CENACOLO  DEI  COGITANTI

PRIMA PAGINA

TUTTI I DOSSIER

CRONOLOGICA

 

Report "Giustizia"  1-10 luglio 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Giustizia

RISPOSTAI giudici che piacciono a Berlusconi sono quelli che accettano i suoi inviti a cena. Quello ... ( da "Unita, L'" del 01-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: situazione è analoga a quella del giudice penale che andasse a cena con il suo imputato durante il processo e sembra a me davvero grave che il CSM ed il suo presidente non abbiano ancora detto nulla su un episodio così grave. Giusto, sicuramente, preoccuparsi dell'immagine del paese nell'imminenza del G8. Giusto almeno altrettanto, però, preoccuparsi dell'immagine della Suprema Corte.

La sinistra nemica del paese. Colle categorico ( da "Manifesto, Il" del 01-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Attaccato da destra per non aver aderito all'appello del Quirinale, il leader dell'Italia dei valori Antonio Di Pietro chiede piuttosto al capo dello stato di inviare un messaggio alla Corte costituzionale sul caso dei giudici, Luigi Mazzella e Paolo Maria Napolitano, che hanno cenato col Cavaliere e con il guardasigilli Angelino Alfano.

( da "Corriere della Sera" del 01-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Pronunciamento netto del giudice dopo la sentenza della Corte Costituzionale «Fecondazione assistita anche per coppie non sterili» Il tribunale di Bologna: sì all'analisi preimpianto dell'embrione ROMA Saltano gli steccati della legge sulla fecondazione artificiale, sotto i colpi dei giudici. Un'ordinanza del tribunale di Bologna depositata due giorni fa aggiunge novità e rafforza,

Trattato di Lisbona, sì della Corte tedesca ma ratifica rinviata ( da "Corriere della Sera" del 01-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: sì della Corte tedesca ma ratifica rinviata «Prima rafforzare i poteri del Parlamento» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO La Corte Costituzionale tedesca ha detto ieri che il Trattato di Lisbona non è in contraddizione con la Carta Fondamentale. Ma ne ha rimandato la ratifica e ha posto una condizione che indica l'orientamento della Germania:

I giudici tedeschi ritardano il via libera al Trattato di Lisbona ( da "Sole 24 Ore, Il" del 01-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: PANORAMA I giudici tedeschi ritardano il via libera al Trattato di Lisbona La Corte costituzionale tedesca dà l'ok con riserva alla ratifica del Trattato di Lisbona. I giudici hanno chiesto al parlamento una legge per rafforzare le prerogative delle camere, in modo da sopperire al «deficit» democratico delle istituzioni comunitarie.

Berlino rimanda il Trattato Ue ( da "Sole 24 Ore, Il" del 01-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La Corte costituzionale promuove la Carta ma sospende la ratifica già varata dal Bundestag Berlino rimanda il Trattato Ue Serve una legge per rafforzare i poteri del parlamento nazionale Beda Romano FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente La Corte costituzionale ha dato ieri il suo atteso benestare al Trattato di Lisbona,

Situazione al collasso ( da "Manifesto, Il" del 01-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: avverte il presidente della Corte Costituzionale, Francesco Amirante, intervenendo ieri alla conferenza stampa, «occorre impedire che ci siano regressioni nella tutela dei diritti fondamentali con la motivazione della straordinarietà delle situazioni». La «intollerabilità» denunciata da Antigone riguarda anche le condizioni di lavoro degli operatori penitenziari «

Vito: "Alla cena coi giudici non si parlò del Lodo Alfano" ( da "Repubblica.it" del 01-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: parte dei giudici della Consulta rispetto al prossimo giudizio di costituzionalità sul Lodo Alfano. Il lodo, ribatte Quagliariello, "non è un provvedimento su Berlusconi, né la corte costituzionale è un tribunale chiamato a pronunciarsi sulla colpevolezza o sull'innocenza del presidente del Consiglio, come invece parrebbe di capire leggendo le parole della senatrice Finocchiaro.

Lodo Alfano, scontro Di Pietro-Bondi ( da "Stampaweb, La" del 01-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: dimettersi dal suo incarico per restituire dignità al suo ufficio e a quello della Corte costituzionale» chiamata a decidere sulla costituzionalità del Lodo Alfano. Il ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, spiega che nel corso di quella cena non si è parlato della legge che stabilisce la sospensione dei processi per le prime quattro cariche dello Stato ma al leader dell?

Caso Consulta, lite Di Pietro-Bondi ( da "Stampaweb, La" del 01-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: dimettersi dal suo incarico per restituire dignità al suo ufficio e a quello della Corte costituzionale» chiamata a decidere sulla costituzionalità del Lodo Alfano. Il ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, spiega che nel corso di quella cena non si è parlato della legge che stabilisce la sospensione dei processi per le prime quattro cariche dello Stato ma al leader dell?

Il giudice Mazzella scrive a Berlusconi "Siamo oggetto di barbarie" ( da "Repubblica.it" del 01-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: il ministro della Giustizia Angelino Alfano, insieme ad un altro giudice costituzionale, Paolo Maria Napolitano, e al senatore Carlo Vizzini che ha scatenato polemiche feroci sull'opportunità che due giudici dell'Alta Corte si incontrino alla viilia di una importante decisione sul Lodo Alfano che la Consulta dovrà giudicare a settembre.

il giudice della corte: inviterò ancora berlusconi ( da "Repubblica, La" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Scontro Di Pietro-Bondi Il giudice della Corte: inviterò ancora Berlusconi ROMA - Il giudice della Corte Costituzionale Luigi Mazzella sfida le critiche con una lettera aperta al premier Berlusconi: «Caro presidente, caro Silvio, non è la prima volta e non sarà l´ultima che ti invito a cena».

parzialità confessa - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: sia quello di un giudice della Corte Costituzionale, se non arriva ancora a farci disperare del futuro del nostro diritto e della nostra Costituzione (c´è ben altro, per fortuna, alla Consulta), ci fa interrogare però con angoscia sul degrado del nostro discorso pubblico, e sul senso dello Stato che circola in ambienti giuridici e politici tutt´altro che marginali.

cure gratis ai trans, volata in regione - ava zunino ( da "Repubblica, La" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: le parti che erano anche nella legge della Regione Toscana e che sono state impugnate presso la Corte Costituzionale. Ci rivediamo martedì prossimo. Mi aspetto che sia votata da tutta la maggioranza, poi naturalmente ognuno si assume le proprie responsabilità». La legge dovrà anche avere il via libera del tavolo di monitoraggio nazionale che sorveglia i conti della sanità ligure.

estate romana, tutto il calendario oggi il numero speciale del trovaroma ( da "Repubblica, La" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Diciotto sentenze della Corte costituzionale, quattro referendum e le leggi Maccanico, Gasparri e Gentiloni - sostengono gli autori che presenteranno il testo oggi pomeriggio a Montecitorio alla presenza di Massimo D´Alema e del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi - non sono bastati per affrancare, di fatto, la televisione italiana dal controllo politico.

Obiettivo: razionalizzare il processo ( da "Italia Oggi" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali e di assicurare la concentrazione delle tutele. Tra i punti da riordinare anche il sistema delle impugnazioni e la riassunzione del processo, che per l'ipotesi di sentenze di altri ordini giurisdizionali risulta,

Sul filo sottile della governance Ue ( da "Sole 24 Ore, Il" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: GlistrappidiSarkozyelaConsultatedescaspingonoversolarevisionedelPattodistabilità di Carlo Bastasin L a motivazione della sentenza emessa mercoledì dalla Corte costituzionale tedesca può cambiare volto all'Europa. Accolte con superficiale compiacimento negli angiporti di Bruxelles e della politica comunitaria, le 147 pagine diffuse da Karlsruhe fissano dei vincoli pesantissimi agli impegni europei del più importante tra i paesi della Ue.

Un'ipotesi. Per ora accantonata ( da "Manifesto, Il" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: che solo la Corte costituzionale potrebbe rimuovere, eppure elevare a rango di 007 il personale dei voli presidenziali «creerebbe un automatismo», come spiega il senatore Pd Felice Casson che ieri ha presentato un'interrogazione parlamentare. Ci si potrebbe addirittura avvalere del «divieto di rendere testimonianza in giudizio» sull'

Parole oltranziste Adesso tocca a lui porre rimedio ( da "Manifesto, Il" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: CSM) «Parole oltranziste Adesso tocca a lui porre rimedio» Andrea Fabozzi «Sono sorpreso, è una lettera oltranzista». Non è facile coinvolgere Vincenzo Siniscalchi - consigliere del Csm in quota Pd - in una polemica. Giurista e avvocato di fama, Siniscalchi ha il passo del garantista ostinato e ci tiene al rispetto della sfera privata.

Via libera al sindaco sull'ordine pubblico ( da "Sole 24 Ore, Il" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Dalla Corte costituzionale Via libera al sindaco sull'ordine pubblico Guglielmo Saporito Via libera dalla Corte costituzionale alle ordinanze sindacali emesse a tutela della sicurezza urbana. Lo afferma la sentenza n.196 di ieri, 1Ú luglio, la quale respinge i dubbi su un decreto del ministro dell'Interno dell'agosto 2008.

Promosse le soglie di fallibilità ( da "Sole 24 Ore, Il" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: pag: 31 autore: Corte costituzionale. Respinta la questione di legittimità sull'onere probatorio del debitore Promosse le soglie di fallibilità Quasi impossibile invece la verifica affidata ai creditori o al Pm Giovanni Negri MILANO Supera l'esame di costituzionalità uno dei cardini della riforma del diritto fallimentare.

Dichiarazioni senza abusi ( da "Sole 24 Ore, Il" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Lo precisa la Corte costituzionale con la sentenza n. 197 scritta da Giuseppe Frigo e depositata ieri. è stata così giudicata infondata la questione di legittimità sollevata dal tribunale di Siracusa sui commi 5 e 6 dell'articolo 503 del Codice di procedura penale.

Joe Slovo RESISTE ALL'ANC ( da "Manifesto, Il" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La Corte costituzionale ha dato il suo verdetto: l'occupazione di Joe Slovo è illegale. Questo era l'ultimo grado di giudizio. Ora dovete decidere se opporvi alla decisione o negoziare una ricollocazione. Naturalmente non devo dirvi io che, se la vostra scelta sarà la resistenza, il governo potrà cacciarvi con la forza».

Cena premier-giudici, Di Pietro all'attacco ( da "Corriere della Sera" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: aveva già provocato perplessità e critiche, visto che il prossimo ottobre la Corte costituzionale dovrà esprimersi sulla costituzionalità del Lodo Alfano, la legge che sospende i processi per le alte cariche. Ma ieri lo scontro si è spostato alla Camera, dove Antonio Di Pietro ha presentato una interrogazione al governo sul caso.

I toni ( da "Corriere della Sera" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: la cena di alcune settimane fa tra Silvio Berlusconi, alcuni esponenti del governo e due giudici della Corte costituzionale è la conferma dei sospetti di sempre; ed un ottimo episodio da spendere per aiutare il referendum chiesto dall'Italia dei valori contro il «lodo Alfano»: la legge che sospende i processi per le più alte cariche dello Stato.

E Mazzella scrive al Cavaliere ( da "Corriere della Sera" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: incipit di una lettera aperta al premier Silvio Berlusconi con cui il giudice della Corte Costituzionale, Luigi Mazzella, garantisce all' «amico di vecchia data» che la cena a casa sua, contestata dal Pd e dall'Idv, non è stata la prima e «non sarà certo l'ultima fino al momento in cui scrive un nuovo totalitarismo malauguratamente dovesse privarci delle nostre libertà personali ».

Fatti gravissimi La Corte, deve tenersi lontana dalla politica ( da "Unita, L'" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Fatti gravissimi La Corte, deve tenersi lontana dalla politica I giudici della Corte Costituzionale tacciono, parlano con le loro sentenze. E in caso di conflitti d'interesse si astengono», spiega la costituzionalista Tania Groppi. Come giudica l'intera vicenda?

Scoppia il caso Consulta Mazzella scrive: Caro Silvio... ( da "Unita, L'" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte Costituzionale. Un caso senza precedenti con scenari che investono direttamente, come arbitro, il presidente della Consulta Francesco Amirante. Ieri pomeriggio il governo, interrogato dall'Italia dei Valori, ha ammesso nell'aula di Montecitorio che «nelle prime due settimane di maggio» c'è stata una cena a casa del giudice Costituzionale Luigi Mazzella a cui hanno partecipato

Decreto sulle ronde, ok del Senato ( da "Corriere delle Alpi" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: lo invita a non compromettere ulteriormente l'immagine della Corte Costituzionale, giudicando del tutto inopportuno quell'incontro privato. La bufera è destinata a durare ancora con Di Pietro che insiste sulle loro dimissioni e chiede l'intervento di Napolitano e del Presidente della Corte Costituzionale.

( da "Manifesto, Il" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: che solo la Corte costituzionale potrebbe rimuovere, eppure elevare a rango di 007 il personale dei voli presidenziali «creerebbe un automatismo», come spiega il senatore Pd Felice Casson che ieri ha presentato un'interrogazione parlamentare. Ci si potrebbe addirittura avvalere del «divieto di rendere testimonianza in giudizio» sull'

Parzialità confessa Il senso dello Stato ( da "Repubblica.it" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: sia quello di un giudice della Corte Costituzionale, se non arriva ancora a farci disperare del futuro del nostro diritto e della nostra Costituzione (c'è ben altro, per fortuna, alla Consulta), ci fa interrogare però con angoscia sul degrado del nostro discorso pubblico, e sul senso dello Stato che circola in ambienti giuridici e politici tutt'altro che marginali.

Giudici a cena con il premier Il Colle: ( da "Repubblica.it" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: interferirebbe nella sfera di insindacabile autonomia della Corte Costituzionale". Motivo del contendere una cena a casa del giudice costituzionale Luigi Mazzella, cui hanno partecipato Silvio Berlusconi, il ministro della Giustizia Angelino Alfano, insieme ad un altro giudice costituzionale, Paolo Maria Napolitano, e al senatore Carlo Vizzini che ha scatenato polemiche feroci sull'

Giudici a cena con Berlusconi Il Quirinale: "Non interferiamo" ( da "Stampaweb, La" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: nella sfera di insindacabile autonomia della Corte". Ma così viene ribaltata la verità, che è un?altra: sono stati i due giudici della Consulta, Luigi Mazzella e Paolo Maria Napolitano, a ledere l?autonomia della Corte Costituzionale, rivendicando l?intima amicizia e invitando a cena, ripromettendosi di farlo ancora, l?

La Corte boccia parte della riforma Gelmini ( da "Stampaweb, La" del 02-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Lo ha stabilito la Corte costituzionale dichiarando parzialmente illegittime alcune norme del decreto sviluppo del giugno 2008, quelle che realizzavano consistenti risparmi di spesa sulla scuola a partire dal prossimo anno scolastico. Due i punti dichiarati incostituzionali dai giudici della Consulta, alle prese con i ricorsi delle Regioni:

bocciati i tagli della gelmini la consulta: riforma illegittima - salvo intravaia ( da "Repubblica, La" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Alta Corte ha detto no anche alla chiusura delle mini-scuole: compito regionale SALVO INTRAVAIA Dopo il Tar del Lazio, anche la Corte Costituzionale boccia un pezzo della Riforma Gelmini. Con l´attesissima sentenza depositata ieri in tarda serata, l´Alta Corte ha ricusato i provvedimenti del governo sull´accorpamento degli istituti e la chiusura delle miniscuole.

L'etica della giustizia e la moglie di Cesare ( da "Italia Oggi" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: ma solo se la Corte costituzionale dichiarerà illegittima la legge. Di Pietro ha parlato addirittura di violazione o di lacerazione della sacralità della Consulta, ma tutta l'opposizione protesta chiedendo le dimissioni dei due giudici e comunque almeno la loro astensione dal giudizio sul lodo, sulla scorta però di argomenti tratti dall'

L'albo dei tecnici laureati piace agli ingegneri ( da "Italia Oggi" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Ma unificare ha spiegato poi Sabino Cassese, giudice della Corte costituzionale, vuol dire soprattutto «salvaguardare le singole figure professionali consentendo di assicurare l'interdisciplinarità e di mettere a disposizione dell'economia un patrimonio di conoscenze e di servizi relativi all'industria, al territorio e alle tecnologie».

Reti scolastiche, decide la regione ( da "Italia Oggi" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 200 di ieri dichiarando parzialmente illegittime alcune norme (art. 64) della legge 133/2008, quelle che realizzavano consistenti risparmi di spesa sulla scuola a partire dal prossimo anno scolastico. Due i punti dichiarati incostituzionali dai giudici della Consulta,

Chi è la talpa? Se la cena si fosse svolta a Palazzo Grazioli sarebbe stato sufficiente dare la... ( da "Unita, L'" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Vice di Napolitano a Palazzo Marescialli, forse anche meglio della Corte costituzionale. A proposito di giustizia, in Transatlantico si torna a parlare di brutte novità in arrivo dall'Abruzzo per due parlamentari della maggioranza, un senatore ed un deputato. Sanità ma anche il contributo, molto alto, chiesto ai candidati al Parlamento.

Tutti abbassino i toni, la Corte saprà essere come sempre imparziale . E alla fine, ... ( da "Unita, L'" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Gli occhi restano puntati per ore sul Colle dove coabitano, dirimpettai, Quirinale e Corte. La Presidenza della Repubblica fa sapere di non poter intervenire «perché sarebbe un'interferenza nella sfera di insindacabile autonomia della Corte Costituzionale». Io no, dice il Colle, ma la Corte sarebbe il caso che intervenisse. Succede a pomeriggio avanzato.

Bocciato il ministro Scuole da chiudere decideranno Regioni e Comuni ( da "Unita, L'" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La Corte Costituzionale boccia Maria Stella Gelmini su due "materie", ritenuti di competenza regionale (ed otto Regioni erano state a promuovere il ricorso alla Consulta, nell'agosto scorso): il primo riguarda la definizione tramite regolamento ministeriale di criteri, tempi e modalità per ridimensionare la rete scolastica.

Francesco Briguglio Politico buffone Recentemente la corte superiore della magistratura ha de... ( da "Unita, L'" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte Costituzionale Come cittadino desidero esprimerLe direttamente tutta la mia indignazione e sdegno per la vicenda dei giudici Paolo Maria Napolitano e Luigi Mazzella a cena con Berlusconi. Poiché leggo sui media che il fatto è stato da loro stessi ammesso, ritengo la cosa gravissima per la credibilità dell'istituzione che rappresentano e per il giudizio che la Corte è chiamata

Consulta imparziale sul lodo ( da "Sole 24 Ore, Il" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: © RIPRODUZIONE RISERVATA LA POLEMICA Il giudice Napolitano: la richiesta di dimissioni è un tentativo di intimidazione Ma poco dopo la Corte chiede di abbassare i toni In prima linea. Il presidente della Corte costituzionale Francesco Amirante CONTRASTO

Censura parziale dalla Consulta per i tagli alla scuola ( da "Sole 24 Ore, Il" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Lo ha sancito la Corte costituzionale bocciando ieri (con la sentenza n. 200) due passaggi del decreto voluto dal ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini (contenuti per la precisione nelle lettere f-bis) e f-ter) dell'articolo 64, comma 4, del decreto legge n.

Non possumus del Colle: Per i 15 regole speciali ( da "Manifesto, Il" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La prima è che la corte Costituzionale deve giudicare sulle leggi dunque su questioni astratte. La seconda è che si fa affidamento sull'autorevolezza dei componenti della Corte. La terza è che nei giudizi il collegio costituzionale non può scendere sotto gli undici componenti (su quindici) dunque astensioni e ricusazioni metterebbero a rischio (

( da "Corriere della Sera" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: nel 1969 la Corte Costituzionale italiana spiegò con queste parole perché riteneva giusto che le donne andassero in pensione prima degli uomini: «Rientra fra i poteri del legislatore anche quello di limitare nel tempo il periodo in cui la donna venga distratta dalle cure familiari e di consentire che, giunta ad una certa età,

Il presidente della Consulta ( da "Corriere della Sera" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 03/07/2009 - pag: 1 Lodo Alfano Il presidente della Consulta «Saremo imparziali» «La Consulta sarà imparziale»: sul lodo Alfano intervento del presidente della Corte Costituzionale, Francesco Amirante, dopo il caso dei due giudici che avevano cenato col premier Berlusconi. ALLE PAGINE 14E15

( da "Corriere della Sera" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 03/07/2009 - pag: 1 La Corte Costituzionale «Piccole scuole, no ai tagli» A PAGINA 29 Benedetti

Il Quirinale costretto a intervenire per tutelare l' ( da "Corriere della Sera" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: mese nel quale è prevista la sentenza della Corte costituzionale, centrodestra e centrosinistra giocano una partita decisiva. E che tale fosse lo si è visto fin dai primi passi del provvedimento. Quando Napolitano si trovò oggetto di sfottò e intimazioni, nelle piazze e in Parlamento, e fu obbligato a precisare per iscritto le ragioni della propria firma.

Il presidente della Consulta: saremo imparziali ( da "Corriere della Sera" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: dopo la richiesta di dimissioni per due membri della Corte costituzionale che hanno cenato con il premier Il presidente della Consulta: saremo imparziali Amirante: non alzare i toni. Ma tra i giudici c'è malumore dopo il caso Mazzella. La nota del Colle ROMA La Corte costituzionale «nella sua collegialità deciderà, come ha sempre fatto, in serenità e con imparzialità e obiettività,

La Consulta boccia i tagli delle piccole scuole ( da "Corriere della Sera" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Lo ha stabilito la Corte costituzionale dichiarando illegittime alcune norme del decreto sullo Sviluppo del giugno 2008, contestato da prof e sindacati per gli interventi di razionalizzazione nella scuola (accorpamento classi concorso, ridefinizione programmi e orari, nuovi criteri formazione classi, maestro unico, revisione degli organici)

Donne in pensione più tardi ma meno tasse sui loro stipendi ( da "Corriere della Sera" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: ma le parole della Corte Costituzionale di quaranta anni fa oggi sbalorditive, eppure limpidissime nel chiarire la vera logica della differenziazione sopravvissuta fino a oggi dovrebbero indurci a parificare al più presto i limiti di età per la pensione anche nel settore privato.

IL PROCESSO CONTRO MADOFF UN GIUDIZIO PURITANO ( da "Corriere della Sera" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La Corte costituzionale produce giudizi importanti dopo discussioni di grande interesse giuridico. I ricorsi contro la pena capitale sono numerosi e talora efficaci. Ma lo spettacolo dei detenuti che languiscono per anni nella cella della morte prima di conoscere la loro sorte non è degno di un Paese civile.

La Consulta boccia la Gelmini ( da "Corriere delle Alpi" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: da parte della Corte costituzionale delle norme sui tagli alla scuola. «La sentenza infatti - afferma la parlamentare - dichiara l'illegittimità costituzionale del famigerato articolo 64 della manovra estiva dello scorso anno. La Gelmini e tutto il governo davanti alle proteste e ai rilievi dell'opposizione e del mondo della scuola non si sono mai fermati.

Caso Mazzella: Abbassare i toni ( da "Corriere delle Alpi" del 03-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Dei due giudici della Corte costituzionale ne discuterà il 6 ottobre la stessa Consulta. La data è lontana, ma la polemica è viva, dopo la rivelazioni dell'Espresso. Ieri c'è stato l'intervento pubblico di Francesco Amirante, che delle Corte è il presidente. Ha detto due cose.

Il rigore è la strada giusta ( da "Sole 24 Ore, Il" del 04-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La Corte costituzionale definisce la sicurezza come un obiettivo che autorizza all'adozione di «misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell'ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza, nonché alla sicurezza delle istituzioni,

Regioni più libere sulla rete scolastica ( da "Sole 24 Ore, Il" del 04-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: 200 depositata il 2 luglio dalla Corte costituzionale (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri). La Consulta ha fatto chiarezza su due punti: spetta a Regioni ed enti locali definire criteri, tempi e modalità per ridimensionare la rete scolastica; la chiusura o l'accorpamento delle scuole nei piccoli Comuni è competenza delle autonomie locali.

L'idea di un sabbatico dopo il vertice dei Grandi ( da "Corriere della Sera" del 04-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Perché più del lodo Alfano che rischia di essere cassato dalla Corte Costituzionale, più della riforma della giustizia che doveva marciare di pari passo con il federalismo fiscale e invece è ferma al palo, sono la crisi economica e l'Abruzzo le priorità da affrontare e risolvere, pena il crollo della fiducia con un elettorato che - nonostante tutto - continua a sostenerlo.

Bossi e il premier: i Servizi usano le donne ( da "Corriere della Sera" del 04-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Silvio Berlusconi e i due giudici della Corte Costituzionale Luigi Mazzella e Paolo Maria Napolitano. Cena durante la quale si sarebbe parlato del «lodo Alfano». Il leader del-- l'Italia dei Valori Antonio Di Pietro ha chiesto l'immediato intervento del presidente della Corte Costituzionale Francesco Amirante, ha nuovamente invitato i due giudici a dimettersi e li ha accusati di «

Ora nelle valli alpine vogliono ridiscutere i tagli delle mini-classi ( da "Stampa, La" del 05-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: CORTE COSTITUZIONALE Ora nelle valli alpine vogliono ridiscutere i tagli delle mini-classi Amministratori locali soddisfatti della sentenza della Corte costituzionale che ha respinto i tagli alle scuole di montagna ipotizzati dalla riforma Gelmini, stabilendo che l'eventuale riorganizzazione scolastica spetta alle Regioni.

A pranzo coi giudici: oltraggio alla Corte ( da "Unita, L'" del 05-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: hanno dimostrato incroci e rapporti contro natura (la natura costituzionale) tra istituzioni dello Stato e hanno chiesto al Paese una rivoluzione, ovvero una stagione straordinaria di impegno politico, non per cambiare il mondo ma per tornare alla normalità legale, morale e politica. Per esempio la Corte Costituzionale.

I magistrati ora sperano Tutti i alla riforma ( da "Corriere della Sera" del 05-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: i prevedibili ricorsi alla Corte costituzionale. Ma sarà tardi. Tra un anno o più, gli effetti negativi della riforma si saranno già verificati. Finora, prima che dal Quirinale trapelassero le perplessità del capo dello Stato, hanno parlato tutti gli organismi a cui fanno capo le toghe, dal primo presidente della Corte di Cassazione all'ultimo giudice della più lontana periferia.

Disobbedienti alla sicurezza ( da "Manifesto, Il" del 06-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: in modo da poter sollevare obiezione di fronte la corte costituzionale». Sulla parte normativa e sulla tutela giuridica sia agli immigrati che agli ufficiali civili - dagli insegnanti ai medici - che potrebbero incappare in sanzioni per essersi rifiutati di segnalare i clandestini, sta lavorando anche la Cgil.

LA PORCATA UN PO' MENO PORCA ( da "Unita, L'" del 06-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: di probabilità di essere cancellata dalla Corte Costituzionale e dunque di non entrare mai in vigore, o una legge porca ma solo un po', che rischia di restare in vigore per sempre. Ora però è il caso di parlarne, visto quel che sta accadendo con la porchissima legge Al Fano sulle intercettazioni (a proposito: mercoledì sera, notte bianca anti-bavaglio all'Alpheus di Roma)

LEGGE 40 IL BUONSENSO ALL'IMPROVVISO ( da "Unita, L'" del 06-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: che amplia la sentenza della Corte Costituzionale dello scorso marzo in materia di fecondazione assistita. Essa giunge in risposta a una coppia di Firenze non sterile, che si era rivolta a un centro di Bologna, la Tecnobios, per accedere alle tecniche di provetta dopo l'esperienza di un primo figlio colpito da distrofia di Duchenne trasmessagli da un genitore.

Nel mirino l'esclusione delle inchieste in corso ( da "Sole 24 Ore, Il" del 06-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: anche alla luce delle sentenze della Corte costituzionale. Di qui l'invito, non a cancellarla ( come piùd'uno,nel Governo e nella maggioranza aveva pensato), ma a riformularla. L'articolo 34 dice: «Le disposizioni della presente legge non si applicano ai procedimenti pendenti alla data della sua entrata in vigore».

La Toscana fa da sé su piano-casa e immigrazione ( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 06-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: impugnazione alla Corte costituzionale) è destinata a scontrarsi con il "pacchetto sicurezza" approvato dal Parlamento il 2 luglio che ha introdotto il reato di immigrazione clandestina. La legge sull'immigrazione, peraltro, ha seguito di poche settimane un'altra norma toscana che sembra fare lo sgambetto, seppur in modo elegante,

Schifani: approfondimenti sulla giustizia Rallentare le lancette, voto dopo l'estate ( da "Corriere della Sera" del 06-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: a suo parere «la Corte Costituzionale ha sempre mostrato piena e totale autonomia, dunque non credo che un incontro conviviale possa far modificare la valutazione di chi dovrà esprimersi sul provvedimento». In ogni caso per il premier dopo la pausa estiva si prepara una ripresa delicatissima, per via di un incrocio ad alto rischio,

La Corte Costituzionale salva i precari ( da "Stampaweb, La" del 06-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La Corte Costituzionale si avvia a bocciare la norma anti-precari che, nell?agosto dello scorso anno, ha tentato di arginare gli effetti dei numerosi ricorsi dei lavoratori a termine delle Poste che si erano rivolti al giudice per ottenere un?assunzione a tempo indeterminato.

Le piccole scuole sono salve ( da "Corriere delle Alpi" del 07-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: più che arriva dalla Corte Costituzionale. Nei giorni scorsi, infatti, la Corte Costituzionale ha ricusato alcuni provvedimenti del governo, in particolare quelli sull'accorpamento degli istituti e sulla chiusura delle piccole scuole. La Consulta ha ribadito che la competenza è strettamente regionale e che lo Stato non può dimensionare la rete scolastica attraverso i regolamenti.

Corte Costituzionale boccia norma contro i precari delle Poste ( da "Corriere delle Alpi" del 07-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Misura contenuta nella manovra 2008 Corte Costituzionale boccia norma contro i precari delle Poste ROMA. La Corte Costituzionale si avvia a dichiarare l'illegittimità della norma anti-precari adottata con la manovra dell'agosto 2008 per arginare gli effetti dei numerosi ricorsi dei lavorati a termine nelle Poste.

consulta: "incostituzionale il decreto contro i precari" - roberto petrini ( da "Repubblica, La" del 07-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: la decisione della Corte Costituzionale provocherà naturalmente un notevole costo per le Poste che si troveranno a dover fronteggiare un notevole numero di assunzioni. La sentenza della Corte è stata salutata con soddisfazione dal Pd. «Il governo sulla questione dei precari delle Poste aveva creato un´ingiustificabile disparità di trattamento fra situazioni identiche ?

"ronde pericolose se legate ai partiti più risorse alle forze dell'ordine" - davide carlucci ( da "Repubblica, La" del 07-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: che invece andrebbero potenziate: è questo il vero problema da anni irrisolto Il presidente emerito della Corte costituzionale: le istituzioni hanno il dovere di controllare i curriculum DAVIDE CARLUCCI per Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale, giurista di fama internazionale, le ronde non dovrebbero esistere. Però ci sono.

Errata corrige per salvarsi ( da "Italia Oggi" del 07-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza, come un prerequisito ineliminabile in un processo di regolamentazione a carattere delegificante. Probabilmente si dovrà ricorrere ad un errata corrige.Si tratta di un caso di evidente ingorgo istituzionale (sentenza prima del decreto presidenziale o dpr dopo la sentenza) forse dovuto alla casualità dato che il dpr in questione,

La Corte Costituzionale boccia l'anti-precari Per le Poste rischio crac ( da "Unita, L'" del 07-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La Corte Costituzionale boccia «l'anti-precari» Per le Poste rischio crac Lo scorso 23 giugno i giudici hanno affossato la sanatoria del governo La sentenza rimette in discussione migliaia di cause di lavoro Sull'azienda di Sarmi incombono 15mila ricorsi.

Il governo ha decretato: Precari per sempre , titolava L'Unità il 27 luglio di un ann... ( da "Unita, L'" del 07-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: tornando ai dubbi di legittimità costituzionale della norma, è lo stesso Ialongo a riferire ai deputati che «su 18 ricorsi alla Corte costituzionale in materia di contratto a tempo determinato dodici sono relativi a Poste italiane e sei ad altre aziende». Tra queste ci sono «la Rai e Ferrovie dello Stato».

La fronda del clero iraniano ( da "Sole 24 Ore, Il" del 07-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: è come se in Italia una sentenza della Corte costituzionale non venisse accettata come legittima da parte dei giudici costituzionali) Khamenei, che per ora ha vinto la battaglia sulle strade ma non ancora la guerra contro i riformisti, ha spostato il problema all'esterno, lanciando un nuovo monito all'Occidente perché non interferisca negli affari interni del Paese.

L'Europa è forte se guarda in faccia la realtà ( da "Sole 24 Ore, Il" del 07-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: impegnata in un salvataggio delle banche per centinaia di miliardi a spese dei contribuenti), la Corte costituzionale ha stabilito "paletti" rigidi agli impegni di Berlino, imponendo di non recepire direttive europee (che impattano sulla vita quotidiana dei cittadini) approvate a maggioranza senza previa consultazione del parlamento nazionale.

Intercettazioni, quel rinvio che piace anche alla Camera ( da "Corriere della Sera" del 07-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: del Quirinale o della Corte Costituzionale? Meglio cercare di premunirsi. Penso sia preferibile una norma che - magari non sarà scritta nel modo in cui l'avevamo pensata - ma produce gli stessi effetti, è inattaccabile, e se possibile anche condivisa». Il presidente del Senato ha mutato lo scenario, evitato il muro contro muro con l'opposizione e lo scontro frontale con il Colle.

La Corte sui precari delle Poste: vanno assunti, non indennizzati ( da "Corriere della Sera" del 07-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: errore dei vecchi dirigenti La Corte sui precari delle Poste: vanno assunti, non indennizzati ROMA Sono più di diecimila i lavoratori precari, soprattutto delle Poste, che possono tornare a sperare in un'assunzione a tempo indeterminato grazie alla sentenza della Corte Costituzionale che dichiarerà illegittima la norma adottata con il decreto fiscale dell'

La battaglia delle diciotto ore infiamma l'estate della scuola ( da "Stampa, La" del 07-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: alla luce della sentenza emanata appena qualche giorno fa dalla Corte Costituzionale (che dichiara che lo Stato non ha il potere di ridimensionare la rete scolastica sul territorio) la Regione chiede la sospensione, adesso a prendere la parola sono i Cobas. Oggetto della loro attenzione è la formazione, ritenuta da loro illegittima, di alcune cattedre con oltre 18 ore settimanali;

Caccia ad altre 11 specie ( da "Corriere delle Alpi" del 08-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale nei confronti della normativa nazionale e regionale di recepimento della direttiva Cee in materia di fauna selvatica, ricordando la censura della Consulta nei confronti della Lombardia per aver scelto lo scorso anno, lo strumento della legge, anziché della deliberazione amministrativa per regolamentare la caccia in deroga.

Corte conti accentra gli interpelli ( da "Sole 24 Ore, Il" del 08-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: prescrizione per i rimborsi dei canoni di depurazione bocciati dalla Corte costituzionale con la sentenza 335/2008, che hanno diviso le sezioni fra chi ha proposto un termine quinquennale e chi ha allungato il calendario fino a 10 anni. L'atto di indirizzo depositato ora dalla sezione delle Autonomie cerca di prevenire questi problemi, con un meccanismo che però prova a non intaccare la «

Niente più vincoli per l'eolico ( da "Sole 24 Ore, Il (Sud)" del 08-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: PAGINA A CURA DI Gennaro Grimolizzi La Corte costituzionale con la sentenza n. 166/09 ha bocciato il quadro normativo sull'eolico della Regione Basilicata. La Consulta ha giudicato non conforme alla Costituzione l'articolo 6 della Lr 9/07, con cui sono state recepite le linee guida, adottate con una delibera della Giunta regionale del 2004,

Indonesia al voto, il presidente Yudhoyono verso la conferma ( da "Manifesto, Il" del 08-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: due giorni fa la Corte costituzionale ha stabilito che anche i cittadini non registrati nelle liste elettorali avranno la possibilità di votare. Basterà recarsi alle urne provvisti di un documento di identità valido. La decisione segue una massiccia campagna di proteste condotta da politici, attivisti civili e leader religiosi che invocavano il "

Ricordi di un girotondino ( da "Corriere della Sera" del 08-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: della Corte costituzionale. Si emenda con lo spessore analitico di Furio Colombo, che fa scudo al Quirinale in quanto «ultima soglia di difesa tra illegalità e legalità». E biasima l'«ossessione per il dialogo» non senza offrirne una acuta esegesi storica, individuando nell'ansia di legittimazione del vecchio Pci la radice della scarsa attitudine dei suoi eredi allo scontro frontale.

la corte dei conti accusa i deputati ( da "Repubblica, La" del 09-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Sarà la Corte costituzionale a stabilire se, per la prima volta, ai deputati dell´Ars può essere contestato un danno erariale: l´aumento «irragionevole» del numero delle ambulanze del servizio "118". Quarantanove in più. Nell´elenco dei colpevoli, per la Procura della Corte dei conti, ci sono anche i componenti dalla commissione Sanità che,

Dal ministro svolta a sorpresa: ora il rilancio è più facile ( da "Sole 24 Ore, Il" del 09-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte costituzionale a favore delle Fondazioni ad indurre il ministro a tornare sui suoi passi, mentre oggi la scelta di Tremonti è il frutto di una autonoma scelta strategica che ha per obiettivo il sostegno all'economia reale. Dunque, più deducibilità fiscale per le banche sulle perdite di portafoglio in linea con gli standard europei e in cambio di una moratoria bancaria sulle

Di Pietro attacca l'Italia sull'Herald Tribune: "Democrazia in pericolo" ( da "Stampaweb, La" del 09-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Dopo le denuncie di incostituzionalità sul testo da parte di «più di 100 costituzionalisti», viene ricordato che il 6 ottobre la Corte costituzionale dovrà pronunciarsi sullo "scudo" per le alte cariche, e raccontata la cena nella casa del giudice della Consulta Mazzella cui presero parte anche Berlusconi ed il ministro della Giustizia Alfano.

Francia, nuovo affondo al p2p lo stop arriverà dal giudice ( da "Repubblica.it" del 09-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: che la Corte Costituzionale, chiamata di nuovo a pronunciarsi, bocci alcuni aspetti dell'Hadopi. Anche se così fosse, però, le altre pene (super multa e fino a un anno di carcere) sarebbero sufficienti come deterrente. Il punto però è un altro: resta da vedere la reale efficacia dell'Hadopi, dal momento che tutto dovrà passare da indagini e processi.

Oggi la decisione dei giudici ( da "Corriere delle Alpi" del 10-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: voci di corridoio, parlassero di un orientamento ad accogliere la richiesta della procura. In realtà richieste di questo tipo, come trapela dal palazzo di giustizia, sarebbero state rigettate in diversi casi dalla Corte Costituzionale. Da qua lo scioglimento della riserva nella stessa giornata di oggi.

Di Pietro: In Italia democrazia a rischio ( da "Corriere delle Alpi" del 10-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Il 6 ottobre ci sarà la pronuncia della Corte costituzionale. Berlusconi e il suo ministro della giustizia Alfano hanno cenato in casa di Mazzella, presente Paolo Maria Napolitano, che come lui fa parte della Consulta. La comunità internazionale, dice Di Pietro, eserciti pressioni perché la Corte sia libera di decidere in piena indipendenza.

Cassazione, c'è rimedio all'errore ( da "Italia Oggi" del 10-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: questo il principio espresso ieri con ordinanza della Corte Costituzionale. Con l'ordinanza (n. 207, redattore Paolo Grossi) la Consulta ha statuito che sono revocabili per errore di fatto le ordinanze pronunciate dalla Corte di cassazione che dichiarano inammissibile il ricorso. La Corte costituzionale, con l'ordinanza in esame, ha dichiarato l'illegittimità parziale dell'

Società miste out ( da "Italia Oggi" del 10-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: anche superato il vaglio di costituzionalità (Corte costituzionale, 1° agosto 2008, n. 236) dal momento che è stato riconosciuto che norme come quella sul divieto di extraterritorialità «rientrano nella competenza esclusiva del legislatore statale perché funzionali alla definizione dei confini tra l'attività amministrativa e l'attività di impresa soggetta alle regole del mercato»

Dalla Consulta il segnale atteso è arrivato. Se ieri mattina, nel Transatlantico pr... ( da "Unita, L'" del 10-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte Costituzionale ha annullato il rinvio a giudizio del ministro Altero Matteoli per favoreggiamento in una storia di abusi edilizi. Il «segnale atteso», però, non riguarda la figura dell'allora ministro dell'Ambiente, né tanto meno le prerogative della Camera (che adesso dovrà decidere se il reato per il quale Matteoli era stato rinviato a giudizio sia o meno di pertinenza del

Ha battezzato il secondo giorno del G8 attaccando il governo dalle colonne dell'Herald Tribune<... ( da "Unita, L'" del 10-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: e sulla prossima decisione della Corte Costituzionale, già compromessa, secondo il leader Idv, dalla cena di Berlusconi a casa del giudice Luigi Mazzella. L'ex pm chiede ai governi dei paesi amici di esercitare «la pressione necessaria» per assicurare che la Consulta decida in piena libertà «così da scongiurare che la nostra democrazia venga trasformata in una dittatura di fatto»

Revocazione a tutto campo ( da "Sole 24 Ore, Il" del 10-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: con cui la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'articolo 391-bis, primo comma, del Codice di procedura civile (come modificato dall'articolo 16 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40) per violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione, appunto, «nella parte in cui non prevede l'esperibilità del rimedio della revocazione per errore di fatto,

Liti sul sommerso al giudice ordinario ( da "Sole 24 Ore, Il" del 10-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte di Cassazione con la sentenza 15846, depositata il 7 luglio. La pronuncia dovrebbe completare il quadro in materia di sanzioni per lavoro nero, dopo vari interventi sia delle Sezioni unite sia della Corte costituzionale. La circolare interamministrativa 56/ 2002 aveva sostenuto la giurisdizione delle Commissioni tributarie per le sanzioni amministrative in materia di lavoro

Il marchio radio-tv nazionale non prevale su quello locale ( da "Sole 24 Ore, Il" del 10-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: pag: 30 autore: Corte Costituzionale. Illegittima la norma antitrust Il marchio radio-tv nazionale non prevale su quello locale Alessandro Galimberti Il divieto di utilizzo di un marchio radiotelevisivo locale che ne richiama uno nazionale, anche se il primo è più risalente o addirittura registrato, è incostituzionale.

Consolo: attacchi assurdi contro di me, ora è stata fatta giustizia ( da "Corriere della Sera" del 10-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: esulta per la sentenza della Corte costituzionale. «Questa decisione premia chi ha fiducia nella giustizia. Io ero convinto di aver ragione e oggi la pronuncia della Consulta suona come una conferma di quello che io sostenevo». Lei aveva presentato una proposta di legge riguardante i reati ministeriali.

Matteoli, nullo il rinvio a giudizio ( da "Corriere della Sera" del 10-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Lo ha stabilito la Corte costituzionale, sciogliendo un conflitto che si era venuto a creare fra Montecitorio e due uffici giudiziari di Firenze e Livorno. E' l'epilogo di una vicenda cominciata nel 2003, quando Matteoli era ministro dell'Ambiente. Durante una telefonata, chiese al prefetto di Livorno se fosse indagato per abusi edilizi commessi sull'

UNA STRANA IDEA DI DEMOCRAZIA ( da "Corriere della Sera" del 10-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: dalla Corte costituzionale. Che, poi, come scrive Di Pietro nel suo appello, «secondo il pronunciamento di oltre 100 costituzionalisti, la legge Alfano sia stata definita incostituzionale perché viola l'articolo 3 della Costituzione italiana secondo il quale 'tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge' »,

Carceri, l'allarme di Mancino "Misure urgenti contro il sovraffollamento" ( da "Repubblica.it" del 10-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: pur esprimendo parere favorevole alle norme del "pacchetto sicurezza" in tema di regime carcerario duro, ha evidenziato l'obbligo di "dare attuazione ai principi affermati dalla Corte Costituzionale e, dunque, a consentire che il regime in oggetto venga applicato conformemente alla Costituzione". OAS_RICH('Middle'); (10 luglio 2009


Articoli

RISPOSTAI giudici che piacciono a Berlusconi sono quelli che accettano i suoi inviti a cena. Quello ... (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 01-07-2009)

Argomenti: Giustizia

RISPOSTAI giudici che piacciono a Berlusconi sono quelli che accettano i suoi inviti a cena. Quello cui non credevo si sarebbe mai arrivati, tuttavia, è che un giudice della Corte Costituzionale, quello che dovrebbe fornire in questi giorni un parere di legittimità sulla legge che sancisce l'immunità del premier (salvandolo, in questo caso, dalle conseguenze del caso Mills) si incontri a cena con lui e con il ministro di giustizia che a quel provvedimento ha dato il nome (il lodo Alfano). Ha detto efficacemente Casson che la situazione è analoga a quella del giudice penale che andasse a cena con il suo imputato durante il processo e sembra a me davvero grave che il CSM ed il suo presidente non abbiano ancora detto nulla su un episodio così grave. Giusto, sicuramente, preoccuparsi dell'immagine del paese nell'imminenza del G8. Giusto almeno altrettanto, però, preoccuparsi dell'immagine della Suprema Corte. Interverrà il CSM? Verrà, quel giudice invitato ad astenersi nel momento di un giudizio decisivo per gli interessi di quelli che con così poco tatto lo hanno invitato a cena?

Torna all'inizio


La sinistra nemica del paese. Colle categorico (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 01-07-2009)

Argomenti: Giustizia

PAPI SENZA TREGUA «La sinistra nemica del paese. Colle categorico» Micaela Bongi L'appello di Giorgio Napolitano per «una tregua delle polemiche» di qui al G8, un appello rivolto alla politica e, clamorosamente, anche all'informazione, suona stonato in più di una redazione. Su Repubblica è Massimo Giannini a rispondere che quel che avviene a Villa Certosa o palazzo Grazioli, quel che accade alla procura di Bari o «nell'abitazione di qualche irresposabile giudice costituzionale» che dovrà pronunciarsi sul lodo Alfano e intanto invita a cena il premier e il ministro di giustizia, «non sono polemiche», ma «fatti». E «dove esistono i fatti c'è il giornalismo, che non può e non deve mai conoscere tregua». Ma anche il Sole 24 ore - sebbene la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia apprezzi e rinnovi da parte sua l'invito del capo dello stato - in un editoriale non firmato sottolinea, a proposito delle vicende di Silvio Berlusconi: «Non un dettaglio dell'affaire è rimasto occulto e la verità, qualunque essa sia, emergerà come sempre nel rispetto del governo e delle notizie». Alla fine, mentre il Pd resta defilato, è Silvio Berlusconi a appropriarsi completamente dell'esorbitante monito quirinalizio schiacciando su di sé il capo dello stato. Il Cavaliere, che a quanto pare non ritiene di essere tra i destinatari del messaggio del Colle, parte di nuovo lancia in resta: «All'Italia serve meno invidia personale, meno odio politico tra le parti». E rilancia: «Ieri il presidente della repubblica ha detto basta, diamo una tregua al nostro paese, almeno per il G8 e spero che venga seguito questo suggerimento» che è anzi «un imperativo categorico, perché il G8 è davvero importante». E così nelle parole del premier l'appello in favore della tregua assume il tono dell'intimidazione. Espressamente al quotidiano diretto da Ezio Mauro in mattinata si era già dedicato il ministro e coordinatore del Pdl Sandro Bondi: «Stupisce il tono quasi seccato e arrogante con cui il superpartito di Repubblica risponde oggi all'appello misurato e pieno di buon senso del presidente Napolitano con un 'comunicato' a firma di Massimo Giannini». Ancora più minaccioso e fosco pretenderebbe di essere il portavoce pidiellino Daniele Capezzone: «Ricadendo in un vizio antico, che ha accompagnato molte stagioni, inclusi alcuni dei momenti più drammatici della storia italiana degli ultimi trent'anni, Repubblica pretende di 'dare la linea' al Quirinale. La sensazione è che la rana di Largo Fochetti si stia gonfiando sempre di più. La rilettura di Fedro dovrebbe suggerire maggiore prudenza». Con queste premesse, Berlusconi da Napoli riparte all'attacco della «sinistra nemica del paese» ma anche della Cgil, accusata di aver organizzato le contestazioni contro di lui, e allora «la sinistra si dovrebbe vergognare». A completare il quadro, ancora dal Pdl interviene Antonio Leone, vicepresidente della camera: «Fermare le polemiche in vista del G8 era auspicabile, ma che non sia solo una tregua». Attaccato da destra per non aver aderito all'appello del Quirinale, il leader dell'Italia dei valori Antonio Di Pietro chiede piuttosto al capo dello stato di inviare un messaggio alla Corte costituzionale sul caso dei giudici, Luigi Mazzella e Paolo Maria Napolitano, che hanno cenato col Cavaliere e con il guardasigilli Angelino Alfano.

Torna all'inizio


(sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 01-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Cronache data: 01/07/2009 - pag: 26 L'ordinanza Pronunciamento netto del giudice dopo la sentenza della Corte Costituzionale «Fecondazione assistita anche per coppie non sterili» Il tribunale di Bologna: sì all'analisi preimpianto dell'embrione ROMA Saltano gli steccati della legge sulla fecondazione artificiale, sotto i colpi dei giudici. Un'ordinanza del tribunale di Bologna depositata due giorni fa aggiunge novità e rafforza, con una serie di chiarimenti, la sentenza della Corte Costituzionale dello scorso marzo che in pratica aveva abbattuto i paletti più invisi alla comunità scientifica. Le tecniche potranno essere utilizzate anche da coppie non sterili che hanno già avuto bambini concepiti naturalmente, ma che sono nati con gravi patologie di origine genetica. Si afferma che «il divieto di diagnosi preimpianto pare irragionevole e incongruente col sistema normativo se posto in parallelo con la diffusa pratica della diagnosi prenatale, altrettanto invasiva del feto, rischiosa per la gravidanza, ma perfettamente legittima». Questa procedura deve dunque essere ritenuta «ammissibile come il diritto di abbandonare l'embrione malato e di ottenere il solo trasferimento di quello sano». L'ordinanza dispone inoltre che si proceda «previa diagnosi preimpianto di un numero minimo di 6 embrioni ». Il medico deve eseguire i trattamenti in modo da assicurarne il miglior successo «in considerazione dell'età e del rischio di gravidanze plurigemellari pericolose» e deve provvedere al congelamento «per un futuro impianto degli embrioni risultati idonei che non sia possibile trasferire immediatamente e comunque di quelli con patologia ». L'ordinanza, firmata da Chiara Gamberini, risponde a una coppia fiorentina che si era rivolta al centro Tecnobios di Bologna per avere un secondo figlio dopo aver provato il dolore di un bambino colpito da distrofia di Duchenne, trasmessa dalla madre. Il centro aveva dichiarato di non poter analizzare l'embrione. I genitori lo scorso luglio avevano presentato un ricorso attraverso Gianni Baldini, esperto di biodiritto. Il tribunale si è espresso dopo la Consulta che ha smontato alcuni dei divieti. Secondo Baldini «i giudici bolognesi offrono un contributo decisivo per la corretta interpretazione della legge 40 da parte della Consulta. Dubbi e spiegazioni strumentali vengono spazzati via. Altri non sono stati cancellati. Viene riconosciuto alla coppia non sterile ma che ha già figli il diritto alle tecniche della provetta». La sentenza della Corte aveva lasciato spazio ad alcuni interrogativi. Secondo il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella la diagnosi preimpianto sarebbe rimasta comunque impraticabile mentre la produzione di un numero di embrioni superiori a 3 e congelamento avrebbero avuto limiti stretti. La biblioteca dei bimbi Il San Paolo di Bari, dove i neonati dormono con la mamma (Arcieri) Margherita De Bac mdebac@corriere.it

Torna all'inizio


Trattato di Lisbona, sì della Corte tedesca ma ratifica rinviata (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 01-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 01/07/2009 - pag: 22 Ue Riaffermata la centralità delle decisioni nazionali Trattato di Lisbona, sì della Corte tedesca ma ratifica rinviata «Prima rafforzare i poteri del Parlamento» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO La Corte Costituzionale tedesca ha detto ieri che il Trattato di Lisbona non è in contraddizione con la Carta Fondamentale. Ma ne ha rimandato la ratifica e ha posto una condizione che indica l'orientamento della Germania: l'Europa non è federalista o un superstato, come dicono alcuni ma è un'Europa delle nazioni. La Corte di Karlsruhe, infatti, ha stabilito che, per essere pienamente accettato nel Paese, il Trattato deve essere accompagnato da un esplicito rafforzamento dei poteri del Parlamento tedesco: su una serie di materie, nulla potrà essere deciso solo a Bruxelles e questo concetto dovrà diventare legge tedesca. «Per riassumere, la Legge Fondamentale dice sì al Trattato di Lisbona ha spiegato il giudice che ha presieduto il giudizio, Andreas Vosskuhle . Ma domanda un rafforzamento delle responsabilità parlamentari al livello nazionale». È l'affermazione della centralità del Parlamento nazionale come organismo nel quale si esprime la democrazia: su temi come la polizia, l'esercito, il fisco, la legislazione sociale, le leggi sulla famiglia, il diritto penale, Bundestag e Bundesrat (Camera bassa e Camera alta) saranno, per quanto riguarda la Germania, il cuore del processo decisionale anche dopo l'entrata in vigore del Trattato europeo. In un'appendice alla sua ratifica, dovrà essere precisato che il Parlamento tedesco svolge un ruolo nel dare forma alle decisioni prese a Bruxelles: probabilmente, questo significherà che il governo di Berlino dovrà coinvolgerlo sulle questioni che si discutono nel Consiglio europeo. Con questa decisione, la Corte di Karlsruhe ha tolto uno degli ultimi ostacoli alla ratifica di Lisbona. Di sicuro, infatti, gli emendamenti alla legge chiesti saranno introdotti in poco più di due mesi: la maggioranza è ampia e i tempi sono già stati stabiliti accorciando le vacanze dei parlamentari. Il Bundestag discuterà gli emendamenti il 26 agosto e li voterà l'8 settembre; il Bundesrat li approverà il 18 settembre. A quel punto, il presidente federale Horst Köhler firmerà il Trattato. Perché entri in vigore nei 27 membri della Ue mancheranno poi solo il referendum irlandese, in ottobre, e le firme dei presidenti di Polonia e Repubblica Ceca. Le reazioni politiche alla decisione della Corte sono state di grande sollievo, segno che una certa ansia, anche se non palesata, correva nei maggiori partiti tedeschi. Pochi si aspettavano una bocciatura ma, se per qualche ragione fosse arrivato uno stop, il caos in cui sarebbe finita la Ue sarebbe stato consistente. La cancelliera Angela Merkel ha invece potuto dire che ieri è stata «una buona giornata per il Trattato di Lisbona». E su questo tono si sono tenuti buona parte dei commenti, compreso quello del presidente della Commissione europea José Manuel Barroso: tutti sottolineano che il processo di ratifica va avanti senza sostanziali intoppi e ci sono i tempi per finire il processo entro il 2009. Diverso solo il punto di vista della Linke di Oskar Lafontaine e di alcuni conservatori della Csu bavarese che avevano portato il caso a Karlsruhe: anche molti di loro si sono detti soddisfatti della sentenza, ma perché ribadisce la sovranità nazionale e la democrazia. Danilo Taino

Torna all'inizio


I giudici tedeschi ritardano il via libera al Trattato di Lisbona (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 01-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMA data: 2009-07-01 - pag: 1 autore: PANORAMA I giudici tedeschi ritardano il via libera al Trattato di Lisbona La Corte costituzionale tedesca dà l'ok con riserva alla ratifica del Trattato di Lisbona. I giudici hanno chiesto al parlamento una legge per rafforzare le prerogative delle camere, in modo da sopperire al «deficit» democratico delle istituzioni comunitarie. Il processo di ratifica resta quindi sospeso. Il Bundestag vuole rimediare in fretta: a fine settembre in Germania si terranno le elezioni. u pagina8 Precipita Airbus alle Comore: 152 morti Un Airbus A310 della compagnia Yemeniaè precipitato nell'Oceano indiano davanti alle isole Comore: 152 i morti, un sopravvissuto. La Francia: aereo «bandito». u pagina 11 Pechino blocca il filtro anti-pornografia sul web Il governo di Pechino ha fermato il progetto «Diga verde»: prevedeva l'installazione nei computer di un software che avrebbe bloccato l'accesso ai siti internet pornografici. u pagina 12 Pd: Chiamparino rinuncia a candidarsi alla segreteria Sergio Chiamparino non si candiderà alla segreteria del Pd. Per il sindaco di Torino la campagna è incompatibile con il ruolo di primo cittadino. Oggi il programma di Pierluigi Bersani. u pagina 16 Dr No, il cattivo di 007, non è marchio in esclusiva La firma del cattivo che voleva eliminare James Bond nel film «007, licenza di uccidere» non è un marchio ad uso esclusivo ma un titolo protetto da diritto d'autore. Lo ha ribadito il Tribunale Ue. u pagina 33 Morta la coreografa tedesca Pina Bausch è morta ieri a 68 anni la ballerina e coreografa tedesca Pina Bausch, inventrice del teatro della danza contemporaneo. Solo cinque giorni prima aveva scoperto di avere un tumore. u pagina 14

Torna all'inizio


Berlino rimanda il Trattato Ue (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 01-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-07-01 - pag: 8 autore: Germania. La Corte costituzionale promuove la Carta ma sospende la ratifica già varata dal Bundestag Berlino rimanda il Trattato Ue Serve una legge per rafforzare i poteri del parlamento nazionale Beda Romano FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente La Corte costituzionale ha dato ieri il suo atteso benestare al Trattato di Lisbona, respingendo i ricorsi presentati a suo tempo da un gruppo di deputati tedeschi. I giudici tuttavia hanno imposto al parlamento di introdurre cambiamenti alla legislazione nazionale, rallentando ancora il processo di ratifica della Germania. «Per riassumere la nostra posizione - ha detto il giudice Andreas Vosskuhle leggendo la sentenza - si potrebbe dire che la Legge fondamentale dice sì al Trattato di Lisbona, ma impone un rafforzamento delle prerogative parlamentari a livello nazionale ». Il parlamento tedesco dovrà ora rafforzare il suo potere decisionale nell'applicazione delle leggi europee. Secondo la Corte, tenuto conto del «deficit strutturale di democrazia » dell'Unione europea, i diritti del parlamento devono essere chiariti esplicitamente in una legge«per garantire l'efficacia del diritto di voto» dei cittadini tedeschi e «assicurarsi» che l'Unione «non oltrepassi le sue competenze ». Relatore è stato un giudice di origine italiana, Udo Di Fabio. L'establishment politico - che ha accolto con un sospiro di sollievo la decisione della Corte di Karlsruhe - ha fatto sapere ieri che il parlamento dovrebbe riunirsi in sessione straordinaria il 26 agosto e l'8 settembre, prima quindi del voto federale, per varare il più presto possibile una nuova legge di adozione del Trattato di Lisbona. «La Corte - ha aggiunto Vosskuhle- è convinta che quest'ultimo ostacolo verrà superato presto ». Ha commentato dal canto suo il cancelliere Angela Merkel: «Il Trattato di Lisbona ha fatto un grande passo avanti». Il ricorso era stato presentato da una cinquantina di deputati all'indomani della ratifica parlamentare nel 2008. Assodato ormai il benestare tedesco, il Trattato di Lisbona, che deve dare all'Unione un nuovo e più moderno assetto istituzionale, deve essere approvato da tre paesi su ventisette: la Polonia, la Repubblica Ceca e l'Irlanda, che terrà nei prossimi mesi un nuovo referendum. Nel giugno 2008, il paese aveva bocciato il testo in occasione di un primo voto popolare. Per molti versi la decisione della Corte di Karlsruhe elimina una grande incertezza sul futuro del Trattato ed evita all'Unione, se la scelta fosse stata di segno opposto, una crisi che sarebbe potuta essere spaventosa. Ciò detto, come non chiedersi se la sentenza tedesca non sia anche il riflesso di un europeismo sempre più freddo? Non è un caso se il cancelliere Merkel avesse inviato a Karlsruhe addirittura due ministri, quello degli Interni e quello degli Esteri, a rispondere alle domande della Corte in un'audizione pubblica che si tenne in febbraio. In questo senso, il ricorso- presentato da deputati soprattutto cristiano- sociali ed ex comunisti - era stato preso molto sul serio. Il timore dei parlamentari- tra i quali anche Franz Ludwig Graf von Stauffenberg, figlio del colonnello che tentò di uccidere Hitler il 20 luglio del 1944- è che il Trattato di Lisbona possa portare a un eccessivo indebolimento dei parlamenti nazionali dei singoli stati membri ed essere contrario ai principi di democrazia. Già in passato la Corte costituzionale aveva espresso dubbi sui rapporti normativi tra la Germania e l'Unione. Per esempio, nel 1993, i giudici avevano dato il loro benestare al Trattato di Maastricht, ma si erano dati nel contempo l'impegno di essere «un punto di controllo» dell'evoluzione giuridica dell'Unione. La Legge fondamentale del 1949 non prevede il referendum in Germania. Il Trattato di Lisbona era stato quindi approvato nell'aprile 2008 dal Bundestag con 514 sì e 58 no. Ci si può legittimamente chiedere se un voto popolare- voluto dal 77% dei tedeschi secondo un recente sondaggio di Open Europe - avrebbe avuto lo stesso risultato. © RIPRODUZIONE RISERVATA SCADENZA ELETTORALE I deputati accelerano per approvare le riforme prima del voto di settembre Soddisfatta la Merkel: «Fatto un passo avanti»

Torna all'inizio


Situazione al collasso (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 01-07-2009)

Argomenti: Giustizia

CARCERE - Presentato il rapporto di Antigone Situazione al collasso «Oltre il tollerabile» Stefano Milani ROMA Nel carcere di Favignana, a Trapani, detenuti e poliziotti vivono e lavorano come talpe. Tutto è sotto terra: gli uffici, l'infermeria, le celle, i bagni. In quello di Brescia, le persone restano rinchiuse dietro le sbarre in media 22 ore al giorno. Al penitenziario romano di Regina Coeli si dorme per terra su materassi di fortuna, l'acqua calda è un optional e all'ultimo piano i rubinetti sono totalmente a secco. A fine 2008 è stato lanciato l'allarme sifilide. All'Ucciardone di Palermo i posti letto disponibili sono 378, ma i detenuti nel 2008 sono arrivati ad essere oltre in 700. In alcune celle da quattro dormono anche in 12, in grappoli di quattro letti a castello. Per dormire si fanno i turni tra il giorno e la notte. E i bagni alla turca sono spesso tappati con bottiglioni di vetro per evitare che i topi che escono dalle fognature fatiscenti invadano le celle. «Oltre il tollerabile», secondo Antigone, così come è «intollerabile la condizione di vita delle persone detenute, costrette a subire gli effetti di un sovraffollamento mai visto nella storia d'Italia», fin dai tempi dell'amnistia di Togliatti nel '46 agli albori della Repubblica. Il sesto rapporto sulle carceri redatto e presentato ieri dall'associazione che da anni si batte per i diritti dei detenuti fotografa una situazione al limite dell'emergenza. I penitenziari scoppiano: i carcerati sono ad oggi 63.460, ben 20 mila in più rispetto alla capienza consentita. In alcune regioni il numero è quasi il doppio, come in Emilia Romagna, dove il tasso di affollamento è pari al 193%, o in Lombardia, Sicilia, Veneto e Friuli, dove raggiunge il 160%. E la situazione potrebbe aggravarsi ulteriormente, Antigone stima che a fine anno ci saranno 70 mila detenuti e 100 mila nel giugno del 2012, «con tassi di detenzione paragonabili ai paesi dell'est europeo». In 19 anni i numeri, sia percentuali che assoluti, sono raddoppiati: nel 1990 erano poco più di 30 mila, nel 2008 gli ingressi in carcere sono stati 92.900, ossia 15 mila in più nel giro di dieci anni. «Eppure - sottolinea l'associazione - siamo ben lontani oggi dai 3.909 omicidi denunciati nel 1991 o dai quasi 2 milioni di furti del 1999. Sono cresciute invece le rapine». La crescita, dunque, «sta tutta nella maggiore repressione penale del consumo e del traffico di sostanze stupefacenti, nella criminalizzazione degli immigrati senza permesso di soggiorno e nella punizione di quelli che non ottemperano all'obbligo di espulsione, nella maggiore severità nel trattamento dei recidivi». A fronte di quest'ennesima anomalia tutta italiana, Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, propone tre riforme urgenti che potrebbero essere attuate per migliorare la condizione negli istituti di pena con buon senso e pragmatismo: «La riduzione dei tempi di custodia cautelare per i reati meno gravi, la rivitalizzazione delle misure alternative al carcere e la riduzione delle pene per chi commette reati di lieve entità nel campo delle tossicodipendenze», mettendo mano all'articolo 73 della legge sulle droghe, che oggi prevede un quinto comma che, a causa dell'ex Cirielli, azzera l'attenuante nei casi di recidiva. Le carceri che scoppiano sono un problema ma, avverte il presidente della Corte Costituzionale, Francesco Amirante, intervenendo ieri alla conferenza stampa, «occorre impedire che ci siano regressioni nella tutela dei diritti fondamentali con la motivazione della straordinarietà delle situazioni». La «intollerabilità» denunciata da Antigone riguarda anche le condizioni di lavoro degli operatori penitenziari «costretti a turni massacranti» e le risorse. Un detenuto costa allo stato italiano 157 euro al giorno, ma di questa somma poco più di 3 euro sono destinati ai tre pasti giornalieri e circa 5 euro alla salute. A rischio poi è anche la salute dei detenuti. Dal 2000 al 2008, denuncia sempre Antigone, sono stati destinati 34 milioni di euro in meno alla sanità penitenziaria. Con conseguente peggioramento della salute dei detenuti: 36 su 100 soffre di disagio psichico, 1 su 2 è soggetto a trattamento con psicofarmaci, il 2,7% è affetto da Hiv. Come aumentano i suicidi, lo scorso anno 42, un terzo dei decessi complessivi.

Torna all'inizio


Vito: "Alla cena coi giudici non si parlò del Lodo Alfano" (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica.it" del 01-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ROMA - Alla cena a casa del giudice costituzionale Luigi Mazzella, cui hanno partecipato Silvio Berlusconi, il ministro della Giustizia Angelino Alfano, insieme ad un altro giudice costituzionale, Paolo Maria Napolitano, e al senatore Carlo Vizzini, non si è parlato del Lodo che porta il nome del Guardasigilli, che la Consulta inizierà ad esaminare il 6 di ottobre. Lo ha detto il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito, durante il question time alla Camera, rispondendo così ad un'interrogazione del presidente dell'Idv Antonio Di Pietro. L'incontro, secondo Vito, "non ha avuto in alcun modo ad oggetto i temi relativi all'agenda della Corte costituzionale nè ipotesi di riforma del Titolo IV della Costituzione. Tale riforma compete al Parlamento, anche su iniziativa del governo". "Tranquillizzo gli onorevoli interroganti: le iniziative del governo in materia di Giustizia - conclude Vito - saranno rispondenti al programma presentato al corpo elettorale e che gli elettori hanno premiato". La cena, continua Vito, non è stata organizzata dal Governo, ma "molte settimane prima" dallo stesso Mazzella e vi hanno partecipato anche le consorti degli invitati. Eppure le polemiche non si placano e la spiegazione non convince l'opposizione, mentre crescono le adesioni - un migliaio di email sono arrivate a Repubblica - all'appello che circola su Internet per le dimissioni dei due giudici costituzionali. Il Pd continua a definire "gravissimo" l'incontro nella residenza privata del giudice Mazzella. "Puo' dire cio' che vuole, ma io trovo che decisamente non stia bene invitare qualcuno a casa propria, sul quale si è chiamati a decidere. Un magistrato, soprattutto se sta alla Corte Costituzionale, non dovrebbe mai farlo'', dice Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Partito Democratico. E il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, illustrando alla Camera la sua interpellanza, parla di toghe spregiudicate che con la loro condotta hanno "infangato la sacralità della Corte Costituzionale" e giudica la risposta di Vito "insoddisfacente e inaccettabile". Toni forti, che il ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi, non gradisce. Ne segue un battibecco in aula, con Bondi che alle parole di Di Pietro grida più volte "Vergognati", inveendo contro gli scranni dell'Idv, e poi lascia l'aula. OAS_RICH('Middle'); Per il vicepresidente vicario dei senatori Pdl Gaetano Quaglieriello è invece "del tutto ininfluente" l'invito a cena al premier Silvio Berlusconi da parte dei giudici della Consulta rispetto al prossimo giudizio di costituzionalità sul Lodo Alfano. Il lodo, ribatte Quagliariello, "non è un provvedimento su Berlusconi, né la corte costituzionale è un tribunale chiamato a pronunciarsi sulla colpevolezza o sull'innocenza del presidente del Consiglio, come invece parrebbe di capire leggendo le parole della senatrice Finocchiaro. Il lodo Alfano è una norma di diritto e di civiltà, rispetto alla quale la consulta è chiamata soltanto a stabilire l'osservanza del dettato costituzionale e la rispondenza ai rilievi formulati nel 2004 dalla corte stessa, rispondenza su cui in autorevoli sedi si sono avute già indicazioni piuttosto chiare. E' evidente - conclude - che rispetto a tutto questo un invito a cena è del tutto ininfluente". (1 luglio 2009

Torna all'inizio


Lodo Alfano, scontro Di Pietro-Bondi (sezione: Giustizia)

( da "Stampaweb, La" del 01-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ROMA Lite in Aula alla Camera sulla cena a casa del giudice costituzionale Luigi Mazzella cui hanno partecipato il premier Silvio Berlusconi, il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e un altro giudice costituzionale Paolo Maria Napolitano. A perdere la calma è il ministro dei Beni Culturali, Sandro Bondi, che, spazientito dalle parole del leader Idv Antonio Di Pietro, lo attacca: «È solo lei che infanga l’Italia, si vergogni!». Tutto comincia con la risposta del governo ad una interrogazione dell’ex pm che chiede «per quale ragione avete organizzato e realizzato quella cena» e, rivolto al Guardasigilli, «se non ritenga doveroso a questo punto ed ora che la tresca è stata scoperta dimettersi dal suo incarico per restituire dignità al suo ufficio e a quello della Corte costituzionale» chiamata a decidere sulla costituzionalità del Lodo Alfano. Il ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, spiega che nel corso di quella cena non si è parlato della legge che stabilisce la sospensione dei processi per le prime quattro cariche dello Stato ma al leader dell’Idv non basta. «Con il vostro concorso e con il concorso di quei due giudici spregiudicati - attacca l’ex pm - voi avete infangato la sacralità della Corte ed oggi, noi che abbiamo a cuore la sua imparzialità e la sua indipendenza, la vediamo totalmente minata. Ora non sapremo mai se qualsiasi decisione sarà presa il 6 ottobre sarà frutto di una valutazione assunta in totale indipendenza o se invece sarà il frutto di una cena carbonara e piduista realizzata quella sera». Il primo ad alzare la voce, secondo quanto riportato dallo stenografico della seduta, è il deputato del Pdl Salvatore Cicu che si rivolge alla presidenza: «Come si può permettere di usare questi termini!». E quando l’ex pm chiede le dimissioni di Alfano e dei due giudici costituzionali Roberto Tortoli sbotta: «Sei l’unico reo confesso qua dentro!». Quindi, nel sentire il leader dell’Idv che attacca il governo per aver «infangato la Corte costituzionale e le valutazioni che dovrà svolgere», anche il placido Ministro Bondi perde la pazienza: «È solo lei che infanga l’Italia, si vergogni!». A difendere Di Pietro è il capogruppo Idv in commissione Giustizia, Federico Palomba: «Presidente, il Governo non si deve permettere di minacciare i deputati...».

Torna all'inizio


Caso Consulta, lite Di Pietro-Bondi (sezione: Giustizia)

( da "Stampaweb, La" del 01-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ROMA Lite in Aula alla Camera sulla cena a casa del giudice costituzionale Luigi Mazzella cui hanno partecipato il premier Silvio Berlusconi, il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e un altro giudice costituzionale Paolo Maria Napolitano. A perdere la calma è il ministro dei Beni Culturali, Sandro Bondi, che, spazientito dalle parole del leader Idv Antonio Di Pietro, lo attacca: «È solo lei che infanga l’Italia, si vergogni!». Tutto comincia con la risposta del governo ad una interrogazione dell’ex pm che chiede «per quale ragione avete organizzato e realizzato quella cena» e, rivolto al Guardasigilli, «se non ritenga doveroso a questo punto ed ora che la tresca è stata scoperta dimettersi dal suo incarico per restituire dignità al suo ufficio e a quello della Corte costituzionale» chiamata a decidere sulla costituzionalità del Lodo Alfano. Il ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, spiega che nel corso di quella cena non si è parlato della legge che stabilisce la sospensione dei processi per le prime quattro cariche dello Stato ma al leader dell’Idv non basta. «Con il vostro concorso e con il concorso di quei due giudici spregiudicati - attacca l’ex pm - voi avete infangato la sacralità della Corte ed oggi, noi che abbiamo a cuore la sua imparzialità e la sua indipendenza, la vediamo totalmente minata. Ora non sapremo mai se qualsiasi decisione sarà presa il 6 ottobre sarà frutto di una valutazione assunta in totale indipendenza o se invece sarà il frutto di una cena carbonara e piduista realizzata quella sera». Il primo ad alzare la voce, secondo quanto riportato dallo stenografico della seduta, è il deputato del Pdl Salvatore Cicu che si rivolge alla presidenza: «Come si può permettere di usare questi termini!». E quando l’ex pm chiede le dimissioni di Alfano e dei due giudici costituzionali Roberto Tortoli sbotta: «Sei l’unico reo confesso qua dentro!». Quindi, nel sentire il leader dell’Idv che attacca il governo per aver «infangato la Corte costituzionale e le valutazioni che dovrà svolgere», anche il placido Ministro Bondi perde la pazienza: «È solo lei che infanga l’Italia, si vergogni!». A difendere Di Pietro è il capogruppo Idv in commissione Giustizia, Federico Palomba: «Presidente, il Governo non si deve permettere di minacciare i deputati...». E intanto il giudice della Corte Costituzionale, Luigi Mazzella scrive una lettera al Cavaliere: «Caro presidente, caro Silvio...». È questo l’incipit della lettera aperta al premier con cui il giudice Mazzella garantisce all’ «amico di vecchia data» che la cena a casa sua, contestata dal Pd e dall’Idv, non è stata la prima e «non sarà certo l’ultima fino al momento in cui - scrive - un nuovo totalitarismo malauguratamente dovesse privarci delle nostre libertà personali». Mazzella esprime una certezza: «L’amore per la libertà e la fiducia nell’intelligenza e nella grande civiltà degli italiani che entrambi nutriamo ci consente di guardare alla barbarie di cui siamo fatti oggetto in questi giorni con sereno distacco». Ecco il testo integrale della lettera aperta di Mazzella a Berlusconi. «Caro Presidente, caro Silvio, ti scrivo una lettera aperta perchè cominciando seriamente a dubitare del fatto che le pratiche dell’Ovra (la polizia segreta fascista, ndr) siano definitivamente cessate con la caduta del fascismo, non voglio cadere nel tranello di essere accusato, da parte di chi necessariamente ne ignorerà il contenuto, di averti inviato una missiva ’carbonara e piduistà, secondo il colorito linguaggio di un parlamentare. Ritenevo in buona fede di essere un uomo libero in un Paese ancora libero e di avere il diritto ’umanò di invitare a casa mia un amico di vecchia data quale tu sei». «Ho sempre intrattenuto con te - scrive Mazzella - rapporti di grande civiltà e di reciproca e rispettosa stima. Vederti in compagnia di persone a me altrettanto care e conversare tutti assieme in tranquilla amicizia non mi era sembrato un misfatto. A casa mia, come tu sai per vecchia consuetudine, la cena è sempre curata da una domestica fidata (e basta!). Non vi sono cioè possibili ’spionì, come li avrebbe definiti Totò. Chi abbia potuto raccontare un fantasioso contenuto delle nostre conversazioni a tavola inventandosi tutto di sana pianta - è sottolineato nella lettera - resta un mistero che i grandi inquisitori del nostro Paese dovrebbero approfondire prima di lanciare accuse e anatemi. La libertà di cronaca è una cosa, la licenza di raccontare frottole ad ignari lettori è ben altra! Soprattutto quando il fine non è proprio nobile». «Caro Silvio, a parte il fatto che non era quella la prima volta che venivi a casa mia e che non sarà certo l’ultima fino al momento in cui un nuovo totalitarismo malauguratamente dovesse privarci delle nostre libertà personali, mi sembra doveroso dirti per correttezza che la prassi delle cene con persone di riguardo in casa di persone perbene non è stata certo inaugurata da me ma ha lunga data nella storia civile del nostro Paese. Molti miei attuali ed emeriti colleghi della Corte Costituzionale hanno sempre ricevuto nelle loro case, come è giusto che sia, alte personalità dello Stato e potrei fartene un elenco chilometrico». «Caro presidente - conclude la lettera -, l’amore per la libertà e la fiducia nella intelligenza e nella grande civiltà degli italiani che entrambi nutriamo ci consente di guardare alla barbarie di cui siamo fatti oggetto in questi giorni con sereno distacco. L’Italia continuerà ad essere, ne sono sicuro, il Paese civile in cui una persona perbene potrà invitare alla sua tavola un amico stimato. Con questa fiducia, un caro saluto».

Torna all'inizio


Il giudice Mazzella scrive a Berlusconi "Siamo oggetto di barbarie" (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica.it" del 01-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ROMA - "Caro Silvio, siamo oggetto di barbarie ma ti inviterò ancora a cena", firmato Luigi Mazzella. Il giudice costituzionale, dopo le polemiche, scioglie le riserve e sceglie la strada dello scontro aperto con i critici. Motivo del contendere una cena a casa del giudice costituzionale, cui hanno partecipato Silvio Berlusconi, il ministro della Giustizia Angelino Alfano, insieme ad un altro giudice costituzionale, Paolo Maria Napolitano, e al senatore Carlo Vizzini che ha scatenato polemiche feroci sull'opportunità che due giudici dell'Alta Corte si incontrino alla viilia di una importante decisione sul Lodo Alfano che la Consulta dovrà giudicare a settembre. E la lettera arriva nel giorno dello scontro il Aula fra Antonio Di Pietro e il ministro Sandro Bondi a colpi di "vergogna". Il leader dell'Udc: "Mazzella è reo confesso si dimetta". La lettera. "Caro Presidente, caro Silvio, ti scrivo una lettera aperta perché sto cominciando seriamente a dubitare del fatto che le pratiche dell'Ovra (la polizia segreta fascista, ndr) siano definitivamente cessate con la caduta del fascismo". "Ho sempre intrattenuto con te - scrive Mazzella - rapporti di grande civiltà e di reciproca e rispettosa stima. Vederti in compagnia di persone a me altrettanto care e conversare tutti assieme in tranquilla amicizia non mi era sembrato un misfatto. A casa mia, come tu sai per vecchia consuetudine, la cena è sempre curata da una domestica fidata (e basta!). Non vi sono cioè possibili 'spioni', come li avrebbe definiti Totò. Chi abbia potuto raccontare un fantasioso contenuto delle nostre conversazioni a tavola inventandosi tutto di sana pianta - è sottolineato nella lettera - resta un mistero che i grandi inquisitori del nostro Paese dovrebbero approfondire prima di lanciare accuse e anatemi. La libertà di cronaca è una cosa, la licenza di raccontare frottole ad ignari lettori è ben altra! Soprattutto quando il fine non è proprio nobile". OAS_RICH('Middle'); "Caro Silvio, a parte il fatto che non era quella la prima volta che venivi a casa mia e che non sarà certo l'ultima fino al momento in cui un nuovo totalitarismo malauguratamente dovesse privarci delle nostre libertà personali, mi sembra doveroso dirti per correttezza che la prassi delle cene con persone di riguardo in casa di persone perbene non è stata certo inaugurata da me ma ha lunga data nella storia civile del nostro Paese. Molti miei attuali ed emeriti colleghi della Corte Costituzionale hanno sempre ricevuto nelle loro case, come è giusto che sia, alte personalità dello Stato e potrei fartene un elenco chilometrico". "Caro presidente - conclude la lettera -, l'amore per la libertà e la fiducia nella intelligenza e nella grande civiltà degli italiani che entrambi nutriamo ci consente di guardare alla barbarie di cui siamo fatti oggetto in questi giorni con sereno distacco. L'Italia continuerà ad essere, ne sono sicuro, il Paese civile in cui una persona perbene potrà invitare alla sua tavola un amico stimato. Con questa fiducia, un caro saluto". La polemica. "Non si è parlato di Lodo Alfano", ha detto il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito, durante il question time alla Camera, rispondendo così ad un'interrogazione del leader dell'Idv. "Tranquillizzo gli onorevoli interroganti: le iniziative del governo in materia di Giustizia - conclude Vito - saranno rispondenti al programma presentato al corpo elettorale e che gli elettori hanno premiato". Eppure le polemiche non si placano e la spiegazione non convince l'opposizione, mentre crescono le adesioni - un migliaio di email sono arrivate a Repubblica - all'appello che circola su Internet per le dimissioni dei due giudici costituzionali. Il Pd continua a definire "gravissimo" l'incontro nella residenza privata del giudice Mazzella. "Può dire ciò che vuole, ma io trovo che decisamente non stia bene invitare qualcuno a casa propria, sul quale si è chiamati a decidere. Un magistrato, soprattutto se sta alla Corte Costituzionale, non dovrebbe mai farlo'', dice Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Partito Democratico. E il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, illustrando alla Camera la sua interpellanza, parla di toghe spregiudicate che con la loro condotta hanno "infangato la sacralità della Corte Costituzionale" e giudica la risposta di Vito "insoddisfacente e inaccettabile". Poi, presa visione della lettera, il capo dell'Idv è ancora più duro: "Se ne deve andare". ''Con la sua lettera Mazzella è reo confesso. Infatti - afferma dice Di Pietro - egli ammette di essere un amico di vecchia data e di avere rapporti di frequentazione e di intimità con il plurimputato Silvio Berlusconi, senza rendersi conto che egli e' anche giudice della Corte Costituzionale che deve esprimersi sulla legittimità del Lodo Alfano, cioé proprio su quella legge che Berlusconi si e' confezionare per non farsi processare. Anche uno studente di giurisprudenza capirebbe l'abnormità di questo caso, e lo stesso Mazzella non può non capirlo. Insistiamo con la richiesta di dimissioni e ci appelliamo al presidente della Corte Costituzionale e al presidente della Repubblica affinché intervengano su un fatto così grave che mortifica la credibilità, la sacralità e l'autonomia della Consulta''. (1 luglio 2009

Torna all'inizio


il giudice della corte: inviterò ancora berlusconi (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina 1 - Prima Pagina Sfida senza precedenti di Mazzella dopo la cena con Berlusconi. L´opposizione: compromette la Consulta, si dimetta. Scontro Di Pietro-Bondi Il giudice della Corte: inviterò ancora Berlusconi ROMA - Il giudice della Corte Costituzionale Luigi Mazzella sfida le critiche con una lettera aperta al premier Berlusconi: «Caro presidente, caro Silvio, non è la prima volta e non sarà l´ultima che ti invito a cena». Polemiche dal Pd, mentre Antonio Di Pietro attacca chiedendo le dimissioni del magistrato. è scontro con il ministro Sandro Bondi. Milella e tito a pagina 12 SEGUE A PAGINA 12

Torna all'inizio


parzialità confessa - (segue dalla prima pagina) (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina 37 - Commenti PARZIALITà CONFESSA (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) e rovescia nella sostanza delle cose - mentre pretende di applicarlo letteralmente - un caposaldo dell´etica liberale. Che questo modo di ragionare - dove si eleva l´anomia e l´arbitrio individuale a principio universale di condotta - sia quello di un giudice della Corte Costituzionale, se non arriva ancora a farci disperare del futuro del nostro diritto e della nostra Costituzione (c´è ben altro, per fortuna, alla Consulta), ci fa interrogare però con angoscia sul degrado del nostro discorso pubblico, e sul senso dello Stato che circola in ambienti giuridici e politici tutt´altro che marginali. La lettera aperta che il giudice Mazzella ha scritto al presidente del Consiglio è un testo troppo meschino per essere veramente preoccupante dal punto di vista culturale: ci senti dentro un´aria di combriccole, di tavole imbandite, di domestiche fedeli e di chiacchiere, che nulla ha che fare con quello che dovrebbe essere lo spirito, il costume, lo stile mentale di un grande Servitore del diritto e della giustizia, quali che siano i suoi punti di riferimento ideali. I giudici costituzionali avrebbero da rispettare uno status, che qui risulta violato nella forma e nella sostanza. Non c´è nella lettera una sola parola che rimandi all´altissima funzione ricoperta da chi la scrive, e ai doveri che essa prescrive - doveri scritti e non scritti: nulla di nulla; un silenzio agghiacciante. Il punto più grave è però un altro. Con questa lettera, il giudice Mazzella si colloca apertamente dal lato di una parte politica, di cui usa gli stessi argomenti, e dal cui fondo ideologico si rivela interamente catturato. A questo punto non ha importanza cosa si siano davvero detti nella cena con il presidente del Consiglio e con il ministro Alfano (anch´egli un suo vecchio amico, o convenuto alla bisogna?). Non ha importanza se abbiano o meno parlato di questo o di quell´argomento. Il giudice ora si è fatto parte - litem suam fecit, come si dice in quel latinetto che dovrebbe essergli familiare - e in un modo così clamoroso e intenzionale che sfiora la provocazione. E dunque non può giudicare in una contesa cruciale - il cosiddetto "lodo Alfano", appunto - per quella parte che egli ha così spudoratamente deciso di abbracciare pubblicamente. Come sempre in questi casi, la questione privata diventa inevitabilmente pubblica, e la dismisura dei comportamenti personali si trasforma in violazione di principi giuridici fondamentali. A questo punto, il minimo che si possa chiedere è che il giudice scelga di astenersi dal partecipare alle sedute in cui la Corte, in autunno, sarà chiamata a giudicare sulla costituzionalità delle norme che assicurano l´impunità alle più alte cariche dello Stato. Egli, per atti concludenti, si è già espresso in merito, e, come sa benissimo, questo è inammissibile. Non è più questione di amicizia con il premier. è il principio della terzietà del giudice, che è stato violato con la sua lettera. Se ne renda conto, e faccia quanto deve: quanto noi tutti ci aspettiamo da lui. è ancora in tempo.

Torna all'inizio


cure gratis ai trans, volata in regione - ava zunino (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina XI - Genova Cure gratis ai trans, volata in Regione Pronta la legge, i verdi incalzano: "La voti tutta la maggioranza" Dopo il Pride Il sostegno per la terapia ormonale era stato chiesto da Wladimir Luxuria durante l´evento finale della parata in piazza De Ferrari AVA ZUNINO A pochi giorni dal Gay Pride, la Regione Liguria si prepara ad approvare una legge contro le discriminazioni sessuali e a contribuire alle spese sostenute dai transessuali per le terapie ormonali. Il sostegno delle spese per gli ormoni era stato chiesto da Vladimir Luxuria durante l´evento conclusivo della parata, in piazza De Ferrari. «Le strade che sto cercando di percorrere sono due: o l´inserimento del provvedimento nella legge contro le discriminazioni sessuali che porteremo in consiglio prima di agosto, oppure un provvedimento della giunta, che intendo chiedere direttamente al presidente Claudio Burlando», ha detto ieri la capogruppo dei verdi in Regione, Cristina Morelli, aggiungendo che la legge contro le discriminazioni sessuali, da lei stessa depositata tre anni fa e mai discussa, ora è in dirittura d´arrivo. «Ne abbiamo discusso in una riunione di maggioranza - ha spiegato Morelli - stiamo modificando il testo e stiamo togliendo le parti che erano anche nella legge della Regione Toscana e che sono state impugnate presso la Corte Costituzionale. Ci rivediamo martedì prossimo. Mi aspetto che sia votata da tutta la maggioranza, poi naturalmente ognuno si assume le proprie responsabilità». La legge dovrà anche avere il via libera del tavolo di monitoraggio nazionale che sorveglia i conti della sanità ligure. «è necessario - spiega Morelli - perché oltre a stabilire provvedimenti su istruzione e formazione, la legge affida un ruolo alle Asl e ai consultori in materia di prevenzione, informazione e assistenza». Costi che, se arriverà il benestare della maggioranza, potrebbero riguardare anche le terapie ormonali: «il cui costo, tanto per dare un parametro, in Toscana è stato di 4 mila euro per trenta pazienti. Una cifra irrisoria», ha detto Morelli. Intanto dal pdl Matteo Rosso tuona: «non ho mai visto la Morelli battersi per quei malati che non hanno accesso a farmaci perché costano troppo o a esami diagnostici per le lunghe liste di attesa». Lei replica: «Rosso ha dichiarato più volte pubblicamente di essere contro le discriminazioni, perciò mi aspetto anche il suo voto». Michele Boffa, capogruppo del Pd, spiega: «Nella proposta della Morelli non c´è il tentativo di far diventare privilegiato chi è emarginato ma quello di riconoscere a queste persone diritti e opportunità al pari di tutti gli altri».

Torna all'inizio


estate romana, tutto il calendario oggi il numero speciale del trovaroma (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina XIX - Roma In edicola La presentazione Estate Romana, tutto il calendario oggi il numero speciale del Trovaroma Lo scontro fra tv e politica nel libro di Debenedetti e Pilati Politica e televisione legate a doppio nodo e al centro di uno scontro decennale. Un´anomalia tutta italiana, sostengono Franco Debenedetti e Antonio Pilati nel libro edito da Einaudi "La guerra dei trent´anni. Politica e televisione in Italia 1975-2008". Diciotto sentenze della Corte costituzionale, quattro referendum e le leggi Maccanico, Gasparri e Gentiloni - sostengono gli autori che presenteranno il testo oggi pomeriggio a Montecitorio alla presenza di Massimo D´Alema e del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi - non sono bastati per affrancare, di fatto, la televisione italiana dal controllo politico.

Torna all'inizio


Obiettivo: razionalizzare il processo (sezione: Giustizia)

( da "Italia Oggi" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ItaliaOggi sezione: Magistrati Tar data: 02/07/2009 - pag: 15 autore: Caterina Criscenti magistrato amministrativo cosa prevede la legge 69/2009 sulla semplificazione Obiettivo: razionalizzare il processo Entrerà in vigore il 4 luglio prossimo la legge 18 giugno 2009 n. 69 contenente «Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, nonché in materia di processo civile».Settantadue articoli, racchiusi in sei capi, che incidono su differenti settori. Si spazia dall'»innovazione» in materia di comunicazioni elettroniche (capo I), alla «semplificazione» (capo II), anche del procedimento amministrativo, ad un variegato «piano industriale» per la p.a. (capo III), passando per consistenti interventi nell'ambito della «giustizia» (capo IV), in primo luogo civile, per approdare alle «privatizzazioni» (capo V), con una norma sul patrimonio dello Stato spa ed una sulle società pubbliche, e concludere con la clausola di salvaguardia a favore delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano (capo VI). Tra le novità ben sette norme – delega (artt. 11, 12, 33, 44, 54, 60 e 65) per l'adozione, da parte del Governo, nei prossimi mesi, di decreti legislativi, quattro dei quali riguarderanno il mondo della giustizia. Al riassetto della disciplina del processo amministrativo è dedicato l'art. 44. L'interesse per questi decreti legislativi, da adottare entro il 3 luglio 2010, è altissimo, essendo rimasto quello amministrativo un processo non codificato. Disciplinato da una congerie di leggi, alcune delle quali anche ultracentenarie, dettate per un giudice di unico grado, quale era il Consiglio di stato, il giudizio amministrativo ha registrato, dopo l'istituzione, nel 1971, dei Tribunali amministrativi regionali, il succedersi di «novelle» via via più consistenti ed incisive, ma anche frammentarie e disorganiche.Si trattava, dunque, di un riordino opportuno ed atteso, anche perché già l'art. 18 l. 21 luglio 2000 n. 205 preannunciava un «generale riordino dell'ordinamento della giustizia amministrativa sulla base della unicità di accesso e di carriera, con esclusione di automatismi collegati all'anzianità di servizio».La delega, che nulla dice, però, sui criteri di accesso e di carriera dei magistrati, punta, in primo luogo, alla razionalizzazione dei termini processuali, insieme alla disciplina ed eventuale riduzione dei termini di decadenza e prescrizione, e la revisione dei riti speciali e delle norme sul contenzioso elettorale.Altro obiettivo è quello dell'individuazione di misure, anche transitorie, di eliminazione dell'arretrato. Si tratta di un aspetto scottante, che richiederà un accurato bilanciamento tra l'interesse delle parti ad una pronta ed effettiva definizione dei giudizi pendenti, l'interesse dei magistrati all'attenta valutazione della loro professionalità, e quello del personale di segreteria a non incorrere in una smisurata moltiplicazione dei propri compiti. Proprio a tal fine soccorre il comma 6 dell'art. 44, che ha previsto, con un'aggiunta al comma 309 dell'art. 1, legge 30 dicembre 2004 n. 311, che il gettito derivante dal contributo unificato sia destinato anche ad incentivare progetti speciali per lo smaltimento dell'arretrato e per il miglior funzionamento del processo amministrativo.Il governo dovrà pure occuparsi di riordinare la tutela cautelare, per far sì che l'esito della lite non resti definito da misure interinali, ma da una pronuncia di merito il più possibile rapida. La domanda cautelare non potrà, infatti, essere trattata fino a quando il ricorrente non avrà presentato istanza di fissazione per l'udienza di merito, e nel caso di accoglimento della domanda cautelare, l'istanza non potrà essere revocata ed il processo dovrà essere celebrato entro un anno. Si tratta in verità di un rafforzamento della linea già tracciata con la legge 21 luglio 2000 n. 205, che all'art. 3 stabilisce che «l'ordinanza del tribunale amministrativo regionale di accoglimento della richiesta cautelare comporta priorità nella fissazione della data di trattazione del ricorso nel merito». Si è prevista anche la generalizzazione della tutela cautelare ante causam, che ad oggi garantita solo per la materia degli appalti pubblici, non ha, però, goduto di particolare fortuna.Nevralgico si presenta l'obiettivo di disciplinare le azioni e le funzioni del giudice, anche con la previsione di pronunce dichiarative, oltre che costitutive e di condanna. È plausibile che per questa via trovino pure soluzione questioni molto delicate, come quella sulla pregiudiziale amministrativa che ha visto, negli ultimi tempi, contrapposte le Sezioni unite della Cassazione alla Adunanza plenaria del Consiglio di stato. D'altronde finalità del riassetto è proprio quella di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali e di assicurare la concentrazione delle tutele. Tra i punti da riordinare anche il sistema delle impugnazioni e la riassunzione del processo, che per l'ipotesi di sentenze di altri ordini giurisdizionali risulta, comunque, già disciplinata dall'art. 59 della medesima legge n. 69/09. Un anno di lavoro per il governo, e per i magistrati, avvocati ed esperti del cui ausilio è probabile il governo si avvarrà in forza della previsione del comma 4, che ci si augura possa vedere la nascita di un processo veloce, ma non frettoloso, ordinato e «giusto», ma pur sempre snello e flessibile.

Torna all'inizio


Sul filo sottile della governance Ue (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: COMMENTI E INCHIESTE data: 2009-07-02 - pag: 13 autore: Sul filo sottile della governance Ue GlistrappidiSarkozyelaConsultatedescaspingonoversolarevisionedelPattodistabilità di Carlo Bastasin L a motivazione della sentenza emessa mercoledì dalla Corte costituzionale tedesca può cambiare volto all'Europa. Accolte con superficiale compiacimento negli angiporti di Bruxelles e della politica comunitaria, le 147 pagine diffuse da Karlsruhe fissano dei vincoli pesantissimi agli impegni europei del più importante tra i paesi della Ue. Forse è vero che la sentenza non frena la corsa di un Trattato di Lisbona ormai svuotato di significato dalle precedenti modifiche, ma impone d'ora in poi che Berlino non accetti più le decisioni a maggioranza degli organi comunitari senza consultare prima i parlamenti tedeschi in ognuno dei casi in cui le innovazioni legislative europee tocchino la vita quotidiana dei cittadini tedeschi. Teoricamente ogni decisione di Bruxelles potrà essere soggetta ad approvazione nazionale, perché è solo dalla nazione, secondo i giudici costituzionali, che discende la sovranità. Con la sofisticata ignoranza che li distingue, i giudici tedeschi, isolati nella cittadina del Sud del paese, non vogliono vedere la realtà di un'Europa in cui non esiste più nulla di legittimamente nazionale, perché tutto ciò che viene deciso a Berlino, Roma o Parigi si ripercuote su ogni altro paese. Nemmeno la crisi li ha illuminati. Sotto il peso del "deficit democratico", pongono la politica europea in un equilibrio impossibile. Su un piatto della bilancia c'è il ritorno alle sovranità nazionali, sull'altro la costruzione di una compiuta vita democratica che ora manca in Europa per "ragioni strutturali". Per avanzare verso l'integrazione politica non restano a Berlino che due strade: una è quella suggerita da Larry Siedentop dieci anni fa, basata su un senato europeo in cui sono rappresentati i parlamentari nazionali. La seconda prevede una nuova forma di condivisione politica tra paesi dell'euro. Ma quanto è realistico che avvenga oggi un'accelerazione istituzionale? In tutte le cancellerie si è impegnati a studiare al microscopio il discorso del presidente francese Nicolas Sarkozy di fronte alle camere riunite a Versailles. Sarkozy ha chiesto che l'Europa cambi dopo lacrisi economica: «L'Europa deve dotarsi dei mezzi per partecipare alla trasformazione del mondo ». Non è entrato nel dettaglio, osservando che questo non è ancora il momento per discutere del «progetto europeo della Francia». Ma ha gettato comunque un'esca appetitosa nelle acque profonde del dibattito. Molti hanno collegato il discorso di Sarkozy a precedenti richiami sulla necessità proprio di un governo economico della zona euro. Tuttavia con il discorso di Versailles il presidente francese ha aperto una faglia profonda nel terreno comune su cui un nuovo progetto istituzionale dovrebbe svilupparsi. Annunciando politiche di incremento della spesa pubblica a dispetto dei vincoli di Maastricht, Sarkozy ha gettato nella costernazione i partner tedeschi, come pensare a un governo comune su basi tanto divergenti? Nelle passate settimane il parlamento di Berlino aveva adottato una modifica della Costituzione che rafforza la disciplina di bilancio. L'obiettivo dichiarato alcuni mesi fa dalla cancelleria era di estendere all'intera zona euro l'adozione dei "freni fiscali" all'indebitamento pubblico. La scelta di Sarkozy - «con me non si faranno politiche di austerità » - è parsa contraddittoria fino alla provocazione. Con un filo di paranoia, il quotidiano Faz ha denunciato una deriva antieuropea da parte di Parigi. La linea socio-gollista di Philippe Seguin, contrario a suo tempo alla cessione di sovranità di Maastricht, avrebbe prevalso nelle menti del primo ministro FranÇois Fillon, del presidente dell'Ump Xavier Bertrand e del consigliere del presidente Henry Guaino. Tutti e tre avevano votato "no" al referendum su Maastricht del '92 e ora avrebbero convinto Sarkozy a un repubblicanesimo nazionale privo di remore. A Berlino c'è più cautela. La lezione della crisi finanziaria è densa di implicazioni per lo sviluppo istituzionale della zona euro. Gli squilibri strutturali tra i paesi sono ampi, all'eccesso di risparmio dell'economia tedesca corrispondono deficit nella maggior parte dei paesi partner. Se Parigi scegliesse la strada dell'allargamento del deficit, Berlino si troverebbe in parte a finanziarlo attraverso la domanda di obbligazioni in euro dei fondi pensione. Il problema per la Germania va alla radice del modello di paese esportatore, disposto a sacrificare i consumi interni (tenendo bassi i salari rispetto alla produttività) pur di conquistare quote di mercato. Una strategia che la Germania ha conquistato con fatica recuperando il rango di campione delle esportazioni mondiali. Alla recente riunione del Consiglio per le relazioni Italia-Usa a Venezia, Fred Bergsten, direttore del Peterson Institute, ha definito «neo-mercantilisti» i paesi che cercano in tal modo di uscire dalla crisi. Ma a Berlino la critica viene respinta con l'argomento dell'invecchiamento demografico: i tedeschi diventano sempre più anziani e sempre meno in grado di sostenere il proprio livello di vita attraverso il lavoro, per questa ragione stanno accumulando risparmio che dovrebbe essere investito in paesi ad alta crescita in grado di garantire tassi elevati di rendimento del capitale. Il paradosso è però che lo squilibrio interno alla zona euro, se non governato, porterebbe il risparmio tedesco a finanziare altri paesi a rendimento declinante, come appunto la Francia e la Spagna. Un segnale della portata delle riflessioni sotterranee tedesche è emerso all'inizio del mese in un discorso tenuto a Budapest dal ministro degli Esteri, Frank Walter Steinme-ier, candidato socialdemocratico alla cancelleria. Secondo Steinmeier, la crisi impone di riflettere sulla governance dell'unione monetaria, anche in considerazione delle divergenze strutturali tra i paesi dell'eurozona. Per poterle gestire si propone un coordinamento politico più forte e quindi il superamento dell'Agenda di Lisbona (un tema su cui si riflette anche a livello Ue) e del suo metodo di coordinamento poco incisivo. è la prima volta che da Berlino si rende pubblica la riflessione- comune a livello tecnico - sulla necessità di governare le divergenze strutturali dei paesi euro. Ma Steinmeier è stato esplicito anche nel chiedere maggiore coordinamento sia in materia fiscale sia di politica sociale. Può sembrare normale per un leader socialdemocratico opporre al dumping fiscale e salariale degli altri paesi una sede istituzionale di governo comune, ma è vero il contrario: in Germania anche l'Spd ha sempre difeso la Tarifautonomie , cioè il principio che garantisce alle parti sociali il diritto di fissare i termini contrattuali dei rapporti di lavoro. In contrasto con la linea ufficiale del governo tedesco, Steinmeier ha anche sostenuto la necessità di un maggior coordinamento delle politiche di bilancio dei paesi europei, intendendo non solo il rispetto dei vincoli di Maastricht, ma anche la realizzazione di politiche comuni di stimolo dal lato della domanda, rimaste dolorosamente assenti nella risposta europea alla crisi finanziaria. La prospettiva di un'Unione europea paralizzata da un governo britannico conservatore, schierato con le fazioni più euroscettiche del parlamento europeo, sta facendo emergere la zona euro come ambito istituzionale in cui sarebbe possibile far progredire l'integrazione. Finora Berlino aveva rifiutato un confronto pubblico per timore di aprire la porta a interferenze politiche che potessero mettere a rischio l'autonomia della Banca centrale europea, ma il quadro di intervento prefigurato da Steinmeier, con maggiore omogeneità nelle politiche salariali e minori divergenze strutturali, dovrebbe rendere più facile, non più difficile, la politica monetaria della Bce. Per Angela Merkel un'iniziativa francotedesca è probabilmente prematura. Qualsiasi confronto dovrebbe ripartire da un ripensamento del Patto di stabilità ormai inadeguato a regolare bilanci pubblici fuori controllo. La Germania è nel pieno di una difficile campagna elettorale e anche se la Merkel è favorita, non è ancora possibile prevedere quale coalizione prevarrà. Ora la sentenza di Karlsruhe impedisce di usare il canale diplomatico per costruire intese "di rapina". Non c'è alternativa alla strada più dura per l'integrazione europea: il confronto politico con l'opinione pubblica attraverso le istituzioni democratiche. Una strada finora evitata o fallita. carlo.bastasin@ilsole24ore.com © RIPRODUZIONE RISERVATA LE PROSPETTIVE Un negoziato tra i maggiori azionisti di Bruxelles non è ancora ipotizzabile: incombe l'appuntamento delle elezioni per il cancellierato Leadership. Il presidente francese Nicolas Sarkozy e il cancelliere tedesco Angela Merkel AFP

Torna all'inizio


Un'ipotesi. Per ora accantonata (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

POLITICA E SOCIETÀ «Un'ipotesi. Per ora accantonata» E. Ma. E. Ma. L'ipotesi era stata presa in considerazione dal governo, ma sarebbe stata «subito accantonata». Per ora. La smentita alla notizia apparsa ieri sul Corriere della Sera - secondo la quale Silvio Berlusconi avrebbe deciso di trasferire il personale addetto ai voli di stato alle dipendenze del Rud, l'apparato interforze dei servizi segreti militari (Aise), in modo da secretare più facilmente l'identità degli ospiti viaggianti - è ufficiale. E attendibile, perché opposta direttamente davanti al Copasir dal sottosegretario Gianni Letta. Il delegato dalla presidenza del Consiglio all'intelligence, infatti, ieri, durante un già previsto incontro col Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti presieduto da Francesco Rutelli, ha negato - secondo diverse fonti - che ci sia «alcuna decisione del governo» in tal senso. Una tale disposizione sarebbe di una «gravità inaudita», come ha denunciato l'Italia dei valori, perché «sarebbe un tentativo bello e buono di insabbiare la verità e di ostacolarla ora e sempre» sugli ospiti privati di Berlusconi a bordo degli aerei della Repubblica italiana. Anche se il premier potrebbe in qualsiasi caso opporre il segreto di Stato davanti alle inchieste della magistratura adducendo «motivi di sicurezza e riservatezza» che solo la Corte costituzionale potrebbe rimuovere, eppure elevare a rango di 007 il personale dei voli presidenziali «creerebbe un automatismo», come spiega il senatore Pd Felice Casson che ieri ha presentato un'interrogazione parlamentare. Ci si potrebbe addirittura avvalere del «divieto di rendere testimonianza in giudizio» sull'eventuale uso illecito degli "aerei blu".

Torna all'inizio


Parole oltranziste Adesso tocca a lui porre rimedio (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

SINISCALCHI (CSM) «Parole oltranziste Adesso tocca a lui porre rimedio» Andrea Fabozzi «Sono sorpreso, è una lettera oltranzista». Non è facile coinvolgere Vincenzo Siniscalchi - consigliere del Csm in quota Pd - in una polemica. Giurista e avvocato di fama, Siniscalchi ha il passo del garantista ostinato e ci tiene al rispetto della sfera privata. Ma il caso del giudice costituzionale Mazzella che rivendica una continua frequentazione a cena con Berlusconi è la classica ultima goccia nel vaso. «Francamente questa di Mazzella è una lettera oltranzista - dice Siniscalchi - qui non stiamo parlando del De amicitia di Cicerone ma di una cosa molto più semplice: dell'opportunità di assumere certi comportamenti in considerazione del ruolo istituzionale che si ricopre. È un valore che quando si verificano alcune coincidenze dev'essere assolutamente tenuto in considerazione». Mazzella dice: in un paese civile è legittimo invitare alla propria tavola un amico stimato. Ha torto? Ma qui nessuno sta mettendo in dubbio il valore dell'amicizia. Non di meno questa appassionata difesa della libertà con toni quasi da martirologio suscita delle ragionevoli perplessità. In questi giorni sembra quasi che l'esaltazione assoluta e totalizzante del privato stia diventando una categoria etica di nuovo tipo. Per cui si confonde addirittura la difesa ovvia delle proprie libertà con la possibile messa in gioco di quei grandi valori che accompagnano l'esercizio della funzione pubblica. Come la funzione di giudice costituzionale o quella di presidente del Consiglio, di ministro e di quanti altri hanno partecipato a quella cena. Le perplessità poi aumentano in considerazione del momento in cui si è svolta e per la prossima scadenza che vede impegnato l'ospite in un giudizio di alto valore che riguarda l'amico. Immagina i sospetti e le polemiche se la Corte dovesse salvare il Lodo Alfano? Immagino l'imbarazzo degli altri giudici costituzionali, l'enfatizzazione di questa vicenda colpisce in primo luogo quelli che dovranno giudicare il Lodo. Il codice di procedura civile obbliga il giudice «commensale abituale» dell'imputato ad astenersi. A maggior ragione non dovrebbe astenersi un giudice costituzionale? Ho fiducia che una vicenda del genere non debba scomodare delle forme tortuose di soluzione giuridica. Ho fiducia che si determineranno dei comportamenti sensibili in relazione al ruolo che si ricopre. Un giurista come Mazzella credo che vorrà porre avanti ad ogni soluzione bizantina una scelta che non metta in imbarazzo né se stesso né gli altri. Un altro giudice costituzionale nominato dal centrodestra, Vaccarella, si dimise perché si sentiva pressato dalle dichiarazioni dei politici. Una cena con il premier non è una pressione più forte? Anche questo deve rientrare nella valutazione tutta individuale che dovrà fare il giudice Mazzella. A me pare che qualche volta queste questioni vengano sollevate - e non so se sarà questo il caso - per creare dei problemi alla libertà del giudizio degli altri giudici costituzionali. Il governo si è giustificato dicendo che non era una cena organizzata da Berlusconi. È la classica excusatio non petita, fa pensare a una coda di paglia.

Torna all'inizio


Via libera al sindaco sull'ordine pubblico (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-02 - pag: 27 autore: Dalla Corte costituzionale Via libera al sindaco sull'ordine pubblico Guglielmo Saporito Via libera dalla Corte costituzionale alle ordinanze sindacali emesse a tutela della sicurezza urbana. Lo afferma la sentenza n.196 di ieri, 1Ú luglio, la quale respinge i dubbi su un decreto del ministro dell'Interno dell'agosto 2008. Il decreto, definendo l'incolumità e la sicurezza urbana in attuazione di misure di sicurezza urgenti (articolo 6 del Dl 92/08), elenca nel dettaglio le situazioni in cui i sindaci sono autorizzati ad adottare provvedimenti di pubblica sicurezza e di ordine pubblico. Accattonaggio, danneggiamenti, scadimento della qualità urbana, incuria, occupazioni abusive, intralcio alla viabilità e al decoro urbano, abusivismo commerciale, prostituzione su strada sono così diventati oggetto di specifiche ordinanze sindacali. In ciò una provincia autonoma ha visto la possibile invasione di potestà legislative primarie, affidatele in materia di tutela del patrimonio storico artistico, paesaggio, viabilità, commercio e altresì in materia di pubblica sicurezza. La Corte costituzionale, pur specificando di non valutare i rapporti tra la sicurezza urbana e la sfera di libertà delle persone, chiarisce che il decreto del ministro dell'Interno ha a oggetto la tutela della sicurezza pubblica, intesa come attività di prevenzione e repressione dei reati, volta alla tutela dei primari interessi pubblici sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale. Ben possono quindi i sindaci esercitare poteri finalizzati all'attività di prevenzione e repressione dei reati, fermo restando il rispetto del confine tra l'attività di prevenzione e la normale polizia amministrativa, confine che potrà essere delimitato in sede di controlli giurisdizionali. Trova quindi conferma la legittimità delle ordinanze sindacali quali quella espressa dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno, in tema di prostituzione sulle vie consolari: oltre alla sentenza del Tar Lazio 12222 del dicembre 2008, ora anche il giudice delle leggi conferma l'utilizzabilità di ordinanze per la tutela della convivenza civile. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna all'inizio


Promosse le soglie di fallibilità (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-02 - pag: 31 autore: Corte costituzionale. Respinta la questione di legittimità sull'onere probatorio del debitore Promosse le soglie di fallibilità Quasi impossibile invece la verifica affidata ai creditori o al Pm Giovanni Negri MILANO Supera l'esame di costituzionalità uno dei cardini della riforma del diritto fallimentare. La Corte costituzionale ha infatti giudicato inammissibile la questione di legittimità sollevata dal tribunale di Napoli sull'attribuzione all'imprenditore dell'onere di dimostrare la sua collocazione al di sotto delle soglie di fallibilità e, quindi, di essere esonerato dal fallimento. Ma la Consulta si è anche pronunciata sulla legittimità delle soglie stesse e sulla loro corrispondenza alla delega. Per i giudici napoletani addossare sul debitore l'onere di provare la sua assoggettabilità o meno al fallimento può far dipendere l'apertura della procedura concorsuale da un comportamento del debitore stesso, che normalmente non ha nulla a che vedere con l'importanza dell'attività esercitata e con le ripercussioni del dissesto dell'imprenditore sul sistema economico: l'effetto sarebbe quello di provocare dichiarazioni di fallimento inutili. In discussione ci sarebbe quindi una violazione dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo dell'irragionevolezza della norma che è stata introdotta dal decreto legislativo n. 169 del 2007 per porre un argine al drastico crollo delle dichiarazioni di fallimento originate dalla nuova Legge fallimentare. Una diminuzione che la stessa Corte ritiene di dovere in gran parte attribuire all'incertezza sulla ripartizione dell'onere della prova. La Consulta però, sentenza n. 198, depositata ieri e scritta da Paolo Maria Napolitano, ha respinto la tesi del tribunale di Napoli. La sentenza ha innanzitutto messo in evidenza come l'individuazione di oggettivi criteri quantitativi indirizzati a delimitare i soggetti esclusi da fallimento corrisponde a uno degli obiettivi della legge delega da cui è poi scaturita la riforma che era quello della riduzione degli imprenditori che possono fallire. «è infatti evidente – si legge – che la oggettivizzazione dei criteri di discernimento tra soggetti che possono essere dichiarati falliti e soggetti esonerati dal fallimento comporta, ex se, data la minore complessità della relativa attività di accertamento e valutazione, sia un'accelerazione della procedura che una semplificazione della disciplina fallimentare». Quanto all'interesse dell'imprenditore a ottenere la dichiarazione di fallimento, e quindi alla volontà di aggirare i requisiti di fallibilità, la Consulta osserva che la Legge fallimentare prevede a carico del debitore che chiede il proprio fallimento adempimenti istruttori tali da evitare le preoccupazioni del tribunale. Lo stesso beneficio dell'esdebitazione prevede poi la collaborazione con gli organi della procedura, difficile da fare coesistere con la condotta di chi occulta la propria contabilità quanto alle soglie. In termini generali, infine, la Corte sottolinea che sarebbe quasi impossibile per il creditore, ma anche per il pubblico ministero, fare fronte al ribaltamento dell'onere probatorio: è infatti l'imprenditore il soggetto abilitato a potere esporre in maniera esauriente la propria esposizione debitoria. Starà poi al giudice, al quale, riconosce la sentenza, è attribuito un potere d'indagine "officioso", evitare la possibilità che siano dichiarati fallimenti che, date le caratteristiche del debitore, sarebbero ingiustficati. © RIPRODUZIONE RISERVATA VIA LIBERA I nuovi limiti per la pronuncia della dichiarazione sono in linea con l'esigenza di evitare l'inizio di procedure irrilevanti

Torna all'inizio


Dichiarazioni senza abusi (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-02 - pag: 31 autore: Procedura penale. Diritto di difesa Dichiarazioni senza abusi MILANO Le dichiarazioni rese da un imputato possono continuare a essere limitatamente utilizzate nel processo penale come prova dei fatti riferiti anche quando non vi hanno assistito gli avvocati dei coimputati. Lo precisa la Corte costituzionale con la sentenza n. 197 scritta da Giuseppe Frigo e depositata ieri. è stata così giudicata infondata la questione di legittimità sollevata dal tribunale di Siracusa sui commi 5 e 6 dell'articolo 503 del Codice di procedura penale. Secondo i giudici siciliani le disposizioni violerebbero l'articolo 24 della Costituzione perché attribuirebbero pieno valore probatorio a dichiarazioni nei confronti di soggetti che non sono stati in grado di fare valere in quell'occasione il proprio diritto di difesa. La Corte fa però osservare comeil recupero probatorio per effetto delle disposizioni contestate di dichiarazioni raccolte in violazione del generale principio di formazione della prova nel contraddittorio delle parti è giustificato. Non opera infatti per l'affermazione di responsabilità di soggetti diversi dal dichiarante. La modifica alla disciplina dell'interrogatorio prevede oggi che prima del suo inizio la persona deve essere avvisata che le sue dichiarazioni potranno essere utilizzate nei suoi confronti e che se saranno rese su fatti che coinvolgono altri verrà assunto l'ufficiodi testimone.La conclusione è poi la stessa anche quando esiste una situazione di incompatibilità all'assunzione dell'ufficio di testimone. Le norme oggetto di censura hanno così, nella lettura della Corte, un significato diverso da quelli ipotizzato dal tribunale di Siracusa: comportano infatti che le dichiarazioni rese nelle fasianteriori al giudizio dell'imputato possono essere utilizzate, per quanto riguarda la responsabilità dei coimputati, solo per valutare la credibilità del dichiarante. A meno che gli stessi coimputati diano il loro assenso all'utilizzabilità piena oppure siano presenti forti indizi di una testimonianza resa sotto pressione. «Il che rende coerente – conclude la Corte – la disciplina anche con quanto è disposto dall'articolo 513, comma 1, Codice di procedura penale, che ammette la lettura in dibattimento delle dichiarazioni rese dall'imputato nelle fasi anteriori quando egli sia contumace o assente o rifiuti di rendere l'esame,ma significativamente aggiunge che "tali dichiarazioni non possono essere utilizzate nei confronti di altri senza il loro consenso, salvo che ricorrano i presupposti di cui all'articolo 500 comma 4"». G. Ne. © RIPRODUZIONE RISERVATA I CRITERI Limitato l'utilizzo degli atti nei confronti degli altri imputati quando non è stato rispettato il contraddittorio

Torna all'inizio


Joe Slovo RESISTE ALL'ANC (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

reportage Joe Slovo RESISTE ALL'ANC A ridosso di Cape Town, fra lamiere e fango, l'opposizione di una township allo sgombero decretato dal governo è diventata il simbolo della lotta alle evictions Stefano Liberti INVIATO A CAPE TOWN La comunità è radunata al completo. Uomini, donne, bambini, perfino i cani sono venuti ad ascoltare l'avvocato bianco arrivato dalla città. Steve Kahanovitz prende la parola: «La Corte costituzionale ha dato il suo verdetto: l'occupazione di Joe Slovo è illegale. Questo era l'ultimo grado di giudizio. Ora dovete decidere se opporvi alla decisione o negoziare una ricollocazione. Naturalmente non devo dirvi io che, se la vostra scelta sarà la resistenza, il governo potrà cacciarvi con la forza». Insediamento spontaneo creato una ventina di anni fa da immigrati venuti dalla provincia dell'Eastern Cape, Joe Slovo è un insieme di shacks di lamiera e legno ammassati in un terreno fangoso nel quartiere di Langa, dieci minuti di macchina dal centro di Cape Town, a ridosso dell'autostrada N2 per l'aeroporto. Un negozietto di alimentari, una pompa per l'acqua e una ventina di bagni in condizioni disastrose sono il patrimonio comune di questo gruppo di occupanti, che negli ultimi tempi si è gadagnato una certa notorietà a livello nazionale. Questo insediamento all'apparenza anonimo - simile ai nostri campi rom - è diventato infatti il simbolo della lotta contro le evictions, gli sgomberi ordinati e spesso condotti in modo coatto dal governo dell'African National Congress (Anc). La resistenza della comunità è iniziata nel 2006, quando il ministero degli alloggi ha fatto sapere agli abitanti che sarebbero stati cacciati e ricollocati temporaneamente a Delft, un quartiere al di là dell'aeroporto, a più di 30 chilometri dal centro città. Loro hanno rifiutato la ricollocazione, hanno inscenato varie azioni di protesta, occupando a più riprese l'autostrada. E hanno fatto ricorso in tribunale. Dopo un iter giudiziario lungo tre anni, una decina di giorni fa la Corte Costituzionale ha dato il suo responso definitivo: «L'occupazione è illegale, gli abitanti di Joe Slovo devono essere spostati». «In realtà, il verdetto è importante per un altro motivo. I giudici hanno detto che l'occupazione è illegale, ma hanno anche sottolineato che agli occupanti devono essere garantite case con elettricità, luce e una metratura appropriata», evidenzia Kahanovitz, che ha seguito fin dall'inizio la vicenda di Joe Slovo come quella di altre evictions nella gigantesca township di Khayelitsha, nella zona di Cape Flats, vicino alla costa dell'Oceano Indiano. «Questo verdetto crea un precedente importante per il movimento contro gli sgomberi a livello nazionale: stabilisce di fatto il diritto ad avere un tetto decente per tutti». In Sudafrica, l'11% della popolazione urbana vive in shacks, baracche spesso prive di acqua e di elettricità. Gran parte di loro fa lavori di fortuna e guadagna tra i 2000 e i 3000 rand al mese (200-300 euro). Condizione che stride con quella della maggioranza dei bianchi o delle élite nere che hanno beneficiato del Black Economic Empowerment (Bee), il provvedimento di discriminazione positiva che impone una quota di neri nei posti di responsabilità delle aziende. Questa minoranza di fortunati, circa il 3% della popolazione, ha salari da più di 30mila rand (3.000 euro) e vive all'occidentale, spesso in ville protette da filo spinato e da guardie armate. Abitazioni sfarzose che, soprattutto a Johannesburg e in alcune parti di Cape Town, sembrano fortini sotto assedio, circondati dalle masse di poveri che sempre più numerosi si riversano nelle città. La scarsità delle terre nelle campagne, ancora in mano agli antichi proprietari bianchi, alimenta in effetti un inesorabile esodo urbano, che gonfia all'inverosimile gli insediamenti informali di shacks e crea sacche di disoccupazione difficili da gestire. Retaggio dell'apartheid, il problema della proprietà è una vera e propria bomba a orologeria in questo paese ancora pesantemente segnato dalle disuguaglianze, soprattutto in vista della World Cup dell'anno prossimo, che vedrà per due settimane gli occhi del mondo puntati sul Sudafrica. Con l'estensione progressiva dello Slums Act, una legge che mira a eliminare le bidonville, il governo pensava che bastasse decretarne la fine e sgomberarle manu militari per far tornare i poveri a casa. Ma non è accaduto, e da una parte all'altra del paese si moltiplicano le resistenze contro le evictions. Senza contare che questi provvedimenti di sgombero coatto, spesso affidati a società private di sicurezza, hanno sollevato le proteste di Miloon Kothari, relatore speciale per il diritto all'abitazione del consiglio per i diritti umani dell'Onu. «Il problema è che il governo ha deciso di spostarci senza consultarci. Sono venuti qui e ci hanno detto che ci avrebbero messo in case temporanee a Delft», sottolinea Mzwanele Zulu, un ragazzone dai capelli rasta che guida il comitato di quartiere di Joe Slovo. «Ma qui nessuno vuole andare a Delft. Noi siamo pronti a negoziare, ma a partire dal principio che lo sviluppo può essere portato avanti in loco, in questo quartiere, dove i nostri bambini vanno a scuola e noi abbiamo vissuto negli ultimi anni». «Delft è troppo lontano, i nostri lavori sono qua, così ci uccidono», s'infiamma Samuel Roro, imbianchino di 46 anni che vive in un'unica stanza con moglie e quattro figli. "Qui stiamo stretti, ma almeno riesco ad andare in città, lavorare e sfamare la mia famiglia. Se ci spostano laggiù, saremmo in trappola. I costi dei trasporti renderebbero del tutto anti-economico andare a lavorare». Tra le stradine piene di pozzanghere dell'insediamento, chiunque senta dire «Delft» storce il naso in segno di fastidio. Nessuno vuole abbandonare Joe Slovo, anche se tutti riconoscono che le condizioni di vita qui sono proibitive. Se hanno votato in massa per l'Anc alle elezioni dello scorso aprile, gli abitanti degli shacks non si fanno molte illusioni. «Al governo c'è sempre la stessa gente, che cura soltanto i propri interessi. Jacob ndr] era il vice di Mbeki, i ministri sono sempre gli stessi. Quelli dell'Anc dicono di lavorare per noi poveri, ma da quando il vecchio Mandela si è ritirato, nessuno ci dà ascolto. Ci cacciano dalle nostre case. Siamo considerati un problema», osserva Tshawe, davanti alla sua casupola di legno che sfoggia sulla finestra una bandiera nera degli Orlando Pirates, la squadra di calcio di Soweto. Il partito di maggioranza suscita critiche, ma ha un capitale di simpatia tra le masse di diseredati difficilmente scalfibile. Se l'Anc ha ottenuto alle elezioni di aprile il 65% dei voti a livello nazionale e ha sfiorato la maggioranza dei due terzi in parlamento, a Joe Slovo l'80% della popolazione ha votato per l'ex movimento di liberazione, in contro-tendenza con il resto della provincia di Western Cape, dove la Democratic Alliance (Da), il partito (maggioritariamente bianco) dell'ex sindaco di Cape Town e attuale premier di Western Cape Helen Zille, ha vinto le elezioni. «E' ovvio che votiamo per l'Anc. Sono loro che ci hanno liberato dal colonialismo. Sono sempre meglio degli altri. Ma ora vediamo cosa faranno. Finché sarà vivo Mandela, io voterò Anc. Dopo, non so», tuona l'imbianchino Roro, che nella sua baracca ha una foto del vecchio Madiba col pugno alzato. Il governo avanza motivi di sicurezza e di insalubrità dei luoghi per giustificare gli sgomberi, molti sostengono che le ragioni sono assi meno nobili. «Hanno messo gli occhi su questi terreni perché hanno un elevato valore immobiliare. Vogliono cacciare noi per costruire case in muratura per la classe media», esclama Zulu. Il progetto è chiaro: spostare i poveri il più lontano possibile dal centro città e sfruttare l'alto potenziale dei terreni pubblici più vicini al centro per vendere ai privati. Lo stesso sta avvenendo in alcune parti della grande township di Alexandra, abbastanza vicina al centro di Johannesburg, le cui terre hanno sono molto appetibili, anche in vista dei mondiali dell'anno prossimo, per cui è stato lanciato un progetto faraonico di infrastrutture mirante a «trasformare Jo'burg in una città globale». «Il governo sta vendendo tutto, in spregio alla nostra costituzione, secondo cui le terre appartengono al popolo», aggiunge il giovane portavoce del comitato di Joe Slovo. A poche centinaia di metri dall'insediamento, sorgono alcune casette a due piani, ancora invendute e recintate. «E' quello che vogliono fare qui», indica Zulu, e aggiunge: «Noi non siamo contrari per principio ad andar via. Ma il governo deve negoziare. Se vogliono spostarci, devono trovare un luogo qui vicino. Noi a Delft non ci andiamo, questo è sicuro».

Torna all'inizio


Cena premier-giudici, Di Pietro all'attacco (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Politica data: 02/07/2009 - pag: 16 Partiti e giustizia Fini e Schifani ricevuti da Napolitano, che rinnova l'invito alla «tregua tra forze politiche» Cena premier-giudici, Di Pietro all'attacco «Decideranno sul Lodo Alfano, devono dimettersi». Bondi: vergogna ROMA Aveva chiesto una «tregua» tra le forze politiche in vista di un delicato G8. E ieri Giorgio Napolitano, in un incontro al Quirinale con i presidenti delle Camere, Renato Schifani e Gianfranco Fini, è tornato a parlare della necessità che calino i toni, che scemi una polemica politica che ha avuto, negli ultimi due mesi, toni altissimi. Ma non sembra proprio che l'appello abbia sortito effetti miracolosi, visto che anche il Capo dello stato ha dovuto prendere atto dell'ennesima, rovente polemica esplosa ieri a proposito di una cena che si tenne lo scorso maggio in casa di un giudice della Consulta, Luigi Mazzella, con ospiti un altro giudice della Corte, Paolo Maria Napolitano e soprattutto Silvio Berlusconi, Gianni Letta e il ministro della Giustizia Angelino Alfano. L'incontro, svelato dal settimanale l'Espresso, aveva già provocato perplessità e critiche, visto che il prossimo ottobre la Corte costituzionale dovrà esprimersi sulla costituzionalità del Lodo Alfano, la legge che sospende i processi per le alte cariche. Ma ieri lo scontro si è spostato alla Camera, dove Antonio Di Pietro ha presentato una interrogazione al governo sul caso. Alla risposta data dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, che ha parlato di un «incontro conviviale » al quale hanno preso parte anche le consorti di alcuni invitati, nel quale non si è discusso del Lodo Alfano nè di riforma della giustizia, e organizzato precedentemente alla decisione di fissare la sentenza sullo stesso Lodo al 6 ottobre, il leader dell'Idv ha ribattuto con estrema durezza, chiedendo le dimissioni dei giudici e del ministro Alfano perché si è trattato di una «riunione carbonara e piduista» tra due giudici e un premier «pluri-inquisito». Parole che hanno incendiato l'aula della Camera, dove il ministro Bondi, mentre Di Pietro parlava, è sbottato più volte in un «vergogna, vergogna! » prima di abbandonare il banco del governo per protesta. Ma mentre con Di Pietro si schierava anche il Pd, che con Anna Finocchiaro definisce «gravissimo» il fatto che un giudice ceni con colui sul quale dovrà giudicare, ecco che lo stesso Mazzella ha provveduto a gettare altra benzina sul fuoco. Infatti, con una lettera aperta al premier, ha rivendicato il suo diritto di cenare con un vecchio amico, come ha fatto in passato e farà in futuro. Parole che fanno insorgere Di Pietro, che parla di Mazzella come «reo confesso», e il Pd che invita a «non compromettere l'immagine della Corte». P.D.C. IL COMMENTO di Luigi Ferrarella nella pagina Idee & Opinioni In Aula Il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, in Aula: ha chiesto le dimissioni del Guardasigilli e dei due «giudici spregiudicati» che hanno cenato con il premier

Torna all'inizio


I toni (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Politica data: 02/07/2009 - pag: 17 La Nota di Massimo Franco Un'offensiva mirata che può produrre esiti imprevedibili I toni sono così perentori e al limite dell'insulto, da depotenziare le critiche. Ma probabilmente, Antonio Di Pietro li ha usati di proposito. Nella sua ottica, la cena di alcune settimane fa tra Silvio Berlusconi, alcuni esponenti del governo e due giudici della Corte costituzionale è la conferma dei sospetti di sempre; ed un ottimo episodio da spendere per aiutare il referendum chiesto dall'Italia dei valori contro il «lodo Alfano»: la legge che sospende i processi per le più alte cariche dello Stato. Il fatto che a tavola fosse presente il ministro della Giustizia, Angelo Alfano, a suo avviso è un'ulteriore aggravante. La Consulta fra alcuni mesi si dovrà pronunciare proprio sulla legittimità di quella legge. E dunque si tratterebbe di due «giudici spregiudicati» che col premier avrebbero «infangato la sacralità della Corte costituzionale». Per questo l'ex pm di Mani pulite chiede le loro dimissioni e quelle del Guardasigilli. Certo, l'episodio mostra usanze molto italiane, che possono lasciare perplessi. Ma sono abitudini trasversali: non a caso, per rintuzzare l'offensiva dipietrista approdata rumorosamente in Parlamento, il Pdl ricorda le antiche frequentazioni dell'opposizione con magistrati e membri della Corte. La tesi del leader dell'Idv viene così rovesciata. L'incontro che il governo definisce «conviviale », non è stato fatto per influenzare la Consulta. Semmai sarebbe il contrario: per la maggioranza, è Di Pietro con il suo attacco a fare pressioni sulla Corte perché bocci una norma riscritta dalla coalizione berlusconiana tenendo conto delle indicazioni costituzionali e di quelle del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Viene dunque rilanciato il sospetto che Di Pietro e il Pd, che considera quella cena «inopportuna e lesiva del prestigio della Consulta », stiano ripercorrendo «la via giudiziaria contro il premier». In realtà, l'Idv persegue la sua strategia: conquistare consensi con l'antiberlusconismo, costringendo il Pd ad inseguirlo; e confermarsi il custode dell'alleanza fra una parte del centrosinistra e settori della magistratura. In questo caso, infatti, ad essere messi sotto accusa sono i due giudici: Luigi Mazzella, a casa del quale è avvenuto l'incontro, e Paolo Maria Napolitano. Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato, ritiene che «non stia bene invitare a casa propria qualcuno sul quale si è chiamati a decidere». Osservata a distanza, la polemica ruota intorno all'atteggiamento da tenere con Berlusconi. Maliziosamente, da palazzo Chigi si sottolinea il silenzio di Luciano Violante, additato a lungo come uomo-cerniera fra sinistra e magistratura. Ma la vicenda è destinata a non chiudersi presto. Ieri Mazzella ha pubblicizzato una lettera a Berlusconi nella quale gli annuncia che lo inviterà di nuovo. E Di Pietro ne approfitta per chiedere un intervento di Napolitano contro il «reo confesso». È una china che può portare ad una sovraesposizione della Consulta; ed alla sua delegittimazione. Se Di Pietro l'ha messo nel conto, si tratta di un azzardo calcolato. Altrimenti, l'esito può essere imprevedibile. \\ Di Pietro chiede l'intervento di Napolitano contro i due giudici della Consulta

Torna all'inizio


E Mazzella scrive al Cavaliere (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Politica data: 02/07/2009 - pag: 17 Il personaggio Il giudice-romanziere: in casa mia non ci sono gli spioni di Totò E Mazzella scrive al Cavaliere «No al totalitarismo, ti inviterò ancora» Il membro della Consulta: altri miei colleghi ricevono alte personalità ROMA «Caro presidente, caro Silvio...». È questo l'incipit di una lettera aperta al premier Silvio Berlusconi con cui il giudice della Corte Costituzionale, Luigi Mazzella, garantisce all' «amico di vecchia data» che la cena a casa sua, contestata dal Pd e dall'Idv, non è stata la prima e «non sarà certo l'ultima fino al momento in cui scrive un nuovo totalitarismo malauguratamente dovesse privarci delle nostre libertà personali ». Mazzella esprime una certezza: «l'amore per la libertà e la fiducia nell'intelligenza e nella grande civiltà degli italiani che entrambi nutriamo ci consente di guardare alla barbarie di cui siamo fatti oggetto in questi giorni con sereno distacco». La missiva, resa nota dall'Ansa, nel tardo pomeriggio, dopo la bagarre della Camera, aveva lo scopo di sottolineare il carattere unicamente conviviale della cena offerta dal giudice al premier Berlusconi, insieme al ministro della giustizia Angelino Alfano. Ma allo stesso tempo mette in evidenza un clima ancora molto teso, nonostante il recente appello del Capo dello Stato, Napolitano. Nel testo Manzella spiega che ha scritto «una lettera aperta» perché comincia «seriamente a dubitare del fatto che le pratiche dell'Ovra (la polizia segreta fascista, ndr) siano definitivamente cessate con la caduta del fascismo» e quindi non vuole «cadere nel tranello di essere accusato, da parte di chi necessariamente ne ignorerà il contenuto, di averti inviato una missiva 'carbonara e piduista', secondo il colorito linguaggio di un parlamentare». In secondo luogo,la lettera evoca la presenza malevola di spioni. («A casa mia, come tu sai per vecchia consuetudine, la cena è sempre curata da una domestica fidata (e basta!). Non vi sono cioè possibili spioni, come li avrebbe definiti Totò. Chi abbia potuto raccontare un fantasioso contenuto delle nostre conversazioni a tavola inventandosi tutto di sana pianta - è sottolineato nella lettera - resta un mistero»). Terzo, il giudice se la prende con la stampa: «La libertà di cronaca è una cosa, la licenza di raccontare frottole ad ignari lettori è ben altra! Soprattutto quando il fine non è proprio nobile». Ma soprattutto lascia intendere che altri giudici, su altre sponde politiche, intrattengono rapporti altrettanto conviviali: «Molti miei attuali ed emeriti colleghi della Corte Costituzionale hanno sempre ricevuto nelle loro case, come è giusto che sia, alte personalità dello Stato e potrei fartene un elenco chilometrico ...». Mazzella infine rivendica «in buona fede di essere un uomo libero in un Paese ancora libero e di avere il diritto umano di invitare a casa mia un amico di vecchia data quale tu sei». Nei giorni scorsi, Mazzella aveva replicato a Di Pietro che gli chiedeva di astenersi dal giudizio sul lodo Alfano, dichiarando di essere «libero e onesto». Il riferimento agli spioni di Totò, rivelano la sua nascita campana. Giurista, è stato nominato Avvocato Generale dello Stato il 13 dicembre 2001. Dal 14 novembre 2002 al 2 dicembre 2004 è stato Ministro della funzione pubblica nel Governo Berlusconi II. E' stato eletto eletto giudice della Corte Costituzionale nel giugno 2005 dall'allora maggioranza di centrodestra. Ma non solo di legge si occupa, Mazzella. Ha scritto anche romanzi, con un riferimento al mondo femminile. Il primo di stampo familiare («Un gioco malandrino di finestre e di balconi») ambientato in una Salerno che si snoda lungo l'arco degli ultimi settant'anni, registrandone cambiamenti e atmosfere. E l'anno scorso «Il chiodo nella sabbia» che racconta il lungo viaggio di un uomo del Sud attraverso le tante tappe di una vita, ciascuna segnata da una donna straordinaria: dall'infanzia vissuta con madre, nonne e tante zie a contendersi l'affetto dell'ultimo arrivato, all'adolescenza nel dopoguerra e i primi rapporti con l'altro sesso, alle esperienze della maturità negli anni del boom e della liberazione sessuale. M.Antonietta Calabrò \\ A casa mia, come tu sai per vecchia consuetudine, la cena è curata da una domestica fidata. Non vi sono cioè 'spioni', come li avrebbe definiti Totò. Chi abbia raccontato le nostre conversazioni è un mistero

Torna all'inizio


Fatti gravissimi La Corte, deve tenersi lontana dalla politica (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Fatti gravissimi La Corte, deve tenersi lontana dalla politica I giudici della Corte Costituzionale tacciono, parlano con le loro sentenze. E in caso di conflitti d'interesse si astengono», spiega la costituzionalista Tania Groppi. Come giudica l'intera vicenda? «Trovo molto grave che il presidente del Consiglio e il ministro della Giustizia abbiano partecipato a una cena con due giudici della Consulta, per di più a casa di uno di questi. Tutto ciò mentre pende, di fronte alla Corte, una questione delicata che coinvolge il premier e che prende il nome dal ministro: il Lodo Alfano. È già grave che dei giudici della Corte, eletti dal Parlamento e chiamati a valutare le leggi, si incontrino con dei politici in ambienti privati. In Germania la Corte è a Karlsruhe, lontana dalla capitale, per evitare contatti anche accidentali con politici». Mazzella ha rinnovato l'invito a Berlusconi con una lettera all'Ansa... «È ancora più grave, tanto più in un caso di legge ad personam. La cosa migliore sarebbe tacere: i giudici della Corte Costituzionale parlano con le loro sentenze. Certo non con i comunicati all'Ansa». Cosa accade in casi di conflitti d'interesse? «I giudici si astengono dal votare le sentenze, anche su casi di cui si sono occupati da avvocati». I due giudici dovrebbero dimettersi? Il governo giustifica tutto... «Dovrebbero astenersi. Ma se si sentono limitati nelle loro libertà personali e vogliono frequentare i loro amici politici... allora la Corte non è il posto giusto per loro. Che il governo dica "non si è parlato di Lodo Alfano", è ovvio». Potrebbe essere applicato l'articolo 16 del regolamento, che prevede la sospensione o la rimozione? «Si applica per atti gravissimi. In questo caso è il presidente a redarguire i giudici, li richiama ad avere un comportamento più consono in futuro, e ad astenersi. Il problema è interno alla Corte. Si sta scardinando una tradizione che finora è riuscita a tenere la Consulta fuori dalla tempesta». NATALIA LOMBARDO Tania Groppi

Torna all'inizio


Scoppia il caso Consulta Mazzella scrive: Caro Silvio... (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Scoppia il caso Consulta Mazzella scrive: «Caro Silvio...» CLAUDIA FUSANI E adesso scoppia anche il caso Corte Costituzionale. Un caso senza precedenti con scenari che investono direttamente, come arbitro, il presidente della Consulta Francesco Amirante. Ieri pomeriggio il governo, interrogato dall'Italia dei Valori, ha ammesso nell'aula di Montecitorio che «nelle prime due settimane di maggio» c'è stata una cena a casa del giudice Costituzionale Luigi Mazzella a cui hanno partecipato il premier, il sottosegretario Letta, il ministro Guardasigilli Alfano, un altro giudice della Consulta Paolo Napolitano e il senatore Vizzini. In quella bicchierata tra amici,«il Lodo Alfano non è stato argomento di discussione». Un paio d'ore dopo il question time, il giudice Mazzella ha inviato all'Ansa una lettera pubblica in cui rivendica le sue cene con il premier, gli rinnova l'invito alla faccia della «barbarie di cui siamo stati oggetto in questi giorni» e paragona le notizie dei giornali alle «pratiche dell'Ovra», la polizia segreta fascista. Gran commis alla Corte C'era un tempo in cui i giudici della Consulta, i giudici dei giudici, dovevano essere al di sopra di tutto e parte di nulla. Parlare solo tramite sentenze e meno che mai scrivere lettere aperte al Presidente del Consiglio alla vigilia di una pronuncia come quella sul Lodo Alfano (6 ottobre) che riguarda direttamente il premier. Quel tempo rischia di essere finito. Dopo le rivelazioni dell'Espresso della scorsa settimana - la cena, gli ospiti, gli argomenti di discussione, dalla riforma del Csm all'azzeramento dei pm - Pd e Idv hanno denunciato l'inciucio più pericoloso per la tenuta democratica e le forti ipoteche sull'autonomia della Corte. Di Pietro ha presentato un'interrogazione a cui il governo risponde ieri, alle 15, aula semideserta, 13 deputati nei banchi del Pdl, due in quelli della Lega, 11 in quelli del Pd, Idv al gran completo. Sui banchi del governo Bondi, Vito e Gelmini. Il governo ammette la cena, la definisce «conviviale» e sposta la data alle prime due settimane di maggio, «bel lontano quindi dal 26 giugno giorno in cui la Consulta ha fissato la data per il Lodo Alfano». Per Di Pietro è il colmo. Chiede le dimissioni del Guardasigilli Alfano e dei due giudici «spregiudicati» perché «minano la sacralità della Corte che non può e non deve essere oggetto di pressioni e interferenze». «A questo punto - aggiunge l'ex pm - non sapremo mai se le decisioni prese dalla Consulta sul Lodo saranno il frutto di un'autonoma scelta della Corte o il frutto di una riunione carbonara e piduista». Vito tace. Bondi si alza, grida a Di Pietro «vergognati, il Presidente Berlusconi è una persona per bene». Come se non bastasse, due ore dopo arriva la lettera aperta, «perché non voglio - scrive Mazzella - che le pratiche dell'Ovra la possano definire carbonara e piduista». Quindi non è stata, quella, «nè la prima nè l'ultima cena». C'è da crederlo. Mazzella è stato prima avvocato generale dello Stato e poi, nel 2003, ministro della Funzione Pubblica. Viene eletto alla Consulta dal governo Berlusconi nel 2005. Storia analoga quella di Napolitano, capo del personale del Senato e poi capo di gabinetto di Gianfranco Fini. Per la Consulta questa è la settimana dei lavori individuali. Sono pochi i giudici a Palazzo. C'è chi fa notare che «queste sono le derive quando alla Consulta si cominciano ad eleggere funzionari e grand commis». Question time alla Camera dopo la notizia della cena tra il premier, il Guardasigilli e due giudici costituzionali. Il governo ammette l'incontro. Il 26 giugno la Consulta ha fissato la data per discutere sul Lodo Alfano.

Torna all'inizio


Decreto sulle ronde, ok del Senato (sezione: Giustizia)

( da "Corriere delle Alpi" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Decreto sulle ronde, ok del Senato Ma scoppia la polemica sulla «cena carbonara» tra i giudici e il ministro ROMA. Nel giorno in cui al Senato si vota la fiducia al disegno di legge sulla sicurezza, alla Camera scoppia il caso del lodo Alfano. Dopo le rivelazioni dell'Espresso, la cena privata tra due giudici della Corte Costituzionale e parte del governo è finita nel mirino delle opposizioni, sollevata in aula da un'interrogazione dell'Italia dei Valori. «Una cena carbonara e piduista» ha attaccato Di Pietro. Di Pietro ha chiesto le dimissioni dei due giudici Luigi Mazzella, Paolo Maria Napolitano e del ministro della giustizia Alfano, anche lui presente insieme al premier Berlusconi e Gianni Letta. Quella sera, anche altri due commensali, i presidenti delle commissioni affari costituzionali di Camera e Senato Donato Bruno e Carlo Vizzini. Quanto basta per far scatenare sospetti, a pochi mesi dalla decisione della Consulta sulla regolarità lodo Alfano (che evita i processi a Berlusconi). Il governo affida le sue difese al ministro per i rapporti col parlamento Vito, per il quale è stata «una cena conviviale, senza nulla di male e prima che fosse fissata la discussione sul Lodo Alfano. «Avete infangato la Corte», replica Di Pietro. Ad infiammare le opposizioni ci pensa poi il padrone di casa Luigi Mazzella che in una lettera conferma «quella cena, non sarà la prima né l'ultima, caro Silvio ti inviterò ancora, fino quando un nuovo totalitarismo ci priverà della libertà personale». Il Pd chiede con una nuova interpellanza contenuti e argomenti di quella cena, lo invita a non compromettere ulteriormente l'immagine della Corte Costituzionale, giudicando del tutto inopportuno quell'incontro privato. La bufera è destinata a durare ancora con Di Pietro che insiste sulle loro dimissioni e chiede l'intervento di Napolitano e del Presidente della Corte Costituzionale. Durante la giornata, al Senato il clima tra maggioranza e opposizione era stato meno rovente, nonostante fin dal primo mattino il governo avesse chiesto il voto di fiducia per il controverso disegno di legge sulla sicurezza, già modificato in prima lettura alla Camera. Tre articoli blindati e accorpati, tre voti, due dei quali già incassati in serata mentre il terzo giungerà questa mattina. Un sì che secondo la maggioranza «onora gli impegni presi con gli elettori» in tema di sicurezza e immigrazione clandestina. Per l'opposizione invece, su ronde e reato di clandestinità «il governo è diviso e sconta l'egemonia della Lega Nord».

Torna all'inizio


(sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

POLITICA E SOCIETÀ «Un'ipotesi. Per ora accantonata» E. Ma. L'ipotesi era stata presa in considerazione dal governo, ma sarebbe stata «subito accantonata». Per ora. La smentita alla notizia apparsa ieri sul Corriere della Sera - secondo la quale Silvio Berlusconi avrebbe deciso di trasferire il personale addetto ai voli di stato alle dipendenze del Rud, l'apparato interforze dei servizi segreti militari (Aise), in modo da secretare più facilmente l'identità degli ospiti viaggianti - è ufficiale. E attendibile, perché opposta direttamente davanti al Copasir dal sottosegretario Gianni Letta. Il delegato dalla presidenza del Consiglio all'intelligence, infatti, ieri, durante un già previsto incontro col Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti presieduto da Francesco Rutelli, ha negato - secondo diverse fonti - che ci sia «alcuna decisione del governo» in tal senso. Una tale disposizione sarebbe di una «gravità inaudita», come ha denunciato l'Italia dei valori, perché «sarebbe un tentativo bello e buono di insabbiare la verità e di ostacolarla ora e sempre» sugli ospiti privati di Berlusconi a bordo degli aerei della Repubblica italiana. Anche se il premier potrebbe in qualsiasi caso opporre il segreto di Stato davanti alle inchieste della magistratura adducendo «motivi di sicurezza e riservatezza» che solo la Corte costituzionale potrebbe rimuovere, eppure elevare a rango di 007 il personale dei voli presidenziali «creerebbe un automatismo», come spiega il senatore Pd Felice Casson che ieri ha presentato un'interrogazione parlamentare. Ci si potrebbe addirittura avvalere del «divieto di rendere testimonianza in giudizio» sull'eventuale uso illecito degli "aerei blu".

Torna all'inizio


Parzialità confessa Il senso dello Stato (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica.it" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

L'IDEA che ogni comportamento e ogni scelta personale di chi riveste funzioni pubbliche delicatissime debbano essere sottratti a qualunque obbligo - anche elementare - di opportunità, di misura e di riservatezza è semplicemente aberrante. E rovescia nella sostanza delle cose - mentre pretende di applicarlo letteralmente - un caposaldo dell'etica liberale. Che questo modo di ragionare - dove si eleva l'anomia e l'arbitrio individuale a principio universale di condotta - sia quello di un giudice della Corte Costituzionale, se non arriva ancora a farci disperare del futuro del nostro diritto e della nostra Costituzione (c'è ben altro, per fortuna, alla Consulta), ci fa interrogare però con angoscia sul degrado del nostro discorso pubblico, e sul senso dello Stato che circola in ambienti giuridici e politici tutt'altro che marginali. La lettera aperta che il giudice Mazzella ha scritto al presidente del Consiglio è un testo troppo meschino per essere veramente preoccupante dal punto di vista culturale: ci senti dentro un'aria di combriccole, di tavole imbandite, di domestiche fedeli e di chiacchiere, che nulla ha che fare con quello che dovrebbe essere lo spirito, il costume, lo stile mentale di un grande Servitore del diritto e della giustizia, quali che siano i suoi punti di riferimento ideali. I giudici costituzionali avrebbero da rispettare uno status, che qui risulta violato nella forma e nella sostanza. Non c'è nella lettera una sola parola che rimandi all'altissima funzione ricoperta da chi la scrive, e ai doveri che essa prescrive - doveri scritti e non scritti: nulla di nulla; un silenzio agghiacciante. OAS_RICH('Middle'); Il punto più grave è però un altro. Con questa lettera, il giudice Mazzella si colloca apertamente dal lato di una parte politica, di cui usa gli stessi argomenti, e dal cui fondo ideologico si rivela interamente catturato. A questo punto non ha importanza cosa si siano davvero detti nella cena con il presidente del Consiglio e con il ministro Alfano (anch'egli un suo vecchio amico, o convenuto alla bisogna?). Non ha importanza se abbiano o meno parlato di questo o di quell'argomento. Il giudice ora si è fatto parte - litem suam fecit, come si dice in quel latinetto che dovrebbe essergli familiare - e in un modo così clamoroso e intenzionale che sfiora la provocazione. E dunque non può giudicare in una contesa cruciale - il cosiddetto "lodo Alfano", appunto - per quella parte che egli ha così spudoratamente deciso di abbracciare pubblicamente. Come sempre in questi casi, la questione privata diventa inevitabilmente pubblica, e la dismisura dei comportamenti personali si trasforma in violazione di principi giuridici fondamentali. A questo punto, il minimo che si possa chiedere è che il giudice scelga di astenersi dal partecipare alle sedute in cui la Corte, in autunno, sarà chiamata a giudicare sulla costituzionalità delle norme che assicurano l'impunità alle più alte cariche dello Stato. Egli, per atti concludenti, si è già espresso in merito, e, come sa benissimo, questo è inammissibile. Non è più questione di amicizia con il premier. È il principio della terzietà del giudice, che è stato violato con la sua lettera. Se ne renda conto, e faccia quanto deve: quanto noi tutti ci aspettiamo da lui. È ancora in tempo. (2 luglio 2009

Torna all'inizio


Giudici a cena con il premier Il Colle: (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica.it" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ROMA - Negli ambienti del Quirinale si rileva che non alcun fondamento istituzionale la richiesta, "relativa alla questione sollevata anche in sede parlamentare, di un intervento del presidente della Repubblica che interferirebbe nella sfera di insindacabile autonomia della Corte Costituzionale". Motivo del contendere una cena a casa del giudice costituzionale Luigi Mazzella, cui hanno partecipato Silvio Berlusconi, il ministro della Giustizia Angelino Alfano, insieme ad un altro giudice costituzionale, Paolo Maria Napolitano, e al senatore Carlo Vizzini che ha scatenato polemiche feroci sull'opportunità che due giudici dell'Alta Corte si incontrino alla vigilia di una importante decisione sul Lodo Alfano che la Consulta dovrà giudicare a settembre. Il problema dell'inopportunita' di quella cena era stata sollevato da una interrogazione parlamentare di Antonio Di Pietro, leader dell'Idv. La notizia, invece, era stata data dall'Espresso. (2 luglio 2009

Torna all'inizio


Giudici a cena con Berlusconi Il Quirinale: "Non interferiamo" (sezione: Giustizia)

( da "Stampaweb, La" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ROMA Giudici a cena con Silvio Berlusconi. Negli ambienti del Quirinale si rileva che non ha alcun fondamento istituzionale la richiesta, relativa alla questione sollevata anche in sede parlamentare, di un intervento del presidente della Repubblica che interferirebbe nella sfera di insindacabile autonomia della Corte Costituzionale. Immediata la reazione di Antonio Di Pietro: «Da ambienti del Quirinale si apprende che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sosterrebbe di non poter interferire "nella sfera di insindacabile autonomia della Corte". Ma così viene ribaltata la verità, che è un’altra: sono stati i due giudici della Consulta, Luigi Mazzella e Paolo Maria Napolitano, a ledere l’autonomia della Corte Costituzionale, rivendicando l’intima amicizia e invitando a cena, ripromettendosi di farlo ancora, l’imputato Silvio Berlusconi, sotto processo per gravi reati, le cui sorti giudiziarie dipendono anche dalle loro decisioni. Al presidente Napolitano chiediamo, dunque, non di interferire nelle decisioni della Consulta, ma l’esatto contrario, ossia di ripristinare la credibilità e la sacralità di questo organo costituzionale, compito che spetta solo a lui in quanto garante della Costituzione». Come il suo collega Luigi Mazzella anche il giudice costituzionale Paolo Maria Napolitano non ha intenzione di astenersi dalla seduta della Corte che il 6 ottobre deciderà sul lodo Alfano. Anzi, Napolitano dice di ritenere che la richiesta di dimissioni, avanzata dall’Idv nei confronti dei due giudici che hanno partecipato alla cena con il premier Berlusconi e con il ministro della Giustizia Alfano, «possa essere interpretata come un tentativo di intimidazione». E giudica una «reazione spropositata» quella suscitata dalla notizia della cena col premier. Se gli si chiede a quale genere di intimidazione si riferisca, Napolitano spiega: «Non sono un dietrologo. Sto ai fatti, e cioè che c’è stata una reazione violenta e sproporzionata rispetto al tipo di contestazione. E la contestazione quale era? Quella di essere andato a cena col presidente del consiglio in carica?»

Torna all'inizio


La Corte boccia parte della riforma Gelmini (sezione: Giustizia)

( da "Stampaweb, La" del 02-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ROMA Lo Stato, in particolare il ministero dell’Istruzione, non può ridimensionare la rete scolastica sul territorio perchè si tratta di una competenza delle Regioni. Lo ha stabilito la Corte costituzionale dichiarando parzialmente illegittime alcune norme del decreto sviluppo del giugno 2008, quelle che realizzavano consistenti risparmi di spesa sulla scuola a partire dal prossimo anno scolastico. Due i punti dichiarati incostituzionali dai giudici della Consulta, alle prese con i ricorsi delle Regioni: l’assegnazione al ministero dell’Istruzione del compito di definire ’criteri, tempi e modalità per la determinazione e l’articolazione dell’azione di ridimensionamento della rete scolasticà; e il fatto che anche lo Stato, oltre a Regioni ed enti locali, possa ’nel caso di chiusura o accorpamento degli istituti scolastici aventi sede nei piccoli comuni, prevedere specifiche misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti». La sentenza, depositata stasera in cancelleria e redatta dal giudice Alfonso Quaranta, fa riferimento all’articolo 117 della Costituzione che disciplina le competenze legislative di Stato e Regioni. I criteri di definizione della rete scolastico hanno «una diretta e immediata incidenza su situazioni strettamente legate alle varie realtà territoriali e alle connesse esigenze socio-economiche di ciascun territorio, che ben possono e devono essere apprezzate in sede regionale», osserva la Corte. Le disposizioni in questione non possono essere «qualificate come ’norma generale sull’istruzionè» ma al contrario «invadono spazi riservati alla potestà legislativa delle Regioni», sostiene la Consulta.

Torna all'inizio


bocciati i tagli della gelmini la consulta: riforma illegittima - salvo intravaia (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina 23 - Cronaca Bocciati i tagli della Gelmini la Consulta: riforma illegittima No agli accorpamenti scolastici. Il ministro: rilievi marginali L´Alta Corte ha detto no anche alla chiusura delle mini-scuole: compito regionale SALVO INTRAVAIA Dopo il Tar del Lazio, anche la Corte Costituzionale boccia un pezzo della Riforma Gelmini. Con l´attesissima sentenza depositata ieri in tarda serata, l´Alta Corte ha ricusato i provvedimenti del governo sull´accorpamento degli istituti e la chiusura delle miniscuole. I giudici della Consulta ritengono che la gestione della rete scolastica sia di competenza delle Regioni e hanno, quindi, bocciato due punti dell´articolo 64 del decreto legge 112 del mese di giugno del 2008: la cosiddetta Finanziaria estiva predisposta dall´esecutivo, che dà al ministro dell´istruzione Mariastella Gelmini la possibilità di riformare l´intero sistema formativo italiano con una serie di Regolamenti ministeriali. Sono due i punti contestati dai giudici costituzionali: la definizione tramite regolamento ministeriale di criteri, tempi e modalità per dimensionare la rete scolastica e l´attribuzione anche allo Stato (e non soltanto alle Regioni e agli enti locali) delle misure necessarie a ridurre i disagi causati dalla chiusura o accorpamento di scuole nei piccoli comuni. "è una vittoria delle Regioni - commenta a caldo Mariangela Bastico, responsabile scuola per il Partito democratico - che hanno il riconoscimento pieno della loro competenza in materia di rete scolastica. La Gelmini, tanto per intenderci, non può chiudere scuole - continua la Bastico - con un regolamento». Ma il ministro la pensa diversamente. «Posto che è stata riconosciuta la legittimità costituzionale dell´impianto complessivo della riforma, va precisato che a proposito delle due disposizioni di cui è stata affermata l´incostituzionalità - ha osservato il ministro - nessuno dei provvedimenti attuativi dell´articolo 64 si fonda su di esse». «Per questo - ha concluso la Gelmini - i punti giudicati incostituzionali sono da ritenersi marginali e da tempo superati». In sostanza, pare di capire, il taglio di 133 mila posti in tre anni colpirà ugualmente la scuola italiana. Sulla chiusura delle scuole nei piccoli comuni, meno di un anno fa (ad ottobre del 2008) regioni e governo andarono allo scontro: allorché, con una norma introdotta alla chetichella in un decreto legge sulla sanità, l´esecutivo esautorava le regioni inadempienti in tema di accorpamento e chiusura di piccoli plessi. Anche perché nel 2001 la riforma del titolo quinto della Costituzione riscrisse l´articolo 117, affidando allo Stato la competenza esclusiva su norme di carattere generale ma affidando, come materia di legislazione concorrente, l´Istruzione alle regioni. In quella occasione, il governo fu costretto ad una clamorosa marcia indietro e in sede di conversione del decreto legge (a dicembre 2008) alleggerì i toni del provvedimento, che venne comunque mantenuto. Così, otto regioni (Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Puglia, Campania, Basilicata e Sicilia) si rivolsero alla Corte costituzionale che ieri ha detto la parola fine: la rete scolastica è di competenza regionale. Che fine farà il regolamento sulla rete scolastica pubblicato in gazzetta proprio due giorni fa? Avrà ripercussioni, anche politiche, sulla riforma della scuola messa in cantiere dal governo. Intanto, dopo il dietro front sull´Inglese potenziato alla scuola media - bocciato dal Tar Lazio - i sindacati contestano gli ulteriori tagli agli organici. Tagli che a settembre priveranno le scuole di 57 mila unità di personale. «Anche la Corte si è resa conto che questa riforma ubbidisce soltanto alla logica dei numeri», chiosa Francesco Scrima, leader della Cisl scuola.

Torna all'inizio


L'etica della giustizia e la moglie di Cesare (sezione: Giustizia)

( da "Italia Oggi" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ItaliaOggi sezione: I commenti data: 03/07/2009 - pag: 2 autore: di Ennio Fortuna IL PUNTO L'etica della giustizia e la moglie di Cesare Il giudice costituzionale Luigi Mazzella, già avvocato generale dello Stato, ha intrattenuto a cena in casa sua il premier Silvio Berlusconi, il ministro della giustizia Alfano, i due presidenti delle commissioni giustizia di Camera e Senato e un altro collega, come lui eletto dal Parlamento alla Consulta su designazione dei partiti di centro-destra. Mazzella è anche autore di un interessante progetto di riforma dell'organizzazione della giustizia in cui spicca l'idea, cara al premier, della separazione delle carriere di giudici e pm. Della cena qualcuno ha parlato (era prevedibile) e, ovviamente, è scoppiata violenta la polemica con l'opposizione che ha trovato inaccettabile e comunque criticabile l'incontro conviviale a poche settimane dalla data in cui la Consulta sarà chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del lodo Alfano che sospende i processi contro le più alte cariche dello stato e concretamente ha imposto la sospensione del processo di Milano per il fatto di corruzione dell'avvocato inglese Mills che poi è stato condannato, mentre quello a carico di Berlusconi (inizialmente unico e poi separato) ricomincerà da zero, ma solo se la Corte costituzionale dichiarerà illegittima la legge. Di Pietro ha parlato addirittura di violazione o di lacerazione della sacralità della Consulta, ma tutta l'opposizione protesta chiedendo le dimissioni dei due giudici e comunque almeno la loro astensione dal giudizio sul lodo, sulla scorta però di argomenti tratti dall'ordinamento processuale ordinario. Sotto il profilo strettamente tecnico mi sembra infatti di poter affermare che nel giudizio di costituzionalità di una legge non c'è spazio per l'eventuale astensione del giudice. Il giudizio riguarda infatti una norma di legge e non una persona, e non possono quindi invocarsi argomenti che si rifanno ai rapporti personali tra il giudice e l'accusato, tra il giudice e la persona offesa dal reato, ovvero tra il giudice e l'attore o il convenuto in un processo civile. Inoltre la legge sul giudizio di costituzionalità obbliga il giudice a partecipare a tutte le udienze, salvo che sia legittimamente impedito. Il che conferma che in tale tipologia di giudizio non opera l'istituto dell'astensione. Ma il giudice Mazzella ha certamente e gravemente sbagliato, come l'altro giudice presente alla cena. Come ripeteva continuamente l'indimenticabile presidente Sandro Pertini, la giustizia è come la moglie di Cesare, deve essere terza e imparziale ma anche apparire tale. Anche se non si è neppure accennato al lodo, le circostanze erano tali da farlo ritenere possibile ed anzi molto probabile.

Torna all'inizio


L'albo dei tecnici laureati piace agli ingegneri (sezione: Giustizia)

( da "Italia Oggi" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ItaliaOggi sezione: Professioni data: 03/07/2009 - pag: 31 autore: ieri la celebrazione degli 80 anni dalla nascita delle tre professioni L'albo dei tecnici laureati piace agli ingegneri Periti industriali, geometri e periti agrari conquistano l'appoggio del Cni La riforma si fa in tre, anzi in quattro. E l'Ordine dei tecnici laureati per l'ingegneria, quell'albo cioè per i professionisti di I livello di area tecnica, è un traguardo sempre più vicino. Caduto anche l'ultimo baluardo degli ingegneri che più di tutti ostacolavano questa riforma, le categorie dei geometri, periti agrari e periti industriali puntano dritti alla meta. Lo hanno ribadito in occasione della celebrazione degli 80 anni dalla nascita delle tre professioni ieri a Roma. Insomma, e questa è la novità, anche il presidente degli ingegneri Paolo Stefanelli ha sciolto le riserve sul futuro albo del quale, spiega, va risolto esclusivamente il nodo delle competenze: «Il problema nominale è legato alla confusione sulle competenze. Sciolto questo, il resto è di facile risoluzione». Anche perché, sulle altre questioni, i quattro presidenti sembrano vederla allo stesso modo: non solo per l'esistenza di due soli livelli professionali (triennali e quinquennali) ma anche sulla distinzione netta dei percorsi formativi universitari. E a esortare gli ingegneri a non continuare a difendere i propri spazi è stato anche Luigi Vitali (Pdl), relatore di un progetto di legge ad hoc che invita la categoria ad aprirsi per non rimare schiacciati dalla concorrenza. Ma, in attesa delle grandi riforme e di quella complessiva sulle professioni, le tre categorie non sono state a guardare. E hanno dato già il via a un coordinamento a tre il cui battesimo è avvenuto ufficialmente ieri e che, per altro, va nella direzione auspicata dal ministro della giustizia, ribadita dal suo sottosegretario Elisabetta Casellati presente all'incontro, di procedere per un riordino del sistema per aree di competenza. Lo stesso Stefano Zappalà ha confermato che il progetto di unificazione realizza i principi sintetizzati nella direttiva 36/05. Plaude all'unificazione delle tre categorie anche Mariagrazia Siliquini relatrice in commissione giustizia alla camera sulla riforma delle professioni. Ma unificare ha spiegato poi Sabino Cassese, giudice della Corte costituzionale, vuol dire soprattutto «salvaguardare le singole figure professionali consentendo di assicurare l'interdisciplinarità e di mettere a disposizione dell'economia un patrimonio di conoscenze e di servizi relativi all'industria, al territorio e alle tecnologie». Un anniversario, quindi, per non dimenticare le radici di cui, come ha detto Andrea Bottaro presidente dei periti agrari «siamo assolutamente fieri», ma soprattutto per lanciare il messaggio che, ha incalzato Giuseppe Jogna, numero uno dei periti industriali, «il nostro destino sta nelle nostre mani». «E questo», ha chiuso Fausto Savoldi, presidente dei geometri, «lo faremo soprattutto per il futuro dei nostri giovani».

Torna all'inizio


Reti scolastiche, decide la regione (sezione: Giustizia)

( da "Italia Oggi" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ItaliaOggi sezione: Giustizia e Società data: 03/07/2009 - pag: 24 autore: Riforma Gelmini, due no dalla Consulta Reti scolastiche, decide la regione Lo Stato, in particolare il ministero dell'Istruzione, non può ridimensionare la rete scolastica sul territorio perchè si tratta di una competenza delle Regioni. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 200 di ieri dichiarando parzialmente illegittime alcune norme (art. 64) della legge 133/2008, quelle che realizzavano consistenti risparmi di spesa sulla scuola a partire dal prossimo anno scolastico. Due i punti dichiarati incostituzionali dai giudici della Consulta, alle prese con i ricorsi delle Regioni: l'assegnazione al ministero dell'Istruzione del compito di definire 'criteri, tempi e modalità per la determinazione e l'articolazione dell'azione di ridimensionamento della rete scolastica'; e il fatto che anche lo Stato, oltre a Regioni ed enti locali, possa 'nel caso di chiusura o accorpamento degli istituti scolastici aventi sede nei piccoli comuni, prevedere specifiche misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti».La sentenza, redatta dal giudice Alfonso Quaranta, fa riferimento all'articolo 117 della Costituzione che disciplina le competenze legislative di Stato e Regioni. I criteri di definizione della rete scolastico hanno «una diretta e immediata incidenza su situazioni strettamente legate alle varie realtà territoriali e alle connesse esigenze socio-economiche di ciascun territorio, che ben possono e devono essere apprezzate in sede regionale», osserva la Corte. Le disposizioni in questione non possono essere «qualificate come 'norma generale sull'istruzione'» ma al contrario «invadono spazi riservati alla potestà legislativa delle Regioni», sostiene la Consulta.Il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, ha espresso apprezzamento per il giudizio della Consulta, sottolineando che e' stato conservato l'impianto del riordino del sistema scolastico e che i punti giudicati incostituzionali sono marginali. «Va precisato», spiega, «che in particolare per quel che riguarda il dimensionamento nei piccoli Comuni la norma dichiarata incostituzionale risulta superata dall'articolo 3 del Dl. 154/2008. Per quel che riguarda invece criteri, tempi e modalita' per ridimensionare la rete scolastica si era gia' proceduto a trovare un accordo nella conferenza Stato-Regioni-Enti locali. Per questo i punti giudicati incostituzionali sono da ritenersi marginali e da tempo superati».

Torna all'inizio


Chi è la talpa? Se la cena si fosse svolta a Palazzo Grazioli sarebbe stato sufficiente dare la... (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Chi è la talpa? Se la cena si fosse svolta a Palazzo Grazioli sarebbe stato sufficiente dare la colpa agli uomini della scorta, oppure seguire il profumo delle solite pennette tricolore fino alle cucine. Ma a casa del giudice Mazzella no. Lui stesso l'ha precisato nell'insolita lettera aperta a Silvio: «A casa mia, come tu sai, la cena è sempre curata da una domestica fidata (e basta!). Non vi sono cioè possibili spioni». Ma allora chi è stato? Mistero. L'unica cosa certa, raccontano, è che da quella sera ne sono trascorse molte prima che Gianni Letta tornasse ad accompagnare il premier in un'occasione conviviale. Ad uno attento alla riservatezza come lui non deve essere piaciuta affatto l'organizzazione della serata: i presenti erano davvero troppi. Non solo dentro casa Mazzella ma anche affacciati alle finestre. Non è mica un condominio qualunque quello lì. Ieri sul Colle erano parecchio irritati. Con Di Pietro soprattutto, al quale era già stato chiarito che la sua abitudine di chiamare in causa il Capo dello Stato rende solo le cose più difficili. Il Presidente non può apparire come colui che risponde al leader dell'Italia dei Valori. Per questo il Colle ha diramato una nota per chiarire di non poter intervenire. È altrettanto vero, però, che al Qurinale non c'è affatto indifferenza per quel che sta accadendo: silente ma non assente, avrebbe detto Ciampi. Lo conferma la dichiarazione del presidente della Consulta, Francesco Amirante, che assicura che la Corte sarà imparziale ed obbiettiva nel giudicare il Lodo Alfano. Certo, il premier avrebbe dormito sonni più tranquilli se fosse riuscito a portare al palazzo della Consulta Gaetano Pecorella. Ma era indagato per favoreggiamento a Brescia. Però, a ottobre, quell'ipotesi di reato sarà prescritta e per Pecorella diventerà praticabile un altro obiettivo. Mancano dieci mesi ma lui si è già confidato con più di un amico: la vicepresidenza del Csm. Vice di Napolitano a Palazzo Marescialli, forse anche meglio della Corte costituzionale. A proposito di giustizia, in Transatlantico si torna a parlare di brutte novità in arrivo dall'Abruzzo per due parlamentari della maggioranza, un senatore ed un deputato. Sanità ma anche il contributo, molto alto, chiesto ai candidati al Parlamento.

Torna all'inizio


Tutti abbassino i toni, la Corte saprà essere come sempre imparziale . E alla fine, ... (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

CLAUDIA FUSANI «Tutti abbassino i toni, la Corte saprà essere come sempre imparziale». E alla fine, forse un po' in ritardo e in modo, per molti, non del tutto convincente, il presidente della Corte Costituzionale Francesco Amirante cerca di chiudere il caso Consulta. Ma la ferita alla sacralità di una delle massime istituzioni della Repubblica resta aperta. «Se in mattinata non ci fosse stata la presa di posizione del Quirinale, Amirante non avrebbe neppure parlato» si fa notare in ambienti della Consulta. Il 6 ottobre il Lodo Breve riepilogo: una settimana fa L'Espresso pubblica il resoconto di una cena a casa del giudice costituzionale Luigi Mazzella a cui partecipano il premier, il sottosegretario Letta, il ministro Alfano, il senatore Vizzini e un altro giudice Paolo Maria Napolitano. Tema della cena, «conviviale» l'ha definita il ministro Vito in aula a Montecitorio due giorni fa, la riforma della giustizia, del Csm e del pm. Un po' come dire mezza Costituzione. Nelle more, è lecito immaginare, anche il Lodo Alfano, cioè la costituzionalità della legge che rende improcessabile il premier. La cena avviene a maggio. Il 26 giugno la Consulta fissa la data dell'avvio della discussione sul Lodo: il 6 ottobre. Quella cena è come se il giudice e l'imputato virtuale, Berlusconi, avessero sbicchierato insieme prima di arrivare a sentenza. Il conflitto è palese. Mai successo. Le opposizione insorgono, più di tutte l'Italia dei valori che chiede «le dimissioni dei due giudici spregiudicati». Mercoledì, quindi, il caso arriva in Parlamento. E Mazzella, rompendo la tradizione che vuole i giudici costituzionali lontani dai fatti della politica, scrive una lettera aperta all'Ansa in cui dice che inviterà molte altre volte a cena «il caro Silvio» a cui è legato da lunga e antica amicizia. Una sfida. Che si complica ieri quando si aggiungono le dichiarazioni del giudice Napolitano: «Non mi dimetto, non mi astengo, questa è un'intimidazione». Il caso, quindi, « non esiste». E La Consulta è giudice di se stessa. Gli occhi restano puntati per ore sul Colle dove coabitano, dirimpettai, Quirinale e Corte. La Presidenza della Repubblica fa sapere di non poter intervenire «perché sarebbe un'interferenza nella sfera di insindacabile autonomia della Corte Costituzionale». Io no, dice il Colle, ma la Corte sarebbe il caso che intervenisse. Succede a pomeriggio avanzato. «Ancora una volta - scrive nella nota Amirante - dalla Presidenza della Repubblica viene la giusta indicazione di quali debbano essere i rapporti tra le istituzioni. La Corte deciderà come sempre in modo imparziale e obiettivo». Dal presidente emerito Cesare Ruperto arrivano parole pesanti: «Seguo con molta sofferenza e in silenzio quello che sta succedendo». Non si doveva arrivare a questo punto. La carriera dei 2 giudici Vale la pena ricordare come Mazzella e Napolitano sono arrivati alla Consulta. Il primo si mette in luce tra il 2001 e il 2002 come avvocato dello Stato per i suoi scritti sul pm che deve diventare avvocato dell'accusa. Nel 2003 diventa ministro della Funzione Pubblica ma quando serve un posto per Baccini (dicembre 2004), Mazzella si fa da parte in silenzio. Il 6 giugno 2005 viene nominato dal Parlamento giudice costituzionale. Non troppo diversa l'ascesa al Colle di Napolitano giudice: capo dell'ufficio del personale del Senato, capo di gabinetto di Gianfranco Fini, il governo lo fa diventare poi Consigliere di Stato. Un incarico breve ma sufficiente per maturare il diritto di entrare alla Consulta (luglio 2006). Insomma, due ottimi funzionari di Stato che, a occhio e croce, devono quasi tutto al premier. La nota del presidente della Consulta cerca di chiudere il caso della cena tra Berlusconi e i giudici costituzionali che dovranno decidere sul Lodo Alfano. Ruperto: «Seguo con sofferenza e in silenzio».

Torna all'inizio


Bocciato il ministro Scuole da chiudere decideranno Regioni e Comuni (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Bocciato il ministro Scuole da chiudere decideranno Regioni e Comuni È tempo d'esami e il ministro viene rimandato, come s'usava un tempo. La Corte Costituzionale boccia Maria Stella Gelmini su due "materie", ritenuti di competenza regionale (ed otto Regioni erano state a promuovere il ricorso alla Consulta, nell'agosto scorso): il primo riguarda la definizione tramite regolamento ministeriale di criteri, tempi e modalità per ridimensionare la rete scolastica. In pratica, lo sforbiciare da Roma delle piccole scuole delle comunità montane e dei piccoli paesi, intenzione che aveva allarmato molte località che si vedevano depauperate dalla volontà della Gelmini di toglier loro la scuola. Pratica che fu scongiurata già al tempo, attraverso il ritiro della norma con un decreto legge, ma che restava "pendente". La seconda insufficienza che la Consulta appioppa al ministro è sulla conseguente volontà di attribuire anche allo Stato (e non soltanto a Regioni e enti locali) le misure necessarie a ridurre i disagi causati proprio dalla chiusura o accorpamento di scuole nei piccoli comuni. Su come metter mano alla presenza di scuole sul territorio decideranno le Regioni e i Comuni, dunque: questo decide la sentenza n.200 che dichiara l'illegittimità costituzionale di parte dell'articolo 64 del decreto sullo sviluppo economico, convertito in legge nell'agosto 2008. Farà giurisprudenza Ma le motivazioni della lunga sentenza (38 pagine) fissano per la prima volta importanti paletti nel riparto delle competenze tra Stato e Regioni in fatto di istruzione. E se sul ricasco più simbolico dell'allora regolamento-Gelmini il ministro è stato fermato, sull'impianto generale ha ricevuto un sostanziale via libera: il sistema generale dell'istruzione, per sua stessa natura, riveste carattere nazionale - scrive la Consulta. E così non è stata intaccata la parte che contiene i tagli concreti (gli 8 miliardi di euro e i 132 mila fra docenti e personale Ata, rispettivamente 87 mila e 44.500) e le modalità per mettere in vigore le norme per consentire quei tagli, dove le Regioni, l'opposizione e i sindacati speravano di trovare un pertugio. «Abbiamo scongiurato l'invasione di campo», commenta la senatrice del Pd Mariangela Bastico, già sottosegretaria all'Istruzione e oggi ministro ombra dei Rapporti con le Regioni. «La Corte ha fermato le mani della Gelmini sulle scuole delle piccole comunità, impedendone una chiusura d'ufficio. Le comunità locali potranno governare questo delicato processo senza temere la mannaia del ministro». Che accetta la decisione della Consulta, notando come sia «stato conservato l'impianto del riordino del sistema scolastico». Che adesso dovrà trovar forma giuridica e attuativa, perché anche ieri alla Camera si è discusso su un'interpellanza, già circolata al Senato, ripresentata dalle deputate Ghizzoni e Coscia, che mette a nudo l'incompletezza della normativa e denuncia «l'inesistenza del tanto proclamato Piano programmatico, che viene derubricato a mero documento a uso interno dell'amministrazione, e la mancata adozione dei suoi Regolamenti attuativi, termine scaduto il 25 giugno». La Corte Costituzionale accoglie in parte il ricorso delle otto Regioni italiane. Resta però intaccato l'impianto generale, e quindi la possibilità di attuare i tagli al bilancio (8 miliardi) e al personale docente e Ata: 132 lavoratori.

Torna all'inizio


Francesco Briguglio Politico buffone Recentemente la corte superiore della magistratura ha de... (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Francesco Briguglio Politico buffone Recentemente la corte superiore della magistratura ha decretato che dare del buffone a un politico non è reato se quest'ultimo si è dimostrato particolarmente incompetente. Mi è subito venuto in mente il contratto che Silvio Berlusconi stipulò con gli Italiani a Porta a Porta nel 2001 nel quale si impegnava ad alzare la pensione minima, per i nullatenenti senza reddito, fino a un milione delle veccie lire. Disgraziatamente io appartengo proprio a questa fascia di reddito ed effettivamente per due anni, precisamente dal 2002, la mia pensione da 480 euro è stata aumentata fino a 512 euro pari appunto a un milione delle vecchie lire; dico disgraziatamente perché dopo due anni questo aumento è stato revocato ed ho ricominciato a percepire 480 euro. Non solo, ma ho dovuto anche restituire il fantomatico aumento che in due anni ammonta a circa 1000 euro e che mi viene ora defalcato dalla pensione in comode rate di 31 euro. Non mi resta che concludere con la lampante considerazione che il sig. Berlusconi politicamente parlando è un vero buffone che farebbe meglio a ritirarsi e tornare a fare solamente l'imprenditore. Saluti a tutti Mancini Amando Un vecchio sgradevole In una città devastata dalla tragedia il premier ha voluto provarci di nuovo ma, questa volta gli è andata meno meglio delle altre. Ormai, dove va, il vecchio settantreenne presidente del Consiglio, corruttore in primo grado e "papi" di giovani ragazze anche minorenni, viene accolto tra fischi e applausi che identificano sempre più socialmente, nella classe ricca o benestante, quella che subisce meno la crisi o che, addirittura ci guadagna pure, i sostenitori del premier e negli «altri» gli oppositori. La brava gente che lo votava o la ha votato sta aprendo gli occhi, i lavoratori dipendenti che pagano ogni dannato centesimo di questa crisi si stanno stancando di queste esibizioni. Berlusconi è venuto a Viareggio ma per dire cosa? Per fare cosa? Per «usare» l'ennesima tragedia per tentar di risalire nei sondaggi ma questo i viareggini, veri, non lo sopportano. Elena Indignato Al Presidente della Corte Costituzionale Come cittadino desidero esprimerLe direttamente tutta la mia indignazione e sdegno per la vicenda dei giudici Paolo Maria Napolitano e Luigi Mazzella a cena con Berlusconi. Poiché leggo sui media che il fatto è stato da loro stessi ammesso, ritengo la cosa gravissima per la credibilità dell'istituzione che rappresentano e per il giudizio che la Corte è chiamata ad esprimere il 6 ottobre sulla costituzionalità del Lodo Alfano. Penso che questi due giudici dovrebbero come minimo dimettersi dalla Consulta. Roberto Giannitelli Giorgio Ambrosoli Una sera d'inverno di 18 anni fa (era il 1991), io, mio padre e un amico avvocato entrammo in un cinema di Frosinone (allora ancora non esistevano i multisala) per vedere il film Un eroe borghese, dedicato alla memoria dell'avvocato Giorgio Ambrosoli, ucciso su mandato di Michele Sindona. Nella sala eravamo solo noi tre, nonostante un cast di tutto riguardo(tra gli altri, Michele Placido e Fabrizio Bentivoglio). Questo la dice lunga su un Paese senza memoria, che dimentica i suoi figli migliori per esaltare le gesta impure di mascalzoni ed affaristi. Mi piace pensare a Giorgio Ambrosoli semplicemente come una persona perbene, un uomo a cui vorrei assomigliare. Gianfranco Gli otto bagni di Tarantino Complimenti per l'articolo di Fierro. Finalmente siamo tornati al grande giornalismo di inchiesta e di denuncia. Sublime lo scoop sugli otto bagni della villa di Tarantino. Ma non fermatevi qui, ora vogliamo sapere quanti bagni ci sono nella villa di Berlusconi. ERRATA CORRIGE Mancava la firma dello chef La rubrica Lo chef consiglia, di Andrea Camilleri e Saverio Lodato, pubblicata ieri a pag. 36, per uno spiacevole errore, non reca la firma di Andrea Camilleri. Ce ne scusiamo con l'interessato e con i lettori.

Torna all'inizio


Consulta imparziale sul lodo (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: POLITICA E SOCIETA data: 2009-07-03 - pag: 17 autore: Politica e giustizia. Amirante dopo lo scontro sulla cena governo-giudici: decisione sarà obiettiva come sempre «Consulta imparziale sul lodo» Napolitano: infondato chiedere l'intervento del capo dello stato sulla Corte Donatella Stasio ROMA Dopo Luigi Mazzella, nuova benzina sul fuoco delle polemiche è stata versata ieri da Paolo Maria Napolitano, l'altro giudice costituzionale finito nella bufera per la cena (a casa Mazzella) con Silvio Berlusconi, Gianni Letta, il guardasigilli Alfano e il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Carlo Vizzini a pochi mesi dalla decisione sul Lodo Alfano. Tempo due ore, e il presidente della Consulta Francesco Amirante prende carta e penna e scrive un comunicato, tanto secco quanto eloquente. Poche righe dal taglio rigorosamente istituzionale in cui ringrazia il Quirinale per aver riconosciuto «l'insindacabile autonomia della Corte » e invita «tutti» - a cominciare dai due componenti della Corte «ad abbassare i toni», ricordando che «la collegialità» è e sarà sempre una garanzia di imparzialità delle decisioni della Corte. Dopo le polemiche di mercoledì alla Camera, rinfocolate dalla lettera aperta di Mazzella a Berlusconi, ieri il Presidente della Repubblica ha fatto sapere, in via informale, che un suo intervento nella vicenda - richiesto dall'Idv per difendere «la sacralità» della Corte - sarebbe «un'interferenza nella sfera di insindacabile autonomia » della Consulta. Parole che, pochi minuti dopo, vengono lette dal giudice Napolitano come conferma indiretta della correttezza dell'operato suo e di Mazzella. Il giudice ne parla al telefono con l'Ansa e non esita a definire «un tentativo di intimidazione», una «reazione «violenta e sproporzionata » la richiesta di dimissioni avanzata da Antonio Di Pietro. Il giudice spiega che, «per ignoranza o per malafede», qualcuno «confonde» i giudici costituzionali con i giudici ordinari: questi ultimi non possono cenare o pranzare con persone che devono giudicare, «ma noi non giudichiamo mica il presidente del Consiglio. Noi giudichiamo sulle leggi». Come tale, dunque, va presa la decisione del 6 ottobre sul Lodo Alfano. Nessun riferimento al fatto che lo scudo per le alte cariche è stato varato dal Governo per sospendere tre procedimenti pendenti riguardanti il premier e che, perciò, è considerato una legge ad personam. Perciò l'opposizione chiede a Mazzella e a Napolitano di astenersi (Pd) o di dimettersi (Idv). L'articolo 151 del Codice di procedura civile considera espressamente come causa di astensione del giudice l'essere«commensale abituale di una delle parti», ciò che Mazzella ha detto di sé e di Berlusconi, suo «amico» di vecchia data, al quale ha rinnovato l'invito a cena.La norma si applica anche ai giudici amministrativi mentre per quelli della Consulta non c'è un'analoga previsione esplicita, anche perché mai si è ipotizzato un caso del genere. Napolitano, nella dichiarazione all'Ansa, insiste sulla differenza tra giudici ordinari e costituzionali, e alla domanda se nei giorni scorsi gli è mai arrivata da Amirante una richiesta di chiarimento sulla cena a casa Mazzella, risponde: «Assolutamente no». Anzi, racconta che il giorno in cui è stata pubblicata la notizia era a cena con alcuni colleghi alla Casina Valadier e «nessuno mi ha parlato dell'accaduto; né il presidente né il vicepresidente Ugo De Siervo mi hanno rivolto alcuna richiesta né ho notato un calo di cordialità nei miei confronti». A Palazzo della Consulta, però, c'è molto imbarazzo. Anche perché mai due giudici avevano esternato tanto e in questo modo. Di Pietro risponde al giudice Napolitano che «non può pensare che tutti siano fessi »: il Lodo Alfano non è una legge qualsiasi, ma ha «un solo e specifico interessato: l'imputato Berlusconi, suo commensale, amico suo e del giudice Mazzella, di cui entrambi rivendicano l'intimità e la frequentazione ». Il leader dell'Idv osserva poi che, «nonostante la buona volontà di Amirante»,l'imparzialità della Corte «risulta compromessa » e insiste affinché il Quirinale «ripristini la credibilità» della Corte, compito che «spetta solo a lui in quanto garante della Costituzione ». Stavolta, però, il Pd non lo segue: «Di Pietro smetta di usare il Capo dello Stato per dare maggiore forza alle proprie polemiche politiche ». © RIPRODUZIONE RISERVATA LA POLEMICA Il giudice Napolitano: la richiesta di dimissioni è un tentativo di intimidazione Ma poco dopo la Corte chiede di abbassare i toni In prima linea. Il presidente della Corte costituzionale Francesco Amirante CONTRASTO

Torna all'inizio


Censura parziale dalla Consulta per i tagli alla scuola (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-03 - pag: 33 autore: Istruzione. Stop al Dl 112/08 Censura parziale dalla Consulta per i tagli alla scuola Marco Bellinazzo ROMA Dovranno essere regioni ed enti locali ad attuare il cuore della riforma Gelmini e a ridimensionare la rete scolastica. Lo ha sancito la Corte costituzionale bocciando ieri (con la sentenza n. 200) due passaggi del decreto voluto dal ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini (contenuti per la precisione nelle lettere f-bis) e f-ter) dell'articolo 64, comma 4, del decreto legge n. 112 del 2008, entrambe aggiunte dalla legge di conversione n. 133). Nello stesso giorno, però, in una sorta di corto circuito normativo, è stato pubblicato nella «Gazzetta Ufficiale» n. 151 il Dpr datato 20 marzo 2009 n. 81 con cui il Governo dà attuazione alla «riorganizzazione della rete scolastica e al razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane». Secondo il ministro Gelmini l'impatto della sentenza n. 200, che ha salvato in ogni caso l'impianto complessivo del riordino operativo dal prossimo anno scolastico, è marginale: «Nessuno dei provvedimenti attuativi dell'articolo 64 si fonda su di esse – si legge in una nota del ministero diffusa in serata – e in particolare per quel che riguarda il dimensionamento nei piccoli comuni la norma dichiarata incostituzionale risulta superata dall'articolo 3 del Dl 154/08. Mentre per quel che riguarda tempi e modalità per ridimensionare la rete scolastica si era già proceduto a trovare un accordo nella Conferenza Stato-regioni-enti locali». Nel dettaglio le censure della Consulta si sono concentrate sulla definizione di criteri, tempi e modalità per ridimensionare la rete scolastica e sulla potestà di definire le misure necessarie a ridurre i disagi causati dalla chiusura o dall'accorpamento di scuole nei piccoli comuni. Secondo i giudici costituzionali questi profili della riforma – in virtù della divisione delle competenze legislative fra Stato e Regioni – non possono essere disciplinati da Roma, ma devono essere le realtà locali a provvedere in base alle effettive esigenze del territorio. «La definizione di criteri, tempi e modalità per la determinazione e l'articolazione dell'azione di ridimensionamento della rete scolastica ha un'immediata incidenza sulle esigenze socio-economiche di ciascun territorio che ben possono e devono essere apprezzate in sede regionale – osserva la Corte – con la precisazione che non possono venire in rilievo aspetti che ridondino sulla qualità dell'offerta formativa e, dunque, sulla didattica». Così come spetta a Regioni ed enti locali la facoltà «di prevedere misure volte a ridurre il disagio degli utenti del servizio scolastico, proprio per l'impatto che tali eventi hanno sulle comunità insediate nel territorio». Dichiarate incostituzionali le lettere f-bis) e f-ter) del comma 4 dell'articolo 64, perciò, dovrà essere verificato ora quali parti del Dpr 81/09 immediatamente riconducibili ai rilievi accolti dalla Corte saranno travolti. Secondo il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani, «la pronuncia sembra confermare gli interrogativi e i problemi che le Regioni hanno sollevato in questi mesi». © RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna all'inizio


Non possumus del Colle: Per i 15 regole speciali (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

LA CORTE I giudici si sono blindati da soli Non possumus del Colle: «Per i 15 regole speciali» Andrea Fabozzi È inutile e sbagliato attendersi un intervento del Capo dello stato sulla corte Costituzionale. È il pensiero di Giorgio Napolitano al quale non è piaciuto per nulla leggere della cena galeotta tra due giudici costituzionali, il presidente del Consiglio e il ministro della giustizia. Al presidente sono piaciute ancora meno le rumorose rivendicazioni prima del giudice Mazzella poi del (solo omonimo) giudice Napolitano. Ma il Quirinale non interverrà proprio per rispettare «l'insindacabile autonomia» della Consulta. La precisazione arriva dal Colle in risposta ai ripetuti appelli di Antonio Di Pietro. All'ex pm il capo dello stato deve ricordare i principi costituzionali: la Corte gode di un'autonomia assoluta anche nel controllo dei comportamenti dei suoi membri. L'unico potere di intervento è assegnato al presidente della Consulta ma è tanto limitato da essere stato utilizzato una sola volta nella storia. E nemmeno fino in fondo (era il 1987 e il giudice incolpato si dimise prima). Il presidente della Repubblica ieri ha caldeggiato e condiviso l'invito ad abbassare i toni del presidente Amirante. Di più non può fare. Perché ai giudici delle leggi è riconosciuta una garanzia speciale che non ha nessun altro giudice: quella di non poter essere ricusati da nessuno né costretti all'astensione. Una garanzia che i giudici costituzionali si sono dati da soli e che alcuni giuristi considerano inopportuna. Ma che è prevista dal 1956 nelle «Norme integrative per i giudizi davanti alla corte Costituzionale» e che ha resistito alla revisione di quelle norme che è stata fatta nel 2008. Si tratta dell'articolo 16 delle norme integrative: «Le norme relative all'astensione e alla ricusazione dei giudici non sono applicabili». Mai, tranne in un caso che riguarda proprio il presidente della Repubblica: il giudizio per alto tradimento e attentato alla Costituzione. Per tutto il resto i giudici sono intoccabili. L'astensione è affidata a quella «sensibilità istituzionale» che nel caso dei giudici in questione latita. In pratica quella dei giudici costituzionali è una auto-garanzia. In forza di questo «regolamento» - che la Corte ha stabilito per se stessa - a loro e solo a loro non si applica l'articolo 51 del codice di procedura civile che prevede la ricusazione del giudice «commensale abituale» del suo imputato. Per questo Mazzella ha potuto rivendicare la lunga frequentazione a tavola con Berlusconi senza avere nulla da temere. Le ragioni di questa disciplina speciale sono presto dette. La prima è che la corte Costituzionale deve giudicare sulle leggi dunque su questioni astratte. La seconda è che si fa affidamento sull'autorevolezza dei componenti della Corte. La terza è che nei giudizi il collegio costituzionale non può scendere sotto gli undici componenti (su quindici) dunque astensioni e ricusazioni metterebbero a rischio (ma nel caso davvero straordinario in cui fossero coinvolti cinque giudici) l'operatività della Consulta. Nel caso della legge in questione, il lodo Alfano, l'astrattezza è solo teorica. Riguarda quattro persone con nome e cognome e una delle quattro - il presidente del Consiglio - ha partecipato alla cena galeotta. Ma non c'è astrattezza nemmeno quando la Consulta deve giudicare sui conflitti di attribuzione (ad esempio per procedimenti che riguardano un parlamentare) o su un atto amministrativo. E siccome prima che giudici costituzionali i suoi componenti spesso sono stati avvocati ci sono stati anche casi in cui un ex difensore abbia dovuto giudicare una questione che riguardava il suo ex assistito. In questi casi non sempre ma quasi sempre il giudice si è volontariamente astenuto. E torna utile ricordare che pochi mesi fa il centrodestra ha cercato di eleggere alla Consulta Gaetano Pecorella, cioè il difensore a Milano di Silvio Berlusconi. Secondo il costituzionalista Andrea Pertici le norme integrative che la Consulta si è data da sé andrebbero riviste per quanto riguarda la ricusazione e l'astensione. «Probabilmente - spiega il professore che insegna diritto pubblico a Pisa - le norme previste all'articolo 51 del codice di procedura civile non sono le più adatte, ma per la corte Costituzionale si potrebbero prevedere apposite cause di astensione e ricusazione». Nell'attesa ci sarebbe bisogno di quella «sensibilità istituzionale» dei giudici Mazzella e Napolitano che il Colle ha aspettato invano.

Torna all'inizio


(sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 03/07/2009 - pag: 1 Lettera sul lavoro Pressione fiscale ridotta come incentivo all'occupazione «Donne più tardi in pensione ma meno tasse» di PIETRO ICHINO C aro direttore, nel 1969 la Corte Costituzionale italiana spiegò con queste parole perché riteneva giusto che le donne andassero in pensione prima degli uomini: «Rientra fra i poteri del legislatore anche quello di limitare nel tempo il periodo in cui la donna venga distratta dalle cure familiari e di consentire che, giunta ad una certa età, essa torni ad accudire esclusivamente la famiglia». CONTINUA A PAGINA 12

Torna all'inizio


Il presidente della Consulta (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 03/07/2009 - pag: 1 Lodo Alfano Il presidente della Consulta «Saremo imparziali» «La Consulta sarà imparziale»: sul lodo Alfano intervento del presidente della Corte Costituzionale, Francesco Amirante, dopo il caso dei due giudici che avevano cenato col premier Berlusconi. ALLE PAGINE 14E15

Torna all'inizio


(sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 03/07/2009 - pag: 1 La Corte Costituzionale «Piccole scuole, no ai tagli» A PAGINA 29 Benedetti

Torna all'inizio


Il Quirinale costretto a intervenire per tutelare l' (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Politica data: 03/07/2009 - pag: 15 Dietro le quinte Il capo dello Stato ribadisce l'autonomia della Consulta Il Quirinale costretto a intervenire per tutelare l'«equilibrio tra poteri» Amarezza per il pressing venuto da Di Pietro ROMA Il fastidio e il disagio sono gli stessi che si potevano cogliere nel comunicato diffuso poche settimane fa dal Quirinale per rispondere alla provocazione dell'attore di satira e blogger Beppe Grillo («il presidente si spieghi o si dimetta »), sulla ratifica del contestatissimo Lodo Alfano. Un fastidio e un disagio rafforzati dal fatto di doversi ripetere, stavolta su una richiesta di intervento censorio nei confronti di due giudici costituzionali per la loro cena con il premier, ricordando a tutti alcune regole base fissata dalla Carta. Norme, dicono con qualche sospiro d'impazienza dal Colle, che dovrebbero essere ben conosciute da chi ricopre responsabilità pubbliche. E si osserva che in entrambe le vicende Giorgio Napolitano, mentre con la sua non-interferenza tutela «l'autonomia della Consulta », difende anche le proprie prerogative e mette così in salvo «l'equilibrio tra i poteri dello Stato». Oscillano tra lo sconcerto, la preoccupazione e la puntigliosa ansia di farsi capire, gli umori del presidente della Repubblica, dopo l'ultimo pressing del leader dell'Italia dei valori, Antonio Di Pietro. Sentirsi chiamato in causa con una perentoria sollecitazione a «ripristinare la credibilità e la sacralità» del giudice delle leggi (con il sottinteso che, in caso di inerzia, si renderebbe evidentemente colpevole di omissione), è una di quelle ruvidezze della lotta politica di questa stagione che più lo irritano. Sono mosse che, come del resto certi «avvertimenti» di segno opposto fattigli arrivare in passato da ambienti del governo la prova di forza su Eluana Englaro valga per tutti tendono a coinvolgere il Quirinale in polemiche e dispute parlamentari e mediatiche «del tutto estranee all'esercizio delle sue funzioni di garanzia». In quanto tali, da respingere con la massima fermezza. Il problema, oggi, è che la nuova bufera è stata scatenata ad appena quattro giorni dal richiamo del capo dello Stato per «una tregua» bilanciata, in maniera di preservare l'immagine internazionale dell'Italia in vista del vicino appuntamento del G8. Appello divenuto dunque l'ennesimo «messaggio in bottiglia» che nessuno raccoglie. Un guaio aggravato dalla constatazione, ieri sera, che neppure alcune spiegazioni tecniche su regolamenti e sanzioni che disciplinano la vita della Consulta (spiegazioni fatte filtrare tramite le agenzie di stampa a sostegno della nota ufficiosa), sono riuscite a imporre un autentico ripensamento. E analoga indifferenza è toccata in definitiva alla sortita di Francesco Amirante, che ha cercato di agire di sponda con il Quirinale e di ripristinare nei suoi esatti contorni i termini della questione, assicurando «serenità, imparzialità e obiettività nel prossimo pronunciamento » dell'organo da lui presieduto. Come molte altre volte, insomma, qualcuno pretenderebbe che l'inquilino del Colle surrogasse l'opposizione (quale che sia in quel dato momento) in una fase di particolare debolezza. Un destino sul quale anche Ciampi potrebbe dare ampia testimonianza a proposito del lodo Schifani, di cui il lodo Alfano è, pur con diverse correzioni, «figlio». Di qui a ottobre, mese nel quale è prevista la sentenza della Corte costituzionale, centrodestra e centrosinistra giocano una partita decisiva. E che tale fosse lo si è visto fin dai primi passi del provvedimento. Quando Napolitano si trovò oggetto di sfottò e intimazioni, nelle piazze e in Parlamento, e fu obbligato a precisare per iscritto le ragioni della propria firma. Capo dello Stato Il presidente Giorgio Napolitano Marzio Breda

Torna all'inizio


Il presidente della Consulta: saremo imparziali (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Politica data: 03/07/2009 - pag: 14 Politica e giustizia Le polemiche nate dopo la richiesta di dimissioni per due membri della Corte costituzionale che hanno cenato con il premier Il presidente della Consulta: saremo imparziali Amirante: non alzare i toni. Ma tra i giudici c'è malumore dopo il caso Mazzella. La nota del Colle ROMA La Corte costituzionale «nella sua collegialità deciderà, come ha sempre fatto, in serenità e con imparzialità e obiettività, le questioni sottoposte al suo esame». Nel pomeriggio di ieri con una nota il presidente della Consulta, Francesco Amirante, senza mai far riferimento al Lodo Alfano è intervenuto sulle polemiche sollevate intorno alla cena del maggio scorso che ha visto alla stessa tavola il premier Berlusconi, il Guardasigilli, Alfano, il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Vizzini e i giudici costituzionali Mazzella e Napolitano. Dopo aver ringraziato il capo dello Stato che ha ribadito l'autonomia della Consulta («ancora una volta dalla presidenza della Repubblica viene la giusta indicazione di quali debbano essere i rapporti tra le istituzioni»), Amirante ha aggiunto: «Per quanto mi riguarda ho accolto e accolgo l'invito a tutti rivolto a non contribuire ad alzare i toni del dibattito pubblico». Con un riferimento neppure troppo velato alla lettera-aperta inviata da Mazzella a Berlusconi, che più di un maldipancia ha creato all'interno della Corte. Il comunicato del presidente è giunto infatti al termine di una giornata di fibrillazione per la Consulta, a seguito dell'iniziativa senza precedenti di Mazzella. Esso sembra esprimere un punto di equilibrio: la Corte giudicherà il Lodo Alfano nella sua collegialità (quindi al completo anche con Mazzella e Napolitano), ma si chiede un abbassamento dei toni della polemica anche da parte dei giudici. Oltre che dei politici, a partire da Di Pietro. La mattinata è iniziata con una serie di riunioni (anche se la settimana è bianca, e quindi il collegio non si riunisce). C'è chi dà per sicuro un lungo incontro tra Amirante e Mazzella (il cui ufficio è il primo, accanto a quello del presidente al secondo piano del palazzo della Consulta). Le linee del centralino sono state bollenti per ore. E anche il secondo giudice della cena, ospite a casa Mazzella, Paolo Maria Napolitano, è uscito allo scoperto. Ha sostenuto di non aver avuto nessuna richiesta di chiarimento («Assolutamente, no») da parte di Amirante e che ciò non è avvenuto neppure nei giorni precedenti. Infine il giudice Napolitano ha annunciato: «Io non mi astengo e non mi dimetto». Nessuno, del resto può obbligarlo ad agire diversamente: dal momento che nell'ottobre dell'anno scorso la Corte ha varato alcune norme integrative al regolamento generale per cui non si può più chiedere l'astensione o la ricusazione di qualcuno dei giudici. È altrettanto vero però che i giudici sono removibili, ma solo dalla Corte stessa (è questa anche l'autonomia cui ha fatto riferimento il presidente della Repubblica) con una decisione presa a maggioranza dei due terzi. Non sono possibili invece semplici censure nei confronti di chi si reputa possa aver leso il prestigio della Corte con il suo comportamento. C'è quindi solo l'estrema ratio della sospensione, procedimento attivabile, anche su richiesta anche di un solo giudice, dal presidente della Corte, che nomina una commissione di tre colleghi per la relazione ed entro trenta giorni fissa la seduta per la decisione. C'è stato un solo caso di procedimento di rimozione: quello del giudice Ferrari nel giugno 1987. In ogni caso, il leader del-- l'Idv, Antonio Di Pietro, non lascia la presa: «Mi dispiace dover contraddire anche il presidente Amirante, quando afferma che la Corte giudicherà con serenità e imparzialità. Questo lo dice lui, ma nessuno di noi potrà esserne convinto fino a quando i due giudici, che hanno trescato con l'imputato Berlusconi, non avranno rinunciato a presenziare all'udienza del 6 ottobre o al loro incarico». I giudici Una riunione della Corte costituzionale, organo costituzionale previsto dalla nostra Carta e le cui norme sono in essa contenute nella legge costituzionale numero 1 del 1948 e nella legge 87 del '53 L'appello Il presidente della Consulta Francesco Amirante M.Antonietta Calabrò

Torna all'inizio


La Consulta boccia i tagli delle piccole scuole (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Cronache data: 03/07/2009 - pag: 29 La riforma Via libera al resto del «pacchetto» voluto dal ministro La Consulta boccia i tagli delle piccole scuole «Decidono le Regioni». La Gelmini: c'è l'accordo ROMA L'accorpamento o la chiusura di piccole scuole, anche se con pochi iscritti, non può essere deciso dal ministro dell'Istruzione perché si tratta di una competenza delle Regioni. Lo ha stabilito la Corte costituzionale dichiarando illegittime alcune norme del decreto sullo Sviluppo del giugno 2008, contestato da prof e sindacati per gli interventi di razionalizzazione nella scuola (accorpamento classi concorso, ridefinizione programmi e orari, nuovi criteri formazione classi, maestro unico, revisione degli organici). Un punto a favore dell'opposizione, che però deve incassare il via libera della Corte ai principali aspetti della riforma Gelmini. Il ricorso delle Regioni è scattato dopo che il ministero, con una norma, aveva previsto la possibilità di sostituirsi agli enti territoriali nel caso che questi non avessero garantito gli interventi di razionalizzazione, cioè la chiusura delle scuole sottoutilizzate. In incontri successivi, alla Conferenza Stato- Regioni, mentre il ricorso seguiva la sua strada, è stata raggiunta un'intesa. La Gelmini e i governatori hanno deciso di fissare entro il 2010 dei criteri sul dimensionamento della rete scolastica. E sui futuri incontri peserà il parere della Consulta. I punti dichiarati incostituzionali dai giudici, dopo i ricorsi delle Regioni, riguardano l'assegnazione al ministero del compito di definire «criteri, tempi e modalità per l'azione di ridimensionamento della rete scolastica» e il fatto che anche lo Stato, oltre a Regioni ed enti locali, possa, «nel caso di chiusura o accorpamento degli istituti scolastici nei piccoli comuni, prevedere specifiche misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti». Nessun riferimento ai «tagli» nella scuola, ma alle competenze in una materia concorrente. «Prendo atto con soddisfazione delle decisioni assunte dalla Consulta ha detto il ministro posto che è stata riconosciuta la legittimità costituzionale dell'impianto complessivo dell'articolo 64 del Dl 112/2008. Per quanto riguarda le due disposizioni di cui è stata affermata l'incostituzionalità, va osservato che su criteri, tempi e modalità per ridimensionare la rete scolastica si era già proceduto a trovare un accordo nella conferenza Stato- Regioni-Enti Locali». Per la senatrice Mariangela Bastico, responsabile scuola del Pd, la decisione della Corte costituzionale «è una vittoria importante delle Regioni che hanno ottenuto il riconoscimento della propria competenza in materia di dimensionamento della rete scolastica». La sentenza, redatta dal giudice Alfonso Quaranta, fa riferimento all'articolo 117 della Costituzione. «Il sistema generale dell'istruzione riveste carattere nazionale scrive la Consulta , non essendo ipotizzabile che si fondi su una autonoma iniziativa legislativa delle Regioni, limitata solo dall'osservanza dei principi fondamentali fissati dallo Stato, con inevitabili differenziazioni in nessun caso giustificabili sul piano della stessa logica. Si tratta, dunque, di conciliare, da un lato, basilari esigenze di uniformità di disciplina della materia su tutto il territorio nazionale, e dall'altro, esigenze autonomistiche che, sul piano locale, possono trovare soddisfazione mediante l'esercizio di scelte programmatiche e gestionali rilevanti soltanto in ciascuna Regione». Ministro Mariastella Gelmini in una primaria di Segrate (Emblema) Giulio Benedetti

Torna all'inizio


Donne in pensione più tardi ma meno tasse sui loro stipendi (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Opinioni data: 03/07/2009 - pag: 12 LETTERA SUL LAVORO Donne in pensione più tardi ma meno tasse sui loro stipendi di PIETRO ICHINO SEGUE DALLA PRIMA Una sentenza del novembre scorso della Corte di Giustizia europea ha condannato invece l'Italia a rimuovere questa differenza di trattamento, almeno nel settore dell'impiego pubblico. E, poiché l'Italia non se ne è data per intesa, ora la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione, che potrebbe costarci molto cara se non ci affretteremo a ottemperare. Molti ancora oggi, a destra come a sinistra, non si rassegnano a questo obbligo comunitario; ma le parole della Corte Costituzionale di quaranta anni fa oggi sbalorditive, eppure limpidissime nel chiarire la vera logica della differenziazione sopravvissuta fino a oggi dovrebbero indurci a parificare al più presto i limiti di età per la pensione anche nel settore privato. È indispensabile per rompere il circolo vizioso della discriminazione che alimenta se stessa: «Poiché tu donna hai sopportato una parte maggiore del lavoro informale di cura familiare, in cambio ti mandiamo in pensione prima; poiché ti mandiamo in pensione prima, non lamentarti se ti riserviamo più il lavoro domestico che il lavoro professionale». Accade così che, a parità di popolazione con la Gran Bretagna, in Italia ci siano 4 milioni di donne in meno nel mercato del lavoro. Resta l'obiezione: le donne perdono il «risarcimento» della possibilità di pensione anticipata, ma la discriminazione ai loro danni, in azienda come in casa, resta quella di prima. È vero. E questo è il motivo per cui tutte le risorse che si risparmiano con la parificazione graduale delle età pensionistiche, ma anche molte di più, dovranno essere «restituite» alle donne, con misure vigorose di promozione della parità effettiva. In questo spirito è stata presentata recentemente da tre donne che conoscono bene il problema, Marina Piazza, Anna Maria Ponzellini e Anna Soru, una proposta interessante: scambiare l'innalzamento dell'età pensionabile con il riconoscimento ai fini previdenziali dei periodi dedicati alla cura familiare. Come? Per esempio, estendendo la tutela per la maternità (compresa la contribuzione figurativa) a tutte le madri, anche se non impegnate in un rapporto di lavoro; ma anche assicurando a ogni coppia di genitori dei congrui periodi di congedo (con contribuzione figurativa e indennità pari al 60% della retribuzione), ulteriori rispetto a quelli già oggi disponibili e proporzionati al numero dei figli. Il problema è che dei congedi parentali godono molto di più le donne degli uomini, anche perché le mogli guadagnano mediamente meno dei rispettivi mariti: è più conveniente, quindi, che in famiglia il reddito di lavoro parzialmente sacrificato sia quello femminile. Si corre così di nuovo il rischio che l'incremento della protezione alimenti il circolo vizioso a danno del tasso di occupazione femminile, oggi in Italia innaturalmente basso. Un modo per uscirne è questo: una detassazione selettiva dei redditi di lavoro femminile, come «azione positiva» finalizzata a produrre quell'aumento drastico dell'occupazione regolare delle donne che l'Unione Europea ci chiede e finora non siamo stati capaci di realizzare. Oggi su uno stipendio mensile di mille euro gravano 110 euro di imposta. Ridurre quei 110 euro a 10 per le retribuzioni delle donne costerebbe allo Stato circa 4 miliardi l'anno: è, lira più lira meno, quello che è costata l'abolizione dell'Ici sulle case dei più ricchi, disposta dal governo all'inizio di questa legislatura. In parte, comunque, questa misura si ripagherebbe da sola, per effetto dell'allargamento della base produttiva: domanda e offerta di lavoro femminile sono infatti molto più elastiche rispetto al lavoro maschile, quindi risponderebbero bene all'incentivo. E quando in famiglia ci sarà un reddito tassato di più e uno tassato di meno, sarà più facile che a essere sacrificato parzialmente con la richiesta di congedo parentale sia quello tassato di più. Per la copertura finanziaria di questa misura fiscale basterebbe il 5 per cento dei 70 miliardi che lo Stato spende ogni anno per l'equilibrio del bilancio pensionistico. Ne varrebbe davvero la pena. In un convegno svoltosi nei giorni scorsi a Milano il deputato della maggioranza Giuliano Cazzola si è detto disponibile per un'iniziativa di questo genere. Se anche i ministri Tremonti e Sacconi lo fossero, una iniziativa bipartisan di questo genere potrebbe, nel giro di pochi anni, cambiare faccia al mercato del lavoro italiano. BEPPE GIACOBBE Senatore del Pd

Torna all'inizio


IL PROCESSO CONTRO MADOFF UN GIUDIZIO PURITANO (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Lettere al Corriere data: 03/07/2009 - pag: 49 Risponde Sergio Romano IL PROCESSO CONTRO MADOFF UN GIUDIZIO PURITANO Massima sentenza di 150 anni al finanziere Bernard Madoff per il suo famoso e diabolico «Ponzi scheme» che ha devastato migliaia di investitori nel mondo. Ora aiutateci a ricordare che cosa è successo a Callisto Tanzi e compagnia bella nello scandalo Parmalat, un altro chiaro paragone tra il nostro sistema giudiziario e quello americano. Come facciamo a lasciare che queste cose continuino a succedere, contribuendo ulteriormente alla mancanza di rispetto che il resto del mondo ha per l'Italia? Aurora Pezza pezzag@hotmail.com Cara Signora, I l confronto con la giustizia italiana è stato, negli scorsi giorni, la reazione spontanea di molti corrispondenti e commentatori. Era inevitabile e giusto. Ben venga tutto ciò che può servire a dare la sveglia al governo, alla classe politica e all'ordine giudiziario. Ma non mi chieda, per favore, di entusiasmarmi per un processo in cui il giudice permette ad alcuni rappresentanti della parte offesa di pronunciare arringhe emotive contro l'imputato e commenta la propria sentenza con una sorta di sermone puritano. E non mi chieda di pensare che 150 anni siano una pena razionale. Sono, nella migliore delle ipotesi, una pena retorica, demagogica, declamatoria; e, nella peggiore delle ipotesi, vendicativa. Non basta. Siamo sicuri che i sei mesi passati dal giorno dell'arresto di David Madoff siano bastati a ricostruire la rete di amicizie e complicità che si nasconde probabilmente dietro la frode del finanziere di New York? La sola persona imputata, oltre a Madoff, è il suo contabile. È davvero possibile che questa raffinata macchina funzionasse grazie alla sovrumana abilità di due sole persone? I tribunali che emanano sentenze rapide ed esemplari assomigliano alle corti marziali più di quanto non assomiglino alle Aggiungo, cara signora, che non mi è piaciuta questa ennesima infatuazione di molti italiani per i modelli istituzionali americani. Gli Stati Uniti hanno tradizioni giudiziarie molto diverse dalle nostre. Sono un Paese di «common law» dove i giudici possono creare il diritto ed hanno una irresistibile tendenza ad esprimere gli umori popolari piuttosto che lo spirito delle leggi. Hanno una storia di migranti religiosi e audaci pionieri in cui il diritto è stato spesso impartito bruscamente e sommariamente. Alcune pagine della storia giudiziaria americana, dal pregiudizio razziale dei tribunali del Sud alla furiosa campagna anticomunista del primo dopoguerra in cui incapparono Sacco e Vanzetti, non sono né ammirevoli né invidiabili. Gli Stati Uniti sono una grande democrazia che riesce a correggere le proprie sbandate. La Corte costituzionale produce giudizi importanti dopo discussioni di grande interesse giuridico. I ricorsi contro la pena capitale sono numerosi e talora efficaci. Ma lo spettacolo dei detenuti che languiscono per anni nella cella della morte prima di conoscere la loro sorte non è degno di un Paese civile. E non credo che i reati economici, per quanto gravi, possano essere equiparati, di fatto, ai reati di sangue. Insomma la nostra giustizia, cara signora, ha molti mali. Ma dovranno essere curati con la nostra cultura giuridica, non con quella degli Stati Uniti.

Torna all'inizio


La Consulta boccia la Gelmini (sezione: Giustizia)

( da "Corriere delle Alpi" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

La Consulta boccia la Gelmini Dichiarati parzialmente incostituzionali i tagli alla scuola previsti dal ministro ROMA. La Corte Costituzionale ha dichiarato parzialmente illegittime le norme sui 'tagli' alla scuola che il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini ha previsto a partire dal 2009-2010. I giudici della Consulta hanno di fatto salvato, ritenendolo di competenza esclusiva statale, l'impianto complessivo degli interventi contenuti nel decreto sullo sviluppo economico di cui, però, sono stati bocciati due punti: la definizione tramite regolamento ministeriale di criteri, tempi e modalità per ridimensionare la rete scolastica; l'attribuzione anche allo Stato (e non soltanto alle Regioni e agli enti locali) delle misure necessarie a ridurre i disagi causati dalla chiusura o accorpamento di scuole nei piccoli comuni. La sentenza è stata depositata stasera in cancelleria. Per la Corte, infatti, solo in questi due punti - mentre tutte le altre contestazioni mosse da otto Regioni sono state dichiarate inammissibili, infondate o superate da nuove norme - è stato violato l'articolo 117 della Costituzione sulla potestà legislativa dello Stato e delle Regioni sulla base delle modifiche apportate dalla riforma del titolo V della Costituzione nel 2001. «Finalmente i nodi vengono al pettine. La Consulta conferma i dubbi da noi sempre espressi sulla legittimità dei provvedimenti che il governo ha assunto in questo anno contro la scuola pubblica». Così la deputata del Pd Manuela Ghizzoni commenta la parziale «bocciatura» da parte della Corte costituzionale delle norme sui tagli alla scuola. «La sentenza infatti - afferma la parlamentare - dichiara l'illegittimità costituzionale del famigerato articolo 64 della manovra estiva dello scorso anno. La Gelmini e tutto il governo davanti alle proteste e ai rilievi dell'opposizione e del mondo della scuola non si sono mai fermati. Ora questa tracotanza trova una netta battuta d'arresto. Alla Consulta resta da valutare a questo punto quanto sollevato dal Pd in un'interpellanza urgente, cioé la legittimità della delegificazione in materia di norme generali per l'istruzione, avvenuta proprio con quell'articolo 64 della manovra estiva dello scorso anno».

Torna all'inizio


Caso Mazzella: Abbassare i toni (sezione: Giustizia)

( da "Corriere delle Alpi" del 03-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Napolitano e Amirante cercano di stemperare le polemiche sulla Consulta Caso Mazzella: «Abbassare i toni» di Renato Venditti ROMA. Il capo dello Stato Giorgio Napolitano e il presidente della Consulta Francesco Amirante provano a gettare acqua sul fuoco in cui rischia di rimanere bruciata la credibilità della Corte. Succede all'indomani degli attacchi sferrati alla Camera dal leader dell'Idv Antonio Di Pietro. La richiesta di dimissioni avanzata dal leader dell'Idv nei confronti di Luigi Mazzella e Paolo Maria Napolitano, i due «giudici spregiudicati» che in maggio hanno partecipato a una cena con il premier Silvio Berlusconi, con il sottosegretario Letta e il Guardasigilli Angelino Alfano, ha incontrato un secco altolà da parte del Colle, al quale ha fatto seguito un «invito a tutti ad abbassare i toni» che si é levato da palazzo della Consulta. Dei due giudici della Corte costituzionale ne discuterà il 6 ottobre la stessa Consulta. La data è lontana, ma la polemica è viva, dopo la rivelazioni dell'Espresso. Ieri c'è stato l'intervento pubblico di Francesco Amirante, che delle Corte è il presidente. Ha detto due cose. La prima è che la «giusta indicazione» viene dal presidente della Repubblica, che ha invitato tutti ad abbassare i toni, raccomandando il reciproco rispetto delle istituzioni. L'altra notazione è il ricordo della «collegialità» della Corte quando verrà il suo giudizio sul lodo Alfano, la legge che salva le quattro alte cariche dello Stato (Quirinale, Senato, Camera e palazzo Chigi). Agli inviti ad astenersi, quando verrà il giorno del giudizio sulla costituzionalità del lodo Alfano, Paolo Maria Napolitano ha risposto che non ha intenzione di farlo. La richiesta di dimissioni avanzata dall'Idv di Di Pietro è, per il Napolitano della Consulta, un «tentativo di intimidazione».

Torna all'inizio


Il rigore è la strada giusta (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 04-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: COMMENTI E INCHIESTE data: 2009-07-04 - pag: 13 autore: PRIORITARIA LA COLLETTIVITà Il rigore è la strada giusta di Nicolò Zanon L e scelte contenute nel pacchetto sicurezza appena approvato possono essere giudicate alla luce di due valori-cardine, entrambi di livello costituzionale. Da una parte, l'indispensabile tutela dei diritti fondamentali di libertà che la nostra Costituzione assicura a ogni individuo, cittadino italiano o meno. Dall'altra, la cruciale esigenza di difesa della sicurezza pubblica, che è sicurezza di tutti e di ciascuno. La Corte costituzionale definisce la sicurezza come un obiettivo che autorizza all'adozione di «misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell'ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni». La difesa della sicurezza così intesa è un bene non estraneo alle stesse ragioni di esistenza dello stato moderno: si accetta di esserne cittadini e di rispettarne le leggi, a condizione che lo stato sia in grado di assicurare protezione e sicurezza, in particolare ai più deboli. Nel nostro ordinamento, le decisioni di una maggioranza parlamentare - purché sempre contenute all'interno del quadro costituzionale - possono quindi legittimamente oscillare a seconda dell'indirizzo politico prevalente, e privilegiare ora la più ampia libertà individuale, ora la sicurezza pubblica. Con l'approvazione del disegno di legge in questione, la bilancia è ora inclinata dalla parte della sicurezza. Non in generale, forse, ma certamente con riferimento ad alcuni fenomeni come l'immigrazione. In effetti, ad attirarel'attenzione sono soprattutto le norme che disciplinano la condizione giuridica (non già di tutti gli stranieri, ma solo, si badi) degli extracomunitari irregolari. Ma la circostanza che non si condividano le scelte della maggioranza politica su questo aspetto non dovrebbe autorizzare giudizi affrettati. Una legge che non piace e non si condivide non per questo solo è incostituzionale. Anche su queste materie la giurisprudenza costituzionale si è espressa, chiarendo che la regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale è collegata alla ponderazione di molti interessi, tra i quali proprio la sicurezza, la sanità pubblica, i vincoli di carattere internazionale. Questa valutazione, dice la Corte, spetta al legislatore, che ha in materia un'ampia discrezionalità, limitata, sotto il profilo della conformità a Costituzione, soltanto dal vincolo che le sue scelte non risultino manifestamente irragionevoli (sentenza 104 del 2008). E dunque, come giudicare alcune delle regole più controverse? Il reato di clandestinità fa discutere, ma, al di là di alcuni dettagli normativi sui quali è giusto approfondire, questa scelta repressiva non è in generale così irragionevole come qualcuno pensa. Ancora la Corte costituzionale (sentenza 21 del 2009) chiarisce che un fenomeno come quello dei flussi migratori clandestini è legittimamente contrastabile in quanto rilevante proprio ai fini della tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico interno. Ed è difficile negare che l'immigrazione clandestina contribuisca in modo decisivo ad alimentare bacini di illegalità, capaci non solo di minare la sicurezza dei cittadini, ma anche di suscitare in questi pericolose forme di intolleranza e xenofobia. Inoltre, se si considerano le disposizioni che puniscono il favoreggiamento all'immigrazione illegale o lo sfruttamento di esseri umani, va considerato che è la stessa Unione Europea a chiedere agli stati membri di prevedere un quadro penale per la repressione del favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali. Non sitratta,ovviamente,di nutrire un'indiscriminata e anacronistica paura dello straniero, ma di pretendere che chiunque desideri entrare nella nostra società e integrarsi in essa lo faccia rispettando le leggi, così come è richiesto ai cittadini. L'integrazione è veramente tale solo se avviene nella legalità. Per ottenere questo obbiettivo, può non essere irragionevole anche un accorto uso dello strumento penale, anche se le politiche dell'immigrazione non possono ovviamente esaurirsi in esso. © RIPRODUZIONE RISERVATA LO STRUMENTO PENALE Chiunque desideri entrare nella società e integrarsi lo deve fare nel rispetto delle leggi, così come è richiesto ai cittadini italiani SBARCHI Immigrati sulla prua di una nave della marina militare al largo di Porto Empedocle, nel Canale di Sicilia REUTERS

Torna all'inizio


Regioni più libere sulla rete scolastica (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 04-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-04 - pag: 25 autore: Istruzione. Le conseguenze della sentenza della Consulta sulla riforma Gelmini Regioni più libere sulla rete scolastica Luigi Illiano ROMA Sul ridimensionamento della rete scolastica il ministero dell'Istruzione non potrà più usare la carta dell'ultimatum per fare pressione sulle regioni. è l'effetto concreto della sentenza n. 200 depositata il 2 luglio dalla Corte costituzionale (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri). La Consulta ha fatto chiarezza su due punti: spetta a Regioni ed enti locali definire criteri, tempi e modalità per ridimensionare la rete scolastica; la chiusura o l'accorpamento delle scuole nei piccoli Comuni è competenza delle autonomie locali. La decisione della Corte costituzionale è arrivata in seguito a una raffica di ricorsi presentati dalle Regioni contro la parte della manovra d'estate (articolo 64 della legge 133/08) che interveniva sulla riorganizzazione del sistema scolastico nazionale, soprattutto in tema di tagli del personale, previsti per ottenere i risparmi programmati. I ricorsi sono stati in gran parte giudicati inammissibili: l'impianto complessivo ha superato l'esame, in quanto si tratta di disposizioni di ordine generale e, quindi, di esclusiva competenza dello Stato. La bocciatura ha riguardato, nello specifico, le lettere f) bis e f) ter del comma 4 contenuto nell'articolo 64. La sentenza non dovrebbe avere effetti concreti clamorosi perché proprio sul ridimensionamento, lo scorso novembre, in Conferenza StatoRegioni (dopo un estenuante braccio di ferro) il Governo ha deciso di fare un passo indietro e raggiungere un accordo: le Regioni dovrebbero mettere a punto il riordino della rete scolastica entro il 2010. Intanto alcune Regioni hanno già provveduto al ridimensionamento, nella direzione indicata dalla Consulta. La differenza sta nel fatto che, scaduto il termine del 2010, il Governo non potrà - comunque - intervenire con poteri sostitutivi. Una coincidenza di date ha fatto incrociare la sentenza della Corte costituzionale con la pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale » del regolamento che si occupa proprio della riorganizzazione della rete scolastica e dell'utilizzo delle risorse umane della scuola». Il testo, con buona probabilità, dovrà essere ricalibrato alla luce della sentenza. Va sottolineato che la Consulta non è intervenuta sui tagli agli organici della scuola. Anzi, i ricorsi specifici sono stati respinti. E la sentenza non interviene sulla facoltà del ministero di definire gli organici assegnati alle Regioni. Saranno queste ultime, poi, a stabilire in via esclusiva - come distribuire il personale tra le scuole, secondo criteri dettati dalle esigenze territoriali. Ma, come spesso accade, la riduzione degli organici prevista da Viale Trastevere potrebbe saltare ugualmente per motivi molto concreti e non per la sentenza della Consulta. Ad esempio, il ridimensionamento è fissato con criteri che potrebbero risultare inapplicabili soprattutto nelle regioni del Sud, dove buona parte delle scuole sono ospitate in strutture del tutto inadeguate, prese in affitto da privati, spesso si tratta di appartamenti. Le autonomie locali potranno far valere le ragioni della sicurezza e della mancanza di certificazioni adeguate (impossibili da ottenere, nelle attuali condizioni) per sfondare qualsiasi parametro assegnato, soprattutto nel numero di alunni da distribuire nelle classi. Il regolamento fissa i criteri per la definizione degli organici e per la formazione delle classi, dall'infanzia alle superiori. Il testo contiene anche le indicazioni per il tempo pieno e per quello prolungato e per l'insegnamento della lingua straniera. Slittato il primo via libera per l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) che sembrava dover arrivare dalla riunione del Consiglio dei ministri di ieri. L'approvazione dovrebbe arrivare il prossimo 17 luglio. Su proposta del ministro dell'Università, Mariastella Gelmini, il Governo ha nominato Enrico Saggese alla presidenza dell'Agenzia spaziale italiana (Asi). © RIPRODUZIONE RISERVATA RIORDINO IN ATTO Il ridimensionamento degli istituti dovrà essere completato entro il 2010 ma il Governo non potrà intervenire in via sostitutiva

Torna all'inizio


L'idea di un sabbatico dopo il vertice dei Grandi (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 04-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 04/07/2009 - pag: 3 Il premier L'idea di un sabbatico dopo il vertice dei Grandi Settegiorni SEGUE DALLA PRIMA Dopo il varo del Dpef, chiesto con insistenza in questi giorni da Gianfranco Fini, Berlusconi organizzerà molto probabilmente il summit di governo a Santa Margherita Ligure, invocato da molti suoi ministri. E sarà allora che si congederà dal «teatrino », lasciandosi alle spalle Roma, Milano, la Sardegna, le storie di festini e di donnine che hanno minato la sua immagine. È consapevole che la sua assenza scatenerà la solita ridda di ipotesi e supposizioni, perché com'è accaduto sempre in questi casi la mancanza di Berlusconi sarà riempita dalle voci sulla sua vita privata e sul suo stato di salute. Via dalla folla, darà indirettamente una risposta a Nanni Moretti: il Cavaliere si nota di più quando non c'è. «Tornerò come nuovo», si è limitato a dire il premier. E se una tregua come quella chiesta dal capo dello Stato per il G8 è soggetta agli umori di quanti la sottoscrivono, una promessa dipende dalla forza di volontà di chi s'impegna a mantenerla. Sarà stata la pressione dei figli, l'irritazione di un amico come Fedele Confalonieri, l'avvilimento del suo braccio destro Gianni Letta, o più semplicemente una personale presa di coscienza, sta di fatto che il Cavaliere scomparirà dalla scene, si prenderà un sabbatico: «Approfitterò dell'estate per capire come ripartire. Con il governo. Con il partito. E anche con me stesso». Berlusconi si prepara a una svolta politica e di vita. E a decrittare le poche parole che si è concesso, non si capisce se sia più importante l'idea che gli frulla in mente per dare un nuovo impulso al Pdl - qualcosa di simile al discorso del predellino - o piuttosto l'abbandono dei maglioncini girocollo sotto il doppiopetto e delle bisbocce. Chissà se tutto ciò basterà per porre una definitiva distanza dalle vicende che lo inseguono e che in privato lo mostrano stanco, stressato, davvero al limite della sopportazione, conscio com'è di essere ancora «nel mirino», esposto ad eventi che potrebbero incidere sul suo ruolo. Di certo la svolta è necessaria, anzi obbligata, per un presidente del Consiglio che in autunno dovrà guidare il Paese per un sentiero stretto e impervio. Perché più del lodo Alfano che rischia di essere cassato dalla Corte Costituzionale, più della riforma della giustizia che doveva marciare di pari passo con il federalismo fiscale e invece è ferma al palo, sono la crisi economica e l'Abruzzo le priorità da affrontare e risolvere, pena il crollo della fiducia con un elettorato che - nonostante tutto - continua a sostenerlo. Non foss'altro per assenza di un'alternativa. Le «scosse» politiche passano intanto per le scosse sismiche. Ed è vero che ieri Gianni Letta ha elogiato Giulio Tremonti perché «ha indicato una linea e un metodo» per rimettere in piedi l'Abruzzo. Ma ci sarà un motivo se ancora l'altro ieri il sindaco dell'Aquila, Massimo Cialente, era preoccupato per il futuro della sua città: «La situazione è delicata sotto molti punti di vista. Quello fiscale, per esempio. Dal primo gennaio il governo ha previsto che i miei cittadini debbano tornare a pagare le tasse. Quali, se da noi le fabbriche sono cadute? Se i negozi del centro storico sono chiusi? A Berlusconi l'ho detto, lui mi ha risposto di star tranquillo. Però ho paura che così l'Aquila finisca per spopolarsi». Ma è soprattutto sulla crisi economica che dopo l'estate il premier dovrà usare nuovi vocaboli e lanciare nuovi messaggi. Perché al ministero dello Sviluppo Economico ci sono 62 tavoli aperti per altrettante aziende in difficoltà, e non ci sono più funzionari a cui affidare i dossier che si moltiplicano. Non era mai accaduto nella storia un simile evento. In crisi non sono solo le grandi imprese, su cui è posta l'attenzione dei media. È «la caduta degli invisibili », come l'ha definita ieri sul Corriere Dario Di Vico, il vero dramma che imporrà al governo di trovare una soluzione per fronteggiare l'aumento dei disoccupati. La foto di un Paese in ginocchio potrebbe compromettere il premier più di una foto osée. Per questo serve un altro Berlusconi, e il Cavaliere l'ha capito. Francesco Verderami La svolta «Una tregua per capire come ripartire. Con il governo. Con il partito. E con me stesso»

Torna all'inizio


Bossi e il premier: i Servizi usano le donne (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 04-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Politica data: 04/07/2009 - pag: 12 Ad Arcore Il leader leghista: dietro queste porcate ci sono sempre gli agenti, prima impiegavano le bombe Bossi e il premier: i Servizi usano le donne Intercettazioni, allarme dei pm antimafia. Alfano al Quirinale per discutere del ddl ROMA «I servizi segreti sono una brutta roba». «Dietro a queste porcate ci sono sempre i servizi». «Invece di farsi accompagnare dai servizi, è meglio farsi accompagnare dalla gente della Lega o dalla polizia come faccio io, i servizi prima usavano le bombe, adesso usano le donne...». È un Bossi senza freni quello che difende il premier Berlusconi dal palco della festa della Brianza ad Arcore. L'inchiesta di Bari e i racconti scandalistici? Bugie, per il capo della Lega, messe in giro dall'interno dei servizi segreti. «Non credo nemmeno a una parola sulla faccenda delle donne. Io non riesco mai ad essere solo neppure quando vado al cesso, figuriamoci lui. Magari avesse tempo per fare quello che si dice. Glielo auguriamo, ma mi sa che è solo una pompata fatta in campagna elettorale dagli altri». Più «pittoresco» che mai Umberto Bossi ha vivacizzato ieri una giornata politica dai temi caldi ma molto seri. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha incontrato al Quirinale il ministro della Giustizia Angelino Alfano sul ddl intercettazioni e ha sottolineato l'importanza di recuperare in Parlamento un confronto sereno e costruttivo, mentre al Csm i giudici antimafia si sono riuniti con i consiglieri della VI Commissione e hanno espresso le loro «forti preoccupazioni» sulle ripercussioni che questo testo potrebbe avere sulla lotta alla criminalità organizzata. Il punto più dibattuto del ddl resta quello degli «evidenti indizi di colpevolezza»: se mancano non è possibile chiedere le intercettazioni. Al Palazzo dei Marescialli c'erano i procuratori delle principali sedi giudiziarie delle regioni del Sud a più alto tasso di criminalità, e c'era il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso. Dopo la riunione i consiglieri Pepino, Roia e Palombi hanno sottolineato che se «è vero che le restrizioni in materia previste dal ddl intercettazioni non riguardano i reati di mafia, i processi di mafia non nascono mai da una denuncia precisa sul reato mafia: vengono soprattutto dalle indagini su reati comuni come il racket e il traffico di droga», reati per i quali il ddl prevede la necessità degli «evidenti indizi di colpevolezza » per le intercettazioni. Secondo Roia, «ci sarà un arretramento delle indagini». Fuori dalle sedi istituzionali non si sono spente le tensioni sull'ormai famosa cena di maggio alla quale hanno partecipato lo stesso ministro Alfano, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e i due giudici della Corte Costituzionale Luigi Mazzella e Paolo Maria Napolitano. Cena durante la quale si sarebbe parlato del «lodo Alfano». Il leader del-- l'Italia dei Valori Antonio Di Pietro ha chiesto l'immediato intervento del presidente della Corte Costituzionale Francesco Amirante, ha nuovamente invitato i due giudici a dimettersi e li ha accusati di «riverenza mista a servilismo» anche per la loro ostinazione nel «non volersi astenere dalla votazione del 6 ottobre prossimo sul lodo Alfano». «È più riprovevole una cena con almeno altre dieci persone ha replicato durissimo il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto oppure un pm che accettava prestiti e regali di ogni genere, da una Mercedes a capi di abbigliamento, calzini e mutande?». Ma la cena dei due giudici con Berlusconi e Alfano, dice Pierluigi Castagnetti del Pd, «è un indebolimento della democrazia a cui non possiamo abituarci. Non era una cena con le signore, si parlava di lodo Alfano». «Vita mondana? Quando vado a cena m'informo sempre su chi sarà presente è stato il commento del presidente dell'Associazione nazionale magistrati Luca Palamara . Ognuno ha il suo modo di vita. Ognuno risponde di se stesso. Per me è importante lo stile di vita che ha un giudice». Mariolina Iossa Il Quirinale Giorgio Napolitano ha ricevuto ieri Alfano: preme per un confronto «sereno» sul dossier intercettazioni Il Guardasigilli Angelino Alfano ha illustrato al Capo dello Stato il disegno di legge, difendendolo punto per punto Il Csm Ieri i magistrati antimafia hanno espresso al Csm (sopra, il vicepresidente Mancino) le loro «forti preoccupazioni»

Torna all'inizio


Ora nelle valli alpine vogliono ridiscutere i tagli delle mini-classi (sezione: Giustizia)

( da "Stampa, La" del 05-07-2009)

Argomenti: Giustizia

SENTENZA. CORTE COSTITUZIONALE Ora nelle valli alpine vogliono ridiscutere i tagli delle mini-classi Amministratori locali soddisfatti della sentenza della Corte costituzionale che ha respinto i tagli alle scuole di montagna ipotizzati dalla riforma Gelmini, stabilendo che l'eventuale riorganizzazione scolastica spetta alle Regioni. «Non ho ancora avuto modo di leggere la sentenza nei dettagli; importante, comunque, che venga fissato un principio - spiega Renata Salvano, componente del gruppo di lavoro Regione-Ufficio scolastico regionale per le scuole di montagna -. A questo punto i numeri e parametri della riorganizzazione andranno discussi nella Conferenza Stato-Regioni. Per le scuole di montagna era già prevista una deroga sul numero di alunni, anziché 50 si era scesi a 20. Soglia pur sempre difficile da raggiungere nei piccoli paesi delle valli. Per questo motivo era stato richiesto di tener conto anche di altri parametri, come le distanze, la qualità degli edifici». Soddisfatto del pronunciamento della Corte anche Silvano Dovetta, ex assessore provinciale alla Montagna e presidente della Comunità montana Valle Varaita, che aveva votato anche un ordine del giorno per il mantenimento del polo scolastico di Sampeyre. «Speriamo ora di poter salvare la nostra scuola - spiega Dovetta -. E' giusto che sulla riorganizzazione decida un'ente collegato al territorio come la Regione. Le situazioni cambiano da luogo a luogo; non possono, quindi, essere applicati parametri generali». Positivo il commento alla sentenza anche da parte dell'Uncem (Unione comuni montani). «Sono le Regioni ad avere la competenza sulla rete scolastica e sul suo assetto - dice il presidente dell'Uncem Piemonte, Lido Riba -, su questo la Consulta ha dato ragione alle otto Regioni che hanno presentato ricorso contro i tagli. La riforma del ministro avrebbe dovuto tagliare 400 scuole del Piemonte, la maggior parte in territorio montano, creare accorpamenti e pluriclassi. Un'assurdità. La scuola rimane uno dei pochissimi servizi presenti nelle valli, va difesa e mantenuta. Il ministro Gelmini aveva considerato solo il criterio numerico per la chiusura». \

Torna all'inizio


A pranzo coi giudici: oltraggio alla Corte (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 05-07-2009)

Argomenti: Giustizia

A pranzo coi giudici: oltraggio alla Corte Il giudice nel dire «io pranzo con chi voglio» ci comunica che fa parte della sua storia frequentare il premier quando vuole Furio Colombo Hanno avuto ragione i Radicali, che da anni denunciano un Paese fuori dalla legalità, hanno dimostrato incroci e rapporti contro natura (la natura costituzionale) tra istituzioni dello Stato e hanno chiesto al Paese una rivoluzione, ovvero una stagione straordinaria di impegno politico, non per cambiare il mondo ma per tornare alla normalità legale, morale e politica. Per esempio la Corte Costituzionale. Due giudici della suprema Corte vanno a pranzo con gli "imputati", ovvero il Presidente del Consiglio e il ministro della Giustizia il cui "lodo" (il lodo Alfano che esime Berlusconi da qualunque processo) potrebbe essere dichiarato incostituzionale dalla Suprema Corte e dunque sparire. È avvenuto che alcuni nervi della massima istituzione di garanzia del Paese sono stati messi fuori uso. Penso all'Honduras. Se vi sbarazzate per un momento della parte teatrale e primitiva del golpe honduregno (soldati, carri armati, coprifuoco) notate subito che vi sono somiglianze fra i due eventi. In Honduras si rimuove il presidente della Repubblica sostituito dal Presidente della Camera, e si dispongono i soldati a guardia del nuovo ordine. In Italia si rimuove la credibilità e la dignità della Suprema Corte attraverso due giudici che, a quanto pare, si sono prestati. Non solo. ma hanno rivendicato come un diritto ciò che hanno fatto. Ognuno dei due giudici che si sono deliberatamente seduti a tavola con il ministro della Giustizia e con il capo dell'esecutivo, ha, infatti, scritto una lettera pubblica. Il giudice Mazzella si è rivolto al presidente del Consiglio con cui è stato a tavola con queste parole: «Caro Presidente, caro Silvio». La lettera è un proclama di presa di possesso dell'intero territorio che dovrebbe separare il governo dalla Corte Suprema. Il gesto consegna la Corte Nelle mani dell'uomo di potere che ha tutto da temere dalla Corte se essa resta integra e indipendente. Il secondo giudice, Paolo Maria Napolitano, scrive al Corriere della Sera con toni di scontro senza quartiere: «Il furore dell'attacco denigratorio (la semplice pubblicazione della notizia, ndr) necessita di una immediata risposta e non consente di attendere i tempi dei nostri procedimenti giudiziari... La brutale campagna di aggressione determinerebbe il convincimento che è in atto un tentativo per condizionare la Corte nella sua futura attività intimidendo alcuni suoi componenti». È interessante qui notare il rovesciamento, deliberatamente pubblico, dei ruoli. Si definisce "intimidito" il giudice seduto accanto alla parte che deve essere giudicata e che detiene tutto il potere. E l'intimidazione verrebbe da chi difende i giudici non seduti accanto al potere esecutivo (che è anche un immenso potere economico). Il giudice Napolitano non ha difficoltà a scrivere, con lo stesso proposito di mettersi, come il collega, di guardia al terreno conquistato (aggancio della Corte al potere esecutivo) e lo presidia con questa ferma dichiarazione: «Il presidente del Consiglio non è soggetto ad alcun tipo di giudizio da parte della Corte. Il cosiddetto lodo Alfano è una delle tante questioni che la Corte affronta, non certo la più importante. I costituenti hanno voluto che nella Corte confluissero giudici di diversa nomina, ciascuno con la propria storia, la propria sensibilità giuridica, le proprie personali conoscenze». Dunque il giudice nel dire "io pranzo con chi voglio" ci comunica che fa parte della sua storia, ed è un suo privilegio, frequentare il presidente del Consiglio quando vuole. Ma - come si è detto - quel presidente del Consiglio è protetto, contro numerose imputazioni e processi, dal "cosiddetto" lodo Alfano che esime il Primo ministro da ogni procedimento giudiziario. E il "cosiddetto" lodo Alfano dovrà essere giudicato costituzionale o cancellato come incostituzionale dalla Suprema Corte. Se incostituzionale, Berlusconi perde all'istante il suo scudo giudiziario e finisce sotto processo. Dunque la questione è piuttosto importante. Ed è importante il "pronunciamento" dei due giudici che compaiono in due scene. Nella prima si fanno cogliere accanto alla persona che dalla sentenza della Corte ha tutto da perdere o tutto da guadagnare; nella seconda attaccano, da politici militanti, chiunque osi scandalizzarsi. La prima e la seconda scena confermano ciò che Pannella e i Radicali dicono da molti anni. Il Paese è in pericolo perché è fuori dalla legalità. Raramente però l'illegalità è apparsa così scoperta e in modo così teatrale, al punto da sembrare un avvertimento. Certo un passo nel vuoto, fuori dallo Stato di diritto.

Torna all'inizio


I magistrati ora sperano Tutti i alla riforma (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 05-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Politica data: 05/07/2009 - pag: 14 In campo I procuratori antimafia schierati con Anm e Csm I magistrati ora sperano Tutti i «paletti» alla riforma Spiragli dopo mesi di «richieste inascoltate» ROMA Per i magistrati italiani sembra l'ultima spiaggia. L'estrema possibilità di far comprendere a governo e Parlamento quello che stanno facendo con la riforma delle intercettazioni telefoniche e ambientali: non resta che il presidente della Repubblica per sottolineare le conseguenze che le nuove norme avranno su indagini e processi. E più in generale la scarsa razionalità della legge in gestazione. Certo, dopo che sarà approvata se il testo dovesse rimanere com'è, oppure con modifiche che non incidessero sui principali punti critici ci saranno i prevedibili ricorsi alla Corte costituzionale. Ma sarà tardi. Tra un anno o più, gli effetti negativi della riforma si saranno già verificati. Finora, prima che dal Quirinale trapelassero le perplessità del capo dello Stato, hanno parlato tutti gli organismi a cui fanno capo le toghe, dal primo presidente della Corte di Cassazione all'ultimo giudice della più lontana periferia. Ha detto la sua, e più volte, l'Associazione nazionale magistrati, il «sindacato» di categoria, che ha messo in guardia contro «i tempi oscuri che stanno per arrivare. L'Anm ha parlato esplicitamente di «morte della giustizia penale» e norme che «impediranno di individuare i responsabili di gravissimi reati». Ha parlato il Consiglio superiore della magistratura, l'organo di autogoverno di cui è presidente lo stesso capo dello Stato, con un parere al quale ha dato la sua convinta adesione il vice di Napolitano che guida il Csm in sua assenza, il «laico» Nicola Mancino. Quando il Consiglio votò un giudizio drasticamente negativo sul disegno di legge in discussione con i significativi voti favorevoli del primo presidente e del procuratore generale della Cassazione, massimi vertici della magistratura giudicante e inquirente il vicepresidente disse che la nuova normativa «distrugge» uno dei più importanti strumenti di ricerca delle prove a disposizione dei pubblici ministeri, e «mette in serio pericolo le indagini». Infine, dopo tante singole dichiarazioni di magistrati più o meno noti alle cronache, si sono espressi i procuratori distrettuali antimafia e il super-procuratore nazionale Pietro Grasso. I quali, ascoltati proprio dal Csm per tutt'altra ragione, sono tornati a battere sul tasto delle intercettazioni che diventeranno un'arma spuntata. Anche nelle inchieste sulla criminalità organizzata, che in teoria vengono escluse dal «taglio» imposto dalla legge. Grasso e i suoi colleghi hanno infatti spiegato che spesso le indagini sulle cosche sono un'evoluzione di altre su reati «tradizionali» (come le estorsioni, la droga e altro) che con la nuova legge saranno ridotte al minimo; e il trasferimento dell'intero fascicolo processuale ai tre giudici che dovranno decidere autorizzazioni e proroghe mal si concilia con la complessità e le esigenze di riservatezza dei procedimenti antimafia. Tutto questo è stato detto, ripetuto e sottolineato in più sedi, ma finora governo e maggioranza hanno scelto di non tenere conto delle valutazioni critiche arrivate da chi quotidianamente lavora nei palazzi di giustizia e dai loro rappresentanti. Adesso resta il presidente della Repubblica. Che certamente fa e farà le sue autonome valutazioni, ma a cui altrettanto certamente non sono sfuggiti il dibattito e gli allarmi degli ultimi mesi. Il testo sotto gli occhi di Napolitano (frutto di un passaggio parlamentare sigillato dal voto di fiducia alla Camera), dopo un anno di scritture e riscritture continua a contenere una contraddizione che costituisce un po' il «marchio di fabbrica» della riforma, mettendone in luce il conseguente «difetto». Stabilire che si può intercettare solo in presenza di «evidenti indizi di colpevolezza», e contemporaneamente quando ciò sia «assolutamente indispensabili ai fini della prosecuzione delle indagini» è un controsenso difficilmente superabile. Perché se ci sono già elementi che portano alla «evidente colpevolezza» dell'inquisito, non può esserci «l'assoluta necessità» di andare avanti con l'inchiesta. E dunque non può esserci intercettazione. Questa, insieme ad altre come il limite di durata più breve rispetto a quello dell'indagine, è solo la più lampante delle «criticità» della riforma. Che potrebbe far intravedere l'irragionevolezza della norma, presupposto dell'eventuale mancata firma del capo dello Stato per manifesta incostituzionalità. Dopo l'incontro al Quirinale e le perplessità espresse da Napolitano, il ministro della Giustizia Alfano ha dovuto precisare che il testo non è immodificabile, sebbene il governo non preveda marce indietro. E i magistrati, finora inascoltati, hanno ricominciato a nutrire qualche piccola speranza. Giovanni Bianconi Antimafia Il procuratore Pietro Grasso

Torna all'inizio


Disobbedienti alla sicurezza (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 06-07-2009)

Argomenti: Giustizia

RAZZISMO DI STATO Si incrina la linea «morbida» ufficiale del Vaticano sulle norme anti-immigrazione votate dal parlamento. Le gerarchie non sono tutte con la Santa Sede. Oggi in molte chiese verrà affisso un documento in cui si legge che «il razzismo è ormai a norma di legge». Mentre le associazioni preparano campagne per rendere la normativa inapplicabile LA LEGGE RAZZIALE Il cardinale Tettamanzi contro la linea ufficiale del Vaticano. Cattolici e laici preparano il boicottaggio Disobbedienti alla sicurezza Cinzia Gubbini ROMA ROMA Non è un attacco frontale al pacchetto sicurezza, ma il messaggio arriva forte e chiaro. Il cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi ha dedicato ieri un passaggio della sua omelia a quei provvedimenti dei «paesi ricchi» che creano sofferenze agli immigrati. L'occasione per l'affondo è stata una messa celebrata nel duomo con i vescovi provenienti da Africa, America latina e Asia che fanno parte della delegazione del G8. «Milioni di persone al mondo - ha detto Tettamanzi - subiscono ingiuste e drammatiche sofferenze, costrette come sono a migrare. Molte di queste - ha continuato - sono causate ai migranti talvolta da discutibili provvedimenti messi in atto da quei paesi ricchi che dovrebbero maggiormente impegnarsi in percorsi di accoglienza e integrazione seri, ragionati e rigorosi». Quale sia il pensiero del cardinale è noto a tutti. Ma stavolta la sua è una sorta di «disobbedienza» alle alte sfere vaticane, visto che proprio l'altro ieri - con un'iniziativa piuttosto inedita - la sala stampa del Vaticano ha ritenuto di dover precisare che le affermazioni dell'arcivescovo Agostino Marchetto («il pacchetto sicurezza porterà dolore») erano da considerarsi «a titolo personale». Tettamanzi la sua opinione - evidentemente discordante da quella del papa - ha deciso di non tenerla per sé. D'altronde il comunicato della Santa Sede ha lasciato l'amaro in bocca a quella parte della chiesa che da sempre lavora al fianco dei migranti. E che il giorno dopo l'approvazione del pacchetto sicurezza è stata pronta a rispondere, nonostante l'estate incalzante. La «disobbedienza civile», la volontà di mettere in campo un boicottaggio della legge è la parola d'ordine che circola tra le associazioni e i movimenti che sono più vicini agli immigrati, e che questa volta coinvolge anche settori più ampi, dagli insegnanti ai medici. Ma per vederne l'effetto bisognerà probabilmente aspettare settembre. Intanto, invece, i preti si mettono all'opera. Pax Christi ha pubblicato sul suo sito un volantino, chiedendo a tutti di stamparlo e di affiggerlo nelle chiese o di leggerlo dall'altare stamattina o domenica prossima. Dice «Dolore e orrore perché il razzismo è ormai "a norma di legge"», e prosegue segnalando passi dal vecchio e nuovo testamento. «Di sicuro verrà affisso in diverse città, dal nord al sud - dice don Nandino Capovilla, coordinatore di Pax Christi - ci hanno già chiamato da Milano, Pistoia, Catania e da molte altre città». Qualcuno ha già preso l'iniziativa da solo, come Antonio Lalla, il prete di Bonefro (provincia di Campobasso) che ha fatto esporre fuori dalla chiesa di San Nicola lo striscione «Io ospito i clandestini. E tu?». L'approvazione del ddl che introduce il reato di clandestinità potrebbe provocare anche forme di protesta più clamorose. «Ne stiamo discutendo, ma vorremmo proporre un digiuno eucaristico», annuncia don Tonio Dall'Olio di Libera. Il digiuno eucaristico significa non celebrare la messa «è ancora un'ipotesi, ma potrebbe essere un giusto modo di opporsi a una gerarchia ecclesiale che non è in grado di difendere la parola del Vangelo. Io certamente inizierò la mia messa di domani (oggi, ndr) dicendo che non ha senso spezzare il pane se poi non siamo in grado di opporci alla divisione della stessa famiglia umana». Ma la disobbedienza civile è anche la parola d'ordine delle associazioni laiche. L'Arci, ad esempio, sta già studiando un nuovo vademecum da stampare in più lingue su come tutelarsi dal pacchetto sicurezza (qualche mese fa un'analoga iniziativa provocò le critiche del comune di Milano). Ma non solo: i circoli Arci continueranno a tesserare tutti senza chiedere documenti e a offrire servizi come i corsi di italiano e il doposcuola per i bambini stranieri anche agli irregolari. Pur sapendo che di questi tempi anche il solo fatto di ospitare immigrati crea sospetto e ripercussioni: diversi circoli negli ultimi mesi sono stati presi di mira. Controlli di polizia e carabinieri costanti, a volte anche in stile blitz contro la mafia, come è successo all'inizio dell'anno a Latina. E ancora: «Dobbiamo avviare cause pilota - dice il responsabile immigrazione Filippo Miraglia - su tutta la parte della legge che impone il permesso di soggiorno per l'accesso agli atti civili, in modo da poter sollevare obiezione di fronte la corte costituzionale». Sulla parte normativa e sulla tutela giuridica sia agli immigrati che agli ufficiali civili - dagli insegnanti ai medici - che potrebbero incappare in sanzioni per essersi rifiutati di segnalare i clandestini, sta lavorando anche la Cgil. Che rivolge al governo una proposta da non prendere sottogamba. «Calcoliamo che ci sono attualmente un milione di lavoratori senza permesso di soggiorno in Italia - dice il responsabile immigrazione Piero Soldini - se è vero, come sostiene il ministro Maroni, che questi provvedimenti vogliono colpire soltanto chi commette reati. E se è vero, come sostiene ancora Maroni, che il reato di clandestinità non colpirà chi già vive e lavora qui, ipotesi peraltro surreale, allora devono dare una risposta. E questa risposta non può che essere una regolarizzazione». Intanto il tavolo di associazioni che ha lavorato con l'Unicef e di cui fa parte anche il sindacato invierà una lettera al presidente della Repubblica per chiedere di vigilare sugli effetti della legge. Foto: LO STRISCIONE ESPOSTO SULLA CHIESA DI SAN NCIOLA A BONEFRO (CAMPOBASSO)

Torna all'inizio


LA PORCATA UN PO' MENO PORCA (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 06-07-2009)

Argomenti: Giustizia

LA PORCATA UN PO' MENO PORCA ORA D'ARIA Nel 2005, dovendo farsi carico della legge Cirielli salva-Previti che il senatore Cirielli aveva appena rinnegato, il sottosegretario forzista alla Giustizia, Luigi Vitali, raccontò di averne parlato con Berlusconi. Questi gli aveva domandato: «Davvero la legge è una porcata?». L'aulico sottosegretario aveva risposto: «Non è più porca di tante altre». Nessuno, allora, si domandò se si possano misurare le leggi in base alla loro maggiore o minore porchitudine. Né se sia meglio una legge porchissima che ha il 99% di probabilità di essere cancellata dalla Corte Costituzionale e dunque di non entrare mai in vigore, o una legge porca ma solo un po', che rischia di restare in vigore per sempre. Ora però è il caso di parlarne, visto quel che sta accadendo con la porchissima legge Al Fano sulle intercettazioni (a proposito: mercoledì sera, notte bianca anti-bavaglio all'Alpheus di Roma) dopo l'intervento di moral suasion del Quirinale. Qualche ingenuo ha brindato all'iniziativa del capo dello Stato di convocare il Guardagingilli Angelino Jolie per comunicargli che, così come la legge è uscita dalla Camera, lui non la firma. Dunque va «migliorata» al Senato, per allargare un po' la libertà di stampa e il potere dei giudici di intercettare ancora un po' (quasi che si potesse trattare sui princìpi, come al mercato). In realtà, c'è tutt'altro che da stare allegri. Anzitutto perché le porcate non si migliorano: si cancellano e basta. A nessuno verrebbe in mente di migliorare un cumulo di letame con una goccia di Chanel, n. 5. Eppoi, come lo stesso Presidente ripete continuamente, «mentre il Parlamento lavora, il capo dello Stato tace». Cioè attende che la legge venga approvata, per poi valutare se promulgarla o rinviarla alle Camere. Eppure sempre più spesso, con una prassi decisamente «creativa», il Colle fa sapere in anticipo al governo quali leggi firmerà e quali no. Col risultato che poi, se la legge viene modificata su richiesta del Quirinale, il Quirinale ne diventa coautore e corresponsabile, mettendo la Consulta in grave imbarazzo (esclusi gli ermellini compagni di merende di Al Tappone, s'intende). Lo scopo della moral suasion sulla porcata Al Fano è duplice: «migliorarla» un tantino, per renderla un po' meno porca; e risparmiare a un governo già abbastanza screditato l'ennesima figuraccia. Così ora la porcata porchissima verrà trasformata in una porcata porchina, magari con due-tre giorni di galera in meno per i giornalisti e due-tre intercettazioni in più per i magistrati. Al Tappone avrà portato a casa ciò che vuole in barba alla Costituzione, e con l'avallo e il timbro del Quirinale. E le speranze che la Consulta faccia a pezzi la porcata diminuiranno di un bel po'. Bel risultato, non c'è che dire. PS. Ringrazio i colleghi e lettori che mi hanno scritto dispiaciuti per il mio commiato dall'Unità (con cui continuo per tutta l'estate questo appuntamento). Chi vuole proseguire il dialogo con me, mi trova su antefatto.it e voglioscendere.it

Torna all'inizio


LEGGE 40 IL BUONSENSO ALL'IMPROVVISO (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 06-07-2009)

Argomenti: Giustizia

LEGGE 40 IL BUONSENSO ALL'IMPROVVISO A volte viene da pensare che le soluzioni più limpide alle materie più sottili e controverse possano poggiare sui pilastri del buon senso. Che sia un pensiero ingenuo o consolatorio, o che sia cinico ritenere che così in effetti sia, non sappiamo dirlo. Sappiamo, però, che entrare nel merito delle questioni e scoprirne la relativa trasparenza e semplicità ha talvolta qualcosa di sorprendente. Proprio questo stesso stupore suscita un'ordinanza del tribunale di Bologna depositata pochi giorni fa, che amplia la sentenza della Corte Costituzionale dello scorso marzo in materia di fecondazione assistita. Essa giunge in risposta a una coppia di Firenze non sterile, che si era rivolta a un centro di Bologna, la Tecnobios, per accedere alle tecniche di provetta dopo l'esperienza di un primo figlio colpito da distrofia di Duchenne trasmessagli da un genitore. A questo centro i due avevano chiesto, in particolare, di poter effettuare una diagnosi pre-impianto dell'embrione, così da poter essere certi di avviare la gravidanza di un nascituro sano. In ottemperanza dei molti vincoli della Legge 40 era stato risposto loro che quel tipo di esame non era possibile. I due non si sono dati per vinti: così oggi viene infine riconosciuto il diritto di una coppia non sterile, che già ha prole, ad avvalersi delle tecniche mediche di fecondazione artificiale. E viene perciò presa seriamente in considerazione l'esigenza che può motivare a quel passo una coppia di questo tipo. L'ordinanza dice che «il divieto di diagnosi preimpianto pare irragionevole e incongruente col sistema normativo se posto in parallelo con la diffusa pratica della diagnosi prenatale, altrettanto invasiva del feto, rischiosa per la gravidanza, ma perfettamente legittima»; e che tale diagnosi deve essere ritenuta perciò «ammissibile co­me il diritto di abbandonare l'embrione malato e di ottenere il solo trasferimento di quello sano». Si dispone, perciò, che il trattamento avvenga «previa diagnosi pre-impianto di un numero minimo di 6 embrioni»; che il medico proceda «in considerazione dell'età e del rischio di gravidanze plurigemellari pericolose»; e che provveda al congelamento «per un futuro impianto degli embrioni risultati idonei che non sia possibile trasferire immediatamente e comunque di quelli con patologia». Con quale razionalità, finora, si ammettevano le pratiche diagnostiche di amniocentesi - con tutte le complicazioni e i rischi che esse comportano - e si vietava una prassi molto meno invasiva e lesiva per il nascituro come la diagnosi pre-impianto? Qualcosa che potremmo qualificare, per semplicità, solo in base alla negazione più radicale del «buon senso»? Scrivere a: info@italiarazzismo.it

Torna all'inizio


Nel mirino l'esclusione delle inchieste in corso (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 06-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: POLITICA E SOCIETA data: 2009-07-05 - pag: 10 autore: Le perplessità del Colle. La norma transitoria «irrazionale»: va riformulata ma non cancellata Nel mirino l'esclusione delle inchieste in corso Donatella Stasio ROMA Tra le numerose mine (almeno cinque) di cui è cosparso il Ddl sulle intercettazioni, c'è anche l'articolo 34, quella norma transitoria che, nei giorni scorsi, è stata usata come alibi per dimostrare che il giro di vite (tranne per le sanzioni a giornalisti e a editori) non si applicherebbe ai procedimenti in corso e, quindi, non è stato concepito «ad personam », ovvero per sterilizzare inchieste " eccellenti".Ma l'articolo 34 è una norma kamikaze, in fortissimo odore di incostituzionalità, destinata a far saltare in aria anche i procedimenti pendenti e, quindi, a produrre, in mancanza di una tempestiva e corretta riformulazione, effetti diametralmente opposti a quelli dichiarati. Della norma transitoria (oltre che delle altre nel mirino del Capo dello Stato) si è parlato venerdì, nell'incontro al Quirinale tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il ministro della Giustizia Angelino Alfano. Una norma «irrazionale», è stato spiegato al guardasigilli, di fronte alla quale il Quirinale avrebbe difficoltà a promulgare la riforma, anche alla luce delle sentenze della Corte costituzionale. Di qui l'invito, non a cancellarla ( come piùd'uno,nel Governo e nella maggioranza aveva pensato), ma a riformularla. L'articolo 34 dice: «Le disposizioni della presente legge non si applicano ai procedimenti pendenti alla data della sua entrata in vigore».L'indicazione del Colle non è nel senso di sostituirla con la clausola di stile secondo cui la legge entra in vigore trascorsi i canonici 15 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, perché gli effetti sarebbero dirompenti, ma, piuttosto, di riscriverla in modo «razionale», specificando, ad esempio, che le intercettazioni già acquisite sono utilizzabili come prova e che quelle in corso possono essere prorogate per un certo periodo di tempo. Una riformulazione che, a prescindere dagli altri aspetti «delicati» del Ddl, anch'essi da correggere, elimini le vistose disparità di trattamento derivanti dal testo attuale. Supponiamo che a maggio 2009 siano stati commessi due omicidi: in un caso il procedimento inizia subito, nell'altro, invece, parte dopo l'entrata in vigore della riforma. Nel primo caso, il magistrato potrà intercettare secondo le vecchie regole e gli ascolti potranno essere pubblicati; nel secondo caso, no. L'intercettabilità - ovvero il ricorso a uno strumento invasivo della libertà di comunicazione - dipenderebbe, quindi, da un fatto accidentale: l'inizio del procedimento. Sul quale, peraltro, non vi è alcuna certezza (non a caso, nelle norme transitorie si fa riferimento ai processi, e non ai procedimenti in corso. Quand'è, infatti, che comincia un procedimento? Supponiamo che, scoperto un omicidio, venga aperto un fascicolo contro ignoti e che solo dopo l'entrata in vigore della legge sia individuato il presunto colpevole, iscritto quindi nel registro degli indagati. Il procedimento pendente è unico o ci sono due procedimenti diversi? Le interpretazioni variano e con la riforma sarà la bagarre, perché a seconda della risposta, scatteranno regole molto diverse. Se il procedimento si considera pendente, si può intercettare sulla base delle vecchie e più elastiche norme; gli ascolti rilevanti possono essere riportati nell'ordinanza di custodia cautelare e sono pubblicabili. Se il procedimento si considera nuovo, scatta il giro di vite sulle intercettazioni, il divieto di riportarle nell'ordinanza di custodia cautelare e il silenzio tombale della stampa, con multe salatissime anche per gli editori in caso di violazione. Quanti indagati accetteranno un trattamento così vistosamente diverso, senza rivolgersi alla Consulta? Tra l'altro, il caos interpretativo riguarderebbe pure la libertà di stampa perché in caso di violazione degli attuali vincoli di pubblicazione, anche nei «procedimenti pendenti » potrebbe scattare la salatissima multa stabilita per gli editori, che rischia di trasformarsi in una forma indiretta di pressione sul giornalista. © RIPRODUZIONE RISERVATA I POSSIBILI CORRETTIVI Le registrazioni già acquisite possono essere utilizzate come prova e quelle in corso potrebbero essere prorogate per un certo periodo

Torna all'inizio


La Toscana fa da sé su piano-casa e immigrazione (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il (Del Lunedi)" del 06-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore del lunedì sezione: RAPPORTI TOSCANA data: 2009-07-06 - pag: 21 autore: Le leggi. Norme criticate dalla destra La Toscana fa da sé su piano-casa e immigrazione Sul fronte legislativo, non si può certo dire che i rapporti tra la Giunta Martini e il Governo Berlusconi siano idilliaci. A separare i due esecutivi è il colore politico, ma anche una reciproca insofferenza per i primati e le fughe in avanti, che in più di una occasione entrambi i "contendenti" hanno attuato. L'ultimo braccio di ferro riguarda la legge toscana sull'immigrazione, confezionata dalla Giunta regionale e approvata dal Consiglio lo scorso 1 giugno, col voto contrario del centro- destra. La normativa prevede servizi e aiuti per gli extracomunitari titolari di permesso di soggiorno (ricerca della casa, tirocinio, formazione, assistenza imprenditoriale) e, nell'intento di garantire il rispetto dei diritti fondamentali riconosciuti a ogni persona, contempla anche " interventi specifici" a favore di chi non ha permesso di soggiorno, in particolare servizi urgenti e indifferibili in campo sociale (dormitori e pasti) e assistenziale (le cure mediche). Previsto anche l'accesso al medico pediatra per i minori senza permesso di soggiorno. La legge toscana, che ha provocato la dura reazione del centro destra (Berlusconi ha annunciato l'impugnazione alla Corte costituzionale) è destinata a scontrarsi con il "pacchetto sicurezza" approvato dal Parlamento il 2 luglio che ha introdotto il reato di immigrazione clandestina. La legge sull'immigrazione, peraltro, ha seguito di poche settimane un'altra norma toscana che sembra fare lo sgambetto, seppur in modo elegante, al Governo: si tratta della legge sul piano-casa,mirata a disciplinare l'ampliamento e la demolizione/ ricostruzione delle abitazioni in attuazione dell'intesa Governo-Regioni di fine marzo. Quella legge – che la Toscana ha approvato a tempo di record, il 5 maggio scorso, prima regione in Italia – in realtà limita fortemente le possibilità di intervento sulle villette e sui piccoli condomini, per effetto dell'introduzione di una serie di vincoli (il primo dei quali è l'impossibilità di derogare alle previsioni dei piani regolatori). Di fatto, dunque, l'operazione ideata dal Presidente del Consiglio per sostenere l'edilizia è stata recepita dalla Toscana in versione "dimagrante", al punto che i costruttori ipotizzano che, nella migliore delle ipotesi, interesserà il 4% del patrimonio abitativo regionale. La Toscana ha combattuto battaglie anche con un Governo amico come quello Prodi, in seguito all'approvazione, nell'estate 2007, di una disciplina regionale sui contratti pubblici che limitava fortemente il subappalto, in contrasto (addirittura) col parere dell'ufficio legislativo regionale. Il Governo Prodi presentò ricorso contro la legge Toscana (furono impugnati alla Corte costituzionale nove articoli per invasione delle competenze statali), ma il motivo del contendere cadde a seguito di una sentenza della Consulta che, pur pronunciandosi sulla normativa di un'altra Regione, spinse la Toscana a cancellare di fatto la sua legge. Sul sole24ore.com il testo integrale della legge toscana sul piano casa © RIPRODUZIONE RISERVATA DURA REAZIONE Il premier ha annunciato l'impugnazione di fronte alla Corte costituzionale della legge che prevede aiuti agli extracomunitari

Torna all'inizio


Schifani: approfondimenti sulla giustizia Rallentare le lancette, voto dopo l'estate (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 06-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Politica data: 06/07/2009 - pag: 13 Il personaggio La seconda carica dello Stato e la necessità di spostare l'esame del provvedimento per «garantire un confronto più pacato» Schifani: approfondimenti sulla giustizia Rallentare le lancette, voto dopo l'estate Il presidente del Senato su Napolitano: lui non è animato dall'antiberlusconismo ROMA Non fermerà l'orologio di Palazzo Madama, però intende «rallentarne le lancette », «assicurare il tempo necessario per gli approfondimenti», «garantire un confronto il più pacato e costruttivo possibile tra gli schieramenti». Di fatto Renato Schifani raccoglie le sollecitazioni di Giorgio Napolitano e mira a spostare «dopo l'estate» il voto sull'«intero pacchetto giustizia» che è all'esame del Senato. Chiederà a governo e maggioranza di «non porre diktat sulle scadenze», e contemporaneamente inviterà l'opposizione a «collaborare senza alcun pregiudizio» nella valutazione dei testi. Il «pacchetto» a cui fa riferimento il presidente del Senato contiene la riforma del processo penale ma soprattutto il disegno di legge sulle intercettazioni, vero nodo politico che potrebbe innescare uno scontro istituzionale, se non venissero apportate le modifiche al testo chieste dal Quirinale. Ed è proprio per non esasperare la situazione che la seconda carica dello Stato vuol cambiare il «timing». La motivazione è anche una difesa delle «prerogative» del ramo del Parlamento che presiede: se è vero che la Camera si è presa un anno per esaminare il ddl sulle intercettazioni prima di votarlo, non capisce perché il Senato dovrebbe licenziarlo in appena tre settimane. «Non si tratta di decreti è la tesi di Schifani non ci sono scadenze imposte, perciò l'Assemblea di Palazzo Madama ha il diritto-dovere di discutere in modo approfondito su temi così delicati e strategici». Non smette di tenere insieme l'«intero pacchetto giustizia», ma è chiaro quale sia oggi la mina da disinnescare: «Certe leggi hanno bisogno di una lunga gestazione. E allora ci si prenda il tempo necessario. Sono convinto che tornerà utile per il futuro». Di necessità virtù, Schifani confida che questo passaggio possa far «abbassare i toni tra maggioranza e opposizione, presupposto politico indispensabile per migliorare i rapporti tra gli schieramenti, e primo passo verso un confronto sulle riforme». Ecco, «il tempo serve a creare questi presupposti». Sulle riforme si vedrà. Comunque «la fase di decantazione», «la diversa tempistica», «non significa mettere in freezer» i provvedimenti, quanto «trovare una soluzione», una «formula di mediazione». E la «formula di mediazione» è indispensabile per cancellare le obiezioni del Quirinale sulle intercettazioni. Obiezioni che Napolitano avrebbe anticipato al presidente del Senato prima di ricevere il Guardasigilli. Per tre quarti d'ora il capo dello Stato si sarebbe intrattenuto con Schifani evidenziando giusto le «gravi carenze» del testo. L'inquilino di Palazzo Madama interpellato non conferma né smentisce, né intende «entrare nel merito della modificabilità» del provvedimento. Resta forse il suo rimpianto per la proposta avanzata tempo addietro e non accolta, quando aveva invitato a dividere la parte del ddl legata al «diritto di cronaca» da quella più strettamente connessa alle indagini giudiziarie. Ora è «troppo tardi», dato che «la fase avanzata di discussione preclude l'ipotesi dello spacchettamento». Oggi l'unica soluzione è «rallentare le lancette » per cercare «la mediazione». Quello di Schifani non è solo un modo per scongiurare uno scontro istituzionale, ma per sottolineare le «ottime relazioni» con il Colle e riconoscere a Napolitano «il senso dello Stato» che lo guida nelle decisioni: «Perché Napolitano è ben diverso da certi suoi predecessori. Si è dimostrato uomo delle istituzioni, a più riprese, e non può essere messo certo in discussione». Dopo un anno di relazioni legate alla carica che ricopre, il presidente del Senato si è formato un'opinione sull'inquilino del Colle: «Tiene al rispetto dei ruoli, si muove con grande attenzione, e ovviamente oppone dei distinguo quando lo ritiene opportuno e necessario. Ma non c'è nelle sue scelte un'ostilità preconcetta verso il centrodestra, né coltiva il pregiudizio verso il presidente del Consiglio». Non è insomma «animato » dall'antiberlusconismo, «e questo suo ruolo di garante a volte lo ha esposto ad attacchi immotivati e grevi, frutto di una cultura dell'odio che in politica non dovrebbe esserci». Schifani ovviamente non fa nomi, né fa riferimento a precise situazioni, ma il modo in cui esprime vicinanza solidale al presidente della Repubblica richiama alla memoria gli attacchi che il capo dello Stato subisce ormai con cadenza regolare dall'area giustizialista incarnata politicamente da Antonio Di Pietro. Come non pensarci quando evocando il recente appello del Colle per una «tregua» durante il G8 dice che «spesso Napolitano si è assunto le proprie responsabilità nell'interesse nazionale»? Resta da capire quali reazioni abbia suscitato la mossa sulle intercettazioni del Quirinale a Palazzo Chigi. Schifani conosce bene Silvio Berlusconi, sa che ha posto particolare attenzione a questo provvedimento, «e ogni premier vorrebbe che le sue leggi fossero approvate rapidamente. Ma sono certo che il presidente del Consiglio non vuole strappi con il presidente della Repubblica». S'intuisce come, in questo difficile tornante politico, il Cavaliere non intenda sostenere uno scontro istituzionale con il Colle. Già sono molti i fronti da controllare, compreso quello aperto dalle polemiche per la sua cena con due giudici della Consulta, che dopo l'estate dovranno esaminare il «lodo Alfano ». Schifani ridimensiona il caso, a suo parere «la Corte Costituzionale ha sempre mostrato piena e totale autonomia, dunque non credo che un incontro conviviale possa far modificare la valutazione di chi dovrà esprimersi sul provvedimento». In ogni caso per il premier dopo la pausa estiva si prepara una ripresa delicatissima, per via di un incrocio ad alto rischio, se davvero il Senato posticiperà all'autunno l'esame del ddl sulle intercettazioni. E allora non si capisce perché, nell'eterno duello sulla giustizia, Berlusconi annunci sfide che alla fine non porta a compimento. L'inquilino di Palazzo Madama non scende nella vicenda politica, si limita a ricordare che «dopo appena un anno il governo ha approvato numerose riforme, dal federalismo fiscale al pacchetto sulla sicurezza. Senza dimenticare l'importantissima modifica del processo civile, da cui l'esecutivo è voluto partire. Le riforme si faranno, proprio per questo occorre il massimo sforzo per dialogare con l'opposizione ». Ma Schifani, lontano dal suo scranno istituzionale, resta sempre un esponente del centrodestra e nei suoi colloqui non manca di rilevare che «rispetto al passato si nota il cambio di passo»: «L'alleanza tra Pdl e Lega si dimostra solida, e pur nel confronto capace di tener fede agli impegni presi con l'elettorato. È tutta un'altra storia rispetto alla legislatura 2001-2006, quando pezzi di maggioranza svolsero un ruolo di freno nell'azione di governo». Si riferisce all'Udc? Francesco Verderami «Più collaborazione» Il presidente Renato Schifani, 58 anni

Torna all'inizio


La Corte Costituzionale salva i precari (sezione: Giustizia)

( da "Stampaweb, La" del 06-07-2009)

Argomenti: Giustizia

La Corte Costituzionale si avvia a bocciare la norma anti-precari che, nell’agosto dello scorso anno, ha tentato di arginare gli effetti dei numerosi ricorsi dei lavoratori a termine delle Poste che si erano rivolti al giudice per ottenere un’assunzione a tempo indeterminato. Una norma inclusa nella manovra della scorsa estate e su cui erano già sorti dubbi di costituzionalità, dubbi ritenuti non infondati dalla corte d’appello di Bari che, ad ottobre, si era rivolta alla Consulta per decidere sulla legittimità della norma sollevata dal legale di una dipendente di Poste Italiane. Secondo indiscrezioni apprese dall’agenzia di stampa Ansa, la Corte avrebbe deciso che la norma sarebbe in contrasto con il principio di uguaglianza in quanto prevede un trattamento diverso per le violazioni della legge sul contratto di lavoro tra lavoratori che hanno fatto causa prima o dopo il 22 agosto del 2008. La norma contestata prevede infatti che al lavoratore con un giudizio pendente a quella data non spetti l’assunzione a tempo indeterminato e il risarcimento delle retribuzioni maturate bensì un indennizzo di importo compreso tra un minimo di 2,5 e un massimo di sei mensilità dell’ultima busta paga. Il diritto all’assunzione non viene toccato, invece, per chi ha deciso di fare causa dopo il 22 agosto. «La sentenza sui precari che starebbe per essere ufficializzata dalla Consulta è giusta e doverosa», commenta il segretario generale della Slc Cgil, Emilio Miceli, secondo il quale «Poste Italiane aveva immaginato una sorta di ’articolo 18 dei precarì, pensando che si potessero monetizzare in luogo dell’assunzione le sentenze di reintegro dei giudici». È una sentenza che «elimina una disuguaglianza di trattamento tra lavoratori che avevano presentato lo stesso riscorso ma che sarebbero andati incontro a una risposta differenziata per il semplice fatto di aver consultato il giudice in date diverse», afferma anche il segretario nazionale Ugl comunicazioni, Salvatore Muscarella. Ma a puntare l’indice contro la prevedibilità della pronuncia della Corte è l’opposizione. «È una buona notizia», commenta il leader dell’Idv, Antonio di Pietro, che imputa al governo di continuare a «calpestare i principi della Costituzione», di rimanere «sordo, incurante dei posti di lavoro a rischio e della disparità creata tra i lavoratori». «L’arroganza e il dilettantismo dell’esecutivo sono stati bloccati» e «ancora una volta è la Corte Costituzionale a dichiarare illegittima una misura voluta dal governo», afferma anche il responsabile lavoro del Pd, Cesare Damiano.

Torna all'inizio


Le piccole scuole sono salve (sezione: Giustizia)

( da "Corriere delle Alpi" del 07-07-2009)

Argomenti: Giustizia

«Le piccole scuole sono salve» Dopo la sentenza della Consulta, la Regione rassicura Secondo Fistarol è uno strumento utile a chi si batte per difendere i plessi Donazzan convinta che servano più risorse BELLUNO. «L'ho sempre detto e lo ribadisco: le scuole di montagna non corrono pericoli». L'assessore regionale all'istruzione Elena Donazzan ribadisce quanto aveva già affermato nei mesi scorsi, a proposito della riforma Gelmini, ma stavolta c'è un elemento in più che arriva dalla Corte Costituzionale. Nei giorni scorsi, infatti, la Corte Costituzionale ha ricusato alcuni provvedimenti del governo, in particolare quelli sull'accorpamento degli istituti e sulla chiusura delle piccole scuole. La Consulta ha ribadito che la competenza è strettamente regionale e che lo Stato non può dimensionare la rete scolastica attraverso i regolamenti. Sarà dunque la Regione Veneto a indicare quante scuole e quante classi rimarranno attive nei piccoli comuni di montagna, anche se i problemi non sono di certo risolti. «La sentenza non tocca l'impianto della riforma», spiega ancora l'assessore Donazzan, «ma riconosce la competenza delle Regioni riguardo alla programmazione. A mio parere, però, questo crea ancora più confusione. Se la spesa per la scuola è dello Stato, sarebbe giusto che anche le decisioni fossero dello Stato, altrimenti, oltre alla competenze, bisognerebbe dare alle Regioni anche le finanze necessarie». In effetti è vero che le Regioni possono assumere decisioni autonome, ma se lo Stato taglia i fondi (si parla di quasi 8 miliardi di euro in meno), c'è ben poco margine di azione. «Auspico», conclude l'assessore, «che il percorso avviato dalla nostra giunta per ottenere maggiori forme di autonomia abbia buon esito. Noi chiediamo competenze sulle assunzioni degli insegnanti e sulla gestione del personale. Per quanto riguarda il prossimo anno scolastico, ci stiamo lavorando: vedremo cosa succede». A livello nazionale il Partito Democratico continua a battersi per contenere le peggiori conseguenze alla riforma Gelmini e la sentenza fornisce uno strumento in più, come spiega il senatore Maurizio Fistarol: «La Corte annulla il provvedimento solo su quel punto, ma peserà molto su tutta la trattativa Stato-Regioni e offre una sponda a chi si batte per difendere i piccoli plessi scolastici». Ma Fistarol evidenzia che il pericolo non si può considerare scampato: «Al di là delle norme, la cosiddetta riforma si sostanzia in un gigantesco taglio e vanno fatti i conti con questo. Ma è certamente meglio se i tagli sono chirurgici, decisi cioé il più possibile vicino al territorio». Le simulazioni dei mesi scorsi vedevano la soppressione di una dozzina di plessi e la creazione di 5 pluriclassi; oltre a una contrazione di oltre cento insegnanti. «Bisogna vedere come andrà a finire», conclude il senatore Fistarol. «Il Pd prosegue l'iniziativa a difesa della scuola, rafforzato dalla sentenza e con la mozione che chiede al governo maggiori risorse. Speriamo di strappare un impegno politico e sostanziale. Nei confronti della Regione però devono muoversi anche le istituzioni locali, Comuni e Provincia».

Torna all'inizio


Corte Costituzionale boccia norma contro i precari delle Poste (sezione: Giustizia)

( da "Corriere delle Alpi" del 07-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Misura contenuta nella manovra 2008 Corte Costituzionale boccia norma contro i precari delle Poste ROMA. La Corte Costituzionale si avvia a dichiarare l'illegittimità della norma anti-precari adottata con la manovra dell'agosto 2008 per arginare gli effetti dei numerosi ricorsi dei lavorati a termine nelle Poste. La decisione è stata presa in un delle ultime camere di consiglio della Consulta che nei prossimi giorni depositerà le motivazioni. Ad essere stato bocciato è l'art. 4 bis del decreto legislativo 368 del 2001 introdotto dal decreto fiscale della scorsa estate. Secondo la Corte - si è inoltre appreso - la norma sarebbe irrazionale e in contrasto con il principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione). L'articolo 4bis che si avvia a cadere sotto la scure della Consulta prevede che, in caso di violazione delle legge in materia di contratto di lavoro, al lavoratore con un giudizio pendente alla data del 22 agosto 2008 non spetti l'assunzione a tempo indeterminato e il risarcimento delle retribuzioni maturate bensì un indennizzo di importo compreso tra un minimo di 2,5 e un massimo di sei mensilità dell'ultima busta paga. Il diritto all'assunzione non viene toccato, invece, per chi ha deciso di fare causa dopo il 22 agosto. In questo modo, però si verrebbe a creare una disparità di trattamento.

Torna all'inizio


consulta: "incostituzionale il decreto contro i precari" - roberto petrini (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 07-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina 25 - Economia Consulta: "Incostituzionale il decreto contro i precari" In gioco 25mila assunzioni alle Poste Interessati 25mila lavoratori a termine della Spa ma anche di altri settori come editoria e trasporti ROBERTO PETRINI ROMA - La Corte Costituzionale boccia la norma anti-precari varata nel decretone dell´estate scorsa dal governo Berlusconi. Il provvedimento "salva" circa 25 mila precari e stagionali delle Poste, ma riguarda anche il personale di altre aziende, dagli aeroporti all´editoria. La decisione è stata presa in una delle ultime camere di consiglio della Consulta che nei prossimi giorni depositerà le motivazioni. A cadere sotto la scure della Corte è stato l´articolo 4 bis del decretone fiscale di Tremonti varato l´estate scorsa e modificato in Parlamento da un emendamento blitz del centrodestra. La norma fu già tacciata di incostituzionalità dal Servizio studi della Camera e dalle opposizioni durante una violenta polemica parlamentare. L´articolo prevede l´erogazione di un mero indennizzo monetario, invece della assunzione a tempo indeterminato, per i lavoratori precari che erano stati tenuti in attività in modo irregolare e che, per questo motivo, avevano fatto causa alla propria azienda. Il decretone, oltre a trasformare il diritto all´assunzione in un semplice indennizzo, colpiva in modo «selettivo»: infatti il risarcimento era previsto solo per i lavoratori che avevano un giudizio pendente fino al 22 agosto del 2008, mentre coloro che avevano intentato la causa di lavoro dopo quella data potevano contare sull´assunzione a tempo indeterminato. Questo meccanismo è caduto sotto la censura della Corte Costituzionale – a seguito di 19 ricorsi presentati in tutta Italia - proprio perché precari con identiche situazioni contrattuali irregolari avrebbero avuto diversi esiti solo in base alla data di apertura del contenzioso legale con la propria azienda. Se i giudizi pendenti si risolveranno in futuro a favore dei precari, la decisione della Corte Costituzionale provocherà naturalmente un notevole costo per le Poste che si troveranno a dover fronteggiare un notevole numero di assunzioni. La sentenza della Corte è stata salutata con soddisfazione dal Pd. «Il governo sulla questione dei precari delle Poste aveva creato un´ingiustificabile disparità di trattamento fra situazioni identiche – ha dichiarato Cesare Damiano, responsabile per i problemi del lavoro del Pd -. Disparità che si è poi estesa a tutti i precari che all´entrata in vigore della norma avevano un procedimento in corso con l´obiettivo della stabilizzazione. Ora l´arroganza e il dilettantismo dell´esecutivo sono stati bloccati». Aggiunge Di Pietro (Idv): «La pronuncia è una buona notizia». Anche la Cgil ha espresso un giudizio positivo: «La sentenza della Consulta sui precari è giusta e doverosa – ha detto il segretario generale Slc-Cgil Emilio Miceli -. Poste Italiane aveva immaginato una sorta di "articolo 18 dei precari" pensando che si potesse monetizzare in luogo dell´assunzione le sentenze di reintegro dei giudici e così sarebbe stato cancellato con un colpo di spugna il percorso lavorativo precario di tantissimi anni».

Torna all'inizio


"ronde pericolose se legate ai partiti più risorse alle forze dell'ordine" - davide carlucci (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 07-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina XIII - Milano I compiti Le priorità "Ronde pericolose se legate ai partiti Più risorse alle forze dell´ordine" Onida: stimoliamo tutti i cittadini a segnalare quello che non va Trovare le situazioni di degrado e sporcizia, curare il decoro urbano possono essere attività utili, ma non c´è nessun bisogno di affidarle a gruppi organizzati Queste formazioni non devono interferire con le attività di polizia, che invece andrebbero potenziate: è questo il vero problema da anni irrisolto Il presidente emerito della Corte costituzionale: le istituzioni hanno il dovere di controllare i curriculum DAVIDE CARLUCCI per Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale, giurista di fama internazionale, le ronde non dovrebbero esistere. Però ci sono. Bisogna, in qualche modo, conviverci? «I comuni possono anche non attivarle». Ma possono farlo: sono legali. «Salvo che, in futuro, possano essere dichiarate incostituzionali. Non è facile immaginare un percorso del genere, ma se gli appartenenti a una ronda commettessero qualcosa di illegale qualcuno forse potrebbe impugnare la legge». Per ora, comunque, possono operare tranquillamente. Come si fa a evitare casi come quello dei Blue Berets, la cui attività è stata sospesa dal Comune dopo che Repubblica ha reso noto che il presidente è iscritto al Msi di Gaetano Saya? «Ripeto: l´istituto è negativo in sé. Ma è ancora più pericoloso se è legato a partiti. Dovrebbe essere l´amministrazione comunale a tenere la guida delle cose, a non lasciarsi condizionare da iniziative partigiane, a individuare meglio i bisogni dei cittadini e le forme con cui rispondere. Valutando bene i curriculum dei promotori e i loro trascorsi politici». Don Virginio Colmegna, presidente della Casa della carità, da sempre impegnato per l´integrazione dei nomadi, critica le ronde ma apre la strada a possibili "custodi sociali" che anziché favorire la conflittualità coltivino la prossimità con gli stranieri. «Sì, ma se pensa a delle "ronde d´integrazione" torno a non essere convinto. Invece che istituire nuove forme di controllo parapoliziesco bisogna dedicarsi alla rilevazione dei bisogni, alla conoscenza dell´altro. Dedicando a questo più risorse». Tornando alle ronde vere e proprie, qual è il limite che non devono assolutamente superare? «Non devono esercitare alcun potere. Non devono avere connotazioni partitiche o partigiane. Non devono interferire nell´attività di ordine pubblico, riservata alle forze dell´ordine. Che andrebbero potenziate: questo è il vero problema, che resta sempre più sullo sfondo». Da anni però esistono, in varie parti d´Italia e anche in comuni governati dal centrosinistra, forme di sorveglianza civica che si limitano alla segnalazione preventiva di fenomeni che possano sfociare in reati. Il suo giudizio resta negativo? «A mio giudizio c´è stato un inseguimento, anche da parte del centrosinistra, di un´impostazione culturale che non gli appartiene. Ma non voglio fare di tutte le erbe un fascio, non escludo che ci siano anche esperienze positive. Girare nelle situazioni di degrado e di sporcizia, occuparsi del controllo del decoro urbano, verificare il lavoro delle aziende delle pulizie: tutto questo va bene. Ma non ci dovrebbero esserci appositi gruppi che fanno questo. Dovrebbero essere tutti i cittadini a segnalare a chi di dovere queste situazioni. Le faccio un esempio». Prego. «Andando in carcere a Bollate per lavoro ho scoperto che a Rho-Fiera è stato cambiato il capolinea dell´autobus. Ma la palina non informa i passeggeri del cambiamento. Sono tornato dopo giorni e la palina è sempre lì, con la vecchia indicazione. Ho telefonato anche al numero verde dell´Atm. Ma poi alla fine un passeggero mi ha detto: "Ma cosa vuole chiedere, siamo in Italia...". Ecco, è questo che va contrastato incoraggiando la cultura civica. La capacità, cioè, che i cittadini, segnalando che c´è qualcosa che non va, riescano a determinare interventi positivi. Senza delegare alle ronde».

Torna all'inizio


Errata corrige per salvarsi (sezione: Giustizia)

( da "Italia Oggi" del 07-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ItaliaOggi sezione: Azienda Scuola data: 07/07/2009 - pag: 13 autore: Nicola Colajanni Tempi&riforme Errata corrige per salvarsi Le prospettive del regolamento contestato Strana tempistica, il regolameto sulla riorganizzazione della rete scolastica -formulato ai sensi dell'art.64,comma 4 della legge 133/08- è stato emanato con il dpr n. 81, uscito sulla Gazzetta ufficiale il 3 luglio 2009, ed è entrato in vigore dal successivo 4 luglio.Il regolamento non sembra modificato rispetto a quello approvato in seconda lettura dal Consiglio dei ministri il 27 febbraio 2009. Esso nelle note all'art.1 riporta ancora, riferendo del comma 4 dell'art. 64, le lettere f-bis) ed f- ter) abrogate dalla sentenza n.200 della Consulta, uscita sulla stessa Gazzetta il giorno prima. La questione, che si dovrebbe risolvere nei prossimi giorni, riguarda la possibilità di pubblicare un regolamento ormai privato dei criteri che ne avevano consentito l'adozione riconosciuti invia di principio, dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza, come un prerequisito ineliminabile in un processo di regolamentazione a carattere delegificante. Probabilmente si dovrà ricorrere ad un errata corrige.Si tratta di un caso di evidente ingorgo istituzionale (sentenza prima del decreto presidenziale o dpr dopo la sentenza) forse dovuto alla casualità dato che il dpr in questione, firmato il 20 marzo dal presidente della Repubblica, posteggiato per oltre tre mesi non si sa dove perché il sottosegretario all'istruzione, Giuseppe Pizza, non ne ha parlato nella recente discussione parlamentare, è giunto probabilmente non troppo di recente alla Gazzetta Ufficiale.Del resto proprio all'articolo 1, comma 1, del regolamento si prevede che «alla definizione dei criteri e dei parametri per il dimensionamento della rete scolastica e per la riorganizzazione dei punti di erogazione delservizio scolastico, si provvede con decreto avente natura regolamentare, del ministro dell'istruzione, dell'uniniversità e della ricerca, adottato di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Unificata». Non è un caso che tale Intesa prevista entro il 15 giugno non si sia realizzata ed è del tutto prevedibile che un'intesa non realizzata, forse perché il relativo regolamento non era ancora vigente, possa realizzarsi ora che il regolamento quasi certamente non esiste più.Gli altri articoli del regolamento, da quelli riguardanti la definizione delle dotazioni organiche nazionali a quelli riguardanti gli organici dei singoli ordini e gradi di istruzione, con una rivisitazione alla luce della predetta sentenza, potrebbero trovare posto in nuovo regolamento.

Torna all'inizio


La Corte Costituzionale boccia l'anti-precari Per le Poste rischio crac (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 07-07-2009)

Argomenti: Giustizia

La Corte Costituzionale boccia «l'anti-precari» Per le Poste rischio crac Lo scorso 23 giugno i giudici hanno affossato la sanatoria del governo La sentenza rimette in discussione migliaia di cause di lavoro Sull'azienda di Sarmi incombono 15mila ricorsi. Il costo? Un miliardo di euro

Torna all'inizio


Il governo ha decretato: Precari per sempre , titolava L'Unità il 27 luglio di un ann... (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 07-07-2009)

Argomenti: Giustizia

GIUSEPPE VESPO Il governo ha decretato: Precari per sempre», titolava L'Unità il 27 luglio di un anno fa. Qualcuno nella confusione della manovra estiva aveva inserito una norma che venne subito ribattezzata la legge «anti-precari». Una sorta di sanatoria, per legare le mani ai giudici del Lavoro e - si pensò ai tempi - fare un favore a qualcuno. I magistrati, in sostanza, non avrebbero più potuto obbligare le aziende a riassumere - a tempo indeterminato - i lavoratori precari che ne avevano diritto. Tutti quei dipendenti, cioè, che avevano fatto causa al datore di lavoro per l'ingiustificato ricorso a contratti a tempo determinato. Al posto della stabilizzazione, dall'entrata in vigore della norma, i lavoratori avrebbero potuto ottenere un indennizzo. Nel corso di quest'anno sono stati diversi i Tribunali che hanno sollevato dubbi di legittimità costituzionale. I primi, nell'ottobre scorso, furono le Corti d'appello di Bari e di Genova. Il 23 giugno i giudici della Consulta - relatore l'avvocato Luigi Mazzella - hanno discusso e votato la norma anti-precari ed entro luglio renderanno pubblica la loro sentenza. Che è sfavorevole alla legge, ritenuta non in linea con i dettami della Costituzione. La sentenza, che ha visto un voto quasi unanime (14 contro uno) rimette in discussione migliaia di cause in corso, molte delle quali interessano Poste Italiane, che fino a cinque mesi fa - come ricordava il presidente di Poste, Giovanni Ialongo, lo scorso 25 marzo in Commissione Trasporti - ne aveva almeno «15mila in attesa di pronuncia da parte del giudice». Mentre, tornando ai dubbi di legittimità costituzionale della norma, è lo stesso Ialongo a riferire ai deputati che «su 18 ricorsi alla Corte costituzionale in materia di contratto a tempo determinato dodici sono relativi a Poste italiane e sei ad altre aziende». Tra queste ci sono «la Rai e Ferrovie dello Stato». Il cui numero di contenziosi, però, non sarebbe paragonabile a quello della società guidata dall'amministratore delegato Massimo Sarmi, che vanta precedenti importanti. Il 12 marzo scorso secondo quanto accertato dalla relazione della Corte dei Conti sulla «gestione finanziaria di Poste Italiane per l'esercizio 2007», il «totale dei ricorsi giudiziari avviati contro la Società fin dai tempi della fase di trasformazione in Spa sono quantificabili, a maggio 2008, nel considerevole numero di 43.851 procedimenti». Da questi, «sono stati riammessi 25mila (lavoratori ndr) a seguito della pronuncia del giudice, con conseguente trasformazione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato», racconta Ialongo ai deputati. Ai quali ricorda che, per ridurre il peso delle cause, l'azienda ha firmato coi sindacati due accordi: il primo il 13 gennaio 2006 e l'altro il 10 luglio 2008. Cosa prevedono questi accordi? Per capirlo, secondo i sindacati che li hanno firmati, bisogna dividere in tre gruppi i 25mila lavoratori che Ialongo definisce «riammessi» dal giudice. 4mila non hanno aderito al patto sindacati-azienda, continuando l'iter giudiziale in Tribunale. Circa 10mila avevano già in primo o in secondo grado vinto la loro causa con l'azienda, che si impegnava a riassumerli subito a patto che restituissero i risarcimenti riconosciuti dai giudici per i periodi di non lavoro. Mentre gli altri, sottoscrivendo gli accordi, hanno deciso di rientrare in un bacino al quale l'azienda si è impegnata - fino al 2010 - a fare ricorso. Fino ad oggi di questi circa 15mila solo 4.700 sarebbero stati assunti a tempo indeterminato. Per questo i sindacati chiedono ora di rivedere i patti, perché non credono che l'azienda riuscirà a rispettarli. Ma cosa c'è dietro questo balletto di cifre, ricorsi e patti? Una montagna di denaro, raccolto nel "Fondo vertenze con il personale" delle Poste, che secondo la Corte dei Conti nel 2007 nonostante la «diminuzione del fenomeno del contenzioso» - anche a seguito degli accordi sindacati - è cresciuto dell'85%, toccando quota 262milioni di euro. Per questo, scrivono i giudici contabili, «è auspicabile un monitoraggio del fenomeno e la massima attenzione per evitare l'insorgenza di nuove liti». Un problema evidenziato dallo stesso Sarmi, il 24 febbraio alla Commissione Lavori pubblici del Senato. «Ognuna di queste cause che arriva a sentenza ci costa dai 70mila ai 90mila euro oltre a crearci notevoli difficoltà». Moltiplicando i ricorsi che a marzo risultavano in attesa di pronuncia ai costi indicati dal manager il rischio per le Poste è quello di avere un buco di un miliardo. L'anomalia. Questo, spiega Sarmi, a causa dell'anomalia dei provvedimenti di reintegra. «Non discuto tanto la decisione del giudice sul fatto che questo tipo di rapporto di lavoro debba prevedere poi un'assunzione, quanto il dover pagare chi viene reintegrato per sentenza del giudice dal periodo in cui ha svolto il rapporto di lavoro fino ad oggi». Cioè dover pagare al dipendente i contributi persi durante il periodo di non lavoro. «Il problema - chiude Sarmi - consiste nel fatto che Poste Italiane ha un fondo di 400 milioni di euro che deve usare per questo motivo». Effetti collaterali del precariato. Ai quali qualcuno l'anno scorso ha tentato di porre rimedio inserendo, un sabato pomeriggio di piena estate, nel maxi-emendamento la norma anti-precari. Era il 27 luglio del 2008, due settimane dopo l'ultimo accordo firmato da Poste e sindacati per creare un bacino di lavoratori dal quale assumere alla bisogna, invitando gli ex dipendenti precari a rinunciare ai ricorsi. Nel giro di due settimane, insomma, si tentò di dare a colpi di decreto una bella sfoltita alle migliaia di contenziosi aperti davanti ai giudici del Lavoro. Ora la Corte Costituzionale ha sancito l'incostituzionalità di quella norma, riconoscendo i diritti lesi di migliaia di precari. L'inchiesta

Torna all'inizio


La fronda del clero iraniano (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 07-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-07-07 - pag: 8 autore: Teheran. I religiosi di Qom contestano la regolarità del voto La fronda del clero iraniano Vittorio Da Rold La teocrazia islamica in Iran è sotto attacco ideologico: dopo che domenica un gruppo di religiosi riformisti della città santa di Qom ha messo in dubbio la va-lidità del voto del 12 giugno, la guida suprema iraniana,l'ayatollah Ali Khamenei, che ne aveva ratificato la regolarità durante il famoso sermone all'Università di Teheran, si è sentito messo in discussione come mai era avvenuto nei 30 anni dalla fondazione della Repubblica islamica. Per uscire dalla grave situazione di incertezza giuridica oltre che politica (è come se in Italia una sentenza della Corte costituzionale non venisse accettata come legittima da parte dei giudici costituzionali) Khamenei, che per ora ha vinto la battaglia sulle strade ma non ancora la guerra contro i riformisti, ha spostato il problema all'esterno, lanciando un nuovo monito all'Occidente perché non interferisca negli affari interni del Paese. «Ammoniamo i leader di alcuniPaesi occidentali a non interferire negli affari interni dell'Iran, o la nazione reagirà», ha detto la guida suprema citato dalla tv di Stato. «I dirigenti dei Paesi arroganti, quelli che hanno messo il naso negli affari interni della Repubblica islamica, dovrebbero essere consapevoli del fatto che qualunque siano le differenze all'interno del popolo iraniano, la gente serrerà il pugno contro loro», ha ribadito Khamenei. Ma il gruppo di religiosi riformisti della città santa di Qom, mettendo in dubbio la regolarità delle elezioni presidenziali del 12 giugno,ha sfidato proprio l'autorità ultima di Khamenei e la legittimità del prossimo governo che sarà guidato dal presidente Mahmoud Ahmadinejad. Quando Khomeini, il fondatore del regime iraniano, espose nel 1979 la sua personale interpretazione dell'Islam politico secondo cui i giuristi islamici ricevono direttamente da Dio il potere di governare e di essere gli arbitri ultimi, mise la figura della guida suprema al centro del sistema di potere sciita. I religiosi,riuniti nell'Associazione degli insegnanti e ricercatori del seminario di Qom, esprimendo dubbi sull'imparzialità del Consiglio dei guardiani, hanno messo in discussione proprio l'autorità della Guida suprema. I religiosi di Qom hanno sfidato Khamenei sul piano teologico, mentre le proteste popolari dopo il discorso dello stesso Khamenei sono andate ancora più avanti affermando che la legittimità del voto non discende dalla volontà divina ma dalla volontà popolare. Ecco perché Khamenei reagisce con forza puntando l'indice contro gli stranieri:ha capito che è l'esistenza del regime ad essere a rischio. In questa strategia rientra anche l'arresto di cittadini stranieri. Una studentessa universitaria francese si trova in carcere dal primo luglio, con l'accusa di spionaggio. Lo ha detto il ministero degli Esteri francese. «La Francia condanna fermamente l'arresto e la detenzione da parte dell'Iran di una universitaria francese», afferma un comunicato del ministero. La giovane donna è stata arrestata all'aeroporto mentre stava lasciando il paese dopo avervi trascorso cinque mesi. L'ambasciatore iraniano a Parigi è stato convocato ieri dal ministero. © RIPRODUZIONE RISERVATA STRANIERI NEL MIRINO Una studentessa universitaria francese è in arresto dal 1Úluglio con l'accusa di spionaggio Parigi: liberatela subito «Nemico esterno». L'ayatollah Ali Khamenei ha nuovamente accusato l'Occidente di ingerenza AP/ LAPRESSE

Torna all'inizio


L'Europa è forte se guarda in faccia la realtà (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 07-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: COMMENTI E INCHIESTE data: 2009-07-07 - pag: 14 autore: PIT STOP ... L'Europa è forte se guarda in faccia la realtà A che punto è l'Europa?Non è cosa dioggi,né delle prossime settimane, ma arriverà il momento in cui si dovranno tirare le somme. E con tutta probabilità, se prevarrà il realismo, dovremo constatare che l'Europa e lo "spirito" che fin qui l'ha sostenuta hanno bisogno di "resettare" strumenti e obiettivi per alzare di nuovo il livello della sfida ed entrare in sintonia con il comune sentire dei suoi popoli. Facendo tesoro di cosa è successo negli ultimi due anni e non sottovalutando i segnali che, complice una crisi aspira-tutto, spuntano qua e là nella disattenzione pressoché generale. Per cominciare, dobbiamo prendere atto che la crisi innescata dal crollo dei mutui negli Usa ha messo in discussione due capisaldi della costruzione europea dai primi anni Novanta a oggi. Uno è l'Europa dei parametri di Maastricht, saltati per forza di cose a motivo dei massicci interventi degli Stati-nazione per ridare fiato alle economie e salvare le banche.L'altro,figlio della stessa madrecrisi, è l'arretramento della politica comunitaria pro-concorrenza. Per entrambi i casi si parla di un passo indietro temporaneo e, riguardo la logica dei parametri, di un ineludibile processo di rientro al quale dovranno sottoporsi tutti i paesi che hanno "sforato". Tutto bene, ma per nulla scontato:l'Europa (forse allargatasi troppo, ecco un altro problema serio sullo sfondo) non è riuscita a produrre politiche comuni di stimolo e ha lasciato il campo aperto agli stati nazionali, che hanno depotenziato il Patto di stabilità. Non a caso il presidente francese Nicolas Sarkozy, in questo disallineandosi dalla posizione tedesca nell'euro- zona, ha detto che non adotterà politiche di contenimento della spesa. Non è andata meglio per il Trattato di Lisbona. Per superare il "no" irlandese e avviare Dublino al secondo referendum,l'Irlanda ha preteso e ottenuto una serie di garanzie vincolanti sul sistema di tassazione, legislazione anti-aborto e neutralità militare. A sua volta, in Germania (impegnata in un salvataggio delle banche per centinaia di miliardi a spese dei contribuenti), la Corte costituzionale ha stabilito "paletti" rigidi agli impegni di Berlino, imponendo di non recepire direttive europee (che impattano sulla vita quotidiana dei cittadini) approvate a maggioranza senza previa consultazione del parlamento nazionale. Entrambi i casi dimostrano quanto lo spirito nazionale sia in ripresa. Vanno in questa direzione due altri fatti: la scarsa affluenza alle urne (il calo prosegue dal 1979) per le elezioni europee, nonostante da Bruxelles e da Strasburgo passi ormai la gran parte delle decisioni politiche cruciali; e l'affermazione di un partito trasversale, tra l'euroscettico e l'estremista, che tutto è meno che il battistrada dell'Europa che abbiamo conosciuto dagli anni Novanta a questa parte. Illuderci che il problema non esista sarebbe un altro errore. Per (ri)cominciare a parlare di Europa forte e unita occorre guardare in faccia la realtà per quella che è. Quella propria di istituzioni politicamente grigie, macchinose, impigrite e a scarsa o nulla propensione a una vera leadership. Le stesse che hanno appena decretato (era ora) l'azzeramento degli standard di vendita dei prodotti ortofrutticoli comunitari, ma che non s'accorgono che il sentire europeo si va sfarinando sotto i loro occhi. guido.gentili@ilsole24ore.com © RIPRODUZIONE RISERVATA I VERI OBIETTIVI Bruxelles si occupa troppo di inezie, dimenticando spesso i problemi dei cittadini di Guido Gentili

Torna all'inizio


Intercettazioni, quel rinvio che piace anche alla Camera (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 07-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Politica data: 07/07/2009 - pag: 16 Il retroscena Intercettazioni, quel rinvio che piace anche alla Camera ROMA Quando ieri è passata a salutare Gianfranco Fini, Giulia Bongiorno non aveva il piglio rivendicativo di chi l'aveva detto. Nessuna matita rossa e blu in mano, sebbene la proposta avanzata da Renato Schifani di spostare dopo l'estate l'esame al Senato del ddl sulle intercettazioni era il segno delle difficoltà che si erano evidenziate già alla Camera. Ma non è tutto sbagliato e da rifare, «perciò l'idea del rinvio va bene», ha commentato la presidente della commissione Giustizia di Montecitorio: «In fondo non c'è alcuna urgenza. E qualsiasi soluzione consenta di ponderare il testo e portare a casa il risultato, è una buona soluzione». Fini ha condiviso il suo ragionamento. D'altronde, la scorsa settimana, dopo la visita al Quirinale, si era reso conto che non c'erano altri modi per superare le perplessità sollevate dal capo dello Stato. Giorgio Napolitano aveva immaginato che governo e maggioranza puntassero ad accelerare l'approvazione del provvedimento a palazzo Madama, e aveva voluto anticipare le sue obiezioni su alcuni punti del testo, riferendole alle cariche istituzionali e al ministro della Giustizia. Fini si era congedato dal colloquio con la certezza che non ci fosse un'ostilità del presidente della Repubblica alla riforma, «anzi concorda sulla necessità di ridurre gli eccessi» nelle intercettazioni, «e i suoi suggerimenti sono costruttivi». L'inquilino di Montecitorio ha ribadito ieri a «Giulia» che «una mediazione è necessaria », preoccupato com'è di alcune carenze del testo, a partire dal vuoto normativo lasciato nei casi di indagini contro ignoti. La mediazione si proverà al Senato, va in tal senso la proposta di Schifani. Anche perché nel governo nessuno oggi intende aprire un fronte con il Colle mentre sul lodo Alfano pende la spada di Damocle della Consulta. La Bongiorno ha incrociato le dita, conscia che «qualsiasi legge in materia di giustizia è difficilissima», per via dell'ostilità di un mondo spesso autoreferenziale e refrattario ai cambiamenti: «Ma se c'è una riforma che in Parlamento si può varare anche con l'appoggio di gran parte dell'opposizione, è quella sulle intercettazioni». Per questo si augura che «vengano seguite le indicazioni di Napolitano», perché «voglio che la materia sia regolamentata». Al provvedimento ci tiene, «dobbiamo portarlo a casa» ha detto a Fini. Non foss'altro per la fatica che è costata. Un anno di liti anche feroci con Nicolò Ghedini, come possono esserlo le liti tra colleghi. Deputati della stessa maggioranza che non le rivolgevano più la parola, additandola da sabotatrice. Il premier che dopo una cena in cui avevano discusso sulla legge, aveva commentato: «Toglietemela dai piedi». Con il presidente della Camera che la incoraggiava ad andare avanti: «Trova un punto di compromesso e vai avanti, Giulia». E intanto la difendeva con il Cavaliere, nei colloqui riservati: «Silvio, guarda che lei non è contraria alla riforma. Segnala dei problemi». Un testo via l'altro, una correzione via l'altra. Con le difficoltà tecniche e quelle politiche che si sovrapponevano, perché il sostegno della Lega era andato progressivamente scemando con l'approssimarsi del federalismo fiscale, e pure il presidente della Camera doveva tener conto dell'imminente congresso del Pdl: «Mi raccomando, Giulia. Niente strappi». Fino all'intesa siglata agli inizi di marzo, con una concessione sul «diritto di cronaca» e un cambio di aggettivo sugli indizi che avrebbero consentito l'uso delle intercettazioni: da «gravi» ad «evidenti». «È il massimo della mediazione possibile», aveva chiosato «Giulia», che sperava di strappare ancora qualcosa in Aula con gli emendamenti. Gioco stoppato dal governo con il voto di fiducia. Ma è vero o no che già allora giunsero dal Colle quei dubbi che Napolitano ha rimarcato ufficialmente la scorsa settimana? Ieri Fini e la Bongiorno non hanno avuto bisogno di darsi una risposta. La conoscevano da tempo. Semmai la presidente della commissione Giustizia auspica ora che il centrodestra «faccia tesoro» di questa vicenda, e «applichi di qui in avanti un nuovo metodo»: «Perché rischiare di mettere a repentaglio il lavoro di mesi e mesi, magari rimanendo impigliati in rilievi di natura tecnica, e nelle obiezioni del Quirinale o della Corte Costituzionale? Meglio cercare di premunirsi. Penso sia preferibile una norma che - magari non sarà scritta nel modo in cui l'avevamo pensata - ma produce gli stessi effetti, è inattaccabile, e se possibile anche condivisa». Il presidente del Senato ha mutato lo scenario, evitato il muro contro muro con l'opposizione e lo scontro frontale con il Colle. Se così sarà, alla terza versione del ddl ne seguirà una quarta. E arriverà alla Camera. Ma tutto si muove attorno a equilibri delicatissimi. In autunno, per far saltare tutto, basterà un niente. E la sentenza della Consulta sul lodo Alfano non è un niente... La linea di Fini Il presidente della Camera, reduce dall'incontro al Colle della scorsa settimana, condivide la proposta di Schifani Commissione giustizia Giulia Bongiorno, presidente della Commissione giustizia, propone di superare il muro contro muro e di usare un nuovo metodo Francesco Verderami

Torna all'inizio


La Corte sui precari delle Poste: vanno assunti, non indennizzati (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 07-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Economia data: 07/07/2009 - pag: 29 La sentenza La questione riguarda diecimila contratti in lista d'attesa. Cazzola (Pdl): errore dei vecchi dirigenti La Corte sui precari delle Poste: vanno assunti, non indennizzati ROMA Sono più di diecimila i lavoratori precari, soprattutto delle Poste, che possono tornare a sperare in un'assunzione a tempo indeterminato grazie alla sentenza della Corte Costituzionale che dichiarerà illegittima la norma adottata con il decreto fiscale dell'agosto 2008. Ieri un'anticipazione dell'Ansa ha dato per imminente la pronuncia d'incostituzionalità. Secondo indiscrezioni i voti favorevoli alla bocciatura sarebbero stati 14 contro uno. La vicenda nasce dall'approvazione in Parlamento di una norma, fortemente voluta da An e Lega, secondo cui ai lavoratori precari con giudizio pendente alla data del 22 agosto 2008 non spettava l'assunzione a tempo indeterminato e il risarcimento delle retribuzioni maturate, bensì un indennizzo di importo compreso tra un minimo di 2,5 e un massimo di sei mensilità dell'ultima busta paga. Di conseguenza l'assunzione rimaneva impregiudicata per coloro cui era stata riconosciuta da sentenza passata in giudicato e per coloro che avessero iniziato la causa dopo quella data. Un meccanismo rispetto al quale lo stesso ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, aveva preso le distanze. Secondo la Corte, interpellata da 19 Tribunali, la norma sarebbe irrazionale e in contrasto con il principio di uguaglianza (articolo 3 della Costituzione). La decisione, cui ora dovranno fare fronte economicamente le Poste, soddisfa la Slc-Cgil, secondo cui è «giusta e doverosa », ma anche l'Ugl. «È una buona notizia», commenta il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, Concorda il responsabile lavoro del Pd, Cesare Damiano. «La sentenza non poteva essere diversa» dice Giuliano Cazzola, (Pdl) vicepresidente commissione Lavoro, che se la prende con gli amministratori di Poste, «i cui errori hanno determinato una pletora di assunzioni ». A suo tempo, conclude, «ho chiesto al governo perché non era stata promossa azione di responsabilità». Antonella Baccaro

Torna all'inizio


La battaglia delle diciotto ore infiamma l'estate della scuola (sezione: Giustizia)

( da "Stampa, La" del 07-07-2009)

Argomenti: Giustizia

SINDACATI.UN DOCUMENTO DIFFIDA I DIRIGENTI La battaglia delle diciotto ore infiamma l'estate della scuola Cobas all'attacco «In molti casi è stato violato il contratto» [FIRMA]STEFANIA ZORIO BIELLA Sulla scuola continua a pendere la scure dei tagli agli organici avviati dal ministero dell'Istruzione. Mentre alla luce della sentenza emanata appena qualche giorno fa dalla Corte Costituzionale (che dichiara che lo Stato non ha il potere di ridimensionare la rete scolastica sul territorio) la Regione chiede la sospensione, adesso a prendere la parola sono i Cobas. Oggetto della loro attenzione è la formazione, ritenuta da loro illegittima, di alcune cattedre con oltre 18 ore settimanali; motivo per cui diffidano sia il dirigente generale dell'ufficio scolastico regionale Francesco De Sanctis, che il dirigente dell'ufficio scolastico provinciale Piergiorgio Giannone, chiedendo la riconduzione delle ore di insegnamento di tutti i professori nel limite delle 18 ore obbligatorie. I Cobas avvalorano la loro tesi facendo riferimento ad alcune norme del Contratto nazionale scuola e della finanziaria del 2002: «Una pratica assolutamente illegittima - scrivono nel documento inviato sia agli uffici scolastici regionali che a quelli provinciali - in quanto è notorio che senza l'assenso dell'interessato non è possibile lo svolgimento di ore di lezione oltre a quelle contrattualmente previste, mentre è accettabile solo nel caso in cui restino ancora ore non assegnate quali spezzoni di supplenza, a docenti a tempo determinato inseriti nelle graduatorie a esaurimento provinciali». A riprova della tesi di illegittimità dell'attribuzione di cattedre con oltre 18 ore settimanali, i Cobas richiamano anche le norme che ne regolano la retribuzione: «Sono considerate attività straordinarie - spiega Giuseppe Iaria in rappresentanza dei Comitati di base della scuola - e per questo compensate in misura inferiore rispetto alle ore di insegnamento obbligatorio, pari a 1/78 dello stipendio mensile. La legge parla chiaro quindi noi vogliamo semplicemente sottolineare che ogni insegnante è libero di rifiutarsi di fare più di 18 ore». Gli uffici del provveditorato di Biella non rilasciano dichiarazioni in merito. A quanto sembra, però, dai dati in possesso degli stessi uffici, le assegnazioni delle cattedre considerate dai Cobas illegittime nella nostra provincia sarebbero circa 20 su 600.

Torna all'inizio


Caccia ad altre 11 specie (sezione: Giustizia)

( da "Corriere delle Alpi" del 08-07-2009)

Argomenti: Giustizia

L'ambientalista Bettin: «Ennesima concessione alla lobby» Caccia ad altre 11 specie Ieri in commissione il via libera alle deroghe Province ed associazioni chiedono di estendere gli abbattimenti a nutrie e cinghiali VENEZIA. La Quarta commissione - Agricoltura, caccia, pesca - del Consiglio regionale, ha approvato con i voti di Pdl (astenuto Bond) e Lega Nord, (contrari Pd, Idv e Verdi), il testo di legge per la caccia in deroga. In particolare il consigliere dei Verdi Bettin, si è opposto «ad una nuova strage di uccelli in deroga alle leggi nazionali ed europee, che rappresenta l'ennesima concessione alla lobby, sempre meno numerosa ma sempre più potente». Il provvedimento ripropone, in vista dell'apertura della stagione venatoria - in programma l'11 settembre - la possibilità da parte dei cacciatori di abbattere capi di specie avicole vietate dalla direttiva Cee (79/409 del 1979). Il testo licenziato dalla commissione, unificazione di due progetti presentati, dalla Giunta e dalla Lega. Il primo prevede che nella stagione 2009-2010 in Veneto si possano cacciare lo storno, il fringuello, la peppola, la pispola e il prispolone mentre il secondo aggiunge piviere dorato, frosone, gabbiano reale, cormorano, tortora dal collare e verdone. Il testo prevede anche il tetto massimo di capi abbattibili da ciascun cacciatore per ogni giornata e per l'intera stagione. La parola definitiva sulla legge passa ora all'aula del Consiglio che la prenderà in esame in una delle sedute che verranno convocate prima della pausa estiva. La commissione prima di licenziare il testo aveva incontrato i rappresentanti delle Province venete e delle organizzazioni venatorie che, pur d'accordo con la proposta di caccia in deroga, avevano suggerito ai legislatori regionali di prendere in considerazione la possibilità di abbattere animali nocivi non volatili come nutrie e cinghiali, sollecitando l'approvazione della legge che regionalizza l'Istituto per la fauna selvatica. Decisamente contraria la posizione degli ambientalisti e, in particolare, del rappresentante di settore della Lav che ha sottolineato i numerosi pronunciamenti del Tar del Lazio, del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale nei confronti della normativa nazionale e regionale di recepimento della direttiva Cee in materia di fauna selvatica, ricordando la censura della Consulta nei confronti della Lombardia per aver scelto lo scorso anno, lo strumento della legge, anziché della deliberazione amministrativa per regolamentare la caccia in deroga.

Torna all'inizio


Corte conti accentra gli interpelli (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 08-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-08 - pag: 31 autore: Enti locali. Atto di indirizzo della magistratura contabile dopo le novità della manovra d'estate Corte conti accentra gli interpelli Sui temi dubbi le sezioni regionali dovranno chiedere a Roma Gianni Trovati MILANO L'attività consultiva della Corte dei conti per Comuni e Province torna a guardare al centro. Il primo segnale era stato lanciato dieci giorni fa con la manovra d'estate, che ha previsto la possibilità (all'articolo 17, comma 32) per le sezioni riunite della magistratura contabile di adottare «pronunce di orientamento generale » sui temi che dividono i pareri delle sezioni regionali di controllo. Ora a entrare in campo è direttamente la sezione centrale delle Autonomie, che aggiorna (con la delibera 9/2009) gli «indirizzi e criteri generali» per il lavoro dei magistrati sul territorio. Quando si troveranno sul tavolo una questione complessa, suscettibile di risposte non univoche, le sezioni regionali dovranno sospendere il giudizio, rimandando il tutto a una pronuncia da parte della sezione delle Autonomie. Al centro dell'attenzione di entrambi gli interventi c'è una delle attività più di successo negli ultimi anni della Corte dei conti, cioè la consulenza a sindaci e presidenti di provincia in difficoltà con l'interpretazione delle normative contabili. Complice anche l'intricarsi delle regole finanziarie, gli amministratori locali hanno sfruttato a fondo questa opportunità, e i pareri resi dai magistrati contabili locali sono passati dai 22 del 2004 ai 508 dell'anno scorso.Con prese di posizione che a volte hanno fatto discutere, come accaduto recentemente in Lombardia (la sezione di gran lunga più attiva) con i pareri sul trattamento contabile dei proventi da dismissioni o sui dubbi di co-stituzionalità della norma del Patto di stabilità che blocca i pagamenti nelle casse degli enti. In altri casi, invece, gli stessi quesiti si sono affacciati più volte in diverse sezioni regionali, ottenendo risposte differenti: è il caso, negli ultimi mesi, dei termini di prescrizione per i rimborsi dei canoni di depurazione bocciati dalla Corte costituzionale con la sentenza 335/2008, che hanno diviso le sezioni fra chi ha proposto un termine quinquennale e chi ha allungato il calendario fino a 10 anni. L'atto di indirizzo depositato ora dalla sezione delle Autonomie cerca di prevenire questi problemi, con un meccanismo che però prova a non intaccare la «competenza esclusiva» della sezione regionale. Saranno infatti le corti territoriali a valutare, con «un'istruttoria di adeguata completezza», la possibilità di offrire autonomamente una risposta che garantisca «uniformità di giudizio e ponderazione di tutti gli interessi coinvolti ». Quando questo non sarà possibile, le articolazioni regionali si rivolgeranno (tramite i loro presidenti) alla sezione delle Autonomie, che con un proprio «avviso» sostituirà il parere della sezione regionale. Questo potere sostitutivo scadrà entro un «ragionevole termine» (però non precisato) dalla richiesta, e non riguarda le pronunce pendenti. Più "centralista", invece, l'intervento della manovra d'estate. La norma infatti affida al presidente della Corte il compito di impegnare le sezioni riunite per dettare a tutti i magistrati contabili indirizzi omogenei su temi specifici. gianni.trovati@ilsole24ore.com © RIPRODUZIONE RISERVATA ORIENTAMENTI UNITARI La delibera nasce per evitare le difformità nelle indicazioni espresse su molti argomenti dalle strutture periferiche

Torna all'inizio


Niente più vincoli per l'eolico (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il (Sud)" del 08-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Sud sezione: BASILICATA data: 2009-07-08 - pag: 12 autore: Energia. La Consulta boccia la norma della Regione sull'ubicazione degli impianti Niente più vincoli per l'eolico L'Aper: «Ora le linee guida nazionali non sono più rinviabili» PAGINA A CURA DI Gennaro Grimolizzi La Corte costituzionale con la sentenza n. 166/09 ha bocciato il quadro normativo sull'eolico della Regione Basilicata. La Consulta ha giudicato non conforme alla Costituzione l'articolo 6 della Lr 9/07, con cui sono state recepite le linee guida, adottate con una delibera della Giunta regionale del 2004, per il corretto inserimento degli impianti eolici sul territorio. L'intervento della Corte è stato innescato dal Tar Basilicata nel corso di giudizi in cui l'Aper (Associazione produttori energia da fonti rinnovabili) è intervenuta ad adiuvandum a sostegno delle tesi di un proprio associato ricorrente. Spetta esclusivamente agli organi statali, ha stabilito la Consulta, emanare linee guida nazionali per il corretto insediamento di impianti da fonti rinnovabili, in quanto «espressione della competenza statale in materia di tutela dell'ambiente ». In assenza di linee guida nazionali alle Regioni non è consentito provvedere autonomamente. L'Aper ha circa 440 iscritti ed oltre 450 impianti per un totale di 2mila Mw di potenza installata. «La tanto attesa sentenza della Corte – afferma il presidente Roberto Longo – conferma quanto denunciato dalla nostra associazione da anni: l'emanazione delle linee guida nazionali non è più procrastinabile ». Il dipartimento regionale all'Ambiente non commenta. Critico è Pietro Dommarco, presidente dell'Ola (Organizzazione lucana ambientali-sta): «Se da un lato quanto indicato dalla Corte costituzionale ha inferto un colpo mortale alla tutela delle aree protettee alle aree di interesse ambientale della Basilicata, espropriando competenze regionali in materia di ambiente, dal'altro è altrettanto vero che l'assalto al territorio delle lobby dell'energia eolica viene addirittura favorito dalla Regione Basilicata, che mostra di non considerare l'esigenza di difendere fondamentali strumenti normativi di gestione e programmazione del territorio regionale». Secondo l'Ola, la Corte costituzionale ha abbattuto «l'ultimo diaframma normativo», rappresentato dall'articolo 6 della Lr 9/07 sulla valutazione di sostenibilità ambientale e paesaggistica di competenza regionale per gli impianti eolici. «L'unica arma rimasta in mano alla Regione Basilicata per limitare l'assalto delle torri eoliche – prosegue Dommarco – sarebbe stata quella di limitare al minimo le potenze ammissibili previste dal Piear (Piano di indirizzo energetico ambientale regionale) a vantaggio di altre fonti, come il solare. Il piano predisposto dal Gse (Gestore servizi elettrici), approvato dalla stessa Giunta regionale, prevede invece oltre 900 Mw di potenza per la fonte di energia eolica, con ben 700-800 nuove torri eoliche da impiantare. In questo contesto è difficile resistere ad uno strapotere economico, che mostra di aver compreso che in Basilicata è davvero possibile fare di tutto anche ipotecare il suo futuro». © RIPRODUZIONE RISERVATA Pale lucane. Un impianto eolico della Basilicata TIPS

Torna all'inizio


Indonesia al voto, il presidente Yudhoyono verso la conferma (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 08-07-2009)

Argomenti: Giustizia

JAKARTA Ex generale di 59 anni, il capo dello stato è dato vincente al primo turno nel paese islamico più popoloso del pianeta Indonesia al voto, il presidente Yudhoyono verso la conferma Fernando Amaral Con un decennio di democrazia sulle spalle (nel 1999 gli indonesiani parteciparono per la prima volta a un'elezione democratica, dopo trenta anni di dittatura) l'Indonesia elegge oggi il nuovo presidente. A contendersi il mandato a capo della nazione, di durata quinquennale, sono il presidente uscente Susilo Bambang Yudhoyono e altri due candidati: Megawati Sukarnoputri (già presidente nel triennio 2001-2004), figlia di Sukarno, primo presidente dell'Indonesia indipendente; l'attuale vicepresidente Yusuf Kalla, che non è riuscito a raggiungere un accordo con lo stesso Yudhoyono e ha deciso di correre da solo. Sono 171 milioni gli aventi diritto al voto nel paese islamico più popoloso al mondo che solo nell'aprile scorso ha rinnovato il Parlamento, confermando la fiducia al Partito democratico (Pd) di Yudhoyono, che ha ottenuto oltre il 20,8% dei voti e dunque la maggioranza relativa nell'assemblea legislativa. Ex generale di 59 anni, Yudhoyono è dato in vantaggio da tutti i sondaggi, registrando nell'immediata vigilia del voto una popolarità vicina al 67%. Nemmeno la condanna per corruzione di Aulia Pohan, ex presidente della Banca centrale e suo parente, avvenuta solo poche settimane fa, sembra aver intaccato i consensi di cui gode il presidente. Eppure la lotta alla corruzione è stato uno dei suoi cavalli di battaglia per conquistare la fiducia dei cittadini. Sarà per il suo carisma di ex militare ma nel contempo leader moderato e moderno; sarà per i buoni risultati in economia (il paese che ha resistito bene alla crisi economica, e il Pil è cresciuto del 4,4% nel primo trimestre 2009); sarà per la sua abilità a negoziare con i partiti islamici (lo appoggia una larga coalizione che comprende i principali partiti confessionali); sarà per la sua solida alleanza con i «poteri forti» del paese (con lui il vice presidente sarà il vice governatore della Banca centrale, Boediono); sarà forse anche per l'abilità canora sfoggiata in campagna elettorale (il presidente ha perfino inciso un Cd di canzoni romantiche): per tutte queste ragioni, secondo alcuni osservatori, Yudhoyono potrebbe anche ottenere la maggioranza relativa dei voti, evitando così il secondo turno, in programma eventualmente a settembre. Autodefinitosi «centrista», nel 2004 Yudhoyono è stato il primo presidente indonesiano eletto a suffragio universale diretto, sei anni dopo la caduta del dittatore Suharto. Megawati Sukarnoputri cerca invece un ritorno in primo piano sulla scena politica, alla guida del Partito democratico indonesiano di lotta (Pdi-P): si è però alleata con l'ex generale Prabowo Subianto, molto controverso, candidato alla vicepresidenza. A fianco di Yousuf Kalla, candidato dello storico partito Golkar, c'è poi un'altra vecchia conoscenza della scena politica indonesiana: l'ex generale Wiranto, già capo dell'esercito indonesiano e ministro della Difesa all'epoca del referendum del '99 che sancì l'indipendenza di Timor Est da Giacarta, inquisito come mandante delle stragi che seguirono quel doloroso passaggio della storia recente. Per contrastare lo strapotere di Yudhoyono, gli altri due candidati hanno giocato un'ultima carta e vinto una battaglia che però potrebbe risultare poco significativa: due giorni fa la Corte costituzionale ha stabilito che anche i cittadini non registrati nelle liste elettorali avranno la possibilità di votare. Basterà recarsi alle urne provvisti di un documento di identità valido. La decisione segue una massiccia campagna di proteste condotta da politici, attivisti civili e leader religiosi che invocavano il "diritto di voto per tutti". *Lettera22

Torna all'inizio


Ricordi di un girotondino (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 08-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Terza Pagina data: 08/07/2009 - pag: 39 Polemiche Padellaro e la sinistra fratricida Ricordi di un girotondino A vvezzi alla sinistra votata all'autodistruzione, ecco un punto di vista originale in quanto estremo: quello degli sconfitti tra gli sconfitti. Io gioco pulito (Baldini Castoldi Dalai, pp. 188, e 17,50) è un libro a più voci pensato da Antonio Padellaro in un momento di disfatta plurima: la sua, di direttore defenestrato dall'«Unità » dopo averla guidata con vigore in anni di berlusconismo prima vincente, poi battuto e infine trionfante; quella di un riformismo incapace di salvarsi dai morsi letali dei micropartiti nella breve stagione del Prodi-bis, ma soprattutto di darsi un'autosufficienza almeno morale nella nuova veste di «Partito democratico»; e infine del movimento girotondino, che all'«Unità» aveva trovato casa senza scalfire una nomenklatura educata all'egemonia e dunque refrattaria all'eterodirezione. Padellaro racconta tutto, compresi gli scontri con i dirigenti ds e pd, le telefonate di fuoco con Fassino, le lettere gelide di D'Alema. Si toglie più di un sassolino con Veltroni, che pure lui stesso (e ha la franchezza di ricordarlo) aveva celebrato in campagna elettorale con toni che il «Corriere » aveva definito «da Ventennio», e che ora viene descritto come un leader che ha prima ingannato gli elettori e poi è scappato. Colloquia con Marco Travaglio e per svariate pagine gli tiene fermo Giorgio Napolitano mentre quello lo prende a sberle: «Il peggior presidente da Leone a oggi» perché non ha fatto le barricate sul lodo Alfano, ma lo ha consegnato al più efficace vaglio di legittimità della Corte costituzionale. Si emenda con lo spessore analitico di Furio Colombo, che fa scudo al Quirinale in quanto «ultima soglia di difesa tra illegalità e legalità». E biasima l'«ossessione per il dialogo» non senza offrirne una acuta esegesi storica, individuando nell'ansia di legittimazione del vecchio Pci la radice della scarsa attitudine dei suoi eredi allo scontro frontale. Infine, Padellaro dà ospitalità agli altri sodali della sua conduzione Tabucchi, Stajano, Dalla Chiesa, Beha, Chierici, Amurri per testimonianze appassionate quanto crepuscolari. Ora, dovrebbe attenuare il suo risentimento (sfogato in puntute interviste al «Giornale», strafelice di sguazzarci), il fatto che «l'Unità» non abbia smarrito la sua ragione sociale, con il Cavaliere che continua ad additarla in pubblico e a insolentirne i cronisti, e Travaglio che ne ha presidiato a piacimento la terza pagina salvo poi saltare sul carro del «Fatto quotidiano», l'invenzione con cui proprio Padellaro da settembre potrebbe dare il colpo di grazia al giornale di Gramsci. Perché, nella frusta ritualità dei sinistrati e delle loro avanguardie giacobine, resta incoercibile la vocazione al cannibalismo: prassi secolare, prima di consegnarsi alle fauci dei caimani di turno. Antonio Padellaro Gianluca Mercuri

Torna all'inizio


la corte dei conti accusa i deputati (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 09-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina II - Palermo Inchiesta sul voto che portò all´aumento delle ambulanze del "118". Ricorso alla Consulta: "Siamo insindacabili" La Corte dei conti accusa i deputati L´UDIENZA della Consulta si terrà al termine dell´estate. E stabilirà se un magistrato contabile può spingersi oltre quello che finora è stato un confine invalicabile: il portone di Palazzo dei Normanni. Sarà la Corte costituzionale a stabilire se, per la prima volta, ai deputati dell´Ars può essere contestato un danno erariale: l´aumento «irragionevole» del numero delle ambulanze del servizio "118". Quarantanove in più. Nell´elenco dei colpevoli, per la Procura della Corte dei conti, ci sono anche i componenti dalla commissione Sanità che, nell´autunno di quattro anni fa, votarono l´allargamento del parco mezzi. E che adesso rischiano di pagare di tasca propria l´allegro utilizzo delle finanze regionali, al pari di amministratori e burocrati. C´era in ballo, quel 19 ottobre del 2005, la proroga dei contratti di 578 soccorritori. E alcuni deputati della maggioranza di centrodestra - Formica, Dina, Mercadante, Edoardo Leanza, Basile, Arecidiacono, Moschetto e Confalone - non si limitarono a dare un parere di rito a un "atto aggiuntivo" della giunta che aggiungeva 64 ambulanze al parco mezzi esistenti. Quel gruppo di parlamentari presentò un emendamento a quell´atto per mettere a disposizione della Sise, la società che gestisce il "118", altre 49 autoambulanze di tipo A/B, ovvero senza medico a bordo, peraltro non contemplate dalla normativa nazionale. Il funzionario dell´assessorato presente alla seduta, Michele Saladino, segnalò «l´inopportunità» di quell´atto che, disse, avrebbe potuto provocare problemi finanziari. Ma l´emendamento passò, con il voto contrario del ds Antonello Cracolici e l´astensione di Giovanni Manzullo (Margherita). La giunta Cuffaro dovette varare un secondo atto aggiuntivo per recepire quell´indicazione che giungeva dall´Assemblea. Di lì a qualche mese il numero delle ambulanze del "118" salì sino a 230, per una cifra record di 3.009 dipendenti. «Non emerge da alcun dato la necessità di ampliare il parco mezzi», ha scritto poi la sezione di controllo in un rapporto sul "118". E ha preso a indagare anche la Procura della Corte dei conti. Il sostituto procuratore generale Gianluca Albo - convinto che quel sì della commissione non abbia valore politico ma abbia inficiato un procedimento amministrativo - ha scritto all´Ars chiedendo il verbale della seduta. E anche «le generalità e la residenza dei deputati che avevano deliberato con voto favorevole gli emendamenti». Una richiesta ardita, che qualcuno dalle parti di Palazzo dei Normanni ha definito «poliziesca». Il segretario generale dell´Assemblea, Giovanni Tomasello, ha risposto fornendo solo il bollettino dei lavori della commissione Sanità e precisando che questo documento, in ogni caso, «non poteva essere utilizzato per sindacare l´attività politica di qualsivoglia organo dell´Ars». La Corte, il 7 novembre del 2008, con una nota stavolta firmata anche dal procuratore regionale Guido Carlino, ha inoltrato nuovamente la richiesta. E allora il presidente dell´Ars, Francesco Cascio, ha chiesto alla giunta regionale di fare ricorso alla Corte costituzionale, sollevando il conflitto di attribuzione. «I giudizi dell´Ars sono insindacabili», è la tesi degli avvocati della Regione. Ma ora gli inquilini del Parlamento siciliano - cui un giorno l´ex commissario dello Stato Gianfranco Romagnoli rimproverò «una certa tendenza a concedere benefici con i portafogli altrui» - attendono con ansia la pronuncia della Consulta. e. la.

Torna all'inizio


Dal ministro svolta a sorpresa: ora il rilancio è più facile (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 09-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: IN PRIMO PIANO data: 2009-07-09 - pag: 11 autore: ANALISI Dal ministro svolta a sorpresa: ora il rilancio è più facile di Franco Locatelli C hi si aspettava uno scontro al calor bianco tra il ministro dell'Economia e le banche o nuove scintille tra l'inquilino di via XX Settembre e la Banca d'Italia deve ricredersi. Sarà stato il clima del G8 che incombeva o sarà stata la consapevolezza delle difficoltà del momento,ma più che duelli l'assemblea annuale dell'Abi di ieri ci ha regalato una svolta. Giulio Tremonti, è vero, ci ha abituato alle sorprese, ma questa volta ha saputo secretarla fino all'ultimo e rifarsi, con qualche civetteria, alla cultura ebraica e al pensiero di Roosevelt, per ricordare che «nelle cose umane c'è un ciclo misterioso» e che adesso «pare arrivato anche per noi il momento di un nuovo inizio». Di sicuro il ministro dell'Economia è tra quelli che amano più la discontinuità che il continuismo e la proposta che ha messo ieri sul tavolo dell'Abi non ha il sapore né di una tregua né di un'improvvisazione. Non è una tregua perché Tremonti non propone affatto alle banche un armistizio ma piuttosto uno scambio politico che segni «un nuovo inizio». Non è un'improvvisazione perché il ministro sa benissimo che, in questa fase della crisi del credito, il problema non è solo o tanto quello della liquidità quanto quello della solvibilità e della qualità del portafoglio. Infatti di una miglior deducibilità fiscale delle perdite sui crediti per le banche ne aveva appena parlato il presidente Corrado Faissola nella sua relazione all'assemblea dell'Abi ma, ancor prima e soprattutto, il governatore Mario Draghi nelle Considerazioni finali dell'assemblea annuale della Banca d'Italia di fine maggio e, in seguito, l'Assonime. L'apertura a sorpresa di Tremonti alle banche ricorda lo sconvolgente passaggio dalla guerra alla pace con le Fondazioni di qualche anno fa, ma con una differenza di non poco conto: allora c'era stata una pronunzia della Corte costituzionale a favore delle Fondazioni ad indurre il ministro a tornare sui suoi passi, mentre oggi la scelta di Tremonti è il frutto di una autonoma scelta strategica che ha per obiettivo il sostegno all'economia reale. Dunque, più deducibilità fiscale per le banche sulle perdite di portafoglio in linea con gli standard europei e in cambio di una moratoria bancaria sulle scadenze più pressanti dei crediti delle imprese e di un signficativo rafforzamento della patrimonializzazione delle imprese. Il senso dello scambio politico suggerito dal ministro è tutto qui e, come in precedenza i Tremonti bond, ha il preciso scopo di spingere le banche – strigliate come non era mai successo prima dal Governatore Draghi in un curioso scambio delle parti – ad aprire con più lungimiranza il rubinetto del credito. Specialmente verso le piccole e medie imprese e senza più l'alibi né delle restrizioni fiscali né dei parametri di Basilea2 e degli Ias che possono e debbono cambiare. Naturalmente resta tutta da verificare e da costruire la strumentazione tecnica necessaria a rendere praticabile l'ipotesi tremontiana. E di questo si comincerà a parlare nel tavolo Governo-banche-imprese dalla settimana prossima. Ma agli osservatori più attenti non è sfuggito che lo stesso presidente dell'Abi, oltre a usare un tono molto conciliante nell'autodifesa della categoria perfino sulla vexata quaestio dei prefetti, abbia trovato il modo di sottolineare in anticipo come il costo per la finanza pubblica dei due interventi fiscali che stanno più a cuore alle banche (la piena deducibilità delle rettifiche di valore su crediti e il regime dell'Iva di gruppo) «non sarebbe rilevante». Mentre «sarebbero notevoli i benefici per le imprese». L'apertura del Governo al confronto, con banche e imprese, in vista di soluzioni innovative e condivise per il rilancio del credito al servizio dell'economia reale è il piatto forte della giornata di ieri, ma non è l'unica incoraggiante novità. Essenziale è il fattore tempo e pertinente appare il carattere di tempestività che il ministro ha voluto dare alla sua proposta («ora, proprio ora, occorre fare qualcosa di più») che potrebbe assumere «la forma di un avviso comune», modulato sulla volontarietà delle banche, non in un orizzonte temporale indefinito o lontano ma «entro il mese di agosto». E meglio ancora sarebbe se, come suggerisce Emma Marcegaglia, un accordo di questa portata potesse maturare già prima delle ferie. franco.locatelli@ilsole24ore.com © RIPRODUZIONE RISERVATA LA MOSSA Il senso dello scambio politico è nella spinta ad aprire con più lungimiranza il rubinetto del credito

Torna all'inizio


Di Pietro attacca l'Italia sull'Herald Tribune: "Democrazia in pericolo" (sezione: Giustizia)

( da "Stampaweb, La" del 09-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ROMA «Appello alla comunità internazionale. La democrazia in Italia è in pericolo»: è il titolo che campeggia a caratteri cubitali della pagina di "advertisement" (pubblicità) sull’International Hearld Tribune acquistata dal leader di Idv Antonio Di Pietro. A destra della pagina c’è una foto gigante di Di Pietro, che sovrasta il simbolo di Idv. Il testo è tutto puntato sul lodo Alfano, il cui meccanismo viene brevemente spiegato in inglese nei contenuti. Dopo le denuncie di incostituzionalità sul testo da parte di «più di 100 costituzionalisti», viene ricordato che il 6 ottobre la Corte costituzionale dovrà pronunciarsi sullo "scudo" per le alte cariche, e raccontata la cena nella casa del giudice della Consulta Mazzella cui presero parte anche Berlusconi ed il ministro della Giustizia Alfano. «Faccio appello - si conclude il messaggio di Di Pietro - alla comunità internazionale perchè faccia circolare queste informazioni ed eserciti la pressione necessaria per assicurare i principi di libertà democratica e di indipendenza della Consulta, così da scongiurare che la nostra democrazia in Italia venga trasformata in una dittatura di fatto».

Torna all'inizio


Francia, nuovo affondo al p2p lo stop arriverà dal giudice (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica.it" del 09-07-2009)

Argomenti: Giustizia

LA GUERRA dura al peer to peer continua, non si lascia certo intimorire dall'accusa di essere anticostituzionale. Il ministro della giustizia francese ha presentato infatti l'Hadopi II, la seconda versione della severissima legge per proteggere il diritto d'autore online. Recepisce e tenta di aggirare la bocciatura che la prima Hadopi ha incassato dal Consiglio costituzionale. Una novità sostanziale è che deve essere un giudice a stabilire la pena per gli utenti colti a fare peer to peer pirata. La prima Hadopi invece dava questo potere a un'autorità amministrativa, calpestando così - come ribadito dal Consiglio Costituzionale - il diritto dell'utente a eque indagini e a difendersi in un processo. La pena, a discrezione del giudice, potrà essere un anno di sospensione dell'accesso a internet, multa fino a 300 mila euro o due anni di galera. Il che farebbe comunque dell'Hadopi una delle più severe leggi anti-peer to peer al mondo. Resta il meccanismo dei tre colpi: l'utente riceve un primo e un secondo avviso, dal proprio provider (del tenore: "ti abbiamo scoperto a fare peer to peer, smetti immediatamente"). Al terzo sgarro, si procede con l'iter giudiziario (mentre secondo la precedente Hadopi, a questo punto scattava subito la sanzione). Ma non è finita. La nuova Hadopi si preoccupa anche di un caso: se l'abbonato a internet non coincide con l'autore "del delitto", cioè se è una terza parte a utilizzare la connessione per fare peer to peer. In questo caso, l'abbonato è punito per negligenza, a una multa fino a 1.500 euro e a una sospensione dell'abbonamento per massimo un mese. Chi perde l'accesso internet non può attivarlo con un altro provider: rischia una multa aggiuntiva di 3.750 euro. Multa anche per il provider se non ubbidisce all'ordine del giudice di scollegare l'utente entro 15 giorni: 3.750 euro. OAS_RICH('Middle'); Il testo della legge è passato oggi al Senato francese, il 21 sarà al vaglio e poi andrà Assemblea (sono due rami che funzionano in modo simile ai nostri Camera e Senato). Sarkozy ha già detto che intende accelerare i tempi perché l'Hadopi diventi legge a tutti gli effetti, completa anche delle sanzioni (che ora mancano, dopo la bocciatura del Consiglio). "La nuova Hadopi, accettando che si debba passare da un iter giudiziario, recepisce una critica fatta dal Consiglio. Resta in piedi un secondo appunto, però: la sproporzione tra la colpa e la pena, cioè tra peer to peer e la sospensione dell'accesso internet, perché il Consiglio considera quest'ultimo un diritto inalienabile dei cittadini", spiega Guido Scorza, avvocato tra i massimi esperti di internet e diritto d'autore. È sempre possibile, insomma, che la Corte Costituzionale, chiamata di nuovo a pronunciarsi, bocci alcuni aspetti dell'Hadopi. Anche se così fosse, però, le altre pene (super multa e fino a un anno di carcere) sarebbero sufficienti come deterrente. Il punto però è un altro: resta da vedere la reale efficacia dell'Hadopi, dal momento che tutto dovrà passare da indagini e processi. È impensabile che i tribunali vengano sommersi da cause contro utenti peer to peer (problema che la prima Hadopi pensava di aggirare appunto con un'Autorità dai super poteri). È possibile quindi che si farà come già avviene ora in Italia: cause contro gli utenti che più creano problemi al diritto d'autore, cioè quelli che hanno un proprio server peer to peer o che condividono una grande quantità di album (magari "pre-release", cioè prima che escano nei negozi). Si è già visto come questa strategia, adottata in Italia da anni, riesca solo, forse, a rallentare la crescita del peer to peer; non a fermarlo. Improbabile che la Francia abbia migliore fortuna, a meno che non decida di dedicare risorse extra per combattere gli utenti peer to peer. (9 luglio 2009

Torna all'inizio


Oggi la decisione dei giudici (sezione: Giustizia)

( da "Corriere delle Alpi" del 10-07-2009)

Argomenti: Giustizia

CASO DE VALIERE Oggi la decisione dei giudici FALCADE. è attesa per oggi la decisione dei giudici della Corte d'Appello di Belluno (presidente Arturo Toppan) sulla richiesta avanzata dalla procura della Repubblica di sospendere il processo ad Aziz Moulay, il presunto omicida di Federico De Valiere. Una decisione che si terrà rigorosamente stamane nonostante, voci di corridoio, parlassero di un orientamento ad accogliere la richiesta della procura. In realtà richieste di questo tipo, come trapela dal palazzo di giustizia, sarebbero state rigettate in diversi casi dalla Corte Costituzionale. Da qua lo scioglimento della riserva nella stessa giornata di oggi.

Torna all'inizio


Di Pietro: In Italia democrazia a rischio (sezione: Giustizia)

( da "Corriere delle Alpi" del 10-07-2009)

Argomenti: Giustizia

LA DENUNCIA SUL «TRIBUNE» Di Pietro: «In Italia democrazia a rischio» Il leader dell'Idv ha acquistato una pagina sul giornale inglese per scongiurare «il grande pericolo di una dittatura di fatto» ROMA. Antonio Di Pietro ha comprato a Londra una pagina dell'Herald Tribune, e altre ne pagherà, per denunciare e scongiurare il rischio che la democrazia italiana «venga trasformata in una dittatura di fatto». Accanto al testo c'è una sua grande foto, oltre al simbolo dell'Italia dei valori. La denuncia è così argomentata: più di cento esperti della materia hanno definito incostituzionale il lodo Alfano, che salva da ogni processo le quattro più alte cariche dello Stato. Il 6 ottobre ci sarà la pronuncia della Corte costituzionale. Berlusconi e il suo ministro della giustizia Alfano hanno cenato in casa di Mazzella, presente Paolo Maria Napolitano, che come lui fa parte della Consulta. La comunità internazionale, dice Di Pietro, eserciti pressioni perché la Corte sia libera di decidere in piena indipendenza. Oggi, questo appello sarà pubblicato anche sul «The Guardian», per ribadire - dice Di Pietro - «che in Italia c'è il pericolo di una informazione controllata che nasconde le notizie». Tra i commenti, uno del ministro Rotondi difende il lodo Alfano, dicendo che è «uguale alle leggi di altri paesi europei». Santo Versace, Pdl, parla di «colpo di sole» e di denigrazione della democrazia, al solo scopo di attaccare Berlusconi. E così a nome dei giovani Pdl, Francesco Pasquale dice che Antonio Di Pietro «è ancora peggiore dei no global».(r.v.)

Torna all'inizio


Cassazione, c'è rimedio all'errore (sezione: Giustizia)

( da "Italia Oggi" del 10-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ItaliaOggi sezione: Diritto e Fisco data: 10/07/2009 - pag: 32 autore: Pagina a cura di Antonio Ciccia CORTE COSTITUZIONALE/ Secondo i giudici diritto di difesa violato dall'irrimediabilità Cassazione, c'è rimedio all'errore Lo sbaglio di tipo materiale rende revocabile l'ordinanza C'è rimedio agli errori materiali della cassazione.E' questo il principio espresso ieri con ordinanza della Corte Costituzionale. Con l'ordinanza (n. 207, redattore Paolo Grossi) la Consulta ha statuito che sono revocabili per errore di fatto le ordinanze pronunciate dalla Corte di cassazione che dichiarano inammissibile il ricorso. La Corte costituzionale, con l'ordinanza in esame, ha dichiarato l'illegittimità parziale dell'articolo 391-bis, primo comma, del codice di procedura civile, appunto nella parte in cui non prevede la revocazione per errore di fatto, ai sensi dell'art. 395, primo comma, n. 4), codice procedura civile, per le ordinanze pronunciate dalla Corte di cassazione a norma dell'art. 375, primo comma, n. 1), dello stesso codice.A rivolgersi alla Consulta è stata la stessa cassazione in un caso un cui è stato dichiarato inammissibile un ricorso per cassazione, in quanto non era stata chiamata in guidizio una parte del tutto estranea al processo, ma indicata dalla stessa cassazione.Contro questa ordinanza la parte interessata (a coltivare il ricorso in cassazione) ha proposto la revocazione delll'ordinanza per errore materiale e da qui è venuto fuori il problema di legittimità costituzionale, in quanto la norma processuale di riferimento non prevede la possibilità di impugnazione.A questa lacuna ha rimediato la Consulta con l'ordinanza in esame. Il problema riguarda l'articolo 395, primo comma, numero 4), del codice di procedura civile, che esclude la revocazione per le ordinanze pronunciate in camera di consiglio a norma dell'articolo 375, primo comma, numero 1), del medesimo codice, con le quali venga dichiarata la inammissibilità del ricorso per cassazione. Una norma di questo tipo è stata ritenuta contrastante con il principio di uguaglianza (articolo 3 della costituzione) e con il diritto di difesa (articolo 24 della costituzione). Ha osservato, infatti, la consulta che il diritto di difesa risulterebbe gravemente violato se l'errore di fatto non fosse rimediabile quando è commesso dalla cassazione. Se il giudice sbaglia e da qui ne deriva una grave ingiustizia (l'impossibilità di celebrare un grado di giudizio) e se non fosse possibile porre rimedio attraverso uno specifico istituto processuale, allora veramente si concretizza l'illegittimità costituzionale. Da qui la conseguenza che in presenza di un errore di tipo “percettivo” causa della declaratoria di inammissibilità del ricorso, a norma dell'articolo 375, primo comma, numero 1), codice procedura civile, deve essere ammessa la revocazione; poiché l'articolo 391-bis del medesimo codice non lo prevede, la consulta lo ha bocciato e lo ha integrato, con la conseguenza che, per effetto della sentenza in esame è possibile la revocazione per errore di fatto.

Torna all'inizio


Società miste out (sezione: Giustizia)

( da "Italia Oggi" del 10-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ItaliaOggi sezione: Enti Locali data: 10/07/2009 - pag: 12 autore: di Andrea Mascolini Il Tar Sicilia ha escluso un raggruppamento di imprese Società miste out Vietato affiancarle in una gara Un concorrente ad una gara di appalto non può presentarsi in raggruppamento con una società mista perché a queste ultime è vietata la partecipazione alle gare; in questi casi la stazione appaltante non deve ammettere il raggruppamento alla gara; il divieto previsto dalla legge Bersani è oggettivo e imperativo, oltre che legittimato dalla Corte costituzionale. È quanto afferma il Tar Sicilia, sezione terza, con la sentenza del 18 giugno 2009, n. 1161, che prende in esame la questione della partecipazione delle società miste alle gare di appalto, con argomentazioni che si caratterizzano per la loro completezza e chiarezza e che prendono in esame profili di diritto nazionale e comunitario. La vicenda riguardava una gara bandita dal comune di Messina per l'affidamento del servizi di ingegneria e architettura di importo presunto pari a 500 mila euro. La procedura di verifica dei requisiti, condotta sui primi due in graduatoria è stata negativa, pertanto il comune ha aggiudicato l'appalto alla terza classificata, dopo regolare verifica sui requisiti dichiarati. Il primo in graduatoria impugna l'aggiudicazione ma il Tar censura a monte il fatto che il ricorrente sia stato ammesso a partecipare alla gara. Infatti, il concorrente si presentava in raggruppamento con una società partecipata, fra l'altro, dalla provincia regionale di Messina, dal Consorzio Asi della provincia di Messina, dal comune di Milazzo, oltre che dallo stesso comune di Messina che bandiva la gara. Il raggruppamento, quindi, proprio in virtù della partecipazione della spa mista a fianco del progettista, non doveva neanche essere ammesso a partecipare alla procedura di affidamento, anche perché sarebbe incorso nella connessa incapacità legale e a contrarre prevista dall'articolo 13 del decreto legge n. 223 del 2006, come modificato e convertito dalla legge n. 296/06 (legge Bersani). La sentenza entra quindi nel merito della ratio della norma prendendo innanzitutto le mosse dall'orientamento della Corte di giustizia ed evidenziando come essa abbia considerato le società miste «un elemento di disturbo del mercato privato», puntando alla tendenziale esclusività della attività economica a favore dell'azionista. La nostra giurisprudenza, sottolinea la sentenza dei giudici siciliani, si è espressa analogamente ponendo in luce il rischio che la partecipazione della spa mista determini situazioni di privilegio per alcune imprese, quando queste ultime usufruiscano, sostanzialmente, di un aiuto di stato, vale a dire di una provvidenza economica pubblica atta a diminuirne o coprirne i costi. Si tratta, dice la sentenza, di un privilegio che non deriva tanto da un contributo diretto, quanto da una «posizione di mercato avvantaggiata rispetto alle altre imprese». In altre parole, avendo la spa mista una partecipazione sul mercato garantita e sicura è come se disponesse di una sorta di minimo garantito che consente alla società di essere competitiva nelle gare pubbliche oltre che sul mercato privato. Il Tar afferma che in questo modo si «induce e incoraggia il capitalismo di stato» e si determina «l'espulsione delle imprese private marginali». In questo quadro di tendenziale disfavore che vedeva le spa miste partecipare a gare previa verifica da parte delle commissioni giudicatrici del fatto che esse non avessero distolto risorse e mezzi per i servizi da rendere alla collettività di riferimento, si inserisce la norma del 2006 che introduce una violazione oggettiva e «imperativa», come di recente ha affermato la giurisprudenza amministrativa. La norma della legge Bersani, sottolinea il Tar Sicilia, ha anche superato il vaglio di costituzionalità (Corte costituzionale, 1° agosto 2008, n. 236) dal momento che è stato riconosciuto che norme come quella sul divieto di extraterritorialità «rientrano nella competenza esclusiva del legislatore statale perché funzionali alla definizione dei confini tra l'attività amministrativa e l'attività di impresa soggetta alle regole del mercato». La ratio delle limitazioni per le società miste risiede quindi proprio nella tutela dell'interesse pubblico su quello privato, «rafforzando e tutelando il libero gioco della concorrenza, assicurando una parità effettiva fra tutti gli operatori economici».

Torna all'inizio


Dalla Consulta il segnale atteso è arrivato. Se ieri mattina, nel Transatlantico pr... (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 10-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Dalla Consulta il «segnale atteso» è arrivato. Se ieri mattina, nel Transatlantico praticamente deserto, ci si accostava agli sparuti capannelli di deputati, si sentiva parlare solo di questo. Cioè della sentenza con cui la Corte Costituzionale ha annullato il rinvio a giudizio del ministro Altero Matteoli per favoreggiamento in una storia di abusi edilizi. Il «segnale atteso», però, non riguarda la figura dell'allora ministro dell'Ambiente, né tanto meno le prerogative della Camera (che adesso dovrà decidere se il reato per il quale Matteoli era stato rinviato a giudizio sia o meno di pertinenza del tribunale dei ministri). Il punto è un altro e, come spiegava ieri mattina un tecnico del diritto ad un gruppetto di deputati, riguarda l'orientamento della Consulta in materia di guarentigie delle cariche istituzionali. Infatti se è vero che ci sono «evidenti differenze», come faceva notare uno degli ex avvocati di Silvio Berlusconi, è altrettanto vero che (come avrebbe anche confermato un membro del Csm) la decisione su Matteoli consente di immaginare la strada che prenderà la Consulta quando dovrà esaminare il Lodo. Nemmeno nel Popolo delle libertà si attendevano una buona notizia in tempi così rapidi: tanto è vero che, tre giorni fa, i commissari del Pdl della Giunta per le autorizzazioni di Montecitorio avevano chiesto che sulla vicenda dell'ex ministro dell'Ambiente fosse comunque presa una decisione, anche in pendenza di giudizio. Eppure che qualcosa si stessa muovendo lo si sarebbe potuto intuire dall'attivismo dell'avvocato Niccolò Ghedini. Nel pomeriggio di mercoledì, con tutta la maggioranza chiusa in Aula a votare, ha avuto almeno cinque incontri bilaterali (stile G8) con diversi interlocutori, tra i quali il presidente della commissione giustizia del Senato Berselli. A questo punto è difficile dire se la tregua per il G8, alla quale ha lavorato il presidente Napolitano, metterà al riparo la Corte costituzionale dai commenti che, nell'informalità della buvette, ancora ieri veniva fatti sulla «inopportunità della cena a casa del giudice Mazzella» La famosa cena alla quale presero parte, con Gianni Letta e il presidente del Consiglio, due giudici della Consulta e il ministro della Giustizia.

Torna all'inizio


Ha battezzato il secondo giorno del G8 attaccando il governo dalle colonne dell'Herald Tribune<... (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 10-07-2009)

Argomenti: Giustizia

SUSANNA TURCO Ha battezzato il secondo giorno del G8 attaccando il governo dalle colonne dell'Herald Tribune, grazie a una pagina comprata dal suo partito per rivolgere un appello alla comunità internazionale. E oggi, ultima giornata del summit, farà altrettanto con il Guardian. È l'ultima strategia comunicativa di Antonio Di Pietro: «L'ho fatto perché la stampa italiana parla di forma e si occupa del nulla», spiega lo stesso ex pm sul suo blog. Così, mentre il Financial Times (smentito da Palazzo Chigi) ventila l'ipotesi di un G8 "intercettato" - ossia dotato di un sistema di collegamenti audio per consentire alla delegazione italiana di ascoltare ciò che dicono le altre -, l'edizione europea dell'Herald Tribune pubblica a caratteri cubitali il titolo dipietrista: «Democracy is in danger in Italy, la democrazia in Italia è in pericolo». Il testo dell'appello è centrato sul lodo Alfano - il cui meccanismo viene brevemente spiegato in inglese - e sulla prossima decisione della Corte Costituzionale, già compromessa, secondo il leader Idv, dalla cena di Berlusconi a casa del giudice Luigi Mazzella. L'ex pm chiede ai governi dei paesi amici di esercitare «la pressione necessaria» per assicurare che la Consulta decida in piena libertà «così da scongiurare che la nostra democrazia venga trasformata in una dittatura di fatto». Oggi, su The Guardian, Di Pietro ribadirà che «c'è il pericolo di una informazione controllata che nasconde le notizie e il rischio di una deriva anti-costituzionale». «Continueremo ad acquistare spazi sui quotidiani internazionali», ha spiegato il leader Idv, «perché abbiamo visto che in Italia una forza politica dell'8 per cento può essere completamente oscurata». L'iniziativa dell'Idv, che ovviamente non piace al centrodestra, è accolta con freddezza anche dal Pd, più attento alla tregua chiesta da Napolitano per il G8. Enrico Letta lo dice esplicitamente: «Non penso che la democrazia sia in pericolo». La polemica

Torna all'inizio


Revocazione a tutto campo (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 10-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-10 - pag: 30 autore: Processo civile. Più chance per far valere l'errore di fatto in Cassazione Revocazione a tutto campo ROMA La revocazione per errore di fatto può essere utilizzata, al termine di una causa, anche in presenza di un errore "percettivo" che abbia determinato ladichiarazione di inammissibilità del ricorso ( pronunciata in camera di consiglio) dalla Cassazione, con la conseguenza di rendere definitiva la pronuncia impugnata. L'effetto estensivo dell'ambito di applicazione della "revocazione" deriva dalla sentenza n. 207 – depositata ieri – con cui la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'articolo 391-bis, primo comma, del Codice di procedura civile (come modificato dall'articolo 16 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40) per violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione, appunto, «nella parte in cui non prevede l'esperibilità del rimedio della revocazione per errore di fatto, ai sensi dell'articolo 395, primo comma, n. 4), del codice di procedura civile, per le ordinanze pronunciate dalla Corte di cassazione a norma dell'articolo 375, primo comma, n. 1), dello stesso Codice». In pratica, spiega la Consulta, condividendo nel suo ragionamento le considerazioni svolte proprio dalla Cassazione che aveva sollevato la questione nell'agosto del 2008: «(...) risulterebbe priva di ragionevolezza la scelta normativa di circoscrivere l'istituto della revocazione per errore di fatto alle sole ordinanze della Corte di cassazione, le quali, all'esito della procedura camerale di cui all'articolo 375 del Codice di rito, accolgono o respingono il ricorso nel merito o lo dichiarano inammissibile per mancanza dei motivi o difetto dei quesiti, precludendo, invece, la possibilità di adottare il rimedio straordinario - il cui scopo è quello di "eliminare una decisione fondata su un accertamento la cui verità è smentita e contraddetta dalle risultanze di causa" - in riferimento alle altre ordinanze che abbiano dichiarato inammissibile il ricorso per altre ragioni». Secondo la Corte costituzionale – che ha richiamato in proposito diversi precedenti su materie affini – il diritto di difesa, garantito in ogni stato e grado del procedimento dall'articolo 24, secondo comma, della Carta fondamentale, «risulterebbe gravemente offeso» se l'errore di fatto, così come descritto dall'articolo 395, primo comma, numero 4), del codice di procedura civile (si tratta dell'errore di fatto determinate sull'esito della controversia e risultante dagli atti o documenti della causa) «non fosse suscettibile di emenda per essere stato commesso dal giudice cui spetta il potere-dovere della nomofilachia». M. Bel. © RIPRODUZIONE RISERVATA IMPUGNAZIONI Il rimedio è utilizzabile anche per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso pronunciata dalla Cassazione in camera di consiglio

Torna all'inizio


Liti sul sommerso al giudice ordinario (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 10-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-10 - pag: 30 autore: Sanzioni. Decisione a Sezioni unite Liti sul sommerso al giudice ordinario Antonio Iorio La carenza di giurisdizione delle commissioni tributarie per le sanzioni irrogate dall'agenzia delle Entrate in materia di lavoro nero comporta la cassazione delle eventuali sentenze pronunciate dai giudici tributari e la rimessione delle parti innanzi al giudice del lavoro. A stabilirlo sono le Sezioni unite civili della Corte di Cassazione con la sentenza 15846, depositata il 7 luglio. La pronuncia dovrebbe completare il quadro in materia di sanzioni per lavoro nero, dopo vari interventi sia delle Sezioni unite sia della Corte costituzionale. La circolare interamministrativa 56/ 2002 aveva sostenuto la giurisdizione delle Commissioni tributarie per le sanzioni amministrative in materia di lavoro nero irrogate dall'agenzia delle Entrate. Nel medesimo senso si erano espresse le Sezioni unite della Corte di cassazione, intervenute più volte. Successivamente, la Corte costituzionale (sentenza 130/ 2008) ha radicalmente mutato il quadro interpretativo desumibile dall'indirizzo della giurisprudenza di legittimità, sottraendo alle commissioni tributarie la giurisdizione in materia di sanzioni per l'utilizzo di lavoratori irregolari, in quanto conseguenti a violazioni di disposizioni che non hanno natura tributaria. In particolare, la Corte costituzionale ha evidenziato che l'attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi natura tributaria comportava la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali e che l'illegittima attribuzione poteva derivare, direttamente, da una espressa disposizione legislativa che ampliava la giurisdizione tributaria a materie non tributarie ovvero, indirettamente, dall'erronea qualificazione di "tributaria" data dal legislatore (o dall'interprete) a una particolare materia. Con la sentenza depositata nei giorni scorsi (15846/2009) le Sezioni unite hanno ora chiarito che la carenza di giurisdizione delle commissioni tributarie determina la necessità di cassare eventuali decisioni emesse da quei giudici e, in base al principio della translatio iudicii dal giudice ordinario al giudice speciale e viceversa, occorre rimettere le parti innanzi al giudice ordinario ( giudice del lavoro) come per le controversie in materia di previdenza obbligatoria. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna all'inizio


Il marchio radio-tv nazionale non prevale su quello locale (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 10-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-10 - pag: 30 autore: Corte Costituzionale. Illegittima la norma antitrust Il marchio radio-tv nazionale non prevale su quello locale Alessandro Galimberti Il divieto di utilizzo di un marchio radiotelevisivo locale che ne richiama uno nazionale, anche se il primo è più risalente o addirittura registrato, è incostituzionale. La Consulta, con la sentenza 206/2009 depositata ieri, ha accolto il ricorso del circuito locale «Radio Kiss Kiss Italia» contro la norma che, nel caso specifico, favoriva la rete nazionale «Radio Kiss Kiss Network», e ha dichiarato incompatibile con la Carta l'articolo 2, comma 2-bis, della legge 78/ 1999 («Norme per losviluppo equilibrato dell'emittenza televisiva e per evitare la costituzione o il mantenimento di posizioni dominanti nel settore radiotelevisivo»). La legge in vigore, in sostanza, crea un doppio binario (locale e nazionale) per l'utilizzo dei marchi identificativi delle emittenti, ma impone un sacri-ficio unidirezionale, e anche retroattivo, nei casi di sovrapposizione totale o parziale dei segni " aziendali":a perderci,stando all'articolo 2, comma 2-bis, è sempre e solo il marchio locale, che deve cedere il passo a quello conosciuto su una scala territoriale più vasta. Eppure in tutti i gradi di giudizio amministrativo, Radio Kiss Kiss Italia – che trasmette nel Lazio e in Campania in virtù della concessione rilasciata nel marzo del '94 – si era vista superare dal network nazionale: sia l'Agcom sia il Tar del Lazio avevano diffidato l'emittente regionale dall'utilizzo del marchio del network più esteso (e anch'esso, tra l'altro, sostenuto da regolare licenza, comunque successiva). Diversi i punti di «irrazionalità » della legge messi in luce dai giudici costituzionali, a cominciare dalla retroattività dell'articolo 2: vero è che questa «è manifestazione della discrezionalità del legislatore», ma «l'emanazione di leggi con efficacia retroattiva incontra una serie di limiti» che salvaguardano, tra l'altro «fondamentali valori di civiltà giuridica, tra i quali il rispetto del principio generale di ragionevolezza e di eguaglianza e la tutela dell'affidamento legittimamente sorto». Pertanto la norma è «intrinsecamente irrazionale, perché», contraddicendo la sua stessa natura, «confligge con la libertà economica di disporre del marchio e con la libertà spettante a tutti di manifestare il proprio pensiero». In sintesi, l'articolo 2 della legge 78/99 riduce «l'effettività dell'accesso al mercato delle comunicazioni alle emittenti non aventi dimensioni nazionali ». La scelta di politica legislativa di privilegiare i network più grandi non è comunque, per il futuro e in linea di principio, esclusa «ma è irragionevole incidere su diritti già legittimamente acquisiti sulla base di una normativa anteriore, quando questi ultimi non solo non contrastano con norme costituzionali, ma concorrono a realizzarne le finalità». Invece, a oggi, per inquadrare la questione con i motivi del ricorso, «la preferenza indiscriminata accordata alle emittenti nazionali si risolve in un privilegio lesivo del principio di uguaglianza, in quanto, da un lato, opera a danno di soggetti normalmente più deboli e, dall'altro, sovverte lo statuto dell'emittenza radiotelevisiva, che invece riconosce alle emittenti locali un pieno titolo costituzionale per l'esercizio della loro attività». © RIPRODUZIONE RISERVATA POSIZIONE DOMINANTE Secondo la Consulta l'articolo censurato urta con i principi di libera iniziativa economica e di manifestazione del pensiero

Torna all'inizio


Consolo: attacchi assurdi contro di me, ora è stata fatta giustizia (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 10-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Cronache data: 10/07/2009 - pag: 23 Il difensore Consolo: attacchi assurdi contro di me, ora è stata fatta giustizia ROMA «E' una bella soddisfazione». Giuseppe Consolo, deputato Pdl, difensore del ministro Matteoli, esulta per la sentenza della Corte costituzionale. «Questa decisione premia chi ha fiducia nella giustizia. Io ero convinto di aver ragione e oggi la pronuncia della Consulta suona come una conferma di quello che io sostenevo». Lei aveva presentato una proposta di legge riguardante i reati ministeriali. «Per l'esattezza, il mio progetto di legge intendeva semplicemente regolare l'applicazione di una legge costituzionale che risale al 1989 e riguarda, appunto, chi ha competenza a stabilire se un reato attribuito a un ministro è commesso nell'esercizio delle sue funzioni». Ora che la Consulta ha detto chiaramente che la decisione spetta alla Camera, la sua proposta diventa superflua. «Infatti non è più necessario discuterla. Però non posso dimenticare che per aver semplicemente prospettato una soluzione logica, un modo per fare chiarezza su una materia delicata, sono diventato oggetto di attacchi e a volte di scherno. Addirittura qualcuno è arrivato a coniare l'espressione lodo Consolo, attribuendomi l'intenzione di voler estendere l'immunità ai ministri anche per i reati comuni. Una cosa assurda». Lei fa parte della giunta per le autorizzazioni che deve decidere su Matteoli. «Come suo difensore, naturalmente mi asterrò al momento del voto». M.Ne. Pdl Giuseppe Consolo

Torna all'inizio


Matteoli, nullo il rinvio a giudizio (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 10-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Cronache data: 10/07/2009 - pag: 23 Conflitto La Consulta dà torto al giudice: sarà la Camera a dire se il ministro sarà processato Matteoli, nullo il rinvio a giudizio ROMA Sarà la Camera a decidere se il ministro dei Trasporti Altero Matteoli dev'essere processato o no. Lo ha stabilito la Corte costituzionale, sciogliendo un conflitto che si era venuto a creare fra Montecitorio e due uffici giudiziari di Firenze e Livorno. E' l'epilogo di una vicenda cominciata nel 2003, quando Matteoli era ministro dell'Ambiente. Durante una telefonata, chiese al prefetto di Livorno se fosse indagato per abusi edilizi commessi sull'isola d'Elba. Il prefetto non aveva ancora ricevuto comunicazione dell'indagine a suo carico. Perciò le parole del ministro furono considerate illecite. Fu aperta un'inchiesta che contemplava i reati di favoreggiamento e rivelazione di segreti d'ufficio. Quando però il pubblico ministero di Livorno esaminò la faccenda gli sembrò che non comportasse reati e chiese l'archiviazione. Invece il Gip, il giudice per le indagini preliminari, ritenne che ci fossero le condizioni per mantenere aperto il caso. E mandò avanti il procedimento senza chiedere l'autorizzazione a procedere. Giudicava la telefonata di Matteoli un atto non compiuto nelle funzioni di ministro. Perciò non comportava la necessità di un via libera parlamentare. A questo punto, però, la Camera dei deputati insorse. Era presidente a Montecitorio Fausto Bertinotti, durante il governo Prodi. L'aula approvò a larga maggioranza la decisione di trasmettere il quesito alla Corte costituzionale, perché decidesse chi deve stabilire se un reato può essere considerato ministeriale o no. In altre parole, un magistrato può procedere contro un ministro se giudica che il reato a lui attribuito non è stato commesso nelle funzioni ministeriali? Nel frattempo l'avvocato Giuseppe Consolo (deputato di An), difensore di Matteoli, aveva presentato un progetto di legge che chiariva una norma costituzionale del 1989, riguardante appunto i reati ministeriali. Il testo non è stato mai discusso, e ora è superato dalla pronuncia della Consulta che, secondo alcune indiscrezioni, è stata presa a maggioranza. Il relatore della causa, il vicepresidente Ugo De Siervo, si sarebbe dissociato, per cui sarà un altro giudice a scrivere le motivazioni. Ora che il dilemma è stato chiarito, il caso Matteoli dovrà essere esaminato dalla Camera. La giunta per le autorizzazioni di Montecitorio se ne occuperà mercoledì prossimo, 15 luglio. Già nella seduta del 7 luglio scorso la giunta aveva esaminato il caso e i membri del Pdl avevano chiesto di archiviare la pratica. Ma Donatella Ferranti, del Pd, aveva obiettato che era imminente una pronuncia della Corte costituzionale ed era opportuno attendere che i supremi giudici facessero conoscere il loro parere, che ora è arrivato, e suona favorevole alla tesi di Matteoli. Marco Nese Il ministro Altero Matteoli è accusato di violazione del segreto istruttorio e favoreggiamento

Torna all'inizio


UNA STRANA IDEA DI DEMOCRAZIA (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 10-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 10/07/2009 - pag: 1 DI PIETRO E L'APPELLO SUI GIORNALI STRANIERI UNA STRANA IDEA DI DEMOCRAZIA di PIERO OSTELLINO S e non è un tentativo di indurre Paesi terzi a interferire nella nostra politica interna, è una manifestazione di sfiducia nelle istituzioni repubblicane alle quali, come parlamentare, ha giurato fedeltà. Non ci sono altre parole per definire l'«appello» di Di Pietro alla «Comunità internazionale» pubblicato a pagamento sull'Herald Tribune affinché eserciti «la necessaria pressione per assicurare che i principi della libertà democratica e di indipendenza della Corte costituzionale siano sostenuti al fine di impedire che la democrazia in Italia si trasformi in una dittatura di fatto». aggiunge le prerogative del presidente della Repubblica. Già approvata dal Parlamento e controfirmata dal presidente, sarà giudicata, il 6 ottobre, dalla Corte costituzionale. Che, poi, come scrive Di Pietro nel suo appello, «secondo il pronunciamento di oltre 100 costituzionalisti, la legge Alfano sia stata definita incostituzionale perché viola l'articolo 3 della Costituzione italiana secondo il quale 'tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge' », è un'opinione legittima quanto quella contraria, rientra nel fisiologico dibattito politico democratico, ma non fa, evidentemente, testo. Antonio Di Pietro, come laureato in legge, ex magistrato, parlamentare, tutto ciò lo dovrebbe sapere. Se con l'«appello alla comunità internazionale » egli mostra di ignorarlo, vuol dire non solo che non sa che cosa sia la democrazia liberale, non solo che non crede che l'Italia lo sia, ma che ha un'idea della democrazia alquanto inquietante. Qui, la situazione giudiziaria di Silvio Berlusconi non c'entra. Siamo di fronte a un parlamentare che delegittima oltre che una maggioranza di governo liberamente eletta, la qual cosa rimane ancora nei limiti del confronto politico anche il Parlamento, il presidente della Repubblica e dubita persino della legittimità della Corte costituzionale, che potrebbe nei prossimi mesi respingere, senza scandalo, il lodo Alfano. Uno spirito, quello di Di Pietro, autoritario che mal sopporta, oggi, di fare politica dentro il perimetro costituzionale, e che così facendo getta anche qualche ombra sul suo passato di magistrato. postellino@corriere.it

Torna all'inizio


Carceri, l'allarme di Mancino "Misure urgenti contro il sovraffollamento" (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica.it" del 10-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ROMA - Il vice-presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Nicola Mancino, auspica "la rapida adozione di misure che possano attenuare l'attuale situazione di disagio dovuta al sovraffollamento delle carceri". Mancino si è così espresso portando il suo saluto alla riunione del Coordinamento Nazionale dei Magistrati di sorveglianza che si è tenuta nella Sala Conferenze del Consiglio Superiore della Magistratura. L'ex presidente del Senato, dopo aver richiamato i principi costituzionali che presiedono all'esecuzione della pena (funzione rieducativa, garanzia dell'inviolabilità personale anche nei confronti di chi è sottoposto a legittime restrizioni della libertà, divieto di trattamenti contrari al senso di umanità), ha sostenuto che "in tale prospettiva risulta ancora più evidente la gravità dell'attuale sovraffollamento delle carceri, che, di fatto, si traduce in un ostacolo all'attuazione del percorso rieducativo dei detenuti e, più in generale, alla realizzazione dei loro diritti fondamentali e, segnatamente, del diritto alla salute". Infine, Mancino si è soffermato sull'applicazione dell'art.41 bis dell'ordinamento che prevede l'adozione di un regime carcerario maggiormente afflittivo in funzione di una più efficace lotta alla criminalità organizzata. Il vice presidente del Csm ha ricordato la delibera del 10 giugno 2009 approvata dal Consiglio che, pur esprimendo parere favorevole alle norme del "pacchetto sicurezza" in tema di regime carcerario duro, ha evidenziato l'obbligo di "dare attuazione ai principi affermati dalla Corte Costituzionale e, dunque, a consentire che il regime in oggetto venga applicato conformemente alla Costituzione". OAS_RICH('Middle'); (10 luglio 2009

Torna all'inizio