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Report "crisi"    30-3-2009


Indice degli articoli

Sezione principale: crisi

La ripresa Si vedrà solo a fine 2010 e sarà fiacca . Resta l'incognita dell'andamento dei mercati finanziari ( da "Stampa, La" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: La ripresa Si vedrà solo a fine 2010 e sarà «fiacca». Resta l'incognita dell'andamento dei mercati finanziari

L'appello dei sindacati mondiali al G8: fate come con le banche ( da "Stampa, La" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Sapendo che sarà una ripresa «fiacca» appesa al destino dei mercati finanziari: solo se questi usciranno rapidamente dall'instabilità degli ultimi due anni si vedrà la ripresa (quella fiacca). Il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, all'apertura del G8 dedicato a previdenza e lavoro ieri a Roma s'è trovato pressato.

Madonna vola in Malawi per adottare una bambina ( da "Stampa, La" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: «Faccio cinema per me e per il mio pubblico. E il botteghino è importante. Ci sono una crisi finanziaria, le guerre, il riscaldamento globale. La gente ha bisogno di evasione e di intrattenimento. Ed è una cosa buona per l'industria del cinema, che dà lavoro a tanta gente».

GENTE AL POTERE, E CAMBIATELO QUESTO SISTEMA FINANZIARIO ( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: attuale crisi è anche una crisi degli Stati Uniti e del dollaro e non può essere superata solo con il cambiamento di alcune regole del sistema finanziario. Occorre invece un nuovo sistema monetario che tenga conto dei mutati rapporti di forza a livello internazionale.

Sbarca in Europa la nuova America ( da "Giornale di Brescia" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: America gravemente indebolita dalla crisi finanziaria. È una crisi che ha provocato un ripensamento del «modello americano» finora presentato come il migliore con la sua enfasi sulla libertà dei mercati e sulla deregulation (il fattore all'origine della crisi). È una situazione che indebolisce la posizione di Obama in vista del G20 di Londra.

di Piermaurizio Di Rienzo Ristoranti milanesi sempre meno affo... ( da "Leggo" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: solo genericamente riconducibili alla crisi finanziaria internazionale. Esistono, infatti, alcuni fattori, tutti milanesi: dalla scarsa attrattività delle zone più periferiche, al calo dei turisti, dovuto anche al ridimensionamento di Malpensa. In base alle cifre fornite dall'Unione del Commercio di Milano, le prenotazioni alberghiere raccolte nei dodici mesi dello scorso anno al "

dal forum sociale in brasile alla conferenza in via matteotti ( da "Tirreno, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: incontrati di fronte a qualcosa come diecimila persone per dire la loro sulla sfida della crisi finanziaria in atto nel mondo. Da quell'esperienza nasce la conferenza-dibattito che è stata organizzata questa sera a Viareggio dalle Cooperative "Giacomo Matteotti" e "Indipendenza 1973" e che ha come relatore Renzo Concezione. Appuntamento alle 21 nella sala Giannessi, via Matteotti 180.

l'ocse: dal 2010 disoccupato il 10% ( da "Messaggero Veneto, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: E questo mentre già «nel 2008 il numero di disoccupati mondiale è aumentato di 11 milioni, dopo quattro anni consecutivi di calo». L'ente dell'Onu avverte che l'economia reale è stata «significativamente colpita dalla crisi finanziaria, e le prospettive sono le peggiori dai tempi della Depressione sdel 1929».

La recessione nel mondo e la partita tra Cina e Usa ( da "Bresciaoggi(Abbonati)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: che costituisce il centro economico del pianeta, è stato in vigore dalla metà degli anni '90 fino a pochi mesi fa. È la vera causa sistemica (indiretta) della crisi finanziaria in quanto la pompa di capitale cinese ha spinto le operazioni a debito in America e globalmente oltre qualsiasi limite di sostenibilità.

Recessione nel mondo, la partita tra Cina e Usa ( da "Arena, L'" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: che costituisce il centro economico del pianeta, è stato in vigore dalla metà degli anni '90 fino a pochi mesi fa. È la vera causa sistemica (indiretta) della crisi finanziaria in quanto la pompa di capitale cinese ha spinto le operazioni a debito in America e globalmente oltre qualsiasi limite di sostenibilità.

obama alla conquista dell'europa ( da "Nuova Sardegna, La" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: gravemente indebolita dalla crisi finanziaria. «Sono tempi difficili: c'è rabbia nel mondo verso l'America ritenuta responsabile di essere l'origine di questa crisi», ammette il senatore democratico John Kerry. E' una crisi che ha provocato un ripensamento del modello americano finora presentato come il migliore esistente con la sua enfasi sulla libertà dei mercati e sulla deregulation (

G20 a Londra: ripresa da fine 2010 no al protezionismo ( da "Unita, L'" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: ripresa da fine 2010 no al protezionismo I piani di stimolo dei vari paesi, le misure di sostegno alle banche e l'aumento delle risorse del Fondo Monetario hanno l'obiettivo di far tornare l'economia globale a crescere a fine 2010. È quanto si legge nella bozza del documento finale del G20, anticipata dal 'Financial Times'.

Obama l'europeo si gioca tutto in una settimana ( da "Giornale.it, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Il nodo è rappresentato dalla crisi finanziaria. Europa, Cina e Russia non hanno ormai dubbi: la responsabilità della crisi mondiale è degli Stati Uniti e di un modello economico che, attraverso la globalizzazione, ha contagiato il mondo, liberando da ogni controllo banche e gruppi finanziari, che hanno assunto un potere enorme, spropositato.

Obama in Europa, tre super verticiCrisi Gm, si dimette l'ad Wagoner ( da "Secolo XIX, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: gravemente indebolita dalla crisi finanziaria. «Sono tempi difficili: c'è rabbia nel mondo verso l'America ritenuta responsabile di essere l'origine di questa crisi», ammette il senatore democratico John Kerry. È una crisi che ha provocato un ripensamento del "modello americano" finora presentato come il migliore esistente con la sua enfasi sulla libertà dei mercati e sulla deregulation (

L'Ocse: la disoccupazioneesploderà entro il 2010 ( da "Secolo XIX, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Ocse chiede ai governanti del G8 di intervenire «velocemente e in modo efficace per evitare che la crisi finanziaria si trasformi in una crisi sociale» senza precedenti. Inoltre, nei 30 paesi dell'area Ocse la ripresa economica si avvierà«solo nella prima metà del 2010», e sarà«una ripresa smorzata» e un andamento generale dell'economia che resterà«fiacco».

g20: senza protezionismo ripresa nel 2010 ( da "Repubblica, La" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: protezionismo ripresa nel 2010 Pronto il documento finale. Più poteri a Draghi: frenerà i bonus. Duello Londra-Berlino Il vertice DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA - La recessione mondiale finirà entro la fine del 2010, il protezionismo sarà respinto, i paradisi fiscali saranno messi sotto controllo e un´età delle regole e della crescita sostenibile rimpiazzerà quella del rischio

"asse stato-mercato per battere la crisi - enrico franceschini ( da "Repubblica, La" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: I partiti di centro-sinistra non sono protezionisti, e il protezionismo è oggi la tentazione più pericolosa: se non riusciremo a respingerla, temo che la recessione diventerà una lunga e grande depressione. Bisogna proteggere la gente, ma non è la stessa cosa che essere protezionisti.

se il virus della crisi si nasconde nelle maxibanche - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: crisi si nasconde nelle maxibanche Non esiste un organo di coordinamento tra la Federal Reserve e la Bce Cinque istituti hanno originato due terzi di tutti i mutui concessi negli Stati Uniti (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) L´iniziale crisi finanziaria si è trasformata in una crisi globale delle banche, indebolite da un livello di capitalizzazione troppo esiguo rispetto ai rischi in portafoglio.

Beirut vietò i subprime e ora è un paradiso finanziario ( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Beirut vietò i subprime e ora è un paradiso finanziario di Roberto Bongiorni C ercano di nascondere la sod-disfazione ma non ci riescono. Per i banchieri di Beirut il 2008, anno della grande crisi finanziaria globale, è stato memorabile. Nel Paese per quasi tre anni sull'orlo della guerra civile, gli istituti di credito hanno registrato performance senza precedenti:

contropelo Rivoluzione liberale? Solo slogan ( da "Eco di Bergamo, L'" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: la crisi finanziaria, le forti ondate migratorie, i milioni di disoccupati, la caccia alle streghe che si sta facendo contro i manager e i banchieri che hanno liquidato a suon di benefit e stock options, ci dicono che il liberismo non è la risposta, anzi è stata la causa di quello che sta avvenendo sui mercati e nelle fabbriche.

Pragmatica altalena tra Stato e mercato ( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: la crisi finanziaria)che hanno trasformato la critica al "mercatismo" del ministro in slogan di culto. Con la successiva elaborazione che ha riportato in auge l'economia sociale di mercato della Germania di Konrad Adenauer. Il Pdl non sarà il partito liberale di massa cui i fondatori di Forza Italia erano convinti di poter approdare,

Tetti ai bonus? Demagogia ( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: nella crisi lo Stato ha una sua parte ma guai a scadere nello statalismo, nel protezionismo o nella demonizzazione del profitto ». Dottor Cucchiani, Lei sta un po' in Italia e un po' in Germania e i suoi incarichi la portano a girare molto nel mondo: dal suo particolare angolo visuale come appare l'evoluzione della crisi?

Le economie in surplus si scoprono vulnerabili ( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: vero per questi Paesi si chiama però protezionismo. Quando l'incertezza domina, la tentazione di alzare le barriere alle importazioni diventa grande. Anche se i risultati sono pessimi: tra il 29 e il '33, ricorda Carl J. Riccadonna di Deutsche Bank,dopo l'innalzamento delle tariffe Usa, le esportazioni americane calarono del 61%, a causa delle ritorsioni dei partner commerciali.

Il nostro maggior problema? Gestire bene l'eccesso di liquidità ( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Allora l'attuale crisi finanziaria era tutt'altro che prevedibile. Oggi Riad Salameh, 58 anni, da 15 governatore della Banca centrale del Libano, ha di che essere soddisfatto. «Il 2008 per le nostre banche è stato un anno di profitti record», spiega al Sole 24 Ore.

Libano, dove le banche non conoscono la crisi ( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: dove le banche non conoscono la crisi Per gli istituti di credito il 2008 è stato un anno record Roberto Bongiorni BEIRUT. Dal nostro inviato La crisi finanziaria mondiale? I banchieri di Beirut sorridono. Bear Stearns, Lehman Brothers, Citigroup... Dai loro eleganti uffici nel centro città i tracolli delle grandi banche occidentali sembrano appartenere a un altro pianeta.

Quel dialogo appeso a un filo ( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Quel dialogo appeso a un filo I l mondo si trova di fronte a una crisi finanziaria che molti considerano più grave della Grande Depressione che si ebbe tra le due guerre. Prima del 2008, gli esperti dicevano che la forza e la profondità dei meccanismi di cooperazione messi in piedi alla fine della seconda guerra mondiale avrebbero reso impossibile una nuova Grande Depressione.

Il gregge e il rischio delle scelte collettive ( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: sistematico alternarsi di ondate di pessimismo e di ottimismo sui mercati finanziari ha enormi implicazioni sociali e richiede dunque una spiegazione. L'economista Roland Benabou (http://www. princeton.edu/~rbenabou) ne offre una nel suo recente lavoro ( Groupthink: collective delusions in organizations and markets) in cui si discute dell'importanza del "pensiero collettivo" (appunto,

Il Nord-Ovest: imprese leader e città-regione ( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: soffiando sul fuoco del protezionismo che cova sotto la cenere del vulcano della crisi, si torna ancora più indietro. Quando, al primo arrivo degli immigrati dal Sud alla Fiat, non si affittava ai meridionali, e gli operai specializzati, l'aristocrazia operaia torinese, guardava con diffidenza all'operaio massa.

Geometri: più iscritti ma lavoro in calo ( da "Eco di Bergamo, L'" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: La crisi finanziaria sta lasciando i segni anche nella nostra attività - risponde il presidente Ferrari - e il lavoro è certamente in flessione. Grosse lamentele per ora non ne raccolgo, ma tra noi parliamo sempre più spesso del calo di lavoro. Non conosciamo ancora i dettagli del "progetto casa" del governo e speriamo in risvolti positivi,

La cooperazione fra Stati sul Fisco cerca una strategia ( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: attuale crisi finanziaria. In alcuni ambiti gli Stati hanno cercato di conseguire risultati simili: particolarmente significativi sono, a questo riguardo, i numerosi documenti dell'Ocse e dell'Onu in tema di cooperazione fiscale internazionale, l'analisi dei quali può consentire di evidenziare le problematiche di cui si dovrà tenere conto anche ora.

Hypo Re, entra lo Stato ( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: in questi mesi di crisi finanziaria ha già goduto di aiuti pubblici per 102 miliardi di euro. Questa nuova operazione avverrà attraverso il Soffin, un fondo federale nato l'anno scorso per gestire le garanzie statali alle banche. La società bavarese è stata travolta dalla crisi finanziaria a causa della sua esposizione al mercato del credito immobiliare.

Calpers contro gli hedge fund ( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: amministrazione di Barack Obama per imporre nuove regole sui mercati finanziari che garantiscano inedita vigilanza. Oppure la proposta di tassare alla stregua di reddito compensi che i gestori considerano invece guadagni di capitale. è diventato, insomma, il simbolo della fine di un'era. Quella che, con folle di clienti che bussavano alle porte, aveva visto gli hedge dettare legge:

Un mare di documenti tossici ( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: importante resta tuttavia il nesso tra crisi finanziaria e crisi documentale. Sotto il profilo degli interventi e dei rimedi, la parola spetta ovviamente agli economisti e ai politici, che non a caso si orientano sulla trasparenza delle regole di creazione dei documenti, un aspetto su cui si è a giusto titolo molto insistito sul Sole 24 Ore (per restare agli interventi più recenti,

Spini all'SMS di Rifredi con Ruffolo ( da "Nazione, La (Firenze)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Rifredi con Ruffolo COME fronteggiare la crisi economica che sta investendo il nostro paese, l'intera Europa e gli Stati Uniti? Quali strategie e interventi adottare per contrastarla? Sono alcuni dei temi che saranno affrontati nel convegno «Crisi finanziaria dalle banche al portafoglio delle famiglie» che si terrà questa sera alle 21 all'SMS di Rifredi per iniziativa della lista «

PARLAMENTO EUROPEO: CON OBAMA NUOVO IMPULSO AL PARTENARIATO EURO-ATLANTICO ( da "marketpress.info" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: disarmo nucleare e crisi regionali. Chiede poi di unificare il mercato e integrare quello finanziario. Invita però gli Usa a cessare le consegne straordinarie, ratificare lo statuto della Corte penale internazionale e abolire la pena di morte. Approvando con 503 voti favorevoli, 51 contrari e 10 astensioni la relazione di Millán Mon (Ppe/de,

LA SOSTENIBILITA' PUO' ESSERE UN VANTAGGIO COMPETITITO. MOBILITIAMO IL CAPITALE UMANO CHE TANTI TRAGUARDI IMPORTANTI HA FATTO RAGGIUNGERE AL VENETO ( da "marketpress.info" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: trascinare il Paese oltre la crisi finanziaria che sta interessando purtroppo anche le nostre città. ? Così, indicando nella ricerca e nell?innovazione una delle strade più efficaci da percorrere per oltrepassare l?odierna congiuntura globale, l?assessore all?Economia, Vendemiano Sartor, ha introdotto il 26 marzo, nella sala della biblioteca antica del polo universitario di Portogruaro,

FONDO DI SOLIDARIETA' IN UMBRIA: PRESIDENTE LORENZETTI SCRIVE AI SINDACI, PRESIDENTI PROVINCE E CONSIGLIO REGIONALE ( da "marketpress.info" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Anche nella nostra regione si stanno facendo sempre più acute le ripercussioni della crisi finanziaria e a risentirne sono le famiglie a più basso reddito, il nostro sistema produttivo, ed in modo particolare le piccole e medie imprese. La Ceu ha deciso di attivare un ?Fondo di Solidarietà? al quale ho fatto la personale scelta di aderire.

( da "Corriere della Sera" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: cercare di individuare e promuovere interventi idonei al superamento della crisi e rafforzare il dialogo e il rapporto tra le banche e le imprese. Dunque Assolombarda sta facendo il possibile per aiutare le imprese a superare le difficoltà create dalla crisi finanziaria. E io sono certa che se in Italia, con l'impegno di tutti, vincerà la cultura dell'innovazione, della sana gestione,

Terremoto ai vertici dell'auto Peugeot licenzia Streiff ( da "Corriere della Sera" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Al punto da doversi difendere dall'accusa di protezionismo. è naturalmente presto per valutare se la defenestrazione di Streiff possa subito incidere sulle voci di possibili alleanze del gruppo Psa con Fiat o in alternativa con Bmw, secondo le ripetute indiscrezioni delle scorse settimane.

E Obama affonda Wagoner alla vigilia dei nuovi aiuti ( da "Corriere della Sera" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: contorno di proteste popolari contro i responsabili della crisi finanziaria divenuta crisi globale, ma, prima, le decisioni della "task force" per il settore dell'auto che dipende proprio dal Tesoro: un salvataggio a spese del contribuente molto impopolare ma al quale Obama non si sente di rinunciare, nel bel mezzo di una profonda recessione e con la disoccupazione già alle stelle.

Ocse: . Ma Sacconi invita alla cautela ( da "Corriere della Sera" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Il documento conferma la volontà politica dei Grandi a contrastare il protezionismo e a portare a termine i negoziati del Doha Round sul commercio internazionale bloccati da due anni. In previsione degli incontri di Londra, Sacconi in questi giorni cercherà di vincolare — con un documento condiviso —

La crisi e il principio del Gattopardo ( da "Corriere della Sera" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: inizio della crisi finanziaria globale nell'estate del 2007, lo squilibrio tra i mercati finanziari e i governi è cresciuto a ritmo esponenziale. Nel 2006 la stima della produzione economica dell'intero pianeta si aggirava sui 48,6 trilioni di dollari. La capitalizzazione di mercato totale delle borse mondiali era di 50,

Ocse, pericolo disoccupazione ( da "Miaeconomia" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: per evitare che la crisi finanziaria si trasformi pienamente in una crisi sociale con effetti molto negativi sui lavoratori più vulnerabili e sui redditi più bassi?. Di basso profilo la replica del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che si limita a dire, in parte non a torto, che ?

il presidente obama alla prova dell'europa ( da "Centro, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: America gravemente indebolita dalla crisi finanziaria. Una crisi che ha provocato un ripensamento del "modello americano" finora presentato come il migliore esistente con la sua enfasi sulla libertà dei mercati e sulla deregulation (cioè il fattore all'origine della crisi). è una situazione che indebolisce la posizione di Obama in vista del G20.

Obama l'europeo si gioca tutto in una settimana/di Marcello Foa ( da "Giornale.it, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Il nodo è rappresentato dalla crisi finanziaria. Europa, Cina e Russia non hanno ormai dubbi: la responsabilità della crisi mondiale è degli Stati Uniti e di un modello economico che, attraverso la globalizzazione, ha contagiato il mondo, liberando da ogni controllo banche e gruppi finanziari, che hanno assunto un potere enorme, spropositato.

( da "Corriere Economia" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: E questo perché «per effetto della crisi finanziaria che si sta lentamente risolvendo sul mercato del reddito fisso si sono create occasioni di guadagno irripetibili, quasi mai rintracciabili in periodi di normalità». Naturalmente i titoli ad altissimo rendimento sono come materiale radioattivo.

Banche "pulite" le brutte sorprese dello Zio Tim ( da "Affari e Finanza (La Repubblica)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: La ragione per la quale gli istituti finanziari dovrebbero essere soggette a pressioni è che sono loro la causa della crisi finanziaria: sono loro infatti ad aver approfittato delle varie scappatoie per eludere i requisiti normativi, scommettendo una posta enorme su titoli di cui in primis non avrebbero nemmeno dovuto essere proprietari.

La rete mondiale di salvataggio GLI INTERVENTI ( da "Affari e Finanza (La Repubblica)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: la maggiore eccezione è la Germania dove i versamenti effettivi sono ancora molto scarsi) nei principali paesi del mondo per fronteggiare la crisi finanziaria. Negli Stati Uniti, aggiungendo tutti gli stanziamenti previsti, annunciati, probabili, si superano i 5mila miliardi di dollari. Scopri come ricevere sul tuo cellulare Repubblica Gold condividi

Times square Obama e l'Europa gli screzi di una luna di miele>( da "Affari e Finanza (La Repubblica)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: crisi finanziaria, gli entusiasmi europei sembrano raffreddarsi di colpo. La ragione? Scontrandosi contro il populismo strumentale dei repubblicani e contro buona parte degli stessi contribuenti americani, chiamati a pagare per gli eccessi di Wall Street, il neopresidente ha varato in due mesi una strategia organica: intende frenare la disoccupazione attraverso spese pubbliche massicce

PasseraPerissinotto a chi fa male la 'bancassurance' ( da "Affari e Finanza (La Repubblica)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: nel bel mezzo della crisi finanziaria ed economica più profonda del dopoguerra, proprio non si poteva trovare. Adesso Passera si ritrova un nodo in più da sciogliere, quello di cosa fare con le tre compagnie di assicurazione che si ritrova in pancia. Compagnie che assorbono prezioso capitale che potrebbe meglio essere impiegato per operazioni propriamente creditizie,

Zignago Vetro, un 2008 record ma quest'anno si prevede un calo ( da "Affari e Finanza (La Repubblica)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: ultima parte dello scorso anno il contesto macroeconomico internazionale, spinto dalla crisi finanziaria globale, ha assunto tinte sempre più fosche che hanno preannunciato la caduta generalizzata della domanda e la diminuzione dell?attività produttiva in importanti settori dell?economia, situazione che stiamo vivendo anche in questa prima parte del 2009.

Meno contratti a termine in estate ( da "Affari e Finanza (La Repubblica)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: colpito così pesantemente dalla crisi, sta facendo da mesi un ricorso massiccio alla Cassa Integrazione. E l?autonoleggio? Come si ripercuoterà la crisi finanziaria del comparto sull?occupazione? «Per molti anni siamo stati un motore e un acceleratore, anche per l?industria automobilistica, visto l?

Il noleggio a lungo termine si apre ai dipendenti delle aziende clienti ( da "Affari e Finanza (La Repubblica)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: insegna della crisi e dell?incertezza economica «In questo momento di crisi finanziaria ? spiega l?amministratore delegato di "Car Server" Giovanni Orlandini ? la nostra società si dimostra attenta alle difficoltà e alle esigenze delle famiglie. Con "Privato Innamorauto", abbiamo voluto dare una possibilità anche ai cosiddetti lavoratori atipici,

Anche il "breve termine" lancia l'allarme ( da "Affari e Finanza (La Repubblica)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: I segnali negativi della crisi finanziaria si sono iniziati ad avvertire nel settembre scorso, quando le stime sul fine anno del noleggio a breve termine prevedevano una crescita del 4%, riportando una notevole riduzione rispetto alla crescita del giro d?affari del primo semestre 2008, con un aumento dell?

America Latina, il Bid verso l'ampliamento di capitale ( da "Velino.it, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: effetti della crisi finanziaria internazionale. Un piano ambizioso che raccoglie un sì con riserva del principale azionista dell?istituzione, gli Stati Uniti: “Pensiamo che ci sia spazio per ampliare il bilancio”, ha detto il segretario di Stato Usa per il Tesoro, Tim Geithner, sottolineando che un intervento in tal senso deve essere accompagnato da condizioni come l?

L'ultimatum di Obama: la testa DI WAGONER prima di autorizzare, oggi, la 'fase 2' del salvataggio della GM e della Chrysler. A spese del contribuente. Il monito della Casa Bianca: ( da "Dagospia.com" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: contorno di proteste popolari contro i responsabili della crisi finanziaria divenuta crisi globale, ma, prima, le decisioni della "task force" per il settore dell'auto che dipende proprio dal Tesoro: un salvataggio a spese del contribuente molto impopolare ma al quale Obama non si sente di rinunciare, nel bel mezzo di una profonda recessione e con la disoccupazione già alle stelle.

Crisi/ Berlusconi: In regole finanza si devono trovare ( da "Virgilio Notizie" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: La crisi non è nata nel debito pubblico ma in quello privato", continua Berlusconi. "E' una crisi finanziaria ed è nelle regole della finanza che si devono trovare gli antidoti per evitare che una simile crisi si ripeta in futuro", ha aggiunto precisando che la crisi "è sì grave, ma c'è stata una buona reattività da parte dei governi"

Doha/ Prende il via il 21esimo summit dei capi di stato ( da "Virgilio Notizie" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: grandi cambiamenti verificati nel mondo a causa della grave crisi finanziaria mondiale", provocato dai paesi occidentali che "hanno il monopolio dell'economia mondiale". Il discorso del presidente siriano è stato sospeso per alcuni minuti per allontanare i fotoreporter che avevano invaso lo spazio in aula di fronte all'oratore.

DOHA/ PRENDE IL VIA IL 21ESIMO SUMMIT DEI CAPI DI STATO ARABI ( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Prende il via il 21esimo summit dei capi di stato arabi di Apcom ASsda: Crisi finanziaria causata da occidente ci danneggia -->Roma, 30 mar. (Apcom) - Il ventunesimo vertice dei capi di stato arabi ha preso il via stamani nella capitale del Qatar, Doha. Le maggiori tv arabe hanno trasmesso in diretta la seduta inaugurale del summit alla presenza di 15 leader di paesi arabi,

G8 LAVORO/ FRATTINI:REGOLE GLOBALI, MA EVITARE FRENI INNOVAZIONE ( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: (Apcom) - La crisi finanziaria ed economica dimostra che sono necessarie regole a livello globale, che pongano un freno ai "comportamenti eccessivi", in particolare della finanza, ma il ministro degli Esteri Franco Frattini avverte che queste riforme vanno affettuate senza creare freni anche all'innovazione.

CRISI/ BERLUSCONI: IN REGOLE FINANZA SI DEVONO TROVARE ANTIDOTI ( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: La crisi non è nata nel debito pubblico ma in quello privato", continua Berlusconi. "E' una crisi finanziaria ed è nelle regole della finanza che si devono trovare gli antidoti per evitare che una simile crisi si ripeta in futuro", ha aggiunto precisando che la crisi "è sì grave, ma c'è stata una buona reattività da parte dei governi"

Il presidente Obama alla prova dell'Europa ( da "Alto Adige" del 30-03-2009) + 4 altre fonti
Argomenti: Crisi

Abstract: America gravemente indebolita dalla crisi finanziaria. Una crisi che ha provocato un ripensamento del "modello americano" finora presentato come il migliore esistente con la sua enfasi sulla libertà dei mercati e sulla deregulation (cioè il fattore all'origine della crisi). è una situazione che indebolisce la posizione di Obama in vista del G20.

Proteste alla Sapienza e degli islamici, la legge vale per tutti? ( da "Giornale.it, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: uno dei pochi ad aver previsto per tempo la crisi. E' convinto che la crisi potrà essere superata definitivamente solo se verranno cambiate le regole che hanno permesso la diffusione dell'anarchia finanziaria, altrimenti la ripresa sarà effimera. Il problema è che Washington e Londra vogliono continuare come prima.

Emilia-Romagna: l'accesso al credito è più facile ( da "01net" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: crisi finanziaria sulle possibilità di accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese dell?Emilia-Romagna. L'accordo intende favorire la possibilità, da parte delle piccole e medie imprese, di accedere al credito bancario a breve e medio termine, a condizioni economiche medie particolarmente vantaggiose e legate principalmente per soddisfare le esigenze di liquidità straordinaria

Venezuela-Iran, nel giorno del G20 Chávez incontra Ahmadinejad ( da "Velino.it, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: i temi della crisi finanziaria internazionale, il presidente del Venezuela Hugo ChÁvez si recherà a Teheran, ospite del capo di Stato Mahmoud Ahmadinejad. I due leader, solidali nella critica politica agli Stati Uniti, hanno in programma l?analisi dei molti progetti di cooperazione economica tra i quali, come ha ricordato il ministro dell?

Busca: al via la stagione primaverile del Teatro civico ( da "Targatocn.it" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: spettacolo è fortemente penalizzato dalla crisi finanziaria e dai tagli alla spesa pubblica e, in particolare, alla cultura. A questo proposito l?associazione Marcovaldo ha presentato un nuovo progetto Interreg ? ?Confrontations Artistiques Transfrontaliéres? - che vede come capofila il Comune di Savigliano e ha come partner francese la Comunità dei Comuni della Moyenne Durance,

PRIGIONIERI DEI LORO SOLDI I BANCHIERI SVIZZERI HANNO PAURA DI ATTRAVERSARE LA FRONTIERA ED ESSERE ARRESTATI O INTERROGATI "IL segreto bancario NON C'ENTRA. UE E USA vogliono r ( da "Dagospia.com" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: preoccuparsi di rabberciare i bilanci perforati dalla crisi finanziaria globale di cui sono stati coprotagonisti, e nemmeno trovare un modo per stare alla larga dai disperati malintenzionati che hanno preso a contestare la categoria in modo anche rude in quanto «causa di ogni male». Il loro problema extra è che quando attraversano il confine temono di non tornare indietro con facilità.

ITALIA-RUSSIA/ BERLUSCONI: RAPPORTI ECONOMICI AI MASSIMI STORICI ( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: ha risentito nella seconda metà dell'anno della generale crisi finanziaria. Ma è significativo che il valore delle nostre esportazioni (10,5 miliardi di euro) ha fatto segnare un aumento del 9,3 rispetto all'anno precedente, mentre quelle verso altri mercati europei hanno fatto registrare il segno negativo".

BORSA/ FUTURES USA IN NETTO RIBASSO, PESANO TIMORI AUTO E BANCHE ( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: ultimo segnale del fatto che la crisi finanziaria abbia assunto dimensioni globali, la Spagna si e' vista costretta a salvare la banca regionale Caja Castilla la Mancha, nella sua prima operazione di questo tipo dall'inizio delle turbolenze. Ieri l'amministratore delegato Rick Wagoner e' stato spinto da Washington a rassegnare le dimissioni con effetto immediato,

G8/ BERLUSCONI: SINTONIA CON G20. ALLA MADDALENA SISTEMA REGOLE ( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: totale accordo sulle risposte che G20 e G8 dovranno dare alla crisi finanziaria ed economica internazionale". Berlusconi inoltre prevede che in sede G20 "ci concentreremo sui principi per la regolamentazione e la supervisione finanziaria, mentre alla Maddalena andremo oltre". "Ci sforzeremo, come G8, di coinvolgere sempre più altri soggetti, ossia il secondo giorno i Paesi del G5 (

Le paure del nostro tempo e come la speranza cristiana può combatterle. Il club Serra ha ospita... ( da "Gazzettino, Il (Rovigo)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: crisi, né per avere una piccola ripresa finanziaria. Le banche in alcuni casi sono fuorvianti: vendono pacchetti finanziari senza trasparenza, concedendo dei mutui casa sapendo che i clienti in molte situazioni potrebbero essere insolventi. Solo ora si stanno riscoprendo i vecchi istituti di credito, come le banche cooperative che concedono mutui conoscendo la famiglia e le sue abitudini»

G8 lavoro, 4 mosse per salvare l'occupazione pag.1 ( da "Affari Italiani (Online)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: contribuire ad affrontare l'occupazione e le sfide sociali derivanti dall'attuale crisi finanziaria a livello globale, migliorare e garantire uno sviluppo piu' sostenibile e promuovere la coesione sociale''. I lavori del G8 terminati oggi con il documento finale, riprenderanno domani in forma allargata (G14) ai paesi emergenti.

G8: SACCONI, NESSUNO HA PREVISTO LA CRISI, NE' FMI NE' ALTRI ( da "ITnews.it" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Siamo entrati nella crisi finanziaria ed economica senza rendercene conto e senza che nessuno ci avesse minimamente avvisato". E' questa l'accusa rivolta dal titolare del Welfare Maurizio Sacconi, nella seconda giornata del G8 Lavoro, ad "organizzazioni internazionali (tra cui il Fondo monetario internazionale) agenzie di rating e centri di ricerca"

Italia-Russia/ Berlusconi: Rapporti economici ai massimi ( da "Virgilio Notizie" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: ha risentito nella seconda metà dell'anno della generale crisi finanziaria. Ma è significativo che il valore delle nostre esportazioni (10,5 miliardi di euro) ha fatto segnare un aumento del 9,3 rispetto all'anno precedente, mentre quelle verso altri mercati europei hanno fatto registrare il segno negativo".

## G20/ A LONDRA SUDAFRICA PORTAVOCE DI TUTTO IL CONTINENTE ( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: origine della crisi provenga da mondi lontani, gli effetti sui paesi in via di sviluppo sono infatti a dir poco devastanti. La crisi finanziaria ha indebolito gli investimenti e prosciugato i fondi diretti in Africa e secondo Mohamed Mbodj, responsabile del Forum civile, sezione senegalese dell'organizzazione "Transparency International"

BORSA/ WALL STREET APRE IN NETTO CALO,DJ -2,54%, NASDAQ -2... -2- ( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: ha ricordato quanto la crisi finanziaria abbia assunto dimensioni globali. Il benchmark settoriale dei finanziari cede oltre il 5%. Alla luce di un calendario macro privo di aggiornamenti di rilievo, l'attenzione del mercato sara' rivolta principalmente all'intervento del presidente Barack Obama che dovrebbe chiarire il modo in cui Washington intendera'

Ratti: un 2008 da dimenticare ( da "fashionMagazine.it" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: economia nazionale e internazionale e lo scoppio della crisi finanziaria globale: l?acuirsi della situazione, soprattutto nei mesi di settembre e ottobre, ha determinato un drastico rallentamento dei consumi e della domanda, in particolare del settore tessile-moda (il core business di Ratti sono i tessuti in seta e fibre naturali di alta qualità, ndr), penalizzando significativamente l?

Soffre anche il lusso ( da "KataWebFinanza" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Al contrario risulteranno meno colpiti dalla crisi finanziaria i comparti dei profumi e dei cosmetici ( - 4,8%) e quello delle borse e delle scarpe ( - 6,2%). Questi ultimi due subiranno entrambi una riduzione del margine operativo lordo pari al 4,8%. A livello di mercati le Americhe ( - 14,8%) e il Giappone ( - 11,7%) sono quelli che scontano il calo maggiore,

catalan4ever ha detto: il motivo? è creare una aleanza tra occidente e il mondo arabo, per trovare un altra via di lotta contro il terrorismo che non sia l'uso di armi. ( da "KataWeb News" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: incontrati per decidere sulle posizioni comuni da adottare contro la crisi finanziaria, lasciando fuori la Spagna, che pure Zapatero aveva definito «l'economia più solida del mondo», addirittura il Paese sopra la media europea per reddito pro capite. Per il premier spagnolo fino a pochi mesi fa «il sorpasso dell'Italia ha fatto deprimere molto il primo ministro Berlusconi» e «in realtà,

Tia? no a chi è in cassa integrazione ed a chi non ha lavoro ( da "Cittàdellaspezia.com" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: previsto dal piano finanziario della TIA, inciderà iniquo sulla popolazione in particolar modo sulle fasce sociali più deboli, già colpite dalla crescente sofferenza economica a causa della continua perdita di posti di lavoro dovuta alla crisi finanziaria complessiva: Considerato che Tale aumento deve corrispondere nei fatti al miglioramento del servizio di gestione dei rifiuti,

Cooperazione/ Ocse: Aiuti record nel 2008, pari a 119,8 mld... ( da "Virgilio Notizie" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Molti Paesi non sono in condizioni finanziarie tali da affrontare l'attuale crisi economica". "Se non è possibile prevedere gli effetti e la durata della crisi finanziaria - continua - è importante che l'aiuto svolga un ruolo anticiclico che compensi almeno in parte il forte declino dei contributi globali destinati ai Paesi in via di sviluppo".

RUSSIA/ PREMIER EMIRATI DA MEDVEDEV. CREMLINO: FOCUS SU ENERGIA ( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: termini sostanziali delle prospettive della partecipazione di istituti bancari di entrambi i paesi per l'attuazione su vasta scala di progetti comuni. Tra i temi di attualita' internazionale e regionale all'ordine del giorno "si prevede di prestare particolare attenzione alle questioni globali della crisi finanziaria ed economica, la situazione in Medio Oriente e Golfo Persico".

COOPERAZIONE/ OCSE: AIUTI RECORD NEL 2008, PARI A 119,8 MLD USD ( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Molti Paesi non sono in condizioni finanziarie tali da affrontare l'attuale crisi economica". "Se non è possibile prevedere gli effetti e la durata della crisi finanziaria - continua - è importante che l'aiuto svolga un ruolo anticiclico che compensi almeno in parte il forte declino dei contributi globali destinati ai Paesi in via di sviluppo".

Per Frost & Sullivan in Europa aumenta la domanda di energia nucleare ( da "e-gazette" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: ma non sono stati colpiti in maniera significativa dalla crisi finanziaria, visto che di base questi sono investimenti di lungo termine (in Europa sono necessari di solito tra gli 8 e i 10 anni per la costruzione di un impianto). Va inoltre sottolineato che questi investimenti hanno oggi grande supporto politico, in particolare a seguito delle dispute sul gas tra Ucraina e Russia,

Bipartitismo e coalizione dominante ( da "AprileOnline.info" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: centrosinistra in grado di sopperire alla evidente crisi della "vocazione maggioritaria", cui si accennava poc'anzi. Le risposte alla crisi economica e finanziaria rimangono sullo sfondo proprio perchè il PD appare più spiazzato su questo terreno di altre formazioni: la crisi, come è stato fatto notare nel corso della settimana, è esplosa proprio mentre il partito venuto fuori dalla "

*Trichet: Rischi crescita ora più equilibrati, previsioni incerte ( da "Velino.it, Il" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: impatto della crisi finanziaria sull?economia reale “può essere più forte di quanto atteso”. A questo si affiancano le pressioni protezionistiche per le quali “la preoccupazione è considerevole”. Sebbene la situazione sia peggiorata, ha detto poi il presidente della Bce “

Soffre anche il lusso ( da "Borsa(La Repubblica.it)" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Al contrario risulteranno meno colpiti dalla crisi finanziaria i comparti dei profumi e dei cosmetici ( - 4,8%) e quello delle borse e delle scarpe ( - 6,2%). Questi ultimi due subiranno entrambi una riduzione del margine operativo lordo pari al 4,8%. A livello di mercati le Americhe ( - 14,8%) e il Giappone ( - 11,7%) sono quelli che scontano il calo maggiore,

##FIAT-CHRYSLER, SCATTA CONTO ROVESCIA; OBAMA:30 GIORNI PER.. -2- ( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: e che in questa crisi finanziaria peggiore dalla Grande Depressione individuano come vittime soprattutto loro: i milioni di anonimi contribuenti americani, che continuano a finanziare diversi progetti di rilancio sfornati dall'amministrazione, e che in tutto questo si sentono anche mancare di rispetto.


Articoli

La ripresa Si vedrà solo a fine 2010 e sarà fiacca . Resta l'incognita dell'andamento dei mercati finanziari (sezione: crisi)

( da "Stampa, La" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

La ripresa Si vedrà solo a fine 2010 e sarà «fiacca». Resta l'incognita dell'andamento dei mercati finanziari

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L'appello dei sindacati mondiali al G8: fate come con le banche (sezione: crisi)

( da "Stampa, La" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

L'appello dei sindacati mondiali al G8: fate come con le banche Quaranta milioni di posti di lavoro perduti - stima dell'Ilo, agenzia dell'Onu per il lavoro -, duecento milioni di lavoratori che rischiano la povertà «estrema», disoccupazione sopra il 10% nei paesi del G8 nel corso di quest'anno, altri 18 mesi prima di intravedere la ripresa, sostiene l'Ocse. Sapendo che sarà una ripresa «fiacca» appesa al destino dei mercati finanziari: solo se questi usciranno rapidamente dall'instabilità degli ultimi due anni si vedrà la ripresa (quella fiacca). Il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, all'apertura del G8 dedicato a previdenza e lavoro ieri a Roma s'è trovato pressato. Da una parte questi numeri, dall'altra il sindacato - le sigle italiane e le rappresentanze internazionali - a battere la scarpa sul tavolo: vogliono un piano anticrisi per l'economia reale, per le imprese e per il lavoro analogo a quanto s'è fatto per salvare le banche e la finanza. John Evans, segretario del Tuac, l'associazione di rappresentanza dei sindacati presso l'Ocse, ha spiegato che dopo le centinaia di miliardi mobilitati per la finanza «per sistemare la crisi delle banche dobbiamo sistemare quella del lavoro». Sullo stesso tenore il segretario della Uil Luigi Angeletti: «Fino ad oggi ci siamo occupati degli istituti di credito, ora tocca ai lavoratori». Il suo collega della Cisl Raffaele Bonanni è più duro: «Servono norme non solo per far funzionare le banche, ma anche per regolare i super-stipendi dei loro manager, che in alcuni casi sono 400 volte più alti di quelli dei dipendenti». Il caso italiano ha le sue peculiarità: Cisl, Uil e Ugl - additati come sindacati di regime - dopo mesi di concessioni al governo si trovano a mani vuote. Hanno ottenuto un allargamento degli ammortizzatori sociali non ancora entrato in vigore: gli effetti non si sentono e non sono neppure ancora del tutto chiari. E in più la Cgil preme sui colleghi: sabato prossimo sarà in piazza a Roma, al Circo Massimo, per «difendere il futuro»: la piazza in cui Cofferati portò, nel 2002 tre milioni di persone a sfilare per l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Sacconi gioca la carta dell'ottimismo: invitando i ricercatori ad andarci piano con le previsioni funeste «in una fase caratterizzata da una crisi della fiducia». Una versione più mite dell'attacco alle cornacchie profetesse di sventura sferrato nelle settimane passate dal governo. Il vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei s'è sentito chiamato in causa (il centro studi di Viale dell'Astronomia è stato accusato di produrre solo previsioni nere) e ha ribadito: «Noi siamo realisti, il centro studi fotografa la realtà per quella che è». Sacconi chiede che le previsioni «siano concentrate», per evitare uno stillicidio quotidiano di catastrofi annunciate. Il ministro italiano predilige bicchiere mezzo pieno: «l'Italia, come l'Europa, è stata più lenta a perdere posti di lavoro rispetto agli Usa». Ora bisogna scongiurare i rischi di «deindustrializzazione», tenendo vivo il rapporto tra lavoratori e imprese. Come? Attraverso un patto globale di tutela del lavoro e dello stato sociale. Sembra ciò che il sindacato chiede, ma sembra solo. Il G8 della Maddalena, a luglio, dice Sacconi, sarà «preceduto» da un incontro con i sindacati. Loro avevano chiesto di partecipare ai lavori, e hanno tutta l'aria di preferire il bicchiere mezzo vuoto. Hanno le cifre dalla loro.

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Madonna vola in Malawi per adottare una bambina (sezione: crisi)

( da "Stampa, La" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Madonna vola in Malawi per adottare una bambina Ha iniziato a fare cinema perché nel cinema ci è nato, come nipote di Francis Ford Coppola. E per un po' ha interpretato grandi parti in film come Cuore selvaggio o Stregata dalla luna. Quindi Via da Las Vegas, con il ritratto brutale e onesto di un alcolizzato che gli è valso l'Oscar. Nicolas Cage era considerato l'attore più interessante della sua generazione. E dopo? Testosterone e adrenalina, nel senso che Cage è passato all'azione, con tre, quattro o anche cinque film all'anno spesso senza grandi ambizioni, recitando personaggi privi d'ambiguità sotto titoli che vanno da The Rock a Bangkok Dangerous. L'ultimo è Knowing, film di fantascienza massacrato dai critici che però in America nel week-end scorso ha raccolto 25 milioni di dollari, stracciando Julia Roberts (Duplicity) e Watchmen. Insomma, Cage da artista è diventato un altro cinico campione del box office. Mister Cage, che cosa l'ha indotta a girare un film come Knowing? E, in generale, pellicole che non le offrono grandi possibilità di vincere un secondo Oscar? «Non faccio i film per i premi o per i critici o per lanciare messaggi, ma per me. E per il pubblico. Quest'anno oltre a Knowing, usciranno in totale cinque film miei: Bad Lieutenant, Season of the Witch, poi Kick Ass. E ho appena iniziato The Sorcerer's Apprentice. Non è che ci tengo a venire ricordato come quello con la pistola in pugno, ma sono capitati uno dopo l'altro». Si è «specializzato» anche nei seguiti di successi... «Viviamo in tempi difficili e quando la gente spende soldi per andare al cinema vuole una certa sicurezza. Il sequel gliela garantisce: sanno che cosa attendersi. Io l'accetto: se puoi fare un film che rende felici le famiglie, fallo». Anche se non è il massimo? «Credo nella libertà e nel diritto di ogni artista di fare ciò che vuole. All'inizio il cinema per me è stato anche un modo per esprimere la rabbia che avevo dentro, ma invecchiando sento il bisogno di toccare più note. E ciò che vorrei continuare a fare: dei film che intrattengono il pubblico ma anche che mi permettono di esprimere la mia esperienza di vita. Questo non significa che non farò più film violenti, ma che sarò più attento nelle mie scelte. Ricordo una conversazione con David Bowie anni fa, gli chiesi come faceva a reinventarsi sempre. La sua risposta fu che non si è mai seduto. E che se ti sforzi ogni volta ad andare un po' più in là troverai sempre una nuova voce o almeno una nuova versione della tua voce». Invece la sua oggi viene percepita come un po' ripetitiva e mirata sul botteghino. La infastidisce? «Faccio cinema per me e per il mio pubblico. E il botteghino è importante. Ci sono una crisi finanziaria, le guerre, il riscaldamento globale. La gente ha bisogno di evasione e di intrattenimento. Ed è una cosa buona per l'industria del cinema, che dà lavoro a tanta gente».

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GENTE AL POTERE, E CAMBIATELO QUESTO SISTEMA FINANZIARIO (sezione: crisi)

( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

GENTE AL POTERE, E CAMBIATELO QUESTO SISTEMA FINANZIARIO di *Alfonso Tuor Pechino ha detto in modo chiaro agli americani che i rapporti di forza mondiali sono cambiati. E che gli Stati Uniti non possono pensare di uscire da questa crisi, preservando il primato del dollaro e quindi anche il loro primato politico. -->*Alfonso Tuor e' editorialista del Corriere del Ticino. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente. (WSI) – Chi pagherà il conto di questa crisi? La risposta a questa domanda, che diventa di giorno in giorno più inquietante, è ormai sempre più chiara. Negli scorsi giorni vi sono state due autorevoli prese di posizione che confermano che l’interrogativo comincia a tormentare anche i governi. Una è stata quella di Mirek Topolanek, primo ministro ceco dimissionario e presidente di turno dell’Unione Europea, il quale davanti al Parlamento europeo ha detto: «le politiche americane ci porteranno alla rovina». L’altra presa di posizione è stata quella della banca centrale cinese che, nel modo indiretto proprio della cultura di quel Paese, ha pubblicato un documento nel quale si delinea «la creazione di un nuovo sistema monetario internazionale basato su una valuta di riserva internazionale senza legami con alcuna nazione (ndr.: il riferimento al dollaro è evidente) e in grado di assicurare una stabilità di lungo termine». Non ne puoi piu' della Borsa? E' un sbaglio, perche' qualcuno guadagna sempre. Prova ad abbonarti a INSIDER: costa meno di 1 euro al giorno. Clicca sul link INSIDER Queste due prese di posizioni esprimono identiche preoccupazioni. La differenza sta nel fatto che il leader ceco pensa agli enormi guai prossimi venturi, mentre Pechino pensa all’assetto del mondo dopo i disastri che provocherà questa crisi e invoca quindi una nuova Bretton Woods, dicendo sostanzialmente a Washington: non pensate che tutto ritornerà come prima e che gli Stati Uniti potranno contare ancora sui vantaggi dati dal ruolo di moneta internazionale del dollaro. Il presidente di turno europeo ha completamente ragione a sostenere che le politiche seguite dall’amministrazione Obama e dalla banca centrale americana porteranno alla rovina. Gli Stati Uniti stanno infatti operando il trasferimento allo Stato delle colossali perdite nascoste nel sistema finanziario. Questo è ad esempio il senso del piano salvabanche presentato lunedì scorso, grazie al quale viene affidato proprio agli Hedge Fund, tra i principali responsabili della crisi, il compito di acquistare grazie a linee di credito garantite dallo Stato i titoli tossici e i prestiti in sofferenza delle banche. Questo è pure il senso delle diverse operazioni da migliaia di miliardi di dollari lanciate dalla banca centrale americana. Tali operazioni vengono finanziate o attraverso l’ampliamento del disavanzo statale (quest’anno il deficit federale americano supererà il 12% del PIL) o attraverso la stampa di nuovi dollari da parte della Federal Reserve (si prevede che la base monetaria che è già raddoppiata, raddoppierà un’altra volta entro la fine dell’anno). Questi interventi plurimiliardari, avviati a partire dall’agosto del 2007, non hanno né risanato il sistema bancario (per ora ne hanno solo evitato il collasso), né impedito che la crisi finanziaria si trasformasse in una durissima recessione globale. Europei e cinesi in testa stanno ora capendo che l’amministrazione Obama si è piegata ai voleri di Wall Street e che quindi il buco nero nascosto nei bilanci delle banche rischia di risucchiare tutto e tutti. La conseguenza a breve termine di queste politiche è una crisi di fiducia nei titoli con cui gli Stati finanziano il debito pubblico. I segnali premonitori non mancano: l’ultimo in ordine di tempo è venuto dalla Gran Bretagna, dove per la prima volta da sette anni a questa parte è fallita un’asta di titoli pubblici, nonostante la decisione della Banca d’Inghilterra di acquistarne per più di 100 miliardi di euro. La crisi del debito pubblico è destinata a provocare un’ulteriore escalation degli interventi delle banche centrali. Queste ultime sarebbero chiamate a comprarne in grandi quantità e a stampare ulteriore moneta. Con quali conseguenze? Una forte inflazione, se vi sarà l’interludio di una breve ripresa, oppure in alcuni Paesi (i principali candidati sono Gran Bretagna e Stati Uniti) crisi valutarie ed iperinflazione. Ciò vuol dire per il cittadino un’impressionante distruzione del risparmio privato e di quello pensionistico, ma per l’oligarchia finanziaria uno strumento ideale per distruggere il valore dell’enorme quantità di attività tossiche detenute dalle grandi banche. A questa politica si oppone l’Europa continentale, che - come ha ricordato il presidente di turno dell’UE - è perfettamente consapevole che la strada dell’esplosione dei debiti pubblici e del ricorso alla stampa di nuova moneta porterebbe il mondo alla rovina. Mentre in vista del prossimo vertice del G20 che si terrà a Londra il 2 aprile l’Europa continentale resiste alle richieste americane di moltiplicare gli interventi a sostegno dell’economia, la Cina pensa all’assetto del mondo dopo questa crisi. Pechino è consapevole che perderà gran parte dei 700 miliardi di dollari investiti in titoli del Tesoro americano e lo sta già spiegando alla popolazione cinese. Il capo del Governo Wen Jiabao ha infatti dichiarato: «Abbiamo prestato molto denaro agli Stati Uniti e ora siamo preoccupati per la sicurezza dei nostri investimenti». Il Governo sa pure che l’interruzione di questi acquisti potrebbe avere conseguenze politiche molto pericolose e quindi ha ribadito ufficialmente che «la Cina continuerà ad acquistare i titoli di Stato americani». La disponibilità cinese ha però un prezzo e questo prezzo è molto alto soprattutto per gli Stati Uniti. Pechino chiede la riforma del sistema monetario internazionale (una nuova Bretton Woods) con l’obiettivo di creare una moneta di scambio sovranazionale al posto del dollaro. Le autorità cinesi pensano che questa funzione possa essere assolta dai Diritti speciali di prelievo del Fondo Monetario Internazionale. La delegazione cinese giocherà questa carta già il prossimo 2 aprile a Londra, quando per aderire alle richieste americane ed europee di ricapitalizzare l’FMI, operazione necessaria per aiutare i Paesi emergenti in difficoltà, in primis quelli dell’Europa dell’Est, chiederà in cambio una ridistribuzione delle quote del Fondo, che ne fanno oggi un organismo controllato dai Paesi occidentali. La proposta di creare una valuta sovranazionale corrisponde all’idea presentata nel 1944 a Bretton Woods da John Maynard Keynes, che venne però bocciata dagli Stati Uniti, i quali imposero un sistema imperniato sul dollaro. Essa va al cuore del problema: lattuale crisi è anche una crisi degli Stati Uniti e del dollaro e non può essere superata solo con il cambiamento di alcune regole del sistema finanziario. Occorre invece un nuovo sistema monetario che tenga conto dei mutati rapporti di forza a livello internazionale. L’idea cinese ha raccolto immediatamente il sostegno di Russia ed India, ma si è scontrata con l’opposizione di Washington. È evidente che gli Stati Uniti non vogliono perdere i grandi vantaggi dati dal ruolo di valuta internazionale del dollaro. Pechino ha comunque detto in modo chiaro agli americani che i rapporti di forza mondiali sono cambiati e che gli Stati Uniti non possono pensare di uscire da questa crisi, preservando il primato del dollaro e quindi anche il loro primato politico. Insomma, la Cina ha preannunciato quale sarà il prezzo politico che gli Stati Uniti dovranno pagare per questa crisi. Copyright © Corriere del Ticino. All rights reserved

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Sbarca in Europa la nuova America (sezione: crisi)

( da "Giornale di Brescia" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Edizione: 30/03/2009 testata: Giornale di Brescia sezione:in primo piano Sbarca in Europa la «nuova America» Da domani Obama parteciperà a 3 vertici in 5 giorni: G20 a Londra, Nato a Strasburgo e Usa-Ue a Praga Barack Obama sale su uno degli elicotteri presidenziali WASHINGTON La «Nuova America» di Barack Obama sbarca domani in Europa per affrontare il primo test internazionale del nuovo inquilino della Casa Bianca. Con tre vertici in cinque giorni - conferenza G20 a Londra, riunione Nato a Strasburgo e vertice Usa-Ue a Praga -, con incontri con oltre 40 leader mondiali, con una raffica di bilaterali (compresi i primi faccia a faccia con i presidenti di Russia e Cina), con due discorsi importanti sui rapporti transatlantici (in Francia) e sulla proliferazione nucleare (nella Repubblica Ceca), con una sosta finale in Turchia l'agenda del primo viaggio Oltreoceano di Barack Obama appare straordinariamente ambiziosa. Ma alla Casa Bianca non si nasconde il timore che la stessa Europa che aveva riservato un anno fa accoglienze da rockstar al candidato alla presidenza Usa possa dare questa volta un benvenuto meno entusiasta al nuovo inquilino dello Studio Ovale. Alle proteste già previste a Londra e Strasburgo contro l'inasprimento Usa della guerra in Afghanistan, si accompagneranno le perplessità dei leader europei sollecitati da Obama ad accogliere i detenuti di Guantanamo, a imitare la ricetta Usa di poderosi pacchetti di stimolo, ad aumentare il contributo (militare e civile) alle operazioni in Afghanistan. Ripristinare il prestigio Usa Scopo dichiarato della visita di Obama, che in otto giorni toccherà cinque Paesi, è quello di cominciare «a ripristinare il prestigio dell'America nel mondo» gravemente scosso durante gli otto anni di amministrazione Bush, fanno sapere i funzionari della Casa Bianca. Tanto per cominciare, Obama avrà un atteggiamento diverso: è pronto a considerare le opinioni e le idee dei suoi interlocutori e intende «guidare con l'esempio», soprattutto per le iniziative per fronteggiare la crisi economica. Inoltre Obama ha già corretto, in dieci settimane, molte delle politiche di Bush bersaglio delle critiche degli altri Paesi: ha ordinato la chiusura di Guantanamo, ha annunciato il calendario del ritiro delle truppe americane in Iraq, ha sposato la causa della lotta al cambiamento del clima, ha teso la mano all'Iran, ha annunciato una nuova strategia per l'Afghanistan ed il Pakistan. Ma la Nuova America, nell'atteggiamento e nella linea politica, che Obama presenta all'Europa è anche un'America gravemente indebolita dalla crisi finanziaria. È una crisi che ha provocato un ripensamento del «modello americano» finora presentato come il migliore con la sua enfasi sulla libertà dei mercati e sulla deregulation (il fattore all'origine della crisi). È una situazione che indebolisce la posizione di Obama in vista del G20 di Londra. L'enfasi degli Usa sulla necessità di varare massicci pacchetti di stimolo nazionali per far ripartire l'economia non è condivisa da molti Paesi europei e la Casa Bianca ha già cominciato a mettere le mani avanti: non ci saranno richieste specifiche a Londra da parte americana su questo fronte. Così come al vertice Nato, Obama non chiederà direttamente un aumento di militari in Afghanistan ai Paesi alleati (puntando piuttosto sull'addestramento e sulla ricostruzione civile). Un atteggiamento che rivela come Obama abbia già imparato una importante lezione di politica internazionale: mai chiedere ciò che non ha alcuna probabilità di essere concesso. L'Italia: sì al clima nel G8 Intanto l'Italia, presidente di turno del G8, accoglie la proposta di Obama di organizzare un forum sull'energia e sui cambiamenti climatici a margine del vertice che si terrà a luglio in Sardegna. «Abbiamo dato il nostro via libera affinché si tenga la riunione durante il G8 alla Maddalena», ha detto il premier Silvio Berlusconi nel suo intervento al congresso del Pdl in un passaggio sull'ambiente. Ieri era trapelato che l'inquilino della Casa Bianca aveva inviato una lettera a Berlusconi in cui si chiede l'aiuto dell'Italia per riattivare il Major economies Forum sull'energia ed i cambiamenti climatici. Ed ieri è arrivata la risposta del Governo.

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di Piermaurizio Di Rienzo Ristoranti milanesi sempre meno affo... (sezione: crisi)

( da "Leggo" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

di Piermaurizio Di Rienzo Ristoranti milanesi sempre meno affollati. Tra le prime spese che i consumatori stanno sforbiciando in tempi di crisi c'è quella relativa alle cene fuori casa. A certificare quella che in molti locali è sensazione più che diffusa ci pensano le cifre fornite dalla Fipe, la Federazione italiana dei pubblici esercizi. Secondo l'associazione di categoria, dall'inizio dell'anno i fatturati dei ristoranti milanesi sono calati del 18,4% rispetto allo stesso periodo del 2008. E per fine marzo si stima una diminuzione media del 23,6%. Una crisi che colpisce a macchia di leopardo, senza troppe distinzioni di prezzo. Soffrono soprattutto le tavole fuori dalla Cerchia dei Navigli, ma ci sono avvisaglie negative anche per i locali del centro storico, perfino tra gli stellati. I milanesi sembrano rimanere lontani dai super ristoranti, ma non si lanciano più tanto nemmeno nelle pizzerie, dove l'ordinazione standard rimane quella minima: margherita e birra media. Le cause non sono solo genericamente riconducibili alla crisi finanziaria internazionale. Esistono, infatti, alcuni fattori, tutti milanesi: dalla scarsa attrattività delle zone più periferiche, al calo dei turisti, dovuto anche al ridimensionamento di Malpensa. In base alle cifre fornite dall'Unione del Commercio di Milano, le prenotazioni alberghiere raccolte nei dodici mesi dello scorso anno al "welcome desk" dell'aeroporto di Malpensa sono scese del 72% rispetto al 2007. E i turisti stranieri che nel secondo semestre del 2008 hanno soggiornato negli alberghi milanesi sono stati il 6,5%.

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dal forum sociale in brasile alla conferenza in via matteotti (sezione: crisi)

( da "Tirreno, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Pagina 2 - Viareggio Dal forum sociale in Brasile alla conferenza in via Matteotti VIAREGGIO. Il presidente di "Progetto Sviluppo Cgil-ong", Renzo Concezione, ha preso parte al Forum sociale Mondiale di Belém in Brasile. Da Belém è emersa la nuova realtà dell'America Latina: i grandi leader Lula (Brasile), Chavez (Venezuela), Morales (Bolivia), Kugo (Paraguay) e Correa (Equador) si sono incontrati di fronte a qualcosa come diecimila persone per dire la loro sulla sfida della crisi finanziaria in atto nel mondo. Da quell'esperienza nasce la conferenza-dibattito che è stata organizzata questa sera a Viareggio dalle Cooperative "Giacomo Matteotti" e "Indipendenza 1973" e che ha come relatore Renzo Concezione. Appuntamento alle 21 nella sala Giannessi, via Matteotti 180.

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l'ocse: dal 2010 disoccupato il 10% (sezione: crisi)

( da "Messaggero Veneto, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

A rischio povertà oltre 200 milioni di lavoratori L'Ocse: dal 2010 disoccupato il 10% Il ministro Sacconi: l'Italia messa meglio, cauti con le previsioni I SINDACATI IL VERTICE La denuncia delle organizzazioni internazionali al G8 che si è aperto a Roma Un'agenzia dell'Onu: entro l'anno 40 milioni di senza lavoro in più ROMA. «Dal 2010 il tasso di disoccupazione potrebbe essere a doppia cifra in tutti i Paesi del G8 con l'unica eccezione del Giappone, così come nell'area Ocse». Il documento di allarme sulla disoccupazione stilato dall'Ocse è stato presentato sul tavolo di riunione dei ministri del G8 dedicato al lavoro in programma fino a domani a Roma. Cifre preoccupanti quelle dell'Organizzazione così come l'allerta che ai governi dei Paesi guida del mondo viene dai sindacati mondiali: «Duecento milioni di lavoratori sono a rischio povertà», avvisano i rappresentanti dei lavoratori. Sacconi: l'Italia è messa meglio. Il ministro del Lavoro minimizza, («Andrei cauto con le previsioni, chi le fa spesso poi le deve smentire») e comunque sembra ottimista: «Penso che in Italia, come in Europa, per ora è più lenta la perdita di posti di lavoro rispetto agli Usa». Un «fatto positivo», secondo Sacconi, che non si è voluto sbilanciare a fornire valutazioni sulle non rosee previsioni dell'Ocse, osservando tuttavia come nel contesto attuale in cui si sta vivendo una crisi di fiducia, sarebbe «importante che le organizzazioni internazionali si muovessero in modo molto cauto nel fare previsioni». Sarebbe inoltre utile se concentrassero la tempistica sulle date di pubblicazione delle loro stime, per evitare un continuo accumularsi di cifre che creano allarmi. Sindacati in allarme. Anche dai sindacati arrivano cifre molto preoccupanti. Oltre 200 milioni di lavoratori potrebbero essere spinti in condizioni di povertà estrema, in particolare nei Paesi in via di sviluppo ed emergenti in cui non esistono ammortizzatori sociali, avverte il sindacato mondiale delle Global Unions, che presenta in occasione del G8 del lavoro un documento ai ministri del Welfare globali. Secondo le Unions, il numero dei lavoratori poveri potrebbe raggiungere la cifra di 1,4 miliardi. Peggio che nel 1929. Non è migliore il quadro della situazione fornito dall'Ilo, l'agenzia Onu che si occupa di lavoro: a crisi economica mondiale rischia di cancellare ben 40 milioni di posti di lavoro in tutto il pianeta entro la fine di quest'anno. E questo mentre già «nel 2008 il numero di disoccupati mondiale è aumentato di 11 milioni, dopo quattro anni consecutivi di calo». L'ente dell'Onu avverte che l'economia reale è stata «significativamente colpita dalla crisi finanziaria, e le prospettive sono le peggiori dai tempi della Depressione sdel 1929».

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La recessione nel mondo e la partita tra Cina e Usa (sezione: crisi)

( da "Bresciaoggi(Abbonati)" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

IL COMMENTO La recessione nel mondo e la partita tra Cina e Usa Carlo Pelanda Il G20 - cioè il gruppo di Stati che forma la stragrande maggioranza del Pil mondiale - si riunirà a Londra il prossimo 2 aprile. La scelta della città è un po' sfortunata perché evoca un analogo summit a 66 nazioni lì tenutosi nel 1933 con lo stesso scopo di trovare una soluzione internazionale, e non tante di tipo nazionalista, alla depressione globale di allora. Il summit fallì per l'eccesso di interessi nazionali divergenti. Probabilmente quello del 2009 non fallirà perché tutti i governi hanno interesse a lanciare messaggi di ottimismo e di collaborazione. Ma certamente, fuori dalla retorica dei comunicati, non produrrà risultati significativi in termini di coordinamento globale. Tuttavia, potrà limitare le reazioni protezionistiche alla crisi attuate dalle singoli nazioni. Va ricordato, infatti, che la Grande depressione degli Anni '30 non fu causata dal crollo borsistico del 1929, ma dal tipo di reazione: restrizione della liquidità invece che sua espansione, aumento delle tasse (in America) invece che riduzione e, soprattutto, barriere protezionistiche al commercio internazionale che lo ridussero ai minimi facendo collassare le esportazioni di tutti. Il massimo fattibile dal G20 sarà il ridurre questo pericolo. Ma dove dobbiamo guardare, allora, per capire chi sta producendo soluzioni attive? Dobbiamo osservare il G2 sino - americano. Il mercato globale non è rotondo, ma piramidale. Al vertice c'è l'America che regge con la sua capacità di importazione le esportazioni da tutte le economie nazionali, in particolare di quella cinese. Il modello di sviluppo cinese dipende dall'alto volume di esportazioni. Per questo Pechino reimpiega i dollari guadagnati vendendo beni commerciali per finanziare il debito americano in modo che l'economia statunitense possa restare in continua e forte crescita. Tale sistema economico binario, che costituisce il centro economico del pianeta, è stato in vigore dalla metà degli anni '90 fino a pochi mesi fa. È la vera causa sistemica (indiretta) della crisi finanziaria in quanto la pompa di capitale cinese ha spinto le operazioni a debito in America e globalmente oltre qualsiasi limite di sostenibilità.2

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Recessione nel mondo, la partita tra Cina e Usa (sezione: crisi)

( da "Arena, L'" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Lunedì 30 Marzo 2009 PRIMAPAGINA Pagina 1 L'EDITORIALE Recessione nel mondo, la partita tra Cina e Usa Carlo Pelanda Il G20 - cioè il gruppo di Stati che forma la stragrande maggioranza del Pil mondiale - si riunirà a Londra il prossimo 2 aprile. La scelta della città è un po' sfortunata perché evoca un analogo summit a 66 nazioni lì tenutosi nel 1933 con lo stesso scopo di trovare una soluzione internazionale, e non tante di tipo nazionalista, alla depressione globale di allora. Il summit fallì per l'eccesso di interessi nazionali divergenti. Probabilmente quello del 2009 non fallirà perché tutti i governi hanno interesse a lanciare messaggi di ottimismo e di collaborazione. Ma certamente, fuori dalla retorica dei comunicati, non produrrà risultati significativi in termini di coordinamento globale. Tuttavia, potrà limitare le reazioni protezionistiche alla crisi attuate dalle singoli nazioni. Va ricordato, infatti, che la Grande depressione degli Anni '30 non fu causata dal crollo borsistico del 1929, ma dal tipo di reazione: restrizione della liquidità invece che sua espansione, aumento delle tasse (in America) invece che riduzione e, soprattutto, barriere protezionistiche al commercio internazionale che lo ridussero ai minimi facendo collassare le esportazioni di tutti. Il massimo fattibile dal G20 sarà il ridurre questo pericolo. Ma dove dobbiamo guardare, allora, per capire chi sta producendo soluzioni attive? Dobbiamo osservare il G2 sino - americano. Il mercato globale non è rotondo, ma piramidale. Al vertice c'è l'America che regge con la sua capacità di importazione le esportazioni da tutte le economie nazionali, in particolare di quella cinese. Il modello di sviluppo cinese dipende dall'alto volume di esportazioni. Per questo Pechino reimpiega i dollari guadagnati vendendo beni commerciali per finanziare il debito americano in modo che l'economia statunitense possa restare in continua e forte crescita. Tale sistema economico binario, che costituisce il centro economico del pianeta, è stato in vigore dalla metà degli anni '90 fino a pochi mesi fa. È la vera causa sistemica (indiretta) della crisi finanziaria in quanto la pompa di capitale cinese ha spinto le operazioni a debito in America e globalmente oltre qualsiasi limite di sostenibilità.2  

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obama alla conquista dell'europa (sezione: crisi)

( da "Nuova Sardegna, La" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

G20 a Londra, incontri Nato e Ue. Italia, ok al forum sul clima Obama alla conquista dell'Europa Agenda ambiziosa ma molti dubbi sui risultati del presidente Usa WASHINGTON. La "Nuova America" di Barack Obama sbarca in Europa per affrontare il primo test internazionale. Con tre vertici nel giro di cinque giorni - conferenza G20 a Londra, riunione Nato a Strasburgo e vertice Usa-Ue a Praga -, con incontri con oltre 40 leader mondiali, con una raffica di bilaterali (compresi i primi faccia a faccia con i presidenti di Russia e Cina), con due discorsi importanti sui rapporti transatlantici (in Francia) e sulla proliferazione nucleare (nella Repubblica Ceca), l'agenda del primo viaggio oltreoceano di Obama appare molto ambiziosa. Ma alla Casa Bianca non si nasconde il timore che la stessa Europa che aveva riservato un anno fa accoglienze da rockstar al carismatico candidato alla presidenza Usa possa dare questa volta un benvenuto meno entusiasta al nuovo inquilino dello Studio Ovale. Alle proteste già previste a Londra e Strasburgo dei pacifisti contrari all'inasprimento Usa della guerra in Afghanistan, si accompagneranno le perplessità dei leader europei sollecitati da Obama ad accogliere i detenuti di Guantanamo, a imitare la ricetta Usa di poderosi pacchetti di stimolo, ad aumentare il contributo (militare e civile) alle operazioni in Afghanistan. Scopo dichiarato della visita di Obama, che in otto giorni toccherà cinque Paesi, è quello di cominciare «a ripristinare il prestigio dell'America nel mondo» gravemente scosso durante gli otto anni di amministrazione Bush, fanno sapere i funzionari della Casa Bianca. Tanto per cominciare, Obama avrà un atteggiamento diverso: è pronto ad ascoltare e a considerare le opinioni e le idee dei suoi interlocutori e intende «guidare con l'esempio», soprattutto per quanto riguarda le iniziative per fronteggiare la crisi economica. Inoltre Barack Obama ha già corretto, in poco più di due mesi di presidenza, molte delle politiche di George W. Bush che erano il bersaglio delle critiche degli altri Paesi: ha ordinato la chiusura di Guantanamo, ha annunciato il calendario del ritiro delle truppe americane in Iraq, ha sposato la causa della lotta al cambiamento del clima, ha teso la mano all'Iran, ha annunciato una nuova strategia per l'Afghanistan e il Pakistan. Ma la "Nuova America", nell'atteggiamento e nella linea politica, che il presidente Obama presenta all'Europa in questo suo primo viaggio oltreoceano è anche un'America gravemente indebolita dalla crisi finanziaria. «Sono tempi difficili: c'è rabbia nel mondo verso l'America ritenuta responsabile di essere l'origine di questa crisi», ammette il senatore democratico John Kerry. E' una crisi che ha provocato un ripensamento del modello americano finora presentato come il migliore esistente con la sua enfasi sulla libertà dei mercati e sulla deregulation (cioè il fattore all'origine della crisi). Intanto l'Italia, presidente di turno del G8, ha accolto la proposta del presidente americano di organizzare un forum sull'energia e sui cambiamenti climatici a margine del vertice che si terrà a luglio in Sardegna. «Abbiamo dato il nostro via libera affinchè si tenga la riunione durante il G8 alla Maddalena», ha detto il premier Silvio Berlusconi nel suo intervento al congresso del Pdl in un passaggio sull'ambiente. Ieri era trapelato che l'inquilino della Casa Bianca aveva inviato una lettera al premier Silvio Berlusconi nella quale si chiede l'aiuto dell'Italia per riattivare il "Major economies Forum" sull'energia ed i cambiamenti climatici.

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G20 a Londra: ripresa da fine 2010 no al protezionismo (sezione: crisi)

( da "Unita, L'" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

G20 a Londra: ripresa da fine 2010 no al protezionismo I piani di stimolo dei vari paesi, le misure di sostegno alle banche e l'aumento delle risorse del Fondo Monetario hanno l'obiettivo di far tornare l'economia globale a crescere a fine 2010. È quanto si legge nella bozza del documento finale del G20, anticipata dal 'Financial Times'. Secondo il documento, il processo di espansione fiscale in atto farà aumentare la produzione globale del 2% e creerà oltre 20 milioni di posti di lavoro. Le venti maggiori economie del mondo, che si riuniranno al Londra il 2 aprile, confermano poi il loro impegno a contrastare il protezionismo. ANTICIPAZIONE

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Obama l'europeo si gioca tutto in una settimana (sezione: crisi)

( da "Giornale.it, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

n. 13 del 2009-03-30 pagina 16 Obama l'europeo si gioca tutto in una settimana di Marcello Foa Il presidente americano sbarca domani nel Vecchio Continente. Affronterà G20, vertici con la Nato e la Ue, i primi faccia a faccia con Russia e Cina. Ma le premesse non sembrano incoraggianti: su crisi economica e Afghanistan rischia di tornare a mani vuote Quando arrivò in Europa nel luglio scorso, Barack Obama venne accolto da una folla oceanica a Berlino, mentre i leader dei grandi Paesi sgomitavano per farsi ritrarre al suo fianco. Era l'uomo della speranza, della fiducia, di un'America che, nonostante la presidenza Bush, era ancora considerata la potenza di riferimento. Ma Wall Street non era ancora crollata. Domani Obama tornerà in Europa con un programma molto intenso: sbarcherà a Londra per il G20 e per l'incontro con il presidente russo Medvedev, giovedì sarà a Strasburgo al vertice della Nato e al summit con la Merkel e Sarkozy, venerdì andrà a Praga dove è in programma la riunione euro-americana, sabato effettuerà la prima visita in un grande Paese musulmano, ovvero la Turchia. La sua popolarità è ancora altissima e tutti i leader, non solo europei, lo accoglieranno festosi. Il successo di immagine è assicurato e sarà amplificato da un incontro a Praga con i giovani della Repubblica ceca e in collegamento video con i giovani di tutto il mondo. Eppure politicamente il viaggio di Obama rischia di passare alla storia come uno dei più grandi insuccessi della diplomazia o, più probabilmente, come il primo di un'America a cui il mondo non riconosce più lo status di superpotenza. Un'America che, svanita l'arroganza dei neoconservatori, «viene ad ascoltare», come ha riconosciuto il portavoce presidenziale Robert Gibbs e che non potendo più di dar lezioni conta «di continuare a guidare attraverso l'esempio». Un'America contrita, umile, quasi supplicante, che dà l'impressione di essere disposta a far la pace con chiunque in cambio del riconoscimento della sua importanza. Il nodo è rappresentato dalla crisi finanziaria. Europa, Cina e Russia non hanno ormai dubbi: la responsabilità della crisi mondiale è degli Stati Uniti e di un modello economico che, attraverso la globalizzazione, ha contagiato il mondo, liberando da ogni controllo banche e gruppi finanziari, che hanno assunto un potere enorme, spropositato. E ora devono essere gli Usa a uscire dai guai. Da soli. Il messaggio più forte che verosimilmente emergerà da questo intenso viaggio di Obama è proprio questo. L'Europa ha deciso di non seguire l'America sulla via del rilancio economico, perlomeno non secondo le modalità statunitensi. Obama, in circa due mesi, ha approvato misure, che, inclusi i salvataggi delle banche e delle industria in difficoltà, toccheranno l'astronomica cifra di 4500 miliardi di dollari, pari quasi al 30% del Pil. E per settimane l'amministrazione Obama, con il martellante sostegno della stampa, ha tentato di convincere l'Unione europea ad uniformarsi agli Usa. Ma la cancelliera tedesca Merkel, spalleggiata da Sarkozy, ha tenuto duro e ha vinto. Sabato i consiglieri della Casa Bianca hanno annunciato che Obama non insisterà con i leader dei venti Paesi più importanti del pianeta sulla necessità di varare la prima, grande, coordinata manovra mondiale. La bozza della risoluzione, trapelata su un giornale tedesco, esprimerà un auspicio generico, senza alcun vincolo. Come dire: ognuno faccia da sé. Anche sull'altro dossier importante, l'Afghanistan, Obama tornerà a Washington, quasi certamente, a mani vuote. Il copione è identico. Un paio di mesi fa il presidente Usa ha deciso una nuova offensiva contro i talebani, che comporta l'invio di altri 30mila marines, e per settimane ha sollecitato gli alleati europei a fare altrettanto. Un mese fa ha inviato a Bruxelles il suo vice Joe Biden che, in un summit della Nato, ha usato toni assai bruschi per convincere i Paesi «riottosi». Invano: l'opinione pubblica europea non accetta di mandare altre truppe e, in tempi di crisi, sono pochi i governi disposti a sfidare le piazze. La tendenza, semmai, è al ritiro da Kabul. Ovunque Obama si volti, c'è un problema. Vedrà Medvedev, ma il disgelo con la Russia rischia di essere lento, finché non verrà risolto il problema dello scudo spaziale. Neanche il presidente russo gli darà conforto, perché dire «niet» o «no» o «nein» agli Usa non è più un tabù. http://blog.ilgiornale.it/foa © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

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Obama in Europa, tre super verticiCrisi Gm, si dimette l'ad Wagoner (sezione: crisi)

( da "Secolo XIX, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Obama in Europa, tre super verticiCrisi Gm, si dimette l'ad Wagoner presenterà la "nuova america" Tre summit in 5 giorni. Già previste proteste. Dietro il gesto del manager della casa automobilistica le pressioni del Presidente 30/03/2009 WASHINGTON. La "nuova America" di Barack Obama sbarca martedì in Europa per affrontare il primo test internazionale del nuovo inquilino della Casa Bianca. In agenda non solo la conferenza al G20, la riunione Nato a Strasburgo e il vertice Usa-Ue a Praga -, ma anche la necessità di ricostruire l'immagine appannata degli Stati Uniti. Tutto questo mentre a Detroit Rick Wagoner, alla guida di una delle industrie-simbolo della crisi Usa, la General Motors, rassegna le dimissioni: rientrerebbe nell'accordo per la concessione di nuovi aiuti pubblici in favore della casa automobilistica. Quindi, si può dire che l'addio di Wagoner è stato commissionato direttamente da Obama. Il quale peraltro auspica che dal G20 di Londra esca «un forte messaggio di unità per affrontare la crisi». Per Obama, contrariamente da quanto chiesto dal Fondo Monetario Internazionale, i leader del mondo non potranno continuare a proporre misure di stimolo fino al 2010. Ma per superare la crisi per l'inquilino della Casa Bianca c'è bisogno di un «approccio complessivo» fatto sia di «misure di stimolo» che di «nuove regole» per stabilizzare i mercati e anche per «evitare che simili problemi non si ripetano più». Lo scopo dichiarato della visita di Obama, che in otto giorni toccherà cinque Paesi, è proprio quello di cominciare «a ripristinare il prestigio dell'America nel mondo» gravemente scosso durante l'amministrazione Bush, fanno sapere i funzionari della Casa Bianca. Tanto per cominciare, Obama avrà un atteggiamento diverso: è pronto ad ascoltare e a considerare le opinioni e le idee dei suoi interlocutori e intende guidare con l'esempio, soprattutto per quanto riguarda le iniziative per fronteggiare la crisi economica. Inoltre Obama ha già corretto, in poco più di due mesi di presidenza, molte delle politiche di Bush che erano il bersaglio delle critiche degli altri Paesi: ha ordinato la chiusura di Guantanamo, ha annunciato il calendario del ritiro delle truppe americane in Iraq, ha sposato la causa della lotta al cambiamento del clima, ha teso la mano all'Iran, ha annunciato una nuova strategia per l'Afghanistan ed il Pakistan. Ma la "nuova America", nell'atteggiamento e nella linea politica, che il presidente Obama presenta all'Europa in questo suo primo viaggio oltreoceano è anche un'America gravemente indebolita dalla crisi finanziaria. «Sono tempi difficili: c'è rabbia nel mondo verso l'America ritenuta responsabile di essere l'origine di questa crisi», ammette il senatore democratico John Kerry. È una crisi che ha provocato un ripensamento del "modello americano" finora presentato come il migliore esistente con la sua enfasi sulla libertà dei mercati e sulla deregulation (cioè il fattore all'origine della crisi). «Sono finiti i tempi in cui gli Stati Uniti potevano dare lezioni agli altri su come gestire le proprie economie», osserva il New York Times. Una situazione che indebolisce la posizione di Obama in vista del G20 di Londra. L'enfasi degli Usa sulla necessità di varare massicci pacchetti di stimolo nazionali per far ripartire l'economia non è condivisa da molti Paesi europei (a Praga è stata definita addirittura "la via per l'inferno") e la Casa Bianca ha già cominciato a mettere le mani avanti: non ci saranno richieste specifiche a Londra da parte americana su questo fronte. Così come al vertice Nato di Strasburgo e Kehl, Obama non chiederà direttamente un aumento di forze militari in Afghanistan ai Paesi alleati (puntando ai contributi sull'addestramento e sulla ricostruzione civile). Un atteggiamento pragmatico che rivela come Obama abbia già imparato un'importante lezione di politica internazionale: mai chiedere ciò che non ha alcuna probabilità di essere concesso. 30/03/2009

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L'Ocse: la disoccupazioneesploderà entro il 2010 (sezione: crisi)

( da "Secolo XIX, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

L'Ocse: la disoccupazioneesploderà entro il 2010 il g8 di roma Senza lavoro, l'indice balzerà oltre il 10%. Sacconi: più cautela sui numeri Roma. Disoccupazione a due cifre per gli otto Grandi e una ripresa lenta nella prima metà del 2010. La previsione a tinte foschi è dell'Ocse, e fa infuriare il ministro del Welfare Maurizio Sacconi che invita alla «cautela» le organizzazioni internazionali. Anche i sindacati sfoderano numeri preoccupanti al tavolo del G8 del lavoro che discuterà fino a martedì dei danni sociali che la recessione sta provocando, mentre l'esercito dei senza lavoro, in Italia e nel mondo, cresce con il passare dei mesi. Entro il 2010, il tasso di disoccupazione nei Paesi del G8 (escluso il Giappone) potrebbe toccare il 10% e oltre e quindi il numero di disoccupati arriverà a un livello «addirittura maggiore rispetto al decennio 1970-1980», quando l'economia internazionale dovette fare i conti con due choc petroliferi. Ecco perché l'Ocse chiede ai governanti del G8 di intervenire «velocemente e in modo efficace per evitare che la crisi finanziaria si trasformi in una crisi sociale» senza precedenti. Inoltre, nei 30 paesi dell'area Ocse la ripresa economica si avvierà«solo nella prima metà del 2010», e sarà«una ripresa smorzata» e un andamento generale dell'economia che resterà«fiacco». «Le previsioni - recita il paper diffuso ieri a Roma - indicheranno un ulteriore declino dell'attività economica nel corso del 2009 nell'area dell'Ocse, con una ripresa piuttosto smorzata che emergerà soltanto nella prima metà del 2010. Anche questa smorzata ripresa - avverte l'Ocse - poggia sul presupposto che per la fine del 2009 si siano dissipate le tensioni dei mercati finanziari». Il ministro del Welfare Maurizio Sacconi sembra però voler respingere le "profezie di sventura": «In una fase come questa, caratterizzata dalla crisi di fiducia - ha detto - è importante che le organizzazioni internazionali siano caute nelle loro previsioni». Ma anche i sindacati, che partecipano alla tre giorni del vertice, hanno portato le loro cifre, che completano un quadro già fosco e gettano ombre lunghe anche sulla luce che qualcuno vede in fondo al tunnel della crisi. Il numero dei disoccupati crescerà, infatti, di 50 milioni nel corso del 2009 dopo che nel 2008 la crisi ha lasciato senza lavoro 11 milioni di persone in tutto il mondo. I più esposti risultano soprattutto le donne, gli immigrati e i giovani. Ma i sindacati temono che, anche quando finirà la crisi, la trincea dei senza lavoro continuerà a rimanere sotto tiro: «Il rischio più grande - è scritto nel documento preparato appositamente per il G8 - è quello di una prolungata recessione del mercato del lavoro. La lezione delle passate crisi finanziarie insegna che il mercato del lavoro tende riprendersi solo quattro o cinque anni dopo la ripresa economica». In questo contesto, 200 milioni di lavoratori nel mondo rischiano di essere spinti in condizioni di povertà. Il messaggio dei sindacati è che non basterà salvare le banche e aiutare le imprese perché l'occupazione resterà, anche con la ripresa, un'emergenza sociale prolungata. È arrivato il momento di pensare all'occupazione su cui finora si è registrato, questa è l'accusa dei sindacati internazionali, «un deficit della politica», che ora va colmato. «Finora vi siete occupati delle banche ma è ora che vi occupiate del lavoro», ha ribadito ieri il leader della Uil, Luigi Angeletti, che ha contribuito alla stesura dell'appello rivolto ai governi del G8. «Una delle cause della crisi - ha detto Angeletti - è stata l'idea di fare soldi con i soldi. Invece, per creare ricchezza bisogna lavorare. Questa è la lezione della crisi». È un'impostazione che trova d'accordo il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, che ieri ha dato il via al cantiere del G8: «Fino ad ora - ha detto il ministro - i governi si sono occupati di banche, mercati e intermediari perché bisognava dare stabilità alla finanza e la credito ma, per evitare il peggio, la condizione prioritaria è avere come riferimento le persone, le politiche sociali di tutela». Insomma, non si esce dalla crisi se non i governi non riusciranno a bloccare l'emorragia di posti di lavoro e a creare nuova occupazione: «Senza sostenibilità e coesione sociale, non c'è stabilità economica», ha spiegato Sacconi. «Ci vogliono misure tempestive, mirate e temporanee per proteggere il reddito, mantenendo il più possibile i rapporti di lavoro», ha sostenuto Sacconi. La cassa integrazione non basta: fra le ricette allo studio del G8 ci sono anche settimana corta e contratti di solidarietà perchéè meglio lavorare meno ma conservare il posto. È la strada imboccata anche dal governo italiano, che investirà 40 milioni di euro sui contratti di solidarietà, stanziandoli con un emendamento al decreto-auto in votazione alla Camera. Michele Lombardi lombardi@ilsecoloxix.it 30/03/2009

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g20: senza protezionismo ripresa nel 2010 (sezione: crisi)

( da "Repubblica, La" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Pagina 4 - Economia G20: senza protezionismo ripresa nel 2010 Pronto il documento finale. Più poteri a Draghi: frenerà i bonus. Duello Londra-Berlino Il vertice DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA - La recessione mondiale finirà entro la fine del 2010, il protezionismo sarà respinto, i paradisi fiscali saranno messi sotto controllo e un´età delle regole e della crescita sostenibile rimpiazzerà quella del rischio e dell´avidità. Sono queste le indicazioni che verranno dal summit del G20, in programma giovedì a Londra, secondo la bozza dell´accordo finale, del cui testo si è procurato una copia il Financial Times, anticipandola immediatamente sul suo sito Internet in un articolo datato Roma (forse la «talpa» era lì). L´espansione delle politiche fiscali già in atto, afferma il comunicato, aumenteranno la produzione mondiale di 2 punti percentuali, creando oltre venti milioni di nuovi posti di lavoro. «Siamo determinati a far ripartire la crescita ora, a resistere al protezionismo e a riformare i nostri mercati e le nostre istituzioni per il futuro, siamo determinati a garantire che questa crisi non si ripeta», dichiarano i leader del Gruppo dei 20 nella bozza d´accordo, esprimendo il loro appoggio a «un´economia mondiale aperta, fondata su principi di mercato, su controlli efficaci e su istituzioni globali forti», per conseguire «una globalizzazione sostenibile con crescente prosperità per tutti». Il comunicato promette inoltre sanzioni contro i paradisi fiscali e una diversa politica di bonus e retribuzioni per i top manager, che premi «le prestazioni effettive». Il compito è affidato al Financial Stability Forum, guidato dal governatore della Banca d´Italia Mario Draghi, che sarà allargato a tutti i membri del G20, rinominandolo Financial Stability Board e affidandogli la supervisione degli hedge fund. I portavoce del primo ministro Gordon Brown, padrone di casa del summit che inizia di fatto mercoledì sera non commentano lo scoop del quotidiano della City. E non è detto che tutti i giochi siano già fatti. Altre voci che circolano a Londra parlano infatti di tensioni persistenti tra la Gran Bretagna e la Germania, accusando il governo di Angela Merkel di fare resistenza a certi aspetti del piano proposto da Brown. Fonti britanniche accusano i tedeschi di avere passato informazioni confidenziali al settimanale Der Spiegel, secondo le quali il G20 si prepara ad approvare un nuovo pacchetto di aiuti all´economia per un trilione di dollari, soltanto per imbarazzare Downing street, che smentisce seccamente la notizia. Sul summit permangono poi incertezze d´altro tipo, legate alle intenzioni del movimenti dei no global di attaccare mercoledì o giovedì qualche obiettivo spettacolare: come la banca d´Inghilterra, la Borsa, le banche della City, considerate il simbolo di un capitalismo avido e sfruttatore. (e. f.)

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"asse stato-mercato per battere la crisi - enrico franceschini (sezione: crisi)

( da "Repubblica, La" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Pagina 4 - Economia Il capitalismo Le contestazioni "Asse Stato-mercato per battere la crisi Il capitalismo non sarà mai più quello di prima E la crisi finirà per favorire i partiti che proteggono la gente Le proteste sono comprensibili L´opinione pubblica mondiale vuole vedere azioni efficaci ENRICO FRANCESCHINI dal nostro corrispondente LONDRA - «Il summit del G20 deve riuscire a fondere Stato e mercato. Il capitalismo ne uscirà trasformato, non sarà mai più quello di prima. E la crisi finirà per favorire i partiti che proteggono la gente ma respingono il protezionismo, ossia le forze progressiste». Peter Mandelson è stato per un decennio l´ispiratore della "nuova sinistra" occidentale e il braccio destro di Tony Blair, prima di andare a fare il commissario al Commercio alla Commissione Europea a Bruxelles. Da sei mesi è tornato a Londra, come ministro delle Attività Produttive (e membro della Camera dei Lord), per aiutare il primo ministro Gordon Brown a riguadagnare consensi e vincere le elezioni dell´anno prossimo. Questa settimana sarà uno dei registi del summit del G20. Lord Mandelson, cosa deve accadere affinché il summit sia considerato un successo? «Due cose: il vertice deve porre le basi per ricostruire l´economia globale e deve raggiungere un´intesa a livello internazionale sul fatto che gli unici strumenti con le risorse e il potere per farlo sono i governi. Questa è la chiave da cui ripartire. Poi bisogna respingere le minacce che mettono in pericolo la ricostruzione economica, rifiutando in primo luogo gli appelli al protezionismo. E in generale bisogna lanciare un messaggio che non deluda le aspettative della gente. Tutto ciò, naturalmente, non si può fare in un giorno, ma il summit deve perlomeno stabilire un agenda, fissare la direzione di marcia. Il test per determinare se sarà stato veramente un successo verrà dopo, al momento di verificare se l´agenda è stata mantenuta e se la direzione è quella giusta». Come giudica le manifestazioni di protesta a Londra e altrove? «Sono legittime, comprensibili e direi necessarie. L´opinione pubblica mondiale vuole vedere azioni efficaci e coordinate da parte dei propri leader e dei propri governi. E´ un richiamo che dobbiamo ascoltare». Si parla di nuovi, ingenti pacchetti di infusioni di denaro pubblico a sostegno delle economie in crisi. Ma i contribuenti accetteranno di pagare più tasse per salvare banche ed aziende? «In ballo ci sono non solo aziende e banche, ma ciò che esse rappresentano in concreto: posti di lavoro e case comprate a rate, da molti lavoratori in molti paesi del mondo. Per risolvere la crisi dobbiamo riparare innanzitutto i danni fatti. Ma proprio perché si chiede un sacrificio ai contribuenti occorre che i governi varino misure chiare ed efficienti, perché solo così l´opinione pubblica potrà approvarle». Alle dimostrazioni di piazza di questi giorni risuona lo slogan "tassate i banchieri, fate pagare a loro il prezzo della crisi". Sono i banchieri i veri colpevoli? «Il problema non è il comportamento più o meno scorretto di singoli banchieri: truffe ed errori ci sono sempre stati. Il problema è che la cornice all´interno della quale operano le banche è diventata troppo poco trasparente, troppo complessa e con troppa poca supervisione. Ora abbiamo bisogno di mettere a punto una nuova cornice di regole, e quando l´avremo fatto, le banche avranno bisogno di tempo e spazio per funzionare di nuovo nel modo giusto. La regola principale è che le banche non possono governarsi da sole». Si avverte in giro una gran rabbia, una richiesta di eguaglianza e di giustizia. Dove porterà? Al ritorno dello Stato a danno del libero mercato? «E´ necessario comprendere che non possiamo permetterci il lusso di scegliere tra lo Stato e il mercato: abbiamo bisogno di tutti e due. Con uno solo, non possiamo funzionare bene. E la combinazione di mercati aperti, opportunamente regolati, con uno stato che si batte per programmi di giustizia sociale e di opportunità per tutti, è a mio avviso la combinazione giusta». E che favorisce le forze politiche progressiste... «Quando tutto va bene, è facile spendere, investire, consumare. E´ quando i tempi si fanno difficili che ci vuole coraggio a investire di più. Non sono decisioni facili. Ebbene io credo che le forze progressiste, i governi e i partiti di centro-sinistra, siano nelle condizioni migliori per mostrare questo coraggio, il coraggio necessario per uscire dalla crisi e costruire un mondo nuovo, migliore del precedente». Sulle ali dell´ascesa al potere in Gran Bretagna di Tony Blair, a cui lei diede un fondamentale contributo, i partiti di centro- sinistra conquistarono il governo quasi ovunque in Europa, un decennio fa. Oggi sono quasi ovunque all´opposizione. Pensa che la crisi potrà rafforzarli e riportarli al potere? «La lezione che inevitabilmente molta gente trarrà da questa crisi è che è saggio e sensato affidarsi a governi che regolano l´economia, non a forze che propongono un indiscriminato laissez faire. I partiti progressisti sono meglio posizionati per questo compito. E c´è un altro fattore che li dovrebbe favorire. I partiti di centro-sinistra non sono protezionisti, e il protezionismo è oggi la tentazione più pericolosa: se non riusciremo a respingerla, temo che la recessione diventerà una lunga e grande depressione. Bisogna proteggere la gente, ma non è la stessa cosa che essere protezionisti. Ecco la differenza: i partiti di centro-sinistra proteggono la gente, i partiti di centro-destra proteggono il protezionismo».

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se il virus della crisi si nasconde nelle maxibanche - (segue dalla prima pagina) (sezione: crisi)

( da "Repubblica, La" del 30-03-2009)

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Pagina 13 - Economia SE IL VIRUS della crisi si nasconde nelle maxibanche Non esiste un organo di coordinamento tra la Federal Reserve e la Bce Cinque istituti hanno originato due terzi di tutti i mutui concessi negli Stati Uniti (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) L´iniziale crisi finanziaria si è trasformata in una crisi globale delle banche, indebolite da un livello di capitalizzazione troppo esiguo rispetto ai rischi in portafoglio. Eppure, quello bancario è il settore economico più regolamentato, e con regole uniformi, sancite da un accordo internazionale (Basilea). Quindi, la riforma del sistema finanziario deve partire dall´attuale regolamentazione bancaria. Su una cosa, c´è già il consenso. L´attuale sistema è pro-ciclico: scoraggia l´accumulazione di capitale da parte delle banche quando il valore delle attività sale, e le costringe a ricapitalizzarsi quando i mercati crollano, aggravando il crollo. Si vuole imporre l´opposto: accantonare risorse quando le cose vanno bene, per avere più patrimonio nelle fasi difficili. Un sistema con coefficienti patrimoniali variabili in funzione dell´andamento dei mercati richiede però un´unica entità che li determina (o un coordinamento internazionale), per evitare che diventi un modo per favorire le banche locali. Solo le banche centrali possono farlo, visto che la variazione del patrimonio bancario equivale a una manovra creditizia. Attualmente però non esiste un organo di coordinamento delle banche centrali, e le più importanti (Fed, Bce) non hanno il potere di vigilanza. Inoltre, variare i coefficienti patrimoniali in funzione della dinamica dei prezzi delle attività presuppone che la gestione della politica monetaria tenga in considerazione anche l´andamento dei mercati finanziari: una rivoluzione rispetto allo status quo. Sotto accusa anche le regole che impongono valutazioni contabili prossime ai prezzi di mercato (Mark-to-market, Mtm): dati i vincoli patrimoniali, se il prezzo delle attività scende le banche sono costrette a venderle, accentuando il crollo di quelle poco liquide. Qui si confondono causa ed effetto: la colpa non è del Mtm, ma dei coefficienti patrimoniali fissi; e dell´esistenza di titoli (come quelli "tossici") che sono privi di mercati funzionanti, e hanno quindi prezzi non significativi e manipolabili. Sarebbe molto più logico richiedere che gli strumenti finanziari siano negoziati in mercati organizzati e regolati, e margini di garanzia del 100% se non lo sono. L´ammontare di futures e opzioni scambiati nei mercati organizzati è circa il triplo degli strumenti derivati creati e negoziati direttamente dalle banche, eppure non hanno mai provocato grandi dissesti, o una crisi sistemica. Il Mtm è invece essenziale per la trasparenza e la fiducia: attenuarlo, permetterebbe solo ai banchieri di non ammettere di aver investito male. Il terzo aspetto è il calcolo dei coefficienti patrimoniali. Oggi le banche lo calcolano pesando ogni attività per il suo grado di rischio, sulla base di un rating stimato da loro stesse. Così, troppe banche hanno moltiplicato esponenzialmente la leva, investendo in titoli con rating AAA. Per questo sarebbe necessario un indicatore complessivo di indebitamento, basato sul totale dell´attivo rischioso (senza ponderazioni) e il patrimonio effettivamente accumulato (senza debito mascherato). L´evoluzione finanziaria ha creato molte entità che operano con una leva elevata, pur non essendo banche: assicurazioni, società finanziarie di gruppi industriali, intermediari, private equity, fondi hedge. Se lo scopo della riforma è conoscere e controllare il livello di leva del sistema, l´indicatore complessivo di indebitamento dovrebbe essere esteso anche alle entità non bancarie. Rimane il problema della supervisione a livello globale: regole nazionali servirebbe solo a spostare i capitali altrove. Tuttavia, di per sé la troppa leva non è il principale problema: la vera fonte dell´attuale crisi è la dimensione eccessiva delle istituzioni finanziarie. Dissesti bancari per eccesso di rischio, e crash per troppi debiti, ci sono sempre stati. Ma non hanno mai generato crisi sistemiche perché la dimensione del dissesto permetteva al mercato di trovare una soluzione, eventualmente con l´aiuto dello Stato: Banco di Napoli, Continental Illinois, Barings, il sistema bancario svedese degli anni �80 e quello giapponese nei �90. Oggi, la crisi tocca giganti che operano a 360° (credito, partecipazioni, intermediazione, gestione, derivati, etc.), spesso in conflitto di interessi, con un potere di mercato spropositato: troppo grandi per fallire senza travolgere il mondo. Cinque banche hanno originato due terzi di tutti i mutui americani; le attività di Ubs sono 4 volte il Pil della Svizzera; quelle di Unicredito, l´80% del Pil italiano; sette banche hanno organizzato il 60% delle fusioni e acquisizioni nel mondo. Più che controllare la leva, bisognerebbe smembrare i grandi gruppi e scinderne le diverse attività in società specializzate indipendenti. Ne guadagnerebbero la stabilità del sistema finanziario, ma anche la concorrenza. Si potrebbe farlo ricorrendo alle leggi antitrust, o imponendolo come contropartita per il salvataggio coi soldi pubblici. Ma non è nell´agenda di nessuno. Eppure non sarebbe una novità. Fu questa la soluzione adottata negli Usa dopo la crisi del �29: spaccare i conglomerati dei robber barons e ripudiare la banca universale, per creare concorrenza e stabilità.

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Beirut vietò i subprime e ora è un paradiso finanziario (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)

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Il Sole-24 Ore sezione: PRIMA data: 2009-03-29 - pag: 1 autore: ... LA RIVINCITA DEL LIBANO ... Beirut vietò i subprime e ora è un paradiso finanziario di Roberto Bongiorni C ercano di nascondere la sod-disfazione ma non ci riescono. Per i banchieri di Beirut il 2008, anno della grande crisi finanziaria globale, è stato memorabile. Nel Paese per quasi tre anni sull'orlo della guerra civile, gli istituti di credito hanno registrato performance senza precedenti: i profitti netti sono saliti del 25%, un record. I depositi sono cresciuti del 16%, i prestiti al settore privato del 23%, le riserve valutarie del 60%. Non solo. Se la carenza di liquidità e di fiducia sono lo spauracchio di mezzo mondo, in Libano il problema è piuttosto come gestire in modo oculato l'eccesso di liquidità.Anche il prudente Fondo monetario internazionale elogia il sistema finanziario del Paese dei cedri «molto liquido e non esposto ai titoli tossici». Gran parte del merito è di Riad Salameh, da 15 anni governatore della Banca centrale del Libano e nominato tre volte dalla rivista "Euromoney" migliore banchiere centrale dell'anno. La sua decisione, nel 2004, di vietare alle banche libanesi di acquistare prodotti subprime si è rivelata vincente. Così come le sue politiche ispirate alla prudenza. E il 2009? La crescita dei profitti rallenterà ma resterà comunque significativa. Inchiesta u pagina 9 l'articolo prosegue in altra pagina

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contropelo Rivoluzione liberale? Solo slogan (sezione: crisi)

( da "Eco di Bergamo, L'" del 30-03-2009)

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contropelo Rivoluzione liberale? Solo slogan --> Roba da discorsi: in realtà con questa crisi è passata di moda Lunedì 30 Marzo 2009 GENERALI, pagina 2 e-mail print E adesso? Dobbiamo aspettarci dal neonato Pdl «una rivoluzione liberale, borghese e popolare, moderata e interclassista che colma un vuoto nella storia italiana» come ha detto Silvio Berlusconi aprendo il congresso? È questa la sfida del centrodestra? E soprattutto, siamo sicuri che l'Italia sia pronta per questa «rivoluzione»? Il tema è piuttosto controverso nelle sue premesse e nei suoi intenti. la caduta del secondo muro A ben guardare, nella storia del nostro Paese una rivoluzione liberale c'è già stata ed è quel Risorgimento che l'Italia si appresta a celebrare nel 2011, in occasione dei centocinquant'anni dell'Unità d'Italia. Una rivoluzione certo non popolare e interclassista, come forse avrebbe voluto Garibaldi (o come dichiarava di volere), ma certo liberale e borghese come lo erano i nostri primi padri della patria, le cui statue e le cui targhe riempiono le nostre piazze e le nostre vie, da Cavour a Crispi a Giolitti. Ma il punto è che il mondo attuale, compreso il nostro Paese, ha già emesso il suo verdetto di colpevolezza sul liberalismo e sulla sua declinazione economica, che è il liberismo. Una formula politica, quella del «laissez faire», che aveva una sua ragion d'essere ed era in auge all'inizio dell'avventura berlusconiana, a cinque anni dalla caduta del Muro e del comunismo, nel generale discredito, quando Fukuyama proclamò «la fine della storia», ma che oggi, con la caduta del secondo muro, quello di Wall Street, è stata disconosciuta, a cominciare dal ministro dell'Economia Tremonti. Già nel suo fortunatissimo pamphlet «La paura e la speranza», scritto quando la crisi economica mondiale non era ancora conclamata, Tremonti aveva archiviato anche il liberismo, «il mito dell'economia assoluta dominatrice della nostra esistenza, matrice esclusiva di tutti i saperi e di tutti i valori». Poiché «il mito, a cui soprattutto in Europa tantissimi hanno creduto in questi ultimi anni, ci ha in realtà rubato un pezzo di vita e di storia». La grande depressione statunitense, l'inflazione delle materie prime, la crisi finanziaria, le forti ondate migratorie, i milioni di disoccupati, la caccia alle streghe che si sta facendo contro i manager e i banchieri che hanno liquidato a suon di benefit e stock options, ci dicono che il liberismo non è la risposta, anzi è stata la causa di quello che sta avvenendo sui mercati e nelle fabbriche. Anche in casa nostra. Se nella regione sarda del Sulcis decine di migliaia di lavoratori hanno perso il posto e altre decine di migliaia rischiano di perderlo da qui a poche settimane è perché la privatizzazione degli impianti di estrazione e di produzione dell'alluminio degli anni Novanta li ha consegnati a multinazionali il cui quartier generale è a Mosca, a New York, Zurigo, lontano anni luce dai problemi di quella terra. Non c'è più lo Stato a vigilare sulla sorte dei suoi cittadini-lavoratori, bastano pochi euro a rendere non più competitivo lo stabilimento e a chiuderlo per aprirne uno nuovo in Ungheria o in Cina. l'economia sociale di mercato La nuova formula politica ed economica sembra più legata all'economia sociale di mercato, come voleva Keynes, alla soluzione ibrida del problema, da affrontare di volta in volta, come fa Obama negli Stati Uniti: si tratti di chiudere, di bombardare di dollari i mercati, di assistere i disoccupati con sussidi e assicurazioni sulla malattia, di defiscalizzare, di entrare nel capitale delle imprese e di riconvertirle all'economia verde. Ma il liberalismo e il liberismo (il mercatismo di Tremonti) sembrano proprio aver fatto il loro tempo, in tutto il mondo. È molto più probabile che il governo del Pdl si orienti a politiche di mercato molto più stataliste, anche se pragmatiche, «sociali», confinando la visione della «rivoluzione liberale» a un suggestivo slogan destinato solo alla storia dei discorsi del Cavaliere. Francesco Anfossi 30/03/2009 nascosto-->

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Pragmatica altalena tra Stato e mercato (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 3 autore: La convivenza delle varie anime trova una sintesi nella formula dell'economia sociale alla tedesca Pragmatica altalena tra Stato e mercato u Continua da pagina 1 «Una formula politica – disse Tremonti ai giovani di Forza Italia – di tipo non universale, ma all'opposto, di tipo particolare. Una formula che mira a soluzioni ad hoc,basate sull'equilibrio dinamico tra princìpi diversi e tra di loro potenzialmente opposti». Il nuovo Popolo della Libertà riparte da lì, dalla formula di Tremonti. Rafforzata dagli eventi successivi (la crisi finanziaria)che hanno trasformato la critica al "mercatismo" del ministro in slogan di culto. Con la successiva elaborazione che ha riportato in auge l'economia sociale di mercato della Germania di Konrad Adenauer. Il Pdl non sarà il partito liberale di massa cui i fondatori di Forza Italia erano convinti di poter approdare, come ha spiegato Giuliano Urbani (vedere l'intervista di Fabrizio Forquet sul Sole 24 Ore di giovedì). Anche se Silvio Berlusconi, aprendo il congresso venerdì, ha detto che «la nostra è una rivoluzione liberale, borghese e popolare, moderatae interclassista che colma un vuoto nella storia italiana». «Il Pdl –osserva Gianni De Michelis che è stato a lungo nel centro destra prima di aderire alla Costituente del nuovo partito socialista - è figlio di Berlusconi, della sua lettura della società italiana, con intuizioni spesso molto più valide delle sofisticate analisi della sinistra. I quadri del partito non hanno autonomia politica e non influenzano il progetto. Anche l'economia sociale di mercato, nella versione di Tremonti e di Maurizio Sacconi, è declinata all'interno dei confini del berlusconismo». Ma come si può riassumere la visione, il progetto del Pdl nell'economia? «Visione? Quale visione? –obietta Giorgio La Malfa, che nel piccolo Partito repubblicano avversa la linea di chi vuol confluire nella nuova forza politica –.La visione come si concepiva prima della caduta del Muro di Berlino non esiste più. Non si può dire che Gordon Brown e Barack Obama abbiano una visione. Economia sociale di mercato è un'espressione vuota. Quello di Berlusconi è un modello ibrido, keynesiano: un po' di Stato, un po' di mercato. La versione di Tremonti non gli fornisce una piattaforma. E comunque Berlusconi non lascia a Tremonti lo spazio per diventare l'ideologo nel campo dell'economia ». Più pragmatismo, meno ideologia. è questo l'approccio preferito da Berlusconi «che parte – secondo De Michelis – dalla capacità di leggere i punti di forza e di debolezza dell'Italia.Basta vedere come ha chiuso il problema con la Libia nel momento in cui servivano capitali ed energia: se n'è fregato degli ostacoli che da 30 anni frenavano l'accordo e ha portato a casa il risultato che voleva ». è difficile rintracciare delle radici culturali comuni nel nuovo partito. «Nel Pdl – nota Alberto Mingardi, direttore dell'Istituto Bruno Leoni, un think tank liberista – la militanza si compatta su questioni identitarie, non su quelle di policy. Pertanto è un partito che non sente neanche il bisogno di avere delle radici culturali. La formula dell'economia sociale di mercato è una rinfiocchettatura della socialdemocrazia in salsa di destra». «Nel Pdl – aggiunge Gianfranco Polillo, consigliere economico del capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto – c'è tutto e il contrario di tutto. Ma due sono i punti fermi: la caduta dello statalismo del 1989 e il declino del mercatismo con la crisi del 2008. Lo Stato che fino a pochi mesi fa veniva considerato un Leviatano da abbattere adesso ha di nuovo un ruolo. Da definire, ma ce l'ha». Non tutti però si associano alla demonizzazione del mercato che è seguita alla crisi. «Nella mia visione il mercato non ha fallito – dice per esempio l'economista Mario Baldassarri che entra nel Pdl con Alleanza Nazionale –, semmai ha fallito lo Stato per la sua incapacità di dare regole efficaci. E ora corriamo il rischio di fare altri danni con reazioni protezionistiche. Quindi, per il futuro, dobbiamo puntare ancora sull'economia di mercato, con regole seriee uno Stato che fa rispettare i diritti. Vogliamo chiamarla economia sociale di mercato? Benissimo, purché sia questa. Del resto il Dna del centro-destra dovrebbe essere quello della Destra storica italiana: rigore nella gestione della finanza pubblica e rigore nella vigilanza sul mercato, senza fare affidamento sull'etica degli operatori che badano solo al loro interesse. Insomma, ci vuole uno Stato vero in un mercato vero». Ma Berlusconi è soprattutto un imprenditore politico, un uomo di marketing che sa vendere agli elettori quello che vogliono sentirsi offrire. Sa andare d'accordo con gli imprenditori, crea un asse preferenziale con Cisl e Uil convincendoli a rompere con la Cgil, è il punto di riferimento per i commercianti e per gli artigiani. «Ma proprio per questo – osserva De Michelis –quando deve dimostrare di essere un riformista vero, per esempio sulle pensioni, non ci riesce». Insomma, vince senza cambiare davvero. Il neonato Pdl può accentuare questa tendenza oppure dargli la forza per iniziare una nuova fase. Orazio Carabini STRATEGIE FLESSIBILI Poco spazio all'ideologia, quello di Berlusconi è un modello ibrido: «Soluzioni basate su equilibri dinamici», dice il ministro dell'Economia

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Tetti ai bonus? Demagogia (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 5 autore: «Tetti ai bonus? Demagogia» «Né euforia né sconforto, i segnali del rilancio si devono consolidare» di Franco Locatelli «B isogna tornare al futuro il prima possibile e cioè ai fondamentali dell'economia, alla semplicità e alla solidità delle imprese e a un ruolo sobrio dello Stato». Enrico Cucchiani, 59 anni, presidente di Allianz in Italia e membro del board of management del gruppo assicurativo tedesco, vive e lavora tra Milano e Monaco di Baviera e dà lì guarda all'andamento dalla crisi «senza euforia per i primi segni di risveglio della Borsa ma senza sconforto » per le difficoltà che ci attendono. «L'importante - osserva - è non passare da un fondamentalismo all'altro: nella crisi lo Stato ha una sua parte ma guai a scadere nello statalismo, nel protezionismo o nella demonizzazione del profitto ». Dottor Cucchiani, Lei sta un po' in Italia e un po' in Germania e i suoi incarichi la portano a girare molto nel mondo: dal suo particolare angolo visuale come appare l'evoluzione della crisi? I segnali di risveglio della Borsa sono una svolta o un fuoco di paglia? E' comprensibile che taluni vogliano leggere nei cenni di ripresa della Borsa l'anticipazione dell'uscita dalla crisi e, in effetti, alcuni indicatori mostrano qualche timido segnale di miglioramento. A me pare opportuno non farsi prendere nè da una facile euforia nè dallo sconforto. La risalita dei corsi azionari c'è stata ma, in termini assoluti, è modesta e, in percentuale, appare rilevante solo perchè i prezzi di riferimento erano estremamente bassi. In un grafico di lungo periodo i rialzi recenti sono una gobbetta del tutto irrilevante. Molti sperano nell'effetto Obama: che cosa pensa delle mosse del nuovo presidente americano? L'efficacia degli ultimi provvedimenti americani può essere valutata solo in tempi più lunghi: per ora l'unico effetto tangibile è, per alcuni operatori, la speranza di "far soldi" sugli asset tossici. Ma prima di trarre conclusioni occorre attendere: nelle prossime settimane vedremo i bilanci delle aziende industriali e soprattutto dell'andamento del primo trimestre e questi dati condizioneranno le Borse. Negli Usa, ma non solo, cresce la rabbia verso i manager superpagati che hanno portato le imprese al fallimento: si può davvero dire che sia solo populismo? Bisogna distinguere tra sistemazione del passato e costruzione del futuro. Chi ha sbagliato se ne va e paga: esistono gli strumenti giuridici per chiedere il risarcimento del danno anche ai manager.Ma chi produce risultati positivi e duraturi deve essere adeguatamente ed equamente remunerato. I tetti retributivi sono pura demagogia. Ammetterà però che in molti casi e soprattutto nel mondo anglosassone le retribuzioni di certi manager sono pazzesche. Sono certamente il frutto di un mercato drogato che va corretto, ma se si deve raddrizzare un colosso complesso come Citibank occorre il miglior manager disponibile sul mercato e non quello che si accontenta di 500 mila dollari. E il miglior manager dovrà essere retribuito secondo i parametri di un mercato finalmente equilibrato. Torniamo all'evoluzione della crisi: finora nessuno ha ancora trovato la ricetta per venirne fuori. Che cosa impedisce di riconquistare la fiducia dei mercati e dei consumatori per farripartire l'economia? Le ricette macroeconomiche le lascio agli addetti ai lavori, ai policy makers e agli economisti, anche se finora intravedo ben poche certezze. Mi è chiaro invece quel che si deve evitare: protezionismo, statalismo, assistenzialismo, colpevolizzazione di intere categorie (banche, governi) e demonizzazione del profitto. Così come si deve evitare che il pendolo passi da un fondamentalismo all'altro e dalla deregulation incontrollata ed irresponsabile alla over-regulation e alla over-ingerenza dello Stato. Ognuno deve fare la sua parte, ma non si può scaricare sugli Stati l'intero peso della ristrutturazione del sistema bancario, così come non si può scaricare sulle banche il costo delle aziende de-cotte, inefficienti e sottopatrimonializzate, che per fortuna in Italia sono meno che altrove. E, soprattutto, bisogna capire che la crisi non è uguale per tutti. Lei sta spesso in un Paese, come la Germania, che ha rotto il tabù delle nazionalizzazioni: non la impressiona? In questa crisi l'intervento dello Stato - e non parlo solo della Germania - è certamente parte della soluzione, perchè non è facile individuare altre fonti capaci di apportare i mezzi necessari, anche se non è tollerabile per i cittadini che si socializzino le perdite e si privatizzino i guadagni colossali di pochi.Ma l'intervento dello Stato deve avere caratteristiche di temporaneità e di "estremo rimedio", altrimenti può diventare un problema di non poco rilievo. Però, un conto sono gli interventi di stimolo e un altro conto sono quelli di salvataggio. Verissimo. Per gli interventi di stimolo l'importante è l'armonizzazione internazionale al fine di non creare pericolose distorsioni nei meccanismi di concorrenza. Il tema del salvataggio è più complesso e il primo dilemma riguarda la scelta dei settori in cui intervenire. Secondo Lei quali sono? Secondo me lo Stato può intervenire solo sui settori regolamentati in quanto essenziali per il funzionamento dell'economia e, quindi, in estrema sintesi: banche, assicurazioni, energia, trasporti. E l'auto?In Germania il futuro della Opel è appeso a un filo e negli Usa Gm è a rischio di bancarotta: lo Stato deve intervenire o lasciarle fallire? Al di fuori dei quattro settori che ho indicato trovo inopportuno, anche per l'auto, l'intervento dello Stato, a meno che non sia coordinato a livello internazionale, perchè si rischia di introdurremeccanismi distorsivi della concorrenza a scapito del consumatore. In questa ottica ritengo inefficiente qualsiasi sostegno concesso, ad esempio, a General Motors o alla Opel. Oltre che nel board di Allianz Lei siede nel cda di Unicredit: come uscirà il sistema bancario dalla crisi? Prevedo un sistema bancario caratterizzato da livelli di leverage e di rischio molto più bassi. Le banche saranno più regolamentate, offriranno prodotti meno complessi e si articoleranno su schemi organizzativi più semplici: in buona sostanza assomiglieranno di più alle utilities. Ciò però avrà un prezzo. Quale? Meno credito disponibile, a costi più alti e, quindi meno crescita. E le assicurazioni? Il 2008 è stato l'anno peggiore nella storia del settore assicurativo e anche il 2009 si preannuncia difficilissimo: andamento industriale in deciso peggioramento e spesso in perdita, accantonamenti per sinistri in calo, svalutazioni sugli investimenti elevate ma ancora incomplete, margini di solvibilità e patrimonializzazione in regresso. Non stupiscono le indicazioni degli analisti che ritengono inevitabile,anzi essenziale per la buona tenuta del settore, il ricorso a politiche di assunzione del rischio più rigorose e a una revisione del pricing. Allianz come se la cava? Ovviamente ha risentito significativamente della crisi ma, in termini relativi, se l'è finora cavata bene: è il primo gruppo al mondo per dimensione, il primo per utile operativo (il doppio rispetto al secondo gruppo), può contare su un solvency ratio del 161% che si traduce in un livello di solidità superiore alla concorrenza e tale da consentire l'assorbimento di eventuali altri shock dei mercati. Inoltre ha pagato un dividendo piuttosto robusto. Cash. Si dice che dalla crisi usciremo tutti diversi da come siamo entrati: lo pensa anche Lei? Sì, penso che, almeno nei prossimi anni, i tassi di crescita saranno molto contenuti e che gli Usa non saranno più il principale motore di crescita dell'economia globale e dovranno lasciare spazio ad un sistema multipolare che coinvolgerà in chiave sistemica i Paesi emergenti. Penso, inoltre, che il futuro dell'economia di mercato non ricalcherà il modello anglosassone ma sarà fortemente influenzato dallo Stato sociale. Dal suo osservatorio come si vede l'Italia? Se consideriamo la minore incidenza del settore finanziario, la forte struttura industriale, l'elevato risparmio familiare, l'alta percentuale di cittadini proprietari della propria abitazione, i buoni ammortizzatori sociali, l'Italia rispetto a Paesi come Usa, Regno Unito e Irlanda è in posizione relativamente migliore. Tuttavia non può considerarsi isolata dalla crisi globale ed è significativamente colpita dal calo attuale dell'export,come sta succedendo alla Germania. Adesso Italia e Germania soffrono ma, grazie a un'industria molto diffusa e orientata all'export, potrebbero essere tra le prime a cogliere i frutti della ripresa? La crisi mi fa venire in mente la massima di Einstein, secondo cui "nelle difficoltà si nascondono grandi opportunità". L'Italia ha sempre saputo dare il meglio proprio nei momenti difficili. Facciamo dunque leva sulle capacità che ci vengono riconosciute per trasformare un pericolo in opportunità, ma non perdiamoci in sterili polemiche. Di fronte a una crisi come questa io credo che governo, banche, imprenditori, manager e lavoratori debbano collaborare e non contrapporsi per elaborare e realizzare progetti di ristrutturazione praticabili. Se lo faremo e sapremo innovare e rinnovare, usciremo dalla crisi più forti. «Tornare alla semplicità e solidità delle imprese e al ruolo sobrio dello Stato Le banche come utilities» «Effetto Obama? Per ora si capisce che tra gli operatori è tornata la speranza di far soldi» «Tornare ai fondamentali». Enrico Cucchiani, presidente di Allianz Italia INFOPHOTO

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Le economie in surplus si scoprono vulnerabili (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 7 autore: LENTE D'INGRANDIMENTO Il crollo degli scambi globali Le economie in surplus si scoprono vulnerabili di Riccardo Sorrentino U n tempo c'erano regole semplici, o almeno così sembrava. Un deficit con l'estero,l'eccesso di importazioni sulle esportazioni, segnalava un Paese che viveva al di sopra dei propri mezzi, e creava una situazione di vulnerabilità. Soprattutto se era accompagnato da un forte flusso in arrivo di capitali finanziari, che al minimo scricchiolio avrebbero potuto volare via, travolgendo il cambio e, attraverso la valuta, tutta l'economia. La presenza di un surplus, invece, era segno di una crescita solida. Al punto che molti Paesi hanno fondato il loro modello di sviluppo sulle esportazioni: una versione aggiornata, e meno aggressiva, dell'antico mercantilismo imperante tra il sedicesimo e il diciottesimo secolo che puntava ad attirare in patria oro (oggi riserve valutarie). Magari per finanziare le guerre. La crisi ha ora travolto anche queste vecchie regole. Tutti i Paesi con deficit con l'estero sono in difficoltà, in genere per le turbolenze sul mercato dei cambi: Ungheria, Lettonia, Islanda sono esempi evidenti. Quelli in surplus soffrono persino di più perché l'impatto della crisi cade direttamente sulla crescita. I numeri sono sorprendenti: dal caso orientale di Singapore (che ha un avanzo pari al 28% del Pil e una decrescita annualizzata del 16,4%) a quello occidentale di Eurolandia (che ha un surplus dell'1,8% e vede l'attività economica contrarsi del 5,9 per cento), il fenomeno è evidente. «La ragione di questa situazione spiega Dean Maki di Barclays che a questo tema ha dedicato una ricerca non è nel fatto che i surplus sono negativi per la crescita; ma nell'attuale recessione sincronizzata, il commercio internazionale di beni è crollato a un ritmo molto più rapido dell'economia mondiale nel suo complesso: molte economie con i maggiori avanzi commerciali erano poi specializzate nel produrre ed esportare prodotti ciclici, proprio i prodotti che sono stati i più colpiti dalla recessione». Quella vecchia regola forse richiede solo una modifica: queste economie potrebbero essere le prime a rimbalzare, ora che le scorte di prodotti sono esaurite e le imprese potrebbero riprendere a lavorare. «A febbraio- aggiunge Maki- ci sono stati alcuni progressi nelle esportazioni dei Paesi asiatici, in particolare Corea, Taiwan e Singapore, soprattutto verso la Cina. Anche se questi dati sono distorti dagli effetti nel Capodanno lunare ». Questa settimana sono previste le statistiche di marzo per la Corea,che offriranno l'occasione per una verifica importante: l'ottimismo non è condiviso da tutti. Il rischio vero per questi Paesi si chiama però protezionismo. Quando l'incertezza domina, la tentazione di alzare le barriere alle importazioni diventa grande. Anche se i risultati sono pessimi: tra il 29 e il '33, ricorda Carl J. Riccadonna di Deutsche Bank,dopo l'innalzamento delle tariffe Usa, le esportazioni americane calarono del 61%, a causa delle ritorsioni dei partner commerciali. Non tutti sembrano aver imparato questa lezione: se il ministro britannico alle attività produttive Peter Mandelson ex commissario Ue al Commercio estero - considera le barriere commerciali «un infallibile modo per trasformare la recessione in depressione», il ministro delle Finanze francese, Christine Lagarde, ritiene che «un po' di protezionismo » non sia un male, ma un prezzo necessario da pagare per la crisi. Il sospetto è che nei fatti e malgrado le dichiarazioni di principio che saranno ripetute dal G-20 della settimana prossima - possa prevalere l'approccio francese. Per guidare la globalizzazione sui binari giusti occorre poco, ma serve un Governo responsabile che sappia resistere alle pressioni; mentre alzare le barriere è molto semplice. I Paesi esportatori sono avvertiti. riccardo.sorrentino@ilsole24ore.com DIFFICOLTà IMPREVISTE Diversi Paesi in recessione continuano a registrare avanzi commerciali e ora temono un'ondata di protezionismo

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Il nostro maggior problema? Gestire bene l'eccesso di liquidità (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 9 autore: INTERVISTA Riad Salameh Governatore della Banca centrale «Il nostro maggior problema? Gestire bene l'eccesso di liquidità» BEIRUT. Dal nostro inviato Quando, nel 2004, decise di vietare alle banche libanesi di acquistare prodotti subprime, anche in modo indiretto, la sua operazione venne definita "eccessiva".Allora l'attuale crisi finanziaria era tutt'altro che prevedibile. Oggi Riad Salameh, 58 anni, da 15 governatore della Banca centrale del Libano, ha di che essere soddisfatto. «Il 2008 per le nostre banche è stato un anno di profitti record», spiega al Sole 24 Ore. Solo fortuna o una spiccata sensibilità? Salameh non si sbilancia. Eletto per tre volte migliore governatore centrale dell'anno dalla rivista internazionale Euromoney (l'ultima volta nel 2006), a inizio febbraio il suo palmares si è arricchito con il titolo di miglior banchiere centrale del Medio Oriente. «I segnali - precisa c'erano già nel 2003,bastava saperli cogliere. Chi è abituato a convivere con le crisi, come noi, ha imparato a essere prudente. I subprime non consentivano di sapere a chi venisse prestato il denaro». Governatore, in un mondo in crisi di liquidità qualcuno si azzarda a dire che in Libano ne esiste fin troppa. Ciò che sta accadendo alle banche commerciali in Libano può essere definito un eccesso di liquidità. La fiducia nel nostro sistema ha attratto ingenti flussi di capitali dall'estero, ma la nostra resta un'economia dalle dimensioni ridotte. Quindi il numero di chi potrebbe usufruire di questi flussi non è ancora adeguato. Oggi il compito principale della Banca centrale del Libano è far in modo che questo eccesso di liquidità non sia dirottato su operazioni speculative. Stiamo perciò incoraggiando i trasferimenti dei depositi sulla lira libanese. La Banca centrale sta emettendo certificati di deposito quinquennali in valuta locale a un tasso del 10%: è un tentativo di controllare questo flusso. Dal 2005 al maggio 2008 siete stati più volte sull'orlo della guerra civile. Nello stesso periodo il dollaro, vostra valuta di riferimento, è caduto ai minimi. Eppure il vostro tasso di cambio è rimasto praticamente identico. Il mercato libanese è "dollarizzato". Il tasso di cambio della lira libanese è gestito in modo da farlo procedere passo passo con il dollaro. Dal 1993 abbiamo ritenuto che un tasso di cambio stabile avrebbe creatofiducia e sarebbe stato un'ancora contro l'instabilità. Se il dollaro perderà valore noi opereremo affinché la lira libanese lo segua. Non è un dramma, anzi, le nostre esportazioni e il settore turistico ne beneficeranno. è già successo di recente quando il dollaro ha toccato i minimi nei confronti dell'euro. Sempre più investitori chiedonodepositi nella vostra valuta anziché in dollari. La dollarizzazione dei depositi bancari rappresenta oggi il 68,5%, noi riteniamo che possiamo scendere al 65. Un anno fa era al 77. Quindi è chiaro che la fiducia è alta nel sistema. Anche perché l'economia gode di buona salute. Lo scorso anno i consumi sono cresciuti del 40% rispetto al 2007 e i nostri dati relativi al gennaio del 2009 segnano un incremento, annualizzato, dell'11-12 per cento. Quali sono i maggiori limiti che avete imposto alle banche commerciali libanesi? Possono concedere prestiti all'estero fino al 50% dei loro fondi. Devono inoltre mantenere almeno il 30% di liquidità sui loro depositi, e di questa somma il 15% dev'essere dirottato alla Banca centrale. E non dimentichiamo che possono concedere prestiti al settore immobiliare fino al massimo del 60% del valore del progetto. Ci spieghi meglio il divieto di acquistare subprime. Nell'agosto del 2004 abbiamo deciso che l'acquisto da parte delle banche private di prodotti finanziari strutturati e derivati doveva essere approvato dalla Banca centrale; finora non abbiamo autorizzato nessuno a farlo. Allora i tassi di interesse erano piuttosto bassi mentre questi prodotti offrivano una redditività più alta, erano perciò attraenti. Ma per noi la priorità è proteggere i depositi. Prudenza dunque. Di recente è stato invitato a Wall Street per inaugurare una sessione e poi dare consigli su come gestire l'attuale crisi. Di cosa ha parlato? Non mi permetto di dare lezioni a nessuno. Posso riassumere il mio intervento: i leverage devono essere contenuti ponendo dei limiti. Se si vuole riportare la fiducia nel settore bancario occorre togliere dalle banche gli asset tossici e porre dei regolamenti più stretti sui loro bilanci. Il progetto di creare le bad bank è corretto. Tuttavia i risultati arriveranno nel medio-lungo termine. Crede che il Libano possa davvero tornare a essere il Paese degli anni 60-70, conosciuto come la Svizzera del Medio oriente? La strada è ancora in salita. Tutto dipenderà dall'evolversi della situazione politica. Ma se porteremo avanti le riforme, quelle strutturali e quelle volte a una migliore trasparenza, non vedo perché no. Lo siamo stati prima, possiamo tornare a esserlo un domani. R.Bon. MOSSA VINCENTE «Cinque anni fa vietai ai gruppi di acquistare prodotti subprime I segnali c'erano già»

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Libano, dove le banche non conoscono la crisi (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 9 autore: INCHIESTA La rivincita di Beirut Nel 2009 è previsto un rallentamento ma la crescita resterà significativa Libano, dove le banche non conoscono la crisi Per gli istituti di credito il 2008 è stato un anno record Roberto Bongiorni BEIRUT. Dal nostro inviato La crisi finanziaria mondiale? I banchieri di Beirut sorridono. Bear Stearns, Lehman Brothers, Citigroup... Dai loro eleganti uffici nel centro città i tracolli delle grandi banche occidentali sembrano appartenere a un altro pianeta. In un mondo in cui la maggior parte delle banche lotta per mantenere i bilanci a galla, c'è un piccolo Paese in cui gli istituti di credito vantano performance senza precedenti. Il Libano, uno degli Stati più instabili po-liticamente, si è rivelato uno dei più solidi sul fronte finanziario. Il suo settore bancario, che aveva eletto la prudenza a regola del sistema, è stato premiato oltre le aspettative, sviluppando un'immunità al virus che sta mettendo in ginocchio il mondo finanziario: la mancanza di liquidità. I dati relativi al 2008, l'anno che ha segnato l'inizio della crisi globale, sono difficili da contestare: l'attività consolidata del settore bancario libanese ha raggiunto i 94 miliardi di dollari, segnando un incremento del 15% sul 2007, un record. I profitti netti delle 58 banche (ma quelle che contano sono cinque) sono saliti del 25 per cento. Un altro record. E che dire dei depositi? Sempre nel 2008 hanno sfiorato i 78 miliardi (+ 15,6%). Per un Paese grande quanto gli Abruzzi, che conta quattro milioni di abitanti, non è poco. I prestiti concessi dalle banche al settore privato, l'incubo che non fa dormire gli imprenditori di mezzo mondo, sono altresì cresciuti a un passo sorprendente: +23% a 25 miliardi. Quanto alle riserve in valuta estera della Banca centrale, il balzo è stato ancora più evidente: +59,2% a 19,7 miliardi di dollari (in gennaio sono salite a 20,3). Anche lo scenario macroeconomico oggi appare solido. Se il debito pubblico e il deficit restano ingombranti - il Libano non è la Svezia- i consumi tengono, anzi, i venti della recessione qui non soffiano. L'afflusso netto di capitali, nel periodo gennaio- novembre 2008, è cresciuto del 55,3% a 14,5 miliardi di dollari, compensando il deficit commerciale dello stesso periodo ( 11,8 miliardi) e facendo registrare alla bilancia dei pagamenti un surplus di 2,7 miliardi. Dopo essere salito dell'8,5%nel 2008,secondo il Fondo monetario internazionale il Pil dovrebbe comunque crescere tra il 3 e il 4% nel 2009. Verrebbe da dire: siamo sicuri che si tratta del Paese tante volte sul baratro della guerra civile? Il Paese dell'attentato all'ex premier Rafik Hariri, nel febbraio del 2005, della guerra tra Hezbollah e Israele dell'estate 2006, delle autobomba conto i parlamentari? Il Paese dove solo 10 mesi fa le milizie Hezbollah conquistavano con le armi il settore occidentale della capitale? Business is Business. Pochi Paesi come il Libano riescono a mantenere politica e finanza su due binari paralleli. «Siamo abituati a convivere con le crisi spiega Makram Sader, da 30 anni presidente dell'Associazione bancaria libanese - e negli ultimi cinque la crescita del settore bancario non è mai stata inferiore del 10%l'anno.Siamo un piccolo Paese ma aperto a un flusso di capitali potenzialmente illimitato». Che a Beirut le cose non vadano affatto male lo si vede girando per le strade: i ristoranti sono affollati, i negozi pieni. Basti pensare che le vendite di auto, uno dei settori più in crisi nel mondo, lo scorso anno sono volate del 78 per cento. L'accelerazione delle importazioni di imbarcazioni private sembra irrealistica. Solo quelle italiane sono cresciute del 1.013 per cento. E chi si fida poco dei dati può limitarsi a osservare le centinaia di gru che increspano l'orizzonte di Beirut. Ma da dove arriva tutto questo fiume di liquidità? In primo luogo dai libanesi residenti all'estero, meglio noti come "espatriati". Le rimesse nel 2008 hanno raggiunto sei miliardi di dollari. Sono quasi dieci milioni quelli che vivono fuori dal Libano (otto solo in Brasile). Non hanno mai reciso il cordone ombelicale che li lega al Paese d'origine. E nel 2008, spaventati dalla crisi, hanno dirottato i loro risparmi nel Paese dei cedri. «Hanno acquistato appartamenti lussuosi nel centro di Beirut per poi abitarci due settimane all'anno », commenta Guillaume Boudisseau, immobiliarista. Le rimesse degli espatriati sono dunque la maggior fonte di entrate. «Tutto vero», precisa Nassib Ghobril, analista finanziario e capo economista della Byblos Bank, la terza banca del Libano. «La nostra politica attrae i libanesi espatriati. Il tasso di interesse su chi ha depositi in lire libanesiè mediamente del 7,5 per cento. Quella in dollari si aggira sul 3,5. Hanno trasferito qui parte dei loro depositi. Stiamo quindi assistendo a una graduale passaggio dalle riserve in dollari a quelle in lire libanesi». Byblos è un esempio della dinamicità delle banche locali. Lo scorso febbraio si è quotata a Londra e negli ultimi anni ha aperto sedi all'estero «In Sudan, Iraq, Kurdistan, Armenia, Siria, Nigeria», precisa Ghobril. «Gli espatriati? Non c'è nessun Paese al mondo - spiega Makram Sader - che può contare un numero così elevato di businessmen all'estero in rapporto alla sua popolazione. Ma sono molte le ragioni che hanno mantenuto il nostro settore bancario fuori dalla crisi. Rispetto ad altri Paesi emergenti che hanno convertito i depositi in valuta estera, noi siamo obbligati a mantenere i nostri depositi in dollari, a meno che i nostri correntisti chiedano il contrario. Inoltre le nostre banche non hanno mai potuto creare al di fuori dei loro bilanci entità parallele e legali, come è accaduto all'estero, per usare i depositi e investirli in prodotti subprime. Non solo, guardiamo il rapporto tra Pil, 28 miliardi di dollari, e riserve valutarie, 20 miliardi. Nei prossimi anni sempre più banche si quoteranno nel nostro mercato». Tra le altre fonti di entrate non sono poi da trascurare i grandi flussi di capitali provenienti da quei Paesi del Golfo Persico, tra cui Emirati Arabi, Qatar e Arabia Saudita, anche loro stretti dalla morsa della crisi finanziaria. Preoccupati del calo dei prezzi del greggio e dal crollo delle Borse, molti investitori si sono riversati in Libano. Uno scenario rassicurante, tanto che il prudente Fondo monetario internazionale, in un rapporto di marzo si esprime così:«L'economia libanese ha dimostrato una notevole resistenza alla crisi finanziaria globale. Il suo sistema finanziario non ha avuto esposizioni dirette ai titoli tossici e rimane molto liquido». Non è però tutto oro quel che luccica. La battaglia contro la corruzione e la trasparenza non è ancora vinta. Il debito pubblico rappresenta il 162% del Prodotto interno lordo, mentre il deficit si allarga e dovrebbe assestarsi sul 12,55 del Pil. Per la maggior parte dei libanesi si tratta, in fondo, di problemi gestibili. A chi obietta che la crisi finanziaria potrebbe essere solo una questione di tempo, il governatore centrale Riad Salameh, uomo prudente per inclinazione, ci risponde con ottimismo: «Nel 2009 le nostre banche cresceranno ancora». «Prevedo una crescita dei depositi del 15% circa», spiega il capo economista della Byblos. «I profitti netti registreranno un incremento interno al 10%», gli fa eco Makram Sader. Saad Azhar, presidente della Blom Bank, la banca che macina più utili, è più cauto: «Per noi il 2008 è stato un anno record, con una crescita dei profitti a 251,6 milioni di dollari, ma credo che nel 2009 la crescita degli utili si fermerà sotto le due cifre. Anche i nostri profitti sono stati generati dalle nostre attività all'estero». La parola recessione è dunque bandita. Espatriati, investimenti diretti esteri, soprattutto dai Paesi del Golfo, ma anche turismo, un settore che nel 2008 ha registrato un record di presenze. «Quest'anno ci attendiamo un calo delle rimesse. Potrebbe essere tra il 10 fino al 30 cento. Ma sarà compensato dalla riduzione dei prezzi delle commodities e dalla bolletta energetica», spiega il Governatore centrale. L'unica incognita è la politica. E quando i banchieri parlano delle elezioni del prossimo 9 giugno, con una nuova legge elettorale che potrebbe rivelare grandi colpi di scena, i sorrisi si smorzano e la cautela prende il sopravvento. Sanno che il voto potrebbe segnare una svolta. Nessuno sa però indicare in quale direzione. CROCEVIA FINANZIARIO Gli utili netti sono saliti del 25%, gli attivi del 15% Rimesse degli emigrati e investimenti del Golfo le maggiori fonti di entrata Boom edilizio. Un gruppo di libanesi sotto un cartellone pubblicitario di una banca libanese che reca lo slogan: insieme possiamo diventare grandi. I progetti immobiliari hanno registrato un boom nel 2008 a cui hanno contribuito i libanesi residenti all'estero AP/LAPRESSE

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Quel dialogo appeso a un filo (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 10 autore: Quel dialogo appeso a un filo I l mondo si trova di fronte a una crisi finanziaria che molti considerano più grave della Grande Depressione che si ebbe tra le due guerre. Prima del 2008, gli esperti dicevano che la forza e la profondità dei meccanismi di cooperazione messi in piedi alla fine della seconda guerra mondiale avrebbero reso impossibile una nuova Grande Depressione. Le speranze che l'internazionalismo riesca, ancora una volta, a risolvere la pletora di problemi economici venutasi a creare sono quindi affidate al prossimo vertice del G-20. Ma la portata delle aspettative è tale che andranno quasi immancabilmente deluse. Il simbolismo del luogo dove si terrà il summit non è dei più felici, perché rievoca il principale fra i tentativi falliti di gestire l'economia mondiale nel periodo della Grande Depressione. Anche la Conferenza economica mondiale del 1933 si riunì a Londra, nel Museo geologico, con partecipanti da 66 Paesi. I protagonisti del vertice del 2009 forse non andranno a visitare il Museo geologico, ma dovranno fare i conti con lo spettro delle conferenze passate, perché il fallimento del 1933 offre insegnamenti importanti per i leader dei giorni nostri. La prima è che, come per la Conferenza di Londra, tutti si aspettano che questo vertice fallisca. Allora, i lavori delle commissioni preparatorie determinarono la paralisi dell'assemblea plenaria. Per gli esperti di moneta, un accordo sulla stabilizzazione delle valute sarebbe stato altamente desiderabile, ma per far questo serviva prima un accordo sullo smantellamento di barriere commerciali, tutti dazi e quote introdotti durante la depressione. Gli esperti di commercio si riunirono a loro volta sfornando un'immagine speculare di questa tesi. Che il protezionismo fosse palesemente un vizio erano tutti d'accordo, ma lo consideravano un vizio necessario, che non poteva essere risolto in assenza di stabilità monetaria. Solo un'iniziativa forte da parte di una grande potenza determinata, pronta a sacrificare i suoi interessi nazionali specifici per spezzare l'impasse prodotta da queste tesi contrapposte avrebbe potuto salvare il vertice. Ma un'iniziativa del genere era improbabile allora com'è improbabile adesso. Anzi, la seconda lezione della Conferenza di Londra del 1933 consiste nell'indisponibilità dei governi, in tempi di grande difficoltà economiche, a fare sacrifici che potrebbero comportare costi sul breve termine. Anche se il risultato sarebbe stato stabilità sul lungo termine, le conseguenze politiche immediate erano troppo sgradevoli. Considerate le avverse circostanze economiche, i governi si sentivano vulnerabili e insicuri e non potevano permettersi di alienarsi il sostegno dell'opinione pubblica. Alla fine, resisi conto dell'inevitabile fallimento, i partecipanti cercarono un capro espiatorio. La Conferenza del 1933 sembrava il classico romanzo giallo in cui tutti i personaggi hanno un motivo per essere sospettati. La Gran Bretagna e la Francia avevano voltato le spalle all'internazionalismo per favorire i loro vasti imperi coloniali. Il presidente tedesco aveva appena nominato Adolf Hitler a capo del governo. La delegazione tedesca era guidata da Alfred Hugenberg, che non era un nazista ma voleva dimostrare di essere un nazionalista ancora più implacabile dello stesso Hitler. Il governo giapponese aveva appena inviato le sue truppe in Manciuria. Tra tutte le grandi potenze riunitesi a Londra, gli Stati Uniti apparvero quelli di gran lunga più ragionevoli e internazionalisti. Avevano un presidente nuovo e carismatico, noto per la sua anglofilia e il suo spirito cosmopolita. Franklin Roosevelt stava prendendo iniziative energiche contro la depressione e cercava di rimettere ordine nel disastroso sistema bancario statunitense. Roosevelt non sapeva quale linea adottare alla conferenza e la sua fiumana di consiglieri non gli dava alcuna indicazione utile. Alla fine perse la pazienza e annunciò che per il momento gli Stati Uniti non avevano nessuna intenzione di stabilizzare il dollaro. Questo messaggio, diramato il 3 luglio del 1933, fu soprannominato " la bomba". Il presidente americano parlava della necessità di ripristinare «il solido sistema economico interno di una nazione» e condannava i «vecchi feticci dei cosiddetti banchieri internazionali». Tutti finsero di sorprendersi di fronte al fallimento dell'internazionalismo. Ma allo stesso tempo erano felicissimi di aver trovato qualcuno a cui poter dare la colpa per il fallimento della conferenza. Nel 2009 ci troviamo alla prese con circostanze analoghe. Le linee del conflitto sono state tracciate chiaramente in anticipo. Gli Stati Uniti vogliono che il mondo si lanci in programmi di stimolo macroeconomici e sono del parere che il complesso compito di reinventare e riordinare la supervisione e la regolamentazione della finanza possa aspettare. Molti Paesi europei non si possono permettere pacchetti di stimolo a causa di bilanci pubblici già sforzati al limite della sopportazione, e vogliono fare invece passi avanti sulla regolamentazione internazionale del settore bancario. Gli alibi per il fallimento sono già pronti. Il nuovo vertice probabilmente non produrrà né un piano di rilancio coordinato né un modello dettagliato per un sistema di regolamentazione della finanza a prova di bomba. Per tutto il summit i partecipanti aspetteranno il momento in cui uno dei leader (forse Angela Merkel), perderà la pazienza e farà notare, comeè ovvio, che tutta la faccenda è uno spreco di energie. Poi tutti addosseranno a questo leader sincero la responsabilità di aver mandato in frantumi l'internazionalismo. Negli anni 30 furono i governi autocratici e bellicosi di Germania e Giappone che trassero il maggior profitto dal fallimento della Conferenza di Londra. Anche un fallimento del vertice londinese dei giorni nostri probabilmente verrà usato come arma retorica contro i grandi governi occidentali e per offrire una giustificazione razionale all'implementazione di nuove forme di capitalismo di Stato. Copyright: Project Syndicate, 2009. Traduzione di Fabio Galimberti LA GRANDE DEPRESSIONE La Germania nazista, la Francia e la Gran Bretagna colonialiste bloccarono i tentativi di accordo proposti da Roosevelt LA SITUAZIONE ATTUALE L'amministrazione Obama vuole che l'intero Occidente approvi programmi di stimoli, ma gli Stati europei non possono permetterselo di Harold James PRINCETON UNIVERSITY

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Il gregge e il rischio delle scelte collettive (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 11 autore: Il gregge e il rischio delle scelte collettive di Francesco Daveri N el primo trimestre 2009, più di 250 operazioni hanno portato all'emissione di corporate bond per la cifra record di 332 miliardi di dollari. Anche le Borse hanno reagito bene alle buone notizie provenienti dal mercato immobiliare americano dopo mesi di numeri negativi. All'improvviso e in modo disordinato, così come era scomparsa, la liquidità - e un po' di fiducia - è ora ritornata sui mercati. Il sistematico alternarsi di ondate di pessimismo e di ottimismo sui mercati finanziari ha enormi implicazioni sociali e richiede dunque una spiegazione. L'economista Roland Benabou (http://www. princeton.edu/~rbenabou) ne offre una nel suo recente lavoro ( Groupthink: collective delusions in organizations and markets) in cui si discute dell'importanza del "pensiero collettivo" (appunto, il "groupthink") come meccanismo per propagare ondate di pessimismo o di ottimismo a fronte di cattive o buone notizie. Benabou parte dall'osservazione che, di regola, il meccanismo dei prezzi mette un freno alle conseguenze aggregate di azioni individuali che vanno in direzione opposta rispetto alle opinioni collettive. Se a ritenere che il valore di un'azione sia più alto del suo valore di mercato sono solo pochi compratori, la loro decisione di acquistare l'azione farà aumentare i prezzi, in tal modo scoraggiando l'incentivo all'acquisto da parte di altri potenziali acquirenti. Le cose possono però andare molto diversamente. Se chi prende la decisione è un operatore particolare (Warren Buffett) e in giro c'è molta incertezza su che cosa sia conveniente fare, oppure se chi prende le decisioni (ad esempio, Bernard Madoff) lo fa per conto di altri meno informati, la decisione di pochi (o uno solo!) influenzerà le opinioni collettive, generando un "effetto gregge". Accade così che la decisione di qualcuno di acquistare incoraggia anche altri ad effettuare la stessa operazione più e più volte con decrescente riguardo verso la plausibilità delle aspettative incorporate negli acquisti. L'effetto gregge è più probabile se l'economia si trova in una situazione di " new era thinking", cioè in una fase di attesa di un nuovo mondo. Viene subito in mente la new economy, un mondo in cui sembrava legittimo aspettarsi valori immobiliari sempre crescenti, un costo del denaro sotto zero in termini reali e valori di Borsa sempre in rialzo indipendentemente dai livelli di redditività delle società dotcom. In una situazione di questo tipo, quella di negare l'evidenza di fronte alle cattive notizie può diventare l'unica strategia conveniente da parte di agenti che avrebbero solo da perderci dall'atteggiamento opposto cioè quello del realismo di chi accetta le cattive notizie e toglie i soldi dalla Borsa o chiude i mutui troppo rischiosi. Per un senior executive di una banca d'investimento - anche se consapevole di trovarsi nel mezzo di una bolla -l'opzione più conveniente era quella di continuare il gioco per almeno due ragioni: l'enormità dei guadagni di breve periodo e della buonuscita (che rendevano poca cosa il rischio di essere licenziato) e, più sottilmente, il rischio di peggiorare il curriculum, apparendo come un manager incapace di sfruttare le occasioni. E se uno comincia a negare l'evidenza e ci guadagna, ecco che lo faranno anche gli altri, in modo "esuberante". Speriamo che il ritorno di liquidità e i guadagni di Borsa di questi giorni non siano un altro giro sulla ruota della fortuna del "groupthink".

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Il Nord-Ovest: imprese leader e città-regione (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)

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Il Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 13 autore: ... MICROCOSMI LE TRACCE E I SOGGETTI Il Nord-Ovest: imprese leader e città-regione di Aldo Bonomi I l peggio è passato, ma la traversata sarà lunga, dichiara Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat. Come d'abitudine a NordOvest si presta molta attenzione alla punta della piramide. Al soggetto ordinatore, la grande impresa, che per tradizione novecentesca dava il "la" al sistema. Affidandosi, speranzosi, a questo spiraglio di uscita dalla crisi.Pareva fosse finita un'epoca quando, sempre Marchionne, nei giorni del lancio della nuova 500 rovesciò l'antico adagio fordista «ciò che va bene alla Fiat va bene al Paese» nel suo contrario: «Se va bene il Paese va bene la Fiat». Finiva un'epoca che faceva della company town Torino il luogo storico ed emblematico ove osservare e capire il paradigma e i conflitti tra capitale e lavoro, con lo Stato in mezzo a regolare relazioni industriali e welfare.Seguirono fuochi d'artificio, spettacoli sulle rive del Po, che mettevano assieme i successi postindustriali delle Olimpiadi della neve, appena celebrate, con l'uscita della Fiat dalla lunga crisi industriale. Fu il breve inizio del "rinascimento torinese". Non più company town, ma città regione del NordOvest. Nodo strategico tra Lione, Genova e Milano. Non più solo conflitti e mediazione tra capitale e lavoro, ma grandi opere per collegarsi ai corridoi europei. Con nuovi conflitti e mediazioni territoriali come quello per la Tav in Val Susa. Con un'attenzione forte non solo alla Fiat e al distretto industriale dell'automotive,ma anche al capitalismo delle reti e alla modernizzazione del territorio del Nord Ovest, per agganciarlo ai flussi della modernizzazione. L'alleanza tra multiutility delle energie e dei trasporti con Genova e con Milano. L'ansioso seguire il risiko bancario tra Torino e Milano. Tanto da appassionarsi sia al ruolo della Fondazione Crt in Unicredito, che alla costruzione della torre-grattacielo di Intesa San Paolo, eretta a simbolo locale della fusione, quanto e più del riuso delle aree dismesse di Mirafiori acquisite per 60 milioni di euro alla Fiat dalla Regione e dal Comune. Orgogliosi di una città regione globale in grado con il suo Politecnico di attrarre Motorola. Di aprire assieme al Politecnico di Milano una sede universitaria a Shanghai e di candidarsi per un anno, il 2008, a capitale del Design. Rilanciando un Mi-To postfordista sull'asse Milano Torino, dove il rinascimento torinese giocava un ruolo metropolitano non sul ferro di un tempo, Fiat-Alfa Romeo, ma su quello della terziarizzazione delle funzioni produttive e della nuova composizione sociale. Che cambiava. Molto più lentamente di coloro che, con retoriche postindustriali, sostituivano il motto pesante «proletari di tutto il mondo unitevi» con quello leggero «creativi di tutto il mondo unitevi». Ma cambiava. Producendo nuove forme di lavori nell'economia dei servizi, della conoscenza, della cultura, dove i figli degli operai Fiat facevano, precari e flessibili, i creativi. Nella crisi si torna al conflitto tra capitale e lavoro. E magari, soffiando sul fuoco del protezionismo che cova sotto la cenere del vulcano della crisi, si torna ancora più indietro. Quando, al primo arrivo degli immigrati dal Sud alla Fiat, non si affittava ai meridionali, e gli operai specializzati, l'aristocrazia operaia torinese, guardava con diffidenza all'operaio massa. Oggi incombe l'operaio polacco. Non solo per la Indesit, ma anche per la Fiat, essendo che la 500 è prodotta in Polonia. O quello sloveno per la Renault. Visto il ritorno in Francia della produzione della Clio. è tempo di passioni tristi. Che irrompono dentro i numeri della crisi: cassa integrazione solo a Torino per 713 imprese per oltre 65mila addetti (dati Fiom), 64% di piccole imprese torinesi, più della metà nel ciclo dell'auto, che prevede una contrazione rispetto al 2008, con un 38% che prevede un calo dell'occupazione e solo il 24% prevede di investire. I centri Caritas segnalano 50mila passaggi, + 25% rispetto al 2008. Numeri che inducono una gran voglia di protezione. Ognuno si occupi dei poveri, degli operai e delle imprese sue. Da qui il riapparire di un triste dibattito, un déjà-vu che mette i piccoli contro i grandi, territori in lotta tra loro per i trasferimenti, il Nord Est contro il Nord Ovest e si ragiona sui diritti dei garantiti e sui non diritti dei precari, scatenando una lotta tra gli ultimi. Rischio di dissolvenza che è evitato da un ritorno ai fondamentali. Altro dai fondamentalismi della paura. Nel microcosmo di domenica 1Ú marzo ho raccontato il Nord Est della famiglia e dell'impresa ancorato alle piattaforme produttive. Qui nel Nord-Ovest tornano protagonisti le imprese leader, gli enti locali e le forze sociali. Tutti e tre questi attori tengono e fanno da pedana da cui ripartire. A tutti è chiaro che c'è molto da fare per attraversare il deserto che inaridisce il fare società. Per trovare le oasi di mercato, per consolidare l'essere città-regione, per difendere il lavoro dei padri e i nuovi lavori dei figli occorre coniugare l'universalismo, che non vede il nemico nell'operaio polacco, con il destino della globalizzazione. Marchionne e la Fiat ci stanno provando in un ciclo dell'auto globale sempre più turbolento. Sfida molto alta anche per le rappresentanze sindacali. Molto dipenderà non solo da Fiat. Ma da come reagirà Cuneo, la provincia granda nel capitalismo diffuso, la langa della Ferrero, del barolo, di slow food e di Carlin Petrini, il biellese del tessile con Zegna come leader, Novara della logistica e della De Agostini e il Verbano con il suo distretto maturo dei casalinghi... Molto dipenderà anche dalla maturità di quella composizione sociale giovane e acerba, per esperienze e sistemi di protezione, in formazione nel terziario della città regione. Solo così si potrà dire, una volta usciti dalla crisi, se va bene il Nord-Ovest, il sistema paese, va bene la Fiat.

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Geometri: più iscritti ma lavoro in calo (sezione: crisi)

( da "Eco di Bergamo, L'" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Geometri: più iscritti ma lavoro in calo --> Lunedì 30 Marzo 2009 CRONACA, pagina 11 e-mail print Sempre meno lavoro per i geometri bergamaschi Crescono costantemente, di anno in anno, i geometri iscritti al Collegio di Bergamo. Nel 2000 erano 1.808, alla fine dello scorso anno hanno raggiunto il numero di 2.164 e alla data di oggi sono già arrivati a 2.192 unità, cui si aggiungono 380 praticanti, giovani diplomati che stanno svolgendo i due anni di praticantato in uno studio professionale e che poi, superato l'esame di Stato, potranno iscriversi all'Ordine. L'assemblea degli iscritti, nei giorni scorsi, ha visto approvati all'unanimità sia i bilanci che la relazione del presidente Renato Ferrari, il cui mandato scadrà nel 2010. Ma c'è lavoro per tutti questi geometri? «La crisi finanziaria sta lasciando i segni anche nella nostra attività - risponde il presidente Ferrari - e il lavoro è certamente in flessione. Grosse lamentele per ora non ne raccolgo, ma tra noi parliamo sempre più spesso del calo di lavoro. Non conosciamo ancora i dettagli del "progetto casa" del governo e speriamo in risvolti positivi, ma difficilmente ci sarà una esplosione di interventi di ampliamento, perché presuppongono un investimento e le difficoltà economiche sono reali e diffuse». Uno degli argomenti sul quale la relazione si è soffermata è il superamento del Regio decreto 274 del 1929 che ancora oggi fissa le competenze dei geometri. «Oggi - ha detto il presidente - vi è la necessità di un regolamento adatto e moderno che in sostanza rispetti le regole che già il Consiglio nazionale si è dettato attraverso la formazione continua». Altro argomento toccato è la possibilità di fusione dei collegi professionali dei geometri, dei periti industriali e dei periti agrari. A questo nuovo organismo verrà attribuito il nome in sigla di «Cogepapi». «La volontà del ministero di Grazia e giustizia - ha detto Ferrari - è di formare professioni per blocchi omogenei, quindi occorre trovare equilibri per arrivare alla fusione senza traumi e risolvendo le perplessità». La nuova categoria avrà un nuovo regolamento moderno e nuove competenze. Pur accennando ad alcune anomalie ancora presenti nel catasto, la relazione del presidente Ferrari ha definito «attiva e proficua nel suo insieme» la collaborazione con l'Agenzia del territorio locale. Roberto Vitali 30/03/2009 nascosto-->

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La cooperazione fra Stati sul Fisco cerca una strategia (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 17 autore: DIRITTO E IMPRESA Osservatorio Ceradi-Luiss A CURA DI Valeria Panzironi La cooperazione fra Stati sul Fisco cerca una strategia di Federico Rasi I principali Paesi della Comunità internazionale si interrogano sull'esigenza di predisporre strumenti giuridici che, applicati uniformemente, possano in futuro prevenire le cause che hanno condotto all'attuale crisi finanziaria. In alcuni ambiti gli Stati hanno cercato di conseguire risultati simili: particolarmente significativi sono, a questo riguardo, i numerosi documenti dell'Ocse e dell'Onu in tema di cooperazione fiscale internazionale, l'analisi dei quali può consentire di evidenziare le problematiche di cui si dovrà tenere conto anche ora. Analizzare queste esperienze consente, infatti, di individuarne i punti di forza per ripeterli e i punti di debolezza per evitarli. La cooperazione fiscale internazionale è l'attività coordinata di due (o più) Stati per realizzare fini comuni. Attraverso di essa si cerca soprattutto di evitare che l'opacità di qualche Stato possa costituire un incentivo all'adozione di condotte illecite quali l'evasione fiscale e il riciclaggio di denaro. è considerata inaccettabile la politica di alcune Nazioni, ad esempio i cosiddetti paradisi fiscali, volta a sottrarre materia imponibile agli Stati più industrializzati in virtù di aliquote ridotte e a offrire agli operatori economici zone franche in cui agire senza il rispetto di vincoli legislativi. Due sono stati i primi problemi affrontati dalle organizzazioni internazionali che si sono occupate di questi temi, gli stessi che ci troviamo ad affrontare oggi: se regolamentare, ricorrendo a un approccio casistico o a norme di carattere generale; oppure se consacrare tali norme in strumenti di hard law odi soft law. Quanto al primo problema, ricorrendo al metodo casistico, si rischia di disciplinare una serie di fattispecie in modo frammentario e creare lacune. Questo è l'approccio adottato in tema di cooperazione fiscale internazionale e i risultati raggiunti appaiono parziali. Lo scambio di informazioni, che è il mezzo tramite cui si realizza la cooperazione tra Stati, è disciplinato da una pluralità di fonti e di atti che si occupano di aspetti particolari. Da essi è vero che si ricava l'impressione che gli Stati condividano gli obiettivi (contrastare l'opacità di certe Nazioni), i mezzi (lo scambio a richiesta, quello automatico e le verifiche simultanee) e i limiti di questi strumenti (le tipologie di segreto opponibili dallo Stato cui vengono inoltrate le richieste e le regole di riservatezza cui i soggetti coinvolti devono attenersi), ma è altresì vero che non risultano enunciati principi generali immediatamente precettivi. Questi si ricavano solo in via interpretativa. è proprio un simile approccio, frammentario e inevitabilmente lacunoso, che favorisce quei vuoti di disciplina che consentono ai Paesi "opachi" di perdurare nelle loro politiche. Formulando, invece, clausole generali ed enunciando i principi della materia si possono evitare queste conseguenze e si può garantire una maggiore uniformità di applicazione, a condizione che gli Stati adeguino la propria legislazione nazionale a tali principi. Si deve, infatti, evitare che le specificità nazionali ostacolino le finalità di simili provvedimenti. Norme con le caratteristiche sopra indicate possono essere contenute in strumenti di soft law odihard law. Sono strumenti di soft law quegli atti accomunati dall'assenza di un impegno vincolante e che creano dunque esclusivamente un "obbligo morale" per gli Stati. Fino ad ora si è fatto prevalentemente ricorso a questi strumenti e i risultati raggiunti non appaiono del tutto soddisfacenti. Un più efficace perseguimento degli obiettivi che ci si pone passa attraverso il ricorso a forme di hard law. Ilricorso a strumenti quali una convenzione multilaterale aperta alla firma anche degli Stati che non hanno concorso alla relativa negoziazione (sulla falsariga della convenzione Ocse Consiglio d'Europa in tema di scambio di informazioni), piuttosto che a una pletora di convenzioni bilaterali, appare preferibile e auspicabile. Così gli Stati risulterebbero maggiormente vincolati in virtù dell'impegno collettivo e si potrebbe risolvere il reale problema che queste iniziative scontano: l'enforcement. Con il termine enforcement si fa riferimento al complesso di misure che vengono adottate da uno Stato per garantire l'applicazione concreta di specifiche disposizioni normative. Nel contesto del diritto internazionale, si intendono, in particolare, le misure che gli Stati possono adottare per vincolarsi reciprocamente al rispetto di obbligazioni assunte in trattati internazionali. è su questo punto che anche la cooperazione fiscale presenta le maggiori criticità. Al globale consenso sui temi in esame, si contrappone l'assenza di mezzi efficaci ed efficienti tramite cui garantire ai Paesi collaborativi la cooperazione di quelli opachi. Una convenzione multilaterale rappresenta, invece, il mezzo migliore a disposizione degli Stati collaborativi per far sì che regimi di favore operino solo fra di loro, escludendo quelli non firmatari. In questo modo gli operatori economici sarebbero, di fatto, dissuasi dall'intrattenere rapporti con le Nazioni non collaborative. Analogamente, ogni futuro tentativo di offrire una disciplina condivisa dal maggior numero di Stati deve fare in modo che coloro che non vi aderiscono siano, di fatto, posti ai margini dei traffici mondiali. Il successo di simili iniziative dipende dal forza vincolante che si riesce a imprimere loro. LE REGOLE Le clausole generali evitano l'approccio frammentario che è legato al metodo casistico GLI STRUMENTI Le convenzioni multilaterali sono più efficaci degli obblighi morali basati sulla «soft law»

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Hypo Re, entra lo Stato (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 19 autore: Banche. L'investimento è pari a 60 milioni – Il gruppo bavarese ha già goduto di aiuti pubblici per 102 miliardi Hypo Re, entra lo Stato Il Governo tedesco rileva l'8,7% dell'istituto - Al via la nazionalizzazione Beda Romano FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente La nazionalizzazione di Hypo Real Estate sta lentamente prendendo forma. Ieri la banca ha annunciato che il Governo acquisterà una quota dell'8,7% nell'istituto di credito bavarese in gravissima difficoltà. L'operazione giunge mentre il Parlamento è in procinto di approvare una legge che permetterà, nel caso, un esproprio degli azionisti. La notizia è giunta ieri sera, anticipata dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung e poi confermata da Hre. Il consiglio di sorveglianza dell'istituto di credito ha deciso di organizzare un aumento di capitale straordinario che consentirà allo Stato di acquistare una partecipazione dell'8,7%nella banca specializzata in Pfandbriefe, obbligazioni immobiliari. L'operazione prevede l'acquisto da parte del Governo di 20 milioni di azioni per un totale di 60 milioni di euro, al prezzo di tre euro ad azione, «il livello minimo prescritto dalla legge », si legge in un comunicato pubblicato ieri sera. Il titolo dell'istituto di credito ha chiuso le contrattazioni venerdì alla Borsa di Francoforte a 1,14 euro, in calo dell'1,72%. L'iniezione di denaro fresco, che andrà a rafforzare il capitale della banca, non sorprende (si veda Il Sole/24 Ore di ieri).L'istituto è in terribili difficoltà: in questi mesi di crisi finanziaria ha già goduto di aiuti pubblici per 102 miliardi di euro. Questa nuova operazione avverrà attraverso il Soffin, un fondo federale nato l'anno scorso per gestire le garanzie statali alle banche. La società bavarese è stata travolta dalla crisi finanziaria a causa della sua esposizione al mercato del credito immobiliare. Proprio ieri la banca ha rivelato le perdite del 2008: 5,4 miliardi di euro, prima delle tasse, rispetto a profitti per 862 milioni nel 2007. Perdite - ha precisato - sono prevedibili per altri due anni. La mossa di ieri dovrebbe essere propedeutica alla nazionalizzazione. Hre ha spiegato che «la prevista ricapitalizzazione della banca prevede quale prerequisito la presa di controllo totale da parte dello Stato o del Soffin»con l'obiettivo di«stabilizzare i mercati finanziari». L'istituto ricorda l'esistenza di un progetto di legge che darà potere al Governo di nazionalizzare una banca. Il testo è già stato votato dal Bundestag, ma deve ancora essere approvato il 3 aprile dal Bundesrat, la Camera delle regioni. Alcuni LÄnder sono contrari. La mossa di ieri da parte del Governo è probabilmente anche un modo per fare pressione su coloro ancora freddi all'idea di permettere allo Stato di nazionalizzare una società. La questione sta complicando il rapporto anche con il principale socio di Hre, J.C. Flowers che controlla circa il 25% della banca. L'investitore americano è pronto ad accettare l'arrivo dello Stato, ma chiede di rimanere azionista. Il Governo invece è convinto che debba prendere il controllo totale della banca, visto il suo ruolo cruciale per la stabilità del mercato del credito immobiliare tedesco. L'ipotesi nazionalizzazione è controversa in una Germania in cui per oltre 50 anni ha dominato una visione liberale dell'economia, basata su un intervento statale limitato. Questa visione di politica economica è stata progressivamente travolta: HRE infatti non è la prima banca tedesca ad accogliere un azionista pubblico sulla scia della crisi scoppiata nel 2007. Al di là delle molte Landesbanken, le banche regionali salvate dai LÄnder, anche Commerzbank è stata costretta ad accettare l'arrivo nel capitale della mano pubblica. In gennaio, il Governo di grande coalizione guidato dal cancelliere Angela Merkel ha annunciato l'ingresso nella seconda banca privata tedesca con una quota del 25%. LA SOCIETà «La ricapitalizzazione prevede quale prerequisito la presa di controllo totale del gruppo da parte di Berlino»

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Calpers contro gli hedge fund (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 20 autore: Mercati. Il big dei fondi pensione Usa chiede meno costi e maggiori rendimenti Calpers contro gli hedge fund Marco Valsania NEW YORK Il "memorandum", all'apparenza, potrebbe sembrare velleitario. La minaccia di un in-vestitore inviperito: chiede agli hedge fund di rivedere, in termini più favorevoli, le condizioni per i clienti. Altrimenti, potrebbe ritirare i suoi soldi. Ma la firma tradisce un documento esplosivo, una minaccia che non può affatto essere presa alla leggera: in calce c'è il nome di Calpers, il re dei fondi pensione dei dipendenti pubblici americani, con 172 miliardi di dollarie reputazione da vendere. Soprattutto, con quasi sei miliardi affidati in gestione agli hedge, che a loro volta usano la sua adesione come biglietto da visita per attirare clienti di prestigio. A ricevere la missiva del California Public Employees Retirement System sono state ben 35 società, 26 hedge e nove fondi di fondi. Una richiesta chiara: abbassate i vostri prezzi e inserite clausole di "clawback", ovvero di restituzione delle commissioni in caso di performance deludenti. Tra i destinatari, spiccano grandi nomi dell'alta finanza: da Tremblant Capital a Atticus Capital, fino a Och-Ziff Capital Management. Gli hedge fund, durante la crisi, hanno ricevuto simili appelli da altri investitori istituzionali, quali lo Utah Retirement Systems. è stato però il memorandum di Calpers, rivelato dal Wall Street Journal, a diventare immediatamente un terremoto per il settore. Forse quanto i piani dell'amministrazione di Barack Obama per imporre nuove regole sui mercati finanziari che garantiscano inedita vigilanza. Oppure la proposta di tassare alla stregua di reddito compensi che i gestori considerano invece guadagni di capitale. è diventato, insomma, il simbolo della fine di un'era. Quella che, con folle di clienti che bussavano alle porte, aveva visto gli hedge dettare legge: in alcuni casi la tradizionale formula per la loro remunerazione, il 2-20, il 2% degli asset e il 20% dei profitti, era stata stracciata, lievitando piuttosto al 3-30, il 3% degli asset e il 30% dei profitti. Agli hedge Calpers dice chei cambiamenti suggeriti «sono molto importanti e sono indispensabili per manager che desiderano rimanere o diventare parte del gruppo di gestori» usato dal fondo pensione. La sua, aggiunge, non è una richiesta rigida: afferma che a diversi hedge fund è intenzionato a proporre criteri diversi e di voler trattare su eventuali controproposte. Tra le domande specifiche delineate da Calpers c'è quella sulle commissioni legate alla performance, che invece di essere pagate a fine anno vorrebbe distribuite nell'arco di più anni. Le misure di "clawback" consentirebbero di recuperare pagamenti, versati agli hedge in anni redditizi, durante una successiva fase difficile. Il fondo pensione vuole anche garanzie contro un congelamento dei riscatti, tenendo i suoi investimenti separati da quelli di altri investitori. E, invitando i gestori a mostrare inedita cooperazione, chiede una totale trasparenza nei suoi confronti sui titoli che comprano, informazioni che, assicura, non verrebbero rese pubbliche. LA FINE DI UN'ERA Sempre più clienti di peso pronti a ritirare i propri investimenti se non vengono abbassati prezzi e commissioni

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Un mare di documenti tossici (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: SYSTEM data: 2009-03-29 - pag: 32 autore: Ontologia sociale Un mare di documenti tossici di Maurizio Ferraris S upponiamo che a un certo punto scoprissimo che non tutti i cedolini dello stipendio che riceviamo siano esatti, e che qualche volta (diciamo, nel 7 per cento dei casi) siano falsi, cioè non corrispondano alle ore di lavoro effettivamente prestate e al salario pattuito. Immagino che il nostro primo istinto sarebbe di chiedere delle verifiche, ma supponiamo che anche il 7 per cento delle verifiche fossero documenti falsi, e che questa percentuale si estendesse a tutti gli altri documenti con cui abbiamo a che fare: carte di credito, certificati di proprietà, azioni, carte di identità. è evidente che diventeremmo a dir poco scettici nei confronti del restante 93 per cento e cadremmo in preda prima allo sconcerto, poi al panico. Un panico che assumerebbe dimensioni globali qualora scoprissimo che il resto del mondo si trova esattamente nelle nostre condizioni. Come ha sottolineato la stragrande maggioranza degli esperti, questo è ciò che è avvenuto nell'attuale crisi finanziaria. Se cerchiamo di concettualizzarlo filosoficamente, ci rendiamo conto che investe la sfera di quella che ho proposto di chiamare "documentalità", in quanto caratteristica essenziale degli oggetti sociali. Come ho argomentato estesamente in Dove sei? Ontologia del telefonino (2005), questi oggetti (cose come i soldi, i debiti, i passaporti, le promesse) rispondono alla legge «Oggetto = Atto Iscritto». Vale a dire che sono il risultato di atti sociali – tali cioè che coinvolgano almeno due persone – e che devono essere iscritti, su carta, su un file di computer, o anche semplicemente (si pensi a transazioni molto semplici o molto segrete) nella testa delle persone. Se il documento non c'è, allora scompare l'oggetto sociale, o non sorge mai, ed è per questo che le economie povere di documenti sono anche scarsamente sviluppate. Se viceversa il documento non è garantito, ecco che si fa avanti la crisi. In una intervista e in un articolo apparsi su «Newsweek», lo scienziato politico Hernando de Soto, direttore dello Institute for Liberty and Democracy e consulente economico di molti governi, conforta questa ipotesi. La caratteristica centrale della crisi è proprio il fatto che non si sia in grado di quantificare il numero di documenti tossici che circolano nel mondo. Christopher Cox, ex presidente della Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti calcola l'ammontare dei titoli tossici a uno o due milioni di dollari, il segretario del tesoro Timothy Geithner dice che sono tre o quattro. In realtà nessuno sa esattamente quanti siano e quali organismi finanziari, banche e assicurazioni, li detengano. Così, tra un banchiere di Manhattan e l'abitante di una favela viene a stabilirsi almeno un punto in comune. Quest'ultimo non ha titoli di proprietà, è un sans papiers; l'altro ne ha, ma, in parte, non sono affidabili, e questa incertezza viene a investire la sfera dei documenti nel loro insieme. Non mi è facile condividere l'idea di De Soto che negli Stati Uniti tutto – tranne i derivati – sia legalmente documentato, se è vero che nel dicembre scorso, a New York, un giornalista del New York Daily News è riuscito a rubare per un giorno, con falsi documenti, l'Empire State Building, e che negli Stati Uniti, dove non esistono i notai, sono circa sessantamila le proprietà che passano di mano grazie a false dichiarazioni. Senza considerare poi che, come sostiene il premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz in The Three Trillion Dollar War. The true cost of the Iraq conflict (pubblicato con Linda Bilmes nel 2008), un particolare lassismo nei controlli documentali è stato funzionale al finanziamento del debito pubblico per le spese militari americane. Il punto concettualmente importante resta tuttavia il nesso tra crisi finanziaria e crisi documentale. Sotto il profilo degli interventi e dei rimedi, la parola spetta ovviamente agli economisti e ai politici, che non a caso si orientano sulla trasparenza delle regole di creazione dei documenti, un aspetto su cui si è a giusto titolo molto insistito sul Sole 24 Ore (per restare agli interventi più recenti, Galimberti 24 gennaio, Foglia e Luzzi 19 febbraio, Santamaria, 21 febbraio, Bastasin, 25 febbraio, Micossi, 28 febbraio, Longo, 1Úmarzo). Perilcuriosodifilosofia resta da riflettere sul fatto che, nel definire la scrittura un pharmakon, un rimedio ma anche un veleno, Platone profetizzava, con argomenti ancora validi, l'invasione di carta tossica con cui devono misurarsi i governanti postmoderni. Quante certificazioni inaffidabili circolano nel mondo? Per Hernando de Soto la crisi si spiega a partire da questa domanda

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Spini all'SMS di Rifredi con Ruffolo (sezione: crisi)

( da "Nazione, La (Firenze)" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

PRIMO PIANO FIRENZE pag. 2 Spini all'SMS di Rifredi con Ruffolo COME fronteggiare la crisi economica che sta investendo il nostro paese, l'intera Europa e gli Stati Uniti? Quali strategie e interventi adottare per contrastarla? Sono alcuni dei temi che saranno affrontati nel convegno «Crisi finanziaria dalle banche al portafoglio delle famiglie» che si terrà questa sera alle 21 all'SMS di Rifredi per iniziativa della lista «Spini per Firenze». A parlarne con Valdo Spini, candidato sindaco della lista indipendente Spini per Firenze' e dei Verdi, saranno Giorgio Ruffolo, Federico Romero e Fabio Basagni.

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PARLAMENTO EUROPEO: CON OBAMA NUOVO IMPULSO AL PARTENARIATO EURO-ATLANTICO (sezione: crisi)

( da "marketpress.info" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Lunedì 30 Marzo 2009 PARLAMENTO EUROPEO: CON OBAMA NUOVO IMPULSO AL PARTENARIATO EURO-ATLANTICO Strasburgo, 30 marzo 2009 - L’elezione di Obama è l’occasione per rinnovare le relazioni Ue-usa. E´ quanto sostiene il Parlamento auspicando il coordinamento sistematico in tema di politica estera e sicurezza, il rafforzamento della cooperazione su diritti umani, lotta al terrorismo, disarmo nucleare e crisi regionali. Chiede poi di unificare il mercato e integrare quello finanziario. Invita però gli Usa a cessare le consegne straordinarie, ratificare lo statuto della Corte penale internazionale e abolire la pena di morte. Approvando con 503 voti favorevoli, 51 contrari e 10 astensioni la relazione di Millán Mon (Ppe/de, Es) il Parlamento rileva che «l’insediamento del nuovo Presidente degli Stati Uniti apre una nuova era nella storia del paese» e che «tale evento, può dare un nuovo impulso al partenariato transatlantico». Anche perché il rapporto Ue-usa rappresenta «il partenariato strategico più importante per l´Unione», e con l´elezione di Barack Obama vi è l´opportunità di rinnovare il quadro delle relazioni transatlantiche. In tale prospettiva, i deputati propongono di sostituire la Nuova Agenda Transatlantica (Nat) con un nuovo accordo che trasformi l´attuale dialogo legislativo in un´assemblea transatlantica che funga da strumento di dialogo parlamentare, di definizione degli obiettivi e di controllo dell’attuazione dell’accordo, nonché di coordinamento dell´attività del Parlamento europeo con quella del Congresso americano su temi d´interesse comune. Il Parlamento sollecita poi la creazione di un organismo per la consultazione e il coordinamento sistematico ad alto livello della politica estera e di sicurezza, suggerendo la denominazione di “Consiglio politico transatlantico”. Riguardo alle sfide globali che i due partner si trovano ad affrontare, li esorta a «impegnarsi in un multilateralismo efficace» e a promuovere il rispetto dei diritti umani nel mondo. Sottolinea poi la necessità di intensificare il coordinamento delle iniziative diplomatiche nella prevenzione e nella gestione delle crisi, e di dare una risposta efficiente e coordinata a pandemie ed emergenze umanitarie. Sicurezza, lotta al terrorismo e diritti umani - Il Parlamento accoglie con favore la decisione del Consiglio europeo di rafforzare il partenariato strategico Ue-nato e la costituzione di un gruppo ad alto livello che migliori la cooperazione tra le due organizzazioni. Invita poi Stati Uniti e Unione europea ad adottare una strategia comune in tutte le sedi internazionali, per il disarmo nucleare e gli armamenti convenzionali, ed esorta l´amministrazione Usa a riprendere l´impegno con la Russia in materia di controllo degli armamenti e disarmo, al fine di ampliare gli accordi bilaterali esistenti tra i due paesi. Sottolineando infine l´importanza di rafforzare la cooperazione atlantica nella lotta al terrorismo «sulla base del pieno rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani», valuta positivamente la decisione di chiudere il carcere di Guantanamo. Allo stesso tempo, però, incoraggia l´amministrazione americana a chiudere «qualsiasi centro di detenzione situato all´esterno degli Stati Uniti e non conforme al diritto internazionale, e a porre esplicitamente fine alla politica delle consegne straordinarie». Sollecita poi la nuova amministrazione statunitense a ratificare e ad aderire allo Statuto di Roma della Corte penale internazionale e ribadisce il proprio appello per l’abolizione della pena di morte. Pur considerando la condivisione di dati e di informazioni uno strumento efficace nella lotta al terrorismo e alla criminalità transnazionale, i deputati ritengono che tale strumento debba essere regolato «da un quadro normativo adeguato, che garantisca una valida protezione delle libertà civili», basato su un accordo internazionale vincolante. Un mercato transatlantico nel 2015, anche finanziario - Chiedendo di includere nel nuovo accordo transatlantico il Consiglio economico transatlantico (Cet), in qualità di organismo incaricato di potenziare l’integrazione economica e la cooperazione normativa, il Parlamento esorta entrambi i partner a superare gli ostacoli all´integrazione economica in vista di un mercato transatlantico unificato per il 2015. Per quanto riguarda l´attuale crisi finanziaria, il Parlamento esorta Stati Uniti e Unione europea a guidare congiuntamente gli sforzi multilaterali per affrontare il problema, e a riformare il sistema senza ricorrere a misure protezionistiche. In proposito si compiace dei progressi finora registrati nel migliorare la cooperazione in settori quali investimenti, aspetti normativi, sicurezza dei prodotti importati e applicazione dei diritti di proprietà intellettuale. Chiede poi una maggiore cooperazione tra le autorità di vigilanza per controllare le attività dei gruppi transfrontalieri e impedire determinate operazioni da parte di istituzioni finanziarie domiciliate in giurisdizioni poco trasparenti e non cooperative, e chiede l´abolizione dei paradisi fiscali. Appoggia anche una progressiva integrazione dei mercati finanziari, ricordando che «il libero accesso ai mercati, l´adeguamento delle norme agli standard mondiali, la loro applicazione uniforme e un dialogo costante con gli attori del mercato sono principi basilari per il suo successo». Ricorda però che tale integrazione «deve essere accompagnata da una revisione del quadro regolamentare e delle norme di vigilanza», e dall´adozione di regolamenti che «garantiscano la concorrenza, assicurino maggiore trasparenza e un´effettiva vigilanza su prodotti, istituzioni finanziarie e mercati, e creino modelli di gestione dei rischi comuni, in linea con gli accordi raggiunti nel vertice del G20 del novembre 2008». Pur riconoscendo che le autorità di vigilanza degli Usa hanno compiuto progressi nell´introduzione degli accordi di Basilea Ii per quanto riguarda le grandi banche, il Parlamento critica il persistere di discrepanze che impongono oneri supplementari alle filiali americane delle banche europee, riducendone così la competitività, e suggerisce quindi al Congresso statunitense di creare una struttura di vigilanza più coerente nei settori bancario e assicurativo per agevolare il coordinamento tra l´Ue e gli Usa. Questioni regionali - In merito alle questioni regionali che impegnano entrambi i partner, i deputati sostengono che nel conflitto israelo-palestinese «Stati Uniti e Unione dovrebbero adoperarsi per intensificare i negoziati (. ) al fine di approdare ad una soluzione che preveda l´esistenza di due Stati». Dovrebbero inoltre cooperare per rendere durevole il cessate il fuoco a Gaza, sostenere gli sforzi a favore della riconciliazione inter-palestinese, e rinnovare le strategie di difesa e promozione dei diritti umani e della democrazia nella regione. Confermano la disponibilità dell´Ue a partecipare alla ricostruzione dell´Iraq, con particolare impegno rivolto alla tutela dello Stato di diritto, al rispetto dei diritti umani e allo sviluppo economico della paese. Affermano poi che in Afghanistan «sono in gioco i valori, la sicurezza e la credibilità della comunità transatlantica» e che Ue, Stati Uniti, Nato e Onu dovrebbero impegnarsi a elaborare una nuova visione strategica comune che accresca la sicurezza e rafforzi le istituzioni statali e locali afgane. Sottolineando che il programma nucleare iraniano (Am 5)«rappresenta una minaccia . Per la stabilità della regione», il Parlamento appoggia l´intento comune di trovare una soluzione negoziata con l´Iran, adottando la duplice strategia del dialogo e delle sanzioni. In tale contesto accoglie con favore l´annuncio del Presidente Obama sulla possibilità di dare maggiore importanza ai contatti diretti con l´Iran. Chiede poi alle parti di sviluppare una strategia comune sul Pakistan per consolidare le sue istituzioni democratiche e la sua capacità di combattere il terrorismo. Usa e Ue sono infine chiamati a coordinare le rispettive politiche nei confronti della Russia e ad impostare con essa una cooperazione sulle questioni di reciproco interesse, quali la sicurezza, il disarmo e la non proliferazione delle armi nucleari, «senza compromettere l´osservanza dei principi democratici, dei diritti umani e del diritto internazionale». . <<BACK

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LA SOSTENIBILITA' PUO' ESSERE UN VANTAGGIO COMPETITITO. MOBILITIAMO IL CAPITALE UMANO CHE TANTI TRAGUARDI IMPORTANTI HA FATTO RAGGIUNGERE AL VENETO (sezione: crisi)

( da "marketpress.info" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Lunedì 30 Marzo 2009 LA SOSTENIBILITA’ PUO’ ESSERE UN VANTAGGIO COMPETITITO. MOBILITIAMO IL CAPITALE UMANO CHE TANTI TRAGUARDI IMPORTANTI HA FATTO RAGGIUNGERE AL VENETO Portogruaro, 30 marzo 2009 - “La sostenibilità rappresenta una delle più importanti fonti di vantaggio competitivo per le imprese. Mobilitiamo ancora una volta il capitale umano che tanti traguardi di successo ha fatto raggiungere alle imprese venete. Il nostro modello sarà nuovamente capace di trascinare il Paese oltre la crisi finanziaria che sta interessando purtroppo anche le nostre città. ” Così, indicando nella ricerca e nell’innovazione una delle strade più efficaci da percorrere per oltrepassare l’odierna congiuntura globale, l’assessore all’Economia, Vendemiano Sartor, ha introdotto il 26 marzo, nella sala della biblioteca antica del polo universitario di Portogruaro, il convegno la sostenibilità come risposta alla crisi economica: la parola agli imprenditori. “Un numero crescente di aziende, grandi e piccole, hanno cominciato processi di profondo cambiamento - ha ricordato l’assessore - per rendere sostenibile e quindi duraturo il proprio sviluppo. Serve continuare a confrontarsi su quali sono gli ostacoli reali o solamente percepiti che rallentano o addirittura impediscono l’implementazione di strategie aziendali improntate sulla sostenibilità. L’importante è saper cogliere le opportunità che persino l’attuale periodo di grande disagio offre e iniziare immediatamente con ottimismo a migliorare e a rendere più moderno il sistema veneto. ” L’economia sostenibile è contemporaneamente un’idea, uno stile di vita, un modo di produrre. Per l’assessore è una forma di sviluppo che non compromette il futuro delle giovani generazioni, che salvaguardia la qualità e la quantità del patrimonio naturale, che garantisce l’equità sociale, che tutela gli ecosistemi. “L’ispirazione che sta alla base del programma regionale di sviluppo e che traccia le linee guida del Terzo Veneto - ha concluso l’assessore - è la sintesi perfetta di competitività e di sviluppo sostenibile: crediamo nelle energie rinnovabili, nella ricerca applicata e nell’innovazione, nella mobilità alternativa, nella salvaguardia delle specificità del territorio e verso tali ambiziosi obiettivi stiamo camminando. ” . <<BACK

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FONDO DI SOLIDARIETA' IN UMBRIA: PRESIDENTE LORENZETTI SCRIVE AI SINDACI, PRESIDENTI PROVINCE E CONSIGLIO REGIONALE (sezione: crisi)

( da "marketpress.info" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Lunedì 30 Marzo 2009 FONDO DI SOLIDARIETA’ IN UMBRIA: PRESIDENTE LORENZETTI SCRIVE AI SINDACI, PRESIDENTI PROVINCE E CONSIGLIO REGIONALE Perugia, 30 marzo 2009 “Anche nella nostra regione si stanno facendo sempre più acute le ripercussioni della crisi finanziaria e a risentirne sono le famiglie a più basso reddito, il nostro sistema produttivo, ed in modo particolare le piccole e medie imprese. La Ceu ha deciso di attivare un ‘Fondo di Solidarietà’ al quale ho fatto la personale scelta di aderire. Vorrei dunque rivolgere anche a voi, e per il vostro tramite estenderlo a tutti i componenti delle vostre assemblee elettive, l’invito ad assumere iniziative personali e volontarie di adesione”. E’ in sintesi il senso della lettera inviata dalla presidente della Regione Umbria, Maria Rita Lorenzetti, ai sindaci dei Comuni umbri, ai presidenti delle Province e al presidente del Consiglio regionale, per invitarli ad aderire alle iniziative della Chiesa umbra a favore dei nuclei familiari in difficoltà. “La Regione ha già provveduto, con la manovra di bilancio, a predisporre un pacchetto integrato di interventi, attraverso la costituzione di un fondo di garanzia di 5 milioni di euro presso Gepafin per favorire l’accesso al credito delle piccole e medie imprese, con provvedimenti a sostegno della patrimonializzazione dei consorzi fidi che impegnano oltre 3,5 milioni di euro, oltre che una serie di misure a favore dei lavoratori coinvolti da crisi aziendali, posti in cassa integrazione o mobilità, con uno stanziamento di 2,5 milioni di euro – scrive la presidente - Questi lavoratori, e le loro famiglie, grazie a queste risorse, potranno beneficiare di una serie di provvedimenti diretti di sostegno, per aiutarli a far fronte alle improvvise difficoltà, come la sospensione del pagamento di bollette e mutui, l´abbattimento delle rette per gli asili nido e il contenimento delle tariffe per il trasporto pubblico”. “Per tutte le altre famiglie che dovessero trovarsi in difficoltà abbiamo stanziato altre rilevantissime risorse per aiutarle, almeno in parte, ad affrontare i disagi della crisi. Sono state quindi incrementate le risorse per l’assistenza di persone non autosufficienti e del fondo regionale per il sostegno ai servizi socio-assistenziali per compensare, in parte, il pesantissimo taglio effettuato dal Governo Berlusconi con la Finanziaria 2009. Inoltre, la Regione si sta coordinando con le amministrazioni comunali al fine di integrare tutte le possibili iniziative”. “La Ceu, per parte sua ha deciso di attivare un ‘Fondo di Solidarietà’, che interverrà con una logica di sussidiarietà e collaborazione rispetto agli interventi regionali e che verrà costituito a partire da una grande colletta regionale, promossa per la quinta domenica di Quaresima, il prossimo 29 marzo. Per ciò che mi riguarda ho fatto la personale scelta di aderire all’invito della Conferenza Episcopale Umbra – continua la lettera - Sono convinta infatti che abbiamo tutti la responsabilità e il dovere di combattere la povertà e fare qualcosa per rendere meno faticosa la vita delle persone e delle famiglie in difficoltà, oltre a quello che già facciamo in quanto pubblici amministratori nella nostra quotidiana azione di governo per contrastare gli effetti negativi di questa crisi. Vorrei dunque rivolgere anche a voi, e per il vostro tramite estenderlo a tutti i componenti delle vostre assemblee elettive, l’invito ad assumere iniziative personali e volontarie di adesione, nelle forme e modalità che riterrete opportune, al Fondo istituito dalla Ceu o ad altre analoghe iniziative di solidarietà”. “Certo, non si può e non si deve dimenticare che questo stato di difficoltà, per famiglie e imprese, è frutto anche di scelte di questo Governo che ha operato la strategia dei ‘tagli’ in settori delicatissimi e fondamentali come le politiche sociali. In ogni caso – conclude la presidente - ed è questo il significato più importante di questa grande iniziativa di solidarietà, l’Umbria civile e solidale non si ritrae e fa la sua parte. Né in termini di carità, né di supplenza. Così come sono certa che, tutti insieme, faremo anche la nostra parte di battaglia politica per contrastare chi, come questo Governo, non assumendosi in pieno la responsabilità di iniziative concrete di contrasto della grave crisi economica, fa ricadere su di noi, Regioni e Comuni, che siamo gli enti a più diretto ed immediato contatto con i cittadini, il compito di affrontare le vere emergenze di questa crisi”. . <<BACK

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(sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera - MILANO - sezione: Cronaca di Milano - data: 2009-03-30 num: - pag: 2 categoria: REDAZIONALE Assolombarda. Lettera della Bracco «Innovazione e coraggio la ricetta contro la crisi» SEGUE DALLA PAGINA 1 Il futuro dell'economia dipenderà anche da quando tutti insieme riusciremo a interrompere questo avvitamento da «shock da incertezza». La crisi deve indurre noi imprenditori a ripensare virtuosamente alcune caratteristiche delle nostre imprese, a «fare ordine» in casa e a innovare prodotti e processi: questo siamo chiamati a fare, con la consapevolezza che, per raccogliere importanti risultati domani, le leve fondamentali sono soprattutto ricerca, innovazione e nuove tecnologie. Come Confindustria, abbiamo chiesto con forza al Governo di fare uno sforzo particolare per dare un segno concreto a chi investe, attraverso un sostegno ai nuovi progetti di ricerca e usando gli importantissimi strumenti sgravi fiscali e credito d'imposta per le attività di ricerca. Il Centro Studi di Assolombarda ci dice che l'indice del clima di fiducia delle imprese manifatturiere milanesi è cresciuto per il secondo mese consecutivo. Abbiamo ottenuto precisi impegni da Regione Lombardia e Camera di Commercio di Milano per una loro iniezione straordinaria di risorse per aumentare le garanzie legate ai Confidi e per contributi diretti alle imprese. Inoltre, Assolombarda, ha firmato con Abi, Organizzazioni sindacali dei lavoratori e Provincia un'importante Convenzione per l'anticipazione dell'indennità di Cassa integrazione straordinaria a favore dei dipendenti attivi nel territorio della Provincia. Le segnalo inoltre che Assolombarda ha potenziato il suo servizio «Filo Diretto Credito», che offre informazione, consulenza e rappresentanza alle imprese associate, e ha attivato «Pool Rilancio Aziendale» per prevenire situazioni di crisi aziendale. Da ultimo abbiamo creato un Tavolo tecnico con Abi e le principali banche del territorio finalizzato a condividere valutazioni, analizzare la situazione attuale, cercare di individuare e promuovere interventi idonei al superamento della crisi e rafforzare il dialogo e il rapporto tra le banche e le imprese. Dunque Assolombarda sta facendo il possibile per aiutare le imprese a superare le difficoltà create dalla crisi finanziaria. E io sono certa che se in Italia, con l'impegno di tutti, vincerà la cultura dell'innovazione, della sana gestione, della responsabilità, del «lavorare insieme», insomma la cultura del fare e del far bene, la crescita tornerà presto a essere alla nostra portata. Diana Bracco

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Terremoto ai vertici dell'auto Peugeot licenzia Streiff (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Primo Piano - data: 2009-03-30 num: - pag: 8 categoria: REDAZIONALE Terremoto ai vertici dell'auto Peugeot licenzia Streiff «Difficoltà eccezionali, ora un'altra guida». Arriva Philippe Varin Con gli azionisti contrasti per l'insofferenza del manager nei confronti dei condizionamenti del governo DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI — è la prima testa a cadere nella grande crisi dell' auto francese. Da ieri sera, Christian Streiff non è più al vertice del gruppo Psa Peugeot-CitroËn. Il consiglio di sorveglianza, sotto la presidenza di Thierry Peugeot (rappresentante della famiglia e azionista di riferimento, 30% delle azioni e 44% dei diritti di voto), ha messo fine al mandato dell'amministratore delegato. Una decisione solo in apparenza sorprendente e improvvisa. Voci di contrasti con la proprietà e incompatibilità con il management del gruppo circolavano da tempo a Parigi e la «defenestrazione» era stata anticipata ai primi di marzo dal quotidiano economico La Tribune. Alcune posizioni pubbliche assunte da Streiff sulla crisi dell'auto e sul modo di uscirne e una non nascosta insofferenza verso possibili condizionamenti in relazione agli aiuti di Stato avrebbero ulteriormente raffreddato i rapporti con gli azionisti. «Il consiglio di sorveglianza, all'unanimità, ha ritenuto che le difficoltà eccezionali dell'industria automobilistica impongano un cambiamento di gestione alla guida del gruppo», ha dichiarato il presidente, Thierry Peugeot. Streiff verrà sostituito da Philippe Varin, 56 anni, ex dirigente di Pechiney, passato alla Corus, gruppo siderurgico anglo- olandese recentemente acquisito dall'indiana Tata. Manager di grande esperienza internazionale, Varin s'insedierà ufficialmente a giugno, ma già da aprile comincerà ad occuparsi della gestione della casa automobilistica. La direzione provvisoria è stata affidata a Roland Vardanega, membro del consiglio. Psa Peugeot-CitroËn ha registrato perdite nette di 343 milioni lo scorso anno e le previsioni per l'anno in corso sono pessimistiche. Lo stesso Streiff aveva delineato un quadro deprimente del mercato, annunciando fra l'altro il taglio di 11 mila posti di lavoro, il 5% degli occupati. Una misura che colpirebbe stabilimenti del gruppo in vari Paesi, ma anche in Francia, sia pure su base volontaria. è nota, sotto questo profilo, la posizione del presidente Nicolas Sarkozy, che ha deciso la concessione dei prestiti alle case francesi (circa 6 miliardi, ripartiti fra Renault e Psa) e gli incentivi all'acquisto di vetture, condizionandoli al mantenimento dei posti di lavoro in Francia. Al punto da doversi difendere dall'accusa di protezionismo. è naturalmente presto per valutare se la defenestrazione di Streiff possa subito incidere sulle voci di possibili alleanze del gruppo Psa con Fiat o in alternativa con Bmw, secondo le ripetute indiscrezioni delle scorse settimane. Streiff aveva confermato la ricerca di un «partner complementare», senza escludere niente. Arrivato al vertice di Peugeot- CitroËn soltanto due anni fa, Christian Streiff si è trovato ad affrontare il momento più difficile per l'auto francese e, nello stesso tempo, a confrontarsi con l'eredità di Jean-Martin Folz, protagonista assoluto del grande rilancio negli ultimi anni. Il suo carattere spigoloso (e recenti problemi di salute) non lo avrebbero aiutato. L'uomo è abituato allo scontro, alla sconfitta e alla rinascita. Prima di prendere le redini della Peugeot, Streiff è stato presidente esecutivo di Eads, il gruppo che produce Airbus, in un momento molto delicato delle relazioni franco-tedesche. Dopo essersi scontrato con le difficoltà di una gerarchia parallela e i ritardi di produzione, sbatte la porta. L'esperienza è durata poche settimane. Nato in Mosella, 53 anni, perfettamente a suo agio con la lingua e la cultura tedesche, Streiff è uscito dalle grandi scuole francesi e ha compiuto tutta la carriera di manager alla Saint Gobain, all'ombra di Jean-Louis Beffa, suo grande estimatore, ma non fino al punto di consegnargli lo scettro. Appassionato di scalate in montagna e immersioni, Streiff ama la scrittura e ha pubblicato recentemente un romanzo ambientato nella ex Germania comunista. Massimo Nava Manager Christian Streiff (foto grande), rimosso ieri dal vertice di Peugeot-CitroËn A lato il successore Philippe Varin, viene da Corus

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E Obama affonda Wagoner alla vigilia dei nuovi aiuti (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Primo Piano - data: 2009-03-30 num: - pag: 9 categoria: REDAZIONALE Il piano Usa Oggi gli interventi per General Motors e Chrysler E Obama affonda Wagoner alla vigilia dei nuovi aiuti Il monito della Casa Bianca: Detroit deve fare di più SEGUE DALLA PRIMA Le sue dimissioni sono trapelate ieri e sono il segno del passaggio dall'era della concertazione nella quale il management GM, anziché al rinnovamento tecnologico dei prodotti, badava in primo luogo a gestire l'azienda con l'accordo dei sindacati e delle istituzioni locali, a una fase di dirigismo col governo federale che diventa protagonista. Con l'obiettivo di evitare il fallimento e salvare posti di lavoro, ma anche per ottenere dai gruppi di Detroit scelte industriali in linea con le politiche ambientali e di risparmio energetico dell'amministrazione Obama. Wagoner era convinto di cavarsela anche stavolta nonostante una situazione aziendale sempre più disastrosa e le ripetute richieste di dimissioni venute dal Congresso. Solo dieci giorni fa aveva dichiarato in un'intervista di considerarsi perfettamente in sella. Ma agli occhi di Obama - che aveva chiesto alle aziende automobilistiche in crisi di presentare piani di risanamento credibili, se volevano l'aiuto del governo per restare sul mercato - i contribuenti americani, chiamati a finanziare un altro "round" del salvataggio GM, oggi sono più importanti dei sindacati. Così ieri, a poche ore dalla riunione odierna nella quale ufficializzerà i nuovi interventi a sostegno del settore automobilistico, il presidente ha giudicato "inadeguati" i piani inviati alla sua "task force" da General Motors e Chrysler. A quel punto i vertici della GM hanno chiesto al loro "top manager" di dimettersi. La stessa Casa Bianca non ha avuto difficoltà ad ammettere che l'uscita di scena di Wagoner era una delle condizioni per il via libera alla "fase 2" del salvataggio. I due gruppi, che già avevano ottenuto un "fondo di sopravvivenza di 16 miliardi di dollari nel dicembre scorso, qualche settimana fa avevano, infatti, chiesto altri 22 miliardi per arrivare alla fine del 2009 senza dover portare i libri in tribunale. Le dimissioni di Wagoner sigillano una settimana, quella appena conclusa, che per Tim Geithner è stata assai dura: due tesissime audizioni parlamentari, numerose apparizioni in pubblico col ministro che tentava di convincere platee scettiche dell'efficacia degli interventi del governo, l'annuncio di una riforma delle norme che regolano la finanza e un piano di salvataggio del sistema bancario, che è stato ben accolto dai mercati. Quella che inizia oggi sarà, per il ministro del Tesoro Usa, una settimana altrettanto cruciale: un difficilissimo G 20 a Londra, con contorno di proteste popolari contro i responsabili della crisi finanziaria divenuta crisi globale, ma, prima, le decisioni della "task force" per il settore dell'auto che dipende proprio dal Tesoro: un salvataggio a spese del contribuente molto impopolare ma al quale Obama non si sente di rinunciare, nel bel mezzo di una profonda recessione e con la disoccupazione già alle stelle. Geithner avrebbe avuto tutti i motivi per concedersi un week end di tregua. Invece, non solo ha rinunciato al riposo per saltare da un talk show domenicale all'altro, ma in tv è anche apparso per la prima volta sorridente e abbastanza rilassato. Continua a vivere in una condizione di perenne emergenza, ma sembrano ormai lontani i giorni in cui il comico Bill Maher mostrava ai telespettatori due immagini - Geithner «torchiato» davanti al Parlamento e un cervo spaventato e chiedeva a Obama di assumere il cervo come ministro del Tesoro. 47enne come Obama, Geithner si è rassegnato a essere il suo ministro-parafulmine. A chi, ieri, gli chiedeva come fosse possibile vivere perennemente sulla graticola, ha risposto con un sorriso rassegnato: «Me ne sono fatto una ragione. Ho capito che toccherà a me fare cose assai impopolari e per un lungo periodo di tempo». Si comincia oggi con le misure per l'auto: ieri Geithner ha confermato che il governo è pronto a prestare altro denaro a GM e Chrysler per arrivare in fondo a un 2009 difficilissimo. Crollato nell'autunno scorso, il mercato non ha ancora dato segni di ripresa. La domanda annua degli Usa, che in passato si manteneva poco sopra o poco sotto i 16 milioni di veicoli, quest'anno non dovrebbe andare oltre i 10 milioni e mezzo di vetture. GM e Chrysler hanno presentato i loro piani di risanamento al governo (la Ford, che ha una situazione finanziaria migliore, non ha per ora bisogno di sostegni pubblici). La task force guidata da Steve Rattner (un finanziere democratico che si è messo al servizio di Obama) li ha analizzati per capire se, dopo la ristrutturazione - quella della Chrysler basata sul contributo imprenditoriale e tecnologico della Fiat - i due gruppi saranno in grado di andare avanti con le loro gambe. La forte contrazione del mercato suggerisce grossi tagli di capacità produttiva e una riduzione del numero dei protagonisti che operano sul mercato. Sapendo che i finanziamenti all'auto coi soldi dei contribuenti sono impopolari, ieri Obama ha detto pubblicamente che i piani presentati sono insufficienti e ha chiesto a tutte le parti gruppi automobilistici, sindacati, fornitori - di impegnarsi a fare molti di più in termini di ristrutturazione del settore. Massimo Gaggi Dimissioni L'amministratore delegato di General Motors, Richard Wagoner Nuovo piano Oggi l'annuncio del presidente Barack Obama

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Ocse: . Ma Sacconi invita alla cautela (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Primo Piano - data: 2009-03-30 num: - pag: 9 categoria: REDAZIONALE Il summit Oggi la prima sessione del G8 dedicato ai problemi del lavoro. «La ripresa? Arriverà soltanto nel 2010» Ocse: «Disoccupazione al 10%». Ma Sacconi invita alla cautela ROMA — L'Ocse lancia l'allarme occupazione. Anticipando i dati che il segretario generale dell'organizzazione dei 30 Paesi più industrializzati del mondo Anguel Gurria illustrerà oggi alla prima sessione del G8 Social Summit, «la ripresa arriverà solo nel 2010 e sarà sottotono, i tassi dei senza lavoro torneranno a due cifre». Cioè almeno al 10%. Una stima che non piace al ministro del Welfare Maurizio Sacconi il quale, come ospite del summit, in apertura invita a essere «cauti con le diverse previsioni che continuano ad essere prodotte perché spesso le stesse organizzazioni che le fanno sono costrette a correggerle ». Ma l'attrazione verso le cifre è troppo forte e anche la bozza del documento finale del prossimo G20, che si apre a Londra giovedì e che il Financial Times ha pubblicato in esclusiva, si affida a loro: «Tutte le misure messe in atto dai governi faranno tornare l'economia globale a crescere non prima del 2010, quando il Pil aumenterà del 2% con la creazione di oltre 20 milioni di posti di lavoro». Il documento conferma la volontà politica dei Grandi a contrastare il protezionismo e a portare a termine i negoziati del Doha Round sul commercio internazionale bloccati da due anni. In previsione degli incontri di Londra, Sacconi in questi giorni cercherà di vincolare — con un documento condiviso — gli interventi fiscali e finanziari del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale ai Paesi che rispettino la dignità dell'uomo e i diritti del lavoro e non solo i parametri liberisti. Insomma, va bene il «legal standard» per isolare l'economia «tossica», ma occorre puntare sulla centralità dell'uomo, «People First». «Il clima della fiducia — ha ripetuto il ministro — deve partire dalle persone e per questo chiederò a tutti di mantenere redditi e posti di lavoro perché se non c'è coesione sociale non può esserci stabilità economica». Anche John Evans, il segretario generale dell'organizzazione che raggruppa tutti i sindacati del mondo (Tuac), si è augurato che i governi «dopo aver stanziato ingenti risorse per salvare le banche ora sostengano i posti di lavoro». «è una situazione pericolosa — ha avvertito — con la crisi in corso sono i lavoratori a pagare il prezzo più alto e la rabbia scoppierà». Come intervenire e quali ricette suggerire ai Paesi del G8 e del G20 è compito degli esperti tra politici, sindacalisti e imprenditori, riuniti a Roma fino a domani. Sacconi ed Evans hanno individuato entrambi nei contratti di solidarietà una formula in grado di alleggerire i conti delle aziende e garantire il posto di lavoro. Lo slogan «lavorare meno lavorare tutti» potrebbe essere incentivato da risorse pubbliche come antidoto per arrivare alla fine del tunnel. E ieri il leader della Cisl Raffaele Bonanni ha annunciato che il governo italiano adotterà un emendamento per assegnare 35 milioni di euro per potenziare il fondo di solidarietà ridotto a 5 milioni di euro. La proposta verrà inserita nel decreto incentivi e dovrebbe andare in votazione alla Camera mercoledì. Per Alberto Bombassei, vicepresidente di Confindustria, «è proprio in momenti come questi che bisogna avere il coraggio di fare quelle riforme difficili e complicate che normalmente non si ha la forza di fare». E rispondendo a Sacconi — che criticando le previsioni facili si è indirettamente rivolto anche alla Confindustria che nei giorni scorsi aveva annunciato 500 mila disoccupati in due anni— ha affermato che «il ministro fa il ministro e fa il suo lavoro ma il nostro ufficio studi non può che fare le cose con realismo ». Roberto Bagnoli Noalprotezionismo Il documento che anticipa le conclusioni del G20 ribadisce il no dei governi al protezionismo Contratti Raffaele Bonanni (Cisl): il governo stanzierà altri 35 milioni per il fondo dei contratti di solidarietà Maurizio Sacconi Il ministro del Welfare invita a una «maggiore cautela» sulle previsioni economiche

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La crisi e il principio del Gattopardo (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Opinioni - data: 2009-03-30 num: - pag: 28 categoria: REDAZIONALE COME SALVARE IL LIBERO MERCATO La crisi e il principio del Gattopardo di NIALL FERGUSON I dilemmi della vita sono più semplici dei trilemmi. Scegliere tra due opzioni può essere difficile, ma scegliere fra tre è pressoché impossibile. Il «trilemma» di cui parlo è economico. Sancisce che un Paese può disporre di due dei seguenti fattori, ma non di tre: apertura al flusso del capitale internazionale; tasso di cambio fisso; e una politica monetaria nazionale indipendente. I Tory se ne resero conto a loro spese nel 1992, quando il governo Major tentò di combinare assieme tutti e tre questi elementi, ma senza esito. Agganciare il tasso di cambio della sterlina con il marco tedesco in un momento in cui l'economia britannica era in recessione e i prezzi immobiliari in caduta libera, mentre i manager degli hedge fund, come George Soros, avevano le mani completamente libere per ricorrere al leverage contro la Banca d'Inghilterra, non rappresentò una mossa politica saggia, né tanto meno sostenibile. Per molti Tory, l'uscita del Regno Unito dal sistema monetario di cambio dello SME fu una rivincita dei loro principi a sostegno del libero mercato. Nelle celebri parole di Margaret Thatcher, non si può «piegare il mercato». Ma all'epoca non si era compresa appieno la magnitudine della sfida che la globalizzazione finanziaria lanciava ai conservatori. Già nel 1992, la Banca dei Regolamenti Internazionali stimava il giro d'affari giornaliero, nei mercati di cambio mondiali, a più di un trilione di dollari. All'epoca, le riserve internazionali combinate delle banche centrali di Gran Bretagna, Francia e Italia erano inferiori a 150 miliardi di dollari. Soros, da solo, fu in grado di scommettere 10 miliardi di dollari sulla svalutazione della sterlina. Man mano che altri speculatori seguivano le sue orme, la semplice aritmetica faceva capire che la Banca d'Inghilterra sarebbe stata travolta, per quanto alti mantenesse i suoi tassi d'interesse. Nei 15 anni intercorsi tra la disfatta del sistema monetario di cambio e l'inizio della crisi finanziaria globale nell'estate del 2007, lo squilibrio tra i mercati finanziari e i governi è cresciuto a ritmo esponenziale. Nel 2006 la stima della produzione economica dell'intero pianeta si aggirava sui 48,6 trilioni di dollari. La capitalizzazione di mercato totale delle borse mondiali era di 50,6 trilioni di dollari, superiore di un 4 per cento. Il valore complessivo dei titoli interni e internazionali era di 67,9 trilioni di dollari, superiore del 40 per cento. Ogni giorno, 3,1 trilioni di dollari cambiavano di mano nei mercati di cambio mondiali, il triplo del volume raggiunto nel 1992. Ad alimentare questa tremenda crescita dei mercati finanziari c'era la quadruplice liberalizzazione dei mercati internazionali: per i beni, i servizi, il capitale e il lavoro. Non era un quadro esclusivo al mondo anglosassone: la globalizzazione, come suggerisce il nome, è dappertutto. Ma per la destra anglofona è stata foriera di conseguenze particolari. Passati inosservati dai conservatori britannici, americani e perfino australiani, questi grandi sconvolgimenti hanno creato un nuovo e ben più grave trilemma. Supponiamo che un governo possa disporre di due di questi fattori, ma non di tutti e tre insieme: la globalizzazione, vale a dire l'apertura al flusso internazionale di beni, servizi, capitale e lavoro; la stabilità sociale; e uno stato piccolo. Ovvero, per dirla in altre parole, i conservatori possono scegliere due voci tra: economia aperta, società stabile e potere politico — ma non tutte e tre. Come mai? La globalizzazione, si viene a scoprire, determina un sistema economico altamente efficiente in gran parte dei casi, perché le risorse sono distribuite nel modo migliore grazie agli effetti della divisione del lavoro e dei vantaggi comparati. Ma è anche soggetta a crisi: crisi minori ogni decennio all'incirca, crisi maggiori ogni cinquant'anni. L'effetto della globalizzazione appare pertanto a doppio taglio. La volatilità economica viene a lungo contenuta dall'integrazione internazionale. Tuttavia, i recenti avvenimenti mostrano che la volatilità su vasta scala non è sparita del tutto — e non è mai scomparsa su scala ridotta, per il singolo cittadino o azienda — anzi, la globalizzazione sembra averla accentuata. Nel breve raggio, dobbiamo rassegnarci a vivere con mutamenti sempre più grandi e frequenti nell'impiego e nel reddito; nel lungo raggio, con la probabilità che ci toccherà subire come minimo una crisi globale davvero imponente. Non è affatto una coincidenza, né un'assurdità, che la presente crisi sia percepita da molti della sinistra — non da ultimo dal capo dell'ufficio della Casa Bianca del democratico più a sinistra mai eletto alla presidenza degli Stati Uniti — come un'ottima occasione, da non lasciarsi scappare. Costoro si propongono di rispolverare la Teoria Generale di John Maynard Keynes, che suggerisce come il calo nei consumi privati e negli investimenti possa e debba essere compensato da un aumento della spesa pubblica, finanziata dal prestito. Il fatto che tali famosi rimedi adottati per l'ultima Grande Depressione abbiano, alla lunga, fatto precipitare l'Occidente nel caos, che alcuni di noi ancora ricordano dagli anni Settanta, non sembra aver alcun peso. Come stanno scoprendo i conservatori nel mondo anglofono, gli argomenti che si sono rivelati così efficaci negli anni Ottanta, oggi sembrano vani. Occorre denunciare l'irresponsabilità di deficit così mastodontici? O continuare a proporre tagli fiscali? E' difficile fare l'una e l'altra cosa contemporaneamente. Il recente passo falso di Ken Clarke sull'abolizione della tassa di successione per i patrimoni dal valore inferiore al milione di sterline illustra il problema: è questo l'«obiettivo » dei conservatori? O un «impegno»? Oppure la domanda è irrilevante? Nel tentativo di accalappiare i tre fattori, i conservatori finiscono con l'essere accusati dello scompiglio sociale che la globalizzazione si porta dietro, in particolare la perdita dei posti di lavoro causata dalla delocalizzazione, la fuga dei capitali all'estero e l'immigrazione. Solo la sinistra sembra avere una risposta credibile: la globalizzazione, più la stabilità sociale, più un governo forte e interventista. Esiste qualche possibilità che i conservatori risolvano il trilemma senza abbandonare né l'adesione al libero mercato, né l'impegno per l'ordine sociale, né l'obiettivo di uno stato piccolo? Io credo di sì, ma occorrerà ridefinire ciascuno di questi elementi. I conservatori devono riconoscere non solo l'intrinseca vulnerabilità dell'economia globale liberalizzata, ma anche le continue distorsioni imposte dai governi ai mercati mondiali, che ne hanno aggravato la vulnerabilità. Inoltre, non si capisce perché la stabilità sociale debba essere considerata sacrosanta: è bene, anzi, che i conservatori siano pronti ad abbracciare i cambiamenti sociali in virtù di quello che potremmo definire il «principio del gattopardo», dall'aforisma del celebre romanzo di Tomasi di Lampedusa: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi! » Infine, ai conservatori spetta sostenere l'idea che uno «Stato intelligente» può regolare più efficacemente l'interazione tra globalizzazione e mutamenti sociali senza dover ripiegare sul modello socialista keynesiano della pianificazione economica. Pertanto, la prima parte della soluzione conservatrice all'attuale crisi consiste nel riaffermare la nostra fede nella visione di Adam Smith, e cioè che la ricchezza delle nazioni si accresce grazie al libero scambio, e puntando il dito contro le innumerevoli distorsioni governative che ostacolano ancora oggi l'avanzare della globalizzazione. La seconda parte mette al bando le preoccupazioni e ci invita a goderci i cambiamenti della società. Nessuno vuole l'instabilità, certo, ma neppure la stasi. Il segreto sta nel distinguere tra una società ordinata, in cui criminalità e altre forme di disordine sono mantenute al minimo, e una società rigida, nella quale l'ordine si ottiene a spese della mobilità sociale. La differenza fondamentale tra i conservatori e i loro oppositori non dev'essere (come vorrebbe la sinistra) che i conservatori sono a favore della diseguaglianza, mentre la sinistra appoggia l'eguaglianza. La differenza sta nel fatto che i conservatori spingono verso la mobilità sociale e sono convinti che alcune misure adottate per promuovere l'eguaglianza — in particolare la redistribuzione della ricchezza su vasta scala — rischiano, involontariamente, di ridurre la mobilità. La terza parte della mia soluzione incita a riflettere più intensamente sul funzionamento dello Stato. Uno degli aspetti più inquietanti dei conservatori britannici negli ultimi anni è stata l'arrendevolezza dei leader del partito, che hanno consentito al governo laburista di appropriarsi dell'autorità morale sulla questione della spesa pubblica e, fino a un certo punto, sulla fiscalità. Emancipati dalla crisi finanziaria, i governi della sinistra su entrambi i lati dell'Atlantico oggi assistono a un balzo vertiginoso della spesa pubblica, del debito pubblico e del pubblico impiego, i cui benefici a breve termine sono senz'altro esagerati, e i cui costi a medio termine sono quasi certamente sottostimati. Eppure fino ad oggi i conservatori non hanno saputo articolare una risposta coerente. E' ora che ci provino, lasciandosi alle spalle i corni del trilemma. Traduzione di Rita Baldassarre

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Ocse, pericolo disoccupazione (sezione: crisi)

( da "Miaeconomia" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

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il presidente obama alla prova dell'europa (sezione: crisi)

( da "Centro, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Pagina 2 - Attualità Il presidente Obama alla prova dell'Europa G20, Nato e vertice Usa-Ue: agenda ambiziosa, ma immagine indebolita WASHINGTON. La "Nuova America" di Barack Obama sbarca domani in Europa per affrontare il primo test internazionale del nuovo inquilino della Casa Bianca. Con tre vertici nel giro di cinque giorni - G20 a Londra, riunione Nato a Strasburgo, vertice Usa-Ue a Praga -, incontri con oltre 40 leader mondiali, due discorsi importanti sui rapporti transatlantici (in Francia) e la proliferazione nucleare (nella Repubblica Ceca), e una sosta finale in Turchia. Alla Casa Bianca non si nasconde però il timore che la stessa Europa che aveva riservato un anno fa accoglienze da rockstar al carismatico candidato alla presidenza possa dare questa volta un benvenuto meno entusiasta al nuovo inquilino dello Studio Ovale. Alle proteste già previste a Londra e Strasburgo dei pacifisti contrari all'inasprimento Usa della guerra in Afghanistan, si accompagneranno le perplessità dei leader europei sollecitati da Obama ad accogliere i detenuti di Guantanamo, a imitare la ricetta Usa di poderosi pacchetti di stimolo, ad aumentare il contributo (militare e civile) alle operazioni in Afghanistan. Scopo dichiarato della visita di Obama, che in otto giorni toccherà cinque Paesi, è quello di cominciare «a ripristinare il prestigio dell'America nel mondo» gravemente scosso durante gli otto anni di amministrazione Bush, fanno sapere i funzionari della Casa Bianca. Tanto per cominciare, Obama avrà un atteggiamento diverso: è pronto ad ascoltare ed a considerare le opinioni e le idee dei suoi interlocutori e intende "guidare con l'esempio", soprattutto per quanto riguarda le iniziative per fronteggiare la crisi economica. Inoltre Obama ha già corretto, in poco più di due mesi di presidenza, molte delle politiche di George W. Bush che erano il bersaglio delle critiche degli altri Paesi: ha ordinato la chiusura di Guantanamo, ha annunciato il calendario del ritiro delle truppe americane in Iraq, ha sposato la causa della lotta al cambiamento del clima, ha teso la mano all'Iran, ha annunciato una nuova strategia per l'Afghanistan e il Pakistan («non prevediamo ingresso di truppe in territorio pakistano», ha dichiarato ieri). Ma la "Nuova America" che il presidente Obama presenta all'Europa in questo suo primo viaggio oltreoceano è anche un'America gravemente indebolita dalla crisi finanziaria. Una crisi che ha provocato un ripensamento del "modello americano" finora presentato come il migliore esistente con la sua enfasi sulla libertà dei mercati e sulla deregulation (cioè il fattore all'origine della crisi). è una situazione che indebolisce la posizione di Obama in vista del G20. L'enfasi degli Usa sulla necessità di varare massicci pacchetti di stimolo nazionali per far ripartire l'economia non è condivisa da molti Paesi europei e la Casa Bianca ha già cominciato a mettere le mani avanti: non ci saranno richieste specifiche a Londra da parte americana su questo fronte. Così come al vertice Nato di Strasburgo e Kehl Obama non chiederà direttamente un aumento di forze militari in Afghanistan ai Paesi alleati.

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Obama l'europeo si gioca tutto in una settimana/di Marcello Foa (sezione: crisi)

( da "Giornale.it, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

n. 13 del 2009-03-30 pagina 16 Obama l’europeo si gioca tutto in una settimana di Marcello Foa Il presidente americano sbarca domani nel Vecchio Continente. Affronterà G20, vertici con la Nato e la Ue, i primi faccia a faccia con Russia e Cina. Ma le premesse non sembrano incoraggianti: su crisi economica e Afghanistan rischia di tornare a mani vuote Quando arrivò in Europa nel luglio scorso, Barack Obama venne accolto da una folla oceanica a Berlino, mentre i leader dei grandi Paesi sgomitavano per farsi ritrarre al suo fianco. Era l'uomo della speranza, della fiducia, di un'America che, nonostante la presidenza Bush, era ancora considerata la potenza di riferimento. Ma Wall Street non era ancora crollata. Domani Obama tornerà in Europa con un programma molto intenso: sbarcherà a Londra per il G20 e per l'incontro con il presidente russo Medvedev, giovedì sarà a Strasburgo al vertice della Nato e al summit con la Merkel e Sarkozy, venerdì andrà a Praga dove è in programma la riunione euro-americana, sabato effettuerà la prima visita in un grande Paese musulmano, ovvero la Turchia. La sua popolarità è ancora altissima e tutti i leader, non solo europei, lo accoglieranno festosi. Il successo di immagine è assicurato e sarà amplificato da un incontro a Praga con i giovani della Repubblica ceca e in collegamento video con i giovani di tutto il mondo. Eppure politicamente il viaggio di Obama rischia di passare alla storia come uno dei più grandi insuccessi della diplomazia o, più probabilmente, come il primo di un'America a cui il mondo non riconosce più lo status di superpotenza. Un'America che, svanita l'arroganza dei neoconservatori, «viene ad ascoltare», come ha riconosciuto il portavoce presidenziale Robert Gibbs e che non potendo più di dar lezioni conta «di continuare a guidare attraverso l'esempio». Un'America contrita, umile, quasi supplicante, che dà l'impressione di essere disposta a far la pace con chiunque in cambio del riconoscimento della sua importanza. Il nodo è rappresentato dalla crisi finanziaria. Europa, Cina e Russia non hanno ormai dubbi: la responsabilità della crisi mondiale è degli Stati Uniti e di un modello economico che, attraverso la globalizzazione, ha contagiato il mondo, liberando da ogni controllo banche e gruppi finanziari, che hanno assunto un potere enorme, spropositato. E ora devono essere gli Usa a uscire dai guai. Da soli. Il messaggio più forte che verosimilmente emergerà da questo intenso viaggio di Obama è proprio questo. L'Europa ha deciso di non seguire l'America sulla via del rilancio economico, perlomeno non secondo le modalità statunitensi. Obama, in circa due mesi, ha approvato misure, che, inclusi i salvataggi delle banche e delle industria in difficoltà, toccheranno l'astronomica cifra di 4500 miliardi di dollari, pari quasi al 30% del Pil. E per settimane l’amministrazione Obama, con il martellante sostegno della stampa, ha tentato di convincere l'Unione europea ad uniformarsi agli Usa. Ma la cancelliera tedesca Merkel, spalleggiata da Sarkozy, ha tenuto duro e ha vinto. Sabato i consiglieri della Casa Bianca hanno annunciato che Obama non insisterà con i leader dei venti Paesi più importanti del pianeta sulla necessità di varare la prima, grande, coordinata manovra mondiale. La bozza della risoluzione, trapelata su un giornale tedesco, esprimerà un auspicio generico, senza alcun vincolo. Come dire: ognuno faccia da sé. Anche sull'altro dossier importante, l'Afghanistan, Obama tornerà a Washington, quasi certamente, a mani vuote. Il copione è identico. Un paio di mesi fa il presidente Usa ha deciso una nuova offensiva contro i talebani, che comporta l'invio di altri 30mila marines, e per settimane ha sollecitato gli alleati europei a fare altrettanto. Un mese fa ha inviato a Bruxelles il suo vice Joe Biden che, in un summit della Nato, ha usato toni assai bruschi per convincere i Paesi «riottosi». Invano: l'opinione pubblica europea non accetta di mandare altre truppe e, in tempi di crisi, sono pochi i governi disposti a sfidare le piazze. La tendenza, semmai, è al ritiro da Kabul. Ovunque Obama si volti, c'è un problema. Vedrà Medvedev, ma il disgelo con la Russia rischia di essere lento, finché non verrà risolto il problema dello scudo spaziale. Neanche il presidente russo gli darà conforto, perché dire «niet» o «no» o «nein» agli Usa non è più un tabù. http://blog.ilgiornale.it/foa © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

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(sezione: crisi)

( da "Corriere Economia" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere Economia - NAZIONALE - sezione: Economia - data: 2009-03-30 num: - pag: 20 categoria: REDAZIONALE Il gestore «Gli hi yield volano al 18% Per inseguirli serve l'air bag» I rendimenti delle obbligazioni societarie a basso rischio ( investment grade ) battono i titoli governativi di almeno 3-4 punti percentuali. Nel mondo delle emissioni ad alto rischio ( hi-yield ) non è raro che la cedola raggiunga punte del 16-18%». Il quadro del mercato del reddito fisso tratteggiato da Gibson Smith , responsabile delle gestioni obbligazionarie e hi yield (alto rischio e alto rendimento) del gruppo americano di asset management Janus Capital , ha colori rosa e oro. >E questo perché «per effetto della crisi finanziaria che si sta lentamente risolvendo sul mercato del reddito fisso si sono create occasioni di guadagno irripetibili, quasi mai rintracciabili in periodi di normalità». Naturalmente i titoli ad altissimo rendimento sono come materiale radioattivo. E i piccoli risparmiatori possono avvicinarsi a questo tipo di investimento unicamente attraverso i fondi specializzati se non vogliono correre il rischio di vedere incenerito il capitale. «Anche per noi gestori il problema più delicato consiste nell'evitare i titoli di quelle società che rischiano il default , quindi di non rimborsare il debito », avverte. Ma con gli strumenti matematici e previsionali di cui dispongono gli specialisti questo pericolo viene tenuto sotto ragionevole controllo. Ma quali sono stati i principali effetti della crisi finanziaria sul mercato del reddito fisso? «In questi mesi sono scomparse intere classi di investimento, ad esempio le obbligazioni collegate ai mutui ipotecari, che sono state al centro del problema », dice Smith. «Ma le categorie obbligazionarie sopravvissute, i corporate bond e le emissioni hi yield, appunto, hanno migliorato notevolmente il loro grado di convenienza. Dal punto di vista geografico il gestore non ha dubbi: «le migliori occasioni di investimento si trovano in questo momento sul mercato statunitense ». Anche i paesi emergenti offrono buone opportunità, «ma noi scegliamo sempre le singole aziende, non facciamo scommes se-paese», prec isa. Se si guarda invece ai settori industriali il fund manager conferma grande cautela verso le obbligazioni bancarie. Piacciono invece i titoli di debito emessi dalle aziende di quei settori meno ciclici e parzialmente immuni ai rischi di crisi, come l'alimentare. Seguono le obbligazioni emesse dalle società specializzate nella logistica e nei trasporti. Quindi le telecom, la cui cedola non teme cedimenti. «Un suggerimento, per gli investitori in euro, è sempre quello di scegliere fondi specializzati coperti dal rischio di cambio », aggiunge Smith. Le onde prodotte dalle oscillazioni valutarie potrebbero infatti cancellare le performance. M.SAB. Alto rendimento Gibson Smith (Janus capital)

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Banche "pulite" le brutte sorprese dello Zio Tim (sezione: crisi)

( da "Affari e Finanza (La Repubblica)" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

COPERTINA pag. 1 Banche "pulite" le brutte sorprese dello Zio Tim matthew richardson nouriel roubini Perché l’economia funzioni a dovere il sistema finanziario deve essere in buone condizioni, e perché ciò sia possibile è necessario ripulirlo dai prestiti a "cattiva performance" che lo prostrano e dai titoli tossici garantiti dai prestiti stessi o dalle ipoteche. Di conseguenza, se società o cittadini meritevoli di credito si affacceranno al mercato in cerca di capitali in prestito, gli istituti finanziari saranno in condizione di poterglieli prestare e di fornire vari servizi finanziari all’economia. Il piano del segretario Geithner annunciato qualche giorno fa è un primo passo nella direzione giusta, in quanto comporta la creazione di un "Programma pubblicoprivato di investimenti" per l’acquisto di asset tossici di società finanziarie: in parole povere consente di operare questo necessario intervento di pulizia generale. Fino a questo momento, pur con tutti i salvataggi in extremis operati dal governo, il sistema finanziario è rimasto a galla con difficoltà. Con questo piano, dovrà impegnarsi a nuotare con costanza e impegno, ma quanto meno potrà dirigersi verso riva. Questa è la ragione per la quale il mercato azionario ha reagito bene. Il piano, in sostanza, incoraggia le società private di gestione capitali – private equity, fondi speculativi, mutual funds e fondi pensione a investire affiancate dal governo. Quest’ultimo presterà denaro fino a sei volte la somma iniziale. Il piano necessita dell’intervento del governo perché nel settore finanziario ci sono talmente tanti prestiti e titoli tossici che soltanto il bilancio d’esercizio di un governo può riuscire ad assumerne il controllo, e il governo a sua volta necessita dell’intervento degli investitori privati per non essere raggirato dalle banche. Per quale motivo gli investitori dovrebbero voler aderire al piano? Il prestito del governo è strutturato in maniera tale che la società privata che interviene sarà responsabile unicamente delle perdite subite sul suo investimento iniziale, incentivo davvero niente male. La speranza è che questo "regalo" induca un gran numero di investitori a partecipare: in tal caso la concorrenza tra loro porterà a più alti prezzi di offerta per i prestiti e i titoli, e ciò dovrebbe incentivare le banche a disfarsene. Vi sono, ovviamente, moltissime incognite, ma se il piano dovesse funzionare davvero consentirebbe di conseguire il suo principale e più importante obiettivo, ovvero la rimozione dai bilanci contabili delle banche degli asset tossici. Se mai le banche volessero farlo per conto loro, in ogni caso non potrebbero, perché il mercato di queste attività non liquide si è prosciugato. Cerchiamo però di non farci troppe illusioni. Il governo si accolla i rischi derivanti dalle prime perdite sui mutui. Se lo stato dell’economia dovesse peggiorare, la situazione si aggraverebbe di molto e in tempi rapidissimi. L’Amministrazione inoltre dovrebbe essere chiara su questo punto, e spiegare che tuttora è in atto un trasferimento di capitali dai contribuenti agli investitori e alle banche. Oltre a ciò, se tutto questo è abbastanza comprensibile nel piano del Tesoro, molte delle garanzie più importanti dipendono dalla Fed e dalla Fdic (Federal Deposit Insurance Corporation, l'agenzia pubblica che assicura i depositi delle banche americane). Perché infatti non ricorrere soltanto agli strumenti messi a punto dal Tesoro quali il Tarp? Beh, l’Amministrazione dovrebbe trattare con il Congresso la concessione di ulteriori finanziamenti. Mentre gli eventi dei giorni scorsi con la malconcepita proposta di legge di indennizzo lasciano intuire che questa tattica di accerchiamento può di fatto avere una sua logica, c’è qualcosa che preoccupa nel fatto di aggirare il sistema legislativo vigente in questo modo. Infine, un grosso problema è la mancanza di trasparenza del sistema: nessuno sa quanto valgano effettivamente i prestiti o i titoli. Gli investitori in concorrenza tra loro contribuiranno a risolvere questo problema promuovendo un’individuazione del prezzo. State tuttavia attenti a quello che sperate possa essere il valore reale! Alcune banche molto probabilmente opporranno resistenza a vendere i loro prestiti e i loro titoli. Perché? Al momento il governo sta offrendo loro l’opzione senza clausole di continuare a esserne proprietari, nella speranza che le condizioni di mercato migliorino. Il governo, tuttavia, deve insistere sul coinvolgimento delle banche nel programma. La ragione per la quale gli istituti finanziari dovrebbero essere soggette a pressioni è che sono loro la causa della crisi finanziaria: sono loro infatti ad aver approfittato delle varie scappatoie per eludere i requisiti normativi, scommettendo una posta enorme su titoli di cui in primis non avrebbero nemmeno dovuto essere proprietari. Ma che succede se rimuovendo gli asset tossici dai bilanci delle banche a prezzi vicini a quelli di mercato si dovesse poi mettere in luce il fatto che esse sono realmente insolventi? La possibilità che questo accada è reale. A quel punto si dovrebbe affrontare l’enorme problema che nessuno per ora vuole nemmeno nominare. Fino a questo momento, a causa della mancanza di trasparenza sulle situazioni reali delle grandi banche, i politici e le istituzioni hanno potuto distribuire tanti soldi per mantenere a galla le banche insolventi ed evitare il rischio sistemico. Una volta affiorata la verità dei fatti, però, dovremmo probabilmente iniziare a chiederci una cosa: «Perché mantenere a galla le banche insolventi?». E dopo essercelo chiesto, dovremmo rivolgere i nostri pensieri a cercare le modalità con le quali gestire i derivanti rischi di sistema. In ogni caso, una volta che il piano sarà reso operativo nella sua interezza, entreremo in una nuova fase della crisi finanziaria. Speriamo soltanto, a quel punto, di scoprirci tutti abili nuotatori. * Gli autori sono due professori che hanno contribuito al Nyu Stern School of Business Book intitolato Restoring Financial Stability: How to Repair a Failed System, edizioni John Wiley & Sons. Traduzione di Anna Bissanti Scopri come ricevere sul tuo cellulare Repubblica Gold condividi

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La rete mondiale di salvataggio GLI INTERVENTI (sezione: crisi)

( da "Affari e Finanza (La Repubblica)" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

PRIMO PIANO pag. 2 La rete mondiale di salvataggio GLI INTERVENTI Nel grafico, alcuni degli interventi stanziati e in buona parte erogati (la maggiore eccezione è la Germania dove i versamenti effettivi sono ancora molto scarsi) nei principali paesi del mondo per fronteggiare la crisi finanziaria. Negli Stati Uniti, aggiungendo tutti gli stanziamenti previsti, annunciati, probabili, si superano i 5mila miliardi di dollari. Scopri come ricevere sul tuo cellulare Repubblica Gold condividi

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Times square Obama e l'Europa gli screzi di una luna di miele (sezione: crisi)

( da "Affari e Finanza (La Repubblica)" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

PRIMO PIANO pag. 10 Times square Obama e l’Europa gli screzi di una luna di miele DI ARTURO ZAMPAGLIONE Di fronte a milioni di americani che seguivano la conferenza stampa di Barack Obama, un bravo giornalista della rete di Murdoch ha messo il dito nella piaga. "Come si sente – ha chiesto Major Garrett al presidente – proprio lei che ha promesso di rilanciare l’immagine degli Stati Uniti nel mondo, di fronte alla protesta di tanti governi europei, anche di centrosinistra o socialisti, per la sua richiesta di una spesa, considerata eccessiva, per stimolare l’economia?". Obama ha risposto impacciato: non si tratta di una richiesta, ha detto, ma di un suggerimento. E si deve evitare "che alcuni paesi approvino sforzi straordinari, mentre altri, sperando che tali sforzi bastino per un rilancio globale, facciano ben poco". Non c’è dubbio che questo "tradimento europeo" (perché così comincia a essere percepito alla Casa Bianca) evidenzi la prima incrinatura nella "love story" tra Obama e il Vecchio Continente. Stufa di otto anni di unilateralismo di Bush l’Europa aveva tifato per lui nelle elezioni e aveva plaudito ad ogni svolta politica, a cominciare dalla chiusura di Guantanamo. Ma proprio adesso che Obama è in arrivo per il suo primo viaggio ufficiale, tra cui la sosta a Londra il 2 aprile per il summit del G20 sulla crisi finanziaria, gli entusiasmi europei sembrano raffreddarsi di colpo. La ragione? Scontrandosi contro il populismo strumentale dei repubblicani e contro buona parte degli stessi contribuenti americani, chiamati a pagare per gli eccessi di Wall Street, il neopresidente ha varato in due mesi una strategia organica: intende frenare la disoccupazione attraverso spese pubbliche massicce (787 miliardi di dollari), purgare i titoli tossici dai bilanci delle banche con una partnership tra pubblici e privati, favorire il credito, dare al governo più poteri nei confronti di hedge funds, assicurazioni e altri grandi responsabili della crisi. Il premier ceco Mirek Topolanek ha bollato questa strategia come "la via dell’inferno": una definizione grossolana, quasi offensiva, che però nasconde i timori di tutta l’Ue per i rischi e gli effetti inflazionistici di manovre così ampie. Ma c’è forse un’altra strada? chiedono gli Stati Uniti a una Europa divisa e titubante, che insiste su nuove regole internazionali, ma dove gli effetti della recessione sono, almeno per ora, meno vistosi e drammatici che negli States. Intendiamoci: i leaders del G20 e i loro diplomatici saranno capaci giovedì a Londra di mascherare queste divisioni dietro ai comunicati, ai sorrisi, alle strette di mano. Come sempre il summit verrà definito un successo della cooperazione economica internazionale. Ma non bisognerà sottovalutare le nuove divergenze con l’America di Obama, che non sono solo economiche ma emergeranno presto anche sul dossier afghano. Il pericolo? Che le incomprensioni ritardino la soluzione della crisi globale, favoriscano il protezionismo e scoraggino le sinergie politiche. a.zampaglione@repubblica.it Scopri come ricevere sul tuo cellulare Repubblica Gold condividi

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PasseraPerissinotto a chi fa male la 'bancassurance' (sezione: crisi)

( da "Affari e Finanza (La Repubblica)" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

FINANZA pag. 16 PasseraPerissinotto a chi fa male la ‘bancassurance’ LE POLIZZE VITA VENDUTE IN BANCA/ Per le compagnie la redditività è ridotta ai minimi termini, mentre gli istituti di credito vendono altri prodotti ADRIANO BONAFEDE Il tema è: che faranno adesso Intesa Sanpaolo da una parte e Generali dall’altra? Dopo la decisione di disdire l’accordo sulla bancassurance sia Corrado Passera che Giovanni Perissinotto hanno un problema. In teoria la rogna più grossa ce l’ha proprio l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo: la mossa di rompere l’ha fatta Perissinotto, trovandoci il suo tornaconto come vedremo, mentre la banca si ritrova a dover gestire un impatto negativo di 1011 punti sul Tier 1. Un momento più infelice di questo per peggiorare i parametri patrimoniali, nel bel mezzo della crisi finanziaria ed economica più profonda del dopoguerra, proprio non si poteva trovare. Adesso Passera si ritrova un nodo in più da sciogliere, quello di cosa fare con le tre compagnie di assicurazione che si ritrova in pancia. Compagnie che assorbono prezioso capitale che potrebbe meglio essere impiegato per operazioni propriamente creditizie, mentre tutto il comportamento passato di Passera mostrava che di tutta questa roba non gliene importava proprio nulla e che l’avrebbe volentieri ceduta ad altri. Infatti, prima della fusione con il Sanpaolo, Passera aveva concluso con Generali l’accordo per creare Intesa Vita, la joint venture al 50 e 50 per la vendita di polizze vita attraverso gli sportelli della banca. In questo modo l’istituto si assicurava di avere dei contratti vita da vendere (unit e index linked) senza immobilizzare troppo capitale. La fusione con SanpaoloImi aveva poi costretto Passera a fare i conti con Sanpaolo Vita e Fideuram Vita, ma soprattutto con il grande progetto già in fieri, denominato Eurizon e gestito da Mario Greco, di creare una controllata che comprendesse tutte le fabbriche prodotto del vita, dell’asset management e di una parte della rete distributiva extrabancaria. Anche lì Passera fece saltare il progetto non ritenendolo congeniale alla propria impostazione che puntava a lasciare la responsabilità delle fabbricheprodotto (sia di fondi che di polizze) fuori dal perimetro bancario. Impostazione, peraltro, quantomai preveggente considerando la crisi che si è verificata dal 2008 in poi. Purtroppo una delle conseguenze della fusione fu il rientro nella nuova banca dell’asset management che Passera aveva già ceduto al Credit Agricole. Così come adesso, rientrando anche Intesa Vita tutta dentro la banca, siamo di fatto tornati al progetto Eurizon. Come nel gioco dell’oca, Passera si ritrova al punto di partenza. Dal punto di vista assicurativo, ora le compagnie interne sono tre: Intesa Vita, Eurizon e Polo Sud (che era stata creata su indicazione dell’Antitrust). È chiaro che adesso la via obbligata sarà quella di razionalizzarle, se proprio non di fonderle. Soltanto in una seconda fase sarà possibile trovare un partner, che sarà molto probabilmente estero. La stessa soluzione, tra parentesi, si dovrà trovare anche a livello di asset management. Ma intanto Intesa Sanpaolo è costretta a impegnare una parte di capitale prezioso in queste attività. Sicuramente meglio sta invece il Leone di Trieste. La mossa di Perissinotto era diventata praticamente obbligata. Negli ultimi tre anni c’è stato un crollo della raccolta premi: dai 7,855 miliardi di euro del 2005 si è passati ai miseri 2,033 del 2008. Indietro come i gamberi, tanto che Generali è stata sorpassata lo scorso anno persino dall’ultima arrivata (nella bancassurance), FondiariaSai, che ha raccolto 2,764 miliardi (contro i 1.783 dell’anno prima). Non stupisce quindi che Perissinotto abbia deciso di incamerare la put sul 50 per cento, da cui incasserà una cifra compresa tra i 650 e i 700 milioni (con una plusvalenza di 150200 milioni), valutati sull’embedded value, che potrà stornare su investimenti certo più redditizi di Intesa Vita. Quest’ultima, infatti, si era ridotta a contare per il solo 4 per cento sulla raccolta premi di Generali, con una redditività ormai ridotta al lumicino e tale da non giustificare l’immobilizzazione di capitale necessaria. Adesso il Leone di Trieste ha di nuovo le mani libere. Non ha mai digerito di veder ridurre da 2.600 a 1.541 gli sportelli fruibili a causa della decisione dell’Antitrust che ha ravvisato nell’accordo con Intesa Sanpaolo una posizione dominante da parte del gruppo assicurativo. Le possibilità, adesso, sono due: o trovare ma non subito, più in là nel tempo un accordo con Unicredit, con il quale condivide una presenza molto importante nell’Est europeo. O fare tanti accordi con piccole e medie banche locali. È questa la soluzione che, almeno a parole, piace più all’amministratore delegato di Generali. Una soluzione, come ha spiegato, in grado di diversificare il rischio (meglio tanti piccoli contratti che uno solo grande: se uno di questi finisce male non crolla tutto come con Intesa). Ma anche, e questo s’intuisce, una soluzione che mette la compagnia di Trieste su un piano di forza rispetto alle banche con cui troverà un’intesa bancassicurativa. La rottura fra Passera e Perissinotto sembra avere una valenza più generale, quasi la fine di un’epoca di collaborazione fra banche e compagnie. «In effetti spiega Davide Corradi, partner & managing director di Bcg Italia anche negli anni migliori la redditività (intesa come rapporto fra utile netto e riserve tecniche) per le assicurazioni delle polizze vendute attraverso gli sportelli era soltanto dello 0,4 per cento, contro l’1,4 dei canali proprietari (ovvero gli agenti). Gli istituti di credito, peraltro, hanno in questo momento la necessità di liberare capitale a sostegno del core business bancario più tradizionale». Ma forse la bancassurance non è proprio morta: «Per un gruppo come il nostro dice Stefano Carlino, condirettore generale di FonSai relativamente spostato sui rami danni, avere la bancassurance è strategico al fine della diversificazione. Del resto, indipendentemente dalla crisi finanziaria, si sapeva che questo è un business meno remunerativo di quello tradizionale». 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Zignago Vetro, un 2008 record ma quest'anno si prevede un calo (sezione: crisi)

( da "Affari e Finanza (La Repubblica)" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

FINANZA pag. 19 Zignago Vetro, un 2008 record ma quest’anno si prevede un calo PAOLO POSSAMAI Il vetro regge alla forza d’urto della crisi mondiale. Lo dicono i numeri del bilancio 2008 di Zignago Vetro, capace di crescere in ricavi e redditività nonostante la generale flessione dei consumi. Quanto alle previsioni per l’annata in corso, sia secondo l’azienda che da parte degli analisti, risentono della congiuntura ma senza tracolli. Secondo le stime, la domanda nella seconda metà del 2009 dovrebbe tornare a crescere, senza tuttavia compensare la caduta registrata nei primi mesi. «Il 2008 è stato un altro anno molto positivo per il nostro gruppo, che ha raggiunto risultati record , in crescita in tutte le business unit sostiene il presidente e amministratore delegato, Franco Grisan Siamo riusciti a mantenere buoni livelli di marginalità, grazie al miglioramento della produttività e a un approccio flessibile, fattori che hanno permesso di contenere gli elevati aumenti dei costi di energia e soda. In questo momento, alla crisi della domanda, il nostro gruppo reagisce tenendo sotto controllo gli elementi economicofinanziari fondamentali, concentrandosi maggiormente sul proprio tradizionale modo di operare efficiente ed oculato e dando ulteriore spinta ad innovazione e flessibilità». Le cifre dell’esercizio appena trascorso parlano in modo non equivoco e sono superiori alle attese: il fatturato è salito a quota 256,7 milioni di euro (+6,7%), il margine operativo lordo a 69,9 milioni (+8,7%), il risultato operativo prima degli interessi e delle tasse a 47,6 milioni (+17,6%) e infine l’utile netto consolidato a 33,7 milioni (+35,1%). Dati che confermano una capacità di generare profitto che appartiene alla storia di Zignago: da sempre la piccola cash cow fondata dalla famiglia Marzotto – e tuttora controllata al 65% da numerosi esponenti della ramificata famiglia di Valdagno tramite Zignago Holding – sa creare valore e distribuire ricche cedole agli azionisti. Ammonta al 70% il payout che sarà sottoposto all’assemblea dei soci il 30 aprile prossimo. Il Consiglio d’amministrazione propone un dividendo di 0,295 euro/azione, equivalente appunto a un payout pari al 70% del risultato netto consolidato, e che ai corsi attuali del titolo corrisponde ad un rendimento di quasi il 9%, con evidenza di chiaro interesse specie in una fase come l’attuale. Fin qui i risultati acquisiti. Sulle prospettive esprimono posizioni sostanzialmente coincidenti i report pubblicati da Ubs e Cassa Lombarda il 16 e 17 marzo. Sia Cassa Lombarda che Ubs ritengono che nei primi due trimestri di quest’anno l’intera catena dei produttori e distributori di profumi, vini e alimentari procederà a una riduzione delle scorte a fronte del calo dei mercati finali e, di conseguenza, tale fenomeno si rifletterà sulle commesse di contenitori in vetro realizzati da Zignago. Le stime di Ubs evidenziano che per Zignago la prima metà del 2009 sarà segnata dalla debolezza della domanda, cedendo il 4,8% quanto ai ricavi complessivi. Appunto a causa del pesante contesto generale dell’economia mondiale, Cassa Lombarda ha rivisto le proprie previsioni dal precedente trend in crescita al +5,1% alla discesa al ritmo di 5,7% atteso nell’ultimo report (242 milioni). In particolare, secondo il report di Cassa Lombarda, firmato dal senior equity analist Alberto Brioschi e dal responsabile Equity research Serge Escudé, il calo dovrebbe consistere nel 5% per la controllata francese Verreries Brosse (che risente in particolare delle strategie di destocking dei produttori di profumi), arrivando al 6% della partecipata Vetri Speciali e al 7,3% della capogruppo Zignago Vetro. Secondo Grisan «purtroppo nell’ultima parte dello scorso anno il contesto macroeconomico internazionale, spinto dalla crisi finanziaria globale, ha assunto tinte sempre più fosche che hanno preannunciato la caduta generalizzata della domanda e la diminuzione dell’attività produttiva in importanti settori dell’economia, situazione che stiamo vivendo anche in questa prima parte del 2009. Pensiamo però che questa sia la fase più acuta del momento congiunturale, dato che sul mercato sono presenti importanti fenomeni di destoccaggio nelle diverse filiere del consumo, causati dalla difficoltà degli operatori di accedere al credito per finanziare il capitale circolante. Crediamo che la situazione potrebbe migliorare nella seconda parte dell’anno». Nell’attesa che la tempesta passi, il gruppo veneto procede con il piano di investimenti condotto nell’ultimo biennio. Basti ricordare che nel 2008 sono stati realizzati due nuovi forni nei sei impianti produttivi di Zignago. La capacità produttiva di Vetri Speciali è aumentata del 25%, mentre lo stabilimento della capogruppo di Fossalta di Piave è stato ammodernato in modo da superare il precedente stato di saturazione. L’anno venturo dovrebbe poi entrare in funzione il nuovo forno di Verreries Brosse. Nel 2008 sono stati destinati a investimenti in tecnologie circa 46,5 milioni di euro (contro i 26 milioni del 2007). Il tutto senza squilibri nell’assetto finanziario dell’azienda, se è vero che il free cash flow prima degli investimenti è consistito in 51,5 milioni di euro e l’indebitamento è aumentato di 16,4 milioni rispetto al 2007 ma fermandosi alla quota di 62,4 milioni. «Comunque la struttura finanziaria è buona e il gruppo ha un indebitamento modesto», evidenzia Grisan. «L’equilibrata situazione patrimoniale consente alla società di continuare a pensare, anche in questo momento, a crescere per linee esterne se dovessero presentarsi opportunità interessanti e sensate». Approccio che ha permesso a Zignago di seguire un percorso di sviluppo tanto atipico quanto interessante. Scopri come ricevere sul tuo cellulare Repubblica Gold condividi

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Meno contratti a termine in estate (sezione: crisi)

( da "Affari e Finanza (La Repubblica)" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Meno contratti a termine in estate L’occupazione Il settore auto, colpito così pesantemente dalla crisi, sta facendo da mesi un ricorso massiccio alla Cassa Integrazione. E l’autonoleggio? Come si ripercuoterà la crisi finanziaria del comparto sull’occupazione? «Per molti anni siamo stati un motore e un acceleratore, anche per l’industria automobilistica, visto l’altissimo numero di vetture che acquistavamo nel segno di un ricambio continuo del parco — rileva il presidente dell’Aniasa, Roberto Lucchini — Adesso dobbiamo sicuramente mettere in conto che la crisi si ripercuoterà anche su di noi. Molta parte delle nostre attività però hanno personale flessibile, si pensi al noleggio a breve termine nelle località turistiche, e quindi quella che si ridurrà sarà la quota flessibile di occupati: probabilmente ci saranno meno contratti a termine in estate. Detto questo, al momento non prevediamo interventi massicci di riduzione del personale». Scopri come ricevere sul tuo cellulare Repubblica Gold condividi

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Il noleggio a lungo termine si apre ai dipendenti delle aziende clienti (sezione: crisi)

( da "Affari e Finanza (La Repubblica)" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Il noleggio a lungo termine si apre ai dipendenti delle aziende clienti l’iniziativa Il business del noleggio riguarda, come è ben noto, essenzialmente il mondo delle imprese, ma un’azienda reggiana punta adesso a cambiare le regole del gioco, allargando la fascia di utenza del noleggio a lungo termine che non dovrebbe essere più una prerogativa delle aziende, grandi e piccole che siano, ma anche dei dipendenti. Questa l’idea della "Car Server", che gestisce una flotta di dodicimila auto con 1600 clienti e settanta dipendenti e che ha deciso di offrire la possibilità per i lavoratori e i familiari delle imprese già clienti, attraverso la sottoscrizione di una apposita convezione da parte di queste ultime, di stipulare un contratto di noleggio a lungo termine che prevede anche proposte vantaggiose di acquisto del veicolo alla fine del periodo di affitto. Il progetto ha un nome divertente ("Privato Innamorauto") e propone alcune interessanti novità, che vanno da una rata fissa mensile per tutta la durata del contratto all’eventuale acquisto del veicolo a fine noleggio; dall’affitto di veicoli nuovi ed ecocompatibili alla possibilità di chiudere il contratto in ogni momento senza dover pagare penali di nessun genere. E non è prevista nemmeno la necessità di un affidamento bancario. Inoltre il pacchetto lanciato da "Car server" garantisce, tra le varie agevolazioni, anche la gestione di costi onerosi come possono essere il bollo di proprietà, l’assicurazione per la responsabilità civile e le gomme, "incentivi" che risultano essere estremamente importanti in un periodo come l’attuale all’insegna della crisi e dell’incertezza economica «In questo momento di crisi finanziaria — spiega l’amministratore delegato di "Car Server" Giovanni Orlandini — la nostra società si dimostra attenta alle difficoltà e alle esigenze delle famiglie. Con "Privato Innamorauto", abbiamo voluto dare una possibilità anche ai cosiddetti lavoratori atipici, senza contratti fissi e collaboratori delle aziende nostre clienti». (v. bo.) Scopri come ricevere sul tuo cellulare Repubblica Gold condividi

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Anche il "breve termine" lancia l'allarme (sezione: crisi)

( da "Affari e Finanza (La Repubblica)" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Anche il "breve termine" lancia l’allarme Meno turisti e blocco delle trasferte dei manager penalizzano il settore VITO DE CEGLIA La crisi c’è, e si sente per le società di autonoleggio: nel segmento a breve termine (da un giorno a quasi un anno di locazione) si profila un 2009 difficile, per la prima volta negli ultimi dieci anni, a causa della stagnazione dell’industria automobilistica. Negli ultimi 46 mesi il giro di affari ha registrato una contrazione del 20%. «E il governo non ci aiuta», accusa Vittorio Campanale, vice presidente Aniasa, l’associazione nazionale industria dell’autonoleggio e servizi automobilistici di Confindustria. «I provvedimenti italiani, a differenza di quelli tedeschi, stanno incidendo negativamente sul segmento short term, così come in quello dell’intero comparto. Lo avvertiamo sia nella divisione turismo che business. La rottamazione delle automobili vecchie e inquinanti — aggiunge Campanale — ha dato impulso agli acquisti di auto da parte dei privati e dei professionisti che possono beneficiare degli incentivi, ma sta avendo un effetto nefasto sugli acquisti da parte delle società di autonoleggio a breve termine». Secondo il rapporto annuale del centro studi Fleet & Mobility, si stima che «le aziende di questo segmento, che normalmente immatricolano 120/140mila vetture l’anno per poi rivenderle dopo circa 6 mesi, potrebbero mantenere più a lungo le auto in flotta e dunque frenare il ricambio e gli acquisti». Da qui l’affondo contro il governo di Pier Luigi del Viscovo, direttore del centro studi: «Il mercato dell’auto non è fatto a compartimenti stagni e quando si interviene a modificare le regole del gioco, pur se a buon fine, bisogna fare attenzione a non creare squilibri che possano diminuire la portata dei benefici». I segnali negativi della crisi finanziaria si sono iniziati ad avvertire nel settembre scorso, quando le stime sul fine anno del noleggio a breve termine prevedevano una crescita del 4%, riportando una notevole riduzione rispetto alla crescita del giro d’affari del primo semestre 2008, con un aumento dell’8% del fatturato complessivo rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (489 milioni di euro rispetto a 454). Positivo anche il dato sulle immatricolazioni, passate dalle 107.518 del primo semestre 2007 alle 115.819 di giugno 2008 con un +8%. Mentre nel secondo semestre il crescente stato di crisi mondiale ha portato ad un sensibile ridimensionamento dei trend già nell’ultimo trimestre del 2008, che si è tradotto in una contrazione preventiva delle immatricolazioni (—9%). «La riduzione tiene conto della pianificazione dei noleggi impostata — osserva Valerio Gridelli, direttore commerciale Europcar — ed è ottimistica rispetto al trend attuale che vede cali significativi, ben oltre il 20% per i turisti provenienti da Usa, UK e Spagna, oltre ad un mercato domestico che vede contingentate in questo periodo le trasferte di lavoro e quindi il mercato dei noleggi aziendali. Lo short term — puntualizza — dovrebbe comprare nel corrente anno 100.000 unità contro le oltre 110.000 del 2007». Per ovviare alla crisi, le società di noleggio mettono in campo nuove strategie di mercato. Emanuela Clementi, marketing manager di Hertz, spiega: «Siamo l’unica società in Italia ad aver introdotto la promozione ad ore (3, 6 o 9) distinguendoci dall’offerta tradizionale sul breve termine che prevede il noleggio minimo di un giorno. Un’offerta partita dall’Italia alla fine del 2008 e poi esportata in tutti i più importanti Paesi europei. Con questa promozione abbiamo superato un problema nel rapporto con le case automobilistiche che, essendo in gravi difficoltà, prediligono il contratto "risk" piuttosto che il "buy back": ovvero, le case tendono a non riacquistare le vetture ad un prezzo prestabilito, lasciando alle società di noleggio l’onere di rivenderle». Scopri come ricevere sul tuo cellulare Repubblica Gold condividi

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America Latina, il Bid verso l'ampliamento di capitale (sezione: crisi)

( da "Velino.it, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Il Velino presenta, in esclusiva per gli abbonati, le notizie via via che vengono inserite. EST - America Latina, il Bid verso l’ampliamento di capitale Roma, 30 mar (Velino/Velino Latam) - Un aumento del capitale pari a 180 miliardi di dollari. è questo il piano che i governatori della Banca interamericana dello sviluppo (Bid), riuniti nella città colombiana di MedellÍn, lanciano per affrontare gli effetti della crisi finanziaria internazionale. Un piano ambizioso che raccoglie un sì con riserva del principale azionista dell’istituzione, gli Stati Uniti: “Pensiamo che ci sia spazio per ampliare il bilancio”, ha detto il segretario di Stato Usa per il Tesoro, Tim Geithner, sottolineando che un intervento in tal senso deve essere accompagnato da condizioni come l’oculato uso delle risorse dei contribuenti e la gestione equilibrata dell’organismo. Dovranno esserci “sforzi per combattere frodi e corruzione” e occorrerà rafforzare la capacità di controllare il rischio così come i processi necessari per garantire gli investimenti corretti”, ha detto Geithner. Una posizione che sembra riflettere il dibattito nato in seno al Congresso degli Usa, dove alcuni esponenti bipartisan hanno criticato la direzione di Luis Alberto Moreno. La Bid, al pari di altre entità finanziarie pubbliche e private, ha certificato alcune recenti perdite legate a investimenti su fondi a rischio. Lo stesso Moreno si era incaricato di portare all’attenzione della 50esima Assemblea dei governatori il piano elaborato negli ultimi mesi dalla commissione esterna guidata dall’ex primo ministro peruviano Pedro Pablo Kuczynski: la ricapitalizzazione, ha spiegato, deve essere fatta “nel più breve tempo possibile” perché le circostanze sono “straordinarie”. Il gruppo di lavoro ha stimato che l’aumento di capitale, attualmente fermo a 100 miliardi, dovrebbe essere compreso tra i 150 e i 180 miliardi di dollari. La possibile capitalizzazione è salutata come un buon segnale dal presidente del paese ospite, Alvaro Uribe: “Ora occorre spianare il cammino per il 2010”, ha detto il capo di Stato colombiano sottolineando che nessuna agenda poteva essere migliore” di quella “che prevede un finanziamento durante la crisi”. Il Bid è la principale fonte di finanziamento multilaterale per lo sviluppo economico dell’America Latina e il Caribe. L’organismo è integrato da 48 paesi di cui 26, in America Latina e Caribe, sono destinatari di finanziamenti. A loro va il 50,02 per cento del potere di voto nell’Assemblea. Tra i soci che non possono ottenere finanziamenti ci sono gli Stati Uniti (con il 30 per cento del capitale), il Canada, il Giappone, Israele, la Cina e 16 paesi europei tra cui l’Italia. (Pilar Soriani) 30 mar 2009 08:29

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L'ultimatum di Obama: la testa DI WAGONER prima di autorizzare, oggi, la 'fase 2' del salvataggio della GM e della Chrysler. A spese del contribuente. Il monito della Casa Bianca: (sezione: crisi)

( da "Dagospia.com" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

HomePage | Segnala articolo --> L’ultimatum di Obama: la testa DI WAGONER prima di autorizzare, oggi, la ’fase 2’ del salvataggio della GM e della Chrysler. A spese del contribuente. Il monito della Casa Bianca: Detroit deve fare di più - - un mese a Chrysler per allearsi con Fiat... 1 - 30 GIORNI PER CHIUDERE CON FIAT - 60 giorni a General Motors per ridurre i costi Da Sole 24 Ore.com Logo "GM" Trenta giorni per chiudere l'accordo con Fiat come condizione per ottenere ulteriori fondi dal governo. È quanto prevede, riporta il New York Times, il piano dell'amministrazione Obama per Chrysler. Se la casa automobilistica americana riuscirà a finalizzare entro il 30 aprile l'accordo con Fiat e ridurrà ulteriormente il proprio debito, «l'amministrazione dovrebbe considerare un prestito da 6 miliardi di dollari». L'amministrazione statunitense è convinta che Chrysler non possa funzionare come una compagnia indipendente nella situazione attuale. Se l'accordo Chrysler-Fiat non sarà completato, Washington prevede di rinunciare, lasciando che la Chrysler vada verso la completa liquidazione. Non è disponibile altro danaro, hanno sottolineato i responsabili del Governo degli Stati Uniti. Shawn Morgan, una portavoce di Chrysler, ha dichiarato che la compagnia desidera lavorare con il dipartimento del Tesoro e con la task force di Obama sul settore auto, ma ha rifiutato di commentare i programmi della Casa Bianca. «Con l'imminente annuncio dell'amministrazione sulla ristrutturazione dell'industria automobilistica, ogni commento o dichiarazione sarebbero inappropriati», ha detto la Morgan. Logo "Chrysler" Il New York Times riporta anche che il presidente americano Barack Obama ha intenzione di concedere 60 gioni a General Motors per presentare un piano di riduzione dei costi. L'amministrazione - riporta il quotidiano - dovrebbe fornire alla casa automobilistica l'assistenza necessaria in termini di aiuti durante questo arco di tempo. Nel frattempo il numero uno di Gm , Richard Wagoner, lascia il suo incarico come primo passo nell'ambito del piano per il salvataggio e la ristrutturazione della compagnia di Detroit. Gm ha chiesto al Governo ulteriori 16,6 miliardi di dollari di fondi, oltre ai 13,4 miliardi già incassati, ma l'amministrazione Obama è stata esplicita: il piano presentato non è sostenibile (così come quello di Chrysler) e in mancanza di un valido progetto alternativo non verranno più erogati fondi pubblici. La Casa Bianca sosterrà la liquidità operativa necessaria alle due case nei periodi previsti. 2 - LO SCAMBIO:Obama ha chiesto la sua testa prima di autorizzare, oggi, la «fase 2» del salvataggio della GM e della Chrysler. A spese del contribuente. Il monito della Casa Bianca: Detroit deve fare di più Massimo Gaggi per il Corriere della Sera Era considerato un manager «inaffondabile»: 30 anni al vertice di GM, gli ultimi otto da capo assoluto. Un presidente e amministratore delegato inamovibile nonostante i suoi errori manageriali, l'incapacità di offrire al mercato Usa vetture a basso consumo, le perdite gigantesche (31 miliardi di dollari bruciati nel 2008). Rick Wagoner ha resistito a tutto, ma ha dovuto cedere davanti all'offensiva della Casa Bianca: Barack Obama ha chiesto la sua testa prima di autorizzare, oggi, la «fase 2» del salvataggio della GM e della Chrysler. A spese del contribuente. OBAMA WAGONER Le sue dimissioni sono trapelate ieri e sono il segno del passaggio dall'era della concertazione nella quale il management GM, anziché al rinnovamento tecnologico dei prodotti, badava in primo luogo a gestire l'azienda con l'accordo dei sindacati e delle istituzioni locali, a una fase di dirigismo col governo federale che diventa protagonista. Con l'obiettivo di evitare il fallimento e salvare posti di lavoro, ma anche per ottenere dai gruppi di Detroit scelte industriali in linea con le politiche ambientali e di risparmio energetico dell'amministrazione Obama. Wagoner era convinto di cavarsela anche stavolta nonostante una situazione aziendale sempre più disastrosa e le ripetute richieste di dimissioni venute dal Congresso. Solo dieci giorni fa aveva dichiarato in un'intervista di considerarsi perfettamente in sella. Ma agli occhi di Obama - che aveva chiesto alle aziende automobilistiche in crisi di presentare piani di risanamento credibili, se volevano l'aiuto del governo per restare sul mercato - i contribuenti americani, chiamati a finanziare un altro "round" del salvataggio GM, oggi sono più importanti dei sindacati. Così ieri, a poche ore dalla riunione odierna nella quale ufficializzerà i nuovi interventi a sostegno del settore automobilistico, il presidente ha giudicato "inadeguati" i piani inviati alla sua "task force" da General Motors e Chrysler. A quel punto i vertici della GM hanno chiesto al loro "top manager" di dimettersi. La stessa Casa Bianca non ha avuto difficoltà ad ammettere che l'uscita di scena di Wagoner era una delle condizioni per il via libera alla "fase 2" del salvataggio. I due gruppi, che già avevano ottenuto un "fondo di sopravvivenza di 16 miliardi di dollari nel dicembre scorso, qualche settimana fa avevano, infatti, chiesto altri 22 miliardi per arrivare alla fine del 2009 senza dover portare i libri in tribunale. Le dimissioni di Wagoner sigillano una settimana, quella appena conclusa, che per Tim Geithner è stata assai dura: due tesissime audizioni parlamentari, numerose apparizioni in pubblico col ministro che tentava di convincere platee scettiche dell'efficacia degli interventi del governo, l'annuncio di una riforma delle norme che regolano la finanza e un piano di salvataggio del sistema bancario, che è stato ben accolto dai mercati. Geithner Timoty Quella che inizia oggi sarà, per il ministro del Tesoro Usa, una settimana altrettanto cruciale: un difficilissimo G 20 a Londra, con contorno di proteste popolari contro i responsabili della crisi finanziaria divenuta crisi globale, ma, prima, le decisioni della "task force" per il settore dell'auto che dipende proprio dal Tesoro: un salvataggio a spese del contribuente molto impopolare ma al quale Obama non si sente di rinunciare, nel bel mezzo di una profonda recessione e con la disoccupazione già alle stelle. Geithner avrebbe avuto tutti i motivi per concedersi un week end di tregua. Invece, non solo ha rinunciato al riposo per saltare da un talk show domenicale all'altro, ma in tv è anche apparso per la prima volta sorridente e abbastanza rilassato. Continua a vivere in una condizione di perenne emergenza, ma sembrano ormai lontani i giorni in cui il comico Bill Maher mostrava ai telespettatori due immagini - Geithner «torchiato» davanti al Parlamento e un cervo spaventato e chiedeva a Obama di assumere il cervo come ministro del Tesoro. 47enne come Obama, Geithner si è rassegnato a essere il suo ministro-parafulmine. A chi, ieri, gli chiedeva come fosse possibile vivere perennemente sulla graticola, ha risposto con un sorriso rassegnato: «Me ne sono fatto una ragione. Ho capito che toccherà a me fare cose assai impopolari e per un lungo periodo di tempo». Si comincia oggi con le misure per l'auto: ieri Geithner ha confermato che il governo è pronto a prestare altro denaro a GM e Chrysler per arrivare in fondo a un 2009 difficilissimo. Crollato nell'autunno scorso, il mercato non ha ancora dato segni di ripresa. La domanda annua degli Usa, che in passato si manteneva poco sopra o poco sotto i 16 milioni di veicoli, quest'anno non dovrebbe andare oltre i 10 milioni e mezzo di vetture. GM e Chrysler hanno presentato i loro piani di risanamento al governo (la Ford, che ha una situazione finanziaria migliore, non ha per ora bisogno di sostegni pubblici). La task force guidata da Steve Rattner (un finanziere democratico che si è messo al servizio di Obama) li ha analizzati per capire se, dopo la ristrutturazione - quella della Chrysler basata sul contributo imprenditoriale e tecnologico della Fiat - i due gruppi saranno in grado di andare avanti con le loro gambe. La forte contrazione del mercato suggerisce grossi tagli di capacità produttiva e una riduzione del numero dei protagonisti che operano sul mercato. Sapendo che i finanziamenti all'auto coi soldi dei contribuenti sono impopolari, ieri Obama ha detto pubblicamente che i piani presentati sono insufficienti e ha chiesto a tutte le parti gruppi automobilistici, sindacati, fornitori - di impegnarsi a fare molti di più in termini di ristrutturazione del settore. [30-03-2009]

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Crisi/ Berlusconi: In regole finanza si devono trovare (sezione: crisi)

( da "Virgilio Notizie" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Mosca, 30 mar. (Apcom - Nuova Europa) - L'Italia sta facendo la sua parte come presidente del G8 "per definire le regole di una più trasparente ed efficace governance globale dell'economia". Lo ha detto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in una intervista all'agenzia di stampa russa Ria Novosti, in preparazione del suo viaggio a Mosca. "La crisi non è nata nel debito pubblico ma in quello privato", continua Berlusconi. "E' una crisi finanziaria ed è nelle regole della finanza che si devono trovare gli antidoti per evitare che una simile crisi si ripeta in futuro", ha aggiunto precisando che la crisi "è sì grave, ma c'è stata una buona reattività da parte dei governi" a cominciare dall'Europa e dal suo approccio "condiviso e sinergico".

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Doha/ Prende il via il 21esimo summit dei capi di stato (sezione: crisi)

( da "Virgilio Notizie" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Roma, 30 mar. (Apcom) - Il ventunesimo vertice dei capi di stato arabi ha preso il via stamani nella capitale del Qatar, Doha. Le maggiori tv arabe hanno trasmesso in diretta la seduta inaugurale del summit alla presenza di 15 leader di paesi arabi, tra cui il presidente sudanese Omar al Bashir che "ha rubato la scena a tutti", come ha commentato la tv araba al Jazeera. La seduta preceduta da una lettura di alcuni versi del Corano, il libro sacro dell'Islam, è stata aperta dal presidente siriano Bashar Assad, in quanto la Siria è stato il paese che ha ospitato l'ultima summit. Assad, ha subito parlato dei riflessi sulle economie arabe per i "grandi cambiamenti verificati nel mondo a causa della grave crisi finanziaria mondiale", provocato dai paesi occidentali che "hanno il monopolio dell'economia mondiale". Il discorso del presidente siriano è stato sospeso per alcuni minuti per allontanare i fotoreporter che avevano invaso lo spazio in aula di fronte all'oratore. I principali temi all'ordine del giorno sono tre: il mandato d'arresto, emesso dalla Corte penale internazionale, contro al Bashir per crimini di guerra commessi nel Darfur; la riconciliazione araba; e la questione palestinese. Ma mentre si dà per scontato un esplicito sostegno ad al Bashir dove si prevede un plebiscito contro la decisione della Corte dell'Aia del 4 marzo scorso, i media arabi, a causa dell'assenza del presidente egiziano Hosni Mubarak, si mostrano scettici circa la possibilità di un successo della "carta saudita" per la riconciliazione inter-araba. Non è chiaro invece se i capi di stato arabi possono raggiungere un accordo sulla riconciliazione tra le fazioni palestinesi e soprattutto sulla posizione da assumere nei confronti di Israele circa l'iniziativa di pace panaraba. Grande attesa per l'intervento - già annunciato - del presidente al Bashir che parlerà proprio di fronte al segretario generale delle Nazioni Uniti. Fonti del governo di Khartoum citati da al Sharq al Awsat, hanno assicurato che il presidente sudanese, "non farà niente per evitare Ban Ki-Moon". Secondo quanto emerso durante i lavori preparatori del vertice, che nei giorni scorsi hanno visto impegnati i ministri degli Esteri, i Paesi arabi sarebbero tutti concordi nel difendere Bashir. Contro la decisione della Corte penale internazionale dovrebbero schierarsi anche Giordania, Gibuti e le isole Comore, che hanno firmato il trattato di Roma istitutivo del tribunale. Stando alcune indiscrezioni, i tre Paesi potrebbero persino decidere di ritirarsi dal trattato.

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DOHA/ PRENDE IL VIA IL 21ESIMO SUMMIT DEI CAPI DI STATO ARABI (sezione: crisi)

( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Doha/ Prende il via il 21esimo summit dei capi di stato arabi di Apcom ASsda: Crisi finanziaria causata da occidente ci danneggia -->Roma, 30 mar. (Apcom) - Il ventunesimo vertice dei capi di stato arabi ha preso il via stamani nella capitale del Qatar, Doha. Le maggiori tv arabe hanno trasmesso in diretta la seduta inaugurale del summit alla presenza di 15 leader di paesi arabi, tra cui il presidente sudanese Omar al Bashir che "ha rubato la scena a tutti", come ha commentato la tv araba al Jazeera. La seduta preceduta da una lettura di alcuni versi del Corano, il libro sacro dell'Islam, è stata aperta dal presidente siriano Bashar Assad, in quanto la Siria è stato il paese che ha ospitato l'ultima summit. Assad, ha subito parlato dei riflessi sulle economie arabe per i "grandi cambiamenti verificati nel mondo a causa della grave crisi finanziaria mondiale", provocato dai paesi occidentali che "hanno il monopolio dell'economia mondiale". Il discorso del presidente siriano è stato sospeso per alcuni minuti per allontanare i fotoreporter che avevano invaso lo spazio in aula di fronte all'oratore. I principali temi all'ordine del giorno sono tre: il mandato d'arresto, emesso dalla Corte penale internazionale, contro al Bashir per crimini di guerra commessi nel Darfur; la riconciliazione araba; e la questione palestinese. Ma mentre si dà per scontato un esplicito sostegno ad al Bashir dove si prevede un plebiscito contro la decisione della Corte dell'Aia del 4 marzo scorso, i media arabi, a causa dell'assenza del presidente egiziano Hosni Mubarak, si mostrano scettici circa la possibilità di un successo della "carta saudita" per la riconciliazione inter-araba. Non è chiaro invece se i capi di stato arabi possono raggiungere un accordo sulla riconciliazione tra le fazioni palestinesi e soprattutto sulla posizione da assumere nei confronti di Israele circa l'iniziativa di pace panaraba. Grande attesa per l'intervento - già annunciato - del presidente al Bashir che parlerà proprio di fronte al segretario generale delle Nazioni Uniti. Fonti del governo di Khartoum citati da al Sharq al Awsat, hanno assicurato che il presidente sudanese, "non farà niente per evitare Ban Ki-Moon". Secondo quanto emerso durante i lavori preparatori del vertice, che nei giorni scorsi hanno visto impegnati i ministri degli Esteri, i Paesi arabi sarebbero tutti concordi nel difendere Bashir. Contro la decisione della Corte penale internazionale dovrebbero schierarsi anche Giordania, Gibuti e le isole Comore, che hanno firmato il trattato di Roma istitutivo del tribunale. Stando alcune indiscrezioni, i tre Paesi potrebbero persino decidere di ritirarsi dal trattato.

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G8 LAVORO/ FRATTINI:REGOLE GLOBALI, MA EVITARE FRENI INNOVAZIONE (sezione: crisi)

( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

G8 Lavoro/ Frattini:Regole globali, ma evitare freni innovazione di Apcom Piani salva Pil "immediati ma temporanei", no a protezionismi -->Roma, 30 mar. (Apcom) - La crisi finanziaria ed economica dimostra che sono necessarie regole a livello globale, che pongano un freno ai "comportamenti eccessivi", in particolare della finanza, ma il ministro degli Esteri Franco Frattini avverte che queste riforme vanno affettuate senza creare freni anche all'innovazione. Così come non va rimessa in discussione l'economia di mercato che è l'unica che si sia dimostrata "in grado di garantire lo sviluppo", ha affermato durante la conferenza stampa all'avvio della seconda giornata del G8 del Lavoro a Roma, ospitato proprio alla Farnesina. Secondo Frattini i governi e le istituzioni finanziarie internazionali hanno ora "la responsabilità di ridare fiducia". Ma le loro risposte alla crisi, in particolare i piani di sostegno diretto all'economia reale devono avvenire con "interventi immediati ma anche temporanei - ha detto - per evitare distorsioni permanenti e l'insorgere di tendenze protezionistiche che sarebbero dannose".

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CRISI/ BERLUSCONI: IN REGOLE FINANZA SI DEVONO TROVARE ANTIDOTI (sezione: crisi)

( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Crisi/ Berlusconi: In regole finanza si devono trovare antidoti di Apcom Serve "governance globale economia più trasparente ed efficace" -->Mosca, 30 mar. (Apcom - Nuova Europa) - L'Italia sta facendo la sua parte come presidente del G8 "per definire le regole di una più trasparente ed efficace governance globale dell'economia". Lo ha detto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in una intervista all'agenzia di stampa russa Ria Novosti, in preparazione del suo viaggio a Mosca. "La crisi non è nata nel debito pubblico ma in quello privato", continua Berlusconi. "E' una crisi finanziaria ed è nelle regole della finanza che si devono trovare gli antidoti per evitare che una simile crisi si ripeta in futuro", ha aggiunto precisando che la crisi "è sì grave, ma c'è stata una buona reattività da parte dei governi" a cominciare dall'Europa e dal suo approccio "condiviso e sinergico".

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Il presidente Obama alla prova dell'Europa (sezione: crisi)

( da "Alto Adige" del 30-03-2009)
Pubblicato anche in: (Nuova Ferrara, La) (Gazzetta di Reggio) (Corriere delle Alpi) (Gazzetta di Modena,La)

Argomenti: Crisi

Il presidente Obama alla prova dell'Europa G20, Nato e vertice Usa-Ue: agenda ambiziosa, ma immagine indebolita WASHINGTON. La "Nuova America" di Barack Obama sbarca domani in Europa per affrontare il primo test internazionale del nuovo inquilino della Casa Bianca. Con tre vertici nel giro di cinque giorni - G20 a Londra, riunione Nato a Strasburgo, vertice Usa-Ue a Praga -, incontri con oltre 40 leader mondiali, due discorsi importanti sui rapporti transatlantici (in Francia) e la proliferazione nucleare (nella Repubblica Ceca), e una sosta finale in Turchia. Alla Casa Bianca non si nasconde però il timore che la stessa Europa che aveva riservato un anno fa accoglienze da rockstar al carismatico candidato alla presidenza possa dare questa volta un benvenuto meno entusiasta al nuovo inquilino dello Studio Ovale. Alle proteste già previste a Londra e Strasburgo dei pacifisti contrari all'inasprimento Usa della guerra in Afghanistan, si accompagneranno le perplessità dei leader europei sollecitati da Obama ad accogliere i detenuti di Guantanamo, a imitare la ricetta Usa di poderosi pacchetti di stimolo, ad aumentare il contributo (militare e civile) alle operazioni in Afghanistan. Scopo dichiarato della visita di Obama, che in otto giorni toccherà cinque Paesi, è quello di cominciare «a ripristinare il prestigio dell'America nel mondo» gravemente scosso durante gli otto anni di amministrazione Bush, fanno sapere i funzionari della Casa Bianca. Tanto per cominciare, Obama avrà un atteggiamento diverso: è pronto ad ascoltare ed a considerare le opinioni e le idee dei suoi interlocutori e intende "guidare con l'esempio", soprattutto per quanto riguarda le iniziative per fronteggiare la crisi economica. Inoltre Obama ha già corretto, in poco più di due mesi di presidenza, molte delle politiche di George W. Bush che erano il bersaglio delle critiche degli altri Paesi: ha ordinato la chiusura di Guantanamo, ha annunciato il calendario del ritiro delle truppe americane in Iraq, ha sposato la causa della lotta al cambiamento del clima, ha teso la mano all'Iran, ha annunciato una nuova strategia per l'Afghanistan e il Pakistan («non prevediamo ingresso di truppe in territorio pakistano», ha dichiarato ieri). Ma la "Nuova America" che il presidente Obama presenta all'Europa in questo suo primo viaggio oltreoceano è anche un'America gravemente indebolita dalla crisi finanziaria. Una crisi che ha provocato un ripensamento del "modello americano" finora presentato come il migliore esistente con la sua enfasi sulla libertà dei mercati e sulla deregulation (cioè il fattore all'origine della crisi). è una situazione che indebolisce la posizione di Obama in vista del G20. L'enfasi degli Usa sulla necessità di varare massicci pacchetti di stimolo nazionali per far ripartire l'economia non è condivisa da molti Paesi europei e la Casa Bianca ha già cominciato a mettere le mani avanti: non ci saranno richieste specifiche a Londra da parte americana su questo fronte. Così come al vertice Nato di Strasburgo e Kehl Obama non chiederà direttamente un aumento di forze militari in Afghanistan ai Paesi alleati.

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Proteste alla Sapienza e degli islamici, la legge vale per tutti? (sezione: crisi)

( da "Giornale.it, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Nasce il Pdl, bene. E non è difficile prevedere che sarà vincente, perchè Berlusconi è la figura di riferimento da oltre 15 anni e alla maggioranza degli italiani è assai gradira e perchè i partiti conservatori, in Italia, ma non solo, affrontano la crisi meglio di una sinistra moderata che, avendo fatto proprio il dogma liberista (ricordate il libro di Giavazzi e Alesina?), ora appare meno credibile di un centrodestra, dove nel corso degli anni non sono mancate le critiche allo stapotere della finanza e alla deriva morale della società ( vedi Tremonti, Bossi, certi esponenti di An). Tuttavia il Pdl corre lo stesso rischio del Pd, che è fallito perchè non è riuscito a darsi una nuova identità ovvero non ha saputo creare una sintesi innovativa tra i cattolici sociali e i post comunisti. Al Pd, come già osservato su questo blog, manca il senso di appartenenza. La domanda che mi pongo è la seguente: il popolo di Forza Italia e, soprattutto, il popolo di An, che è più piccolo ma più coeso, saprà riconoscersi nel Pdl? Ovvero: il nuovo partito sarà sentito come proprio dai militanti? Avrà una coerenza ideologica, programmatica, sociale? Se la risposta sarà negativa, non è difficile prevedere un aumento dei consensi a Lega e Udc, che hanno già un profilo consolidato e sono facilmente riconoscibili dagli elettori. Il successo del nuovo partito nel medio e lungo periodo si gioca sull'identità. Che dovrà essere forte, autentica, condivisa. O sbaglio? Scritto in politica, pdl, partito democratico, democrazia, Italia Commenti ( 47 ) » (2 voti, il voto medio è: 4 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 25Mar 09 Ma il mercato distorce la realtà? Soros dice di sì. Di questi tempi abbiamo parlato molto di economia e mi spiace dover restare in tema, ma sono rimasto colpito da questa affermazione di George Soros, l'ex speculatore che affossò la lira e la sterlina negli anni Novanta e che ora è diventato un guru economico-filosofico-filantropico. Con i mercati ha guadagnato miliardi e i fondi Hedge da lui creati continuano a guadagnarne molti (pare). Eppure ieri durante un incontro con il minostro del Tesoro Usa Geithner ha pronunciato questa frase che ha scioccato l'America: "L'idea che i mercati (finanziari) siano in grado di correggersi da soli si è dimostrata falsa. I mercati, anzichè rispecchiare la realtà sottostante, la distorgono sempre". La mia prima reazione è stata di stizza: ma come, proprio lui fa queste considerazioni? Il personaggio non è certo coerente.. ma, pensandoci bene, forse non ha tutti i torti. Mi spiego: io sono da sempre un liberale e penso che l'economia di mercato abbia consentito di portare sulla via del benessere intere nazioni. Ma ho l'impressione - anzi, la certezza - che i mercati finanziari oggi non siano il risultato del normale incrocio tra domanda e offerta. E questo a causa dei derivati e dei prodotti di ingegneria finanziaria. Qualcuno sa dirmi l'utilità di questi strumenti? Nati a fin di bene ovvero per permettere agli operatori e agli industriali di cautelarsi contro rischi di cambio o sbalzi nelle quotazioni, sono diventati dei mostri che con l'effetto leva consentono profitti o perdite inimmaginabili. Ma servono all'economia reale? Consentono una miglior valutazione delle società quotate? La risposta a queste domande è no: non servono a nulla se non a una certa finanza. E l'effetto leva è così vertiginoso da distorgere molte valutazioni, accentuando spasmodicamente i movimenti al rialzo o al ribasso di borse, valute, materie prime, obbligazioni. Ricordate il petrolio? Su su fino a 150 dollari, poi già sotto i 40, il dollaro che passa da 1,25 a 1,45 in dieci giorni e poi torna a 1,25. Tutto questo è innaturale e superfluo. E allora perchè non limitarli o addirittura abolirli, progressivamente? I trader, certi banchieri, gli speculatori hanno già fatto abbastanza danni. Che la festa finisca e che il mercato torni ad essere il mercato, in un'ottica autenticamente liberale. Domanda: Che Soros abbia ragione? Scritto in capitalismo, crisi, banche, manipolazione, globalizzazione, economia, notizie nascoste Commenti ( 91 ) » (5 voti, il voto medio è: 4.2 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 24Mar 09 Il piano Geithner? Un'altra beffa. I mercati finanziari hanno reagito con entusiasmo al piano del ministro del Tesoro americano Geithner e non è difficile capire perchè: non fa altro che prorogare lo strapotere della casta finanziaria di Wall Street. Come hanno evidenziato alcuni commentatori (segnalo al riguardo l'ottimo fondo di Luigi Zingales sul Sole 24Ore), la manovra messa a punto dall'Amministrazione Obama si risolve in uno straordinario regalo alle banche che hanno provocato il dissesto finanziario, in un incentivo agli hedge funds che potranno indebitarsi a spese del contribuente, e persino in un premio alle agenzie di rating che per valutare i nuovi fondi di asset tossici intascheranno un miliardo di dollari. Sul Giornale di oggi do voce anche a un'illustre economista, Alice Rivlin, ex membro del board della Federal Reserve, che sebbene con qualche perplessità difende il piano. Tuttavia resto molto scettico, per queste quattro ragioni: 1) Il piano ignora le cause strutturali del dissesto. Anche se avesse successo, non impedirebbe alle banche di ripetere gli stessi errori del passato. infatti, secondo voci accreditate, gli istituti bancari non hanno ancora rinunciato alle operazioni di ingegneria finanziaria, insomma continuano a trastullarsi con derivati, cartolarizzazioni, eccetera. 2) Il fondo dovrebbe essere alimentato con mille miliardi di dollari, ma l'ammontare dei debiti tossici è di gran lunga superiore a questa pur ingente cifra. Verosimilmente, non sarà sufficiente per risanare completamente i bilanci delle banche. 3) La Cina è sempre più diffidente nei confronti degli Stati Uniti e sempre meno disposta a indebitarsi in dollari. Ieri, d'accordo con la Russia, ha lanciato l'idea di una moneta globale al posto della valuta statunitense. L'ipotesi appartiene a un futuro lontano. Ma il solo fatto che venga presa in considerazione è indicativa delle intenzioni di Pechino. 4) L'economia americana si basa per il 75% sui consumi e le misure varate dal governo faranno esplodere prima il deficit e poi il debito pubblico, che potrebbe arrivare in appena due anni all'80% del Pil. E ci vorranno molti anni per riconvertirla all'industria. Le sue debolezze sono strutturali. L'ottimismo di molti operatori è davvero giustificato? Scritto in banche, capitalismo, crisi, era obama, economia, cina, globalizzazione, gli usa e il mondo Commenti ( 63 ) » (3 voti, il voto medio è: 5 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 21Mar 09 Non chiedete a Obama di essere spontaneo Ma Obama è davvero un grande comunicatore? Ne dubito. O meglio, dipende dalle circostanze. Come spiego in un articolo pubblicato oggi sul Giornale, il presidente degli Stati Uniti è soprattutto un grande interprete, ma solo di discorsi scritti, spesso da altri. Sa leggere, sa recitare bene. Ma è terrorizzato quando deve parlare a braccio. Infatti, ha sempre appresso il teleprompter (vedi foto) ovvero il "gobbo elettronico", anche quando deve intervenire in pubblico solo per pochi secondi. Non sa improvvisare, non sa essere spontaneo. Io dico: non paragonatelo a Roosevelet, nè a Kennedy, nè a Reagan. Quella era un'altra categoria. Obama senza il suo spin doctor David Axelrod è perso. Scritto in spin, comunicazione, era obama, presidenziali usa, gli usa e il mondo, giornalismo Commenti ( 71 ) » (4 voti, il voto medio è: 4.75 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 19Mar 09 Proteste alla Sapienza e degli islamici, la legge vale per tutti? Ieri altri tafferugli alla Sapienza. Gli studenti volevano improvvisare un corteo non autorizzato e la polizia lo ha impedito; da qui gli scontri. A mio giudizio la polizia ha ragione; mi chiedo però perchè lo stesso criterio non sia stato usato in occasione delle proteste degli estremisti islamici di gennaio, durante le quali, per ben 4 volte i manifestanti hanno deviato dal percorso autorizzato per andare a pregare di fronte al Duomo e al Colosseo. In quell'occasione, a Milano come a Roma, le forze dell'ordine hanno lasciato fare. E purtroppo credo che lo stesso accadrebbe se gli islamici tentassero un'altra prova di forza; perchè è relativamente semplice contrastare qualche centinaio di studenti su di giri, ma è troppo rischioso far rispettare la legge se a violarla è una minoranza musulmana ormai molto numerosa composta da centinaia di migliaia di persone, che potrebbero provocare sommosse di piazza. E se osservo quel che accade all'estero non trovi motivi di conforto: a Parigi la polizia non ha più il controllo di alcuni quartieri di periferia e gli agenti hanno paura di uscire dai commissariati, mentre in America Sean Penn ha fatto tagliare i passaggi che lo riguardano in un film che denuncia le difficoltà di integrazione di certe minoranze, tra cui quella islamica, mostrando scene forti, come quella di una ragazza iraniana uccisa in nome dell' «onore» da un familiare che ne rimproverava la condotta di vita non conforme alle tradizioni e ai dettami della religione. Le proteste dell'associazione degli iraniani è stata così veemente da indurre l'attore, famoso per il suo impegno civile, a una clamorosa retromarcia. E la situazione rischia di peggiorare ulteriormente. Che fare? Bisogna arrivare al punto di limitare drasticamente l'immigrazione musulmana privilegiando quella di minoranze, come i filippini, che si integrano facilmente? Scritto in notizie nascoste, società, Italia, gli usa e il mondo, francia, immigrazione, islam Commenti ( 179 ) » (6 voti, il voto medio è: 5 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 17Mar 09 Il rally delle Borse è un'illusione, l'America nasconde i guai Negli ultimi sette giorni le Borse sono partite al rialzo e c'è già chi sostiene che il peggio è passato. Non riesco ad essere così ottimista; anzi, ho l'impressione che in realtà, proprio in questi giorni ,stiamo vivendo un passaggio delicatissimo della crisi. Il rally è stato innescato da Citigroup che ha annunciato profitti per i primi due mesi e gli operatori hanno iniziato a credere che il settore bancario sia sulla via del risanamento. Ma è davvero così? Che fine hanno fatto i debiti colossali accumulati dagli istituti? Si sono volatilizzati con un colpo di bacchetta magica? Ovvio che no. E infatti qualcuno ha rilevato che Citigroup ha annunciato gli utili ma si è rifiutata di rilevare l'incidenza dei debiti. Ma l'annuncio di una settimana fa è servito per innescare un'operazione colossale per propagare fiducia. Il movimento di Borsa è stato ampliato da una raffica di annunci rassicuranti da altre banche, e, soprattutto, da uno spin iperottimistico da parte di Obama, del ministro del Tesoro Geithner del presidente della Fed Bernanke, secondo cui "il peggio è passato". Che i governi tendano a sollevare gli spiriti è normale, ma questa euforia è sospetta. E infatti serve a nascondere un problema ben più grande. Altro che ripresa, in queste ore l'America è in bilico come mai prima d'ora. La vera notizia non è Citigroup, ma la dichiarazione del primo ministro cinese che pubblicamente ha espresso dubbi sulla solidità dei Buoni del Tesoro americani. E Obama nel week-end ha moltiplicato gli interventi per rassicurare il mondo "che gli Usa sono la nazione più sicura al mondo per gli investimenti". Ieri sono usciti i dati, ripresi dall'economista Roubini, sugli acquisti di Treasury ed è emersa un'altra verità scomoda. In gennaio gli stranieri hanno venduto Buoni del Tesoro a lunga scadenza per 18 miliardi (mentre in dicembre ne avevano acquistati per 22 miliairdi), preferendo le scadenze brevi. In genere hanno ridotto gli acquisti di obbligazioni americane, sia pubbliche che private, con, complessivamente, un saldo negativo per 148 miliardi di dollari. La Cina è inquieta e il mercato manda segnali negativi: il mondo inizia a perdere fiducia in un'America il cui deficit sta esplodendo? E' l'incubo che agita le notti di Obama. Altro che euforia, il suo è spin da disperazione. E il mondo trattiene il fiato. AGGIORNAMENTO: Sono a Parigi, dove ho intervistato Jacques Attali, uno dei pochi ad aver previsto per tempo la crisi. E' convinto che la crisi potrà essere superata definitivamente solo se verranno cambiate le regole che hanno permesso la diffusione dell'anarchia finanziaria, altrimenti la ripresa sarà effimera. Il problema è che Washington e Londra vogliono continuare come prima. Attali è persuaso che l'Europa sia meglio attrezzata e potrebbe addirittura emergere come la nuova superpotenza. Potere leggere l'intervista qui Scritto in spin, banche, capitalismo, crisi, era obama, società, cina, notizie nascoste, globalizzazione, economia, gli usa e il mondo Commenti ( 45 ) » (4 voti, il voto medio è: 5 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 14Mar 09 La crisi provocherà una nuova ondata di immigrati? Ma la crisi che impatto avrà sui flussi migratori? In Italia se n'è parlato poco, ma sulla stampa straniera sono stati pubblicati diversi reportage, da quali risultava che molti immigrati stavano abbandondando i Paesi ricchi (soprattutto negli Usa e in quelli del Golfo) per tornare a casa. Il motivo? Ovvio: la mancanza di lavoro. Anche in Italia è accaduto un fenomeno analogo, sebbene in misura molto minore e limitatamente ad alcune comunità, come quella brasiliana. Ma ora il quadro potrebbe cambiare. Se la crisi finanziaria nei Paesi dell'Europa dell'est peggiorerà ulteriormente, provocando un forte aumento della disoccupazione, molti rumeni, bulgari, albanesi, slovacchi, eccetera potrebbero essere indotti, dalla disperazione, a tentare l'avventura a ovest, magari al solo scopo di vivere di espedienti. L'incognita principale, tuttavia, riguarda l'Africa. L'altro giorno il segretario del Fmi, Dominique Strauss-Kahn, ha lanciato l'allarme per gli effetti catastrofici della recessione sul Continente nero. «C'è in pratica la certezza -ha detto il capo dell'Fmi -che molti milioni di persone sprofonderanno sempre più nella miseria: se non si interviene con un forte piano d'emergenza ci sono forti rischi di guerre civili, se non di guerre estese». E dunque di una nuova ondata migratoria verso l'Europa. Secondo Strauss-Kahn tocca ai Paesi ricchi mettere mano al portafoglio. «Se la comunità internazionale ha trovato centinaia di miliardi di dollari per affrontare la crisi globale, non è ammissibile che non possa trovare qualche centinaio di milioni, meno di quanto ha investito per salvare singole aziende private, per i Paesi più poveri». E' davvero questo il modo appropriato per aiutare l'Africa a superare la crisi? Inoltre: siamo pronti a reggere, in piena crisi economica, una nuova ondata migratoria dall'Europa dell'Est e dall'Africa? Temo che un evento del genere provocherebbe tensioni sociali enormi, un razzismo diffuso e una guerra tra poveri nelle nostre città. Che foschi presagi.. sbaglio? Scritto in società, crisi, globalizzazione, democrazia, Italia, notizie nascoste, immigrazione Commenti ( 88 ) » (8 voti, il voto medio è: 4.38 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 12Mar 09 Piani di rilancio, l'Europa dice no a Obama (e fa bene) Giornale di oggi scrivo un articolo incentrato sulle crescenti incomprensioni tra l'Unione europea e la nuova America di Obama, in vista del prossimo G20. Il punto centrale riguarda il piano di stimolo dell'economia, la Casa Bianca da giorni preme affinchè anche l'Europa ne adotti uno in grande stile (quello Usa è pari al 5,7% del Pil), ma i Ventisette sono restii. "Hanno già stanziato spese straordinarie pari all'1,5% del Pil, che porteranno quelli dell'area euro a sfondare il deficit del 3% previsto dal Trattato di Maastricht, ma non intendono andare oltre nel timore che disavanzi eccessivi possano incrinare la tenuta o perlomeno la credibilità della moneta unica". Infatti quello americano quest'anno sfiorerà il 10% e che chi lo vede addirittura al 15%. Inoltre, Berlino e Parigi prestano sempre più ascolto agli economisti secondo cui manovre come quelle americane servono a poco; infatti a breve porteranno nelle tasche dei contribuenti importi irrisori pari a poche decine di dollari a testa, mentre gli investimenti sulle infrastrutture incideranno sulla crescita solo verso la fine del 2010. Insomma, si dovrebbe rinunciare a equilibri finanziari costruiti in oltre 15 anni per adottare misure espansioniste di dubbia efficacia". Io dico che l'Europa fa bene a resistere alle pressioni americane nonostante siano sempre più insistenti, con l'appoggio di grandi testate come Financial Times ed herald Tribune, che abboccano allo spin della Casa Bianca. La mia impressione è che gli Usa sperino di trascinare anche gli altri Paesi nella spirale dei deficit (e a lungo termine inflazionistica) perchè se tutti vanno male è più facile che il dollaro resti la moneta di riferimento; ma se l'Europa non segue la corrente e mantiene conti più o meno in ordine il biglietto verde rischia il capitombolo e Washington di perdere la leadership finanziaria sull'economia globale. Questa è la vera posta in gioco. Sbaglio? Scritto in spin, banche, capitalismo, crisi, manipolazione, era obama, globalizzazione, europa, economia, società, gli usa e il mondo Commenti ( 47 ) » (5 voti, il voto medio è: 5 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 10Mar 09 Libertà di stampa? Sì, ma non per i blog Attenti, amici bloggisti, la Cassazione ha deciso che "per i blog e i forum on-line non valgono le regole che tutelano la libertà di stampa". La ragione? Eccola: siccome "si tratta di una semplice area di discussione dove qualsiasi utente o gli utenti registrati sono liberi di esprimere il proprio pensiero, rendendolo visionabile a tutti gli altri soggetti autorizzati ad accedere al forum", spesso in forma anonima,."Blog, forum eccetera non possono essere considerati come una testata giornalistica, ma sono equiparabili ai messaggi che potevanoe possono essere lasciati in una bacheca". Dunque i blog hanno l'obbligo di rispettare il "buon custome" e il giudice può ordinare il sequestro di alcune pagine web. La controversia era nata in seguito alla decisione del Tribunale di Catania di sequestrare un forum di discussione sulla religione cattolica nel quale erano contenuti messaggi che la magistratura di Catania aveva ritenuto offensivi verso il comune sentimento religioso. Alcuni bloggisti "avevano travalicato limiti del buon costume alludendo espressamente a pratiche pedofile dei sacerdoti per diffondere il 'sacro seme del Cattolicesimo'". Il tema è delicatissimo. Certe ingiurie sono indifendibili, ma temo che la sentenza della Cassazione sia esagerata e che costituisca un precedente potenzialmente pericoloso per la libertà di espressione in questo Paese. Chi stabilisce cos'è il buon costume? E chi ci garantisce che questa sentenza non venga usata per mettere a tacere opinioni scomode? Scritto in giustizia, blog, manipolazione, società, Italia, democrazia, giornalismo Commenti ( 63 ) » (4 voti, il voto medio è: 4.75 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico 08Mar 09 "Repubblica" s'indigna: gli hotel di lusso tagliano le "amenties" Il mondo va a rotoli e "Repubblica", giustamente, si preoccupa anche dei contraccolpi sugli hotel di lusso. Mercoledì ha dedicato all'argomento un'intera pagina. Ecco l'incipit: "Cominciamo da qui, dal fastoso Shangri La di Singapore e dal racconto di Alessandra Pavolini, general manager in viaggio per il 40 per cento del suo tempo-lavoro. Racconta che l'ultima volta è stato uno shock: "Niente più corbeille di fiori nella hall, neppure un valletto che ti prende i bagagli, in camera una lista di raccomandazioni da colonia estiva: spegni le luci, non usare tutti gli asciugamani, tieni la temperatura più alta. In bagno il deserto, con il barattolino dello shampoo che tiene solo una dose, spariti il cotton fioc e i dischetti struccanti. Sul comodino matite lunghe come un mozzicone e il bloc notes col logo ridotto a tre foglietti di carta bianca". E ancora, con tono inorridito, Cinzia Sasso racconta che "il grande bacino del risparmio è quello delle amenities. Basta accappatoi; stop alle pantofole; addio alle creme idratanti; contenitori più piccoli per shampoo, balsamo e bagnoschiuma, generi da sostituire, nel caso di presenze che si prolunghino, "solo dopo che siano stati utilizzati del tutto"; via i sottobicchieri nel bagno; i sigilli del water; kit per il cucito e kit per pulire le scarpe ridotti al minimo; via perfino il cioccolatino della buona notte. Ma, scrive ancora la Sasso, "per fortuna nell'era di internet, a parte i maniaci delle collezioni, non si accorgerà nessuno che sono già state tagliati i fogli per spedire i fax e la carta da lettere, così come le scatoline dei fiammiferi con il logo degli hotel". Come non capire i lettori chic di Repubblica: è un vero scandalo, un trauma, un'indecenza. Voi che dite: riusciranno a riprendersi? Sono sinceramente preoccupato. Scritto in crisi, globalizzazione, notizie nascoste, Italia, giornalismo Commenti ( 34 ) » (6 voti, il voto medio è: 3.83 su un massimo di 5) Loading ... Il Blog di Marcello Foa © 2009 Feed RSS Articoli Feed RSS Commenti Invia questo articolo a un amico Post precedenti Chi sono Sono inviato speciale di politica internazionale. Sposato, ho tre figli. Risiedo a Milano e giro il mondo. 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Emilia-Romagna: l'accesso al credito è più facile (sezione: crisi)

( da "01net" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Emilia-Romagna: l'accesso al credito è più facile Siglato un accordo fra Regione, Confidi e banche 26 Marzo 2009 Regione Emilia-Romagna, Unioncamere, Consorzi fidi e Istituti di credito aderenti hanno firmato un accordo che permette di fronteggiare gli effetti della crisi finanziaria sulle possibilità di accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese dell’Emilia-Romagna. L'accordo intende favorire la possibilità, da parte delle piccole e medie imprese, di accedere al credito bancario a breve e medio termine, a condizioni economiche medie particolarmente vantaggiose e legate principalmente per soddisfare le esigenze di liquidità straordinaria delle imprese, finalizzate a garantire: il pagamento di imposte, tasse, contributi, tredicesime e quattordicesime; per favorire lo smobilizzo del capitale circolante delle imprese, e in particolare dei crediti maturati nell’esercizio dell’attività imprenditoriale attraverso lo smobilizzo dei crediti non ceduti ed esigibili che le imprese medesime vantano nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle imprese ammesse alle procedure di amministrazione straordinaria e/o di quelle che appartengono alla filiera facente capo a queste ultime; per anticipare il pagamento della cassa integrazione guadagni ordinaria/straordinaria.

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Venezuela-Iran, nel giorno del G20 Chávez incontra Ahmadinejad (sezione: crisi)

( da "Velino.it, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Il Velino presenta, in esclusiva per gli abbonati, le notizie via via che vengono inserite. EST - Venezuela-Iran, nel giorno del G20 ChÁvez incontra Ahmadinejad Roma, 30 mar (Velino/Velino Latam) - Il 2 aprile prossimo, nel giorno in cui molti degli attori principali della scena politica internazionale affronteranno a Londra, nel cosiddetto vertice del G20, i temi della crisi finanziaria internazionale, il presidente del Venezuela Hugo ChÁvez si recherà a Teheran, ospite del capo di Stato Mahmoud Ahmadinejad. I due leader, solidali nella critica politica agli Stati Uniti, hanno in programma l’analisi dei molti progetti di cooperazione economica tra i quali, come ha ricordato il ministro dell’Industria di Caracas, Rodolfo Sanz, l’inaugurazione di una banca iraniano-venezuelana e di un fondo binazionale di investimento. Il fondo avrà a regime un capitale di un miliardo e seicento milioni di dollari, e si aprirà con una dotazione iniziale di cento milioni di dollari per ciascun paese. ChÁvez arriverà a Teheran proveniente dal vertice dei paesi arabi e dell’America latina che si apre domani a Doha in Qatar, e chiuderà il suo tour con un passaggio in Giappone, dove ha intenzione di stringere nuovi sodalizi economici e negoziare contratti per lo sfruttamento del petrolio. (red/fae) 30 mar 2009 12:27

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Busca: al via la stagione primaverile del Teatro civico (sezione: crisi)

( da "Targatocn.it" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Busca: al via la stagione primaverile del Teatro civico Prenderà il via nel primo week end di aprile (venerdì 3 e sabato 4) il programma primaverile di spettacoli del Teatro Civico di Busca, il cui restauro - realizzato grazie ai contributi dell’Unione europea e del Comune di Busca nell’ambito del progetto Interreg 'Montagne in scena' e coordinato dall’associazione Marcovaldo - è stato presentato al pubblico il 20 dicembre scorso. Venerdì 3 aprile alle 21, andrà in scena 'Ricordando Ernesto Francotto', letture a cura di Omar Ramero e Giangi Giordano. Sabato 4, sempre alle 21, il 'Quartetto d’archi del Teatro Regio di Torino' presenterà musiche di Mozart, Dvorak, Part, Piazzolla e Gershwin, concerto organizzato dall’istituto musicale Vivaldi e inserito nella rassegna internazionale di giovani concertisti 'Invito alla musica' stagione 2008/2009. Il cartellone è stato allestito dall’associazione culturale Marcovaldo e dal Comune di Busca, in collaborazione con alcune associazioni culturali buschesi (Istituto Musicale Vivaldi, Amici della musica, Le cercle rouge ed il Festival delle Colline Saluzzesi 2009). Per informazioni rivolgersi al numero verde 800329329. “Come annunciato in occasione dell’inaugurazione - spiega Fabrizio Pellegrino, presidente del Marcovaldo - la nostra associazione ed il Comune di Busca hanno cominciato a lavorare per gestire insieme il Teatro Civico. Il programma primaverile di spettacoli che prende il via ad aprile è il primo passo di questa collaborazione con il Comune: verranno coinvolte le associazioni culturali buschesi che si occupano di musica e spettacolo, per dare loro la possibilità di utilizzare il teatro, nell’ambito di una programmazione concertata”. I dieci eventi in programma dal 3 aprile al 13 giugno alternano momenti musicali (dalla classica all’opera e alla musica d’autore) a iniziative teatrali (letture e spettacoli), di cui due inserite nell’edizione 2009 del Roccolo della Poesia: i 'Racconti in musica' con Gipo Farassino (venerdì 1° maggio) e 'Il mattino di zucchero' con Roberto Piumini e Roberto Caviezel (sabato 9 maggio). “La programmazione futura – continua Pellegrino – dipenderà, tuttavia, in buona parte dalla concreta possibilità di riuscire ad usufruire di contributi pubblici, soprattutto in un periodo, come questo, in cui lo spettacolo è fortemente penalizzato dalla crisi finanziaria e dai tagli alla spesa pubblica e, in particolare, alla cultura. A questo proposito l’associazione Marcovaldo ha presentato un nuovo progetto Interreg – ‘Confrontations Artistiques Transfrontaliéres’ - che vede come capofila il Comune di Savigliano e ha come partner francese la Comunità dei Comuni della Moyenne Durance, per completare le dotazioni tecniche del teatro e per programmare due anni di attività. Nel caso il progetto venisse approvato, nel giugno prossimo, il Teatro Civico potrebbe contare su un avvio di stagione autunnale importante. Inoltre, sono in corso contatti con la Regione Piemonte per individuare ambiti progettuali nei quali sia possibile trovare risorse specifiche”. TEATRO CIVICO DI BUSCA – PROGRAMMA PRIMAVERA 2009 VENERDÌ 3 APRILE - ORE 21 RICORDANDO ERNESTO FRANCOTTO Letture a cura di Omar Ramero e Giangi Giordano Ingresso 3 euro Ernesto Francotto è 'il poeta' di Busca: forse ancora oggi, ma sicuramente fino a qualche anno fa, i bambini delle elementari studiavano la sua poesia 'El nost Cioché' come rappresentativa di quello che era (ed è) ricordato con orgoglio come un grande uomo, ottimo medico e bravo poeta. La serata che viene proposta è un omaggio a Francotto, ricordato attraverso le sue poesie in italiano e in piemontese e attraverso le testimonianze commosse, curiose e spesso divertenti di chi l’ha conosciuto. Tra questi, un altro buschese immortale nel ricordo di tutti: il vicario Don Francesco Fino. Le letture sono tratte dal libro 'Ernesto Francotto: l’uomo e il poeta' edito dal Comune di Busca nel 1985. Sul palco si incontreranno due generazioni di attori buschesi: Omar Ramero, visto di recente nella fiction Rai 'Il bene e il male', leggerà stralci di racconti sulla vita di Francotto e alcune sue poesie; ospite della serata sarà Giangi Giordano, storico protagonista delle commedie dialettali portate in scena dalla Filodrammatica Buschese 'El cioché', che reciterà alcune poesie in piemontese scritte dal medico poeta. SABATO 4 APRILE ORE 21 QUARTETTO D’ARCHI DEL TEATRO REGIO DI TORINO Musiche di Mozart, Dvorak, Part, Piazzolla, Gershwin Organizzazione a cura dell’Istituto Musicale “Vivaldi” VI concerto della XXVIII rassegna internazionale di giovani concertisti 'Invito alla Musica' Stagione 08/09 Ingresso libero Il Quartetto d’archi del Teatro Regio di Torino (Stefano Vagnarelli, violino; Marco Polidori, violino; Krystyna Porebska, viola; Relja Lukic, violoncello) propone: 'Adagio e Fuga K. 546' di Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791); 'Quartetto in fa maggiore op. 96 Americano' di Antonín Dvorák (1841-1904); 'Fratres' di Arvo Pärt (1935); 'Tango Ballet' di Astor Piazzolla (1921-1992); 'Selezione da Porgy and Bess' di George Gershwin (1898-1937). Il quartetto nasce dalla volontà delle quattro prime parti, che dopo numerosi anni di comune attività in seno all'orchestra del Teatro Regio di Torino, e della Filarmonica ‘900 del Teatro Regio di Torino, decidono di continuare ed approfondire il legame musicale, con attività cameristica. Il quartetto d'archi è dunque la scelta naturale, avallata anche dalla Direzione del Teatro stesso, che in più di 250 anni di attività, concede per la prima volta il nome del Teatro Regio ad un quartetto di suoi musicisti. I quattro strumentisti provengono da scuole e culture differenti, elemento questo che accresce l'apporto del singolo nello sviluppo delle proposte musicali del gruppo. Il repertorio spazia infatti in un arco temporale di ampio respiro, si va dunque dal settecento mozartiano, ai contemporanei come Part, toccando generi come il musical ed altri. Il Teatro Regio ha già messo a disposizione della nuova formazione, diverse date di concerti, non ultima l'inaugurazione della stagione di concerti cameristici del Teatro Regio. La formazione quartettistica è la base anche per gruppi più numerosi, come gli impegni con il M° Antonio Ballista, per programmi dedicati al quintetto con pianoforte. GLI ALTRI SPETTACOLI SABATO 18 APRILE - ORE 21 INVITO ALL’OPERA Con Bruno Gambarotta, Giuseppe Nova, Rino Vernizzi, Giorgio Costa Organizzazione a cura dell’Associazione Culturale “Amici della Musica” di Busca Rassegna di concerti “Musicaè” – V Stagione Artistica 2009 Ingresso libero VENERDÌ 1° MAGGIO - ORE 21 RACCONTI IN MUSICA Di e con Gipo Farassino Inaugurazione della III edizione de “Il Roccolo della Poesia” Ingresso 20 euro (ridotto 18 euro) SABATO 9 MAGGIO - ORE 10 e 11.30 IL MATTINO DI ZUCCHERO Spettacolo di Roberto Piumini e Roberto Caviezel Riservato ai ragazzi delle scuole materne ed elementari SABATO 9 MAGGIO - ORE 21 L'ESPLORATORE E I SUOI CANNIBALI Dodici poeti per dodici video-poesie Organizzazione a cura dell’Associazione Culturale 'Le cercle rouge' –Busca Ingresso libero VENERDÌ 22 MAGGIO - ORE 21 CHIEDI ALLA POLVERE Di John Fante con letture a cura di Omar Ramero e Giulia Brenna Ingresso 3 euro SABATO 23 MAGGIO – ORE 21 I VIRTUOSI DI PRAGA Orchestra da camera Organizzazione a cura dell’Associazione Culturale 'Amici della Musica' di Busca Rassegna di concerti 'Musicaè' – V Stagione Artistica 2009 Ingresso libero DOMENICA 31 MAGGIO - ORE 21 RECITAL PIANISTICO Brian Ganz al pianoforte Organizzazione a cura dell’Associazione Culturale 'Amici della Musica' di Busca Rassegna di concerti 'Musicaè' – V Stagione Artistica 2009 Ingresso libero DOMENICA 13 GIUGNO 2008 - ORE 21 GLI ARCHITANGHI Quintetto d’archi, voce e percussioni Musiche di E. Delfino, E.M. Arancini, E.A. Napolitano, A. Piazzolla, M. Theodoraki, M. Cappello, C. Gardel, Klezmer, E. A. Mario Organizzazione a cura del 'Festival delle Colline Saluzzesi 2009' Ingresso libero .

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PRIGIONIERI DEI LORO SOLDI I BANCHIERI SVIZZERI HANNO PAURA DI ATTRAVERSARE LA FRONTIERA ED ESSERE ARRESTATI O INTERROGATI "IL segreto bancario NON C'ENTRA. UE E USA vogliono r (sezione: crisi)

( da "Dagospia.com" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

HomePage | Segnala articolo --> PRIGIONIERI DEI LORO SOLDI – I BANCHIERI SVIZZERI HANNO PAURA DI ATTRAVERSARE LA FRONTIERA ED ESSERE ARRESTATI O INTERROGATI – “IL segreto bancario NON C’ENTRA. UE E USA vogliono risolvere un problema trovando un nemico straniero da colpire”… Marco Zatterin per "La Stampa" MANAGER RICEVUTI DA OBAMA Non vanno volentieri a Parigi e a Francoforte, meno che meno a New York. Hanno paura, i banchieri svizzeri, come i colleghi europei e anche qualcosa in più. Non devono solo preoccuparsi di rabberciare i bilanci perforati dalla crisi finanziaria globale di cui sono stati coprotagonisti, e nemmeno trovare un modo per stare alla larga dai disperati malintenzionati che hanno preso a contestare la categoria in modo anche rude in quanto «causa di ogni male». Il loro problema extra è che quando attraversano il confine temono di non tornare indietro con facilità. Possono essere interrogati, magari incarcerati, ora che tutti i governi stanno stringendo i controlli su evasione fiscale e frodi bancarie. La prudenza consiglia allora di restare a casa, sperano che prima o poi passi la nottata. Succede quando una piccola confederazione quasi integralmente circondata da montagne è celebre nel mondo per la cioccolata, i formaggi, gli orologi e 11 mila miliardi di dollari di capitali che si presuppongono essere sottratti alle verifiche di tutti gli erari del pianeta. Succede eccome. Il Financial Times ha rivelato, e la notizia è confermata da fonti concordanti, che alcune fra le più importanti aziende di credito elvetiche hanno ridotto al minimo, se non bloccato del tutto, le missioni all'estero dei loro alti dirigenti. «Se oggi io vado in Germania per incontrare due clienti - ha confessato un banchiere chiedendo l'anonimato - mi possono fermare alla dogana per interrogarmi». Un'esperienza di cui gli uomini in gessato preferiscono fare a meno. barack obama Lo fanno in molti, non tutti. Però questo non toglie che il problema è considerato reale e che il fantasma che fa più spavento è lo zio Sam vestito con l'uniforme grigia da agente del fisco. Lo scorso anno un pezzo grosso dell'Ubs è finito diritto dalla dogana alla gattabuia nell'ambito di un'inchiesta federale su una questione di imposte non pagate. «Oggi, se sei un banchiere svizzero e vai in America, hai paura di essere fermato e interrogato - ha ammesso un'altra fonte -. Io, prima di attraversare l'Oceano, ci penso due volte». E ancora: «Certi banchieri non si spostano nemmeno in Francia, altri non si allontanano più da Ginevra». Alcuni grandi istituti svizzeri stanno cercando di semplificare i loro rapporti con la Giustizia degli altri chiedendo la licenza bancaria nei paesi dove operano. È una mossa che garantisce la tutela del personale, visto che questo si dispone al rispetto delle regole del sistema che li ospita. Non basta. La grande lezione della crisi tratta nelle capitali dell'Ue, e oltre Atlantico, è che nessuna attività, in nessuno luogo o tempo, deve poter essere svolta senza regole o senza controlli. La minaccia di inserire Berna nella lista nera Ocse dei paradisi fiscali non cooperativi ha convinto il governo crociato a promettere un ammorbidimento del segreto bancario, pur se piena trasparenza resta comunque lontana e i margini di vischiosità non sono del tutto eliminati. Così mentre si insegue una quadra per il nuovo assetto della governance internazionale - col sogno di regole e vigilanza più stringenti messe nelle mani del vertice G20 di giovedì prossimo - le amministrazioni danno un giro di vite a quello esistente, e comportamenti che magari prima venivano tollerati adesso sono contestati con decisione. Una volta si diceva «male non fare, paura non avere». Il presidente svizzero Hans-Rudolph Merz ha affermato che la riservatezza fa parte della tradizione dell'economia nazionale, cercando in sostanza di non arretrare più di tanto, cosa che ovviamente raccoglie consensi fra gli elettori. «Questi controlli non hanno niente a che vedere col segreto bancario - protesta un banchiere -. I grandi paesi vogliono risolvere un problema trovando un nemico straniero da colpire». Buona scusa, ma non funziona. Non a Parigi, a Berlino, a Bruxelles, e nemmeno a Washington. [30-03-2009]

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ITALIA-RUSSIA/ BERLUSCONI: RAPPORTI ECONOMICI AI MASSIMI STORICI (sezione: crisi)

( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Italia-Russia/ Berlusconi: Rapporti economici ai massimi storici di Apcom Ma la collaborazione "puo' migliorare ulteriormente" -->Mosca, 30 mar. (Apcom-Nuova Europa) - La collaborazione economica tra Italia e Federazione Russa "ha raggiunto i massimi storici" ma "può migliorare ulteriormente". Lo afferma il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che guiderà tra pochi giorni una missione di imprenditori italiani a Mosca. "Sarà 'la più grande missione di sistema' mai organizzata dall'Italia, inserita però in una lunga tradizione di missioni imprenditoriali italiane in Russia", sottolinea il capo di governo in un'intervista a Ria Novosti. "L'importanza questa volta dell'iniziativa, alla quale partecipano 800 soggetti economici tra imprese, associazioni di categoria, consorzi ed enti italiani, dimostra non che vi siano particolari problemi da risolvere, ma che la collaborazione economica tra Italia e Federazione Russa, che ha raggiunto i massimi storici, puo' migliorare ulteriormente". Per Berlusconi la missione rappresenta un "messaggio assolutamente positivo. Basti pensare che l'interscambio commerciale in valore assoluto e' passato nel 2008 da 23,9 a 26,5 miliardi di euro, con un aumento dell'11 per cento rispetto al 2007. Il ritmo della crescita, ovviamente, ha risentito nella seconda metà dell'anno della generale crisi finanziaria. Ma è significativo che il valore delle nostre esportazioni (10,5 miliardi di euro) ha fatto segnare un aumento del 9,3 rispetto all'anno precedente, mentre quelle verso altri mercati europei hanno fatto registrare il segno negativo". Circa il 70 per cento delle nostre importazioni dalla Russia è costituito da gas e petrolio, sottolinea il premier. "L'aspetto interessante della missione è che sarà estesa a realtà economiche lontane da Mosca e ad altre regioni, tra cui San Pietroburgo, Ekaterinburg, Krasnodar e Novosibirsk. In conclusione, la Russia e' per l'Italia un partner strategico imprescindibile, politicamente ed economicamente. La nostra è un'amicizia a tutto campo".

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BORSA/ FUTURES USA IN NETTO RIBASSO, PESANO TIMORI AUTO E BANCHE (sezione: crisi)

( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Borsa/ Futures Usa in netto ribasso, pesano timori auto e banche di Apcom Si avvicina spettro bancarotta per GM. -->New York, 30 mar. (Apcom) - Si preannuncia un avvio di settimana decisamente sottotono per la Borsa americana dopo tre settimane consecutive di rialzi. I contratti sui principali indici Usa si muovono in ribasso, con quello sul Dow Jones che cede il 2,25% (-175 punti) a 7.587 punti. Il futures sull'S&P 500 lascia sul campo il 2,34% (-19,10 punti) a quota 797, mentre l'analogo contratto sul Nasdaq 100 l'1,93% a 1.231,75 punti. La Casa Bianca ha bocciato i piani di recupero preparati nei giorni scorsi da General Motors e Chrysler, annunciando che le due case automobilistiche dovranno procedere a una ristrutturazione più profonda prima di ricevere ulteriori prestiti dal governo. Intanto, nell'ultimo segnale del fatto che la crisi finanziaria abbia assunto dimensioni globali, la Spagna si e' vista costretta a salvare la banca regionale Caja Castilla la Mancha, nella sua prima operazione di questo tipo dall'inizio delle turbolenze. Ieri l'amministratore delegato Rick Wagoner e' stato spinto da Washington a rassegnare le dimissioni con effetto immediato, mentre il suo omologo di Chrysler, Bob Nardelli, dovrebbe scamparla. Il successore designato di Wagoner, l'attuale direttore operativo Fritz Henderson, e' stato accolto con una certa freddezza. Oggi il presidente Obama terra' un intervento sul settore dell'auto. Le azioni GM scivolano di oltre il 20% nelle contrattazioni preborsa.

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G8/ BERLUSCONI: SINTONIA CON G20. ALLA MADDALENA SISTEMA REGOLE (sezione: crisi)

( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

G8/ Berlusconi: Sintonia con G20. Alla Maddalena sistema regole di Apcom "Andremo oltre" e sforzo per coinvolgere sempre piu' soggetti -->Mosca, 30 mar. (Apcom-Nuova Europa) - Sono pienamente compatibili i due format internazionali G8 e G20 per Silvio Berlusconi, che prevede al summit della Maddalena di adottare "un sistema condiviso di principi e regole comuni sulla correttezza, integrità e trasparenza delle attività economiche e finanziarie internazionali". Lo dice lo stesso presidente del Consiglio italiano in un'intervista all'agenzia di stampa russa Ria Novosti, in preparazione del suo prossimo viaggio a Mosca. "Sia io come presidente del G8, sia il premier britannico Gordon Brown come presidente del G20, abbiamo concordemente e in più occasioni chiarito che c'è piena sintonia tra Roma e Londra", afferma. "Abbiamo indicato una chiara delimitazione dei temi che saranno discussi in aprile a Londra e il prossimo luglio alla Maddalena, in un totale accordo sulle risposte che G20 e G8 dovranno dare alla crisi finanziaria ed economica internazionale". Berlusconi inoltre prevede che in sede G20 "ci concentreremo sui principi per la regolamentazione e la supervisione finanziaria, mentre alla Maddalena andremo oltre". "Ci sforzeremo, come G8, di coinvolgere sempre più altri soggetti, ossia il secondo giorno i Paesi del G5 (Brasile, India, Cina, Sudafrica e Messico) più l'Egitto - importante in quanto arabo, musulmano e africano -, poi le altre economie emergenti come l'Indonesia, l'Australia e la Corea del Sud, e i Paesi africani. Non abbiamo alcuna intenzione di sciogliere il G8, ma di aprirlo a un confronto che è necessario ed è nell'interesse di tutti. Ci occuperemo di lotta al terrorismo e di conflitti regionali, di crisi alimentare, energia e cambiamento climatico, di lotta alla povertà e di una nuova concezione dello sviluppo non più basata su finanziamenti a pioggia, ma mirati, e tali da coinvolgere sempre più soggetti e strumenti, anche privati".

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Le paure del nostro tempo e come la speranza cristiana può combatterle. Il club Serra ha ospita... (sezione: crisi)

( da "Gazzettino, Il (Rovigo)" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Lunedì 30 Marzo 2009, Le paure del nostro tempo e come la speranza cristiana può combatterle. Il club Serra ha ospitato nella sede del seminario "San Pio X" in via Giovanni Pascoli a Rovigo monsignor Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio consiglio della giustizia e della pace. Il monsignore ha spaziato su scottanti temi di attualità come la crisi finanziaria, il diritto alla vita e la bioetica, l'immigrazione e dunque la convivenza tra diverse culture. «Tante paure sono dovute alla corrosione della speranza - esordisce monsignor Crepaldi - i governi Europei e degli Stati Uniti, per far fronte alle difficoltà economiche di questo periodo hanno investito 370 miliardi di dollari, ma ciò non è stato sufficiente, né per risolvere la crisi, né per avere una piccola ripresa finanziaria. Le banche in alcuni casi sono fuorvianti: vendono pacchetti finanziari senza trasparenza, concedendo dei mutui casa sapendo che i clienti in molte situazioni potrebbero essere insolventi. Solo ora si stanno riscoprendo i vecchi istituti di credito, come le banche cooperative che concedono mutui conoscendo la famiglia e le sue abitudini». Monsignor Crepaldi, inoltre, ha continuato l'incontro parlando di bioetica: «L'uomo è un progetto disegnato da Dio e non un prodotto creato da noi. Questa è la grande tematica della vita: rispettare la natura pensata da Dio stesso. Si vuole ridurre tutto alla cultura perché da questa dipende la nostra realtà - monsignor Crepaldi si sofferma anche sul caso Englaro - credo che salvare una vita non debba essere considerato incostituzionale. Un'altra cosa che ci mette inquietudine - segue il segretario del Pontificio consiglio della giustizia e della pace - rappresenta l'immigrazione e la convivenza di molte culture. In questo periodo la coesistenza tra diverse culture ha fallito: le varie etnie vivono in maniera parallela, senza trovare un punto d'incontro e senza rispettarsi, nonostante gli stati impongano la laicità. La carenza di speranza - conclude Monsignor Crepaldi - è un atto di superbia che ci convince che il mondo può essere aggiustato senza essere buoni, bisognerebbe trovare collaborazione: in particolare la finanza dovrebbe essere sussidiaria alla realtà delle famiglie e delle persone, come la medicina e la politica». Stefano Quintavalle

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G8 lavoro, 4 mosse per salvare l'occupazione pag.1 (sezione: crisi)

( da "Affari Italiani (Online)" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

G8 lavoro/ Quattro mosse per ridurre l'impatto della crisi sull'occupazione Lunedí 30.03.2009 14:47 Il documento finale del G8 riconosce inoltre che ''i programmi efficaci e responsabili di sostengo al reddito, incluse politiche di salario minimo ove appropriato, devono proteggere le categorie piu' disagiate e vulnerabili nei nostri paesi, garantendo al contempo incentivi alla ricerca di lavoro''. Il documento avverte pero' che ''e' importante che il prepensionamento dei lavoratori piu' anziani non venga utilizzato come mezzo per ridurre la disoccupazione''. Per il miglior funzionamento del mercato del lavoro, il G8 propone invece: politiche attive a sostegno del meccanismo, inclusi sussidi per il lavoro temporaneo e servizi di collocamento; formazione e miglioramento di competenze soprattutto per i disoccupati e per le persone a rischio di licenziamento e soluzioni temporanee di lavoro flessibile, compreso il part-time e la riduzione dell'orario di lavoro per evitare licenziamenti, oltre ai costi per le imprese associati ai licenziamenti e alle successive riassunzioni e impedire perdite di capitale umano per le singole aziende. Una parte del documento viene dedicata anche alla parti sociali. Per il G8 ''un dialogo sociale, forte, efficace e significativo, che comprenda una maggiore partecipazione dei lavoratori al processo di ristrutturazione economica, potrebbe mitigare gli effetti della crisi per i lavoratori e i datori di lavoro, oltre a conseguire un alto livello di crescita economica e migliorare gli standard di vita. Il rafforzamento del dialogo sociale consente la partecipazione attiva delle parti sociali nei consessi internazionali''. Il G8 si impegna poi ''a promuovere il dialogo e la cooperazione con i governi dei paesi emergenti e in via di sviluppo e con le istituzioni internazionali a fine di preservare e sviluppare il capitale umano, contribuire ad affrontare l'occupazione e le sfide sociali derivanti dall'attuale crisi finanziaria a livello globale, migliorare e garantire uno sviluppo piu' sostenibile e promuovere la coesione sociale''. I lavori del G8 terminati oggi con il documento finale, riprenderanno domani in forma allargata (G14) ai paesi emergenti. < < pagina precedente

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G8: SACCONI, NESSUNO HA PREVISTO LA CRISI, NE' FMI NE' ALTRI (sezione: crisi)

( da "ITnews.it" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Roma, 30 mar. - (Adnkronos) - "Siamo entrati nella crisi finanziaria ed economica senza rendercene conto e senza che nessuno ci avesse minimamente avvisato". E' questa l'accusa rivolta dal titolare del Welfare Maurizio Sacconi, nella seconda giornata del G8 Lavoro, ad "organizzazioni internazionali (tra cui il Fondo monetario internazionale) agenzie di rating e centri di ricerca".

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Italia-Russia/ Berlusconi: Rapporti economici ai massimi (sezione: crisi)

( da "Virgilio Notizie" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Mosca, 30 mar. (Apcom-Nuova Europa) - La collaborazione economica tra Italia e Federazione Russa "ha raggiunto i massimi storici" ma "può migliorare ulteriormente". Lo afferma il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che guiderà tra pochi giorni una missione di imprenditori italiani a Mosca. "Sarà 'la più grande missione di sistema' mai organizzata dall'Italia, inserita però in una lunga tradizione di missioni imprenditoriali italiane in Russia", sottolinea il capo di governo in un'intervista a Ria Novosti. "L'importanza questa volta dell'iniziativa, alla quale partecipano 800 soggetti economici tra imprese, associazioni di categoria, consorzi ed enti italiani, dimostra non che vi siano particolari problemi da risolvere, ma che la collaborazione economica tra Italia e Federazione Russa, che ha raggiunto i massimi storici, puo' migliorare ulteriormente". Per Berlusconi la missione rappresenta un "messaggio assolutamente positivo. Basti pensare che l'interscambio commerciale in valore assoluto e' passato nel 2008 da 23,9 a 26,5 miliardi di euro, con un aumento dell'11 per cento rispetto al 2007. Il ritmo della crescita, ovviamente, ha risentito nella seconda metà dell'anno della generale crisi finanziaria. Ma è significativo che il valore delle nostre esportazioni (10,5 miliardi di euro) ha fatto segnare un aumento del 9,3 rispetto all'anno precedente, mentre quelle verso altri mercati europei hanno fatto registrare il segno negativo". Circa il 70 per cento delle nostre importazioni dalla Russia è costituito da gas e petrolio, sottolinea il premier. "L'aspetto interessante della missione è che sarà estesa a realtà economiche lontane da Mosca e ad altre regioni, tra cui San Pietroburgo, Ekaterinburg, Krasnodar e Novosibirsk. In conclusione, la Russia e' per l'Italia un partner strategico imprescindibile, politicamente ed economicamente. La nostra è un'amicizia a tutto campo".

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## G20/ A LONDRA SUDAFRICA PORTAVOCE DI TUTTO IL CONTINENTE (sezione: crisi)

( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

## G20/ A Londra Sudafrica portavoce di tutto il continente di Apcom Analisti esprimono timori di marginalizzazione dell'Africa -->Roma, 30 mar. (Apcom) - Prima potenza economica africana e unico paese del continente presente al G20 di giovedì prossimo a Londra, al Sudafrica spetta il difficile compito di evitare che l'Africa venga emarginata dai lavori del summit e di assicurarsi l'impegno di garanzie dalle altre potenze mondiali. Come spiega Razia Khan, economista della Standard Chartered Bank: "Il vero rischio per l'Africa è di restare ai margini del dibattito. L'attenzione è concentrata sui paesi più importanti per il sistema". Mentre il dibattito relativo alla crisi finanziaria globale verte essenzialmente intorno alle minacce poste alle grandi potenze mondiali, diventa sempre più urgente concentrarsi sui bisogni delle popolazioni povere, gravemente colpite dalla recessione. Malgrado l'origine della crisi provenga da mondi lontani, gli effetti sui paesi in via di sviluppo sono infatti a dir poco devastanti. La crisi finanziaria ha indebolito gli investimenti e prosciugato i fondi diretti in Africa e secondo Mohamed Mbodj, responsabile del Forum civile, sezione senegalese dell'organizzazione "Transparency International": "la situazione non andrà a migliorare: i flussi degli investimenti stranieri rallenteranno, le transazioni finanziarie diminuiranno con conseguenze sulle esportazioni". Ed è proprio l'Africa una delle prime vittime del crollo delle esportazioni. Basti pensare al Botswana la cui economia dipendeva fino a poco tempo fa dalle entrate garantite dall'export di diamanti, settore letteralmente crollato. Nell'arco di pochi mesi le entrate sono precipitate (meno 90 per cento), alcune miniere sono state chiuse e circa 4.500 posti di lavoro sono stati tagliati. Scenari simili si registrano anche in Sudafrica, spiega alla Bbc il ministro delle finanze di Pretoria Trevor Manuel: "I porti sono pieni di depositi di rame, acciaio e alluminio pronti per essere imbarcati, ma restano lì. Senza introiti lo stato non può garantire i servizi (scuole, sanità, sicurezza)". Una situazione preoccupante che per Donald Kaberuka, capo dell'African Development Bank, può provocare conseguenze gravi alla "stabilità sociale e politica del paese". Preoccupazione condivisa dal portavoce del governo congolese Alain Akouala Atipault: "Esprimiamo un reale timore che il summit del G20 possa determinare un calo negli aiuti destinati ai paesi in via di sviluppo. Temiamo il ritorno di una economia protezionista", che metterebbe ancora di più ai margini i paesi in via di sviluppo. Un tempo fonte primaria di entrate, anche le rimesse - il denaro spedito dagli immigrati nelle loto terre di origine - hanno subito un drastico calo. Eppure malgrado i timori e la difficile congiuntura economica, secondo Razia Khan la crisi finanziaria mondiale può rappresentare un'opportunità per il continente: "Può aiutarci ad aprire gli occhi sull'importanza di ridurre la nostra dipendenza dai donatori internazionali. E' urgente - conclude - sviluppare delle economie nazionali e diversificate". (Con fonte Afp)

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BORSA/ WALL STREET APRE IN NETTO CALO,DJ -2,54%, NASDAQ -2... -2- (sezione: crisi)

( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Borsa/ Wall Street apre in netto calo,Dj -2,54%, Nasdaq -2... -2- di Apcom Pesano timori industria auto in attesa di Obama. -->New York, 30 mar. (Apcom) - La lettera si abbatte indiscriminatamente su tutte le azioni delle case automobilistiche. Il titolo GM lascia sul terreno circa il 28%. Particolarmente prese di mira anche le banche, dopo che il salvataggio da parte della Spagna della banca regionale Caja Castilla la Mancha, la prima operazione di questo tipo nel paese dall'inizio delle turbolenze, ha ricordato quanto la crisi finanziaria abbia assunto dimensioni globali. Il benchmark settoriale dei finanziari cede oltre il 5%. Alla luce di un calendario macro privo di aggiornamenti di rilievo, l'attenzione del mercato sara' rivolta principalmente all'intervento del presidente Barack Obama che dovrebbe chiarire il modo in cui Washington intendera' far ripartire l'industria dell'auto in difficolta'. Nel frattampo cresce l'attesa per l'incontro di questa settimana del Gruppo dei 20 Paesi industrializzati. Dalle prime indiscrezioni, tuttavia, sembra che a Londra non verra' annunciato il lancio di un pacchetto di misure coordinate di rilancio economico. Probabilmente verra' invece cercato un accordo per aumentare le risorse del Fondo Monetario Internazionale e per sostenere le economie dei Paesi via di sviluppo.

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Ratti: un 2008 da dimenticare (sezione: crisi)

( da "fashionMagazine.it" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

30 Marzo 2009 Ratti: un 2008 da dimenticare Il Gruppo Ratti ha archiviato il 2008 con ricavi di 98,6 milioni di euro, in flessione del 12,3% sul 2007, mentre sono più che raddoppiate, a 13,3 milioni, le perdite (dal precedente rosso di 5,9 milioni). Previsti un significativo calo di fatturato nel 2009 e una ripresa contenuta del turnover, solo a partire dall’esercizio 2010. Al termine del fiscal year, l’ebitda si è attestato a -1,4 milioni e l’ebit a -9,4 milioni, entrambi in netto peggioramento rispetto al 2007. A pesare sui risultati dell’azienda tessile, la congiuntura negativa dell’economia nazionale e internazionale e lo scoppio della crisi finanziaria globale: l’acuirsi della situazione, soprattutto nei mesi di settembre e ottobre, ha determinato un drastico rallentamento dei consumi e della domanda, in particolare del settore tessile-moda (il core business di Ratti sono i tessuti in seta e fibre naturali di alta qualità, ndr), penalizzando significativamente l’andamento dell’ultima parte dell’anno, che tradizionalmente per la realtà comasca è più favorevole, in quanto recepisce la produzione e la fatturazione della stagione primavera-estate. Nel 2008, il turnover della capogruppo Ratti Spa è ammontato a 83,4 milioni di euro (contro gli 83,6 del 2007): il 61% del giro d’affari è derivato dall’export. Il rosso dell’esercizio, di circa 16 milioni, insieme alle perdite portate a nuovo di 11,2 milioni, è risultato superiore a un terzo del capitale sociale, determinando quindi i presupposti dell’art. 2446 del Codice Civile (vedi fashionmagazine.it del 6 marzo 2009, anche per i dettagli del nuovo piano industriale 2009-2011, varato nel corso dell’assemblea straordinaria del 5 marzo). Per la società quotata a Piazza Affari, il trend dei primi mesi del 2009 conferma il prolungamento della fase recessiva, con un andamento dei ricavi e degli ordinativi inferiore al corrispondente periodo del 2008. d.p.

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Soffre anche il lusso (sezione: crisi)

( da "KataWebFinanza" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Soffre anche il lusso MILANO - Neanche il lusso si salver dalla tempesta economica che sta imperversando in questo critico 2009. E se lo sostiene Altagamma, l'associazione che raccoglie i pi bei marchi del made in Italy, purtroppo bisogna crederci. Quest'anno, dunque, dobbiamo aspettarci "un significativo calo dei consumi", come prevede il panel di analisti internazionali interpellato dalla stessa Altagamma, "soprattutto a causa di un primo semestre significativamente pi severo del secondo". Quanto al margine operativo lordo per l'intero anno atteso in calo del 21%. Una riduzione che "rappresenta il prezzo pagato dalle imprese per questa situazione critica". Insomma, il panorama appare dipinto a tinte fosche. Nei primi due mesi del 2009, infatti, i settori delle aziende associate ad Altagamma hanno registrato cali pi o meno significativi. In Italia, in particolare, gennaio e febbraio sono risultati pessimi mentre nel resto dell'Europa occidentale andata un po' meglio. Quanto all'Europa dell'Est ha accusato un calo lieve rispetto alla crescita messa a segno nel primo bimestre del 2008. Se ci concentriamo sulle previsioni relative al primo semestre il panorama non cambia, anzi. Sul piano dei settori il maggior calo previsto nel "decoro tavola" ( - 15,4%); gioielleria e orologeria subiranno una contrazione del 12,3%. Al contrario risulteranno meno colpiti dalla crisi finanziaria i comparti dei profumi e dei cosmetici ( - 4,8%) e quello delle borse e delle scarpe ( - 6,2%). Questi ultimi due subiranno entrambi una riduzione del margine operativo lordo pari al 4,8%. A livello di mercati le Americhe ( - 14,8%) e il Giappone ( - 11,7%) sono quelli che scontano il calo maggiore, l'Europa ( - 8,8%) cede ma non crolla. Quanto all'Asia e al Medio Oriente sono previsti calare di poco rispetto a un 2008 che stato molto positivo. Leonardo Ferragamo, presidente di Altagamma ha invitato "gli imprenditori italiani a non perdere di vista il lungo termine, con la consapevolezza che il breve periodo sar molto difficile, un momento in cui sar in ballo la sopravvivenza stessa delle aziende". 30/03/2009 - 19:00

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catalan4ever ha detto: il motivo? è creare una aleanza tra occidente e il mondo arabo, per trovare un altra via di lotta contro il terrorismo che non sia l'uso di armi. (sezione: crisi)

( da "KataWeb News" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

senza il mattone.. Spagnoli ci avete scocciato: pensate ai vostri guai 28 marzo 2009 alle 14:15 — Autore: babelick — 9 commenti Gentile ambasciatore Terracciano, complimenti e sentiti ringraziamenti. Ci ha vendicati. La lettera che ha inviato al quotidiano El Pais, nella sua veste di capo della rappresentanza italiana presso il governo spagnolo, non sembra neanche scritta da un diplomatico di carriera; meglio, è opera di un diplomatico di razza rara, tanto è chiara, asciutta, ferma, e, lo faccia dire a me, sacrosantamente scocciata. Quel giornale così faziosamente filo Zapatero, praticamente un organo di partito, anche di quello Democratico italiano del quale corre in premuroso e regolare soccorso, la deve smettere di denigrare il governo e il Paese. Non c'entra niente qui la libertà di stampa; come lei sottolinea, il tentativo di demolire l'immagine dell'Italia tra gli spagnoli risponde invece a un disegno di servitù politica che nessun organo di stampa italiano si sognerebbe di progettare, piaccia o no il governo di José Luis Zapatero, per gli intimi Bambi. Succede che gli equilibri politici europei siano cambiati, che un asse Sarkozy-Merkel-Berlusconi minacci il ruolo della Spagna e le sue numerose, troppe, poltrone, ben sei super incarichi istituzionali europei. Succede che le cose non vadano più bene per l'economia, crollata miseramente dopo il boom edilizio e tante rivendicazioni di tronfio primato; che la politica estera sia un disastro, e il presidente Barack Obama nella nuova versione militare contro Bin Laden non si sia rivelato l'amico che ingenuamente la sinistra in Europa aveva immaginato; che il federalismo morda le calcagna a Madrid, visto l'apporto determinante del partito catalano alla rielezione dei socialisti. Il governo è nervoso e la butta sugli attacchi ad altri Stati, il Pais pubblica fedele, se serve, anticipa. Così l'Italia è descritta come dominio di un tiranno nello stile delle dittature latino americane, Pinochet naturalmente, non Hugo Chavez, il presidente del Consiglio eletto ha bisogno dello psichiatra, qui si praticano tortura e politiche razziste. Ha fatto bene, ambasciatore, a dire basta, anche perché c'è davvero poco, scansato il fango delle calunnie, di cui vantarsi in casa Zapatero. Al mini-summit europeo del 4 ottobre del 2008 i capi di Stato di Berlino, Roma, Parigi e Londra, si sono incontrati per decidere sulle posizioni comuni da adottare contro la crisi finanziaria, lasciando fuori la Spagna, che pure Zapatero aveva definito «l'economia più solida del mondo», addirittura il Paese sopra la media europea per reddito pro capite. Per il premier spagnolo fino a pochi mesi fa «il sorpasso dell'Italia ha fatto deprimere molto il primo ministro Berlusconi» e «in realtà, il mio obiettivo è quello di superare la Francia, anche se l'amico Sarkozy non vuole neanche sentirselo dire». Subito dopo la crisi internazionale ha svelato il bluff dell'economia spagnola. La recessione ha gettato anche la Spagna in una crisi profonda: crescita dell'1,4% nel 2008, e non del 3,5% come annunciato dal governo. Un dato che riporta il Paese agli stessi risultati del 1993. Il boom economico era stato gonfiato dagli aiuti europei allo sviluppo, investiti quasi esclusivamente nell'edilizia, un settore in forte perdita già dai primi mesi dell'anno, cioè prima della crisi internazionale. La crisi ha messo a nudo le bugie sulla politica di sicurezza e immigrazione, a lungo mantenute, anche se sulle zattere dei clandestini l'ordine è sempre stato di sparare. Nei giorni scorsi 200 organizzazioni hanno presentato alla Procura generale dello Stato una denuncia contro il ministero dell'Interno, accusando la polizia di «arresti mirati», «retate» e «controlli d'identità di massa», insomma di eseguire gli ordini per l'arresto di una «quota» minima mensile di immigrati per ciascun distretto. Gli immigrati sono saliti da mezzo milione a 5,2 milioni nel 2008, su una popolazione totale per la Spagna di 46 milioni di persone. Con una disoccupazione giunta ormai al 14%, il governo ha cambiato ufficialmente politica. La «Ley de Extranjeria» presentata a dicembre prevede severe misure restrittive: oltre all'aumento da 40 a 60 giorni del termine massimo per detenere migranti nei Centri di permanenza temporanea, per facilitare identificazioni e rimpatri coatti, il progetto prevede di interrompere i ricongiungimenti familiari. Prevede anche sanzioni fino a 10.000 euro per chi «promuove la permanenza irregolare in Spagna di uno straniero», un'«infrazione grave» perché «lo straniero dipende economicamente da chi compie l'infrazione e questa ne prolunga il soggiorno autorizzato al di là del periodo legalmente previsto». La Comision Espanola de Ayuda al Refugiado (Cear), ha protestato perché così facendo il governo «cerca di farsi complici le persone che alloggiano» gli immigrati, e si appresta a «convertire i cittadini in poliziotti». Ci sarebbe da analizzare anche il ruolo inquietante di un giudice star come Baltazar Garzon, che somigli all'Antonio Di Pietro dei tempi che furono, grande amico di Zapatero e compagno di caccia di altri ministri socialisti, ma anche evasore fiscale conclamato. Garzon negli ultimi anni ha incriminato chiunque, dai dittatori latino americani agli statisti europei, fino a personaggi dell'epoca di Francisco Franco, tutti defunti. Colleziona una gaffe dopo l'altra, eppure imperversa. Pure la battaglia contro la Chiesa cattolica, nella sua forma infantile ed estremista, è la pratica opposta a quella che si converrebbe a un premier laico che governa un Paese dove ci sono cattolici numerosi, un milione e mezzo solo fra i suoi elettori. La gaffe del ritiro dal Kosovo, comunicato in loco dal ministro della Difesa, Carmen Chacon, contro il parere e all'insaputa del collega degli Esteri, Moratinos, e di tutti i governi dell'Unione europea e della Nato, è la chicca di qualche giorno fa. Il presunto amico, il presidente Obama, è infuriato e non ha accettato i goffi tentativi di Madrid di rimediare. Peggio di così!

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Tia? no a chi è in cassa integrazione ed a chi non ha lavoro (sezione: crisi)

( da "Cittàdellaspezia.com" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Tia? no a chi è in cassa integrazione ed a chi non ha lavoro Il Consiglio Comunale della Spezia ha approvato a maggioranza la proposta di evitare l'aumento della Tia per i cassaintegrati. "Il Consiglio Comunale della Spezia Premesso che L'aumento previsto dal piano finanziario della TIA, inciderà iniquo sulla popolazione in particolar modo sulle fasce sociali più deboli, già colpite dalla crescente sofferenza economica a causa della continua perdita di posti di lavoro dovuta alla crisi finanziaria complessiva: Considerato che Tale aumento deve corrispondere nei fatti al miglioramento del servizio di gestione dei rifiuti, peraltro richiesto a norma di legge (Lg. 156/2006), con l'obbiettivo del 62% entro il 2012 Ritenuto che Migliorare tale servizio implica necessariamente: Aumentare la raccolta differenziata, con crescente percentuale del materiale recuperato Monitorare e verificare costantemente il servizio della raccolta finale del differenziato Incentivare e diffondere l'auto-compostaggio domestico per i rifiuti organici Coinvolgere scuole e genitori all'educazione e alla prevenzione della produzione del rifiuto attuare pratiche di diminuzione dei rifiuti (vendite di detersivi sfusi, promozione all'utilizzo dell'acqua pubblica etc.) predisporre il riciclaggio all'interno degli Enti Locali, delle scuole e di tutti i luoghi pubblici Chiede L'esenzione concordata con le parti sociali, dal pagamento della TIA per tutti i lavoratori e le lavoratrici cassaintegrati, e per tutti i dipendenti che nell'anno 2009 perdono il posto di lavoro. L'innalzamento delle quote di finanziamento del fondo sociale. La massima divulgazione e informazione delle prestazioni assistenziali erogate dal comune".

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Cooperazione/ Ocse: Aiuti record nel 2008, pari a 119,8 mld... (sezione: crisi)

( da "Virgilio Notizie" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Roma, 30 mar. (Apcom) - L'aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) ha battuto un record storico nel 2008, registrando un aumento del 10,2%, pari a 119,8 miliardi di dollari. Una cifra che rappresenta lo 0,30% del Prodotto interno lordo (Pil) dei membri del Comitato per l'assistenza allo sviluppo (Dac) dell'Ocse. E' quanto rende noto oggi l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (Ocse), di cui il Dac, formato da 22 paesi, rappresenta l'agenzia per gli aiuti. Nel 2008, gli aiuti dei donatori Dac all'Africa sono stati pari a 26 miliardi di dollari, di cui 22,5 miliardi sono andati all'Africa sub-sahariana, registrando rispettivamente un aumento del 10,6% e del 10% rispetto al 2007. Nel 2008, i principali donatori, per volume, sono stati Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Francia e Giappone. Cinque i paesi che hanno superato l'obiettivo dello 0,7% del Pil raccomandato dalle Nazioni Unite: Danimarca, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi e Svezia. Gli aumenti più consistenti sono venuti da Stati Uniti, Regno Unito, Spagna, Germania, Giappone e Canada. L'Aps netto stanziato dagli Stati Uniti nel 2008 è stato pari a 26 miliardi di dollari. Quello dei 15 membri dell'Unione europea appartenenti al Dac è aumentato dell'8,6% in termini reali, pari a 70,2 miliardi di dollari, rappresentando il 59% di tutto l'aiuto Dac. Questi gli incrementi più consistenti in Europa: Belgio (+13,4%), Regno Unito (+24,1%), Spagna (+19,4%), Portogallo (+21,1%), Irlanda (+6,4%) e Germania (+5,7%). L'Italia ha registrato un aumento del 2,2%, dovuto soprattutto alla cancellazione del debito. Nella nota diffusa oggi, l'Ocse sottolinea infatti come gli aiuti di Italia, Austria e Grecia, se si esclude dalla contabilità la cancellazione del debito, sono "molto al di sotto del loro impegno per Aps/Pil fissati per il 2010", ossia di stanziare lo 0,51% del Pil. Complessivamente, tutti i Paesi Dac dovrebbero stanziare nel 2010 130 miliardi di dollari. Nella sua relazione, l'Ocse ha sottolineato l'importanza di mantenere gli impegni assunti per gli aiuti in questi tempi di crisi. "Il commercio internazionale sta vivendo il suo più deciso calo dal 1929 e i prezzi delle materie prime, in particolare quelle che vengono esportate dai Paesi a basso reddito, sono in ribasso - scrive l'Ocse - l'investimento diretto estero e gli altri contributi privati dovrebbero diminuire in maniera significativa nel 2009. Le finanze di molti Paesi in via di sviluppo sono state duramente colpite dai rincari dei prodotti alimentari e del greggio negli ultimi due anni. Molti Paesi non sono in condizioni finanziarie tali da affrontare l'attuale crisi economica". "Se non è possibile prevedere gli effetti e la durata della crisi finanziaria - continua - è importante che l'aiuto svolga un ruolo anticiclico che compensi almeno in parte il forte declino dei contributi globali destinati ai Paesi in via di sviluppo". L'Ocse sottolinea infatti che tagliare gli aiuti in questo momenti significa "addossare un ulteriore e pericoloso peso ai Paesi in via di sviluppo, già alle prese con limitate risorse in entrata e un aumento della povertà". "Per garantire che l'aiuto diventi una forza anticiclica serve una forte determinazione politica e un coordinamento a livello globale e nazionale", conclude l'Ocse, annunciando che il vertice di alto livello Dac in programma a fine maggio sarà dedicato alla discussione sugli effetti della crisi e alle modalità con cui "creare e sostenere iniziative di sostegno ai Paesi in via di sviluppo durante la crisi".

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RUSSIA/ PREMIER EMIRATI DA MEDVEDEV. CREMLINO: FOCUS SU ENERGIA (sezione: crisi)

( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Russia/ Premier Emirati da Medvedev. Cremlino: focus su energia di Apcom L'intenso dialogo politico "va avanti" -->Mosca, 30 mar. (Apcom-Nuova Europa) - Appuntamento a Mosca nel segno del petrolio e del metano: il vice presidente e premier degli Emirati Arabi Uniti, lo sceicco Mohammed ben Rachid Al Maktoum di Dubai e' a Mosca per incontrare il leader del Cremlino Dmitri Medvedev. "La Russia e gli Emirati Arabi Uniti hanno rapporti di amicizia, che vengono progressivamente sviluppati sulla base degli accordi raggiunti durante la visita del Presidente della Federazione russa ad Abu Dhabi, nel settembre 2007" afferma una fonte del Cremlino. L'intenso dialogo politico "va avanti, acquistando slancio nel commercio e nei legami economici" continua la fonte. Il volume degli scambi per il 2008 e' cresciuto del 3,1% a 846,4 milioni di euro. Tra le societa' russe gia' impegnate negli Emirati, Stroytransgaz, Technopromexport, Gazprom, Lukoil, Rosatom "sempre piu' attiva sul territorio e "con un interesse per progetti nel settore del petrolio e del gas, l'energia, in grado di fornire una vasta gamma di prodotti industriali". Secondo Mosca, "i partner hanno anche espresso la loro volonta' di investire nel settore dell'economia reale russa, in particolare nelle costruzioni, nel turismo e leisure. Durante l'incontro, Medvedev e Al-Maktoum devono discutere i termini sostanziali delle prospettive della partecipazione di istituti bancari di entrambi i paesi per l'attuazione su vasta scala di progetti comuni. Tra i temi di attualita' internazionale e regionale all'ordine del giorno "si prevede di prestare particolare attenzione alle questioni globali della crisi finanziaria ed economica, la situazione in Medio Oriente e Golfo Persico".

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COOPERAZIONE/ OCSE: AIUTI RECORD NEL 2008, PARI A 119,8 MLD USD (sezione: crisi)

( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Cooperazione/ Ocse: Aiuti record nel 2008, pari a 119,8 mld Usd di Apcom Gli aiuti possono svolgere ruolo anticiclico contro la crisi -->Roma, 30 mar. (Apcom) - L'aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) ha battuto un record storico nel 2008, registrando un aumento del 10,2%, pari a 119,8 miliardi di dollari. Una cifra che rappresenta lo 0,30% del Prodotto interno lordo (Pil) dei membri del Comitato per l'assistenza allo sviluppo (Dac) dell'Ocse. E' quanto rende noto oggi l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (Ocse), di cui il Dac, formato da 22 paesi, rappresenta l'agenzia per gli aiuti. Nel 2008, gli aiuti dei donatori Dac all'Africa sono stati pari a 26 miliardi di dollari, di cui 22,5 miliardi sono andati all'Africa sub-sahariana, registrando rispettivamente un aumento del 10,6% e del 10% rispetto al 2007. Nel 2008, i principali donatori, per volume, sono stati Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Francia e Giappone. Cinque i paesi che hanno superato l'obiettivo dello 0,7% del Pil raccomandato dalle Nazioni Unite: Danimarca, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi e Svezia. Gli aumenti più consistenti sono venuti da Stati Uniti, Regno Unito, Spagna, Germania, Giappone e Canada. L'Aps netto stanziato dagli Stati Uniti nel 2008 è stato pari a 26 miliardi di dollari. Quello dei 15 membri dell'Unione europea appartenenti al Dac è aumentato dell'8,6% in termini reali, pari a 70,2 miliardi di dollari, rappresentando il 59% di tutto l'aiuto Dac. Questi gli incrementi più consistenti in Europa: Belgio (+13,4%), Regno Unito (+24,1%), Spagna (+19,4%), Portogallo (+21,1%), Irlanda (+6,4%) e Germania (+5,7%). L'Italia ha registrato un aumento del 2,2%, dovuto soprattutto alla cancellazione del debito. Nella nota diffusa oggi, l'Ocse sottolinea infatti come gli aiuti di Italia, Austria e Grecia, se si esclude dalla contabilità la cancellazione del debito, sono "molto al di sotto del loro impegno per Aps/Pil fissati per il 2010", ossia di stanziare lo 0,51% del Pil. Complessivamente, tutti i Paesi Dac dovrebbero stanziare nel 2010 130 miliardi di dollari. Nella sua relazione, l'Ocse ha sottolineato l'importanza di mantenere gli impegni assunti per gli aiuti in questi tempi di crisi. "Il commercio internazionale sta vivendo il suo più deciso calo dal 1929 e i prezzi delle materie prime, in particolare quelle che vengono esportate dai Paesi a basso reddito, sono in ribasso - scrive l'Ocse - l'investimento diretto estero e gli altri contributi privati dovrebbero diminuire in maniera significativa nel 2009. Le finanze di molti Paesi in via di sviluppo sono state duramente colpite dai rincari dei prodotti alimentari e del greggio negli ultimi due anni. Molti Paesi non sono in condizioni finanziarie tali da affrontare l'attuale crisi economica". "Se non è possibile prevedere gli effetti e la durata della crisi finanziaria - continua - è importante che l'aiuto svolga un ruolo anticiclico che compensi almeno in parte il forte declino dei contributi globali destinati ai Paesi in via di sviluppo". L'Ocse sottolinea infatti che tagliare gli aiuti in questo momenti significa "addossare un ulteriore e pericoloso peso ai Paesi in via di sviluppo, già alle prese con limitate risorse in entrata e un aumento della povertà". "Per garantire che l'aiuto diventi una forza anticiclica serve una forte determinazione politica e un coordinamento a livello globale e nazionale", conclude l'Ocse, annunciando che il vertice di alto livello Dac in programma a fine maggio sarà dedicato alla discussione sugli effetti della crisi e alle modalità con cui "creare e sostenere iniziative di sostegno ai Paesi in via di sviluppo durante la crisi".

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Per Frost & Sullivan in Europa aumenta la domanda di energia nucleare (sezione: crisi)

( da "e-gazette" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Per Frost & Sullivan in Europa aumenta la domanda di energia nucleare… L’anno scorso erano 145 i reattori operativi in Europa e l’energia nucleare rappresentava circa il 30% nel mix totale di energia elettrica prodotta Londra, 30 marzo – Entro il 2020 l’Europa avrà bisogno di nuova capacità elettrica per 300 GW, anche a fronte del crescente numero di impianti obsoleti presenti un po’ ovunque. È quanto rileva Frost & Sullivan, secondo cui per affrontare questo scenario l’energia nucleare diverrà un’attraente alternativa per molti Paesi. “Il settore dell’energia nucleare sta tornando nuovamente alla ribalta in Europa e tutti i segnali indicano che, nei prossimi anni, ci sarà un aumento esponenziale della domanda, e ciò nonostante la crisi economica - dice Maciej Jeziorski, Research Analyst per il settore Energia di Frost & Sullivan . “Il risultato di questo revival è che molti dei progetti pianificati, proposti e in fase di pre-approvazione, saranno molto probabilmente sviluppati. Ci sono ancora parecchi ostacoli da superare, quali gli alti costi iniziali, i permessi di costruzione e i lunghi tempi di attesa per i componenti critici, ma nella loro totalità le prospettive per il nucleare nel lungo termine sono decisamente buone”. Gli impianti di energia nucleare necessitano di investimenti iniziali molto alti, ma non sono stati colpiti in maniera significativa dalla crisi finanziaria, visto che di base questi sono investimenti di lungo termine (in Europa sono necessari di solito tra gli 8 e i 10 anni per la costruzione di un impianto). Va inoltre sottolineato che questi investimenti hanno oggi grande supporto politico, in particolare a seguito delle dispute sul gas tra Ucraina e Russia, rendendo le prospettive per il nucleare particolarmente concrete nell’Europa dell’Est. Il numero di reattori nucleari in Europa toccò il massimo storico nel 1989, quando ne erano in funzione 177. L’anno scorso erano 145, l’energia nucleare rappresentava circa il 30% nel mix totale di energia elettrica prodotta. “Lo sviluppo del nucleare - conclude Jeziorski - dipenderà soprattutto dal prezzo dei combustibili fossili, dal costo dello scambio delle quote di emissione e dall’avanzamento tecnologico”. E-GAZETTE - 30/03/2009 e-gazette.it -->

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Bipartitismo e coalizione dominante (sezione: crisi)

( da "AprileOnline.info" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Bipartitismo e coalizione dominante Franco Astengo, 30 marzo 2009, 11:43 Dibattito Collocata l'asticella al 27% i Democrats si trovano ad affrontare l'ennesimo "referendum" attorno alla figura dell'attuale Presidente del Consiglio. A sinistra questo tipo di situazione apre la possibilità di uno spazio politico concreto anche se non pare ci se ne renda conto fino in fondo e si accumulino ritardi E' tradizione che le elezioni europee siano affrontate dai partiti italiani con l'occhio rivolto agli equilibri interni piuttosto che alla proiezione europea: questo vale per i programmi ma soprattutto per l'impostazione della campagna elettorale e per le aspettative che si cercano di creare al riguardo degli elettori (elementi che, comunque, non hanno impedito una bassa partecipazione al voto sempre registratasi nelle diverse occasioni: una bassa partecipazione in ogni caso superiore alla media degli altri Paesi dell'Unione chiamati al voto). Non sarà diverso, così, per la prossima campagna elettorale in vista del 7 Giugno: anzi, la caratterizzazione di politica interna risulterà ancora più accentuata. Si tratta, infatti, dello stabilire il grado di consenso raccolto dal governo di centrodestra in questi mesi di crisi finanziaria ed economica ed il ristrutturarsi dei rapporti di forza tra i grandi schieramenti: rapporti di forza che, stando ai sondaggi, stanno mutando proprio a favore della coalizione di centrodestra. La vigilia elettorale sarà caratterizzata dall'impatto che potrà avere sull'elettorato la formazione del nuovo Partito del Popolo della Libertà che ha messo assieme Forza Italia e AN (più un po' di "cespugli" di destra e di centro) con il dichiarato intento di realizzare il soggetto portante di una semplificazione del quadro politico che assuma tratti pressochè definitivi, collocando il nuovo soggetto politico in un ruolo assolutamente "centrale" rispetto al sistema politico, più o meno nella dimensione che per un lungo periodo aveva avuto la DC (in questo senso il PDL punta ad una quota vicina al 40% e, non a caso, nell'eventualità di un esito delle elezioni europee di questa dimensione si farà forte il "pressing" sull'UDC che potrebbe, con il suo pacchetto di voti calcolato attorno al 6%, garantire l'esito agognato, limitando anche il potere di interdizione della Lega Nord ad una dimensione territoriale ristretta. Senza dimenticare, sotto questo aspetto, che il 2010 vedrà i partiti alla prova, delicata e difficile, delle elezioni regionali dove il potere di coalizione risulterà fattore sicuramente determinante). E dall'altra parte? Il PD, messo in un angolo più dalle proprie divisioni interne dovuto alla assenza di capacità politica da parte del gruppo dirigente di riuscire a costruire una identità culturale condivisa dalla provenienza di sinistra e da quella cattolica inseguendo sogni impossibili quali quelli del "partito a vocazione maggioritaria", del "popolo delle primarie", del "partito liquido", non è stato capace di ripartire dal 33% e dall'appoggio di importanti strumenti di comunicazione di massa e di alcune strutture economiche, si trova di fronte alla prova più difficile. Collocata l'asticella al 27% i Democrats si trovano ad affrontare l'ennesimo "referendum" attorno alla figura dell'attuale Presidente del Consiglio, con buone possibilità di perderlo e comunque chiamando ancora una volta il proprio elettorato a dimostrarsi semplicemente "anti" e senza disporre di una possibilità di articolazione dello schieramento di centrosinistra in grado di sopperire alla evidente crisi della "vocazione maggioritaria", cui si accennava poc'anzi. Le risposte alla crisi economica e finanziaria rimangono sullo sfondo proprio perchè il PD appare più spiazzato su questo terreno di altre formazioni: la crisi, come è stato fatto notare nel corso della settimana, è esplosa proprio mentre il partito venuto fuori dalla "fusione fredda" tra DS e Margherita stava accentuando i propri tratti "liberisti". Adesso serve una rapida marcia indietro, ma si tratta di un mutamento di pelle che crea grandi difficoltà specialmente quando si sono lasciati indietro i propri tradizionali riferimenti sociali e non si è realizzata una presenza davvero di "dimensione nazionale". Il rischio è, sul serio, quello di apparire un po' improvvisatori e populisti, richiamandosi in maniera un po' artefatta ad una tradizione socialdemocratica che non ha mai appartenuto davvero alla realtà delle diverse sigle succedutesi dal momento della liquidazione del PCI, in avanti. A sinistra questo tipo di situazione apre la possibilità di uno spazio politico concreto (ed anche elettorale) anche se non pare ci se ne renda conto fino in fondo e si accumulino ritardi in una impostazione politica che ancora risente della crisi di identità di Rifondazione Comunista (ormai asserragliata in un bunker dal quale sarà difficile possa uscire indenne). Gli esiti di questa fase possono essere due: il successo pieno dell'operazione PDL che, di conseguenza, trasformerebbe il successo strutturale conseguito dalla destra sul piano elettorale e dell'egemonia culturale (che si verifica essenzialmente al livello della comunicazione di massa, ricostruendo quella che Gobetti definì "l'autobiografia degli italiani" a proposito del fascismo) nella formazione di una vera e propria "coalizione dominante" sui cui termini temporali davvero non ci sentiremmo di porre limiti; oppure una riarticolazione del quadro politico che costruisca un nuovo sistema di relazioni a partire dal ritorno sulla scena di una sinistra democratica e progettuale, capace di ripartire dall'opposizione per elaborare una nuova visione della società italiana e del suo sistema politico. Arrendersi alla sfiducia alimentando l'astensionismo, oppure ritornare al voto "utile" nel referendum "pro" o "contro" per riaffermare una "bipartitismo" diseguale, mi paiono errori da non commettere.

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*Trichet: Rischi crescita ora più equilibrati, previsioni incerte (sezione: crisi)

( da "Velino.it, Il" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Il Velino presenta, in esclusiva per gli abbonati, le notizie via via che vengono inserite. ECO - *Trichet: Rischi crescita ora più equilibrati, previsioni incerte --IL VELINO AZIENDE-- Roma, 30 mar (Velino) - I rischi per la crescita dell’economia ora “sono più equilibrati” (al rialzo o al ribasso), ma la situazione è tuttora caratterizzata da “incertezze”. A pochi giorni dalla prossima riunione del board della Bce di giovedì parla il presidente Jean-Claude Trichet. L’altro grado di incertezza riguarda anche l’andamento dell’inflazione anche se, ha affermato, “l’inflazione quest’anno e nel 2010 resterà ben al di sotto del 2 per cento”. Trichet non si è pronunciato sulla prossima riunione del board sostenendo che si trova nel periodo “purdah” (letteralmente velo o tenda, si riferisce alla pratica che vieta agli uomini di vedere le donne, in voga in varie forme nel mondo islamico e in India). Quanto all’andamento dell’economia da una parte si conta sull’impatto positivo dei pacchetti di rilancio pubblici (“può essere più forte di quanto atteso”) e di sostegno alle banche. Dall’altra parte l’impatto della crisi finanziaria sull’economia reale “può essere più forte di quanto atteso”. A questo si affiancano le pressioni protezionistiche per le quali “la preoccupazione è considerevole”. Sebbene la situazione sia peggiorata, ha detto poi il presidente della Bce “ci si attende una domanda molto debole per tutto il 2009 con una ripresa graduale nel 2010. Ma le previsioni – ha avvertito ancora una volta - sono incerte”. Le decisioni di spesa pubblica a sostegno dell’economia “vanno accelerate il più rapidamente possibile. L’attuazione delle misure economiche decise dipende da noi” e ciò è fondamentale “per la ricostruzione della fiducia”. Trichet rinnova comunque il suo appello a restare in guardia contro il rischio deflazione. Trichet ha comunque rassicurato che al momento “nella zona euro non c’è una preoccupazione in questo senso, non c’è - ha aggiunto - un rischio elevato e fondato. Cio’ detto - ha concluso - bisogna restare lucidi e seguire attentamente la situazione”. Infine il numero uno di Francoforte ha ribadito l’importanza della difesa da parte del segretario al Tesoro Geithner e del presidente Obama di un dollaro forte. (mal) 30 mar 2009 18:45

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Soffre anche il lusso (sezione: crisi)

( da "Borsa(La Repubblica.it)" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

Soffre anche il lusso MILANO - Neanche il lusso si salverà dalla tempesta economica che sta imperversando in questo critico 2009. E se lo sostiene Altagamma, l'associazione che raccoglie i più bei marchi del made in Italy, purtroppo bisogna crederci. Quest'anno, dunque, dobbiamo aspettarci "un significativo calo dei consumi", come prevede il panel di analisti internazionali interpellato dalla stessa Altagamma, "soprattutto a causa di un primo semestre significativamente più severo del secondo". Quanto al margine operativo lordo per l'intero anno è atteso in calo del 21%. Una riduzione che "rappresenta il prezzo pagato dalle imprese per questa situazione critica". Insomma, il panorama appare dipinto a tinte fosche. Nei primi due mesi del 2009, infatti, i settori delle aziende associate ad Altagamma hanno registrato cali più o meno significativi. In Italia, in particolare, gennaio e febbraio sono risultati pessimi mentre nel resto dell'Europa occidentale è andata un po' meglio. Quanto all'Europa dell'Est ha accusato un calo lieve rispetto alla crescita messa a segno nel primo bimestre del 2008. Se ci concentriamo sulle previsioni relative al primo semestre il panorama non cambia, anzi. Sul piano dei settori il maggior calo è previsto nel "decoro tavola" ( - 15,4%); gioielleria e orologeria subiranno una contrazione del 12,3%. Al contrario risulteranno meno colpiti dalla crisi finanziaria i comparti dei profumi e dei cosmetici ( - 4,8%) e quello delle borse e delle scarpe ( - 6,2%). Questi ultimi due subiranno entrambi una riduzione del margine operativo lordo pari al 4,8%. A livello di mercati le Americhe ( - 14,8%) e il Giappone ( - 11,7%) sono quelli che scontano il calo maggiore, l'Europa ( - 8,8%) cede ma non crolla. Quanto all'Asia e al Medio Oriente sono previsti calare di poco rispetto a un 2008 che è stato molto positivo. Leonardo Ferragamo, presidente di Altagamma ha invitato "gli imprenditori italiani a non perdere di vista il lungo termine, con la consapevolezza che il breve periodo sarà molto difficile, un momento in cui sarà in ballo la sopravvivenza stessa delle aziende". 30/03/2009 - 19:00

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##FIAT-CHRYSLER, SCATTA CONTO ROVESCIA; OBAMA:30 GIORNI PER.. -2- (sezione: crisi)

( da "Wall Street Italia" del 30-03-2009)

Argomenti: Crisi

##Fiat-Chrysler, scatta conto rovescia; Obama:30 giorni per.. -2- di Apcom Obama: basta con aiuti a tempo indeterminato all'auto -->Roma, 30 mar. (Apcom) - Sul discorso pronunciato dal presidente sulla crisi di Detroit, il messaggio è stato inequivocabile. Basta con gli aiuti a tempo indeterminato, soprattutto se a essi non corrispondono forti cambiamenti da parte degli stessi produttori di auto. D'altronde né Gm né Chrysler possono "dipendere dai soldi dei contribuenti in modo infinito". E il punto è proprio questo. Se Obama fa la voce grossa con le due aziende, è infatti perché sente sulle sue spalle e su quelle del suo governo il peso delle polemiche che arrivano da più parti, e che in questa crisi finanziaria peggiore dalla Grande Depressione individuano come vittime soprattutto loro: i milioni di anonimi contribuenti americani, che continuano a finanziare diversi progetti di rilancio sfornati dall'amministrazione, e che in tutto questo si sentono anche mancare di rispetto. Basta citare lo scandalo dell'ex colosso assicurativo Aig, la prova del nove di come i fondi siano serviti non solo a rimettere in moto l'economia, ma anche ad arricchire le classi dirigenziali a fior di bonus. E intanto Wall Street, che ha avviato la settimana di contrattazioni in rosso, continua a due ore dalla sua chiusura a puntare verso il basso: il Dow Jones perde quasi 300 punti (-3,84%), il Nasdaq scivola di 49,16 punti (-3,18%) e lo S&P 500 arretra di 30,87 punti (-3,78%), a 785. Lo spettro del fallimento dei gruppi di Detroit torna a innervosire così i trader, e Gm registra un tonfo superiore al 22 per cento. E' ai contribuenti americani, ovvero a Main Street, che Obama pensa, quando decide di rivedere i termini degli aiuti federali a favore di Detroit, ed è anche a loro a cui molto probabilmente ha pensato costringendo uno dei nomi più famosi del settore globale dell'auto a ritirarsi dietro le quinte. Si parla di Rick Wagoner, amministratore delegato di Gm, praticamente silurato dal governo Usa. E a chi, come il governatore dello stato del Michigan Jennifer Granholm vede in Wagoner "l'agnello sacrificale" e sicuramente la vittima più illustre della crisi di Detroit, Obama dice severamente che le condizioni in cui versa il settore "riflettono il fallimento della leaderhip sia a Washigton che a Detroit". Questi ultimi tra l'altro non sono stati capaci neanche di presentare piani di rilancio in grado di conquistare la fiducia della Casa Bianca. "I piani di Gm e Chrysler non giustificano nuovi prestiti governativi", ha detto infatti il presidente americano. La fissazione di termini precisi per erogare nuovi aiuti viene considerata dunque inderogabile per Obama: di qui, i 30 giorni di tempo consentiti a Chrysler per l'alleanza con Fiat, e gli aiuti federali accordati a Gm solo per 60 giorni. Anche perché "queste aziende e questo settore dovranno alla fine stare in piedi da sole, e non sotto la tutela dello stato". E che non si abbiano dubbi su quelle che sono le reali intenzioni del governo. Quasi ad anticipare l'arrivo di qualsiasi indiscrezione che in queste occasioni non esita a circolare nei corridoi degli ambienti finanziari, Obama ha messo i puntini sulle "i". "Che sia chiaro. Non abbiamo alcuna intenzione di gestire Gm. Vogliamo che Gm diventi una società più forte e competitiva". Finora, sia Gm che Chrysler hanno ricevuto aiuti federali per un valore complessivo di 17,4 miliardi di dollari, chiedendone poi insieme altri 22 miliardi per continuare a operare nel corso del 2009. I primi aiuti, arrivati a dicembre con il precedente governo di Bush, non hanno dato il risultato sperato, anche perchè i piani di rilancio presentati da Gm e Chrysler non hanno convinto. Dunque, bisogna fare di più. Ma tutti, ed è questo il messaggio che ha lanciato Obama, devono fare di più. "Alle società chiediamo di fare scelte difficili. Stiamo anche chiedendo ai sindacati e ai dipendenti che hanno già fatto concessioni dolorose di farne altre. E, ancora, i creditori devono riconoscere che non possono fare affidamento sulla prospettiva di aiuti governativi senza fine". Insomma, Obama chiama a rapporto l'intera industria automobilistica Usa, e tutti i suoi componenti. D'altronde, è inutile continuare a dare la colpa alla concorrenza dei giapponesi, alla recessione in atto e, prima ancora, al rialzo dei prezzi della benzina. La verità è, così come sono strutturate, General Motors e Chrysler non andranno da nessuna parte, in quanto il male di cui soffrono non arriva solo da un insieme di concause esterne ma è scritto nel loro stesso Dna. Che i due produttori automobilistici dimostrino dunque l'intenzione di voltare seriamente pagina, in modo da meritarsi i finanziamenti federali: altrimenti, una cosa è certa: niente più aiuti con i soldi versati dai contribuenti.

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