CENACOLO DEI COGITANTI |
La ripresa Si vedrà solo a
fine 2010 e sarà fiacca . Resta l'incognita dell'andamento dei mercati
finanziari ( da "Stampa,
La" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: La ripresa Si vedrà solo a fine
2010 e sarà «fiacca». Resta l'incognita dell'andamento dei mercati finanziari
L'appello dei sindacati
mondiali al G8: fate come con le banche
( da "Stampa, La" del
30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Sapendo che sarà una ripresa
«fiacca» appesa al destino dei mercati finanziari: solo se questi usciranno
rapidamente dall'instabilità degli ultimi due anni si vedrà la ripresa (quella
fiacca). Il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, all'apertura del G8 dedicato
a previdenza e lavoro ieri a Roma s'è trovato pressato.
Madonna vola in Malawi per
adottare una bambina ( da "Stampa,
La" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: «Faccio cinema per me e per il mio
pubblico. E il botteghino è importante. Ci sono una crisi finanziaria, le
guerre, il riscaldamento globale. La gente ha bisogno di evasione e di
intrattenimento. Ed è una cosa buona per l'industria del cinema, che dà lavoro
a tanta gente».
GENTE AL POTERE, E
CAMBIATELO QUESTO SISTEMA FINANZIARIO
( da "Wall Street Italia"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: attuale crisi è anche una crisi
degli Stati Uniti e del dollaro e non può essere superata solo con il
cambiamento di alcune regole del sistema finanziario. Occorre invece un nuovo
sistema monetario che tenga conto dei mutati rapporti di forza a livello
internazionale.
Sbarca in Europa la nuova
America ( da "Giornale
di Brescia" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: America gravemente indebolita dalla
crisi finanziaria. È una crisi che ha provocato un ripensamento del «modello
americano» finora presentato come il migliore con la sua enfasi sulla libertà
dei mercati e sulla deregulation (il fattore all'origine della crisi). È una
situazione che indebolisce la posizione di Obama in vista del G20 di Londra.
di Piermaurizio Di Rienzo
Ristoranti milanesi sempre meno affo...
( da "Leggo" del
30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: solo genericamente riconducibili
alla crisi finanziaria internazionale. Esistono, infatti, alcuni fattori, tutti
milanesi: dalla scarsa attrattività delle zone più periferiche, al calo dei
turisti, dovuto anche al ridimensionamento di Malpensa. In base alle cifre
fornite dall'Unione del Commercio di Milano, le prenotazioni alberghiere
raccolte nei dodici mesi dello scorso anno al "
dal forum sociale in
brasile alla conferenza in via matteotti
( da "Tirreno, Il" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: incontrati di fronte a qualcosa
come diecimila persone per dire la loro sulla sfida della crisi finanziaria in
atto nel mondo. Da quell'esperienza nasce la conferenza-dibattito che è stata
organizzata questa sera a Viareggio dalle Cooperative "Giacomo
Matteotti" e "Indipendenza 1973" e che ha come relatore Renzo
Concezione. Appuntamento alle 21 nella sala Giannessi, via Matteotti 180.
l'ocse: dal 2010
disoccupato il 10% ( da "Messaggero
Veneto, Il" del 30-03-2009)
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Crisi
Abstract: E questo mentre già «nel 2008 il
numero di disoccupati mondiale è aumentato di 11 milioni, dopo quattro anni
consecutivi di calo». L'ente dell'Onu avverte che l'economia reale è stata
«significativamente colpita dalla crisi finanziaria, e le prospettive sono le
peggiori dai tempi della Depressione sdel 1929».
La recessione nel mondo e
la partita tra Cina e Usa ( da "Bresciaoggi(Abbonati)"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: che costituisce il centro economico
del pianeta, è stato in vigore dalla metà degli anni '90 fino a pochi mesi fa.
È la vera causa sistemica (indiretta) della crisi finanziaria in quanto la
pompa di capitale cinese ha spinto le operazioni a debito in America e
globalmente oltre qualsiasi limite di sostenibilità.
Recessione nel mondo, la
partita tra Cina e Usa ( da "Arena,
L'" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: che costituisce il centro economico
del pianeta, è stato in vigore dalla metà degli anni '90 fino a pochi mesi fa.
È la vera causa sistemica (indiretta) della crisi finanziaria in quanto la
pompa di capitale cinese ha spinto le operazioni a debito in America e
globalmente oltre qualsiasi limite di sostenibilità.
obama alla conquista
dell'europa ( da "Nuova
Sardegna, La" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: gravemente indebolita dalla crisi
finanziaria. «Sono tempi difficili: c'è rabbia nel mondo verso l'America
ritenuta responsabile di essere l'origine di questa crisi», ammette il senatore
democratico John Kerry. E' una crisi che ha provocato un ripensamento del
modello americano finora presentato come il migliore esistente con la sua
enfasi sulla libertà dei mercati e sulla deregulation (
G20 a Londra: ripresa da
fine 2010 no al protezionismo ( da "Unita,
L'" del 30-03-2009)
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Crisi
Abstract: ripresa da fine 2010 no al
protezionismo I piani di stimolo dei vari paesi, le misure di sostegno alle
banche e l'aumento delle risorse del Fondo Monetario hanno l'obiettivo di far
tornare l'economia globale a crescere a fine 2010. È quanto si legge nella
bozza del documento finale del G20, anticipata dal 'Financial Times'.
Obama l'europeo si gioca
tutto in una settimana ( da "Giornale.it,
Il" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Il nodo è rappresentato dalla crisi
finanziaria. Europa, Cina e Russia non hanno ormai dubbi: la responsabilità
della crisi mondiale è degli Stati Uniti e di un modello economico che,
attraverso la globalizzazione, ha contagiato il mondo, liberando da ogni controllo
banche e gruppi finanziari, che hanno assunto un potere enorme, spropositato.
Obama in Europa, tre super
verticiCrisi Gm, si dimette l'ad Wagoner
( da "Secolo XIX, Il"
del 30-03-2009)
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Crisi
Abstract: gravemente indebolita dalla crisi
finanziaria. «Sono tempi difficili: c'è rabbia nel mondo verso l'America
ritenuta responsabile di essere l'origine di questa crisi», ammette il senatore
democratico John Kerry. È una crisi che ha provocato un ripensamento del
"modello americano" finora presentato come il migliore esistente con
la sua enfasi sulla libertà dei mercati e sulla deregulation (
L'Ocse: la
disoccupazioneesploderà entro il 2010
( da "Secolo XIX, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Ocse chiede ai governanti del G8 di
intervenire «velocemente e in modo efficace per evitare che la crisi
finanziaria si trasformi in una crisi sociale» senza precedenti. Inoltre, nei
30 paesi dell'area Ocse la ripresa economica si avvierà«solo nella prima metà
del 2010», e sarà«una ripresa smorzata» e un andamento generale dell'economia
che resterà«fiacco».
g20: senza protezionismo
ripresa nel 2010 ( da "Repubblica,
La" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: protezionismo ripresa nel 2010
Pronto il documento finale. Più poteri a Draghi: frenerà i bonus. Duello
Londra-Berlino Il vertice DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA - La recessione
mondiale finirà entro la fine del 2010, il protezionismo sarà respinto, i
paradisi fiscali saranno messi sotto controllo e un´età delle regole e della
crescita sostenibile rimpiazzerà quella del rischio
"asse stato-mercato
per battere la crisi - enrico franceschini
( da "Repubblica, La"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: I partiti di centro-sinistra non
sono protezionisti, e il protezionismo è oggi la tentazione più pericolosa: se
non riusciremo a respingerla, temo che la recessione diventerà una lunga e
grande depressione. Bisogna proteggere la gente, ma non è la stessa cosa che
essere protezionisti.
se il virus della crisi si
nasconde nelle maxibanche - (segue dalla prima pagina)
( da "Repubblica, La"
del 30-03-2009)
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Crisi
Abstract: crisi si nasconde nelle maxibanche
Non esiste un organo di coordinamento tra la Federal Reserve e la Bce Cinque
istituti hanno originato due terzi di tutti i mutui concessi negli Stati Uniti
(SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) L´iniziale crisi finanziaria si è trasformata in una
crisi globale delle banche, indebolite da un livello di capitalizzazione troppo
esiguo rispetto ai rischi in portafoglio.
Beirut vietò i subprime e
ora è un paradiso finanziario ( da "Sole
24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Beirut vietò i subprime e ora è un
paradiso finanziario di Roberto Bongiorni C ercano di nascondere la
sod-disfazione ma non ci riescono. Per i banchieri di Beirut il 2008, anno
della grande crisi finanziaria globale, è stato memorabile. Nel Paese per quasi
tre anni sull'orlo della guerra civile, gli istituti di credito hanno
registrato performance senza precedenti:
contropelo Rivoluzione
liberale? Solo slogan ( da "Eco
di Bergamo, L'" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: la crisi finanziaria, le forti
ondate migratorie, i milioni di disoccupati, la caccia alle streghe che si sta
facendo contro i manager e i banchieri che hanno liquidato a suon di benefit e
stock options, ci dicono che il liberismo non è la risposta, anzi è stata la
causa di quello che sta avvenendo sui mercati e nelle fabbriche.
Pragmatica altalena tra
Stato e mercato ( da "Sole
24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: la crisi finanziaria)che hanno
trasformato la critica al "mercatismo" del ministro in slogan di
culto. Con la successiva elaborazione che ha riportato in auge l'economia
sociale di mercato della Germania di Konrad Adenauer. Il Pdl non sarà il
partito liberale di massa cui i fondatori di Forza Italia erano convinti di
poter approdare,
Tetti ai bonus? Demagogia
( da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: nella crisi lo Stato ha una sua
parte ma guai a scadere nello statalismo, nel protezionismo o nella
demonizzazione del profitto ». Dottor Cucchiani, Lei sta un po' in Italia e un
po' in Germania e i suoi incarichi la portano a girare molto nel mondo: dal suo
particolare angolo visuale come appare l'evoluzione della crisi?
Le economie in surplus si
scoprono vulnerabili ( da "Sole
24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: vero per questi Paesi si chiama
però protezionismo. Quando l'incertezza domina, la tentazione di alzare le
barriere alle importazioni diventa grande. Anche se i risultati sono pessimi:
tra il 29 e il '33, ricorda Carl J. Riccadonna di Deutsche Bank,dopo
l'innalzamento delle tariffe Usa, le esportazioni americane calarono del 61%, a
causa delle ritorsioni dei partner commerciali.
Il nostro maggior
problema? Gestire bene l'eccesso di liquidità
( da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Allora l'attuale crisi finanziaria
era tutt'altro che prevedibile. Oggi Riad Salameh, 58 anni, da 15 governatore
della Banca centrale del Libano, ha di che essere soddisfatto. «Il 2008 per le
nostre banche è stato un anno di profitti record», spiega al Sole 24 Ore.
Libano, dove le banche non
conoscono la crisi ( da "Sole
24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: dove le banche non conoscono la
crisi Per gli istituti di credito il 2008 è stato un anno record Roberto
Bongiorni BEIRUT. Dal nostro inviato La crisi finanziaria mondiale? I banchieri
di Beirut sorridono. Bear Stearns, Lehman Brothers, Citigroup... Dai loro
eleganti uffici nel centro città i tracolli delle grandi banche occidentali
sembrano appartenere a un altro pianeta.
Quel dialogo appeso a un
filo ( da "Sole
24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Quel dialogo appeso a un filo I l
mondo si trova di fronte a una crisi finanziaria che molti considerano più
grave della Grande Depressione che si ebbe tra le due guerre. Prima del 2008,
gli esperti dicevano che la forza e la profondità dei meccanismi di cooperazione
messi in piedi alla fine della seconda guerra mondiale avrebbero reso
impossibile una nuova Grande Depressione.
Il gregge e il rischio
delle scelte collettive ( da "Sole
24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: sistematico alternarsi di ondate di
pessimismo e di ottimismo sui mercati finanziari ha enormi implicazioni sociali
e richiede dunque una spiegazione. L'economista Roland Benabou (http://www.
princeton.edu/~rbenabou) ne offre una nel suo recente lavoro ( Groupthink:
collective delusions in organizations and markets) in cui si discute
dell'importanza del "pensiero collettivo" (appunto,
Il Nord-Ovest: imprese
leader e città-regione ( da "Sole
24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: soffiando sul fuoco del
protezionismo che cova sotto la cenere del vulcano della crisi, si torna ancora
più indietro. Quando, al primo arrivo degli immigrati dal Sud alla Fiat, non si
affittava ai meridionali, e gli operai specializzati, l'aristocrazia operaia
torinese, guardava con diffidenza all'operaio massa.
Geometri: più iscritti ma
lavoro in calo ( da "Eco
di Bergamo, L'" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: La crisi finanziaria sta lasciando
i segni anche nella nostra attività - risponde il presidente Ferrari - e il
lavoro è certamente in flessione. Grosse lamentele per ora non ne raccolgo, ma
tra noi parliamo sempre più spesso del calo di lavoro. Non conosciamo ancora i
dettagli del "progetto casa" del governo e speriamo in risvolti
positivi,
La cooperazione fra Stati
sul Fisco cerca una strategia ( da "Sole
24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: attuale crisi finanziaria. In
alcuni ambiti gli Stati hanno cercato di conseguire risultati simili:
particolarmente significativi sono, a questo riguardo, i numerosi documenti
dell'Ocse e dell'Onu in tema di cooperazione fiscale internazionale, l'analisi
dei quali può consentire di evidenziare le problematiche di cui si dovrà tenere
conto anche ora.
Hypo Re, entra lo Stato
( da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: in questi mesi di crisi finanziaria
ha già goduto di aiuti pubblici per 102 miliardi di euro. Questa nuova
operazione avverrà attraverso il Soffin, un fondo federale nato l'anno scorso
per gestire le garanzie statali alle banche. La società bavarese è stata
travolta dalla crisi finanziaria a causa della sua esposizione al mercato del
credito immobiliare.
Calpers contro gli hedge
fund ( da "Sole
24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: amministrazione di Barack Obama per
imporre nuove regole sui mercati finanziari che garantiscano inedita vigilanza.
Oppure la proposta di tassare alla stregua di reddito compensi che i gestori
considerano invece guadagni di capitale. è diventato, insomma, il simbolo della
fine di un'era. Quella che, con folle di clienti che bussavano alle porte,
aveva visto gli hedge dettare legge:
Un mare di documenti
tossici ( da "Sole
24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: importante resta tuttavia il nesso
tra crisi finanziaria e crisi documentale. Sotto il profilo degli interventi e
dei rimedi, la parola spetta ovviamente agli economisti e ai politici, che non
a caso si orientano sulla trasparenza delle regole di creazione dei documenti,
un aspetto su cui si è a giusto titolo molto insistito sul Sole 24 Ore (per
restare agli interventi più recenti,
Spini all'SMS di Rifredi
con Ruffolo ( da "Nazione,
La (Firenze)" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Rifredi con Ruffolo COME
fronteggiare la crisi economica che sta investendo il nostro paese, l'intera
Europa e gli Stati Uniti? Quali strategie e interventi adottare per
contrastarla? Sono alcuni dei temi che saranno affrontati nel convegno «Crisi
finanziaria dalle banche al portafoglio delle famiglie» che si terrà questa
sera alle 21 all'SMS di Rifredi per iniziativa della lista «
PARLAMENTO EUROPEO: CON
OBAMA NUOVO IMPULSO AL PARTENARIATO EURO-ATLANTICO
( da "marketpress.info"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: disarmo nucleare e crisi regionali.
Chiede poi di unificare il mercato e integrare quello finanziario. Invita però
gli Usa a cessare le consegne straordinarie, ratificare lo statuto della Corte
penale internazionale e abolire la pena di morte. Approvando con 503 voti
favorevoli, 51 contrari e 10 astensioni la relazione di Millán Mon (Ppe/de,
LA SOSTENIBILITA' PUO'
ESSERE UN VANTAGGIO COMPETITITO. MOBILITIAMO IL CAPITALE UMANO CHE TANTI
TRAGUARDI IMPORTANTI HA FATTO RAGGIUNGERE AL VENETO
( da "marketpress.info"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: trascinare il Paese oltre la crisi
finanziaria che sta interessando purtroppo anche le nostre città. ? Così,
indicando nella ricerca e nell?innovazione una delle strade più efficaci da
percorrere per oltrepassare l?odierna congiuntura globale, l?assessore
all?Economia, Vendemiano Sartor, ha introdotto il 26 marzo, nella sala della
biblioteca antica del polo universitario di Portogruaro,
FONDO DI SOLIDARIETA' IN
UMBRIA: PRESIDENTE LORENZETTI SCRIVE AI SINDACI, PRESIDENTI PROVINCE E
CONSIGLIO REGIONALE ( da "marketpress.info"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Anche nella nostra regione si
stanno facendo sempre più acute le ripercussioni della crisi finanziaria e a
risentirne sono le famiglie a più basso reddito, il nostro sistema produttivo,
ed in modo particolare le piccole e medie imprese. La Ceu ha deciso di attivare
un ?Fondo di Solidarietà? al quale ho fatto la personale scelta di aderire.
Argomenti:
Crisi
Abstract: cercare di individuare e promuovere
interventi idonei al superamento della crisi e rafforzare il dialogo e il
rapporto tra le banche e le imprese. Dunque Assolombarda sta facendo il
possibile per aiutare le imprese a superare le difficoltà create dalla crisi
finanziaria. E io sono certa che se in Italia, con l'impegno di tutti, vincerà
la cultura dell'innovazione, della sana gestione,
Terremoto ai vertici
dell'auto Peugeot licenzia Streiff
( da "Corriere della Sera"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Al punto da doversi difendere
dall'accusa di protezionismo. è naturalmente presto per valutare se la
defenestrazione di Streiff possa subito incidere sulle voci di possibili
alleanze del gruppo Psa con Fiat o in alternativa con Bmw, secondo le ripetute
indiscrezioni delle scorse settimane.
E Obama affonda Wagoner
alla vigilia dei nuovi aiuti ( da "Corriere
della Sera" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: contorno di proteste popolari
contro i responsabili della crisi finanziaria divenuta crisi globale, ma,
prima, le decisioni della "task force" per il settore dell'auto che
dipende proprio dal Tesoro: un salvataggio a spese del contribuente molto
impopolare ma al quale Obama non si sente di rinunciare, nel bel mezzo di una
profonda recessione e con la disoccupazione già alle stelle.
Ocse:
Argomenti:
Crisi
Abstract: Il documento conferma la volontà
politica dei Grandi a contrastare il protezionismo e a portare a termine i
negoziati del Doha Round sul commercio internazionale bloccati da due anni. In
previsione degli incontri di Londra, Sacconi in questi giorni cercherà di
vincolare — con un documento condiviso —
La crisi e il principio
del Gattopardo ( da "Corriere
della Sera" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: inizio della crisi finanziaria
globale nell'estate del 2007, lo squilibrio tra i mercati finanziari e i
governi è cresciuto a ritmo esponenziale. Nel 2006 la stima della produzione
economica dell'intero pianeta si aggirava sui 48,6 trilioni di dollari. La
capitalizzazione di mercato totale delle borse mondiali era di 50,
Ocse, pericolo
disoccupazione ( da "Miaeconomia"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: per evitare che la crisi
finanziaria si trasformi pienamente in una crisi sociale con effetti molto
negativi sui lavoratori più vulnerabili e sui redditi più bassi?. Di basso
profilo la replica del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che si limita a dire,
in parte non a torto, che ?
il presidente obama alla
prova dell'europa ( da "Centro,
Il" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: America gravemente indebolita dalla
crisi finanziaria. Una crisi che ha provocato un ripensamento del "modello
americano" finora presentato come il migliore esistente con la sua enfasi
sulla libertà dei mercati e sulla deregulation (cioè il fattore all'origine
della crisi). è una situazione che indebolisce la posizione di Obama in vista del
G20.
Obama l'europeo si gioca
tutto in una settimana/di Marcello Foa
( da "Giornale.it, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Il nodo è rappresentato dalla crisi
finanziaria. Europa, Cina e Russia non hanno ormai dubbi: la responsabilità
della crisi mondiale è degli Stati Uniti e di un modello economico che,
attraverso la globalizzazione, ha contagiato il mondo, liberando da ogni
controllo banche e gruppi finanziari, che hanno assunto un potere enorme, spropositato.
Abstract: E questo perché «per effetto della crisi finanziaria che si sta lentamente risolvendo sul mercato del reddito fisso si sono create occasioni di guadagno irripetibili, quasi mai rintracciabili in periodi di normalità». Naturalmente i titoli ad altissimo rendimento sono come materiale radioattivo.
Argomenti: Crisi
Abstract: La ragione per la quale gli istituti finanziari dovrebbero essere soggette a pressioni è che sono loro la causa della crisi finanziaria: sono loro infatti ad aver approfittato delle varie scappatoie per eludere i requisiti normativi, scommettendo una posta enorme su titoli di cui in primis non avrebbero nemmeno dovuto essere proprietari.
Abstract: la maggiore eccezione è la Germania dove i versamenti effettivi sono ancora molto scarsi) nei principali paesi del mondo per fronteggiare la crisi finanziaria. Negli Stati Uniti, aggiungendo tutti gli stanziamenti previsti, annunciati, probabili, si superano i 5mila miliardi di dollari. Scopri come ricevere sul tuo cellulare Repubblica Gold condividi
Abstract: crisi finanziaria, gli entusiasmi
europei sembrano raffreddarsi di colpo. La ragione? Scontrandosi contro il
populismo strumentale dei repubblicani e contro buona parte degli stessi
contribuenti americani, chiamati a pagare per gli eccessi di Wall Street, il
neopresidente ha varato in due mesi una strategia organica: intende frenare la
disoccupazione attraverso spese pubbliche massicce
PasseraPerissinotto a chi
fa male la 'bancassurance' ( da "Affari
e Finanza (La Repubblica)" del
30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: nel bel mezzo della crisi
finanziaria ed economica più profonda del dopoguerra, proprio non si poteva
trovare. Adesso Passera si ritrova un nodo in più da sciogliere, quello di cosa
fare con le tre compagnie di assicurazione che si ritrova in pancia. Compagnie
che assorbono prezioso capitale che potrebbe meglio essere impiegato per
operazioni propriamente creditizie,
Zignago Vetro, un 2008
record ma quest'anno si prevede un calo
( da "Affari e Finanza (La Repubblica)"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: ultima parte dello scorso anno il
contesto macroeconomico internazionale, spinto dalla crisi finanziaria globale,
ha assunto tinte sempre più fosche che hanno preannunciato la caduta
generalizzata della domanda e la diminuzione dell?attività produttiva in
importanti settori dell?economia, situazione che stiamo vivendo anche in questa
prima parte del 2009.
Meno contratti a termine
in estate ( da "Affari
e Finanza (La Repubblica)" del
30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: colpito così pesantemente dalla
crisi, sta facendo da mesi un ricorso massiccio alla Cassa Integrazione. E
l?autonoleggio? Come si ripercuoterà la crisi finanziaria del comparto
sull?occupazione? «Per molti anni siamo stati un motore e un acceleratore,
anche per l?industria automobilistica, visto l?
Il noleggio a lungo
termine si apre ai dipendenti delle aziende clienti
( da "Affari e Finanza (La Repubblica)"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: insegna della crisi e
dell?incertezza economica «In questo momento di crisi finanziaria ? spiega
l?amministratore delegato di "Car Server" Giovanni Orlandini ? la
nostra società si dimostra attenta alle difficoltà e alle esigenze delle
famiglie. Con "Privato Innamorauto", abbiamo voluto dare una
possibilità anche ai cosiddetti lavoratori atipici,
Anche il "breve
termine" lancia l'allarme ( da "Affari
e Finanza (La Repubblica)" del
30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: I segnali negativi della crisi
finanziaria si sono iniziati ad avvertire nel settembre scorso, quando le stime
sul fine anno del noleggio a breve termine prevedevano una crescita del 4%,
riportando una notevole riduzione rispetto alla crescita del giro d?affari del
primo semestre 2008, con un aumento dell?
America Latina, il Bid
verso l'ampliamento di capitale ( da "Velino.it,
Il" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: effetti della crisi finanziaria
internazionale. Un piano ambizioso che raccoglie un sì con riserva del
principale azionista dell?istituzione, gli Stati Uniti: “Pensiamo che ci sia
spazio per ampliare il bilancio”, ha detto il segretario di Stato Usa per il
Tesoro, Tim Geithner, sottolineando che un intervento in tal senso deve essere
accompagnato da condizioni come l?
L'ultimatum di Obama: la
testa DI WAGONER prima di autorizzare, oggi, la 'fase 2' del salvataggio della
GM e della Chrysler. A spese del contribuente. Il monito della Casa Bianca:
( da "Dagospia.com" del
30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: contorno di proteste popolari
contro i responsabili della crisi finanziaria divenuta crisi globale, ma,
prima, le decisioni della "task force" per il settore dell'auto che
dipende proprio dal Tesoro: un salvataggio a spese del contribuente molto
impopolare ma al quale Obama non si sente di rinunciare, nel bel mezzo di una
profonda recessione e con la disoccupazione già alle stelle.
Crisi/ Berlusconi: In
regole finanza si devono trovare ( da "Virgilio
Notizie" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: La crisi non è nata nel debito
pubblico ma in quello privato", continua Berlusconi. "E' una crisi
finanziaria ed è nelle regole della finanza che si devono trovare gli antidoti
per evitare che una simile crisi si ripeta in futuro", ha aggiunto
precisando che la crisi "è sì grave, ma c'è stata una buona reattività da
parte dei governi"
Doha/ Prende il via il
21esimo summit dei capi di stato ( da "Virgilio
Notizie" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: grandi cambiamenti verificati nel
mondo a causa della grave crisi finanziaria mondiale", provocato dai paesi
occidentali che "hanno il monopolio dell'economia mondiale". Il
discorso del presidente siriano è stato sospeso per alcuni minuti per
allontanare i fotoreporter che avevano invaso lo spazio in aula di fronte
all'oratore.
DOHA/ PRENDE IL VIA IL
21ESIMO SUMMIT DEI CAPI DI STATO ARABI
( da "Wall Street Italia"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Prende il via il 21esimo summit dei
capi di stato arabi di Apcom ASsda: Crisi finanziaria causata da occidente ci
danneggia -->Roma, 30 mar. (Apcom) - Il ventunesimo vertice dei capi di
stato arabi ha preso il via stamani nella capitale del Qatar, Doha. Le maggiori
tv arabe hanno trasmesso in diretta la seduta inaugurale del summit alla
presenza di 15 leader di paesi arabi,
G8 LAVORO/ FRATTINI:REGOLE
GLOBALI, MA EVITARE FRENI INNOVAZIONE
( da "Wall Street Italia"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: (Apcom) - La crisi finanziaria ed
economica dimostra che sono necessarie regole a livello globale, che pongano un
freno ai "comportamenti eccessivi", in particolare della finanza, ma
il ministro degli Esteri Franco Frattini avverte che queste riforme vanno
affettuate senza creare freni anche all'innovazione.
CRISI/ BERLUSCONI: IN
REGOLE FINANZA SI DEVONO TROVARE ANTIDOTI
( da "Wall Street Italia"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: La crisi non è nata nel debito
pubblico ma in quello privato", continua Berlusconi. "E' una crisi
finanziaria ed è nelle regole della finanza che si devono trovare gli antidoti
per evitare che una simile crisi si ripeta in futuro", ha aggiunto
precisando che la crisi "è sì grave, ma c'è stata una buona reattività da
parte dei governi"
Il presidente Obama alla
prova dell'Europa ( da "Alto
Adige" del 30-03-2009) + 4 altre fonti
Argomenti:
Crisi
Abstract: America gravemente indebolita dalla
crisi finanziaria. Una crisi che ha provocato un ripensamento del "modello
americano" finora presentato come il migliore esistente con la sua enfasi
sulla libertà dei mercati e sulla deregulation (cioè il fattore all'origine
della crisi). è una situazione che indebolisce la posizione di Obama in vista
del G20.
Proteste alla Sapienza e
degli islamici, la legge vale per tutti?
( da "Giornale.it, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: uno dei pochi ad aver previsto per
tempo la crisi. E' convinto che la crisi potrà essere superata definitivamente
solo se verranno cambiate le regole che hanno permesso la diffusione
dell'anarchia finanziaria, altrimenti la ripresa sarà effimera. Il problema è
che Washington e Londra vogliono continuare come prima.
Emilia-Romagna: l'accesso
al credito è più facile ( da "01net"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: crisi finanziaria sulle possibilità
di accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese
dell?Emilia-Romagna. L'accordo intende favorire la possibilità, da parte delle
piccole e medie imprese, di accedere al credito bancario a breve e medio
termine, a condizioni economiche medie particolarmente vantaggiose e legate
principalmente per soddisfare le esigenze di liquidità straordinaria
Venezuela-Iran, nel giorno
del G20 Chávez incontra Ahmadinejad
( da "Velino.it, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: i temi della crisi finanziaria
internazionale, il presidente del Venezuela Hugo ChÁvez si recherà a Teheran,
ospite del capo di Stato Mahmoud Ahmadinejad. I due leader, solidali nella
critica politica agli Stati Uniti, hanno in programma l?analisi dei molti
progetti di cooperazione economica tra i quali, come ha ricordato il ministro
dell?
Busca: al via la stagione
primaverile del Teatro civico ( da "Targatocn.it"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: spettacolo è fortemente penalizzato
dalla crisi finanziaria e dai tagli alla spesa pubblica e, in particolare, alla
cultura. A questo proposito l?associazione Marcovaldo ha presentato un nuovo
progetto Interreg ? ?Confrontations Artistiques Transfrontaliéres? - che vede
come capofila il Comune di Savigliano e ha come partner francese la Comunità
dei Comuni della Moyenne Durance,
PRIGIONIERI DEI LORO SOLDI
I BANCHIERI SVIZZERI HANNO PAURA DI ATTRAVERSARE LA FRONTIERA ED ESSERE
ARRESTATI O INTERROGATI "IL segreto bancario NON C'ENTRA. UE E USA
vogliono r ( da "Dagospia.com"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: preoccuparsi di rabberciare i
bilanci perforati dalla crisi finanziaria globale di cui sono stati
coprotagonisti, e nemmeno trovare un modo per stare alla larga dai disperati
malintenzionati che hanno preso a contestare la categoria in modo anche rude in
quanto «causa di ogni male». Il loro problema extra è che quando attraversano
il confine temono di non tornare indietro con facilità.
ITALIA-RUSSIA/ BERLUSCONI:
RAPPORTI ECONOMICI AI MASSIMI STORICI
( da "Wall Street Italia"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: ha risentito nella seconda metà
dell'anno della generale crisi finanziaria. Ma è significativo che il valore
delle nostre esportazioni (10,5 miliardi di euro) ha fatto segnare un aumento
del 9,3 rispetto all'anno precedente, mentre quelle verso altri mercati europei
hanno fatto registrare il segno negativo".
BORSA/ FUTURES USA IN
NETTO RIBASSO, PESANO TIMORI AUTO E BANCHE
( da "Wall Street Italia"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: ultimo segnale del fatto che la
crisi finanziaria abbia assunto dimensioni globali, la Spagna si e' vista
costretta a salvare la banca regionale Caja Castilla la Mancha, nella sua prima
operazione di questo tipo dall'inizio delle turbolenze. Ieri l'amministratore
delegato Rick Wagoner e' stato spinto da Washington a rassegnare le dimissioni
con effetto immediato,
G8/ BERLUSCONI: SINTONIA
CON G20. ALLA MADDALENA SISTEMA REGOLE
( da "Wall Street Italia"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: totale accordo sulle risposte che
G20 e G8 dovranno dare alla crisi finanziaria ed economica
internazionale". Berlusconi inoltre prevede che in sede G20 "ci
concentreremo sui principi per la regolamentazione e la supervisione
finanziaria, mentre alla Maddalena andremo oltre". "Ci sforzeremo,
come G8, di coinvolgere sempre più altri soggetti, ossia il secondo giorno i
Paesi del G5 (
Le paure del nostro tempo
e come la speranza cristiana può combatterle. Il club Serra ha ospita...
( da "Gazzettino, Il (Rovigo)"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: crisi, né per avere una piccola
ripresa finanziaria. Le banche in alcuni casi sono fuorvianti: vendono
pacchetti finanziari senza trasparenza, concedendo dei mutui casa sapendo che i
clienti in molte situazioni potrebbero essere insolventi. Solo ora si stanno
riscoprendo i vecchi istituti di credito, come le banche cooperative che
concedono mutui conoscendo la famiglia e le sue abitudini»
G8 lavoro, 4 mosse per
salvare l'occupazione pag.1 ( da "Affari
Italiani (Online)" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: contribuire ad affrontare
l'occupazione e le sfide sociali derivanti dall'attuale crisi finanziaria a
livello globale, migliorare e garantire uno sviluppo piu' sostenibile e
promuovere la coesione sociale''. I lavori del G8 terminati oggi con il
documento finale, riprenderanno domani in forma allargata (G14) ai paesi
emergenti.
G8: SACCONI, NESSUNO HA
PREVISTO LA CRISI, NE' FMI NE' ALTRI
( da "ITnews.it" del
30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Siamo entrati nella crisi
finanziaria ed economica senza rendercene conto e senza che nessuno ci avesse
minimamente avvisato". E' questa l'accusa rivolta dal titolare del Welfare
Maurizio Sacconi, nella seconda giornata del G8 Lavoro, ad "organizzazioni
internazionali (tra cui il Fondo monetario internazionale) agenzie di rating e
centri di ricerca"
Italia-Russia/ Berlusconi:
Rapporti economici ai massimi ( da "Virgilio
Notizie" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: ha risentito nella seconda metà
dell'anno della generale crisi finanziaria. Ma è significativo che il valore
delle nostre esportazioni (10,5 miliardi di euro) ha fatto segnare un aumento
del 9,3 rispetto all'anno precedente, mentre quelle verso altri mercati europei
hanno fatto registrare il segno negativo".
## G20/ A LONDRA SUDAFRICA
PORTAVOCE DI TUTTO IL CONTINENTE ( da "Wall
Street Italia" del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: origine della crisi provenga da
mondi lontani, gli effetti sui paesi in via di sviluppo sono infatti a dir poco
devastanti. La crisi finanziaria ha indebolito gli investimenti e prosciugato i
fondi diretti in Africa e secondo Mohamed Mbodj, responsabile del Forum civile,
sezione senegalese dell'organizzazione "Transparency International"
BORSA/ WALL STREET APRE IN
NETTO CALO,DJ -2,54%, NASDAQ -2... -2-
( da "Wall Street Italia"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: ha ricordato quanto la crisi
finanziaria abbia assunto dimensioni globali. Il benchmark settoriale dei
finanziari cede oltre il 5%. Alla luce di un calendario macro privo di
aggiornamenti di rilievo, l'attenzione del mercato sara' rivolta principalmente
all'intervento del presidente Barack Obama che dovrebbe chiarire il modo in cui
Washington intendera'
Ratti: un 2008 da
dimenticare ( da "fashionMagazine.it"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: economia nazionale e internazionale
e lo scoppio della crisi finanziaria globale: l?acuirsi della situazione,
soprattutto nei mesi di settembre e ottobre, ha determinato un drastico
rallentamento dei consumi e della domanda, in particolare del settore
tessile-moda (il core business di Ratti sono i tessuti in seta e fibre naturali
di alta qualità, ndr), penalizzando significativamente l?
Soffre anche il lusso
( da "KataWebFinanza"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Al contrario risulteranno meno
colpiti dalla crisi finanziaria i comparti dei profumi e dei cosmetici ( -
4,8%) e quello delle borse e delle scarpe ( - 6,2%). Questi ultimi due
subiranno entrambi una riduzione del margine operativo lordo pari al 4,8%. A livello
di mercati le Americhe ( - 14,8%) e il Giappone ( - 11,7%) sono quelli che
scontano il calo maggiore,
catalan4ever ha detto: il
motivo? è creare una aleanza tra occidente e il mondo arabo, per trovare un
altra via di lotta contro il terrorismo che non sia l'uso di armi.
( da "KataWeb News" del
30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: incontrati per decidere sulle
posizioni comuni da adottare contro la crisi finanziaria, lasciando fuori la
Spagna, che pure Zapatero aveva definito «l'economia più solida del mondo»,
addirittura il Paese sopra la media europea per reddito pro capite. Per il
premier spagnolo fino a pochi mesi fa «il sorpasso dell'Italia ha fatto
deprimere molto il primo ministro Berlusconi» e «in realtà,
Tia? no a chi è in cassa
integrazione ed a chi non ha lavoro
( da "Cittàdellaspezia.com"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: previsto dal piano finanziario
della TIA, inciderà iniquo sulla popolazione in particolar modo sulle fasce
sociali più deboli, già colpite dalla crescente sofferenza economica a causa
della continua perdita di posti di lavoro dovuta alla crisi finanziaria
complessiva: Considerato che Tale aumento deve corrispondere nei fatti al
miglioramento del servizio di gestione dei rifiuti,
Cooperazione/ Ocse: Aiuti
record nel 2008, pari a 119,8 mld...
( da "Virgilio Notizie"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Molti Paesi non sono in condizioni
finanziarie tali da affrontare l'attuale crisi economica". "Se non è
possibile prevedere gli effetti e la durata della crisi finanziaria - continua
- è importante che l'aiuto svolga un ruolo anticiclico che compensi almeno in
parte il forte declino dei contributi globali destinati ai Paesi in via di
sviluppo".
RUSSIA/ PREMIER EMIRATI DA
MEDVEDEV. CREMLINO: FOCUS SU ENERGIA
( da "Wall Street Italia"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: termini sostanziali delle
prospettive della partecipazione di istituti bancari di entrambi i paesi per
l'attuazione su vasta scala di progetti comuni. Tra i temi di attualita'
internazionale e regionale all'ordine del giorno "si prevede di prestare particolare
attenzione alle questioni globali della crisi finanziaria ed economica, la
situazione in Medio Oriente e Golfo Persico".
COOPERAZIONE/ OCSE: AIUTI
RECORD NEL 2008, PARI A 119,8 MLD USD
( da "Wall Street Italia"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Molti Paesi non sono in condizioni
finanziarie tali da affrontare l'attuale crisi economica". "Se non è
possibile prevedere gli effetti e la durata della crisi finanziaria - continua
- è importante che l'aiuto svolga un ruolo anticiclico che compensi almeno in
parte il forte declino dei contributi globali destinati ai Paesi in via di
sviluppo".
Per Frost & Sullivan
in Europa aumenta la domanda di energia nucleare (
da "e-gazette" del
30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: ma non sono stati colpiti in
maniera significativa dalla crisi finanziaria, visto che di base questi sono
investimenti di lungo termine (in Europa sono necessari di solito tra gli 8 e i
10 anni per la costruzione di un impianto). Va inoltre sottolineato che questi
investimenti hanno oggi grande supporto politico, in particolare a seguito
delle dispute sul gas tra Ucraina e Russia,
Bipartitismo e coalizione
dominante ( da "AprileOnline.info"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: centrosinistra in grado di
sopperire alla evidente crisi della "vocazione maggioritaria", cui si
accennava poc'anzi. Le risposte alla crisi economica e finanziaria rimangono
sullo sfondo proprio perchè il PD appare più spiazzato su questo terreno di
altre formazioni: la crisi, come è stato fatto notare nel corso della
settimana, è esplosa proprio mentre il partito venuto fuori dalla "
*Trichet: Rischi crescita
ora più equilibrati, previsioni incerte
( da "Velino.it, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: impatto della crisi finanziaria
sull?economia reale “può essere più forte di quanto atteso”. A questo si
affiancano le pressioni protezionistiche per le quali “la preoccupazione è
considerevole”. Sebbene la situazione sia peggiorata, ha detto poi il
presidente della Bce “
Soffre anche il lusso
( da "Borsa(La Repubblica.it)"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Al contrario risulteranno meno
colpiti dalla crisi finanziaria i comparti dei profumi e dei cosmetici ( -
4,8%) e quello delle borse e delle scarpe ( - 6,2%). Questi ultimi due
subiranno entrambi una riduzione del margine operativo lordo pari al 4,8%. A
livello di mercati le Americhe ( - 14,8%) e il Giappone ( - 11,7%) sono quelli
che scontano il calo maggiore,
##FIAT-CHRYSLER, SCATTA
CONTO ROVESCIA; OBAMA:30 GIORNI PER.. -2-
( da "Wall Street Italia"
del 30-03-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: e che in questa crisi finanziaria
peggiore dalla Grande Depressione individuano come vittime soprattutto loro: i
milioni di anonimi contribuenti americani, che continuano a finanziare diversi
progetti di rilancio sfornati dall'amministrazione, e che in tutto questo si
sentono anche mancare di rispetto.
( da "Stampa, La" del
30-03-2009)
Argomenti: Crisi
La
ripresa Si vedrà solo a fine 2010 e sarà «fiacca». Resta l'incognita
dell'andamento dei mercati finanziari
( da "Stampa, La" del
30-03-2009)
Argomenti: Crisi
L'appello dei
sindacati mondiali al G8: fate come con le banche Quaranta milioni di posti di
lavoro perduti - stima dell'Ilo, agenzia dell'Onu per il lavoro -, duecento
milioni di lavoratori che rischiano la povertà «estrema», disoccupazione sopra
il 10% nei paesi del G8 nel corso di quest'anno, altri 18 mesi prima di
intravedere la ripresa, sostiene l'Ocse. Sapendo che sarà
una ripresa «fiacca» appesa al destino dei mercati
finanziari: solo se questi usciranno rapidamente
dall'instabilità degli ultimi due anni si vedrà la ripresa (quella fiacca). Il
ministro del Welfare Maurizio Sacconi, all'apertura del G8 dedicato a
previdenza e lavoro ieri a Roma s'è trovato pressato. Da una parte
questi numeri, dall'altra il sindacato - le sigle italiane e le rappresentanze
internazionali - a battere la scarpa sul tavolo: vogliono un piano anticrisi
per l'economia reale, per le imprese e per il lavoro analogo a quanto s'è fatto
per salvare le banche e la finanza. John Evans, segretario del Tuac,
l'associazione di rappresentanza dei sindacati presso l'Ocse, ha spiegato che
dopo le centinaia di miliardi mobilitati per la finanza «per sistemare la crisi
delle banche dobbiamo sistemare quella del lavoro». Sullo stesso tenore il
segretario della Uil Luigi Angeletti: «Fino ad oggi ci siamo occupati degli
istituti di credito, ora tocca ai lavoratori». Il suo collega della Cisl
Raffaele Bonanni è più duro: «Servono norme non solo per far funzionare le
banche, ma anche per regolare i super-stipendi dei loro manager, che in alcuni
casi sono 400 volte più alti di quelli dei dipendenti». Il caso italiano ha le
sue peculiarità: Cisl, Uil e Ugl - additati come sindacati di regime - dopo
mesi di concessioni al governo si trovano a mani vuote. Hanno ottenuto un
allargamento degli ammortizzatori sociali non ancora entrato in vigore: gli
effetti non si sentono e non sono neppure ancora del tutto chiari. E in più la
Cgil preme sui colleghi: sabato prossimo sarà in piazza a Roma, al Circo
Massimo, per «difendere il futuro»: la piazza in cui Cofferati portò, nel 2002
tre milioni di persone a sfilare per l'articolo 18 dello Statuto dei
lavoratori. Sacconi gioca la carta dell'ottimismo: invitando i ricercatori ad
andarci piano con le previsioni funeste «in una fase caratterizzata da una
crisi della fiducia». Una versione più mite dell'attacco alle cornacchie
profetesse di sventura sferrato nelle settimane passate dal governo. Il
vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei s'è sentito chiamato in causa
(il centro studi di Viale dell'Astronomia è stato accusato di produrre solo
previsioni nere) e ha ribadito: «Noi siamo realisti, il centro studi fotografa
la realtà per quella che è». Sacconi chiede che le previsioni «siano
concentrate», per evitare uno stillicidio quotidiano di catastrofi annunciate.
Il ministro italiano predilige bicchiere mezzo pieno: «l'Italia, come l'Europa,
è stata più lenta a perdere posti di lavoro rispetto agli Usa». Ora bisogna
scongiurare i rischi di «deindustrializzazione», tenendo vivo il rapporto tra
lavoratori e imprese. Come? Attraverso un patto globale di tutela del lavoro e
dello stato sociale. Sembra ciò che il sindacato chiede, ma sembra solo. Il G8
della Maddalena, a luglio, dice Sacconi, sarà «preceduto» da un incontro con i
sindacati. Loro avevano chiesto di partecipare ai lavori, e hanno tutta l'aria
di preferire il bicchiere mezzo vuoto. Hanno le cifre dalla loro.
( da "Stampa, La" del
30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Madonna vola in
Malawi per adottare una bambina Ha iniziato a fare cinema perché nel cinema ci
è nato, come nipote di Francis Ford Coppola. E per un po' ha interpretato
grandi parti in film come Cuore selvaggio o Stregata dalla luna. Quindi Via da
Las Vegas, con il ritratto brutale e onesto di un alcolizzato che gli è valso
l'Oscar. Nicolas Cage era considerato l'attore più interessante della sua
generazione. E dopo? Testosterone e adrenalina, nel senso che Cage è passato
all'azione, con tre, quattro o anche cinque film all'anno spesso senza grandi
ambizioni, recitando personaggi privi d'ambiguità sotto titoli che vanno da The
Rock a Bangkok Dangerous. L'ultimo è Knowing, film di fantascienza massacrato
dai critici che però in America nel week-end scorso ha raccolto 25 milioni di
dollari, stracciando Julia Roberts (Duplicity) e Watchmen. Insomma, Cage da
artista è diventato un altro cinico campione del box office. Mister Cage, che
cosa l'ha indotta a girare un film come Knowing? E, in generale, pellicole che
non le offrono grandi possibilità di vincere un secondo Oscar? «Non faccio i
film per i premi o per i critici o per lanciare messaggi, ma per me. E per il
pubblico. Quest'anno oltre a Knowing, usciranno in totale cinque film miei: Bad
Lieutenant, Season of the Witch, poi Kick Ass. E ho appena iniziato The
Sorcerer's Apprentice. Non è che ci tengo a venire ricordato come quello con la
pistola in pugno, ma sono capitati uno dopo l'altro». Si è «specializzato»
anche nei seguiti di successi... «Viviamo in tempi difficili e quando la gente
spende soldi per andare al cinema vuole una certa sicurezza. Il sequel gliela
garantisce: sanno che cosa attendersi. Io l'accetto: se puoi fare un film che
rende felici le famiglie, fallo». Anche se non è il massimo? «Credo nella
libertà e nel diritto di ogni artista di fare ciò che vuole. All'inizio il
cinema per me è stato anche un modo per esprimere la rabbia che avevo dentro,
ma invecchiando sento il bisogno di toccare più note. E ciò che vorrei
continuare a fare: dei film che intrattengono il pubblico ma anche che mi
permettono di esprimere la mia esperienza di vita. Questo non significa che non
farò più film violenti, ma che sarò più attento nelle mie scelte. Ricordo una
conversazione con David Bowie anni fa, gli chiesi come faceva a reinventarsi
sempre. La sua risposta fu che non si è mai seduto. E che se ti sforzi ogni
volta ad andare un po' più in là troverai sempre una nuova voce o almeno una
nuova versione della tua voce». Invece la sua oggi viene percepita come un po'
ripetitiva e mirata sul botteghino. La infastidisce? «Faccio
cinema per me e per il mio pubblico. E il botteghino è importante. Ci sono una crisi finanziaria, le guerre, il
riscaldamento globale. La gente ha bisogno di evasione e di intrattenimento. Ed
è una cosa buona per l'industria del cinema, che dà lavoro a tanta gente».
( da "Wall Street Italia"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
GENTE AL POTERE, E
CAMBIATELO QUESTO SISTEMA FINANZIARIO di *Alfonso Tuor Pechino ha detto in modo
chiaro agli americani che i rapporti di forza mondiali sono cambiati. E che gli
Stati Uniti non possono pensare di uscire da questa crisi,
preservando il primato del dollaro e quindi anche il loro primato politico. -->*Alfonso
Tuor e' editorialista del Corriere del Ticino. Il contenuto di questo scritto
esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea
editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente. (WSI)
Chi pagherà il conto di questa crisi? La risposta a questa domanda, che
diventa di giorno in giorno più inquietante, è ormai sempre più chiara. Negli
scorsi giorni vi sono state due autorevoli prese di posizione che confermano
che linterrogativo comincia a tormentare anche i governi. Una è stata
quella di Mirek Topolanek, primo ministro ceco dimissionario e presidente di
turno dellUnione Europea, il quale davanti al Parlamento europeo ha detto: «le politiche
americane ci porteranno alla rovina». Laltra presa di
posizione è stata quella della banca centrale cinese che, nel modo indiretto
proprio della cultura di quel Paese, ha pubblicato un documento nel quale si delinea «la
creazione di un nuovo sistema monetario internazionale basato su una valuta di
riserva internazionale senza legami con alcuna nazione (ndr.: il riferimento al
dollaro è evidente) e in grado di assicurare una stabilità di lungo termine».
Non ne puoi piu' della Borsa? E' un sbaglio, perche' qualcuno guadagna sempre.
Prova ad abbonarti a INSIDER: costa meno di 1 euro al giorno. Clicca sul link
INSIDER Queste due prese di posizioni esprimono identiche preoccupazioni. La
differenza sta nel fatto che il leader ceco pensa agli enormi guai prossimi
venturi, mentre Pechino pensa allassetto del mondo dopo
i disastri che provocherà questa crisi e invoca quindi una nuova Bretton
Woods, dicendo sostanzialmente a Washington: non pensate che tutto ritornerà
come prima e che gli Stati Uniti potranno contare ancora sui vantaggi dati dal
ruolo di moneta internazionale del dollaro. Il presidente di turno europeo ha
completamente ragione a sostenere che le politiche seguite dallamministrazione
Obama e dalla banca
centrale americana porteranno alla rovina. Gli Stati Uniti stanno infatti
operando il trasferimento allo Stato delle colossali perdite nascoste nel
sistema finanziario. Questo è ad esempio il senso del piano salvabanche
presentato lunedì scorso, grazie al quale viene affidato proprio agli Hedge
Fund, tra i principali responsabili della crisi, il
compito di acquistare grazie a linee di credito garantite dallo Stato i titoli
tossici e i prestiti in sofferenza delle banche. Questo è pure il senso delle
diverse operazioni da migliaia di miliardi di dollari lanciate dalla banca
centrale americana. Tali operazioni vengono finanziate o attraverso lampliamento
del disavanzo statale (questanno il deficit federale americano supererà
il 12% del PIL) o
attraverso la stampa di nuovi dollari da parte della Federal Reserve (si
prevede che la base monetaria che è già raddoppiata, raddoppierà unaltra
volta entro la fine dellanno). Questi interventi plurimiliardari, avviati
a partire dallagosto del 2007, non hanno né risanato il sistema bancario (per ora ne
hanno solo evitato il collasso), né impedito che la crisi
finanziaria si trasformasse in una durissima recessione globale. Europei
e cinesi in testa stanno ora capendo che lamministrazione Obama
si è piegata ai voleri
di Wall Street e che quindi il buco nero nascosto nei bilanci delle banche
rischia di risucchiare tutto e tutti. La conseguenza a breve termine di queste
politiche è una crisi di fiducia nei titoli con cui
gli Stati finanziano il debito pubblico. I segnali premonitori non mancano: lultimo
in ordine di tempo è venuto dalla Gran Bretagna, dove per la prima volta da
sette anni a questa parte è fallita unasta di titoli pubblici, nonostante
la decisione della Banca dInghilterra di acquistarne per più di 100 miliardi di
euro. La crisi del debito pubblico è destinata a
provocare unulteriore escalation degli interventi delle banche centrali.
Queste ultime sarebbero chiamate a comprarne in grandi quantità e a stampare
ulteriore moneta. Con quali
conseguenze? Una forte inflazione, se vi sarà linterludio di una
breve ripresa, oppure in alcuni Paesi (i principali candidati sono Gran
Bretagna e Stati Uniti)
crisi valutarie ed iperinflazione. Ciò vuol dire per
il cittadino unimpressionante distruzione del risparmio privato e di
quello pensionistico, ma per loligarchia finanziaria
uno strumento ideale per distruggere il valore dellenorme
quantità di attività tossiche detenute dalle grandi banche. A questa politica
si oppone lEuropa continentale, che - come ha ricordato il presidente di turno dellUE
- è perfettamente consapevole che la strada dellesplosione dei debiti
pubblici e del ricorso alla stampa di nuova moneta porterebbe il mondo alla
rovina. Mentre in vista del prossimo vertice del G20 che si terrà a Londra il 2 aprile lEuropa
continentale resiste alle richieste americane di moltiplicare gli interventi a
sostegno delleconomia, la Cina pensa allassetto del mondo dopo
questa crisi. Pechino è consapevole che perderà gran parte dei 700
miliardi di dollari investiti in titoli del Tesoro americano e lo sta già
spiegando alla popolazione cinese. Il capo del Governo Wen Jiabao ha infatti
dichiarato: «Abbiamo prestato molto denaro agli Stati Uniti e ora siamo
preoccupati per la sicurezza dei nostri investimenti». Il Governo sa pure che linterruzione
di questi acquisti potrebbe avere conseguenze politiche molto pericolose e
quindi ha ribadito ufficialmente che «la Cina continuerà ad acquistare i titoli
di Stato americani». La disponibilità cinese ha però un prezzo e questo prezzo è molto alto
soprattutto per gli Stati Uniti. Pechino chiede la riforma del sistema
monetario internazionale (una nuova Bretton Woods) con lobiettivo
di creare una moneta di scambio sovranazionale al posto del dollaro. Le autorità cinesi pensano che
questa funzione possa essere assolta dai Diritti speciali di prelievo del Fondo
Monetario Internazionale. La delegazione cinese giocherà questa carta già il
prossimo 2 aprile a Londra, quando per aderire alle richieste americane ed
europee di ricapitalizzare lFMI, operazione necessaria per
aiutare i Paesi emergenti in difficoltà, in primis quelli dellEuropa
dellEst, chiederà in cambio una ridistribuzione delle quote del Fondo,
che ne fanno oggi un organismo controllato dai Paesi occidentali. La proposta di creare una valuta
sovranazionale corrisponde allidea presentata nel 1944 a Bretton
Woods da John Maynard Keynes, che venne però bocciata dagli Stati Uniti, i
quali imposero un sistema imperniato sul dollaro. Essa va al cuore del problema: lattuale crisi è anche una crisi degli Stati
Uniti e del dollaro e non può essere superata solo con il cambiamento di alcune
regole del sistema finanziario. Occorre invece un nuovo sistema monetario che
tenga conto dei mutati rapporti di forza a livello internazionale. Lidea cinese ha
raccolto immediatamente il sostegno di Russia ed India, ma si è scontrata con
lopposizione di
Washington. È evidente che gli Stati Uniti non vogliono perdere i grandi
vantaggi dati dal ruolo di valuta internazionale del dollaro. Pechino ha
comunque detto in modo chiaro agli americani che i rapporti di forza mondiali
sono cambiati e che gli Stati Uniti non possono pensare di uscire da questa crisi, preservando il primato del dollaro e quindi anche il
loro primato politico. Insomma, la Cina ha preannunciato quale sarà il prezzo
politico che gli Stati Uniti dovranno pagare per questa crisi.
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( da "Giornale di Brescia"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Edizione: 30/03/2009
testata: Giornale di Brescia sezione:in primo piano Sbarca in Europa la «nuova
America» Da domani Obama parteciperà a 3 vertici in 5 giorni: G20 a Londra,
Nato a Strasburgo e Usa-Ue a Praga Barack Obama sale su uno degli elicotteri
presidenziali WASHINGTON La «Nuova America» di Barack Obama sbarca domani in
Europa per affrontare il primo test internazionale del nuovo inquilino della
Casa Bianca. Con tre vertici in cinque giorni - conferenza G20 a Londra,
riunione Nato a Strasburgo e vertice Usa-Ue a Praga -, con incontri con oltre
40 leader mondiali, con una raffica di bilaterali (compresi i primi faccia a
faccia con i presidenti di Russia e Cina), con due discorsi importanti sui
rapporti transatlantici (in Francia) e sulla proliferazione nucleare (nella
Repubblica Ceca), con una sosta finale in Turchia l'agenda del primo viaggio
Oltreoceano di Barack Obama appare straordinariamente ambiziosa. Ma alla Casa
Bianca non si nasconde il timore che la stessa Europa che aveva riservato un
anno fa accoglienze da rockstar al candidato alla presidenza Usa possa dare
questa volta un benvenuto meno entusiasta al nuovo inquilino dello Studio
Ovale. Alle proteste già previste a Londra e Strasburgo contro l'inasprimento
Usa della guerra in Afghanistan, si accompagneranno le perplessità dei leader
europei sollecitati da Obama ad accogliere i detenuti di Guantanamo, a imitare
la ricetta Usa di poderosi pacchetti di stimolo, ad aumentare il contributo
(militare e civile) alle operazioni in Afghanistan. Ripristinare il prestigio
Usa Scopo dichiarato della visita di Obama, che in otto giorni toccherà cinque
Paesi, è quello di cominciare «a ripristinare il prestigio dell'America nel
mondo» gravemente scosso durante gli otto anni di amministrazione Bush, fanno
sapere i funzionari della Casa Bianca. Tanto per cominciare, Obama avrà un
atteggiamento diverso: è pronto a considerare le opinioni e le idee dei suoi
interlocutori e intende «guidare con l'esempio», soprattutto per le iniziative
per fronteggiare la crisi economica. Inoltre Obama ha
già corretto, in dieci settimane, molte delle politiche di Bush bersaglio delle
critiche degli altri Paesi: ha ordinato la chiusura di Guantanamo, ha
annunciato il calendario del ritiro delle truppe americane in Iraq, ha sposato
la causa della lotta al cambiamento del clima, ha teso la mano all'Iran, ha
annunciato una nuova strategia per l'Afghanistan ed il Pakistan. Ma la Nuova
America, nell'atteggiamento e nella linea politica, che Obama presenta
all'Europa è anche un'America gravemente indebolita dalla crisi finanziaria. È una crisi che ha provocato un ripensamento
del «modello americano» finora presentato come il migliore con la sua enfasi
sulla libertà dei mercati e sulla deregulation (il fattore all'origine della crisi). È una situazione che indebolisce
la posizione di Obama in vista del G20 di Londra. L'enfasi degli Usa
sulla necessità di varare massicci pacchetti di stimolo nazionali per far
ripartire l'economia non è condivisa da molti Paesi europei e la Casa Bianca ha
già cominciato a mettere le mani avanti: non ci saranno richieste specifiche a
Londra da parte americana su questo fronte. Così come al vertice Nato, Obama
non chiederà direttamente un aumento di militari in Afghanistan ai Paesi
alleati (puntando piuttosto sull'addestramento e sulla ricostruzione civile).
Un atteggiamento che rivela come Obama abbia già imparato una importante
lezione di politica internazionale: mai chiedere ciò che non ha alcuna
probabilità di essere concesso. L'Italia: sì al clima nel G8 Intanto l'Italia,
presidente di turno del G8, accoglie la proposta di Obama di organizzare un
forum sull'energia e sui cambiamenti climatici a margine del vertice che si
terrà a luglio in Sardegna. «Abbiamo dato il nostro via libera affinché si
tenga la riunione durante il G8 alla Maddalena», ha detto il premier Silvio
Berlusconi nel suo intervento al congresso del Pdl in un passaggio
sull'ambiente. Ieri era trapelato che l'inquilino della Casa Bianca aveva
inviato una lettera a Berlusconi in cui si chiede l'aiuto dell'Italia per
riattivare il Major economies Forum sull'energia ed i cambiamenti climatici. Ed
ieri è arrivata la risposta del Governo.
( da "Leggo" del
30-03-2009)
Argomenti: Crisi
di Piermaurizio Di
Rienzo Ristoranti milanesi sempre meno affollati. Tra le prime spese che i
consumatori stanno sforbiciando in tempi di crisi c'è
quella relativa alle cene fuori casa. A certificare quella che in molti locali
è sensazione più che diffusa ci pensano le cifre fornite dalla Fipe, la
Federazione italiana dei pubblici esercizi. Secondo l'associazione di
categoria, dall'inizio dell'anno i fatturati dei ristoranti milanesi sono
calati del 18,4% rispetto allo stesso periodo del 2008. E per fine marzo si
stima una diminuzione media del 23,6%. Una crisi che
colpisce a macchia di leopardo, senza troppe distinzioni di prezzo. Soffrono
soprattutto le tavole fuori dalla Cerchia dei Navigli, ma ci sono avvisaglie
negative anche per i locali del centro storico, perfino tra gli stellati. I
milanesi sembrano rimanere lontani dai super ristoranti, ma non si lanciano più
tanto nemmeno nelle pizzerie, dove l'ordinazione standard rimane quella minima:
margherita e birra media. Le cause non sono solo
genericamente riconducibili alla crisi finanziaria internazionale. Esistono, infatti, alcuni fattori, tutti
milanesi: dalla scarsa attrattività delle zone più periferiche, al calo dei
turisti, dovuto anche al ridimensionamento di Malpensa. In base alle cifre
fornite dall'Unione del Commercio di Milano, le prenotazioni alberghiere
raccolte nei dodici mesi dello scorso anno al "welcome desk"
dell'aeroporto di Malpensa sono scese del 72% rispetto al 2007. E i turisti
stranieri che nel secondo semestre del 2008 hanno soggiornato negli alberghi
milanesi sono stati il 6,5%.
( da "Tirreno, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Pagina 2 - Viareggio
Dal forum sociale in Brasile alla conferenza in via Matteotti VIAREGGIO. Il
presidente di "Progetto Sviluppo Cgil-ong", Renzo Concezione, ha
preso parte al Forum sociale Mondiale di Belém in Brasile. Da Belém è emersa la
nuova realtà dell'America Latina: i grandi leader Lula (Brasile), Chavez
(Venezuela), Morales (Bolivia), Kugo (Paraguay) e Correa (Equador) si sono incontrati di fronte a qualcosa come diecimila persone per dire
la loro sulla sfida della crisi finanziaria in atto nel mondo. Da quell'esperienza nasce la
conferenza-dibattito che è stata organizzata questa sera a Viareggio dalle
Cooperative "Giacomo Matteotti" e "Indipendenza 1973" e che
ha come relatore Renzo Concezione. Appuntamento alle 21 nella sala Giannessi,
via Matteotti 180.
( da "Messaggero Veneto, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
A rischio povertà
oltre 200 milioni di lavoratori L'Ocse: dal 2010 disoccupato il 10% Il ministro
Sacconi: l'Italia messa meglio, cauti con le previsioni I SINDACATI IL VERTICE
La denuncia delle organizzazioni internazionali al G8 che si è aperto a Roma
Un'agenzia dell'Onu: entro l'anno 40 milioni di senza lavoro in più ROMA. «Dal
2010 il tasso di disoccupazione potrebbe essere a doppia cifra in tutti i Paesi
del G8 con l'unica eccezione del Giappone, così come nell'area Ocse». Il
documento di allarme sulla disoccupazione stilato dall'Ocse è stato presentato
sul tavolo di riunione dei ministri del G8 dedicato al lavoro in programma fino
a domani a Roma. Cifre preoccupanti quelle dell'Organizzazione così come
l'allerta che ai governi dei Paesi guida del mondo viene dai sindacati
mondiali: «Duecento milioni di lavoratori sono a rischio povertà», avvisano i
rappresentanti dei lavoratori. Sacconi: l'Italia è messa meglio. Il ministro
del Lavoro minimizza, («Andrei cauto con le previsioni, chi le fa spesso poi le
deve smentire») e comunque sembra ottimista: «Penso che in Italia, come in
Europa, per ora è più lenta la perdita di posti di lavoro rispetto agli Usa».
Un «fatto positivo», secondo Sacconi, che non si è voluto sbilanciare a fornire
valutazioni sulle non rosee previsioni dell'Ocse, osservando tuttavia come nel
contesto attuale in cui si sta vivendo una crisi di
fiducia, sarebbe «importante che le organizzazioni internazionali si muovessero
in modo molto cauto nel fare previsioni». Sarebbe inoltre utile se
concentrassero la tempistica sulle date di pubblicazione delle loro stime, per
evitare un continuo accumularsi di cifre che creano allarmi. Sindacati in
allarme. Anche dai sindacati arrivano cifre molto preoccupanti. Oltre 200
milioni di lavoratori potrebbero essere spinti in condizioni di povertà
estrema, in particolare nei Paesi in via di sviluppo ed emergenti in cui non
esistono ammortizzatori sociali, avverte il sindacato mondiale delle Global
Unions, che presenta in occasione del G8 del lavoro un documento ai ministri
del Welfare globali. Secondo le Unions, il numero dei lavoratori poveri
potrebbe raggiungere la cifra di 1,4 miliardi. Peggio che nel 1929. Non è
migliore il quadro della situazione fornito dall'Ilo, l'agenzia Onu che si
occupa di lavoro: a crisi economica mondiale rischia
di cancellare ben 40 milioni di posti di lavoro in tutto il pianeta entro la
fine di quest'anno. E questo mentre già «nel 2008 il numero
di disoccupati mondiale è aumentato di 11 milioni, dopo quattro anni
consecutivi di calo». L'ente dell'Onu avverte che l'economia reale è stata
«significativamente colpita dalla crisi finanziaria, e le prospettive sono le peggiori dai tempi della Depressione
sdel 1929».
( da "Bresciaoggi(Abbonati)"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
IL COMMENTO La
recessione nel mondo e la partita tra Cina e Usa Carlo Pelanda Il G20 - cioè il
gruppo di Stati che forma la stragrande maggioranza del Pil mondiale - si
riunirà a Londra il prossimo 2 aprile. La scelta della città è un po'
sfortunata perché evoca un analogo summit a 66 nazioni lì tenutosi nel 1933 con
lo stesso scopo di trovare una soluzione internazionale, e non tante di tipo
nazionalista, alla depressione globale di allora. Il summit fallì per l'eccesso
di interessi nazionali divergenti. Probabilmente quello del 2009 non fallirà
perché tutti i governi hanno interesse a lanciare messaggi di ottimismo e di
collaborazione. Ma certamente, fuori dalla retorica dei comunicati, non
produrrà risultati significativi in termini di coordinamento globale. Tuttavia,
potrà limitare le reazioni protezionistiche alla crisi
attuate dalle singoli nazioni. Va ricordato, infatti, che la Grande depressione
degli Anni '30 non fu causata dal crollo borsistico del 1929, ma dal tipo di
reazione: restrizione della liquidità invece che sua espansione, aumento delle
tasse (in America) invece che riduzione e, soprattutto, barriere
protezionistiche al commercio internazionale che lo ridussero ai minimi facendo
collassare le esportazioni di tutti. Il massimo fattibile dal G20 sarà il
ridurre questo pericolo. Ma dove dobbiamo guardare, allora, per capire chi sta
producendo soluzioni attive? Dobbiamo osservare il G2 sino - americano. Il
mercato globale non è rotondo, ma piramidale. Al vertice c'è l'America che
regge con la sua capacità di importazione le esportazioni da tutte le economie
nazionali, in particolare di quella cinese. Il modello di sviluppo cinese
dipende dall'alto volume di esportazioni. Per questo Pechino reimpiega i
dollari guadagnati vendendo beni commerciali per finanziare il debito americano
in modo che l'economia statunitense possa restare in continua e forte crescita.
Tale sistema economico binario, che costituisce il centro
economico del pianeta, è stato in vigore dalla metà degli anni '90 fino a pochi
mesi fa. È la vera causa sistemica (indiretta) della crisi
finanziaria in quanto la pompa di capitale cinese ha
spinto le operazioni a debito in America e globalmente oltre qualsiasi limite
di sostenibilità.2
( da "Arena, L'" del
30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Lunedì 30 Marzo 2009
PRIMAPAGINA Pagina 1 L'EDITORIALE Recessione nel mondo, la partita tra Cina e
Usa Carlo Pelanda Il G20 - cioè il gruppo di Stati che forma la stragrande
maggioranza del Pil mondiale - si riunirà a Londra il prossimo 2 aprile. La
scelta della città è un po' sfortunata perché evoca un analogo summit a 66
nazioni lì tenutosi nel 1933 con lo stesso scopo di trovare una soluzione
internazionale, e non tante di tipo nazionalista, alla depressione globale di
allora. Il summit fallì per l'eccesso di interessi nazionali divergenti.
Probabilmente quello del 2009 non fallirà perché tutti i governi hanno
interesse a lanciare messaggi di ottimismo e di collaborazione. Ma certamente,
fuori dalla retorica dei comunicati, non produrrà risultati significativi in
termini di coordinamento globale. Tuttavia, potrà limitare le reazioni
protezionistiche alla crisi attuate dalle singoli
nazioni. Va ricordato, infatti, che la Grande depressione degli Anni '30 non fu
causata dal crollo borsistico del 1929, ma dal tipo di reazione: restrizione
della liquidità invece che sua espansione, aumento delle tasse (in America)
invece che riduzione e, soprattutto, barriere protezionistiche al commercio
internazionale che lo ridussero ai minimi facendo collassare le esportazioni di
tutti. Il massimo fattibile dal G20 sarà il ridurre questo pericolo. Ma dove
dobbiamo guardare, allora, per capire chi sta producendo soluzioni attive?
Dobbiamo osservare il G2 sino - americano. Il mercato globale non è rotondo, ma
piramidale. Al vertice c'è l'America che regge con la sua capacità di
importazione le esportazioni da tutte le economie nazionali, in particolare di
quella cinese. Il modello di sviluppo cinese dipende dall'alto volume di
esportazioni. Per questo Pechino reimpiega i dollari guadagnati vendendo beni
commerciali per finanziare il debito americano in modo che l'economia
statunitense possa restare in continua e forte crescita. Tale sistema economico
binario, che costituisce il centro economico del pianeta, è
stato in vigore dalla metà degli anni '90 fino a pochi mesi fa. È la vera causa
sistemica (indiretta) della crisi finanziaria in quanto la pompa di capitale cinese ha spinto le operazioni a
debito in America e globalmente oltre qualsiasi limite di sostenibilità.2
( da "Nuova Sardegna, La"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
G20 a Londra,
incontri Nato e Ue. Italia, ok al forum sul clima Obama alla conquista
dell'Europa Agenda ambiziosa ma molti dubbi sui risultati del presidente Usa
WASHINGTON. La "Nuova America" di Barack Obama sbarca in Europa per
affrontare il primo test internazionale. Con tre vertici nel giro di cinque
giorni - conferenza G20 a Londra, riunione Nato a Strasburgo e vertice Usa-Ue a
Praga -, con incontri con oltre 40 leader mondiali, con una raffica di
bilaterali (compresi i primi faccia a faccia con i presidenti di Russia e
Cina), con due discorsi importanti sui rapporti transatlantici (in Francia) e
sulla proliferazione nucleare (nella Repubblica Ceca), l'agenda del primo
viaggio oltreoceano di Obama appare molto ambiziosa. Ma alla Casa Bianca non si
nasconde il timore che la stessa Europa che aveva riservato un anno fa
accoglienze da rockstar al carismatico candidato alla presidenza Usa possa dare
questa volta un benvenuto meno entusiasta al nuovo inquilino dello Studio
Ovale. Alle proteste già previste a Londra e Strasburgo dei pacifisti contrari
all'inasprimento Usa della guerra in Afghanistan, si accompagneranno le
perplessità dei leader europei sollecitati da Obama ad accogliere i detenuti di
Guantanamo, a imitare la ricetta Usa di poderosi pacchetti di stimolo, ad
aumentare il contributo (militare e civile) alle operazioni in Afghanistan.
Scopo dichiarato della visita di Obama, che in otto giorni toccherà cinque
Paesi, è quello di cominciare «a ripristinare il prestigio dell'America nel
mondo» gravemente scosso durante gli otto anni di amministrazione Bush, fanno
sapere i funzionari della Casa Bianca. Tanto per cominciare, Obama avrà un
atteggiamento diverso: è pronto ad ascoltare e a considerare le opinioni e le
idee dei suoi interlocutori e intende «guidare con l'esempio», soprattutto per
quanto riguarda le iniziative per fronteggiare la crisi
economica. Inoltre Barack Obama ha già corretto, in poco più di due mesi di
presidenza, molte delle politiche di George W. Bush che erano il bersaglio
delle critiche degli altri Paesi: ha ordinato la chiusura di Guantanamo, ha
annunciato il calendario del ritiro delle truppe americane in Iraq, ha sposato
la causa della lotta al cambiamento del clima, ha teso la mano all'Iran, ha
annunciato una nuova strategia per l'Afghanistan e il Pakistan. Ma la
"Nuova America", nell'atteggiamento e nella linea politica, che il
presidente Obama presenta all'Europa in questo suo primo viaggio oltreoceano è
anche un'America gravemente indebolita dalla crisi finanziaria. «Sono tempi
difficili: c'è rabbia nel mondo verso l'America ritenuta responsabile di essere
l'origine di questa crisi»,
ammette il senatore democratico John Kerry. E' una crisi che ha provocato un ripensamento del modello americano finora
presentato come il migliore esistente con la sua enfasi sulla libertà dei
mercati e sulla deregulation (cioè il fattore all'origine della crisi). Intanto l'Italia, presidente di turno del G8, ha
accolto la proposta del presidente americano di organizzare un forum
sull'energia e sui cambiamenti climatici a margine del vertice che si terrà a
luglio in Sardegna. «Abbiamo dato il nostro via libera affinchè si tenga la
riunione durante il G8 alla Maddalena», ha detto il premier Silvio Berlusconi
nel suo intervento al congresso del Pdl in un passaggio sull'ambiente. Ieri era
trapelato che l'inquilino della Casa Bianca aveva inviato una lettera al
premier Silvio Berlusconi nella quale si chiede l'aiuto dell'Italia per
riattivare il "Major economies Forum" sull'energia ed i cambiamenti
climatici.
( da "Unita, L'" del
30-03-2009)
Argomenti: Crisi
G20 a Londra: ripresa da fine 2010 no al protezionismo I piani di stimolo dei vari paesi, le misure di sostegno alle
banche e l'aumento delle risorse del Fondo Monetario hanno l'obiettivo di far
tornare l'economia globale a crescere a fine 2010. È quanto si legge nella
bozza del documento finale del G20, anticipata dal 'Financial Times'.
Secondo il documento, il processo di espansione fiscale in atto farà aumentare
la produzione globale del 2% e creerà oltre 20 milioni di posti di lavoro. Le
venti maggiori economie del mondo, che si riuniranno al Londra il 2 aprile,
confermano poi il loro impegno a contrastare il protezionismo.
ANTICIPAZIONE
( da "Giornale.it, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
n. 13 del 2009-03-30
pagina 16 Obama l'europeo si gioca tutto in una settimana di Marcello Foa Il
presidente americano sbarca domani nel Vecchio Continente. Affronterà G20,
vertici con la Nato e la Ue, i primi faccia a faccia con Russia e Cina. Ma le
premesse non sembrano incoraggianti: su crisi
economica e Afghanistan rischia di tornare a mani vuote Quando arrivò in Europa
nel luglio scorso, Barack Obama venne accolto da una folla oceanica a Berlino,
mentre i leader dei grandi Paesi sgomitavano per farsi ritrarre al suo fianco.
Era l'uomo della speranza, della fiducia, di un'America che, nonostante la
presidenza Bush, era ancora considerata la potenza di riferimento. Ma Wall
Street non era ancora crollata. Domani Obama tornerà in Europa con un programma
molto intenso: sbarcherà a Londra per il G20 e per l'incontro con il presidente
russo Medvedev, giovedì sarà a Strasburgo al vertice della Nato e al summit con
la Merkel e Sarkozy, venerdì andrà a Praga dove è in programma la riunione
euro-americana, sabato effettuerà la prima visita in un grande Paese musulmano,
ovvero la Turchia. La sua popolarità è ancora altissima e tutti i leader, non
solo europei, lo accoglieranno festosi. Il successo di immagine è assicurato e
sarà amplificato da un incontro a Praga con i giovani della Repubblica ceca e
in collegamento video con i giovani di tutto il mondo. Eppure politicamente il
viaggio di Obama rischia di passare alla storia come uno dei più grandi
insuccessi della diplomazia o, più probabilmente, come il primo di un'America a
cui il mondo non riconosce più lo status di superpotenza. Un'America che,
svanita l'arroganza dei neoconservatori, «viene ad ascoltare», come ha
riconosciuto il portavoce presidenziale Robert Gibbs e che non potendo più di
dar lezioni conta «di continuare a guidare attraverso l'esempio». Un'America
contrita, umile, quasi supplicante, che dà l'impressione di essere disposta a
far la pace con chiunque in cambio del riconoscimento della sua importanza. Il nodo è rappresentato dalla crisi
finanziaria. Europa, Cina e Russia non hanno ormai
dubbi: la responsabilità della crisi mondiale è degli Stati Uniti e di un modello economico che,
attraverso la globalizzazione, ha contagiato il mondo, liberando da ogni
controllo banche e gruppi finanziari, che hanno assunto un potere enorme,
spropositato. E ora devono essere gli Usa a uscire dai guai. Da soli. Il
messaggio più forte che verosimilmente emergerà da questo intenso viaggio di
Obama è proprio questo. L'Europa ha deciso di non seguire l'America sulla via del
rilancio economico, perlomeno non secondo le modalità statunitensi. Obama, in
circa due mesi, ha approvato misure, che, inclusi i salvataggi delle banche e
delle industria in difficoltà, toccheranno l'astronomica cifra di 4500 miliardi
di dollari, pari quasi al 30% del Pil. E per settimane l'amministrazione Obama,
con il martellante sostegno della stampa, ha tentato di convincere l'Unione
europea ad uniformarsi agli Usa. Ma la cancelliera tedesca Merkel, spalleggiata
da Sarkozy, ha tenuto duro e ha vinto. Sabato i consiglieri della Casa Bianca
hanno annunciato che Obama non insisterà con i leader dei venti Paesi più
importanti del pianeta sulla necessità di varare la prima, grande, coordinata
manovra mondiale. La bozza della risoluzione, trapelata su un giornale tedesco,
esprimerà un auspicio generico, senza alcun vincolo. Come dire: ognuno faccia
da sé. Anche sull'altro dossier importante, l'Afghanistan, Obama tornerà a
Washington, quasi certamente, a mani vuote. Il copione è identico. Un paio di
mesi fa il presidente Usa ha deciso una nuova offensiva contro i talebani, che
comporta l'invio di altri 30mila marines, e per settimane ha sollecitato gli
alleati europei a fare altrettanto. Un mese fa ha inviato a Bruxelles il suo
vice Joe Biden che, in un summit della Nato, ha usato toni assai bruschi per
convincere i Paesi «riottosi». Invano: l'opinione pubblica europea non accetta
di mandare altre truppe e, in tempi di crisi, sono
pochi i governi disposti a sfidare le piazze. La tendenza, semmai, è al ritiro
da Kabul. Ovunque Obama si volti, c'è un problema. Vedrà Medvedev, ma il
disgelo con la Russia rischia di essere lento, finché non verrà risolto il
problema dello scudo spaziale. Neanche il presidente russo gli darà conforto,
perché dire «niet» o «no» o «nein» agli Usa non è più un tabù.
http://blog.ilgiornale.it/foa © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri
4 - 20123 Milano
( da "Secolo XIX, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Obama in Europa, tre
super verticiCrisi Gm, si dimette l'ad Wagoner presenterà la "nuova
america" Tre summit in 5 giorni. Già previste proteste. Dietro il gesto
del manager della casa automobilistica le pressioni del Presidente 30/03/2009
WASHINGTON. La "nuova America" di Barack Obama sbarca martedì in
Europa per affrontare il primo test internazionale del nuovo inquilino della
Casa Bianca. In agenda non solo la conferenza al G20, la riunione Nato a
Strasburgo e il vertice Usa-Ue a Praga -, ma anche la necessità di ricostruire
l'immagine appannata degli Stati Uniti. Tutto questo mentre a Detroit Rick
Wagoner, alla guida di una delle industrie-simbolo della crisi
Usa, la General Motors, rassegna le dimissioni: rientrerebbe nell'accordo per
la concessione di nuovi aiuti pubblici in favore della casa automobilistica.
Quindi, si può dire che l'addio di Wagoner è stato commissionato direttamente
da Obama. Il quale peraltro auspica che dal G20 di Londra esca «un forte
messaggio di unità per affrontare la crisi». Per
Obama, contrariamente da quanto chiesto dal Fondo Monetario Internazionale, i
leader del mondo non potranno continuare a proporre misure di stimolo fino al
2010. Ma per superare la crisi per l'inquilino della
Casa Bianca c'è bisogno di un «approccio complessivo» fatto sia di «misure di
stimolo» che di «nuove regole» per stabilizzare i mercati e anche per «evitare
che simili problemi non si ripetano più». Lo scopo dichiarato della visita di
Obama, che in otto giorni toccherà cinque Paesi, è proprio quello di cominciare
«a ripristinare il prestigio dell'America nel mondo» gravemente scosso durante
l'amministrazione Bush, fanno sapere i funzionari della Casa Bianca. Tanto per
cominciare, Obama avrà un atteggiamento diverso: è pronto ad ascoltare e a
considerare le opinioni e le idee dei suoi interlocutori e intende guidare con
l'esempio, soprattutto per quanto riguarda le iniziative per fronteggiare la crisi economica. Inoltre Obama ha già corretto, in poco più
di due mesi di presidenza, molte delle politiche di Bush che erano il bersaglio
delle critiche degli altri Paesi: ha ordinato la chiusura di Guantanamo, ha
annunciato il calendario del ritiro delle truppe americane in Iraq, ha sposato
la causa della lotta al cambiamento del clima, ha teso la mano all'Iran, ha
annunciato una nuova strategia per l'Afghanistan ed il Pakistan. Ma la
"nuova America", nell'atteggiamento e nella linea politica, che il
presidente Obama presenta all'Europa in questo suo primo viaggio oltreoceano è
anche un'America gravemente indebolita dalla crisi finanziaria. «Sono tempi
difficili: c'è rabbia nel mondo verso l'America ritenuta responsabile di essere
l'origine di questa crisi»,
ammette il senatore democratico John Kerry. È una crisi che ha provocato un ripensamento del "modello americano"
finora presentato come il migliore esistente con la sua enfasi sulla libertà
dei mercati e sulla deregulation (cioè il fattore all'origine della crisi). «Sono finiti i tempi in cui gli Stati Uniti potevano
dare lezioni agli altri su come gestire le proprie economie», osserva il New
York Times. Una situazione che indebolisce la posizione di Obama in vista del
G20 di Londra. L'enfasi degli Usa sulla necessità di varare massicci pacchetti
di stimolo nazionali per far ripartire l'economia non è condivisa da molti
Paesi europei (a Praga è stata definita addirittura "la via per
l'inferno") e la Casa Bianca ha già cominciato a mettere le mani avanti:
non ci saranno richieste specifiche a Londra da parte americana su questo
fronte. Così come al vertice Nato di Strasburgo e Kehl, Obama non chiederà
direttamente un aumento di forze militari in Afghanistan ai Paesi alleati
(puntando ai contributi sull'addestramento e sulla ricostruzione civile). Un
atteggiamento pragmatico che rivela come Obama abbia già imparato un'importante
lezione di politica internazionale: mai chiedere ciò che non ha alcuna
probabilità di essere concesso. 30/03/2009
( da "Secolo XIX, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
L'Ocse: la
disoccupazioneesploderà entro il 2010 il g8 di roma Senza lavoro, l'indice
balzerà oltre il 10%. Sacconi: più cautela sui numeri Roma. Disoccupazione a
due cifre per gli otto Grandi e una ripresa lenta nella prima metà del 2010. La
previsione a tinte foschi è dell'Ocse, e fa infuriare il ministro del Welfare
Maurizio Sacconi che invita alla «cautela» le organizzazioni internazionali.
Anche i sindacati sfoderano numeri preoccupanti al tavolo del G8 del lavoro che
discuterà fino a martedì dei danni sociali che la recessione sta provocando,
mentre l'esercito dei senza lavoro, in Italia e nel mondo, cresce con il
passare dei mesi. Entro il 2010, il tasso di disoccupazione nei Paesi del G8
(escluso il Giappone) potrebbe toccare il 10% e oltre e quindi il numero di
disoccupati arriverà a un livello «addirittura maggiore rispetto al decennio
1970-1980», quando l'economia internazionale dovette fare i conti con due choc
petroliferi. Ecco perché l'Ocse chiede ai governanti del G8
di intervenire «velocemente e in modo efficace per evitare che la crisi finanziaria si trasformi in una crisi sociale» senza precedenti.
Inoltre, nei 30 paesi dell'area Ocse la ripresa economica si avvierà«solo nella
prima metà del 2010», e sarà«una ripresa smorzata» e un andamento generale
dell'economia che resterà«fiacco». «Le previsioni - recita il paper
diffuso ieri a Roma - indicheranno un ulteriore declino dell'attività economica
nel corso del 2009 nell'area dell'Ocse, con una ripresa piuttosto smorzata che
emergerà soltanto nella prima metà del 2010. Anche questa smorzata ripresa -
avverte l'Ocse - poggia sul presupposto che per la fine del 2009 si siano
dissipate le tensioni dei mercati finanziari». Il ministro del Welfare Maurizio
Sacconi sembra però voler respingere le "profezie di sventura": «In
una fase come questa, caratterizzata dalla crisi di
fiducia - ha detto - è importante che le organizzazioni internazionali siano
caute nelle loro previsioni». Ma anche i sindacati, che partecipano alla tre
giorni del vertice, hanno portato le loro cifre, che completano un quadro già
fosco e gettano ombre lunghe anche sulla luce che qualcuno vede in fondo al
tunnel della crisi. Il numero dei disoccupati
crescerà, infatti, di 50 milioni nel corso del 2009 dopo che nel 2008 la crisi ha lasciato senza lavoro 11 milioni di persone in
tutto il mondo. I più esposti risultano soprattutto le donne, gli immigrati e i
giovani. Ma i sindacati temono che, anche quando finirà la crisi,
la trincea dei senza lavoro continuerà a rimanere sotto tiro: «Il rischio più
grande - è scritto nel documento preparato appositamente per il G8 - è quello
di una prolungata recessione del mercato del lavoro. La lezione delle passate crisi finanziarie insegna che il mercato del lavoro tende
riprendersi solo quattro o cinque anni dopo la ripresa economica». In questo
contesto, 200 milioni di lavoratori nel mondo rischiano di essere spinti in
condizioni di povertà. Il messaggio dei sindacati è che non basterà salvare le
banche e aiutare le imprese perché l'occupazione resterà, anche con la ripresa,
un'emergenza sociale prolungata. È arrivato il momento di pensare
all'occupazione su cui finora si è registrato, questa è l'accusa dei sindacati
internazionali, «un deficit della politica», che ora va colmato. «Finora vi
siete occupati delle banche ma è ora che vi occupiate del lavoro», ha ribadito
ieri il leader della Uil, Luigi Angeletti, che ha contribuito alla stesura
dell'appello rivolto ai governi del G8. «Una delle cause della crisi - ha detto Angeletti - è stata l'idea di fare soldi
con i soldi. Invece, per creare ricchezza bisogna lavorare. Questa è la lezione
della crisi». È un'impostazione che trova d'accordo il
ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, che ieri ha dato il via al cantiere del
G8: «Fino ad ora - ha detto il ministro - i governi si sono occupati di banche,
mercati e intermediari perché bisognava dare stabilità alla finanza e la
credito ma, per evitare il peggio, la condizione prioritaria è avere come
riferimento le persone, le politiche sociali di tutela». Insomma, non si esce
dalla crisi se non i governi non riusciranno a
bloccare l'emorragia di posti di lavoro e a creare nuova occupazione: «Senza
sostenibilità e coesione sociale, non c'è stabilità economica», ha spiegato
Sacconi. «Ci vogliono misure tempestive, mirate e temporanee per proteggere il
reddito, mantenendo il più possibile i rapporti di lavoro», ha sostenuto
Sacconi. La cassa integrazione non basta: fra le ricette allo studio del G8 ci
sono anche settimana corta e contratti di solidarietà perchéè meglio lavorare
meno ma conservare il posto. È la strada imboccata anche dal governo italiano,
che investirà 40 milioni di euro sui contratti di solidarietà, stanziandoli con
un emendamento al decreto-auto in votazione alla Camera. Michele Lombardi lombardi@ilsecoloxix.it
30/03/2009
( da "Repubblica, La"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Pagina 4 - Economia
G20: senza protezionismo ripresa
nel 2010 Pronto il documento finale. Più poteri a Draghi: frenerà i bonus.
Duello Londra-Berlino Il vertice DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA - La
recessione mondiale finirà entro la fine del 2010, il protezionismo sarà respinto, i paradisi fiscali saranno messi sotto controllo
e un´età delle regole e della crescita sostenibile rimpiazzerà quella del
rischio e dell´avidità. Sono queste le indicazioni che verranno dal
summit del G20, in programma giovedì a Londra, secondo la bozza dell´accordo
finale, del cui testo si è procurato una copia il Financial Times,
anticipandola immediatamente sul suo sito Internet in un articolo datato Roma
(forse la «talpa» era lì). L´espansione delle politiche fiscali già in atto,
afferma il comunicato, aumenteranno la produzione mondiale di 2 punti
percentuali, creando oltre venti milioni di nuovi posti di lavoro. «Siamo
determinati a far ripartire la crescita ora, a resistere al protezionismo
e a riformare i nostri mercati e le nostre istituzioni per il futuro, siamo
determinati a garantire che questa crisi non si ripeta», dichiarano i leader
del Gruppo dei 20 nella bozza d´accordo, esprimendo il loro appoggio a
«un´economia mondiale aperta, fondata su principi di mercato, su controlli
efficaci e su istituzioni globali forti», per conseguire «una globalizzazione
sostenibile con crescente prosperità per tutti». Il comunicato promette inoltre
sanzioni contro i paradisi fiscali e una diversa politica di bonus e
retribuzioni per i top manager, che premi «le prestazioni effettive». Il
compito è affidato al Financial Stability Forum, guidato dal governatore della
Banca d´Italia Mario Draghi, che sarà allargato a tutti i membri del G20,
rinominandolo Financial Stability Board e affidandogli la supervisione degli hedge
fund. I portavoce del primo ministro Gordon Brown, padrone di casa del summit
che inizia di fatto mercoledì sera non commentano lo scoop del quotidiano della
City. E non è detto che tutti i giochi siano già fatti. Altre voci che
circolano a Londra parlano infatti di tensioni persistenti tra la Gran Bretagna
e la Germania, accusando il governo di Angela Merkel di fare resistenza a certi
aspetti del piano proposto da Brown. Fonti britanniche accusano i tedeschi di
avere passato informazioni confidenziali al settimanale Der Spiegel, secondo le
quali il G20 si prepara ad approvare un nuovo pacchetto di aiuti all´economia
per un trilione di dollari, soltanto per imbarazzare Downing street, che
smentisce seccamente la notizia. Sul summit permangono poi incertezze d´altro
tipo, legate alle intenzioni del movimenti dei no global di attaccare mercoledì
o giovedì qualche obiettivo spettacolare: come la banca d´Inghilterra, la
Borsa, le banche della City, considerate il simbolo di un capitalismo avido e
sfruttatore. (e. f.)
( da "Repubblica, La"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Pagina 4 - Economia
Il capitalismo Le contestazioni "Asse Stato-mercato per battere la crisi
Il capitalismo non sarà mai più quello di prima E la crisi finirà per favorire
i partiti che proteggono la gente Le proteste sono comprensibili L´opinione pubblica
mondiale vuole vedere azioni efficaci ENRICO FRANCESCHINI dal nostro
corrispondente LONDRA - «Il summit del G20 deve riuscire a fondere Stato e
mercato. Il capitalismo ne uscirà trasformato, non sarà mai più quello di
prima. E la crisi finirà per favorire i partiti che proteggono la gente ma
respingono il protezionismo, ossia le forze
progressiste». Peter Mandelson è stato per un decennio l´ispiratore della
"nuova sinistra" occidentale e il braccio destro di Tony Blair, prima
di andare a fare il commissario al Commercio alla Commissione Europea a
Bruxelles. Da sei mesi è tornato a Londra, come ministro delle Attività
Produttive (e membro della Camera dei Lord), per aiutare il primo ministro
Gordon Brown a riguadagnare consensi e vincere le elezioni dell´anno prossimo.
Questa settimana sarà uno dei registi del summit del G20. Lord Mandelson, cosa
deve accadere affinché il summit sia considerato un successo? «Due cose: il
vertice deve porre le basi per ricostruire l´economia globale e deve
raggiungere un´intesa a livello internazionale sul fatto che gli unici
strumenti con le risorse e il potere per farlo sono i governi. Questa è la
chiave da cui ripartire. Poi bisogna respingere le minacce che mettono in
pericolo la ricostruzione economica, rifiutando in primo luogo gli appelli al protezionismo. E in generale bisogna lanciare un messaggio
che non deluda le aspettative della gente. Tutto ciò, naturalmente, non si può
fare in un giorno, ma il summit deve perlomeno stabilire un agenda, fissare la
direzione di marcia. Il test per determinare se sarà stato veramente un
successo verrà dopo, al momento di verificare se l´agenda è stata mantenuta e
se la direzione è quella giusta». Come giudica le manifestazioni di protesta a
Londra e altrove? «Sono legittime, comprensibili e direi necessarie. L´opinione
pubblica mondiale vuole vedere azioni efficaci e coordinate da parte dei propri
leader e dei propri governi. E´ un richiamo che dobbiamo ascoltare». Si parla
di nuovi, ingenti pacchetti di infusioni di denaro pubblico a sostegno delle
economie in crisi. Ma i contribuenti accetteranno di pagare più tasse per
salvare banche ed aziende? «In ballo ci sono non solo aziende e banche, ma ciò
che esse rappresentano in concreto: posti di lavoro e case comprate a rate, da
molti lavoratori in molti paesi del mondo. Per risolvere la crisi dobbiamo
riparare innanzitutto i danni fatti. Ma proprio perché si chiede un sacrificio
ai contribuenti occorre che i governi varino misure chiare ed efficienti,
perché solo così l´opinione pubblica potrà approvarle». Alle dimostrazioni di
piazza di questi giorni risuona lo slogan "tassate i banchieri, fate
pagare a loro il prezzo della crisi". Sono i banchieri i veri colpevoli?
«Il problema non è il comportamento più o meno scorretto di singoli banchieri:
truffe ed errori ci sono sempre stati. Il problema è che la cornice all´interno
della quale operano le banche è diventata troppo poco trasparente, troppo
complessa e con troppa poca supervisione. Ora abbiamo bisogno di mettere a
punto una nuova cornice di regole, e quando l´avremo fatto, le banche avranno
bisogno di tempo e spazio per funzionare di nuovo nel modo giusto. La regola
principale è che le banche non possono governarsi da sole». Si avverte in giro
una gran rabbia, una richiesta di eguaglianza e di giustizia. Dove porterà? Al
ritorno dello Stato a danno del libero mercato? «E´ necessario comprendere che
non possiamo permetterci il lusso di scegliere tra lo Stato e il mercato:
abbiamo bisogno di tutti e due. Con uno solo, non possiamo funzionare bene. E
la combinazione di mercati aperti, opportunamente regolati, con uno stato che
si batte per programmi di giustizia sociale e di opportunità per tutti, è a mio
avviso la combinazione giusta». E che favorisce le forze politiche
progressiste... «Quando tutto va bene, è facile spendere, investire, consumare.
E´ quando i tempi si fanno difficili che ci vuole coraggio a investire di più.
Non sono decisioni facili. Ebbene io credo che le forze progressiste, i governi
e i partiti di centro-sinistra, siano nelle condizioni migliori per mostrare
questo coraggio, il coraggio necessario per uscire dalla crisi e costruire un
mondo nuovo, migliore del precedente». Sulle ali dell´ascesa al potere in Gran
Bretagna di Tony Blair, a cui lei diede un fondamentale contributo, i partiti
di centro- sinistra conquistarono il governo quasi ovunque in Europa, un
decennio fa. Oggi sono quasi ovunque all´opposizione. Pensa che la crisi potrà
rafforzarli e riportarli al potere? «La lezione che inevitabilmente molta gente
trarrà da questa crisi è che è saggio e sensato affidarsi a governi che
regolano l´economia, non a forze che propongono un indiscriminato laissez
faire. I partiti progressisti sono meglio posizionati per questo compito. E c´è
un altro fattore che li dovrebbe favorire. I partiti di
centro-sinistra non sono protezionisti, e il protezionismo è oggi la tentazione più pericolosa: se non riusciremo a
respingerla, temo che la recessione diventerà una lunga e grande depressione.
Bisogna proteggere la gente, ma non è la stessa cosa che essere protezionisti.
Ecco la differenza: i partiti di centro-sinistra proteggono la gente, i partiti
di centro-destra proteggono il protezionismo».
( da "Repubblica, La"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Pagina 13 - Economia
SE IL VIRUS della crisi si
nasconde nelle maxibanche Non esiste un organo di coordinamento tra la Federal
Reserve e la Bce Cinque istituti hanno originato due terzi di tutti i mutui
concessi negli Stati Uniti (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) L´iniziale crisi finanziaria si è trasformata in
una crisi globale delle
banche, indebolite da un livello di capitalizzazione troppo esiguo rispetto ai
rischi in portafoglio. Eppure, quello bancario è il settore economico
più regolamentato, e con regole uniformi, sancite da un accordo internazionale
(Basilea). Quindi, la riforma del sistema finanziario
deve partire dall´attuale regolamentazione bancaria. Su una cosa, c´è già il
consenso. L´attuale sistema è pro-ciclico: scoraggia l´accumulazione di
capitale da parte delle banche quando il valore delle attività sale, e le
costringe a ricapitalizzarsi quando i mercati
crollano, aggravando il crollo. Si vuole imporre l´opposto: accantonare risorse
quando le cose vanno bene, per avere più patrimonio nelle fasi difficili. Un
sistema con coefficienti patrimoniali variabili in funzione dell´andamento dei mercati richiede però un´unica entità che li determina (o un
coordinamento internazionale), per evitare che diventi un modo per favorire le
banche locali. Solo le banche centrali possono farlo, visto che la variazione
del patrimonio bancario equivale a una manovra creditizia. Attualmente però non
esiste un organo di coordinamento delle banche centrali, e le più importanti
(Fed, Bce) non hanno il potere di vigilanza. Inoltre, variare i coefficienti
patrimoniali in funzione della dinamica dei prezzi delle attività presuppone
che la gestione della politica monetaria tenga in considerazione anche
l´andamento dei mercati finanziari: una rivoluzione
rispetto allo status quo. Sotto accusa anche le regole che impongono
valutazioni contabili prossime ai prezzi di mercato (Mark-to-market, Mtm): dati
i vincoli patrimoniali, se il prezzo delle attività scende le banche sono
costrette a venderle, accentuando il crollo di quelle poco liquide. Qui si
confondono causa ed effetto: la colpa non è del Mtm, ma dei coefficienti
patrimoniali fissi; e dell´esistenza di titoli (come quelli
"tossici") che sono privi di mercati
funzionanti, e hanno quindi prezzi non significativi e manipolabili. Sarebbe
molto più logico richiedere che gli strumenti finanziari
siano negoziati in mercati organizzati e regolati, e
margini di garanzia del 100% se non lo sono. L´ammontare di futures e opzioni
scambiati nei mercati organizzati è circa il triplo
degli strumenti derivati creati e negoziati direttamente dalle banche, eppure
non hanno mai provocato grandi dissesti, o una crisi
sistemica. Il Mtm è invece essenziale per la trasparenza e la fiducia:
attenuarlo, permetterebbe solo ai banchieri di non ammettere di aver investito
male. Il terzo aspetto è il calcolo dei coefficienti patrimoniali. Oggi le
banche lo calcolano pesando ogni attività per il suo grado di rischio, sulla
base di un rating stimato da loro stesse. Così, troppe banche hanno
moltiplicato esponenzialmente la leva, investendo in titoli con rating AAA. Per
questo sarebbe necessario un indicatore complessivo di indebitamento, basato
sul totale dell´attivo rischioso (senza ponderazioni) e il patrimonio
effettivamente accumulato (senza debito mascherato). L´evoluzione finanziaria ha creato molte entità che operano con una leva
elevata, pur non essendo banche: assicurazioni, società finanziarie
di gruppi industriali, intermediari, private equity, fondi hedge. Se lo scopo
della riforma è conoscere e controllare il livello di leva del sistema, l´indicatore
complessivo di indebitamento dovrebbe essere esteso anche alle entità non
bancarie. Rimane il problema della supervisione a livello globale: regole
nazionali servirebbe solo a spostare i capitali altrove. Tuttavia, di per sé la
troppa leva non è il principale problema: la vera fonte dell´attuale crisi è la dimensione eccessiva delle istituzioni finanziarie. Dissesti bancari per eccesso di rischio, e
crash per troppi debiti, ci sono sempre stati. Ma non hanno mai generato crisi sistemiche perché la dimensione del dissesto
permetteva al mercato di trovare una soluzione, eventualmente con l´aiuto dello
Stato: Banco di Napoli, Continental Illinois, Barings, il sistema bancario
svedese degli anni �80 e quello giapponese nei �90. Oggi, la crisi tocca giganti che operano a 360° (credito,
partecipazioni, intermediazione, gestione, derivati, etc.), spesso in conflitto
di interessi, con un potere di mercato spropositato: troppo grandi per fallire
senza travolgere il mondo. Cinque banche hanno originato due terzi di tutti i
mutui americani; le attività di Ubs sono 4 volte il Pil della Svizzera; quelle
di Unicredito, l´80% del Pil italiano; sette banche hanno organizzato il 60%
delle fusioni e acquisizioni nel mondo. Più che controllare la leva, bisognerebbe
smembrare i grandi gruppi e scinderne le diverse attività in società
specializzate indipendenti. Ne guadagnerebbero la stabilità del sistema finanziario, ma anche la concorrenza. Si potrebbe farlo
ricorrendo alle leggi antitrust, o imponendolo come contropartita per il
salvataggio coi soldi pubblici. Ma non è nell´agenda di nessuno. Eppure non
sarebbe una novità. Fu questa la soluzione adottata negli Usa dopo la crisi del �29: spaccare i conglomerati dei robber barons e
ripudiare la banca universale, per creare concorrenza e stabilità.
( da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: PRIMA data: 2009-03-29 - pag: 1 autore: ... LA RIVINCITA DEL LIBANO
... Beirut vietò i subprime e ora è un paradiso finanziario
di Roberto Bongiorni C ercano di nascondere la sod-disfazione ma non ci
riescono. Per i banchieri di Beirut il 2008, anno della grande crisi finanziaria globale, è stato
memorabile. Nel Paese per quasi tre anni sull'orlo della guerra civile, gli
istituti di credito hanno registrato performance senza precedenti: i
profitti netti sono saliti del 25%, un record. I depositi sono cresciuti del
16%, i prestiti al settore privato del 23%, le riserve valutarie del 60%. Non
solo. Se la carenza di liquidità e di fiducia sono lo spauracchio di mezzo
mondo, in Libano il problema è piuttosto come gestire in modo oculato l'eccesso
di liquidità.Anche il prudente Fondo monetario internazionale elogia il sistema
finanziario del Paese dei cedri «molto liquido e non esposto ai titoli
tossici». Gran parte del merito è di Riad Salameh, da 15 anni governatore della
Banca centrale del Libano e nominato tre volte dalla rivista
"Euromoney" migliore banchiere centrale dell'anno. La sua decisione,
nel 2004, di vietare alle banche libanesi di acquistare prodotti subprime si è
rivelata vincente. Così come le sue politiche ispirate alla prudenza. E il
2009? La crescita dei profitti rallenterà ma resterà comunque significativa.
Inchiesta u pagina 9 l'articolo prosegue in altra pagina
( da "Eco di Bergamo, L'"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
contropelo
Rivoluzione liberale? Solo slogan --> Roba da discorsi: in realtà con questa
crisi è passata di moda Lunedì 30 Marzo 2009 GENERALI,
pagina 2 e-mail print E adesso? Dobbiamo aspettarci dal neonato Pdl «una
rivoluzione liberale, borghese e popolare, moderata e interclassista che colma
un vuoto nella storia italiana» come ha detto Silvio Berlusconi aprendo il
congresso? È questa la sfida del centrodestra? E soprattutto, siamo sicuri che
l'Italia sia pronta per questa «rivoluzione»? Il tema è piuttosto controverso
nelle sue premesse e nei suoi intenti. la caduta del secondo muro A ben guardare,
nella storia del nostro Paese una rivoluzione liberale c'è già stata ed è quel
Risorgimento che l'Italia si appresta a celebrare nel 2011, in occasione dei
centocinquant'anni dell'Unità d'Italia. Una rivoluzione certo non popolare e
interclassista, come forse avrebbe voluto Garibaldi (o come dichiarava di
volere), ma certo liberale e borghese come lo erano i nostri primi padri della
patria, le cui statue e le cui targhe riempiono le nostre piazze e le nostre
vie, da Cavour a Crispi a Giolitti. Ma il punto è che il mondo attuale,
compreso il nostro Paese, ha già emesso il suo verdetto di colpevolezza sul
liberalismo e sulla sua declinazione economica, che è il liberismo. Una formula
politica, quella del «laissez faire», che aveva una sua ragion d'essere ed era
in auge all'inizio dell'avventura berlusconiana, a cinque anni dalla caduta del
Muro e del comunismo, nel generale discredito, quando Fukuyama proclamò «la
fine della storia», ma che oggi, con la caduta del secondo muro, quello di Wall
Street, è stata disconosciuta, a cominciare dal ministro dell'Economia
Tremonti. Già nel suo fortunatissimo pamphlet «La paura e la speranza», scritto
quando la crisi economica mondiale non era ancora
conclamata, Tremonti aveva archiviato anche il liberismo, «il mito dell'economia
assoluta dominatrice della nostra esistenza, matrice esclusiva di tutti i
saperi e di tutti i valori». Poiché «il mito, a cui soprattutto in Europa
tantissimi hanno creduto in questi ultimi anni, ci ha in realtà rubato un pezzo
di vita e di storia». La grande depressione statunitense, l'inflazione delle
materie prime, la crisi
finanziaria, le forti ondate migratorie, i milioni
di disoccupati, la caccia alle streghe che si sta facendo contro i manager e i
banchieri che hanno liquidato a suon di benefit e stock options, ci dicono che
il liberismo non è la risposta, anzi è stata la causa di quello che sta
avvenendo sui mercati e nelle fabbriche. Anche in casa nostra. Se nella
regione sarda del Sulcis decine di migliaia di lavoratori hanno perso il posto
e altre decine di migliaia rischiano di perderlo da qui a poche settimane è
perché la privatizzazione degli impianti di estrazione e di produzione
dell'alluminio degli anni Novanta li ha consegnati a multinazionali il cui
quartier generale è a Mosca, a New York, Zurigo, lontano anni luce dai problemi
di quella terra. Non c'è più lo Stato a vigilare sulla sorte dei suoi
cittadini-lavoratori, bastano pochi euro a rendere non più competitivo lo
stabilimento e a chiuderlo per aprirne uno nuovo in Ungheria o in Cina.
l'economia sociale di mercato La nuova formula politica ed economica sembra più
legata all'economia sociale di mercato, come voleva Keynes, alla soluzione
ibrida del problema, da affrontare di volta in volta, come fa Obama negli Stati
Uniti: si tratti di chiudere, di bombardare di dollari i mercati, di assistere
i disoccupati con sussidi e assicurazioni sulla malattia, di defiscalizzare, di
entrare nel capitale delle imprese e di riconvertirle all'economia verde. Ma il
liberalismo e il liberismo (il mercatismo di Tremonti) sembrano proprio aver
fatto il loro tempo, in tutto il mondo. È molto più probabile che il governo
del Pdl si orienti a politiche di mercato molto più stataliste, anche se
pragmatiche, «sociali», confinando la visione della «rivoluzione liberale» a un
suggestivo slogan destinato solo alla storia dei discorsi del Cavaliere.
Francesco Anfossi 30/03/2009 nascosto-->
( da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 3 autore: La convivenza delle varie
anime trova una sintesi nella formula dell'economia sociale alla tedesca
Pragmatica altalena tra Stato e mercato u Continua da pagina 1 «Una formula
politica – disse Tremonti ai giovani di Forza Italia – di tipo non universale,
ma all'opposto, di tipo particolare. Una formula che mira a soluzioni ad
hoc,basate sull'equilibrio dinamico tra princìpi diversi e tra di loro
potenzialmente opposti». Il nuovo Popolo della Libertà riparte da lì, dalla
formula di Tremonti. Rafforzata dagli eventi successivi (la
crisi finanziaria)che hanno
trasformato la critica al "mercatismo" del ministro in slogan di
culto. Con la successiva elaborazione che ha riportato in auge l'economia
sociale di mercato della Germania di Konrad Adenauer. Il Pdl non sarà il
partito liberale di massa cui i fondatori di Forza Italia erano convinti di
poter approdare, come ha spiegato Giuliano Urbani (vedere l'intervista
di Fabrizio Forquet sul Sole 24 Ore di giovedì). Anche se Silvio Berlusconi,
aprendo il congresso venerdì, ha detto che «la nostra è una rivoluzione
liberale, borghese e popolare, moderatae interclassista che colma un vuoto
nella storia italiana». «Il Pdl –osserva Gianni De Michelis che è stato a lungo
nel centro destra prima di aderire alla Costituente del nuovo partito
socialista - è figlio di Berlusconi, della sua lettura della società italiana,
con intuizioni spesso molto più valide delle sofisticate analisi della
sinistra. I quadri del partito non hanno autonomia politica e non influenzano
il progetto. Anche l'economia sociale di mercato, nella versione di Tremonti e
di Maurizio Sacconi, è declinata all'interno dei confini del berlusconismo». Ma
come si può riassumere la visione, il progetto del Pdl nell'economia? «Visione?
Quale visione? –obietta Giorgio La Malfa, che nel piccolo Partito repubblicano
avversa la linea di chi vuol confluire nella nuova forza politica –.La visione
come si concepiva prima della caduta del Muro di Berlino non esiste più. Non si
può dire che Gordon Brown e Barack Obama abbiano una visione. Economia sociale
di mercato è un'espressione vuota. Quello di Berlusconi è un modello ibrido,
keynesiano: un po' di Stato, un po' di mercato. La versione di Tremonti non gli
fornisce una piattaforma. E comunque Berlusconi non lascia a Tremonti lo spazio
per diventare l'ideologo nel campo dell'economia ». Più pragmatismo, meno
ideologia. è questo l'approccio preferito da Berlusconi «che parte – secondo De
Michelis – dalla capacità di leggere i punti di forza e di debolezza
dell'Italia.Basta vedere come ha chiuso il problema con la Libia nel momento in
cui servivano capitali ed energia: se n'è fregato degli ostacoli che da 30 anni
frenavano l'accordo e ha portato a casa il risultato che voleva ». è difficile
rintracciare delle radici culturali comuni nel nuovo partito. «Nel Pdl – nota
Alberto Mingardi, direttore dell'Istituto Bruno Leoni, un think tank liberista
– la militanza si compatta su questioni identitarie, non su quelle di policy.
Pertanto è un partito che non sente neanche il bisogno di avere delle radici
culturali. La formula dell'economia sociale di mercato è una rinfiocchettatura
della socialdemocrazia in salsa di destra». «Nel Pdl – aggiunge Gianfranco
Polillo, consigliere economico del capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto –
c'è tutto e il contrario di tutto. Ma due sono i punti fermi: la caduta dello
statalismo del 1989 e il declino del mercatismo con la crisi
del 2008. Lo Stato che fino a pochi mesi fa veniva considerato un Leviatano da
abbattere adesso ha di nuovo un ruolo. Da definire, ma ce l'ha». Non tutti però
si associano alla demonizzazione del mercato che è seguita alla crisi. «Nella mia visione il mercato non ha fallito – dice
per esempio l'economista Mario Baldassarri che entra nel Pdl con Alleanza
Nazionale –, semmai ha fallito lo Stato per la sua incapacità di dare regole
efficaci. E ora corriamo il rischio di fare altri danni con reazioni
protezionistiche. Quindi, per il futuro, dobbiamo puntare ancora sull'economia
di mercato, con regole seriee uno Stato che fa rispettare i diritti. Vogliamo
chiamarla economia sociale di mercato? Benissimo, purché sia questa. Del resto
il Dna del centro-destra dovrebbe essere quello della Destra storica italiana:
rigore nella gestione della finanza pubblica e rigore nella vigilanza sul
mercato, senza fare affidamento sull'etica degli operatori che badano solo al
loro interesse. Insomma, ci vuole uno Stato vero in un mercato vero». Ma
Berlusconi è soprattutto un imprenditore politico, un uomo di marketing che sa
vendere agli elettori quello che vogliono sentirsi offrire. Sa andare d'accordo
con gli imprenditori, crea un asse preferenziale con Cisl e Uil convincendoli a
rompere con la Cgil, è il punto di riferimento per i commercianti e per gli
artigiani. «Ma proprio per questo – osserva De Michelis –quando deve dimostrare
di essere un riformista vero, per esempio sulle pensioni, non ci riesce».
Insomma, vince senza cambiare davvero. Il neonato Pdl può accentuare questa
tendenza oppure dargli la forza per iniziare una nuova fase. Orazio Carabini
STRATEGIE FLESSIBILI Poco spazio all'ideologia, quello di Berlusconi è un
modello ibrido: «Soluzioni basate su equilibri dinamici», dice il ministro
dell'Economia
( da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 5 autore: «Tetti ai bonus? Demagogia»
«Né euforia né sconforto, i segnali del rilancio si devono consolidare» di
Franco Locatelli «B isogna tornare al futuro il prima possibile e cioè ai
fondamentali dell'economia, alla semplicità e alla solidità delle imprese e a
un ruolo sobrio dello Stato». Enrico Cucchiani, 59 anni, presidente di Allianz
in Italia e membro del board of management del gruppo assicurativo tedesco,
vive e lavora tra Milano e Monaco di Baviera e dà lì guarda all'andamento dalla
crisi «senza euforia per i primi segni di risveglio della Borsa ma senza
sconforto » per le difficoltà che ci attendono. «L'importante - osserva - è non
passare da un fondamentalismo all'altro: nella crisi lo
Stato ha una sua parte ma guai a scadere nello statalismo, nel protezionismo o nella demonizzazione del
profitto ». Dottor Cucchiani, Lei sta un po' in Italia e un po' in Germania e i
suoi incarichi la portano a girare molto nel mondo: dal suo particolare angolo
visuale come appare l'evoluzione della crisi? I segnali di risveglio
della Borsa sono una svolta o un fuoco di paglia? E' comprensibile che taluni
vogliano leggere nei cenni di ripresa della Borsa l'anticipazione dell'uscita
dalla crisi e, in effetti, alcuni indicatori mostrano qualche timido segnale di
miglioramento. A me pare opportuno non farsi prendere nè da una facile euforia
nè dallo sconforto. La risalita dei corsi azionari c'è stata ma, in termini assoluti,
è modesta e, in percentuale, appare rilevante solo perchè i prezzi di
riferimento erano estremamente bassi. In un grafico di lungo periodo i rialzi
recenti sono una gobbetta del tutto irrilevante. Molti sperano nell'effetto
Obama: che cosa pensa delle mosse del nuovo presidente americano? L'efficacia
degli ultimi provvedimenti americani può essere valutata solo in tempi più
lunghi: per ora l'unico effetto tangibile è, per alcuni operatori, la speranza
di "far soldi" sugli asset tossici. Ma prima di trarre conclusioni
occorre attendere: nelle prossime settimane vedremo i bilanci delle aziende
industriali e soprattutto dell'andamento del primo trimestre e questi dati
condizioneranno le Borse. Negli Usa, ma non solo, cresce la rabbia verso i
manager superpagati che hanno portato le imprese al fallimento: si può davvero
dire che sia solo populismo? Bisogna distinguere tra sistemazione del passato e
costruzione del futuro. Chi ha sbagliato se ne va e paga: esistono gli
strumenti giuridici per chiedere il risarcimento del danno anche ai manager.Ma
chi produce risultati positivi e duraturi deve essere adeguatamente ed
equamente remunerato. I tetti retributivi sono pura demagogia. Ammetterà però
che in molti casi e soprattutto nel mondo anglosassone le retribuzioni di certi
manager sono pazzesche. Sono certamente il frutto di un mercato drogato che va
corretto, ma se si deve raddrizzare un colosso complesso come Citibank occorre
il miglior manager disponibile sul mercato e non quello che si accontenta di
500 mila dollari. E il miglior manager dovrà essere retribuito secondo i
parametri di un mercato finalmente equilibrato. Torniamo all'evoluzione della
crisi: finora nessuno ha ancora trovato la ricetta per venirne fuori. Che cosa
impedisce di riconquistare la fiducia dei mercati e dei consumatori per
farripartire l'economia? Le ricette macroeconomiche le lascio agli addetti ai
lavori, ai policy makers e agli economisti, anche se finora intravedo ben poche
certezze. Mi è chiaro invece quel che si deve evitare: protezionismo,
statalismo, assistenzialismo, colpevolizzazione di intere categorie (banche,
governi) e demonizzazione del profitto. Così come si deve evitare che il
pendolo passi da un fondamentalismo all'altro e dalla deregulation
incontrollata ed irresponsabile alla over-regulation e alla over-ingerenza
dello Stato. Ognuno deve fare la sua parte, ma non si può scaricare sugli Stati
l'intero peso della ristrutturazione del sistema bancario, così come non si può
scaricare sulle banche il costo delle aziende de-cotte, inefficienti e
sottopatrimonializzate, che per fortuna in Italia sono meno che altrove. E,
soprattutto, bisogna capire che la crisi non è uguale per tutti. Lei sta spesso
in un Paese, come la Germania, che ha rotto il tabù delle nazionalizzazioni:
non la impressiona? In questa crisi l'intervento dello Stato - e non parlo solo
della Germania - è certamente parte della soluzione, perchè non è facile
individuare altre fonti capaci di apportare i mezzi necessari, anche se non è
tollerabile per i cittadini che si socializzino le perdite e si privatizzino i
guadagni colossali di pochi.Ma l'intervento dello Stato deve avere
caratteristiche di temporaneità e di "estremo rimedio", altrimenti
può diventare un problema di non poco rilievo. Però, un conto sono gli interventi
di stimolo e un altro conto sono quelli di salvataggio. Verissimo. Per gli
interventi di stimolo l'importante è l'armonizzazione internazionale al fine di
non creare pericolose distorsioni nei meccanismi di concorrenza. Il tema del
salvataggio è più complesso e il primo dilemma riguarda la scelta dei settori
in cui intervenire. Secondo Lei quali sono? Secondo me lo Stato può intervenire
solo sui settori regolamentati in quanto essenziali per il funzionamento
dell'economia e, quindi, in estrema sintesi: banche, assicurazioni, energia,
trasporti. E l'auto?In Germania il futuro della Opel è appeso a un filo e negli
Usa Gm è a rischio di bancarotta: lo Stato deve intervenire o lasciarle
fallire? Al di fuori dei quattro settori che ho indicato trovo inopportuno,
anche per l'auto, l'intervento dello Stato, a meno che non sia coordinato a
livello internazionale, perchè si rischia di introdurremeccanismi distorsivi
della concorrenza a scapito del consumatore. In questa ottica ritengo
inefficiente qualsiasi sostegno concesso, ad esempio, a General Motors o alla
Opel. Oltre che nel board di Allianz Lei siede nel cda di Unicredit: come
uscirà il sistema bancario dalla crisi? Prevedo un sistema bancario
caratterizzato da livelli di leverage e di rischio molto più bassi. Le banche
saranno più regolamentate, offriranno prodotti meno complessi e si
articoleranno su schemi organizzativi più semplici: in buona sostanza
assomiglieranno di più alle utilities. Ciò però avrà un prezzo. Quale? Meno
credito disponibile, a costi più alti e, quindi meno crescita. E le
assicurazioni? Il 2008 è stato l'anno peggiore nella storia del settore
assicurativo e anche il 2009 si preannuncia difficilissimo: andamento
industriale in deciso peggioramento e spesso in perdita, accantonamenti per sinistri
in calo, svalutazioni sugli investimenti elevate ma ancora incomplete, margini
di solvibilità e patrimonializzazione in regresso. Non stupiscono le
indicazioni degli analisti che ritengono inevitabile,anzi essenziale per la
buona tenuta del settore, il ricorso a politiche di assunzione del rischio più
rigorose e a una revisione del pricing. Allianz come se la cava? Ovviamente ha
risentito significativamente della crisi ma, in termini relativi, se l'è finora
cavata bene: è il primo gruppo al mondo per dimensione, il primo per utile
operativo (il doppio rispetto al secondo gruppo), può contare su un solvency
ratio del 161% che si traduce in un livello di solidità superiore alla
concorrenza e tale da consentire l'assorbimento di eventuali altri shock dei
mercati. Inoltre ha pagato un dividendo piuttosto robusto. Cash. Si dice che
dalla crisi usciremo tutti diversi da come siamo entrati: lo pensa anche Lei?
Sì, penso che, almeno nei prossimi anni, i tassi di crescita saranno molto
contenuti e che gli Usa non saranno più il principale motore di crescita
dell'economia globale e dovranno lasciare spazio ad un sistema multipolare che
coinvolgerà in chiave sistemica i Paesi emergenti. Penso, inoltre, che il
futuro dell'economia di mercato non ricalcherà il modello anglosassone ma sarà
fortemente influenzato dallo Stato sociale. Dal suo osservatorio come si vede
l'Italia? Se consideriamo la minore incidenza del settore finanziario, la forte
struttura industriale, l'elevato risparmio familiare, l'alta percentuale di
cittadini proprietari della propria abitazione, i buoni ammortizzatori sociali,
l'Italia rispetto a Paesi come Usa, Regno Unito e Irlanda è in posizione
relativamente migliore. Tuttavia non può considerarsi isolata dalla crisi
globale ed è significativamente colpita dal calo attuale dell'export,come sta
succedendo alla Germania. Adesso Italia e Germania soffrono ma, grazie a
un'industria molto diffusa e orientata all'export, potrebbero essere tra le
prime a cogliere i frutti della ripresa? La crisi mi fa venire in mente la
massima di Einstein, secondo cui "nelle difficoltà si nascondono grandi
opportunità". L'Italia ha sempre saputo dare il meglio proprio nei momenti
difficili. Facciamo dunque leva sulle capacità che ci vengono riconosciute per
trasformare un pericolo in opportunità, ma non perdiamoci in sterili polemiche.
Di fronte a una crisi come questa io credo che governo, banche, imprenditori,
manager e lavoratori debbano collaborare e non contrapporsi per elaborare e
realizzare progetti di ristrutturazione praticabili. Se lo faremo e sapremo
innovare e rinnovare, usciremo dalla crisi più forti. «Tornare alla semplicità
e solidità delle imprese e al ruolo sobrio dello Stato Le banche come
utilities» «Effetto Obama? Per ora si capisce che tra gli operatori è tornata
la speranza di far soldi» «Tornare ai fondamentali». Enrico Cucchiani,
presidente di Allianz Italia INFOPHOTO
( da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 7 autore: LENTE D'INGRANDIMENTO Il
crollo degli scambi globali Le economie in surplus si scoprono vulnerabili di
Riccardo Sorrentino U n tempo c'erano regole semplici, o almeno così sembrava.
Un deficit con l'estero,l'eccesso di importazioni sulle esportazioni, segnalava
un Paese che viveva al di sopra dei propri mezzi, e creava una situazione di
vulnerabilità. Soprattutto se era accompagnato da un forte flusso in arrivo di
capitali finanziari, che al minimo scricchiolio avrebbero potuto volare via,
travolgendo il cambio e, attraverso la valuta, tutta l'economia. La presenza di
un surplus, invece, era segno di una crescita solida. Al punto che molti Paesi
hanno fondato il loro modello di sviluppo sulle esportazioni: una versione
aggiornata, e meno aggressiva, dell'antico mercantilismo imperante tra il
sedicesimo e il diciottesimo secolo che puntava ad attirare in patria oro (oggi
riserve valutarie). Magari per finanziare le guerre. La crisi ha ora travolto
anche queste vecchie regole. Tutti i Paesi con deficit con l'estero sono in
difficoltà, in genere per le turbolenze sul mercato dei cambi: Ungheria,
Lettonia, Islanda sono esempi evidenti. Quelli in surplus soffrono persino di
più perché l'impatto della crisi cade direttamente sulla crescita. I numeri
sono sorprendenti: dal caso orientale di Singapore (che ha un avanzo pari al
28% del Pil e una decrescita annualizzata del 16,4%) a quello occidentale di
Eurolandia (che ha un surplus dell'1,8% e vede l'attività economica contrarsi
del 5,9 per cento), il fenomeno è evidente. «La ragione di questa situazione
spiega Dean Maki di Barclays che a questo tema ha dedicato una ricerca non è
nel fatto che i surplus sono negativi per la crescita; ma nell'attuale
recessione sincronizzata, il commercio internazionale di beni è crollato a un
ritmo molto più rapido dell'economia mondiale nel suo complesso: molte economie
con i maggiori avanzi commerciali erano poi specializzate nel produrre ed
esportare prodotti ciclici, proprio i prodotti che sono stati i più colpiti
dalla recessione». Quella vecchia regola forse richiede solo una modifica:
queste economie potrebbero essere le prime a rimbalzare, ora che le scorte di
prodotti sono esaurite e le imprese potrebbero riprendere a lavorare. «A
febbraio- aggiunge Maki- ci sono stati alcuni progressi nelle esportazioni dei
Paesi asiatici, in particolare Corea, Taiwan e Singapore, soprattutto verso la
Cina. Anche se questi dati sono distorti dagli effetti nel Capodanno lunare ».
Questa settimana sono previste le statistiche di marzo per la Corea,che
offriranno l'occasione per una verifica importante: l'ottimismo non è condiviso
da tutti. Il rischio vero per questi Paesi si chiama però protezionismo. Quando l'incertezza
domina, la tentazione di alzare le barriere alle importazioni diventa grande.
Anche se i risultati sono pessimi: tra il 29 e il '33, ricorda Carl J.
Riccadonna di Deutsche Bank,dopo l'innalzamento delle tariffe Usa, le
esportazioni americane calarono del 61%, a causa delle ritorsioni dei partner
commerciali. Non tutti sembrano aver imparato questa lezione: se il
ministro britannico alle attività produttive Peter Mandelson ex commissario Ue
al Commercio estero - considera le barriere commerciali «un infallibile modo
per trasformare la recessione in depressione», il ministro delle Finanze
francese, Christine Lagarde, ritiene che «un po' di protezionismo
» non sia un male, ma un prezzo necessario da pagare per la crisi. Il sospetto
è che nei fatti e malgrado le dichiarazioni di principio che saranno ripetute
dal G-20 della settimana prossima - possa prevalere l'approccio francese. Per
guidare la globalizzazione sui binari giusti occorre poco, ma serve un Governo responsabile
che sappia resistere alle pressioni; mentre alzare le barriere è molto
semplice. I Paesi esportatori sono avvertiti.
riccardo.sorrentino@ilsole24ore.com DIFFICOLTà IMPREVISTE Diversi Paesi in
recessione continuano a registrare avanzi commerciali e ora temono un'ondata di
protezionismo
( da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 9 autore: INTERVISTA Riad Salameh
Governatore della Banca centrale «Il nostro maggior problema? Gestire bene
l'eccesso di liquidità» BEIRUT. Dal nostro inviato Quando, nel 2004, decise di
vietare alle banche libanesi di acquistare prodotti subprime, anche in modo
indiretto, la sua operazione venne definita "eccessiva".Allora l'attuale crisi finanziaria era tutt'altro che prevedibile. Oggi Riad Salameh, 58 anni, da
15 governatore della Banca centrale del Libano, ha di che essere soddisfatto.
«Il 2008 per le nostre banche è stato un anno di profitti record», spiega al
Sole 24 Ore. Solo fortuna o una spiccata sensibilità? Salameh non si
sbilancia. Eletto per tre volte migliore governatore centrale dell'anno dalla
rivista internazionale Euromoney (l'ultima volta nel 2006), a inizio febbraio
il suo palmares si è arricchito con il titolo di miglior banchiere centrale del
Medio Oriente. «I segnali - precisa c'erano già nel 2003,bastava saperli
cogliere. Chi è abituato a convivere con le crisi,
come noi, ha imparato a essere prudente. I subprime non consentivano di sapere
a chi venisse prestato il denaro». Governatore, in un mondo in crisi di liquidità qualcuno si azzarda a dire che in Libano
ne esiste fin troppa. Ciò che sta accadendo alle banche commerciali in Libano
può essere definito un eccesso di liquidità. La fiducia nel nostro sistema ha
attratto ingenti flussi di capitali dall'estero, ma la nostra resta un'economia
dalle dimensioni ridotte. Quindi il numero di chi potrebbe usufruire di questi
flussi non è ancora adeguato. Oggi il compito principale della Banca centrale
del Libano è far in modo che questo eccesso di liquidità non sia dirottato su
operazioni speculative. Stiamo perciò incoraggiando i trasferimenti dei
depositi sulla lira libanese. La Banca centrale sta emettendo certificati di
deposito quinquennali in valuta locale a un tasso del 10%: è un tentativo di
controllare questo flusso. Dal 2005 al maggio 2008 siete stati più volte
sull'orlo della guerra civile. Nello stesso periodo il dollaro, vostra valuta
di riferimento, è caduto ai minimi. Eppure il vostro tasso di cambio è rimasto
praticamente identico. Il mercato libanese è "dollarizzato". Il tasso
di cambio della lira libanese è gestito in modo da farlo procedere passo passo
con il dollaro. Dal 1993 abbiamo ritenuto che un tasso di cambio stabile
avrebbe creatofiducia e sarebbe stato un'ancora contro l'instabilità. Se il
dollaro perderà valore noi opereremo affinché la lira libanese lo segua. Non è
un dramma, anzi, le nostre esportazioni e il settore turistico ne
beneficeranno. è già successo di recente quando il dollaro ha toccato i minimi
nei confronti dell'euro. Sempre più investitori chiedonodepositi nella vostra
valuta anziché in dollari. La dollarizzazione dei depositi bancari rappresenta
oggi il 68,5%, noi riteniamo che possiamo scendere al 65. Un anno fa era al 77.
Quindi è chiaro che la fiducia è alta nel sistema. Anche perché l'economia gode
di buona salute. Lo scorso anno i consumi sono cresciuti del 40% rispetto al
2007 e i nostri dati relativi al gennaio del 2009 segnano un incremento,
annualizzato, dell'11-12 per cento. Quali sono i maggiori limiti che avete
imposto alle banche commerciali libanesi? Possono concedere prestiti all'estero
fino al 50% dei loro fondi. Devono inoltre mantenere almeno il 30% di liquidità
sui loro depositi, e di questa somma il 15% dev'essere dirottato alla Banca
centrale. E non dimentichiamo che possono concedere prestiti al settore
immobiliare fino al massimo del 60% del valore del progetto. Ci spieghi meglio
il divieto di acquistare subprime. Nell'agosto del 2004 abbiamo deciso che
l'acquisto da parte delle banche private di prodotti finanziari strutturati e
derivati doveva essere approvato dalla Banca centrale; finora non abbiamo
autorizzato nessuno a farlo. Allora i tassi di interesse erano piuttosto bassi
mentre questi prodotti offrivano una redditività più alta, erano perciò
attraenti. Ma per noi la priorità è proteggere i depositi. Prudenza dunque. Di recente
è stato invitato a Wall Street per inaugurare una sessione e poi dare consigli
su come gestire l'attuale crisi. Di cosa ha parlato?
Non mi permetto di dare lezioni a nessuno. Posso riassumere il mio intervento:
i leverage devono essere contenuti ponendo dei limiti. Se si vuole riportare la
fiducia nel settore bancario occorre togliere dalle banche gli asset tossici e
porre dei regolamenti più stretti sui loro bilanci. Il progetto di creare le
bad bank è corretto. Tuttavia i risultati arriveranno nel medio-lungo termine.
Crede che il Libano possa davvero tornare a essere il Paese degli anni 60-70,
conosciuto come la Svizzera del Medio oriente? La strada è ancora in salita.
Tutto dipenderà dall'evolversi della situazione politica. Ma se porteremo avanti
le riforme, quelle strutturali e quelle volte a una migliore trasparenza, non
vedo perché no. Lo siamo stati prima, possiamo tornare a esserlo un domani.
R.Bon. MOSSA VINCENTE «Cinque anni fa vietai ai gruppi di acquistare prodotti
subprime I segnali c'erano già»
( da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 9 autore: INCHIESTA La rivincita di
Beirut Nel 2009 è previsto un rallentamento ma la crescita resterà
significativa Libano, dove le banche non conoscono la crisi Per gli istituti di credito il
2008 è stato un anno record Roberto Bongiorni BEIRUT. Dal nostro inviato La crisi finanziaria mondiale? I banchieri
di Beirut sorridono. Bear Stearns, Lehman Brothers, Citigroup... Dai loro
eleganti uffici nel centro città i tracolli delle grandi banche occidentali
sembrano appartenere a un altro pianeta. In un mondo in cui la maggior
parte delle banche lotta per mantenere i bilanci a galla, c'è un piccolo Paese
in cui gli istituti di credito vantano performance senza precedenti. Il Libano,
uno degli Stati più instabili po-liticamente, si è rivelato uno dei più solidi
sul fronte finanziario. Il suo settore bancario, che aveva eletto la prudenza a
regola del sistema, è stato premiato oltre le aspettative, sviluppando
un'immunità al virus che sta mettendo in ginocchio il mondo finanziario: la
mancanza di liquidità. I dati relativi al 2008, l'anno che ha segnato l'inizio
della crisi globale, sono difficili da contestare:
l'attività consolidata del settore bancario libanese ha raggiunto i 94 miliardi
di dollari, segnando un incremento del 15% sul 2007, un record. I profitti
netti delle 58 banche (ma quelle che contano sono cinque) sono saliti del 25
per cento. Un altro record. E che dire dei depositi? Sempre nel 2008 hanno
sfiorato i 78 miliardi (+ 15,6%). Per un Paese grande quanto gli Abruzzi, che
conta quattro milioni di abitanti, non è poco. I prestiti concessi dalle banche
al settore privato, l'incubo che non fa dormire gli imprenditori di mezzo
mondo, sono altresì cresciuti a un passo sorprendente: +23% a 25 miliardi.
Quanto alle riserve in valuta estera della Banca centrale, il balzo è stato
ancora più evidente: +59,2% a 19,7 miliardi di dollari (in gennaio sono salite
a 20,3). Anche lo scenario macroeconomico oggi appare solido. Se il debito
pubblico e il deficit restano ingombranti - il Libano non è la Svezia- i
consumi tengono, anzi, i venti della recessione qui non soffiano. L'afflusso
netto di capitali, nel periodo gennaio- novembre 2008, è cresciuto del 55,3% a
14,5 miliardi di dollari, compensando il deficit commerciale dello stesso
periodo ( 11,8 miliardi) e facendo registrare alla bilancia dei pagamenti un
surplus di 2,7 miliardi. Dopo essere salito dell'8,5%nel 2008,secondo il Fondo
monetario internazionale il Pil dovrebbe comunque crescere tra il 3 e il 4% nel
2009. Verrebbe da dire: siamo sicuri che si tratta del Paese tante volte sul
baratro della guerra civile? Il Paese dell'attentato all'ex premier Rafik
Hariri, nel febbraio del 2005, della guerra tra Hezbollah e Israele dell'estate
2006, delle autobomba conto i parlamentari? Il Paese dove solo 10 mesi fa le
milizie Hezbollah conquistavano con le armi il settore occidentale della
capitale? Business is Business. Pochi Paesi come il Libano riescono a mantenere
politica e finanza su due binari paralleli. «Siamo abituati a convivere con le crisi spiega Makram Sader, da 30 anni presidente
dell'Associazione bancaria libanese - e negli ultimi cinque la crescita del
settore bancario non è mai stata inferiore del 10%l'anno.Siamo un piccolo Paese
ma aperto a un flusso di capitali potenzialmente illimitato». Che a Beirut le
cose non vadano affatto male lo si vede girando per le strade: i ristoranti
sono affollati, i negozi pieni. Basti pensare che le vendite di auto, uno dei
settori più in crisi nel mondo, lo scorso anno sono
volate del 78 per cento. L'accelerazione delle importazioni di imbarcazioni
private sembra irrealistica. Solo quelle italiane sono cresciute del 1.013 per
cento. E chi si fida poco dei dati può limitarsi a osservare le centinaia di
gru che increspano l'orizzonte di Beirut. Ma da dove arriva tutto questo fiume
di liquidità? In primo luogo dai libanesi residenti all'estero, meglio noti
come "espatriati". Le rimesse nel 2008 hanno raggiunto sei miliardi
di dollari. Sono quasi dieci milioni quelli che vivono fuori dal Libano (otto
solo in Brasile). Non hanno mai reciso il cordone ombelicale che li lega al
Paese d'origine. E nel 2008, spaventati dalla crisi,
hanno dirottato i loro risparmi nel Paese dei cedri. «Hanno acquistato
appartamenti lussuosi nel centro di Beirut per poi abitarci due settimane
all'anno », commenta Guillaume Boudisseau, immobiliarista. Le rimesse degli
espatriati sono dunque la maggior fonte di entrate. «Tutto vero», precisa
Nassib Ghobril, analista finanziario e capo economista della Byblos Bank, la
terza banca del Libano. «La nostra politica attrae i libanesi espatriati. Il
tasso di interesse su chi ha depositi in lire libanesiè mediamente del 7,5 per
cento. Quella in dollari si aggira sul 3,5. Hanno trasferito qui parte dei loro
depositi. Stiamo quindi assistendo a una graduale passaggio dalle riserve in
dollari a quelle in lire libanesi». Byblos è un esempio della dinamicità delle
banche locali. Lo scorso febbraio si è quotata a Londra e negli ultimi anni ha
aperto sedi all'estero «In Sudan, Iraq, Kurdistan, Armenia, Siria, Nigeria»,
precisa Ghobril. «Gli espatriati? Non c'è nessun Paese al mondo - spiega Makram
Sader - che può contare un numero così elevato di businessmen all'estero in
rapporto alla sua popolazione. Ma sono molte le ragioni che hanno mantenuto il
nostro settore bancario fuori dalla crisi. Rispetto ad
altri Paesi emergenti che hanno convertito i depositi in valuta estera, noi
siamo obbligati a mantenere i nostri depositi in dollari, a meno che i nostri
correntisti chiedano il contrario. Inoltre le nostre banche non hanno mai
potuto creare al di fuori dei loro bilanci entità parallele e legali, come è
accaduto all'estero, per usare i depositi e investirli in prodotti subprime.
Non solo, guardiamo il rapporto tra Pil, 28 miliardi di dollari, e riserve
valutarie, 20 miliardi. Nei prossimi anni sempre più banche si quoteranno nel
nostro mercato». Tra le altre fonti di entrate non sono poi da trascurare i
grandi flussi di capitali provenienti da quei Paesi del Golfo Persico, tra cui
Emirati Arabi, Qatar e Arabia Saudita, anche loro stretti dalla morsa della crisi finanziaria. Preoccupati del calo dei prezzi del
greggio e dal crollo delle Borse, molti investitori si sono riversati in
Libano. Uno scenario rassicurante, tanto che il prudente Fondo monetario
internazionale, in un rapporto di marzo si esprime così:«L'economia libanese ha
dimostrato una notevole resistenza alla crisi finanziaria
globale. Il suo sistema finanziario non ha avuto esposizioni dirette ai titoli
tossici e rimane molto liquido». Non è però tutto oro quel che luccica. La
battaglia contro la corruzione e la trasparenza non è ancora vinta. Il debito
pubblico rappresenta il 162% del Prodotto interno lordo, mentre il deficit si
allarga e dovrebbe assestarsi sul 12,55 del Pil. Per la maggior parte dei
libanesi si tratta, in fondo, di problemi gestibili. A chi obietta che la crisi finanziaria potrebbe essere solo una questione di
tempo, il governatore centrale Riad Salameh, uomo prudente per inclinazione, ci
risponde con ottimismo: «Nel 2009 le nostre banche cresceranno ancora».
«Prevedo una crescita dei depositi del 15% circa», spiega il capo economista
della Byblos. «I profitti netti registreranno un incremento interno al 10%»,
gli fa eco Makram Sader. Saad Azhar, presidente della Blom Bank, la banca che
macina più utili, è più cauto: «Per noi il 2008 è stato un anno record, con una
crescita dei profitti a 251,6 milioni di dollari, ma credo che nel 2009 la
crescita degli utili si fermerà sotto le due cifre. Anche i nostri profitti
sono stati generati dalle nostre attività all'estero». La parola recessione è
dunque bandita. Espatriati, investimenti diretti esteri, soprattutto dai Paesi
del Golfo, ma anche turismo, un settore che nel 2008 ha registrato un record di
presenze. «Quest'anno ci attendiamo un calo delle rimesse. Potrebbe essere tra
il 10 fino al 30 cento. Ma sarà compensato dalla riduzione dei prezzi delle
commodities e dalla bolletta energetica», spiega il Governatore centrale.
L'unica incognita è la politica. E quando i banchieri parlano delle elezioni
del prossimo 9 giugno, con una nuova legge elettorale che potrebbe rivelare
grandi colpi di scena, i sorrisi si smorzano e la cautela prende il
sopravvento. Sanno che il voto potrebbe segnare una svolta. Nessuno sa però
indicare in quale direzione. CROCEVIA FINANZIARIO Gli utili netti sono saliti
del 25%, gli attivi del 15% Rimesse degli emigrati e investimenti del Golfo le
maggiori fonti di entrata Boom edilizio. Un gruppo di libanesi sotto un
cartellone pubblicitario di una banca libanese che reca lo slogan: insieme
possiamo diventare grandi. I progetti immobiliari hanno registrato un boom nel
2008 a cui hanno contribuito i libanesi residenti all'estero AP/LAPRESSE
( da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 10 autore: Quel
dialogo appeso a un filo I l mondo si trova di fronte a una crisi finanziaria che molti considerano
più grave della Grande Depressione che si ebbe tra le due guerre. Prima del
2008, gli esperti dicevano che la forza e la profondità dei meccanismi di
cooperazione messi in piedi alla fine della seconda guerra mondiale avrebbero
reso impossibile una nuova Grande Depressione. Le speranze che
l'internazionalismo riesca, ancora una volta, a risolvere la pletora di
problemi economici venutasi a creare sono quindi affidate al prossimo vertice
del G-20. Ma la portata delle aspettative è tale che andranno quasi
immancabilmente deluse. Il simbolismo del luogo dove si terrà il summit non è
dei più felici, perché rievoca il principale fra i tentativi falliti di gestire
l'economia mondiale nel periodo della Grande Depressione. Anche la Conferenza
economica mondiale del 1933 si riunì a Londra, nel Museo geologico, con
partecipanti da 66 Paesi. I protagonisti del vertice del 2009 forse non
andranno a visitare il Museo geologico, ma dovranno fare i conti con lo spettro
delle conferenze passate, perché il fallimento del 1933 offre insegnamenti
importanti per i leader dei giorni nostri. La prima è che, come per la
Conferenza di Londra, tutti si aspettano che questo vertice fallisca. Allora, i
lavori delle commissioni preparatorie determinarono la paralisi dell'assemblea
plenaria. Per gli esperti di moneta, un accordo sulla stabilizzazione delle
valute sarebbe stato altamente desiderabile, ma per far questo serviva prima un
accordo sullo smantellamento di barriere commerciali, tutti dazi e quote
introdotti durante la depressione. Gli esperti di commercio si riunirono a loro
volta sfornando un'immagine speculare di questa tesi. Che il protezionismo
fosse palesemente un vizio erano tutti d'accordo, ma lo consideravano un vizio
necessario, che non poteva essere risolto in assenza di stabilità monetaria.
Solo un'iniziativa forte da parte di una grande potenza determinata, pronta a
sacrificare i suoi interessi nazionali specifici per spezzare l'impasse
prodotta da queste tesi contrapposte avrebbe potuto salvare il vertice. Ma
un'iniziativa del genere era improbabile allora com'è improbabile adesso. Anzi,
la seconda lezione della Conferenza di Londra del 1933 consiste
nell'indisponibilità dei governi, in tempi di grande difficoltà economiche, a
fare sacrifici che potrebbero comportare costi sul breve termine. Anche se il
risultato sarebbe stato stabilità sul lungo termine, le conseguenze politiche
immediate erano troppo sgradevoli. Considerate le avverse circostanze
economiche, i governi si sentivano vulnerabili e insicuri e non potevano
permettersi di alienarsi il sostegno dell'opinione pubblica. Alla fine, resisi
conto dell'inevitabile fallimento, i partecipanti cercarono un capro
espiatorio. La Conferenza del 1933 sembrava il classico romanzo giallo in cui
tutti i personaggi hanno un motivo per essere sospettati. La Gran Bretagna e la
Francia avevano voltato le spalle all'internazionalismo per favorire i loro
vasti imperi coloniali. Il presidente tedesco aveva appena nominato Adolf Hitler
a capo del governo. La delegazione tedesca era guidata da Alfred Hugenberg, che
non era un nazista ma voleva dimostrare di essere un nazionalista ancora più
implacabile dello stesso Hitler. Il governo giapponese aveva appena inviato le
sue truppe in Manciuria. Tra tutte le grandi potenze riunitesi a Londra, gli
Stati Uniti apparvero quelli di gran lunga più ragionevoli e internazionalisti.
Avevano un presidente nuovo e carismatico, noto per la sua anglofilia e il suo
spirito cosmopolita. Franklin Roosevelt stava prendendo iniziative energiche
contro la depressione e cercava di rimettere ordine nel disastroso sistema
bancario statunitense. Roosevelt non sapeva quale linea adottare alla
conferenza e la sua fiumana di consiglieri non gli dava alcuna indicazione
utile. Alla fine perse la pazienza e annunciò che per il momento gli Stati
Uniti non avevano nessuna intenzione di stabilizzare il dollaro. Questo
messaggio, diramato il 3 luglio del 1933, fu soprannominato " la
bomba". Il presidente americano parlava della necessità di ripristinare
«il solido sistema economico interno di una nazione» e condannava i «vecchi
feticci dei cosiddetti banchieri internazionali». Tutti finsero di sorprendersi
di fronte al fallimento dell'internazionalismo. Ma allo stesso tempo erano
felicissimi di aver trovato qualcuno a cui poter dare la colpa per il
fallimento della conferenza. Nel 2009 ci troviamo alla prese con circostanze
analoghe. Le linee del conflitto sono state tracciate chiaramente in anticipo.
Gli Stati Uniti vogliono che il mondo si lanci in programmi di stimolo
macroeconomici e sono del parere che il complesso compito di reinventare e
riordinare la supervisione e la regolamentazione della finanza possa aspettare.
Molti Paesi europei non si possono permettere pacchetti di stimolo a causa di
bilanci pubblici già sforzati al limite della sopportazione, e vogliono fare
invece passi avanti sulla regolamentazione internazionale del settore bancario.
Gli alibi per il fallimento sono già pronti. Il nuovo vertice probabilmente non
produrrà né un piano di rilancio coordinato né un modello dettagliato per un
sistema di regolamentazione della finanza a prova di bomba. Per tutto il summit
i partecipanti aspetteranno il momento in cui uno dei leader (forse Angela
Merkel), perderà la pazienza e farà notare, comeè ovvio, che tutta la faccenda
è uno spreco di energie. Poi tutti addosseranno a questo leader sincero la
responsabilità di aver mandato in frantumi l'internazionalismo. Negli anni 30
furono i governi autocratici e bellicosi di Germania e Giappone che trassero il
maggior profitto dal fallimento della Conferenza di Londra. Anche un fallimento
del vertice londinese dei giorni nostri probabilmente verrà usato come arma
retorica contro i grandi governi occidentali e per offrire una giustificazione
razionale all'implementazione di nuove forme di capitalismo di Stato.
Copyright: Project Syndicate, 2009. Traduzione di Fabio Galimberti LA GRANDE
DEPRESSIONE La Germania nazista, la Francia e la Gran Bretagna colonialiste
bloccarono i tentativi di accordo proposti da Roosevelt LA SITUAZIONE ATTUALE
L'amministrazione Obama vuole che l'intero Occidente approvi programmi di
stimoli, ma gli Stati europei non possono permetterselo di Harold James
PRINCETON UNIVERSITY
( da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 11 autore: Il gregge e il rischio delle
scelte collettive di Francesco Daveri N el primo trimestre 2009, più di 250
operazioni hanno portato all'emissione di corporate bond per la cifra record di
332 miliardi di dollari. Anche le Borse hanno reagito bene alle buone notizie
provenienti dal mercato immobiliare americano dopo mesi di numeri negativi.
All'improvviso e in modo disordinato, così come era scomparsa, la liquidità - e
un po' di fiducia - è ora ritornata sui mercati. Il sistematico alternarsi di ondate di pessimismo e di ottimismo sui
mercati finanziari ha
enormi implicazioni sociali e richiede dunque una spiegazione. L'economista
Roland Benabou (http://www. princeton.edu/~rbenabou) ne offre una nel suo
recente lavoro ( Groupthink: collective delusions in organizations and markets)
in cui si discute dell'importanza del "pensiero collettivo" (appunto,
il "groupthink") come meccanismo per propagare ondate di pessimismo o
di ottimismo a fronte di cattive o buone notizie. Benabou parte
dall'osservazione che, di regola, il meccanismo dei prezzi mette un freno alle
conseguenze aggregate di azioni individuali che vanno in direzione opposta
rispetto alle opinioni collettive. Se a ritenere che il valore di un'azione sia
più alto del suo valore di mercato sono solo pochi compratori, la loro
decisione di acquistare l'azione farà aumentare i prezzi, in tal modo
scoraggiando l'incentivo all'acquisto da parte di altri potenziali acquirenti.
Le cose possono però andare molto diversamente. Se chi prende la decisione è un
operatore particolare (Warren Buffett) e in giro c'è molta incertezza su che
cosa sia conveniente fare, oppure se chi prende le decisioni (ad esempio,
Bernard Madoff) lo fa per conto di altri meno informati, la decisione di pochi
(o uno solo!) influenzerà le opinioni collettive, generando un "effetto
gregge". Accade così che la decisione di qualcuno di acquistare incoraggia
anche altri ad effettuare la stessa operazione più e più volte con decrescente
riguardo verso la plausibilità delle aspettative incorporate negli acquisti.
L'effetto gregge è più probabile se l'economia si trova in una situazione di
" new era thinking", cioè in una fase di attesa di un nuovo mondo.
Viene subito in mente la new economy, un mondo in cui sembrava legittimo
aspettarsi valori immobiliari sempre crescenti, un costo del denaro sotto zero
in termini reali e valori di Borsa sempre in rialzo indipendentemente dai
livelli di redditività delle società dotcom. In una situazione di questo tipo,
quella di negare l'evidenza di fronte alle cattive notizie può diventare
l'unica strategia conveniente da parte di agenti che avrebbero solo da perderci
dall'atteggiamento opposto cioè quello del realismo di chi accetta le cattive
notizie e toglie i soldi dalla Borsa o chiude i mutui troppo rischiosi. Per un
senior executive di una banca d'investimento - anche se consapevole di trovarsi
nel mezzo di una bolla -l'opzione più conveniente era quella di continuare il
gioco per almeno due ragioni: l'enormità dei guadagni di breve periodo e della
buonuscita (che rendevano poca cosa il rischio di essere licenziato) e, più
sottilmente, il rischio di peggiorare il curriculum, apparendo come un manager
incapace di sfruttare le occasioni. E se uno comincia a negare l'evidenza e ci
guadagna, ecco che lo faranno anche gli altri, in modo "esuberante".
Speriamo che il ritorno di liquidità e i guadagni di Borsa di questi giorni non
siano un altro giro sulla ruota della fortuna del "groupthink".
( da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 13 autore: ... MICROCOSMI LE TRACCE E I
SOGGETTI Il Nord-Ovest: imprese leader e città-regione di Aldo Bonomi I l
peggio è passato, ma la traversata sarà lunga, dichiara Sergio Marchionne,
amministratore delegato della Fiat. Come d'abitudine a NordOvest si presta
molta attenzione alla punta della piramide. Al soggetto ordinatore, la grande
impresa, che per tradizione novecentesca dava il "la" al sistema.
Affidandosi, speranzosi, a questo spiraglio di uscita dalla crisi.Pareva fosse
finita un'epoca quando, sempre Marchionne, nei giorni del lancio della nuova
500 rovesciò l'antico adagio fordista «ciò che va bene alla Fiat va bene al
Paese» nel suo contrario: «Se va bene il Paese va bene la Fiat». Finiva un'epoca
che faceva della company town Torino il luogo storico ed emblematico ove
osservare e capire il paradigma e i conflitti tra capitale e lavoro, con lo
Stato in mezzo a regolare relazioni industriali e welfare.Seguirono fuochi
d'artificio, spettacoli sulle rive del Po, che mettevano assieme i successi
postindustriali delle Olimpiadi della neve, appena celebrate, con l'uscita
della Fiat dalla lunga crisi industriale. Fu il breve inizio del
"rinascimento torinese". Non più company town, ma città regione del
NordOvest. Nodo strategico tra Lione, Genova e Milano. Non più solo conflitti e
mediazione tra capitale e lavoro, ma grandi opere per collegarsi ai corridoi
europei. Con nuovi conflitti e mediazioni territoriali come quello per la Tav
in Val Susa. Con un'attenzione forte non solo alla Fiat e al distretto
industriale dell'automotive,ma anche al capitalismo delle reti e alla
modernizzazione del territorio del Nord Ovest, per agganciarlo ai flussi della
modernizzazione. L'alleanza tra multiutility delle energie e dei trasporti con
Genova e con Milano. L'ansioso seguire il risiko bancario tra Torino e Milano.
Tanto da appassionarsi sia al ruolo della Fondazione Crt in Unicredito, che
alla costruzione della torre-grattacielo di Intesa San Paolo, eretta a simbolo
locale della fusione, quanto e più del riuso delle aree dismesse di Mirafiori
acquisite per 60 milioni di euro alla Fiat dalla Regione e dal Comune.
Orgogliosi di una città regione globale in grado con il suo Politecnico di
attrarre Motorola. Di aprire assieme al Politecnico di Milano una sede
universitaria a Shanghai e di candidarsi per un anno, il 2008, a capitale del
Design. Rilanciando un Mi-To postfordista sull'asse Milano Torino, dove il
rinascimento torinese giocava un ruolo metropolitano non sul ferro di un tempo,
Fiat-Alfa Romeo, ma su quello della terziarizzazione delle funzioni produttive
e della nuova composizione sociale. Che cambiava. Molto più lentamente di
coloro che, con retoriche postindustriali, sostituivano il motto pesante
«proletari di tutto il mondo unitevi» con quello leggero «creativi di tutto il
mondo unitevi». Ma cambiava. Producendo nuove forme di lavori nell'economia dei
servizi, della conoscenza, della cultura, dove i figli degli operai Fiat
facevano, precari e flessibili, i creativi. Nella crisi si torna al conflitto
tra capitale e lavoro. E magari, soffiando sul fuoco del protezionismo che cova sotto la cenere
del vulcano della crisi, si torna ancora più indietro. Quando, al primo arrivo
degli immigrati dal Sud alla Fiat, non si affittava ai meridionali, e gli
operai specializzati, l'aristocrazia operaia torinese, guardava con diffidenza
all'operaio massa. Oggi incombe l'operaio polacco. Non solo per la
Indesit, ma anche per la Fiat, essendo che la 500 è prodotta in Polonia. O
quello sloveno per la Renault. Visto il ritorno in Francia della produzione
della Clio. è tempo di passioni tristi. Che irrompono dentro i numeri della
crisi: cassa integrazione solo a Torino per 713 imprese per oltre 65mila
addetti (dati Fiom), 64% di piccole imprese torinesi, più della metà nel ciclo
dell'auto, che prevede una contrazione rispetto al 2008, con un 38% che prevede
un calo dell'occupazione e solo il 24% prevede di investire. I centri Caritas
segnalano 50mila passaggi, + 25% rispetto al 2008. Numeri che inducono una gran
voglia di protezione. Ognuno si occupi dei poveri, degli operai e delle imprese
sue. Da qui il riapparire di un triste dibattito, un déjà-vu che mette i
piccoli contro i grandi, territori in lotta tra loro per i trasferimenti, il
Nord Est contro il Nord Ovest e si ragiona sui diritti dei garantiti e sui non
diritti dei precari, scatenando una lotta tra gli ultimi. Rischio di
dissolvenza che è evitato da un ritorno ai fondamentali. Altro dai
fondamentalismi della paura. Nel microcosmo di domenica 1Ú marzo ho raccontato
il Nord Est della famiglia e dell'impresa ancorato alle piattaforme produttive.
Qui nel Nord-Ovest tornano protagonisti le imprese leader, gli enti locali e le
forze sociali. Tutti e tre questi attori tengono e fanno da pedana da cui
ripartire. A tutti è chiaro che c'è molto da fare per attraversare il deserto
che inaridisce il fare società. Per trovare le oasi di mercato, per consolidare
l'essere città-regione, per difendere il lavoro dei padri e i nuovi lavori dei
figli occorre coniugare l'universalismo, che non vede il nemico nell'operaio
polacco, con il destino della globalizzazione. Marchionne e la Fiat ci stanno
provando in un ciclo dell'auto globale sempre più turbolento. Sfida molto alta
anche per le rappresentanze sindacali. Molto dipenderà non solo da Fiat. Ma da
come reagirà Cuneo, la provincia granda nel capitalismo diffuso, la langa della
Ferrero, del barolo, di slow food e di Carlin Petrini, il biellese del tessile
con Zegna come leader, Novara della logistica e della De Agostini e il Verbano
con il suo distretto maturo dei casalinghi... Molto dipenderà anche dalla
maturità di quella composizione sociale giovane e acerba, per esperienze e
sistemi di protezione, in formazione nel terziario della città regione. Solo
così si potrà dire, una volta usciti dalla crisi, se va bene il Nord-Ovest, il
sistema paese, va bene la Fiat.
( da "Eco di Bergamo, L'"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Geometri: più
iscritti ma lavoro in calo --> Lunedì 30 Marzo 2009 CRONACA, pagina 11
e-mail print Sempre meno lavoro per i geometri bergamaschi Crescono
costantemente, di anno in anno, i geometri iscritti al Collegio di Bergamo. Nel
2000 erano 1.808, alla fine dello scorso anno hanno raggiunto il numero di
2.164 e alla data di oggi sono già arrivati a 2.192 unità, cui si aggiungono
380 praticanti, giovani diplomati che stanno svolgendo i due anni di praticantato
in uno studio professionale e che poi, superato l'esame di Stato, potranno
iscriversi all'Ordine. L'assemblea degli iscritti, nei giorni scorsi, ha visto
approvati all'unanimità sia i bilanci che la relazione del presidente Renato
Ferrari, il cui mandato scadrà nel 2010. Ma c'è lavoro per tutti questi
geometri? «La crisi finanziaria sta lasciando i segni anche nella nostra attività - risponde il
presidente Ferrari - e il lavoro è certamente in flessione. Grosse lamentele
per ora non ne raccolgo, ma tra noi parliamo sempre più spesso del calo di
lavoro. Non conosciamo ancora i dettagli del "progetto casa" del
governo e speriamo in risvolti positivi, ma difficilmente ci sarà una
esplosione di interventi di ampliamento, perché presuppongono un investimento e
le difficoltà economiche sono reali e diffuse». Uno degli argomenti sul quale
la relazione si è soffermata è il superamento del Regio decreto 274 del 1929
che ancora oggi fissa le competenze dei geometri. «Oggi - ha detto il
presidente - vi è la necessità di un regolamento adatto e moderno che in
sostanza rispetti le regole che già il Consiglio nazionale si è dettato
attraverso la formazione continua». Altro argomento toccato è la possibilità di
fusione dei collegi professionali dei geometri, dei periti industriali e dei
periti agrari. A questo nuovo organismo verrà attribuito il nome in sigla di
«Cogepapi». «La volontà del ministero di Grazia e giustizia - ha detto Ferrari
- è di formare professioni per blocchi omogenei, quindi occorre trovare equilibri
per arrivare alla fusione senza traumi e risolvendo le perplessità». La nuova
categoria avrà un nuovo regolamento moderno e nuove competenze. Pur accennando
ad alcune anomalie ancora presenti nel catasto, la relazione del presidente
Ferrari ha definito «attiva e proficua nel suo insieme» la collaborazione con
l'Agenzia del territorio locale. Roberto Vitali 30/03/2009 nascosto-->
( da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 17 autore: DIRITTO E IMPRESA
Osservatorio Ceradi-Luiss A CURA DI Valeria Panzironi La cooperazione fra Stati
sul Fisco cerca una strategia di Federico Rasi I principali Paesi della
Comunità internazionale si interrogano sull'esigenza di predisporre strumenti
giuridici che, applicati uniformemente, possano in futuro prevenire le cause
che hanno condotto all'attuale crisi
finanziaria. In alcuni ambiti gli Stati hanno
cercato di conseguire risultati simili: particolarmente significativi sono, a
questo riguardo, i numerosi documenti dell'Ocse e dell'Onu in tema di
cooperazione fiscale internazionale, l'analisi dei quali può consentire di
evidenziare le problematiche di cui si dovrà tenere conto anche ora.
Analizzare queste esperienze consente, infatti, di individuarne i punti di
forza per ripeterli e i punti di debolezza per evitarli. La cooperazione
fiscale internazionale è l'attività coordinata di due (o più) Stati per
realizzare fini comuni. Attraverso di essa si cerca soprattutto di evitare che
l'opacità di qualche Stato possa costituire un incentivo all'adozione di
condotte illecite quali l'evasione fiscale e il riciclaggio di denaro. è
considerata inaccettabile la politica di alcune Nazioni, ad esempio i
cosiddetti paradisi fiscali, volta a sottrarre materia imponibile agli Stati
più industrializzati in virtù di aliquote ridotte e a offrire agli operatori
economici zone franche in cui agire senza il rispetto di vincoli legislativi.
Due sono stati i primi problemi affrontati dalle organizzazioni internazionali
che si sono occupate di questi temi, gli stessi che ci troviamo ad affrontare
oggi: se regolamentare, ricorrendo a un approccio casistico o a norme di
carattere generale; oppure se consacrare tali norme in strumenti di hard law
odi soft law. Quanto al primo problema, ricorrendo al metodo casistico, si
rischia di disciplinare una serie di fattispecie in modo frammentario e creare
lacune. Questo è l'approccio adottato in tema di cooperazione fiscale
internazionale e i risultati raggiunti appaiono parziali. Lo scambio di
informazioni, che è il mezzo tramite cui si realizza la cooperazione tra Stati,
è disciplinato da una pluralità di fonti e di atti che si occupano di aspetti
particolari. Da essi è vero che si ricava l'impressione che gli Stati
condividano gli obiettivi (contrastare l'opacità di certe Nazioni), i mezzi (lo
scambio a richiesta, quello automatico e le verifiche simultanee) e i limiti di
questi strumenti (le tipologie di segreto opponibili dallo Stato cui vengono
inoltrate le richieste e le regole di riservatezza cui i soggetti coinvolti
devono attenersi), ma è altresì vero che non risultano enunciati principi
generali immediatamente precettivi. Questi si ricavano solo in via
interpretativa. è proprio un simile approccio, frammentario e inevitabilmente
lacunoso, che favorisce quei vuoti di disciplina che consentono ai Paesi
"opachi" di perdurare nelle loro politiche. Formulando, invece,
clausole generali ed enunciando i principi della materia si possono evitare
queste conseguenze e si può garantire una maggiore uniformità di applicazione,
a condizione che gli Stati adeguino la propria legislazione nazionale a tali
principi. Si deve, infatti, evitare che le specificità nazionali ostacolino le
finalità di simili provvedimenti. Norme con le caratteristiche sopra indicate
possono essere contenute in strumenti di soft law odihard law. Sono strumenti
di soft law quegli atti accomunati dall'assenza di un impegno vincolante e che
creano dunque esclusivamente un "obbligo morale" per gli Stati. Fino
ad ora si è fatto prevalentemente ricorso a questi strumenti e i risultati
raggiunti non appaiono del tutto soddisfacenti. Un più efficace perseguimento
degli obiettivi che ci si pone passa attraverso il ricorso a forme di hard law.
Ilricorso a strumenti quali una convenzione multilaterale aperta alla firma
anche degli Stati che non hanno concorso alla relativa negoziazione (sulla
falsariga della convenzione Ocse Consiglio d'Europa in tema di scambio di
informazioni), piuttosto che a una pletora di convenzioni bilaterali, appare
preferibile e auspicabile. Così gli Stati risulterebbero maggiormente vincolati
in virtù dell'impegno collettivo e si potrebbe risolvere il reale problema che
queste iniziative scontano: l'enforcement. Con il termine enforcement si fa
riferimento al complesso di misure che vengono adottate da uno Stato per
garantire l'applicazione concreta di specifiche disposizioni normative. Nel
contesto del diritto internazionale, si intendono, in particolare, le misure
che gli Stati possono adottare per vincolarsi reciprocamente al rispetto di
obbligazioni assunte in trattati internazionali. è su questo punto che anche la
cooperazione fiscale presenta le maggiori criticità. Al globale consenso sui
temi in esame, si contrappone l'assenza di mezzi efficaci ed efficienti tramite
cui garantire ai Paesi collaborativi la cooperazione di quelli opachi. Una
convenzione multilaterale rappresenta, invece, il mezzo migliore a disposizione
degli Stati collaborativi per far sì che regimi di favore operino solo fra di
loro, escludendo quelli non firmatari. In questo modo gli operatori economici
sarebbero, di fatto, dissuasi dall'intrattenere rapporti con le Nazioni non
collaborative. Analogamente, ogni futuro tentativo di offrire una disciplina
condivisa dal maggior numero di Stati deve fare in modo che coloro che non vi
aderiscono siano, di fatto, posti ai margini dei traffici mondiali. Il successo
di simili iniziative dipende dal forza vincolante che si riesce a imprimere
loro. LE REGOLE Le clausole generali evitano l'approccio frammentario che è
legato al metodo casistico GLI STRUMENTI Le convenzioni multilaterali sono più
efficaci degli obblighi morali basati sulla «soft law»
( da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 19 autore: Banche. L'investimento è
pari a 60 milioni – Il gruppo bavarese ha già goduto di aiuti pubblici per 102
miliardi Hypo Re, entra lo Stato Il Governo tedesco rileva l'8,7% dell'istituto
- Al via la nazionalizzazione Beda Romano FRANCOFORTE. Dal nostro
corrispondente La nazionalizzazione di Hypo Real Estate sta lentamente
prendendo forma. Ieri la banca ha annunciato che il Governo acquisterà una
quota dell'8,7% nell'istituto di credito bavarese in gravissima difficoltà.
L'operazione giunge mentre il Parlamento è in procinto di approvare una legge
che permetterà, nel caso, un esproprio degli azionisti. La notizia è giunta
ieri sera, anticipata dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung e poi confermata da
Hre. Il consiglio di sorveglianza dell'istituto di credito ha deciso di
organizzare un aumento di capitale straordinario che consentirà allo Stato di
acquistare una partecipazione dell'8,7%nella banca specializzata in
Pfandbriefe, obbligazioni immobiliari. L'operazione prevede l'acquisto da parte
del Governo di 20 milioni di azioni per un totale di 60 milioni di euro, al
prezzo di tre euro ad azione, «il livello minimo prescritto dalla legge », si
legge in un comunicato pubblicato ieri sera. Il titolo dell'istituto di credito
ha chiuso le contrattazioni venerdì alla Borsa di Francoforte a 1,14 euro, in
calo dell'1,72%. L'iniezione di denaro fresco, che andrà a rafforzare il
capitale della banca, non sorprende (si veda Il Sole/24 Ore di ieri).L'istituto
è in terribili difficoltà: in questi mesi di crisi finanziaria ha già goduto di aiuti
pubblici per 102 miliardi di euro. Questa nuova operazione avverrà attraverso
il Soffin, un fondo federale nato l'anno scorso per gestire le garanzie statali
alle banche. La società bavarese è stata travolta dalla crisi finanziaria a causa della sua
esposizione al mercato del credito immobiliare. Proprio ieri la banca ha
rivelato le perdite del 2008: 5,4 miliardi di euro, prima delle tasse, rispetto
a profitti per 862 milioni nel 2007. Perdite - ha precisato - sono prevedibili
per altri due anni. La mossa di ieri dovrebbe essere propedeutica alla
nazionalizzazione. Hre ha spiegato che «la prevista ricapitalizzazione della
banca prevede quale prerequisito la presa di controllo totale da parte dello
Stato o del Soffin»con l'obiettivo di«stabilizzare i mercati
finanziari». L'istituto ricorda l'esistenza di un progetto di legge che
darà potere al Governo di nazionalizzare una banca. Il testo è già stato votato
dal Bundestag, ma deve ancora essere approvato il 3 aprile dal Bundesrat, la
Camera delle regioni. Alcuni LÄnder sono contrari. La mossa di ieri da parte
del Governo è probabilmente anche un modo per fare pressione su coloro ancora
freddi all'idea di permettere allo Stato di nazionalizzare una società. La
questione sta complicando il rapporto anche con il principale socio di Hre,
J.C. Flowers che controlla circa il 25% della banca. L'investitore americano è
pronto ad accettare l'arrivo dello Stato, ma chiede di rimanere azionista. Il
Governo invece è convinto che debba prendere il controllo totale della banca,
visto il suo ruolo cruciale per la stabilità del mercato del credito
immobiliare tedesco. L'ipotesi nazionalizzazione è controversa in una Germania
in cui per oltre 50 anni ha dominato una visione liberale dell'economia, basata
su un intervento statale limitato. Questa visione di politica economica è stata
progressivamente travolta: HRE infatti non è la prima banca tedesca ad
accogliere un azionista pubblico sulla scia della crisi
scoppiata nel 2007. Al di là delle molte Landesbanken, le banche regionali
salvate dai LÄnder, anche Commerzbank è stata costretta ad accettare l'arrivo
nel capitale della mano pubblica. In gennaio, il Governo di grande coalizione
guidato dal cancelliere Angela Merkel ha annunciato l'ingresso nella seconda banca
privata tedesca con una quota del 25%. LA SOCIETà «La ricapitalizzazione
prevede quale prerequisito la presa di controllo totale del gruppo da parte di
Berlino»
( da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 20 autore: Mercati. Il big dei fondi
pensione Usa chiede meno costi e maggiori rendimenti Calpers contro gli hedge
fund Marco Valsania NEW YORK Il "memorandum", all'apparenza, potrebbe
sembrare velleitario. La minaccia di un in-vestitore inviperito: chiede agli
hedge fund di rivedere, in termini più favorevoli, le condizioni per i clienti.
Altrimenti, potrebbe ritirare i suoi soldi. Ma la firma tradisce un documento
esplosivo, una minaccia che non può affatto essere presa alla leggera: in calce
c'è il nome di Calpers, il re dei fondi pensione dei dipendenti pubblici
americani, con 172 miliardi di dollarie reputazione da vendere. Soprattutto,
con quasi sei miliardi affidati in gestione agli hedge, che a loro volta usano
la sua adesione come biglietto da visita per attirare clienti di prestigio. A
ricevere la missiva del California Public Employees Retirement System sono
state ben 35 società, 26 hedge e nove fondi di fondi. Una richiesta chiara:
abbassate i vostri prezzi e inserite clausole di "clawback", ovvero
di restituzione delle commissioni in caso di performance deludenti. Tra i
destinatari, spiccano grandi nomi dell'alta finanza: da Tremblant Capital a
Atticus Capital, fino a Och-Ziff Capital Management. Gli hedge fund, durante la
crisi, hanno ricevuto simili appelli da altri investitori istituzionali, quali
lo Utah Retirement Systems. è stato però il memorandum di Calpers, rivelato dal
Wall Street Journal, a diventare immediatamente un terremoto per il settore.
Forse quanto i piani dell'amministrazione di Barack Obama
per imporre nuove regole sui mercati finanziari che garantiscano inedita vigilanza. Oppure la proposta di
tassare alla stregua di reddito compensi che i gestori considerano invece
guadagni di capitale. è diventato, insomma, il simbolo della fine di un'era.
Quella che, con folle di clienti che bussavano alle porte, aveva visto gli
hedge dettare legge: in alcuni casi la tradizionale formula per la loro
remunerazione, il 2-20, il 2% degli asset e il 20% dei profitti, era stata
stracciata, lievitando piuttosto al 3-30, il 3% degli asset e il 30% dei
profitti. Agli hedge Calpers dice chei cambiamenti suggeriti «sono molto
importanti e sono indispensabili per manager che desiderano rimanere o
diventare parte del gruppo di gestori» usato dal fondo pensione. La sua,
aggiunge, non è una richiesta rigida: afferma che a diversi hedge fund è
intenzionato a proporre criteri diversi e di voler trattare su eventuali
controproposte. Tra le domande specifiche delineate da Calpers c'è quella sulle
commissioni legate alla performance, che invece di essere pagate a fine anno
vorrebbe distribuite nell'arco di più anni. Le misure di "clawback"
consentirebbero di recuperare pagamenti, versati agli hedge in anni redditizi,
durante una successiva fase difficile. Il fondo pensione vuole anche garanzie
contro un congelamento dei riscatti, tenendo i suoi investimenti separati da
quelli di altri investitori. E, invitando i gestori a mostrare inedita
cooperazione, chiede una totale trasparenza nei suoi confronti sui titoli che
comprano, informazioni che, assicura, non verrebbero rese pubbliche. LA FINE DI
UN'ERA Sempre più clienti di peso pronti a ritirare i propri investimenti se
non vengono abbassati prezzi e commissioni
( da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 32 autore: Ontologia sociale Un mare di
documenti tossici di Maurizio Ferraris S upponiamo che a un certo punto
scoprissimo che non tutti i cedolini dello stipendio che riceviamo siano esatti,
e che qualche volta (diciamo, nel 7 per cento dei casi) siano falsi, cioè non
corrispondano alle ore di lavoro effettivamente prestate e al salario pattuito.
Immagino che il nostro primo istinto sarebbe di chiedere delle verifiche, ma
supponiamo che anche il 7 per cento delle verifiche fossero documenti falsi, e
che questa percentuale si estendesse a tutti gli altri documenti con cui
abbiamo a che fare: carte di credito, certificati di proprietà, azioni, carte
di identità. è evidente che diventeremmo a dir poco scettici nei confronti del
restante 93 per cento e cadremmo in preda prima allo sconcerto, poi al panico.
Un panico che assumerebbe dimensioni globali qualora scoprissimo che il resto
del mondo si trova esattamente nelle nostre condizioni. Come ha sottolineato la
stragrande maggioranza degli esperti, questo è ciò che è avvenuto nell'attuale crisi finanziaria. Se cerchiamo di concettualizzarlo
filosoficamente, ci rendiamo conto che investe la sfera di quella che ho
proposto di chiamare "documentalità", in quanto caratteristica
essenziale degli oggetti sociali. Come ho argomentato estesamente in Dove sei?
Ontologia del telefonino (2005), questi oggetti (cose come i soldi, i debiti, i
passaporti, le promesse) rispondono alla legge «Oggetto = Atto Iscritto». Vale
a dire che sono il risultato di atti sociali – tali cioè che coinvolgano almeno
due persone – e che devono essere iscritti, su carta, su un file di computer, o
anche semplicemente (si pensi a transazioni molto semplici o molto segrete)
nella testa delle persone. Se il documento non c'è, allora scompare l'oggetto
sociale, o non sorge mai, ed è per questo che le economie povere di documenti
sono anche scarsamente sviluppate. Se viceversa il documento non è garantito,
ecco che si fa avanti la crisi. In una intervista e in
un articolo apparsi su «Newsweek», lo scienziato politico Hernando de Soto,
direttore dello Institute for Liberty and Democracy e consulente economico di
molti governi, conforta questa ipotesi. La caratteristica centrale della crisi è proprio il fatto che non si sia in grado di
quantificare il numero di documenti tossici che circolano nel mondo.
Christopher Cox, ex presidente della Securities and Exchange Commission degli
Stati Uniti calcola l'ammontare dei titoli tossici a uno o due milioni di
dollari, il segretario del tesoro Timothy Geithner dice che sono tre o quattro.
In realtà nessuno sa esattamente quanti siano e quali organismi finanziari,
banche e assicurazioni, li detengano. Così, tra un banchiere di Manhattan e
l'abitante di una favela viene a stabilirsi almeno un punto in comune.
Quest'ultimo non ha titoli di proprietà, è un sans papiers; l'altro ne ha, ma,
in parte, non sono affidabili, e questa incertezza viene a investire la sfera
dei documenti nel loro insieme. Non mi è facile condividere l'idea di De Soto
che negli Stati Uniti tutto – tranne i derivati – sia legalmente documentato,
se è vero che nel dicembre scorso, a New York, un giornalista del New York
Daily News è riuscito a rubare per un giorno, con falsi documenti, l'Empire
State Building, e che negli Stati Uniti, dove non esistono i notai, sono circa
sessantamila le proprietà che passano di mano grazie a false dichiarazioni.
Senza considerare poi che, come sostiene il premio Nobel per l'economia Joseph
Stiglitz in The Three Trillion Dollar War. The true cost of the Iraq conflict
(pubblicato con Linda Bilmes nel 2008), un particolare lassismo nei controlli
documentali è stato funzionale al finanziamento del debito pubblico per le
spese militari americane. Il punto concettualmente importante
resta tuttavia il nesso tra crisi finanziaria e crisi
documentale. Sotto il profilo degli interventi e dei rimedi, la parola spetta
ovviamente agli economisti e ai politici, che non a caso si orientano sulla
trasparenza delle regole di creazione dei documenti, un aspetto su cui si è a
giusto titolo molto insistito sul Sole 24 Ore (per restare agli interventi più
recenti, Galimberti 24 gennaio, Foglia e Luzzi 19 febbraio, Santamaria,
21 febbraio, Bastasin, 25 febbraio, Micossi, 28 febbraio, Longo, 1Úmarzo).
Perilcuriosodifilosofia resta da riflettere sul fatto che, nel definire la
scrittura un pharmakon, un rimedio ma anche un veleno, Platone profetizzava,
con argomenti ancora validi, l'invasione di carta tossica con cui devono
misurarsi i governanti postmoderni. Quante certificazioni inaffidabili
circolano nel mondo? Per Hernando de Soto la crisi si
spiega a partire da questa domanda
( da "Nazione, La (Firenze)"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
PRIMO PIANO FIRENZE
pag. 2 Spini all'SMS di Rifredi con Ruffolo COME
fronteggiare la crisi
economica che sta investendo il nostro paese, l'intera Europa e gli Stati
Uniti? Quali strategie e interventi adottare per contrastarla? Sono alcuni dei
temi che saranno affrontati nel convegno «Crisi finanziaria dalle banche al portafoglio delle famiglie» che si terrà questa
sera alle 21 all'SMS di Rifredi per iniziativa della lista «Spini per
Firenze». A parlarne con Valdo Spini, candidato sindaco della lista
indipendente Spini per Firenze' e dei Verdi, saranno Giorgio Ruffolo, Federico
Romero e Fabio Basagni.
( da "marketpress.info"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Lunedì 30 Marzo 2009
PARLAMENTO EUROPEO: CON OBAMA NUOVO IMPULSO AL PARTENARIATO EURO-ATLANTICO
Strasburgo, 30 marzo 2009 - Lelezione di Obama è
loccasione per rinnovare le relazioni Ue-usa. E´ quanto sostiene il
Parlamento auspicando
il coordinamento sistematico in tema di politica estera e sicurezza, il
rafforzamento della cooperazione su diritti umani, lotta al terrorismo, disarmo nucleare e crisi regionali. Chiede poi di unificare il mercato e integrare quello
finanziario. Invita però gli Usa a cessare le consegne straordinarie,
ratificare lo statuto della Corte penale internazionale e abolire la pena di
morte. Approvando con 503 voti favorevoli, 51 contrari e 10 astensioni la
relazione di Millán Mon (Ppe/de, Es) il Parlamento rileva che «linsediamento
del nuovo Presidente degli Stati Uniti apre una nuova era nella storia del
paese» e che «tale evento, può dare un nuovo impulso al partenariato
transatlantico». Anche perché il rapporto Ue-usa rappresenta «il partenariato
strategico più
importante per l´Unione», e con l´elezione di Barack Obama vi è l´opportunità
di rinnovare il quadro delle relazioni transatlantiche. In tale prospettiva, i
deputati propongono di sostituire la Nuova Agenda Transatlantica (Nat) con un
nuovo accordo che trasformi l´attuale dialogo legislativo in un´assemblea
transatlantica che funga da strumento di dialogo parlamentare, di definizione
degli obiettivi e di controllo dellattuazione
dellaccordo, nonché di coordinamento dell´attività del Parlamento europeo
con quella del
Congresso americano su temi d´interesse comune. Il Parlamento sollecita poi la
creazione di un organismo per la consultazione e il coordinamento sistematico
ad alto livello della politica estera e di sicurezza, suggerendo la
denominazione di Consiglio politico transatlantico.
Riguardo alle sfide globali che i due partner si trovano ad affrontare, li
esorta a «impegnarsi in un multilateralismo efficace» e a promuovere il
rispetto dei diritti umani nel mondo. Sottolinea poi la necessità di intensificare il coordinamento delle
iniziative diplomatiche nella prevenzione e nella gestione delle crisi, e di dare una risposta efficiente e coordinata a
pandemie ed emergenze umanitarie. Sicurezza, lotta al terrorismo e diritti
umani - Il Parlamento accoglie con favore la decisione del Consiglio europeo di
rafforzare il partenariato strategico Ue-nato e la costituzione di un gruppo ad
alto livello che migliori la cooperazione tra le due organizzazioni. Invita poi
Stati Uniti e Unione europea ad adottare una strategia comune in tutte le sedi
internazionali, per il disarmo nucleare e gli armamenti convenzionali, ed
esorta l´amministrazione Usa a riprendere l´impegno con la Russia in materia di
controllo degli armamenti e disarmo, al fine di ampliare gli accordi bilaterali
esistenti tra i due paesi. Sottolineando infine l´importanza di rafforzare la
cooperazione atlantica nella lotta al terrorismo «sulla base del pieno rispetto
del diritto internazionale e dei diritti umani», valuta positivamente la
decisione di chiudere il carcere di Guantanamo. Allo stesso tempo, però,
incoraggia l´amministrazione americana a chiudere «qualsiasi centro di
detenzione situato all´esterno degli Stati Uniti e non conforme al diritto
internazionale, e a porre esplicitamente fine alla politica delle consegne
straordinarie». Sollecita poi la nuova amministrazione statunitense a
ratificare e ad aderire allo Statuto di Roma della Corte penale internazionale
e ribadisce il proprio appello per labolizione della pena
di morte. Pur considerando
la condivisione di dati e di informazioni uno strumento efficace nella lotta al
terrorismo e alla criminalità transnazionale, i deputati ritengono che tale
strumento debba essere regolato «da un quadro normativo adeguato, che
garantisca una valida protezione delle libertà civili», basato su un accordo
internazionale vincolante. Un mercato transatlantico nel 2015, anche
finanziario - Chiedendo di includere nel nuovo accordo transatlantico il
Consiglio economico transatlantico (Cet), in qualità di organismo incaricato di
potenziare lintegrazione economica e la cooperazione normativa, il
Parlamento esorta entrambi i partner a superare gli ostacoli all´integrazione
economica in vista di un mercato transatlantico unificato per il 2015. Per
quanto riguarda
l´attuale crisi finanziaria, il Parlamento esorta
Stati Uniti e Unione europea a guidare congiuntamente gli sforzi multilaterali
per affrontare il problema, e a riformare il sistema senza ricorrere a misure
protezionistiche. In proposito si compiace dei progressi finora registrati nel
migliorare la cooperazione in settori quali investimenti, aspetti normativi,
sicurezza dei prodotti importati e applicazione dei diritti di proprietà
intellettuale. Chiede poi una maggiore cooperazione tra le autorità di vigilanza
per controllare le attività dei gruppi transfrontalieri e impedire determinate
operazioni da parte di istituzioni finanziarie domiciliate in giurisdizioni
poco trasparenti e non cooperative, e chiede l´abolizione dei paradisi fiscali.
Appoggia anche una progressiva integrazione dei mercati finanziari, ricordando
che «il libero accesso ai mercati, l´adeguamento delle norme agli standard
mondiali, la loro applicazione uniforme e un dialogo costante con gli attori
del mercato sono principi basilari per il suo successo». Ricorda però che tale
integrazione «deve essere accompagnata da una revisione del quadro
regolamentare e delle norme di vigilanza», e dall´adozione di regolamenti che
«garantiscano la concorrenza, assicurino maggiore trasparenza e un´effettiva
vigilanza su prodotti, istituzioni finanziarie e mercati, e creino modelli di
gestione dei rischi comuni, in linea con gli accordi raggiunti nel vertice del
G20 del novembre 2008». Pur riconoscendo che le autorità di vigilanza degli Usa
hanno compiuto progressi nell´introduzione degli accordi di Basilea Ii per
quanto riguarda le grandi banche, il Parlamento critica il persistere di
discrepanze che impongono oneri supplementari alle filiali americane delle
banche europee, riducendone così la competitività, e suggerisce quindi al
Congresso statunitense di creare una struttura di vigilanza più coerente nei
settori bancario e assicurativo per agevolare il coordinamento tra l´Ue e gli
Usa. Questioni regionali - In merito alle questioni regionali che impegnano
entrambi i partner, i deputati sostengono che nel conflitto israelo-palestinese
«Stati Uniti e Unione dovrebbero adoperarsi per intensificare i negoziati (. )
al fine di approdare ad una soluzione che preveda l´esistenza di due Stati».
Dovrebbero inoltre cooperare per rendere durevole il cessate il fuoco a Gaza,
sostenere gli sforzi a favore della riconciliazione inter-palestinese, e
rinnovare le strategie di difesa e promozione dei diritti umani e della
democrazia nella regione. Confermano la disponibilità dell´Ue a partecipare
alla ricostruzione dell´Iraq, con particolare impegno rivolto alla tutela dello
Stato di diritto, al rispetto dei diritti umani e allo sviluppo economico della
paese. Affermano poi che in Afghanistan «sono in gioco i valori, la sicurezza e
la credibilità della comunità transatlantica» e che Ue, Stati Uniti, Nato e Onu
dovrebbero impegnarsi a elaborare una nuova visione strategica comune che
accresca la sicurezza e rafforzi le istituzioni statali e locali afgane.
Sottolineando che il programma nucleare iraniano (Am 5)«rappresenta una
minaccia . Per la stabilità della regione», il Parlamento appoggia l´intento
comune di trovare una soluzione negoziata con l´Iran, adottando la duplice
strategia del dialogo e delle sanzioni. In tale contesto accoglie con favore
l´annuncio del Presidente Obama sulla possibilità di dare maggiore importanza
ai contatti diretti con l´Iran. Chiede poi alle parti di sviluppare una
strategia comune sul Pakistan per consolidare le sue istituzioni democratiche e
la sua capacità di combattere il terrorismo. Usa e Ue sono infine chiamati a
coordinare le rispettive politiche nei confronti della Russia e ad impostare
con essa una cooperazione sulle questioni di reciproco interesse, quali la
sicurezza, il disarmo e la non proliferazione delle armi nucleari, «senza
compromettere l´osservanza dei principi democratici, dei diritti umani e del
diritto internazionale». . <<BACK
( da "marketpress.info"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Lunedì 30 Marzo 2009
LA SOSTENIBILITA PUO ESSERE UN VANTAGGIO COMPETITITO.
MOBILITIAMO IL CAPITALE UMANO CHE TANTI TRAGUARDI IMPORTANTI HA FATTO
RAGGIUNGERE AL VENETO Portogruaro, 30 marzo 2009 - La sostenibilità
rappresenta una delle più importanti fonti di vantaggio competitivo per le imprese. Mobilitiamo
ancora una volta il capitale umano che tanti traguardi di successo ha fatto
raggiungere alle imprese venete. Il nostro modello sarà nuovamente capace di
trascinare il Paese oltre la crisi finanziaria che sta
interessando purtroppo anche le nostre città. Così, indicando
nella ricerca e nellinnovazione una delle strade più efficaci da
percorrere per oltrepassare lodierna congiuntura globale,
lassessore allEconomia, Vendemiano Sartor, ha introdotto il 26 marzo, nella sala della
biblioteca antica del polo universitario di Portogruaro, il convegno la
sostenibilità come risposta alla crisi economica: la
parola agli imprenditori. Un numero crescente di aziende, grandi e
piccole, hanno cominciato processi di profondo cambiamento - ha ricordato lassessore
- per rendere sostenibile e quindi duraturo il proprio sviluppo. Serve
continuare a confrontarsi su quali sono gli ostacoli reali o solamente
percepiti che rallentano o addirittura impediscono limplementazione di strategie aziendali
improntate sulla sostenibilità. Limportante è saper
cogliere le opportunità che persino lattuale periodo di grande disagio
offre e iniziare immediatamente con ottimismo a migliorare e a rendere più
moderno il sistema veneto.
Leconomia sostenibile è contemporaneamente unidea,
uno stile di vita, un modo di produrre. Per lassessore è una forma di
sviluppo che non compromette il futuro delle giovani generazioni, che
salvaguardia la qualità e la quantità del patrimonio naturale, che garantisce lequità
sociale, che tutela gli ecosistemi. Lispirazione che sta alla base
del programma regionale di sviluppo e che traccia le linee guida del Terzo
Veneto - ha concluso lassessore - è la sintesi perfetta di competitività
e di sviluppo
sostenibile: crediamo nelle energie rinnovabili, nella ricerca applicata e nellinnovazione,
nella mobilità alternativa, nella salvaguardia delle specificità del territorio
e verso tali ambiziosi obiettivi stiamo camminando. . <<BACK
( da "marketpress.info"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Lunedì 30 Marzo 2009
FONDO DI SOLIDARIETA IN UMBRIA: PRESIDENTE LORENZETTI SCRIVE AI
SINDACI, PRESIDENTI PROVINCE E CONSIGLIO REGIONALE Perugia, 30 marzo 2009
Anche nella nostra regione si stanno facendo sempre più acute le
ripercussioni della crisi finanziaria e a risentirne sono le famiglie a più
basso reddito, il nostro sistema produttivo, ed in modo particolare le piccole
e medie imprese. La Ceu ha deciso di attivare un Fondo di
Solidarietà al quale ho fatto la personale scelta di aderire. Vorrei
dunque rivolgere anche
a voi, e per il vostro tramite estenderlo a tutti i componenti delle vostre
assemblee elettive, linvito ad assumere iniziative personali e
volontarie di adesione. E in sintesi il senso della lettera inviata
dalla presidente della Regione Umbria, Maria Rita Lorenzetti, ai sindaci dei Comuni umbri, ai
presidenti delle Province e al presidente del Consiglio regionale, per
invitarli ad aderire alle iniziative della Chiesa umbra a favore dei nuclei
familiari in difficoltà. La Regione ha già provveduto, con la manovra di
bilancio, a predisporre un pacchetto integrato di interventi, attraverso la
costituzione di un fondo di garanzia di 5 milioni di euro presso Gepafin per
favorire laccesso al credito delle piccole e medie imprese, con
provvedimenti a
sostegno della patrimonializzazione dei consorzi fidi che impegnano oltre 3,5
milioni di euro, oltre che una serie di misure a favore dei lavoratori
coinvolti da crisi aziendali, posti in cassa
integrazione o mobilità, con uno stanziamento di 2,5 milioni di euro
scrive la presidente - Questi lavoratori, e le loro famiglie, grazie a queste
risorse, potranno beneficiare di una serie di provvedimenti diretti di
sostegno, per aiutarli a far fronte alle improvvise difficoltà, come la
sospensione del pagamento
di bollette e mutui, l´abbattimento delle rette per gli asili nido e il
contenimento delle tariffe per il trasporto pubblico.
Per tutte le altre famiglie che dovessero trovarsi in difficoltà abbiamo
stanziato altre rilevantissime risorse per aiutarle, almeno in parte, ad affrontare i
disagi della crisi. Sono state quindi incrementate le
risorse per lassistenza di persone non autosufficienti e
del fondo regionale per il sostegno ai servizi socio-assistenziali per
compensare, in parte, il pesantissimo taglio effettuato dal Governo Berlusconi con la
Finanziaria 2009. Inoltre, la Regione si sta coordinando con le amministrazioni
comunali al fine di integrare tutte le possibili iniziative.
La Ceu, per parte sua ha deciso di attivare un Fondo di Solidarietà, che interverrà
con una logica di sussidiarietà e collaborazione rispetto agli interventi
regionali e che verrà costituito a partire da una grande colletta regionale,
promossa per la quinta domenica di Quaresima, il prossimo 29 marzo. Per ciò che
mi riguarda ho fatto
la personale scelta di aderire allinvito della Conferenza
Episcopale Umbra continua la lettera - Sono convinta infatti che abbiamo
tutti la responsabilità e il dovere di combattere la povertà e fare qualcosa
per rendere meno faticosa la vita delle persone e delle famiglie in difficoltà, oltre a quello
che già facciamo in quanto pubblici amministratori nella nostra quotidiana
azione di governo per contrastare gli effetti negativi di questa crisi. Vorrei dunque rivolgere anche a voi, e per il vostro
tramite estenderlo a tutti i componenti delle vostre assemblee elettive, linvito
ad assumere iniziative personali e volontarie di adesione, nelle forme e
modalità che riterrete opportune, al Fondo istituito dalla Ceu o ad altre
analoghe iniziative di
solidarietà. Certo, non si può e non si deve dimenticare che questo
stato di difficoltà, per famiglie e imprese, è frutto anche di scelte di questo
Governo che ha operato la strategia dei tagli in settori
delicatissimi e fondamentali come le politiche sociali. In ogni caso
conclude la presidente - ed è questo il significato più importante di questa
grande iniziativa di solidarietà, lUmbria civile e solidale non si ritrae
e fa la sua parte. Né in termini di carità, né di supplenza. Così come sono certa che, tutti insieme,
faremo anche la nostra parte di battaglia politica per contrastare chi, come
questo Governo, non assumendosi in pieno la responsabilità di iniziative
concrete di contrasto della grave crisi economica, fa
ricadere su di noi, Regioni e Comuni, che siamo gli enti a più diretto ed
immediato contatto con i cittadini, il compito di affrontare le vere emergenze
di questa crisi. . <<BACK
( da "Corriere della Sera"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere della Sera
- MILANO - sezione: Cronaca di Milano - data: 2009-03-30 num: - pag: 2
categoria: REDAZIONALE Assolombarda. Lettera della Bracco «Innovazione e
coraggio la ricetta contro la crisi» SEGUE DALLA
PAGINA 1 Il futuro dell'economia dipenderà anche da quando tutti insieme
riusciremo a interrompere questo avvitamento da «shock da incertezza». La crisi deve indurre noi imprenditori a ripensare
virtuosamente alcune caratteristiche delle nostre imprese, a «fare ordine» in
casa e a innovare prodotti e processi: questo siamo chiamati a fare, con la
consapevolezza che, per raccogliere importanti risultati domani, le leve
fondamentali sono soprattutto ricerca, innovazione e nuove tecnologie. Come Confindustria,
abbiamo chiesto con forza al Governo di fare uno sforzo particolare per dare un
segno concreto a chi investe, attraverso un sostegno ai nuovi progetti di
ricerca e usando gli importantissimi strumenti sgravi fiscali e credito
d'imposta per le attività di ricerca. Il Centro Studi di Assolombarda ci dice
che l'indice del clima di fiducia delle imprese manifatturiere milanesi è
cresciuto per il secondo mese consecutivo. Abbiamo ottenuto precisi impegni da
Regione Lombardia e Camera di Commercio di Milano per una loro iniezione
straordinaria di risorse per aumentare le garanzie legate ai Confidi e per
contributi diretti alle imprese. Inoltre, Assolombarda, ha firmato con Abi,
Organizzazioni sindacali dei lavoratori e Provincia un'importante Convenzione
per l'anticipazione dell'indennità di Cassa integrazione straordinaria a favore
dei dipendenti attivi nel territorio della Provincia. Le segnalo inoltre che
Assolombarda ha potenziato il suo servizio «Filo Diretto Credito», che offre
informazione, consulenza e rappresentanza alle imprese associate, e ha attivato
«Pool Rilancio Aziendale» per prevenire situazioni di crisi
aziendale. Da ultimo abbiamo creato un Tavolo tecnico con Abi e le principali
banche del territorio finalizzato a condividere valutazioni, analizzare la
situazione attuale, cercare di individuare e promuovere
interventi idonei al superamento della crisi e rafforzare il dialogo e il rapporto tra le banche e le
imprese. Dunque Assolombarda sta facendo il possibile per aiutare le imprese a
superare le difficoltà create dalla crisi finanziaria. E io sono certa che se in Italia, con l'impegno di tutti,
vincerà la cultura dell'innovazione, della sana gestione, della
responsabilità, del «lavorare insieme», insomma la cultura del fare e del far bene,
la crescita tornerà presto a essere alla nostra portata. Diana Bracco
( da "Corriere della Sera"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere della Sera
- NAZIONALE - sezione: Primo Piano - data: 2009-03-30 num: - pag: 8 categoria:
REDAZIONALE Terremoto ai vertici dell'auto Peugeot licenzia Streiff «Difficoltà
eccezionali, ora un'altra guida». Arriva Philippe Varin Con gli azionisti
contrasti per l'insofferenza del manager nei confronti dei condizionamenti del
governo DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI — è la prima testa a cadere nella
grande crisi dell' auto francese. Da ieri sera, Christian Streiff non è più al
vertice del gruppo Psa Peugeot-CitroËn. Il consiglio di sorveglianza, sotto la
presidenza di Thierry Peugeot (rappresentante della famiglia e azionista di
riferimento, 30% delle azioni e 44% dei diritti di voto), ha messo fine al
mandato dell'amministratore delegato. Una decisione solo in apparenza
sorprendente e improvvisa. Voci di contrasti con la proprietà e incompatibilità
con il management del gruppo circolavano da tempo a Parigi e la
«defenestrazione» era stata anticipata ai primi di marzo dal quotidiano
economico La Tribune. Alcune posizioni pubbliche assunte da Streiff sulla crisi
dell'auto e sul modo di uscirne e una non nascosta insofferenza verso possibili
condizionamenti in relazione agli aiuti di Stato avrebbero ulteriormente
raffreddato i rapporti con gli azionisti. «Il consiglio di sorveglianza,
all'unanimità, ha ritenuto che le difficoltà eccezionali dell'industria
automobilistica impongano un cambiamento di gestione alla guida del gruppo», ha
dichiarato il presidente, Thierry Peugeot. Streiff verrà sostituito da Philippe
Varin, 56 anni, ex dirigente di Pechiney, passato alla Corus, gruppo
siderurgico anglo- olandese recentemente acquisito dall'indiana Tata. Manager
di grande esperienza internazionale, Varin s'insedierà ufficialmente a giugno,
ma già da aprile comincerà ad occuparsi della gestione della casa
automobilistica. La direzione provvisoria è stata affidata a Roland Vardanega,
membro del consiglio. Psa Peugeot-CitroËn ha registrato perdite nette di 343
milioni lo scorso anno e le previsioni per l'anno in corso sono pessimistiche.
Lo stesso Streiff aveva delineato un quadro deprimente del mercato, annunciando
fra l'altro il taglio di 11 mila posti di lavoro, il 5% degli occupati. Una
misura che colpirebbe stabilimenti del gruppo in vari Paesi, ma anche in
Francia, sia pure su base volontaria. è nota, sotto questo profilo, la
posizione del presidente Nicolas Sarkozy, che ha deciso la concessione dei
prestiti alle case francesi (circa 6 miliardi, ripartiti fra Renault e Psa) e
gli incentivi all'acquisto di vetture, condizionandoli al mantenimento dei
posti di lavoro in Francia. Al punto da doversi difendere
dall'accusa di protezionismo. è naturalmente presto per valutare se la defenestrazione di
Streiff possa subito incidere sulle voci di possibili alleanze del gruppo Psa
con Fiat o in alternativa con Bmw, secondo le ripetute indiscrezioni delle
scorse settimane. Streiff aveva confermato la ricerca di un «partner
complementare», senza escludere niente. Arrivato al vertice di Peugeot- CitroËn
soltanto due anni fa, Christian Streiff si è trovato ad affrontare il momento
più difficile per l'auto francese e, nello stesso tempo, a confrontarsi con
l'eredità di Jean-Martin Folz, protagonista assoluto del grande rilancio negli
ultimi anni. Il suo carattere spigoloso (e recenti problemi di salute) non lo
avrebbero aiutato. L'uomo è abituato allo scontro, alla sconfitta e alla
rinascita. Prima di prendere le redini della Peugeot, Streiff è stato
presidente esecutivo di Eads, il gruppo che produce Airbus, in un momento molto
delicato delle relazioni franco-tedesche. Dopo essersi scontrato con le
difficoltà di una gerarchia parallela e i ritardi di produzione, sbatte la
porta. L'esperienza è durata poche settimane. Nato in Mosella, 53 anni, perfettamente
a suo agio con la lingua e la cultura tedesche, Streiff è uscito dalle grandi
scuole francesi e ha compiuto tutta la carriera di manager alla Saint Gobain,
all'ombra di Jean-Louis Beffa, suo grande estimatore, ma non fino al punto di
consegnargli lo scettro. Appassionato di scalate in montagna e immersioni,
Streiff ama la scrittura e ha pubblicato recentemente un romanzo ambientato
nella ex Germania comunista. Massimo Nava Manager Christian Streiff (foto
grande), rimosso ieri dal vertice di Peugeot-CitroËn A lato il successore
Philippe Varin, viene da Corus
( da "Corriere della Sera"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere della Sera
- NAZIONALE - sezione: Primo Piano - data: 2009-03-30 num: - pag: 9 categoria:
REDAZIONALE Il piano Usa Oggi gli interventi per General Motors e Chrysler E
Obama affonda Wagoner alla vigilia dei nuovi aiuti Il monito della Casa Bianca:
Detroit deve fare di più SEGUE DALLA PRIMA Le sue dimissioni sono trapelate
ieri e sono il segno del passaggio dall'era della concertazione nella quale il
management GM, anziché al rinnovamento tecnologico dei prodotti, badava in
primo luogo a gestire l'azienda con l'accordo dei sindacati e delle istituzioni
locali, a una fase di dirigismo col governo federale che diventa protagonista.
Con l'obiettivo di evitare il fallimento e salvare posti di lavoro, ma anche
per ottenere dai gruppi di Detroit scelte industriali in linea con le politiche
ambientali e di risparmio energetico dell'amministrazione Obama. Wagoner era
convinto di cavarsela anche stavolta nonostante una situazione aziendale sempre
più disastrosa e le ripetute richieste di dimissioni venute dal Congresso. Solo
dieci giorni fa aveva dichiarato in un'intervista di considerarsi perfettamente
in sella. Ma agli occhi di Obama - che aveva chiesto alle aziende
automobilistiche in crisi di presentare piani di
risanamento credibili, se volevano l'aiuto del governo per restare sul mercato
- i contribuenti americani, chiamati a finanziare un altro "round"
del salvataggio GM, oggi sono più importanti dei sindacati. Così ieri, a poche
ore dalla riunione odierna nella quale ufficializzerà i nuovi interventi a
sostegno del settore automobilistico, il presidente ha giudicato
"inadeguati" i piani inviati alla sua "task force" da
General Motors e Chrysler. A quel punto i vertici della GM hanno chiesto al
loro "top manager" di dimettersi. La stessa Casa Bianca non ha avuto
difficoltà ad ammettere che l'uscita di scena di Wagoner era una delle
condizioni per il via libera alla "fase 2" del salvataggio. I due
gruppi, che già avevano ottenuto un "fondo di sopravvivenza di 16 miliardi
di dollari nel dicembre scorso, qualche settimana fa avevano, infatti, chiesto
altri 22 miliardi per arrivare alla fine del 2009 senza dover portare i libri
in tribunale. Le dimissioni di Wagoner sigillano una settimana, quella appena
conclusa, che per Tim Geithner è stata assai dura: due tesissime audizioni
parlamentari, numerose apparizioni in pubblico col ministro che tentava di
convincere platee scettiche dell'efficacia degli interventi del governo,
l'annuncio di una riforma delle norme che regolano la finanza e un piano di
salvataggio del sistema bancario, che è stato ben accolto dai mercati. Quella
che inizia oggi sarà, per il ministro del Tesoro Usa, una settimana altrettanto
cruciale: un difficilissimo G 20 a Londra, con contorno di
proteste popolari contro i responsabili della crisi
finanziaria divenuta crisi globale, ma, prima, le decisioni della "task force"
per il settore dell'auto che dipende proprio dal Tesoro: un salvataggio a spese
del contribuente molto impopolare ma al quale Obama non si sente di rinunciare,
nel bel mezzo di una profonda recessione e con la disoccupazione già alle
stelle. Geithner avrebbe avuto tutti i motivi per concedersi un week end
di tregua. Invece, non solo ha rinunciato al riposo per saltare da un talk show
domenicale all'altro, ma in tv è anche apparso per la prima volta sorridente e
abbastanza rilassato. Continua a vivere in una condizione di perenne emergenza,
ma sembrano ormai lontani i giorni in cui il comico Bill Maher mostrava ai
telespettatori due immagini - Geithner «torchiato» davanti al Parlamento e un
cervo spaventato e chiedeva a Obama di assumere il cervo come ministro del
Tesoro. 47enne come Obama, Geithner si è rassegnato a essere il suo
ministro-parafulmine. A chi, ieri, gli chiedeva come fosse possibile vivere
perennemente sulla graticola, ha risposto con un sorriso rassegnato: «Me ne
sono fatto una ragione. Ho capito che toccherà a me fare cose assai impopolari
e per un lungo periodo di tempo». Si comincia oggi con le misure per l'auto:
ieri Geithner ha confermato che il governo è pronto a prestare altro denaro a
GM e Chrysler per arrivare in fondo a un 2009 difficilissimo. Crollato
nell'autunno scorso, il mercato non ha ancora dato segni di ripresa. La domanda
annua degli Usa, che in passato si manteneva poco sopra o poco sotto i 16 milioni
di veicoli, quest'anno non dovrebbe andare oltre i 10 milioni e mezzo di
vetture. GM e Chrysler hanno presentato i loro piani di risanamento al governo
(la Ford, che ha una situazione finanziaria migliore,
non ha per ora bisogno di sostegni pubblici). La task force guidata da Steve
Rattner (un finanziere democratico che si è messo al servizio di Obama) li ha
analizzati per capire se, dopo la ristrutturazione - quella della Chrysler
basata sul contributo imprenditoriale e tecnologico della Fiat - i due gruppi
saranno in grado di andare avanti con le loro gambe. La forte contrazione del
mercato suggerisce grossi tagli di capacità produttiva e una riduzione del
numero dei protagonisti che operano sul mercato. Sapendo che i finanziamenti
all'auto coi soldi dei contribuenti sono impopolari, ieri Obama ha detto
pubblicamente che i piani presentati sono insufficienti e ha chiesto a tutte le
parti gruppi automobilistici, sindacati, fornitori - di impegnarsi a fare molti
di più in termini di ristrutturazione del settore. Massimo Gaggi Dimissioni
L'amministratore delegato di General Motors, Richard Wagoner Nuovo piano Oggi
l'annuncio del presidente Barack Obama
( da "Corriere della Sera"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere della Sera
- NAZIONALE - sezione: Primo Piano - data: 2009-03-30 num: - pag: 9 categoria:
REDAZIONALE Il summit Oggi la prima sessione del G8 dedicato ai problemi del
lavoro. «La ripresa? Arriverà soltanto nel 2010» Ocse: «Disoccupazione al 10%».
Ma Sacconi invita alla cautela ROMA — L'Ocse lancia l'allarme occupazione.
Anticipando i dati che il segretario generale dell'organizzazione dei 30 Paesi
più industrializzati del mondo Anguel Gurria illustrerà oggi alla prima
sessione del G8 Social Summit, «la ripresa arriverà solo nel 2010 e sarà
sottotono, i tassi dei senza lavoro torneranno a due cifre». Cioè almeno al
10%. Una stima che non piace al ministro del Welfare Maurizio Sacconi il quale,
come ospite del summit, in apertura invita a essere «cauti con le diverse
previsioni che continuano ad essere prodotte perché spesso le stesse
organizzazioni che le fanno sono costrette a correggerle ». Ma l'attrazione
verso le cifre è troppo forte e anche la bozza del documento finale del
prossimo G20, che si apre a Londra giovedì e che il Financial Times ha
pubblicato in esclusiva, si affida a loro: «Tutte le misure messe in atto dai
governi faranno tornare l'economia globale a crescere non prima del 2010,
quando il Pil aumenterà del 2% con la creazione di oltre 20 milioni di posti di
lavoro». Il documento conferma la volontà politica dei Grandi a contrastare il protezionismo e a portare a termine i negoziati del Doha
Round sul commercio internazionale bloccati da due anni. In previsione degli
incontri di Londra, Sacconi in questi giorni cercherà di vincolare — con un
documento condiviso — gli interventi fiscali e finanziari del Fondo monetario
internazionale e della Banca mondiale ai Paesi che rispettino la dignità
dell'uomo e i diritti del lavoro e non solo i parametri liberisti. Insomma, va
bene il «legal standard» per isolare l'economia «tossica», ma occorre puntare
sulla centralità dell'uomo, «People First». «Il clima della fiducia — ha
ripetuto il ministro — deve partire dalle persone e per questo chiederò a tutti
di mantenere redditi e posti di lavoro perché se non c'è coesione sociale non
può esserci stabilità economica». Anche John Evans, il segretario generale
dell'organizzazione che raggruppa tutti i sindacati del mondo (Tuac), si è
augurato che i governi «dopo aver stanziato ingenti risorse per salvare le
banche ora sostengano i posti di lavoro». «è una situazione pericolosa — ha
avvertito — con la crisi in corso sono i lavoratori a pagare il prezzo più alto
e la rabbia scoppierà». Come intervenire e quali ricette suggerire ai Paesi del
G8 e del G20 è compito degli esperti tra politici, sindacalisti e imprenditori,
riuniti a Roma fino a domani. Sacconi ed Evans hanno individuato entrambi nei
contratti di solidarietà una formula in grado di alleggerire i conti delle
aziende e garantire il posto di lavoro. Lo slogan «lavorare meno lavorare
tutti» potrebbe essere incentivato da risorse pubbliche come antidoto per
arrivare alla fine del tunnel. E ieri il leader della Cisl Raffaele Bonanni ha
annunciato che il governo italiano adotterà un emendamento per assegnare 35
milioni di euro per potenziare il fondo di solidarietà ridotto a 5 milioni di
euro. La proposta verrà inserita nel decreto incentivi e dovrebbe andare in
votazione alla Camera mercoledì. Per Alberto Bombassei, vicepresidente di
Confindustria, «è proprio in momenti come questi che bisogna avere il coraggio
di fare quelle riforme difficili e complicate che normalmente non si ha la
forza di fare». E rispondendo a Sacconi — che criticando le previsioni facili
si è indirettamente rivolto anche alla Confindustria che nei giorni scorsi
aveva annunciato 500 mila disoccupati in due anni— ha affermato che «il
ministro fa il ministro e fa il suo lavoro ma il nostro ufficio studi non può
che fare le cose con realismo ». Roberto Bagnoli Noalprotezionismo
Il documento che anticipa le conclusioni del G20 ribadisce il no dei governi al
protezionismo Contratti Raffaele Bonanni (Cisl): il
governo stanzierà altri 35 milioni per il fondo dei contratti di solidarietà
Maurizio Sacconi Il ministro del Welfare invita a una «maggiore cautela» sulle
previsioni economiche
( da "Corriere della Sera"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere della Sera
- NAZIONALE - sezione: Opinioni - data: 2009-03-30 num: - pag: 28 categoria:
REDAZIONALE COME SALVARE IL LIBERO MERCATO La crisi e
il principio del Gattopardo di NIALL FERGUSON I dilemmi della vita sono più
semplici dei trilemmi. Scegliere tra due opzioni può essere difficile, ma
scegliere fra tre è pressoché impossibile. Il «trilemma» di cui parlo è
economico. Sancisce che un Paese può disporre di due dei seguenti fattori, ma
non di tre: apertura al flusso del capitale internazionale; tasso di cambio
fisso; e una politica monetaria nazionale indipendente. I Tory se ne resero
conto a loro spese nel 1992, quando il governo Major tentò di combinare assieme
tutti e tre questi elementi, ma senza esito. Agganciare il tasso di cambio
della sterlina con il marco tedesco in un momento in cui l'economia britannica
era in recessione e i prezzi immobiliari in caduta libera, mentre i manager degli
hedge fund, come George Soros, avevano le mani completamente libere per
ricorrere al leverage contro la Banca d'Inghilterra, non rappresentò una mossa
politica saggia, né tanto meno sostenibile. Per molti Tory, l'uscita del Regno
Unito dal sistema monetario di cambio dello SME fu una rivincita dei loro
principi a sostegno del libero mercato. Nelle celebri parole di Margaret
Thatcher, non si può «piegare il mercato». Ma all'epoca non si era compresa
appieno la magnitudine della sfida che la globalizzazione finanziaria
lanciava ai conservatori. Già nel 1992, la Banca dei Regolamenti Internazionali
stimava il giro d'affari giornaliero, nei mercati di
cambio mondiali, a più di un trilione di dollari. All'epoca, le riserve
internazionali combinate delle banche centrali di Gran Bretagna, Francia e
Italia erano inferiori a 150 miliardi di dollari. Soros, da solo, fu in grado
di scommettere 10 miliardi di dollari sulla svalutazione della sterlina. Man
mano che altri speculatori seguivano le sue orme, la semplice aritmetica faceva
capire che la Banca d'Inghilterra sarebbe stata travolta, per quanto alti
mantenesse i suoi tassi d'interesse. Nei 15 anni intercorsi tra la disfatta del
sistema monetario di cambio e l'inizio della crisi finanziaria globale nell'estate
del 2007, lo squilibrio tra i mercati finanziari e i governi è cresciuto a ritmo esponenziale. Nel 2006 la stima
della produzione economica dell'intero pianeta si aggirava sui 48,6 trilioni di
dollari. La capitalizzazione di mercato totale delle borse mondiali era di 50,6
trilioni di dollari, superiore di un 4 per cento. Il valore complessivo dei
titoli interni e internazionali era di 67,9 trilioni di dollari, superiore del
40 per cento. Ogni giorno, 3,1 trilioni di dollari cambiavano di mano nei mercati di cambio mondiali, il triplo del volume raggiunto
nel 1992. Ad alimentare questa tremenda crescita dei mercati
finanziari c'era la quadruplice liberalizzazione dei mercati
internazionali: per i beni, i servizi, il capitale e il lavoro. Non era un
quadro esclusivo al mondo anglosassone: la globalizzazione, come suggerisce il
nome, è dappertutto. Ma per la destra anglofona è stata foriera di conseguenze
particolari. Passati inosservati dai conservatori britannici, americani e
perfino australiani, questi grandi sconvolgimenti hanno creato un nuovo e ben
più grave trilemma. Supponiamo che un governo possa disporre di due di questi
fattori, ma non di tutti e tre insieme: la globalizzazione, vale a dire
l'apertura al flusso internazionale di beni, servizi, capitale e lavoro; la
stabilità sociale; e uno stato piccolo. Ovvero, per dirla in altre parole, i
conservatori possono scegliere due voci tra: economia aperta, società stabile e
potere politico — ma non tutte e tre. Come mai? La globalizzazione, si viene a
scoprire, determina un sistema economico altamente efficiente in gran parte dei
casi, perché le risorse sono distribuite nel modo migliore grazie agli effetti
della divisione del lavoro e dei vantaggi comparati. Ma è anche soggetta a crisi: crisi minori ogni decennio
all'incirca, crisi maggiori ogni cinquant'anni.
L'effetto della globalizzazione appare pertanto a doppio taglio. La volatilità
economica viene a lungo contenuta dall'integrazione internazionale. Tuttavia, i
recenti avvenimenti mostrano che la volatilità su vasta scala non è sparita del
tutto — e non è mai scomparsa su scala ridotta, per il singolo cittadino o
azienda — anzi, la globalizzazione sembra averla accentuata. Nel breve raggio,
dobbiamo rassegnarci a vivere con mutamenti sempre più grandi e frequenti
nell'impiego e nel reddito; nel lungo raggio, con la probabilità che ci
toccherà subire come minimo una crisi globale davvero
imponente. Non è affatto una coincidenza, né un'assurdità, che la presente crisi sia percepita da molti della sinistra — non da ultimo
dal capo dell'ufficio della Casa Bianca del democratico più a sinistra mai
eletto alla presidenza degli Stati Uniti — come un'ottima occasione, da non
lasciarsi scappare. Costoro si propongono di rispolverare la Teoria Generale di
John Maynard Keynes, che suggerisce come il calo nei consumi privati e negli
investimenti possa e debba essere compensato da un aumento della spesa
pubblica, finanziata dal prestito. Il fatto che tali famosi rimedi adottati per
l'ultima Grande Depressione abbiano, alla lunga, fatto precipitare l'Occidente
nel caos, che alcuni di noi ancora ricordano dagli anni Settanta, non sembra
aver alcun peso. Come stanno scoprendo i conservatori nel mondo anglofono, gli
argomenti che si sono rivelati così efficaci negli anni Ottanta, oggi sembrano
vani. Occorre denunciare l'irresponsabilità di deficit così mastodontici? O
continuare a proporre tagli fiscali? E' difficile fare l'una e l'altra cosa
contemporaneamente. Il recente passo falso di Ken Clarke sull'abolizione della
tassa di successione per i patrimoni dal valore inferiore al milione di
sterline illustra il problema: è questo l'«obiettivo » dei conservatori? O un
«impegno»? Oppure la domanda è irrilevante? Nel tentativo di accalappiare i tre
fattori, i conservatori finiscono con l'essere accusati dello scompiglio
sociale che la globalizzazione si porta dietro, in particolare la perdita dei
posti di lavoro causata dalla delocalizzazione, la fuga dei capitali all'estero
e l'immigrazione. Solo la sinistra sembra avere una risposta credibile: la
globalizzazione, più la stabilità sociale, più un governo forte e
interventista. Esiste qualche possibilità che i conservatori risolvano il
trilemma senza abbandonare né l'adesione al libero mercato, né l'impegno per l'ordine
sociale, né l'obiettivo di uno stato piccolo? Io credo di sì, ma occorrerà
ridefinire ciascuno di questi elementi. I conservatori devono riconoscere non
solo l'intrinseca vulnerabilità dell'economia globale liberalizzata, ma anche
le continue distorsioni imposte dai governi ai mercati
mondiali, che ne hanno aggravato la vulnerabilità. Inoltre, non si capisce
perché la stabilità sociale debba essere considerata sacrosanta: è bene, anzi,
che i conservatori siano pronti ad abbracciare i cambiamenti sociali in virtù
di quello che potremmo definire il «principio del gattopardo», dall'aforisma
del celebre romanzo di Tomasi di Lampedusa: «Se vogliamo che tutto rimanga come
è, bisogna che tutto cambi! » Infine, ai conservatori spetta sostenere l'idea
che uno «Stato intelligente» può regolare più efficacemente l'interazione tra
globalizzazione e mutamenti sociali senza dover ripiegare sul modello
socialista keynesiano della pianificazione economica. Pertanto, la prima parte
della soluzione conservatrice all'attuale crisi
consiste nel riaffermare la nostra fede nella visione di Adam Smith, e cioè che
la ricchezza delle nazioni si accresce grazie al libero scambio, e puntando il
dito contro le innumerevoli distorsioni governative che ostacolano ancora oggi
l'avanzare della globalizzazione. La seconda parte mette al bando le
preoccupazioni e ci invita a goderci i cambiamenti della società. Nessuno vuole
l'instabilità, certo, ma neppure la stasi. Il segreto sta nel distinguere tra
una società ordinata, in cui criminalità e altre forme di disordine sono
mantenute al minimo, e una società rigida, nella quale l'ordine si ottiene a
spese della mobilità sociale. La differenza fondamentale tra i conservatori e i
loro oppositori non dev'essere (come vorrebbe la sinistra) che i conservatori
sono a favore della diseguaglianza, mentre la sinistra appoggia l'eguaglianza.
La differenza sta nel fatto che i conservatori spingono verso la mobilità
sociale e sono convinti che alcune misure adottate per promuovere l'eguaglianza
— in particolare la redistribuzione della ricchezza su vasta scala — rischiano,
involontariamente, di ridurre la mobilità. La terza parte della mia soluzione
incita a riflettere più intensamente sul funzionamento dello Stato. Uno degli
aspetti più inquietanti dei conservatori britannici negli ultimi anni è stata
l'arrendevolezza dei leader del partito, che hanno consentito al governo
laburista di appropriarsi dell'autorità morale sulla questione della spesa
pubblica e, fino a un certo punto, sulla fiscalità. Emancipati dalla crisi finanziaria, i governi della sinistra su entrambi i
lati dell'Atlantico oggi assistono a un balzo vertiginoso della spesa pubblica,
del debito pubblico e del pubblico impiego, i cui benefici a breve termine sono
senz'altro esagerati, e i cui costi a medio termine sono quasi certamente
sottostimati. Eppure fino ad oggi i conservatori non hanno saputo articolare
una risposta coerente. E' ora che ci provino, lasciandosi alle spalle i corni
del trilemma. Traduzione di Rita Baldassarre
( da "Miaeconomia"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
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prima casa LAVORO E PENSIONI » News lavoro Ocse, pericolo disoccupazione
(30/03/2009) Forse su una cosa il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, non
ha tutti i torti: in una crisi come questa lo
stillicidio di brutte notizie non serve a molto, forse sarebbe meglio darsi
delle scadenze dove presentare a blocchi le previsioni economiche. Questa volta
è stato il turno dellOcse, lOrganizzazione per la cooperazione e lo
sviluppo economico, che in occasione dellapertura del meeting G8
dei ministri del lavoro a Roma ha presentato un nuovo lavoro che cerca di
prevedere gli sviluppi del mercato del lavoro nel mezzo della recessione.
Secondo lOcse
sulloccupazione di tutti i paesi membri pesa una grande
incertezza, da cui lavvertimento circa i pericoli di un pesante
incremento del tasso di disoccupazione. Per la fine del 2010, i tassi di
disoccupazione potrebbero avvicinare valori a due cifre in tutti i Paesi del G8 con la
sola eccezione del Giappone, e allo stesso modo nellarea
dellOcse come un insieme», dice il documento. LOcse sottolinea che
tanto per cominciare già nel gennaio del 2009 il tasso di disoccupazione medio
dellarea dei 30 Paesi
che ne fanno parte ha raggiunto il 6,9%, si tratta di circa un
punto percentuale più alto rispetto a quello di un anno prima: questo implica
che in un anno quasi 7,2 milioni di lavoratori si sono aggiunti ai disoccupati
dellarea", avverte il documento. Per questo lOcse sollecita ai suoi
membri un intervento immediato e adeguato, per evitare che la crisi
finanziaria si trasformi pienamente in una crisi
sociale con effetti molto negativi sui lavoratori più vulnerabili e sui redditi
più bassi. Di basso
profilo la replica del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che si limita a
dire, in parte non a torto, che non aiuta il continuo prodursi di
stime in sequenze ravvicinate e a volte anche in contraddizione, se è vero che
questo è il tempo dell'attesa nel quale i comportamenti sono spesso in funzione delle attese
annunciate. Per il resto, però, Sacconi liquida il report dellOcse
dicendo che per quanto l'Italia non so se si rivelerà più lenta nel
creare posti di lavoro ma, come lEuropa, è certamente più lenta nel perdere posti di
lavoro e questo è un fatto positivo. 1 voti - » Vota
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( da "Centro, Il" del
30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Pagina 2 - Attualità
Il presidente Obama alla prova dell'Europa G20, Nato e vertice Usa-Ue: agenda
ambiziosa, ma immagine indebolita WASHINGTON. La "Nuova America" di
Barack Obama sbarca domani in Europa per affrontare il primo test
internazionale del nuovo inquilino della Casa Bianca. Con tre vertici nel giro
di cinque giorni - G20 a Londra, riunione Nato a Strasburgo, vertice Usa-Ue a
Praga -, incontri con oltre 40 leader mondiali, due discorsi importanti sui
rapporti transatlantici (in Francia) e la proliferazione nucleare (nella
Repubblica Ceca), e una sosta finale in Turchia. Alla Casa Bianca non si
nasconde però il timore che la stessa Europa che aveva riservato un anno fa
accoglienze da rockstar al carismatico candidato alla presidenza possa dare
questa volta un benvenuto meno entusiasta al nuovo inquilino dello Studio
Ovale. Alle proteste già previste a Londra e Strasburgo dei pacifisti contrari
all'inasprimento Usa della guerra in Afghanistan, si accompagneranno le perplessità
dei leader europei sollecitati da Obama ad accogliere i detenuti di Guantanamo,
a imitare la ricetta Usa di poderosi pacchetti di stimolo, ad aumentare il
contributo (militare e civile) alle operazioni in Afghanistan. Scopo dichiarato
della visita di Obama, che in otto giorni toccherà cinque Paesi, è quello di
cominciare «a ripristinare il prestigio dell'America nel mondo» gravemente
scosso durante gli otto anni di amministrazione Bush, fanno sapere i funzionari
della Casa Bianca. Tanto per cominciare, Obama avrà un atteggiamento diverso: è
pronto ad ascoltare ed a considerare le opinioni e le idee dei suoi
interlocutori e intende "guidare con l'esempio", soprattutto per
quanto riguarda le iniziative per fronteggiare la crisi
economica. Inoltre Obama ha già corretto, in poco più di due mesi di
presidenza, molte delle politiche di George W. Bush che erano il bersaglio
delle critiche degli altri Paesi: ha ordinato la chiusura di Guantanamo, ha
annunciato il calendario del ritiro delle truppe americane in Iraq, ha sposato
la causa della lotta al cambiamento del clima, ha teso la mano all'Iran, ha
annunciato una nuova strategia per l'Afghanistan e il Pakistan («non prevediamo
ingresso di truppe in territorio pakistano», ha dichiarato ieri). Ma la "Nuova
America" che il presidente Obama presenta all'Europa in questo suo primo
viaggio oltreoceano è anche un'America gravemente
indebolita dalla crisi finanziaria. Una crisi che
ha provocato un ripensamento del "modello americano" finora
presentato come il migliore esistente con la sua enfasi sulla libertà dei
mercati e sulla deregulation (cioè il fattore all'origine della crisi). è una situazione che indebolisce
la posizione di Obama in vista del G20. L'enfasi degli Usa sulla
necessità di varare massicci pacchetti di stimolo nazionali per far ripartire
l'economia non è condivisa da molti Paesi europei e la Casa Bianca ha già
cominciato a mettere le mani avanti: non ci saranno richieste specifiche a
Londra da parte americana su questo fronte. Così come al vertice Nato di
Strasburgo e Kehl Obama non chiederà direttamente un aumento di forze militari
in Afghanistan ai Paesi alleati.
( da "Giornale.it, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
n. 13 del 2009-03-30
pagina 16 Obama leuropeo si gioca tutto in una settimana di
Marcello Foa Il
presidente americano sbarca domani nel Vecchio Continente. Affronterà G20,
vertici con la Nato e la Ue, i primi faccia a faccia con Russia e Cina. Ma le
premesse non sembrano incoraggianti: su crisi
economica e Afghanistan rischia di tornare a mani vuote Quando arrivò in Europa
nel luglio scorso, Barack Obama venne accolto da una folla oceanica a Berlino,
mentre i leader dei grandi Paesi sgomitavano per farsi ritrarre al suo fianco.
Era l'uomo della speranza, della fiducia, di un'America che, nonostante la
presidenza Bush, era ancora considerata la potenza di riferimento. Ma Wall
Street non era ancora crollata. Domani Obama tornerà in Europa con un programma
molto intenso: sbarcherà a Londra per il G20 e per l'incontro con il presidente
russo Medvedev, giovedì sarà a Strasburgo al vertice della Nato e al summit con
la Merkel e Sarkozy, venerdì andrà a Praga dove è in programma la riunione
euro-americana, sabato effettuerà la prima visita in un grande Paese musulmano,
ovvero la Turchia. La sua popolarità è ancora altissima e tutti i leader, non
solo europei, lo accoglieranno festosi. Il successo di immagine è assicurato e
sarà amplificato da un incontro a Praga con i giovani della Repubblica ceca e
in collegamento video con i giovani di tutto il mondo. Eppure politicamente il
viaggio di Obama rischia di passare alla storia come uno dei più grandi
insuccessi della diplomazia o, più probabilmente, come il primo di un'America a
cui il mondo non riconosce più lo status di superpotenza. Un'America che,
svanita l'arroganza dei neoconservatori, «viene ad ascoltare», come ha
riconosciuto il portavoce presidenziale Robert Gibbs e che non potendo più di
dar lezioni conta «di continuare a guidare attraverso l'esempio». Un'America
contrita, umile, quasi supplicante, che dà l'impressione di essere disposta a
far la pace con chiunque in cambio del riconoscimento della sua importanza. Il nodo è rappresentato dalla crisi
finanziaria. Europa, Cina e Russia non hanno ormai
dubbi: la responsabilità della crisi mondiale è degli Stati Uniti e di un modello economico che,
attraverso la globalizzazione, ha contagiato il mondo, liberando da ogni
controllo banche e gruppi finanziari, che hanno assunto un potere enorme,
spropositato. E ora devono essere gli Usa a uscire dai guai. Da soli. Il
messaggio più forte che verosimilmente emergerà da questo intenso viaggio di
Obama è proprio questo. L'Europa ha deciso di non seguire l'America sulla via
del rilancio economico, perlomeno non secondo le modalità statunitensi. Obama,
in circa due mesi, ha approvato misure, che, inclusi i salvataggi delle banche
e delle industria in difficoltà, toccheranno l'astronomica cifra di 4500
miliardi di dollari, pari quasi al 30% del Pil. E per settimane lamministrazione Obama, con il
martellante sostegno della stampa, ha tentato di convincere l'Unione europea ad
uniformarsi agli Usa. Ma la cancelliera tedesca Merkel, spalleggiata da
Sarkozy, ha tenuto duro e ha vinto. Sabato i consiglieri della Casa Bianca hanno
annunciato che Obama non insisterà con i leader dei venti Paesi più importanti
del pianeta sulla necessità di varare la prima, grande, coordinata manovra
mondiale. La bozza della risoluzione, trapelata su un giornale tedesco,
esprimerà un auspicio generico, senza alcun vincolo. Come dire: ognuno faccia
da sé. Anche sull'altro dossier importante, l'Afghanistan, Obama tornerà a
Washington, quasi certamente, a mani vuote. Il copione è identico. Un paio di
mesi fa il presidente Usa ha deciso una nuova offensiva contro i talebani, che
comporta l'invio di altri 30mila marines, e per settimane ha sollecitato gli
alleati europei a fare altrettanto. Un mese fa ha inviato a Bruxelles il suo
vice Joe Biden che, in un summit della Nato, ha usato toni assai bruschi per
convincere i Paesi «riottosi». Invano: l'opinione pubblica europea non accetta
di mandare altre truppe e, in tempi di crisi, sono
pochi i governi disposti a sfidare le piazze. La tendenza, semmai, è al ritiro
da Kabul. Ovunque Obama si volti, c'è un problema. Vedrà Medvedev, ma il
disgelo con la Russia rischia di essere lento, finché non verrà risolto il
problema dello scudo spaziale. Neanche il presidente russo gli darà conforto,
perché dire «niet» o «no» o «nein» agli Usa non è più un tabù. http://blog.ilgiornale.it/foa
© SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano
(
da "Corriere Economia"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere Economia - NAZIONALE - sezione: Economia - data: 2009-03-30 num: - pag: 20 categoria: REDAZIONALE Il gestore «Gli hi yield volano al 18% Per inseguirli serve l'air bag» I rendimenti delle obbligazioni societarie a basso rischio ( investment grade ) battono i titoli governativi di almeno 3-4 punti percentuali. Nel mondo delle emissioni ad alto rischio ( hi-yield ) non è raro che la cedola raggiunga punte del 16-18%». Il quadro del mercato del reddito fisso tratteggiato da Gibson Smith , responsabile delle gestioni obbligazionarie e hi yield (alto rischio e alto rendimento) del gruppo americano di asset management Janus Capital , ha colori rosa e oro. >E questo perché «per effetto della
crisi finanziaria che si sta lentamente risolvendo sul mercato del reddito fisso si sono create occasioni di guadagno irripetibili, quasi mai rintracciabili in periodi di normalità». Naturalmente i titoli ad altissimo rendimento sono come materiale radioattivo. E i piccoli risparmiatori possono avvicinarsi a questo tipo di investimento unicamente attraverso i fondi specializzati se non vogliono correre il rischio di vedere incenerito il capitale. «Anche per noi gestori il problema più delicato consiste nell'evitare i titoli di quelle società che rischiano il default , quindi di non rimborsare il debito », avverte. Ma con gli strumenti matematici e previsionali di cui dispongono gli specialisti questo pericolo viene tenuto sotto ragionevole controllo. Ma quali sono stati i principali effetti della crisi finanziaria sul mercato del reddito fisso? «In questi mesi sono scomparse intere classi di investimento, ad esempio le obbligazioni collegate ai mutui ipotecari, che sono state al centro del problema », dice Smith. «Ma le categorie obbligazionarie sopravvissute, i corporate bond e le emissioni hi yield, appunto, hanno migliorato notevolmente il loro grado di convenienza. Dal punto di vista geografico il gestore non ha dubbi: «le migliori occasioni di investimento si trovano in questo momento sul mercato statunitense ». Anche i paesi emergenti offrono buone opportunità, «ma noi scegliamo sempre le singole aziende, non facciamo scommes se-paese», prec isa. Se si guarda invece ai settori industriali il fund manager conferma grande cautela verso le obbligazioni bancarie. Piacciono invece i titoli di debito emessi dalle aziende di quei settori meno ciclici e parzialmente immuni ai rischi di crisi, come l'alimentare. Seguono le obbligazioni emesse dalle società specializzate nella logistica e nei trasporti. Quindi le telecom, la cui cedola non teme cedimenti. «Un suggerimento, per gli investitori in euro, è sempre quello di scegliere fondi specializzati coperti dal rischio di cambio », aggiunge Smith. Le onde prodotte dalle oscillazioni valutarie potrebbero infatti cancellare le performance. M.SAB. Alto rendimento Gibson Smith (Janus capital)(
da "Affari e Finanza
(La Repubblica)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Affari e Finanza
(La Repubblica)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Affari e Finanza
(La Repubblica)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Affari e Finanza
(La Repubblica)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Affari e Finanza
(La Repubblica)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Affari e Finanza
(La Repubblica)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Affari e Finanza
(La Repubblica)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Affari e Finanza
(La Repubblica)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Velino.it, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Dagospia.com"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Virgilio Notizie"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Virgilio Notizie"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Wall Street Italia"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Wall Street Italia"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Wall Street Italia"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Alto Adige"
del 30-03-2009)
Pubblicato anche in: (Nuova
Ferrara, La) (Gazzetta di Reggio) (Corriere delle Alpi) (Gazzetta di Modena,La)
Argomenti: Crisi
(
da "Giornale.it, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "01net"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Velino.it, Il"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Targatocn.it"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Dagospia.com"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Wall Street Italia"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Wall Street Italia"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Wall Street Italia"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Gazzettino, Il
(Rovigo)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Affari Italiani
(Online)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "ITnews.it"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Virgilio Notizie"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Wall Street Italia"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "Wall Street Italia"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "fashionMagazine.it"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "KataWebFinanza"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
da "KataWeb News"
del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi
(
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da "Virgilio Notizie"
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