali e degli Enti locali. E se una battaglia tira l'altra, sul piatto rimangono poi tutti quei privilegi esclusivi a chi insegna nella scuola pubblica il verbo di Gesù. Rimane, ad esempio, l'anomalia tutta italiana voluta nel 2003 dall'allora ministro Letizia Moratti che mise a busta paga dello Stato tutti gli insegnanti di religione, che sono scelti e nominati dalla Curia. E che se poi il Vescovato non rinnova l'incarico annuale a uno di loro, questi può accedere alle graduatorie per l'insegnamento di altre discipline, magari superando in punteggio colleghi entrati in ruolo per regolare concorso e non per nomina vescovile. Non proprio una prova di carità cristiana. MILA Sono tanti gli studenti disabili maltrattati a scuola negli Stati uniti ogni anno. A rivelarlo è una ricerca condotta dalla American Civil Liberties Union e da Human Rights Watch

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(sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 12-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 12/08/2009 - pag: 8 Il rettore Dalla Torre della Lumsa «La Cei farà ricorso i giudici sbagliano» ROMA Ci sarà in tempi brevi un ricorso al Consiglio di Stato da parte della Conferenza della Cei contro la sentenza del Tar del Lazio. Ne è certo il prof. Giuseppe Dalla Torre, magnifico rettore della Libera Università SSma Maria Assunta (Lumsa), consultore della congregazione vaticana per l'educazione cattolica e docente di rapporti fra Chiesa cattolica e comunità politica nelle università ecclesiastiche. «Posso dire, in attesa di leggere il testo della sentenza ci ha detto che in base alle disposizioni vigenti, alle norme del Concordato e alle intese fra la Conferenza episcopale e il ministero della Pubblica istruzione, l'insegnamento della religione cattolica è un insegnamento curriculare per chi lo sceglie. Quindi è evidente che chi non lo sceglie ha il diritto di non essere oggetto di giudizio da parte di un insegnante che non ha scelto. Viceversa, chi lo ha scelto ha non solo il dovere di seguirlo ma ha anche il diritto di essere giudicato e di aspettarsi un giudizio finale. Quindi mi pare che non sia condivisibile questa interpretazione che dà il Tar». Dalla Torre sottolinea che «la libertà religiosa è un diritto che viene garantito nel momento in cui a ciascuno è offerta la possibilità se volere o non volere l'insegnamento della religione cattolica. Uno si può dolere se viene giudicato da un docente per un insegnamento che non ha voluto. Ma non si può dolere se altri hanno scelto questo insegnamento che per loro è divenuto curricolare. Pensi a quello che è lo statuto per le materie facoltative. C'è una differenza fra queste e le materie obbligatorie ». E quindi il magnifico rettore della Lumsa è convinto che ci sia da «attendersi un appello al Consiglio di Stato, tanto più che su questo punto c'è una giurisprudenza molto abbondante, soprattutto degli Anni 80 e 90, comprese delle sentenze della Corte costituzionale. Mi sembra quindi assai difficile che questa sentenza del Tar del Lazio possa trovare accoglienza da parte del Consiglio di Stato». A causa della pausa di agosto la commissione della Cei per l'educazione cattolica, la scuola e l'università verrà convocata dal suo presidente, il vescovo di Como Diego Coletti, soltanto dopo Ferragosto. Nessuno dei vescovi della commissione ha voluto pronunciarsi prima di allora. Bruno Bartoloni © RIPRODUZIONE RISERVATA

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I nuovi 7 Comuni dell' Alta Valmarecchia nella provincia di Rimini, commento Lorenzo Valenti (sezione: Giustizia)

( da "Sestopotere.com" del 12-08-2009)

Argomenti: Giustizia

I nuovi 7 Comuni dell' Alta Valmarecchia nella provincia di Rimini, commento Lorenzo Valenti (12/8/2009 14:15) | (Sesto Potere) - Novafeltria - 12 agosto 2009 - Il Presidente della Comunità Montana Alta Valmarecchia, Lorenzo Valenti , esprime grande soddisfazione per il recente voto definitivo di approvazione del Senato della legge di aggregazione dell’alta valmarecchia alla Regione Emilia Romagna e alla Provincia di Rimini. "E’ stata una affermazione della democrazia e una vittoria dei cittadini. Ritengo anche che si tratti di un fatto storico e di una svolta epocale per la nostra valle, della quale beneficeranno soprattutto le nuove generazioni. Come amministratori locali ci siamo già attivati per affrontare adeguatamente il passaggio": spiega Lorenzo Valenti. In collaborazione con la Regione Emilia Romagna, si è già avviato un notevole lavoro di approfondimento delle tematiche della aggregazione affrontando tutti gli aspetti ed i problemi che potranno esservi, sia per le amministrazioni che per i semplici cittadini. La Regione E.R. ha attivato i propri uffici legali ed una società esterna (Ervet) per preparare documenti ed elaborati. Sono state coinvolte le amministrazioni comunali e provinciali nel lavoro di approfondimento, cosi come il comitato del Sì. Il 3 agosto in Provincia di Rimini s'è svolto l'incontro con il coinvolgimento anche della Provincia di Pesaro. "Per quanto riguarda il processo di aggregazione, prendiamo altresì favorevolmente atto che il Governo ha già preso impegni precisi per procedere alla immediata nomina del Commissario e a dare senza indugio le opportune istruzioni affinché i due termini (rispettivamente un anno - per l'Amministrazione periferica dello Stato e per gli enti locali - e centottanta giorni - per i collegi elettorali) vengano assolutamente rispettati. Il governo poi si impegna a dare costanti e opportune informazioni ai cittadini affinché il passaggio delle competenze determini il minor disagio possibile e a monitorare, attraverso i Prefetti delle Province interessate, la progressiva compiuta applicazione della legge": afferma ancora il Presidente della Comunità Montana Alta Valmarecchia. Come è ovvio, con il passaggio in Emilia Romagna e nella Provincia di Rimini cambiano completamente gli scenari amministrativi locali. "Personalmente - aggiunge - ritengo che una delle prime richieste da avanzare a Bologna sia quella del mantenimento della nostra Comunità Montana nel quadro delle norme della Regione Emilia Romagna. Infatti le nove Cm emiliane romagnole riconosciute dalla loro legge hanno molti compiti e buoni finanziamenti per attività tipiche della vera montagna come per l’agricoltura. E’ chiaro che la Regione dovrebbe fare una legge ad hoc per noi, ma questo va anche nel senso del referendum svolto sotto lo slogan Unavalmarecchia, come recentemente ha ricordato il portavoce del Comitato del si Settimio Bernardi. Inoltre, personalmente, mi aspetto la trasformazione del Parco regionale Simone Simoncello in parco interregionale fra Marche e Emilia Romagna, magari con il coinvolgimento anche della Toscana in un quadro di valorizzazione di una montagna dell’Appennino senza confini". Ultima nota positiva, continua Lorenzo Valenti, infine, è che il Presidente della Regione Marche Spacca ha annunciato alla stampa di rinunciare alla presentazione del ricorso contro la legge teste approvata presso la Corte Costituzionale. E’ un opportuno segno di distensione verso la nostra vallata che interpretiamo nel segno di una auspicabile collaborazione interregionale nel delicato momento del passaggio di regione: conclude il Presidente della Comunità Montana Alta Valmarecchia.

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Cittadinanze onorarie eccellenti (sezione: Giustizia)

( da "Stampa, La" del 13-08-2009)

Argomenti: Giustizia

COURMAYEUR.CONSIGLIO COMUNALE Cittadinanze onorarie eccellenti [FIRMA]CRISTIAN PELLISSIER COURMAYEUR Da martedì 18 agosto Courmayeur avrà 5 cittadini illustri in più. Ieri il Consiglio comunale ha deliberato il riconoscimento della cittadinanza onoraria a personalità che hanno saputo instaurare negli anni un forte legame con il paese. La cerimonia si svolgerà alle 16,30 di martedì, al Jardin de l'Ange. Saranno insigniti della cittadinanza onoraria: Franco Bassanini (più volte ministro) «per il suo incessante impegno nel campo delle riforme istituzionali e amministrative al servizio delle democrazie moderne»; Francesco Saverio Borrelli (ex magistrato del pool di Mani pulite) «alto testimone di un invito alla rinascita di un impegno civico diffuso»; Giuseppe De Rita (sociologo, tra i fondatori del Censis) «per l'alto contributo di studio e ricerca in settori vitali della realtà sociale, e per l'esemplare spirito di "civil servant" testimoniato dal suo impegno, come segretario generale del Censis e per aver contribuito alla nascita e alla crescita della Fondazione Courmayeur»; Giovanni Maria Flick (ex presidente della Corte Costituzionale) «per l'impegno civico che ha dimostrato lungo tutta la sua carriera che lo ha portato sino a ricoprire la carica di presidente della Corte Costituzionale, e per il suo impegno nella Fondazione Courmayeur» e a Piero Savoretti (fondatore delle Funivie Val Veny) «per le grandi capacità imprenditoriali che ne hanno fatto uno dei più riconosciuti esponenti del tessuto economico nazionale». Il sindaco Fabrizia Derriard ha specificato che queste persone hanno un forte legame con Courmayeur: «Tra di loro c'è chi frequenta le nostre montagne da più di 30 anni». Il Consiglio ha votato a favore, a esclusione di Albert Tamietto e Raffaella Roveyaz, dell'opposizione. Entrambi hanno riconosciuto il grandissimo valore delle persone scelte, ma hanno criticato il metodo con il quale si è arrivati a sceglierle: «Credo che prima di scegliere le persone ci volesse una consultazione tra di noi», ha detto Tamietto. Vittorio Alliod, consigliere di minoranza, ha votato a favore: «Mi riconosco nei valori incarnati dai candidati». A prima vista sembrerebbe che il Comune di Courmayeur, che con i Circoli di Michela Vittoria Brambilla ha in qualche modo anticipato l'accordo Uv-Pdl, abbia «girato» a sinistra. Alcune delle personalità selezionate appartengono al mondo del centro-sinistra. Ma, come ha specificato Derriard, «non si valutano le persone per il loro colore politico, ma per quello che fanno». Il Consiglio ha anche approvato il conto consuntivo 2008. L'avanzo è di 62.628 euro, le spese correnti 8 milioni e 800 mila euro. Chi si aspettava domande della minoranza sul documento finanziario è stato deluso, la preoccupazione principale è parsa essere la segnaletica dei sentieri. Alliod ha però spiegato il motivo del silenzio e dell'astensione: «Non è il massimo fare un Consiglio pochi giorni prima di Ferragosto, quando chi lavora nel turismo è oberato di lavoro. Leggere tutto il malloppo del bilancio diventa veramente difficile».

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Le polemiche, i sospetti. Le intercettazioni e le testimonianze delle show girl coinvolte nel Bari-g... (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 13-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Stai consultando l'edizione del FRANCESCA ORTALLI Le polemiche, i sospetti. Le intercettazioni e le testimonianze delle show girl coinvolte nel Bari-gate. Ma al «Billionaire» anche quest'anno è tutto pronto per il Ferragosto. Tappeti orientali e cuscini sparsi per terra. Pouf e divani in ferro battuto protetti da tende bianche per riparare da occhi indiscreti, con lanterne africane e bassi tavolini in legno all'insegna dell'etno chic. Il tutto circondato da enormi colonne con in cima zampilli d'acqua protetti dal plexiglass e, ai piani alti delle sale private, statue orientali negli angoli come custodi dei graditi ospiti. È sempre qui, nella creatura esclusiva del manager Flavio Briatore, il centro di gravità permanente delle notti in Costa Smeralda. In questa villa a tre piani che si affaccia sul golfo del Pevero sono passati tutti. Dai vip, accolti gratis con accesso alla sala riservata un po' più in alto sulla destra, a quelli che invece non li conosce nessuno ma sono disposti a pagare 50 euro per vedere da vicino qualche velina con calciatore annesso che si dimenano sulla pista della discoteca. Al terzo piano, salendo una scala in cotto si spalancano le porte del ristorante, allestito in una terrazza coperta con tetti in paglia e curato da Cipriani, il manager del famosissimo Harry's Bar. Per accontentare tutti i palati è stato predisposto anche il sushi corner, con il guru della cucina giapponese Miki Nosawa. Per le serate del 14 e 15 qui si può cenare alla modica cifra di 500 euro ogni quattro persone con bottiglia di champagne base (le successive naturalmente a pagamento) mentre per l'accesso al privè non bastano due stipendi, visto che si tocca il picco dei 2500. Non è roba per tutti. E' un club esclusivo così come il giro smeraldino del rampante Tarantini, intercettato da queste parti la scorsa estate con la sua corte svolazzante. E quando entrava lui, rigorosamente nell'inaccessibile privè sulla destra, veniva circondato da un capannello di gente nota e meno nota. Ma qualcosa è cambiato dalla scorsa estate: effetto del fotografo ficcanaso Zappaddu, si è detto, ma anche lo tsunami dell'inchiesta di Bari, che con le sue onde anomale ha sconvolto quest'angolo di Sardegna. Per la verità, i veri aristocratici del luogo, quelli che già c'erano ai tempi dell'Aga Khan, sono un poco infastiditi da tutte queste stelline e stellette. Troppi eccessi, così come i barconi ormeggiati al largo che fanno «cafone», racconta una nostalgica contessa dal sangue blu, per non parlare poi del «fracasso» del via vai di macchinoni che scuote a tutte le ore i ginepri dell'eremo del Romazzino, la zona più chic di Porto Cervo. Sarà per questo che da alcuni anni il consorzio Costa Smeralda ha preferito la strada della cultura, organizzando mostre, reading con scrittori di grido e quant'altro, con l'intento di riportare la sobrietà e lo stile di un tempo. Resta il fatto la Costa Smeralda è dominio assoluto di Flavio Briatore, gran visir del turismo di lusso. Ancora si ricorda la violenta campagna organizzata dal manager Renault all'indomani della tassa sul lusso voluta dalla giunta Soru: paginoni interi acquistati sui quotidiani locali al grido di «essere ricchi non è un reato». La misura fu poi bocciata in alcune sue parti dalla Corte Costituzionale e poi, per essere proprio sicuri, abolita completamente dal neo governatore Cappellacci ad una settimana dal suo insediamento. Che Briatore sia ben visto dagli amministratori del centro destra non è un mistero: lo conferma la concessione per cinque anni firmata dall'ex sindaco di Arzachena Pasquale Ragnedda (Fi) a cinque giorni dalle elezioni comunali del 2008. Che regala in pratica l'uso della pineta alle spalle della spiaggia di Capriccioli (quella dell'hotel Cala di Volpe) al «Rubacuori», ultimo sogno estivo per vip dell'imprenditore di Cuneo. Qui dove un lettino con tenda costa 500 euro e un'insalata con bibita 75, si è combattuta la guerra solitaria del carpentiere arzachenese Francesco Pirina. Una domenica mattina si è presentato nella pineta con tutta la famiglia e alcuni «simpatizzanti» armato di ombrellone e tavolo da pic nic, come aveva sempre fatto, scandalizzando gli sciccosissimi ospiti nelle tende in stile Gheddafi e nei lettini-baldacchino. Alla fine Mr Briatore chiede a Pirina 380 mila euro di risarcimento danni per il semplice fatto di aver usufruito di un bene comune, che, nel frattempo, era stato trasformato con radicale potatura in una specie di giardino Zen. La settimana scorsa i carabinieri hanno trovato al «Billionaire» 300 persone in più rispetto al dovuto. Tutto nasce da alcuni problemi con le certificazioni antincendio, e in sintesi, Briatore dovrebbe pagare una multa. Poco male, il «Billionaire» non chiude e si rifarà in fretta con le cene di ferragosto a colpi di 2500 euro. Una multa cosa volete che sia. Il racconto Visualizza la pagina in PDF

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Un regolamento per i figli dei clandestini (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 13-08-2009)

Argomenti: Giustizia

GENOVA Un regolamento per i figli dei clandestini ROMA L'idea nasce dalla necessità di risolvere un problema: quello di permettere anche alle coppie di immigrati irregolari di iscrivere all'anagrafe il figlio nato in Italia. Un gesto semplice fino a pochi giorni fa, ma divenuto difficile e perfino pericoloso da quando la nuova legge sulla sicurezza ha introdotto il reato di clandestinità. Il risultato è che, per paura di essere denunciati, i genitori irregolari non si presentino più, dopo il parto, all'anagrafe per denunciare la nascita, trasformando così il figlio in un «bambino fantasma». E questo nonostante il governo assicuri che per le donne immigrate incinta la legge conceda un permesso di soggiorno temporaneo. Per ovviare al problema, il Comune di Genova sta pensando di permettere direttamente ai medici, ginecologi e pediatri, di procedere all'iscrizione del bambino all'anagrafe dopo il parto. Evitando in questo modo possibili denuncie per i genitori. La novità verrà inserita in un regolamento ad hoc per l'accesso all'anagrafe e ai servizi all'infanzia che gli esperti legali del comune stanno mettendo a punto.«In questo modo i figli degli immigrati potranno avere garantito il codice fiscale e quindi l'assistenza sanitaria e tutti i servizi previsti per l'infanzia, dagli asili nidi alla scuola materna», spiega Paolo Veardo, assessore ai servizi civici del comune. «Poter iscrivere il proprio figlio all'anagrafe è un passo importante per garantire l'integrazione degli immigrati, e vogliamo che tutti possano goderne, senza avere paura». Per un bambino immigrato l'iscrizione all'anagrafe non rappresenta solo la possibiltà di poter accedere ai servizi per l'infanzia e all'assistenza sanitaria, ma risulta fondamentale anche per poter ottenere in futuro la cittadinanza italiana. Una possibilità legata alla facoltà che i comuni hanno di segnalare al ministero degli Interni gli stranieri nati nel proprio territorio che vi hanno soggiornato fino alla maggiore età. Sempre a Genova in un anno sono stati un centinaio i figli di immigrati che hanno ottenuto la cittadinanza in questo modo. «Affinché questa pratica possa continuare a essere applicata - prosegue Veardo - è fondamentale poter dichiarare la nascita e, con le nuove norme, per i clandestini diventa un problema». A settembre, finita la pausa estiva, il nuovo regolamento verrà portato in aula e discusso con l'opposizione. «Noi non governiamo con i decreti, e tutti avranno modo di poter dire ciò che pensano», spiega ancora Veardo polemizzando con la pratica del governo di procedere attraverso provvedimenti d'urgenza e voti di fiducia, impedendo di fatto ogni confronto. Il rischio è che in futuro, una volta che il regolamento dovesse essere approvato, il governo possa cercare di bloccarlo facendo ricorso alla Corte costituzionale. Non sarebbe la prima volta. La stessa cosa accadde infatti con la legge che, sempre a Genova, consentiva agli immigrati di votare alle elezioni amministrative. «Certo, la possibilità esiste - ammette l'assessore - ma ricordiamoci che stiamo parlando dei diritti dei bambini». «La Costituzione va rispettata ma ci sono leggi che non la rispettano», conclude Veardo parlando delle nuove misure anti-immigrati introdotte con al legge sulla sicurezza. «Noi stiamo studiando gli spazi di autonomia delle amministrazioni locali, e riteniamo che in questo caso esistano. La nascita diventa un fattore dirimente. Senza la dichiarazione di nascita tutto questo ragionamento cade».

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processo in piazza a giulio cesare (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 14-08-2009)

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Pagina XIII - Napoli Torre Orsaia Processo in piazza a Giulio Cesare Processo alla storia alle 21,30 in piazza a Torre Orsaia (Sa). Imputato per insurrezione armata, attentato alla Costituzione, strage, alto tradimento e sovversione è Giulio Cesare. Il tribunale del popolo sarà presieduto da Giuseppe Tesauro, giudice della Corte costituzionale. Giudici: Claudio Tringali (presidente tribunale Vallo della Lucania), Raffaele Quaranta (penalista), Nicola D´Angelo (magistrato), Raffaele Grisolia, (docente di filologia). A sostenere l´accusa: il Procuratore Corrado Lembo e il giudice Nicola Graziano. Cesare sarà difeso dai penalisti Attilio Tajani e Franco Maldonato. Cancelliere Lorenzo Vallone.

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religione, il vicariato di roma avverte "a settembre battaglia agli scrutini" (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 14-08-2009)

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Pagina 13 - Cronaca Religione, il Vicariato di Roma avverte "A settembre battaglia agli scrutini" L´associazione magistrati amministrativi: "Troppe critiche ideologiche" ROMA - Dopo i duri attacchi della Cei e dell´Osservatore Romano contro la sentenza del Tar del Lazio sull´ora di religione cattolica, scende in campo il Vicariato di Roma: «Agli scrutini di settembre, dedicati alla valutazione degli studenti che hanno debiti scolastici, sarà battaglia - annuncia don Filippo Morlacchi, direttore dell´Ufficio per la pastorale scolastica - A giugno l´insegnante di religione ha partecipato a pieno titolo, ora non lo potrà più fare? Si tratterebbe di una nuova ingiustizia, di un´altra disparità». E non lesina accuse ai magistrati del Tar: «La sentenza non nasce tanto da un atteggiamento laicista, quanto da una mentalità anticlericale e avversa alla Chiesa cattolica, visto che tra i promotori del ricorso ci sono denominazioni cristiane non cattoliche e gruppi di ebrei». La replica dell´Associazione nazionale magistrati amministrativi non è fatta attendere: «Le sentenze possono essere criticate - si legge nel comunicato dell´Anma - ed esiste un rimedio istituzionale come l´appello. Appaiono invece gratuite e pericolose le considerazioni sui giudici, fondate su contrapposizioni ideologiche. Il giudice ha il dovere di applicare le leggi e prima tra esse, la Costituzione». In attesa del ricorso al Consiglio di Stato da parte del ministro Gelmini, i sostenitori della linea cattolica affilano le armi: il neonato gruppo Facebook ha raccolto in pochi giorni centinaia di adesioni. Ma anche sul fronte opposto ci si prepara allo scontro. Le associazioni laiche e le confessioni religiose non cattoliche che hanno presentato e vinto al Tar annunciano che andranno fino in fondo. «Diciamo no alla religione insegnata secondo i dettami del catechismo - afferma Mario Di Carlo, coordinatore della Consulta romana per la laicità delle istituzioni - e per sancire una volta per tutte il principio di "non discriminazione", spiegheremo ai giudici del Consiglio di Stato che è necessario l´intervento della Corte Costituzionale».

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Sull'ora di religione è battaglia di ricorsi (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 14-08-2009)

Argomenti: Giustizia

Sull'ora di religione è battaglia di ricorsi Stefano Milani ROMA ROMA «Quelli che vogliono la religione cattolica nel percorso curriculare». Dopo l'appello accorato, mascherato da ordine, della Cei, la conseguente presa di posizione della Gelmini che si appellerà al Consiglio di Stato e l'indignazione (quasi) totale del mondo politico di ogni colore, anche il mondo virtuale di Facebook si mobilita con uno suo gruppo, nato per contrastare il tentativo di rendere la scuola un po' più laica la scuola italiana. Giusto per dare retta a quel che dice la nostra Costituzione. Ma questa polemica agostana oltre a far dividere l'Italia tra «laici» e «cattolici» (come se le due cose non possono andare parallele) rischia di produrre altri guelfi e ghibellini. Contro i prof di religioni si schierano infatti tutti gli altri credi «minori» che, sentenza del Tar in mano, ora chiedono «equità». Se così non sarà, se il Consiglio di Stato annullerà la decisione del tribunale amministartivo, sono pronti a scendere in piazza. «Contrariamente agli anni precedenti questa volta andremo fino in fondo. In caso di invalidazione anche di questo pronunciamento faremo ricorso alla Corte costituzionale», minaccia Domenico Maselli, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei). Ma la diatriba sull'ora di religione rischia di spostare il cuore del problema sulla scuola pubblica in Italia. Seriamente compromessa tra un taglio gelminiano e una «sparata» leghista. L'ultima si potrà leggere oggi (in rigoroso dialetto piemontese) sulle pagine della Padania. In un articolo a firma Roberto Cota, presidente del Carroccio alla Camera, si ribadisce un cult padano, ovvero che «gli idiomi locali devono far parte del processo formativo degli studenti, entrare nei programmi scolastici insieme alle nozioni della cultura locale». Su questo il ministro Gelmini, un paio di settimane fa, si era detta disponibile a parlarne.

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