Abstract: 3 FATTORI DI RISCHIO CONNESSI ALL'OFFERTA E AGLI STRUMENTI FINANZIARI OFFERTI 3.1 Rischi relativi alla liquidabilità e volatilità delle Azioni 3.2 Rischi connessi all'andamento del mercato dei diritti di opzione 3.3 Effetti diluitivi 3.4 Impegni di garanzia 3.5 Esclusione dei mercati in cui non è promossa l'Offerta 3.>
Enel frena Piazza Affari,
bene StM ( da "Corriere
della Sera" del 30-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Economia Mercati Finanziari data:
30/05/2009 - pag: 35 La Giornata in Borsa di Giacomo Ferrari Enel frena Piazza
Affari, bene StM Le Borse europee fanno un piccolo passo avanti ma Piazza
Affari archivia l'ultima seduta della settimana con l'S&P-Mib in calo
dell'1,32% e il Mibtel dell'1,09%, chiudendo così in modo un po' inglorioso la
loro stagione (
Lagardère interrogato,
Eads in calo ( da "Corriere
della Sera" del 30-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Economia Mercati Finanziari data:
30/05/2009 - pag: 35 Il caso a Parigi Lagardère interrogato, Eads in calo
(g.fer.) L'inchiesta della magistratura francese scattata dopo i sospetti di
insider trading che gravano su 17 tra dirigenti ed ex dirigenti di Eads ha
portato ieri all'interrogatorio come testimoni di Arnaud Lagardère,
Tiscali ricapitalizza dopo
l'intesa sul debito ( da "Corriere
della Sera" del 30-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Corriere della Sera sezione:
Economia Mercati Finanziari data: 30/05/2009 - pag: 35 Il caso a Milano Tiscali
ricapitalizza dopo l'intesa sul debito (g.fer.) C'è l'accordo sul debito ma c'è
anche la decisione di aumentare il capitale (l'operazione, per 190 milioni di
euro, sarà sottoposta all'assemblea straordinaria a fine giugno).
Lontano Berlusconi, è
toccato ai suoi offrire l'interpretazione governativa della relazion...
( da "Unita, L'"
del 30-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: che esistono concreti segnali
incoraggianti per la crisi finanziaria in atto». Dimenticando fino a che punto
quella crisi stava colpendo il paese, come i numeri e i problemi elencati da
Draghi eloquentemente, drammaticamente, dimostravano. Poi ciascuno tirava acqua
al proprio mulino: Calderoli a quello del federalismo, Brunetta a quello dei
tornelli della pubblica amministrazione,
La passione della
mediocrità ( da "Manifesto,
Il" del 30-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: QUESTIONE MORALE La passione della
mediocrità Bruno Accarino Quando comparvero i primi segni della crisi
finanziaria, non pochi osservarono, anche nelle nostre file, che si trattava di
un fenomeno né inedito né sconvolgente: bastava sfogliare nei punti opportuni
Il capitale di Marx per trovare i profili del sistema creditizio nella sua
dipendenza dal modo di produzione dominante.
Draghi: Serve più
protezione sociale ( da "Manifesto,
Il" del 30-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: e dai mercati finanziari. La crisi
intanto colpisce durissimo: disoccupati e cassintegrati sono già l'8,5% della
forza lavoro, e tale quota «potrebbe salire oltre il 10%». Ciò costituisce un
rischio: con meno reddito a disposizione, le famiglie potrebbero ridurre i
consumi, e questo porterebbe le imprese a tagliare ulteriormente gli
investimenti.
L'India non recede. A
Tokyo prezzi giù ( da "Manifesto,
Il" del 30-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: A conferma che la crisi finanziaria
non è chiusa, ieri in Irlanda il governo ha fatto sapere che chiederà alla
Commissione europea l'autorizzazione ad iniettare 4 miliardi di euro nel
capitale della Anglo Irish Bank che, nazionalizzata lo scorso gennaio, ha
accusato una perdita netta di 3,7 miliardi nel semestre al 31 marzo scorso.
Una parola chiave in
difesa dell'Occidente ( da "Manifesto,
Il" del 30-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: crisi finanziaria viene
metabolizzata in una dimensione biopolitica che a ben vedere altro non è che la
straordinaria capacità del capitalismo di reinventarsi per continuare a guidare
l'irresponsabile danza della dominazione sul pianeta. Violenza della politica
La trasformazione del cittadino in consumatore è dunque la conseguenza
necessaria della costruzione del politico come tecnologia.
Pechino cancella la perla
uigura sulla Via della Seta ( da "Stampaweb,
La" del 30-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: di 584 miliardi di dollari in
lavori pubblici per combattere la crisi finanziaria globale. Questo piano
completerebbe lo smantellamento finora frammentario iniziato qualche decennio
fa. Le mura della città, un terrapieno largo sette metri e alto dieci, sono
state in larga parte demolite. Negli Anni 80 la città riempì e pavimentò il
fossato che la circondava per creare un anello,
Draghi: (
da "Manifesto, Il"
del 30-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: e dai mercati finanziari. La crisi
intanto colpisce durissimo: disoccupati e cassintegrati sono già l'8,5% della
forza lavoro, e tale quota «potrebbe salire oltre il 10%». Ciò costituisce un
rischio: con meno reddito a disposizione, le famiglie potrebbero ridurre i
consumi, e questo porterebbe le imprese a tagliare ulteriormente gli
investimenti.
Il Papa a otto nuovi
ambasciatori: (
da "Avvenire"
del 30-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: E in esso il Papa ha affrontato con
parola accorate i temi della crisi economico-finanziaria mondiale, crisi che
può trasformarsi, per i Paesi ad economia più fragile, in una vera e propria
«catastrofe umana ». Le disparità tra Paesi sviluppati e non ha osservato il
pontefice «sono aumentate a causa della crisi finanziaria ed economica
attuale».
Imprese: i costi delle
banche italiane sono i più alti di tutta l'Unione europea
( da "Tribuna di Treviso, La"
del 31-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: crisi finanziaria) a marzo 2009 i
tassi di interesse applicati dalle banche italiane, in particolar modo per i
prestiti a breve termine, hanno penalizzato le imprese italiane in maniera più
pesante rispetto a quelle Europee. «Le aziende italiane - dice Giuseppe
Bortolussi segretario degli artigiani - hanno subito dei contraccolpi economici
che non hanno eguali tra i principali competitori
C'è "Cocco...
comics" un paese tra le nuvole
( da "Stampa, La"
del 31-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: guido quindi non bevo»), di
vignette di Davide Rizzi sulla crisi finanziaria e quelle di Emiliano Bruzzone
su «Il Palio (degli asini) ridens». Inoltre sono stati coinvolti gli alunni
delle scuole medie che esporranno le loro opere grafiche dedicate al mondo del
vino. Ingresso libero. Info: 333/75.68.
Torna Rampini e parla del
capitalismo irresponsabile ( da "Trentino"
del 31-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Palazzo Bassetti, sede Btb:
«Economie transfrontaliere e crisi finanziaria», con Davide Bassi, Gregorio De
Felice, Lorenzo Dellai, Walter Lorenz, Mario Marangoni, Guenther Platter e
Karlheinz Toechterle. Ore 16.30. Facoltà Economia: «Stati Uniti ed Europa di
fronte alla crisi», collegamento video con Nicholas Bloom.
Lo sviluppo deve mirare a
ridurre la disuglianza ( da "Trentino"
del 31-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Laurent hanno tracciato una strada
per uscire dalla crisi nel libro «La nuova ecologia politica. Economia e
sviluppo umano». Fitoussi ne ha parlato ieri al Festival: «La crisi finanziaria
mondiale, ma anche quella energetica ed alimentare ci riporta al rapporto
essenziale che deve esistere tra la ripartizione dei "mezzi di
sussistenza" e la ripartizione del "diritto a sussistere"
Numerosi gli ospiti ma
affari scarsi ( da "Alto
Adige" del 31-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: di quelle che erano le aspettative
vista la perdurante crisi finanziaria internazionale. Economicamente parlando è
questo il problema che più preoccupa e che dovrebbe far riflettere le varie
categorie «nostrane» che lavorano grazie al turismo ma con prezzi spesso
esagerano. Si salvano, per il momento, solo i negozi di generi misti ed in
particolare i supermercati dei vari paesi:
epifani: "premier
assente spero che non abbia pesato la sua amicizia con putin" - paolo
griseri ( da "Repubblica,
La" del 31-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Infine penso che dovremo rimettere
mano alla struttura del debito. Con una discussione a livello internazionale,
una volta fissate le nuove regole dei mercati finanziari, per vedere come
gestire il peso del debito senza compromettere investimenti e sviluppo e senza
far ripartire l´inflazione».
draghi, radiografia di un
paese malato - (segue dalla prima pagina)
( da "Repubblica, La"
del 31-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Forse la crisi mondiale ha toccato
il fondo e forse cesserà di sprofondare ulteriormente, ma la risalita "a
riveder le stelle" sarà lenta specie in Europa e specie in Italia. 2. Gli
effetti negativi della crisi finanziaria non si sono ancora scaricati
sull´economia reale.
banca, assemblea con 1.300
soci ( da "Tirreno,
Il" del 31-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: economia a livello generale
entrando nel merito della crisi finanziaria. Da qui sono state illustrate le
caratteristiche della situazione locale, del territorio Empolese Valdelsa. Sono
stati poi descritti dal direttore generale Bosio nel dettaglio i dati del
bilancio. Uno per tutti, la crescita della raccolta che aumenta del 17,61%
sull'esercizio precedente.
Costo del denaro Le
imprese italiane pagano di più ( da "Unita,
L'" del 31-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: crisi finanziaria) a marzo 2009 i
tassi di interesse applicati dalle banche italiane, in particolar modo per i
prestiti a breve termine, hanno penalizzato le imprese italiane in maniera più
pesante rispetto a quelle Europee. «Le aziende italiane - dice Giuseppe
Bortolussi segretario degli artigiani - hanno subito dei contraccolpi economici
che non hanno eguali tra i principali competitori
Belstaff dribbla la
stretta con il franchising ( da "Tribuna
di Treviso, La" del 31-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: restano i progetti di apertura del
capitale a un partner, finanziario o industriale che sia. «Con Vf eravamo a un
buon punto, la trattativa sarebbe andata in porto se non ci fosse stata la
crisi finanziaria iniziata con il tracollo di Lehman Brothers - dice Malenotti
- ma ora restiamo in attesa, possiamo ancora andare avanti con le nostre gambe.
Ma in Italia il denaro
costa di più ( da "Arena,
L'" del 31-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: inizio della fase più acuta della
crisi finanziaria, fino a marzo 2009. La Cgia ha ipotizzato che l'esposizione
bancaria delle imprese italianenel periodo preso in esame, pari a 952 miliardi
di euro, sia la stessa in tutti i Paesi dell'Europa dei 15, e ha poi
confrontato i costi per le imprese a seguito del tasso di interesse medio
applicato in ciascun Paese.
Crisi finanziaria: energia
e denaro sono infiniti? ( da "Blogosfere"
del 31-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Mag 0931 Crisi finanziaria: energia
e denaro sono infiniti? Pubblicato da Eleonora Bianchini, Blogosfere Staff alle
07:00 in Tendenze & Scenari Di Debora Billi Quando ho visto questo grafico,
scrive Debora Billi su Petrolio, sono rimasta un tantino basita.
L'ambiente non si salva a
colpi di riunioni e summit ministeriali
( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)"
del 31-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: I temi in agenda nei
"bigG" sono vari: crisi finanziaria globale, recessione dell'economia
reale, incremento della disoccupazione, povertà nel Terzo mondo, soprattutto in
Africa, ambiente/energia. L'analisi presente fa il punto sull'ultimo tema,
aggiornando i precedenti approfondimenti pubblicati da L'Unione Sarda da due
anni e mezzo circa.
Franceschini: basta
promesse vane, non siamo tonti ( da "Avvenire"
del 31-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: La Francia ha 40 multinazionali e
il governo sta attuando protezionismo e aiuti nei loro confronti. Noi ne
abbiamo cinque e certo non riusciremo a costruire le prossime 35 in qualche mese. Dobbiamo
proteggere i quattro milioni di piccole e medie imprese che abbiamo ». Chi non
rinuncia ad attaccare frontalmente Berlusconi sulle questioni giudiziarie è
Antonio Di Pietro.
Palermo, caos-rifiuti
nelle strade Rissa sfiorata in municipio
( da "Repubblica.it"
del 31-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: opposizione chiede che a pagare
siano gli ex amministratori dell'Amia che hanno creato la crisi finanziaria e
invitano l'amministrazione a recuperare le somme non versate dagli evasori. Da
10 giorni la città è sommersa dai rifiuti per l'astensione dei lavoratori
dell'Amia dal lavoro straordinario causa mancato rinnovo del contratto di
servizio tra l'azienda e il comune.
Rifiuti a Palermo,
sfiorata rissa in aula ( da "Stampaweb,
La" del 31-05-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: opposizione chiede che a pagare
siano gli ex amministratori dell?Amia che hanno creato la crisi finanziaria e
invitano l?amministrazione a recuperare le somme non versate dagli evasori.
Nell?aula consiliare c?è anche una delegazione di sindacalisti, inviatati a
seguire i lavori.
Liberismo IN CADUTA LIBERA
( da "Manifesto, Il"
del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: con il conseguente dirottamento di
quote di profitto sui mercati finanziari per assicurare una crescita dei
profitti senza accumulazione. Dall'inizio degli anni '80, «La fonte principale
delle bolle finanziarie è la crescita tendenziale del profitto non accumulato
che risulta essa stessa da un duplice movimento: da una parte, l'arretramento
generalizzato dei salari e,
Salza, i Bot e le botti di
vino ( da "Stampa,
La" del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: mondo del vino è serio e si è
sempre tenuto lontano dalla Borsa e dai mercati finanziari troppo volatili e
non ha sbagliato». Il nuovo padrino scelto dall'Enoteca Regionale del Barolo ha
dimostrato di gradire con convinzione il ruolo di testimonial. «Ho accettato questo
riconoscimento perché credo che l'agricoltura dia un senso al lavoro e
all'attenzione per il proprio territorio.
"Il mondo del vino
resti fuori dalla Borsa" ( da "Stampa,
La" del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: mondo del vino è serio e si è
sempre tenuto lontano dalla Borsa e dai mercati finanziari troppo volatili e
non ha sbagliato». Il nuovo padrino scelto dall'Enoteca Regionale del Barolo ha
dimostrato di gradire con convinzione il ruolo di testimonial. «Ho accettato
questo riconoscimento perché credo che l'agricoltura dia un senso al lavoro e
all'attenzione per il proprio territorio.
Salza: " I Bot? Molto
meglio le botti di vino" ( da "Stampa,
La" del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Molto meglio le botti di vino"
L'agricoltura dà una lezione alle banche: legarsi al territorio «Lavorare la
terra è faticoso ma poi si viene premiati» Il banchiere: "Il mondo del
vino è serio e non è andato in Borsa" ROBERTO FIORI I mercati finanziari
sono troppo incerti In questi anni la vite ha reso di più ALBA SEGUE DA PAGINA 55
Gli studenti processano
gli economisti ( da "Stampa,
La" del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: ECONOMIA DI TRENTO UNA GIURIA DI
UNIVERSITARI METTE ALL'INDICE I COLPEVOLI DELLA CRISI FINANZIARIA Gli studenti
processano gli economisti [FIRMA]STEFANO LEPRI INVIATO A TRENTO Chi sono i
colpevoli della crisi finanziaria? Per gli economisti la condanna emessa è
stata piuttosto blanda; per chi doveva vigilare sui mercati, e per i politici,
è in arrivo un verdetto severo;
L'Euregio: obiettivo
valido ( da "Alto
Adige" del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Economie transfrontaliere ed
Euregio a confronto con la crisi finanziaria: ne hanno parlato nella sede della
banca di Trento e Bolzano, Lorenzo Dellai, l'imprenditore Mario Marangoni, i
rettori delle università di Trento e Innsbruck Davide Bassi e Karlheinz
Toechterle e Gregorio De Felice, capo dell'ufficio studi di Btb, che ha
moderato.
Oggi si chiude con
Glaeser, Manning e il Nobel Spence
( da "Trentino"
del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Facoltà Economia: conferenza di
Alberto Giovannini «Crisi finanziaria», introduce Edoardo Gaffeo. Ore 10.
Facoltà Sociologia: «Imprese italiane: un modello glocale per vincere la
crisi?». Ore 10.30. Castello Buonconsiglio: conferenza di Fabrizio Zilibotti «Come
recuperare il terreno perduto». Ore 10.
il federalismo
all'italiana - (segue dalla prima pagina)
( da "Repubblica, La"
del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Tanta concordia fra Stato e regioni
si basa sul dogma che il piano-casa aiuti a uscire dalla crisi economica. Ma la
crisi finanziaria mondiale è stata innescata dalle perdite (oltre quattro
trilioni di dollari secondo il Fmi) subite da banche e agenzie di credito
americane per l´eccesso di mutui concessi per star dietro agli eccessi
dell´offerta edilizia.
l'appello di vandana shiva
"boicottiamo le aziende che distruggono l'ambiente" - (segue dalla
copertina) francesca caferri ( da "Repubblica,
La" del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: lo scoppio della bolla dei mutui,
la crisi finanziaria globale - avrebbe dovuto insegnarci qualcosa. Che il
modello di sviluppo cieco, che distrugge tutto intorno a sé, che punta solo al
profitto, non funziona. Non funziona più. Eppure questo è il modello di
sviluppo che sta distruggendo l´Amazzonia.
Berlusconi, vertice con
Obama: prepariamo il G8 per la finanza
( da "Corriere della Sera"
del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: alla peggiore crisi finanziaria
internazionale dalla fine della seconda guerra mondiale. Obama è certamente fra
i critici della deregulation, e il vertice del 15 giugno, negli auspici del
premier italiano, potrebbe essere l'occasione per allargare in maniera decisiva
il consenso intorno alla proposta di un nuovo codice.
Economisti messi al
processo di studenti e professori
( da "Corriere della Sera"
del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Sei volte colpevoli per: non aver
previsto la crisi finanziaria; non averne compreso subito le conseguenze
sull'economia; basarsi su modelli troppo astratti e matematizzati; esser
risultati «negligentemente» all'oscuro delle trappole del mercato del credito;
essersi astenuti da moniti nei confronti delle istituzioni finanziarie;
1.Dare credito Significa
dare fiducia a chi ha necessità. Ovvero, fare banca: quello che da...
( da "Unita, L'"
del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: impressione è che non si voglia
davvero cambiare il sistema finanziario. Per questo, assieme alla Cisl
presenteremo un appello al G8 per la sua regolamentazione, basato su quattro
punti: mercati finanziari, fiscalità, legalità e sostenibilità. LUDOVICA JONA
inchieste@unita.it 5 risposte da Fabio Salviato Presidente Banca popolare Etica
Quel voto troppo tiepido
per l'Europa ( da "Corriere
della Sera" del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Oggi i problemi che ci investono
coinvolgono l'Europa intera, dalla crisi finanziaria alla pressione
dell'immigrazione; così come l'economia di Milano non può crollare senza
ripercuotersi su Bologna o su Bari, ogni singolo Stato trascina in parte con
sé, nel bene e nel male, tutti gli altri e ne è trascinato.
La sfida di Marchionne. Le
scelte di Obama. L'assenza di Berlusconi
( da "AprileOnline.info"
del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: Qualche autorevole osservatore
estero dei mercati finanziari sospetta che dietro a questa "estrema
prudenza" del governo italiano, ci sia anche l'amicizia tra Putin,
Berlusconi e Schroeder, da una parte, e, dall'altra, "l'invidia" del
nostro premier nei confronti del successo americano della FIAT, presieduta dal
più giovane Luca Cordero di Montezemolo,
I fondi immobiliari
italiani battono i "Reits"
( da "Affari e Finanza (La Repubblica)"
del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: facendo sprofondare il pianeta
nella più grande crisi finanziaria ed economica mai vista dopo quella del 1929.
I fondi immobiliari italiani, in questo frangente, hanno resistito meglio di
tutti gli strumenti che, come i Reits (ne esistono di diverse tipologie ma ogni
paese segue delle regole proprie) sono delle società immobiliari quotate.
L'Euribor cala ma le
banche "ritoccano" lo spread
( da "Affari e Finanza (La Repubblica)"
del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: esplosione della crisi finanziaria
ha, infatti, travolto l?Euribor. Basti pensare che se a fine settembre dello
scorso anno l?indice a 1 mese/365 quotava 5,12%, mentre attualmente è sotto la
soglia dell?1% fissata dalla Bce per il tasso di riferimento. Tuttavia, proprio
nel periodo in cui l?
Addio al boom, ora
l'edilizia segna il passo costruzioni in calo e occupazione a rischio
( da "Affari e Finanza (La Repubblica)"
del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: associazione nazionale dei
costruttori edili: «La crisi economica e finanziaria globale, esplosa in tutta
la sua gravità nella seconda metà del 2008, sta determinando significative
ripercussioni anche sul comparto edilizio, colonna portante del sistema produttivo
nazionale». Un concetto che trova la sua concretezza nei numeri del settore:
«Le stime dell?
09:26 RIFIUTI: PALERMO
SOFFOCA NEL PATTUME, 50 ROGHI DI CASSONETTI
( da "Agi" del
01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: L'Amia e' infatti in grave crisi
finanziaria e presenta un deficit di 150 milioni di euro benche' l'anno scorso
l'amministrazione comunale guidata dal sindaco del Pdl Diego Cammarata abbia
raddoppiato la Tarsu. Dopo l'aumento del 100%, a pochi mesi di distanza il
Comune vuole incrementare la tariffa di un ulteriore 35%.
Vertice sull'emergenza
rifiuti ( da "Stampaweb,
La" del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: in grave crisi finanziaria e
presenta un deficit di 150 milioni di euro benchè l?anno scorso
l?amministrazione comunale guidata dal sindaco del Pdl Diego Cammarata abbia
raddoppiato la Tarsu. In consiglio comunale ieri il dibattito è quasi finito in
ressa, con le opposizioni decisamente contrarie ad un ulteriore rincaro Tarsu
del 35%
Il Times: "Cade la
maschera del clown" Libération: "Lo scandalo è alle calcagna"
( da "Repubblica.it"
del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: che è confrontata dalla crisi
finanziaria globale. Non sono soltanto gli elettori italiani a domandarsi cosa
sta succedendo. Se lo chiedono anche i perplessi alleati dell'Italia". Il
Times pubblica anche una lunga corrispondenza dall'Italia, intitolata
"Berlusconi blocca la pubblicazione di foto di giovani donne in bikini a
un party nella sua villa"
Napolitano: "Serve
più coesione" ( da "AprileOnline.info"
del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: soprattutto dinanzi alla crisi
finanziaria ed economica e alle tensioni che attraversano il mondo. Ma 'più
coesione sociale e nazionale' sono indispensabili anche per 'prendere
finalmente la strada delle riforme necessarie al paese e al suo sviluppo'. Lo afferma
il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel messaggio in occasione
della Festa nazionale della Repubblica del 2 giugno.
Quando si fermerà la
caduta del dollaro? ( da "Trend-online"
del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: anno di crisi finanziaria con una
forza importante, tale da portare il cambio euro dollaro dai massimi a 1,60
fino a 1,24, sta pian piano perdendo considerazione. Le vendite, che l?hanno
caratterizzato negli ultimi due mesi, hanno minato la rinnovata fiducia in
quella che rimane, ad oggi, l?
Il Times: "Cade la
maschera del clown" E la Faz lo paragona al padre degli dei
( da "Repubblica.it"
del 01-06-2009)
Argomenti:
Crisi
Abstract: che è confrontata dalla crisi
finanziaria globale. Non sono soltanto gli elettori italiani a domandarsi cosa
sta succedendo. Se lo chiedono anche i perplessi alleati dell'Italia". Gli
altri quotidiani britannici. Il Times pubblica anche una lunga corrispondenza
dall'Italia, intitolata "Berlusconi blocca la pubblicazione di foto di
giovani donne in bikini a un party nella sua villa"
( da "Stampa, La" del
28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Facebook vale 10
miliardi? È solo un'interpretazione e peraltro poco credibile La mossa africana
di Vodafone rischia di favorire le sue rivali Per approfondimenti:
http://www.breakingviews.com/ Ma come, Facebook vale 10 miliardi di dollari?
Forse questa è l'interpretazione che il sito di social networking vorrebbe
avallare. Ma è ben poco credibile. Può darsi che questa valutazione rappresenti
un obiettivo per Facebook, ma oggi il valore reale dello studentato virtuale
creato da Mark Zuckerberg è di gran lunga inferiore. Ciò non significa che la
cifra annunciata sia completamente di fantasia. In base alle condizioni rese
note martedì, il gruppo russo Digital Sky Technologies, specializzato in
investimenti in Internet, starebbe versando 200 milioni di dollari in cambio di
una partecipazione dell'1,96%, per un valore totale intorno ai 10 miliardi.
Considerando che la società non genererà un flusso di cassa positivo almeno
fino all'anno prossimo, il dato appare davvero impressionante. Certo, l'aumento
di capitale operato da Facebook 18 mesi fa, a cui avevano contribuito anche
Microsoft e il magnate di Hong Kong Li Ka-shing, aveva attribuito alla società
un valore di 15 miliardi di dollari. Tenendo conto però
della recente traiettoria dei mercati finanziari, il prezzo versato da Dst sembra ancora più caro. Le azioni dei
giganti Microsoft e Google sono scese di circa il 45% dal novembre 2007.
Ipotizzando un calo analogo per Facebook, DST starebbe pagando un premio del
20% rispetto al prezzo di ingresso di Microsoft. In ogni caso, per i
normali investitori queste cifre sono ingannevoli. La società non ha venduto
azioni ordinarie a Dst. Ha venduto azioni privilegiate. Facebook non ha
rivelato i dettagli, ma queste azioni conferiscono diritti e privilegi speciali
- e per questo valgono di più. Perciò, se la valutazione cui ambiscono Facebook
e DST è di 10 miliardi di dollari, non è detto che rifletta il valore reale
della società in questo momento. Dst si è anche impegnata ad acquistare azioni
detenute dai dipendenti di Facebook per un controvalore di 100 milioni. Il
prezzo di questi titoli fornirà un'indicazione più realistica del valore
attuale di Facebook di quanto non appaia dai comunicati stampa. \ Con il
contributo delVodafone ha spianato la strada al matrimonio tra due delle sue
concorrenti principali. Il gigante della telefonia mobile inglese non intendeva
certo favorire il legame tra Bharti Airtel e Mtn quando, nelle scorse
settimane, ha superato gli ostacoli politici che si frapponevano all'aumento
della partecipazione nella sua joint venture sudafricana. Probabilmente, però,
il risultato sarà proprio questo. Non è una coincidenza che le rivali di
Vodafone, che l'anno scorso avevano interrotto le trattative, stiano di nuovo
tessendo le fila di un accordo. La vittoria legale di Vodafone ha stabilito un
precedente che renderà più semplice, per Bharti, acquisire una quota del 49% e
assumere il controllo effettivo della sudafricana Mtn. Certo, l'orgoglioso
governo sudafricano non vedrà di buon occhio il passaggio in mani straniere di
un secondo operatore mobile nazionale nell'arco di pochi mesi. L'operazione di
Vodafone, le cui trattative si sono protratte per un anno, è stata sul punto di
andare a rotoli proprio quattro giorni dopo l'insediamento del nuovo governo
sudafricano di Jacob Zuma. Le autorità, che inizialmente avevano approvato la
proposta di Vodafone di aumentare la partecipazione in Vodacom dal 50% al 65%,
hanno ceduto alle pressioni dei sindacati e cercato di rivedere l'accordo.
Vodafone è riuscita a far valere le sue ragioni in tribunale, ribaltando
l'improvviso voltafaccia delle autorità. Esiste senz'altro il rischio che Zuma
assuma un atteggiamento più risoluto nei confronti di Mtn. Per altri versi,
però, l'accordo tra Mtn e Bharti potrà risultare più semplice rispetto a quello
di Vodacom. In primo luogo, il governo non detiene partecipazioni in Mtn,
mentre era uno dei principali Azionisti di Vodacom. Secondariamente, la
proposta di Bharti prevede solo l'acquisizione di una quota del 49%, benché gli
accordi collaterali siano strutturati in modo da conferire al gruppo indiano il
controllo effettivo. Infine, i sindacati che hanno combattuto così duramente
Vodafone non sembrano granché preoccupati della mossa di Bharti.
Paradossalmente, il successo di Vodafone potrebbe rendere più semplice il
matrimonio delle sue rivali. \ (Traduzioni a cura del Gruppo Logos)
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( da "Stampa, La" del
28-05-2009)
Argomenti: Crisi
PREVIDENZA.FONDO
PENSIONE COMPLEMENTARE Fopadiva, in mille cambiano idea «Scelte motivate
dall'incertezza che continua a esserci nei mercati»
Sono mille gli iscritti che in questi ultimi mesi hanno deciso di trasferire la
propria posizione in Fopadiva passando dal comparto prudente a quello
garantito. E' uno dei dati emersi durante la prima riunione del nuovo consiglio
di amministrazione del Fondo pensione complementare istituito in Valle d'Aosta.
Gli effetti delle turbolenze finanziarie ed economiche
si fanno sentire anche sulle scelte fatte riguardo alla «seconda gamba» del
sistema previdenziale. I nuovi amministratori del fondo hanno esaminato la
situazione della nuova gestione «multicomparto», passaggio che si è concluso ad
aprile di quest'anno. «Per il comparto prudente - dice il neo presidente Walter
Lillaz - il rendimento netto positivo nel 2009 è pari al 2,906 per cento. La
quota è tornata a livello di maggio 2008, recuperando gran parte del
significativo calo che si era manifestato durante lo scorso anno, a causa della grave crisi economica che ha coinvolto anche i mercati finanziari di riferimento».
Lillaz spiega inoltre che di questa «risalita» hanno beneficiato «anche i mille
aderenti che hanno trasferito la propria posizione individuale dal comparto
prudente al comparto garantito, con il valore delle quote al 30 aprile 2009».
Resta il fatto che bisogna rimanere vigili. «Gli amministratori Fopadiva - dice
ancora Lillaz - hanno rilevato che, tenuto conto del permanere di una
situazione di estrema incertezza sui mercati, è
necessario e opportuno continuare a monitorare e verificare con estrema
attenzione l'andamento della gestione delle risorse finanziarie
del fondo». Non solo. Aggiunge Lillaz: «Bisogna valutare la situazione e le
prospettive generali dei mercati. Tenendo conto che il
rendimento di un fondo pensione è da valutare nel medio e lungo periodo, in
considerazione delle sue finalità previdenziali e non speculative». Il comparto
garantito nel 2009 ha
registrato un rendimento netto positivo di 1,598 per cento. Fopadiva può
contare su circa 6400 associati, pubblici e privati, e su 330 datori di lavoro.
L'attivo netto per le prestazioni è di circa 70 milioni di euro. L'assemblea
dei delegati è formata da 60 componenti, 30 eletti dai lavoratori, altrettanti
dagli imprenditori. Il Consiglio di amministrazione ha nominato presidente e
vice, che sulla base del principio dell'alternanza in questo mandato spettano
rispettivamente ai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro. Oltre
al presidente Lillaz, come vice è stata nominata Luigina Borney, che era già
componente del Cda. In consiglio di amministrazione siedono Ornella Badery, Enrico
Di Martino, Marco Lucat e Pierre Noussan per i datori di lavoro e Massimo
Balestra, Jean-Pierre Guichardaz, Mariandrea Nardo e Lucio Aldo Risini in
rappresentanza dei lavoratori. Gli amministratori Fopadiva stanno lavorando a
un terzo comparto, definito dinamico, pensato per i più giovani che hanno
ancora molti anni davanti a loro prima della pensione.
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( da "Italia Oggi" del
28-05-2009)
Argomenti: Crisi
ItaliaOggi
sezione: Mercati e Finanza data: 28/05/2009 - pag: 39 autore: di Giovanni
Legorano Secondo società di consulenza bfinance Dagli istituzionali feeling
azionario Gli investitori istituzionali tornano a reinvestire sul mercato
azionario. È quanto emerge dall'ultima indagine sull'asset allocation
strategica dei fondi pensione e delle compagnie di assicurazione in Europa e
Nord America, realizzata da bfinance, società di consulenza costituita nel
1999, che si occupa di selezione di fund manager per conto di investitori
istituzionali come assicurazioni, fondi pensione, fondazioni bancarie, ecc.
Secondo la società di consulenza, il 46% degli intervistati aumenterà
l'esposizione sul mercato azionario nel 2009, mentre il 42% diminuirà
l'esposizione sul reddito fisso. Tale risultato sarebbe in netta controtendenza
con la serie di spostamenti difensivi sul comparto obbligazionario e sul cash
avvenuti soprattutto nell'ultimo trimestre del 2008.Spiega David Vafai, a.d. di
bfinance: «L'indagine indica un sorprendente cambiamento di opinione da parte
degli investitori, con quasi la metà degli intervistati che si aspettano un
aumento delle loro esposizioni sul mercato azionario nei prossimi 12 mesi
rispetto al solo 19% emerso dall'indagine effettuata lo scorso ottobre. Il risultato sembra suggerire che gli investitori pensano che il
peggio della crisi finanziaria sia passato». Dall'indagine emerge anche la propensione a una
maggiore diversificazione a favore di asset class alternative. Secondo i dati
di bfinance, dal mese di ottobre 2008 il 24% ha aumentato l'esposizione sulle
infrastrutture, mentre il 16% quella sul private equity. La stessa
tendenza è emersa anche sul comparto delle commodities e su quello
immobiliare.Per quanto riguarda l'Italia, secondo Ottavia Sebastiani, direttore
business development di bfinance, l'intenzione degli investitori istituzionali
«è di reinvestire ciò che giaceva in cash». Inoltre, continua Sebastiani, per
quanto riguarda le classi d'investimento alternative, ci sarebbe un maggiore
interesse per il real estate, il private equity e le commodities.Migliora
infine l'atteggiamento degli investitori istituzionali nei confronti delle
strategie di active management rispetto alla fine del 2008. Infatti, malgrado
il 24% abbia indicato di voler ridurre questo tipo di allocation, l'indagine
precedente aveva ravvisato quest'intenzione nel 41% degli intervistati. Vafai
sottolinea che «quest'ulteriore inversione di tendenza è probabilmente il
risultato dei recenti rally dei mercati».
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(sezione: crisi)
( da "Tempo, Il" del
28-05-2009)
Argomenti: Crisi
stampa «La
turbolenza finanziaria che ha colpito i maggiori paesi
avanzati ha interrotto un lungo periodo di crescita, bassa inflazione, credito
abbondante. di RICCARDO RICCARDI È presto per dire se è terminata». Così si era
espresso il Governatore Draghi nelle Considerazioni finali il 31 maggio 2008.
Il nostro banchiere centrale aveva, ancora aggiunto «ed è presto per valutare
pienamente le conseguenze sulla economia reale: molto dipenderà dalle
dimensioni e dalla rapidità del processo di ricapitalizzazione in corso presso
le maggiori istituzioni finanziarie mondiali». È passato un anno, siamo curiosi
di conoscere ora il pensiero di Draghi, che domani davanti a un pubblico di
banchieri, industriali, economisti leggerà le sue considerazioni finali.
L'appuntamento di Bankitalia è stato sempre un avvenimento stimolante che apre
un grande dibattito con interpretazioni varie a seconda di come si vuole
percepire il pensiero del capo della prestigiosa istituzione. Bisognerà vedere
quale sarà il suo atteggiamento nei confronti del nostro sistema bancario. Il
ministro Tremonti in merito alla scarsità del credito che le banche
concederebbero alle imprese si è chiesto se è il cavallo che non beve o se
qualcuno ha chiuso il rubinetto. Ha poi ammonito gli istituti creditizi a
praticare condizioni più basse in linea con quelle europee. Attendiamo il
Governatore. Che si soffermerà sull'impennata dei crediti deteriorati che
derivano da mancati rimborsi di rate di prestiti ovvero da un utilizzo non
corretto degli affidamenti ricevuti. Nel senso che si va oltre il limite di
fido concesso determinando quelli, che, in termine tecnico, vengono definiti sconfinamenti e che generano la crisi finanziaria dell'utente. Sul
fronte dei tassi l'argomento è a più facce. Tassi sui prestiti e remunerazione
del risparmio. Con un terzo invitato, l'inflazione. I tassi salgono quando i
prezzi aumentano e si crea inflazione. Diminuiscono quando c'è abbondanza di
denaro e si è in presenza di ristagno della economia. Oggi i tassi di
interesse sono bassi anche per il massiccio intervento dei governi che,
iniettando liquidità, hanno salvato il sistema finanziario dal collasso che
avrebbe mandato all'aria tutta l'economia mondiale. Di qui i tassi a buon
mercato per favorire la ripresa. Ma il tasso basso, che è favorevole
all'indebitamento statale, non remunera il risparmio, che soprattutto in Italia
si sente mortificato. L'argomento non è da poco. Attendiamo il pensiero di
Draghi.
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( da "AmericaOggi Online"
del 28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il caso Fiat e
l'economia del futuro. Il nuovo capitalismo di Emilio Manuelli 28-05-2009 Sarà
un altro capitalismo quello che uscirà (ma non sappiamo quando) dalla crisi
esplosa nell'agosto del 2007. Non sembra, ma fra poche settimane
"celebreremo" due anni di recessione, forse la più dura dell'era
moderna, dal momento che il confronto con quella pur tragica del 1929 regge
assai poco, stante le diverse dimensioni dei mercati e
dell'economia mondiale. Due anni che ci hanno insegnato molte cose utili per il
futuro e fatto capire che molte altre non potranno ripetersi. È finita per
sempre l'epoca dello yuppismo che ha caratterizzato gli anni d'oro dei mercati finanziari, l'era dei guadagni facili e delle grandi
speculazioni ai danni della massa inconsapevole dei piccoli azionisti. È
finita, crediamo per sempre, l'epoca della finanza allegra, quella dei prodotti
incomprensibili ai più, seppellita definitivamente dall'indignazione dei
risparmiatori e dei governi, spesso consapevoli complici di operazioni poco trasparenti.
Arriverà una calvinistica stagione - forse già con il prossimo G8 ospitato
dall'Italia - di regole e regolette, esattamente l'opposto, e siamo alla prima
grande novità del nuovo mondo post 2009, del vasto processo di deregulation
avviato nel mondo occidentale sul finire degli anni '90. Un ritorno al passato,
quando tutte le attività economiche organizzate avevano un contrappeso fatto di
enti preposti al controllo e di rigide impalcature regolatorie. Il castello ha
cominciato a subire le prime crepe e poi a crollare
rovinosamente con la vicenda dei mutui subprime americani quando ormai da
qualche anno i protagonisti della scena finanziaria avevano immesso sul mercato nuovi prodotti e implementato nuove
attività. Insomma le regole c'erano, ma non erano più adatte a governare il
nuovo che nel frattempo era stato messo in circolazione in un mercato ormai
divenuto globalizzato. Nel giro di pochi mesi avremo la nuova
impalcatura, ma l'innovazione finanziaria non si
fermerà: la lezione di questi anni ci ha insegnato che dovremo avere
istituzioni di controllo flessibili, pronte al cambiamento per evitare un nuovo
inevitabile crac. Un altro fondamentale insegnamento ci arriva dalla vicenda di
questi giorni che caratterizza il futuro dell'industria automobilistica
mondiale. Un'insipiente conduzione gestionale dei grandi gruppi multinazionali,
a partire dalle tre grandi sorelle americane (Ford, General motors, Chrysler),
ha portato al tracollo del settore in tutto il mondo: sono stati necessari
ingenti interventi finanziari da parte dei governi
sotto forma di ingresso nel capitale societario o attraversi incentivi al
mercato di riferimento (è l'esempio italiano) per tenere in piedi le aziende in
difficoltà. È questo va avanti da molti anni, fino al de profundis di queste
settimane dopo che alla crisi commerciale e industriale si è aggiunta quella finanziaria. È in questo scenario che la cenerentola Fiat
diventa protagonista, soprattutto grazie all'intraprendenza un po' guascona del
suo leader Sergio Marchionne e dell'insperato sostegno di Barack Obama. Vedremo
come finirà la puntata europea del giocatore Marchionne. Fra poche ore
probabilmente conosceremo come andrà a finire la sua offerta per Opel, se il
governo tedesco accetterà il suo rilancio al tavolo che vede in competizione
altri giocatori. Ma comunque andrà a finire sarà un altro passo verso
l'avverarsi della profezia dell'Avvocato Agnelli, che in tempi non sospetti
ipotizzò la concentrazione del mercato mondiale in poche mani, cinque-sei
aziende al massimo. Eppure erano gli anni, certo ricorderete, in cui impazzava
lo slogan "piccolo è bello". E noi, con un sistema fatto al 90% di
piccole e medie imprese, ci gonfiavamo il petto. La Grande Crisi ci ha
insegnato però che a questo punto la ricerca di idonee dimensioni diventa una
strada inevitabile (e già il nuovo leader Usa si sta muovendo in questo senso).
Occorre percorrerla per forza, al di là del settore automobilistico che sta
facendo obtorto collo da battistrada. Per ogni sistema industriale diventa indispensabile
conseguire quelle dimensioni che possano garantire risparmiose economie di
scala, razionamento dei costi e della forza lavoro, aumento del proprio peso
contrattuale nei confronti delle istituzioni pubbliche e finanziarie.
Non sarà facile, ma non esiste un'alternativa, lo si dovrà fare in fretta a
partire da quei settori - pensiamo alle banche europee - che piùhanno subito
gli effetti della crisi. Sarà anche per noi una rivoluzione epocale: al di là
delle demagogiche e superficiali analisi di alcuni nostri governanti, dobbiamo
porci come paese l'obiettivo della crescita dimensionale delle nostre imprese.
Non si tratta di sparire, ma di mettere insieme le proprie forze. Dagli Agnelli
in giù assistiamo ad una crisi del capitalismo familiare all'italiana: imprese
più grandi saranno più forti, in grado di affrontare la concorrenza con un
maggiore patrimonio, in grado di accrescere il loro peso nei confronti dei
soggetti più forti.
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( da "Sole 24 Ore, Il"
del 28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: IN PRIMO PIANO data: 2009-05-28 - pag: 2 autore: Usa, Cina e il ping
pong planetario Le merci all'America e i dollari a Pechino: la recessione
finirà, ma le disparità resteranno di Barry Eichengreen I libri di storia del
futuro, a seconda di dove saranno scritti, sceglieranno due diversi approcci
per individuare le responsabilità dell'attuale crisi economica e finanziaria. Uno consisterà nel dare la colpa alla mancanza
di regolamentazione, alle politiche monetarie con espansione dell'offerta di
moneta allo stesso ritmo dell'inflazione, al tasso di risparmio troppo basso
delle famiglie statunitensi. L'altro, promosso da alti funzionari americani di
oggi e di ieri, come Alan Greenspan e Ben Bernanke, assegnerà la colpa
all'immenso bacino di liquidità generato dai paesi ad alto tasso di risparmio
dell'Asia Orientale e del Medio Oriente. Tutta questa liquidità, diranno i
sostenitori di questo secondo approccio, da qualche parte doveva finire e la
sua destinazione logica era il paese con i mercati finanziari
più sviluppati, gli Stati Uniti, dove ha fatto salire i prezzi delle attività
fino a livelli insostenibili. C'è un'unica cosa su cui entrambi gli
schieramenti concordano: lo squilibrio dei risparmi a livello globale - bassi
risparmi negli Stati Uniti e alti risparmi in Cina e in altri mercati emergenti - ha giocato un ruolo chiave nella crisi
perché ha consentito agli americani di vivere al di sopra dei propri mezzi e ha
incoraggiato finanzieri smaniosi di realizzare profitti con gli abbondanti
fondi a disposizione a destinarli a un uso più speculativo. Se c'è una tesi che
trova consensi unanimi è l'impossibilità di comprendere la bolla e la crisi
senza prendere in considerazione il ruolo degli squilibri globali. Per impedire
crisi future simili a questa bisogna dunque risolvere tale problema. Da questo
punto di vista i primi segnali sono rassicuranti. Le famiglie americane hanno
ricominciato a risparmiare. Il deficit commerciale statunitense è sceso da 60
miliardi di dollari al mese ad appena 27,6 miliardi, secondo i dati più
recenti. Basta fare due conti e si capisce che i surplus del resto del mondo
devono essersi ridotti di conseguenza. Ma quando le famiglie americane avranno
rimesso in piedi i loro conti pensione, potrebbero tornare alle passate
abitudini scialacquatrici. Anzi, l'amministrazione Obama e la Federal Reserve
stanno facendo tutto il possibile per pompare la spesa degli americani. L'unico
motivo per cuiil deficit commerciale Usa è in calo è che il paese è ancora in
preda a una grave recessione, e questo parallelamente sta provocando un
tracollo dell'importexport a stelle e strisce. Con la ripresa, sia la spesa per
i consumi che il deficit della bilancia dei pagamenti potrebbero tornare ai
livelli precedenti, e ci ritroveremmo di nuovo con gli Stati Uniti appesantiti
da un deficit con l'estero pari al 6% del Pil. Non c'è stato nessun cambiamento
dei prezzi relativi e nessun deprezzamento del dollaro di misura tale da
indurre a prevedere una modifica permanente dei modelli di spesa e dei modelli
di scambi commerciali. Se ci sarà o meno una riduzione permanente degli
squilibri globali dipenderà principalmente da decisioni prese al di fuori degli
Stati Uniti, in particolare in paesi come la Cina. E un pronostico su queste
decisioni dipenderà a sua volta dai motivi che hanno spinto inizialmente gli
altri paesi a tenere in piedi surplus tanto cospicui nella bilancia dei
pagamenti. Una delle tesi a questo proposito è che i surplus commerciali di
questi paesi hanno rappresentato un corollario delle politiche in favore di una
crescita trainata dalle esportazioni, che hanno funzionato ottimamente per
molto tempo. I leader cinesi sono comprensibilmente riluttanti ad abbandonare
un modello ben collaudato. Non possono ristrutturare la loro economia dall'oggi
al domani. Non possono trasferire con uno schiocco di dita gli operai che
dipingono giocattoli per bambini a Guangdong a costruire scuole nella Cina
occidentale. Hanno bisogno di tempo per costruire una rete di sicurezza sociale
che incoraggi le famiglie cinesi a ridurre i loro risparmi precauzionali. Se
questo punto di vista è corretto, possiamo aspettarci che gli squilibri globali
riemergano una volta finita la recessione, con un riassetto che avverrà solo
successivamente e in modo molto lento. L'altro punto di vista è che la Cina ha
contribuito agli squilibri globali non tramite l'esportazione di prodotti, ma
tramite l'esportazione di capitali. Quello che mancava alla Cina non era la
domanda di beni di consumo ma l'offerta di asset finanziari
di alta qualità, e questi asset li ha trovati negli Stati Uniti, soprattutto
sotto forma di buoni del Tesoro e altri titoli pubblici, spingendo a sua volta
altri investitori a investimenti più speculativi. Gli eventi recenti hanno
fatto perdere credibilità agli Usa come fornitori di asset di alta qualità. E
la Cina, da parte sua, continuerà a sviluppare i propri mercati finanziari e la propria capacità
di generare attività finanziarie di alta qualità sul mercato interno. Ma ci vorrà del tempo. E
nel frattempo gli Stati Uniti hanno i mercati
finanziari più liquidi del pianeta. Anche questa
interpretazione implica un riaffioramento degli squilibri globali una volta
terminata la recessione, con una correzione molto graduale in un secondo
momento. Uno sviluppo che potrebbe modificare questa previsione si verificherà
se la Cina arriverà a considerare l'investimento in attività finanziarie
statunitensi come un'impresa in perdita. I deficit di bilancio americani
potrebbero, in un futuro non remoto, suscitare timori di perdite sui titoli
pubblici Usa. Una politica che miri di fatto a sgonfiare il debito usando
l'inflazione potrebbe alimentare ulteriormente queste paure. A quel punto la
Cina toglierebbe il tappo, il dollaro precipiterebbe e la Fed sarebbe costretta
ad alzare i tassi di interesse, facendo ripiombare gli Stati Uniti nella
recessione. Ci sono due speranze per evitare questo esito disastroso. Una è
fare affidamento sulla disponibilità cinese a stabilizzare gli Stati Uniti e
l'economia mondiale. L'altra è che l'amministrazione Obama e la Fed forniscano
dettagli sulle misure che prenderanno per eliminare il deficit di bilancio ed
evitare l'inflazione una volta terminata la recessione. La seconda opzione è
chiaramente preferibile. Dopo tutto, è sempre meglio avere il controllo sul
proprio destino. L'autore insegna economia e politologia all'Università di
Berkeley Copyright: Project Syndicate, 2009 (Traduzioni di Fabio Galimberti) LA
SPERANZA Obama e la Fed forniscano dettagli sulle misure che prenderanno per
eliminare il deficit di bilancio ed evitare l'inflazione dopo la recessione
America, che passione. Una giovane cinese posa tra due immagini della bambola
Barbie in un megastore di Shanghai IMAGINECHINA
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( da "Sole 24 Ore, Il"
del 28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: IN PRIMO PIANO data: 2009-05-28 - pag: 3 autore: Moody's: outlook
negativo anche per le banche italiane Alessandro Graziani MILANO. L'agenzia
internazionale Moody's rivede al ribasso le prospettive del settore bancario
italiano. La decisione di ridurre l'outlook da stabile a negativo, spiega
Moody's, è stata adottata prendendo in considerazione l'impatto della crisi sull'economia reale e il conseguente effetto negativo
sulla redditività e qualità degli attivi delle banche italiane. L'outlook
negativo «esprime la visione dell'agenzia di rating sulla possibile riduzione
delle condizioni creditizie fondamentali dell'industria per i prossimi 12-18
mesi». Il sistema bancario italiano, dunque,è l'ultimo grande settore del credito europeo a ricevere un outlook negativo in
questa fase di crisi,
allineandosi alle prospettive delle banche degli altri Paesi. Un adeguamento
che è la conseguenza dell'evoluzione della crisi da finanziaria a economica. «Inizialmente il sistema italiano si era dimostrato
più resistente di quello di altri Paesi grazie alla sua minore esposizione agli
asset tossici, all'attività di investment banking e alla raccolta di
fondi nel mercato dei capitali – ha commentato da Moody's il vice
president-senior analyst Carlo Gori – tuttavia la crisi
finanziaria ora si é trasferita nell'economia reale e, come conseguenza,
la qualità degli asset e gli indicatori sulla redditività delle banche italiane
si sono deteriorati nel 2008 e potrebbero peggiorare ulteriormente nel 2009 e
nel 2010». Da segnalare che, sempre secondo Moody's, l'allineamento
dell'outlook a quello delle altre banche europee lascia comunque gli istituti
italiani in una posizione migliore rispetto alle banche degli altri Paesi. I
dati previsionali macroeconomici non sono confortanti (il Pil scenderà del 3,5%
nel 2009 e, sempre secondo Moody's, la disoccupazione salirà dal 6,7% del 2008
al 9,2% nel 2009 e al 10,7% nel 2010), ma nel complesso le banche risentiranno
meno di altri sistemi per la ridotta leva finanziaria
di aziende e privati. In particolare,secondo l'analisi di Moody's, la crisi del settore immobiliare in Italia pesa meno che
altrove. Il settore delle costruzioni rappresenta solo il 5% del Pil.
Nell'ultimo decennio inoltre, il boom degli immo-bili c'è stato (+ 50%) ma in
misura sensibilmente inferiore a quanto avvenuto in Spagna e Gran Bretagna
(+150%). Inoltre, il debito medio delle famiglie italiane per i mutui è pari al
49% del reddito disponibile, contro il 90% dei Paesi dell'area euro e il 150%
di Gran Bretagna e Stati Uniti. Se dall'immobiliare lo sguardo si volge alle
imprese, la crisi di fa sentire per il calo della
domanda e la riduzione dell'export. Ma anche in questo caso, il debito delle
imprese è inferiore (76% del Pil) rispetto alla media delle aziende
dell'eurozona (94%).Senza contare che, aggiunge l'analisi di Moody's, rispetto
alle ultime crisi del 1993 e del 2002 il basso livello
dei tassid'interesse rende meno pesante il costo dell'indebitamento per
famiglie e imprese. In generale, la ridotta esposizione alla finanza del
sistemaItalia rende tuttora le banche italiane meno vulnerabili dei competitor
europei alle conseguenze della crisi. Che comunque si
farà sentire, e non poco, sulla redditività. I fattori critici, individuati da
Moody's, sono tre: bassa crescita degli impieghi, dovuta sia a una contrazione
della domanda che alla maggior cautela da parte degli istituti; riduzione del
margine d'interesse, calo sensibile delle commissioni, in particolare di quelle
dell'asset management. I FATTORI POSITIVI Per l'agenzia il nostro sistema
risentirà però meno di altri: minore la leva finanziaria
di aziende e privati e il peso del settore immobiliare
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( da "Sole 24 Ore, Il"
del 28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: IN PRIMO PIANO data: 2009-05-28 - pag: 3 autore: IL QUADRO GENERALE
Asset in peggioramento Secondo Moody's,con la crisi finanziaria che si è trasferita
nell'economia reale,la qualità degli asset e gli indicatori sulla redditività
delle banche italiane si sono deteriorati nel 2008 e potrebbero peggiorare
ancora nel 2009 e nel 2010. I dati macroeconomici Il Pil scenderà del 3,5% nel
2009 e, sempre secondo Moody's,la disoccupazione salirà dal 6,7% del
2008 al 9,2% nel 2009 e al 10,7% nel 2010, ma nel complesso le banche
risentiranno meno di altri sistemi per la ridotta leva finanziaria
di aziende e privati.
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( da "Sole 24 Ore, Il"
del 28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: COMMENTI E INCHIESTE data: 2009-05-28 - pag: 15 autore: Pmi, storia
della ritirata del credito Dall'aprile del 2006 si apre la forbice negli
affidamenti fra grandi e piccoli imprenditori di Marco Alfieri e Paolo Bricco A
te, sì. A te, no. Non ci sono soltanto le parole pronunciate martedì dal
ministro dell'Economia, Giulio Tremonti: «Molti dati indicano nelle banche un
ritorno alla finanza fine a se stessa: cresce la raccolta, ma non aumentano gli
impieghi per le imprese ». Da un grafico della Banca d'Italia spunta infatti la
pistola fumante che dimostra il diverso flusso di denaro dalle banche alle
aziende, a seconda della dimensione. Un fenomeno che, nelle sue cause più
profonde, risalirebbe al Big Bang delle aggregazioni fra colossi, nel biennio
2006-2007. Anche se, oggi, il magmatico mondo dei piccoli è arrivato alla prova
della restrizione del credito più robusto e solido finanziariamente
di quanto non ci si aspettasse. Depositata la polvere sulle macerie del credito
internazionale, il complicato rapporto fra banca e impresa produce anche in
Italia una contrapposizione fra i grandi e i piccoli.Un antagonismo spesso
silenzioso, ogni tanto esplicito, qualche volta espresso in modi vivaci, se non
bruschi. Da una analisi di Via Nazionale su questo tema, così scabroso per il
mondo della rappresentanza e della politica, emerge finalmente una certezza. In
un contesto generale di notevole liquidità, dall'aprile del 2006i destini di
quelli che si recano allo sportello divergono, a seconda della dimensione della
loro azienda: smette di crescere la disponibilità a sostenere l'attività di chi
ha meno di 20 dipendenti, mentre viene finanziata a piene mani quella delle
aziende più strutturate. Il grafico è abbastanza impressionante: dal gennaio
2004 all'aprile 2006, tutto si svolge normalmente, senza una grande differenza
fra piccoli e grandi. Perfino nell'estate del 2005,quella dell'assalto al cielo
delle cooperative, degli immobiliaristi e dei new comers in-teressati a Bnl, ad
Antonveneta e a Rcs, il sismografo di Via Nazionale non rileva alcuna
divaricazione nel credito bancario concesso agli uni e agli altri: il tasso di
crescita sui 12 mesi procede senza scossoni variando fra il 5 e l'8 per cento.
Ancora nell'aprile di tre anni fa,il valore per tutte le aziende si attesta
intorno al 7 per cento. Il tasso di crescita per i piccoli resta costante
iniziando poi, alla fine del 2007, una lenta discesa che, a gennaio di
quest'anno, in piena crisi
finanziaria internazionale, si sarebbe trasformata
in un vera e propria restrizione del credito: un +1% nominale che l'inflazione
reale si mangia senza troppi problemi, ponendo le basi per un vero credit
crunch. «Tuttavia puntualizza Pietro Modiano, ex direttore generale della Banca
dei Territori di Intesa Sanpaolo- fra 2006 e 2008 nessuno ha mai negato
i fidi ai piccoli. Piuttosto, molti di loro si sono autofinanziati. Non
dimentichiamoci che quella è stata la stagione in cui le aziende hanno raccolto
i frutti della ristrutturazione post-euro: nei casi migliori, hanno potuto
anche evitare di venire in banca ». Nel grafico della Banca d'Italia, emerge
plasticamente nella curva superiore la bolla composta dall'immobiliare,dal
private equity e dalle operazioni a debito dei grandi gruppi: «Nella linea
inferiore, quasi piatta, c'è invece la persistenza della virtù italiana dei
piccoli », chiosa Modiano. Secondo una elaborazione della Banca d'Italia sui
dati della Centrale dei bilanci, per quanto limitata al manifatturiero, fra
1999 e 2006 il leverage è non a caso calato per le aziende a bassa intensità
tecnologica dal 56,5 al 51,6%, in quelle a medio- bassa dal 52,2 al 49,5%, in
quelle a medioalta dal 51,8 al 44,7%, in quelle ad alta intensità tecnologica
da 49,6 al 43,2 per cento. Il debito così si è ridotto. Proprio mentre di
denaro, nelle banche, ce n'era molto. «Dunque - ragiona il banchiere, oggi alla
guida della Carlo Tassara- le imprese piccole sono arrivate al 2006 con una
fisiologia finanziaria sana e migliorata rispetto agli
anni prima. Non tutte, ma molte hanno guadagnato bene: per questo non hanno
avuto bisogno di chiedere più soldi in una stagione in cui l'offerta di credito
è stata abbondante e a spread molto bassi. Cosa diversa è quello che succederà
adesso, con la crisi economica che congela gli affari.
Difficile prevedere quanto capiterà nei prossimi 12- 24 mesi». Qualunque sia la
spiegazione per le piccole aziende, per quelle medio-grandi, invece, è stata
indubbiamente tutta un'altra cosa.Da un tasso di crescita del 7% registrato
nell'aprile 2006 si sale rapidamente fino al picco, toccato nel novembre del
2007, del 15 per cento. Da quel momento,inizia una graduale diminuzione della
velocità della crescita che, comunque, per tutti i mesi successivi resta abbondantemente
al di sopra del 10 per cento. Per poi tramutarsi in una sorta di atterraggio
morbido: a gennaio di quest'anno, mentre le imprese con meno di 20 dipendenti
sperimentano una vera e propria restrizione del credito, le altre possono
comunque disporre di un tasso di crescita del 7 per cento. Niente male. Nei tre
anni che hanno radicalmente cambiato gli equilibri nel rapporto fra banca e
impresa, è la stessa industria del credito che ha sperimentato una profonda
metamorfosi, atto conclusivo di una modernizzazione iniziata con la riforma
della "foresta pietrificata" congegnata da Giuliano Amato nel 1992 e
attuata da Antonio Fazio. Dopo l'uscita di scena di quest'ultimo e
l'insediamento a Palazzo Koch di Mario Draghi, la moral suasion del nuovo governatore
si è indirizzata soprattutto verso le aggregazioni. Il primo invito - «le
banche devono concentrarsi» - è formulato da Draghi il 23 febbraio del 2006. è
l'inizio: a maggio, salta la fusione Intesa-Capitalia; il 26 agosto è
annunciata quella fra Sanpaolo e Intesa e, fra novembre e dicembre, si registra
l'aggregazione fra la Banca Lombarda e la Bpu che porta a Ubi. è la stagione
del mercato in movimento, che avrà il suo apice nella fusione fra Unicredit e
Capitalia, il 17 maggio del 2007, concludendosi l'1 luglio di quell'anno con le
nozze fra il Banco Popolare di Verona e Novara e la Banca Popolare Italiana.
«Alla fine, la diminuzione della concorrenza - dice l'economista Giovanni
Ferri, ex Banca Mondiale ed ex Banca d'Italia - ha comportato una riduzione del
potere negoziale delle piccole imprese. Chi prima poteva rivolgersi a due
banche, all'improvviso si è ritrovato un solo interlocutore ». Tutto questo lo
si capisce analizzando i bollettini statistici della Banca d'Italia, dove si
scopre che, dal 2001 al 2008,
in media le banche per ogni affidato sono scese da 1,58 a 1,34. Per le imprese
che hanno un accordato in banca compreso fra i 250mila e i 500mila euro, si
cala da 1,75 a
1,46: «Il che - chiosa Ferri - significa che prima quasi tutte avevano due
istituti, adesso molte ne hanno soltanto uno. In futuro, questo potrebbe
comportare vantaggi con una relazione più stabile. Oggi ha accresciuto i costi
delle imprese». La quota di fido accordata dalla prima banca è in media salita
dal 53 al 60 per cento; per le imprese con un accordato fra i 250mila e i
500mila euro, è cresciuta da un già consistente 76 all'84%: i piccoli, dunque,
sono tenuti per la collottola dalla banca di riferimento. Per loro, dal 2005 al
2008, l'accordato
è cresciuto del 5%, mentre l'utilizzato è aumentato dell' 8%:gli istituti,che
sull'accordato non incassano alcuna commissione, con loro si rivelano
abbastanza parsimoniosi e tengono la mano chiusa. Tutto questo, peraltro, non
ha comportato particolari miglioramenti negli assetti interni: «Le ultime
aggregazioni, quelle verificatesi fra 2005 e 2008, non sembrano avere prodotto
particolari guadagni di efficienza», afferma Ferri. Eros Compagnoni, 48 anni di
Treviglio, ha un'azienda di 14 dipendenti che fa mobili d'arte dal 1954. Aveva
cominciato suo padre. La tipica azienda familiare lombarda a tutto export (che
vale il 70% su 2 milioni di fatturato), tra Russia, Ucraina e Paesi arabi. Una
impresa sana e conosciuta sul territorio. Eppure i problemi con le banche non
mancano. «Qualcosa si è rotto in coincidenza con la stagione delle grandi
fusioni - sottolinea Compagnoni -. Agli Zunino e ai Coppola davano 10 in cambio di garanzia 1;
per noi la proporzione era 6-7 a
10». Poi, certo, con la crisi i problemi sono
deflagrati. «Fino a pagare il 9,75% di interessi sul fido di conto corrente,
quasi da usura, nonostante abbia 250mila euro di titoli a garanzia ». Inoltre,
«avevo chiesto un'estensione sul fido per 60mila euro per penetrare il mercato
cinese dopo i contatti stretti al Salone del mobile, ma niente, anche qui. E lo
stesso mi è successo per rifare i cataloghi». Per questo la moral suasion del
governo, che spinge le banche a immettere liquidità nel sistema, a Eros
Compagnoni sembra più che altro un deside-rata sterile. «L'impressione-dice-è
che usino i Tremonti bond per tappare le loro falle, sistemare i ratios e
ripatrimonializzarsi. O per prestare i soldi ai soliti grandi gruppi. Noi
piccoli, di certo, continuamo a non vederli». Ricapitolando. è come se fossimo
nel pieno della terza ondata. La prima è stata quella delle grandi fusioni del
credito. Il gigantismo che fagocita i territori, portando le prime fughe dei
tanti Eros Compagnoni d'Italia dai grandi istituti. La seconda ondata, invece,
è più strategica. La dimensionalità non è indifferente al business, perché
spinge a misurarti sui grandi numeri e sui grandi deal.L'introduzione di
Basilea- 2 ha
poi fatto il resto: «In questo modo le Pmi diventano sempre più interlocutori
marginali »,conferma Compagnoni.La terza ondata scoppia con la crisi dei mutui subprime, estate 2007. La crisi
di liquidità, le sofferenze sui mutui, lo sboom dei derivati, i crac di Borsa,
insomma la cronaca di questi mesi.C'è poi, in questa dinamica, una questione
regolamentare in apparenza formale, ma non irrilevante per la sostanza delle
cose.Secondo la normativadella Banca d'Italia sui limiti alla concentrazione
dei rischi, ciascuna posizione di rischio espressa da una singola impresa
affidata va contenuta entro il limite del 25% del patrimonio di vigilanza del
gruppo bancario, a livello consolidato. Il risultato è che, nel momento in cui
dalla fusione di due banche ne nasce una con un patrimonio di vigilanza più
robusto, la grande impresa che prima era cliente soltanto di una vedrà
aumentare l'ammontare massimo teorico delle sue linee di credito. Nelle bolla
dei grandi, in concreto, si trova di tutto:l'espansione di quanto resta del
capitalismo privato novecentesco e delle imprese post- pubbliche,l'edilizia,gli
operatori istituzionali. Nell'ultima relazione annuale di Draghi, che cita
rilevazioni di Thomson Financial, si evidenzia come le società italiane, nel 2007, l'anno della forbice
fra i grandi e i piccoli, abbiano annunciato 634 operazioni di concentrazione
per un valore di 114 miliardi, 30 dei quali connessi all'acquisizione di Endesa
da parte di Enel. Per citare alcune operazioni, la galassia Zaleski ha
assorbito risorse per 5,4 miliardi, Gemina su Aeroporti ha impegnato 1,4
miliardi, Telco ha movimentato 4,1 miliardi. Se invece si consulta il Private
Equity Monitor dell'Università di Castellanza (Pem), si constata come, tra il
2006 e il 2008, gli affari siano stati 17. Fra i più significativi, quelli su
Grandi Navi Veloci, Fiat Avio, Valentino Fashion Group, Mps Asset Management,
Ducati e Marazzi. Il valore complessivo delle transazioni è stato di 16,6
miliardi: 10,5 miliardi di debito, 6,1 miliardi di capitale proprio. Dunque,su
100 euro messi nell'operazione,63 sono state presi a prestito dalle banche. «In
un momento di grande liquidità - ammette Roberto Del Giudice, direttore del Pem
e capoeconomista dell'Aifi,l'associazione che raduna gli investitori di private
equity e di venture capital - per le banche è stato obiettivamente più facile
finanziare i grandi gruppi e gli operatori istituzionali che non gli artigiani e
i piccoli imprenditori». © RIPRODUZIONE RISERVATA EFFETTI INDESIDERATI Ferri,
ex Banca mondiale: «Le aggregazioni avvenute tra il 2005 e il 2008 non hanno
portato particolari guadagni di efficienza» PASSATO E PRESENTE Pietro Modiano,
presidente della Carlo Tassara: «Nessuno ha mai negato i fidi, molti si sono
autofinanziati fino al 2006 ma ora la crisi congela
gli affari»
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( da "Sole 24 Ore, Il"
del 28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: FINANZA E MERCATI data: 2009-05-28 - pag: 37
autore: La contesa su Egyptian Co. La Consob egiziana blocca la scalata di
France Telecom L'offerta è «inadeguata». Con questa motivazione l'autorità
egiziana sui mercati finanziari ha bocciato l'offerta avanzata da France Telecom ( nella foto il
Ceo Didier Lombard) per rilevare la quota rimanente dei servizi mobili del
gruppo Egyptian Co. In un comunicato diffuso ieri il gruppo francese ha
reso noto che potrebbe abbandonare il progetto di rilevare la quota restante di
Egyptian Co per la telefonia mobile. Il gruppo transalpino contesta la
decisione della Consob egiziana sostenendo che l'offerta è in linea con
l'andamento del mercato: France Telecom ha messo sul piatto 237 sterline
egiziane per azione (pari a 42,20 dollari), un prezzo che contiene un premio
del 43% sulla media degli ultimi sei mesi. REUTERS
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( da "Sole 24 Ore, Il"
del 28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: FINANZA E MERCATI data: 2009-05-28 - pag: 39 autore: Riassetti.
Ristrutturato il debito, il magnate blocca il negoziato su Ingosstrakh
Deripaska tiene al «palo» Generali Antonella Scott L'operazione Ingosstrakh, aveva
detto il 24 aprile scorso il presidente di Assicurazioni Generali Antoine
Bernheim, «è più nelle sue mani (di Oleg Deripaska, ndr) che nelle nostre».
L'auspicio della compagnia italiana è espandere la propria presenza in Russia,
e le trattative con l'oligarca indebolito dalla crisi finanziaria puntavano a rafforzare
la quota del 38,46% di Ingosstrakh che Generali detiene dal 2007 insieme al
fondo ceco di private equity Ppf Investments. Sembrava che le difficoltà
economiche dell'ex businessman più ricco di Russia, che detiene il 61,54% di
Ingosstrakh, avrebbero aiutato: «Quando era molto ricco - aveva
confidato Bernheim nel corso dell'assemblea di bilancio- non ci rivolgeva la
parola, ora invece sì. E forse in futuro ci cercherà lui». Invece, qualcosa è
cambiato. I negoziati tra Generali e Basic Element, la holding di Deripaska,
sarebbero interrotti. Lo scrive il quotidiano finanziario russo Vedomosti,
citando tre fonti vicine a Basel. Secondo una di loro, l'ultima discussione tra
le parti sul futuro di Ingosstrakh risale proprio ad aprile. Nel frattempo,
Deripaska ha lanciato messaggi rassicuranti sul futuro del proprio impero,
malgrado i debiti. L'ultimo è un'intervista di due giorni fa al Wall Street
Journal in cui Olga Zinovieva, vice amministratore delegato di Basic Element,
si lascia alle spalle il momento peggiore della crisi:
un accordo con le banche per la ristrutturazione del debito, considerato
imminente, permetterà a Deripaska di mantenere il controllo delle proprie
attività principali, ha spiegato la signora Zinovieva. Oltre al futuro di Gaz,
impegnata nella sfida Opel, questo dovrebbe garantire Rusal, centro
dell'impero, e Ingosstrakh. Secondo Vedomosti, le trattative sono saltate sul
prezzo. Interessati ad acquisire il controllo di Ingosstrakh, uno dei
principali as-sicuratori russi, gli italiani avevano escluso le cifre avanzate
dalla controparte. Nel marzo scorso l'amministratore delegato di Generali,
Giovanni Perissinotto, aveva spiegato che l'intenzione era spendere circa 300
milioni di euro per arrivare a una quota di maggioranza: aggiungendo quindi una
partecipazione di almeno il 12 per cento. Ma in aprile l'amministratore
delegato di Ingosstrakh Aleksandr Grigorjev aveva fissato a 4-5 miliardi di
dollari il valore di Ingosstrakh: «Di fronte a un'offerta di questo tipo
Deripaska potrebbe iniziare a pensare di vendere», aveva detto. Alla base
dell'impasse, in realtà, non è solo il prezzo. Deripaska non sarebbe più
disposto a cedere agli italiani il controllo della compagnia. La chiave della
svolta sono i negoziati con le banche che starebbero per ristrutturare i 7,4
miliardi di dollari di debiti di Rusal, primo produttore mondiale di alluminio.
Quanto a Gaz, la compagnia automobilistica di Nizhnij Novgorod che ha un
debi-to di 1,34 miliardi, all'inizio di aprile Deripaska disse che non finirà
in bancarotta «in nessuna circostanza ». Il vicepremier russo Serghej Ivanov lo
aveva confermato qualche giorno prima: Gaz non fallirà, disse, perché «dà
lavoro a metà Nizhnij Novogorod». © RIPRODUZIONE RISERVATA TRATTATIVA DIFFICILE
Non più pressato dal rischio di un crack, il finanziere ha cambiato
atteggiamento: ora cerca di spuntare un prezzo più alto
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( da "Sole 24 Ore, Il"
del 28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: FINANZA E MERCATI data: 2009-05-28 - pag: 39 autore: Leadership. Nei
programmi non ci sono corsi sui nodi emersi Crisi, è caccia
al «colpevole»: nel mirino le business school Simone Filippetti I tre nodi alla
base della crisi finanziaria? Non sono materie degne da business school. Le politiche di
remunerazione (con compensi drogati e stock option milionarie per super
manager), l'organizzazione e le responsabilità nei board (mentre capita di
vedere grandi banche d'affari senza nemmeno un consigliere esperto di
finanza) e attenzione per gli azionisti di minoranza non figurano, se non in
minima parte, nei corsi di studio degli Mba. Insomma, sono materie sconosciute
negli ambiti master in amministrazione aziendale, di tante prestigiose
università americane, vivaio della classe manageriale. Dopo la violenta
esplosione della crisi, da mesi è iniziata la caccia
alle streghe e nessuno è stato risparmiato. A turno come «untori» sono state
additate le società di rating, colpevoli di aver dato il bollino verde a titoli
tossici.Poi le finanziarie che hanno concesso prestiti troppo facili a famiglie
insolventi. O ancora i fondi di private equity per aver gonfiato la bolla
speculativa dell'M&A. E infine gli economisti. Ma ora l'interrogativosi
sposta alla " fonte": manager spregiudicati e avidi sono anche il
frutto delle blasonate (e costose) business school che sono state (e sono
tuttora) la fucina di banchieri, finanzieri e manager. I signori Dick Fuld
(l'ex ceo della defunta Lehman Brothers), Martin Sullivan (l'uomo che ha
portato Aig vicina al crack), Bernie Madoff (l'ex presidente del Nasdaq
responsabile della più grande truffa della storia, 50 miliardi di dollari) sono
tutti usciti da prestigiosi Mba e percepivano compensi milionari. Quelle stesse
scuole dove, si scopre non senza un pizzico di stupore, che quasi nessuno
tratta i problemi messi in luce dalla crisi, mentre ci
si preoccupa più di insegnare come avere la leadership e acquisire potere. Se
il compito del management è gestire ci si aspetta che nel curriculum di ogni
Mba ci siano corsi dedicati alla struttura del board, eppure in molte scuole
americane di questi insegnamenti non c'è traccia. General Electric si è vista
tagliare lo storico rating tripla A per colpa delle difficoltà della divisione
Ge Finance, ma nel board del colosso Usa c'è una sola persona esperta di
finanza. Ancor più clamoroso il caso di Citigroup, la più grande banca
commerciale al mondo pesantemente colpita dalla crisi:
c'è voluto lo spettro incombente di una nazionalizzazione per convincere la
banca a nominare consiglieri con competenze finanziarie. D'altronde le aziende
che vanno a pesca nei vivai degli Mba non danno altrettanti segnali di
concretezza. Sul sito di Google si apprende che il colosso informatico cerca
«talento e intelligenza, creatività e idealismo ».Goldman Sachs,che rimane la
principale banca d'affari al mondo, vuole «persone interessate ai mercati
finanzari ». La fiera dell'ovvio. Qualcuno, più furbo, cavalca l'onda
d'indignazione popolare contro gli eccessi della finanza: J&J cerca figure
con «etica e integrità». E in l'Italia? Il nostro Paese, estraneo da certi
eccessi del turbocapitalismo, sembra aver prestato più attenzione a certi temi.
Alla Sda Bocconi, l'Mba Fulltime prevede un corso specifico sulla corporate
governance. «Da anni abbiamo corsi sull'argomento dove trattiamo anche dei
diritti degli azionisti, strutturazione dei board e politiche di remunerazione
e sono tenuti da un ex commissario Consob» rivendica Valter Lazzari
responsabile Mba Fulltime. Si potrebbe obiettare che un solo modulo in due anni
può non essere abbastanza vista la bufera scoppiata proprio a causa della
scarsa governance dei mercati. Alla Luiss, afferma Franco Fontana direttore
della Business School, «abbiamo corsi che trattano questi temi». «Possiamo
avere colpe, ma quella di responsabili della crisi,
no» conclude Lazzari. Dalla grande crisi del 2008,
intanto, gli alunni degli Mba hanno già imparato una lezione. Visto che banche
e industria sono in crisi, i futuri manager puntano ad
andare a lavorare nella consulenza e nell'hi-tech. © RIPRODUZIONE RISERVATA
BUIO ASSOLUTO Oggi non si trovano scuole che preparino i futuri manager su
tematiche quali retribuzioni e stock option o formazione dei board
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( da "Corriere della Sera"
del 28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere della
Sera sezione: Primo Piano data: 28/05/2009 - pag: 2 Il vertice a Bruxelles Un
salvataggio europeo: nove governi in campo Londra difende Vauxhall DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE BRUXELLES - Domanda posta dal premier belga Herman van Rompuy:
ma la partita per il futuro della Opel riguarda solo la Germania, o tutta
Europa? Risposta giunta dal presidente della Commissione Ue, José Manuel
Barroso: sì, la Opel e ciò che le ruota intorno «è un problema europeo». Cioè:
un grattacapo di molti Stati Ue, e non più un problema transatlantico, anche se
la casa madre della General Motors resta in America. Traduzione nei fatti della
domanda, e anche della risposta: sul «problema europeo» dell'industria
automobilistica è stato convocato sui due piedi a Bruxelles un vertice dei
ministri dell'Industria e dell'Economia dei Paesi più interessati, una decina
in tutto. Si terrà probabilmente domani (i dettagli vengono ancora discussi), e
forse parteciperanno anche alcuni dirigenti della General Motors. Non vi sono
da attendere decisioni operative a livello comunitario, poiché la competenza
nazionale dei singoli Stati fa premio su tutto; e la corsa di ognuno ad aiutare
le proprie fabbriche nazionali è ormai scatenata e poco controllabile: come se il protezionismo, cacciato a parole dal cancello principale, tornasse veloce e
sicuro sulle quattro ruote, dal cancello del garage. Nell'incontro, vi sarà
però uno scambio di informazioni e «segnali», che potrebbe tornare utile a
tutti: la Ue è preoccupata per il «dossier disoccupazione» (diecimila posti in
meno, se sono vere certe anticipazioni), e per gli ammortizzatori
sociali sottoposti in vari Paesi a tensioni sempre più forti. Proprio ieri Lord
Peter Mandelson, ministro britannico dell'Industria ed ex commissario Ue al
Commercio estero, nonché padre storico del- Il premier belga Herman van Rompuy
teme sacrifici negli impianti belgi di Opel per tutelare l'occupazione in
Germania
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( da "Corriere della Sera"
del 28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere della
Sera sezione: Economia data: 28/05/2009 - pag: 27 «Senza bonus rischio fuga»
Maxi-perdite Ubs ma per i manager arrivano gli aumenti MILANO Rischia di
allargarsi ulteriormente il solco che divide Ubs da buona parte
dell'establishment politico svizzero, oltre che dall'opinione pubblica. Un mese
fa il gruppo bancario era stato aspramente criticato per aver ceduto alle
pressioni dell'amministrazione Barack Obama e aver consegnato alle autorità Usa
una lista di nomi di cittadini americani con un conto corrente nella
Confederazione, rinunciando così a garantirne la riservatezza. Ora, invece, Ubs
è tornata nel mirino per aver concesso forti aumenti di stipendio ad alcuni dei
suoi investment bankers proprio mentre l'istituto è stato appena salvato dalla
bancarotta grazie all'iniezione di fondi pubblici per 6 miliardi franchi (circa
3,9 miliardi di euro). Tanto che ieri il Parlamento elvetico ha rilanciato una
mozione per fissare dei «tetti» ai manager del gruppo bancario. Una proposta
che per ora è stata bocciata dal governo, ma che sarà comunque discussa in
commissione. Dal vertice di Ubs, ieri è però arrivata una secca replica
all'ondata di critiche. «Abbiamo il diritto di remunerare il nostro personale a
prezzi di mercato ha tagliato corto l'amministratore delegato Oswald Grübel
altrimenti rischiamo di perdere i talenti migliori dell'istituto». Dall'inizio della crisi finanziaria mondiale il gruppo ha infatti sofferto un'emorragia di personale
d'alto livello. Il concorrente Crédit Suisse, per esempio, ha appena assunto un
top manager di Ubs per guidare le sue attività nell'area Asia-Pacifico. Lo
stesso Grübel ha ammesso che ad alcuni dirigenti sono stati concessi «aumenti
si stipendio eccezionalmente elevati», ma ha spiegato che le
remunerazioni di Ubs «in certi settori d'attività erano scese a livelli molto
inferiori alla media del mercato». Giancarlo Radice
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( da "Corriere della Sera"
del 28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere della
Sera sezione: Economia data: 28/05/2009 - pag: 29 Credito Duello a Bruxelles
sulla nuova vigilanza europea Faro di Moody's sulle banche «Redditività giù nei
conti 2009» MILANO Dopo la crisi
finanziaria, è l'economia reale a «mordere» i conti
delle banche: Moody's ha ridotto «l'outlook » relativo al nostro comparto
nazionale da stabile a negativo. La decisione, spiega il vice presidente Carlo
Gori, considera l'impatto della crisi sull'economia reale e gli effetti negativi su redditività e
qualità degli attivi delle banche italiane nel 2009-2010. A indebolire il
nostro settore sarà l'aumento di sofferenze e incagli sui finanziamenti.
L'utile prima delle partite straordinarie è atteso in calo di un terzo nel
2009. Gli analisti sottolineano comunque che il sistema italiano è uno dei meno
colpiti in Europa dalla crisi dei titoli tossici e che
non saranno necessari, nemmeno per il futuro, forti interventi dello Stato a
sostegno del sistema oltre ai Tremonti- Bond. Non è fonte di preoccupazione
infine l'esposizione di Unicredit e Intesa Sanpaolo nei paesi dell'Est Europa.
Per Moody's poi il rallentamento della crescita dei prestiti, già iniziato a
fine 2008, «è in linea con gli altri principali paesi europei» ed è
attribuibile sia a una minore domanda dalla clientela a causa della recessione
sia a una ridotta offerta da parte delle banche, rese più prudenti da costi
della raccolta, peggioramento della qualità degli attivi e necessità degli
istituti di preservare il capitale: Moody's stima un indice Tier1 medio del
7,6% a fine 2009. Sempre ieri la Commissione europea ha presentato la riforma
della supervisione europea, articolata intorno alla proposta del gruppo guidato
da Jacques de Larosière di creare due organismi, uno per la supervisione
macroeconomica e uno per la vigilanza sulla stabilità finanziaria.
La strada è in salita vista la resistenza britannica a cedere sovranità nella
vigilanza nazionale, anche se un portavoce britannico ha definito ieri le
proposte della Commissione «un punto di partenza per ulteriori discussioni ».
«Non c'è tempo per ulteriori rinvii», ha spiegato il presidente della
Commissione europea, José Manuel Barroso, annunciando di puntare all'attuazione
del nuovo sistema di vigilanza entro il 2010. Il commissario Ue agli affari
monetari ed economici Joaquin Almunia ha definito la proposta di riforma una
«svolta fondamentale ». S. Bo.
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( da "Corriere della Sera"
del 28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere
della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 28/05/2009 - pag: 33 La
Giornata in Borsa di Giacomo Ferrari Giù Wall Street, in Italia indici piatti
Piazza Affari ha archiviato una nuova seduta positiva, anche se gli indici
hanno guadagnato pochissime frazioni di punto (+0,07% l'S&P-Mib, +0,08% il
Mibtel).
A perdere, invece, è stata Wall Street (-2% il Dow Jones, -1,11% il Nasdaq)
dopo l'asta dei titoli del Tesoro quinquennali che ha registrato un'impennata
dei rendimenti. A Milano Fondiaria-Sai e Parmalat hanno registrato, insieme con
la Banca Popolare di Milano, i progressi maggiori fra le 40 società più
capitalizzate del listino. In particolare, la compagnia assicurativa del gruppo
Ligresti ha recuperato il 5,13% grazie al giudizio positivo di Deutsche Bank,
mentre lo scatto della società alimentare (+4,37%) è legato alle voci di un
possibile interessamento da parte del colosso francese Danone. Quanto alla
Popolare Milano, il rimbalzo è stato pari al 4,58% e in questo caso il mercato
sembra avere premiato le misure di rafforzamento patrimoniale (compresi 500
milioni di Tremonti bond) decise dal vertice dell'istituto. Significativi anche
i progressi messi a segno da Bulgari (+2,58%), Buzzi-Unicem (+2,39%) ed Enel
(+2%). Tra i valori dell'S&P-Mib in ribasso, si contano sulle dita di una
mano quelli che hanno ceduto più di un punto percentuale. La maglia nera va ad
Atlantia (-1,92%), penalizzata dalle vendite di beneficio dopo il balzo della
vigilia. Seguono Ubi Banca (-1,35%), Mondadori (-1,18%) e Mediolanum (-1,06%).
Ancora in leggero ribasso Fiat (-0,5%) in attesa delle decisioni del governo
tedesco sulla vicenda Opel. La Consob, infine, ha prorogato fino al 31 luglio
il blocco delle vendite allo scoperto. Proroga «scoperto» La Consob ha
prorogato al 31 luglio il blocco delle vendite allo scoperto
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( da "Corriere della Sera"
del 28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere
della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 28/05/2009 - pag: 33 Il
caso a Londra Più ricavi per Aveva Group e il titolo vola (g.fer.) Il titolo di
Aveva Group, società britannica leader nel software per gli impianti di
energia, è cresciuto ieri del 10,09%, chiudendo sul listino di Londra a 704
pence.
Il balzo arriva all'indomani della diffusione dei dati del bilancio annuale
(chiuso il 31 marzo scorso), migliori del previsto. Le vendite sono salite
infatti del 29%, toccando quota 164 milioni di sterline. In miglioramento anche
l'utile prima delle tasse. Ma ha aiutato anche la giornata positiva del settore
delle alte tecnologie, che scommette su una ripresa dell'economia mondiale e
sul rinnovo dell'accordo tra Samsung e SanDisk. Richard Longdon ceo di Aveva
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( da "Corriere della Sera"
del 28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere
della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 28/05/2009 - pag: 33 Il
caso a Milano L'ipotesi Danone spinge Parmalat (g.fer.) Da Parigi arriva una
debole smentita («Sono solo fantasie di analisti»), ma l'ipotesi che il colosso
francese dell'alimentare Danone guardi a Parmalat è sicuramente credibile. Tanto più che l'aumento di
capitale della società transalpina (3 miliardi di euro) corrisponde esattamente
alla capitalizzazione raggiunta dall'azienda italiana guidata da Enrico Bondi.
È partendo da questa considerazione che ieri Piazza Affari ha puntato i propri
riflettori su Parmalat. Il titolo ha segnato un progresso del 4,37% con oltre
35 milioni di pezzi scambiati. E ha toccato, a quota 1,792 euro, il nuovo
massimo dell'anno. Enrico Bondi ad di Parmalat
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( da "Corriere della Sera"
del 28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere della
Sera sezione: Opinioni data: 28/05/2009 - pag: 10 DOPO GLI INCIDENTI DI TORINO
Il disagio sociale è in crescita ma il sindacato si allontana di MASSIMO
MUCCHETTI K laus Franz, leader del sindacato Ig Metall nel consiglio della
Opel, partecipa con autorevolezza riconosciuta dall'establishment tedesco alle
decisioni sul futuro della casa automobilistica di Russelsheim. Gli italiani
hanno cominciato a sentirne parlare mentre negli Stati Uniti e in Francia
manipoli di licenziati e di licenziandi senza guida assediavano le ville dei
banchieri di Wall Street e sequestravano manager e capitalisti, sia pure per
poco. E mentre a Torino gruppi di operai estremisti della Fiat contestavano con
violenza il segretario della Fiom, Gianni Rinaldini, il più radicale dei
sindacalisti, proprio al termine di una manifestazione sul caso Fiat-Opel.
Strano paese l'Italia? Meno di quanto appaia, se si considera che nello stesso
periodo la Fiom era stata messa in minoranza nell'assemblea della Piaggio di
Pontedera, una sua storica roccaforte, dalle moderate Cisl e Uil. La
concomitanza di contestazioni di segno opposto apre un serio interrogativo
sulla capacità di rappresentanza del sindacalismo di sinistra, al quale,
nell'eclisse di Rifondazione comunista, sembrava essere rimasta la funzione di
costituzionalizzare, di tenere nei binari della non violenza, la protesta più
disperata. La recessione fa emergere un diffuso disagio sociale, che però non
si manifesta più nel conflitto sindacale. Nel decennio 1969-1978, le ore di
lavoro perse per scioperi furono in media 143 milioni l'anno, con una punta di
302 milioni nell'autunno caldo. Nel decennio 1998-2008, si è scioperato in
media per 5,8 milioni di ore ogni 12 mesi. Il sindacato italiano sembra aver
sotterrato la sua arma più antica e temuta. Ma senza grandi risultati. Certo,
ha contribuito all'ingresso del Paese nell'euro, e tuttavia la dinamica dei
salari si è rivelata assai inferiore a quella dei redditi da capitale, lavoro
autonomo e funzioni manageriali. La progressiva eclisse del conflitto classico
segue profondi mutamenti nell'occupazione e nella struttura dell'impresa.
Ancora alla fine degli anni Settanta l'industria assorbiva il 35% dei
lavoratori dipendenti. Dopo trent'anni è scesa al 23%. La grande impresa manifatturiera,
dove il sindacato aveva il suo storico insediamento, ha ridotto in modo ancor
più marcato gli organici. Secondo la Fondazione Tagliacarne, le imprese sopra i
250 addetti hanno ridotto l'occupazione da 1,7 milioni di posti del 1971 ai 952
mila del 2008 e la sua quota dell'occupazione manifatturiera è calata dal 33,5
al 21,3%. La Fiat Mirafiori, a suo tempo il più grande stabilimento del mondo,
è passata da 50 mila a 13 mila addetti. Le unità di lavoro dipendente
dell'industria sono ancora superiori ai 4 milioni, cui si aggiungono altri 1,7
milioni nelle costruzioni e in agricoltura. Ma si vanno riconcentrando nelle
aziende piccole, la cui quota dell'occupazione manifatturiera è passata dal
41,9 al 57,2% nei 38 anni considerati. E nell'universo dei piccoli, dei
distretti industriali, il sindacato è assai meno presente. D'altra parte,
l'impresa fordista, come viene definita la grande fabbrica ispirata
all'esperienza dell'industriale Henry Ford, è stata stravolta dall'incesto con
la finanza. Nel 1970 la Fiat, impresa fordista per eccellenza, finanziava un
attivo composto per il 71,9% da industria e il 28,1% da finanza con capitali
forniti per l'87,5% dagli azionisti e per il 12,5% dalle banche. Era una cosa
molto solida: Agnelli e ciminiere. Nel 2006 le attività finanziarie erano salite al 70,4% e il
contributo delle banche e del mercato obbligazionario alla copertura degli
attivi era a sua volta balzata all' 84,8%. Una cosa assai più fluida. Sergio
Marchionne è diventato un collettore di capitali di diversa provenienza:
azionisti, banche e mercati finanziari certo, ma anche, e al momento soprattutto, governi e
dipendenti. La Fiat, epitome dell'Italia industriale del Novecento, si prepara
a negoziare nuovi diritti con i nuovi fornitori di capitali. E così l'arbitraggio
tra gli stabilimenti, inevitabile se si conferma l' eccesso di capacità
produttiva, avverrà attraverso la mediazione degli interessi corporativi, nello
scambio tra livelli di efficienza attuali e competitività dei territori per
costruire i livelli di efficienza futuri. E il sindacato italiano, se vuol
conservare una radice industriale nella grande impresa, e non rifugiarsi nei
settori protetti della pubblica amministrazione e dei servizi più o meno
monopolistici e più o meno privatizzati, dovrà fare i conti con la realtà che
cambia: la sua e quella dei Paesi con i quali si troverà in concorrenza. La
Chrysler può sconcertare l'America conservatrice che teme il socialismo a ogni
angolo di strada, ma ha poco da insegnare al di qua dell'Oceano: l'idea
privatistica del welfare aziendale, che nei momenti d'oro aveva fatto della Uaw
una potenza, si è rivelata insostenibile nel mercato concorrenziale e ora il
fondo sanitario dei sindacati, pur fornendo il 55% del capitale della nuova
Chrysler, avrà un solo seggio sui 9 del board, forse abbastanza per sorvegliare
l'andamento di un investimento, certo insufficiente a partecipare alle
decisioni. Diverso è il caso tedesco, dove i lavoratori, senza investire un
euro, ossia senza «azionariato operaio» hanno la metà meno uno dei voti nel
consiglio di sorveglianza che nomina il management e fa le strategie, perché al
lavoro si riconosce una dignità altrove negata. Cgil, Cisl e Uil credevano di
poter far meglio di tutti scioperando. Ma da tanti anni non lo fanno più. E che
cosa è loro rimasto, a parte la forza di un'organizzazione burocratica che
rischia di rivelarsi fine a se stessa? CHIARA DATTOLA
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( da "Borsa(La Repubblica.it)"
del 28-05-2009)
Argomenti: Crisi
CRISI: BROWN,
COMMERCIO MONDIALE E' A RISCHIO (AGI)
- Washington, 28 mag. - Il premier britannico Gordon Brown, in un articolo sul
Wall Street Journal, avverte che la crisi sta mettendo
a dura prova il commercio mondiale e chiede un'azione urgente contro il
protezionismo e le barriere doganali. Secondo Brown le economie mondiali devono
impegnarsi per una cifra superiore ai 250 miliardi di dollari che all'ultimo
G20 di Londra avevano destinato al rilancio del commercio globale. La
contrazione del commercio ha ridotto in poverta' circa 100 milioni di persone.
"La verita' - dice Brown - e' che il commercio
mondiale la prima vittima della crisi finanziaria globale e si determina un circolo vizioso per cui il calo
dell'export porta alla discesa della produzione, mentre l'aumento della perdita
di posti di lavoro porta ad un ulteriore calo della domanda di consumi e delle
esportazioni". 28/05/2009 - 10:59
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( da "Blogosfere" del
28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Mag
0928 Crisi finanziaria ed energia. Qualcosa in comune?
Pubblicato da Debora Billi alle 10:22 in Peak Oil Quando ho visto questo
grafico (cliccatelo per vederlo meglio) sono rimasta un tantino basita. Si
tratta di una ricerca svolta da uno dei sempre ottimi contributori di TOD, che
esamina l'eventuale legame tra produzione, energia e crisi
finanziaria. Il risultato è quello che vedete: completamente assurdo.
Fatta base 100 nel 1970, infatti, la produzione petrolifera (in verde) arriva a
200 per poi cominciare a ridiscendere; la produzione mondiale di energia
primaria (in beige) passa appena i 200; il Prodotto Lordo Mondiale (in blu)
raggiunge i 400. Il Dow Jones invece ha un percorso tutto suo: fino a circa la
metà degli anni '80 segue coerentemente i "fondamentali" mondiali
(produzione ed energia), poi arrivati agli anni '90 prende il volo fino a
raggiungere il valore di 1600. Ridiscesa a 1000, ci sembra di vivere in un
incubo che presto dovrà finire... e invece, probabilmente, la Borsa sta solo
assaggiando un po' di realtà. Tutti erano felici di credere alla spirale della
crescita infinita. Ma se il denaro rappresenta l'equivalente della realtà
fisica, abbiamo mentito a noi stessi per un buon numero di anni. Così la
risposta alla domanda del titolo pare proprio essere "no". Perché a
nessuno è finora importato nulla dei fondamentali. E chissà se se ne
accorgeranno, prima o poi.
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( da "Blogosfere" del
28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Mag 0927 Ma la
"Obamaeconomics" è il solo modo per uscire dalla crisi?
Pubblicato da Silvio De Rossi, Blogosfere staff alle 19:09 in Economia
ambientale di Marco Pagani «Siamo sicuri che la Obamaeconomics sia il solo modo
per uscire dalla crisi?» E' la domanda che si pongono
tre economisti "eterodossi", Mauro Bonaiuti , Joan Martinez Alier e
Francois Schneider. Vale la pena ascoltare la loro voce
dissonante rispetto ai cantori della crescita: «Questa crisi, dunque, non è solo finanziaria ma è anche ambientale. Non
dimentichiamo che nel Luglio 2008 il prezzo del petrolio superò i 140 dollari
al barile, riducendo le aspettative di profitto ed innescando, secondo alcuni,
la crisi finanziaria.
Tuttavia le politiche contro la crisi prevedono
investimenti per aumentare la capacità produttiva, attraverso sussidi per
produrre automobili, bulldozer, TIR, aerei, che dovrebbero contribuire a
rendere più "verdi" queste industrie. Ma "bulldozer verdi"
continueranno ad estrarre risorse naturali, le automobili "verdi"
continueranno ad incrementare il traffico e l'inquinamento, i "TIR
verdi" continueranno a trasportare merci in tutta Europa. » Le politiche
neokeynesiane, volte a sostenere i consumi con un intervento pubblico, possono
servire nella fase più acuta della crisi, ma a lungo
andare non risolvono nulla e peggiorano solo la situazione. Qui di seguito
riporto alcune delle loro proposte; sono tutte proposte di decrescita. Leggete
il testo integrale sul sito della Rete per la decrescita. Continua a leggere su
Eco Alfabeta.
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( da "Repubblica.it" del
28-05-2009)
Argomenti: Crisi
CITTÀ DEL
VATICANO - Gli effetti della crisi stanno colpendo
ancora le fasce più deboli della popolazione, nonostante le misure prese
finora, e di qui vi è la necessità di interventi di solidarietà e di aiuti. Lo
ha detto il papa intervenendo questa mattina all'Assemblea generale della Cei.
Benedetto XVI ha poi indicato ai vescovi gli impegni prioritari dei cattolici,
dalla difesa della vita all'educazione, che in Italia, ha detto, assume i
tratti dell'emergenza. "Fasce più deboli colpite dalla crisi".
Benedetto XVI ha lodato la decisione della Cei di lanciare una colletta per
costituire un fondo di prestiti a favore di nuclei familiari rimasti senza
reddito per la perdita del lavoro. "Da mesi stiamo constatando
gli effetti di una crisi finanziaria ed economica che ha colpito duramente lo scenario globale e
raggiunto in varia misura tutti i Paesi" ha detto Benedetto XVI.
"Nonostante le misure intraprese a vari livelli, gli effetti sociali della
crisi non mancano di farsi
tuttora sentire, e anche duramente, in modo particolare sulle fasce più deboli
della società e sulle famiglie. Desidero pertanto esprimere il mio
apprezzamento e incoraggiamento per l'iniziativa del fondo di solidarietà
denominato Prestito della speranza". "Impegno a difesa della
vita". Benedetto XVI ha incoraggiato l'impegno dei cattolici italiani
"per la promozione di una diffusa mentalità a favore della vita in ogni
suo aspetto e momento, con un'attenzione particolare a quella segnata da
condizioni di grande fragilità e precarietà", ha precisato riferendosi a
questioni aperte come l'aborto, l'eutanasia, la legge sul testamento biologico.
Il Pontefice ha poi invitato in particolare il laicato cattolico italiano a
operare concorde "affinchè non manchi nel Paese la coscienza della piena
verità sull'uomo e la promozione dell'autentico bene delle persone e della
società". OAS_RICH('Middle'); "Servono educatori autorevoli ed
esemplari". Il problema dell'educazione, in Italia, si affronta se ci sono
"educatori autorevoli" ed esemplari, ha sottolineato il Papa tornando
a parlare "dell'urgenza e, perfino, dell'emergenza" educativa nel
nostro paese. Nella "diletta nazione italiana" quella
dell'educazione, che è una "esigenza costitutiva e permanente della vita
della Chiesa", oggi "tende ad assumere i tratti dell'urgenza e
perfino dell'emergenza" ha detto Benedetto XVI. "Un vero educatore -
ha aggiunto - mette in gioco in primo luogo la sua persona e sa unire autorità
ed esemplarità nel compito di educare". "In Abruzzo ho percepito
solidarietà". Durante la sua recente visita ai terremotati dell'Abruzzo,
Benedetto XVI ha potuto rendersi conto di persona "dei lutti, del dolore e
dei disastri prodotti dal terribile sisma, ma anche della fortezza d'animo di
quelle popolazioni insieme al movimento di solidarietà che si è prontamente
avviato da tutte le parti d'Italia" ha ricordato il Papa nel suo discorso
all'assemblea generale della Cei. (28 maggio 2009
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( da "Trend-online"
del 28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Fmi: Russia
pronta a investire 10 mld dlr in bond ANSA
NEWS, clicca qui per leggere la rassegna di Ansa , 28.05.2009 14:16 Scopri le
migliori azioni per fare trading questa settimana!! (ANSA)
- MOSCA, 28 MAG - La Russia e' pronta a investire 10 miliardi di dollari nella
prima emissione obbligazionaria del Fondo monetario internazionale (Fmi). Lo ha dichiarato il ministro delle finanze Alexei Kudrin.
L'iniziativa vede l'appoggio del presidente Dmitri Medvedev, che ha detto di
augurarsi che tali fondi vengano utilizzati per aiutare quei paesi, anche
vicini alla Russia, che 'stanno soffrendo maggiormente per la crisi finanziaria'.
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( da "Trend-online"
del 28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Banche: Moody's
taglia rating di Nomura, a Baa2 ANSA
NEWS, clicca qui per leggere la rassegna di Ansa , 28.05.2009 14:15 Scopri le
migliori azioni per fare trading questa settimana!! (ANSA)
- ROMA, 28 MAG - Sforbiciata da parte di Moody's per il rating di Nomura.
Ridotto di due livelli, a Baa2, il rating alla banca giapponese. La decisione e' stata motivata dai danni prodotti dalla crisi finanziaria sul bilancio della
banca. 'Le sfide per stabilizzare i guadagni continueranno', ha precisato
Moody's in un comunicato nel quale sono state messe in luce anche le incertezze
circa l'integrazione delle unita' di Lehman Brothers acquisite dalla stessa
Nomura.
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( da "Affari Italiani (Online)"
del 28-05-2009)
Argomenti: Crisi
Non
solo l'economia, in crisi anche i diritti umani. Il rapporto
Giovedí 28.05.2009 15:10 Quest'anno il Rapporto sui diritti globali, giunto
alla sua settima edizione, esce nel pieno degli effetti della crisi finanziaria mondiale
sulle economie reali di tutti i Paesi del pianeta. Il castello di carte della finanza
globalizzata, e infine impazzita come una maionese, è il frutto prevedibile e
previsto di un sistema che drena ricchezze e risorse per concentrarle in poche
mani. Le mani sono quelle delle corporation, dei potenti gruppi speculativi,
degli imperi multinazionali che in questi decenni hanno attualizzato e imposto
l'ideologia del liberismo senza regole e senza freni. Un pensiero unico che è
riuscito a informare di sé e a soppiantare governi e sedi decisionali
democratiche ed elettive, dunque la politica, gestendoli in proprio o
trasformandoli in passivi e complici esecutori. Con la crisi
globale resta aperto e si drammatizza il nodo dei salari e, più in generale, la
grande e rimossa questione dei diritti economici e sociali, nei Paesi poveri
così come in quelli sviluppati. Ma le cronache dai mari di questi giorni, dei
barconi gonfi di umanità violata e dolente, cinicamente rispediti in Libia, ci
ricordano che oltre alla crisi dell'economia reale c'è
un'altra crisi da affrontare, altrettanto grave:
quella dei diritti umani e di cittadinanza, connessi anche alla questione
ambientale. Anche questi diritti sono drasticamente peggiorati, sin dentro il
cuore delle nostra città. Anche quest'anno il Rapporto, un volume unico a
livello internazionale per l'ampiezza e la sistematicità dei temi affrontati,
fa il punto della situazione restituendoci lo stato di salute dei diritti nel
mondo. La crisi finanziaria globale e i rischi del
protezionismo, il mercato del lavoro e la precarietà, la sicurezza sul lavoro,
il welfare, l'immigrazione, le guerre, l'ambiente e i diritti umani: il
rapporto fotografa e analizza la globalizzazione per quello che è, mettendo in
luce i punti più critici e delineando al contempo le direzioni da seguire per
dare concreta attuazione a un'inversione di rotta. pagina successiva >>
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( da "Repubblica.it"
del 28-05-2009)
Argomenti: Crisi
CITTÀ DEL
VATICANO - Gli effetti della crisi stanno colpendo
ancora le fasce più deboli della popolazione, nonostante le misure prese
finora, e continuano ad essere necessari interventi di solidarietà e aiuti. Lo
ha detto il Papa intervenendo questa mattina all'Assemblea generale della Cei.
Benedetto XVI ha poi indicato ai vescovi gli impegni prioritari dei cattolici,
dalla difesa della vita all'educazione, che in Italia, ha detto, assume i
tratti dell'emergenza. "Fasce più deboli colpite dalla crisi".
Benedetto XVI ha lodato la decisione della Cei di lanciare una colletta per
costituire un fondo di prestiti a favore di nuclei familiari rimasti senza
reddito per la perdita del lavoro. "Da mesi stiamo
constatando gli effetti di una crisi finanziaria ed economica che ha colpito duramente lo scenario globale e
raggiunto in varia misura tutti i Paesi" ha detto. "Nonostante le
misure intraprese a vari livelli, gli effetti sociali della crisi non mancano di farsi tuttora
sentire, e anche duramente, in modo particolare sulle fasce più deboli della
società e sulle famiglie. Desidero pertanto esprimere il mio
apprezzamento e incoraggiamento per l'iniziativa del fondo di solidarietà
denominato Prestito della speranza". "Impegno a difesa della
vita". Benedetto XVI ha incoraggiato l'impegno dei cattolici italiani
"per la promozione di una diffusa mentalità a favore della vita in ogni
suo aspetto e momento, con un'attenzione particolare a quella segnata da condizioni
di grande fragilità e precarietà", ha precisato riferendosi a questioni
aperte come l'aborto, l'eutanasia, la legge sul testamento biologico. Il
Pontefice ha poi invitato in particolare il laicato cattolico italiano a
operare concorde "affinché non manchi nel Paese la coscienza della piena
verità sull'uomo e la promozione dell'autentico bene delle persone e della
società". OAS_RICH('Middle'); "Servono educatori autorevoli ed
esemplari". Il problema dell'educazione, in Italia, si affronta se ci sono
"educatori autorevoli" ed esemplari, ha sottolineato il Papa tornando
a parlare "dell'urgenza e, perfino, dell'emergenza" educativa nel
nostro paese. Nella "diletta nazione italiana" quella
dell'educazione, che è una "esigenza costitutiva e permanente della vita
della Chiesa", oggi "tende ad assumere i tratti dell'urgenza e
perfino dell'emergenza" ha detto Benedetto XVI. "Un vero educatore -
ha aggiunto - mette in gioco in primo luogo la sua persona e sa unire autorità
ed esemplarità nel compito di educare". "In Abruzzo ho percepito
solidarietà". Durante la sua recente visita ai terremotati dell'Abruzzo,
Benedetto XVI ha potuto rendersi conto di persona "dei lutti, del dolore e
dei disastri prodotti dal terribile sisma, ma anche della fortezza d'animo di
quelle popolazioni insieme al movimento di solidarietà che si è prontamente
avviato da tutte le parti d'Italia" ha ricordato il Papa nel suo discorso
all'assemblea generale della Cei. (28 maggio 2009
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( da "Corriere.it"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il pontefice
all'Assemblea generale dei vescovi italiani Il Papa sulla crisi: «Ancora grande sofferenza
nonostante le misure» Benedetto XVI ha lodato la decisione della Cei di
lanciare una colletta per chi ha perso il lavoro CITTÀ DEL VATICANO - «Da mesi
stiamo constatando gli effetti di una crisi
finanziaria ed economica che ha colpito duramente lo
scenario globale e raggiunto in varia misura tutti i Paesi. Nonostante
le misure intraprese a vari livelli». Lo ha detto il papa, intervenendo giovedì
all'Assemblea generale dei vescovi italiani: «Gli effetti sociali della crisi non mancano di farsi tuttora sentire, e anche
duramente, in modo particolare sulle fasce più deboli della società e sulle
famiglie». FONDI DI SOLIDARIETA' - A questo proposito Benedetto XVI ha lodato
la decisione della Cei di lanciare una colletta per costituire un fondo di
prestiti a favore di nuclei familiari rimasti senza reddito per la perdita del
lavoro: «Desidero esprimere il mio apprezzamento e incoraggiamento per
l'iniziativa del fondo di solidarietà denominato "Prestito della
speranza"». DIFENDERE SEMPRE VITA - Ricevendo i vescovi italiani il Papa
ha anche caldeggiato «l'impegno per la promozione di una diffusa mentalità a
favore della vita in ogni suo aspetto e momento, con un'attenzione particolare
a quella segnata da condizioni di grande fragilità e precarietà». Tale impegno
- ha sottolineato Benedetto XVI - è «ben testimoniato dal manifesto
"Liberi per vivere. Amare la vita fino alla fine" delle associazioni
cattoliche Scienza e vita, Forum delle famiglie e Retiinopera, impegnate
«nell'operare affinchè non manchi nel Paese la coscienza della piena verità
sull`uomo e la promozione dell`autentico bene delle persone e della società. I
"sì" e i "no" che vi si trovano espressi disegnano i
contorni di una vera azione educativa e sono espressione di un amore forte e
concreto per ogni persona». L'iniziative "Liberi per vivere" del
laicato cattolico è stato lanciato in concomitanza con l'approvazione, al
Senato, del disegno di legge sul testamento biologico, mentre alcune forze
politiche hanno prospettato l'ipotesi di ricorrere al referendum abrogativo.
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( da "Alto Adige" del
29-05-2009)
Argomenti: Crisi
di Pietro
Marangoni Una forte innovazione sconfiggerà la crisi Cipolletta:
«Segnali di ripresa probabilmente già da fine anno» Il presidente
dell'Università di Trento spiega la genesi del crollo della finanza che ha
determinato l'attuale congiuntura BOLZANO. «L'economista è un pò come il
medico, lo si sente quando le cose non vanno bene: quando, come oggi, si parla
di crisi». Così Innocenzo Cipolletta, presidente
dell'Università di Trento nonchè presidente delle Ferrovie dello Stato noto
anche per essere stato per anni direttore generale di Confindustria, ospite
ieri sera del Circolo Cittadino, ha esordito nel raccontare la genesi dell'attuale crisi finanziaria che, da economista, ha inquadrato nella sua reale portata.
Nessun tono disfattista o da scontata Cassandra, ma una riflessione ad ampio
spettro - partendo dalla prima crisi petrolifera del'73 - per meglio comprendere i motivi che hanno
generato la situazione finanziaria dello scorso autunno e le possibili o probabili "ricette"
che consentiranno la ripresa. Cipolletta non ha neppure fatto ricorso alle
banalità della demonizzazione dei mangaer superpagati, delle banche
"creative" o di dell'incompatibilità dei controllati-controllori. Pur
sostenengo che «di fatto non è successo nulla e che la crisi
è per i più essenzialmente psicologica» ha invece analizzato come nel passato
sia stata la forte innovazione - sia essa di carattere tecnologico che
finanziario - accompagnata dalle politiche di liberalizzazione (deregulation
determinata anche dalla globalizzazione) ad aver garantito dal '90 fino a ieri
una forte crescita dell'intera economia mondiale. E propio l'innovazione -
secondo Cipolletta - sarà ancora la carte vincente che con ogni probabilità ci
consentirà di superare anche questa difficile fase congiunturale. «Ritengo - ha
affermato - che la ripresa sarà lenta e che si potrebbe avviare da fine anno o
nel corso della prossima primavera. imporra ai Paesi più industrializzati, oggi
tutti fortemente indebitati, una riduzione drastica della spesa pubblica. Ma
nel contempo penso che siamo alla vigilia di un nuovo processo di innovazione
che ci costringerà a cambiare tutto. In tal modo riptrenderemo a consumare e a
produrre». Da parte sua il presidente Enrico Valentinelli, in apertura di
serata, aveva posto l'accento sulla situazione economica altoatesina
soffermandosi sul fatto che «anche noi subiamo i riflessi della crisi» in considerazione del fatto che in Alto Adige dovremo
fare i conti con alcuni numeri negativi (disoccupazione, Pil) «cui non eravamo
abituati». Valentinelli ha comunque sottolineato i punti di forza (prodotti di
qualità e di nicchia) e ha auspicato l'attuazione «in tempi veloci» del
pacchetto provinciale anticrisi.
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( da "Trentino" del
29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Ecco i principali
appuntamenti Si parte con il botto: due premi Nobel in un giorno TRENTO. Oggi
inizia la quarta edizione del Festival dell'economia. Piazze, vie ed edifici
storici saranno invase da quello che ormai viene definito il "popolo degli
scoiattoli". Ecco tutti gli appuntamenti da non perdere, sia per chi è
interessato agli incontri, sia per chi ha voglia di svagarsi. Si parte già alle
ore 15, a
Palazzo Geremia, con James Heckman, premio Nobel per l'Economia, che spiegherà
di come i tratti della nostra personalità servono a predire una ampia gamma di
comportamenti economici, dal successo scolastico alla performance sul mercato
del lavoro. Alle 16.30 al Castello del Buonconsiglio invece ci sarà
l'inaugurazione della manifestazione. Ospiti il sindaco Alessandro Andreatta,
Tito Boeri, Innocenzo Cipolletta, Lorenzo Dellai, Gianfranco Fabi, Giuseppe
Laterza e Corrado Passera. La giornata continua con George Akerlof, altro
premio Nobel, che alle 18.30 nella Sala Depero della Provincia parlerà degli
"animal spirits", cioè dagli istinti che muovono spesso gli individui.
Questi impulsi tendono ad amplificare le fluttuazioni macroeconomiche, come
quello collegato ad un improvviso crollo di fiducia che si è rivelato uno dei
fattori scatenanti dell'attuale recessione. Le grandi conferenze della giornata
terminano con Anne Krueger, alle ore 21 sempre in Sala Depero, che affronterà
un tema centrale: come rafforzare il sistema monetario internazionale. La nota
economista, che ha trascorso molti anni ai vertici delle
organizzazioni multilaterali e della ricerca accademica sull'economia dello
sviluppo, cercherà di rispondere alle seguenti domande: come sarà il mondo dopo
la crisi finanziaria che lo
sta investendo? E quali regole possono permettere di evitare che si arrivi agli
eccessi che l'hanno provocata?
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( da "Stampa, La" del
29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Pdl Arriva
Berlusconi Conto alla rovescia per l'arrivo di Silvio Berlusconi: mercoledì 3
giugno, nel pomeriggio, il premier sarà in città per sostenere la candidatura
di Claudia Porchietto alla Provincia. Udc L'Europa e la crisi Gli Udc Tabacci e
Vietti, il sindaco Chiamparino e il leghista Cota si sono confrontati sul tema
della crisi al Circolo della Stampa. Buona parte dell'incontro è stata però
dedicata all'Alitalia, visto il ritardo con cui sono arrivati da Roma sindaco e
Tabacci. «Voi leghisti - ha detto Tabacci - avete tenuto il sacco a chi s'è
impadronito della compagnia penalizzando il Nord». La Fiat è stato l'altro
grande tema, con Cota a chiedere tutele per i lavoratori italiani. «Dalla crisi - ha detto Vietti - non si esce con il protezionismo ma aprendoci ancora di più
all'Europa». In platea c'erano, tra gli altri, il presidente dell'Unione
industriale Carbonato, e il direttore dell'organizzazione degli industriali,
Gherzi, il presidente di Fondazione Crt, Comba, e gli onorevoli Pd, Vernetti e
Calgaro. Pdl La Russa a Torino Alle 10,30 il ministro La Russa incontra
gli Alpini in piazza della Repubblica. Alle 11 gazebo e comizio (lato corso
Giulio cesare). Alle 11,30 conferenza stampa presso The Club, piazza Cesare
Augusto 15. Simbolo pensionati Lupi la spunta Il Consiglio di Stato ha bocciato
il ricorso presentato dai Verdi del Sole che ride contro il simbolo dei Verdi
Verdi con l'Orso che ride di Maurizio Lupi. Lista Bonino/Pannella Viale in
Comune Alle ore 11, Silvio Viale sarà in Comune (Sala capigruppo) per la presentazione
della delibera di iniziativa popolare per l'istituzione dell'Anagrafe degli
eletti. Pd Placido e Esposito Alle 7,30 Placido, Esposito, Boccuzzi e Perna
incontrano i lavoratori della Microtecnica in piazza Arturo Graf 147. Alle 10
Cofferati, Placido e Romeo incontrano i cittadini al mercato di via Nitti.
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( da "Repubblica, La"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Pagina 45 -
Cultura 4) Il risparmio 3) Il mercato 6) Il protezionismo 1) I mestieri 7) Il
consumo 2) L´azienda 10) La geopolitica 5) L´energia 8) Il modello 9) Il Paese
sconfitto "La Cina vincitrice": l´occasione storica "Il
tradimento dei risparmi": profitti e previdenza "Voglia di
socialismo": vecchi e nuovi modelli "Il protezionismo rispettabile": ecco dove compreremo "Le professioni
del futuro": come diventeranno "Il consumo frugale": uno
stile di vita "L´azienda è nuda": una cultura diversa "Piccole e
grandi (ex) potenze": India e Africa "Il prossimo choc
energetico": le risorse possibili "Il declino dell´impero
Americano"
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( da "Tirreno, Il"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Pagina 5 - Prato
Eutelia: posto in bilico per 35 lavoratori Manifestazione di protesta davanti
alla sede di Calenzano Il colosso delle telecomunicazioni ha deciso di cedere
un ramo d'azienda PRATO. L'unica certezza è quella di poter tirare avanti fino
al 30 giugno, quando verrà meno quel contratto di solidarietà che ha garantito
loro lo stipendio per un anno. Consolazione troppo magra per 35 lavoratori (tra
cui una decina di pratesi) dell'Eutelia di Calenzano che, ieri mattina, hanno
protestato davanti ai cancelli di via di Le Prata. Adesso il loro destino è
appeso a un filo, dopo che l'azienda, leader a livello nazionale nel mondo
delle telecomunicazioni (è una spa quotata in borsa), ha annunciato l'imminente
cessione di un ramo dell'azienda alla società Agile srl, con sede a Potenza.
Nella loro stessa situazione si trovano circa altri duemila lavoratori, facenti
capo alle altre sedi di Eutelia sparse su tutto il territorio nazionale. Ieri
mattina, davanti agli stabilimenti di Calenzano, sventolavano tante bandiere
della Fiom Cgil per dire no alle ultime manovre della famiglia Landi di Arezzo,
ai vertici del colosso delle telecomunicazioni ora alle
prese con una crisi finanziaria e di liquidità. L'imperativo è scongiurare che l'azienda mandi a
casa i lavoratori, con una raffica di licenziamenti che potrebbe veramente
prospettare brutte vacanze per gli impiegati dell'azienda. Sono tanti i bocconi
amari che questi ultimi hanno dovuto ingoiare negli ultimi tre anni. «E
pensare che il mercato non ci manca - fa notare Fernando Rossi, delegato
sindacale della Fiom Cgil -, stiamo solo pagando il prezzo di una gestione
fallimentare dell'azienda interessata solo a speculazioni finanziarie. Che gli
industriali si comportino come finanzieri, ormai è un dato di fatto. Non è un
male solo del tessile pratese». Rincara la dose Antonello Dossiè, un altro
impiegato. «Sappiamo che a Prato molte aziende chiudono i battenti perchè non
hanno più lavoro. Eutelia eroga tuttora servizi alle aziende sanitarie della
Toscana». Non ne vogliono sapere i lavoratori di Calenzano, di confluire nel
ramo dell'Agile srl, peraltro sempre di proprietà di Eutelia. «Ci si chiede
come facciano oltre duemila lavoratori ad essere assorbiti in una società a
responsabilità limitata. E pretendiamo che sia riaperta la trattativa al
ministero dello Sviluppo economico per trovare una soluzione industriale che
salvi tutti i posti di lavoro. Non ha senso spendere soldi per gli
ammortizzatori sociali in mancanza di un piano di riconversione industriale e
per gestire operazioni poco chiare. Se Eutelia vuole fallire lo dica
chiaramente: faccia un passo indietro per permettere ad altri imprenditori di
farsi avanti». Nell'incontro tra i sindacati e i vertici aziendali è sfumata la
possibilità di una proroga del contratto di solidarietà. «Tutto sommato -
ammettono i lavoratori - ci poteva andare peggio: il posto è stato
salvaguardato a tutti». Niente cassa integrazione, dunque: lo strumento del
contratto di solidarietà ha permesso all'azienda un'adeguata riduzione dei
costi. Ma evidentemente non è bastata la sforbiciata che i lavoratori si sono
ritrovati sullo stipendio: a Rossi, Dossiè e colleghi è stato scalato il 35%
dalla busta paga (di cui il 60% erogato dall'Inps). Inquadrati al 5-6 livello
impiegatizio, per un anno hanno lavorato tre giorni alla settimana, anzichè
cinque, ma almeno si sono tenuti stretto il posto di lavoro. Tra venti giorni
Eutelia dismetterà tutte le attività dell'information technology. «Non cederemo
alla trappola dell'azienda. Continueremo con altre forme di mobilitazione -
annunciano i rappresentanti sindacali - per chiedere al Governo che si faccia
carico del destino di un'azienda così importante a livello nazionale». Maria
Lardara
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( da "Italia Oggi"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
ItaliaOggi
sezione: Giustizia e Società data: 29/05/2009 - pag: 27 autore: di Andrea
Fradeani Lo Iasb ha elaborato una guida sulla determinazione Gerarchia fair
value Misurazioni, l'affidabilità in scala Una guida per il fair value: la
definizione si adegua a quella statunitense e arrivano tre tecniche di
valutazione. Con una scala gerarchia sull'affidabilità della misurazione.
L'International Accounting Standards Board (Iasb) ha pubblicato ieri, sul
proprio sito web (http://www.iasb.org), la bozza della guida sulla
determinazione del valore equo. Il documento contabile, uno dei più attesi
dell'anno insieme al prossimo successore dello Ias 39, ha il compito di
definire il concetto di valore equo e, soprattutto, d'indicare le modalità
operative per la sua misurazione.La guida vuole quindi essere il punto di
riferimento per tutti i principi contabili internazionali: uno dei punti deboli
del modello Ifrs è proprio la frammentazione della nozione e delle indicazioni,
peraltro non sempre coerenti fra loro, sulle modalità di determinazione del
valore equo. Il lavoro dello Iasb sul tema, iniziato addirittura nel 2005, era
divenuto un'indifferibile priorità in seguito alla crisi finanziaria globale: proprio il
massiccio uso del fair value nei bilanci dei principali player finanziari è
stato dai più considerato (non sempre a ragione) una delle concause del crollo
dei mercati.La bozza licenziata ieri, con l'obiettivo di stimolare i commenti
della comunità bilancistica internazionale entro il 29 settembre 2009,
rappresenta anche un dimostrazione inequivocabile della volontà di convergenza
fra standard Ifrs ed US Gaap: la guida dello standard setter londinese,
difatti, è costruita proprio sulla base dell'attuale Sfas 157 (dedicato,
quest'ultimo, appunto alla misurazione del valore equo).Iniziamo proprio dalla
nuova definizione di fair value, identica a quella statunitense: «È il prezzo
che si riceverebbe dalla vendita di una attività o che si pagherebbe per
trasferire una passività attraverso un'ordinaria transazione fra gli operatori
di mercato alla data di valutazione». Si tratta, quindi, di un «current exit
price» frutto di un'ipotetica transazione non imposta o necessaria, svolta non
dall'azienda che redige il bilancio ma da un qualsiasi venditore che dispone
della stessa attività od è titolare della medesima passività, con riferimento
al momento in cui la stima è realizzata.La guida indica, quindi, tre tecniche
valutative che possono essere usate singolarmente o in combinazione fra loro
purché, è questo il punto centrale, massimizzino l'uso di dati osservabili
(ossia derivanti dal mercato) in luogo di quelli non osservabili (cioè frutto
di stime): il valore di mercato, ossia l'impiego di prezzi derivanti da reali
transazioni svolte per beni identici o similari; il valore dei flussi
finanziari attesi, ossia la stima attualizzata delle entrate e delle uscite
attese dall'attività o passività scambiata; il costo di sostituzione, ossia il
prezzo necessario per rimpiazzare il bene a disposizione.Proprio per
semplificare il giudizio, anche in termini di comparazione, del lettore del
bilancio sul grado di attendibilità della valutazione al valor equo viene
imposta, anche in questo caso per derivazione dallo Sfas 157, una scala
gerarchica di affidabilità della misurazione effettuata (da evidenziare nelle
note al bilancio d'esercizio). Il livello 1, la massima attendibilità, verrà
attributo al fair value risultante dalla quotazione che l'elemento da valutare
ha su di un mercato attivo; il livello 2 sarà assegnato al valore equo fondato
su prezzi rilevati in mercati inattivi ovvero attivi ma per elementi similari;
il livello 3, quello di maggiore criticità, riguarderà i casi in cui il fair
value è frutto di congetture non supportate da valori di mercato riscontrabili.
Proprio quest'ultima categoria, infine, viene messa sotto la lente
d'ingrandimento per evidenziare agli stakeholder informazioni quali: acquisti,
vendite, cambi di livello del periodo, utili o perdite registrate nonché
variazioni nei parametri non di mercato impiegati nella valutazione.Insieme
alla guida, che contiene anche un'appendice con le numerose modifiche proposte
per i singoli Ias/Ifrs (laddove si fa riferimento al valore equo), è stato
rilasciato un utile fascicolo di esempi illustrativi che permetterà di
comprendere meglio le nuove regole, finalmente globali, sulla determinazione
del fair value.
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( da "Italia Oggi"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
ItaliaOggi
sezione: Dottori Commercialisti data: 29/05/2009 - pag: 35 autore: di Corrado
Baldini - Giunta Ungdcec - Delegato «Revisione e Collegio Sindacale» La
richiesta dell'Unione nazionale giovani dottori commercialisti per le società
non quotate Collegio sindacale, regole chiare Un limite agli incarichi a
garanzia della qualità dei controlli L'introduzione di un limite quantitativo
al numero degli incarichi ricoperti dallo stesso soggetto all'interno degli
organi di controllo in società non quotate è una delle proposte in tema di
Collegio sindacale contenute nel programma della recente Commissione di studio
costituita dall'Unione nazionale giovani dottori commercialisti ed esperti
contabili. La proposta è stata lanciata durante lo scorso 47° Congresso
nazionale di Varese. La normativa attuale prevede infatti un limite massimo al
numero degli incarichi solo per le società cosiddette «public» (il riferimento
è alle delibere Consob n. 15915 del 3 maggio 2007 e n. 16515 del 18 giugno
2008). A parere dell'Unione nazionale occorre andare oltre ed estendere il
limite al numero degli incarichi anche alle società non quotate, in quanto
esiste un limite fisiologico oltre il quale l'attività svolta dal soggetto
incaricato non è in grado di garantire la qualità dei controlli. Quella qualità
del lavoro del revisore più volte richiamata dalla direttiva comunitaria n.
2006/43/Ce che introdurrà importanti novità in materia di controllo.Come da più
parti evidenziato, la recente crisi
finanziaria mondiale ha messo a nudo tutti i limiti
dell'attuale sistema economico e finanziario. Un'evidente responsabilità è
certamente da attribuire alle disfunzioni conseguenti alla normativa esistente
in merito alla governance delle imprese con particolare riferimento
all'attività di controllo. A questo proposito va sottolineato che il
nostro paese, pur essendo stato interessato in modo molto pesante dagli effetti
di tale crisi, ha «retto» meglio al contraccolpo,
anche grazie ad una struttura di controllo poggiata su basi solide, come
evidenziato dal premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz, il quale ha
sottolineato la bontà del modello italiano incentrato sull'istituzione del
collegio sindacale. La modalità con la quale è strutturato il modello di
controllo in Italia prevede, infatti, due livelli: uno a «valle» svolto dal
soggetto incaricato del controllo contabile con importanti funzioni di verifica
sulla correttezza delle rilevazioni dei fatti gestionali nelle scritture
contabili e uno a «monte» svolto dal soggetto incaricato del controllo sulla
gestione (il collegio sindacale appunto) che vigila e monitora costantemente
sulle decisioni assunte dall'organo di gestione con possibilità di intervenire
prima che le decisioni vengano assunte e conseguentemente prodotti gli
effetti.Nonostante l'importante ruolo giocato dall'organo di controllo nella
riduzione degli effetti negativi prodotti dalla crisi in
atto, occorre guardare avanti, cambiare passo al fine di perfezionare
l'istituto del collegio sindacale in Italia. Sul versante del controllo
l'attuale normativa prevede l'obbligo di istituire l'organo di controllo solo
al verificarsi di specifiche condizioni previste dalla normativa codicistica.
Non sono pertanto soggette a tale obbligo e quindi escluse da ogni tipo di
controllo “esterno” tutte quelle società che non
soddisfano dette condizioni. A questo riguardo l'Unione Nazionale propone
l'introduzione di ulteriori requisiti, con particolare riferimento a quelle
imprese che presentano un elevato livello di indebitamento ovvero che hanno ricevuto
contributi pubblici, al verificarsi delle quali le società «minori» siano
obbligate a nominare un «controllore» esterno che possa verificare
periodicamente la situazione della società in un'ottica di going
concern.Relativamente alla nomina dell'organo di controllo, l'Unione Nazionale
sottolinea la necessità di introdurre una procedura sistematica e automatica,
laddove si renda obbligatoria la presenza di tale organo e, in caso di
omissione da parte dell'assemblea dei soci, la previsione di una sanzione
specifica a carico della società (che potrebbe arrivare fino alla messa in
liquidazione) e dei componenti dell'organo amministrativo che non abbiano
adempiuto a tale dovere. Da un'indagine dell'Inrc è emerso che a oggi sono circa
10 mila le società che non hanno provveduto a nominare l'organo di
controllo.Sul versante della responsabilità del soggetto incaricato del
controllo, l'Unione nazionale propone l'introduzione di una limitazione alla
responsabilità patrimoniale dei soggetti che svolgono tale attività che non può
essere equiparata a quella degli amministratori della società che rivestono un
ruolo decisionale ma che dovrà essere necessariamente parametrata ad elementi
oggettivi connessi alla funzione svolta (così come già previsto per la
responsabilità del soggetto che svolge il controllo contabile relativamente
alla sottoscrizione della dichiarazione dei redditi che prevede una sanzione
rapportata al compenso percepito). L'introduzione di un limite alla
responsabilità patrimoniale consentirà di coprire i rischi connessi
all'attività di controllo attraverso la stipula di idonea polizza assicurativa
che dovrà essere obbligatoriamente sottoscritta da tutti i soggetti che
ricoprono incarichi di controllo sulla gestione e di controllo contabile con
conseguente certezza del risarcimento in caso di comportamenti negligenti del
singolo soggetto con benefici indiretti su tutto il sistema economico e
finanziario.
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( da "Repubblica, La"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Pagina 52 -
Cultura LO SPIRITO ambiguo del denarO Dalla condanna di Agostino e Marx alle
più recenti trasformazioni finanziarie avvenute sotto
il segno della speculazione e del panico Ecco come è cambiato il concetto di
ricchezza e di debito Nella riflessione del vescovo di Ippona ci sono indizi
dell´odierna bolla finanziaria Avidità e irrazionalità
sono state oggi teorizzate e poste alla base di un sistema che si sta
disgregando (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA)
Pubblichiamo il testo della lezione sull´economia tenuta ieri sera a Bologna
dal professor Guido Rossi per il ciclo "Regina Pecunia" «E così
vogliono legare il proprio denaro comprandosi una villa …(ma)
là dove hai legato il tuo denaro non puoi legare la tua vita … (che) ti
sarà chiesta indietro. Non avrai dunque la villa e la villa non avrà te».
Appare questa una fantastica anticipazione della teoria Keynesiana
dell´accumulazione
e dell´amore per il denaro che riflettono ad un tempo il motore del capitalismo
e la pulsione di morte che l´accompagna. E come non trovare in Agostino anche
un indice, una traccia dell´inizio della terribile odierna bolla finanziaria che ha avuto origine negli Stati Uniti dai
derivati dei sub-prime mortgages, dove il passaggio del denaro nell´immobile e
dall´immobile al denaro ha finito per distruggere e l´immobile e il denaro.
Commenterebbe Agostino: "non avrai dunque la villa e la villa non avrà
te". Alla deificazione dell´oro, come simbolo della vera ricchezza,
sinonimo ultimo del denaro e nello stesso tempo assicurazione contro la morte,
una sorta di eternità garantita, corrisponde la deificazione dell´uomo che lo
accumula. Nei Manoscritti economici-filosofici del 1844 di Carlo Marx (Torino
1949, p. 153) vi è un brano, che per la sua valenza esplicativa vale la pena
citare testualmente: "Ciò che mediante il denaro io posso pagare, ciò che
il denaro può comprare, quello sono io stesso (…).
Ciò che io sono
e posso non è quindi affatto determinato dalla mia individualità (…).
Io sono brutto ma posso comprarmi la più bella fra le donne. Quindi io non sono
brutto. Il denaro è il bene supremo e quindi il suo possesso è buono".
L´interesse composto che ci assicura contro il futuro e ci spinge verso il desiderio
morboso della liquidità, garanzia di ricchezza contro la morte, ha il suo
ultimo capolavoro nella ricchezza non più creata dal denaro posseduto, che si
riproduce nell´interesse, ma dal debito. Ma il debito deve essere ripagato e
l´economia degli ultimi vent´anni è stata basata sul presupposto che ha negato
questo principio. Le tecniche sofisticate del capitalismo finanziario
hanno invece trasformato il debito in uno strumento di creazione di ricchezza,
della quale tutti potevano godere. E´ così iniziata l´età del leverage. E sulla
leva finanziaria hanno operato nell´opacità, banche,
fondi, enti finanziari di ogni forma e tipo,
istituzioni pubbliche e private. Non si investiva più col proprio denaro, ma
col denaro preso a prestito, sicché per essere finanziariamente
adempienti e poter ripagare interessi e debiti il modello economico esigeva un
continuo aumento dei prezzi e una continua rivalutazione del capitale
investito. Ma la catena si è spezzata ad incominciare dai beni immobili la cui
trasformazione in beni mobili (strumenti finanziari,
derivati e così via) non ha più retto la continua autorivalutazione e
l´autodistruzione è finita nella deriva economica di una civiltà colpita dalla
nevrosi del denaro, la quale secondo un´asserzione perfetta di Keynes:
"distrugge la bellezza del paesaggio perché gli splendori della natura non
hanno alcun valore economico. E siamo capaci di spegnere il sole e le stelle,
perché non pagano dividendi". L´attuale crisi dei mercati
finanziari, dovuta alla loro naturale instabilità e incapacità di
autoregolamentarsi, come hanno ammesso anche i più accesi idolatri del mercato,
quando dotati di onestà intellettuale, come è capitato a Richard Posner, nel
suo recentissimo libro "A Failure of Capitalism", sembra mettere in
discussione molti dogmi passivamente recepiti per l´interpretazione dei
comportamenti umani, fino a chiedersi se non sia il caso di ripristinare severe
leggi contro l´usura. Il capitalismo finanziario ha
dato ampio spazio alla fantasia degli animal spirits e ha spinto la creazione
di una falsa ricchezza alle sue più contraddittorie paranoie, pensando novello
Mida di fare l´alchimista col debito. E come Mida ha tutto perso di vista e
rischiato la fame e l´eutanasia. La falsa ricchezza creata sul debito è finita
in miseria. Eppure c´è ancora chi oggi pensa di risolvere
il problema dell´attuale crisi sostituendo i mercati
finanziari con potenziali mercati assicurativi, alimentati dagli incontrollati credit defaults
swaps, a protezione di macabre scommesse sull´insolvenza. Cioè quei derivati
che Warren Buffett ha bollato come "armi finanziarie di distruzione di massa". Il principio di Tomaso
d´Aquino "Nummus non parit nummos", pur con qualche aggiustamento, è
invece ancora il punto da cui bisogna partire. Sarebbe allora il tempo, come ho
già sostenuto, di rovesciare la centralità del problema economico spostandola
dal capitale al lavoro e finalmente scoprire che la vera ricchezza delle
nazioni non è fissata dal denaro e dagli interessi di mercato, prodotti con le
più spericolate operazioni che la fantasia degli operatori inventa, ma è
fondata soprattutto sul lavoro, inteso questo nell´ampio senso di attività
umana, di capacità dell´uomo di apprendere e applicare le sue conoscenze ai
procedimenti di produzione e di consumo. La giustizia sociale vorrebbe allora
che il prodotto del denaro, cioè l´interesse, fosse commisurato semmai alla
produttività del lavoro così inteso e non al mercato d´azzardo. Invece il
denaro è diventato l´oggetto stesso dei mercati
dell´investimento. Il feticcio della liquidità è così risultato il più
antisociale dei programmi di investimento delle istituzioni finanziarie,
dove ciò che deve creare ricchezza è solo la liquidità. Ciò è accaduto non
tanto o non solo perché avidità e stupidità dei singoli abbiano avuto il
sopravvento ma perché avidità e irrazionalità sono state teorizzate e poste
alla base di un sistema che si sta disgregando. Le sciocchezze e la paura vanno
di pari passo nella quotidianità di oggi e di allora. La globalizzazione
economica comporta ora una riflessione che coloro che governano un mondo del
rischio totale trovino accordi per evitare le disparità di ricchezza fra i
singoli e fra i Paesi ed una caotica ma generalizzata conflittualità
distruttiva, secondo i fondamentali principi della Teoria della giustizia di
John Rawls, e in modo particolare il principio di differenza, in base al quale
se si fa migliorare la situazione dei più svantaggiati (singoli o Stati)
migliora la situazione generale di tutti. Nell´usare una metafora che ho già
più volte adottato, la Fenice dello sviluppo economico contemporaneo sta
bruciando nel suo letto di arbusti che s´è costruita. La nuova Fenice che
risorgerà dalle ceneri di quel giaciglio dovrà, sia in Occidente, sia in
Oriente, nascere da radicali riforme istituzionali. E la stessa ormai
inevitabile globalizzazione dovrà abbandonare i principi del Supercapitalismo,
formulati da Robert Reich, per porre alla sua base accordi che privilegino i
diritti dei cittadini e dei più svantaggiati. Essa non potrà che essere basata
sulle libertà, sulla trasparenza e regolamentazione dei mercati,
ma soprattutto su uno stato giuridico dettato dal diritto cosmopolitico di
Immanuel Kant. Il quale sosteneva che «una federazione di Stati, avendo solo di
mira la rimozione della guerra, è l´unico stato giuridico che sia compatibile
con la loro libertà». Non è dunque il diritto cosmopolitico che può soggiacere
alla forza del denaro, che invece comprime la libertà. Solo nell´Utopia di
Tommaso il Moro e attraverso Per la pace perpetua di Kant si può dunque
realizzare il sogno di una vera ricchezza. Ed è proprio una grande crisi come
quella che attraversiamo, con forti tinte escatologiche, che può unire i popoli
della terra in un disegno utopistico. Eppure il disegno può diventare meno
utopistico se gli Stati riusciranno a creare un consenso generale intorno a
principi (global legal standards) che obbediscano alle linee che ho appena
tracciato, nella dimensione di un nuovo "contratto sociale".
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( da "Sole 24 Ore, Il"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: IN PRIMO PIANO data: 2009-05-29 - pag: 2 autore: «Troppo facile
sparare sui derivati» Jean Tirole: «Sono strumenti finanziari
utili ma da riorganizzare con regole più chiare» di Mario Margiocco «T utte le
scappatoie che le vecchie regole lasciavano sono state ampiamente sfruttate, e
abbiamo visto i risultati», dice Jean Tirole, 55 anni. Direttore della Scuola
di economia di Tolosa, in Francia, di formazione Mit dove tuttora insegna, ex
presidente della European economic association, Tirole è fra i massimi esperti
mondiali di regole finanziarie. Sulle nuova regole si
sta giocando soprattutto negli Stati Uniti una partita cruciale, per ora non
chiarissima. Si tratta di rimettere su binari accettabili cartolarizzazioni e
derivati, i due grandi pilastri della nuova finanza, due tecniche finanziarie che avevano creato un mercato Otc (Over the
counter, fra due parti e senza regole) da 600mila miliardi di dollari, con
relative laute commissioni bancarie. Queste pagate sul nozionale, cioè sulla
somma dei contratti, oggi potenzialmente 450mila miliardi, equivalente a un
sottostante reale di circa 30mila miliardi. Le banche cercano di salvarne il
più possibile, naturalmente, perché è l'unica oggi fonte interessante di utili
corposi. Ma c'è anche chi dice che occorrerebbe, per far ripartire questi mercati come sta avvenendo, avere un'analisi chiara e
condivisa delle cause del disastroso 2007-2008, in modo da evitare
le grandi trappole in cui invece il sistema è cascato. «Sarebbe molto meglio se
invece di concentrarci su come risollevare un'istituzione finanziaria
fallita - dice Lynn Stout, docente della Law School della Ucla, in California,
specializzata in normativa finanziaria - ponessimo più
attenzione su come evitare che le banche si mettano in condizione di fallire».
Ma la spinta da Wall Street è al momento quella di ripartire. Anzi, il mercato
è già ripartito, e il Tesoro di Washington vede ovviamente con favore la
ripresa di fonti di liquidità per gli istituti malconci. Il risultato, però, è
che al momento le regole le stanno riscrivendo soprattutto le grandi banche,
che vogliono mantenere un club ristretto di operatori Otc, dove la sola JP
Morgan controlla quasi il 50% del mercato. Solo per alcuni derivati, e nella
versione standardizzata, cds in particolare, è prevista al momento una clearing
house. In posizione vincente è l'Intercontinental exchange, Ice, che con
l'appoggio del ministro del Tesoro Tim Geithner ha battuto la concorrenza Nyse
e Cme, il Chicago mercantile exchange. L'Ice è strettamente legato alle
maggiori banche di Wall Street, con le quali dividerà i profitti. Per il resto
del mercato resterà la formula Otc classica, oppure via alcuni Central
counterparty (Ccp), una sorta di terreno neutro fra i due contraenti. Il ruolo
di Ccp, si prevede, verrà assicurato dalle attuali grandi banche. Nel dibattito
che sul tema generale della crisi si sta conducendo sulle pagine del Sole 24
Ore si confrontano due tesi. Chi dice che il 2007-2008 ha rappresentato un
incidente di percorso, pesante ma recuperabile. E chi sostiene invece che
occorre cambiare, e che il capitalismo finanziario non
potrà essere più lo stesso. Occorrono regole migliori e più stringenti a volte,
ma il mercato non va messo in una camicia di forza, è la tesi di Tirole. In Europa,
dove due giorni fa la Commissione Ue ha presentato le sue linee d'azione, più
che le regole è mancata a volte la loro applicazione, che ha consentito ad
esempio a numerose banche di indebitarsi all'eccesso, in alcuni casi più che
negli Usa. Negli Stati Uniti invece si è assistito da oltre 20 anni a un
attacco alle regole, che erano state in gran parte scritte o comunque ispirate
da principi adottati durante il New Deal. E al momento, dato il peso di Wall
Street a Washington, non c'è chiarezza, nonostante gli impegni in sede di G-8 e
G-20. «Le banche sono di nuovo all'attacco in fatto di pressioni politiche, e
vedono le nuove regole in modo molto chiaro: nulla di veramente significativo»,
dice Simon Johnson, docente al Mit, ex capo economista Fmi, consulente del
Congresso e uno dei critici più decisi di Wall Street e di Geithner. Jean
Tirole è uno dei massimi esperti mondiali sulle regole finanziarie,
tema sul quale ha dibattuto recentemente anche alla Fondazione Mattei di
Milano. La nuova finanza è statao no nei fatti un caso di capitalismo deviato?
E che cosa occorre per riportarla nel giusto alveo, senza penalizzare il suo
potenziale innovativo? Jean Tirole ha alcune risposte. Prima di scrivere nuove
regole, è importante o no capire fino a che punto quanto accaduto è frutto di
moral hazard, di eccesso di rischio cioè da parte di alcune mani forti convinte
che qualcuno comunque le avrebbe salvate, e fino a che punto si tratta invece
di evidenti errori di giudizio? Dobbiamo riscrivere le regole, migliori, non
necessariamente più abbondanti. Le moltescappatoie esistenti sono state
sistematicamente utilizzate. I testi avevano descritto tutti i rischi possibili
del moral hazard, cioèdiun comportamento irresponsabile alla fine, eppure ben
pochi nella comunità finanziaria avevano un quadro
realistico di quanto fossero diffuse le scorciatoie rispetto ai regolamenti,
dell'enormità delle posizioni off-balance, delle dimensioni
della cartolarizzazione o dei livelli dell'esposizione con controparti nel
mercato Otc. Che cosa salvare e che cosa buttare a mare dei derivati? Sono
utili, se usati propriamente. Il mercato dei derivati consente a imprese e
società finanziarie di
cautelarsi contro il cambio, i tassi, la solvibilità di una controparte.
Ma gli abusi sono stati tanti. I derivati sono stati scambiati in misura
eccessiva sul mercato Otc invece che nelle sedi appropriate. Questo ha portato
a una grande opacità e ha costretto le autorità a salvare a caro prezzo varie
entità non regolate, come grosse banche d'affari, o Aig holdings, diventate
difatto banche d'investimento.E questo per paura di un effetto domino. I
regolatori devono preoccuparsi dei rischi da controparte e quindi sistemici, e
devono usare le normative su capitali di riserva adeguati per incoraggiare istituzioni
finanziarie regolate quali banche, assicurazioni e
fondi pensione, a trattare i derivati su mercati
regolamentati. E che cosa salvare della cartolarizzazione? Le cartolarizzazioni
consentono a chi concede crediti di rivendere i titoli di debito e rifinanziarsi
e suddividere il rischio, trasformano capitale inerte in capitale vivo e creano
titoli che il mercato richiede. Ugualmente anche la cartolarizzazione è
sfuggita di mano. La quota di mutui subprime cartolarizzati è raddoppiata,
indebolendo l'incentivo di chi emetteva i mutui a rispettare le regole
fondamentali di controllo del rischio. Le agenzie di rating non hanno fatto
quanto dovuto. E le banche hanno disatteso i requisiti di capitale attraverso
le voci fuori bilancio. Avevano promesso di riprendere a bilancio i veicoli
creati extrabilancio nel caso questi trovassero difficoltà a rifinanziarsi sul
mercato a breve. Invece si sono trovate esposte a queste voci extra in misura
variabile dal 30 al 200% del capitale! La riforma dev'essere quindi su più
fronti: insistere sulla trasparenza della frazione di prodotto cartolarizzato
trattenuta da chi dà origine all'operazione,mutui o altro;regolare le agenzie
di rating, che sono dei regolatori di fatto, visto che le loro classifiche
hanno diretta influenza sul mercato; imporre requisiti di capitale più severi
per le posizioni mantenute extra bilancio. Servono regole ufficiali che
indichino quando su un particolare mercato si sta creando una bolla? Ci sono
due problemi. Quando si può dire che c'è una bolla, cioè una sopravvalutazione
di un asset? Ad esempio, nel caso immobiliare americano si trattava di una pura
bolla - un eccesso di prezzo rispetto ai valori fondamentali - o il risultato
dei vari sussidi dati dall'amministrazione Bush all'immobiliare? E poi,
dovremmo farla esplodere? Il dibattito è stato dominato fin qui da quelli che
dicevano "non fatela esplodere", guidati da Greenspan e Bernanke.
Certo, teoria ed esperienza dicono che l'economia probabilmente entra in
recessione se la bolla esplode e i bilanci delle imprese quindi smagriscono.
Oggi il dibattito cerca di definire se le autorità devono essere preoccupate
della stabilità di prezzo degli asset, e fino a che punto. Una cosa è chiara
tuttavia: una buona applicazione della contabilità market value non dovrebbe
prendere i prezzi troppo alla lettera in una situazione di bolla. E non solo
perché la bolla può esplodere, ma anche perché se esplode lo fa quando il
settore corporate ha più bisogno di liquidità. Questo indica che se non si
rivedono le regole contabili del market value, i ratio di capitale devono
essere più alti quando il mercato è alto per creare sufficienti protezioni al
momento di sensibili ribassi. Si sta creando un mondo finanziario
a due velocità, grosse entità regolate e piccole assai meno regolate? Sì e no.
I grossi protagonisti saranno sempre al centro dell'attenzione perché una loro
défaillance avrebbe rischi sistemici. Ma ci saranno sempre piccole entità
regolate (banche retail, assicurazioni, fondi pensione) e grosse realtà non
regolate. La regulation è spesso dettata dalla volontà di proteggere realtà
potenzialmente indifese, depositanti, assicurati, futuri pensionati. A suo
avviso la nuova finanza sarà una versione riveduta della vecchia e con regole
migliori, o siamo nel mezzo di un grosso cambiamento per i modelli operativi
dei mercati? I mercati finanziari
saranno più piccoli, ma sempre centrali. Non credo stiamo cambiando paradigma,
ma acquisendo una migliore coscienza sulla necessità di regole efficaci. Non
solo supervisioni più efficaci, ma anche regole prudenziali macro. Intendo, non
solo norme sui ratio di capitale di banche e assicurazioni, ma anche attenzione
al generale equilibrio fra esposizioni a breve e a lungo. Questo perché se
molte grosse istituzioni sono molto illiquide e devono fare ricorso in modo
massiccio al mercato a breve, come nei casi recenti, la Fed e la Bce non hanno
sceltae devono tenere i tassi artificialmente bassi per consentire a queste
istituzioni di rifinanziarsi e sopravvivere. mario.margiocco@ilsole24ore.com ©
RIPRODUZIONE RISERVATA DOPO LA BOLLA Nuova finanza più piccola ma sempre
centrale L'Europa chiede maggiori garanzie per il mercato «over the counter»
Old America. Due donne in costume commemorano la Guerra di Secessione durante
la scorsa celebrazione del Memorial Day a Washington REUTERS
Jean Tirole. Nato nel 1953, è il direttore della Scuola di economia di Tolosa,
in Francia, e insegna anche al Mit. è stato presidente della European economic
association RéA
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( da "Sole 24 Ore, Il"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: IN PRIMO PIANO data: 2009-05-29 - pag: 3 autore: La cura anti-crisi
non è l'inflazione Il caso Fiat-Opel insegna che pesa la politica degli Stati -
Servono strumenti comuni come gli eurobond di Alberto Orioli I l ministro
dell'Economia, Giulio Tremonti, è uno dei medici che, al capezzale del
malato-mondo, si consulta quotidianamente con i colleghi dell'Europa, del G-8 e
del G-20 sul decorso della crisi globale. «Siamo ancora nella fase dell'impatto
– è la diagnosi che formula con i colleghi – del pronto soccorso. I governi per
ora devono occuparsi della tenuta di sistema. Poi verrà la fase due, quella
della riabilitazione, delle riforme. Ma adesso l'emergenza è ancora in atto.
Crisi deriva dal greco crisis, parola che vuol dire discontinuità e, quanto
all'Europa, ha un impatto sul cuore ideologico del Vecchio Continente, che è il
concetto stesso di mercato». Qual è la lezione del caso Fiat-Opel? Parto
dall'origine.L'Unione europea è stata basata su due trattati-pilastro: il
Trattato di Roma e il Trattato Euratom. Il cemento con cui è stato costruito il
primo pilastro è stato ed è il mercato. Il mercato unico ha funzionato in modo
straordinario e ha portato alla moneta unica. Il cemento con cui avrebbe dovuto
essere costruito il secondo pilastro era l'intervento pubblico: un'industria
come quella dell'energia non poteva essere sviluppata se non con la mano
pubblica e su scala sovranazionale. A differenza del primo, il secondo pilastro
è rimasto sulla carta. Dunque è rimasto solo il mercato come unica grande
soluzione per i rapporti tra politica ed economia? La filosofia politica
originaria dell'Unione espressa nei due trattati non era dominata
dall'ideologia del "mercato". Il secondo trattato avrebbe dovuto
essere totalmente pubblico; ma è rimasto solo il primo trattato e, dentro
questo, è stata la storia successiva a spostare l'asse dell'equilibrio tra
pubblico e privato sul quadrante esclusivo del privato, del mercato. Eppure
anche nel Trattato di Roma c'erano –e a ben vedere ci sono ancora – spazi per
forme di "politica industriale" nazionale e sovranazionale, per forme
di politica "colbertiana". Sono tuttavia spazi che negli ultimi 10-15
anni si sono progressivamente chiusi. La dialettica sugli aiuti di Stato
–dialettica tra divieto e permesso – si è progressivamente sviluppata nel senso
del divieto. Divieto generale, sistemico: il mercato doveva essere posto al
riparo dallo Stato in tutti i settori industriali. Ancora pochi mesi fa, alla
domanda che ho fatto in Eurogruppo sel'intervento operato dal Governo inglese
sulla banca Northern Rock fosse vietato o permesso la risposta fu: vietato. Poi
le cose, come dimostrano anche le Lezioni sul futuro pubblicate sul Sole 24 Ore,
sono cambiate. è intervenuta la dura legge della storia: il vertice di Parigi
dell'ottobre scorso, il G-20 di Washington, il vertice di Berlino e il G-20 di
Londra. è cambiato tutto in tema di aiuti di Stato a partire dagli interventi
sull'industria bancaria che è stata largamente nazionalizzata sul presupposto
della sua rilevanza sistemica e strategica. Ma ora sono in gioco anche
interessi industriali. L'intervento pubblico si sta spostando dall'industria
bancaria all'industria-industria. Dallo stato di necessità sistemica, tipico
dell'intervento sull'industria bancaria, si sta passando a una logica di
opportunità politica spinta fino agli interventi di merito sul ridisegno
strategico di riorganizzazione industriale. Anche solo qualche mese fa si
sarebbe levato altissimo il coro dei divieti ispirato dall'ideologia del
mercato. Appunto, che fine ha fatto il mercato?C'è una certa differenza tra la
necessità degli interventi sulle banche e l'opportunità degli interventi
sull'industria:i primi sono motivati da una logica di sistema (senza le banche
il sistema crolla), i secondi si sviluppano in una logica meno assoluta, più
influenzata da meccaniche di politica pura. è chiaro che il passaggio dalla
necessità assoluta all'opportunità marca un ruolo diverso dei governi. Non
formulo valutazioni di merito, non dico che è giusto o sbagliato, mi limito a
notare l'emergere progressivo di una politica nuova. Dunque della politica, e
il caso FiatOpel lo insegna. La meccanica e la tempistica degli interventi dei
governi sono influenzati dalle proiezioni di potere e di prestigio, a volte
addirittura dai calendari elettorali. Ripeto: non formulo valutazioni di
merito, mi limito a notare che i governi sono scesi dalla tribuna, sono entrati
in campo e si sono messi a giocare anche loro e a fare partite diverse. Ad oggi
si contano almeno 10 governi in campo. Non dico che è giusto o sbagliato, è
troppo presto per valutare la partita industriale in atto, ma è già tempo per
guardare al futuro dell'Europa. Quo vadis Europa?Per effetto della crisi– e
dopo la crisi – l'intero assetto della Ue, un tempo basato sulla uniforme
dottrina dogmatica, salvifica e unificante del mercato, sarà diverso per
effetto dei massicci aiuti e interventi di Stato operati dall'autunno del 2008
e la formula politica nuova non potrà essere trovata nel meccanico, automatico
ritorno a come era prima. Eppure dovrà essere di nuovo trovata, sopra queste
discontinuità, una nuova unità europea in idee e strumenti comuni nuovi che
diano corpo a politiche comuni dei governi, non più solo nazionali ma veramente
europee. La formula unitaria dell'Europa non potrà più essere costituita solo
dal mercato ma anche dalla politica. Politica non più basata solo sulla
necessità, solo sull'opportunità, solo sulla casualità. Un'occasione potrà
essere, per esempio, quel ritorno al secondo pilastro (quello che
manca),all'energia,naturalmente alle forme nuove dell'energia, allaricerca. Sta
pensando all'idea degli eurobond come mezzo per finanziare i grandi progetti
europei? Sì l'idea degli eurobond non è un'idea finanziaria,
è un'idea politica e ad alto valore simbolico. Non è un caso se gli Stati Uniti
d'America iniziano la loro storia con il Tesoro di Alexander Hamilton. Per
essere chiari, per l'Europa, la strategia di uscita dalla crisi non potrà
essere basata sul solo mercato o su interventi pubblici più o meno coordinati,
ma comunque nazionali. "Crisis", opportunità: la crisi può essere
un'opportunità per fare progredire l'Europa e non solo in senso economico ma
anche in senso politico. C'è già un esperimento di finanziamenti europei per
infrastrutture:l'azione comune della Cassa depositi e prestiti italiana con le
"gemelle" di Francia e Germania. è un test di laboratorio: ha preso
forma a Nizza quando su proposta italiana fu costituito il fondo Marguerite che
unisce in rete la Cdp, la Caisse des depot e la Kfw tedesca. è qualcosa che nel
tempo potrà dimostrare in nuce la validità degli eurobond. Tuttavia mobilita
poco più di un miliardo di euro. è un esperimento, non ha la simbologia
politica che certo avrebbe una scelta sistemica sui bond europei. Ma è utile lo
stesso. Oggi il governatore della Banca d'Italia, con molta probabilità,
inviterà i governi a puntare tutto sulla crescita e sulle riforme. Come c'è la
divisione dei poteri nella Costituzione, così c'è e deve esserci la divisione
dei ruoli tra governo e autorità tecniche. In questi ultimi anni l'azione di
Banca d'Italia è stata ineccepibile. La sovranità appartiene al popolo e, nel
bene o nel male, la responsabilità politica è del governo che risponde al
popolo. La politica economica la fa il governo ed è giusto che sia
così.L'esecutivo è responsabile se organizza le sue decisioni sulla base di
tutti i materiali tecnici che vengono prodotti. Come non è responsabile se li
ignora, così non è responsabile se non li elabora, come deve fare, in forma non
solo tecnica ma anche politica, rispondendo al giudizio che il popolo esprime
in sede elettorale. L'Italia punta molto per il prossimo
G-8 sui nuovi «global legal standard» per dare regole ai mercati finanziari. A cosa pensa? In
politica non c'è copyright,non c'èl'ufficio brevetti. E comunque nel mondo
c'era già, e crescente, la domanda di regole per l'economia. E tuttavia:
gennaio 2008, Parigi, seminario con Sarkozy, Merkel e Blair. Nel mio
intervento ho detto che, come il '900 è stato basato sulla regola del gold
standard, così questo secolo doveva essere basato su di un legal global
standard. Da allora il legal global standard è diventata un'«icona politica ».
Il governo tedesco sta definendo una sua Carta, l'Ocse sta lavorando. Il nostro
impegno è tanto culturale quanto politico e può integrare la stessa Carta di
Berlino. Quali saranno le nuove regole? A questa altezza di tempo posso solo
dire che per noi le regole non saranno da limitare alla finanza, ma da
estendere all'economia nel suo insieme, alle giurisdizioni, alle proprietà,
alla trasparenza, ai segreti. Le regole non possono essere solo tecniche, ma
devono poggiare su basi etiche. Quando lei parla di etica, c'è subito chi le
ribatte che torna lo Stato etico. Come risponde? Intendo che leregole non sono
solo tecniche – un caso in cui l'aggettivorischia di cancellare il sostantivo –
ma politiche e proprio per questo è un esercizio molto difficile. Non si tratta
di criteri contabili, di ratios finanziari o di best
practices. è una sfida di principio sui principi. è difficile ma non per questo
meno necessaria. Ma il Financial stability board non serve a questo? Il Fsb è
una struttura tecnica che definisce regole tecniche in rapporto non di
opposizione ma di complementarietà con una più ampia tavola di regole. Una
tavola che, se non sarà fatta quest'anno,dovrà comunque essere fatta in futuro
perchè l'unica possibile base di fiducia e per evitare che la fine di questa
crisi sia solo la preparazione della prossima. La lotta ai paradisi fiscali.
Qual è la capacità sanzionatoria effettiva? Il problema dei paradisi non è
tanto fiscale quanto legale. Nei paradisi il regime fiscale è un "
collaterale" –naturalmente molto apprezzato – rispetto a un
"principale" che è quello di poter usare giurisdizioni che hanno la
forma ma non la sostanza delle giurisdizioni, dove i ratios sul debito hanno
rapporti pari alle probabilità di vincita nei casinò, dove puoi
"incorporare" in un veicolo non societario tutto quello che ti pare,
dove la atipicità dei contratti e degli strumenti è la regola e non
l'eccezione, dove i tempi di approvazione sono istantanei e i controlli nulli.
Su questi, lo stop imposto dal G-20 di Londra è stato molto forte. Si è marcato
in particolare il "game over" sul segreto bancario. La partita, però,
è ancora aperta. Soprattutto in Europa.L'Europa con la Direttiva risparmio ha
introdotto l'«euroritenuta » come corrispettivo per la legalizzazione del
segreto bancario. In sostanza la Ue ha scambiato il segreto bancario per un
piatto di "zuppa svizzera". Quello di «eurotitenuta »è un regime
transitorio ma per modificarlo serve l'unanimità. E dunque il consenso dei
paesi che lo comprendono come principio di diritto. All'opposto per i paesi che
soffrono per l'evasione fiscale l'offerta di un rifugio comodo e sicuro per i
denari sottratti al fisco è in sè un incentivo all'evasione fiscale, un pezzo
essenziale del meccanismo di convenienza a evadere. Lo scudo fiscale. Si farà?
Non esiste uno strumento europeo, così come non esiste un divieto europeo. La
Commissione è stata molto chiara nel riaffermare il principio della sovranità
fiscale autonoma degli stati, ponendo solo il principio della non distorsione
del mercato europeo. Dopo il G-20 di Londra il laboratorio si è aperto in tutto
il mondo. L'Ocse sta facendo analisi molto accurate e noi stiamo seguendo
queste tracce. Può essere che alcuni materiali siano presentati al G8 di Lecce.
Le banche e i Tremonti bond. Il cavallo (le banche) non beve o beve a fatica.
Primo: non sono Tremonti bond. Sono uno strumento europeo che è applicato in
altri paesi Ue. Sono uno strumento di patrimonio e non di debito e se un
banchiere nota che costa troppo rispetto al debito, significa che non vuole
capire o che cerca argomenti per non applicare lo strumento. Tra le banche
aumenta la raccolta, ma non gli impieghi. La liquidità ancora non arriva alle
imprese. Se aumenta la raccolta e non aumentano gli impieghi può essere che non
ci sia domanda di credito ma può anche essere che le banche preferiscono
investimenti di tipo finanziario. In tutte le sedi
internazionali ti dicono che la liquidità immessa o in essere nel sistema finanziario (ciò che nel nostro caso è rappresentato dal
risparmio) non passa ancora come dovrebbe dall'economia finanziaria
all'economia reale. Un esempio: per molte delle operazioni sui col-laterali con
la Bce si ha l'impressione che si tratti di una circolazione un po' troppo a
circuito chiuso. Per suo conto il governo ha fatto davvero la sua parte per
immettere liquidità nel sistema. Sul 2009 la Cassa depositi e prestiti immette
20 miliardi, altri 4 la Sace, altri 4 vengono dall'accordo Abi-governo- Bei,in
più c'è l'effetto moltiplicatore forte soprattutto per i bond banche-Tesoro
dove il moltiplicatore è da uno a dieci: per 10 miliardi di bond fanno 100
miliardi di maggiore credito alle imprese. Sono cifre enormi. In più abbiamo
abbattuto il vecchio stock di rimborsi Iva; abbiamo fatto una saggia politica
di rateizzazione fiscale e contributiva. Ora la discussione tra gli economisti
è se l'imponente immissione di liquidità porti a un rischio-inflazione o a
un'opportunitàinflazione? In giro per il mondo l'ipotesi di fare inflazione ha
un nome elegante: exit strategy. Io sono contrario all'inflazione, anche per
ragioni morali e politiche. L'Europa è comunque tutta costruita contro
l'inflazione. L'inflazione non è la soluzione politica positiva e non può
essere una soluzione europea. La pressione fiscale aumenta per effetto del calo
del Pil. Le imprese ora chiedono la detassazione degli utili reinvestiti come
misura per il rilancio. Siamo ancora nella fase di gestione della crisi, è la
fase del pronto soccorso, la fase della riabilitazione verrà subito dopo.
Finora la priorità è stata la tenuta di sistema e, tuttavia, già stiamo
lavorando per una fase 2, quella della spinta e delle riforme. E le faremo non
sotto l'impulso degli slogan, delle denunce, dei rapporti shock ma sulla base
dei dati oggettivi e discutendo prima con le parti sociali. Le entrate fiscali
soffrono, si parla di ritorno dell'evasione. Le entrate sono in linea con le
stime e con le dinamiche legate alla crisi. Evasione? Vuole una prova che no? I
nostri dati al 30 aprile indicano un calo dell'Iva del 6%,in Francia lo stesso
dato è del 5,9%,cioè uguale.O mi dicono che è aumentata l'evasione anche a
Parigi e allora non si tratta di un fenomeno italiano, oppure –come penso
–sitratta di pura polemica politica, senza alcuna evidenza. Le imposte hanno
una loro " elasticità" e fare ragionamenti istantanei sul rapporto
imposte-Pil è solo un modo per fabbricare polemiche. Si aspettava che la
rimodulazione dei fondi per il Sud avrebbe messo in crisi la giunta siciliana?
Credo che le ragioni siano altre e che la crisi sia in fase di superamento. Per
quanto riguarda i fondi pubblici niente è stato tolto e niente sarà tolto al
Meridione. La questione meridionale è la principale questione nazionale così
come il federalismo fiscale è la madre di tutte le riforme. Non ha senso
pensare al Meridione come somma algebrica dei programmi regionali. Il
Mezzogiorno è qualcosa in più di questa somma, serve una visione strategica
nazionale. Il Nord ragiona e agisce in termini di sistema: il corridoio 5, l'asse Brennero Verona e
così via. è quello che finora è mancato al Meridione: tra Palazzo Chigi e
Regioni è necessario uno sforzo di discussione e di costruzione in una logica
di interesse nazionale sulla base di una visione strategica meridionale. ©
RIPRODUZIONE RISERVATA IL RAPPORTO CON LA BANCA D'ITALIA «La politica economica
la fa il governo che risponde al popolo. L'esecutivo non può ignorare i
suggerimenti tecnici» I «GLOBAL LEGAL STANDARD» Norme avanzate non limitate
alla finanza: riguarderanno le giurisdizioni, le proprietà, i segreti e la
trasparenza» «Per uscire dall'emergenza il mercato non basta». Il ministro
dell'Economia, Giulio Tremonti CONTRASTO
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( da "Sole 24 Ore, Il"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: MONDO data: 2009-05-29 - pag: 8 autore: Tensione alla frontiera. Le
truppe nella penisola si rafforzano dopo i test e le minacce di Pyongyang
Corea, Usa e Seul alzano l'allerta Sorveglianza portata a livello due, il più
alto dall'ottobre 2006 Stefano Carrer TOKYO. Dal nostro inviato Dalle 7 e 15 di
ieri mattina le forze armate sudcoreane (670mi-la effettivi) e quelle americane
nella penisola (28.500 unità) hanno elevato lo stato di allerta, dopo che il
regime nordcoreano - reduce dal test atomico di lunedì - ha dichiarato di non
considerarsi più vincolato dall'armistizio del 1953e di essere pronto ad
attaccare. Una dozzina dei più avanzati aerei da combattimento della Us Air
Force- gli F-22 Raptor - stanno per arrivare nella base di Kadena, a Okinawa.
La tensione lungo la linea di demarcazione e intorno ai confini marittimi
contestati nel Mar Giallo - ultima frontiera da Guerra fredda - non trova però riscontro sui mercati finanziari, dove gli investitori sembrano scommettere sulla mancanza di un
serio pericolo di conflitto (tanto che la Borsa di Seul ha guadagnato ieri il
2,2% e il won ha recuperato sul dollaro). «Il Comando delle forze combinate ha
alzato le Watch Conditions di un livello, allo stadio 2: la sorveglianza sarà
intensificata con più aerei e personale mobilitato », ha annunciato il
ministero della Difesa di Seul: solo quattro volte dal 1982 "
Watchcon" è stato elevato allo stadio 2, l'ultima poco dopo il primo test nucleare
nordcoreano dell'ottobre 2006. è la prima volta da 15 anni che il Nord mostra
di voler considerare non più valido l'armistizio, di cui ieri il Comando delle
Nazioni Unite a guida americana ha ribadito l'obbligatorietà per tutti i
firmatari e il suo intatto ruolo di «fondamento legale per il cessate il fuoco
in Corea». Vari esperti militari temono la possibilità di un limitato scontro
intorno al confine marittimo occidentale, area in cui il Nord ha dichiarato di
«non poter garantire la sicurezza» della navigazione e già teatro di incidenti
nel 1999 e nel 2002. Lo stesso governo sudcoreano, secondo indiscrezioni,
mostra di attendersi ulteriori provocazioni nella regione, come il lancio di
missili a corto raggio (Pyongyang ne ha lanciati già cinque dopo il test). A
New York, intanto, è andato in scena un nuovo braccio di ferro tra lo
schieramento guidato dal Giappone, che invoca sanzioni dure, e quello che fa
capo a Cina e Russia, riluttante a introdurre misure troppo severe che
renderebbero impossibile il ritorno di Pyongyang al tavolo dei negoziati a sei.
Il portavoce del ministero degli Esteri russo, Andrei Nesterenko, ha
sottolineato che Mosca non contempla alternative a un approccio diplomatico:
«Non vediamo la necessità di usare il linguaggio delle sanzioni ma piuttosto
quella di mostrare pazienza e moderazione». Al contrario, il Giappone ha
insistito per sanzioni che taglino le relazioni finanziarie
di Pyongyang con il resto del mondo, estendano a un bando totale le restrizioni
al commercio di armi (oggi riguardanti solo gli armamenti pesanti), proibiscano
i viaggi all'estero di alti funzionari governativi e diano il via libera a
effettivi controlli anche sulle navi dirette verso ( o provenienti dalla) Corea
del Nord. Le minacce di guerra di Pyongyang sono arrivate proprio dopo che la
Corea del Sud ha annunciato la sua adesione alla Proliferation Security
Initiative, che prevede appunto la possibilità di ispezionare cargo in alto
mare. Ieri sera in realtà è stata fatta circolare una bozza di risoluzione meno
ambiziosa, preparata da Stati Uniti e Giappone e sottoposta ai membri
permanenti del Consiglio di sicurezza. Nel testo si legge che il Consiglio di
Sicurezza «condanna nei termini più forti il test nucleare condotto il 25
maggio 2009 in
flagrante violazione e inosservanza delle sue risoluzioni» e chiede «a tutti
gli stati membri di applicare le misure adottate dalla risoluzione 1718». Le
discussioni proseguiranno serrate in un weekend in cui è previsto anche un
vertice tra il segretario alla Difesa Usa Robert Gates e i suoi colleghi
giapponese e sudcoreano, a margine di una conferenza sulla sicurezza a
Singapore. © RIPRODUZIONE RISERVATA BRACCIO DI FERRO ALL'ONU Lo schieramento
occidentale, guidato dal Giappone, vuole una risoluzione dura, frenano Cina e
Russia: «Il linguaggio delle sanzioni non serve»
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( da "Sole 24 Ore, Il"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: ECONOMIA E IMPRESE data: 2009-05-29 - pag: 18 autore: Farmaci. Siglato
un accordo per facilitare le fasi iniziali della ricerca - Credito più facile
alle Pmi Alleanza governo-imprese sul biotech Sara Todaro ROMA Governo e
imprese scommettono assieme sulla crescita della sperimentazione clinica
biotecnologica in fase precoce. Per un periodo sperimentale di 12 mesi le
aziende che intendono avviare studi iniziali sui medicinali (Fase I e II)
potranno contare su tempi certi e procedure agevolate da parte degli organi di
vigilanza; in cambio si impegneranno a effettuare le prime fasi di ricerca in
Italia per almeno il 50% delle molecole in fase di discovery o preclinica.
Questo il succo dell'accordo siglato ieri –presente il viceministro al Welfare,
Ferruccio Fazio –da Guido Rasi,Dg dell'Agenzia italiana del farmaco, Enrico
Garaci, presidente dell'Istituto speriore di Sanità e Roberto Gradnik,
presidente di Assobiotec (Federchimica). L'impegno – assunto al termine
dell'assemblea annuale dell'associazione che rappresenta un centinaio tra
imprese e parchi tecnologici e scientifici attivi nelle biotecnologie in tutti
i campi applicativi – giunge in un momento particolarmente delicato per il
settore che vanta ormai 260 imprese, soprattutto piccole (73%), focalizzate
sulla cura della salute (73%), con 5,4 miliardi di fatturato, 1,5 miliardi di
investimenti e 41mila addetti, il 36% occupati in ricerca e sviluppo. «Il
comparto è in crescita, ma senza interventi di supporto con la crisi in corso rischia il tracollo nel giro di un paio
d'anni, pur disponendo di un'enorme potenzialità con 132 prodotti pronti per lo
sviluppo», ha avvisato spiegato Gradnik, sollecitando «investimenti sul futuro
e una azione coordinata a favore dell'innovazione». «Vanno superati timori e
riserve di alcune parti politiche che in passato hanno impedito lo sviluppo dei
rapporti accademia- industria. L'esperienza degli Usa dimostra che si tratta
invece di un matrimonio fondamentale per lo sviluppo dei settori avanzati», ha
convenuto Fazio, padrino della partnership. Accelerare le procedure non sarà
però sufficiente: alle imprese – ha detto il presidente Assobiotec – serve
l'ossigeno per far girare i motori. Tra le misure più attese, la
stabilizzazione per almeno 10 anni del credito d'imposta per le attività di
ricerca e sviluppo (oggi valido solo per il triennio 2007- 2009);l'innalzamento
dello stesso dal 40% al 50% per la ricerca commissionata a enti terzi;
l'accantonamento del 10% dello stanziamento per le Pmi ad alta intensità di
ricerca; l'eliminazione del meccanismo a prenotazione per accedere al questo
beneficio oltre che l'innalzamento dello sgravio fiscale dal 10% al 25% per la
ricerca e sviluppo, sostenuta in house dalle imprese, sul modello francese.
Gradnik ha sollecitato anche l'avvio del bando per le scienze della vita di
Industria 2015, che a tre anni dal lancio non è ancora stato emanato; l'avvio
delle sperimentazioni in campo per l'agrobiotec concordate nel 2008; il
riconoscimento a livello legislativo, dello status della piccola impresa
innovativa, quella cioè che investendo in ricerca oltre il 30% del fatturato si
ritrova ad essere la più esposta alla crisi finanziaria e alla carenza di
venture capital. Su questo fronte qualche risposta l'ha offerta il sottosegretario
all'Economia, Luigi Casero: «Il Governo sa che su questo settore bisogna
investire: da questa crisi
usciremo sapendo che le Pmi saranno un fattore di sviluppo a livello mondiale e
che il modello italiano va sostenuto con normative e procedure ad hoc». La
promessa concreta: proseguire nei prossimi mesi il confronto con il sistema
bancario perché alle Pmi «sia garantito l'accesso ai finanziamenti non solo in
base alle garanzie di credito ma in base alla capacità di crescita delle
imprese». © RIPRODUZIONE RISERVATA L'ASSOCIAZIONE Gradnik sollecita l'avvio del
bando «scienze della vita» di Industria 2015: a tre anni dal lancio ancora non
è stato emanato
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( da "Sole 24 Ore, Il"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-05-29 - pag: 29 autore: Svizzera. Il
prelievo sui conti All'Italia il record dell'euroritenuta 2008 Lino Terlizzi
LUGANO Aumenta l'euroritenuta in arrivo dalla Svizzera.E l'Italia supera la
Germania nella graduatoria che comprende i Paesi della Ue. L'imposta sui
redditi da interesse, o euroritenuta, riguarda le persone fisiche residenti
nella Ue che hanno conti e patrimoni in Svizzera ed in altre piazze finanziarie
europee in cui c'è il segreto bancario. I residenti nella Ue possono scegliere
se dichiarare quanto hanno ai rispettivi Stati o pagare quest'imposta anonima.
Dal luglio 2005 al luglio 2008
l'aliquota è stata del 15%, poi è salita al 20. In futuro arriverà al
30. La Confederazione resta la principale piazza di gestione di capitali
internazionali e rappresenta quindi un termometro. Secondo i dati del ministero
elvetico delle Finanze, nel 2008
l'euroritenuta in Svizzera è stata di 738,4 milioni di
franchi (489 milioni di euro), in aumento rispetto ai 653,2 milioni di franchi
del 2007. Agli Stati della Ue spettano i tre quarti dell'ammontare, come
prevedono gli accordi tra Berna e Bruxelles, mentre alla Svizzera come Stato
esattore è andato un quarto. In cifre, agli Stati Ue per il 2008 sono andati 553,8
milioni di franchi (367 milioni di euro), alla Svizzera 184,6 milioni di
franchi. Per quanto riguarda le nazionalità dei patrimoni depositati in
Svizzera, Roma e Berlino restano in testa, ma questa volta è prima l'Italia (95
milioni di euro) e seconda la Germania (91 milioni). Seguono Francia (47
milioni) e Regno Unito (28 milioni). Essendo stato il 2008
un anno segnato dalla crisi finanziaria e dunque non di grande afflusso di capitali, il primo posto
italiano secondo alcuni esperti elvetici deriva dalla forte presenza di
capitali italiani sulle obbligazioni, con una minore presenza sulle azioni.
L'euroritenuta si applica appunto al reddito fisso e non agli investimenti
azionari. La stessa ragione potrebbe spiegare una parte dell'aumento
complessivo dell'euroritenuta, perché anche altri investitori potrebbero aver
scelto l'anno scorso obbligazioni difensive. «In effetti, credo che dietro il
marcato aumento dell'imposta nel 2008 –dice Franco Polloni, membro della
direzione generale della banca elvetica BSI (Gruppo Generali), esperto di
euroritenuta – vi siano tre fattori principali: il passaggio dell'aliquota a
metà anno dal 15% al 20; il forte peso degli investimenti obbligazionari,
vissuti come a minor rischio dagli italiani soprattutto, ma anche da altre nazionalità;
probabili effetti valutari, considerando anche le oscillazioni che nell'anno
hanno toccato franco, euro e altre monete». I residenti nella Ue che hanno
dichiarato conti in Svizzera sono stati nel 2008 43mila, meno dei 63mila del
2007. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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( da "Manifesto, Il"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Dal pensiero a
ll'azione consapevole Ugo Biggeri* *Fondazione culturale Responsabilità etica
www.ter Ci siamo, da oggi a domenica a Firenze c'è la sesta edizione di Terra
Futura alla Fortezza da Basso. In questo 2009 di crisi
viene voglia di dire: lo avevamo detto... Perché è una crisi
che si aggiunge alle altre crisi: quella climatica,
quella della fine del petrolio quella agricola, quella sociale. Una crisi figlia dell'idea che la crescita vada perseguita ad
ogni costo, fosse anche virtuale e fraudolentala. La crisi finanziaria è la fine di un
paradigma, la fine di un modello. Tutti discorsi già sentiti a Terra Futura,
scritti addirittura nelle sue parole chiave. Sì, lo abbiamo detto e lo diciamo.
Ma riflettendoci bene Terra Futura ha già fatto qualcosa di più: ha presentato
della alternative, delle buone pratiche che già in questi anni stanno
costruendo un altro mondo possibile. Ha contribuito ha costruire reti
che hanno operato per il cambiamento, ha favorito incontri, lavori comuni. Da
Terra Futura e dai suoi partner è partita la spinta che ha innescato il la
voglia di confronto da cui è nato il "manifesto per la riforma della
finanza" che è stato portato e approvato al recente congresso della Fiba
Cisl. E dalle idee di Terra Futura è nato Zoes.it, la piattaforma web generata
dagli utenti che è al servizio delle economie eque e sostenibili. Abbiamo
iniziato con l'avventura di Terra Futura dopo l'esperienza del Social forum
europeo, quando Bush era diventato da poco presidente degli Stati Uniti, e
ancora si discuteva se i cambiamenti climatici erano davvero una cosa seria.
Nessuno conosceva la finanza etica. Oggi non solo Obama è presidente, ma in
Europa anche i governi di destra (con l'eccezione italiana) studiano e operano
per un green new deal, per un impegno sempre maggiore nell'economia verde.
Inoltre sono nate tantissime altre kermesse in Italia e nel mondo che hanno
temi simili a quelli di Terra Futura. Forse i cambiamenti, nonostante tutto, ci
sono. Sono sempre più lenti di quanto vorremmo. Ma ci sono. Dieci anni fa, in
questo periodo, il movimento stava preparando le manifestazioni contro al Wto a
Seattle. Oggi quel movimento non ha la spinta propulsiva di allora, ma a Terra
Futura si vede come in realtà sia presente tra la gente, nelle buone pratiche
di sostenibilità che crescono di anno in anno. Basterà perche fra dieci anni si
abbia una società più sostenibile? Saskia Sassen, Houtard, Sachs, Hines,
Danaher, George e molti altri pensatori di rilievo ci aiuteranno a capire in
questi tre giorni. Le animazioni e gli espositori di Terra Futura ci
mostreranno che un'economia che rispetti i valori delle persone può essere
piacevole e desiderabile. La migliore risposta alla crisi
determinata dall'economia irresponsabile per definizione - perché ideologicamente
slegata dalle sue conseguenze sociali ambientali, culturali - è quella di
continuare a costruire reti di economia responsabile. Reti che coinvolgano
cittadini, imprese tradizionali, associazioni, istituzioni e quindi le scelte
politiche. È la strada di vedere queste crisi come
opportunità vere di cambiamento dell'economia. a partire dai nostri modelli di
consumo. Terra Futura continua ad essere un bel tassello in questa strada.
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( da "Sole 24 Ore, Il"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: FINANZA E MERCATI data: 2009-05-29 - pag: 41 autore: La crisi dei mutui. Il colosso Usa del credito sta trattando
con le autorità di vigilanza: era accusata di aver nascosto le perdite
Subprime, Citi patteggia con la Sec La transazione non chiuderebbe però tutte
le incognite legali e con il governo Il conto della crisi si fa ogni giorno più costoso per
le traballanti istituzioni finanziarie americane: Citigroup dovrà pagare una
penale, ancora da definire, alla Sec per aver nascosto la realtà agli
investitori sui famigerati mutui sub- prime. Ennesima tegola per la più grande
banca commerciale al mondo travolta in pieno dalla crisi
finanziaria ed ennesimo «scandalo» portato
alla luce dal crack dei prestiti-spazzatura. Secondo quanto riferito dal Wall
Street Journal, Citi ha avviato un negoziato con la Sec per trovare un accordo
su un'indagine partita due anni fa. La severa commissione di controllo
americana sui mercati aveva aperto un dossier su Citi, e altre banche, nel 2007
proprio al momento in cui scoppiò il bubbone dei mutui subprime: Citi, allora
guidata da Charles «Chuck» Prince, è sospettata di aver ingannato gli
investitori non rivelando l'esatto ammontare dell'esposizione sui titoli
derivanti da cartolarizzazioni di mutui subprime. I traballanti prestiti casa
elargiti con eccessiva faciloneria a famiglie insolventi e magicamente
trasformati in bond «tripla A» quando invece erano titoli spazzatura hanno di
fatto dato il via alla crisi: il loro default,
nell'estate del 2007, costò il tracollo di Bear Stearns e innescò una reazione
a catena sul mercato che ha portato alla crisi
attuale. La mossa della Sec potrebbe segnare l'avvio di una nuova fase in
merito a numerose indagini civili dell'Autorità tutte partite nel 2007: la
volontà della banca di cercare un accordo con la Sec (solitamente questi
agreement hanno la forma di una multa in denaro) eviterebbe di dover fare
un'ammissione di responsabilità, ma getterebbe nuova luce sulla "catena di
sant'antonio"dei mutui subprime (che partiva dalle finanziarie di prestiti
per arrivare ai portafogli di investitori istituzionali e fondi pensione di
tutto il mondo). Ai primi di ottobre del 2007 Citi aveva fatto una stima
preliminare, calcolando una perdita di 1,3 miliardi di dollari sul valore di
asset legati ai mutui e prestiti per acquisizioni a leva. Due settimane dopo la
stessa banca aveva annunciato un utile trimestrale crollato del 57% con perdite
legate agli «asset tossici» lievitate a 1,83 miliardi dopo che l'agenzia di
rating Moody's aveva tagliato il giudizio su quegli stessi asset. Passate altre
due settimane, Citi si vide costretta a un'altra massiccia svalutazione, fino a
11 miliardi, sempre per l'esposizione sulle cartolarizzazioni di mutui. Solo
più tardi Citi ammise che l'esatto ammontare dell'esposizione sui titoli
garantiti da subprime era di 55 miliardi, inclusi 43 che non erano stati
comunicati ai primi di ottobre. La cosa destò la preoccupazione della Sec che
aprì indagini anche su Merrill Lynch ( poi salvata da Bank of America) e Lehman
Brothers (fallita lo scorso settembre). L'esito dell'accordo non è scontato:
Citi ha dalla sua parte alcuni argomenti giuridici che potrebbe far valere per
cercare di disinnescare la mina della Sec. Avendo la banca ricevuto aiuti
pubblici, nel caso sia costretta a pagare una multa, lo farebbe utilizzando in
parte del denaro che, in ultima istanza, proviene dal contribuente
americano.L'argomento nonè così infondato: secondo i giornali americani
all'interno della stessa Sec c'è un grosso dibattito per capire se sia corretto
che Citi paghi utilizzando risorse pubbliche. S. Fi. © RIPRODUZIONE RISERVATA
IL CASO La banca, allora guidata da Prince, è sospettata di aver mentito
sull'esatto ammontare dell'esposizione sui titoli diventati illiquidi
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( da "Manifesto, Il"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
DOMANI Corteo a
Rho per gli spazi sociali in città Negli ultimi anni abbiamo assistito alla
trasformazione del territorio metropolitano spinto dalla rendita fondiaria e
dalla speculazione edilizia. Scintillanti grattacieli, uffici, centri
congressi, hotel, centri commerciali, abitazioni per ceti medio-alti stanno
radicalmente cambiando il volto della città. La crisi finanziaria è diventata crisi dell'economia reale e in questo
contesto vengono chiuse aziende e lasciati a casa lavoratori, facendo diventare
le aree dismesse (9 milioni di mq nella sola Milano) un ottimo affare per gli
speculatori e, quindi, un'occasione per i poteri economici di portare avanti il
disegno di città-vetrina. In questo contesto Expo 2015 rappresenta un
acceleratore delle trasformazioni in quanto evento utilizzato per giustificare
tutte le speculazioni da realizzare nell'area metropolitana e non solo. La
direzione che ha preso lo sviluppo della metropoli comporterà l'esclusione di
una moltitudine di soggetti dal processo di costituzione della città-vetrina
che verranno «gestiti» attraverso il ricorso a politiche securitarie che vanno
a colpire migranti, rom, writers, centri sociali, soggetti deboli. La crisi del welfare trasforma i problemi sociali in problemi
di sicurezza e, quindi, il potere trasforma i soggetti esclusi in «invisibili»,
al massimo oggetto di carità in quanto «bisognosi», ma certamente non titolari
di diritti. In questo contesto metropolitano il territorio di RhoPero,
interessato dalla Fiera ed all'Expo, assume una sua particolare specificità.
Proprio un anno fa veniva sgomberato il centro sociale SOS Fornace, un esempio
di «riqualificazione dal basso» di un'area rimasta dismessa per una decina di
anni che attraverso l'autogestione è stata riportata in vita facendola diventare
un soggetto critico e conflittuale contro la ristrutturazione che sta subendo
il nostro territorio. Proprio l'opposizione alla Fiera e all'Expo è stato il
motivo principale dello sgombero. La ripresa di Cox18 ha dato un forte segnale
in controtendenza rispetto a quello che sta succedendo da alcuni anni a Milano.
Crediamo che sia il momento di iniziare a pensare il conflitto a un livello
metropolitano, che guardi ai territori dove sono in corso processi di
ristrutturazione e trasformazione. Per questo sabato 30 maggio attraverseremo
la città di Rho con un corteo metropolitano che rivendichi spazi sociali dentro
e contro la città-vetrina. Creiamo conflitto, liberiamo spazi, reclamiamo
reddito, rivendichiamo diritti nella città vetrina di Expo 2015. Domani, corteo
metropolitano, concentramento alle ore 15 alla stazione fs di Rho. Sos Fornace
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( da "Sole 24 Ore, Il"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: MATERIE PRIME data: 2009-05-29 - pag: 44 autore: Australia. A
ridimensionarsi sono i finanziamenti dei progetti in fase avanzata
L'esplorazione mineraria continua Barbara Pezzotti SYDNEY Nonostante la crisi in atto, il boom di investimenti nel settore minerario
australiano non si è spento. A rivelarlo è un report di Abare, l'Australian
Bureau of Agricultural and Resource Economics, dal titolo «Minerals and Energy:
Major Development Projects». Secondo il rapporto, nel periodo 2008-09 a tenere alto il livello
degli investimenti sono state soprattutto le nuove esplorazioni, per le quali
le compagnie minerarie del Paese- continente hanno speso la cifra record di 5,6
miliardi di dollari australiani (3,14 miliardi di euro). I progetti in fase
avanzata hanno però mostrato qualche rallentamento. L'ultima stima sugli
investimenti minerari complessivi, nei 12 mesi che termineranno a fine giugno,
è di 35,92 miliardi di A$. L'anno scorso il record nel prezzo del greggio ha
portato a un aumento del 36% nelle esplorazioni petrolifere, a 3 miliardi di
dollari (1,7 miliardi di à ). I finanziamenti per le ricerche nel settore dei
minerali ferrosi sono saliti del 14%, a 512 milioni (287 mln à ), mentre gli
investimenti nell'oro sono calati del 20%,a 475 milioni (266 mln à ). La crisi finanziaria sembra aver però condizionato i progetti in fase avanzata: gli
investimenti per questi sono calati ai minimi degli ultimi quattro anni.
Inoltre sono solo 11 i piani che, nei sei mesi conclusi ad aprile, sono
progrediti a uno stadio avanzato, contro i 18 che sono terminati nello stesso
periodo. Un rallentamento evidente, se si considera che 58 nuovi
progetti erano stati avviati nei sei mesi all'aprile del 2008. Nonostante ciò,
la spesa totale per 74 progetti avanzati alla fine dello scorso aprile ha
segnato un incremento del 16% rispetto ai sei mesi terminati alla fine di
ottobre. A spiegare questa cifra è soprattutto l'impegno di Bhp Billiton in
alcuni grandi progetti nel Western Australia. « Rapid Growth 5 nel comparto dei
minerali ferrosi e lo sviluppo del North-West Shelf portati avanti da Bhp
Billiton –afferma Alan Copeland, senior commodity analyst di Abare –hanno
contribuito in maniera determinante a questa cifra ». In generale, i progetti
nel Western Australia continuano a fare la parte del leone, rappresentando il
70% delle spese di capitale per i progetti avanzati. Per Abare c'è spazio per
l'ottimismo. «Nell'industria mineraria australiana – commenta Copeland – ci
sono ancora molti soldi da spendere, soprattutto nel carbone, nei minerali
ferrosi e nei progetti sul gas. Non c'è dubbio che i consigli d'amministrazione
stiano valutando questi progetti in un'ottica di lungo periodo, contando su un
inevitabile futuro rafforzamento dell'economia mondiale». © RIPRODUZIONE
RISERVATA
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( da "Sole 24 Ore, Il"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24 Ore
sezione: SYSTEM (BANCA MEDIOLANUM) data: 2009-05-29 - pag: 22 autore: Il Punto
dei Mercati, di Vittorio Gaudio* Svolta cruciale per la ripresa Dopo il livello
minimo del 6 marzo scorso, Wall Street ha ricominciato a crescere C on ogni
probabilità, la data di venerdì 6 marzo 2009 passerà nei testi di storia
economica per avere rappresentato un radicale ‘punto
di svolta' nell'evoluzione dei mercati finanziari globali.
Nelle settimane precedenti a tale data, le Borse di tutto il mondo si erano avvitate
in una corsa al ribasso apparentemente senza fine, provocando ondate di
pessimismo sulle sorti del sistema finanziario e delle
economie, e rendendo il compito sin troppo facile a chi volesse ogni giorno
individuare nuovi motivi di sconforto. Questo accadeva, nonostante nel
frattempo potenti medicine fossero state iniettate nel corpo dei mercati: il piano Obama e i piani del Tesoro USA, gli
stimoli infrastrutturali in Cina, l'aggressività non convenzionale della
Federal Reserve e di altre Banche centrali. Nessuna reazione. Poi
improvvisamente, la notizia-miccia: alcune grandi banche internazionali stanno
facendo profitti da inizio 2009, nonostante i titoli tossici, le Borse, il calo
delle commissioni, l'ingessamento del credito, la fuga dei talenti, e via
dicendo. Dal livello ‘diabolico' di 666 dell'indice S&P 500 di Wall Street, che quel
venerdì 6 marzo ha fatto toccare il punto minimo per la Borsa americana, si è
innescato un rialzo straordinario di quasi 40 punti percentuali, il miglior ‘rally'
su base
bimestrale dagli anni Trenta, del secolo scorso. Questo improvviso cambiamento
di umore è legato alle leggi arcane della Borsa: il mercato vede il suo minimo
quando il pessimismo imperante ha portato anche l'ultimo venditore a liquidare
le posizioni. Da quel momento, le quotazioni azionarie possono ripartire da
nuove e più solide basi. A dimostrazione dell'ormai strettissima correlazione
tra psicologia dei mercati e clima economico, la
progressione positiva dei listini sta conducendo a una maggiore fiducia anche
sulle prospettive dell'economia reale per i prossimi trimestri. Ci sembra
quindi ragionevole affermare che il ‘livello 666' sia il
minimo di questo ciclo borsistico, non più ripetibile, a meno di situazioni
catastrofiche ed esogene ai mercati. Le Borse resteranno,
certo, volatili e potranno vivere anche situazioni di rintracciamento nei
prossimi mesi: tuttavia, se il punto di svolta è ormai alle nostre spalle,
queste correzioni si presenteranno al risparmiatore come occasioni preziose per
approfittare del ‘bull market' prossimo venturo. *
Responsabile gestione Patrimoni di Mediolanum Il grafico riporta l'andamento
dell'indice ‘S&P
500 Composite' della Borsa americana in questi ultimi mesi: in evidenza, il
punto di svolta del 6 marzo scorso, che segna un'inversione di rotta
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( da "Manifesto, Il"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
GRAN BRETAGNA La crisi? «Qui non si sente molto», dicono in tanti, «il peggio
deve ancora arrivare», ribattono altri. Londra, capitale finanziaria
di portata mondiale, è convinta di non sentire la recessione. Ma per salvare le
banche il governo ha aperto buchi nel bilancio: nel futuro incombono tagli alla
spesa pubblica Londra, la «città globale» che nega la sua crisi
Nella City continuano a circolare i soldi pompati dal governo, sui
licenziamenti si stende un velo. Ma si prepara un futuro d'austerità Marco
d'Eramo INVIATO A LONDRA INVIATO A LONDRA Un mistero aleggia sulla crisi che devasta l'economia mondiale. In qualunque città ti
trovi, quando chiedi quanto grave è la recessione, la risposta che
invariabilmente ti senti dare è la seguente: «La crisi
è tremenda, feroce, ma in questa città è meno grave che altrove, qui si sente
meno». A San Francisco, «la città è piccola e quindi c'è sempre penuria di case
che i ricconi asiatici vogliono comunque comprare: le quotazioni immobiliari
tengono abbastanza»; a Chicago «la crisi era stata
violentissima negli anni '80 e ora si sente meno»; a Las Vegas «c'è un
ridimensionamento, ma tutto sommato proprio nei tempi duri la gente ha bisogno
di sognare»; a Leeds no, «perché è una città di colletti bianchi con tanto
pubblico impiego» (vedi il manifesto del 21 maggio). «La crisi
della città accanto», la potremmo chiamare. «Io stavo per darti la stessa
risposta» mi dice Susan Watkins, direttrice della New Left Review, mentre
mangiamo un boccone al Blacks, un club di Soho, a pochi passi dalla sede della
rivista: il Blacks è ormai inevitabile punto di ritrovo per un nutrito
drappello dell'intellighenzia progressista londinese, giornalisti, registi,
fotografi, saggisti. «Infatti» dice Watkins, «tutti i soldi che il governo del
New Labour ha pompato nelle banche continuano a girare nella City. Ci sono
stati licenziamenti, alcuni esercizi hanno chiuso. Ma è stato in gran parte
compensato dal calo della sterlina che ha fatto affluire molti più turisti». La
crisi della città accanto si trasforma spesso nella «crisi della porta accanto»: quante volte ti senti dire: «Io
non sono stato colpito personalmente dalla crisi, ma
conosco uno che è stato licenziato proprio ieri»? In realtà, qui a Londra, come
ovunque, potresti individuare la posizione politica del tuo interlocutore dal
suo giudizio sulla gravità della crisi. «Il peggio
deve ancora venire» mi dice la sindacalista e attivista Jane Shalice. Siamo
seduti nel giardino di Bloomsbury Square in una rara mattinata di sole di
questo maggio arcigno, freddino e piovoso: «Per salvare le banche, il governo
di Gordon Brown sta scavando una voragine nel bilancio dello stato: per
riempirla, il prossimo governo conservatore procederà a tagli pesanti della
spesa pubblica e a licenziamenti nel pubblico impiego (qui tutti danno per
scontato che alle prossime elezioni vincano i tories di David Cameron, ndr). E
allora la crisi sarà durissima. Si fanno tanti
paragoni con la Grande Depressione. Ma nel 1929, quando scoppiò la crisi, la disoccupazione non era al 25%. Solo tre anni, nel
1932, dopo arrivò a questo livello. Gli effetti veri li vedremo fra un paio di
anni». Se per l'estrema sinistra il peggio deve ancora venire, per centristi e
conservatori il peggio è ormai alle spalle. «Vi sono due scuole di pensiero»,
mi dice John Kampfner, già direttore del settimanale New Statesman e ora
saggista e manager del sito (e magazine) Index on Censorship (Kampfner ha
appena dato alle stampe Libertà in saldo, un libro che si chiede come mai, in
tanti paesi, dalla Russia all'Italia, dalla Thailandia alla Gran Bretagna, i
cittadini sono pronti a scambiare le proprie libertà e i propri diritti civili
in cambio della sicurezza o della promessa di sicurezza). «Per una prima scuola
di pensiero la crisi attuale è solo una cunetta nello
sviluppo capitalistico, un dosso, brusco quanto si vuole, ma pur sempre solo
un'ammaccatura. Per l'altra scuola di pensiero, siamo di fronte a una rottura
vera e propria dell'ordine capitalistico. Per il momento non si può dire. Se il
Prodotto interno lordo crolla di un 5%, per l'economia nazionale è una
catastrofe, ma se tu devi ridurre il tuo livello di vita del 5%, puoi farlo
senza risentirne troppo: esci un po' meno, compri un po' meno giornali, accorci
un po' le tue vacanze, riduci un po' la qualità dei tuoi vestiti, rimandi
alcune spese. Puoi anche ridurre del 10% il livello di vita e non risentirne.
Certo, nella finanza e nella pubblicità stanno licenziando, ma il turn over è
sempre stato vorticoso: alle dieci del mattino eri alle stelle e alle 17 sei
sbattuto fuori. L'altra scuola di pensiero, quella de 'il peggio deve ancora
venire' ha dalla sua la prospettiva del governo Tory. Fino a qualche mese fa
Cameron era stato abile, aveva evitato il classico discorso conservatore di
privatizzazioni selvagge e tagli alla spesa sociale, ma ora comincia a dire che
stiamo entrando 'in un'era di austerità': comincia a promettere anche lui
'lacrime e sangue'. Ma anche se il peggio deve ancora venire, non so in che
senso si parla di 'discontinuità capitalista'. Non ho mai capito cosa vuol dire
l'espressione 'nuovo capitalismo'». Certo, è sconcertante
questo understatement della crisi, per quanto in puro stile anglosassone. È mai possibile che la
massima capitale globale della finanza globale non risenta della crisi finanziaria globale? I prezzi
delle case sono scesi di un buon 30%, «ma in fondo sono solo tornati ai livelli
sempre molto alti del 2006», ti obiettano. Fino a ieri, il massimo dello
chic era fare il pendolare tra New York e Londra, i due centri della finanza
mondiale, abitare «NyLon». Il ruolo di Londra e della sua City era stato
garantito dalla deregulation finanziaria, dalla
sregolatezza che ne aveva fatto «la capitale globale della criminalità
globale», secondo un'espressione di Kampfner. Ora i governi parlano di
reintrodurre almeno timidi controlli, di tassare almeno un po' i redditi alti:
tutto ciò non farà perdere a Londra la sua leadership mondiale in settori
chiave della finanza (come per esempio il mercato valutario, l'unica forma di
speculazione che ha superato abbastanza indenne la crisi)?
Curiosamente, nessuno qui prende in considerazione neanche la minima
possibilità che Londra perda il suo status finanziario. Non si capisce se è
ottimismo o è rifiuto dell'evidenza, uno state of denial, come nei tabagisti
quando si parla dei danni del fumo. «I motivi fondamentali per cui i russi si
sono stabiliti qui rimangono validi anche adesso, dice Kampfner, «anche se il
governo Brown si è deciso infine ad aumentare le tasse portandole al 50% per i
redditi oltre le 150.000 sterline, mentre finora c'era un'imposizione piatta
del 40% per tutti i redditi superiori alle 40.000 sterline annue. Era una
misura che i laburisti avrebbero dovuto prendere anni fa, al tempo delle vacche
grasse, ma non ne hanno avuto il coraggio anche se era popolarissima. Ora
invece i tabloid si scatenano (il London Life titola: 'I boss della City si
mettono in fila per evitare la stangata della tassa al 50%'). Il Financial
Times lancia l'allarme e minaccia che se davvero ci sarà una nuova regulation finanziaria, 'Nylon sarà soppiantata Shangkong' (Shanghai e
Hongkong), ma a me sembra già dell'altroieri lo slogan che si recitava
'Shanghai, Mumbay, Dubai e Goodby'. Non vedo declino: Londra offre un insieme
unico di vantaggi: gli oligarchi erano venuti qui per la lingua - l'inglese
come tramite universale - , per l'esenzione fiscale sugli stranieri non
residenti, soprattutto per le scuole di qualità per i figli». Con chiunque
parli, la scelta della scuola è un fattore dirimente dello sviluppo dei
quartieri londinesi: le case aumentano di prezzo nelle vicinanze delle buone
scuole e si deprezzano intorno ai licei scadenti, mi conferma la preside di una
scuola di Brixton: «Secondo le nostre regole, chi abita lontano da una buona
scuola non potrà mai sperare d'iscrivervi i propri figli, quindi preferisce
trasferirsi vicino a un istituto di qualità perché pensa che l'investimento
renda in termini di carriera futura dei figli». Non vede un declino di Londra
neanche Robin Murray, studioso dello sviluppo urbano, consulente di Ken
Livingstone quando era presidente della Grande Londra (1980-86) contro la
Thatcher, tanto che per farlo fuori la Lady di ferro abolì addirittura la
figura istituzionale. Detto «Ken il rosso» perché dissidente di sinistra del
Labour, Livingstone è stato poi il primo sindaco di Londra per due mandati, dal
2000 al 2008, prima di essere sconfitto dal candidato conservatore Boris
Johnson. «C'è sempre stata una tensione tra l'anima industriale e l'anima finanziaria di Londra. E il New Labour di Tony Blair decise
di puntare sulla finanza» mi dice Murray nella cucina della sua casa di
Hackney, un quartiere ex industriale ed ex malfamato. «Quattro calcoli
mostravano che a Londra i redditi del personale impiegato nel settore
finanziario ammontavano a più di 70 miliardi di sterline l'anno, una cifra
superiore al Pil di parecchi paesi. Noi volevamo far rivivere l'anima
industriale di Londra, ma poi Livingstone si convinse che forse avevamo
sbagliato a non favorire la finanza». Tento un'ultima volta di ottenere una
risposta alla mia domanda su cosa succede a una città globale in tempi di crisi globale andando alla stazione di Kings Cross a
prendere un treno per Cambridge. Percorro una stradina cinta dai muri secolari
dell'antica università, entro in un sottopasso, salgo scale consunte. Göran
Therborn è svedese ed è ordinario di sociologia. Studia le capitali in quanto
rappresentazioni del potere e dirige un progetto comparato sulle capitali
asiatiche, europee e africane, di cui ha pubblicato un primo volume. Mi fa
aspettare che finisca di parlare con uno studente, prima di ricevermi nel suo
studio spoglio, dove parliamo per un'ora e mezza, prima d'invitarmi a una cena
rapida in un ristorantino turco. Therborn salta a suo agio tra gli edifici
monumentali del mondo, dal parlamento di Budapest, fino al palazzo
presidenziale del Malawi, fuori Lilongwe («il centro del potere in Africa è
spesso fuori dalla capitale»). Per lui il potere delle città globali è sempre basato
sullo stato nazionale. La sua è una critica abbastanza esplicita alla tesi di
Saskia Sassen sulle «città globali»: «Stimo molto Saskia Sassen, ma la sua
città globale era essenzialmente New York, che è un caso unico. Negli altri
casi, come Londra e Tokyo, il ruolo di centro di comando dell'economia globale
non può essere disgiunto da quello di capitale di uno stato nazionale e
imperiale per di più. E la crisi attuale mostra che è
sbagliata l'idea secondo cui le città globali sono indipendenti dallo stato
nazionale». L'immagine di Londra che trasmette Therborn è spaesante. Per lui il
potere politico vi è storicamente sottostimato: «Londra non ha gli Champs
Elysées come Parigi; l'ufficio del primo ministro, al 10 di Downing street, è
piccolino, quasi nascosto. Certo, c'è il palazzo reale, ma è quasi discosto: in
evidenza c'è il potere dei contribuenti ricchi. Parlando di Londra, si
sottovaluta sempre l'eredità dell'impero, si tende a estrapolare dal
capitalismo americano. Ma le esperienze sono assai diverse. Se guardi le prime
500 imprese degli Stati uniti, assai poche sono basate a New York, la maggior
parte è disseminata in tutti gli Usa. Non così a Londra, a Tokyo, a Parigi,
dove è concentrata la quasi totalità delle corporations di quelle nazioni. E poi
se guardi al richiamo finanziario di Londra, esso attrae soprattutto le sue ex
colonie, il Medio Oriente, e la Russia per la sua storica alleanza. Quando le
banche falliscono, le città globali battono cassa dallo stato nazionale. E poi
c'è sempre stata una contraddizione tra Londra e il resto dell'Inghilterra.
Londra non è mai stata la capitale dell'industria, neanche durante la
rivoluzione industriale, neanche all'apogeo dell'impero. L'industria ha sempre
avuto il suo centro a nord, Manchester, Liverpool, Leeds. Negli ultimi
vent'anni si è diffusa l'immagine di una City ipertrofica su un'economia
inglese rachitica: ma appunto, il peana della City è più un'immagine che altro,
un effetto dell'autopubblicità che si facevano gli yuppies: la City continua a
poggiare sull'ex impero». «Londra è un'isola nell'isola» mi aveva detto già
Kampfner. Da questo punto di vista, le città sono assai antropomorfiche: come
ognuno di noi umani è strenuamente convinto della propria insostituibile,
irripetibile eccezionalità, così anche le città sono vissute dai propri
cittadini ognuna come eccezionale, disobbediente a ogni logica. Ma anche le
isole possono venire sommerse dai flutti. E - per quanto lo scivolamento sia
impercettibile - è difficile che Londra possa tornare alla sua arroganza e al
suo fasto precedenti. Foto: TURISTI DAVANTI AL CENTRO FINANZIARIO DI LONDRA
/FOTO AP
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( da "Corriere della Sera"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere della
Sera sezione: Economia data: 29/05/2009 - pag: 35 Oggi assemblea Bankitalia
Crisi e riforme Le Considerazioni «corte» di Draghi ROMA Con due giorni di
anticipo rispetto al tradizionale appuntamento del 31 maggio che quest'anno
cade di domenica, il Governatore Mario Draghi illustrerà stamattina le sue
Considerazioni finali aprendo l'annuale assemblea della Banca d'Italia. Per chi
ama le statistiche sono le quarte Considerazioni di Draghi e
le seconde dall'inizio della crisi finanziaria. Anche se sono le prime che affrontano il duro impatto del
terremoto dei mercati sull'economia reale, caduta e non solo in Italia in
profonda recessione. Ed è da qui, dalla crisi e dalle prospettive di ripresa della crescita, che partiranno le
Considerazioni, quest'anno più stringate, incisive e brevi delle
precedenti. Al centro dell'analisi di Draghi saranno infatti le politiche da
seguire per tornare a crescere con un ritmo in linea con le altre economie, una
volta superata la situazione più buia. In questo quadro il governatore tornerà
ad insistere anche sulla centralità del lavoro e dell'occupazione. Come
sull'esigenza, sempre attuale, di prestare attenzione e risorse alla formazione
e allo studio. E delle riforme. Come sempre c'è poi attesa per le riflessioni
del governatore sulla situazione del sistema finanziario in generale e bancario
in particolare. Sulle banche infatti, ha più volte osservato Draghi, pesa
l'onere di far affluire credito all'economia e alle imprese e nello stesso
tempo il dovere di valutare con attenzione la qualità dei prestiti e di
rafforzare patrimonio e stabilità. S. Ta.
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( da "Corriere della Sera"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere della
Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 29/05/2009
- pag: 39 La Giornata in Borsa di Giacomo Ferrari Frenano gli indici, corre A2A
Buzzi-Unicem Su Buzzi-Unicem (-3,17%) hanno pesato le vendite di beneficio In
leggero calo, ma nella media europea, le variazioni dei due principali indici
di Piazza Affari (che si apprestano ad andare in pensione: da lunedì
prossimo saranno infatti ridenominati e modificati nel meccanismo di calcolo).
L'S&P-Mib ha ceduto lo 0,8% e il Mibtel lo 0,53%. In diminuzione anche i
volumi scambiati, per un controvalore di 2,2 miliardi di euro. Alla vigilia
dell'assemblea che darà il via libera al rinnovo del consiglio di sorveglianza,
A2A ha messo a segno la performance migliore (+2,3%) nell'ambito dei 40 valori
più capitalizzati. Altri rialzi significativi hanno poi riguardato Mediaset
(+1,85%), unico positivo, insieme con l'Espresso (+1,39%) tra gli editoriali;
oltre a Tenaris (+1,79%), migliore tra i petroliferi, e Campari (+1,08%), al
nuovo massimo dell'anno. Fuori dall'S&P-Mib, invece, occhi puntati su
Mariella Burani: il titolo è balzato del 4,31% grazie alle indiscrezioni
relative a un primo accordo con le banche creditrici sulla ridefinizione del
debito. Più numerosi (e anche più consistenti) i ribassi nel paniere dei titoli
principali. A cominciare da Buzzi-Unicem che ha subito l'impatto delle vendite
di beneficio dopo il rialzo della vigilia, chiudendo in calo del 3,17%. Stessa
motivazione per Autogrill (-2,73%), reduce dal record annuale raggiunto
mercoledì. Le altre principali flessioni hanno riguardato infine alcuni bancari
( Ubi Banca -2,54%, Mediolanum -2,49%, Monte Paschi -2,08%) e un assicurativo,
Unipol, che ha lasciato sul campo il 2,39% dopo il ridimensionamento del
giudizio (da buy, comprare, a hold, mantenere) da parte di Deutsche Bank.
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( da "Corriere della Sera"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere
della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 29/05/2009 - pag: 39 Il
caso a Francoforte Infineon chiede aiuti statali e cade (g.fer.) Reduce dal
significativo rialzo di mercoledì (+3,78%), ieri Infineon, società di
emiconduttori, ha ceduto il 7,07%, chiudendo alla Borsa di Francoforte a quota 2,17
euro. A
pesare sul titolo è stata l'indiscrezione, riportata dal Financial Times
Deutschland, secondo la quale il gruppo avrebbe chiesto al governo tedesco un
prestito garantito di 500 milioni di euro. I vertici di Infineon non hanno
voluto commentare le voci, ma hanno confermato l'impegno a presentare un nuovo
piano di rifinanziamento entro l'estate. Soltanto poche settimane fa Bank of
America aveva migliorato il rating della società. Peter Bauer ceo di Infineon
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( da "Corriere della Sera"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere
della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 29/05/2009 - pag: 39 Il
caso a Milano Il digitale terrestre spinge Ti Media (g.fer.) Lo sviluppo futuro
del digitale terrestre fa bene a Telecom Italia Media (Ti Media) che ieri a
Piazza Affari ha chiuso con un balzo del-- l' 11,17% a 0,1145 euro, nuovo
massimo dell'anno, con 7,9 milioni di titoli scambiati contro una media negli
ultimi tre mesi di 2,4 milioni. Il mercato è in attesa di sviluppi sulla
presenza dell'azienda nel settore. L'advisor Merril Lynch sta infatti
raccogliendo le offerte non vincolanti per una quota di minoranza di Telecom
Italia Media Broadcasting, la società controllata da Ti Media titolare della
licenza di operatore di rete in tecnica digitale. Berardino Libonati presidente
Ti Media
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( da "Tempo, Il" del
29-05-2009)
Argomenti: Crisi
stampa Elezioni
Il movimento si pone l'obiettivo di individuare le potenzialità del territorio
che consentiranno di superare la crisi economica
attuale. Si punta soprattutto al rilancio del turismo Provincia, Progetto
Molise ha idee precise Ieri sera conferenza stampa del senatore Gaetano
Quagliariello. Le iniziative Silvia De Cristofaro Conferenza stampa ieri sera
del vicepresidente vicario dei senatori del Pdl Gaetano Quagliariello, a
Isernia per sostenere il candidato del centro destra alla presidenza della
Provincia di Isernia Luigi Mazzuto. L'occasione è stata la presentazione della
lista di «Progetto Molise». L'attenzione del movimento, costituitosi più di tre
anni fa grazie alla passione per una politica a favore delle esigenze più reali
dei cittadini, è puntata sul programma di Mazzuto che per la corsa alla presidenza
verrà appunto affiancato dai candidati di Progetto Molise. Nella conferenza
stampa di presentazione della lista, è proprio il coordinatore regionale Cosmo
Galasso ad illustrare i contenuti del programma presentato dal movimento.
Progetto Molise- ha specificato. Si pone l'obiettivo di individuare le
potenzialità della nostra terra che ovviamente sono quelle del turismo. Per un
giusto rilancio dell'economia,abbattuta ma non ancora
sconfitta da una preoccupante crisi finanziaria, è bene puntare anche sulla valorizzazione e la promozione della
nostra provincia cercando innanzitutto un'utenza più vicina per poi allargarsi
all'estero. La società civile del Molise ha bisogno di rinnovamento, nel
proseguire comunque i programmi della passata amministrazione Mauro che ha
dimostrato la forza del centro-destra che noi sin dall'inizio abbiamo
appoggiato. Doveroso il riferimento alla sicurezza nelle scuole. Il problema-
ha specificato Galasso- va affrontato senza allarmismi. E' necessario restringere
i tempi necessari per un controllo più approfondito dello stato di fatto nelle
scuole della provincia e della cittadina di Isernia. Che sarà effettuato nei
prossimi mesi, favoriti dalla chiusura dell'anno scolastico. Ad una precisa
ricognizione, seguiranno certamente provvedimenti, programmazione ed
interventi. I candidati in lista per le prossime elezioni di giugno- ha
continuato Galasso-hanno manifestato un grande interesse per la politica. Ed è
un mixer perfetto tra chi vuol davvero impegnarsi nel dare un proprio
contributo per il miglioramento della vivibilità del nostro territorio.
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(sezione: crisi)
( da "Avvenire" del
29-05-2009)
Argomenti: Crisi
CHIESA 29-05-2009
«Solidarietà verso chi è colpito dalla crisi» Il vivo
apprezzamento del Papa alla Cei per l'iniziativa del «Prestito della speranza»
Pubblichiamo il discorso pronunciato alle 12 di ieri da Benedetto XVI nell'Aula
del Sinodo, in Vaticano, durante l'incontro con i membri dell'Assemblea
generale della Conferenza episcopale italiana. C ari fratelli vescovi italiani,
sono lieto di incontrarvi ancora una volta tutti insieme, in occasione di
questo significativo appuntamento annuale che vi vede riuniti in assemblea per
condividere le ansie e le gioie del vostro ministero nelle diocesi della
diletta nazione italiana. La vostra assemblea, infatti, esprime visibilmente e
promuove quella comunione di cui la Chiesa vive, e che si attua anche nella
concordia delle iniziative e dell'azione pastorale. Con la mia presenza vengo a
confermare quella comunione ecclesiale che ho visto costantemente accrescersi e
rinsaldarsi. In particolare, ringrazio il cardinale presidente che, a nome di
tutti, ha confermato la fraterna adesione e la cordiale comunione con il
magistero e il servizio pastorale del successore di Pietro, riaffermando così
la singolare unità che lega la Chiesa in Italia alla Sede Apostolica. Ho
ricevuto in questi mesi veramente tante commoventi testimonianze di questa adesione.
Vi posso solo dire con tutto il cuore: grazie! In questo clima di comunione si
può nutrire proficuamente della Parola di Dio e della grazia dei sacramenti il
popolo cristiano, che sperimenta il profondo inserimento nel territorio, il
vivo senso della fede e la sincera appartenenza alla comunità ecclesiale: tutto
ciò grazie alla vostra guida pastorale, al servizio generoso di tanti
presbiteri e diaconi, di religiosi e fedeli laici che, con assidua dedizione,
sostengono il tessuto ecclesiale e la vita quotidiana delle numerose parrocchie
disseminate in ogni angolo del Paese. Non ci nascondiamo le difficoltà che esse
incontrano nel condurre i propri membri ad una piena adesione alla fede
cristiana nel nostro tempo. Non a caso si invoca da varie parti un loro
rinnovamento nel segno di una crescente collaborazione dei laici, e di una loro
corresponsabilità missionaria. P er queste ragioni avete voluto opportunamente
approfondire nell'azione pastorale l'impegno missionario, che ha caratterizzato
il cammino della Chiesa in Italia dopo il Concilio, mettendo al centro della
riflessione della vostra assemblea il compito fondamentale dell'educazione.
Come ho avuto modo a più riprese di ribadire, si tratta di una esigenza
costitutiva e permanente della vita della Chiesa, che oggi tende ad assumere i
tratti dell'urgenza e, perfino, dell'emergenza. Avete avuto modo, in questi
giorni, di ascoltare, riflettere e discutere sulla necessità di porre mano ad
una sorta di progetto educativo che nasca da una coerente e completa visione
dell'uomo quale può scaturire unicamente dalla perfetta immagine e
realizzazione che ne abbiamo in Cristo Gesù. È Lui il Maestro alla cui scuola
riscoprire il compito educativo come un'altissima vocazione alla quale ogni
fedele, con diverse modalità, è chiamato. In un tempo in cui è forte il fascino
di concezioni relativistiche e nichilistiche della vita, e la legittimità
stessa dell'educazione è posta in discussione, il primo contributo che possiamo
offrire è quello di testimoniare la nostra fiducia nella vita e nell'uomo,
nella sua ragione e nella sua capacità di amare. Essa non è frutto di un
ingenuo ottimismo, ma ci proviene da quella «speranza affidabile» ( Spe salvi,
1) che ci è donata mediante la fede nella redenzione operata da Gesù Cristo. In
riferimento a questo fondato atto d'amore per l'uomo può sorgere una alleanza
educativa tra tutti coloro che hanno responsabilità in questo delicato ambito
della vita sociale ed ecclesiale. L a conclusione, domenica prossima, del
triennio dell'Agorà dei giovani italiani, che ha visto impegnata la vostra
Conferenza in un percorso articolato di animazione della pastorale giovanile,
costituisce un invito a verificare il cammino educativo in atto e a
intraprendere nuovi progetti per una fascia di destinatari, quella delle nuove
generazioni, estremamente ampia e significativa per le responsabilità educative
delle nostre comunità ecclesiali e della società tutta. L'opera formativa,
infine, si allarga anche all'età adulta, che non è esclusa da una vera e propria
responsabilità di educazione permanente. Nessuno è escluso dal compito di
prendersi a cura la crescita propria e altrui verso la «misura della pienezza
di Cristo» (Ef 4,13). L a difficoltà di formare autentici cristiani si
intreccia fino a confondersi con la difficoltà di far crescere uomini e donne
responsabili e maturi, in cui coscienza della verità e del bene e libera
adesione ad essi siano al centro del progetto educativo, capace di dare forma
ad un percorso di crescita globale debitamente predisposto e accompagnato. Per
questo, insieme ad un adeguato progetto che indichi il fine dell'educazione
alla luce del modello compiuto da perseguire, c'è bisogno di educatori
autorevoli a cui le nuove generazioni possano guardare con fiducia. In questo
Anno paolino, che abbiamo vissuto nell'approfondimento della parola e
dell'esempio del grande Apostolo delle genti, e che avete in vari modi
celebrato nelle vostre diocesi e proprio ieri tutti insieme nella Basilica di
San Paolo fuori le mura, risuona con singolare efficacia il suo invito: «Fatevi
miei imitatori» ( 1Cor 11,1). Una parola coraggiosa, ma un vero educatore mette
in gioco in primo luogo la sua persona e sa unire autorità ed esemplarità nel
compito di educare coloro che gli sono affidati. Ne siamo consapevoli noi
stessi, posti come guide in mezzo al popolo di Dio, ai quali l'apostolo Pietro
rivolge, a sua volta, l'invito a pascere il gregge di Dio facendoci «modelli
del gregge» ( 1Pt 5,3). Anche questa è una parola sulla quale meditare. R
isulta pertanto singolarmente felice la circostanza che ci vede pronti a
celebrare, dopo l'anno dedicato all'Apostolo delle genti, un Anno sacerdotale.
Siamo chiamati, insieme ai nostri sacerdoti, a riscoprire la grazia e il
compito del ministero presbiterale. Questo ministero è un servizio alla Chiesa
e al popolo cristiano che esige una profonda spiritualità. In risposta alla
vocazione divina, tale spiritualità deve nutrirsi della preghiera e di una
intensa unione personale con il Signore per poterlo servire nei fratelli
attraverso la predicazione, i sacramenti, una ordinata vita di comunità e
l'aiuto ai poveri. In tutto il ministero sacerdotale risalta, in tal modo,
l'importanza dell'impegno educativo, perché crescano persone libere, veramente
libere, e cioè responsabili, cristiani maturi e consapevoli. N on c'è dubbio
che dallo spirito cristiano attinga vitalità sempre rinnovata quel senso di
solidarietà che è profondamente radicato nel cuore degli italiani e trova modo
di esprimersi con particolare intensità in alcune circostanze drammatiche della
vita del Paese, ultima delle quali è stato il devastante terremoto che ha
colpito talune aree dell'A- bruzzo. Come già detto dal vostro presidente, ho
avuto modo, nella mia visita a quella terra tragicamente ferita, di rendermi
conto di persona dei lutti, del dolore e dei disastri prodotti dal terribile
sisma, ma anche, questo è stato per me realmente molto impressionante, della
fortezza d'animo di quelle popolazioni insieme al movimento di solidarietà che
si è prontamente avviato veramente da tutte le parti d'Italia. Le nostre
comunità hanno risposto con grande generosità alla richiesta di aiuto che
saliva da quella regione sostenendo le iniziative promosse dalla Conferenza
episcopale tramite le Caritas. Desidero rinnovare ai vescovi abruzzesi e,
attraverso di lo- ro, alle comunità locali l'assicurazione della mia costante
preghiera e della perdurante affettuosa vicinanza. D a mesi
stiamo constatando gli effetti di una crisi
finanziaria ed economica che ha colpito duramente lo
scenario globale e raggiunto in varia misura tutti i Paesi. Nonostante le
misure intraprese a vari livelli, gli effetti sociali della crisi non mancano di farsi tuttora
sentire, e anche duramente, in modo particolare sulle fasce più deboli della
società e sulle famiglie. Desidero pertanto esprimere il mio
apprezzamento e incoraggiamento per l'iniziativa del fondo di solidarietà
denominato «Prestito della speranza », che avrà proprio domenica prossima un
momento di partecipazione corale nella colletta nazionale, che costituisce la
base del fondo stesso. Questa rinnovata richiesta di generosità, che si
aggiunge alle tante iniziative indette da numerose diocesi, evocando il gesto
della colletta promossa dall'apostolo Paolo a favore della Chiesa di
Gerusalemme, è una eloquente testimonianza della condivisione dei pesi gli uni
degli altri. In un momento di difficoltà, che colpisce in modo particolare
quanti hanno perduto il lavoro, ciò diventa un vero atto di culto che nasce
dalla carità suscitata dallo Spirito del Risorto nel cuore dei credenti. È un
annuncio eloquente della conversione interiore generata dal Vangelo e una
manifestazione toccante della comunione ecclesiale. na forma essenziale di
carità su cui le Chiese in Italia sono vivamente impegnate è anche quella
intellettuale. Ne è un esempio significativo l'impegno per la promozione di una
diffusa U mentalità a favore della vita in ogni suo aspetto e momento, con
un'attenzione particolare a quella segnata da condizioni di grande fragilità e
precarietà. Tale impegno è ben testimoniato dal manifesto «Liberi per vivere.
Amare la vita fino alla fine», che vede il laicato cattolico italiano concorde
nell'operare affinché non manchi nel Paese la coscienza della piena verità
sull'uomo e la promozione dell'autentico bene delle persone e della società. I
«sì» e i «no» che vi si trovano espressi disegnano i contorni di una vera
azione educativa e sono espressione di un amore forte e concreto per ogni
persona. Il pensiero torna dunque al tema centrale della vostra assemblea il
compito urgente dell'educazione che esige il radicamento nella Parola di Dio e
il discernimento spirituale, la progettualità culturale e sociale, la
testimonianza dell'unità e della gratuità. C arissimi confratelli, pochi giorni
appena ci separano dalla solennità di Pentecoste, in cui celebreremo il dono
dello Spirito che abbatte le frontiere e apre alla comprensione della verità
tutta intera. Invochiamo il Consolatore che non abbandona chi a Lui si rivolge,
affidando- Gli il cammino della Chiesa in Italia e ogni persona che vive in
questo amatissimo Paese. Venga su tutti noi lo Spirito di vita e accenda i
nostri cuori col fuoco del suo infinito amore. Di cuore benedico voi e le
vostre comunità! Benedetto XVI «Un vero educatore mette in gioco in primo luogo
la sua persona e sa unire autorità ed esemplarità nel compito di educare quanti
gli sono affidati». Di questo siamo consapevoli noi «posti come guide in mezzo
al popolo di Dio» «Le Chiese in Italia sono vivamente impegnate anche nella
carità intellettuale». Un esempio? L'opera di sostegno alla «mentalità a favore
della vita» che si esprime nel manifesto «Liberi per vivere» Per rispondere
all'attuale emergenza educativa, con un «adeguato progetto che indichi il fine
dell'educazione alla luce del modello compiuto da perseguire, c'è bisogno di
educatori autorevoli a cui i giovani possano guardare con fiducia» Roma: il
discorso del Papa all'Assemblea generale della Cei (foto Gennari). Sopra:
l'incontro nell'Aula del Sinodo, in Vaticano (foto Gennari)
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( da "Avvenire" del
29-05-2009)
Argomenti: Crisi
CRONACA
29-05-2009 emergenza Dopo la frenata dell'11 settembre, le «piovre» hanno
rialzato la testa. «Gli scandali che hanno causato la crisi finanziaria hanno svelato la forte
penetrazione delle cupole nei mercati internazionali». Colpa anche delle
frontiere colabrodo: da Varsavia a Lisbona si può andare senza controlli... «E
nella lotta non siamo seri»
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( da "Avvenire" del
29-05-2009)
Argomenti: Crisi
CRONACA 29-05-2009 L'allarme di Costa Le
mafie assediano mezzo pianeta Criminalità, una «minaccia sistemica» DA ROMA
PINO CIOCIOLA S ulle nostre teste incombe una «minaccia sistemica» dalle
criminalità organizzate di mezzo pianeta e «stiamo rischiando grosso». Senza
contare che la crisi finanziaria mondiale sta aiutando
le cento 'piovre' a lavare i soldi sporchi che circolano nel mondo. Il quale
invece «non è serio nella lotta al riciclaggio», vero motore delle illegalità,
«il cui lubrificante è la corruzione». Non va troppo per il sottile Antonio
Maria Costa, vicesegretario generale delle Nazioni Unite e direttore esecutivo
dell'Ufficio Onu contro la droga e il crimine (Unodc), quando gli si chiede le
ragioni di un G8 dei ministri dell'Interno e della Giustizia, che si apre oggi
a Roma: «La mafia è diventata internazionale e non solo quella italiana spiega
: penso alla mafia cinese, a quella russa e quella colombiana, i cartelli
albanesi e quelli nigeriani, i cartelli messicani...». Come nascono le mafie internazionali,
direttore Costa? Con la globalizzazione ed è un risultato della fine dei
blocchi Est e Ovest, perché la loro contrapposizione rendeva le vie e la vita
assai più difficili alle criminalità che avevano voglia di uscire dai proprio
confini. Nasce lì, poi cresce. Subisce una brusca frenata dopo l'11 settembre e
l'introduzione delle severe limitazioni ad esempio ai flussi finanziari. Ma già
da un po' le 'piovre' hanno più che rialzato la testa. La strategia dei
trafficanti negli ultimi cinque o sei anni è transitare nelle regioni meno
protette. Come l'Africa o le zone di conflitto. Risultato? Ora stiamo
rischiando grosso. E non vedo i nostri Paesi reagire come dovrebbero. Quali
sono i rapporti e gli intrecci internazionali fra le mafie Tenderebbero d'istinto
a farsi guerre intestine, ma non conviene loro. Anzi, meglio trovare accordi e
spartizioni... Certo. Ma quel che è più preoccupante è la penetrazione delle
mafie nei sistemi economici. Gli scandali che hanno causato
e circondato la crisi finanziaria hanno svelato la forte penetrazione nei mercati delle mafie.
Com'è potuta andare così e per quali ragioni? La crisi
finanziaria è stata innanzi tutto di sfiducia,
paralizzando quindi i prestiti interbancari e provocato una forte 'illiquidità'
delle banche. Allora certe banche via via sono diventate sempre più
affamate di cash: contanti. E le uniche istituzioni al mondo che hanno contanti
in abbondanza sono le istituzioni criminali. Perché? I controlli messi in piedi
negli ultimi anni sui flussi di riciclaggio di denaro hanno quasi impedito alle
mafie di riciclare attraverso le banche, costringendole a farlo nel mercato
immobiliare e nell'industria dello spettacolo, ad esempio. Non è un bel quadro.
Sa che cosa mi raccontava due mesi fa il Procuratore generale messicano Medina
Mora? Un sequestro che hanno fatto in casa di un capomafia locale il cui
soprannome è el chino, il cinese: duecentoventidue milioni di dollari in
contanti. Neanche si riesce a immaginarli tutti quanti in uno stanzone ed in
pacchetti uno sull'altro. Ma certe banche potrebbero anche chiedersi da dove
arrivano quantità spropositate di contante... Dovrebbero chiederselo. Ma in
questo momento diciamo che ce ne sono così affamate di 'liquidi' da non farlo
troppo... Eppure non sarebbe proprio questo il primo caposaldo per combattere
il riciclaggio? Infatti il principio basilare della lotta al riciclaggio è
sempre stato 'conosci il tuo cliente'. Se viene qualcuno che non conosci a
depositare cento dollari è un conto, ma se viene con una valigia di contante è
tutt'altro discorso. Ma esistono banche 'severe' e banche più 'compiacenti'
delle altre... Immagini un primo istituto finanziario che è decentrato e dove
non fanno troppe domande sulla provenienza dei fondi ed un secondo istituto: si
deposita una cifra enorme nel primo, che la trasferisce poco dopo al secondo.
Quest'ultimo, ricevendola, chiede da dove arrivano i soldi, il primo istituto
risponde che sono suoi e la faccenda è inevitabilmente chiusa. Direttore Costa,
certo che il quadro sembra sempre più brutto. Perché non siamo seri: il mondo
non è serio nella lotta al riciclaggio. Vengono in mente, a proposito invece di
traffici di droga, armi ed esseri umani, anche certe frontiere colabrodo. Sa
cosa c'è alle frontiere di certi Paesi come Afghanistan o Birmania: tremila
autocarri, trecento prostitute, ma solo tre poliziotti e un cane (antidroga,
ndr). E in Europa? Si può andare da Varsavia a Lisbona praticamente senza farsi
controllare... Il direttore dell'Ufficio Onu contro la droga e il crimine
(Unodc): il riciclaggio è il motore dell'illegalità. In certe parti del mondo
banche troppo «compiacenti»
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( da "Manifesto, Il"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
GRAN BRETAGNA -
La crisi? «Qui non si sente molto», dicono in tanti,
«il peggio deve ancora arrivare», ribattono altri. Londra, capitale finanziaria di portata mondiale, è convinta di non sentire
la recessione. Ma per salvare le banche il governo ha aperto buchi nel
bilancio: nel futuro incombono tagli alla spesa pubblica Londra, la «città
globale» che nega la sua crisi Nella City continuano a
circolare i soldi pompati dal governo, sui licenziamenti si stende un velo. Ma
si prepara un futuro d'austerità Marco d'Eramo INVIATO A LONDRA Un mistero
aleggia sulla crisi che devasta l'economia mondiale.
In qualunque città ti trovi, quando chiedi quanto grave è la recessione, la
risposta che invariabilmente ti senti dare è la seguente: «La crisi è tremenda, feroce, ma in questa città è meno grave
che altrove, qui si sente meno». A San Francisco, «la città è piccola e quindi
c'è sempre penuria di case che i ricconi asiatici vogliono comunque comprare:
le quotazioni immobiliari tengono abbastanza»; a Chicago «la crisi
era stata violentissima negli anni '80 e ora si sente meno»; a Las Vegas «c'è
un ridimensionamento, ma tutto sommato proprio nei tempi duri la gente ha
bisogno di sognare»; a Leeds no, «perché è una città di colletti bianchi con
tanto pubblico impiego» (vedi il manifesto del 21 maggio). «La crisi della città accanto», la potremmo chiamare. «Io stavo
per darti la stessa risposta» mi dice Susan Watkins, direttrice della New Left
Review, mentre mangiamo un boccone al Blacks, un club di Soho, a pochi passi
dalla sede della rivista: il Blacks è ormai inevitabile punto di ritrovo per un
nutrito drappello dell'intellighenzia progressista londinese, giornalisti,
registi, fotografi, saggisti. «Infatti» dice Watkins, «tutti i soldi che il
governo del New Labour ha pompato nelle banche continuano a girare nella City.
Ci sono stati licenziamenti, alcuni esercizi hanno chiuso. Ma è stato in gran
parte compensato dal calo della sterlina che ha fatto affluire molti più
turisti». La crisi della città accanto si trasforma
spesso nella «crisi della porta accanto»: quante volte
ti senti dire: «Io non sono stato colpito personalmente dalla crisi, ma conosco uno che è stato licenziato proprio ieri»?
In realtà, qui a Londra, come ovunque, potresti individuare la posizione
politica del tuo interlocutore dal suo giudizio sulla gravità della crisi. «Il peggio deve ancora venire» mi dice la
sindacalista e attivista Jane Shalice. Siamo seduti nel giardino di Bloomsbury
Square in una rara mattinata di sole di questo maggio arcigno, freddino e
piovoso: «Per salvare le banche, il governo di Gordon Brown sta scavando una
voragine nel bilancio dello stato: per riempirla, il prossimo governo
conservatore procederà a tagli pesanti della spesa pubblica e a licenziamenti
nel pubblico impiego (qui tutti danno per scontato che alle prossime elezioni
vincano i tories di David Cameron, ndr). E allora la crisi
sarà durissima. Si fanno tanti paragoni con la Grande Depressione. Ma nel 1929,
quando scoppiò la crisi, la disoccupazione non era al
25%. Solo tre anni, nel 1932, dopo arrivò a questo livello. Gli effetti veri li
vedremo fra un paio di anni». Se per l'estrema sinistra il peggio deve ancora
venire, per centristi e conservatori il peggio è ormai alle spalle. «Vi sono
due scuole di pensiero», mi dice John Kampfner, già direttore del settimanale
New Statesman e ora saggista e manager del sito (e magazine) Index on
Censorship (Kampfner ha appena dato alle stampe Libertà in saldo, un libro che
si chiede come mai, in tanti paesi, dalla Russia all'Italia, dalla Thailandia
alla Gran Bretagna, i cittadini sono pronti a scambiare le proprie libertà e i
propri diritti civili in cambio della sicurezza o della promessa di sicurezza).
«Per una prima scuola di pensiero la crisi attuale è
solo una cunetta nello sviluppo capitalistico, un dosso, brusco quanto si
vuole, ma pur sempre solo un'ammaccatura. Per l'altra scuola di pensiero, siamo
di fronte a una rottura vera e propria dell'ordine capitalistico. Per il
momento non si può dire. Se il Prodotto interno lordo crolla di un 5%, per l'economia
nazionale è una catastrofe, ma se tu devi ridurre il tuo livello di vita del
5%, puoi farlo senza risentirne troppo: esci un po' meno, compri un po' meno
giornali, accorci un po' le tue vacanze, riduci un po' la qualità dei tuoi
vestiti, rimandi alcune spese. Puoi anche ridurre del 10% il livello di vita e
non risentirne. Certo, nella finanza e nella pubblicità stanno licenziando, ma
il turn over è sempre stato vorticoso: alle dieci del mattino eri alle stelle e
alle 17 sei sbattuto fuori. L'altra scuola di pensiero, quella de 'il peggio
deve ancora venire' ha dalla sua la prospettiva del governo Tory. Fino a
qualche mese fa Cameron era stato abile, aveva evitato il classico discorso
conservatore di privatizzazioni selvagge e tagli alla spesa sociale, ma ora
comincia a dire che stiamo entrando 'in un'era di austerità': comincia a
promettere anche lui 'lacrime e sangue'. Ma anche se il peggio deve ancora
venire, non so in che senso si parla di 'discontinuità capitalista'. Non ho mai
capito cosa vuol dire l'espressione 'nuovo capitalismo'». Certo, è sconcertante questo understatement della crisi, per quanto in puro stile
anglosassone. È mai possibile che la massima capitale globale della finanza
globale non risenta della crisi finanziaria globale? I prezzi delle case sono scesi di un buon 30%, «ma in
fondo sono solo tornati ai livelli sempre molto alti del 2006», ti obiettano.
Fino a ieri, il massimo dello chic era fare il pendolare tra New York e Londra,
i due centri della finanza mondiale, abitare «NyLon». Il ruolo di Londra e
della sua City era stato garantito dalla deregulation finanziaria,
dalla sregolatezza che ne aveva fatto «la capitale globale della criminalità
globale», secondo un'espressione di Kampfner. Ora i governi parlano di
reintrodurre almeno timidi controlli, di tassare almeno un po' i redditi alti:
tutto ciò non farà perdere a Londra la sua leadership mondiale in settori
chiave della finanza (come per esempio il mercato valutario, l'unica forma di
speculazione che ha superato abbastanza indenne la crisi)?
Curiosamente, nessuno qui prende in considerazione neanche la minima
possibilità che Londra perda il suo status finanziario. Non si capisce se è
ottimismo o è rifiuto dell'evidenza, uno state of denial, come nei tabagisti
quando si parla dei danni del fumo. «I motivi fondamentali per cui i russi si
sono stabiliti qui rimangono validi anche adesso, dice Kampfner, «anche se il
governo Brown si è deciso infine ad aumentare le tasse portandole al 50% per i
redditi oltre le 150.000 sterline, mentre finora c'era un'imposizione piatta
del 40% per tutti i redditi superiori alle 40.000 sterline annue. Era una
misura che i laburisti avrebbero dovuto prendere anni fa, al tempo delle vacche
grasse, ma non ne hanno avuto il coraggio anche se era popolarissima. Ora
invece i tabloid si scatenano (il London Life titola: 'I boss della City si
mettono in fila per evitare la stangata della tassa al 50%'). Il Financial
Times lancia l'allarme e minaccia che se davvero ci sarà una nuova regulation finanziaria, 'Nylon sarà soppiantata Shangkong' (Shanghai e
Hongkong), ma a me sembra già dell'altroieri lo slogan che si recitava
'Shanghai, Mumbay, Dubai e Goodby'. Non vedo declino: Londra offre un insieme
unico di vantaggi: gli oligarchi erano venuti qui per la lingua - l'inglese
come tramite universale - , per l'esenzione fiscale sugli stranieri non
residenti, soprattutto per le scuole di qualità per i figli». Con chiunque
parli, la scelta della scuola è un fattore dirimente dello sviluppo dei
quartieri londinesi: le case aumentano di prezzo nelle vicinanze delle buone
scuole e si deprezzano intorno ai licei scadenti, mi conferma la preside di una
scuola di Brixton: «Secondo le nostre regole, chi abita lontano da una buona
scuola non potrà mai sperare d'iscrivervi i propri figli, quindi preferisce
trasferirsi vicino a un istituto di qualità perché pensa che l'investimento
renda in termini di carriera futura dei figli». Non vede un declino di Londra
neanche Robin Murray, studioso dello sviluppo urbano, consulente di Ken Livingstone
quando era presidente della Grande Londra (1980-86) contro la Thatcher, tanto
che per farlo fuori la Lady di ferro abolì addirittura la figura istituzionale.
Detto «Ken il rosso» perché dissidente di sinistra del Labour, Livingstone è
stato poi il primo sindaco di Londra per due mandati, dal 2000 al 2008, prima
di essere sconfitto dal candidato conservatore Boris Johnson. «C'è sempre stata
una tensione tra l'anima industriale e l'anima finanziaria
di Londra. E il New Labour di Tony Blair decise di puntare sulla finanza» mi
dice Murray nella cucina della sua casa di Hackney, un quartiere ex industriale
ed ex malfamato. «Quattro calcoli mostravano che a Londra i redditi del
personale impiegato nel settore finanziario ammontavano a più di 70 miliardi di
sterline l'anno, una cifra superiore al Pil di parecchi paesi. Noi volevamo far
rivivere l'anima industriale di Londra, ma poi Livingstone si convinse che
forse avevamo sbagliato a non favorire la finanza». Tento un'ultima volta di
ottenere una risposta alla mia domanda su cosa succede a una città globale in
tempi di crisi globale andando alla stazione di Kings
Cross a prendere un treno per Cambridge. Percorro una stradina cinta dai muri
secolari dell'antica università, entro in un sottopasso, salgo scale consunte.
Göran Therborn è svedese ed è ordinario di sociologia. Studia le capitali in
quanto rappresentazioni del potere e dirige un progetto comparato sulle
capitali asiatiche, europee e africane, di cui ha pubblicato un primo volume.
Mi fa aspettare che finisca di parlare con uno studente, prima di ricevermi nel
suo studio spoglio, dove parliamo per un'ora e mezza, prima d'invitarmi a una
cena rapida in un ristorantino turco. Therborn salta a suo agio tra gli edifici
monumentali del mondo, dal parlamento di Budapest, fino al palazzo
presidenziale del Malawi, fuori Lilongwe («il centro del potere in Africa è
spesso fuori dalla capitale»). Per lui il potere delle città globali è sempre
basato sullo stato nazionale. La sua è una critica abbastanza esplicita alla
tesi di Saskia Sassen sulle «città globali»: «Stimo molto Saskia Sassen, ma la
sua città globale era essenzialmente New York, che è un caso unico. Negli altri
casi, come Londra e Tokyo, il ruolo di centro di comando dell'economia globale
non può essere disgiunto da quello di capitale di uno stato nazionale e
imperiale per di più. E la crisi attuale mostra che è
sbagliata l'idea secondo cui le città globali sono indipendenti dallo stato
nazionale». L'immagine di Londra che trasmette Therborn è spaesante. Per lui il
potere politico vi è storicamente sottostimato: «Londra non ha gli Champs
Elysées come Parigi; l'ufficio del primo ministro, al 10 di Downing street, è
piccolino, quasi nascosto. Certo, c'è il palazzo reale, ma è quasi discosto: in
evidenza c'è il potere dei contribuenti ricchi. Parlando di Londra, si
sottovaluta sempre l'eredità dell'impero, si tende a estrapolare dal
capitalismo americano. Ma le esperienze sono assai diverse. Se guardi le prime
500 imprese degli Stati uniti, assai poche sono basate a New York, la maggior
parte è disseminata in tutti gli Usa. Non così a Londra, a Tokyo, a Parigi,
dove è concentrata la quasi totalità delle corporations di quelle nazioni. E
poi se guardi al richiamo finanziario di Londra, esso attrae soprattutto le sue
ex colonie, il Medio Oriente, e la Russia per la sua storica alleanza. Quando
le banche falliscono, le città globali battono cassa dallo stato nazionale. E
poi c'è sempre stata una contraddizione tra Londra e il resto dell'Inghilterra.
Londra non è mai stata la capitale dell'industria, neanche durante la
rivoluzione industriale, neanche all'apogeo dell'impero. L'industria ha sempre
avuto il suo centro a nord, Manchester, Liverpool, Leeds. Negli ultimi
vent'anni si è diffusa l'immagine di una City ipertrofica su un'economia
inglese rachitica: ma appunto, il peana della City è più un'immagine che altro,
un effetto dell'autopubblicità che si facevano gli yuppies: la City continua a
poggiare sull'ex impero». «Londra è un'isola nell'isola» mi aveva detto già
Kampfner. Da questo punto di vista, le città sono assai antropomorfiche: come
ognuno di noi umani è strenuamente convinto della propria insostituibile,
irripetibile eccezionalità, così anche le città sono vissute dai propri
cittadini ognuna come eccezionale, disobbediente a ogni logica. Ma anche le
isole possono venire sommerse dai flutti. E - per quanto lo scivolamento sia
impercettibile - è difficile che Londra possa tornare alla sua arroganza e al
suo fasto precedenti.
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( da "Corriere.it"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
crisi
finanziaria,
ci sono segnali incoraggianti ma molto resta ancora da fare Draghi, allarme
disoccupati «Potranno arrivare al 10%» Le considerazioni finali: «Il Pil
quest'anno cadrà del 5%» ROMA - Il Governatore della Banca d'Italia, Mario
Draghi, intravede «segnali incoraggianti» per la crisi finanziaria in atto anche se
«molto resta ancora da fare» per «sanare la ferita che la crisi ha aperto nella fiducia
collettiva». Una fiducia che «non si ricostruisce con la falsa speranza, ma
neanche senza speranza: uscire da questa crisi più forti è possibile» ha spiegato il Governatore leggendo le
sue Considerazioni finali. Dalla metà di marzo - ha sottolineato Draghi
- «le tensioni sui mercati finanziari si sono allentate»; le quotazioni di
Borsa sono tornate su livelli di inizio anno; «gli indicatori qualitativi
dell'economia reale mostrano un'attenuazione delle spinte recessive». Tuttavia
in Italia la crisi mondiale determinerà, secondo le
previsioni più aggiornate, «una caduta del Pil di circa il 5% quest'anno», dopo
la diminuzione di un punto nel 2008. LAVORO - I lavoratori in cassa
integrazione e coloro che cercano un'occupazione, oggi pari all'8,5% della
forza lavoro, potrebbero salire oltre il 10% ha spiegato ancora Draghi, che ha
sottolineato come «gli interventi governativi a supporto delle famiglie meno
abbienti e gli incentivi all'acquisto di beni durevoli stanno fornendo un
temporaneo ausilio». La Banca d'Italia stima che «1,6 milioni di lavoratori
dipendenti e parasubordinati non abbiano diritto ad alcun sostegno in caso di
licenziamento. Tra i lavoratori a tempo pieno del settore privato - ha aggiunto
Draghi - oltre 800mila, l'8% dei potenziali beneficiari, hanno diritto a
un'indennità inferiore a 500 euro al mese. La prima preoccupazione della
politica economica - ha sottolineato il Governatore - attiene al rischio di un
ulteriore deterioramento del mercato del lavoro. La crisi
ha reso più evidenti manchevolezze di lunga data del nostro sistema di
protezione sociale: esso rimane frammentato. Lavoratori altrimenti identici
ricevono trattamenti diversi solo perchè operano in un'impresa artigiana invece
che in una più grande». IMPRESE - Il 40% delle imprese con oltre 20 dipendenti
ridurrà il personale nel corso di quest'anno ha aggiunto ancora Draghi. «Si
stima - ha spiegato Draghi - che due quinti delle imprese industriali e dei
servizi con 20 e più addetti ridimensioneranno il personale quest'anno; la
riduzione sarà probabilmente maggiore nelle imprese più piccole. Per oltre 2
milioni di lavoratori temporanei - ha aggiunto il governatore - il contratto
giunge a termine nel corso di quest'anno; più del 40% è nei servizi privati,
quasi il 20% nel settore pubblico; il 38% è nel Mezzogiorno». Per il sistema
industriale ha precisato ancora Draghi«il passaggio dei prossimi mesi sarà
decisivo: una mortalità eccessiva che colpisca per asfissia finanziaria
anche aziende che avrebbero il potenziale per tornare a prosperare dopo la crisi è uno dei gravi rischi per la nostra economia». Le
attese di calo del fatturato di oltre il 20% per molte aziende porta un taglio
degli investimenti del 12% per il complesso di industrie e servizi e del 20%
nella manifattura: «Valori eccezionali nel confronto storico», ha segnalato
Draghi, ricordando che la crisi mette a repentaglio il
processo di ammodernamento del sistema produttivo che stava dando i suoi
frutti. L'indagine della Banca d'Italia evidenzia che «a risentire della crisi sono soprattutto le imprese piccole, sotto i 20
addetti; nella sola manifattura se ne contano in tutto quasi 500mila, con poco
meno di due milioni di occupati». Per le sub-fornitrici di grandi imprese
maggiori, «da cui subiscono tagli degli ordinativi e dilazioni nei pagamenti, è
a volte a rischio la stessa sopravvivenza». Fra quelle con più di 20
dipendenti, la ristrutturazione aveva interessato metà delle 65mila imprese
censite. E queste «si attendono un calo del fatturato nel 2009 nettamente
inferiore alla media. A un estremo, le aziende finanziariamente
più solide presenti in questo gruppo oggi attutiscono l'impatto dell'avversa
congiuntura consolidando il primato tecnologico e diversificando gli sbocchi di
mercato. Non sono poche, stimiamo più di 5.000, con quasi un milione di
addetti. Alcune sembrano proiettate a trarre vantaggio dalla crisi,
in termini di riposizionamento sul mercato». AMMORTIZZATORI SOCIALI - Contro
una crisi che rischia di deteriorare ulteriormente il
mercato del lavoro, non servono rivoluzioni, ma una riforma organica e rigorosa
degli ammortizzatori sociali esistenti, che renda più universali i trattamenti
ha sottolineato ancora il Governatore della Banca d'Italia, spiegando che il
nuovo sistema può essere ridisegnato attorno ai due tradizionali strumenti:
cassa integrazione e indennità di disoccupazione. CONTI PUBBLICI - Draghi poi
avverte: volano spesa e disavanzo e il debito pubblico italiano torna ai
livelli dei primi anni Novanta con il rischio «che sull'economia gravi a lungo
una pressione fiscale molto elevata». Per correre ai ripari ha spiegato il
Governatore «dobbiamo, da subito, puntare a conseguire una più alta crescita
nel medio periodo». D'altra parte i numeri parlano chiaro: il disavanzo
pubblico nel 2009 supererà il 4,5% e nel 2010 il 5%. L'incidenza della spesa
primaria corrente salirà, nell'anno in corso, di tre punti percentuali. La spesa
pubblica complessiva supererà largamente il 50% del Pil. Contemporaneamente si
registra un calo delle entrate tributarie: nei primi quattro mesi dell'anno
l'Iva riscossa è stata inferiore del 10% rispetto al corrispondente periodo del
2008. L'imposta
sui redditi delle imprese, scesa di oltre il 9% nel 2008, potrebbe flettere in
misura ancora maggiore nel 2009. Una volta superata la crisi,
quindi, «il nostro paese si ritroverà non solo con più debito pubblico, ma
anche con un capitale privato depauperato dal forte calo degli investimenti e
dall'aumento della disoccupazione. Se - ha spiegato Draghi - dovessimo
limitarci a tornare su un sentiero di bassa crescita come quello degli ultimi
15 anni, muovendo per di più da condizioni nettamente peggiori, sarebbe arduo
riassorbire il debito pubblico e diverrebbe più cogente la necessità di
politiche restrittive per garantirne la sostenibilità». RIFORME - Per
scongiurare questo scenario occorre dunque «assicurare il riequilibrio
prospettico dei conti pubblici, attuare quelle riforme che, da lungo tempo
attese, consentano al nostro sistema produttivo di essere parte attiva della
ripresa economica mondiale». In particolare «le misure di riduzione della spesa
corrente vanno introdotte nella legislazione subito, anche se con effetti
differiti, senza rinvii a ulteriori atti normativi e a decisioni
amministrative». Draghi propone anche di aumentare gradualmente l'età
pensionabile per assicurare più reddito alle famiglie e un «potenziale
produttivo» maggiore per l'economia. Per il governatore della Banca d'Italia
«il graduale incremento dell'età media effettiva di pensionamento assicurerà
l'erogazione di pensioni di importo medio unitario adeguato. Un più alto tasso
di attività nella fascia da 55
a 65 anni innalzerà sia il reddito disponibile delle
famiglie sia il potenziale produttivo dell'economia». BANCHE - Il sistema
bancario italiano dimostra la capacità di «resistere anche a scenari più
sfavorevoli». È il risultato delle prove di resistenza allo stress (cioè a una
evoluzione particolarmente sfavorevole della congiuntura economica) effettuate
dalla Banca d'Italia spiega ancora Draghi. In questa fase di crisi
economica serve però «lungimiranza» da parte delle banche nel valutare i
finanziamenti da dare alle imprese, evitando quindi eccessive restrizioni
nell'offerta di credito ha sottolineato Draghi. «Le banche italiane - ha detto
Draghi - non hanno eredità pesanti nei loro bilanci. Utilizzino questo
vantaggio nei confronti dei concorrenti per affrontare un presente e un futuro
non facili. Valutino il merito di credito dei loro clienti - ha aggiunto il
Governatore - con lungimiranza. Prendano esempio dai banchieri che finanziarono
la ricostruzione e la crescita degli anni Cinquanta e Sessanta». Con la crisi, ha sottolineato il Governatore, «non si può chiedere
alle banche di allentare la prudenza nell'erogare il credito; non è
nell'interesse della nostra economia un sistema bancario che metta a rischio
l'integrità dei bilanci e la fiducia di coloro che gli affidano i propri
risparmi». ECONOMIA IRREGOLARE - Successivamente il Governatore ha affrontato
il tema dell'evasione fiscale. Il peso dell'economia irregolare in Italia è
«stimato in più del 15% dell'attività economica» ha reso noto Draghi. Un dato
enorme, sottolinea il numero uno di Palazzo Koch, secondo cui «l'occultamento
di una parte considerevole delle basi imponibili accresce l'onere imposto ai
contribuenti ligi al dovere fiscale. È un fattore che riduce la competitività
di larga parte delle imprese, determina iniquità e disarticola il tessuto
sociale. Progressi nel contrasto alle attività irregolari», osserva Draghi,
«consentirebbero di ridurre le aliquote legali, diminuendo dimensioni e
ingiustizie». stampa |
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( da "Trend-online"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Draghi: riforme e
tenuta conti per uscire da crisi ANSA NEWS, clicca qui per leggere la rassegna di
Ansa , 29.05.2009 11:25 Scopri le migliori azioni per fare trading questa
settimana!! (ANSA) - ROMA, 29 MAG -
Riforme strutturali per garantire la tenuta dei conti pubblici e interventi che
completino il riassetto degli ammortizzatori sociali. Sono le linee d'azione
indicate dal Governatore della Banca d'Italia Draghi, per ''uscire piu' forti
da questa crisi'',oltre alla ripresa degli
investimenti pubblici e alle azioni di sostegno della domanda e del credito.
Draghi prevede quest'anno una caduta di Pil del 5% e che i lavoratori in cig o
in cerca di posto potrebbero salire oltre il 10%. Malgrado
tutto questo il governatore di Bankitalia intravede ''segnali incoraggianti''
per la crisi finanziaria in
atto. ''Dalla meta' di marzo - spiega-le tensioni sui mercati finanziari si
sono allentate; le quotazioni di borsa sono tornate su livelli di inizio anno;
gli indicatori qualitativi dell'economia reale mostrano un'attenuazione delle
spinte recessive''. ''L'operare degli stabilizzatori
automatici-prosegue- dovrebbe accrescere il disavanzo pubblico nell'anno in
corso di circa 2 punti percentuali del prodotto, a oltre il 4,5%; nel 2010, il
disavanzo potrebbe superare il 5%''. Il sistema bancario italiano comunque
dimostra la capacita' di ''resistere anche a scenari piu' sfavorevoli: e' il
risultato delle prove di resistenza allo stress (cioe' a una evoluzione
particolarmente sfavorevole della congiuntura economica) effettuate dalla Banca
d'Italia'', osserva Draghi. (ANSA).
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( da "Trend-online"
del 29-05-2009)
Argomenti: Crisi
Itway chiude il primo
semestre dell'esercizio con ricavi pari a 57,7 mln NOTIZIE, clicca qui per
leggere la rassegna di Pierpaolo Molinengo , 29.05.2009 18:08 Scopri le
migliori azioni per fare trading questa settimana!! di razionalizzazione dei
costi e di miglioramento dell’efficienza operativa
avviato dal management del Gruppo in Italia e negli altri Paesi in cui opera, a
causa della velocità con cui si è manifestata la crisi
finanziaria stessa. A questo va aggiunto il ritardo con cui è stato
possibile concludere la procedura per la riduzione di circa il 16% del
personale, prevista nel piano di razionalizzazione in atto. Tuttavia, a partire
dal III° trimestre dell’esercizio 2008-09, il management
conta di vedere i primi effetti sulla redditività della ristrutturazione avviata per affrontare la difficile
situazione congiunturale.
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( da "Alto Adige" del
30-05-2009)
Argomenti: Crisi
«Lub» e
Ca'Foscari partner per svelare i segreti della finanza Lezioni in inglese
Partecipare costa 7.500 euro ma ci saranno delle borse di studio BOLZANO. Si
chiama «MiFin» ed è offerto dalla Facoltà di Economia della Libera Università
di Bolzano in collaborazione con il Dipartimento di Economia dell'Università
Ca' Foscari di Venezia. è il nuovo master di primo livello presentato in
conferenza stampa ieri mattina, al quale si potranno iscrivere non solo i
laureati in Economia, ma anche chi ha studiato Ingegneria, Matematica e Fisica,
Informatica o Giurisprudenza: il programma è infatti pensato per non esperti
del settore. Ad illustrare il master è stato il suo coordinatore, il professor
Maurizio Murgia. «è un master che fornisce un know how nel settore finanziario
pensato per tutti coloro che hanno a che fare con le decisioni finanziarie, gli
investimenti e l'analisi dei rischi», spiega Murgia. «Per capire quanto questo
possa essere utile, basti pensare alla questione dei fondi pensione o ai
bilanci di molti enti locali: se a gestire il denaro pubblico sono persone che
non ne hanno la competenza, non c'è da stupirsi che le perdite siano notevoli.
L'attuale crisi finanziaria poggia anche su queste lacune e su scarse competenze
professionali, che con il master proponiamo di colmare». Le lezioni del MiFIN
saranno in lingua inglese e si svolgeranno in parte a Bolzano e in parte a
Venezia. I docenti saranno professori universitari ma anche esperti del settore
nonché visiting professor provenienti da Stati Uniti e Inghilterra. La
classe sarà composta da un minimo di 15 studenti fino a un massimo di 30, cosa
che assicurerà uno stretto rapporto docenti/studenti. La frequenza alle lezioni
si concentrerà nei primi quattro giorni della settimana, per dare modo agli studenti
di impegnarsi nel team working e nell'approfondimento dei temi trattati a
lezione nel resto del tempo. Partecipare al master costa 7.500 euro. «Stiamo
cercando di offrire delle borse di studio, che saranno poi assegnate dal
Consiglio didattico-scientifico sulla base del merito», ha detto il
coordinatore. Gli studenti potranno concludere il master con una internship, la
cui naturale prosecuzione è l'inserimento nel mondo del lavoro, o con la
stesura di un Final Paper, che apre invece le porte al proseguimento del
percorso accademico. Il diploma di master sarà rilasciato congiuntamente dalla
Libera Università di Bolzano e dall'Università Ca' Foscari. Sono previste due
sessioni di preiscrizione: dal 15 giugno al 17 luglio e dal 20 luglio al 7
agosto.
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( da "Alto Adige" del
30-05-2009)
Argomenti: Crisi
Le Fs:
sull'Eurocity Le Fs: sull'Eurocity non c'erano zecche Alcuni mezzi di
informazione, alla notizia che un medico, a bordo di un treno internazionale
(Eurocity 87 Monaco - Venezia del 21 maggio 2009), aveva constatato la presenza
di una zecca addosso ad una viaggiatrice, hanno dedotto che la signora fosse
stata punta sul treno e, addirittura, che il convoglio fosse infestato di
parassiti. Di tutto ciò non solo non vi è alcuna evidenza ma, al contrario,
tutti gli elementi acquisiti tendono ad escludere tale eventualità. A partire
dalla dichiarazione rilasciata a Trenitalia dalla viaggiatrice, nella quale lei
stessa afferma di non credere di aver preso la zecca sul treno, per proseguire
con il referto sanitario che - secondo indiscrezioni - affermerebbe che la
paziente è stata punta da una zecca probabilmente acquisita nel giardino di
casa in campagna vicino a Monaco di Baviera, per finire ai controlli effettuati
sulla vettura occupata dalla signora. La vettura, smontata di ogni arredo e
sottoposta ad uno scrupoloso esame non ha evidenziato la presenza di alcun
insetto o zecca. Per dovere di informazione occorre precisare che la stessa
vettura era stata sottoposta a disinfestazione ciclica tre giorni prima, ossia
il 18 maggio 2009, nell'impianto di Venezia, e che i successivi controlli di
qualità ne avevano accertato la corretta esecuzione. Federico Fabretti
Direttore Centrale Relazioni con i Media Ferrovie dello Stato Spa Ma il governo
aumenta il numero dei ministri Da «votuleso» - nel senso di «non votante» - non
ho mai dubitato del parassitismo del parlamentari. Ciò che adesso però mi
meraviglia è il fatto che Berlusconi voglia diminuirne il numero mentre ha
appena aumentato di cinque unità i membri del suo governo. E mi diverte il
dissidio esploso nel «popolo delle libertà» - tra l'altro appena nato - tra
Berlusconi e Fini in questo campo. E quando mi diverto mi vien sempre da
giocare con le parole: fin da bambini ci hanno insegnato che la parola più
lunga - ed anche l'unico endecasillabo - è un termine inconsistente - una sorta
di ginnastica linguistica: «precipitevolissimevolmente». M'è venuta una parola
altrettanto lunga ed endecasillabica - ma molto più densa di significato: al
governo s'ammucchia molta gente disonorevolissimevolmente. Giancarlo Mariani BOLZANO
Il tunnel? Arriverà tra circa 30 anni Gigantesca opera del nostro secolo, 56 km di galleria. Opera
europea, con Italia, Austria e Germania. Accordo per il finanziamento. Superati
ostacoli ed obiezioni: dove scaricare l'immenso materiale di scavo? E'
inconvertibile, riutilizzabile. Con la galleria sparisce il rumore infernale di
oltre duecento treni al giorno (che avremmo passando dall'asfalto alla rotaia).
Con il tunnel rimarrà inalterato il paesaggio, il bel verde, la vegetazione in
tutta la zona alpina. Per il tunnel si applicano le leggi base della cinematica
e dinamica. E' risolto anche il caso di incendi. Evviva il tunnel più lungo del
mondo, che sarà completato tra circa trent'anni. Sarà gran festa dell'Europa.
ing. Karl Behmann BOLZANO Crisi mondiale: è colpa di Cina e
islamici Vorrei mettere in rilievo due aspetti della attuale crisi finanziaria - economica che mi
sembrano trascurati. E' un dato di fatto che la maggior parte del potere
finanziario e bancario mondiale è in mano a stati e persone islamiche,
indifferenti od ostili all'occidente. Che l'attuale situazione finanziaria sia dovuta molto a questo fatto è una
conseguenza logica, anche se ci sono altre cause meno importanti. Un'altra
evidenza trascurata dell'attuale crisi economica è la
concorrenza spietata e sleale della Cina nel mercato globale attuale; se questo
fosse fatto da un piccolo paese le conseguenze sarebbero molto minori, ma se è
fatto da 1/6 dell'umanità, capiamo bene le conseguenze sono enormi. Finchè
l'umanità, coi suoi organismi internazionali, in primo piano l'Onu, non
scioglierà questi due modi, sarà impossibile un miglioramento sostanziale della
situazione. Giorgio da Parma La mamma di un calciatore: grazie Virtus don Bosco
Sono la mamma di un calciatore della Virtus Don Bosco, Davide Santachiara, e
gradirei poter pubblicare questa lettera di elogio e di ringraziamento alla
Società, ai suoi presidenti, dirigenti e allenatori. Aveva visto lontano
l'occhio vigile di Poldo De Federizzi, quando vide Davide a giocare sui prati
del Lido. «Ti aspetto al Righi in settembre, gli aveva detto». La cosa si è
avverata, Davide aveva tre anni allora, e una telefonata del sig. De Federizzi
gli fece iniziare l'attività in biancoverde. Dai pulcini in su fino alle
promozioni in Promozione e Eccellenza, capitano della squadra, Davide ha avuto
grandi soddisfazioni, arrivando a tornei in Italia e fuori, a Coverciano e
anche a Disneyland. Scatta così un grazie da parte della nostra famiglia, oltre
che di Davide, a tutta la Virtus, anche a quelli che non ci sono più, come il
custode Bepi Mazzolo, che lo ha visto crescere e gli ha lavato tante divise,
l'aiuto allenatore Primoh Teo, per arrivare a +utti i presidenti, dirigenti,
allenatori, al sig. Bassetto, e, perchè no, a tutti i compagni di gioco. Un
ringraziamento particolare ad una persona speciale, che ha creduto sempre a
Davide e che, dicendo ad ogni inizio stagione «Santachiara non si svende»
aiutandolo così a migliorare sempre nelle varie promozioni raggiunte, parliamo
di Marchetto. A lui desidero aggiungere ancora Poldo De Federizzi, Renato
Trappoli, Walter Seppi, Alfonso Stefani, Michele Terlizzi, Maron, e ancora
Abate, Troiani, Rossi, Ambrosi, Andolfato, Santillo, Marzola, Vason, Vanin,
Pignatelli, Toccoli e Pat Morini. Nadia Zanolini Mettetevi l'animo in pace i
rossi non torneranno più Ho letto con attenzione una lettera di uno che credo
vostro lettore oltre che seguace di Strada e sindacalista cigiellino, ed alla
fine della lettura sono rimasto esterrefatto, il signore in questione ha aggiunto
agli odiati di sempre, americani ed israeliani, anche i pakistani. Sconcerto
totale, che abbia ricevuto anche lui la visita notturna dell'Arcangelo
Gabriele, come l'innominabile, pena la morte? Che lo abbia messo a conoscenza
di cose che nessuno sa, e mi sono chiesto perché non ha inserito anche la
Russia, la Cina, l'Iran, la Siria, ecc. paesi notoriamente dalla tendenza
sinistrosa, nella sua disanima rancorosa nei confronti di Israele e Stati
Uniti, sta difendendo chi intende offendere nei confronti di chi intende
difendersi dagli attaccanti, lui appoggia, non so se si rende conto, nazioni
che notoriamente appoggiano chi ha affermato di voler eliminare Israele dalla
carta geografica, forse secondo lui certe nazioni dovrebbero autoeliminarsi
perché magari ritenute il demonio da certi "regimi"? Spero che con il
tempo si ammorbidisca e lasci in pace chi cerca di vivere in pace e che la
smetta di mettersi al fianco di certi regimi, approvandone i metodi e le
aspirazioni. Le cito una frase di Giacomo Leopardi che diceva: I fanciulli
trovano il tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto. Oppure ad essere
ancora più profondi nel suo essere, traspare un pensiero di Eraclito: Bisogna
volere l'impossibile, perché l'impossibile accada. Caro Giorgio, si metta l'animo
in pace, i rossi non torneranno mai più, di "ciglioni" in Italia ve
ne sono molti, e i masochisti sono molti di meno, mentre la maggioranza degli
italiani ha capito chi e che cosa è il comunismo, che oltretutto per continuare
ad esistere sbandiera sempre lo spauracchio del fantasma "fascista",
mentre purtroppo di rossi ve ne sono ancora troppi e nessuno si augura di
finire come la sua Corea del Nord, governata da... (ma a lei sembra una persona
normale), oppure una nazione come la Cina, se le piacciono e le ama così tanto
perché non si trasferisce da loro? Rolando Caldana Perché chiamare il maestro
«perfido e malato»? Rispondo alla signora Eva Zanirato. Prendo visione della
sua lettera al direttore del giorno 24 scorso. Non mi spiego come lei possa essere
così dubbiosa sull'operato d'insegnanti acculturati e che "leggono molti
libri nella loro vita". E' lei così sicura che la sua opinione sia giusta?
Ricordi che per ora il maestro è solo indagato e... è cosa molto grave
denominare una persona "perfida e malata". Il suo scritto denota un
irrefrenabile odio verso quel maestro. E' giustissimo chiedere un accertamento,
ma lasci però fare alla Giustizia e orienti il suo interesse verso suo figlio
perché un errato comportamento e l'accentuare i fatti citati possono ledere la
serenità del ragazzo. A.V.
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( da "Alto Adige" del
30-05-2009)
Argomenti: Crisi
La
crisi non ferma l'A22 Utile a quota 63,9 milioni Ma cala il
traffico pesante E nei primi mesi 2009 altra diminuzione dell'8% BOLZANO. Una
società in salute che, seppur toccata dalla crisi finanziaria che si è
riflessa in un calo del volume di traffico negli ultimi mesi dell'anno, ha
chiuso il 2008 con risultati ragguardevoli. è questo il quadro che emerge dal
bilancio 2008 dell'A22, i cui risultati sono stati resi noti ieri dal cda a
Trento. Il valore della produzione, pari a 327,2 milioni di euro, ha registrato
un aumento di 10,9 milioni (+3%) rispetto al 2007. A tale risultato
hanno contribuito gli introiti da pedaggio (284,8 milioni, +2,22%). Positiva si
è confermate la gestione diretta delle aree di servizio (royalties
corrispondenti a 34,8 milioni, +4,3% rispetto al 2007). I costi della
produzione dell'esercizio (255,8 milioni, influenzati in particolare dal costo
del personale) sono aumentati di 2,8 milioni di euro, mentre il margine
operativo lordo, pari a 145,7 milioni, ha registrato un incremento di 7,9 milioni
e rappresenta il 48% dei ricavi totali (46,1% nel 2007). Il reddito operativo
di 71,3 milioni, evidenzia un incremento di circa 8 milioni (+12,7%), mentre il
risultato prima delle imposte è di 96,5 milioni. L'esercizio 2008 si chiude con
un utile pari, al netto delle imposte, a 63,9 milioni di euro, in sostanziale
continuità con quello record registrato nel 2007 (65,7 milioni). Il cda ha
deciso di proporre all'assemblea dei soci un dividendo di 13 euro. Continua
l'accantonamento per il tunnel di base del Brennero: sono stati assegnati al
fondo ferrovia altri 27,5 milioni di euro, che portano a 385,6 milioni
l'accantonamento dal 1998 al 2008, che arriverà a 550 milioni totali entro il 2014. L'andamento
complessivo dell'economia nazionale ha influito direttamente sulla richiesta di
mobilità veicolare. Nel 2008
in A22 il dato relativo al veicolo teorico medio
giornaliero si è contratto dell'1,96%: i veicoli effettivi transitati sono
stati 70,6 milioni, la giornata maggiormente trafficata il 3 ottobre (183.679
veicoli in entrata, 185.779 veicoli in uscita). La contrazione del traffico si
è peraltro accentuata nei primi mesi del 2009 (-8%), elemento questo che si
rifletterà in modo significativo sui risultati di bilancio del corrente
esercizio. Al termine della seduta di ieri, il consiglio di amministrazione ha
convocato per il prossimo 29 giugno l'assemblea ordinaria dei soci che sarà poi
chiamata ad approvare il bilancio. In quest'occasione si terrà anche
un'assemblea straordinaria in cui sarà modificato lo statuto della società. In
particolare l'articolo 3 è stato riformulato per rendere evidente con maggior
chiarezza la possibilità che A22 possa occuparsi, oltre che della sua attività
principale di costruzione e gestione di autostrade, anche di trasporto di merci
su rotaia e di fonti di energia rinnovabili, (l'idrogeno): ambiti di attività
che saranno sviluppati ancora di più in caso di mancato rinnovo della
concessione.
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( da "AmericaOggi Online"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
L'analisi di
Draghi sulla situazione economica del Paese. La sfida del futuro Di Emilio
Manuelli 30-05-2009 Normal 0 false false false MicrosoftInternetExplorer4
L''analisi asciutta, fredda, razionale, nello stile dell'uomo e della
situazione che il Paese sta vivendo. Le tradizionali Considerazioni finali
lette ieri dal Governatore della Banca d'Italia, consueta radiografia annuale
dello stato dell'economia, esprimono una sintesi perfetta e incontestabile del
gravissimo momento che ha travolto anche il nostro Paese sull'onda di una crisi
per la quale, ha sottolineato, non abbiamo alcuna responsabilità. Mario Draghi,
autorevole banchiere centrale che tiene molto all'autonomia di via Nazionale,
non ha fatto sconti a nessuno e non ha voluto assecondare le spinte populiste e
demagogiche tanto care alla nostra classe politica influenzata dall'imminente
tornata elettorale. La riflessione che emerge dalla lettura delle diciannove
pagine del documento non è incoraggiante: la crisi è ben lontana dalla fine,
gli spunti di ottimismo per un'imminente uscita dal tunnel non sono concreti. Arrivano segnali di una qualche speranza solo dai mercati finanziari, con una leggera
ripresa delle quotazioni. Ma sono gli stessi mercati che hanno amplificato la crisi nata nel luglio del 2007 sulla
spinta rovinosa dei mutui subprime made in Usa. Quindi segnali mutevoli,
fragili, soggetti a fluttuazioni improvvise. Manca del tutto invece una
ripresa dell'economia reale, i dati sono in questo senso tutti ampiamente
negativi. Draghi sottolinea addirittura l'inquietante dato di caduta del pil,
quel prodotto interno lordo termometro della crescita di ricchezza di un paese:
nei sei mesi che vanno dall'ottobre al marzo del 2009 abbiamo registrato un
flessione del 7%. Roba da far impallidire la pur cruda crisi del '29. Esplode
in queste settimane, in questi mesi, la ricaduta sociale della recessione:
aumentano i disoccupati, è il boom del ricorso alla cassa integrazione. E in un
frangente così difficile, così delicato, il nostro welfare si dimostra carente:
sono inadeguati i paracadute sociali predisposti per affrontare un tempo di
pace, non certo l'attuale drammatica contingenza congiunturale. Il Governo sta
facendo molto, sembra dire il Governatore, ma non abbastanza: invoglia
l'esecutivo a fare di più, a rivedere il sistema degli incentivi sociali, a
spingere sulla leva di un riequilibrio della pressione fiscale per famiglie e
imprese, a fare cose semplici, senza artifici, nei confronti del sistema
economico. Sullo sfondo una terribile crisi di fiducia che paralizza lo
scenario complessivo. Le famiglie, preoccupate per la stabilità del posto di
lavoro e per un futuro reso incerto dall'evoluzione della recessione, non
consumano più. Le imprese, poco coraggiose in questo momento, sono frenate al punto
da bloccare qualsiasi politica di investimento. Le banche, le uniche salvatesi
nel contesto mondiale, sono preoccupate per la congiuntura e riducono il
potenziale di credito erogabile. Sono tre cani che legittimamente, considerata
le attuali condizioni, si mordono la coda, ma nel far così impediscono il
decollo, la ripresa. Dice Draghi che nonostante tutto è questo il momento per
fare le riforme strutturali, quelle di non breve periodo, quelle in grado di
organizzare e razionalizzare la spesa pubblica, a partire dalla previdenza. Per
fare questo serve un Governo capace di ribaltare le aspettative e investire nel
medio periodo, ma dubitiamo che le speranza del Governatore possano essere ben
riposte considerata la sostanziale inerzia cui stiamo assistendo in questi mesi
di dura recessione. A tal punto sembra giungere questo scetticismo di Mario
Draghi che le ultime righe del suo intervento, quelle tradizionalmente
destinate a lanciare il messaggio forte al Paese, sono soprattutto rivolte al
settore privato. È un appello alle banche e alle imprese affinché siano in
grado di ricostruire con i fatti la fiducia che la crisi ha fatto venir meno:
alle prime è richiesto un ritorno al coraggio che negli anni del boom economico
le rese protagoniste del rinascimento italiano del dopo guerra; alle seconde
perché proteggano in questa fase critica la professionalità delle loro
maestranze. Ma il Governatore non può sottacere che questo sforzo privato sarà
inutile se non sostenuto da una spinta del pubblico, tesa a rilanciare gli
investimenti e i consumi. È questa la sfida cui è chiamato un Governo reso
molto forte dal consenso dell'elettorato.
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( da "Italia Oggi (Lavoro e Previdenza)"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
ItaliaOggi Numero
127 pag. 34 del 30/5/2009 | Indietro Costa meno
regolarizzare i debiti contributivi LAVORO E PREVIDENZA Di
Domenico Comegna Regolarizzare i debiti contributivi costa sempre meno dopo la
decisione assunta al consiglio direttivo della Banca centrale europea, in
seguito al perdurare della crisi finanziaria. A ricordarlo è l'Inps con la circ. n. 78/2009. Il nuovo valore
del Tur (tasso ufficiale di riferimento) [...] Costo Punti per Abbonati: 0 -
Costo Punti per Registrati: 2
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(
da "Tempo, Il"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
stampa Consorzio Asi Il direttore Rabotti: «Polo dell'innovazione, attrazione aggiuntiva» Luca Sergio Direttore Francesco Rabotti, perché avete preso questa decisione di istituire il polo tecnologico dell'innovazione? «Risponde innanzitutto alla missione istituzionale del Consorzio Asi ed in secondo luogo alla crisi finanziaria prima e poi a quella industriale che stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza di molte aziende. In questa situazione, riescono a fare fronte con maggiore facilità al momento negativo del mercato quelle che innovano i prodotti in termini di funzionalità, affidabilità e qualità». Per salvarsi gli imperativi sono ricerca ed innovazione? «È chiaro come tutte e due giochino un ruolo importante per la sopravvivenza. Mentre le grandi imprese o le multinazionali posseggono propri centri ricerca, le piccole sia per ragioni economiche che culturali difficilmente hanno risorse e per questo si rivolgono altrove per reperire le competenze necessarie a sviluppare un percorso di innovazione. Quindi un territorio che può mettere a disposizione strutture sia pubbliche che private per supportare le aziende offre un fattore di attrazione aggiuntivo e si trova sicuramente avvantaggiato rispetto ad altre realtà». Cosa si propone l'intesa? «Vogliamo attivare quel circolo virtuoso che vede strettamente legate ricerca, formazione ed impresa. La sinergia progettuale tra Pa.L.Mer, comune di Frosinone, Consorzio Asi ed incubatori Bic Lazio rappresenta la condizione ideale per raggiungere l'obiettivo di assicurare una stabile e duratura fase di sviluppo economico per il nostro territorio». Si tratta allora di interventi integrati? «Il nostro scopo è agevolare le imprese e favorire nuove attività andando incontro alle loro esigenze. L'Asi è il soggetto capofila di questo importante progetto che ha coinvolto le competenze pubbliche del territorio. L'iniziativa è aperta a quanti, soggetti pubblici e privati, vogliono dare un contributo alla crescita del territorio».
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(
da "Borsa e Finanza"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
ATTUALITÀ
Nel Golfo la crisi è già finita E Dubai sorride di
nuovo Il Middle East torna ad attrarre investitori, come Kkr Giù i Cds, sale la
fiducia. Dai pozzi sgorgano ancora dollari Riprende anche l'occupazione negli
Emirati Arabi di Redazione - 30-05-2009 Mentre i loro principali clienti
continuano a galleggiare nei mari della recessione, i produttori di petrolio
del Golfo hanno riaperto i dossier sugli investimenti esteri per parcheggiare
la loro ricchezza. La risalita del prezzo del greggio ben oltre i 50 dollari
sta a significare che i Paesi del Middle East si accingono
a uscire dalla crisi finanziaria prima di tutti. L'Arabia Saudita, la più importante economia del
mondo arabo e anche il maggior esportatore di petrolio del globo, torna così ad
attrarre gli investitori, a partire dai fondi di Kkr. Intanto Qatar e Abu Dhabi
sono tornati a operare sui mercati internazionali, mentre i listini azionari
della regione puntano verso l'alto, a partire dal saudita Tadawul All
Share Index che ha chiuso la settimana scorsa con un rialzo su base annua del
26%, dopo una correzione al ribasso nel 2008 pari al 56,5 per cento. «La tenuta
dei prezzi del greggio mette i Paesi del Golfo in una posizione migliore
rispetto all'Europa e agli Usa», commenta Eckart Woertz da Dubai, un economista
del Gulf Research Center. «Questo - continua - comporterà un rialzo della
crescita nel 2010, cosa improbabile nei mercati occidentali». L'andamento dei
prezzi, oggi stabilmente sopra il tetto dei 60 dollari, segna un incremento
superiore all'80% rispetto al minimo di 34 dollari del 12 febbraio scorso. Le
previsioni, inoltre, parlano di un'oscillazione tra i 50 e i 60 dollari per
l'anno prossimo. Questi prezzi sono comunque assai lontani dal record di 147,27
dollari al barile dello scorso luglio, un prezzo che ha consentito ai
produttori di accumulare un cuscino di riserve sufficiente a proteggerli dalla
peggior recessione mai registrata dal 1945 fino a oggi. «Le quotazioni del
greggio ripartono - dice Mohammed al Shihi, direttore generale del ministero
dell'Economia degli Emirati Arabi Uniti - e in parallelo riparte la fiducia».
Quest'anno l'economia saudita calerà dello 0,9%, secondo le previsioni di
aprile 2009 del Fondo Monetario Internazionale, mentre gli Emirati Arabi Uniti
dovrebbero calare dello 0,6% e il Kuwait dell'1,1%: molto meno, comunque, degli
Usa (-2,8%), della Ue (-4%) e del Giappone (-6,2%). L'anno prossimo, al
contrario, il Fondo monetario si aspetta che l'Arabia Saudita torni a crescere
(+2,9%) e pure il Kuwait (+2,4%). Si spiega così perché i sei Stati del Gulf
Cooperation Council, che assieme controllano il 40% delle riserve mondiali del
greggio, stanno di nuovo attraendo capitali freschi dall'estero, come conferma
la recente Ipo della jv in Qatar di Vodafone, che ha raccolto il mese scorso
circa un miliardo di dollari. I Paesi esportatori del Golfo «hanno accumulato
tali surplus e vantano tali ambizioni di crescita che le cose non potranno che
andar bene», dice dalla Giordania il ceo della National Bank of Kuwait Sak
Ibrahim Dabdoub. «Abbiamo già cominciato a vedere dei buoni affari qua e là»,
conclude. Gli investitori internazionali già rispondono: la conferenza di
Euromoney a Riyadh ha raccolto la settimana scorsa 1.600 participanti, tra cui
i rappresentanti di Bank of New York Mellon, Hsbc and Barclays Capital. I Paesi
più allettanti? Abu Dhabi, che conta il 90% del greggio degli Emirati, assieme
all'Arabia Saudita e al Qatar è il più importante produttore di gas liquido
della regione, dice Simon Williams, chief regional economist di Hsbc in Dubai. Al
contrario, la crisi del mercato immobiliare di Dubai,
dopo il crollo di fine 2008, «sembra destinata a durare», spiega Timothy Ash,
capo economista del settore emergenti di Rbs. Dubai ha accumulato finora debiti
per 80 miliardi di dollari: per rientrare dalla crisi
sono in programma progetti immobiliari «fronte mare» per una superficie pari al
doppio dell'intera Hong Kong Island. Ma gli ingorghi di traffico, così comuni
fino a un anno fa, sono svaniti, come la penuria di taxi. I prezzi degli
immobili, intanto, sono crollati del 70 % dai massimi, secondo la stima di Ubs.
Ma il Cds su Dubai, termometro del rischio, è sceso a 488 dai 977 di febbraio,
mentre per l'Arabia Saudita il premio è sceso da 335 a 162 bp. I segni del
risveglio si vedono: Emaar Properties, la più importante immobiliare degli
Emirati, sta assumendo 1.600 persone. «Sono mercati stabili - commenta da
Londra Emad Mostaque, specialista di Pictet per il Medio Oriente - L'anno
prossimo quest'area guiderà la crescita degli Emergenti. Un titolo? Mi piace
l'alimentare saudita Almarai». Riproduzione riservata Bloomberg
(
da "AmericaOggi Online"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
Bankitalia.
Draghi lancia l'allarme sull'economia italiana. Pil 05%, riforme subito
30-05-2009 Normal 0 false false false MicrosoftInternetExplorer4 ROMA. Un Pil
in caduta di "circa il 5 per cento" e che tra ottobre 2008 e marzo 2009 ha lasciato sul
terreno "oltre 7 punti percentuali rispetto al trimestre precedente".
Un deficit che quest'anno si accresce "di circa due punti, a oltre il
4,5%" e che "potrebbe superare il 5% nel 2010". Il Governatore
della Banca d'Italia Mario Draghi snocciola i dati di crescita e conti
pubblici. Punta l'indice sulla crescita del debito e richiama a interventi
rapidi, con tagli di spesa da fare "subito" e contrasto all'evasione
fiscale che "consentirebbero di ridurre aliquote legali", far calare
le tasse, "diminuendo distorsioni e ingiustizie". In appena 17
cartelle il Governatore della Banca d'Italia lancia il suo messaggio al Paese,
chiudendo il 115esimo esercizio dell'Istituto, aprendo alle richieste avanzate
dalle aziende sull'acceso al credito e riconoscendo al Governo quanto fatto per
sostenere i redditi e per la riforma della pubblica amministrazione. Dal palco
Draghi avverte che tanto resta da fare, anche perché "negli ultimi
vent'anni la nostra è stata una storia di produttività stagnante, bassi
investimenti, bassi salari, bassi consumi e tasse alte". Da Via Nazionale
arrivano perciò segnali di incitamento, di stimolo, senza lasciare spazio al
pessimismo: "la fiducia non si ricostruisce con la falsa speranza",
spiega Draghi concludendo le sue quarte Considerazioni Finali, "ma neanche
senza speranza: uscire da questa crisi più forti è possibile". Perché,
afferma, "dalla metà di marzo le tensioni sui mercati finanziari si sono
allentate" e se è vero che "non è ancora possibile individuare con
certezza una definitiva inversione ciclica" ormai molti previsori nel
mondo sono convinti che "la crescita riprenderà nel 2010". -
CRESCITA. A questo punto il dilemma è come agganciarla e, per un sistema come
il nostro, svilupparla. "Ogni paese affronta la crisi con le sue
forze, le sue debolezze, la sua storia. La risposta è anche nazionale",
osserva il numero uno di Palazzo Koch dopo aver riconosciuto la necessità di un
maggiore coordinamento nella vigilanza internazionale e aver sottolineato
l'importanza in questa direzione degli organismi internazionali, dal Fondo
monetario internazionale al consiglio per la stabilità finanziaria
(Fsb) da lui stesso presieduto. Gli effetti della crisi, afferma Draghi,
"saranno per noi italiani più o meno gravi a seconda delle scelte che
faremo". - RIFORME. Il banchiere centrale elenca le priorità: il
completamento degli ammortizzatori sociali, la ripresa degli investimenti
pubblici, le azioni di sostegno della domanda e del credito". Tutti
aspetti che "avranno gli effetti sperati se coniugati con riforme
strutturali, non solo per dire ai mercati che il
disavanzo è sotto controllo, ma perché queste riforme costituiscono la
piattaforma della crescita futura". - CREDITO GARANTITO. Superare
l'emergenza è un imperativo realizzabile, secondo Draghi. Perché comunque di
emergenza si tratta: un calo del pil del 5% quest'anno dopo il meno uno del
2008 (-7% nel semestre ottobre-marzo appena trascorso); un disavanzo destinato
a superare il 5% nel 2010, imprese che dal monitoraggio sul territorio condotto
dalle filiali di Via Nazionale lamentano stime di un forte calo del fatturato,
che per molte supererà il 20%. Le banche, avverte il Governatore, non devono
far mancare ossigeno alle aziende. Non si può chiedere ai banchieri "di
allentare la prudenza nell'erogare il credito: quel che si può e si deve
chiedere è di affinare la capacità di riconoscere il merito di credito nelle
presenti, eccezionali circostanze". Insomma valutino il merito di credito
dei loro clienti "con lungimiranza". Gli istituti, ribadisce Draghi,
"non hanno eredità pesanti nei loro bilanci" e gli stress test
condotti finora "indicano la capacità del nostro sistema bancario di
resistere anche a scenari più sfavorevoli", ma bisogna utilizzare questo
vantaggio per affrontare "un presente e un futuro non facili". -
OCCUPAZIONE. I più colpiti dalla crisi sono i lavoratori: quelli in cassa
integrazione e quelli in cerca di nuova occupazione sono pari già all'8,5%,
destinati a salire ad oltre il 10%. La ricetta per non far gravare su loro il
taglio necessario delle spese e del riequilibrio prospettico dei conti pubblici
consiste in una "riforma organica e rigorosa, che razionalizzi l'insieme
degli ammortizzatori esistenti e ne renda più universali i trattamenti. Non
occorre rivoluzionare il sistema attuale - osserva Draghi - lo si può
ridisegnare intorno ai due tradizionali strumenti della cassa integrazione e
dell'indennità di disoccupazione, adeguati e calibrati". - PENSIONI. Il
graduale incremento dell'età media effettiva di pensionamento assicurerà
l'erogazione di pensioni di importo adeguato, osserva il Governatore. "Un
più alto tasso di attività tra i 55
a 65 anni innalzerà sia il reddito disponibile sia il
potenziale produttivo dell'economia". - RIPRISTINARE FIDUCIA. Per fare
tutto questo, ribadisce Draghi, "occorre sanare la ferita che la crisi ha
aperto nella fiducia collettiva": non è il lavoro di un giorno. Molto
resta da fare per ricreare posti di lavoro, per restituire vigore alle imprese,
per riparare i mercati finanziari, per meritare la
fiducia dei cittadini".
(
da "Italia Oggi"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
ItaliaOggi
sezione: Lavoro e Previdenza data: 30/05/2009 - pag: 34 autore: Domenico
Comegna Costa meno regolarizzare i debiti contributivi Regolarizzare i debiti
contributivi costa sempre meno dopo la decisione assunta al
consiglio direttivo della Banca centrale europea, in seguito al perdurare della
crisi finanziaria. A
ricordarlo è l'Inps con la circ. n. 78/2009. Il nuovo valore del Tur (tasso
ufficiale di riferimento) passato dall'1,25 all'1% ha efficacia diretta a
decorrere dal 13 maggio. La normativa che disciplina la materia, l'articolo 14
della legge n. 448/1998 (il collegato alla Finanziaria 1999), indica
quale tasso base il Tur (Tasso ufficiale di riferimento, ex Tus) e non più il
prime rate, favorendo così, attraverso una minore incidenza degli oneri
accessori, la regolamentazione spontanea dei debiti, anche in forma rateale, da
parte dei datori di lavoro inadempienti nei confronti degli enti previdenziali.
Il citato art. 14 della legge n. 448/1998 stabilisce che, con effetto dal 1°
gennaio 1999, ferme restando le maggiorazioni previste in materia di
regolamentazione rateale dei debiti contributivi e di sanzioni, in caso di
ritardato o omesso versamento degli stessi, per la determinazione del tasso di
interesse di differimento e di dilazione (art. 13 della legge n. 537/1981,
modificato dall'articolo 2 della legge n. 389/1989 e successivamente dall'art.
3, comma 4, della legge n. 402/1996), è preso a base il Tasso ufficiale di
riferimento (Tur). Essendo la misura del Tur fissata a partire dal 13 maggio in
misura pari all'1%, ne consegue che gli interessi di dilazione da applicare
alle rateazioni concesse dalla suddetta data deve essere calcolato sulla base
del nuovo tasso del 7% (Tur maggiorato di sei punti, come previsto dall'art. 3,
comma 4, della n. 402/1996). Nei casi di autorizzazione al differimento del
termine di versamento dei contributi (come in presenza di richiesta per ferie
collettive dell'azienda), a partire dalla contribuzione relativa al mese di
maggio 2009 si applica l'aliquota del 7%.
(
da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il
Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-05-30 - pag: 15 autore: Asia oltre la
crisi. Ad aprile la produzione nipponica segna l'aumento mensile più forte dal
1953 Tokyo, balzo dell'industria Nel primo trimestre l'economia indiana batte
le previsioni: +5,8% Stefano Carrer TOKYO. Dal nostro inviato Marco Masciaga
NEW DELHI Dalla prima e dalla terza economia asiatica arrivano segnali che
fanno pensare che il peggio della crisi sia passato e che il miglioramento
potrebbe consolidarsi nei prossimi mesi. La netta ripresa della produzione
industriale giapponese e il Pil indiano sopra le attese hanno contribuito ieri
a sostenere i mercati azionari del continente, che si
trovano ai massimi da ottobre, con un recupero spettacolare rispetto ai minimi
di marzo. Anche la Borsa di Seul negli ultimi due giorni ha ripreso ad avanzare
nonostante le crescenti provocazioni militari e politiche della Corea del Nord:
il primo ministro Han SeoungSoo ha dichiarato ieri di ritenere che sia passato
il peggio per l'unica economia tra i paesi Ocse a essere sfuggita alla
contrazione del Pil nel primo trimestre ( sebbene l'aumento sia stato solo
dello 0,1%). Meglio delle attese è risultato il dato di aprile sulla produzione
industriale giapponese, rimbalzata del 5,2% rispetto a marzo, quando le aziende
avevano adottato drastici tagli. Si tratta dell'aumento mensile più alto mai
verificatosi dal 1953 e si accompagna a prospettive di incremento anche per
maggio e giugno: sono ormai in molti a prevedere il ritorno alla crescita del
Pil nel secondo trimestre. Altri ritengono che la ripresa della domanda finale
sia ancora in dubbio e che il recupero mensile di produzione ed export sia
legato soprattutto alle dinamiche delle scorte. Le esportazioni di auto, per
esempio, ad aprile sono rimaste in calo del 65% rispetto a un anno prima. I
consumi interni non sono ripartite: ad aprile la spesa delle famiglie è scesa
dell'1,3% rispetto, per il 14Úmese consecutivo, in un contesto ormai esplicito
di deflazione (l'indice dei prezzi al consumo è sceso dello 0,1%) e di aumento
della disoccupazione (+0,2 punti al 5%, massimo da cinque anni e mezzo). Ieri
ha ricevuto il via libera dal parlamento la nuova maximanovra di stimolo
all'economia da quasi 14mila miliardi di yen (100 miliardi di euro): bocciata
alla Camera alta dominata dall'opposizione, è stata rivotata subito dalla
Camera bassa ed è quindi diventata legge. Per rendere effettive varie misure,
però, occorrerà il voto su normative specifiche: il premier Taro Aso estenderà
sicuramente la sessione della dieta, probabilmente fino ad agosto, per poi
chiamare gli elettori alle urne nella speranza che una ripresa estiva
dell'economia faccia riguadagnare consensi alla maggioranza di governo. Anche
l'India dà segnali di ripresa. Nel primo trimestre cresciuta del 5,8% su base
annua, contro le previsioni comprese tra il 5 e il 5,2% fatte dalla maggioranza
degli analisti. Il dato reso noto ieri è identico a quello registrato
nell'ultimo trimestre del 2008 e si traduce in un'espansione vicina all'1,2% su
base trimestrale e in una crescita complessiva, per l'anno fiscale 2008-2009,
del 6,7%. Un dato più basso del 9% registrato un anno fa, ma ben al di sopra
delle stime più ricorrenti degli ultimi mesi. A trascinare la terza economia
asiatica nei primi tre mesi dell'anno sono stati soprattutto i settori
agricolo, dei servizi e, più in generale, quella domanda interna che ha
attutito l'impatto della recessione mondiale. Rispetto ad altre economie più
orientate all'export, quella indiana dipende solo per il 15% dall'andamento dei
consumi nei mercati esteri e ha risentito meno della
crisi. «Il peggio è passato: credo che il paese sia all'inizio di un ciclo di
crescita del Pil», spiega Rajeev Malik di Macquarie Capital. I dati di ieri
sono stati accolti positivamente dai mercati finanziari indiani che sono cresciuti di
oltre il 3%, beneficiando anche dell'effetto traino dei titoli petroliferi. A
spingere verso l'alto le azioni delle compagnie statali sono state le voci
sempre più insistenti circa un possibile incremento dei prezzi dei carburanti,
reso politicamente praticabile dalla nuova maggioranza di governo e finanziariamente urgente da un deficit
fiscale, al netto di quello dei singoli stati, di 70 miliardi di
dollari, ovvero il 6,2% del Pil. © RIPRODUZIONE RISERVATA IN RIPRESA Il
Giappone vara nuovi stimoli per 100 miliardi di euro Il miglioramento della
congiuntura dà fiato alle Borse della regione
(
da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il
Sole-24 Ore sezione: FINANZA E MERCATI data: 2009-05-30 - pag: 33 autore:
Scontro tra UniCredit e Italpetroli sulla cessione della società Mediobanca
«arbitro» della Roma Alessandro Graziani MILANO L a Italpetroli della famiglia
Sensi si affida a Mediobanca per la gestione del debito. Ma non convince
pienamente Uni Credit, maggior creditore della holding romana, che vorrebbe
rientraredai crediti attraverso la cessione della As Roma. All'advisor,stando
alle indiscrezioni, i Sensi avrebbero affidato il compito di effettuare una
rapida ricognizione della situazione patrimoniale, per decidere poi le modalità
di ristrutturazione del debito e la eventuale cessione di asset. Un mandato
troppo generico, secondo fonti di UniCredit, che non intende più assecondare la
tattica del rinvio dei Sensi. La decisione di Italpetroli di puntare su
Mediobanca è maturata dopo l'incontro di giovedì tra i vertici della
Italpetroli e Paolo Fiorentino, deputy ceo di UniCredit. Il gruppo bancario,
che due anni fa ha inglobato Capitaliae con essa il dossier Italpetroli di cui
detiene il 49%, è il principale creditore della holding della famiglia Sensi
con un'esposizione di 277 milioni sui 365 complessivi. Una posizione
«incagliata», poichè dalla fine di dicembre del 2008 il gruppo romano dei Sensi
non paga gli interessi sul debito. Con il passare del tempo, si è visto che
tutti i tentativi di Italpetroli di ripianare il debito attraverso la cessione
di attività diverse dalla As Roma non sono andati a buon fine. Fino a qualche
mese fa, i Sensi si erano affidati alla consulenza di Banca Finnat. Ma il
mandato è scaduto da tempo, e Italpetroli ha gestito in proprio gli ultimi mesi
di trattative per tentare di ripianare i debiti. Finchè giovedì scorso, i
vertici di UniCredit hanno deciso di forzare i tempi intimando alla Italpetroli
la rapida scelta di un advisor per assistere il gruppo nella messa a punto di
un credibile piano di ristrutturazione e di cessione degli asset. Non risulta
che UniCredit, per il momento, abbia ventilato l'ipotesi di chiedere pegni o
altre forme di garanzia diretta sulle partecipazioni di Italpetroli. Ma sembra
finita la fase della gestione «morbida» del dossier. Circa un anno fa UniCredit
aveva rinunciato a esercitare un'opzione call sul 2% di Italpetroli, che avrebbe
portato la banca al 51% della holding dei Sensi. Un segnale di disponibilità
inviato alla famiglia guidata da Rosella Sensi, nella convinzione che
Italpetroli si sarebbe impegnata nel risanamento del gruppo. La successiva esplosione della crisi
finanziaria ed economica internazionale, che ha
determinato la riduzione delle valutazioni degli asset (che, oltre alla As
Roma, comprende le attività nello stoccaggio petrolifero e beni immobili), non
ha certo aiutato Italpetroli. Il debito, invece, è rimasto immutato. E
difficilmente potrà essere ricondotto a valori normali, senza la cessione di
asset. L'arrivo di Mediobanca al fianco dei Sensi serve a dare maggiore
credibilità a eventuali trattative per la cessione della As Roma (peraltro non
esplicitate nel comunicato di Italpetroli), finora oggetto di interessamenti
non sempre «bancariamente» credibili. è noto che Rosella Sensi non ha mai
manifestatol'intenzione di cedere la Roma, continuando anzi a valutare il
progetto di costruzione del nuovo stadio. Un anno fa, sembrava che la cessione
fosse in dirittura d'arrivo con l'interesse di un pool di investitori guidato
dal finanziere George Soros. Ma anche in quel caso non se ne fece nulla. Ora il
contesto è cambiato. Non è detto che si arrivi in tempi rapidi alla cessione
della Roma, certo la ristrutturazione del debito – sostengono da UniCredit –
non può più essere differita. è vero che ogni decisione resta in mano alla
famiglia Sensi. Ma è inutile dire che sull'intera vicenda assumerà un peso di
rilievo anche il dialogo tra UniCredit e Mediobanca. © RIPRODUZIONE RISERVATA
(
da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il Sole-24
Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-05-30 - pag: 3 autore: Riforme e si esce
più forti dalla crisi La disoccupazione verso il 10%: rivedere ammortizzatori
sociali e pensioni - Banche al riparo Rossella Bocciarelli ROMA «Ogni paese
affronta la crisi con le sue forze, le sue debolezze, la sua storia. La
risposta alla crisi è anche nazionale: i suoi effetti saranno per noi italiani
più o meno gravi a seconda delle scelte che noi stessi faremo». Il Governatore
della Banca d'Italia, Mario Draghi ha scelto ieri una chiave asciutta (meno di
17 cartelle, 6.398 parole) per spiegare ciò che il paese non può permettersi,di
fronte a una crisi internazionale come quella attuale. Non può permettersi di
lasciare aumentare la spesa pubblica senza alcun freno, per via del suo
handicap storico, il debito pubblico; non può permettersi di stare fermo.
«Negli ultimi vent'anni – ha ricordato – la nostra è stata una storia di
produttività stagnante, bassi investimenti, bassi salari, tasse alte. Dobbiamo
essere capaci di levare la testa dalle angustie di oggi per vedere più
lontano». Per questo «una risposta incisiva all'emergenza è possibile solo se
accompagnata da comportamenti e da riforme che rialzino la crescita dal basso
sentiero degli ultimi decenni». «Uscire da questa crisi più forti è possibile»
dice il Governatore ma occorrono atteggiamenti lungimiranti. Serve lungimiranza
nella politica economica, che deve agire contro la crisi irrobustendo il
sistema degli ammortizzatori sociali e che, al tempo stesso, dovrà procedere con
decisione sulla strada delle riforme. Draghi ha sollecitato l'innalzamento
graduale dell'età pensionabile effettivae un piano a medio termine per la
riduzione della spesa primaria corrente che quest'anno salirà di 3 punti,
mentre il deficit (anche per la forte riduzione delle entrate dovuta alla
recessione) sarà al 4,5% nel 2009 e nel 2010 oltre il 5. Per la protezione
sociale anti-disoccupazione, ha spiegato, «non occorre rivoluzionare il sistema
attuale»; lo si può ridisegnare attorno a ciò che già esiste(Cig e indennità di
disoccupazione ordinaria) affiancandovi una misura di sostegno al reddito per i
casi attualmente non coperti; tra le misure anti-crisi Draghi ha sollecitato
anche la riduzione dei tempi di pagamento dei debiti della Pa. Secondo il Governatore,
però, è altrettanto necessario che anche le banche usino lo sguardo lungo,
senza mettere a repentaglio né i loro bilanci, né i soldi dei depositanti:
Draghi ha infatti evocato la figura di coloro che, come Raffaele Mattioli o
Giuseppe Imbriani Longo, negli anni 50 e 60 finanziarono la ricostruzione del
Paese. Oggi, ha spiegato, «occorre saper fare i banchieri anche quando le cose
vanno male» e contenere al massimo il rischio di asfissia finanziaria
per le aziende sane. Del resto, sulle conseguenze della crisi internazionale
per l'economia italiana, il numero uno di Bankitalia è stato molto chiaro: «In
Italia la crisi mondiale determinerà, secondo le previsioni più aggiornate, una
caduta del Pil di circa il 5% quest'anno, dopo la diminuzione di un punto nel
2008». Non basta: nel semestre compreso fra ottobre 2008 e marzo 2009 la caduta
della domanda estera ha provocato un blocco "precauzionale"
dell'attività produttiva che ha fatto cadere il Pil di 7 punti percentuali in
ragione d'anno, mentre i recenti segnali di miglioramento
arrivano dai mercati finanziari e dai sondaggi d'opinione, non ancora da dati economici
consolidati. Ciò che è quindi importante scongiurare, ha spiegato il
Governatore, è il rischio di una seconda ondata di sfiducia da parte delle
aziende, che potrebbe innescarsi di fronte a una caduta dell'occupazione e dei
consumi interni. Draghi ha ricordato che per oltre 2 milioni di
lavoratori a termine il contratto scade entro l'anno (il 38% di questi
lavoratori è nel Mezzogiorno); inoltre, i lavoratori in cassa integrazione e
quelli disoccupati sono già oggi l'8,5% della forza lavoro, e questa cifra
potrebbe salire oltre il 10 per cento. Draghi ha fornito una fotografia nitida
delle modalità con le quali le aziende stanno affrontando la crisi: c'è
l'attesa di un forte calo del fatturato (più del 20%) e di una riduzione degli
investimenti che oscilla dal 12 al 20% a seconda dei settori. Un'indagine
Bankitalia mette anche in evidenza che tra le 65mila imprese con più di 20
addetti ce ne sono almeno 5mila che stanno reagendo bene alla cattiva
congiuntura; ce ne sono però 6mila che soffrono molto, per essere state
sorprese dalla crisi proprio mentre stavano facendo il salto tecnologico,
dimensionale e si erano indebitate. Il Governatore ha poi fornito i dati sul
credito alle imprese, che ad aprile ha registrato un tasso di crescita
trimestrale nullo (era del 12% un anno fa) e ha spiegato che la frenata non è
attribuibile solo alla caduta della domanda; inoltre, ha ricordato, è aumentato
il divario dei costi di accesso al credito fra piccole e grandi imprese.
Infine,ha parlato dell'impatto della crisi sulle banche, meno esposte delle
consorelle straniere ai danni da finanza strutturata, ma non immuni dalle
conseguenze negative in termini di maggiori sofferenze (Draghi ha nuovamente
suggerito l'idea di una garanzia pubblica a fronte di cartolarizzazioni di
tranches di nuovi prestiti di buona qualità). Il patrimonio delle banche
italiane è di sopra degli standard minimi e resiste anche a una prova di stress
appena realizzata in Bankitalia. Ma lo sforzo di rafforzare il capitale rimane
una priorità. © RIPRODUZIONE RISERVATA LA FIDUCIA «Non si costruisce con la
falsa speranza, ma neanche senza speranza. Ogni paese affronta le emergenze con
le sue forze e le sue debolezze» LE SCELTE PER IL RILANCIO «La politica
economica è oggi più difficile in Italia che in altri paesi». Azioni di stimolo
limitate dal debito ma c'è spazio per interventi ANSA
Appello alla fiducia. Mario Draghi e, a sinistra, il direttore generale della
Banca d'Italia Fabrizio Saccomanni. Per le sue quarte Considerazioni il
Governatore ha scelto la sintesi: meno di 17 cartelle
(
da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il
Sole-24 Ore sezione: TESTO data: 2009-05-30 - pag: 10 autore: “SIGNORI
PARTECIPANTI... Meno tensioni sui mercati, ma il
rischio che permane sull'evoluzione della congiuntura richiede, per la sua
gravità, che si continui a sostenere l'economia con decisione e con tutti gli
strumenti a disposizione S ignori Partecipanti, Autorità, Signore, Signori, la
riforma organizzativa della Banca procede nei tempi programmati. Sono state già
chiuse 18 Filiali, altre cesseranno di operare nei prossimi mesi. Alla fine di
quest'anno, delle originarie 97 Filiali ne resteranno attive 58, di cui 6
specializzate in compiti di vigilanza bancaria e finanziaria
e 25 dedicate, con strutture più snelle, alla Tesoreria dello Stato e a servizi
informativi ai cittadini. La fabbricazione di banconote sarà riorganizzata, con
l'accordo delle organizzazioni sindacali, al fine di accrescere la produzione e
l'efficienza. La Banca d'Italia svolge da oltre un anno,a seguito della
incorporazione dell'Ufficio italiano dei cambi, funzioni di contrasto al
riciclaggio attraverso l'Unità di informazione finanziaria
( UIF),che opera all'interno della Banca ma con speciale autonomia. Le ha
destinato risorse consistenti e qualificate.Nell'assolvere il suo compito l'UIF
ha sviluppato utili sinergie con la Vigilanza. Ne beneficiano la stessa
stabilità e la reputazione del sistema bancario. è intensa la collaborazione
con la Magistratura e con la Guardia di Finanza, a cui vengono presentate, in
numero crescente, denunce e segnalazioni. Nel gennaio di quest'anno Antonio
Finocchiaro ha lasciato il Direttorio della Banca per assumere la carica di
Presidente della Commissione di vigilanza sui fondi pensione. Nel corso della
sua lunga carriera egli ha dato alla Banca d'Italia, con rigore e dedizione,
contributi importanti in campi diversi, dall'originario sviluppo
dell'informatica alla gestione delle risorse umane e delle relazioni con i
sindacati, alla organizzazione e gestione aziendale. Gli rivolgo un saluto
affettuoso e riconoscente. Prende il suo posto nel Direttorio Anna Maria
Tarantola, già Direttore centrale per la Vigilanza. Il personale dell'Istituto
è chiamato dallo scorso anno a un impegno straordinario, commisurato alla
difficoltà della crisi economica e finanziaria che
stiamo vivendo e alla eccezionalità delle risposte che sono richieste a ogni
livello. Il terremoto in Abruzzo ha rappresentato una ulteriore, dolorosa
sfida. Tutti stanno rispondendo con abnegazione, mettendo a frutto le alte doti
professionali e umane che contraddistinguono la nostra compagine. Li ringrazio,
a nome del Consiglio Superiore e del Direttorio. Resta da affrontare la
questione dell'assetto proprietario della Banca. Quello attuale ha garantito
per oltre 70 anni l'indipendenza e l'autonomia decisionale dell'Istituto.
L'evoluzione della struttura del sistema bancario fa tuttavia emergere
un'anomalia formale che è opportuno rimuovere. Siamo aperti a definire con i
Partecipanti al nostro capitale e con il Governo una soluzione del problema che
apporti beneficio a tutto il sistema. LA CRISI NEL MONDO Dalla metà di marzo le
tensioni sui mercati finanziari si sono allentate; le
quotazioni di borsa, pur tra oscillazioni, si sono risollevate, tornando sui
livelli di inizio anno; gli indicatori qualitativi dell'economia reale mostrano
un'attenuazione delle spinte recessive. Sono segnali incoraggianti. La
probabilità di una deflazione, intesa come un declino prolungato e
generalizzato dei prezzi, appare oggi modesta, anche perché le aspettative
d'inflazione a medio e a lungo termine si mantengono vicine al 2 per cento.
Tuttavia, il rischio che permane sull'evoluzione della congiuntura richiede,
per la sua gravità, che sicontinui a sostenere l'economia con decisione e con
tutti gli strumenti a disposizione. Si è consapevoli che occorrerà predisporre
per tempo strategie di rientro dagli elevati disavanzi fiscali, dalla
straordinaria creazione di liquidità che caratterizzano la situazione presente.
Non è ancora possibile individuare con certezza una definitiva inversione
ciclica: si prevede che la crescita riprenderà nel 2010. L'attesa generale per
i prossimi mesi è di riduzioni di occupazione, di reddito, accompagnate dal
permanere di volatilità sui mercati finanziari, con
riflessi negativi sui consumi e sugli investimenti. Compito delle politiche
economiche è attenuare la spirale negativa tra disoccupazione e consumi. La
loro risposta è stata tempestiva, intensa e coordinata a livello
internazionale. Non si ha finora evidenza di una
significativa ripresa del protezionismo. I tassi d'interesse ufficiali sono stati ridotti drasticamente
in tutte le principali economie. Tra l'ottobre del 2008 e l'inizio di maggio il
Consiglio direttivo della BCE ha abbassato il tasso sulle operazioni di
rifinanziamento principali di ,25 punti percentuali, fino all'1 per cento,
il livello più basso mai raggiunto nei paesi dell'area. La riduzione si è
riflessa sui tassi di mercato:l'Euribor a tre mesi è attualmente pari all'1,
per cento, oltre punti percentuali in meno rispetto alla prima decade di
ottobre. I tassi di interesse in euro a un anno sono allineati a quelli in
dollari, lievemente inferiori a quelli in sterline. Le misure espansive
adottate da tutte le banche centrali hanno prodotto un significativo
ampliamento dei loro bilanci, in forme che riflettono le diverse strutture finanziarie. Nell'area dell'euro il credito bancario, con un
peso sul prodotto pari a circa il 1 0 per cento, ha una importanza maggiore che
negli Stati Uniti, dove questo rapporto è del 60 per cento. L'Eurosistema ha
quindi finora concentrato gli interventi sulle banche. L'introduzione
nell'ottobre scorso di un sistema di rifinanziamenti a tasso fisso e limitati
soltanto dalla disponibilità di garanzie è stata una misura di grande
rilevanza. Essa, insieme ad altre, ha permesso alle banche di far fronte alle
esigenze di liquidità in una situazione di paralisi dei mercati
monetari. Ha anche dato loro certezza circa il tasso che avrebbero pagato, per
un periodo ben più lungo che in passato: le scadenze delle operazioni sono
state allungate fino a sei mesi e, dal prossimo giugno, a dodici mesi. A fronte
di questi prestiti le banche possono oggi dare in garanzia una varietà di
titoli molto più ampia di quanto non fosse possibile in precedenza. Si è
evitato un tracollo del sistema globale; ma né l'espansione monetaria né
l'azione degli stabilizzatori automatici presenti nei bilanci pubblici sono
state sufficienti a contrastare la caduta della domanda aggregata e i costi
sociali della recessione. Dallo scorso autunno gli organismi internazionali
sottolineano la necessità di una decisa azione discrezionale di bilancio,
coordinata a livello internazionale ed estesa a tutti i principali paesi. In
Europa il Consiglio dell'Unione ha richiesto di realizzare nel 2009 interventi
di stimolo complessivamente pari all'1,5 per cento del prodotto dell'area.
Nell'insieme dei paesi industriali e in molti di quelli emergenti, in primo
luogo in Cina, la risposta delle politiche di bilancio è stata nettamente
espansiva. L'entità,la durata e la composizione degli interventi sono
differenziate e riflettono, in particolare, il diverso impatto della crisi, le
condizioni iniziali delle finanze pubbliche e le dimensioni degli
stabilizzatori automatici. La simultaneità delle politiche di stimolo messe in atto
ne rafforza l'efficacia. Secondo le stime del Fondo monetario internazionale,
nel 2009 il disavanzo di bilancio dei paesi avanzati raggiungerà quasi il 9 per
cento del prodotto, per poi diminuire di un punto nel 2010. L'incidenza del
debito pubblico lordo aumenterà tra il 2008 e il 2010 di 27 punti negli Stati
Uniti, sfiorando il 100 per cento, e di 16 punti nell'area dell'euro, all'85
per cento. La necessità di collocare sul mercato nei prossimi due anni una
ingente quantità di titoli pubblici esercita pressioni al rialzo suitassi di
interesse;queste si accentueranno con l'attenuarsi della recessione e il
conseguente rafforzamento della domanda di titoli di debito privati, ponendo un
freno alla ripresa delle economie. Superata la crisi, l'incidenza del debito
pubblico va decisamente ridotta. Tuttavia,l'esperienza passata mostra che senza
il risanamento delle banche e senza una ripresa del circuito del credito la
recessione sarà più lunga e la ripresa più lenta, nonostante l'eccezionale
espansione dei disavanzi pubblici. Dopo il fallimento di Lehman Brothers nel
settembre dello scorso anno, gli interventi dei governi a garanzia dei depositi
e delle passività bancarie e a sostegno delle ricapitalizzazioni hanno evitato
ulteriori dissesti; non sono stati sufficienti a impedire una contrazione del
credito. I mercati finanziari ancora stentano a
recuperare piena funzionalità. L'avversione al rischio resta elevata. A livello
mondiale, le perdite contabilizzate nei bilanci delle banche negli ultimi due
anni sono state pari a oltre 1.000 miliardi di dollari. I fondi per
ricostituire il capitale degli intermediari sono derivati per poco meno della
metà da interventi pubblici. In prospettiva, il fabbisogno di capitale degli
intermediari va soddisfatto riattivando il mercato. Ne è condizione l'assoluta
trasparenza degli attivi bancari. L'alone di incertezza che continua a
circondare i bilanci delle banche limita l'afflusso di capitale privato,
aumenta il livello di patrimonializzazione richiesto dal mercato e rende più
stringente l'incentivo a ridurre gli attivi. Occorre un'azione volta a
ristabilire certezza e credibilità degli attivi nei bilanci bancari. I
provvedimenti, annunciati in vari paesi, di assicurazione o trasferimento a
enti separati di parte dell'attivo possono incentivare l'emersione dei titoli
più problematici. Ma, perché ritorni la fiducia nelle grandi istituzioni finanziarie internazionali, resta l'esigenza di un esercizio
completo, internazionalmente coordinato, coerente, rigoroso, di trasparenza sui
bilanci delle banche, già avviato negli Stati Uniti, in corso di preparazione
in Europa. PROMUOVERE LA STABILITà FINANZIARIA La crisi ha le sue radici in
distorsioni nel funzionamento dei mercati, in carenze
di regolazione e supervisione e nei comportamenti degli intermediari, nei primi
centri finanziari del mondo. La eccezionale liquidità
che affluiva in quei centri, causata dai prolungati squilibri nel tasso di
risparmio e nella bilancia dei pagamenti, contribuiva a tenere su livelli
anormalmente bassi tassi di interesse, volatilità, costi di protezione
dall'insolvenza. Ne risultava una generale sottovalutazione del rischio, con la
conseguente sopravvalutazione delle attività finanziarie
e immobiliari. Ne venivano mascherati i difetti di regolamentazione e quelli
nella gestione dei rischi da parte delle più grandi banche del mondo. Una
politica monetaria accomodante contribuiva all'artificiosa lievitazione dei
volumi finanziari, permetteva il protrarsi di una
situazione resa fondamentalmente instabile da quelle distorsioni, da quelle
carenze. Il mercato rifiutava i pur timidi interventi delle politiche
economiche; accecato, perdeva la propria capacità diagnostica; i suoi
meccanismi autocorrettivi erano paralizzati. Un sistema finanziario
in cui si coniughino innovazione e solidità, profitto e sostegno alle famigliee
alle imprese dovrà avere più regole, più capitale, meno debito. La strategia
globale che va emergendo è fondata su tre pilastri: le istituzioni finanziarie internazionali; i regolatori; le banche centrali.
Il Fondo monetario internazionale assume ora un ruolo cruciale: le sue risorse
sono state più che raddoppiate, è stata potenziata la sua capacità di
intervento. Può oggi sostenere i paesi in difficoltà, in particolare le
economie emergenti che più risentono della congiuntura avversa; la sua
assistenza nella gestione degli squilibri evita il propagarsi sistemico della
crisi. Al Fondo, insieme con il Financial Stability Board, è stata affidata
l'analisi e la segnalazione preventiva dei rischi per la stabilità del sistema finanziario globale. è incoraggiante che anche i maggiori
paesi abbiano finalmente accettato di essere periodicamente esaminati dal Fondo
sulla solidità dei loro sistemi finanziari. Una
sorveglianza multilaterale più pregnante che in passato potrà contribuire alla
coerenza globale delle politiche economiche nazionali. Ma la correzione
ordinata degli squilibri nelle bilance dei pagamenti non potrà che far perno su
un mercato mondiale dei capitali in condizioni di piena funzionalità, al riparo
da difetti di regolazione e controllo. Questo convincimento è all'origine della
istituzione, da parte dei capi di Stato o di governo del G20, del Financial
Stability Board. Il nuovo organismo è stato ampliato nella composizione e nel
mandato rispetto al Financial Stability Forum; quest'ultimo aveva prodotto
nell'aprile 2008 il primo rapporto sulle azioni da intraprendere per rimediare
alle carenze della regolamentazione. Il Board ha ora la responsabilità di
seguire le autorità nazionali nell'applicazione di quelle raccomandazioni, di
coordinare i molti comitati di regolatori e contabili che determinano gli
standard cui si attengono le banche, di proseguire nella costituzione dei
collegi internazionali di supervisori per le istituzioni finanziarie
più grandi. Requisiti di capitalizzazione e di liquidità più rigorosi,
estensione del perimetro della regolamentazione anche a istituzioni non
bancarie, completamento di Basilea 2 e modifica delle regole contabili al fine
di diminuirne la prociclicità, vigilanza e regolamentazione più stringenti per
le istituzioni che hanno dimensione tale da costituire un rischio sistemico;
sono, queste, le azioni che descrivono il sentiero di lavoro del Financial
Stability Board nei prossimi mesi. La Presidenza italiana del G8 conduce i
lavori sulla definizione di un global standard per la proprietà, l'integrità e
la trasparenza dell'attività economica e finanziaria
internazionale. Con la crisi si è molto ampliato il consenso sulla necessità
che le banche centrali includano espressamente tra i loro obiettivi la
stabilità finanziaria; limitare il loro compito agli
interventi riparatori dopo una crisi non è più ritenuto sufficiente. Si fa
strada l'idea che le funzioni di politica monetaria e di vigilanza si
rafforzino l'un l'altra. Il dibattito su questi temi è complesso ed è lungi
dall'essere compiuto. In Europa è già in corso un processo di revisione di
ampie parti del sistema di supervisione bancaria e finanziaria.
Gli aspetti fondamentali di tale revisione sono da condividere; in alcuni punti
il processo va rafforzato. L'attribuzione di compiti di vigilanza finalizzata
alla stabilità sistemica a un Consiglio europeo è utile, se questo dispone di
una effettiva capacità di intervento e opera in stretto raccordo con le
autorità di vigilanza nazionali. Gli standard di vigilanza comuni dovrebbero
essere, almeno in alcune aree, vincolanti e direttamente applicabili a livello
nazionale. Occorre armonizzare i sistemi di garanzia dei depositanti e gli
strumenti di intervento in caso di crisi. LE RIPERCUSSIONI DELLA CRISI IN
ITALIA In Italia la crisi mondiale determinerà, secondo le previsioni più
aggiornate, una caduta del PIL di circa il 5 per cento quest'anno, dopo la
diminuzione di un punto nel 2008. Il crollo della domanda estera ha provocato
una forte contrazione della produzione industriale e degli investimenti. La
reazione delle imprese, in particolare di quelle più esposte al ciclo
internazionale, è stata immediata: chiusura provvisoria di interi stabilimenti
o linee produttive; riduzione, temporanea o permanente, della manodopera;
rinvio degli acquisti, sia di semilavorati sia di beni capitali; dilazioni
insolitamente lunghe dei pagamenti ai fornitori. Nei sei mesi da ottobre 2008 a marzo 2009 il PILè
caduto in ragione d'anno di oltre 7 punti percentuali rispetto al semestre
precedente. I recenti segnali di un affievolimento della fase più acuta della
recessione provengono dai mercati finanziari e dai
sondaggi d'opinione, più che dalle statistiche finora disponibili sull'economia
reale. Il ritorno a una crescita duratura richiede che l'economia
internazionale si riprenda stabilmente, che la debolezza del mercato del lavoro
non si ripercuota ancora più duramente sui consumi interni, che si rafforzi la
struttura del nostro sistema produttivo. L'OCCUPAZIONE E I CONSUMI Fra le
misure prudenziali che le imprese hanno adottato per fronteggiare la
recessione, quelle riguardanti il lavoro sono state di tre tipi:
riorganizzazioni di turni e orari e blocco del turnover; ricorso alla Cassa integrazione;
mancati rinnovi di contratti temporanei e licenziamenti. Quasi tutte le imprese
hanno fatto ricorso al primo tipo di misure. La Cassa integrazione ordinaria è
stata pure diffusamente usata e si è già rapidamente portata sui livelli
massimi raggiunti durante la recessione del 1992-9 ; la sua copertura
potenziale è tuttavia limitata – interessa un terzo dell'occupazione dipendente
privata – e fornisce al lavoratore una indennità massima inferiore, in un mese,
alla metà della retribuzione lorda media nell'industria. Si stima che due
quinti delle imprese industriali e dei servizi con 20 e più addetti
ridimensioneranno il personale quest'anno;la riduzione sarà probabilmente
maggiore nelle imprese più piccole. Per oltre 2 milioni di lavoratori temporanei
il contratto giunge a termine nel corso di quest'anno; più del 0 per cento è
nei servizi privati, quasi il 20 nel settore pubblico; il 8 per cento è nel
Mezzogiorno. I lavoratori in Cassa integrazione e coloro che cercano una
occupazione sono già oggi intorno all'8,5 per cento della forza lavoro, una
quota che potrebbe salire oltre il 10: proseguirebbe la decurtazione del
reddito disponibile delle famiglie e dei loro consumi, nonostante la forte
riduzione dell'inflazione. Gli interventi governativi a supporto delle famiglie
meno abbienti e gli incentivi all'acquisto di beni durevoli stanno fornendo un
temporaneo ausilio. Un primo rischio per la fase ciclica che attraversiamo è
una forte riduzione dei consumi interni, a cui le imprese potrebbero reagire restringendo
ancora i loro acquisti di beni capitali e di input produttivi. LE IMPRESE E LA
CRISI Grazie all'impegno delle nostre Filiali regionali, abbiamo svolto una
indagine particolarmente approfondita sulle condizioni del sistema produttivo
italiano, sulle difficoltà che le imprese incontrano, su come stanno reagendo
alla crisi. L'attesa di un forte calo del fatturato, più del 20 per cento per
molte imprese, e la grande incertezza circa la durata della crisi portano per
l'anno in corso a piani di riduzione degli investimenti del 12 per cento nel
complesso dell'industria e dei servizi, di oltre il 20 nella manifattura:
valori eccezionali nel confronto storico. Un processo di ristrutturazione si
era avviato in parti importanti del nostro sistema produttivo nella prima metà
del decennio; prima della crisi se ne intravedevano già i frutti in termini di
produttività e forza competitiva sui mercati esteri;
questi tempi difficili lo mettono a repentaglio. Secondo la nostra indagine,
circa metà delle 65.000 imprese dell'industria e dei servizi con almeno 20
addetti sono state coinvolte nel processo di ristrutturazione. Esse si
attendono un calo del fatturato nel 2009 nettamente inferiore alla media. A un
estremo, le aziende finanziariamente più solide
presenti in questo gruppo oggi attutiscono l'impatto dell'avversa congiuntura
consolidando il primato tecnologico e diversificando gli sbocchi di mercato.
Non sono poche, stimiamo più di 5.000, con quasi un milione di addetti. Alcune
sembrano proiettate a trarre vantaggio dalla crisi, in termini di
riposizionamento sul mercato. All'altro estremo vi sono imprese che, avendo
deciso di accrescere scala dimensionale, intensità tecnologica, apertura
internazionale, si erano indebitate. Affrontano ora, con la crisi, il prosciugarsi
dei flussi di cassa, l'irrigidirsi dell'offerta di credito bancario, la forte
difficoltà ad accedere al mercato dei capitali; si tratta di almeno 6.000
aziende, che impiegano anch'esse quasi un milione di lavoratori. A risentire
della crisi sono soprattutto le imprese piccole, sotto i 20 addetti; nella sola
manifattura se ne contano in tutto quasi 500.000, con poco meno di due milioni
di occupati. Per quelle che operano in qualità di sub-fornitrici di imprese
maggiori, da cui subiscono tagli degli ordinativi e dilazioni nei pagamenti, è
a volte a rischio la stessa sopravvivenza. Il passaggio dei prossimi mesi sarà
decisivo: una mortalità eccessiva che colpisca per asfissia finanziaria
anche aziende che avrebbero il potenziale per tornare a prosperare dopo la
crisi è un secondo, grave rischio per la nostra economia. IL FINANZIAMENTO
DELL'ECONOMIA Il deterioramento dell'economia tende a frenare i prestiti
bancari. Ad aprile il tasso di crescita trimestrale del credito alle imprese
non finanziarie si è annullato; era del 12 per cento
un anno prima. Continuano a rallentare anche i prestiti alle famiglie. Minori
investimenti industriali e immobiliari, minori consumi di beni durevoli
spiegano parte del rallentamento. Ma è anche l'offerta di finanziamenti delle banche
ad aver decelerato, innanzitutto per le difficoltà di provvista a medio e a
lungo termine e per l'aumento del rischio di credito. Secondo la nostra
indagine l'8 per cento delle imprese ha ricevuto un diniego a una richiesta di
finanziamento; è il valore più elevato dalla metà degli anni Novanta; era meno
del un anno fa. Oltre il 10 per cento delle imprese dichiara di aver ricevuto,
da ottobre, richieste di rimborsi anticipati. Il fenomeno, più intenso nel
Mezzogiorno, investe l'intero paese e riguarda anche aziende di dimensione non
piccola. Non si può chiedere alle banche di allentare la prudenza nell'erogare
ilcredito; non è nell'interesse della nostra economia un sistema bancario che
metta a rischio l'integrità dei bilanci e la fiducia di coloro che gli affidano
i propri risparmi. Quel che si può e si deve chiedere alle nostre banche è di
affinare la capacità di riconoscere il merito di credito nelle presenti,
eccezionali circostanze. Va posta un'attenzione straordinaria alle prospettive
di mediolungo periodo delle imprese che chiedono assistenza finanziaria.
Continua a pagina 11 “ Le probabilità di una deflazione intesa come un declino
prolungato e generalizzato dei prezzi appaiono oggi modeste l'articolo prosegue
in altra pagina
(
da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il
Sole-24 Ore sezione: TESTO data: 2009-05-30 - pag: 11 autore: ...NON FALSA
SPERANZA, FIDUCIA OLTRE LA CRISI” Abbiamo fatto un esercizio sui bilanci
bancari: i risultati indicano la capacità del sistema di resistere anche a
scenari più sfavorevoli Nella fase attuale occorre limitare la distribuzione
degli utili u Continua da pagina 10 Nei metodi di valutazione, nelle procedure
decisionali delle banche vanno tenute in conto tecnologia, organizzazione,
dinamiche dei mercati di riferimento delle imprese. Le
iniziative di potenziamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie
imprese recentemente adottate dal Governo possono rafforzare il sostegno delle
banche alle aziende di minore dimensione. Occorre anche valutare l'ipotesi di
estendere,come in altri paesi, le forme di garanzia pubblica sui prestiti a una
più ampia compagine di imprese, per un tempo limitato e con modalità tali da
contenere le distorsioni nell'allocazione delle risorse. Ma è anche importante
riattivare il mercato italiano delle cartolarizzazioni, che, se propriamente
strutturate, restano un canale fondamentale di finanziamento. Le tranches meno
rischiose di un portafoglio di finanziamenti prevalentemente di nuova
erogazione potrebbero essere coperte da garanzia pubblica. Allo Stato non si
richiederebbe un immediato esborso di fondi; a fronte della garanzia fornita,
esso riceverebbe un'adeguata remunerazione. LE POLITICHE ANTICRISI La politica
economica è oggi più difficile in Italia che in altri paesi. L'azione di
sostegno alla domanda è limitata dal debito pubblico del passato. Gli
interventi attuati finora per attenuare i costi sociali della recessione hanno
soprattutto utilizzato risorse già stanziate per altri impieghi. Tuttavia,
un'azione credibile e rigorosa di riequilibrio dei conti pubblici, in un
orizzonte temporale prestabilito, può permettere una politica economica più
incisiva. La prima preoccupazione attiene al rischio di un ulteriore
deterioramento del mercato del lavoro. La crisi ha reso più evidenti
manchevolezze di lunga data nel nostro sistema di protezione sociale. Esso
rimane frammentato. Lavoratori altrimenti identici ricevono trattamenti diversi
solo perché operano in un'impresa artigiana invece che in una più grande. Si
stima che 1,6 milioni di lavoratori dipendenti e parasubordinati non abbiano
diritto ad alcun sostegno in caso di licenziamento. Tra i lavoratori a tempo
pieno del settore privato oltre 800.000, l'8 per cento dei potenziali
beneficiari, hanno diritto a un'indennità inferiore a 500 euro al mese. Un buon
sistema di ammortizzatori sociali per chi cerca un nuovo lavoro, finanziariamente in equilibrio nell'arco del ciclo
economico, attenua la preoccupazione dei lavoratori, sostiene i consumi,
accresce la mobilità tra imprese e settori, favorisce la riallocazione delle
competenze individuali verso gli impieghi più produttivi. Un sostegno definito,
non discrezionale, condizionato alla ricerca attiva di una occupazione – e qui
un rafforzamento dei meccanismi di verifica è ineludibile – aumenta il senso di
sicurezza delle persone, ne rende più certi i progetti, contiene la necessità
di risparmi a fini precauzionali; riduce l'iniquità tra lavoratori più o meno
tutelati. Opportunamente il Governo ha già incluso tra le misure anticrisi
meccanismi temporanei di sostegno al reddito che agiscono anche in caso di
sospensione dell'attività nelle imprese non coperte dalla Cassa integrazione.
Ha inoltre previsto un intervento sperimentale a favore di una parte dei
collaboratori a progetto. Va colta oggi l'occasione per una riforma organica e
rigorosa, che razionalizzi l'insieme degli ammortizzatori sociali esistenti e
ne renda più universali i trattamenti. Non occorre rivoluzionare il sistema
attuale. Lo si può ridisegnare intorno ai due tradizionali strumenti della
Cassa integrazione e dell'indennità di disoccupazione ordinarie, opportunamente
adeguati e calibrati. Essi andrebbero affiancati da una misura di sostegno al
reddito per i casi non coperti, come avviene quasi ovunque in Europa e come
prospettato nel Libro bianco del Governo. Per i bassi salari potrebbe essere
studiato un credito d'imposta: adottato con successo in molti paesi, esso
potrebbe aiutare la regolarizzazione di posizioni sommerse. Tra le misure
anticrisi rivolte al sistema produttivo sono prioritarie quelle tese ad
allentare i problemi finanziari delle imprese, come
gli interventi che si stanno definendo anche con il concorso della Cassa
depositi e prestiti e della SACE. Un ulteriore, più diretto sostegno potrebbe
venire dalla riduzione nei tempi di pagamento dei debiti commerciali delle
Amministrazioni pubbliche, pari a circa il 2,5 per cento del PIL. Nella stessa
direzione potrebbe operare una temporanea sospensione dell'obbligo di versare
all'INPS le quote di TFR non destinate ai fondi pensione, circa 0, punti
percentuali del PIL l'anno. Entrambe le operazioni, pur determinando un aumento
del ricorso ai mercati finanziari, non peggiorerebbero
la posizione patrimoniale netta dello Stato. Le misure volte a mobilitare il
risparmio privato nell'edilizia residenziale, che si auspica vengano
rapidamente attuate nelle forme appropriate, contribuiranno alla ripresa degli
investimenti. Vanno accelerati il completamento dei cantieri già aperti e la
realizzazione di opere a livello locale, molte delle quali, per la loro contenuta
dimensione, possono essere avviate in tempi brevi. IL RIEQUILIBRIO DEI CONTI
PUBBLICIE LE POLITICHE STRUTTURALI La recessione si sta progressivamente
ripercuotendo sul gettito tributario: in decelerazione nel corso del 2008, è
sceso nell'ultimo bimestre dell'anno. Nell'intero 2008 il gettito dell'IVA è
diminuito dell'1,5 per cento, a fronte di una crescita dei consumi del 2, ,
anche per effetto dello spostamento di questi verso beni essenziali ad aliquota
più bassa. Nei primi quattro mesi del 2009 l'IVA riscossa è stata inferiore del 10
per cento rispetto al corrispondente periodo dell'anno precedente.L'imposta sui
redditi delle imprese, scesa di oltre il 9 per cento nel 2008, potrebbe
flettere in misura ancora maggiore nell'anno in corso. Oggi, solo il gettito
dell'Irpef tiene. L'operare degli stabilizzatori automatici dovrebbe accrescere
il disavanzo pubblico nell'anno in corso di circa 2 punti percentuali del
prodotto, a oltre il ,5 per cento; nel 2010, il disavanzo potrebbe superare il
5 per cento. Anche senza considerare interventi aggiuntivi di sostegno
dell'economia, al termine della crisi il peso del debito sul prodotto sarà
comunque molto aumentato, riportandosi ai livelli dei primi anni Novanta.
L'incidenza della spesa primaria corrente, che nel 2008 ha già toccato il
valore massimo dal dopoguerra, salirà di punti percentuali nel 2009. La spesa
pubblica complessiva supererà largamente il 50 per cento del PIL e, in assenza
di interventi, tenderà a permanere su quel livello negli anni successivi. Vi è
il rischio che sull'economia gravi a lungo una pressione fiscale molto elevata.
Una volta superata la crisi, il nostro paese si ritroverà non solo con più
debito pubblico, ma anche con un capitale privato – fisico e umano –
depauperato dal forte calo degli investimenti e dall'aumento della
disoccupazione. Se dovessimo limitarci a tornare su un sentiero di bassa
crescita come quello degli ultimi 15 anni, muovendo per di più da condizioni
nettamente peggiorate, sarebbe arduo riassorbire il debito pubblico e
diverrebbe al tempo stesso più cogente la necessità di politiche restrittive
per garantirne la sostenibilità. Dobbiamo, da subito, puntare a conseguire una
più alta crescita nel medio periodo. Occorre quindi agire su due fronti:
assicurare il riequilibrio prospettico dei conti pubblici, attuare quelle
riforme che, da lungo tempo attese, consentano al nostro sistema produttivo di
essere parte attiva della ripresa economica mondiale. Le misure di riduzione
della spesa corrente vanno introdotte nella legislazione subito, anche se con
effetti differiti, senza rinvii a ulteriori atti normativi e a decisioni
amministrative. In molti casi si tratta di proseguire con maggior decisione
lungo percorsi già intrapresi. Il graduale incremento dell'età media effettiva
di pensionamento assicurerà l'erogazione di pensioni di importo unitario
adeguato. Un più alto tasso di attività nella fascia da 55 a 65 anni innalzerà sia il
reddito disponibile delle famiglie sia il potenziale produttivo dell'economia.
Nel 2008 il rendimento dei fondi pensione negoziali e dei fondi aperti è stato
negativo per 6 e 1 punti percentuali, rispettivamente. Questi risultati non
devono indurci a modificare il processo, avviato all'inizio degli anni Novanta,
volto a favorire lo sviluppo di un secondo pilastro gestito con criteri di
capitalizzazione. Un sistema misto resta nel lungo periodo preferibile a uno
basato solo sulla ripartizione. Può essere tuttavia opportuno introdurre
qualche correzione e integrazione. Occorre favorire la diffusione di prodotti
che riducano in modo automatico la rischiosità del portafoglio all'avvicinarsi
del momento di pensionamento e offrire titoli che consentano di meglio gestire
i rischi su lunghi periodi di tempo. L'attuazione del federalismo fiscale dovrà
contribuire al contenimento della spesa; creando uno stretto collegamento tra
le decisioni di spesa e di prelievo, esso può determinare, senza rinunciare al
principio di solidarietà, una maggiore efficienza nell'utilizzo delle risorse
pubbliche. Nella riforma varata dal Parlamento è cruciale il passaggio dal
criterio della spesa storica a quello dei costi standard nell'attribuzione
delle risorse agli enti decentrati. Il riferimento alla spesa storica ha finora
concorso a irrigidire il bilancio pubblico, determinando meccanismi inerziali
nella dinamica della spesa. Molto ci si aspetta dalla progettata riforma della
pubblica amministrazione: l'ampiezza dell'intervento, il rilievo attribuito
alla misurazione e alla trasparenza dell'operato delle amministrazioni, la valorizzazione
del merito costituiscono importanti elementi di novità. La loro efficacia
dipenderà dal disegno dei sistemi di valutazione e dalle concrete regole
organizzative. Progressi sono stati compiuti nella semplificazione e nel
riordino della normativa e nella riduzione degli adempimenti burocratici, in
particolare per l'avvio d'impresa. La produzione di nuova normativa continua
tuttavia a caratterizzarsi per la complessità e l'opacità delle disposizioni.
Gli oneri burocratici per l'attività d'impresa restano elevati, con ampie
differenze sul territorio. Semplificazione normativa ed efficaciadell'azione
pubblica sono condizioni necessarie per ridurre il peso dell'economia
irregolare, stimato in più del 15 per cento dell'attività economica. L'occultamento
di una parte considerevole delle basi imponibili accresce l'onere imposto ai
contribuenti ligi al dovere fiscale. è un fattore che riduce la competitività
di larga parte delle imprese, determina iniquità e disarticola il tessuto
sociale. Progressi nel contrasto alle attività irregolari consentirebbero di
ridurre le aliquote legali, diminuendo distorsioni e ingiustizie. è necessario
elevare la qualità e quantità del capitale umano e delle infrastrutture
fisiche. Sull'urgenza di accrescere i livelli di apprendimento nella scuola e
nelle università mi sono soffermato lo scorso anno; gli sforzi di riforma in
quest'area devono proseguire e intensificarsi. Le infrastrutture materiali sono
un fattore cruciale per la competitività. Il divario tra la dotazione infrastrutturale
dell'Italia e quella media degli altri principali paesi dell'Unione europea è
più che triplicato negli ultimi vent'anni. Nelle grandi opere la mancata
individuazione delle priorità di lungo periodo ha generato discontinuità e
dispersione dei finanziamenti su una molteplicità di lavori: il numero di
infrastrutture strategiche prioritarie è passato dagli originali 21 progetti a
oltre 200. I tempi e i costi di completamento delle linee ferroviarie ad alta
velocità, di ampliamento delle autostrade, ma anche di brevi raccordi e
passanti, sono largamente superiori a quelli degli altri paesi europei: in
Italia un chilometro di autostrada può costare più del doppio che in Francia o
in Spagna. Ne sono causa l'incerta attribuzione delle competenze tra il livello
decisionale nazionale e quello regionale, carenze nelle valutazioni ex-ante e
nei rendiconti, continui cambiamenti di progetto. Difetti normativi limitano il
ricorso al project financing. Il processo di liberalizzazione intrapreso negli
anni passati non deve fermarsi o recedere. Nei paesi in cui i servizi sono meno
liberalizzati le difficoltà di sviluppo dei settori tecnologicamente avanzati
sono maggiori. Il caso dei servizi pubblici locali è esemplare di quanto la
mancanza di una regolazione affidata a soggetti competenti e indipendenti dai
gestori possa generare inefficienze e costi più alti per i consumatori. LA
CRISI E LE BANCHE Negli anni passati il sistema bancario italiano è stato
interessato da un ampio processo di trasformazione, stimolato dall'accresciuta
concorrenza. Le numerose operazioni di fusione e acquisizione e il conseguente
aumento della dimensione media e dell'efficienza hanno contribuito ad
accrescere la resistenza alla crisi dei nostri intermediari. La crisi ha colto
il sistema bancario italiano mentre si stavano completando le riorganizzazioni,
si sperimentavano nuove forme di governance, si ampliava la presenza sui mercati esteri. Il sistema resta caratterizzato dalla netta
prevalenza dell'attività di intermediazione creditizia a favore di famiglie e
imprese; dal forte radicamento territoriale; da una struttura di bilancio nel
complesso equilibrata. L'impatto della crisi sulle banche è stato da noi meno
traumatico che in altri paesi, innanzitutto grazie a una esposizione contenuta
verso i prodotti della finanza strutturata e a una minore dipendenza dalla
raccolta all'ingrosso. Alla fine del 2008 gli strumenti di credito strutturati
rappresentavano poco meno del 2 per cento dell'attivo dei principali gruppi
bancari. Il rapporto tra raccolta all'ingrosso e provvista complessiva era per
il nostro sistema del 29 per cento, contro una media del 1 nell'area dell'euro.
Un modello di intermediazione fondamentalmente sano, insieme con un quadro
regolamentare e una vigilanza particolarmente prudenti, hanno tenuto le banche
italiane al riparo dagli effetti più devastanti delle turbolenze dei mercati. Non sono stati addossati ai contribuenti i costi di
perdite e fallimenti osservati in altri paesi. Il sistema bancario non è però
immune dalle conseguenze della crisi. Nel 2008 i profitti delle banche italiane
si sono fortemente contratti. Il rendimento del capitale e delle riserve dei
maggiori gruppi è sceso di cinque punti. I tassi attivi sono caduti rapidamente
dallo scorso ottobre. Per i mutui alle famiglie, il tasso iniziale medio sulle
nuove erogazioni è diminuito dal 5,6 al ,7 per cento in marzo nel comparto a
tasso variabile. Anche per i mutui a tasso fisso la discesa dei tassi è stata
rapida; si è ridotto considerevolmente il differenziale che esisteva ancora al
principio dell'anno scorso fra l'Italia e la media dell'area dell'euro. Sui
prestiti a breve termine alle imprese la riduzione dei tassi tra ottobre e
marzo è stata in media di circa 2 punti percentuali. Ma è anche vero che i differenziali
di rischio e di tasso tra prenditori si sono ampliati: è cresciuta la
differenza tra il tasso sulle nuove operazioni di importo contenuto e quello
sui prestiti di maggior valore; è aumentato il divario nei costi di accesso al
credito tra piccole e grandi imprese; ne soffrono coloro che hanno oggi più
bisogno di credito. Stanno aumentando rapidamente le sofferenze e gli impieghi
classificati come “incagliati”, cioè con temporanee difficoltà di rimborso.
L'esperienza precedente mostra che la recessione continuerà a pesare sulla
qualità del credito anche per due o tre anni dopo l'inversione ciclica. In
Italia, a differenza di altri grandi paesi, le svalutazioni dei crediti sono
deducibili fiscalmente solo fino allo 0, per cento dei prestiti complessivi; la
parte eccedente viene rateizzata in 18 anni. La norma diviene particolarmente
stringente in questa fase recessiva, in cui crescono le pressioni a ridurre il
credito per soddisfare i requisiti di capitalizzazione. IL PATRIMONIO DELLE
BANCHE Nonostante il peggioramento della redditività, le banche hanno mantenuto
il patrimonio al di sopra degli standard minimi. Alla fine dello scorso anno il
coefficiente di patrimonializzazione dei maggiori gruppi, dato dal rapporto tra
il patrimonio e le attività ponderate per il rischio, si collocava in media al
10, per cento. I coefficienti più elevati osservati all'estero riflettono
sovente massicce iniezioni di capitale pubblico. Nel confronto internazionale,
la leva finanziaria, misurata dal rapporto tra
attività totali e patrimonio di base, è in Italia più contenuta. La Banca
d'Italia valuta l'adeguatezza patrimoniale con criteri stringenti. Il peso
degli strumenti di minore qualità sul patrimonio di base dei primi 5 gruppi
bancari italiani è del 1 per cento, contro il 22 dei primi 15 gruppi bancari
dell'area dell'euro. Le prove di resistenza allo stress, cioè a una evoluzione
particolarmente sfavorevole della congiuntura economica, sono diventate prassi
nell'azione di vigilanza già dal 2005, anno in cui il Fondo monetario
internazionale condusse il suo programma di valutazione della stabilità del
sistema finanziario italiano. Abbiamo appena
completato un esercizio aggregato per valutare l'impatto sui bilanci bancari di
un deterioramento della qualità del credito alle famiglie e alle imprese
italiane nel biennio 2009-2010, nell'ipotesi di condizioni macroeconomiche più
avverse di quelle previste per il nostro paese dalle principali organizzazioni
internazionali. I risultati dell'esercizio indicano la capacità del nostro
sistema bancario di resistere anche a scenari più sfavorevoli. Ma ho già
avvertito in più occasioni che il rafforzamento del patrimonio è una priorità
essenziale per il sistema bancario. Non si tratta solo di accrescere i presìdi
a tutela della stabilità: è essenziale per competere alla pari con i principali
intermediari; è condizione necessaria, anche se non sufficiente, per mantenere
i flussi di credito all'economia. Per questo, nella fase attuale occorre anche
limitare la distribuzione degli utili. Molte banche lo hanno fatto. Il
sacrificio richiesto oggi agli azionisti è compensato dalla maggiore solidità
del loro investimento. I mercati hanno reagito
positivamente. Rispetto alla metà di marzo i premi sui contratti di credit
default swap delle maggiori banche italiane si sono più che dimezzati, un calo
significativamente maggiore di quello osservato in media in Europa. Lo sforzo
deve continuare. Sono ora disponibili gli strumenti pubblici per il
rafforzamento patrimoniale previsti dalla legge. L'intervento dello Stato è
temporaneo; l'azionariato privato dovrà sostituire i fondi pubblici non appena
le condizioni di mercato lo consentiranno. ... Queste considerazioni sono
scritte in un periodo di crisi generale, che ha precipitato il mondo nella
difficoltà forse più grave dalla metà del secolo passato. Occorre sanare la
ferita che la crisi ha aperto nella fiducia collettiva: fiducia nei mercati, nei loro protagonisti, nel futuro di milioni di
persone, nel contratto sociale che ci lega. Uscire dalla crisi significa
ricostruire questa fiducia. Non con artifici, ma con la paziente, faticosa
comprensione dell'accaduto e dei possibili scenari futuri; con l'azione
conseguente. Molto è stato fatto. Non è il lavoro di un giorno. Molto resta
ancora da fare: per ricreare posti di lavoro, per
restituire vigore alle imprese, per riparare i mercati
finanziari, per meritare la fiducia dei cittadini.
La Banca d'Italia,nel Paese e nelle sedi internazionali, è impegnata nel
migliorare il quadro regolamentare e nell'individuare le vulnerabilità e i
rischi dell'attività bancaria e finanziaria. Continueremo a migliorare la Vigilanza. Dobbiamo
progredire nell'azione di salvaguardia di un sistema che anche grazie a
quest'azione si è finora meglio di altridifeso. Ogni paese affronta la crisi
con le sue forze, le sue debolezze, la sua storia. La risposta alla crisi è
anche nazionale: i suoi effetti saranno per noi italiani piùo meno gravi a
seconda delle scelte che noi stessi faremo. Negli ultimi vent'anni la nostra è
stata una storia di produttività stagnante, bassi investimenti, bassi salari,
bassi consumi, tasse alte. Dobbiamo essere capaci di levare la testa dalle
angustie di oggi per vedere più lontano. Una risposta incisiva all'emergenza è
possibile solo se accompagnata da comportamenti e da riforme che rialzino la
crescita dal basso sentiero degli ultimi decenni. Le banche italiane non hanno
eredità pesanti nei loro bilanci. Utilizzino questo vantaggio nei confronti dei
concorrenti per affrontare un presente e un futuro non facili. Valutino il
merito di credito dei loro clienti con lungimiranza. Prendano esempio dai
banchieri che finanziarono la ricostruzione e la crescita degli anni Cinquanta
e Sessanta. Le imprese cerchino di continuare l'opera di razionalizzazione
iniziata da pochi anni. Proteggano le professionalità accumulate dai
lavoratori, che torneranno preziose in un futuro speriamo non lontano. Il
completamento degli ammortizzatori sociali, la ripresa degli investimenti
pubblici, le azioni di sostegno della domanda e del credito che sono state oggi
delineate avranno gli effetti sperati se coniugati con riforme strutturali: non
solo per dire ai mercati che il disavanzo è sotto
controllo, ma perché queste riforme costituiscono la piattaforma della crescita
futura. La fiducia non si ricostruisce con la falsa speranza, ma neanche senza
speranza: uscire da questa crisi più forti è possibile. “ Gli interventi
attuati per attenuare i costi sociali della recessione hanno soprattutto
utilizzato risorse già stanziate “ In decelerazione nel 2008 il gettito
tributario è diminuito nell'ultimo bimestre; il disavanzo potrebbe superare il
4,5% “ Molto resta da fare per ricreare posti di lavoro, restituire vigore alle
imprese, meritare la fiducia dei cittadini
(
da "Sole 24 Ore, Il"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il
Sole-24 Ore sezione: SYSTEM ( ENEL ) data: 2009-05-30 - pag: 18 autore: A cura
di Enel Al via l'aumento di capitale Enel Il gruppo risponde ai suoi azionisti
per informarli di questa importante operazione che consentirà ad Enel di
rafforzarsi, aumentando la propria stabilità finanziaria,
per affrontare le nuove sfide di business e per cogliere le opportunità future
di mercato. In cosa consiste l'aumento di capitale Enel? L'aumento di capitale
con diritto di opzione è l'offerta agli azionisti Enel di sottoscrivere ad un
determinato prezzo nuove azione in proporzione alle vecchie azioni possedute.
La proporzione è stabilita da un rapporto predefinito in base al quale per un
determinato numero di azioni possedute dagli azionisti sono attribuite le nuove
azioni. Gli azionisti sono obbligati ad aderire? Aderire all'operazione è un
diritto e non un obbligo. Ogni azionista potrà scegliere se esercitare il
diritto di opzione e sottoscrivere le azioni di nuova emissione oppure cedere
il diritto di opzione. Perché Enel ha lanciato un aumento di capitale? Il
processo di crescita internazionale di Enel è giunto a una fase di
completamento e ha portato il Gruppo Enel a essere oltre che servire a
rafforzare la struttura patrimoniale di Enel, consentendo alla stessa con ogni
probabilità di mantenere gli attuali elevati livelli di rating sul merito di
credito, offrirà al Gruppo Enel sufficienti margini di flessibilità, utili a
consolidare il proprio posizionamento strategico. uno dei principali operatori
nel settore energetico a livello mondiale, con un livello di diversificazione
geografico e tecnologico particolarmente significativo. Forte del contributo
delle attività acquistate all'estero, i risultati economici raggiunti sono
stati estremamente positivi, nel 2008 i nostri ricavi consolidati sono
aumentati del 40 per cento rispetto all'anno precedente, raggiungendo 61 miliardi
184 milioni di Euro, l'utile netto consolidato è salito del 35 per cento ed è
giunto a sfiorare i 5 miliardi 300 milioni di Euro 1. Negli anni a venire, al
fine di disporre di una struttura finanziaria solida
ed equilibrata, che permetta a Enel di mantenere e consolidare il proprio
posizionamento strategico sul mercato energetico, Enel ha attuato una politica
di riduzione del proprio livello di leva finanziaria.
Per questa ragione il gruppo ha deciso di rivolgersi al mercato: l'aumento di
capitale infatti Qual è la nuova politica dei dividendi di Enel? L'aumento di
capitale è uno dei cardini del nuovo piano strategico Enel che punta a portare
il risultato di Gruppo a 4 miliardi di euro nel 2010, a 5 miliardi di euro
nel 2013. Unita ad una politica selettiva di cessione di attività non
strategiche e all'ottimizzazione degli investimenti, la prevista
ricapitalizzazione ha consentito ad Enel di annunciare che, a cominciare dai
risultati 2009, distribuirà ai suoi azionisti il 60% dell'utile netto consolidato
ordinario. Enel ha distribuito 0,64 centesimi di dividendo per azione nel 2006,
e 0,49 centesimi per azione nel 2007 e 2008: in tutto 1,62 euro per azione in
tre anni, che portano il totale dalla privatizzazione ad oggi a 4,08 euro per
azione2. La nuova politica dei dividendi, anche per il futuro continuerà
verosimilmente a collocare Enel tra le aziende che offrono un dividendo con un
rendimento tra i più significativi in Italia. Cosa si può aspettare l'azionista
che aderisce all'aumento di capitale? L'investimento in azioni non può offrire
ritorni garantiti, e nessuno può prevedere con certezza quale andamento avranno
i mercati. è possibile comunque guardare al passato per
trarre qualche utile indicazione: anche nel mezzo della terribile crisi finanziaria mondiale che nei mesi
scorsi ha colpito le Borse di tutto il mondo, tra l'inizio della crisi (primi giorni di settembre del
2008) ed il picco di minimo delle quotazioni registrato a fine febbraio 2009,
gli azionisti Enel hanno sofferto meno di altri investitori. In questo
periodo nero per i mercati, le perdite al netto dei dividendi distribuiti per
gli azionisti della tedesca E.On sono state del 47% e quelle per gli azionisti
di Gaz de France sono state del 34%; le perdite per i titoli che compongono
l'indice Mibtel della Borsa di Milano sono state del 42% e quelle per le
società europee ricomprese nell'indice Dow Jones Eurostoxx Utilities sono state
del 34%, mentre quelle per gli azionisti Enel sono state ridotte al 28%. La
nuova Enel, leader globale dell'energia, vuole continuare ad essere un punto di
riferimento per milioni di famiglie italiane: con il completamento dell'aumento
di capitale, Enel si prepara a cogliere le opportunità che saranno offerte, nei
prossimi mesi ed anni, dalla ripresa dei mercati e delle economie. 1, 2 I
rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. Da sinistra a destra
Piero Gnudi, Presidente, e Fulvio Conti, Amministratore Delegato di Enel
(
da "Corriere della Sera"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere
della Sera sezione: Prima Pagina data: 30/05/2009 - pag: 1 ALZARE LO SGUARDO di
DARIO DI VICO L a Comit di Raffaele Mattioli. Il governatore Mario Draghi non
l'ha citata esplicitamente ma dietro il riferimento ai banchieri che
finanziarono la ricostruzione e lo sviluppo degli anni '50 e '60 si intravede
quel modello e quel-- l'esperienza, quella capacità di alzare lo sguardo. Molte
ovviamente sono le differenze. Allora le banche erano pubbliche, diversissime
erano le culture manageriali e lo spirito del tempo era naturalmente orientato,
nella stagione post bellica, a costruire edifici solidi. La Comit aiutò
centinaia di imprese a crescere e lo fece valutando i propri clienti con lungimiranza,
come Draghi chiede oggi. Perché, come ha sottolineato, aggiungendo una nota al
testo scritto, «occorre saper fare il banchiere anche quando le cose vanno
male». Ma per non sbagliare è decisivo conoscere la storia delle singole
imprese, le tecnologie, l'organizzazione, i mercati. In sostanza più cultura
industriale si saprà mettere in campo, minore sarà la probabilità di andare
incontro a cattive sorprese. L'invito di Draghi alla lungimiranza cade in un
momento di obiettiva difficoltà delle banche, indicate nelle sedi
imprenditoriali ma anche nel political game come insensibili davanti al grido
di dolore delle piccole e medie imprese in lotta per la sopravvivenza. Il
sistema industriale chiede liquidità e la principale controparte diventa il credito,
la cui popolarità non è certo altissima. Si è arrivati a evocare un rischio
usura come riflesso della stretta creditizia e Moody's ha rivisto al ribasso le
prospettive delle nostre banche proprio per i riflessi del
trasferimento della crisi finanziaria sull'economia reale. In questo quadro non è privo di significato
che le parole del governatore siano parse stavolta fare affidamento più sulla
capacità di tenuta dei territori che sulle virtù della distruzione creativa.
Attentissimo a dosare i toni del confronto con il governo, Draghi ha però
mandato alla politica un preciso messaggio. Guai a illudersi che si
possa uscire dal tunnel della recessione solo per effetto delle dinamiche
globali. «La risposta alla crisi è anche nazionale »
ha scandito e ogni Paese la affronterà con le sue forze, le sue debolezze, la
sua storia. Nessuno ci farà sconti e noi che veniamo da venti anni di
produttività stagnante e bassa crescita avremo maggiori difficoltà di altri a
ripartire. Da qui il ruolo chiave che la Banca d'Italia assegna alle riforme
viste come leva dello sviluppo ma anche come elemento per ri-meritare la
fiducia dei cittadini e ri-fondare la speranza. Si cominci, ha detto il
governatore, da un buon sistema di ammortizzatori sociali per chi cerca un
nuovo lavoro, si prosegua con un graduale incremento dell'età pensionabile, si
vada avanti nella riforma della pubblica amministrazione, non si abbandoni la
via delle liberalizzazioni. Il richiamo di via Nazionale viene una settimana
dopo l'analogo appello riformista formulato da Emma Marcegaglia e dimostra come
il mondo dell'economia condivida le stesse preoccupazioni e sia motivato nel
richiedere cambiamenti strutturali. Peccato che il Governatore nel suo discorso
non abbia citato l'accordo tra governo e sindacati (con l'eccezione della Cgil)
sulla rivisitazione del modello contrattuale. Si tratta in fondo di una riforma
già fatta e propedeutica alla crescita della produttività e a salari più
dignitosi. ddivico@corriere.it
(
da "Corriere della Sera"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 30/05/2009 - pag: 2 L'editor dei commenti dell'Ft
Wolf: ha prevalso la logica politica, arretra l'industria MILANO In certi
momenti, la trattativa attorno a Opel è parsa un'edizione solo un po' più
confusa del solito di un G8 allargato. I governi di Berlino, Mosca, Washington,
Londra, più sei o sette, tutti al capezzale della stessa compagnia in crisi.
Martin Wolf, direttore associato e capo dei commenti economici del Financial
Times, non è sorpreso: preferisce dirsi «allibito». A questo punto della crisi,
l'intervento pubblico non sorprende più perché è diventato la norma? «Però non
si era ancora vista una mobilitazione così generalizzata. L'idea è che ogni
Paese dove c'è un impianto, se ne debba assumere la responsabilità. La crisi è
globale, sta distruggendo un certo numero di cattive imprese ma molte di queste
operano internazionalmente. È un aspetto della globalizzazione». Con i governi
così coinvolti, teme che ora s'inneschi uno scambio di favori su piani
completamente diversi? «Mi pare inevitabile. Se parte un processo così
fortemente politicizzato, diventa un mercato delle vacche. È quello che c'è da
aspettarsi fra governi quando vogliono arrivare a un accordo. È per evitare
fenomeni del genere che avevamo creato l'Unione europea e le regole sugli aiuti
di Stato». Ora invece siamo diventati tutti un po' cinesi, con imprese
puntellate e finanziate dai politici e dai burocrati. «Veramente gran parte
delle imprese cinesi stanno sui mercati da sole. Siamo diventati peggio dei
cinesi. Siamo tornati agli Anni '70 e alle liti nazionalistiche sul tessile,
l'acciaio e l'industria dell'auto. Come allora». Insomma il
protezionismo è passato da
rischio a realtà? «Lo è diventato con altri mezzi: sussidi, aiuti, interventi.
Non più con le barriere doganali». Ma così possono vincere solo i Paesi e i
governi più forti. «Non so cosa voglia dire 'vincere'. Non dimentichiamo la
sindrome del vincitore: se fai l'offerta più alta, molto probabilmente
stai pagando troppo. L'effetto di questo accordo sarà di indebolire e far
rimpicciolire l'industria europea dell'auto». Perché tanto pessimismo? «Il
settore sta soffrendo, e lo sapevamo da prima della crisi, per un eccesso
cronico di capacità produttiva. Se adesso manteniamo questa capacità, finiremo
per avere un'industria meno innovativa e più debole di fronte alla concorrenza.
E il costo poi lo sopporterà soprattutto il contribuente tedesco». Perché
Vladimir Putin sembra tenere tanto a Opel? «Non riesco a capire. Magari pensa
che possedere un'impresa occidentale rafforza la Russia. Fa parte dell'istinto
nazionalista di un leader che non capisce il mercato e non l'ha ancora fatto
sviluppare a vent'anni dal crollo dell'Urss». E del piano Fiat che pensa? «Mi
sembrava il più razionale. Ho incontrato Sergio Marchionne e mi ha fatto una
grande impressione». Federico Fubini Martin Wolf
(
da "Corriere della Sera"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 30/05/2009 - pag: 2 Retroscena Il patto
del gas tra Germania e Russia e la «banca del popolo» voluta da Putin DAL
NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO - La nuova politica industriale di Stato del
Ventunesimo secolo è vicina al suo battesimo. Se l'accordo tra la cordata
rappresentata da Magna con General Motors e con il governo di Berlino andrà a
buon fine, sarà il primo grande affare tra governi
nell'economia del dopo crisi finanziaria. Con un vincitore certo, la Russia di Vladimir Putin, e
finanziatori altrettanto certi, la Germania di Angela Merkel e i contribuenti
tedeschi. Si entra in un territorio nuovo, dove i muscoli di Stato
sostituiscono il mercato. La nuova proposta targata Magna-Sberbank-Gaz
presentata ieri non è ancora chiara. Ma ci sono alcuni punti fermi. Magna,
produttore canadese di componenti per automobili, ha una buona liquidità in
cassa ma soffre parecchio della crisi: nel primo
trimestre del 2009, il suo fatturato si è quasi dimezzato. Prenderà il 20% di
Opel. Sberbank è la prima banca russa, pubblica, amata dal primo ministro Putin
che la sogna come «banca del popolo», ma è in guai anche più seri di quelli
delle banche occidentali. Prenderà il 35% di Opel. Gaz, produttore di
automobili controllato dall'oligarca Oleg Deripaska, sta in un mercato, quello
russo, che nel 2009 probabilmente crollerà del 60%. Prenderà lo zero per cento
di Opel perché è senza soldi, ma promette di garantire un milione di auto
tedesche vendute ogni anno tra Russia e Cina. Il resto delle azioni resterà per
il 35% in mano alla Gm americana e per un 10% andrà ai dipendenti della casa
automobilistica tedesca. Non un gran punto di partenza, bisogna dire. La
cordata, però, ha sì debolezze ma ha anche un grande punto di forza. E' amata,
da prima ancora che si sapesse cosa voleva fare, da gran parte della politica
tedesca, soprattutto dai socialdemocratici che stanno al governo come partner
dell'Unione Cdu-Csu della signora Merkel, e dai forti sindacati della Germania.
E' difficile dire come sia esploso all'improvviso questo amore, visto che la
proposta Magna- Sberbank-Gaz è molto onerosa e rischiosa per la Germania. Una
risposta, però, c'è. Si chiama Gerhard Schröder. L'ex cancelliere, dopo avere
perso le elezioni del 2005, è diventato un grande mediatore di affari
internazionali che fonda la sua forza su un rapporto strettissimo con Putin e
sulla rete di relazioni eccezionali che ha in Germania e in Occidente. E'
presidente del comitato degli azionisti del Nord Stream, il controverso gasdotto
controllato dalla moscovita Gazprom che collegherà Russia e Germania e irrita
molti Paesi europei. Ha un ruolo da ago della bilancia nel consiglio di
amministrazione della litigiosissima joint-venture petrolifera Bp-Tnk tra il
gruppo britannico e un gruppo di investitori russi. Media affari in Iran. E sul
caso Opel ha ispirato secondo le informazioni che circolano a Berlino la
cordata Magna-Sberbank-Gaz. Ha capito che la crisi
Opel era un'opportunità per Putin di mettere un piede in un gruppo ad alta
tecnologia occidentale e ha pensato a una soluzione. Magna nel cui consiglio di
sorveglianza siede Franz Vranitzky, ex cancelliere austriaco e
socialdemocratico funziona da volto accettabile per l'opinione pubblica tedesca
e nell'affare Opel di suo rischia poco. Dietro, stanno le armate russe: senza
soldi, ma che si sono assicurate una promessa di prestito da quattro miliardi
da Commerzbank, banca tedesca in cui il governo di Berlino ha da poco preso una
quota del 25%. Sulla base del suo nome, poi, Schröder ha galvanizzato
l'esercito socialdemocratico tedesco che ha subito alzato la bandiera Magna-
Sberbank-Gaz: dai sindacati a Frank-Walter Steinmeier, leader della Spd e suo
ex capo di gabinetto quando era cancelliere. Un capolavoro. Angela Merkel? Riesce
a non nazionalizzare Opel, come in un primo momento voleva la Spd, e a non
rompere troppo gli equilibri nel suo governo di Grande Coalizione. Nei prossimi
giorni, però, avrà parecchi guai. Danilo Taino L'istituto di Mosca Sberbank è
la prima banca russa pubblica, braccio finanziario del primo ministro
(
da "Corriere della Sera"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere
della Sera sezione: Pubblicita' data: 30/05/2009 - pag: 20 Al via l'aumento di
capitale Enel Il gruppo risponde ai suoi azionisti per informarli di questa
importante operazione che consentirà ad Enel di rafforzarsi, aumentando la
propria stabilità finanziaria, per affrontare le nuove
sfide di business e per cogliere le opportunità future di mercato. Da sinistra
a destra Piero Gnudi, Presidente, e Fulvio Conti, Amministratore Delegato di
Enel In cosa consiste l'aumento di capitale Enel? azione nel 2007 e 2008: in
tutto 1,62 euro per azione in tre anni, che portano il totale dalla
privatizzazione ad oggi a 4,08 euro per azione- 2 . La nuova politica dei
dividendi, anche per il futuro continuerà verosimilmente a collocare Enel tra
le aziende che offrono un dividendo con un rendimento oltre che servire a
rafforzare la struttura patrimoniale di Enel, consentendo alla stessa con ogni
probabilità di mantenere gli attuali elevati livelli di rating sul merito di
credito, offrirà al Gruppo Enel sufficienti margini di flessibilità, utili a
consolidare il proprio posizionamento strategico. Qual è la nuova politica dei
dividendi uno dei principali operatori nel settore energetico a livello
mondiale, con un livello di diversificazione geografico e tecnologico particolarmente
significativo. Forte del contributo delle attività acquistate all'estero, i
risultati economici raggiunti sono stati estremamente positivi, nel 2008 i
nostri ricavi consolidati sono aumentati del 40 per cento rispetto all'anno
precedente, raggiungendo 61 miliardi 184 milioni di Euro, l'utile netto
consolidato è salito del 35 per cento ed è giunto a sfiorare i 5 miliardi 300
milioni di Euro tra i più significativi in L'aumento di capitale con diritto di
opzione è l'offerta agli azionisti Enel di sottoscrivere ad un determinato
prezzo nuove azione in proporzione alle vecchie azioni possedute. La
proporzione è stabilita da un rapporto predefinito in base al quale per un
determinato numero di azioni possedute dagli azionisti sono attribuite le nuove
azioni. Gli azionisti sono obbligati ad aderire? Aderire all'operazione è un
diritto e non un obbligo. Ogni azionista potrà scegliere se esercitare il
diritto di opzione e sottoscrivere le azioni di nuova emissione oppure cedere
il diritto di Enel? Italia. registrato a fine febbraio 2009, gli azionisti Enel
hanno sofferto meno di altri investitori. In questo periodo nero per i mercati,
le perdite al netto dei dividendi distribuiti per gli azionisti della tedesca
E.On sono state del 47% e quelle per gli azionisti di Gaz de France sono state
del 34%; le perdite per i titoli che compongono l'indice Mibtel della Borsa di
Milano sono state del 42% e quelle per le società europee ricomprese
nell'indice Dow Jones Eurostoxx Utilities sono state del 34%, mentre quelle per
gli azionisti Enel sono state ridotte al 28%. La nuova Enel, leader globale
dell'energia, vuole continuare ad essere un punto di riferimento per milioni di
famiglie italiane: con il completamento dell'aumento di capitale, Enel si
prepara a cogliere le opportunità che saranno offerte, nei prossimi mesi ed
anni, dalla ripresa dei mercati e delle economie. 1- . L'aumento di capitale è
uno dei cardini del nuovo piano strategico Enel che punta a portare il
risultato di Gruppo a 4 miliardi di euro nel 2010, a 5 miliardi di euro
nel 2013. Unita ad una politica selettiva di cessione di attività non
strategiche e all'ottimizzazione degli investimenti, la prevista
ricapitalizzazione ha consentito ad Enel di annunciare che, a cominciare dai
risultati 2009, distribuirà ai suoi azionisti il 60% dell'utile netto
consolidato ordinario. Enel ha distribuito 0,64 centesimi di dividendo per
azione nel 2006, e 0,49 centesimi per Cosa si può aspettare l'azionista che
aderisce all'aumento di capitale? L'investimento in azioni non può offrire
ritorni garantiti, e nessuno può prevedere con certezza quale andamento avranno
i mercati. È possibile comunque guardare al passato per trarre qualche utile
indicazione: anche nel mezzo della terribile crisi
finanziaria mondiale che nei mesi scorsi ha colpito
le Borse di tutto il mondo, tra l'inizio della crisi (primi giorni di settembre del 2008) ed il picco di minimo delle
quotazioni di opzione. Negli anni a venire, al fine di disporre di una
struttura finanziaria
solida ed equilibrata, che permetta a Enel di mantenere e consolidare il
proprio posizionamento strategico sul mercato energetico, Enel ha
attuato una politica di riduzione del proprio livello di leva finanziaria. Per questa ragione il gruppo ha deciso di
rivolgersi al mercato: l'aumento di capitale infatti Perché Enel ha lanciato un
aumento di capitale? Il processo di crescita internazionale di Enel è giunto a
una fase di completamento e ha portato il Gruppo Enel a essere 1, 2 I
rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri.
(sezione:
crisi)
(
da "Corriere della Sera"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere della Sera sezione: Economia data: 30/05/2009 - pag: 32 Festival dell'economia a Trento «Gli errori del '29? Gli economisti non li ripeteranno» DAL NOSTRO INVIATO TRENTO In Italia, come in Europa, «non solo non c'è alcun ritorno al >protezionismo, ma stiamo toccando con mano i
tentativi di andare nella direzione opposta». Così Corrado Passera
all'inaugurazione della quarta edizione del Festival dell'Economia («Identità e
crisi globale») in corso fino a lunedì a Trento. «Dalla politica, che per
definizione è locale ha sostenuto il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo ci
saremmo forse aspettati scelte più protezionistiche. Così non è stato. E anzi abbiamo visto lo sforzo di
andare verso una governance globale. Le banche centrali hanno fatto scelte
condivise e così è stato per il G20. Se il prossimo G8 facesse un passo nella
direzione dei global legal standard suggeriti da Tremonti sarebbe un fatto
positivo». Il processo di globalizzazione non si arresterà, ha detto ancora il
banchiere, ma i sistemi che hanno già mostrato di reagire meglio alla crisi
sono quelli «dove c'è più coesione sociale. E il modello italiano ha retto e
reagito meglio di altre realtà». «In questi giorni parleremo molto anche delle
responsabilità degli economisti, che non avevano capito ciò che stava
accadendo, e del loro conformismo. E tuttavia, grazie alle indicazioni della
scienza economica, ora sappiamo che non ci sarà un nuovo '33 dopo un nuovo '29,
perché non ripeteremo gli stessi errori» ha detto da parte sua Tito Boeri,
direttore scientifico del Festival. Il «popolo dello scoiattolo», però, ha già
invaso il centro storico e molti hanno dovuto accontentarsi degli schermi
esterni per le «lectio» dei premi Nobel, James Heckman, intervenuto sui
rapporti tra economia e psicologia e sul contributo al reddito che viene dall'
investimento sullo sviluppo della personalità dei bambini, e Gorge Akerlof,
autore di «Animal Spirit», analisi degli istinti che influenzano le grandi
tendenze economiche. Paola Pica Globalizzazione Passera: il processo non si
arresterà, il modello italiano ha resistito meglio di altri
(
da "Corriere della Sera"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere
della Sera sezione: Pubblicita' data: 30/05/2009 - pag: 30 Offerta in opzione
agli azionisti e ammissione a quotazione sul Mercato Telematico Azionario
organizzato e gestito da Borsa Italiana S.p.A. di azioni ordinarie Enel S.p.A.
AVVISO Global Co-ordinators e Joint Bookrunners di avvenuta pubblicazione del
Prospetto Informativo relativo all'offerta in opzione agli azionisti e
all'ammissione a quotazione sul Mercato Telematico Azionario organizzato e
gestito da Borsa Italiana S.p.A. di azioni ordinarie Enel S.p.A. depositato
presso la Consob in data 29 maggio 2009 a seguito di comunicazione dell'avvenuto
rilascio del nulla osta con nota n. 9050431 del 27 maggio 2009 (il
"Prospetto Informativo"). Il Prospetto Informativo relativo
all'emissione di azioni ordinarie Enel S.p.A. (l'" Emittente" o la
" Società" o " Enel") da offrire in opzione agli azionisti
di Enel portatori di azioni ordinarie (" Offerta" o " Offerta in
Opzione") è a disposizione presso la sede sociale dell'Emittente in Roma,
Viale Regina Margherita n. 137 e presso la sede di Borsa Italiana S.p.A. in
Milano, Piazza degli Affari n. 6, nonché in formato elettronico sul sito
internet della Società www.enel.it. L'adempimento della pubblicazione del
Prospetto Informativo non comporta alcun giudizio della Consob sull'opportunità
dell'investimento proposto e sul merito dei dati e delle notizie allo stesso
relativi. I termini utilizzati nel presente avviso con lettera maiuscola non
espressamente definiti sono utilizzati con il medesimo significato ad essi
rispettivamente attribuito nel Prospetto Informativo. I rinvii alle Sezioni, ai
Capitoli e ai Paragrafi si riferiscono alle Sezioni, ai Capitoli e ai Paragrafi
del Prospetto Informativo. FATTORI DI RISCHIO 2.11 Rischi connessi all'attuale
congiuntura economica normative in vigore in Canada o Australia o negli Altri
Paesi. Enel ha predisposto anche un documento di offerta internazionale (
International Offering Circular) in lingua inglese destinato a (i) '' qualified
institutional buyers'' ( '' QIBs'') negli Stati Uniti d'America, come definiti
dalla Rule 144A del Securities Act, mediante collocamenti privati ai sensi
della Sezione 4(2) del Securities Act, ovvero (ii) a investitori istituzionali
al di fuori degli Stati Uniti d'America in ottemperanza a quanto previsto ai
sensi della Regulation S del L'Offerta descritta nel Prospetto Informativo
presenta gli elementi di rischio tipici di un investimento in titoli azionari
quotati. Al fine di effettuare un corretto apprezzamento dell'investimento, gli
investitori sono invitati a valutare gli specifici fattori di rischio relativi
all'Emittente, al Gruppo e al settore di attività in cui gli stessi operano,
nonché quelli relativi agli strumenti finanziari
offerti. I fattori di rischio elencati di seguito sono riportati nel Prospetto
Informativo. all'atto della sottoscrizione delle stesse, presso l'intermediario
autorizzato presso il quale è stata presentata la richiesta di sottoscrizione; nessun
onere o spesa accessoria è prevista da parte dell'Emittente a carico del
richiedente. Le Azioni saranno messe a disposizione sui conti degli
intermediari autorizzati aderenti al sistema di gestione accentrata gestito da
Monte Titoli S.p.A. nello stesso giorno, a partire dal 22 giugno 2009, in cui la Società
avrà evidenza della disponibilità degli importi pagati per l'esercizio delle
stesse, fatti salvi eventuali ritardi non dipendenti dalla volontà della
Società e, comunque, agli aventi diritto, entro il decimo giorno di borsa
aperta successivo al termine del Periodo di Offerta. Le Azioni sottoscritte
entro la fine dell'offerta in borsa dei diritti ai sensi dell'art. 2441, terzo
comma, del Codice Civile, verranno messe a disposizione degli aventi diritto
per il tramite degli intermediari autorizzati aderenti al sistema di gestione
accentrata gestito da Monte Titoli S.p.A. entro il decimo giorno di borsa
aperta successivo al termine dell'offerta Securities Act. 3
FATTORI DI RISCHIO CONNESSI ALL'OFFERTA E AGLI STRUMENTI FINANZIARI OFFERTI 3.1
Rischi relativi alla liquidabilità e volatilità delle Azioni 3.2 Rischi
connessi all'andamento del mercato dei diritti di opzione 3.3 Effetti diluitivi
3.4 Impegni di garanzia 3.5 Esclusione dei mercati in cui non è promossa l'Offerta 3.6 Rischi connessi a
potenziali conflitti di interesse Periodo di validità dell'Offerta 1 FATTORI DI
RISCHIO RELATIVI ALL'EMITTENTE E AL GRUPPO 1.1 Rischi connessi
all'indebitamento 1.1.1 Indebitamento del Gruppo Enel 1.1.2 Rischi connessi al
mancato rispetto dei covenant finanziari e impegni
previsti nei contratti di finanziamento I diritti di opzione, che daranno
diritto alla sottoscrizione delle Azioni, dovranno essere esercitati, a pena di
decadenza, nel Periodo di Offerta, a partire dal 1° giugno 2009 e fino al 19
giugno 2009 incluso, presentando apposita richiesta presso gli intermediari
autorizzati aderenti al sistema di gestione accentrata di Monte Titoli. I
diritti di opzione, validi per sottoscrivere le Azioni, saranno negoziabili in
borsa dal 1° giugno 2009 e fino al 12 giugno 2009 compresi. La seguente tabella
riporta il calendario indicativo dell'Offerta: in borsa stessa. Indicazione dei
responsabili del collocamento dell'Offerta e dei collocatori 1.1.3 Rischi
connessi all'indebitamento relativo all'acquisizione da Acciona di una quota
del 25,01% di Endesa 1.1.4 Rischi connessi al tasso di interesse 1.1.5 Rischi
connessi al rating 3.7 Godimento delle Azioni Trattandosi di un'offerta in
opzione ai sensi dell'art. 2441, primo comma, del Codice Civile, non esiste un
responsabile del collocamento. 1.2 Controllo di Enel da parte del MEF
DESCRIZIONE DELL'OPERAZIONE CALENDARIO INDICATIVO DELL'OFFERTA 1.3 Particolari
previsioni statutarie Ammontare complessivo dell'Offerta 1.3.1 Limiti al
possesso azionario 1.3.2 Poteri speciali del MEF 1° giugno 2009 Inizio del
Periodo di Offerta e del periodo di negoziazione dei diritti di opzione Ultimo
giorno di negoziazione dei diritti di opzione 12 giugno 2009 19 giugno 2009
Termine del Periodo di Offerta e termine ultimo di sottoscrizione delle Azioni
Impegni a sottoscrivere gli strumenti finanziari
dell'Emittente Il MEF, in qualità di azionista della Società, ha già
rappresentato all'Emittente l'interesse ad aderire anche attraverso società
partecipate all'Aumento di Capitale, riservandosi, in particolare, di
effettuare le necessarie valutazioni definitive quando verranno resi noti i
termini e le condizioni dell'operazione. In data 25 marzo 2009, l'azionista Cassa
Depositi e Prestiti S.p.A. ha comunicato che il proprio consiglio di
amministrazione ha deliberato all'unanimità - su proposta dell'Amministratore
Delegato - l'adesione all'Aumento di Capitale sia per la parte di competenza di
Cassa Depositi e Prestiti sia per quella di spettanza del MEF. Questa seconda
parte è subordinata alla cessione, da parte del MEF, dei diritti di opzione del
Ministero. Per quanto a conoscenza dell'Emittente, nessun altro azionista, né i
membri del Consiglio di Amministrazione e del Collegio Sindacale, né i
principali dirigenti, hanno espresso alcuna determinazione in ordine alla
sottoscrizione delle Azioni loro spettanti in opzione in relazione alle azioni
da loro possedute. Comunicazione dei risultati dell'Offerta Entro 5 giorni dal
termine del Periodo di Offerta Le azioni ordinarie Enel oggetto dell'Offerta
rivengono dall'aumento scindibile del capitale sociale a pagamento per Euro
3.216.938.192 mediante emissione di n. 3.216.938.192 azioni ordinarie (le
" Azioni") del valore nominale di Euro 1 ciascuna, godimento 1°
gennaio 2009 e aventi le stesse caratteristiche di quelle in circolazione, da
offrire in opzione a coloro che risulteranno essere azionisti della Società
alla data di inizio del periodo di sottoscrizione, in proporzione al numero di
azioni possedute (l'" Aumento di Capitale"). In particolare, le
Azioni saranno offerte in opzione ad un prezzo pari a Euro 2,48 ciascuna, di
cui 1,48 a
titolo di sovrapprezzo, nel rapporto di 13 Azioni ogni 25 azioni ordinarie
possedute. Il controvalore complessivo dell'emissione, comprensivo di
sovraprezzo, sarà pertanto pari a Euro 7.978.006.716. Le Azioni avranno
godimento 1° gennaio 2009. Le Azioni non parteciperanno quindi alla
distribuzione del dividendo relativo all'esercizio 2008; viceversa le azioni
ordinarie già quotate alla Data del Prospetto parteciperanno alla distribuzione
del saldo del dividendo relativo all'esercizio 2008 in relazione al quale
è prevista come data di stacco cedola il 22 giugno 2009 con pagamento il 25
giugno 2009. Le Azioni saranno fungibili con quelle attualmente negoziate in
borsa a partire dal 22 giugno 2009 per liquidazione dal 25 giugno 2009 e
successivi. Le Azioni avranno codice ISIN IT0004497704 sino al 24 giugno 2009.
Dal 25 giugno 2009, alle Azioni sarà automaticamente attribuito lo stesso
codice ISIN delle azioni Enel quotate alla Data del Prospetto (IT0003128367) e
le stesse saranno pienamente fungibili con tali azioni. L'Aumento di Capitale
all'esecuzione del quale l'Offerta è finalizzata è stato deliberato dal
Consiglio di Amministrazione di Enel in data 6 maggio 2009 e in data 28 maggio 2009, a valere sulla delega
ad esso conferita ai sensi dell'art. 2443 del Codice Civile dall'Assemblea
Straordinaria dei soci di Enel tenutasi in data 29 aprile 2009. Impegni di
sottoscrizione e garanzia Si rende noto che il calendario dell'Offerta è indicativo
e potrebbe subire modifiche al verificarsi di eventi e circostanze indipendenti
dalla volontà dell'Emittente, ivi inclusi particolari condizioni di volatilità
dei mercati finanziari, che potrebbero pregiudicare il
buon esito dell'Offerta. Eventuali modifiche del Periodo di Offerta saranno
comunicate al pubblico con apposito avviso da pubblicarsi con le stesse
modalità di diffusione del Prospetto Informativo. Resta comunque inteso che
l'inizio dell'Offerta avverrà entro e non oltre un mese dalla data di rilascio
del provvedimento di autorizzazione alla pubblicazione del Prospetto
Informativo da parte della Consob. Entro il mese successivo alla conclusione
del Periodo di Offerta, i diritti di opzione non esercitati nel Periodo di
Offerta saranno offerti in Borsa dalla Società, per almeno cinque giorni di
mercato aperto ai sensi dell'art. 2441, terzo comma, del Codice Civile. 1.4
Rischi connessi all'effettiva realizzazione del Piano Industriale 2009-2013,
alle previsioni e stime degli utili, alle dichiarazioni di preminenza e alle
informazioni sull'evoluzione del mercato di riferimento 1.5 Rischi connessi
all'attuazione dei programmi di conversione di alcuni impianti di generazione
del Gruppo 1.6 Rischi connessi alle acquisizioni effettuate o in corso di
completamento da parte del Gruppo 1.7 Rischi connessi al tasso di cambio 1.8
Rischi connessi al contenzioso 1.9 Dati contabili inseriti nel Prospetto
Informativo 2 FATTORI DI RISCHIO CONNESSI AL SETTORE IN CUI L'EMITTENTE E IL
GRUPPO OPERANO 2.1 Rischi connessi alla normativa e alla regolamentazione dei
settori di attività in cui opera il Gruppo 2.2 Rischi connessi al processo di
liberalizzazione dei mercati in cui opera il Gruppo
2.3 Rischi connessi alla tutela dell'ambiente 2.4 Rischi connessi alla gestione
della rete di distribuzione di elettricità, del gas e degli impianti
idroelettrici in regime di concessione amministrativa 2.5 Rischi connessi
all'interruzione dell'operatività delle infrastrutture di rete e degli impianti
2.6 Rischi connessi alle potenziali responsabilità del Gruppo derivanti dalla
produzione di energia mediante impianti nucleari 2.7 Rischi connessi
all'aumento dei prezzi di combustibili e dell'energia elettrica acquistata o
all'interruzione delle forniture 2.8 Rischi connessi all'instabilità politica,
sociale ed economica nei Paesi in cui il Gruppo opera 2.9 Rischi connessi
all'estensione dell'applicazione dell'imposta comunale sugli immobili
("ICI") 2.10 Rischi connessi alle variazioni climatiche Informazioni
circa la sospensione e/o revoca dell'Offerta Destinatari e mercati
dell'Offerta in Opzione In data 11 marzo 2009, Banca IMI, JP Morgan e
Mediobanca (i " Joint Global Coordinators") hanno sottoscritto con la
Società un contratto di pre-underwriting ai sensi del quale si sono impegnati
nei confronti di Enel a sottoscrivere le Azioni rimaste eventualmente inoptate
al termine dell'Offerta fino all'importo massimo complessivo di Euro 5,5
miliardi, pari quindi all'ammontare massimo dell'Offerta al netto della quota
di spettanza in via diretta e indiretta del MEF. Il contratto di
pre-underwriting cesserà di avere efficacia con la stipula del contratto di
garanzia che sarà sottoscritto tra la Società e i membri di un consorzio di
garanzia, coordinato e diretto dai Joint Global Coordinators, entro il giorno
antecedente l'avvio dell'Offerta in Opzione. Il contratto di garanzia sarà
retto dalla legge italiana e conterrà, tra l'altro, l'impegno dei garanti a
sottoscrivere, disgiuntamente tra loro e senza vincolo di solidarietà, le
Azioni rimaste eventualmente inoptate al termine dell'Offerta fino all'importo
massimo complessivo di Euro 5,5 miliardi, nonché le usuali clausole che
condizionano l'efficacia degli impegni di garanzia ovvero attribuiscono ai
Joint Global Coordinators la facoltà di recedere dal contratto a fronte di
determinati eventi quali, inter alia, circostanze straordinarie i cui effetti
siano tali da pregiudicare il buon esito dell'Offerta (c.d. " material
adverse change" o " force majeure"), gravi violazioni da parte
della Società degli impegni dalla stessa assunti nel contratto nonché
violazioni da parte della Società delle dichiarazioni e garanzie rilasciate
dalla stessa nel contratto. Le istituzioni finanziarie
che faranno parte del consorzio di garanzia saranno rese note al mercato
mediante comunicato L'Offerta diverrà irrevocabile dalla data del deposito
presso il Registro delle Imprese di Roma del corrispondente avviso, ai sensi
dell'art. 2441, secondo comma, del Codice Civile. Qualora non si desse
esecuzione all'Offerta nei termini previsti nel Prospetto Informativo, ne verrà
data comunicazione al pubblico e a Consob entro il giorno di borsa aperta
antecedente quello previsto per l'inizio del Periodo di Offerta, mediante
apposito avviso pubblicato su un quotidiano a diffusione nazionale e
contestualmente trasmesso a Consob. Le Azioni oggetto dell'Offerta saranno
offerte in opzione agli azionisti dell'Emittente. L'Offerta è promossa
esclusivamente in Italia sulla base del Prospetto Informativo, fatto salvo
quanto di seguito previsto per l'offerta ad alcuni investitori all'estero.
L'Offerta è rivolta, indistintamente e a parità di condizioni, a tutti gli
azionisti di Enel senza limitazione o esclusione del diritto di opzione, ma non
è promossa, direttamente o indirettamente, negli Stati Uniti d'America, Canada
e Australia nonché in qualsiasi altro paese nel quale l'Offerta non sia
consentita in assenza di autorizzazioni da parte delle competenti autorità o di
applicabili esenzioni di legge o regolamentari (" Altri Paesi").
Parimenti, non saranno accettate eventuali adesioni provenienti, direttamente o
indirettamente, da Stati Uniti d'America, Canada e Australia, nonché dagli
Altri Paesi. Le Azioni e i relativi diritti di opzione non sono stati e non
saranno registrati ai sensi dello United States Securities Act of 1933 e sue
successive modifiche (il " Securities Act"), vigente negli Stati
Uniti d'America, né ai sensi delle corrispondenti Prezzo di Offerta Il Prezzo
di Offerta, pari a Euro 2,48 per Azione, di cui Euro 1,48 a titolo di
sovrapprezzo, è stato determinato dal Consiglio di Amministrazione in data 28
maggio 2009. stampa. Modalità e termini di pagamento e consegna delle Azioni Il
pagamento integrale delle Azioni dovrà essere effettuato Roma, 30 maggio 2009
Enel S.p.A. Sede in Roma, viale Regina Margherita n. 137 - Capitale sociale
Euro 6.186.419.603,00 - Registro delle Imprese di Roma e Codice Fiscale n.
00811720580 - Partita IVA n. 00934061003
(
da "Corriere della Sera"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere
della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data:
30/05/2009 - pag: 35 La Giornata in Borsa di Giacomo Ferrari Enel frena Piazza
Affari, bene StM Le Borse europee fanno un piccolo passo avanti ma Piazza
Affari archivia l'ultima seduta della settimana con l'S&P-Mib in calo
dell'1,32% e il Mibtel dell'1,09%, chiudendo così in modo un po' inglorioso la
loro stagione (entrambi gli indici scompariranno per essere sostituiti
da lunedì rispettivamente da Ftse-Mib e Ftse Italia All Share). Tutta colpa
della frenata di alcune importanti blue-chips. La flessione di Enel (-5,59%) è
dovuta all'effetto-annuncio dell'aumento di capitale, mentre quella di Fiat
(-4,15%) è legata alla battuta d'arresto nella trattativa per Opel. Ma
nell'ambito dell'S&P-Mib hanno perso terreno in misura significativa anche
altri titoli. A cominciare dai cementiferi, con Italcementi in calo del 4,87% e
Buzzi-Unicem del 4,33%. L'elenco dei maggiori ribassi prosegue poi con Banco
Popolare (-3,47%), il peggiore tra i bancari (con Ubi Banca giù del 2,2%) e
soprattutto con A2A (-3,92%), dopo il colpo di scena in assemblea, dove il
presidente del consiglio di sorveglianza ha escluso dal voto i Comuni di Milano
e di Brescia, determinando così il rinvio dei lavori. In difficoltà anche tutti
i titoli assicurativi: nel comparto a perdere di più è stata Alleanza (-2,29%),
seguita da Unipol (-2,19%), Generali (-2,13%) e Fondiaria-Sai (-2,03%). Pochi,
fra i 40 più capitalizzati, i titoli in controtendenza. Guida la classifica dei
«virtuosi» StMicroelectronics (StM), che ha beneficiato dell'andamento positivo
del comparto tecnologico in Europa, mettendo a segno un progresso del 3,89%.
Bene, infine, Geox (+2,3%), Mediolanum (+2,19%), Prysmian (+1,7%) e Impregilo
(+1,47%). Cambiano gli indici Da lunedì scompaiono S&P-Mib e Mibtel,
sostituiti da Ftse-Mib e da Ftse Italia All Share
(
da "Corriere della Sera"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere
della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data:
30/05/2009 - pag: 35 Il caso a Parigi Lagardère interrogato, Eads in calo
(g.fer.) L'inchiesta della magistratura francese scattata dopo i sospetti di
insider trading che gravano su 17 tra dirigenti ed ex dirigenti di Eads ha
portato ieri all'interrogatorio come testimoni di Arnaud Lagardère,
azionista, e di Thomas Enders, presidente della società che controlla Airbus.
La vicenda risale all'aprile del 2006, quando i due azionisti principali dimezzarono
le rispettive quote poche settimane prima che venisse annunciato un nuovo
ritardo nella produzione del superjumbo. Limitati gli effetti in Borsa: ieri il
titolo di Eads ha ceduto l'1,38%, chiudendo a quota 11,45 euro. Arnaud
Lagardère azionista di Eads
(
da "Corriere della Sera"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari
data: 30/05/2009 - pag: 35 Il caso a Milano Tiscali ricapitalizza dopo l'intesa
sul debito (g.fer.) C'è l'accordo sul debito ma c'è anche la decisione di
aumentare il capitale (l'operazione, per 190 milioni di euro, sarà sottoposta
all'assemblea straordinaria a fine giugno). Così il titolo
Tiscali, dopo l'annuncio, ha perso terreno a Piazza Affari, chiudendo a quota
0,376 euro, il 2,84% in meno rispetto alla vigilia. I capitali incassati dalla
vendita delle attività inglesi serviranno a rimborsare una quota del debito,
mentre sulla parte rimanente è stata raggiunta l'intesa con le banche. Inoltre,
grazie all'aumento di capitale, si arriverà, ha detto l'ad Mario Rosso, a «una
struttura finanziaria sostenibile». Mario Rosso ad
Tiscali
(
da "Unita, L'"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
Lontano
Berlusconi, è toccato ai suoi offrire l'interpretazione governativa della
relazione del Governatore, prodigandosi tutti in un ammirevole esercizio di
buone maniere e di ottimismo, ringraziando Draghi e magari leggendo a metà, ad
esempio ignorando il primo pezzo di una frase come la seguente: «La fiducia non
si ricostruisce con la falsa speranza, ma neanche senza speranza: uscire da
questa crisi più forti è possibile». L'illusionismo
berlusconiano poteva diventare un'anticipazione della "speranza
necessaria", indicata da Draghi. Soddisfatti a destra Così Cicchitto, dopo
aver redarguito i gazzettieri che infangano il premier, ringraziava e
sottolineava: «Siamo innanzitutto soddisfatti di apprendere dal Governatore che esistono concreti segnali incoraggianti per la crisi finanziaria in atto». Dimenticando
fino a che punto quella crisi stava colpendo il paese, come i numeri e i problemi elencati da
Draghi eloquentemente, drammaticamente, dimostravano. Poi ciascuno tirava acqua
al proprio mulino: Calderoli a quello del federalismo, Brunetta a quello dei
tornelli della pubblica amministrazione, Cazzola a quello delle
pensioni, Sacconi a quello della critica al sistema bancario. Tutti, a destra,
comunque sono convinti che Draghi abbia riconosciuto lo strenuo impegno del
governo e tutti all'appello rifomatore del Governatore hanno risposto:
«Presente». Cominciando ovviamente da Gasparri. Tutti hanno dimenticato che di
riforme, con la destra al governo, non ne è passata neppure una. Rotondi ha
dato la colpa al governo di centrosinistra (quello Prodi, durato due anni),
trascurando i sei anni di Berlusconi con quell'intervallo e basta: neppure le
liberalizzazioni. «Negare l'evidenza e far finta di nulla è l'unica arma in
mano di un governo incapace e dannoso», riassumeva Tiziano Treu, senatore del
Pd ed ex ministro del lavoro. «Abbiamo un Governatore che sa prendersi le
responsabilità, non solo delle analisi ma anche delle proposte», sottolineava
Pierluigi Bersani, responsabile economico del Pd. «Il governo - ha continuato
Bersani - farebbe bene ad ascoltarle quelle proposte, a cominciare da due
questioni che noi stessi abbiamo sempre ritenuto prioritarie: il reddito di
chi, a qualsiasi titolo, perde il lavoro, e il sostegno efficace e diretto
dello Stato in particolare alle imprese che hanno investito in innovazione e
possono non avere fiato sufficiente per superare la crisi».
Come ha ricordato il segretario del Pd, Dario Franceschini, che era a Napoli,
dichiarando la disponibilità a collaborare in Parlamento con la maggioranza per
riforme strutturali: «Da settimane presentiamo proposte in Parlamento, come
l'assegno di disoccupazione e gli aiuti alle piccole e medie imprese».
«Speriamo che di fronte a queste sollecitazioni, che ora non arrivano da
pericolosi estremisti come noi, il governo non continui a girare la testa
dall'altra parte». Pesante anche Casini, leader dell'Udc: «Per fortuna il
governatore della Banca d'Italia supplisce alle disattenzioni del governo e del
ministro Tremonti... In una campagna elettorale costruita sulla fantasia, sulle
boutade, sulla demonizzazione degli avversari, sulla criminalizzazione dei
magistrati Draghi ci dice, tirandoci per la giacca, di stare più attenti».
(
da "Manifesto, Il"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
QUESTIONE MORALE La passione della mediocrità Bruno Accarino
Quando comparvero i primi segni della crisi finanziaria,
non pochi osservarono, anche nelle nostre file, che si trattava di un fenomeno
né inedito né sconvolgente: bastava sfogliare nei punti opportuni Il capitale
di Marx per trovare i profili del sistema creditizio nella sua dipendenza dal
modo di produzione dominante. L'osservazione mi apparve e mi appare un
po' scolastica e pedagogica, quasi che la stessa scena non facesse altro che
ripetersi, con attori diversi, e quasi che vi fosse bisogno di ricordare che in
Marx giacciono molti tesori oggi finiti nel dimenticatoio. CONTINUA|PAGINA 10 Ma che cosa ha a che fare il sistema
creditizio analizzato da Marx con le manovre di alcuni pescecani che sono in
grado di spostare in pochi minuti cifre tali da alterare equilibri economici
mondiali? Ogni volta che ricompaiono fenomeni da capitalismo predatorio, i
quadri concettuali della razionalità di sinistra vacillano. Le motivazioni sono
più che plausibili: la critica del capitalismo predatorio non stonerebbe in
bocca ad un fascista di sinistra, può confusamente accompagnarsi a
lamentazioni, venate di antisemitismo, contro le plutocrazie, ed un
tradizionalismo cattolico da vandea potrebbe ben schierarsi, nonostante
l'imbarazzante contromodello dell'Opus dei, contro operatori economici
spregiudicati e privi di scrupoli. Qua e là può affacciarsi anche il ritornello
dei mercanti e degli eroi, a distribuire la propensione alla rapina dalla parte
dei primi e la titolarità della virtù umanistica dalla parte dei secondi. La
distanza dei patrimoni teorici del movimento operaio organizzato dalle
categorie del capitalismo predatorio è stata sempre un punto d'orgoglio: di
fronte a quel quotidiano attentato alla razionalità che è il capitalismo, sono
pensabili e perseguibili, con la lotta politica, livelli superiori di
razionalità sociale, di equilibrio e di giustizia, ma il giudizio morale deve
interferire il meno possibile. Il discorso fu chiuso in fondo dallo stesso
Marx, che tirò fuori una metafiora teatrale: non ce l'ho con il capitalista, è
solo una «maschera di carattere», ho ben altro a cui pensare che accanirmi
contro questo o quel grassatore di strada, la soggettività dello sfruttatore di
turno la lascio ad altri. Il cammino che porta ai nostri giorni è lastricato di
allarmi. Il primo, ignorato, coincise con il famoso pronunciamento di Enrico
Berlinguer sulla questione morale e con la diffusa, e malcelata, mancata
condivisione dello stesso. Eppure Berlinguer, il quale sarebbe stato il primo a
respingere l'idea del potere giudiziario come succedaneo o come supplente a
tempo pieno della politica, aveva detto in fondo, a ripensarci, una cosa di
luhmanniana, fredda razionalità: se consentiamo alla questione morale di
tracimare e di occupare gli spazi della politica, smetteremo di fare politica.
Non si può dire che il vaticinio fosse campato in aria. Le passioni, a
cominciare dall'avidità (di soldi o di potere), vengono in genere trattate sub
specie aeternitatis: oggi forse qualche neuroscienziato suggerirebbe di andare
a caccia di questo o di quell'enzima, tanto per dare un tocco di inaggirabile
definitività bio-antropologica. Ma le passioni possono essere storicizzate,
come del resto può essere monitorata nel tempo la caduta tendenziale del saggio
di ironia e di autoironia disponibile in una comunità civile: quante volte la
filmografia di Totò ha spernacchiato ante litteram, direttamente o
indirettamente, un personaggio come Brunetta? Ad aggravare la nostra pena c'è
la consapevolezza che lo storico del futuro non potrà scrivere della nostra
epoca senza sbellicarsi dalle risate. Se le passioni vengono storicizzate, si
può scoprire che anche la rapacità ha un suo diagramma, fatto non di secca
presenza e di altrettanto evidente assenza, ma di alti e di bassi, di pudore e
di impudenza, di controllo e di smodatezza. È sotto gli occhi di tutti che
un'Europa post-bellica, impegnata nello sgombero delle macerie e in un
elementare processo di accumulazione capitalistica, aveva imbrigliato in una
mappa segnata da schieramenti politici veri le più distruttive escrescenze
passionali. Congiurò positivamente la possibilità di ereditare dalla guerra, o
addirittura dalla lotta antifascista, aristocrazie politiche dotate, o presto
investite, di vocazione costituente. Anche sulle politiche di welfare non gravò
l'ombra dell'umiliazione e dell'obolo, perché aveva una sua chiarezza il
compromesso di classe sul quale esse erano fondate. Giova ricordare che a quei
tempi in Italia si sparava spesso e volentieri sui lavoratori in sciopero, in
attesa della più radicale stagione delle stragi di Stato: il clima non era da
happening, tuttavia erano meno aggressive, o del tutto inesistenti, quelle
corporate identities che assommano schiavitù volontaria e grinta
espansionistica, e nelle quali il profilo identitario, pur di rimanere tale,
può accumulare potere perfino accettando il rischio dell'estremismo
disfunzionale e autolesionistico. Oggi la scorciatoia delle curve femminili
nella selezione della classe dirigente e nella cattura del consenso non inventa
la neo-passione del mercimonio sessuale, ma sancisce e quasi formalizza l'assai
più vetusta passione della selezione positiva della mediocrità o
dell'innocuità, finalizzata a non disturbare il manovratore. I conservatori
post-1789 arricciarono il naso di fronte a quella manica di socialmente
scapestrati - zero tituli, direbbe Mourinho - che andò a costituire l'Assemblea
nazionale francese: la cui bastarda composizione sociale fu tematizzata, però,
solo perché si intravvedeva all'orizzonte il fabbisogno crescente di competenze
e di saperi organizzativi, tecnici e gestionali che fanno un governo, o forse
una governance. Anche un bambino sarebbe stato capace di maramaldeggiare
sull'insipienza fiscale dei rivoluzionari. Il vero conflitto con la cultura di
destra non è più sull'uso dei congiuntivi, anche se difficilmente dalle truppe
di Bossi verranno scoperte scioccanti di filologia dantesca. Le curve femminili
danno il senso della migrazione delle competenze lontano dall'agone politico e
preoccupano non in quanto indice di immoralità, ma perché invitano alla
dissociazione tra politica e conoscenza, tra classe dirigente e sobrietà, con
una sorta di franchigia riservata alle idiozie. A questo punto il corpo
femminile è una protesi che accelera i processi di iniziazione e di
acclimatazione nelle stanze del potere, ma perde di specificità e vale quanto
un'altra protesi qualsiasi: quanto ad efficacia operativa, quella del
portaborsismo zelante e del sacrificium intellectus non scherza e, a occhio,
annovera percentuali di praticanti assai più maschili che femminili. Una volta
eravamo preoccupati, con spirito genuinamente weberiano, che la tecnica e la
burocrazia potessero scipparci la passionalità della politica, oggi siamo
sgomenti di fronte alla possibilità di essere travolti dal dilettantismo. O
forse non sappiamo che, scavalcata la scena presidiata dai giullari, i destini
del mondo si giocano in altri centri di potere, che trattano i giullari con la
stessa puzza al naso che avevano i lords inglesi nei confronti dei
presumibilmente malvestititi e maleodoranti citoyens. Foto: GEORGE GROSZ
"PACE TRA CAPITALE E LAVORO"
(
da "Manifesto, Il"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
Draghi:
«Serve più protezione sociale» Carlo Leone Del Bello Dal governo
all'opposizione, passando per il mondo sindacale e imprenditoriale, ciascuno ha
trovato motivo di soddisfazione, nelle Considerazioni finali presentate dal
governatore Mario Draghi all'assemblea ordinaria dei partecipanti della Banca
d'Italia. Per il premier Silvio Berlusconi le parole di Draghi - nonostante non
le abbia lette, per sua stessa ammissione - sono «berlusconiane», nel senso di
«ottimiste». Eppure, ha detto Draghi, «una volta superata la crisi, l'Italia si
ritroverà non solo con più debito pubblico, ma anche con un capitale privato -
fisico e umano - depauperato dal forte calo degli investimenti e dall'aumento
della disoccupazione». È difficile leggere qualcosa che sia più lontano
dall'ottimismo. Nel conciso rapporto - 19 pagine, un record - il governatore
Draghi ha analizzato molti dei gravi problemi dell'economia italiana alla luce
della crisi globale. Bankitalia non si unisce al coro di chi vede «germogli
verdi» nell'economia italiana; i segnali di un affievolimento della recessione
infatti non verrebbero dalle statistiche sull'economia reale, ma da sondaggi di
opinione (come la fiducia dei consumatori) e dai mercati finanziari. La crisi intanto
colpisce durissimo: disoccupati e cassintegrati sono già l'8,5% della forza
lavoro, e tale quota «potrebbe salire oltre il 10%». Ciò costituisce un
rischio: con meno reddito a disposizione, le famiglie potrebbero ridurre i
consumi, e questo porterebbe le imprese a tagliare ulteriormente gli
investimenti. L'economia intanto è già in caduta libera: nell'ultimo
trimestre 2008 e nel primo trimestre 2009, il Pil è giù del 7% rispetto allo
stesso semestre dell'anno precedente. Inoltre, per Bankitalia la caduta del
prodotto sarà del 5% nel 2009. Per evitare questo circolo vizioso, nonostante
la politica economica volta al sostegno della domanda sia «limitata dal debito
pubblico del passato», Draghi suggerisce di superare le «evidenti manchevolezze
di lunga data nel nostro sistema di protezione sociale». Troppi lavoratori
infatti sono sprovvisti di tutele, come i parasubordinati o i dipendenti di
imprese artigiane. Per l'istituzione di palazzo Koch, i lavoratori senza alcun
sostegno in caso di licenziamento sono 1,6 milioni. Draghi propone quindi un
«buon sistema di ammortizzatori sociali per chi cerca un nuovo lavoro», in modo
tale da attenuare la preoccupazione dei lavoratori, sostenere i consumi e
accrescere la mobilità fra imprese e settori, favorendo così «la riallocazione
delle competenze individuali verso gli impieghi più produttivi». Per
raggiungere questi obiettivi, nessuna rivoluzione: basterebbe, secondo Draghi,
ridisegnare il sistema intorno alla cig e all'indennità di disoccupazione,
affiancati da una misura di sostegno al reddito per i lavoratori non coperti.
Immediate le reazioni positive dei sindacati confederali: per Fulvio Fammoni
(Cgil), dopo i richiami di Draghi «occorre raddoppiare le settimane di cigo, e
contemporaneamente lavorare per una riforma degli ammortizzatori sociali». Per
Raffaele Bonanni, segretario generale Cisl, il governatore di Bankitalia «ha
fatto un'analisi corretta sul lavoro chiedendo una riforma degli ammortizzatori
sociali». Altro argomento affrontato da Mario Draghi è ovviamente quello delle
banche. Le istituzioni finanziarie italiane sarebbero
in condizioni sostanzialmente buone, per il governatore. Una sorta di «stress
test» informale condotto da palazzo Koch avrebbe mostrato che il sistema
bancario italiano sarebbe capace di resistere anche nell'ipotesi di condizioni
economiche «ben più sfavorevoli». In ogni caso l'erogazione del credito è
rallentata in modo drammatico: il tasso di crescita trimestrale del credito
alle imprese è zero, mentre era del 12% solo un anno fa. Questo però per Draghi
non significa che bisogna «chiedere alle banche di allentare la prudenza
nell'erogare il credito»; infatti non è nell'interesse di nessuno mettere a
rischio l'integrità dei bilanci e dei risparmi. Quel che si può chiedere alle
banche è invece di «affinare la capacità di riconoscere il merito di credito
nelle presenti ed eccezionali circostanze». Sull'Italia continua a incombere il
debito pubblico, e la sua sostenibilità futura rende necessario il
raggiungimento di una «più alta crescita nel medio periodo». Obiettivo da
conseguire tramite le tanto famose «riforme» di cui sempre si parla in Italia.
Draghi ha parlato di «graduale» innalzamento dell'età pensionabile, di riforma
della pubblica amministrazione, di «semplificazione» normativa, e
liberalizzazione dei servizi pubblici. Servono tuttavia anche numerosi
interventi sulle infrastrutture, in modo tale da ridurre il divario col resto
d'Europa. Negativo che i finanziamenti sulle grandi opere non abbiano
individuato delle priorità - dice il governatore: tanto che i progetti
finanziati sono lievitati da 21
a oltre 200, con tempi e costi doppi rispetto a Francia
e Spagna.
(
da "Manifesto, Il"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
DIARIO
DELLA CRISI L'India non recede. A Tokyo prezzi giù Galapagos La sorpresa è
arrivata dall'India: l'economia seguita a crescere anche se, ovviamente, a un
ritmo decelerato: tra gennaio e marzo (ultimo trimestre dell'anno fiscale
2008-2009) il Pil è salito del 5,8%, mentre nell'anno fiscale (aprile
2008-marzo 2009) la crescita è stata del 6,7%, in frenata dal 9% dell'anno
precedente. Il tutto oltre le previsioni degli analisti che si aspettavano un
incremento del 5% circa nel trimestre e del 6-6,5% nell'intero anno. A trainare
l'economia sono stati i servizi (57,3% del Pil indiano) con un ritmo di
crescita dell'8,6% nel trimestre al 31 marzo e del 9,7% nell'intero anno
fiscale. L'India, probabilmente, sarà una delle poche economie mondiali a chiudere
il 2009 con una crescita del prodotto lordo. Meglio delle stime preliminari,
peggio delle previsioni degli analisti: nel primo trimestre il Pil Usa è sceso
del 5,7% (la variazione è annualizzata) contro il -6,1% del preliminare.
L'insoddisfazione sta nel fatto che c'era speranza di una discesa ancora più
contenuta. Con la discesa tra gennaio e maggio, sono nove mesi consecutivi che
il Pil statunitense segna variazioni negative: è la prima volta che accade dal
'74-'75. Anche in Giappone il Pil non cresce, ma soprattutto non crescono i
prezzi: in aprile l'indice dei prezzi al consumo è sceso dello 0,1% in
confronto allo stesso mese del 2008, confermando una tendenza già evidenziata a
marzo. Il calo dei prezzi, il secondo consecutivo dal settembre 2007, era
previsto dagli economisti. Il confronto tendenziale, invece, ha fatto segnare
un +0,1% rispetto a marzo. Aumentano i senza lavoro: il tasso di disoccupazione
in aprile è salito al 5%, il livello più alto degli ultimi cinque anni. Male
anche i consumi delle famiglie: in aprile sono scesi dell'1,3% rispetto allo
stesso mese del 2008. In
controtendenza, invece, la produzione industriale, aumentata in aprile del 5,2%
mensile. A conferma che la crisi
finanziaria non è chiusa, ieri in Irlanda il governo
ha fatto sapere che chiederà alla Commissione europea l'autorizzazione ad
iniettare 4 miliardi di euro nel capitale della Anglo Irish Bank che,
nazionalizzata lo scorso gennaio, ha accusato una perdita netta di 3,7 miliardi
nel semestre al 31 marzo scorso. Infine l'Italia: in maggio, secondo il
dato provvisorio Istat, i prezzi al consumo sono saliti dello 0,2% mensile e
dello 0,9% su base annua. Crisi, frenata dei consumi e quotazioni del petrolio
(ieri in risalita) alla base della decelerazione.
(
da "Manifesto, Il"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
INCONTRI
A Napoli sul «Destino della democrazia» Una parola chiave in difesa dell'Occidente
Ugo Mattei Mariella Pandolfi Tre giorni sulla «democrazia» a partire da
eterogenee prospettive disciplinari e politiche, il cui «destino» è stato
passato al setaccio della potente parola chiave che è «Occidente». È quanto è
accaduto nei giorni scorsi a Napoli, dove la democrazia è stata vista proprio
come lo strumento attraverso il quale l'Occidente cerca di persuadere «l'altro»
della superiorità e desiderabilità del modello di sviluppo capitalista. Il
ricco apparato ideologico in difesa della democrazia, prodotto i larga misura
dal sistema universitario dominante, quello degli Stati Uniti, opacizza un dato
inquietante che l'attuale crisi economica e prima di
essa quella del sistema sovietico dovrebbe viceversa mettere bene a fuoco: il
modello di sviluppo fondato sullo sfruttamento, sia esso dell'uomo sulla natura
che dell'uomo sull'uomo, offre ricette strutturalmente compatibili soltanto con
una distribuzione delle risorse ferocemente iniqua. Dati inoppugnabili mostrano
inoltre che l'estensione a sei miliardi di persone di questo modello di
sviluppo porterebbe a mettere in discussione la stessa sopravvivenza della
civiltà umana sul nostro pianeta. L'Occidente può quindi sostenersi soltanto
nella misura in cui riesce, con un mix micidiale di ipocrisia
e violenza, a ridurre in condizione di minima sussistenza almeno i tre quarti
della popolazione del mondo, giocando sul consumo del restante quarto per
assorbire la produzione globale. Etnocentrismo del dominio Dai lavori sul
«destino della democrazia» di Castel dell'Ovo di Napoli, dove la rete Nisia
(«Network of Italian Scholars Abroad») tessuta da Francesco Borghesi e Marco
Formisano ha raccolto un gruppo di studiosi fra loro collegati dalle origini
italiane e da rapporti più o meno intensi con sedi accademiche in larga
maggioranza anglo-americane, è emerso il fatto che la democrazia reale deve
avere una varietà di declinazioni, cioè traduzioni locali. Come testimoniano la
generosa proposta di Amartya Sen sulla «democrazia degli altri» - tema affrontato
nel panel coordinato da Giuseppe di Palma intitolato «Democrazia: universalità
ed esportabilità» - o la democrazia «cosmopolitica» di Daniele Archibugi, che
ripropone, senza nessun accenno problematico, la visione etnocentrica della
Dichiarazione Universale del 1948, emerge il fatto che . Le parole chiave del
dominio devono tuttavia collocarsi in una dimensione metastorica, come è emerso
nel confronto dei numerosi filosofi presenti a Napoli (Nuzzo, De Laurentiis,
Bodei, Borradori). Ma il contributo dei filosofi può fare chiarezza, ma può
però tradursi in una deresponsabilizzante astrazione teorica. Sono perciò
necessarie continue critiche dell'etnocentismo e del settarismo disciplinare,
come emerge dalla riflessione sull'ambiguo rapporto fra sicurezza e aiuti
umanitari o fra sviluppo (e quindi aiuti internazionali) e sicurezza, una sorta
di darwinismo sociale enfatizzato, monitorato, burocratizzato dagli organismi
internazionali e dai loro intellettuali di riferimento. In modo particolarmente
appropriato Roberto Esposito ha ricordato che è nella svolta biopolitica
inaugurata negli anni Settanta da Michel Foucault il nodo del progetto politico
contemporaneo occidentale che obbliga a verificare o meno la pertinenza del
lessico democratico. La rottura dei confini fra il biologico e il politico ha
infatti dilatato e deformato i rapporto fra singoli, istituzioni, comunità:
l'essere vivente da «proteggere» e controllare nell'aura universalizzante dei
diritti umani è spesso confinato in Cpt o nei campi per rifugiati, mentre il
filo spinato protegge, gestisce e controlla i parziali e provvisori diritti del
vivente. In questa prospettiva è da collocare l'intervento di Roberto
Ciccarelli sulla «governance». Lo sfruttamento globale, con i suoi apparati
militari ed ideologici di riferimento, nutre quindi la burocratica e
tecnologica lettura della good governance. Quest'idea profondamente «apolitica»
o meglio «meta-politica» nelle sue implicazioni semiotiche, vive in realtà un
rapporto intimo con quei dispositivi di sicurezza e di militarizzazione che
costituiscono la vera precondizione della pervasività dell'egemonia occidentale
e della sua declinazione della democrazia. In questa chiave di lettura,
l'attuale crisi finanziaria viene
metabolizzata in una dimensione biopolitica che a ben vedere altro non è che la
straordinaria capacità del capitalismo di reinventarsi per continuare a guidare
l'irresponsabile danza della dominazione sul pianeta. Violenza della politica
La trasformazione del cittadino in consumatore è dunque la conseguenza
necessaria della costruzione del politico come tecnologia. Certo, in un
consesso in cui erano presenti molti storici ed antichisti non poteva mancare,
soprattutto nella densa sezione sulla narrativa della democrazia, una certa
consapevolezza che i confini nebulosi di concetti quali «democrazia» sono in
effetti il prodotto dell'estrema variabilità dei contesti sociopolitici in cui
essa ha giocato un ruolo di dominio o emancipatorio. In conclusione dei lavori
Giulia Sissa ha infatti saputo «registrare la variabilità» offrendo una
magistrale rilettura di genere e di contesto della nozione di democrazia,
smascherandone la componente violenta e discriminatoria che la domina fin dalle
sue origini greche. Purtroppo il gran finale, affidato a Giovanni Sartori, ha
bruscamente riportanto in auge il compiaciuto etnocentrismo di un pensiero
purtroppo dominante anche sui nostri media. Il convegno ha ricevuto la visita
ufficiale del Ministro dell'Università, invitata da Aldo Schiavone e accolta in
grande amicizia anche dai diversi rettori presenti, in un coro di consenso
difficilmente comprensibile dati i tempi. Certo, nei minuti disponibili per il
dibattito Nadia Urbinati ha criticato, ma con fin troppa delicatezza, una
politica accademica italiana chiusa e verticistica. Soltanto Archibugi ha
denunciato lo stridore fra la retorica dell'internazionalizzazione ed il
trattamento riservato in Italia agli intellettuali migranti. Fortunatamente nel
passaggio dalla teoria al confronto col potere la democrazia (quella vera) non
è sempre perdente. A Napoli essa cerca una rivincita con la presentazione,
all'interno del Forum Beni Comuni, del Forum Rifiuti Campani, organizzazione di
base che da un anno, insieme ad Alberto Lucarelli, lotta in aperto conflitto
col potere costituito per una gestione democratica di questa drammatica
emergenza.
(
da "Stampaweb, La"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
PECHINO
Un migliaio di anni fa, il ramo Sud e quello Nord della Via della Seta
convergevano su Kashgar, la città-oasi all’estremità
occidentale del deserto di Taklamakan. Mercanti andavano da Delhi a Samarcanda
attraversando montagne gelide e impervie, scaricavano qui i loro cavalli e
vendevano zafferano e mastice. Così facevano anche i mercanti cinesi, con i
cammelli carichi di seta e porcellana. Oggi nei vicoli della città, dove gli
asini trascinano carretti pieni di mercanzie e le case sono di fango e paglia,
passeggiano i turisti. Ma quelle case, nelle cui finestre un tempo si potevano
guardare le merci senza comprarle, dopo i saccheggi di Tamerlano e Gengis Khan
stanno per conoscerne un altro. Novecento famiglie sono già state sfrattate
dalla Città Vecchia, «l’esempio meglio conservato
di città tradizionale islamica in Asia centrale», come ha scritto
l’architetto e storico George Michell nel suo saggio «Kashgar, città-oasi
sull’antica Via della Seta cinese». Nei prossimi anni, dicono le autorità
cittadine, si demolirà almeno l’85 per cento di
questa pittoresca conigliera e verranno spostate molte delle 13 mila famiglia
uigure - un’etnia turcomanna e musulmana. Devono lasciare il posto a una
nuova Città
Vecchia, una combinazione di case da appartamento, piazze e viali, nello stile
dell’antica architettura islamica «per preservare la
cultura uigura», come ha spiegato in un’intervista telefonica il
vicesindaco di Kashgar, Xu Jianrong. La demolizione è considerata una
necessità urgente perché in qualunque momento la terra potrebbe tornare a
tremare, facendo crollare edifici vecchi di secoli e uccidendo migliaia di
persone. «L’intera area del Kashgar è a rischio terremoti -
ha detto Xu -. Ora io le chiedo: quale governo non proteggerebbe i suoi cittadini
dai pericoli di un disastro naturale?». I critici parlano di ben altro
disastro. «Da un punto di vista culturale e storico, questo piano è stupido»,
spiega Wu Lili, direttore del Centro per la protezione culturale di Pechino, un
gruppo non governativo che si dedica alla conservazione storica -. Dal punto di
vista della popolazione locale, è una crudeltà». Nel corso del lungo boom della
Cina la ricostruzione urbana ha distrutto molti centri storici, a cominciare
dagli antichi vicoli e dai cortili abitati della capitale Pechino. Kashgar,
però, non è una tipica città cinese. I funzionari che si occupano della
sicurezza interna la considerano il terreno di coltura di un piccolo ma
coriaceo movimento di separatisti uiguri che, secondo Pechino, avrebbero legami
con la Jihad internazionale. Così il nuovo sviluppo di questo antico centro
della cultura islamica coincide con un po’ di
normalizzazione forzata. Le autorità cinesi hanno offerto spiegazioni confuse
dei loro
piani. Xu Jianrong chiama Kashgar «un esempio originale di una importante
storia culturale ma anche un’importante città
turistica». Eppure il progetto di demolizione ridurrà in macerie proprio la
principale attrazione turistica, quella Città Vecchia che è un magnete per
il milione di persone che ogni anno la visita. Tra l’altro, la Cina appoggia un progetto internazionale per
far designare i punti più importanti della Via della Seta «Patrimonio
dell’Umanità» Unesco, ma nell’elenco dei siti da proporre Kashgar non c’è. Un diplomatico straniero che non vuole essere
identificato per paura di guastare i rapporti del suo Paese con la Cina ha
detto che il progetto della Città Vecchia è stato appoggiato in modo
insolitamente forte dal governo. Si dice che costerà 440 milioni di
dollari ed è iniziato a sorpresa quest’anno,
poco dopo l’annuncio del governo centrale cinese di un investimento di 584 miliardi di dollari in lavori pubblici per combattere la crisi finanziaria globale. Questo piano
completerebbe lo smantellamento finora frammentario iniziato qualche decennio
fa. Le mura della città, un terrapieno largo sette metri e alto dieci, sono
state in larga parte demolite. Negli Anni 80 la città riempì e pavimentò il
fossato che la circondava per creare un anello, poi aprì la strada
principale attraverso il centro. Ciò nonostante gran parte della Città Vecchia
rimane com’era e com’è sempre stata. Dalla cima delle
quaranta piccole moschee i muezzin chiamano alla preghiera con la loro voce,
non ci sono altoparlanti. Centinaia di artigiani martellano recipienti in rame,
intagliano legno, affilano scimitarre e vendono di tutto, dai pani piatti ai
rospi secchi ai cappelli per la preghiera. Decine di migliaia di uiguri vivono
ancora qui, dietro le porte di pioppo intagliate a mano, in alloggi fatiscenti
o in case a due piani che si allungano a volta sui vicoli e si aprono su
cortili pieni di rose e vessilli. Le autorità cittadine dicono che i residenti
uiguri sono stati consultati in ogni fase della pianificazione, ma la maggior
parte di loro replica che viene semplicemente convocata a riunioni in cui si
annuncia il calendario degli sfratti, con le somme offerte in risarcimento. La
città offre agli sfrattati la possibilità di costruire le loro case nuove sul
terreno delle vecchie, ma alcuni si lamentano che i soldi ricevuti non coprono
l’intero costo del nuovo edificio. «La mia
famiglia ha costruito questa casa 500 anni fa - dice il muscoloso Mr Hajji, 56
anni e capelli a spazzola bianchi, mentre la moglie ci serve il tè nella loro casa a due
piani -. Era fatta di fango, è stata migliorata negli anni, ma le stanze sono
rimaste com’erano». Costruita nello stile uiguro, la casa
ha pochi mobili. Dai muri pendono gli arazzi, i tappeti coprono il pavimento e
ci sono zone rialzate per dormire e ricevere gli ospiti. La stanza per l’inverno ha una stufa a carbone panciuta; il garage è
stato trasformato in negozio, dove la famiglia vende dolciumi e gingilli. Ci
sono nove stanze sotto e sette sopra, il frutto di trasformazioni secolari. «Questa casa ci
appartiene - dice la moglie -. È grande e ci possono vivere molte, molte
generazioni. Ma se andiamo in un appartamento, quello lo buttano giù ogni 50-70
anni. Come possiamo lasciare in eredità a nostro figlio un appartamento? Questo
è il nostro maggior cruccio». Gli ispettori cittadini hanno considerato
insicure quasi tutte le case più antiche, a partire da tutte quelle in fango e
paglia. Verranno rase al suolo e, in molti casi, ricostruite in stile uiguro ma
con criteri anti-sismici. Tre dei sette quartieri della Città Vecchia sono
stati però giudicati inadatti all’architettura
uigura e verranno ricostruiti in modo decisamente più anonimo. Altre duemila
case dovranno lasciare il posto a piazze e scuole. I residenti più poveri, che
vivevano nelle
più piccole, sono già stati trasferiti in periferia. Quello che resterà della
vecchia Kashgar non è chiaro, anche se Xu dice che gli edifici importanti sono
stati inclusi nell’elenco speciale dei beni
da conservare. Se non ci sono archeologi a controllare la situazione,
spiega, è perché già si sa tutto. Le autorità di Kashgar hanno però buone
ragioni per temere i terremoti. Lo scorso ottobre un sisma di magnitudo 6,8 ha colpito a un
centinaio di miglia più in là. Uno di magnitudo 8, nel 1902, ha ucciso 667
persone. Poi ci sono gli abitanti che preferiscono vivere in un ambiente più
moderno. Secondo Xu, la demolizione darà agli uiguri una vita migliore e li
metterà al sicuro dai disastri. Le autorità, da Kashgar a Pechino, sono così
inquiete alla prospettiva di un terremoto «che non riescono a dormire la
notte». Copyright The New York Times
(
da "Manifesto, Il"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
BANKITALIA
- Disoccupati verso quota 10% Draghi: «Serve più protezione sociale» Carlo
Leone Del Bello Dal governo all'opposizione, passando per il mondo sindacale e
imprenditoriale, ciascuno ha trovato motivo di soddisfazione, nelle
Considerazioni finali presentate dal governatore Mario Draghi all'assemblea
ordinaria dei partecipanti della Banca d'Italia. Per il premier Silvio
Berlusconi le parole di Draghi - nonostante non le abbia lette, per sua stessa
ammissione - sono «berlusconiane», nel senso di «ottimiste». Eppure, ha detto
Draghi, «una volta superata la crisi, l'Italia si ritroverà non solo con più
debito pubblico, ma anche con un capitale privato - fisico e umano -
depauperato dal forte calo degli investimenti e dall'aumento della
disoccupazione». È difficile leggere qualcosa che sia più lontano
dall'ottimismo. Nel conciso rapporto - 19 pagine, un record - il governatore
Draghi ha analizzato molti dei gravi problemi dell'economia italiana alla luce
della crisi globale. Bankitalia non si unisce al coro di chi vede «germogli
verdi» nell'economia italiana; i segnali di un affievolimento della recessione
infatti non verrebbero dalle statistiche sull'economia reale, ma da sondaggi di
opinione (come la fiducia dei consumatori) e dai mercati finanziari. La crisi intanto
colpisce durissimo: disoccupati e cassintegrati sono già l'8,5% della forza
lavoro, e tale quota «potrebbe salire oltre il 10%». Ciò costituisce un
rischio: con meno reddito a disposizione, le famiglie potrebbero ridurre i
consumi, e questo porterebbe le imprese a tagliare ulteriormente gli
investimenti. L'economia intanto è già in caduta libera: nell'ultimo
trimestre 2008 e nel primo trimestre 2009, il Pil è giù del 7% rispetto allo
stesso semestre dell'anno precedente. Inoltre, per Bankitalia la caduta del
prodotto sarà del 5% nel 2009. Per evitare questo circolo vizioso, nonostante
la politica economica volta al sostegno della domanda sia «limitata dal debito
pubblico del passato», Draghi suggerisce di superare le «evidenti manchevolezze
di lunga data nel nostro sistema di protezione sociale». Troppi lavoratori
infatti sono sprovvisti di tutele, come i parasubordinati o i dipendenti di
imprese artigiane. Per l'istituzione di palazzo Koch, i lavoratori senza alcun
sostegno in caso di licenziamento sono 1,6 milioni. Draghi propone quindi un
«buon sistema di ammortizzatori sociali per chi cerca un nuovo lavoro», in modo
tale da attenuare la preoccupazione dei lavoratori, sostenere i consumi e
accrescere la mobilità fra imprese e settori, favorendo così «la riallocazione
delle competenze individuali verso gli impieghi più produttivi». Per
raggiungere questi obiettivi, nessuna rivoluzione: basterebbe, secondo Draghi,
ridisegnare il sistema intorno alla cig e all'indennità di disoccupazione,
affiancati da una misura di sostegno al reddito per i lavoratori non coperti.
Immediate le reazioni positive dei sindacati confederali: per Fulvio Fammoni
(Cgil), dopo i richiami di Draghi «occorre raddoppiare le settimane di cigo, e
contemporaneamente lavorare per una riforma degli ammortizzatori sociali». Per
Raffaele Bonanni, segretario generale Cisl, il governatore di Bankitalia «ha
fatto un'analisi corretta sul lavoro chiedendo una riforma degli ammortizzatori
sociali». Altro argomento affrontato da Mario Draghi è ovviamente quello delle
banche. Le istituzioni finanziarie italiane sarebbero
in condizioni sostanzialmente buone, per il governatore. Una sorta di «stress
test» informale condotto da palazzo Koch avrebbe mostrato che il sistema
bancario italiano sarebbe capace di resistere anche nell'ipotesi di condizioni
economiche «ben più sfavorevoli». In ogni caso l'erogazione del credito è
rallentata in modo drammatico: il tasso di crescita trimestrale del credito
alle imprese è zero, mentre era del 12% solo un anno fa. Questo però per Draghi
non significa che bisogna «chiedere alle banche di allentare la prudenza
nell'erogare il credito»; infatti non è nell'interesse di nessuno mettere a
rischio l'integrità dei bilanci e dei risparmi. Quel che si può chiedere alle
banche è invece di «affinare la capacità di riconoscere il merito di credito
nelle presenti ed eccezionali circostanze». Sull'Italia continua a incombere il
debito pubblico, e la sua sostenibilità futura rende necessario il
raggiungimento di una «più alta crescita nel medio periodo». Obiettivo da
conseguire tramite le tanto famose «riforme» di cui sempre si parla in Italia.
Draghi ha parlato di «graduale» innalzamento dell'età pensionabile, di riforma
della pubblica amministrazione, di «semplificazione» normativa, e
liberalizzazione dei servizi pubblici. Servono tuttavia anche numerosi
interventi sulle infrastrutture, in modo tale da ridurre il divario col resto
d'Europa. Negativo che i finanziamenti sulle grandi opere non abbiano
individuato delle priorità - dice il governatore: tanto che i progetti
finanziati sono lievitati da 21
a oltre 200, con tempi e costi doppi rispetto a Francia
e Spagna.
(
da "Avvenire"
del 30-05-2009)
Argomenti: Crisi
CHIESA
30-05-2009 Il Papa a otto nuovi ambasciatori: «La recessione rischia di
trasformarsi in una catastrofe umana nei Paesi poveri» DA ROMA GIANNI CARDINALE
I eri Benedetto XVI ha ricevuto otto nuovi ambasciatori che non risiederanno a
Roma perché rappresentanti del proprio Paese anche in altre capitali eu- ropee.
Quelli di Mongolia, India, Benin, Nuova Zelanda, Sud Africa, Burkina Faso,
Namibia e Norvegia. Oltre allo scambio di saluti con ogni singolo diplomatico
c'è stato anche un discorso del Pontefice a tutte le nuove feluche accreditate.
E in esso il Papa ha affrontato con parola accorate i temi
della crisi economico-finanziaria mondiale, crisi che può trasformarsi, per i Paesi
ad economia più fragile, in una vera e propria «catastrofe umana ». Le
disparità tra Paesi sviluppati e non ha osservato il pontefice «sono aumentate
a causa della crisi finanziaria ed economica attuale». «Quelli che già vivono in una
povertà estrema ha spiegato sono i primi ad esserne toccati, perché sono i più
vulnerabili. Ma questa crisi ha aggiunto sta facendo
scivolare verso la povertà anche le persone che finora hanno vissuto in modo
decente, pur senza essere agiati». «Così ha concluso la recessione innescata
dalla crisi economica può diventare una minaccia per
l'esistenza stessa di innumerevoli individui». Oggi dunque «è urgente assumere
una rinnovata coscienza ha detto il Papa della necessità di una battaglia volta
a stabilire una pace autentica in vista della costruzione di un mondo più
giusto e più prospero per tutti». Al contrario, «ogni processo che contribuisca
ad aumentare le divisioni tra i popoli o a marginalizzarli, rappresenta un
pericoloso attentato alla pace e crea il rischio di conflitti». Nel discorso al
nuovo ambasciatore di Norvegia poi il Papa ha auspicato che in Medio Oriente
prevalga lo spirito degli accordi di Oslo, «portando una pace duratura ai
popoli di quella tormentata regione». Rivolgendosi al nuovo ambasciatore del
Sud Africa, Benedetto XVI ha ricordato che «la Chiesa prende sul serio il suo
ruolo nella campagna contro la diffusione dell'Aids, enfatizzando la fedeltà
all'interno del matrimonio e l'astinenza al di fuori di esso». Il nuovo
ambasciatore del Burkina Faso, Beyon Luc Adolphe Tiao, che è anche ambasciatore
a Parigi dove risiede, da parte sua ha difeso le parole pronun- ciate dal Papa
sull'Aids durante il viaggio in Africa: «Al di là di ogni polemica, ha detto
rendiamo omaggio al coraggio con cui lei interpella ogni uomo e ogni donna
dinanzi a un male il cui sradicamento fa appello prima di tutto a una
concezione responsabile e morale della sessualità» L'appello lanciato ieri
all'udienza in Vaticano. Il rappresentante del Burkina Faso: grazie per le
parole sull'Aids pronunciate in Africa
(
da "Tribuna di Treviso,
La" del 31-05-2009)
Argomenti: Crisi
Cgia.
Nel 2008 pagati 4 miliardi in più dei francesi e 2,8 in più rispetto ai
tedeschi Imprese: i costi delle banche italiane sono i più alti di tutta
l'Unione europea VENEZIA. Le imprese italiane, per effetto della crisi mondiale e dell'aumento del costo del denaro da parte
delle banche, hanno pagato quattro miliardi di euro in più rispetto alle
francesi e 2,8 miliardi in più su quelle tedesche. E' quanto emerge da una
rilevazione del centro studi dell'associazione Artigiani Cgia di Mestre.
Secondo la Cgia, da settembre 2008 (inizio della fase più acuta della crisi finanziaria) a marzo 2009 i tassi
di interesse applicati dalle banche italiane, in particolar modo per i prestiti
a breve termine, hanno penalizzato le imprese italiane in maniera più pesante
rispetto a quelle Europee. «Le aziende italiane - dice Giuseppe Bortolussi
segretario degli artigiani - hanno subito dei contraccolpi economici che non
hanno eguali tra i principali competitori economici europei». Per
Bortolussi a parità di impieghi erogati dalle banche nel periodo preso in
considerazione, in Italia il maggior costo complessivo sostenuto dalle aziende
italiane rispetto alla media Ue dei 15 è stato di 2,1 miliardi di euro. Ma
rispetto alle imprese francesi i nostri imprenditori hanno pagato 4,1 miliari
in più; 2,8 miliardi il differenziale a nostro svantaggio rispetto a quelli
tedeschi e 1,4 quello registrato con i colleghi spagnoli.
(
da "Stampa, La"
del 31-05-2009)
Argomenti: Crisi
C'è
"Cocco... comics" un paese tra le nuvole Humour scacciacrisi. È il tema di «Cocco.comics. La forza comunicativa del
Fumetto e il potere curativo dello Humor». Oggi a Cocconato per il terzo anno
consecutivo la Riviera del Monferrato si tuffa nel mondo del fumetto. Dalle 10
alle 19 piazza Giordano ospita la manifestazione, organizzata dall'associazione
culturale «Pietra Cagnola». «Ogni anno - anticipa Silvio Nano, presidente
dell'associazione cocconatese - cerchiamo di rinnovare l'evento, puntando
l'attenzione su iniziative stravaganti, diverse dal solito con un obiettivo
terapeutico. Nelle edizioni passate il pubblico ha apprezzato le nostre idee a
forma di nuvoletta». Novità del 2009 il primo Campionato mondiale di Emoticons
dal vivo, gara delle emozioni del viso rivolta ai bambini. Le faccine dei
messaggi multimediali prendono vita attraverso i volti dei piccoli
partecipanti, provenienti anche da Francia e Australia. Il programma prevede
poi l'esposizione di quadri di giovani artisti da tutta Italia sulle tematiche
dell'alcol («Cogito ergo sum, guido quindi non bevo»), di
vignette di Davide Rizzi sulla crisi finanziaria e quelle di Emiliano Bruzzone su «Il Palio (degli asini)
ridens». Inoltre sono stati coinvolti gli alunni delle scuole medie che
esporranno le loro opere grafiche dedicate al mondo del vino. Ingresso libero.
Info: 333/75.68.020.\
(
da "Trentino"
del 31-05-2009)
Argomenti: Crisi
L'AGENDA
Torna Rampini e parla del capitalismo irresponsabile Ore 10. Palazzo Geremia,
conferenza di Yann Algan «Identità nazionale», introduce Andrea Bonoldi. Ore
10. Facoltà di Sociologia, «Alla Borsa con felicità: andamento lento come
opportunità per il buon vivere». Ore 10.30. Castello Buonconsiglio, conferenza
di Assaf Razin "E' come la grande depressione?", introduce Giorgio
Guido Fodor. Ore 10.30. Facoltà Giurisprudenza, conferenza di Enzo Rullani e
Carlo Trigilia «L'identità dei distretti industriali alla prova della crisi». Ore 10.30. Biblioteca via Roma, incontro con Dino
Pesole e Francesco Piu «Il patto. Cittadini e Stato dal conflitto alla nuova
civiltà fiscale». Ore 12. Provincia, sala Depero, «Processo ai controllori e ai
politici», con Massimo Gaggi, Lugi Spaventa, Pier Carlo Padoan. Ore 12.
Biblioteca via Roma, incontro con Fabrizio Galimberti «Sos economia. La crisi spiegata ai comuni mortali». Ore 12. Fondazione
Caritro, via Calepina: «Identità imprenditoriale vs. Identità politica». Ore
15. Palazzo Geremia, incontro con Tore Ellingsen «Norme, sentimenti e
comportamenti economici». Ore 15. Facoltà Giurisprudenza, incontro con Alberto
Alesina «I confini delle nazioni», introduce Dario Di Vico. Ore 15. Biblioteca
via Roma, incontro con Marco Onado «I nodi al pettine». Ore 15. Ocse, ex
convento Agostiniani: «Identità e talenti: tra innovazione e cervelli in fuga».
Ore 16. Provincia, sala Depero: incontro con Frans Van Winden «Perché dobbiamo
fidarci degli stranieri?». Ore 16. Castello Buonconsiglio, incontro con Michael
Burda «Cosa fanno le persone quando sono disoccupate?». Ore 16.30. Fondazione
Kessler: incontro con Charles Morris su «Crack. Come siamo arrivati al collasso
del mercato e cosa ci riserva il futuro», con Luigi Spaventa. Ore 16.30. Palazzo Bassetti, sede Btb: «Economie transfrontaliere e crisi finanziaria», con Davide Bassi,
Gregorio De Felice, Lorenzo Dellai, Walter Lorenz, Mario Marangoni, Guenther
Platter e Karlheinz Toechterle. Ore 16.30. Facoltà Economia: «Stati Uniti ed
Europa di fronte alla crisi»,
collegamento video con Nicholas Bloom. Ore 17. Palazzo Geremia: incontro
con Karla Hoff «Disprezzo, stigmatizzazione di gruppo e sviluppo economico».
Ore 17. Teatro Sociale: incontro con Alessandro Barbero «I conflitti di
identità nella storia», introduce Dino Messina. Ore 18. Facoltà Giurisprudenza:
incontro con Anna Maria Lusardi «I costi dell'ignoranza finanziaria»,
introduce Marco Panara. Ore 18. Fond. Kessler: incontro con Alberto Alesina e
Francesco Giavazzi «La crisi. Può la politica salvare
il mondo?». Ore 18. Facoltà Sociologia: «Reti di economia solidale: una
risposta locale alla crisi globale». Ore 19.
Provincia, sala Depero: incontro con Luigi Zingales «Il futuro della
regolamentazione dei mercati finanziari», introduce Gianfranco Fabi. Ore 19.30.
Palazzo Calepini, «L'isola civile. Le aziende siciliane contro la mafia». Ore
21. Teatro Sociale: incontro con Federico Rampini «Capitalismo irresponsabile»,
introduce Fabrizio Galimberti.
(
da "Trentino"
del 31-05-2009)
Argomenti: Crisi
FITOUSSI
«Lo sviluppo deve mirare a ridurre la disuglianza» TRENTO. Jean Paul Fitoussi,
presidente dell'Osservatorio Francese per la congiuntura economica, e e
l'economista Eloi Laurent hanno tracciato una strada per
uscire dalla crisi nel
libro «La nuova ecologia politica. Economia e sviluppo umano». Fitoussi ne ha
parlato ieri al Festival: «La crisi finanziaria mondiale, ma anche quella energetica ed alimentare ci riporta al
rapporto essenziale che deve esistere tra la ripartizione dei "mezzi di
sussistenza" e la ripartizione del "diritto a sussistere",
tra ecologia, democrazia e giustizia sociale». In altre parole, il vero
sviluppo ha senso se porta a una diminuzione delle diseguaglianze, a una
riduzione delle distanze tra ricchi e poveri.
(
da "Alto Adige"
del 31-05-2009)
Argomenti: Crisi
Numerosi
gli ospiti ma affari scarsi La crisi si fa sentire.
Spendono soltanto lo stretto indispensabile I pranzi spesso al sacco Chi arriva
in pullman si porta appresso i viveri TERMENO/CALDARO. Questo week-end di
Pentecoste è un «segnale» importante per l'andamento turistico. Presenze ed
arrivi - sia in Bassa Atesina che in Oltradige - vengono giudicati confortanti
dagli operatori del settore. Notevole l'aumento degli ospiti amanti delle
escursioni (il turismo ambientale). Ma c'è un nèo, previsto: i turisti spendono
lo stretto indispensabile. è un inizio di estate buono dal punto di vista
turistico: sono tornati gli ospiti tedeschi e sono aumentati i nostri
connazionali. Favorito dall'anticipo del caldo nei giorni scorsi, è «decollato»
in maniera ottimale il «turismo ambientale» che dunque conferma il suo trend in
costante crescita. La riapertura del camminamento per il «canyon» del
Bletterbach - con una serie di proposte organizzate dal Geoparc - e la
percorribilità del sentiero del DÜrer oltre che di tutta la zona del parco
Monte Corno - hanno dato un importante impulso in tal senso. Intanto gli
operatori del settore confermano un'altra tendenza tipica di questo periodo: i
turisti restano molto attenti nel mettere mano al portafoglio. Lo si nota sia
all'interno degli esercizi ricettivi che nei negozi dove le spese quasi mai
sono superflue. Dunque si profilano conti in rosso anche per il giro di affari
legato al turismo, nel rispetto di quelle che erano le
aspettative vista la perdurante crisi finanziaria internazionale. Economicamente parlando è questo il problema che
più preoccupa e che dovrebbe far riflettere le varie categorie «nostrane» che
lavorano grazie al turismo ma con prezzi spesso esagerano. Si salvano, per il
momento, solo i negozi di generi misti ed in particolare i supermercati dei
vari paesi: il turista soprattutto tedesco pranza al sacco. Quindi - ad
esclusione delle comitive che si fermano in zona un paio di giorni soltanto e
che si portano le provviste al seguito tanto che non è certo inusuale vedere i
pullman fermi ai lati delle strade con gli occupanti alle prese con il pranzo a
base di panini già confezionati e bibite - si compera il pane, il salame, il
formaggio e le bevande in loco. Questo fa «respirare» un po' i commercianti. Ma
solo alcuni. Gli altri «piangono» in attesa di riproporre - da luglio - le
iniziative di tenere aperto, un giorno alla settimana, anche fino alle 22
grazie a manifestazioni di contorno che sono state molto frequentate nelle
scorse estati ma che non hanno indotto tanti - o comunque meno del previsto -
allo «shopping» sotto le stelle. Insomma è un inizio di stagione turistica
estiva ancora una volta con la... cinghia tirata ma con arrivi e presenze che
vengono giudificati in sintonia con le aspettative. Merito anche di una serie
di manifestazioni - legate in particolare alla enogastronomia che continua a
risultare una carta vincente nel contesto della promozione - che stanno
svolgendo un prezioso lavoro di richiamo.
(
da "Repubblica, La"
del 31-05-2009)
Argomenti: Crisi
Pagina 2
- Economia Il leader di Cgil: effetti negativi per l´Italia Epifani:
"Premier assente spero che non abbia pesato la sua amicizia con
Putin" Governo latitante. Il Lingotto ha fatto bene ma se ci avesse
sentiti avrebbe facilitato il contatto con l´IgMetal Viste le sovrapposizioni
produttive tra Fiat e Opel, è comprensibile che vi sia chi tira un sospiro di
sollievo PAOLO GRISERI Guglielmo Epifani, Fiat-Opel non si farà. Un bene o un
male per i lavoratori italiani? «Certamente l´esistenza di evidenti sovrapposizioni
produttive tra i due gruppi era motivo di forti preoccupazioni tra i
lavoratori. è comprensibile che ci sia chi tira un sospiro di sollievo. Ma
sarebbe un grave errore sottovalutare gli effetti negativi, non solo di
immagine, che l´epilogo della vicenda può avere anche sulle garanzie per i
posti di lavoro in Italia». Come mai è finita in questo modo? «Il governo
italiano è stato, con tutta evidenza, quello più assente. E questo è un fatto
molto grave soprattutto perché in questi processi di ristrutturazione, quello
Chrysler prima e quello Gm poi, le scelte vengono compiute tenendo conto
soprattutto di fattori di tipo politico. è la politica che ha deciso a Detroit,
con i sindacati che hanno accettato pesanti sacrifici, ed è la politica che ha
deciso a Berlino». Se la partita è politica, può aver inciso sul silenzio del
governo italiano e sulla vittoria della cordata austro-russa, l´amicizia di
Berlusconi con Putin? «Spero proprio di no. Non voglio crederlo. Ma prima o poi
Berlusconi qualcosa dovrà pur dire su questa vicenda. Certo, ha inciso il peso
dei rapporti tra Berlino e Mosca. Ha inciso l´assenza del governo di Roma e, in
buona sostanza, ha inciso la latitanza dell´Europa. Di fronte alla crisi
dell´auto ognuno ha cercato di difendere soprattutto le aziende di casa
propria». Anche i sindacati europei hanno dato l´impressione di difendere
ciascuno i lavoratori di casa propria. Come mai? «Un po´ è fisiologico che
questo accada. Sarebbe più semplice provare a superare queste contrapposizioni
se ci si confrontasse con una linea di intervento forte dell´Europa. E con un
protagonismo del governo italiano in questa vicenda, anche per noi sarebbe
stato più agevole il confronto con i sindacati tedeschi. Comunque è indubbio
che non c´è stato un coordinamento dei sindacati europei». Quali errori, a
vostro parere, ha commesso la Fiat? «Secondo me la Fiat ha fatto bene a
provarci. Aveva l´opportunità di portare a termine un progetto certamente
ambizioso che tutti sapevano non semplice da realizzare. Credo che se avesse
scelto di mantenere aperto il confronto con i sindacati italiani, invece di
pensare di incontrarci a cose fatte, questo atteggiamento sarebbe servito anche
a migliorare l´immagine del Lingotto nei confronti dei sindacati tedeschi».
Nella relazione di venerdì, Mario Draghi ha fotografato un paese con un Pil che
cala a picco e una disoccupazione reale a due cifre. C´è chi propone nuovi
tagli, a partire dalle pensioni. Voi che cosa proponete? «Sulle pensioni si
tratta di proseguire gli interventi già concordati. Ma non si può pensare di
risolvere sempre i problemi tagliando sulla spesa. Anche perché già oggi i dati
dicono che sono i lavoratori dipendenti a pagare la crisi. Il gettito dell´Iva
è sceso del 10 per cento (e non del 6 come dice Tremonti) mentre le tasse sulle
buste paga sono sempre quelle. Sarebbe ora di intervenire per aumentare i
consumi interni redistribuendo i redditi. Infine penso che
dovremo rimettere mano alla struttura del debito. Con una discussione a livello
internazionale, una volta fissate le nuove regole dei mercati
finanziari, per vedere come gestire il peso del
debito senza compromettere investimenti e sviluppo e senza far ripartire
l´inflazione».
(
da "Repubblica, La"
del 31-05-2009)
Argomenti: Crisi
Pagina
23 - Commenti DRAGHI, RADIOGRAFIA DI UN PAESE MALATO (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Guido Carli, in una delle sue "Considerazioni
finali" le chiamò "arciconfraternite del potere" attribuendo
alla loro presenza quel sistema di lacci e lacciuoli che paralizza o comunque
rallenta la diffusione del benessere all´interno della società. In questo paesaggio
di corporazioni la Banca d´Italia è una delle poche voci (forse la sola) al
servizio dell´interesse generale perché non è condizionata da interessi propri
né di categoria. La seconda ragione deriva dal fatto che l´Italia è sempre
stata, fin dalla formazione dello Stato unitario, un paese povero di capitali
di rischio. Il capitale l´hanno fornito le banche, anzi per un lungo periodo le
banche straniere, prima francesi, poi tedesche. Ma la dotazione del capitale di
rischio è sempre stata insufficiente. Di qui una compressione costante delle
retribuzioni, una altrettanto costante evasione fiscale, una bassa
produttività, una stentata crescita del reddito nazionale, un elevato livello
del debito pubblico che è sempre stato tra i più alti d´Europa dai tempi di
Marco Minghetti a quelli di Giulio Tremonti. La Banca d´Italia, nella veste di
suprema magistratura economica che le condizioni storiche le hanno assegnato,
si è dunque dovuta occupare della crescita del reddito e dell´occupazione
essendo essa una delle premesse per mantenere la stabilità dei prezzi e del
valore della moneta. Il professor Penati converrà con me che il vecchio rito
delle "Considerazioni finali" ha dunque una sua ragion d´essere in un
paese in cui non esiste una classe generale portatrice degli interessi generali.
Fu questo il cruccio di Ugo La Malfa ed è stato il nostro cruccio per mezzo
secolo, reso più intenso che mai in questi ultimi quindici anni di populismo e
di demagogia "a gogò". * * * La relazione di Mario Draghi
apparentemente non ha scontentato nessuno. In realtà il governo l´ha accolta a
denti stretti, i sindacati, la Confindustria e le opposizioni vi hanno invece
visto la conferma delle loro posizioni. Il ministro dell´Economia si è chiuso
in un superbo silenzio rivendicando al potere politico il diritto di gestire
senza interferenze la politica economica. «Grazie, so sbagliare da solo»:
Tremonti non l´ha detto ma l´ha certamente pensato. Ridotto all´essenza il
discorso di Draghi si può riassumere nei seguenti punti: 1. Forse la crisi mondiale ha toccato il fondo e forse cesserà di sprofondare
ulteriormente, ma la risalita "a riveder le stelle" sarà lenta specie
in Europa e specie in Italia. 2. Gli effetti negativi della crisi finanziaria non si sono ancora
scaricati sull´economia reale. Per quanto riguarda in particolare
l´occupazione questi effetti cominciano appena ora a vedersi e agiranno in
misura crescente nell´ultimo quadrimestre del 2009 ripercuotendosi con effetti
di trascinamento per tutto il 2010. 3. Gli strumenti di sostegno sociale fin qui
adottati sono decisamente insufficienti. Le risorse mobilitate dal governo
vanno nella giusta direzione di estendere la protezione a tutti i lavoratori in
difficoltà, ma si limitano ad un livello troppo basso, troppo diseguale tra i
diversi gruppi e categorie e non inclusivo dell´ondata di precari i cui
contratti scadranno alla fine dell´anno coinvolgendo un milione e ottocentomila
lavoratori. 4. Complessivamente il governo ha mobilitato lo 0,3 del Pil per
sostenere i redditi dei lavoratori e delle famiglie; in cifre assolute 5
miliardi di euro. 5. Nonostante la modestia di queste cifre largamente
inferiori a quanto fatto nel resto d´Europa, la finanza pubblica è in dissesto.
Il deficit rispetto al Pil sta viaggiando al 4,5; a fine anno avrà superato il
5. Lo stock di debito pubblico sarà del 114 per cento rispetto al Pil e tenderà
addirittura al 120 nel 2011. La spesa corrente è già aumentata di tre punti
arrivando a livelli mai raggiunti prima. La pressione fiscale è al 43 per cento
e continua a crescere. 6. La domanda dei consumatori è in discesa.
L´investimento sia pubblico sia privato è sceso a livelli bassissimi. 7. Urgono
interventi di sostegno immediati e consistenti. Per impedire che la sfiducia
internazionale aumenti bisogna fin d´ora decidere con quali strumenti il
governo rientrerà nei parametri di stabilità a partire dal 2011. Decidere,
approvare, fissare la tempistica ora per allora affinché i mercati riacquistino
certezza e speranza. Fin qui Draghi. Tralascio altre cifre fornite dal
governatore che i giornali di ieri hanno già ampiamente riportato. * * * La
strategia di intervenire in modi e quantità appropriati per sostenere la
domanda e il reddito dei lavoratori e dei pensionati impegnandosi fin d´ora
nell´operazione di rientro, era già stata delineata dal ministro ombra per
l´Economia del Partito democratico, Morando, fin dai tempi della segreteria
Veltroni. Naturalmente non fu presa in considerazione dal governo. Tremonti
disse che a Bruxelles ci avrebbero riso in faccia. Ma non ridono di fronte agli
sforamenti della Germania, dell´Irlanda, della Spagna, della Gran Bretagna.
Quest´ultima in particolare viaggia tranquillamente oltre la soglia del 6 per
cento. Secondo le previsioni si avvicinerà alla soglia del 10 entro l´anno.
Infatti le agenzie internazionali di rating hanno declassato il debito pubblico
inglese, fatto che non avveniva dal tempo della guerra mondiale. Né sta meglio
(anzi sta peggio) il Tesoro americano. Le due potenze anglosassoni si sono date
il 2012-2013 come il biennio del rientro nell´equilibrio dei conti pubblici.
Hanno anche indicato gli strumenti: taglio di spese, imposte sulle fasce
abbienti, rientro dei sussidi dati a banche ed imprese per arginare la crisi. Nel frattempo però dovranno sostenere il
finanziamento del Tesoro e soprattutto emettere una massa di titoli pubblici
per sostituire quelli in scadenza alla fine di quest´anno e dell´anno prossimo.
Si tratta di un ammontare enorme. Draghi conosce bene questo problema e meglio
ancora di lui lo conosce Tremonti. Nel secondo semestre di quest´anno verranno
a scadenza una massa notevole di titoli pubblici italiani. All´incirca si
tratta di 200 miliardi di euro, proprio in sincronia con le scadenze ben superiori
di titoli Usa, Gran Bretagna, Germania. Tremonti non ama parlare di questo
problema che sta sospeso nel cielo dell´Occidente come una fitta coltre di
nerissime nubi. Dice che il peggio è passato e usciremo meglio degli altri
dalla crisi. In realtà il peggio deve ancora venire e
nasconderlo non giova a nessuno. Altrettanto non giova il fallimento
dell´operazione Fiat-Opel. Ho trattato questo tema la settimana scorsa e dunque
non mi ripeterò. Auguro a Marchionne e alla Fiat di poter rimpiazzare lo scacco
subìto in Germania con nuovi possibili accordi con altre imprese
automobilistiche. Ma torno a ripetere che le iniziative di Marchionne non sono
state messe in campo per desiderio di gloria ma per necessità di sopravvivenza.
Se non andranno a buon fine la Fiat vivacchierà perché l´operazione Chrysler
non basta a garantirne il futuro. Vivacchierà e peserà inevitabilmente sui
contribuenti italiani. * * * Draghi – per
tornare a lui – sostiene la necessità di riforme immediate e punta in
particolare sulle pensioni. Prolungare l´età pensionabile e accelerare il sistema a
contribuzione liberando così le risorse per rilanciare la crescita. Tremonti e
il ministro del Lavoro, Sacconi, obiettano che la riforma si farà a tempo
debito e che le risorse liberate saranno redistribuite all´interno del
perimetro previdenziale. La preoccupazione di non turbare la pace sociale è
giusta ma resta il dilemma posto dal governatore: come rilanciare la crescita?
Mi permetto di dire che le proposte del Pd di tassare con modeste e transitorie
maggiorazioni i redditi al di sopra dei 120mila euro potrebbe fornire le
risorse necessarie, insieme a provvedimenti anti-evasione che Visco aveva
adottato e Tremonti smobilitato. Post Scriptum. Non ho parlato di Silvio
Berlusconi ma una cosa va ricordata. Il cardinale Bagnasco, nel discorso con il
quale ieri ha chiuso la riunione della Conferenza episcopale italiana ha detto
che la classe dirigente dovrebbe esser d´esempio educativo alle giovani
generazioni con i suoi pensieri, i suoi comportamenti e lo stile di vita ed ha
lamentato che ciò non stia avvenendo. Dargli torto mi sembra difficile.
Berlusconi ha definito "berlusconiana" la relazione di Draghi; allo
stesso titolo potrebbe definire "berlusconiano" l´incitamento di
Bagnasco a comportamenti educativi. Ed avrebbe potuto definire
"berlusconiane" anche le parole di Franceschini sempre in proposito
dei valori educativi da trasmettere ai giovani. Io spero che il premier
definisca "berlusconiane" anche queste mie riflessioni se avrà avuto
il tempo e la voglia di leggerle. Ne sarei molto compiaciuto. Come ha detto
recentemente Roberto Benigni: lei è un mito, presidente, e i miti più si
allontanano e più grandeggiano. Perciò si allontani, per il bene suo e del
paese.
(
da "Tirreno, Il"
del 31-05-2009)
Argomenti: Crisi
Pagina 5
- Empoli Banca, assemblea con 1.300 soci CASTELFIORENTINO. Sono stati 1.295 i
soci che hanno partecipato all'assemblea della Banca di Cambiano per la
presentazione del bilancio 2008 su un totale di 2.970 effettivi. Alcuni dei
1.295 soci hanno partecipato per delega. Un bilancio che alla fine
dell'incontro è stato approvato all'unanimità. I dati dell'istituto di credito
castellano, che quest'anno festeggia i 125 anni di attività, sono stati
presentati nel pomeriggio all'istituto superiore Enriques. A presentare i dati
e i risultati c'erano il presidente della banca Paolo Regini e il direttore
Francesco Bosio. Numeri che danno una banca in crescita. E' stato fatto il
panorama dell'economia a livello generale entrando nel
merito della crisi finanziaria. Da qui sono state illustrate le caratteristiche della
situazione locale, del territorio Empolese Valdelsa. Sono stati poi descritti
dal direttore generale Bosio nel dettaglio i dati del bilancio. Uno per tutti,
la crescita della raccolta che aumenta del 17,61% sull'esercizio precedente.
Soddisfazione, sia dai dirigenti dell'istituto che dai soci, è stata espressa
per i numeri contenuti nel documento presentato. Alla fine del resoconto sul
bilancio sono stati premiati i soci con oltre cinquanta anni di appartenza alla
banca (quattro in tutto) e quelli con un'anzianità invece di quaranta anni,
undici in tutto. Dopo le 18, infine, l'assemblea dei soci è stata sciolta ed è
terminata con un buffet che è stato interamente realizzato dagli studenti
dell'istituto superiore Enriques. (f.p.)
(
da "Unita, L'"
del 31-05-2009)
Argomenti: Crisi
Costo
del denaro Le imprese italiane pagano di più Le imprese italiane, per effetto
della crisi mondiale e dell'aumento del costo del
denaro da parte delle banche, hanno pagato quattro miliardi di euro in più
rispetto alle francesi e 2,8 miliardi in più su quelle tedesche. È quanto
emerge da una rilevazione del centro studi dell'associazione Artigiani Cgia di
Mestre. Secondo la Cgia, da settembre 2008 (inizio della fase più acuta della crisi finanziaria) a marzo 2009 i tassi
di interesse applicati dalle banche italiane, in particolar modo per i prestiti
a breve termine, hanno penalizzato le imprese italiane in maniera più pesante
rispetto a quelle Europee. «Le aziende italiane - dice Giuseppe Bortolussi segretario
degli artigiani - hanno subito dei contraccolpi economici che non hanno eguali
tra i principali competitori economici europei». Per Bortolussi a parità
di impieghi erogati dalle banche nel periodo preso in considerazione, in Italia
il maggior costo complessivo sostenuto dalle aziende italiane rispetto alla
media Ue dei 15 è stato di 2,1 mld di euro. credito
(
da "Tribuna di Treviso,
La" del 31-05-2009)
Argomenti: Crisi
Il
presidente Malenotti: una scelta necessaria per abbattere i costi delle nuove
aperture di negozi Belstaff dribbla la stretta con il franchising «Manca la
liquidità per aprire nuovi negozi di proprietà. E allora ci affidiamo al
franchising». Belstaff cerca di smarcarsi così dalla stretta del credito. A
spiegarlo è Franco Malenotti, presidente del gruppo Clothing Company di
Mogliano, titolare dello storico marchio inglese. «Procede il nostro piano di
rinegoziazione del debito tramite Mediobanca - spiega Malenotti - per cercare
di recuperare liquidità. La stretta si sente, ed è tramite le banche che
eravamo soliti alimentare la crescita, l'apertura di nuovi negozi. In un certo
senso ci eravamo abituati male, ora dobbiamo cambiare strategia». Tradotto: far
sostenere le spese di apertura al franchisee. «Le banche dovrebbero sostenere
le aziende che vanno bene e che hanno prospettive di crescita, non solo
"tamponare" quelle che vanno male. Per crescere limitando i costi
rispetto all'apertura di negozi di proprietà abbiamo deciso di rafforzare il
franchising: il primo è stato a Bassano, poi a Madrid. Nei giorni scorsi
abbiamo aperto a Praga, ora andremo avanti con Budapest, Salisburgo e Glasgow».
Sullo sfondo (in attesa di tornare in primo piano) restano
i progetti di apertura del capitale a un partner, finanziario o industriale che
sia. «Con Vf eravamo a un buon punto, la trattativa sarebbe andata in porto se
non ci fosse stata la crisi finanziaria iniziata con il tracollo di Lehman Brothers - dice Malenotti -
ma ora restiamo in attesa, possiamo ancora andare avanti con le nostre gambe.
I conti vanno bene». Clothing Company ha chiuso il 2008 con un margine oprativo
lordo passato da 6 a
8,5 milioni di euro. (f.p.)
(
da "Arena, L'"
del 31-05-2009)
Argomenti: Crisi
Domenica
31 Maggio 2009 ECONOMIA Pagina 37 Ma in Italia il denaro costa di più Le
imprese italiane hanno pagato quattro miliardi di euro in più sugli interessi
dei prestiti rispetto alle aziende francesi, 2,8 miliardi in più rispetto a
quelle tedesche e 1,4 miliardi in più rispetto alle spagnole. Sono i dati
elaborati dalla Cgia di Mestre sui costi del finanziamento alle imprese fra
settembre 2008, inizio della fase più acuta della crisi finanziaria, fino a marzo 2009. La
Cgia ha ipotizzato che l'esposizione bancaria delle imprese italianenel periodo
preso in esame, pari a 952 miliardi di euro, sia la stessa in tutti i Paesi
dell'Europa dei 15, e ha poi confrontato i costi per le imprese a seguito del
tasso di interesse medio applicato in ciascun Paese. Per il segretario
Giuseppe Bortolussi, «a parità di impieghi erogati, in Italia il maggior costo
complessivo sostenuto dalle aziende è stato di 2,1 mld di euro». Inoltre in
Italia le percentuali minime di spese di commissione e accessorie a carico
delle piccole e medie imprese sul prestito richiesto, sono tra le più elevate.
Se qui il costo medio è il 4,8% del prestito richiesto, in Francia e Spagna è
l'1% e in Germania lo 0,5%. E riguardo i giorni necessari per la valutazione
della pratica e l'attivazione del prestito alle Pmi, l'Italia è sempre fanalino
di coda: 19 giorni, contro i 4 di Francia e Spagna e i 2 della Germania.
(
da "Blogosfere"
del 31-05-2009)
Argomenti: Crisi
Mag 0931 Crisi finanziaria:
energia e denaro sono infiniti? Pubblicato da Eleonora Bianchini, Blogosfere
Staff alle 07:00 in Tendenze & Scenari Di Debora Billi Quando ho visto
questo grafico, scrive Debora Billi su Petrolio, sono rimasta un tantino
basita. Si tratta di una ricerca svolta da uno dei sempre ottimi
contributori di TOD, che esamina l'eventuale legame tra produzione, energia e crisi finanziaria. Il risultato è quello che vedete:
completamente assurdo. Fatta base 100 nel 1970, infatti, la produzione
petrolifera (in verde) arriva a 200 per poi cominciare a ridiscendere; la
produzione mondiale di energia primaria (in beige) passa appena i 200; il
Prodotto Lordo Mondiale (in blu) raggiunge i 400. Il Dow Jones invece ha un
percorso tutto suo: fino a circa la metà degli anni '80 segue coerentemente i
"fondamentali" mondiali (produzione ed energia), poi arrivati agli
anni '90 prende il volo fino a raggiungere il valore di 1600. Ridiscesa a 1000,
ci sembra di vivere in un incubo che presto dovrà finire... e invece,
probabilmente, la Borsa sta solo assaggiando un po' di realtà. Continua a
leggere su Petrolio.
(
da "Unione Sarda, L'
(Nazionale)" del 31-05-2009)
Argomenti: Crisi
Commenti
Pagina 348 L'ambiente
non si salva a colpi di riunioni e summit ministeriali --> Il calendario
2009 dei vertici a livello di capi di Stato e di governo è tracciato: G8 in
luglio a L'Aquila, G20 in settembre a Washington, summit delle Nazioni Unite in
dicembre a Copenhagen. G8 e G20 saranno dei "G/allargati". Al summit
dell'Onu sui cambiamenti climatici parteciperanno i Paesi della comunità
mondiale. I temi in agenda nei "bigG" sono vari: crisi finanziaria globale, recessione
dell'economia reale, incremento della disoccupazione, povertà nel Terzo mondo,
soprattutto in Africa, ambiente/energia. L'analisi presente fa il punto
sull'ultimo tema, aggiornando i precedenti approfondimenti pubblicati da
L'Unione Sarda da due anni e mezzo circa. Due incontri a livello
ministeriale sul tema risparmio-energetico/ambiente si sono svolti, il primo
(energia) a Roma a inizio settimana in un G8 allargato a una ventina di Paesi,
sotto la presidenza di Claudio Scajola, ministro dello Sviluppo economico; il
secondo (ambiente) a Parigi, sotto la presidenza di Jean-Louis Borloo ministro
francese dell'Ambiente, con date e numero di Paesi partecipanti quasi
coincidenti. L'Italia era rappresentata a Parigi da Stefania Prestigiacomo,
ministro dell'Ambiente. La riunione ministeriale sull'energia ha partorito,
oltre alla solita manifestazione d'intenti su risparmio energetico, energie
rinnovabili e rilancio di un programma contro la povertà energetica in Africa,
tre dichiarazioni congiunte. La prima, dei ministri dell'Energia del G8 e del
commissario europeo dell'Energia; la seconda dei ministri dell'Energia del G8,
del commissario europeo dell'Energia e dei ministri dell'energia di Brasile,
Cina, India, Corea del Sud, Messico, Arabia Saudita e Sudafrica. La terza, dei
ministri dell'Energia del G8, del commissario europeo dell'Energia, dei
ministri dell'Energia di Australia, Cina, India, Indonesia, Corea del Sud,
Arabia Saudita, Algeria, Egitto, Libia, Rwanda, Sudafrica, Brasile, Messico,
Turchia (questa, quasi un doppione della prima). Benché sia apprezzabile
lanciare una "dichiarazione congiunta d'intenti", lo è meno quando se
ne lanciano tre che trattano lo stesso argomento: ciò significa che esistono
forti divergenze per affrontarlo seriamente. Nell'incontro è utile ricordare il
ruolo svolto da Steven Chu, premio Nobel e ministro americano
dell'Ambiente/Energia che ha confermato il programma eco-sostenibile del
presidente Obama. L'incontro ministeriale sull'ambiente a Parigi si è tenuto a
porte chiuse, date le divergenze esistenti, voluto dal governo francese che
punta alla realizzazione del piano dell'Ue clima/energia 20.20.20. per il 2020.
Il piano Ue va difeso come programma minimo al vertice Onu di dicembre a
Copenhagen. La posizione dell'Ue è che essa potrà onorare i propri impegni a
condizione che altri grandi Paesi inquinatori (Usa e Cina) facciano
altrettanto. Questa richiesta è suffragata dai dati ufficiali sulle emissioni
globali dei gas serra che passerebbero da 29 miliardi di tonnellate equivalenti
CO2 nel 2006 a
40 miliardi nel 2030, se nulla si fa per limitarle. Partecipano al totale: Usa
7,1 miliardi; Cina 5,4 miliardi; Ue 5,1 miliardi. Queste quantità, ripartite
per il numero rispettivo di abitanti, danno: Usa 23,7 tonnellate per abitante;
Ue 10,3; Cina 4,1. Il che significa che un cittadino americano inquina quasi
due volte e mezzo un cittadino europeo e sei rispetto a un cinese. Dato che gli
Usa si impegnano a ridurre le emissioni gas serra solo del 6 per cento rispetto
al 1990, ciò rappresenta meno di un terzo rispetto al 20 per cento del piano
dell'Ue. Xie Zhenhua, vice-ministro cinese partecipante al forum di Parigi, ha
dichiarato che «la Cina è determinata nella lotta contro le emissioni di gas
serra, conciliando crescita economica, riconversione industriale, sradicamento
della povertà, lotta al surriscaldamento globale», sostenendo che il suo Paese
ridurrà nel 2009/2010 del venti per cento le spese energetiche e produrrà il
dieci per cento di energie rinnovabili sul totale energetico e che essa è già
la prima produttrice mondiale di energia solare con 140 milioni di metri
quadrati di pannelli fotovoltaici. La lezione da trarre dalle due riunioni
ministeriali a Roma e a Parigi è che molto probabilmente nulla di concreto su
ambiente/energia e lotta contro il surriscaldamento globale uscirà dal G8 de
L'Aquila a luglio e dal G20 di Washington a settembre. La "bagarre"
sarebbe rimandata a Copenhagen a dicembre al vertice Onu, dove dovrà essere
tracciata la "road map" per l'inizio dei negoziati del nuovo
protocollo di Kyoto che sostituirà l'attuale alla sua scadenza nel 2012.
ANTONIO MARONGIU - PARIGI (marongiuantonio@tiscali.it)
(
da "Avvenire"
del 31-05-2009)
Argomenti: Crisi
CRONACA
31-05-2009 Franceschini: basta promesse vane, non siamo tonti DA ROMA P d, la
polemica con Berlusconi prova a cambiare passo. Niente battute dei leader sul
caso Noemi e dintorni, ma piuttosto una critica circostanziata alla politica
del governo. Il segretario democratico Dario Franceschini da Palermo dà il la:
«Basta fare promesse in campagna elettorale per poi non mantenerle o smentire
il giorno dopo quello che si è detto il giorno prima e senza che nessuno possa
sbugiardarlo. Non si possono trattare gli italiani come un popolo di tonti».
Sotto accusa finiscono la vicenda dell'aeroporto di Malpensa.la questione
dell'abolizione del bollo auto e la sporcizia a Palermo: «Ho girato per le
strade e ho visto una drammatica emergenza rifiuti: sono stanco delle falsità
politiche. Su questa situazione è scesa una cappa di silenzio perchè siamo in
una regione e in una città amministrate dalla destra, mentre l'anno scorso è
stata fatta tutta una campagna elettorale sull'emergenza rifiuti a Napoli. Il
governo non dice nulla su cosa sta succedendo a Palermo. Non vogliamo
strumentalizzare, ma un po' di verità gli italiani se la meritano » . Massimo
D'Alema ha preso di mira la politica economica, mettendo un cuneo tra la
relazione del governatore della Banca d'Italia e i provvedimenti del governo:
«Mi sembra ha spiegato che si tratti di due lunghezze d'onda completamente
contrapposte». E ha chiarito con sarcasmo: «Il nostro presidente del Consiglio
ha un insuperabile senso dell'umorismo. Peccato che con le barzellette non si
affrontino i problemi, sennò saremmo veramente un Paese straordinario.
Berlusconi ha ripetuto per mesi che la crisi non c'era e non ha fatto nulla.
Draghi ci ha spiegato che la crisi c'è ed è grave». Stessa musica da Enrico
Letta: «La crisi non si batte con il fatalismo. Non è una pandemia come quella
del Messico. I paesi europei devono stare attenti e lo sono. La Francia ha 40 multinazionali e il governo sta attuando protezionismo e aiuti nei loro
confronti. Noi ne abbiamo cinque e certo non riusciremo a costruire le prossime
35 in
qualche mese. Dobbiamo proteggere i quattro milioni di piccole e medie imprese
che abbiamo ». Chi non rinuncia ad attaccare frontalmente Berlusconi sulle
questioni giudiziarie è Antonio Di Pietro. Che ribadisce: «Nella
motivazione della sentenza del processo Mills vi è la prova che il Presidente
del Consiglio Berlusconi era un corruttore ed un evasore fiscale e, quindi,
indegno sia politicamente sia moralmente di guidare e rappresentare il governo
del nostro Paese». Il leader dell'Idv definisce «ancor più indegna e falsa
l'accusa di eversione che Berlusconi rivolge ai magistrati che lo hanno
giudicato. È lui un eversivo incallito che ha falsificato le prove per evitare
che gli italiani sapessero di che pasta fosse fatto». «Fecero tutta la campagna
elettorale sull'aeroporto internazionale e Malpensa è uno scalo fantasma. E il
bollo auto doveva essere abolito...»
(
da "Repubblica.it"
del 31-05-2009)
Argomenti: Crisi
PALERMO
- Caos e rissa sfiorata in consiglio comunale a Palermo sull'emergenza rifiuti.
Questa mattina durante la seduta straordinaria per fronteggiare il problema
della spazzatura, con la delibera dell'aumento del 35% sulla tasse per i
rifiuti (tarsu), alcuni consiglieri della maggioranza e dell'opposizione sono
quasi venuti alle mani. La maggioranza della giunta di Diego Cammarata aveva
proposto di far svolgere la seduta a porte aperte, mentre davanti al palazzo si
accalcavano circa 400 persone, tra operatori dell'Amia (azienda per i rifiuti
locale), dipendenti di società locali e raccoglitori di ferro e cartone.
Presenti alle discussioni in comune anche alcuni rappresentanti dei sindacati.
Secondo l'amministrazione comunale l'aumento della tassa serve a sostenere le
finanze dell'Amia che ha un buco di circa 150 milioni di euro, e non riesce a
pagare gli straordinari dei dipendenti. L'opposizione
chiede che a pagare siano gli ex amministratori dell'Amia che hanno creato la crisi finanziaria e invitano
l'amministrazione a recuperare le somme non versate dagli evasori. Da 10 giorni
la città è sommersa dai rifiuti per l'astensione dei lavoratori dell'Amia dal
lavoro straordinario causa mancato rinnovo del contratto di servizio tra
l'azienda e il comune. Ieri sera alle 22 comunque i dipendenti
dell'azienda hanno annunciato una tregua, rimettendosi a lavorare in attesa
della delibera del consiglio comunale di oggi. Il municipio è presidiato da
polizia in assetto antisommossa, carabinieri e guardia di finanza. La Digos ha
deciso di mandare uomini in borghese tra i manifestanti per evitare che la
situazione degeneri. Nelle strade della città intanto, proseguono i roghi di
cassonetti stracolmi di spazzatura, circa 200 sono quelli bruciati finora. (31
maggio 2009
(
da "Stampaweb, La"
del 31-05-2009)
Argomenti: Crisi
PALERMO
Tranne i consiglieri comunali e le persone autorizzate, nessuno può entrare o
uscire nel municipio di Palermo presidiato da polizia, carabinieri e guardia di
finanza che tengono a distanza circa 400 manifestanti radunati davanti a
palazzo delle Aquile in attesa dell’esito
della seduta straordinaria convocata per discutere la delibera
dell’amministrazione sull’aumento della tassa per i rifiuti (tarsu).
Intanto nelle strade della città proseguono i roghi di cassonetti stracolmi di
spazzatura, circa 200 sono quelli bruciati finora. I lavori in consiglio comunale
sono stati aperti e sospesi dopo pochi minuti in seguito alla tensione tra
maggioranza e opposizione sulla proposta del centrodestra di svolgere la seduta
a porte aperte. È in corso una riunione tra i capigruppo e una delegazione
sindacale in rappresentanza dei lavoratori dell’azienda
per i rifiuti (Amia) preoccupati per il posto di lavoro. Secondo
l’amministrazione comunale l’aumento della tarsu serve a sostenere le
finanze dell’Amia che ha un buco di circa 150 milioni di euro, senza i
rincari sarebbe a rischio l’occupazione.
L’opposizione chiede che a pagare siano gli ex amministratori
dell’Amia che hanno creato la crisi finanziaria
e invitano l’amministrazione a recuperare le somme non
versate dagli
evasori. Nell’aula consiliare c’è
anche una delegazione di sindacalisti, inviatati a seguire i lavori.
(
da "Manifesto, Il"
del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
Liberismo
IN CADUTA LIBERA Il crollo della borsa e il fallimento di importanti banche
sono state le premesse per la chiusura di imprese e l'aumento della
disoccupazione. Questo è dovuto al fatto che la finanza non è più un aspetto parassitario
dell'attività economica, ma una sua componente centrale. È venuta cioè meno la
contrapposizione tra economia reale e finanza che ha segnato l'analisi storica
del capitalismo. Un'anticipazione da «Finanza bruciata», volume pubblicato da
Edizioni Casagrande LE RADICI PROFONDE DELLA CRISI ECONOMI Christian Marazzi
L'economia finanziaria è oggi pervasiva, si spalma
cioè lungo tutto il ciclo economico, lo accompagna per così dire dall'inizio
alla fine. Oggi si è nella finanza, per dirla con un'immagine, anche quando si
va a fare shopping al supermercato, dal momento in cui si paga con la carta di
credito. L'industria automobilistica, per fare solo un esempio, funziona
interamente su meccanismi creditizi (acquisti rateali, leasing), tant'è vero
che i problemi di una General Motors riguardano tanto la produzione di
automobili quanto, se non soprattutto, la debolezza della Gmac, la sua filiale
specializzata nel credito al consumo indispensabile per vendere i suoi prodotti
ai consumatori. Siamo cioè in un periodo storico nel quale la finanza è
consustanziale a tutta la produzione stessa di beni e servizi. Oltre ai
profitti industriali non reinvestiti in capitale strumentale e in salari, le
fonti che alimentano la finanziarizzazione odierna si
sono moltiplicate: vi sono i profitti che derivano dal rimpatrio di dividendi e
royalties a seguito di investimenti diretti all'estero, i flussi di interessi
provenienti dal debito del Terzo Mondo, ai quali si aggiungono i flussi di
interessi sui prestiti bancari internazionali ai paesi emergenti, le
plusvalenze derivanti dalle materie prime, le somme accumulate da individui e
da famiglie facoltose investiti sui mercati
borsistici, i fondi pensione e di investimento. La moltiplicazione e estensione
delle fonti e degli agenti del «capitale portatore d'interesse» è senza dubbio
uno dei tratti distintivi, inediti e problematici, del nuovo capitalismo finanziario, specie se si riflette sulla possibilità di
modificare questo sistema, di «de-finanziarizzarlo»,
ristabilendo in tal modo un rapporto «più equilibrato» tra economia reale e
economia finanziaria. Accumulazione monetaria Come le
precedenti, questa finanziarizzazione parte anch'essa
da un blocco dell'accumulazione intesa come non reinvestimento dei profitti nei
processi direttamente produttivi (capitale costante, ossia beni strumentali, e
capitale variabile, ossia salari). Infatti, essa inizia con la crisi di
crescita del capitalismo fordista a partire dagli anni Settanta. Vi erano, in
quegli anni, tutte le premesse per una riedizione della classica finanziarizzazione basata sulla dicotomia tra economia reale
(industriale) e economia monetaria, con il conseguente
dirottamento di quote di profitto sui mercati
finanziari per assicurare una crescita dei profitti
senza accumulazione. Dall'inizio degli anni '80, «La fonte principale delle
bolle finanziarie è la
crescita tendenziale del profitto non accumulato che risulta essa stessa da un
duplice movimento: da una parte, l'arretramento generalizzato dei salari e,
dall'altra parte, la stagnazione - vedi l'arretramento - del tasso di
accumulazione malgrado il ristabilimento del tasso di profitto» (Michel Husson,
Les enjeux de la crise, «La Brèche»). Per tasso d'accumulazione si intende il
tasso di crescita del volume del capitale netto, mentre per tasso di profitto
si intende il rapporto tra profitti e capitale: la divergenza tra i due tassi a
partire dal 1980, rappresenta un indicatore certo, benché non il solo, della finanziarizzazione. Ma, come detto, ai profitti industriali
non reinvestiti si sono via via aggiunte altre fonti di «accumulazione» di
capitale finanziario, un fatto da tener presente per
capire le trasformazioni del modello di sviluppo-crisi postfordista. In
particolare, la finanziarizzazione ha comportato un
processo di disintermediazione bancaria per quanto riguarda il finanziamento
della crescita economica (prevalenza del modello anglo-sassone su quello
renano), ma ha altresì conosciuto un processo di moltiplicazione degli
intermediari finanziari come risultato della
deregolamentazione e liberalizzazione dell'economia. Il consumo del rentier La
transizione dal modo di produzione fordista al «capitalismo manageriale
azionario» che sta alla base del capitalismo finanziario
odierno si spiega infatti alla luce del calo dei profitti industriali (di circa
il 50 per cento) tra gli anni Sessanta e Settanta dovuto all'esaurimento delle
basi tecnologiche ed economiche del fordismo, in particolare la saturazione dei
mercati per beni di consumo di massa, la rigidità dei
processi produttivi, del capitale costante e del salario operaio politicamente
«rigido verso il basso». All'apice del suo sviluppo, ad una determinata
composizione organica del capitale (cioè del rapporto tra capitale costante e
capitale variabile), il capitalismo fordista non è stato più in grado di
«succhiare» plusvalore dal lavoro vivo operaio. «Pertanto, fin dai secondi anni
'70 la principale forza propulsiva dell'economia mondiale è stato l'incessante
tentativo delle imprese capitalistiche - sollecitato dai loro proprietari e
investitori - di riportare con differenti mezzi il tasso di profitto ai
maggiori livelli di vent'anni prima» (Luciano Gallino, L'impresa
irresponsabile, Einaudi). Sappiamo come è andata: riduzione del costo del lavoro,
attacco ai sindacati, automatizzazione e robotizzazione di interi processi
lavorativi, delocalizzazione in paesi a bassi salari, precarizzazione del
lavoro e diversificazione dei modelli di consumo. E, appunto, finanziarizzazione, ossia aumento dei profitti non come
eccedenza dei ricavi sui costi (cioè non secondo la logica
manifatturiera-fordista), ma come eccedenza del valore in Borsa. Non c'è dubbio
che, nella configurazione postfordista del capitalismo finanziario
in cui la parte dei salari si riduce e si precarizza e gli investimenti in
capitale stagnano, il problema della realizzazione dei profitti (ossia della
vendita del plusvalore prodotto) rimanda al ruolo del consumo a mezzo di
redditi non salariali. Sotto questo profilo distributivo, la riproduzione del
capitale (con la polarizzazione della ricchezza estremamente elevata che lo
caratterizza) si effettua in parte grazie all'aumento del consumo dei rentier e
in parte grazie al consumo indebitato dei salariati. La finanziarizzazione
ha redistribuito, per quanto in modo fortemente disuguale e precario (si pensi
alle rendite pensionistiche derivanti dalla pensione integrativa secondo il
primato delle contribuzioni), rendite finanziarie
anche ai lavoratori salariati nella duplice forma di rendite mobiliari e
immobiliari (negli Usa rispettivamente del 20 per cento e 80 per cento). C'è
quindi una sorta di divenire rendita del salario, oltre che del profitto.
L'indebitamento delle economie domestiche, al quale corrisponde una riduzione
più o meno pronunciata dei risparmi a seconda che ci si situi negli Usa o in
Europa, è ciò che ha permesso al capitalismo finanziario
di riprodursi su scala allargata e globale. Si può affermare che,
parallelamente alla riduzione della funzione redistributiva dello Stato sociale,
in questo periodo si è assistito ad una sorta di privatizzazione del deficit
spending di keynesiana memoria, ossia la creazione di una domanda aggiuntiva a
mezzo di debito privato (con relativo spostamento del rischio verso le economie
domestiche private). L'esplosione dell'indebitamento privato è stata
facilitata, soprattutto dopo il crollo del Nasdaq del 2000-2002, da una
politica monetaria molto espansiva e dalla deregulation bancaria, una politica
che ha favorito la cartolarizzazione dei titoli poggianti sui debiti:
Collaterized Debt Obligation e Collaterized Loans Obligations, ai quali si
aggiungono i Credit Default Swaps, i titoli assicurativi derivati che vengono
scambiati (di fatto barattati) tra gli operatori per proteggersi contro i rischi
d'investimento. L'insieme di tutti questi derivati del credito ammonta oramai a
qualcosa come 62 mila miliardi di dollari. A partire dalla crisi della new
economy del 2000-02, il mercato immobiliare statunitense conosce
un'accelerazione spettacolare, soprattutto se si ricorda che già nel 2001 i
prezzi dell'immobiliare erano già alquanto elevati, tanto elevati che gli
analisti consideravano come già data la bolla del settore nel 2002. Grazie alla
cartolarizzazione dei mutui subprime, invece, è stato possibile spingere
l'inflazione del settore immobiliare fino allo scoppio della bolla nel 2007. La
povertà quotata in borsa L'espansione dei mutui subprime dimostra che per
crescere e fare profitti la finanza ha bisogno di coinvolgere, oltre al ceto
medio, anche i poveri. Per funzionare, questo capitalismo deve investire sulla
nuda vita di persone che non possono fornire alcuna garanzia, che non offrono
nulla se non se stessi. E' un capitalismo che fa della nuda vita una fonte
diretta di profitto. Lo fa sulla base di un calcolo delle probabilità secondo
cui il mancato ripagamento di un prestito è considerato «gestibile», cioè
trascurabile, se considerato su scala di un'intera popolazione. La logica finanziaria che sottende il calcolo delle probabilità è
infatti particolarmente cinica: i titoli emessi a partire dal pool di crediti
ipotecari raggruppati dalle banche d'affari sono costruiti secondo il principio
della subordinazione, cioè di una gerarchia di rischi interna ai titoli emessi.
Il primo lotto, quello inferiore, avrà un rischio elevato. Quello intermedio
presenterà un rischio ridotto, e quello più elevato (super senior e senior),
costituito dai titoli migliori, sarà considerato particolarmente sicuro. Il
lotto superiore è così protetto da quelli inferiori, nel senso che sarà la
parte dei titoli cartolarizzati più a rischio la prima a saltare in caso di
perdite per gli investitori. L'accesso al bene casa è costruito sulla base di
modelli matematici di rischio in cui la vita delle persone non conta
assolutamente niente, in cui i poveri sono «giocati» contro i meno poveri, in
cui il diritto sociale all'abitazione è artificialmente subordinato al diritto
privato di realizzare un profitto. Con buona pace degli economisti accademici
che in tutti questi anni hanno messo le loro competenze scientifiche e la loro
dignità a disposizione dell'industria finanziaria (su
come la crisi finanziari odierna riveli anche la crisi
della scienza economica accademica, si veda: David Colander et al., The
Financial Crisis and the Systemic Failure of Academic Economics,
http://economistsview.typepad.com/economistsview/2009/02/the-financial-crisis-and-the-systemic-failure-of-academic-economics.html).
Il limite della proprietà sociale La soglia di questo processo inclusivo è data
dalla contraddizione tra diritti di proprietà sociale di un bene (come la casa)
e diritti di proprietà privata, tra espansione dei bisogni sociali e logica
privata della finanza di mercato. Su questa soglia si gioca il futuro del
conflitto sociale, come pure la capacità o meno del capitale di uscire dalla
sua stessa crisi. Si tratta di una soglia temporale, se solo si pensa, ad
esempio, all'architettura dei contratti ipotecari tipici dei mutui subprime. La
formula del 2 + 28, dove nei primi due anni gli interessi ipotecari sono fissi
e bassi, appunto per cooptare sempre più «proprietari», e gli altri 28 anni
sono a tassi variabili, quindi soggetti all'andamento generale della
congiuntura e della politica monetaria, rappresenta un esempio di
contraddizione tra diritti di proprietà sociale e diritti di proprietà privata.
Dopo due anni di relativo predominio del valore d'uso (diritto d'accesso
all'abitazione), si passa a ventotto anni di predominio del valore di scambio,
con effetti di espulsione/esclusione estremamente violenti. In tal modo, la
logica finanziaria produce un (bene) comune, che poi
divide e privatizza con l'espulsione degli «abitanti del comune» a mezzo di
creazione artificiale di scarsità di tutti i generi, scarsità di mezzi finanziari, di liquidità, di diritti, di desiderio, di
potere. Un processo che ricorda l'epoca delle recinzioni seicentesche
(enclosures), in cui i contadini, che vivevano sulla e della terra come bene
comune, furono espulsi a causa dei processi di privatizzazione e di divisione
della terra comune, processi che diedero origine al proletariato moderno e alla
sua nuda vita. Foto: ILLUSTRAZIONE DI TED MC GRATH / DA «200 BEST
ILLUSTRATORS», ARCHIVE SHOWCASE
(
da "Stampa, La"
del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
Roberto
Fiori Salza, i Bot e le botti di vino CONTINUA A PAGINA
62I Barolo è una delle grandi cose che hanno reso noi piemontesi seri e
riconosciuti in tutto il mondo». Parola di Enrico Salza, piemontesissimo
presidente del Consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo, la super banca, con
sei milioni di correntisti, quarta in Europa. Ieri, all'ombra del castello
Falletti che sta diventando museo del vino, Salza è diventato testimonial della
nuova annata 2005. «Lavorare la terra è faticoso - ha detto il banchiere
torinese - che ha ricordato le sue origini e l'epoea della famiglia produttrice
di fiammiferi - quando si fatica in modo giusto, si viene anche premiati».
Tanto da consigliare di investire in botti, invece che in bot? Alla domanda
maliziosa, posta dal giornalista Sergio Miravalle, che ha condotto l'incontro,
Salza ha risposto senza esitazioni: «Meglio le botti e non solo dal punto di
vista delle resa economica. Il mondo del vino è serio e si
è sempre tenuto lontano dalla Borsa e dai mercati
finanziari troppo volatili e non ha sbagliato». Il
nuovo padrino scelto dall'Enoteca Regionale del Barolo ha dimostrato di gradire
con convinzione il ruolo di testimonial. «Ho accettato questo riconoscimento
perché credo che l'agricoltura dia un senso al lavoro e all'attenzione per il
proprio territorio. E' ciò che devono fare anche le banche, dimostrando
capillarmente la propria presenza e disponibilità, tanto più in momenti di crisi
come questi». Già, la crisi. Inevitabile una domanda sul futuro dell'economia:
«Io ho l'obbligo di non essere pessimista. Ma ho anche il dovere di non dire
bugie. Credo che sia verosimile una ripartenza nel secondo semestre 2010,
tuttavia l'Italia ha la fortuna di trovarsi in una condizione più virtuosa di
altri, nel senso che ha un forte debito pubblico, ma le famiglie sono molto
meno indebitate e resistono. La loro parte la devono fare anche le imprese,
ricapitalizzando e investendo senza aspettarsi solo aiuti pubblici». Sceso dal
palco condiviso con la presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso, e la
presidente dell'enoteca del Barolo, Renata Salvano, Salza ha anche dato un
giudizio sul mancato accordo tra Fiat e Opel in Germania: «Marchionne si è
dimostrato serio e intelligente di tutti e forse alla fine sarà meglio così. A
volte nella vita bisogna anche sapersi fermare un momento, per poi
ricominciare». Il brindisi con la nuova annata del Barolo è stato preceduto da
un'appassionata presentazione dell'enologo Armando Cordero e dalla consegna di
onorificenze a due storici ristoratori di Langa: Giorgio Rocca, titolare di
"Felicin" a Monforte d'Alba, e Gian Bovio, gestore dell'omonimo
locale di La Morra. Le prime mille bottiglie, confezionate dall'Enoteca
regionale con un'etichetta speciale realizzata dall'artista statunitense
Beverly Pepper, serviranno per promozioni e altre degustazioni pubbliche, la
prima delle quali è prevista per giovedì al Marriot Hotel di Roma con la Camera
di commercio. Gli altri dieci milioni cercheranno di conquistarsi i mercati di tutto il mondo, con la «benedizione economica» di
Enrico Salza.
(
da "Stampa, La"
del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
Evento
Enrico Salza testimonial del Barolo 2005 LA BANCA E L'UNESCO "Il mondo del
vino resti fuori dalla Borsa" Investire sulle botti rende più dei Bot.
Ottimismo e verità ROBERTO FIORI "Possiamo finanziare demolizioni e
coperture delle brutture edilizie" BAROLO Il Barolo è una delle grandi
cose che hanno reso noi piemontesi seri e riconosciuti in tutto il mondo».
Parola di Enrico Salza, piemontesissimo presidente del Consiglio di gestione di
Intesa Sanpaolo, la super banca, con sei milioni di correntisti, quarta in
Europa. Ieri, all'ombra del castello Falletti che sta diventando museo del
vino, Salza è diventato testimonial della nuova annata 2005. «Lavorare la terra
è faticoso - ha detto il banchiere torinese - che ha ricordato le sue origini e
l'epoea della famiglia produttrice di fiammiferi - quando si fatica in modo
giusto, si viene anche premiati». Tanto da consigliare di investire in botti,
invece che in bot? Alla domanda maliziosa, posta dal giornalista Sergio
Miravalle, che ha condotto l'incontro, Salza ha risposto senza esitazioni:
«Meglio le botti e non solo dal punto di vista delle resa economica. Il mondo del vino è serio e si è sempre tenuto lontano dalla Borsa e
dai mercati finanziari
troppo volatili e non ha sbagliato». Il nuovo padrino scelto dall'Enoteca
Regionale del Barolo ha dimostrato di gradire con convinzione il ruolo di
testimonial. «Ho accettato questo riconoscimento perché credo che l'agricoltura
dia un senso al lavoro e all'attenzione per il proprio territorio. E'
ciò che devono fare anche le banche, dimostrando capillarmente la propria
presenza e disponibilità, tanto più in momenti di crisi come questi». Già, la
crisi. Inevitabile una domanda sul futuro dell'economia: «Io ho l'obbligo di
non essere pessimista. Ma ho anche il dovere di non dire bugie. Credo che sia
verosimile una ripartenza nel secondo semestre 2010, tuttavia l'Italia ha la
fortuna di trovarsi in una condizione più virtuosa di altri, nel senso che ha
un forte debito pubblico, ma le famiglie sono molto meno indebitate e
resistono. La loro parte la devono fare anche le imprese, ricapitalizzando e
investendo senza aspettarsi solo aiuti pubblici». Salza ha anche condiviso
l'idea di finanziare come banca le demolizioni e le mascherature delle brutture
edilizie per migliorare l'immagine dei territori che hanno posto la candidatura
all'Unesco, Sceso dal palco condiviso con la presidente della Regione Piemonte,
Mercedes Bresso, e la presidente dell'enoteca del Barolo, Renata Salvano, Salza
ha anche dato un giudizio sul mancato accordo tra Fiat e Opel in Germania:
«Marchionne si è dimostrato serio e intelligente di tutti e forse alla fine
sarà meglio così. A volte nella vita bisogna anche sapersi fermare un momento,
per poi ricominciare». Il brindisi con la nuova annata del Barolo è stato
preceduto da un'appassionata presentazione dell'enologo Armando Cordero e dalla
consegna di onorificenze a due storici ristoratori di Langa: Giorgio Rocca,
titolare di "Felicin" a Monforte d'Alba, e Gian Bovio, gestore
dell'omonimo locale di La Morra. Le prime mille bottiglie, confezionate
dall'Enoteca regionale con un'etichetta speciale realizzata dall'artista
statunitense Beverly Pepper, serviranno per promozioni e altre degustazioni
pubbliche, la prima delle quali è prevista per giovedì al Marriot Hotel di Roma
con la Camera di commercio. Gli altri dieci milioni cercheranno di conquistarsi
i mercati di tutto il mondo, con la «benedizione
economica» di Enrico Salza.
(
da "Stampa, La"
del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
L'INSEGNAMENTO
Evento Il nuovo testimonial del Barolo 2005 Salza: " I Bot? Molto meglio le botti di vino" L'agricoltura dà una lezione
alle banche: legarsi al territorio «Lavorare la terra è faticoso ma poi si
viene premiati» Il banchiere: "Il mondo del vino è serio e non è andato in
Borsa" ROBERTO FIORI I mercati finanziari sono troppo incerti In questi anni la vite ha reso di più ALBA
SEGUE DA PAGINA 55
(
da "Stampa, La"
del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
AL
FESTIVAL DELL'ECONOMIA DI TRENTO UNA GIURIA DI UNIVERSITARI
METTE ALL'INDICE I COLPEVOLI DELLA CRISI FINANZIARIA Gli studenti processano
gli economisti [FIRMA]STEFANO LEPRI INVIATO A TRENTO Chi sono i colpevoli della
crisi finanziaria? Per gli
economisti la condanna emessa è stata piuttosto blanda; per chi doveva vigilare
sui mercati, e per i politici, è in arrivo un verdetto severo; oggi si
giudicheranno i banchieri, e c'è da prevedere il massimo della pena. La giuria
popolare di questo processo all'americana ha dovuto districarsi tra molte
raffinate versioni dello scaricabarile escogitate dagli avvocati difensori;
opportunamente, si tratta di 30 giovani studenti di economia scelti tra i
migliori. La sorpresa dell'udienza di ieri l'ha portata un testimone che aveva
previsto il fattaccio, e non era stato ascoltato. Lo ha convocato l'economista
Luigi Spaventa, pubblico ministero di turno al «Tribunale della crisi», spettacolo centrale del Festival dell'Economia
trentino. Il teste è William White, un canadese ora in pensione che era capo
economista della Banca dei regolamenti internazionali a Basilea. White, al
corrente di tutti i dati più delicati, aveva lanciato l'allarme - insieme con
il suo vice, l'italiano Claudio Borio - nei rapporti Bri 2006 e 2007. Ora
rivendica il suo primato senza accusare nessuno: «Erano inadeguate le regole
sul capitale delle banche. Erano insufficienti, specie negli Stati Uniti, le
istituzioni di vigilanza, anche perché guardavano alla stabilità di ogni
singola banca senza occuparsi di che cosa sarebbe accaduto in caso di
difficoltà per tutto il sistema. E poi c'era la psicologia, che negli anni di
vacche grasse rende difficile prevedere tempi peggiori». Perché taceva il Fondo
monetario, la più importante istituzione finanziaria
internazionale? Anche lì qualcuno si era accorto del pericolo, come l'allora
capo ufficio studi, l'indiano Raghuram Rajan. «Degli squilibri già parlavamo
nel 2003 - insiste l'avvocato difensore del Fondo monetario internazionale,
Piercarlo Padoan (che nel Fmi rappresentava l'Italia) - ma potevamo solo
proporre, mentre erano i governi a disporre». Specie gli Stati Uniti, che non
avevano mai aperto la propria finanza alle ispezioni del Fondo monetario.
«Negli Stati Uniti erano più di sessanta le autorità di controllo, e con poteri
limitati - depone un altro teste, il direttore per la ricerca economica della
Banca d'Italia, Salvatore Rossi - insomma come mettere molti vigili urbani a
regolare lo stesso incrocio, per di più imponendogli di multare solo le utilitarie.
A vigilare sulle banche di investimento era solo l'americana Sec, l'equivalente
della nostra Consob: sono bravi, ma il loro mestiere è un altro». Chi c'è al
vertice di tutto questo? Chi ne tirava le fila? Il pubblico ministero Spaventa
- brillante e conciso dall'alto dei suoi 75 anni benissimo portati - pronuncia
un nome: Alan Greenspan. «Con lui alla guida della Federal Reserve non abbiamo
bisogno di fare lobbying» aveva dichiarato a suo tempo il capo dell'Isda, la
lobby dei derivati finanziari. L'avvocato difensore degli enti di vigilanza,
Andrea Prat della London School of Economics, si rimette alla clemenza della
Corte: «Che potevano fare, poveretti? Quasi tutti gli dicevano che andava bene
così. Compreso un economista famoso, che ha lavorato con Clinton, poi ha
guadagnato 5 milioni di dollari con uno hedge fund, e ora consiglia Obama:
Larry Summers». Entrambi i partiti Usa, repubblicani e democratici, escono male
dal cinematografico processo condotto sotto la regia del giornalista Massimo
Gaggi, presidente del tribunale. Gli economisti escono assolti da 3 dei 9 capi
d'accusa, mitemente condannati per gli altri. Darà la colpa ai politici anche
Luigi Zingales, il professore di Chicago che oggi avrà l'arduo compito di
difendere i banchieri: «È stata la politica a offrirgli gli incentivi a
sbagliare; ad esempio con una regolamentazione sbagliata dei mutui, che serviva
a promettere la casa a tutti».
(
da "Alto Adige"
del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
L'Euregio:
obiettivo valido Vertici politici, rettori e imprenditori a confronto TRENTO. Economie transfrontaliere ed Euregio a confronto con la crisi finanziaria: ne hanno parlato
nella sede della banca di Trento e Bolzano, Lorenzo Dellai, l'imprenditore
Mario Marangoni, i rettori delle università di Trento e Innsbruck Davide Bassi
e Karlheinz Toechterle e Gregorio De Felice, capo dell'ufficio studi di Btb,
che ha moderato. Per Mario Marangoni «Le infrastrutture vecchie e nuove
(compreso il tunnel del Brennero) rafforzano legami antichi e ne creano di
nuovi. Sul piano politico non c'è stato lo stesso amore, ma ciò non ha
intaccato lo sviluppo delle nostre economie, perché quando si parla di economia
i confini non esistono più. Anzi, è stata la politica a trarre vantaggio dalla
collaborazione sul piano economico». E' toccato poi a Bassi ricordare i passi
fatti: «E' in corso un processo di aggregazione dei piccoli atenei, anche a
livello transfrontaliero, al fine di ottenere la massa critica necessaria da
cui fare scaturire l'eccellenza. L'Euregio è importante, ma chiuderci in un
localismo di mezzo milione di abitanti non è molto diverso che chiuderci in una
enclave di un milione e mezzo di abitanti. L'Euregio deve svolgere la sua
missione storica, essere un gate, un cancello fra Italia e mondo tedesco». Gli
ha fatto eco il rettore TÖchterle: «Noi oggi se vogliamo superare la crisi dobbiamo continuare a investire nell'istruzione, anche
se si tratta di un investimento che non produce vantaggi nel breve periodo».
Per Dellai «Nell'Euregio potremmo sperimentare con un po' più di coraggio.
Questa crisi si supererà, ma dopo ci ritroveremo con
un paesaggio molto mutato. Ciò che è certo che i territori dovranno continuare
a sperimentare forme di unione, ma non in maniera astratta. Qui c'è un comune
sentire che è sopravvissuto a tanti cambiamenti: abbiamo l'opportunità di unire
l'aspetto funzionale (essere più grandi per contare di più) con quello
motivazionale (il recupero di una storia comune, in un'ottica di
modernizzazione)».
(
da "Trentino"
del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
L'AGENDA
Oggi si chiude con Glaeser, Manning e il Nobel Spence Ore 10. Facoltà Economia: conferenza di Alberto Giovannini «Crisi finanziaria», introduce Edoardo Gaffeo.
Ore 10. Facoltà Sociologia: «Imprese italiane: un modello glocale per vincere
la crisi?». Ore 10.30.
Castello Buonconsiglio: conferenza di Fabrizio Zilibotti «Come recuperare il
terreno perduto». Ore 10.30. Palazzo Geremia: conferenza di Giuseppe De
Rita «Terra e comunità», introduce Enrico Franco. Ore 10.30. Biblioteca via
Roma: incontro con Leonardo Becchetti, Monica Di Sisto e Alberto Zoratti su «Il
voto nel portafoglio. Cambiare consumo e risparmio per cambiare l'economia».
Ore 12. Provincia, sala Depero: «Processo alla finanza», con Massimo Gaggi,
Marco Onado e Luigi Zingales. Ore 12. Facoltà Sociologia: «Identità fa rima con
pubblicità?». Ore 12. Biblioteca via Roma: incontro «Megacomunità, come i
leader di Governo, delle aziende e della società civile possono gestire le
grandi sfide globali, insieme». Ore 15. Palazzo Geremia: conferenza di Edward
Glaeser «Come i limiti della conoscenza umana spiegano la crescita della città,
l'odio etinco e le differenze fra Stati Uniti ed Europa», introduce Nicola
Porro. Ore 15. Castello Buonconsiglio: conferenza di Thierry Verdier
«Integrazione culturale, formazione dell'identità e sostegno politico al
Welfare State», introduce Eric Jozsef. Ore 15. Biblioteca via Roma: incontro
con Laura Pennacchi su «La mortalità del welfare. Contro il neoliberismo
populista». Ore 15. Facoltà Sociologia: «Da sovrano a sistema, la metamorfosi
dello Stato». Ore 16. Facoltà Economia: conferenza di Nicola Persico «Obama e
il pregiudizio razziale», introduce Patricia Thomas. Ore 16.30. Facoltà
Economia: «Cosa ci ha insegnato la crisi giapponese».
Ore 16.30. Fondazione Kessler: incontro con Antonio Calabrò «Orgoglio
industriale. La scommessa italiana contro la crisi
globale». Ne discutono Raffaele Bonanni e Innocenzo Cipolletta. Ore 17. Palazzo
Geremia: conferenza di Alan Manning «L'identità degli immigrati in Gran
Bretagna. scontro o incontro tra culture?», introduce Roberta Carlini. Ore 17.
Castello Buonconsiglio: incontro con Jayati Ghosh «Le crisi
alimentari in un mondo di diseguaglianze». Ore 18. Fondazione Kessler: incontro
con Ronald Dore «Finanza piglia tutto. Attendendo rivincita dell'economia
reale». Ore 18.30. Teatro Sociale: conferenza di Michael Spence «Il mondo dopo
la crisi», introduce Tito Boeri.
(
da "Repubblica, La"
del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
Pagina
20 - Commenti IL FEDERALISMO ALL´ITALIANA (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) O invece, dopo il Piano A e il Piano B
(discussi su questo giornale il 21 marzo e il 14 aprile), è in corso un Piano
C? Piccolo flashback. Il dl 112 (giugno 2008) conteneva un progetto di social
housing con capitali pubblici e privati: una casa per le categorie svantaggiate
(famiglie a basso reddito, anziani, immigrati), con fondi immobiliari e
finanziamenti pubblici per alloggi in affitto a canone concordato. Smentendo se
stesso, in marzo il governo usa la stessa etichetta ("piano casa")
per un progetto opposto. Zero capitali pubblici, zero social housing: il
decreto si rivolge a chi la casa e i soldi li ha già (o può farseli prestare) e
vuole aumentare la volumetria della propria abitazione dal 20% al 35 %, «in
deroga alle disposizioni legislative, agli strumenti urbanistici e ai
regolamenti edilizi», nonché in barba al Codice dei Beni Culturali, imponendo
alle Soprintendenze il silenzio-assenso e l´asservimento alla conferenza dei
servizi. Nella fretta, persino le norme antisismiche vengono drasticamente
"semplificate". Per trovare un accordo Stato-regioni, nell´incontro
del 31 marzo il governo s´impegna a emanare un decreto-guida entro 10 giorni,
dopodiché le regioni avranno 3 mesi per legiferare. Ma il 6 aprile il terremoto
d´Abruzzo, aprendo gli occhi anche ai ciechi sui suoi aspetti più
irresponsabili, fa saltare quel piano, e ne nascono varie versioni più
edulcorate, ma ancora ricche di sanatorie e depenalizzazioni. E´ così che
nasce, in forma residuale, il Piano C. La sua filosofia è presto detta: anche
se l´accordo del 31 marzo è saltato, e in nessun caso ha valore di legge, anche
se il decreto-guida del governo non c´è, si conviene tacitamente di fare
"come se". L´avv. Ghedini dichiara il 22 aprile che «il piano-casa è
pronto. Dopo l´approvazione del governo, le regioni avranno tre mesi di tempo
per recepirlo». Il piano-casa non è né pronto né approvato, ma le regioni, più
realiste del re, si affrettano a legiferare. Prima della classe, la Toscana ha
già dall´8 maggio la propria legge; in dirittura d´arrivo Veneto, Sicilia,
Lombardia, Campania, Lazio, Umbria, Liguria, Friuli, Piemonte, Marche; segnali
di fumo anche da altre regioni. L´accordo politico del 31 marzo viene trattato
come se avesse valore di legge, con una sorta di effetto-annuncio per
trascinamento che (come nei dispotismi di antico regime) si basa di fatto sulle
dichiarazioni di Berlusconi. Che cosa dicono queste leggi regionali, prive di
base normativa in una legge nazionale? La Toscana (L. 24) consente di ampliare
la propria casa del 20% o del 35% su semplice presentazione di d.i.a.
(dichiarazione di inizio attività), proprio secondo la formula Berlusconi. Il
Veneto (ddl 398) incentiva escrescenze fino al 40%, inclusa la «ricomposizione
planivolumetrica con forme architettoniche diverse dalle sagome degli edifici
originari». La Sicilia (ddl 386), onde «dar seguito alle prime indicazioni del
governo nazionale», non trova di meglio che recepire il testo del Veneto. La
Lombardia autorizza escrescenze volumetriche fino al 40% in caso di
"riqualificazioni". In Liguria, dichiara Burlando, «gli ampliamenti
del 20%, finora ammessi solo con qualche vincolo, saranno un diritto di tutti».
L´Umbria (ddl 1553) innesta il proprio "piano casa" su un
"governo del territorio" che ignora i contenuti prescrittivi del
piano paesaggistico previsto dal Codice. Si è dunque ribaltata la sequenza di
legge, e senza aspettare il decreto del governo le regioni si danno da fare,
con norme più restrittive (Toscana) o più sbracate (Veneto, Sicilia). Il
governo, a rimorchio delle regioni, non farà che controfirmare misure già
approvate. In questo sgangherato federalismo all´italiana, il governo nazionale
abdica al ruolo dello Stato, lo riduce a un effetto-annuncio che inneschi il
fuoco di fila delle regioni. Tanta concordia fra Stato e
regioni si basa sul dogma che il piano-casa aiuti a uscire dalla crisi economica. Ma la crisi finanziaria mondiale è stata
innescata dalle perdite (oltre quattro trilioni di dollari secondo il Fmi)
subite da banche e agenzie di credito americane per l´eccesso di mutui concessi
per star dietro agli eccessi dell´offerta edilizia. Questa "bolla
immobiliare" ha portato al 9% la disoccupazione Usa, ha fatto calare del
13% la produzione industriale. In Italia, a quel che pare, siamo convinti che
dalla crisi scatenata dalla housing bubble americana
noi (e solo noi) usciremo con una bolla immobiliare nostrana, una sorta di cura
omeopatica, frutto esclusivo del genio italico. Questa irresponsabile fuga in
avanti ha fatto già la prima vittima: la tutela del paesaggio. Il ping-pong
Stato-regioni comporta un ulteriore rinvio (fino al 2011?) dell´entrata in
vigore della nuova disciplina prevista dal Codice fin dal 2008. L´art. 9 della
Costituzione, così sembra di capire, viene considerato, a Palermo come a
Firenze, un ferrovecchio da riporre in soffitta.
(
da "Repubblica, La"
del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
Pagina
23 - Esteri L´intervista L´ecologista indiana in prima linea contro la
globalizzazione L´appello di Vandana Shiva "Boicottiamo le aziende che
distruggono l´ambiente" (SEGUE DALLA COPERTINA) FRANCESCA CAFERRI Signora
Shiva, perché questa è una questione globale? «L´Amazzonia non è solo una
foresta. Non è solo del Brasile. è, prima di tutto, il più grande deposito di
biodiversità del mondo. Il più importante contributo alla stabilità climatica e
idrogeologica che ci sia rimasto sulla terra. Per questo è una questione
mondiale. E posso dire, per averlo visto con i miei occhi, che la distruzione
che sta avvenendo lì e la lotta impari degli indigeni contro le imprese che
vogliono legno e materie prime e a cui non importa nulla di loro, è una
questione globale e come tale andrebbe trattata. Dai governi per primi». Cosa
dovrebbero fare? «Dovrebbero innanzitutto dimenticare la parola profitto quando
si parla di questa zona del mondo. Gli unici investimenti in Amazzonia
dovrebbero essere diretti a garantirne la sopravvivenza e la protezione. Questo
da solo dovrebbe essere considerato un guadagno, in termini di stabilità.
Quello che mi aspetto concretamente è la formazione di un´alleanza globale fra
i paesi in nome della conservazione dell´Amazzonia». Il G8 che si svolgerà fra
qualche settimana in Italia ha la tutela dell´ambiente e il cambiamento
climatico fra i punti principali della sua agenda. Crede che il discorso
sull´Amazzonia potrebbe essere affrontato lì? «Francamente non mi aspetto molto
dal G8. Mi aspetto molto di più dal G20, il vertice allargato a cui prendono
parte i paesi cosiddetti emergenti e, in questo caso, il Brasile. è quella la
sede per spingere verso un cambiamento. Quello che è successo dal settembre
dello scorso anno ad oggi - il crollo dei mercati, lo
scoppio della bolla dei mutui, la crisi finanziaria globale - avrebbe dovuto insegnarci qualcosa. Che il modello di
sviluppo cieco, che distrugge tutto intorno a sé, che punta solo al profitto,
non funziona. Non funziona più. Eppure questo è il modello di sviluppo che sta
distruggendo l´Amazzonia. Per guardare al futuro dobbiamo pensare a un
modello diverso, illuminato lo definirei. Dove l´idea di futuro e quella di
sviluppo convivano». In questo modello che ruolo hanno i consumatori finali?
Come lei sa bene il rapporto di Greenpeace li chiama in causa direttamente,
mettendo sul patibolo marchi che sono fra i più conosciuti al mondo… «I consumatori possono molto. La prima cosa da fare
sarebbe stabilire
una moratoria internazionale su qualunque bene che sia collegato in qualche
modo alla distruzione dell´Amazzonia. Questo spetta ai governi, ma poi devono
scendere in campo anche i consumatori. Pensiamo a quello che è accaduto con
l´influenza suina in Messico: colti dal panico, i consumatori hanno imposto ai
supermercati di tutto il mondo di non vendere più carne arrivata dal Messico.
Le esportazioni sono crollate nel giro di qualche giorno. O pensiamo al
movimento che si è sviluppato in molti paesi d´Europa contro gli organismi
geneticamente modificati: le proteste hanno imposto alle catene di
distribuzione di essere OGM free, almeno in parte. Ora, lo stesso si può fare
per l´Amazzonia: i consumatori possono fare pressioni sui negozi perché non vendano
nessun prodotto che non sia "Amazon free". Rispettoso dell´Amazzonia,
non derivato dalle sue materie prime. E poi dovrebbero chiedere di consumare
solo carne locale: in questa maniera le importazioni dal Brasile
crollerebbero». Tutto questo però creerebbe un danno grave all´economia del
Paese: e non possiamo dimenticare che parliamo di uno stato in cui buona parte
della popolazione vive ancora in povertà… «La
maggior parte delle coltivazioni e degli allevamenti in Amazzonia sono
illegali. Da questa economia guadagna solo chi commercia in modo illegale, non il
paese». Parliamo delle popolazioni indigene: come lei sa, molti sostengono che
la vicinanza con la "civiltà" sia per loro un bene. Qual è la sua
opinione? «Io non sono d´accordo. Se guardiamo al futuro e a quello che ci
serve per andare avanti, capiremo che l´elemento fondamentale è una relazione
bilanciata con la terra. Un sistema di conoscenza e di vita che non sia basato
sullo sfruttamento ma sull´armonia. In questa materia gli indigeni hanno molto
da insegnarci, non sono certo dei primitivi. Primitivi mi sembrano piuttosto
quelli che li vogliono cacciare».
(
da "Corriere della Sera"
del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 01/06/2009 - pag: 2 Berlusconi, vertice
con Obama: prepariamo il G8 per la finanza Il premier: summit il 15 a Washington, nuove regole
per i mercati ROMA È ufficiale: Silvio Berlusconi andrà il 15 giugno a
Washington per un vertice col presidente degli Stati Uniti. Il primo tra il
capo del governo italiano e Barack Obama. Al centro del colloquio ci sarà il
G8, del quale l'Italia ha quest'anno la presidenza, e «le nuove regole
dell'economia e della finanza mondiale», ha spiegato lo stesso Berlusconi a
Rai-telecamere. La riunione dei grandi della Terra che si terrà a L'Aquila
dall'8 al 10 luglio, ha aggiunto, sarà una delle «più importanti degli ultimi
anni ». Obiettivo del presidente del Consiglio è condividere con Obama la
proposta italiana di un Global legal standard, cioè di un «codice», come lo ha
definito lo stesso Berlusconi, di regole per il mercato che eviti il ripetersi
di una crisi internazionale come quella che stiamo
vivendo. Crisi che, secondo il premier, almeno in Italia, «non si sta
aggravando». Anzi, «c'è qualche segnale di ripresa». Occorre però, ha ribadito
Berlusconi, «fiducia, coraggio e ottimismo, perché il fattore psicologico è
fondamentale ». E in questo senso il presidente ha assicurato che la riforma
delle pensioni «non è attualmente all'ordine del giorno» mentre ha annunciato
che «il sistema delle banche ha messo a disposizione un miliardo e 400 milioni
per mutui per gli operatori del turismo ». Ma torniamo al vertice con Obama.
L'Italia, su iniziativa del ministro dell'Economia, ha promosso fin dallo
scorso ottobre la discussione internazionale sul tema del Global legal
standard, convinta che, come ha spiegato più volte lo stesso Giulio Tremonti,
occorra dare «una risposta alla domanda di regole per l'economia » e voltare
pagina rispetto a una esasperata deregulation. Da questo punto di vista la
missione americana del presidente del Consiglio è centrale, perché proprio dagli
Stati Uniti si è sviluppato quel processo di deregolamentazione dei mercati che
ha poi portato, secondo l'analisi prevalente, alla peggiore
crisi finanziaria
internazionale dalla fine della seconda guerra mondiale. Obama è certamente fra
i critici della deregulation, e il vertice del 15 giugno, negli auspici del
premier italiano, potrebbe essere l'occasione per allargare in maniera decisiva
il consenso intorno alla proposta di un nuovo codice. A Washington
Berlusconi arriverà con alle spalle anche i risultati del G8 dei ministri
finanziari che si svolgerà a Lecce il 12 e 13 giugno e dove il progetto delle
nuove regole potrebbe fare passi in avanti. Una commissione di giuristi ed
economisti italiani, tra i quali Guido Rossi, Giulio Napolitano, Gustavo Visentini,
Enrico Letta, sta lavorando da qualche mese attorno a un documento di principi
in 12 punti, dalla lotta alla corruzione e all'evasione (no ai paradisi
fiscali) alla corporate governance (limiti alle retribuzioni dei manager) alla
trasparenza. Il tutto in stretta collaborazione con il segretario generale
dell'Ocse, Angel Gurria. Un lavoro molto simile lo sta facendo il governo
tedesco, che punta a una «Carta globale» di regole mentre la Francia si muove
su posizioni distanti. Tremonti punta anche a far passare la sua proposta di
detax per l'Africa (un meccanismo fiscale che destina ai Paesi in via di
sviluppo una percentuale di gettito) alla quale sta lavorando col premier
inglese Gordon Brown e col presidente della Banca mondiale, Robert Zoellick. Il
vertice tra Obama e Berlusconi potrebbe essere anche l'occasione per esaminare
altri dossier caldi, tra i quali il Medioriente e l'Iran. Senza escludere la
chiusura delle prigioni di Guantanamo decisa dal presidente americano, visto
che l'amministrazione Usa chiede all'Italia di accogliere alcuni detenuti.
Enrico Marro Non solo finanza Al G8 non si discuterà soltanto di finanza.
Giulio Tremonti (sopra) lavora anche alla «detax per l'Africa», misure fiscali
per destinare ai paesi in via di sviluppo una quota del gettito
(
da "Corriere della Sera"
del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 01/06/2009 - pag: 2 Il Festival
dell'Economia a Trento Economisti messi «alla sbarra» al processo di studenti e
professori DAL NOSTRO INVIATO TRENTO Colpevoli. Sei volte
colpevoli per: non aver previsto la crisi finanziaria; non averne compreso subito le conseguenze sull'economia;
basarsi su modelli troppo astratti e matematizzati; esser risultati
«negligentemente» all'oscuro delle trappole del mercato del credito; essersi
astenuti da moniti nei confronti delle istituzioni finanziarie; essersi
fidati dei colleghi alla guida delle istituzioni monetarie. È (abbastanza)
severa la 'sentenza' della giuria popolare, 30 studenti di facoltà diverse, con
la quale ieri a Trento sono stati giudicati gli economisti. Una categoria che
giocava in casa ma che pure era consapevole di rischiare grosso sottoponendosi
al «Processo», formula voluta dal direttore scientifico Tito Boeri e vera
novità della quarta edizione del Festival dell'Economia che vede alla sbarra
anche controllori e politici (oggi la sentenza) e nel quale si parla molto,
come mai prima, di economia comportamentale e di psicologia. Il fatto di aver
promosso il pubblico dibattimento deve aver reso più clemente la giuria che ha
assolto gli economisti dall'accusa di non aver fatto autocritica. I giovani
studenti sono rimasti un intero pomeriggio in camera di consiglio per
confrontarsi sulle tesi avanzate dal pm, il bocconiano Roberto Perotti, e dal
difensore Luigi Guiso dell'Università europea di Firenze, al Tribunale della
Crisi presieduto da Massimo Gaggi, inviato del Corriere. «Qualcuno mi dirà che
offro pane per i denti di Tremonti», aveva detto Perotti chiedendo una
"condanna" simbolica a 7 anni («In Italia per meno di cinque non si
va in galera») ma chiamandosi fuori dalle accuse «più volgari». «La critica
seria è che non sono state capite le conseguenze dello choc. Ma non è vero che
gli economisti stanno tutti nella torre d'avorio, molti sanno sporcarsi le
mani». Per Guiso «gli economisti: non potevano prevedere i tempi della crisi, ma individuare l'emergere di fattori di rischio. E
questo è stato fatto. Semmai la questione è un'altra: molti sapevano e non
hanno scritto...». E se alla fine, in Tribunale, i confini tra difesa e accusa
non erano poi così chiari, Jean Paul Fitoussi, presidente dell'Osservatorio
Francese per la congiuntura economica, ha denunciato il pensiero dominante che
«ti porta a essere emarginato se effettui previsioni non in linea con i
colleghi. Diventi una cassandra e trovi difficoltà a pubblicare i tuoi
articoli». E per Luigi Zingales, docente a Chicago, «gli economisti finanziari
sono stati troppo zitti sugli strumenti da loro inventati». Paola Pica
L'economista Jean Paul Fitoussi Verdetto Oggi al Festival dell'Economia di
Trento una giuria di studenti giudicherà economisti, politici e Authority
(
da "Unita, L'"
del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
1.Dare
credito Significa dare fiducia a chi ha necessità. Ovvero, fare banca: quello
che da 10 anni ha smesso di fare il sistema bancario, che guadagna fino all'80
per cento dalla vendita di prodotti speculativi, oppure di titoli tossici.
2.Voglia di concretezza In Banca Etica il 90 per cento dei ricavi derivano
investimenti sull'economia reale. Per questo da ottobre scorso, il culmine
della crisi, abbiamo raddoppiato il risparmio. 3.Ambiente E' un settore di
investimento sempre più importante: basti pensare che in Germania negli ultimi
10 anni sono stati creati 2 milioni di posti di lavoro, solo attraverso
l'energia eolica, solare e fotovoltaica. 4.Gigante di carta L'economia dei
titoli di carta è 20 volte più grande dell'economia reale. Il Sole24ore ha
detto che le prime 20 banche del mondo sono sostanzialmente fallite, poiché il
valore dei titoli tossici che detengono è doppio rispetto al valore del
risparmio. 5.Appello al G8 L'impressione è che non si
voglia davvero cambiare il sistema finanziario. Per questo, assieme alla Cisl presenteremo un appello al G8
per la sua regolamentazione, basato su quattro punti: mercati
finanziari, fiscalità, legalità e sostenibilità.
LUDOVICA JONA inchieste@unita.it 5 risposte da Fabio Salviato Presidente Banca
popolare Etica
(
da "Corriere della Sera"
del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
Corriere
della Sera sezione: Opinioni data: 01/06/2009 - pag: 12 SPERANZA E SCETTICISMO
SUL FUTURO STATO EUROPEO Quel voto troppo tiepido per l'Europa di CLAUDIO
MAGRIS SEGUE DALLA PRIMA È facile fare generiche dichiarazioni sulla cultura o
sulla libertà, ma è ben più difficile occuparsi di quegli innumerevoli,
ingarbugliati, apparentemente prosaici aspetti in cui la libertà e la cultura
si incarnano concretamente. È strano che, posto che la testimonianza della Miss
Veneto riportata da Camon sia attendibile, il ministro Brunetta dalla faccia
feroce quando annuncia licenziamenti, ma dalla lacrima facile quando viene
lodato abbia fatto quelle dichiarazioni sull'irrilevanza del Parlamento Europeo
quasi con soddisfazione anziché con tristezza, in quanto, se ciò che egli dice
corrispondesse alla realtà, sarebbe la constatazione di un male, che dovrebbe
invitare a correggerlo. Se l'Europa non esiste ancora abbastanza, questa è una
disgrazia o almeno una fase di stallo che va superata. Dovremmo sentirci,
armoniosamente e con altrettanta intensità, europei ed italiani nello stesso
modo in cui ci sentiamo a parte qualche ringhioso botolo di provincia, incapace
di guardare oltre la sua cuccia italiani e lombardi o marchigiani. Non occorre
scomodare Mazzini, Croce o Curtius, che ci hanno insegnato l'unità spirituale,
culturale dell'Europa. C'è una realtà materiale ancora più importante. Oggi i problemi che ci investono coinvolgono l'Europa intera,
dalla crisi finanziaria
alla pressione dell'immigrazione; così come l'economia di Milano non può
crollare senza ripercuotersi su Bologna o su Bari, ogni singolo Stato trascina
in parte con sé, nel bene e nel male, tutti gli altri e ne è trascinato.
Sarebbe ridicolo che l'immigrazione fosse regolata a Taranto da leggi diverse
da quelle in vigore a Genova ed è ormai ridicola una politica diversa a Parigi
e a Berlino rispetto ai problemi che interessano tutti gli europei. Se la
realtà materiale, per tutti, è europea, essa deve tradursi, prima o poi, in una
realtà politica anche formale ben più forte e compatta di quella attuale, che
riduca i singoli Stati a funzioni sostanzialmente regionali, peraltro assai
importanti. L'Europa fonda la sua civiltà, rispetto ad altre pure grandi, sul
primato dell'individuo rispetto alla totalità e perciò è stata la madre del
liberalismo e della democrazia. A differenza di alcuni cugini d'oltre
Atlantico, la valorizzazione europea dell'individuo non è l'esaltazione del
cowboy che basta a se stesso e si fa giustizia da sé, bensì dell'individuo
quale «animale politico», come diceva Aristotele, che si pone in relazione con
la società e si sente responsabile della sorte di tutti i componenti della
Polis, perché sa che il suo benessere esige, per essere veramente vissuto e
goduto, il benessere o almeno la decenza di chi gli vive intorno. In tal senso,
il socialismo è profondamente europeo e le civiltà o gli Stati che non hanno
conosciuto il socialismo (s'intende quello democratico) non sono europei. Sono,
possono e debbono essere nostri buoni vicini, ma non sono noi. L'esigenza di un
futuro vero Stato europeo e la fiducia nel suo avvento non escludono lo
scetticismo circa i tempi e le difficoltà della sua necessaria realizzazione.
Ci saranno regressivi rigurgiti di egoismi nazionali, paure fondate e infondate
che ostacoleranno le iniziative più preveggenti, meschinità, elefantiasi
burocratiche, scontri fra particolarismi, difese di privilegi e anche di enti e
istituzioni inutili e costose. Chi crede nell'Europa sarà contento se si farà
ogni tanto un passo avanti e mezzo passo indietro. La democrazia, ha scritto
Günter Grass lodandola per questo, ha il passo della lumaca. Non invidiamo
dunque gli eletti, nonostante la loro cospicua remunerazione, perché a parte i
cinici che si candidano magari solo per lucro e i narcisisti, peggiori di loro,
per vanità il lavoro degli eletti onesti sarà duro, prosaico e noioso. Lo è del
resto ogni autentico lavoro politico. Ma anche quello della madre di famiglia
(oggi lo fanno un po' pure i giovani padri, ma non tanto) che si occupa dei
figli e della casa è fatto di tante cose di per sé non esaltanti, lavare,
asciugare, fare la spesa, stirare, eppure. Anche questa, in fondo, è politica,
cura di ciò che concorre al bene della Polis; non per nulla Lenin diceva che
una brava madre di famiglia poteva essere commissario del popolo. Forse anche
parlamentare europea, meglio di altre più appariscenti categorie femminili. Il
presente Tutti noi dovremmo sentirci, armoniosamente e con intensità, europei e
italiani nello stesso modo in cui ci sentiamo italiani e, insieme, lombardi o
marchigiani
(
da "AprileOnline.info"
del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
La sfida
di Marchionne. Le scelte di Obama. L'assenza di Berlusconi Gianni Rossi, 01
giugno 2009, 09:50 L'analisi Il "caso Opel-FIAT" suona come un
"de profundis" per gli assetti della nostra politica e il futuro del
governo, mentre per le scelte industriali della casa Torinese risulterà come
uno "stop and go", una sosta momentanea sul cammino del progetto di
ristrutturazione del mercato dell'auto che, molto probabilmente, ripartirà con
la "campagna di Francia" E alla fine della "soap opera brasiliana"
(la definizione è dell'amministratore delegato della FIAT, Sergio Marchionne!),
la fabbrica di auto tedesco-americana Opel (controllata dalla GM di Detroit) è
stata ceduta alla cordata austriaco-canadese di componentistica Magna,
sostenuta finanziariamente dalla russa Sberbank e da
un prestito-ponte del governo di Berlino di 1,5 miliardi di euro. La Fiat di
Sergio Marchionne viene, almeno per ora, fatta fuori dal piano di risanamento.
A determinare questa scelta, in pieno periodo elettorale per i tedeschi, più
che i progetti industriali e commerciali, hanno influito le pressioni del
partito socialdemocratico (il cui ex-leader Schroeder, già cancelliere, ha
avuto un ruolo determinante come consulente del premier russo Putin e del
gruppo finanziario moscovita). Sconfitta, quindi,
anche la cancelliere democristiana Angela Merkel, che era propensa ad un
"salvataggio" più industriale guidato dalla Fiat. Ma la paura di una
riduzione di posti di lavoro in 4 Lander, le regioni tedesche, dove era in bilico
il voto per la CDU-CSU, ha spinto verso una decisione per altro sponsorizzata
anche dal governo laburista inglese di Gordon Brown, visto che in Gran Bretagna
operano alcune fabbriche della Vauxhall, affiliata della Opel. Al gruppo
austro-canadese andrà il 20% della Opel, alla Sberbank il 35%, alla Gm rimarrà
il 35%, mentre i dipendenti controlleranno il 10%. La Sberbank, che in russo
significa Cassa di risparmio, sarà quindi il principale azionista di
riferimento europeo, visto che la GM, in piena crisi negli USA e in Sudamerica,
in prospettiva tenderà a disfarsi della sua quota, magari rigirandola ad un
altro partner (di nuovo la FIAT?). Di fatto, l'intervento russo si profila come
l'ennesimo intervento di un "fondo sovrano" estero, ovvero di un
investimento finanziato più o meno direttamente da una società riconducibile ad
un governo nazionale. La Sberbank è , di fatti, la più grande banca della
Russia, la sua sede è ha Mosca e il 64% della proprietà è in mano alla Banca
Centrale della federazione russa, mentre il più importante azionista privato è
il multimiliardario Suleiman Kerimov (uno degli uomini più ricchi del mondo e
grande azionista anche di Gazprom). Quale lezione si può trarre da questa
vicenda in piena crisi economica mondiale? Intanto, l'assenza pesante e, a
questo punto, anche ambigua, del governo italiano del premier-imprenditore
Silvio Berlusconi. Negli Stati Uniti, per risolvere la crisi delle tre grandi
dell'auto, Ford, GM e Chrysler, si è mosso il presidente Barack Obama in prima
persona che, confortato dal Congresso, ha avviato un piano di finanziamento e
risanamento ciclopico, tanto da intervenire direttamente sull'accordo di
salvataggio della Chrysler, guidato proprio dalla FIAT. Si è scelto in quel
caso un partner industriale che aveva i requisiti tecnologici e di mercato più
consoni per traghettare la casa automobilistica di Detroit fuori dal fallimento
e porre le basi per un nuovo sistema di produzione, che tenga conto sia dei
risparmi energetici (per combattere il forte inquinamento) sia di quelli
economici (l'alto costo della benzina e delle stesse auto hanno fatto crollare
il mercato statunitense). E poi per la FIAT si è aperto così un mercato
vastissimo sia per le piccole auto utilitarie ( a partire dalla 500) sia per lo
storico marchio Alfa Romeo, che gode da sempre di un forte appeal tra i
consumatori americani. L'operazione Chrysler è stata condotta in porto senza
nessun sostegno discreto o formale da parte del governo italiano. Forse è stato
anche un bene! Ma il caso tedesco, dove il panorama economico-industriale deve
sottostare a precise regole dettate dall'Unione Europea, implicava comunque
l'intervento anche dei rispettivi governi. E qui si è notata l'assordante
assenza dell'esecutivo berlusconiano, che solo a parole faceva il tifo per la
FIAT, ma che nella realtà non ha mosso una paglia per sostenere lo sforzo di
Marchionne. Qualche autorevole osservatore estero dei mercati finanziari sospetta che dietro a
questa "estrema prudenza" del governo italiano, ci sia anche l'amicizia
tra Putin, Berlusconi e Schroeder, da una parte, e, dall'altra,
"l'invidia" del nostro premier nei confronti del successo americano
della FIAT, presieduta dal più giovane Luca Cordero di Montezemolo, da
sempre concorrente sia in ambito confindustriale sia in previsione di un suo
futuro impegno politico. E poi, va aggiunto anche lo "sgarbo
diplomatico" mostrato da Obama nei confronti di Berlusconi, tenuto
all'oscuro di tutti i passi fondamentali della trattativa FIAT-Chrysler! Sta di
fatto che, né a livello dei rapporti tra i due esecutivi, tedesco e italiano,
né a livello comunitario europeo, il nostro governo non ha
"assistito" il tentativo della FIAT, né ha controllato che tutta
l'operazione avvenisse nell'ambito delle strette regole comunitarie che vietano
aiuti di stato "sotto mentite spoglie" a favore di un settore
industriale che potrebbero distorcere le regole del mercato (il previsto
prestito-ponte di 1,5 miliardi ei euro e una serie ammortizzatori speciali per
non creare chiusure di alcune fabbriche e quindi operare migliaia di
licenziamenti in Germania e in Gran Bretagna, ma lasciando invece in crisi
altri siti, tra i quali quelli che si trovano in Belgio). Altra lezione che si
impara da questa vicenda è che, a livello internazionale, il governo italiano
non conta nulla né viene preso in considerazione proprio sul lato più decisivo
in questo momento di piena crisi economica. Pesa, infatti, l'assenza di
qualsiasi strategia per creare le basi di un nuovo sviluppo, in grado anche di
favorire occupazione, una volta superata l'emergenza recessione. Obama ha
indicato alcune strade per uscire dalla crisi e su queste sue tesi ha basato
tutti gli sforzi finanziari dello stato americano. Gli
europei arrancano, ma cercano di affrontare con aiuti di stato l'emergenza.
L'Italia invece resta al palo! Per uscire dalla crisi economica serve in realtà
"l'ottimismo della conoscenza e della volontà", non certo
"l'ottimismo di regime". A dirlo è stato l'economista Innocenzo
Cipolletta, presidente delle Ferrovie dello Stato e dell'Università di Trento,
già autorevole Direttore generale della Confindustria. "Parlo
dell'ottimismo di chi si applica a rimuovere le cause della crisi, a
ricostruire le condizioni della ripresa, a rafforzare la rete sociale al fine
di ridurre al minimo sofferenze e tensione - ha aggiunto - non certo di quello
che ci vorrebbe obbligare a sorridere sempre, a negare l'evidenza, a credere
che sia tutta colpa dell'informazione e che, meno si parla di crisi, questa
forse passerà. Questo è l'ottimismo dell'ignoranza e della
prevaricazione". E riguardo al ruolo dei media, Cipolletta ha chiarito che
"l'informazione, anche quella urlata, anche quella che dà fastidio, è
meglio che poca informazione". In queste settimane di clamore mediatico
nazionale e mondiale sul caso del divorzio tra Berlusconi e la moglie Veronica
Lario, con annessa la vicenda della giovane Noemi Letizia e le tante
contraddittorie versioni sui tempi e i modi della sua conoscenza con il
premier, si rischia dunque di nascondere al paese l'entità della crisi e
l'assenza di un piano strategico per uscirne. Il rigore delle cifre allarmanti,
enunciate dal governatore di Bankitalia, Mario Draghi, nella Relazione annuale
circa lo stato di crisi del nostro paese ( il Pil a -5% nel 2009 e nel 2010, la
disoccupazione che supererà il 10% in questi due anni) peserà sul futuro
internazionale della credibilità del governo, anche in vista del Summit del G-8
che si svolgerà nel terremotato panorama de L'Aquila. Accerchiato dai giudizi
critici e sardonici della stampa e delle TV internazionali più autorevoli, che
lo ritraggono come "un satrapo, in un paese in pieno declino, sullo sfondo
di comportamenti alla Satyricon di Fellini", emarginato dalle scelte
fondamentali in politica economica dai governi più importanti del mondo (Stati
Uniti, Germania, Gran Bretagna e Francia), Berlusconi si rifugia nella sua
torre eburnea costellata dagli amici più fidati, usando le armi della
propaganda a lui più congeniali (attacchi alla magistratura, al Parlamento e
alla stampa, richiami ai complotti di una sinistra internazionale tentacolare,
riedizione del "vittimismo" personale). Sono armi spuntate, però, che
forse gli faranno stabilizzare qualche voto alle Europee, ma che isoleranno
ancora di più l'Italia dal novero dei paesi più industrializzati, liberi e
democratici. Il "caso Opel-FIAT" suona così come un "de
profundis" per gli assetti della nostra politica e il futuro del governo,
mentre per le scelte industriali di Marchionne risulterà come uno "stop
and go", una sosta momentanea sul cammino del progetto di ristrutturazione
del mercato dell'auto che, molto probabilmente, ripartirà con la "campagna
di Francia", dove si potrebbe realizzare una convergenza con la
Peugeot-Citroen, già partner della FIAT nella componentistica, e poi con
l'acquisizione della rete produttiva e commerciale della GM in Brasile e in
altri paesi dell'America Latina. Per Berlusconi "ha dà passà ‘a nuttata" delle elezioni europee, del Referendum,
della "sciarada-Noemi" e, soprattutto, di un'estate bollente che porterà
tutti i nodi al pettine della recessione economica: lunghe ferie nelle imprese
per mascherare il crollo della produzione, nuovo boom della cassa integrazione
e della disoccupazione, stagnazione dei consumi, abbattimento delle entrate fiscali,
innalzamento della pressione fiscale e ulteriore riduzione del potere di
acquisto dei già bassi salari. Si prospetta un autunno gelido, da incubo, per
"l'incantatore di Arcore", ormai aggrappato al suo immenso potere
mediatico per inondare di sogni di cartapesta un paese sempre più allo stremo.
E gli italiani, sempre più poveri e sempre più compatiti dall'opinione pubblica
mondiale, resteranno ad aspettare che qualche "cavaliere bianco" li
aiuti ad uscire dal tunnel in cui sono precipitati? Nella breve storia di
questa nostra giovane nazione, per due volte nel "Secolo breve" che
fu il Novecento gli "alleati" anglo-franco-americani ci hanno tratti
in salvo dai disastri di due guerre mondiali. Questa volta, però, non siamo in
guerra con nessuno, ma siamo intrappolati in una palude zeppa di sabbie mobili,
che sta facendo strage dell'etica, della convivenza civile, dei fondamentali
economici e sociali e dei principi della Costituzione repubblicana. Questa
volta, gli italiani sono chiamati a cavarsela con le proprie forze, altrimenti
il declino si trasformerà in tragedia!
(
da "Affari e Finanza
(La Repubblica)" del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
I fondi
immobiliari italiani battono i "Reits" Per una volta gli strumenti d’investimento creati in Italia si sono dimostrati
migliori di quelli stranieri, perfino dei mitici Reits americani. Questo,
almeno, è successo nella ‘cattiva’ sorte, ovvero nell’ultimo annoanno e
mezzo, quando gli immobili americani e in genere dei paesi anglosassoni hanno
cominciato prima a perdere valore mentre poi si è innescata la miccia che ha
fatto scoppiare la ‘bomba’ dei subprime,
ovvero dei mutui elargiti a chi non aveva la capacità di ripagarli, facendo sprofondare il pianeta nella più grande crisi finanziaria ed economica mai vista
dopo quella del 1929. I fondi immobiliari italiani, in questo frangente, hanno
resistito meglio di tutti gli strumenti che, come i Reits (ne esistono di
diverse tipologie ma ogni paese segue delle regole proprie) sono delle società
immobiliari quotate. Qui gli immobili sono di proprietà della società e
chi compra in Borsa azioni di queste imprese ne diventa di fatto socio. Nel
caso dei fondi immobiliari, invece, il patrimonio del fondo rimane sempre
separato da quello della società che gestisce gli immobili. Inoltre, il valore
del fondo dipende dalla valutazione di un ‘tecnico’
esterno che lo certifica. I fondi immobiliari italiani sono del tipo ‘chiuso’, non permettono cioè di entrare e uscire quando si
vuole come in un fondo d’investimento ‘aperto’ ma, essendo
perlopiù quotati in Borsa, il loro prezzo può scendere al di sotto del Nav (net
asset value), ovvero del valore certificato dall’esperto: e siccome chi
vuole uscire anticipatamente è penalizzato nel caso dei fondi chiusi (questo
strumento è fatto per l’investimento a mediolungo
termine, da un minimo di 57 a
un massimo di 15), può essere che lo scarto tra Nav e valore di Borsa possa
essere anche
del 40 per cento, come in questo periodo (mentre nel gennaio 2007 lo scarto si
era ridotto fino all’1112 per cento).
Nonostante questo scarto, però, l’investitore che abbia acquistato fondi
immobiliari italiani è rimasto meno deluso di chi ha visto crollare in Borsa i
prezzi delle azioni dei Reits: «Questi ultimi spiega Mario Breglia, presidente
della società di ricerca Scenari immobiliari quando le Borse salgono crescono
meno dell’indice, ma quando i mercati vanno giù scendono
ancora di più, soprattutto in mesi come quelli che abbiamo passato». Non ci sono
soltanto fondi immobiliari chiusi come in Italia. Ce ne sono anche di tipo ‘aperto’ come nel modello tedesco (ma in germani ci
sono anche moltissimi fondi immobiliari chiusi) o in quello spagnolo (in particolare un
fondo di Santander). Il rischio sempre incombente sui fondi aperti è quello di
non riuscire a farsi dare indietro i soldi. Nei mesi passati si è arrivati in
vari casi a un blocco dei riscatti che ha penalizzato soprattutto le famiglie.
Naturalmente è difficile trarre delle conclusioni definitive al momento. Si
vedrà cosa succederà nei prossimi mesi e anni. Per giudicare i rendimenti
offerti da Reits e fondi immobiliari chiusi e aperti bisogna guardare al lungo
termine e non soltanto a quel che accade in un breve lasso di tempo. Tuttavia è
innegabile che al momento i prodotti italiani si siano dimostrati i più
stabili. È interessante indagare sulle motivazioni che sembrano favorire al
momento i fondi immobiliari italiani. Una cosa si può intanto dire: la
regolamentazione seguita dal legislatore italiano sembra aver privilegiato la
stabilità rispetto al rendimento con una serie di regole che si sono dimostrate
in grado di proteggere il risparmiatore. Il primo elemento riguarda la scelta
dello strumento fondi invece che quello delle società quotate che investono in
immobili come nel caso dei Reits americani e delle Siq francesi. Questi ultimi
sono in tutto e per tutto società immobiliari quotate, quindi risentono in
maniera immediata dell'andamento dei mercati finanziari. In salita quando le
cose vanno bene. Ma anche in discesa, e siccome nell'ultimo anno e mezzole
Borse sono scese in maniera drammatica, è evidente che queste società hanno
immediatamente perso in termini di quotazioni. È pur vero che anche i fondi
immobiliari italiani sono quotati e che ciò li ha senz'altro penalizzati.
Tuttavia la perdita è stata meno drammatica rispetto alle Sic francesi e ai
Reits americani e di altre nazionalità. «La spiegazione è semplice spiega
Michele Cibrario, ad di Bnl Fondi Immobiliari . Gli strumenti italiani hanno
una valutazione basata sulla certificazione di un tecnico esterno. Certo, in
questi ultimi mesi si è allargata la forbice tra Nav e quotazione di Borsa. È
indubbio però che, complessivamente, la protezione per il risparmiatore sia
stata superiore a quella fornita dagli altri strumenti». Scopri come ricevere
sul tuo cellulare Repubblica Gold condividi
(
da "Affari e Finanza
(La Repubblica)" del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
L’Euribor cala ma le banche "ritoccano" lo
spread ROSA SERRANO I mutui casa a tasso variabile rialzano la testa. Nel primo
quadrimestre di quest’anno, la domanda di questa
tipologia di finanziamenti ha riguadagnato molte delle posizioni perse negli
ultimi anni risultando pari al 44,8% del totale del mercato. Lo mette in
evidenza l’Osservatorio di MutuiOnline: i tassi variabili, di gran moda per tanti anni al
punto di raggiungere nel secondo semestre del 2004 un picco del 75,3% delle
richieste totali ma poi crollati nel secondo semestre del 2008 sino al 17,2%
sotto il peso dell’Euribor (il parametro
utilizzato per indicizzare i finanziamenti), stanno vivendo la loro rivincita. L’esplosione della crisi finanziaria
ha, infatti, travolto l’Euribor. Basti pensare che
se a fine settembre dello scorso anno l’indice a 1 mese/365 quotava 5,12%,
mentre attualmente è sotto la soglia dell’1% fissata dalla Bce per il
tasso di riferimento. Tuttavia, proprio nel periodo in cui l’Euribor è
letteralmente franato, i mutuatari hanno dovuto fare i conti con la stangata
sui ricarichi applicati dalle banche sia sui finanziamenti a tasso fisso che
variabile. Mettendo a confronto le condizioni applicate dalle principali banche
proposte da
MutuiOnline a fine agosto 2008 con quelle rilevate il 21 maggio di quest’anno si scopre, infatti, che gli spread dei mutui
trentennali a tasso fisso hanno registrato un aumento del 47% e quelli a tasso
variabile del 48% riassorbendo, quindi, una parte delle riduzioni
registrate dall’Irs e dall’Euribor.
In Abi si fa notare che l’aumento degli spread è strettamente collegato
all’incremento del costo di acquisizione sul mercato dei finanziamenti. In
pratica, se aumenta il costo del denaro all’ingrosso, inevitabilmente si hanno
ripercussioni su quello al dettaglio. «In alcuni casi — spiega Roberto Anedda, vicepresidente di MutuiOnline
— gli spread sono praticamente raddoppiati. Mai come oggi è, quindi,
importante confrontare le offerte di molte banche, in quanto anche marchi
importanti possono offrire, al momento, condizioni non convenienti rispetto al
meglio che si può trovare sul mercato». Da segnalare una novità sul
"fronte" degli istituti: Ugf Banca ha varato "Formula
serena", una copertura assicurativa per far fronte al pagamento delle rate
mensili in caso di ricovero ospedaliero, perdita dell’impiego, inabilità temporanea o permanente, decesso del
mutuatario e che permetterà l’applicazione di spread contenuti su tutti i
mutui della banca. Nella situazione attuale, per l’aspirante mutuatario non è facile scegliere la
tipologia di mutuo. Mentre l’Euribor è precipitato a livelli impensabili,
i tassi Irs sono leggermente risaliti rispetto ai minimi di qualche mese fa.
«E’ bene tener presente — spiega Egidio Vacchini, a. d. di
Progetica — che finché ci sarà crisi l’Euribor rimarrà contenuto,
ma con la ripresa ritornerà su altri livelli. Questo non vuol dire che il tasso
variabile non sia vantaggioso, bisogna però sapere che i tassi potranno
risalire». Quindi, se il nostro reddito ci permette di "assorbire" i
possibili aumenti delle rate se abbiamo risorse che possiamo utilizzare nei
momenti più negativi, ci si può avvicinare con tranquillità al tasso variabile,
altrimenti non bisogna scartare l’idea
di sottoscrivere un tasso fisso che, pur essendo più oneroso, attualmente ha
comunque un costo vicino ai suoi livelli minimi. Se si vuole sfruttare il
momento favorevole del variabile, è consigliabile orientarsi verso offerte con
la garanzia di un cap, cioè di un tetto oltre il quale il tasso non potrà
comunque andare in futuro. Ad esempio, Banca Monte dei Paschi di Siena propone
"Mps Protezione". Si tratta di un finanziamento a tasso variabile con
un cap al 5,5% che è, di fatto, in linea con i migliori tassi fissi. Da non
sottovalutare, poi, le opportunità offerte dai tassi cosiddetti misti che, di
regola, permettono con scadenze predeterminate di passare da una tipologia di
tasso ad un’altra. «Registriamo un incremento della domanda
del nostro mutuo a tasso misto 5x5 — spiega Stefano Cavalli, responsabile
segmenti retail di Ugf Banca — che offre la
possibilità di scegliere ogni 5 anni tra tasso fisso (Irs 5Y) e tasso
variabile, cambiando quindi la tipologia di finanziamento in base ai propri
bisogni nel tempo e permette di sfruttare le evoluzioni del mercato senza dover
assumere una decisione definitiva». Attualmente, oltre al classico dilemma
"fissovariabile", molti aspiranti mutuatari di fronte all’attuale crisi economica sono restii
a farsi carico di rate particolarmente onerose. Di particolare interesse
risulta, quindi, "Gran Mutuo Cariparma" sia a tasso fisso che
variabile che contiene diverse opzioni. Ad esempio, dopo due anni dall’inizio dell’ammortamento e per una sola volta
nella vita del mutuo, il cliente ha la possibilità di aumentare o diminuire del
30% l’importo della rata. Per una sola volta si potrà
anche passare in qualsiasi momento dal variabile al fisso. Nel pianeta
"mutui" dal 1° giugno sarà disponibile un nuovo prodotto di Banca
Bhw: Mutuo MiXX. «Si tratta di un finanziamento che associa alla sicurezza del tasso
una rata molto bassa — spiega Reiner Nicklisch,
direttore generale dell’istituto — che risulta al riparo dalle
oscillazioni del mercato. Il tasso è fisso nei primi 510 anni, a scelta del
cliente, dopodiché
il mutuatario potrà scegliere se proseguire con un tasso fisso o passare al
variabile. Qualsiasi sia la sua scelta, dal 15° anno il tasso rimarrà fisso al
3,75%». Il tasso fisso contenuto è possibile con il risparmio edilizio: il
capitale restituito con la rata mensile di mutuo nella prima fase, anziché
andare direttamente in ammortamento del mutuo, viene accantonato sul contratto
di risparmio edilizio. Scopri come ricevere sul tuo cellulare Repubblica Gold
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(
da "Affari e Finanza
(La Repubblica)" del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
Addio al
boom, ora l’edilizia segna il passo costruzioni in calo e
occupazione a rischio LUCA PAGNI Un semplice rallentamento dopo la folle corsa
degli ultimi dieci anni? O l’inizio di una crisi strutturale destinata a durare almeno per qualche
stagione? Una prima risposta arriva dai numeri: per il settore delle
costruzioni in Italia il 2009 è da considerarsi, come minimo, un anno di
riflessione. Lo dice l’ultima indagine del centro
studi dell’Ance, l’associazione nazionale dei costruttori edili: «La crisi economica e finanziaria
globale, esplosa in tutta la sua gravità nella seconda metà del 2008, sta
determinando significative ripercussioni anche sul comparto edilizio, colonna
portante del sistema produttivo nazionale». Un concetto che trova la sua
concretezza nei numeri del settore: «Le stime dell’indagine mettono in luce una riduzione dei livelli
produttivi del settore a livello nazionale del 6,8% in termini reali». Per
quello che concerne i livelli occupazionali, si teme invece una riduzione
attorno al 5,1%. Sarà anche vero che il settore, a partire dalla fine degli anni
Novanta, ha conosciuto un boom che non ha precedenti, se non negli anni dello
sviluppo delle aree metropolitane negli anni ‘60.
Di conseguenza era anche inevitabile aspettarsi una frenata della domanda. Ma è
altrettanto vero che l’acuirsi della crisi economica, dopo la seconda metà del 2008, ha portato al
peggioramento del quadro macroeconomico anche in Italia. Con un peggioramento
di tutte le previsioni degli esperti nel settore edilizio. Non a caso la
flessione coinvolge tutti gli ambiti dell’attività:
per la nuova edilizia abitativa il crollo del fatturato è del 9,2%, che diventa
un — 7,3% se ci si riferisce alle sole opere pubbliche, mentre è del 7% la
diminuzione degli ordinativi per le costruzioni non residenziali private. In un
momento di crisi economica come quello degli ultimi
mesi, ci si accontenta di rimettere a nuovo l’esistente
piuttosto che comprare del nuovo. Ecco spiegato perché la voce che ha subito il
ridimensionamento minore è stata quella degli interventi di manutenzione
delle abitazioni che è calato solo del 4%. Complessivamente, sempre secondo i
calcoli dell’Ance, si stima che per il biennio 20082009, il
crollo degli investimenti nel settore edilizio arrivi all’8,9%. In un
quadro non proprio esaltante, continua a costituire una eccezione il caso della
Lombardia. Nella più ricca delle regioni italiane, il mercato delle costruzioni
ha dovuto subire una botta d’arresto. Ma la
riduzione è comunque inferiore rispetto al resto del nord. In Lombardia, gli
investimenti
hanno subito una flessione dell’1,1%, inferiore
rispetto al — 2,3% registrato a livello nazionale, al — 2,4%
dell’Emilia Romagna e al — 4,5% del Veneto. Per il 2009, infine, le
previsioni rivelano una flessione dei livelli produttivi in Lombardia attorno al 4,8% in
termini reali. E anche in questo caso, si tratta di una dato migliore rispetto
alla media nazionale (—6,8%), al Veneto
(—9,6%) e all’Emilia Romagna (—8,1%). Ma in che termini la
recessione ha colpito l’edilizia italiana? I fattori economici sono
principalmente due: il primo legato alle pubbliche amministrazioni, l’altro alla crisi finanziaria.
Come si evince dal Rapporto congiunturale sull’industria
delle costruzioni elaborato a cura di Ance Lombardia: «Le difficoltà
complessive del settore possono esser ricondotte, oltre che ai problemi legati al
ritardo dei pagamenti effettuati dalle Pubbliche amministrazioni per il
rispetto del patto di stabilità interno, anche a ostacoli di tipo finanziario
che le imprese incontrano con le banche. La stretta creditizia operata dalle
banche sta di fatto bloccando l’operatività
ordinaria delle imprese di costruzione, rendendo indisponibili le risorse
necessarie per finanziarie programmi di investimento e di sviluppo aziendale».
Se questi sono i limiti sul piano dell’offerta
da parte delle società edilizie, non mancano ostacoli per le famiglie o per chi
vorrebbe comprare casa: «Il fenomeno del credit crunch — scrivono sempre
gli analisti dell’Ance — manifestatosi sia in termini di riduzione
dei prestiti erogati che in un ingiustificato aumento degli spread sta
impedendo alle famiglie italiane di beneficiare del sensibile abbassamento dei
parametri di indicizzazione dei mutui in caduta libera da svariati mesi».
Conclusione: «Le maggiori difficoltà di accesso al credito hanno contribuito ad
aggravare il clima di attesa attorno all’investimento
immobiliare in una fase in cui il mattone potrebbe assolvere a un ruolo
strategico di bene rifugio». Non a caso, la crisi del
settore colpisce maggiormente regioni che fino a pochi mesi fa venivano
considerate tra le più avanzate in termini economici. La recessione del settore
edilizia si fa più sentire nelle regioni settentrionali, in particolare nel
Nordest: nel solo Veneto si stima per il triennio 20072009 una riduzione degli
investimenti in costruzioni del 14,6%, mentre nelle regioni del Sud Italia i
livelli di fatturato del settore scendono meno rapidamente. Ma si sa che nel
Meridione il mattone rimane sempre l’investimento
preferito. Scopri come ricevere sul tuo cellulare Repubblica Gold condividi
(
da "Agi"
del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
RIFIUTI:
PALERMO SOFFOCA NEL PATTUME, 50 ROGHI DI CASSONETTI Stampa Invia questo
articolo (AGI) - Palermo, 1 giu. -
Roghi di cassonetti hanno bruciato per tutta la notte a Palermo e impegno i
vigili del fuoco in 50 interventi per domare gli incendi dei cumuli di pattume
che invadono la citta'. Da venerdi' scorso sono stati 350 i roghi appiccati dai
cittadini esasperati. La raccolta dei rifiuti non avviene regolarmente da
lunedi' scorso a causa dell'agitazione dei lavoratori dell'azienda municipale
dell'igiene ambientale, Amia, che temono per il pagamento degli stipendi ma
anche per il loro futuro. L'Amia e' infatti in grave crisi finanziaria e presenta un deficit
di 150 milioni di euro benche' l'anno scorso l'amministrazione comunale guidata
dal sindaco del Pdl Diego Cammarata abbia raddoppiato la Tarsu. Dopo l'aumento
del 100%, a pochi mesi di distanza il Comune vuole incrementare la tariffa di
un ulteriore 35%. In consiglio comunale ieri il dibattito e' quasi
finito in ressa, con le opposizioni decisamente contrarie al rincaro Tarsu e
all'attacco dell'amministrazione e della stessa Amia, presieduta da Marcello
Caruso, gia' assessore nella giunta Cammarata.
(
da "Stampaweb, La"
del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
PALERMO
Roghi di cassonetti hanno bruciato per tutta la notte a Palermo e impegnato i
vigili del fuoco in più di 50 interventi per domare gli incendi dei cumuli di
pattume che invadono la città da venerdì scorso. Due giovani sono stati
arrestati dai carabinieri nel quartiere Pallavicino, mentre con una bottiglia
piena di liquido infiammabile ne buttavano il contenuto su un grosso cumulo di
rifiuti accatastati all’interno e nei pressi dei
raccoglitori della spazzatura. In manette sono finiti Andrea Castella, 19 anni e Alfio
Nuccio 24 anni, accusati di incendio aggravato. La raccolta dei rifiuti non
avviene regolarmente da lunedì a causa dell’agitazione
dei lavoratori dell'Amia, che temono per il pagamento degli stipendi ma anche
per il loro futuro. L’azienda municipale dell’igiene ambientale è, infatti, in grave crisi finanziaria e presenta un deficit di 150 milioni di
euro benchè l’anno scorso
l’amministrazione comunale guidata dal sindaco del Pdl Diego Cammarata
abbia raddoppiato la Tarsu. In consiglio comunale ieri il dibattito è quasi
finito in ressa, con le opposizioni decisamente contrarie ad un ulteriore
rincaro Tarsu del 35% e all’attacco
dell’amministrazione e della stessa Amia, presieduta da Marcello Caruso,
già assessore nella giunta Cammarata. «Se l’Amia o la Protezione civile
fornirà ai lavoratori i dispositivi di sicurezza previsti dalle norme, il
personale è pronto a svolgere le proprie mansioni, altrimenti questa situazione
andrà avanti». Lo afferma Dionisio Giordano della Fit-Cisl riguardo al vertice convocato
nel pomeriggio in Prefettura a Palermo sull’emergenza
rifiuti, al quale parteciperà il commissario per l’emergenza rifiuti,
Guido Bertolaso, con tutte le istituzioni locali interessate, per un esame
congiunto della situazione determinatasi con la mancata raccolta del pattume. La
Fit-Cisl sottolinea che «il 70% del parco mezzi è fermo nei manutentori che non
riparano i veicoli perchè non vengono pagati dall’Amia».
«Nella discarica di Bellolampo - aggiunge il sindacato - uno dei due bomag (mezzi per il
movimento dei rifiuti, ndr) è guasto, l’altro
funziona a singhiozzo per problemi tecnici; i lavoratori operano con le pale
cingolate, mettendo a rischio la propria incolumità».
(
da "Repubblica.it"
del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
LONDRA -
Uno scandalo che non riguarda più solo gli italiani, ma anche i paesi partner
dell'Italia, nell'Unione Europea, nella Nato, nel G8 che l'Italia si prepara ad
ospitare. E' questo il severo giudizio di un editoriale del Times di Londra
sulla vicenda che ruota da settimane attorno a Silvio Berlusconi, al suo
rapporto con la 18enne Noemi Letizia, alle feste in Sardegna e al divorzio con
la moglie Veronica Lario. E non è solo il Times a occuparsi ancora una volta di
questa storia, che la stampa inglese sta seguendo con particolare attenzione:
ci sono nuovi articoli anche sul Financial Times, sul Daily Telegraph,
sull'Independent. "Cala la maschera del clown", s'intitola
l'editoriale del Times, il secondo su questa vicenda dopo quello altrettanto
duro del 18 maggio, pubblicato al primo posto fra i tre commenti del giorno
nella pagina degli editoriali. "La qualità del governo Berlusconi non è
una questione privata", afferma il sottotitolo. "L'aspetto più
sgradevole del comportamento di Silvio Berlusconi non è che è un pagliaccio
sciovinista, né che corre dietro a donne di 50 anni più giovani di lui, abusando
della sua posizione per offrire loro posti di lavoro come modelle, assistenti o
perfino, assurdamente, come candidate al parlamento europeo", comincia
l'articolo. "Ciò che è più scioccante è il completo disprezzo con cui egli
tratta l'opinione pubblica italiana. Il senile dongiovanni può trovare
divertente agire da playboy, vantarsi delle sue conquiste, umiliare la moglie e
fare commenti che molte donne troverebbero grottescamente inappropriati. Ma
quando vengono poste domande legittime su relazioni scandalose e i giornali lo
sfidano a spiegare legami che come minimo suscitano dubbi, la maschera del
clown cala. Egli minaccia quei giornali, invoca la legge per difendere la
propria 'privacy', pronuncia dichiarazioni evasive e contraddittorie, e poi
melodrammaticamente promette di dimettersi se si scoprisse che mente".
OAS_RICH('Middle'); Il Times riconosce che la vita privata di Berlusconi è
appunto un affare privato, ma osserva che, come è si è dovuto rendere conto
Bill Clinton, scandali e alti incarichi pubblici non vanno d'accordo.
"Molti potrebbero dire che l'Italia non è l'America, che l'etica puritana
degli Stati Uniti non ha mai dominato la vita pubblica italiana, e che pochi
italiani si scandalizzano davanti ai donnaioli. Ma questo è un ragionamento
insensato e condiscendente. Gli italiani comprendono quanto gli americani cosa
è accettabile e cosa non lo è. E, come gli americani, giudicano spregevole il
cover-up". L'editoriale del quotidiano londinese nota quindi che pochi
media in Italia possono fare simili affermazioni, senza timore di un castigo.
"A suo merito, la Repubblica ha continuamente sollevato domande al primo
ministro sulla sua relazione con Noemi Letizia, e alla maggior parte di queste
domande non ci sono state risposte soddisfacenti. Quando e dove egli ha
conosciuto la famiglia della ragazza? Mr. Berlusconi chiese di avere fotografie
da un'agenzia di modelle per iniziare i contatti con la signorina Letizia? Che
cosa c'è di vero sulle notizie di party con decine di giovani donne nella sua villa
in Sardegna? Mr. Berlusconi ha promesso di spiegare tutto in parlamento. Ma non
ha certo riassicurato i suoi critici con la sua iniziativa per bloccare la
pubblicazione di 700 fotografie che potrebbero mostrare cosa succedeva a quei
party. Né lo aiuta il suo sventurato ministro degli Esteri, che ha provato a
difenderlo sottolineando che l'età per il consenso (a rapporti sessuali, ndr.)
in Italia è 14 anni, come se ciò fosse rilevante". Il Times: "Cade la
maschera del clown" Libération: "Lo scandalo è alle
calcagna""/> Qualcuno potrebbe dire, si conclude l'editoriale, che
tutto ciò non riguarda i forestieri. Ma gli elettori italiani, alla vigilia
delle elezioni europee, dovrebbero riflettere sul modo in cui è guidato il loro
governo, sui candidati selezionati per Strasburgo e sul livello di sincerità
del premier. E la faccenda "riguarda anche altri", afferma il Times.
"L'Italia ospita quest'anno il summit del G8, dove si discuterà di
maggiore cooperazione nella lotta al terrorismo e al crimine internazionale. E'
un importante membro della Nato. Fa parte dell'eurozona, che
è confrontata dalla crisi finanziaria globale. Non sono soltanto gli elettori italiani a domandarsi
cosa sta succedendo. Se lo chiedono anche i perplessi alleati
dell'Italia". Il Times pubblica anche una lunga corrispondenza
dall'Italia, intitolata "Berlusconi blocca la pubblicazione di foto di
giovani donne in bikini a un party nella sua villa". Un articolo
sul Financial Times, invece, osserva che "l'ondata di gossip" e
"l'odore di scandalo" intorno a Berlusconi distolgono l'attenzione
dell'opinione pubblica italiana da questioni ben più gravi, come le cattive
notizie sull'andamento dell'economia italiana. Una corrispondenza sul Daily
Telegraph afferma che "gli alleati di Berlusconi mettono nel mirino la
moglie" per il divorzio, con la rivelazione che Veronica Lario avrebbe un
partner da tempo, fatta da Daniela Santanché sul quotidiano Libero. E
l'Independent riporta le pesanti critiche fatte dal premio Nobel per la
letteratura Josè Saramago, che hanno spinto la casa editrice Einaudi,
"parte dell'impero Modandori di Berlusconi", a non pubblicare il suo
ultimo libro, che descrive tra l'altro il primo ministro come "un
delinquente". Francia. Il quotidiano Libération dedica la copertina alla
vicenda: "Lo scandalo alle calcagna" e nelle due pagine interne:
"Rivelando la tresca il quotidiano Repubblica ha fatto vacillare la
popolarità del presidente del consiglio. E' una battaglia portata avanti nel
nome di una certa concezione dell'interesse pubblico". Spagna. Il
quotidiano El Pais torna a trattare la questione in una corrispondenza da Roma:
"L'opposizione italiana chiede a Berlusconi che spieghi in parlamento se
abbia portato nell'organizzazione elettorale del partito i suoi invitati delle
feste private in Sardegna" e si chiede: "Berlusconi utilizza gli
aerei ufficiali dello stato Italiano per portare gli artisti, ballerine e
veline a Villa Certosa? Ha fatto uso improprio dei beni dello stato? È l'ultimo
capitolo del Naomigate che ha trasformato l'Italia in un manicomio
semplicemente portando allo scoperto l'abitudinaria mescolanza tra vita privata
e pubblica di Berlusconi e la sua tendenza a conquistarsi amici e amiche
dell'ambiente televisivo portandoli in quello politico". (Ha collaborato
Flaminia Giambalvo) (1 giugno 2009
(
da "AprileOnline.info"
del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
Napolitano:
"Serve più coesione" Red, 01 giugno 2009, 12:42 Soprattutto
"dinanzi alla crisi e alle tensioni che scuotono
il mondo". Ma anche per "prendere finalmente la strada delle riforme
necessarie". Lo "auspicano" gli stessi italiani. E' il monito
che arriva dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano attraverso il suo
discorso per le celebrazioni del 2 giugno. I "segni di unità" sono
"tanto più importanti, quanto più sono aspre le contrapposizioni politiche
e istituzionali, soprattutto in periodo elettorale" Negli ultimi tempi nel
Paese si sono registrati importanti segnali di unità - dalle reazioni al
terremoto in Abruzzo alle celebrazioni del 25 Aprile al ricordo delle vittime
del terrorismo e della mafia - ma la realtà deve essere vista 'senza
paraocchi'. Una realtà che indica il bisogno di 'più coesione' nel paese, soprattutto dinanzi alla crisi
finanziaria ed economica e alle tensioni che
attraversano il mondo. Ma 'più coesione sociale e nazionale' sono
indispensabili anche per 'prendere finalmente la strada delle riforme
necessarie al paese e al suo sviluppo'. Lo afferma il Presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano nel messaggio in occasione della Festa nazionale
della Repubblica del 2 giugno. Nel messaggio, messo a disposizione delle
reti televisive e radiofoniche pubbliche e private e trasmesso per primo dal
Tg3 delle 12, Napolitano non manca di sottolineare quei 'segni di unità' che si
sono resi evidenti nelle scorse settimane, 'tanto più importanti quanto più
sono aspre le contrapposizioni politiche e istituzionali, soprattutto in
periodo elettorale'. Ma, invita nello stesso tempo il Capo dello Stato, 'basta
guardare alla realtà senza paraocchi per vedere che c'è bisogno - come ho detto
e non mi stanco di ripetere - di più coesione nel paese, dinanzi alla crisi e alle tensioni che scuotono il mondo; e dunque -
aggiunge - anche in vista dell'importante, grande incontro internazionale che
si terrà il mese prossimo a L'Aquila (il G8 - ndr) e che costituirà per
l'Italia un impegno e un'occasione di straordinario rilievo'. Una unità
necessaria, continua Napolitano, 'specie per prendere finalmente la strada delle
riforme necessarie al paese e al suo sviluppo'. Per questo, sottolinea, 'c'è
bisogno di più coesione sociale e nazionale: nel rispetto dei diversi ruoli
istituzionali; nel libero e civile confronto tra le diverse opinioni'.
Napolitano non ha dubbi e si dice 'convinto che sia questo un auspicio diffuso
tra gli italiani. Di certo è il mio augurio nell'interesse della Repubblica che
oggi festeggiamo perche' dal 2 giugno del 1946 con essa si identifica la nostra
patria'. L'Italia, spiega Napolitano, si è 'ritrovata unita di fronte alla
drammatica emergenza del terremoto. E si è, negli ultimi mesi, ritrovata unita
nel celebrare il 25 aprile, giorno della Liberazione dal nazifascismo, del
ritorno alla pace, alla libertà e all'indipendenza ; si è ritrovata unita nel
rendere omaggio alle vittime del terrorismo, delle stragi, della violenza
politica di ogni colore ; si è ritrovata unita nel ricordare con gratitudine
gli eroici magistrati e appartenenti alle forze di polizia caduti nella lotta
contro la mafia'. Per il Capo dello Stato 'sono stati altrettanti segni di
unità del paese attorno a valori di democrazia e di solidarietà propri della
nostra Costituzione'.
(
da "Trend-online"
del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
Quando
si fermerà la caduta del dollaro? FOREX, clicca qui per leggere la rassegna di
Fabio Caldato , 01.06.2009 14:57 Scopri le migliori azioni per fare trading
questa settimana!! Il dollaro che ha accompagnato quest’anno di crisi finanziaria con una
forza importante, tale da portare il cambio euro dollaro dai massimi a 1,60
fino a 1,24, sta pian piano perdendo considerazione. Le vendite, che l’hanno caratterizzato negli ultimi due mesi, hanno
minato la rinnovata fiducia in quella che rimane, ad oggi, l’unica valuta
globale. Le motivazioni sono state molteplici: i cinesi che diversificano in
materie prime, i bond che crollano, i russi che comprano euro in primis, ma
anche una diminuita avversione al rischio, ben riscontrabile osservando le
performance di borsa recenti. Resta da capire se l’euro possa veramente esser un serio competitor: in seno
al continente aumentano le divisioni e paesi come Spagna ed Italia sarebbero
danneggiati da un super euro. La Germania,locomotiva di’Europa, arranca e
preferisce,per opera dei suoi politici preoccupati per le elezioni di
settembre, un’offerta finanziaria,in cui la presenza russa è importante, per
Opel,piuttosto che un progetto industriale, offerto da Fiat. Il Giappone mostra
un crollo del PIL a doppia cifra e la banca nazionale osteggia un rafforzamento
della valuta,per non ostacolare la ripresa delle esportazioni. Di altri big non
vi è traccia, essendo ormai secondarie le divise svizzera e britannica. L’economia e il tessuto finanziario USA si riprenderanno
verosimilmente
prima di quello nostrano, ma la valutazione prospettica da fare sul dollaro è
la fiducia negli Stati Uniti e nel loro prodotto più importante:i bond
governativi. Ad oggi,gli yield degli stessi stanno salendo,contrariamente alla
volontà della FED: è inflazione incipiente? O qualcosa di più preoccupante? Un
sell off del T Bond americano provocherebbe un danno enorme a livello
finanziario a tutti i players mondiali. Osserviamo da vicino lo sviluppo dell’obbligazionario segue pagina >>
(
da "Repubblica.it"
del 01-06-2009)
Argomenti: Crisi
LONDRA -
Uno scandalo che non riguarda più solo gli italiani, ma anche i paesi partner
dell'Italia, nell'Unione Europea, nella Nato, nel G8 che l'Italia si prepara ad
ospitare. E' questo il severo giudizio di un editoriale del Times di Londra
sulla vicenda che ruota da settimane attorno a Silvio Berlusconi, al suo
rapporto con la 18enne Noemi Letizia, alle feste in Sardegna e al divorzio
dalla moglie Veronica Lario. E non è solo il Times a occuparsi ancora una volta
di questa storia, che la stampa inglese sta seguendo con particolare
attenzione: ci sono nuovi articoli anche sul Financial Times, sul Daily
Telegraph, sull'Independent. E uscendo dal Regno Unito, si occupano delle
vicende del premier Liberation e la Frankfurter Allgemeine Zeitung. Times.
"Cala la maschera del clown", s'intitola l'editoriale del Times, il
secondo su questa vicenda dopo quello altrettanto duro del 18 maggio,
pubblicato al primo posto fra i tre commenti del giorno nella pagina degli
editoriali. "La qualità del governo Berlusconi non è una questione
privata", afferma il sottotitolo. "L'aspetto più sgradevole del
comportamento di Silvio Berlusconi non è che è un pagliaccio sciovinista, né
che corre dietro a donne di 50 anni più giovani di lui, abusando della sua
posizione per offrire loro posti di lavoro come modelle, assistenti o perfino,
assurdamente, come candidate al Parlamento europeo", comincia l'articolo.
"Ciò che è più scioccante è il completo disprezzo con cui egli tratta
l'opinione pubblica italiana. Il senile dongiovanni può trovare divertente
agire da playboy, vantarsi delle sue conquiste, umiliare la moglie e fare
commenti che molte donne troverebbero grottescamente inappropriati. Ma quando
vengono poste domande legittime su relazioni scandalose e i giornali lo sfidano
a spiegare legami che come minimo suscitano dubbi, la maschera del clown cala.
Egli minaccia quei giornali, invoca la legge per difendere la propria
'privacy', pronuncia dichiarazioni evasive e contraddittorie, e poi
melodrammaticamente promette di dimettersi se si scoprisse che mente".
OAS_RICH('Middle'); Il Times riconosce che la vita privata di Berlusconi è
appunto un affare privato, ma osserva che, come è si è dovuto rendere conto
Bill Clinton, scandali e alti incarichi pubblici non vanno d'accordo.
"Molti potrebbero dire che l'Italia non è l'America, che l'etica puritana
degli Stati Uniti non ha mai dominato la vita pubblica italiana, e che pochi
italiani si scandalizzano davanti ai donnaioli. Ma questo è un ragionamento
insensato e condiscendente. Gli italiani comprendono quanto gli americani cosa
è accettabile e cosa non lo è. E, come gli americani, giudicano spregevole il
cover-up". L'editoriale del quotidiano londinese nota quindi che pochi
media in Italia possono fare simili affermazioni, senza timore di un castigo.
"A suo merito, la Repubblica ha continuamente sollevato domande al primo
ministro sulla sua relazione con Noemi Letizia, e alla maggior parte di queste
domande non ci sono state risposte soddisfacenti. Quando e dove egli ha
conosciuto la famiglia della ragazza? Mr. Berlusconi chiese di avere fotografie
da un'agenzia di modelle per iniziare i contatti con la signorina Letizia? Che
cosa c'è di vero sulle notizie di party con decine di giovani donne nella sua
villa in Sardegna? Mr. Berlusconi ha promesso di spiegare tutto in parlamento.
Ma non ha certo riassicurato i suoi critici con la sua iniziativa per bloccare
la pubblicazione di 700 fotografie che potrebbero mostrare cosa succedeva a
quei party. Né lo aiuta il suo sventurato ministro degli Esteri, che ha provato
a difenderlo sottolineando che l'età per il consenso (a rapporti sessuali,
ndr.) in Italia è 14 anni, come se ciò fosse rilevante". Il Times:
"Cade la maschera del clown" E la Faz lo paragona al padre degli dei
"/> Qualcuno potrebbe dire, si conclude l'editoriale, che tutto ciò non
riguarda i forestieri. Ma gli elettori italiani, alla vigilia delle elezioni
europee, dovrebbero riflettere sul modo in cui è guidato il loro governo, sui
candidati selezionati per Strasburgo e sul livello di sincerità del premier. E
la faccenda "riguarda anche altri", afferma il Times. "L'Italia
ospita quest'anno il summit del G8, dove si discuterà di maggiore cooperazione
nella lotta al terrorismo e al crimine internazionale. E' un importante membro
della Nato. Fa parte dell'eurozona, che è confrontata dalla
crisi finanziaria globale.
Non sono soltanto gli elettori italiani a domandarsi cosa sta succedendo. Se lo
chiedono anche i perplessi alleati dell'Italia". Gli altri quotidiani
britannici. Il Times pubblica anche una lunga corrispondenza dall'Italia,
intitolata "Berlusconi blocca la pubblicazione di foto di giovani donne in
bikini a un party nella sua villa". Un articolo sul Financial
Times, invece, osserva che "l'ondata di gossip" e "l'odore di
scandalo" intorno a Berlusconi distolgono l'attenzione dell'opinione
pubblica italiana da questioni ben più gravi, come le cattive notizie
sull'andamento dell'economia italiana. Una corrispondenza sul Daily Telegraph
afferma che "gli alleati di Berlusconi mettono nel mirino la moglie"
per il divorzio, con la rivelazione che Veronica Lario avrebbe un partner da
tempo, fatta da Daniela Santanché sul quotidiano Libero. E l'Independent
riporta le pesanti critiche fatte dal premio Nobel per la letteratura Josè
Saramago, che hanno spinto la casa editrice Einaudi, "parte dell'impero Modandori
di Berlusconi", a non pubblicare il suo ultimo libro, che descrive tra
l'altro il primo ministro come "un delinquente". Germania. La
Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz), in un articolo firmato dallo storico
corrispondente in Italia Heinz Joachim Fischer, fa paragoni mitologici: "A
Silvio Berlusconi non basta presentarsi in Italia come un principe del
rinascimento. Ora si prende a modello gli dei dell'antichità. Ad esempio il
padre degli dei: Giove. Costui non era conosciuto solo per fulmini e saette, ma
anche per le sue visite audaci presso le donne, tanto malfamate, quanto forse
amate". Fischer parte dalla festa di compleanno di Noemi Letizia a fine
aprile: da allora "in Italia è scoppiato il caos" e la ragazza di
Casoria è diventata "famosa" come l'europarlamentare tedesco Martin
Schulz, colui al quale Berlusconi diede del "kapò nazista" durante un
intervento a Strasburgo nel luglio 2003, dopo le critiche sul conflitto di
interessi e i guai con la giustizia del capo di governo italiano. Il paragone
non è "fuorviante", sottolinea Fischer, perchè fu proprio Schulz, in
una lunga intervista allo Spiegel, a criticare e a non trovare per niente
divertente la strada aperta a giovani bellezze per fare carriera politica,
anche nel parlamento europeo: "Berlusconi trasforma sistematicamente in
gossip la politica italiana", disse allora il capogruppo del Partito
socialdemocratico tedesco alle europee. Francia. Il quotidiano Libération
dedica la copertina alla vicenda: "Lo scandalo alle calcagna" e nelle
due pagine interne: "Rivelando la tresca il quotidiano Repubblica ha fatto
vacillare la popolarità del presidente del consiglio. E' una battaglia portata
avanti nel nome di una certa concezione dell'interesse pubblico". Spagna.
Il quotidiano El Pais torna a trattare la questione in una corrispondenza da
Roma: "L'opposizione italiana chiede a Berlusconi che spieghi in
parlamento se abbia portato nell'organizzazione elettorale del partito i suoi
invitati delle feste private in Sardegna" e si chiede: "Berlusconi
utilizza gli aerei ufficiali dello stato Italiano per portare gli artisti,
ballerine e veline a Villa Certosa? Ha fatto uso improprio dei beni dello
stato? E' l'ultimo capitolo del Naomigate che ha trasformato l'Italia in un
manicomio semplicemente portando allo scoperto l'abitudinaria mescolanza tra
vita privata e pubblica di Berlusconi e la sua tendenza a conquistarsi amici e
amiche dell'ambiente televisivo portandoli in quello politico". Sferzante
il pezzo della Vanguardia: "La campagna elettorale per le Europee continua
in Italia, astrusa e noiosissima, incapace di competere quanto a contestazioni,
incanto mediatico, spessore del tema con la vita personale della stella più
sgargiante della politica italiana degli ultimi quindici anni: Silvio
Berlusconi. Nelle cerchia del potere si parla più di questa commediola che
delle vicende poltico-continentali a Bruxelles. A volte diverte. La maggior
parte delle volte preoccupa ed esaurisce tanta banale frivolezza". (Ha
collaborato Flaminia Giambalvo) (1 giugno 2009