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Report "crisi"  13-21 giugno 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: crisi

Indici in calo, balzo di Bulgari ( da "Corriere della Sera" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Economia Mercati Finanziari data: 13/06/2009 - pag: 37 La Giornata in Borsa di Giacomo Ferrari Indici in calo, balzo di Bulgari Deboli ma con flessioni contenute le Borse europee, frenate dal dato sulla produzione industriale in calo, mentre Piazza Affari è scesa un po' di più, con l'Ftse-Mib che ha sfiorato il punto percentuale (

Rgi, Opa di Benetton e Benini ( da "Corriere della Sera" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 13/06/2009 - pag: 37 Il caso a Milano Rgi, Opa di Benetton e Benini Il fondo 21 Partners di Alessandro Benetton insieme al fondatore di Rgi, Paolo Benini, lancia un'Opa sulla società, quotata al mercato Expandi, con l'obiettivo di ritirare il titolo dal listino.

BofA spinge British Telecom ( da "Corriere della Sera" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 13/06/2009 - pag: 37 Il caso a Londra BofA spinge British Telecom È stata la revisione al rialzo del giudizio assegnato al titolo da parte degli analisti di Bank of America a mettere le ali, ieri alla Borsa di Londra, a British Telecom.

Sanità Usa modello Canada ( da "Sole 24 Ore, Il" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: è anche una crisi finanziaria più che annunciata, quella americana è una incredibile crisi in atto. Gli Stati Uniti hanno tre grandi programmi sanitari pubblici, Medicare, Medicaid e lo Schip, State children's health insurance program, più altri minori. Il primo assicura anziani (65 anni), cittadini o residenti legali da almeno 5 anni;

Proteggersi contro i protezionisti ( da "Sole 24 Ore, Il" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Proteggersi contro i protezionisti di Jagdish Bhagwati e Arvind Panagariya D a più parti, nonostante i reiterati appelli dei leader del G-20 affinché la crisi non sia motivo di un'ondata di protezionismo, si sente lamentare il fatto che molti Paesi membri non si sono fatti scrupolo a partire lancia in resta proprio sulla strada del protezionismo.

L'Europa sceglie il meglio ( da "Sole 24 Ore, Il" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Europa come a una fortezza protezionista: lavorare insieme è possibile, anche in momenti di grave crisi economica e di paure di mercantilismo industriale e finanziario. Nella cordata di grandi imprese europee (tra cui c'è Finmeccanica) chiamata a realizzare un sistema che costerà oltre un miliardo e mezzo dieuro,Honeywell sarà l'unica impresa americana,

Ue in allarme sul piano-Detroit ( da "Sole 24 Ore, Il" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: 20 a Londra in aprile contro il protezionismo e si rileva che, sebbene non si sia innescata una vera spirale protezionistica, «l'emergere di nuove misure distorsive e restrittive del commercio dimostra che è necessaria un'estrema vigilanza ». Il documento comunitario prende in esame i piani varati dai principali partner dell'Europa e non manca di evidenziare i rischi,

Guzzetti: Sul caso Agricole è possibile una soluzione ( da "Sole 24 Ore, Il" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: deprezzamento del titolo Intesa a seguito della crisi finanziaria internazionale che ha penalizzato le Borse e, in particolare, i valori bancari. Guzzetti ha anche confermato che l'Antitrust ha ammesso le cinque fondazioni azioniste di Intesa Sanpaolo al procedimentoavviato dall'Authority presieduta da Antonio Catricalà: «le Fondazioni sono intervenute per tutelare i propri interessi,

L'immobiliare ricetta anti-crisi: domanda boom ( da "Sole 24 Ore, Il" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: settore vincente delle crisi finanziaria e congiunturale». Sulla base dei pareri di diversi esperti, «Focus» spiega a chi convenga comprare un appartamento o una casa e in quale città e in quali quartieri nelle varie regioni della Germania occidentale o orientale e chi invece dovrebbe farlo soltanto in casi eccezionali e con tutte le cautele possibili.

Basta con la crisi: è l'ora della ripresa ( da "Sole 24 Ore, Il" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: impatto della crisi mondiale attraverso due canali principali: il collasso del commercio internazionale e la crisi finanziaria che ha determinato un restringimento del credito. Questo impatto si legge, nei dati congiunturali italiani, nella caduta delle esportazioni, conseguenza del crollo della domanda mondiale, e nella forte flessione degli investimenti,

Guidi: Sgravi fiscali anti-crisi ( da "Sole 24 Ore, Il" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: allora bisogna evitare forma di protezionismo e andare avanti sulle liberalizzazioni, a partire dai servizi pubblici locali. E la Guidi ha rilanciato ieri un tema rimasto da tempo sottotraccia, «un'indicazione per i nostri nuovi rappresentanti a Strasburgo»: il ritorno alla direttiva Bolkestein (libera circolazione delle prestazioni d'opera).

Il G-8: uscire dagli aiuti pubblici ( da "Sole 24 Ore, Il" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: i ministri finanziari del G-8 hanno cominciato a interrogarsi su un possibile piano di rientro dai massicci piani di stimolo fiscale adottati nei mesi scorsi, per evitare che l'esplosione del debito pubblico possa rinfocolare le turbolenze sui mercati finanziari dopo il terremoto degli ultimi due anni.

Un salvataggio da 5.300 miliardi ( da "Manifesto, Il" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: miliardi di dollari di finanziamenti per aiutare le banche durante la crisi finanziaria. Il primo consuntivo dei fondi pubblici utilizzati, il cui ammontare supera i 3.300 miliardi del Pil tedesco che è il più grande dell'Unione europea, è contenuto in un documento realizzato dalla Commisione Europea e la Bce con la collaborazione degli stati membri, anticipato dall'agenzia Bloomberg.

Regole da inventare, energia da garantire, conti Usa da risanare ( da "Manifesto, Il" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: hanno bisogno di un pilastro fondamentale: un sistema di regolazione finalmente credibile per i mercati finanziari e, quindi, per le grandi banche. Anche per questo sembra si siano incontrati anche ieri il ministro del tesoro Usa, Tim Geithner, e il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi (nella sua veste di presidente del Financial Stability Forum).

L'Enpapi nel 2008 guadagna il 7,3% ( da "Sole 24 Ore, Il (Plus)" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: allarme della crisi finanziaria che stava per abbattersi sui mercati. Ma è pur vero che gli scossoni borsistici di quei mesi hanno indotto i vertici dell'Enpapi (la cassa previdenziale degli infermieri, 160 milioni di patrimonio e oltre 15mila iscritti) a decidere di liquidare quasi tutte le posizioni e di avere in portafoglio titoli monetari per l'

Guardare al passato è un errore ( da "Sole 24 Ore, Il (Plus)" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: elemento scatenante della prossima crisi? Vista l'enorme quantità di moneta che le Banche centrali stanno stampando per superare la crisi finanziaria è probabile che l'inflazione sarà il principale rischio dei prossimi anni. Più difficile invece prevedere quando ci sarà lo shock e da questo elemento dipende la scelta della copertura efficace.

Keep it simple per capire la crisi finanziaria ( da "Sole 24 Ore, Il (Plus)" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: per capire la crisi finanziaria • Perchè il sistema finanziario mondiale è entrato in impasse? E quali sono le strategie da mettere in atto per evitare che lo tsunami finanziario si ripeta? Una risposta arriva da un studio pubblicato da Stefano Micossi e Carmine Di Noia, rispettivamente direttore e vicedirettore generale di Assonime.

Caccia al portafoglio anti-shock ( da "Sole 24 Ore, Il (Plus)" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: della crisi finanziaria e cercano di trarne «lezioni per il futuro», anche il mondo dei gestori si ferma a riflettere per rivedere i metodi di costruzione o di gestione del rischio di un portafoglio alla luce dei nuovi scenari. L'irrinunciabile Var Sotto accusa è finito soprattutto il Value at Risk (Var), un metodo di misura del rischio finanziario che deve il suo successo anche all'

L'arte tribale diventa bene rifugio ( da "Sole 24 Ore, Il (Plus)" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: le prime dopo il punto più basso della crisi finanziaria, si sono concluse con risultati (un fatturato di 4.888.316 e 5.693.813 dollari e percentuali del venduto sul valore dell'offerta dell'94% e 91%) che confermano quanto già emerso all'asta Rosenthal all'inizio del crollo: i capolavori viaggiano a gonfie vele, mentre i pezzi di medio livello incontrano qualche difficoltà.

L'euro spinge i rendimenti ( da "Sole 24 Ore, Il (Plus)" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Questi flussi sono la prima vera conseguenza della crisi finanziaria ed insieme alle elevate emissioni spingono al rialzo i rendimenti. Il mercato da inizio anno è diventato insidioso, da una parte lo scenario macro spingerebbe ad acquistare tasso fisso, dall'altra seduta dopo seduta si sommano variabili contrarie.

UniCredit continua a piacere C. Suisse premia Bnp Paribas ( da "Sole 24 Ore, Il (Plus)" del 13-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: ma il comparto ha più che dimezzato la capitalizzazione dall'inizio della crisi finanziaria (-65% da metà 2007). I prezzi delle azioni, dunque, sono invitanti; a patto, però, che le attività tossiche siano state tutte scontate. Il rimbalzo prelude a un'ulteriore corsa dei titoli o a una fase di prese di profitto in attesa di maggiore trasparenza sugli utili?

"Ora cento giorni di governo forte" ( da "Stampa, La" del 14-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: ricostruire dalle macerie dopo il terremoto come dopo la crisi finanziaria. Anche sui cantieri per opere infrastrutturali «si deve fare di più: facciamo uno sforzo per aprirli tutti». Occorre dire basta «alla cultura dei veti. Non ci possiamo rassegnare al fatto che in questo Paese ci vogliono 18 mesi per aprire un cantiere».

La ripresa non c'è ancora Regole comuni nemmeno Inefficace il G8 di Lecce ( da "Unita, L'" del 14-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: integrità del mercato, la regolazione e la supervisione finanziaria, la cooperazione fiscale, la trasparenza delle politiche macroeconomiche e le informazioni». «La situazione resta incerta» e permangono «rischi significativi». Al G8 finanziario di Lecce i ministri non riescono a trovare l'accordo sulle regole comuni anti-crisi.

Il Papa e l'enciclica sulla crisi: servono regole etiche ( da "Corriere della Sera" del 14-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: crisi finanziaria ed economica che ha colpito i Paesi industrializzati, emergenti e in via di sviluppo, mostra in modo evidente come siano da ripensare certi paradigmi economicofinanziari che sono stati dominanti negli ultimi anni». Nell'enciclica, così, «verranno posti in evidenza quelli che per noi cristiani sono gli obbiettivi da perseguire e i valori da promuovere e difendere

i governi scendono in campo "il credito è ancora limitato" ( da "Repubblica, La" del 15-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: nazionale e dalle banche centrali abbiano consentito di limitare gli effetti della crisi finanziaria, resta tuttora sul tappeto il problema della stretta del credito. La Commissione Ue, quindi, viene invitata a fornire ulteriori indicazioni sulle attività bancarie, con l´obiettivo di vedere in che modo favorire il totale ripristino della piena funzionalità del sistema finanziario.

Una buona notizia può cambiare il clima ( da "Sole 24 Ore, Il" del 15-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: notizia può cambiare il clima di Giacomo Vaciago G li effetti della crisi finanziaria sull'economia reale inizialmente modesti diventano drammatici dopo il fallimento di Lehman Brothers del 15 settembre 2008. L'intervento coordinato delle Banche centrali - molto enfatizzato l'8 ottobre con un taglio comune dei tassi di interesse - evita il peggio con riferimento al settore finanziario,

Anche le formiche, in fondo, rischiano ( da "Sole 24 Ore, Il" del 15-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: nelle ultime due generazioni ogni volta che si è parlato di riformare il nostro sistema di regolamentazione finanziaria. Ed è per questo che sembriamo pa-ralizzati ancora oggi, perfino di fronte a una grave crisi finanziaria. L'autore, ex sottosegretario al Tesoro dell'amministrazione Clinton, insegna a Berkeley Copyright: Project Syndicate, 2009. (Traduzione di Fabio Galimberti)

Contro la crisi ombrelli su misura ( da "Sole 24 Ore, Il" del 15-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: In questo senso si può dire che la crisi deriva dal fallimento dei mercati finanziari nell'offrire soluzioni ai problemi di moral hazard ed asimmetria informativa insiti in queste operazioni. Il vantaggio per chi effettua una cartolarizzazione è quello di liberare il proprio bilancio ottenendo provvista finanziaria.

Mercato e natura sostenibili L'equazione di Friedman ( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: ognuno deve intervenire per regolare i propri mercati, ma il coordinamento globale non è una necessità assoluta». Stessa cosa per l'ambiente: «Kyoto è l'equivalente di una regolamentazione mondiale per i mercati finanziari. Io non sono contrario in linea di principio: voglia Dio convincere 192 Paesi a firmare un impegno per ridurre le emissioni nocive.

Marcegaglia chiede 100 giorni di azioni ( da "Sole 24 Ore, Il" del 15-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Mentre occorrono anche nuove regole sui mercati finanziari: «Mi auguro che dal G-8 finanziario di Lecce e dai prossimi vertici internazionali escano regole comuni». Tempi stretti e rapidità d'azione:sul credito,sulle infrastrutture, sui rimborsi della Pubblica amministrazione. Anche questi rientrano nella terapia dei 100 giorni: «Almeno che ci venga detto: un pezzo ve lo paghiamo »

Più spazio al secondo pilastro ( da "Sole 24 Ore, Il" del 15-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: mercati finanziari. Quella che è una strada obbligata per la previdenza potrebbe diventarlo anche per la sanità. Almeno da quanto emerge dal Libro bianco sulle politiche sociali presentato nelle scorse settimane dal ministro Maurizio Sacconi, che ipotizza una più marcata presenza della componente privata e integrativa sul versante dei servizi sanitari e che ribadisce la necessità

Per gli otto grandi il peggio è passato ( da "Sole 24 Ore, Il" del 15-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: la ripresa economica e finanziaria sarà più forte e più duratura se spieghiamo oggi come intendiamo recuperare la sostenibilità dei conti pubblici». Il segretario al Tesoro ha evitato di commentare direttamente le preoccupazioni dei mercati finanziari sul debito Usa, che si sono manifestate in un aumento dei rendimenti dei titoli di Stato e in un calo del dollaro.

Il Papa: ripensare il sistema finanziario ( da "Sole 24 Ore, Il" del 15-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: crisi finanziaria ed economica che ha colpito i Paesi industrializzati, quelli emergenti e quelli in via di sviluppo, mostra in modo evidente come siano da ripensare certi paradigmi economico-finanziari che sono stati dominanti negli ultimi anni» ha detto Ratzinger ieri in un discorso rivolto ai membri della Fondazione Centesimus Annus che raccoglie anche industriali e banchieri

Stop alla corsa delle Borse l'Europa brucia 101 miliardi ( da "Stampa, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: che ha fatto ricadere le Borse nei giorni cupi della crisi finanziaria. In realtà dovrebbe trattarsi solo di una battuta d'arresto, spiegano dalle sale operative, dopo la corsa delle ultime settimane. Una corsa che ha visto il Ftse Mib di Piazza Affari, ieri giù del 3%, guadagnare circa il 35% dai 14100 punti di tre mesi fa.

cala di 4 punti l'8 per mille a favore della cei ( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Una evidente battuta d´arresto legata, secondo i vescovi, «alla crisi dei mercati finanziari». Ma nemmeno le prospettive future sono tanto rosee, perché per la Cei l´8 per mille potrà aumentare «solo se crescerà il gettito fiscale e col contestuale mantenimento della percentuale delle firme a favore della Chiesa cattolica».

berlusconi alla casa bianca "obama o bush, sempre alleati" - caludio tito ( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: che difficilmente a luglio si potrà definire davvero il cosiddetto «Global legal standard», le norme internazionali per i mercati finanziari. «Quello - spiegava nei giorni scorsi Giulio Tremonti - è un lavoro ancora lungo». In realtà alla Casa Bianca erano interessati soprattutto agli aspetti «concreti» dell´incontro. Obama ha cercato di capire in cosa l´Italia può essere d´aiuto.

perché il vento della crisi spazza via la sinistra europea - marc lazar ( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: la crisi finanziaria ed economica ha anzi danneggiato la sinistra, che pure era convinta di doverne trarre vantaggio, poiché l´attuale congiuntura segna la fine delle illusioni sui benefici dell´economia di mercato e il crollo del mito liberista, con la necessità di regole emananti dallo Stato e di politiche sociali.

Bce: nuovi rischi per le banche ( da "Sole 24 Ore, Il" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: per le banche Nella riforma americana più controlli e poteri alla Fed L'Europa non ha finito di fare i conti con la crisi finanziaria globale. Sul sistema bancario nella zona dell'euro gravano infatti 283 miliardi di dollari di perdite potenziali aggiuntive dovute essenzialmente a esposizioni su prestiti che si potranno trasformare in sofferenze e crediti inesigibili entro il 2010.

Si riduce l'appetito per i titoli di stato Usa ( da "Sole 24 Ore, Il" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: crisi finanziaria». Resta il fatto che da marzo i rendimenti dei titoli di stato decennali sono saliti di oltre un punto. Ieri i tassi erano al 3,77% dopo aver toccato il 4% giovedì scorso. Un aumento che viene spiegato in due modi: c'è chi lo collega alla rinnovata propensione al rischio degli investitori e chi alla minore attrattività dei bond americani in una fase così delicata

L'impresa di rialzare la testa ( da "Sole 24 Ore, Il" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: mondo nuovo post crisi finanziaria globale, quandoè doveroso, per dirla con Meomartini, insieme agli interessi collettivi da tutelare, mantenere e sviluppare condizioni di concorrenzialità tra le imprese in una nuova sintesi tra stato e mercato. Dunque «un tenere insieme» in cui al mercato e all'economia si affianca il ruolo della politica e dei governi in funzione di riequilibrio,

A Condotte maxi-appalto per le gallerie del Gottardo ( da "Sole 24 Ore, Il" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Nel novembre scorso, nel pieno della crisi finanziaria mondiale, il gruppo romano ha acquisito il 60% della Cossi costruzioni, una società creata dall'imprenditore di Sondrio Renato Cossi, particolarmente capace nella realizzazione di gallerie: «Abbiamo fatto questo passo –

Rendimenti in calo per i dottori ( da "Sole 24 Ore, Il" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: equilibrio è messo in pericolo dalla crisi finanziaria, che riduce i successi della gestione del patrimonio, e dal rallentamento dell'economia che può intaccare le entrate contributive. L'avvertimento arriva dalla Corte dei conti, che ha passato al setaccio i conti 2006 e 2007 della Cassa di previdenza dei dottori commercialisti ( delibera 33/2009 della sezione di controllo degli enti)

Veb in soccorso di Lukoil Il 4,9% alla banca statale ( da "Sole 24 Ore, Il" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: destinati a sostenere i mercati finanziari. Di fatto, attraverso Veb e gli altri due grandi istituti pubblici, Vtb e Sberbank, lo stato russo ha accumulato azioni nell'industria strategica, rafforzando il controllo. Entrando anche nel capitale di Lukoil. Il principale produttore petrolifero privato, secondo solo alla statale Rosneft,

In Cina l'Antitrust ora affila le armi ( da "Sole 24 Ore, Il" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: protezionismo Luca Vinciguerra SHANGHAI. Dal nostro corrispondente L'alleanza tra Rio Tinto e Bhp Billiton dovrà passare sotto le forche caudine delle autorità antimonopolio cinesi. Lo ha fatto intendere chiaramente un funzionario del ministero del Commercio ( Mofcom), il dicastero incaricato di valutare e sanzionare eventuali concentrazioni lesive della libera concorrenza sul mercato

Sì alla stretta sui paradisi fiscali ( da "Sole 24 Ore, Il" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: 20 di Pittsburgh Sì alla stretta sui paradisi fiscali ROMA Mettere a punto un «corpus di regole comuni» per fronteggiare la crisi economica e finanziaria e «fare in modo che non si ripeta mai più». è l'impegno comune assunto dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, al termine dell'incontro di ieri sera alla casa Bianca.

L'entusiasmo ha nascosto i rischi ( da "Sole 24 Ore, Il" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: crisi finanziaria iniziata nell'estate 2007 ne ha rammentato la centralità. Da un lato ha ribadito l'importanza del risk management per la crescita sostenibile del valore e della profittabilità di un'impresa. Dall'altro, ha reso tangibili i rischi di un suo malfunzionamento, e ha sollevato giusti interrogativi sull'affidabilità complessiva delle metodologie di risk management del

Authority senza riassetto ( da "Sole 24 Ore, Il" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: mercati finanziari dagli anni Trenta, dalla Grande Depressione. Barack Obama ha rinunciato a un radicale consolidamentodelle numerose autorità americane preposte alla supervisione, ma le riforme sono ugualmente significative: domani il presidente solleverà il sipario su un "white paper", un documento da mesi in gestazione alla Casa Bianca e che propone di affidare alla Federal Reserve

Processo a Greenberg, padre-padrone di Aig ( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: con la crisi finanziaria degli ultimi 18 mesi, le difficoltà sono diventate drammatiche. Gli affari avviati nell'era Greenberg si sono rivelati fragili e molto rischiosi: AIG è arrivata sull'orlo della bancarotta. E' stata salvata dal Tesoro con una serie di interventi costati (finora) 183 miliardi di dollari al contribuente Usa.

La rincorsa e quel timore della bolla ( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Soprattutto perché oscillazioni così evidenti indicano che i mercati finanziari non hanno ancora ritrovato l'equilibrio. Dopo i crolli del 2008, nei primi mesi del nuovo anno i listini azionari hanno ricominciato a crescere. Alcuni singoli titoli hanno recuperato tra il 30 e il 50% e in qualche caso le quotazioni sono addirittura raddoppiate.

Europa, persi 2 milioni di posti In Italia buste paga più leggere ( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: la crisi finanziaria, iniziata in Europa circa un anno e mezzo fa, è arrivata a mordere l'economia reale, cioè le tasche e le tavole delle famiglie. E al «la» dell'Eurostat, parte puntuale il coro dei leader politici ed economici, che dopodomani saranno a Bruxelles per il vertice Ue: «Sarebbe irresponsabile e suicida pensare che questa crisi sia stata una parentesi »

StM guida i ribassi, sale Terna ( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Economia Mercati Finanziari data: 16/06/2009 - pag: 41 La Giornata in Borsa di Giacomo Ferrari StM guida i ribassi, sale Terna Assicurativi In frenata i titoli delle polizze: giù Fondiaria-Sai, Generali e Alleanza Brusco calo delle Borse europee (101 miliardi di euro bruciati in termini di capitalizzazione), frenate dalle incertezze sull'

Corsa di Camfin, Pirelli Re raddoppia ( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Economia Mercati Finanziari data: 16/06/2009 - pag: 41 A Milano Corsa di Camfin, Pirelli Re raddoppia L'ingresso della famiglia Malacalza nel capitale Camfin è stato salutato ieri con entusiasmo da Piazza Affari. Il titolo della cassaforte di Tronchetti Provera, che controlla Pirelli, è riuscito a fare prezzo soltanto dopo le 12,

Le materie prime affondano Lonmin ( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 16/06/2009 - pag: 41 A Londra Le materie prime affondano Lonmin (g.fer.) Il brusco calo dei prezzi delle materie prime ha trascinato al ribasso i titoli minerari. Quelli quotati a Londra hanno ceduto ieri tra i sei e i dieci punti percentuali.

L'EUROPA, LA CRISI E LA MOSSA DELLA MERKEL ( da "Unita, L'" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: esse hanno finora evitato il collasso dei sistemi finanziari ed economici. Ciò detto bisogna aggiungere che semplici interventi macroeconomici non saranno in grado di rimettere in marcia lo sviluppo. Innanzitutto perché non siamo di fronte a una semplice crisi finanziaria, ma alla insostenibilità di un modello di sviluppo che ha accumulato enormi squilibri nell'economia mondiale;

La Cina ora scappa dai titoli Usa, Geithner pessimista ( da "Manifesto, Il" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Bce sulle svalutazioni che le banche dovranno ancora effettuare a causa dei «titoli tossici» rimasti nei loro bilanci: 283 miliardi di euro, che si andranno ad aggiungere ai 366 già registrati dall'inizio della crisi finanziaria. Le borse mondiali, che da tre mesi crescevano in attesa miracolistica della «ripresa», non l'hanno presa affatto bene: hanno perso tutte mediamente il 3%.

La Confidustria batte cassa. Ma è vuota ( da "Manifesto, Il" del 16-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: il governo ha «lavorato con grande impegno e la crisi è sostanzialmente passata: lo dicono gli osservatori internazionali». Che in realtà affermano semplicemente che il peggio della crisi finanziaria dovrebbe essere alle spalle, ma per l'economia reale, a cominciare dall'occupazione, i prossimi mesi saranno di lacrime e sangue.

Il tempismo di Blackstone Vende Extended Stay e scampa ancora il crac ( da "Stampa, La" del 17-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: ad accordi per sistemare il disordine causato dalla crisi finanziaria, ovvero dalle banche stesse. Dopo un crollo del 50% dei profitti nel 2008, Goldman Sachs è ritornata a un ritmo di crescita che le ha permesso di uguagliare i 38 miliardi di dollari che aveva realizzato nel 2006. Jp Morgan si sta vantando della sua quota record del 9% del mercato europeo dell'investment banking,

I nove punti irrinunciabili ( da "Stampa, La" del 17-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Il protezionismo Secondo l'autorità, la politica deve fuggire la tentazione di tornare al protezionismo e a politiche restrittive del mercato. 2. I monopolisti Assolutamente da evitare i «favori» a chi ha posizioni dominanti sul mercato. 3. La class action Da evitare anche i ritardi e gli impedimenti nella promozione di cause collettive dei consumatori.

Antitrust avverte "I consumatori vanno tutelati" ( da "Stampa, La" del 17-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Tentano un ritorno alle protezioni, e c'è il rischio che «i costi della crisi siano riversati sui consumatori». Il Parlamento? C'è uno «stillicidio» di norme «volte a restaurare gli equilibri del passato». Qualche prova dell'offensiva parlamentare in corso contro le liberalizzazioni?

Dimenticare Bisanzio per regole più semplici ( da "Sole 24 Ore, Il" del 17-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: che avrà fatto il vantaggio competitivo della piazza finanziaria londinese, ma che non è riuscita a prevenire disastri come quelli di Northern Rock o di Royal Bank of Scotland. Leggendo queste cronache, si ha l'impressione che la crisi finanziaria non solo sia passata, ma sia stata poco più di una fastidiosa malattia stagionale.

Sfida dell'Antitrust: no ai protezionismi Ora liberalizzare ( da "Sole 24 Ore, Il" del 17-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: no ai protezionismi Ora liberalizzare La recessione alimenta i rischi di protezionismo,con l'effetto di scaricare i costi della crisi sui consumatori senza risolvere gli annosi problemi di bassa crescita dell'economia italiana. A lanciare l'allarme è il presidente dell'Antitrust, Antonio Catricalà, nella Relazione annuale tenuta in Parlamento.

Il salto di qualità di Fondimpresa ( da "Sole 24 Ore, Il" del 17-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: ha sfruttata anche per far fronte ai danni prodotti dalla crisi finanziaria all'economia reale e in particolare al mercato del lavoro, modificando per questo anno e il prossimo i propri regolamenti. In particolare, ha eliminato, nei casi in cui ci sono lavoratori in cassa integrazione, l'obbligo di cofinanziamento che le aziende hanno quando attingono al Conto formazione.

Corsi e ricorsi della Grande Depressione ( da "Sole 24 Ore, Il" del 17-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Una crisi finanziaria provoca una crisi economica grave, e più severa ancora quando la crisi finanziaria è globale. Inoltre, il valore reale del debito governativo tende a esplodere: negli episodi successivi alla Seconda guerra mondiale, è salito in media all'86 per cento.

Un passo indietro sull'Opa ( da "Sole 24 Ore, Il" del 17-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: introdotte in risposta alla crisi finanziaria, dovrebbero essere eliminate al più presto, con il ritorno alla normalità dei mercati finanziari e dei corsi delle azioni. Esse rendono il nostro mercato dei capitali meno attraente per gli investitori istituzionali e scoraggiano l'afflusso di capitali dall'estero».

Tre pilastri per la exit strategy ( da "Sole 24 Ore, Il" del 17-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: tutti gli attori di questo processo di ridefinizione delle strategie monetarie e finanziarie future(le banche centrali, i governi, i controllori dei mercati) e in quell'occasione aveva avuto modo di parlare a lungo con il ministro dell'Economia americano, Tim Geithner, che per l'appunto si sta accingendo a varare il nuovo piano nazionale di ridefinizione delle regole di vigilanza.

I Bric all'attacco del re dollaro ( da "Sole 24 Ore, Il" del 17-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: acutizzata dalla crisi finanziaria. Il tema comune ai due vertici è stato dunque il desiderio di riformare l'ordine finanziario globale distribuendo i ruoli con maggiore equilibrio. Il desiderio, più che l'attuazione pratica. Quando a sera i leader dei Bric hanno tirato le conclusioni, dalla dichiarazione finale congiunta erano svaniti i riferimenti a una valuta di riserva sovranazionale,

Guardare avanti e battere le lobby ( da "Sole 24 Ore, Il" del 17-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: introdotte in risposta alla crisi finanziaria –ha detto Abete –, dovrebbero esser tolte al più presto, con il ritorno alla normalità dei mercati finanziari e dei corsi delle azioni. Esse rendono il nostro mercato dei capitali meno attraente per gli investitori istituzionali e scoraggiano l'afflusso di capitali dall'estero».

Concorrenza indesiderata ( da "Manifesto, Il" del 17-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: soprattutto in ragione della crisi finanziaria ed economica, più volte l'Autorità sia stata chiamata a riaffermare che concorrenza sviluppa nuova ricchezza da investire e da distribuire». Per lui deve essere stato un anno durissimo, con gli imprenditori mondiali scatenati nel chiedere dosi crescenti di «interventi di stato».

Usa, la capacità ritorna al 1982 Europa, prezzi fermi ( da "Manifesto, Il" del 17-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: promosso di sollevare la questione di una valuta di riserva globale al primo vertice formale con i leader del Bric ( Brasile, Russia, India e Cina) che detengono 3 miliardi di dollari di riserve. Insomma, un attacco al dollaro, anche se il Cremlino si è affrettato a dichiarare che «l'ultima cosa che vogliano evitare è una tempesta sui mercati finanziari» e «sfasciare il dollaro».

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: I governi inizino a pensare al dopo crisi» Draghi: strategia di uscita dalle politiche di spesa. Napolitano: ristabilire i valori DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO È il momento di iniziare a pensare al dopo crisi finanziaria, dice Mario Draghi. Non siamo ancora nella situazione in cui si possono adottare politiche e misure concrete - secondo il governatore della Banca d'

La vendita di Saab fa bene a Volvo ( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Economia Mercati Finanziari data: 17/06/2009 - pag: 37 Il caso a Stoccolma La vendita di Saab fa bene a Volvo (g. fer.) Il passaggio di proprietà, annunciato ieri, della Saab (da General Motors alla società di auto di lusso Koenigsegg) e, soprattutto, il fatto che l'acquirente sia svedese, ha favorito l'intero settore automotive alla Borsa di Stoccolma.

Indici ancora giù, balzo di A2A ( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 17/06/2009 - pag: 37 La Giornata in Borsa di Giacomo Ferrari Indici ancora giù, balzo di A2A Bancari in calo Banco Popolare e Popolare Milano cedono oltre tre punti percentuali Borse europee incerte dopo il forte calo della vigilia.

Abete al vertice dell'Assonime ( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: dovrebbero essere eliminate al più presto con il ritorno alla normalità dei mercati finanziari e dei corsi delle azioni». Secondo Abete queste norme «rendono il nostro mercato dei capitali meno attraente per gli investitori istituzionali e scoraggiano l'afflusso dei capitali all'estero ». Peraltro anche il recepimento in Italia della direttiva europea sulle offerte pubbliche d'acquisto,

Effetto Riyad, sale Ansaldo Sts ( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 17/06/2009 - pag: 37 Il caso a Milano Effetto Riyad, sale Ansaldo Sts (g. fer.) Balzo del 3,8%, il secondo per consistenza fra i 40 titoli che compongono l'Ftse- Mib, per Ansaldo Sts, che ha chiuso con un prezzo di riferimento di 12,03 euro, assai vicino al massimo dell'anno.

Soldi alla DueGi Oggi la risposta delle banche ( da "Stampa, La" del 18-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: crisi finanziaria che ne ha di fatto bloccato l'attività. Dal 3 giugno i 94 dipendenti hanno iniziato il presidio di fronte ai cancelli delle sede di Loreto. Da oltre tre mesi, pur continuando a lavorare, non percepiscono lo stipendio. Giovanni Battista Giaccardi, titolare della ditta, ha spiegato che il finanziamento servirà per pagare gli stipendi arretrati e per acquistare le

samuelson: "adesso attenti alle lobby banche e assicurazioni sono in agguato" - eugenio occorsio ( da "Repubblica, La" del 18-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: commenta in diretta con noi il progetto di riforma dei mercati finanziari dalla sua casa di Boston: «Lo sto vedendo in tv mentre faccio colazione». Premio Nobel 1970, è stato consigliere di John Kennedy ma soprattutto ha vissuto da studente gli anni della Grande Depressione. Obama ha fatto riferimento a quel periodo.

morgan stanley e jpmorgan restituiscono i fondi pubblici ( da "Repubblica, La" del 18-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: restituiscono gran parte degli aiuti concessi dal Tesoro Usa nella fase più acuta della crisi finanziaria e che hanno consentito alle banche di ripatrimonializzarsi. Jp Morgan ha ridato 25 miliardi di dollari, Morgan Stanley 10: in entrambi i casi si tratta di fondi relativi al programma di aiuti denominato "Tarp" (Troublet Asset Repurchase Program) con le quali il governo Usa, a suo tempo,

Wall Street e consumatori, la grande svolta di Obama ( da "Corriere della Sera" del 18-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Vincoli che rischiano di «ingessare» i mercati finanziari in una fase nella quale il motore di Wall Street già sta girando ad un ritmo molto ridotto. Ma il presidente sostiene il contrario: sa che il mercato è un insostituibile e straordinario produttore di ricchezza e dice di volerne uno «forte e vibrante;

Svolta protezionista a Pechino ( da "Corriere della Sera" del 18-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: 31 Il caso Spinta sui consumi dopo il piano di stimoli all'economia «Cade l'export, comprate cinese» Svolta protezionista a Pechino DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINO La direttiva è stata emanata con un dispiegamento di forze massiccio: da nove ministeri e l'ufficio legislativo del Consiglio di Stato, ovvero il governo. E il contenuto è elementare. Comprate cinese.>

Prysmian maglia nera, sale Bulgari ( da "Corriere della Sera" del 18-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 18/06/2009 - pag: 35 La Giornata in Borsa di Giacomo Ferrari Prysmian maglia nera, sale Bulgari Prosegue la fase di correzione per Piazza Affari e le altre Borse europee, che ieri in termini di capitalizzazione complessiva hanno bruciato altri 80 miliardi di euro.

Abu Dhabi spinge Finmeccanica ( da "Corriere della Sera" del 18-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Economia Mercati Finanziari data: 18/06/2009 - pag: 35 Il caso a Milano Abu Dhabi spinge Finmeccanica (g.dos.) La partnership industriale, nell'ambito dell'aviazione civile, rimane. L'ingresso nel capitale, per ora, non c'è, ma forse arriverà. Tra Finmeccanica e Mubadala, il fondo sovrano di Abu Dhabi, le relazioni sembrano destinate a rafforzarsi.

Vola Qualcomm, promossa da Goldman ( da "Corriere della Sera" del 18-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Economia Mercati Finanziari data: 18/06/2009 - pag: 35 Il caso a New York Vola Qualcomm, promossa da Goldman (g.fer.) La decisione di Goldman Sachs di inserire il titolo nella conviction buy list ha messo le ali a Qualcomm, produttore di chip e apparecchiature informatiche, quotato al Nasdaq, il listino delle società tecnologiche.

No a finanza selvaggia ( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: sulla proposta per nuove regole sui mercati finanziari. In un corposo documento, Washington punta l'indice contro la «finanza selvaggia » e propone un pacchetto di misure per evitare il ripetersi di crisi sistemiche: si va da un rafforzamento dei poteri della Federal Reserve, alla creazione di nuove authority a difesa dei consumatori e di controllo globale sul panorama finanziario.

La prima manager alla guida di AngloAmerican. ( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: legate alla crisi finanziaria globale, Carroll è finita di nuovo sotto tiro. Molti azionisti hanno cominciato a criticare l'acquisto della brasiliana Minas-Rio, un produttore di minerale di ferro per cui Anglo ha sborsato ben 5,5 miliardi in contanti nel marzo 2008, poco prima del crollo dei prezzi delle materie prime.

Il real estate regge in Italia ( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: attuale crisi finanziaria venivano letti in simbiosi, ma che oggi vengono visti sempre più in antitesi per l'eccesso di finanziarizzazione che ha travolto l'intera industria immobi-liare: un comparto che, al di là degli eccessi, comunque necessita, per sua natura e in misura più rilevante di altri, di un propulsore che consuma un ingente quantità di carburante finanziario.

Regole flessibili per i titoli illiquidi ( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: emerso con prepotenza durante la crisi dei mercati finanziari (quando gli scambi su prodotti strutturati o derivati sono del tutto evaporati), ha alimentato ieri il dibattito promosso dallo studio legale Allen &Overy assieme a Il Sole 24 Ore sull'attuazione della recente comunicazione della Consob sugli strumenti " illiquidi".

Europa sei un osservato speciale ( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: La ripresa dei mercati finanziari è un fatto auspicabile, ma se le banche, che sono una lobby molto potente, cominciano, come stanno facendo già ora, a restituire gli aiuti pubblici, si opporranno e non si farà più niente. Faccio l'esempio di un tema cruciale: la proposta di portare su mercati regolamentati i derivati,

Obama sbaracca la finanza Usa ( da "Manifesto, Il" del 18-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: per quanto riguarda i mercati finanziari, specialmente quelli dove si negoziano titoli derivati. Ad esempio, che senso ha che il mercato delle opzioni venga regolamentato dalla Sec e il mercato dei futures congiuntamente dalla Sec e dalla Commodity futures trading commission, quando fondamentalmente sono strumenti simili?

Da samurai a bamboccioni ( da "Stampaweb, La" del 18-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Ora sta arrancando sotto la crisi finanziaria con oltre il 180% di deficit sul Pil. Lo yen, una volta imperatore dell?Asia, ormai, nell?ordine delle monete globali, è dietro il dollaro, l?euro e fra poco anche lo yuan cinese. Dopo la fine di queste idee di grandezza, il destino del Giappone, e dei giapponesi, sembra incerto.

l'era della ri-regulation - luigi spaventa ( da "Repubblica, La" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Pagina 1 - Prima Pagina L´analisi L´era della ri-regulation LUIGI SPAVENTA è vacuo ritenere che la responsabilità della crisi finanziaria sia tutta e solo degli squilibri economici mondiali: degli asiatici che spendono troppo poco e riempiono di credito e di liquidità gli anglosassoni che spendono troppo. SEGUE A PAGINA 38

la finzione - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: di cui la crisi finanziaria che quell´elezione ha accompagnato sarebbe stata un fattore decisivo. Si tratta di vedere, dice Salvadori, se ne verrà un risanamento anche democratico, inteso come tentativo efficace d´inversione del rapporto di potere tra gli interessi delle oligarchie economiche, predominanti durante l´amministrazione precedente,

banche, la scommessa genovese di allianz ( da "Repubblica, La" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: non a caso dalla bufera dei mercati finanziari Allianz è uscito come primo al mondo nel campo assicurativo e al secondo posto tra gli investitori, con 1.138 miliardi di euro sotto gestione, 80 milioni di clienti in una settantina di paesi». Allianz Bank Financial Advisors in Italia ha 300 centri di promozione e 19,9 miliardi di euro sotto gestione.

fondi pensione in crescita ma il tfr rende molto di più - vittoria puledda ( da "Repubblica, La" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Ma non è riuscito certo a sottrarsi alla crisi finanziaria: nel 2008 la media dei prodotti negoziali ha perso il 6,3%, che sale a meno 24,5% per le linee azionarie (quelle più soggette alle oscillazioni dei mercati finanziari). Se ci si sposta ai fondi pensione aperti, le perdite medie salgono al 14% mentre i nuovi Pip nella versione unit linked hanno sommato perdite pari al 24,

Fondi pensione in cerca di ripresa ( da "Sole 24 Ore, Il" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: urto della crisi finanziaria, ma sono necessarie misure urgenti per estendere le adesioni, perché le pensioni future offriranno tassi di sostituzione sempre più bassi ai futuri pensionati. E il supporto dei fondi pensione si rivelerà indispensabile. La Relazione 2008 della Covip, la commissione di vigilanza sui fondi pensione guidata da Antonio Finocchiaro,

L'ex a.d. di Rbs si taglia la pensione ( da "Sole 24 Ore, Il" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: diventato il simbolo della crisi finanziaria e degli eccessi dei banchieri, era riuscito nell'ottobre scorso a negoziare bene la sua uscita di scena, ottenendo una pensione del valore di quasi 17 milioni di sterline in cambio delle dimissioni anticipate. Goodwin, architetto della politica espansionista di Rbs e in particolare della costosa acquisizione della banca olandese AbnAmro,

Il protezionismo pronto a rispuntare ( da "Sole 24 Ore, Il" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Principali protagonisti Stati Uniti e Unione Europea Il protezionismo pronto a rispuntare di Valerio Castronovo è divenuto sempre più evidente che a una crisi economica come quella che, da un anno a questa parte, ha assunto dimensioni e implicazioni di portata mondiale, si debba reagire con misure di carattere globale.

Ottimo il riassetto negli Usa anche se arriva in ritardo ( da "Sole 24 Ore, Il" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: ai credit default swap che tanto hanno contribuito al contagio della crisi finanziaria. «Ritengo di fondamentale importanza la decisione di irreggimentare hedge fund e contratti derivati –spiega Cantoni –.Finora non c'era regolamentazione, quegli strumenti potevano circolare senza controllo, la responsabilità di chi li emetteva era poco visibile e poco perseguibile».

Cercare il vento del credito ( da "Sole 24 Ore, Il" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: evitare il ripetersi di crisi finanziarie globali sono le due grandi sfide che i governi e le autorità di regolamentazione hanno di fronte. Per vincerle è necessario creare condizioni favorevoli per gli investimenti di lungo termine. Le misure annunciate nei diversi piani di salvataggio e la prevista riforma delle regole dei mercati finanziari e del commercio internazionale sono,

Dalla perplessità allo sconcerto. Dallo sconcerto alla preoccupazione. E all'affacciarsi d... ( da "Unita, L'" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: È anche parte dell'Eurozona, che è messa alla prova della crisi finanziaria globale». Per concludere che «non sono solo gli elettori italiani a chiedersi cosa stia succedendo. Lo fanno anche gli alleati perplessi dell'Italia». Una perplessità che cresce con il crescere degli scandali che investono il Cavaliere.

Fondi pensione, la crisi morde Rendimenti negativi nel 2008 ( da "Unita, L'" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Lo scorso anno le adesioni hanno registrato un +6%, un rallentamento nelle adesioni causato da «crisi finanziaria, deterioramento del mercato del lavoro e massiccio ricorso alla cig», ha specificato Finocchiaro. ma accanto a un avevrtimento, c'è anche una rassicurazione. Il sistema è sostanzialmente solido, nonostante la crisi finanziaria.

Dai leader europei primo sì a Barroso-bis ( da "Corriere della Sera" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: nuova supervisione comune dei mercati finanziari, che punta a evitare il ripetersi di turbolenze sistemiche. In programma restano le discussioni sulla crisi e sulla disoccupazione, insieme alla trattativa con l'Irlanda, volta a convincere il premier di Dublino Brian Cowen a lanciare nell'ottobre prossimo un secondo referendum sul Trattato di Lisbona per superare la vittoria del no,

Obama e i tempi (stretti) dei cambiamenti ( da "Corriere della Sera" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Ieri il New York Times criticava Obama per aver varato una riforma dei controlli sui mercati finanziari molto meno radicale e coraggiosa di quella imposta da Franklin Delano Roosevelt negli anni Trenta del secolo scorso (ma allora il potere di Wall Street era limitato, le banche erano più piccole e molte di loro erano fallite).

La recessione picchia duro sui fondi pensione: il secondo pilastro resta al palo ( da "Manifesto, Il" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: dallo stato comatoso in cui versano i mercati finanziari, non è difficile immaginare come andrà. A questo si aggiunge, si sottolinea nel rapporto, «il deterioramento del mercato del lavoro» e «il ricorso massiccio alla cassa integrazione» che, in quanto fattori di profonda erosione del reddito disponibile, non fanno che contribuire a frenare l'adesione alla previdenza integrativa.

Barroso e referendum irlandese, menu indigesto per il vertice Ue ( da "Manifesto, Il" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: paladino della direttiva Bolkestein, non si è accorto dell'arrivo della più grande crisi finanziaria mondiale, non ha reagito non solo dopo il fallimento della Northern Rock britannica (settembre 2007), ma neppure dopo quello di Lehman Brothers (settembre 2008). Ha frenato per evitare una regolazione europea degli hedge funds.

Promossa da Crédit Suisse, vola Snam ( da "Corriere della Sera" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Economia Mercati Finanziari data: 19/06/2009 - pag: 39 Il caso a Milano Promossa da Crédit Suisse, vola Snam Un report favorevole spinge Snam rete gas sopra quota 3 euro. La società, che ha da poco concluso l'aumento di capitale da 3,4 miliardi di euro, ha beneficiato di un upgrade da parte degli analisti di Crédit Suisse,

Rialzo targato Usa, scatta Unicredit ( da "Corriere della Sera" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 19/06/2009 - pag: 39 La Giornata in Borsa di Paola Pica Rialzo targato Usa, scatta Unicredit Mercato tecnico A condizionare il mercato anche le scadenze tecniche di oggi per future e opzioni Il primo calo, da gennaio, delle richieste di sussidi di disoccupazione Usa ha regalato,

Multinazionali: pochi big, molto Stato ( da "Corriere della Sera" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: la crisi arriva all'industria. Utili -75%, ricavi -26% MILANO La crisi finanziaria si è trasferita ora sull'economia. E il 2009 è cominciato in modo molto diverso per le grandi banche e le multinazionali industriali: nei primi tre mesi dell'anno le prime sono tornate al profitto, le seconde hanno accusato un brusco stop,

Il superindice spinge Bank of America ( da "Corriere della Sera" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 19/06/2009 - pag: 39 Il caso a New York Il superindice spinge Bank of America Salgono i titoli finanziari a Wall Street e a spingerli è il superindice economico, che anticipa l'andamento futuro dell'economia statunitense.

Lord Ralf, il tedesco che ripensò la libertà ( da "Corriere della Sera" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: come sempre parlò della crisi finanziaria ed economica, disse che il capitalismo era diventato un capitalismo fondato sul debito e che per uscire da questo pasticcio avremmo dovuto tutti ridimensionare i nostri standard di vita. Parlò della fine di una «cultura diffusa, ma molto diffusa, per la quale mettevi lì cinquanta euro e ti pareva normale che ti dessero un'

[FIRMA]LUCA FORNOVO La crisi dell'economia e delle Borse manda in rosso i fondi pensione. No... ( da "Stampa, La" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: la tempesta che ha sconvolti i mercati finanziari ha fatto anche rallentare drasticamente il numero degli iscritti alla previdenza complementare. Al punto che il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, è intervenuto sulla necessità di dare nuovo slancio ai fondi pensione. I dati emersi ieri dalla relazione annuale della Covip (Commissione vigilanza dei fondi pensione)

La crisi infetta le multinazionali ( da "Stampa, La" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: La crisi finanziaria, intanto, ha già rivoluzionato nel 2008 la classifica delle maggiori multinazionali al mondo. Sul gradino più alto del podio per capitalizzazione ci sono, grazie al boom del petrolio, i colossi del greggio. Ma l'americana ExxonMobil con un valore di Borsa di 291 miliardi circa, ruba il posto che l'anno prima era di PetroChina,

Presidio davanti alla DueGi e i titolari vanno in ferie ( da "Stampa, La" del 19-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: crisi finanziaria e ripartire con l'attività. La somma chiesta agli otto istituti di credito con cui l'azienda è in rapporti (Cassa di risparmio di Fossano, Intesa San Paolo, Unicredit, Monte dei Paschi di Siena, Banca Popolare di Novara, Credito Emiliano, Bnl e Cassa di risparmio di Savona) dovrebbe servire innanzitutto a pagare i tre mesi di stipendi arretrati ai 94 dipendenti

Un miliardo di persone senza cibo ( da "Corriere delle Alpi" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: di crisi finanziaria globale (che ha ridotto i redditi e aumentato la disoccupazione) e dall'aumento dei prezzi alimentari. La situazione di crisi economica di alcuni paesi in via di sviluppo è anche aggravata dal fatto che i trasferimenti monetari (le rimesse) degli emigrati nei loro paesi d'origine sono diminuiti nel corso di quest'

Tante offerte formative ( da "Stampa, La" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Finanza aziendale e mercati finanziari; Management pubblico; Professioni contabili. Il dettaglio degli insegnamenti impartiti nelle diverse lauree e lauree magistrali è reperibile sul sito della Facoltà (www.econ.unito.it). Test di ingresso. Anche per l'a.a. 2009/2010 la Facoltà di Economia conferma, per le aspiranti matricole,

l'auto di obama non aiuta il mercato - alessandro penati ( da "Repubblica, La" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: effetto domino sugli altri Stati che sta scatenando il protezionismo finanziario (i casi Opel, Saab, Peugeot, Renault, ma anche gli aiuti pubblici a Ford da Usa, Brasile, Australia, e dalla Bce). Il costo per i cittadini americani è strabiliante: 100 miliardi solo per Chrysler e GM. Non c´è garanzia che siano spesi bene;

scissione, tribunali e nuova f1 ferrari e team ribelli: "via mosley" - marco mensurati silverstone ( da "Repubblica, La" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: la crisi finanziaria non me lo permette. Sono certo che alla fine il prossimo anno i grandi team torneranno indietro, ora fanno così ma a marzo 2010, a Melbourne ci saranno. La loro è tutta una recita". Nei prossimi giorni dai siti internet degli otto team secessionisti partirà un grande sondaggio su scala planetaria per sceglie il nome della nuova serie.

la chiesa che preferisce l'obolo alla giustizia - francesco paolo rizzo ( da "Repubblica, La" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Vorremmo insomma, per dirla senza metafore, far finta di non capire che l´odierna crisi finanziaria ed economica richiede una profonda - e coraggiosa - ridistribuzione della ricchezza? Si dirà - e a ragione - che siffatto compito incombe specialmente sulle pubbliche istituzioni. SEGUE A PAGINA XIV

"ora le bugie del mercato sono sotto gli occhi di tutti" - giampaolo cadalanu ( da "Repubblica, La" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Quali sono i meccanismi perversi della crisi finanziaria? «La crisi del cibo ha due motivi principali: il primo è la speculazione sui beni di alimentazione primaria, che ha fatto crescere i prezzi dei cereali di base fino all´83 per cento. Il secondo è la produzione di biocarburanti, che pure ha motivazioni non insensate.

mercati, decolla la super-vigilanza ue - andrea bonanni ( da "Repubblica, La" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Dieci mesi dopo il punto più critico della crisi finanziaria, l´Unione europea ha deciso ieri di dotarsi di un sistema di sorveglianza comune che farà da «cappello» alle autorità di controllo nazionali, ma che avrà priorità su di esse. Di fatto, e nonostante le resistenze britanniche, è un altro importante pezzo di sovranità nazionale che viene devoluto a livello europeo.

LE FERITE APERTE DEI PIÚ PICCOLI ( da "Unita, L'" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: ultima considerazione è un appello e, al tempo stesso, un potente j'accuse rivolti ai potenti della Terra: «Mentre l'attenzione dell'opinione pubblica si concentra soprattutto sulla crisi finanziaria, il dolore dei bambini che vivono in Congo, Sudan, Pakistan e Sri Lanka rischia di finire nel dimenticatoio», denuncia l'Unicef.

Ue, nuove regole Truffa Ponzi , arrestato texano ( da "Manifesto, Il" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: istituzioni finanziarie del mercato unico europeo. Negli Usa intanto non avrà una gestazione facile il piano di riforma della regolamentazione finanziaria annunciato in pompa magna dal presidente Barack Obama. In particolare si starebbe formando una sorta di sbarramento bipartisan alla proposta di accrescere i poteri della Federal reserve e dotarla di compiti di supervisione sistemica.

Come si scrive la quiete dopo la tempesta (finanziaria) ( da "Sole 24 Ore, Il" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: nel contesto della crisi finanziaria iniziata nell'agosto 2007. E la Bce è interessata a queste riforme, in particolare all'aspetto macro-prudenziale, vale a dire alla creazione di un Comitato europeo per il rischio sistemico. La supervisione macro-prudenziale trae origine dal fenomeno di rischio sistemico.

Basi nuove per valutare il rischio ( da "Sole 24 Ore, Il" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: autorità di vigilanza sulle istituzioni e sui mercati finanziari. Quest'ultima ha le informazioni sui singoli operatori e sugli andamenti dei mercati, ed è responsabile per la stabi-lità delle istituzioni creditizie. La banca centrale dispone delle capacità analitiche per valutare il rischio macroeconomico e gli sviluppi globali dei mercati finanziari.

La Total licenzia chi sciopera ( da "Sole 24 Ore, Il" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: sintomo di un pericoloso protezionismo, ma gli scioperi si erano anche allora rapidamente allargati ad altri impianti e centrali di proprietà di altre società europee come E.On, Edf, Rwe e Shell. La crisi si era risolta con un compromesso: i lavoratori italiani e portoghesi avrebbero continuato a lavorare normalmente, ma la Total avrebbe assunto anche oltre 100 operai del posto.

E adesso salviamo la globalizzazione ( da "Sole 24 Ore, Il" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: counter alla nuova agenzia per la protezione del consumatore. Il vero dato positivo è che sancisce la fine dell'ubriacatura collettiva all'insegna dello slogan «lo Stato non si impicci». Si legge nel testo portato al Congresso: «Il nostro quadro di supervisione non era in grado di affrontare una crisi della grandezza che ci troviamo ad affrontare».

2 GOVERNANCE BASATA SU DUE PILASTRI ( da "Sole 24 Ore, Il" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: 2 GOVERNANCE BASATA SU DUE PILASTRI p La nuova regolamentazione europea dei mercati finanziari ricalca in gran parte il rapporto presentato a febbraio dal gruppo di esperti guidati da Jacques de Larosière. è articolata intorno a due pilastri: il Consiglio europeo dei rischi sistemici, che avrà il suo "dominus" nella Bce e compiti di sorveglianza macro-prudenziale;

Voci (smentite) di un interesse di Daimler ( da "Sole 24 Ore, Il" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: crisi finanziaria scoppiata l'anno scorso. Porsche controlla attualmente il 51% di VW. Ormai le due società stanno discutendo di una fusione, se non addirittura di un reverse takeover, in cui la preda diventa il predatore. Intanto ieri sera la rivista Manager Magazin spiegava sul suo sito che Daimler starebbe trattando con Porsche per un ingresso nel capitale della società di Stoccarda.

Interbanca vara il riassetto: in esubero metà del personale ( da "Sole 24 Ore, Il" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Braghieri cita la crisi finanziaria internazionale ma anche«l'inadeguatezza dell'organizzazione commerciale e delle relative strutture della banca», «l'esigenza di integrare a livello paese Interbanca con le società finanziarie di Ge » e «la necessità di rinnovare la gamma dei prodotti finanziari offerti alla clientela».

La Fao: un miliardo di affamati ( da "Sole 24 Ore, Il" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: E con il recente sconquasso dei mercati finanziari, ottenere prestiti è diventato difficile. A maggior ragione in quelle aree del mondo in cui il "rischio paese" era già elevato negli anni scorsi. © RIPRODUZIONE RISERVATA NUMERI SCORAGGIANTI Nell'Africa subsahariana i denutriti sono il 32%.

I fondi tedeschi tornano in Italia ( da "Sole 24 Ore, Il (Plus)" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: all'interno di un settore ancora in apnea a causa della crisi finanziaria. «Gruppi finanziari come Union Investment, Degi, Rreef e Commerzreal, – spiega l'avvocato Davide Apollo, partner dello studio Dla Piper – sono in cerca di opportunità e sono strutturati per investire in un mercato prudente».

I dati di 3M battono le attese ( da "Sole 24 Ore, Il (Plus)" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: un istituto non eccessivamente impattato dalla crisi finanziaria le cui attività sui capital market stanno procedendo particolarmente bene, i cui utili stanno attraversando un momento positivo e quota a un livello di sconto marcato rispetto ai propri diretti concorrenti. © RIPRODUZIONE RISERVATA «Tra i settori oggi scelgo energia, tecnologici e consumi discrezionali»

Fame nel mondo, superata la soglia del miliardo ( da "Corriere della Sera" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: la crisi finanziaria ha solo peggiorato l'impatto della speculazione sui prezzi agricoli. «Il mondo ha diritto ad avere un'agricoltura che ritorni ad essere capace di sfamare tutti i suoi cittadini. I dati della Fao tormentano la nostra coscienza civile e cristiana», ha dichiarato il ministro delle Politiche agricole,

Il colosso Glencore pensa alla Borsa ( da "Corriere della Sera" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Glencore pensa alla Borsa MILANO In mercati finanziari ancora incerti dove non si vede una nuova quotazione da tempo, si profila la possibilità che arrivi una initial public offer colossale. In Borsa, anche se non a breve, sta per sbarcare Glencore International, trader di materie prime dal peso talmente grande da essere ritenuto una delle società più influenti sul mercato del greggio,

Porsche, ora spunta la Daimler ( da "Corriere della Sera" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 20/06/2009 - pag: 43 Il caso a Francoforte Porsche, ora spunta la Daimler (g. fer.) La Porsche, che ha debiti per 9 miliardi di euro, è in trattative avanzate con Daimler, interessata a rilevare una quota del capitale.

Bene gli indici, sale Autogrill ( da "Corriere della Sera" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 20/06/2009 - pag: 43 La Giornata in Borsa di Giacomo Ferrari Bene gli indici, sale Autogrill Timido rialzo per Piazza Affari (+0,59% l'indice Ftse-Mib, +0,69% l'Ftse Italia All Share) nell'ultima seduta della settimana caratterizzata dalle scadenze tecniche mensili (circostanza,

Soci in manovra? Sprint di Edison ( da "Corriere della Sera" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Economia Mercati Finanziari data: 20/06/2009 - pag: 43 Il caso a Milano Soci in manovra? Sprint di Edison (s. agn.) Sprint di fine settimana per Edison, con il titolo che ha guadagnato a fine seduta il 6,25%. Una fiammata che potrebbe trovare una spiegazione nelle dichiarazioni a Reuters dall'amministratore delegato di Enìa,

Banche Usa in crisi, jet con i soldi pubblici ( da "Corriere della Sera" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: Il giornale finanziario statunitense precisa di aver consultato i dati sui voli dell'amministrazione aeronautica federale relativi ai jet di 14 banche che hanno ricevuto aiuti pubblici. Per il World Economic Forum di Davos nel gennaio di quest'anno, nel pieno della crisi finanziaria, il numero dei jet privati è stato addirittura superiore a quello dell'anno scorso.

L'intellettuale pentito: ( da "Corriere della Sera" del 20-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: visto che cade nel bel mezzo di una crisi di identità dell'America e di una gravissima crisi finanziaria innescata dall'uso eccessivo di strumenti «immateriali» è di Matthew Crawford: un curioso personaggio che ha cominciato la sua carriera come fisico in California, si è innamorato della filosofia conseguendo un'altra laurea e un PhD a Chicago,

Dopo Economist Helen ci prova in Confindustria ( da "Stampa, La" del 21-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: nella sua agenda per la Cbi al primo posto c'è la battaglia per garantire maggior credito alle imprese e sostegni per uscire dalla crisi. E chissà che, dopo la batosta dei mercati finanziari, col tempo e la sua proverbiale tenacia Helen non riesca anche a convincere i giovani anglosassoni a ritornare a quei settori manifatturieri tanto cari ai loro trisnonni.

Turisti, prenotazioni all'ultimo istante ( da "Corriere delle Alpi" del 21-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: gli operatori del settore temono la crisi finanziaria Turisti, prenotazioni all'ultimo istante ORTISEI. La stagione turistica estiva è iniziata. nonostante la crisi, le Dolomiti hanno già accolto i primi ospiti. Le sensazioni degli addetti ai lavori sono positive, ma tutti rimarcano la difficoltà nel fare delle previsioni a causa delle nuove abitudini dei turisti,

la paura fa cinquanta soprattutto a prato - pietro jozzelli ( da "Repubblica, La" del 21-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: La crisi finanziaria e quella dell´industria tessile e una forte emigrazione concentrata in alcune città (i cinesi a Prato) hanno poi funzionato da detonatore. Ma chiunque vinca, a Firenze e a Prato, avrà dei grandi problemi da affrontare. Bello sarebbe votare non contro ma per qualcosa.

Trapianto al fegato per Steve Jobs, ora torna al lavoro ( da "Corriere della Sera" del 21-06-2009)
Argomenti: Crisi

Abstract: sia da parte dei mercati finanziari che dell'intera comunità dell'informatica. La vicenda inizia nel 2004, quando l'inventore della Mela fa un annuncio choc e rivela di essere in cura per una forma di tumore al pancreas. Poi, l'anno scorso, durante un'apparizione pubblica in cui si mostra nella abituale tenuta in blue jeans e maglioncino,


Articoli

Indici in calo, balzo di Bulgari (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 13/06/2009 - pag: 37 La Giornata in Borsa di Giacomo Ferrari Indici in calo, balzo di Bulgari Deboli ma con flessioni contenute le Borse europee, frenate dal dato sulla produzione industriale in calo, mentre Piazza Affari è scesa un po' di più, con l'Ftse-Mib che ha sfiorato il punto percentuale (-0,98%) e l'Ftse Italia All Share appena sopra la soglia dei 21 mila punti, con un arretramento dello 0,95%. Sempre sottili gli scambi, per un controvalore di poco superiore ai 2,3 miliardi di euro. In compenso, nel paniere dei 40 titoli principali i prezzi finali di riferimento presentano in molti casi forti variazioni. Bulgari, per esempio, ha registrato un balzo del 6,8%, chiudendo a 4,165 euro, grazie alla promozione degli analisti di Goldman Sachs, che hanno migliorato il giudizio sul titolo portando il prezzo-obiettivo a 4,7 euro dai precedenti 3,6. Il nuovo rialzo di Impregilo (+4,17% a 2,56 euro, nuovo massimo dell'anno) è legato invece alla notizia del rinnovo del patto di sindacato tra i principali azionisti, che già la vigilia aveva avuto un primo effetto positivo. Anche Pirelli (+4,16%) ha confermato la fase rialzista già emersa giovedì e in questo caso la ragione è, almeno in parte, il buon giudizio di Deutsche Bank, mentre sono in corso assestamenti nell'azionariato del gruppo che fa capo a Marco Tronchetti Provera. Sul fronte dei segni negativi, il ribasso maggiore è stato quello di Banca Popolare di Milano (-4,24%). Segue Campari (-3,26%) che secondo indiscrezioni avrebbe allo studio l'emissione di un bond finalizzato a finanziare in parte l'acquisizione di Wild Turkey. Di poco superiori ai due punti percentuali, infine, gli arretramenti di Mondadori (-2,27%) e Tenaris (-2,06%). Impregilo Continua la corsa di Impregilo, che ieri ha raggiunto il nuovo massimo dell'anno

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Rgi, Opa di Benetton e Benini (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 13/06/2009 - pag: 37 Il caso a Milano Rgi, Opa di Benetton e Benini Il fondo 21 Partners di Alessandro Benetton insieme al fondatore di Rgi, Paolo Benini, lancia un'Opa sulla società, quotata al mercato Expandi, con l'obiettivo di ritirare il titolo dal listino. Il prezzo offerto per Rgi, che è attiva nel software e nei servizi di consulenza e di outsourcing per il settore assicurativo, è di 2,01 euro (in linea con il prezzo di ieri in Piazza Affari). A lanciare l'offerta sarà Newco Diana, controllata all'80,3% dal veicolo Holdco Afrodite, a sua volta partecipato per il 50,01% da Sirius, società di Benini (al quale fa capo il 23,54% di Rgi) e al 49,99% da Capitolootto (Benetton). Alessandro Benetton, fondatore 21partners

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BofA spinge British Telecom (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 13/06/2009 - pag: 37 Il caso a Londra BofA spinge British Telecom È stata la revisione al rialzo del giudizio assegnato al titolo da parte degli analisti di Bank of America a mettere le ali, ieri alla Borsa di Londra, a British Telecom. E a rilanciare di riflesso l'intero comparto delle telecomunicazioni in Europa. Bt Group (questa l'esatta definizione dell'azione quotata al London Stock Exchange) ha guadagnato il 4,09%, chiudendo a quota 96,80 pence, ma nel corso della seduta la quotazione era salita fino 98 pence. Non particolarmente elevati i quantitativi scambiati, pari a poco meno di 15 milioni di pezzi rispetto a una media negli ultimi tre mesi di 22,2 milioni. Ian Livingston ceo di Bt Group

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Sanità Usa modello Canada (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: COMMENTI E INCHIESTE data: 2009-06-13 - pag: 15 autore: Sanità Usa modello Canada Gli eccessivi costi (e la scarsa efficienza) spingono a guardare al Nord di Mario Margiocco S ono due, alla fine, le sfide che faranno il successo o meno di Barack Obama di fronte ai suoi elettori. Una se l'è trovata ed è il sistema finanziario americano, che deve rendere più solido. L'altra se l'è scelta ed è la creazione di un qualcosa che possa essere definito un sistema sanitario nazionale, che non c'è. La medicina americana è carissima, sostanzialmente privata - compagnie di assicurazione e non Asl - nonostante lo Stato spenda più, pro capite, che in Canada dove è pubblica. Costa quasi il 50% in più della media Ocse dei 30 paesi più sviluppati - l'Italia è di un soffio sopra la spesa media- per una qualità del servizio che neppure negli Stati Uniti svetta nelle classifiche. Eppure gli americani, meno che in passato ma sempre numerosi, restano perplessi di fronte all'idea di una medicina pubblica. Quella canadese, la più vicina, è rimasta immortalata nelle scene dei pasticci e ritardi ospedalieri in Le invasioni barbariche (2003) di Denys Arcand. Per gli italiani - e altri europei, a volte- sono casi familiari di quotidiana sanità. Per una certa America, la prova che lo Stato quando fa cose che non gli competono fa disastri e sciupa risorse. Solo che, alla prova dei fatti, anche la medicina privata americana sciupa molte risorse e questa è la carta migliore che ha Barack Obama.«Qualcosa costruito a partire dall'attuale sistema basato sui programmi aziendali e su quelli pubblici, con una notevole dose di assicurazioni private e meccanismi di mercato e molte riforme di procedura e pagamento destinate a creare risparmi - dice Drew Altman, presidente della Kaiser family foundation di Menlo Park, dedicata ai problemi della sanità - . Il tutto consentendo alla gente di mantenere gli attuali medici, ospedali e polizze assicurative, se lo desiderano». Sul tavolo per ora ci sono una serie di principi annunciati da Obama, una serie di policy options recentissime preparata dalla Commissione Finanze, e un progetto di legge, primo firmatario il senatore democratico del Montana Max Baucus. Nessuno prevede un vero sistema pubblico all'europea. Piuttosto un sistema misto, che si avvicina a quello canadese, con una polizza pubblica che affianchi o in alternativa a quelle private. Per dare un'opportunità ai 46 milioni di americani che non hanno copertura (non sempre gli stessi, la perdita di copertura dipende spesso dalla perdita del lavoro che la offre). Che consenta un'opzione a chi fra i 160milioni che hanno una polizza legata al contratto di lavoro nonè soddisfatto della situazione attuale. E che calmieri i costi delle assicurazioni private, o per quelle integrative spesso stipulate anche dagli ultra 65enni coperti dal Medicare. Non si dovrebbe arrivare quindi sia nel progetto della Casa Bianca che nella proposta di legge Baucus a un vero e dominante single payer pubblico, ma a un allargamento della quota di sanità pubblica. Sono i conti a indicare che la sanità americana così non può funzionare. Così come i conti indicano che la nostra difficilmente potrà assicurare in futuro tutto a tutti. Serviranno, in Italia, robusti ticket, e stabilire chi dovrà pagarli, se il parametro sarà quello fiscale ufficiale, aprirà un capitolo esilarante. Ma se quella italiana, e di altri paesi europei, è anche una crisi finanziaria più che annunciata, quella americana è una incredibile crisi in atto. Gli Stati Uniti hanno tre grandi programmi sanitari pubblici, Medicare, Medicaid e lo Schip, State children's health insurance program, più altri minori. Il primo assicura anziani (65 anni), cittadini o residenti legali da almeno 5 anni; più invalidi e cronici. Medicaid, che in parte si sovrappone a Medicare, copre gli indigenti; ma non basta essere poveri per venire inseriti, e infatti solo il 40% dei redditi bassi è coperto. Lo Schip per i bambini poveri. Vi sono poi vari programmi, relativamente minori, per i dipendenti federali. E infine la Veterans Health Administration, fino a 9 milioni di persone. In totale quindi meno di 100 milioni sono coperti dalla mano pubblica. I programmi aziendali coprono altri 160 milioni, anche se sempre più a fatica, poiché mentre tra il 2001 e il 2007 l'inflazione è stata del 17%e l'aumento dei salari del 19, il costo delle polizze aziendali è schizzato del 78 per cento. «Circa la metà della crescita della spesa sanitaria negli ultimi decenni è dovuta a mutameti di diagnosi e terapie resi possibili dallo sviluppo tecnologico», sostiene il Congressional Budget Office in un'analisi del 2008. Alla fine si arriva a una spesa che è senza confronti nel mondo sviluppato, costo medio oltre i 7mila dollari a persona, il 15,3%del Pil contro una media Ocse dell' 8,9, una cifra totale di 2.260 miliardi nel 2007 - si prevedono 4mila miliardi nel 2020, senza riforme - contro i 2.100 del 2006. Meno della metà di queste cifre è a carico dei bilanci pubblici. Ma è una quota che sta rapidamente aumentando, anche con l'invecchiamento dei baby boomers che entrano nel Medicare, e che potrebbe fra 15-20 anni seriamente compromettere la spe-sa federale, già fortemente in deficit. Al sistema canadese vengono imputati spesso ritardi: quattro settimane per uno spe-cialista, due per un'ecografia, quattro in media e sotto i tre mesi per la chirurgia. Uno studio del Commonwelth Fund ha indicato che solo il 21% degli americani ha aspettato quattro settimane per una visita specialistica. Ma è sul fronte finanziario che il confronto con il Canada parla più di ogni altro dato. La spesa sul Pil era, per il vicino del Nord, identica 40 anni fa ed è la metà adesso, e per una sanità tutto sommato migliore. Questo, e il fatto che esistono enormi disparità di spesa all'interno degli Stati Uniti, fa sì che la Casa Bianca di Obama presenti l'ancora incerto programma di riforma sanitaria non solo come un atto di giustizia sociale, ma anche come un urgente risanamento di procedure e pratiche mediche, con l'obiettivo di far diventare standard nazionale i livelli di spesa delle aree più virtuose, quelle dove la spesa media sanitaria è di 5mila dollari, come Rochester, Minnesota, sede della famosa Mayo Clinic, Seattle Washington, o Durham, North Carolina. La città peggiore, con 15mila dollari, è McAllen, Hidalgo County, Texas meridionale, 106mila abitanti ai confini con il Messico. «La causa principale dei costi estremi di McAllen è, semplicemente, l'abuso della medicina», dice Atul Gawande, un chirurgo indiano di Boston, nato a Brooklyn nel '65, una delle firme migliori sui temi sanitari cui The New Yorker ha affidato a maggio un'inchiesta sui costi, partendo proprio da McAllen. è la penna del medico che ordina esami e interventi inutili la causa prima del crollo di ogni logica sanitaria e finanziaria, sostiene Gawande, soprattutto quando il medico ha qualche quota di proprietà di ambulatori di analisi o di ospedali. Due giorni fa partiva con Barack Obama da Green Bay, Wisconsin, la campagna per una riforma ancora incerta e che non è detto debba trovare alla fine i consensi e soprattutto i fondi inizialmente necessari. Sempre due giorni fa la potente Ama, American medical association, 250mila iscritti su un totale di circa 700mila medici, si schierava contro, come fa da un secolo, in nome della libera scelta del cittadino. mario.margiocco@ilsole24ore.com © RIPRODUZIONE RISERVATA GLI OBIETTIVI Ottawa spende meno e meglio rispetto anche all'Europa: seguendone l'esempio, si vuole far diventare standard nazionale i livelli di spesa delle aree virtuose

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Proteggersi contro i protezionisti (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: COMMENTI E INCHIESTE data: 2009-06-13 - pag: 14 autore: Proteggersi contro i protezionisti di Jagdish Bhagwati e Arvind Panagariya D a più parti, nonostante i reiterati appelli dei leader del G-20 affinché la crisi non sia motivo di un'ondata di protezionismo, si sente lamentare il fatto che molti Paesi membri non si sono fatti scrupolo a partire lancia in resta proprio sulla strada del protezionismo. Ma sarebbe sbagliato arrivare alla conclusione che il G- 20 o è ipocrita o predica nel deserto. Non bisogna mettere nello stesso calderone il protezionismo illegale e quello legale. Il primo, nei rari casi in cui si verifica, rappresenta un fenomeno da stigmatizzare. Il secondo, più frequente, ha tratti più sfumati poiché consiste di azioni che la Wto ha scelto di considerare legittime in determinate circostanze (tra cui rientrano senza dubbio le difficoltà provocate da una crisi macroeconomica). Se si vuole limitare il proliferare di questo tipo di protezionismo, perciò, non ci si può limitare alle esortazioni e agli strali: serve una strategia diversa. Gli esempi più noti di protezionismo illegale sono i prestiti agevolati e le altre forme d'assistenza offerte all'industria automobilistica dai governi di Stati Uniti, Francia, Canada, Australia e Brasile. Si tratta di sussidi espliciti e mirati a un settore specifico, che non sono interamente proibiti ma che quasi sicuramente verranno contestati e riconosciuti come una violazione delle regole della Wto. è interessante che perfino Barack Obama, che a differenza del suo predecessore ha promesso di rispettare le regole, abbia adottato misure di questo genere. Il presidente americano e gli altri leader non hanno preso seriamente in considerazione l'ipotesi di garantire alle case automobilistiche un sostegno di altro genere, meno suscettibile, secondo gli esperti di legge, di violare le regole della Wto: stiamo parlando dei contributi statali non discriminatori per l'acquisto di un'auto,qualunque auto,indipendentemente dal fatto che venga prodotta a Detroit (una Buick della General Motors, ad esempio), che sia una macchina straniera prodotta in America (una Honda fabbricata in Ohio) o importata (una Mercedes prodotta vicino a Stoccarda). Dobbiamo includere nel conto anche quelle misure formalmente legali, ma applicate in modo illegale. è il caso dei provvedimenti relativi al Buy American Act contenuti nel pacchetto di stimolo messo in campo dall'amministrazione Usa. Gli stati e gli enti locali hanno difficoltà a capire esattamente cosa sia escluso da queste disposizioni, e pertanto di fatto le applicano in modo indiscriminato. Le misure illegali minano il rispetto delle regole, una delle principali conquiste delsistema Wto dopo la proliferazione incontrollata di barriere commerciali negli anni 30. Ma c'è un tipo di protezionismo consentito dalla Wto. Principalmente, gli Stati hanno la possibilità, in determinate situazioni, di "salvaguardare" le imprese nazionali dalla concorrenza estera, di prendere misure antidumping, di alzare i dazi doganali dai livelli correnti fino ai livelli massimi (ad esempio, come fece il Messico durante la crisi del peso nel 1994) e di operare discriminazioni negli appalti pubblici (l'amministrazione Usa, per esempio, può escludere l'India,il Brasile,la Cinae altri paesi non firmatari dell'Accordo sugli appalti pubblici dall'accesso agli appalti per la fornitura di beni o servizi al settore pubblico statunitense). Azioni di questo genere sono state relativamente rare (11 nel 2008 e 9 nel 2009 alla data del 25 marzo). Le iniziative antidumping sono aumentate nel 2008 a 207, contro le 163 del 2007, ma rimaniamo ben al di sotto del record del 2001 (366).L'incremento dei dazi è stato adottato nel settore delle calzature (in Kazakistan e in Ecuador), dell'acciaio (in India, Indonesia, Vietnam e Russia) e delle auto (Russia). Sappiamo che molte delle norme "legali" che autorizzano il protezionismo sono state accettate per contribuire a liberalizzare gli scambi. Nessuno liberalizzerebbe se non gli venisse garantita un'uscita di sicurezza per i periodi in cui le cose vanno male. Ma se gli stati fanno un ricorso indiscriminato a queste norme il pericolo, naturalmente, è di minare alla base lo stesso sistema degli scambi. E allora che cosa si può fare per impedire che il sistema degli scambi proceda a rotta di collo verso una catastrofe protezionistica (legale)? Una risposta importante può venire dal fatto che se un paese adotta una misura protezionistica scriteriata, altri possono scegliere di replicare con la stessa moneta. In un'economia mondiale fortemente interdipendente, come quella che abbiamo oggi, gli esportatori vedono con timore la possibilità di rappresaglie protezionistiche, come la recente reazione del Canada alle norme sul Buy American Act. Dove non arriva l'esortazione, arriva la minaccia di rappresaglia. Per contenere la diffusione indiscriminata del protezionismo legale, bisogna far balenare la prospettiva di ritorsioni. In teoria le rappresaglie possono scatenare una guerra commerciale, ma noi siamo convinti che prevarrà l'effetto deterrenza, ed è improbabile che avvenga nuovamente quello che successe negli anni 30: le nazioni si guarderanno bene dall'imboccare una strada che conduce alla reciproca distruzione assicurata. Gli autori insegnano alla Columbia University (Traduzione di Fabio Galimberti)

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L'Europa sceglie il meglio (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: COMMENTI E INCHIESTE data: 2009-06-13 - pag: 14 autore: ... L'APPALTO A HONEYWELL L'Europa sceglie il meglio L a decisione della Ue di assegnare al colosso ame-ricano Honeywell un ruolo nella realizzazione del nuovo sistema unico europeo di controllo dei voli civili ha un significato che va ben oltre il valore finanziario dell'appalto. è un messaggio politico e tecnologico preciso a chi, soprattutto negli Usa, guarda ancora all'Europa come a una fortezza protezionista: lavorare insieme è possibile, anche in momenti di grave crisi economica e di paure di mercantilismo industriale e finanziario. Nella cordata di grandi imprese europee (tra cui c'è Finmeccanica) chiamata a realizzare un sistema che costerà oltre un miliardo e mezzo dieuro,Honeywell sarà l'unica impresa americana, ma solo perché il suo know how si è rivelato superiore a quello della Boeing, che ha inutilmente tentato di aggiudicarsi l'appalto.L'Europa ha fatto la scelta migliore sotto il profilo tecnologico, ha dato una grande occasione di lavoro alle migliori società europee del settore aerospaziale e ha dimostrato agli Stati Uniti - dove crescono i fautori di misure come il «buy american» - che il protezionismo non è di casa a Bruxelles.

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Ue in allarme sul piano-Detroit (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: FINANZA E MERCATI data: 2009-06-13 - pag: 32 autore: Bruxelles: le misure di Obama «sono potenzialmente distorsive del commercio» Ue in allarme sul piano-Detroit Enrico Brivio BRUXELLES. Dal nostro inviato «Gli aiuti diretti a specifici settori e a specifiche aziende, come nel caso dei prestiti a Gm e Chrysler negli Stati Uniti, sono potenzialmente tra le misure più distorsive del commercio ». Il giudizio è tratto da un rapporto confidenziale della Commissione europea sull'impatto commerciale delle misure di stimolo dell'economia e di aiuto alle imprese che si stanno adottando nel mondo. La valutazione di Bruxelles, sui sostegni finanziari dati dall'Amministrazione Obama a Gm e Chrysler, spiegano fonti comunitarie, si limita a fotografare una situazione reale e non intende preludere ad imminenti azioni al Wto o a pressioni dirette su Washington. «Abbiamo fatto una ricognizione di tutte le principali misure con effetti sul commercio intraprese dai nostri partner – precisa Lutz Guellner, portavoce del commissario europeo al Commercio, Catherine Ashton – è normale che valutiamo quello che stanno facendo gli altri, così come gli altri stanno osservando cosa stiamo facendo noi europei. Sugli aiuti all'auto negli Stati Uniti non siamo giunti a conclusioni definitive, ma ci siamo limitati a rilevare che sono «potenzialmente distorsivi». Il rapporto di Bruxelles di 36 pagine, che viene presentato in queste ore ai Governi dei 27, è una sorta di Atlante dei nuovi aiuti e degli stimoli adottati nel mondo, che possono avere effetti dannosi sugli scambi. Viene ricordato l'impegno preso dal G-20 a Londra in aprile contro il protezionismo e si rileva che, sebbene non si sia innescata una vera spirale protezionistica, «l'emergere di nuove misure distorsive e restrittive del commercio dimostra che è necessaria un'estrema vigilanza ». Il documento comunitario prende in esame i piani varati dai principali partner dell'Europa e non manca di evidenziare i rischi,non solo negli aiuti per salvare il settore dell'auto negli Stati Uniti, ma anche in interventi per stimolare l'economia in Russia, Cina e molti altri Paesi. Si va dagli allarmanti aumenti dei dazi all'import adottati da Mosca, specialmente nella siderurgia, alle regole a favore dei prodotti locali negli appalti in Indonesia; un campanello d'allarme suona anche per le misure cinesi a favore della produzione nazionale e per le restrizioni sulle importazioni varate da Argentina, Bielorussia e Ucraina. In merito agli interventi per risollevare l'economia adottati dalla Casa Bianca, la relazione di Bruxelles osserva che «la maggior parte delle misure di stimolo ha avuto effetti positivi sulle imprese nazionali come su quelle straniere e sull'import. Tuttavia alcune mirate ad aiutare settori nazionali possono essere distorsive del commercio». Sul piano settoriale, il documento comunitario osserva che il comparto automobilistico appare «l'obiettivo principale di schemi restrittivi degli scambi» con gli Stati Uniti e la Russia particolarmente attivi. Si sottolinea che un vasto ventaglio di misure a rischio per l'auto si è accumulato nei vari piani anti-crisi adottati, da restrizioni alle frontiere da parte di Mosca e Kiev, a stimoli mirati da parte di Washington e Pechino. Occhi puntati di Bruxelles anche sull'acciaio. «Molti Paesi, in rappresentanza di circa il 25% delle importazioni mondia-li, hanno intrapreso misure nel campo della siderurgia, in particolare designate a limitare l'export - osserva il rapporto Ue - perciò il rischio di distorsioni commerciali è alto». © RIPRODUZIONE RISERVATA L'ANALISI In un rapporto confidenziale la Commissione ha valutato l'impatto degli stimoli all'economia introdotti dai principali partner

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Guzzetti: Sul caso Agricole è possibile una soluzione (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: FINANZA E MERCATI data: 2009-06-13 - pag: 33 autore: Banche. Il presidente di Fondazione Cariplo ottimista sull'accordo «light» su Intesa Guzzetti: «Sul caso Agricole è possibile una soluzione» I legali dei francesi al lavoro sul testo L'Antitrust attende le risposte di Passera Alessandro Graziani MILANO Conto alla rovescia tra i soci di Intesa Sanpaolo in attesa del nuovo patto parasociale che il Credit Agricole sta mettendo a punto insieme alle Generali sull'11% circa del capitale della banca italiana. Due giorni fa il direttore generale dell'Agricole, Georges Pauget, era in Italia per informare gli altri grandi soci di Intesa Sanpalo sui contenuti del nuovo accordo, che dovrà tenere conto dei rilievi dell'Antitrust sulla prima versione del patto. Ieri, tra le Fondazioni azioniste circolava l'indiscrezione che una prima bozza del nuovo testo messo a punto dai legali dell'Agricole fosse già oggetto di valutazione. E indiscrezioni pubblicate ieri dal quotidiano francese «Les Echos» accreditavano l'ipotesi che il nuovo accordo non dovrebbe più prevedere la presentazione di una lista congiunta GeneraliAgricole per la nomina di propri rappresentanti in consiglio di amministrazione. Anche se i francesi puntano comunque ad avere una qualche forma di controllo e monitoraggio delle decisioni che il consiglio di Intesa prenderà su temi rilevanti come la politica dei dividendi. Aldilà del consenso dei soci, che per il momento resta tiepido soprattutto tra le Fondazioni ex Sanpaolo, il vero ostacolo resta la posizione dell'Antitrust che dovrà valutarne la compatibilità con le restrizioni imposte ai francesi a seguito dell'acquisizione di Cariparma-Fiuladria. «Ottimista? Se la gente ha il senso delle cose che stanno accadendo non si può che arrivare alla soluzione, l'importante è che l'Antitrust sia d'accordo», ha commentato ieri il presidente della Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, azionista con il 4,68% di Intesa Sanpaolo alle spalle di Compagnia San Paolo ( 9,9%), Agricole (5,8%) e Generali ( 5,077%). Da Guzzetti è arrivata un'implicita apertura alle ragioni dell'Agricole, che deve fare i conti con il deprezzamento del titolo Intesa a seguito della crisi finanziaria internazionale che ha penalizzato le Borse e, in particolare, i valori bancari. Guzzetti ha anche confermato che l'Antitrust ha ammesso le cinque fondazioni azioniste di Intesa Sanpaolo al procedimentoavviato dall'Authority presieduta da Antonio Catricalà: «le Fondazioni sono intervenute per tutelare i propri interessi, il proprio investimento. Ora lasciamo lavorare coloro che si stanno occupando della partita ». Senza voler entrare nel merito del nuovo patto che stanno riscrivendo Agricole e Generali («noi non interveniamo in questi aspetti che non ci competono »), Guzzetti ha confermato invece l'impegno degli enti per evitare che l'Antitrust sanzioni Intesa Sanpaolo. «A noi come azionisti compete tutelare il nostro investimento ed evitare che l'Antitrust possa prendere provvedimenti sanzionatori e, dove li dovesse prendere, qualcuno dovrà rispondere». Come presidente della Fondazione Cariplo Guzzetti ha sottolineato che evitare sanzioni per la banca «mi sembra il minimo che un azionista può aspettarsi e deve richiedere». Entro i primi giorni della prossima settimana i legali di Intesa Sanpaolo trasmetteranno all'Antitrust le proprie controdeduzioni rispetto ai rilievi sollevatidall'Authority. Un documento che dovrebbe contenere una dettagliata ricostruzione del rispetto degli impegni assunti con l'Autorità a seguito della fusione tra Intesa e Sanpaolo e il «distacco» dall'Agricole. Intanto il precedente patto tra i francesi e le Generali resta sospeso fino al 30 giugno. Entro quella data, l'Agricole confida di poter presentare il nuovo accordo. Che, se sarà considerato efficace, consentirà alla Banque Verte di evitare proprio in extremis di dover svalutare di circa due miliardi nella semestrale la partecipazione in Intesa Sanpaolo. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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L'immobiliare ricetta anti-crisi: domanda boom (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: CASA E CASE data: 2009-06-13 - pag: 40 autore: QUI BERLINO L'immobiliare ricetta anti-crisi: domanda boom Luciano Barile A dispetto delle previsioni degli istituti di ricerca economica, l'interesse dei tedeschi per l'acquisto di un immobile continua a essere eccezionalmente alto. Tanto che il settimanale tedesco «Focus» ha dedicato recentemente la cover-story alla situazione del mercato immobi-liare, definito come il «settore vincente delle crisi finanziaria e congiunturale». Sulla base dei pareri di diversi esperti, «Focus» spiega a chi convenga comprare un appartamento o una casa e in quale città e in quali quartieri nelle varie regioni della Germania occidentale o orientale e chi invece dovrebbe farlo soltanto in casi eccezionali e con tutte le cautele possibili. Importante è valutare le chance di sviluppo di una città, capire se gli abitanti aumenteranno ose invece stanno per trasferirsi altrove ( trend,quast'ultimo accentuato dalla crisi). Le persone emigrano in regioni economicamente forti e ciò va attualmente a danno di molte regioni della Germania orientale, ma anche di alcune zone problematiche della Saar, della Renania- Palatinato, dell'Assia e dello Schlewig-Holstein. A dispetto della crisi, i prezzi degli appartamenti aumentano in molte grandi città tedesche dove mancano abitazioni e dove al momento si costruisce poco. Ad Amburgo, per esempio, dove annualmente sarebbero necessarie almeno nuove 3mila unità abitative. Oltre che nella capitale dell'ex Lega Anseatica (dove nella Marco-Polo-Tower in costruzione nella city portuale si arriva a chiedere fino a 10mila euro al metro quadro), la scarsità di appartamenti è un problema che si avverte anche a Monaco, Francoforte, Stoccarda e Colonia. In queste città già oggi mancano complessivamente qualcosa come 80- 90mila unità abitative, tendenza in aumento fino al 2025. Si calcola che fino a questa data, soltanto Monaco avrà bisogno di nuove 300mila abitazioni. Ma anche Colonia non scherza. Secondo il mensile Capital, che cita al riguardo l'istituto Eduard Pestel, a Colonia nei prossimi dieci anni sarebbe necessario costruire almeno 150mila appartamenti. In realtà si arriva a malapena a circa 2mila all'anno, con prevedibili ripercussioni sui prezzi e sugli affitti. Chi abita a Colonia già oggi calcola di dover devolvere circa il 40% del suo reddito per l'abitazione.Molti non ce la fanno e conseguentemente si trasferiscono nella città satellite di Chorweiler o nei quartieri periferici sulla sponda sinistra della città sul Reno. Nessuna minaccia di crisi immobiliare, infine, per le città in cui si trovano le università e gli istituti scolastici superiori. Uno studio di Deutsche Bank Research, che analizza lo sviluppo dei prezzi degli appartamenti in oltre 100 città tedesche negli ultimi dieci anni, giunge alla conclusione che le città universitarie, anche quelle piccole, come Heidelberg, Treviri, WÜrzburg o MÜnster restano sempre tra le più remunerative sotto l'aspetto immobiliare, sia a est che a ovest. © RIPRODUZIONE RISERVATA CORRE IL FABBISOGNO Si calcola che fino al 2015 Monaco avrà bisogno di 300mila nuove residenze A Colonia servono altri 150mila appartamenti

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Basta con la crisi: è l'ora della ripresa (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-06-13 - pag: 2 autore: Basta con la crisi: è l'ora della ripresa Necessario sostenere produzione e domanda interna in attesa che riparta il ciclo mondiale di Renato Brunetta G li analisti in tutto il mondo s'interrogano sui tempi della ripresa. La recessione sta decelerando? Siamo vicini alla risalita? Le risposte non sono omogenee e soprattutto sono molto volatili. I governi si pongono le stesse domande. Ma, a differenza degli analisti, i governi sono chiamati a influire su queste previsioni e quindi a dare risposte condizionate, cioè in parte dipendenti dalle politiche messe in atto. In parte, perché l'effettiva capacità dei governi d'influire sulla crescita economica è scarsa, soprattutto per quella di lungo periodo. è maggiore la capacità d'influenzare la congiuntura, soprattutto se essa è di tipo asimmetrico, se cioè colpisce un singolo paese o un'area del mondo. Ma è limitata se la recessione è globale, come nel caso che stiamo vivendo, e se, com'è il caso dell'Italia, il paese è una piccola economia aperta, fortemente integrata nei mercati internazionali. Non si tratta di una premessa per l'inazione della politica, ma al contrario per una lettura oggettiva dei dati della recessione al fine di condizionarne, per quanto possibile, l'evoluzione futura con politiche appropriate. I dati, anche quelli appena forniti dall'Istat relativi al primo trimestre dell'anno in corso sul Pil e le sue componenti di domanda, ci dicono che la recessione è grave, ma è nell'ordine delle recessioni conosciute negli anni 70. I dati confermano che l'Italia sta subendo l'impatto della crisi mondiale attraverso due canali principali: il collasso del commercio internazionale e la crisi finanziaria che ha determinato un restringimento del credito. Questo impatto si legge, nei dati congiunturali italiani, nella caduta delle esportazioni, conseguenza del crollo della domanda mondiale, e nella forte flessione degli investimenti, scoraggiati dall'incertezza sulla domanda futura e frenati dalle difficoltà di finanziamento. Nei dati si legge anche l'effetto del ciclo delle scorte che accentua la flessione della produzione nelle fasi di riduzione della domanda. I governi, presi singolarmente, possono cercare d'influenzare la domanda interna, cioè i consumi e investimenti interni, non quella estera. I consumi delle famiglie sono certamente diminuiti, ma in misura limitata tenuto conto dell'ampiezza della recessione. Negli ultimi tre trimestri di recessione essi hanno contribuito per meno di un quarto alla flessione del Pil, pur rappresentando la componente di maggior peso della domanda interna. La relativa tenuta dei consumi è spiegata dal fatto che i cosiddetti redditi fissi, cioè i redditi rappresentati da salari e pensioni, non sono colpiti dalla crisi, ma sono previsti al contrario crescere in termini reali grazie alla flessione del tasso d'inflazione. Evidentemente sono colpiti dalla crisi, tra i lavoratori dipendenti, coloro che perdono il lavoro e coloro che usufruiscono della cassa integrazione. Gli stanziamenti del governo per il sostegno di questi redditi sono stati fondamentali, non solo per un dovere sociale inderogabile dello Stato, ma per impedire la caduta della propensione al consumo. Se questa caduta non c'è stata è perché, di fatto, si sono ridotti, a causa della recessione, gli altri redditi, che sono principalmente i redditi da lavoro autonomo e altri redditi vari da capitale. è difficile dire quanti dei percettori di questi redditi siano soggetti a vincoli di liquidità, cioè non siano in grado di mantenere inalterati i propri consumi di fronte a una flessione temporanea dei propri redditi, anche perché gran parte delle famiglie percepisce contemporaneamente redditi di vario tipo. Tuttavia è certo che per una parte non trascurabile di essi è possibile non ridurre i consumi proporzionalmente. Non lo è invece per molte altre fasce di lavoro autonomo, più deboli, soprattutto per i tanti giovani e meno giovani che lavorano con contratti temporanei. Ma, si è detto, il governo è tenuto a far seguire l'azione alle analisi dei fatti. Fino ad oggi esso ha compiuto il suo dovere sui due fronti principali di impatto alla crisi. Ha stanziato fondi sufficienti a garantire sicurezza ai redditi di quei lavoratori dipendenti che vengono colpiti dalla flessione produttiva. Al tempo stesso, e come prima azione, ha offerto il sostegno necessario al sistema bancario italiano per superare difficoltà temporanee e garantire il risparmio degli italiani, bloccando così l'insorgere di situazioni di panico. Siamo ora entrati in una fase cruciale in cui si tratta di sostenere l'attività produttiva e la domanda interna per tre o quattro trimestri in attesa che riparta il ciclo mondiale. Ciò è necessario per tre motivi connessi tra loro. Il primo è che occorre impedire che cresca il costo sociale ed economico rappresentato dalla perdita di posti di lavoro o dalla riduzione delle ore lavorate. è preferibile, per quanto possibile, usare le risorse per creare o mantenere posti di lavoro che per sostenere i redditi di chi perde il lavoro, e questa strategia sarebbe favorita qualora si confermasse una dinamica dell'assorbimento di risorse per gli ammortizzatori sociali inferiore a quanto, per sicurezza, stanziato dal governo. Il secondo è che è necessario mantenere e rafforzare la capacità produttiva per poter cogliere la fase di ripresa. Il terzo è che bisogna stabilizzare gli altri redditi non da lavoro dipendente colpiti fortemente dalla crisi, soprattutto quelli delle fasce più deboli, e impedire che aumentino le difficoltà di accesso al lavoro per le nuove generazioni. Che fare quindi? Coniugare un'azione congiunta dal lato della domanda e dell'offerta. Dal lato della domanda, nell'ambito dei vincoli di bilancio, le risorse devono essere concentrate nella domanda pubblica di infrastrutture, di nuove tecnologie, di manutenzione del capitale pubblico e nell'incentivazione, spesso possibile a costo quasi nullo, della spesa privata nella stessa direzione ( piano casa, manutenzione del capitale fisico privato, tecnologie verdi e digitali). Quest'azione può essere favorita sia da una maggiore efficienza della Pa nei suoi pagamenti al settore privato sia da un'attenta ricomposizione della spesa pubblica che allenti, nel rispetto dell'obiettivo generale di deficit pubblico, i vincoli di bilancio cui sono sottoposti gli enti locali nell'attuazione dei propri progetti di investimento. Dal lato dell'offerta è necessario aumentare l'azione sul sistema bancario perché non faccia mancare il credito di sostegno all'attività produttiva e agli investimenti privati, cruciali non solo per il sostegno della domanda interna ma anche per mantenere e adeguare la capacità produttiva affinché risponda alla ripresa della domanda. Oggi non manca il risparmio, è necessario rimetterlo in circolo. L'autore è ministro per la Pubblica amministrazione e l'Innovazione LA LEVA FINANZIARIA Il risparmio non manca, bisogna metterlo in circolo: il sistema bancario non deve far mancare il credito agli investimenti privati Tempo di ripresa. Un visitatore osserva «Sixty watches», l'opera dell'artista austriaco Michael Schuster esposta ad Art Basel, l'esposizione di arte contemporanea in corso a Basilea REUTERS

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Guidi: Sgravi fiscali anti-crisi (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-06-13 - pag: 5 autore: Guidi: «Sgravi fiscali anti-crisi» Credito d'imposta, riformare la «rapina» Irap e detassare gli utili reinvestiti Nicoletta Picchio S. MARGHERITA. Dal nostro inviato Meno tasse sulle imprese, per reagire alla crisi. Dal credito d'imposta, all'Irap, che gli imprenditori hanno soprannominato «imposta rapina», ad una Tremonti-ter per detassare gli utili reinvestiti. è al fisco che Federica Guidi, presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria, ha dedicato gran parte della sua relazione, aprendo il convegno di Santa Margherita, dal titolo tutto declinato al futuro:"Dopo! La crisi, l'Italia e come prepararsi per ripartire". Le riforme sono il passaggio fondamentale, dal welfare alle liberalizzazioni. Ma è sugli strumenti per ridurre la pressione fiscale che la presidente di Confindustria si è concentrata. Restando comunque con i piedi per terra: «Sappiamo bene che la situazione attuale non consente la rivoluzione fiscale che il nostro Paese attende da 15 anni. Ma non si può nemmeno pensare che questo debba essere il momento del rimpianto». La premessa da cui parte la Guidi è che l'economia di mercato resta il motore della crescita. E che le imprese devono tornare a produrre ricchezza. Sono stati gli eccessi di alcune istituzioni creditizie, una politica monetaria eccessivamente espansiva della Fed, regole di corporate goverance che non hanno funzionato i veri motivi della crisi.«Non c'è stato un fallimento dell'economia di mercato». Lo Stato non può sostituirsi al mercato, la regolazione non può sostituirsi alla concorrenza. Servono però nuove regole, «quelle sbagliate vanno abolite». Ma «un'inflazione di regole può bloccare il sistema, è un rischio gravissimo». Altro pericolo, «gli interventi eccessivamente compiacenti verso le banche». Gli istitui di credito devono continuare ad essere imprese, anche in questa fase. «Vogliamo sottrarci ad una guerra di classe tra imprenditori e banchieri ». Ma, insiste la Guidi, «non si devono inaridire i flussi di credito alle imprese». Accanto alle banche, la politica: «non può rimanere inerte di fronte a questa tempesta economica. Bisogna ricostruire la fiducia, non bastano le promesse». Il fisco, secondo la Guidi, è un tassello fondamentale. Se per crescere bisogna innovare, una delle misure riguarda il credito di imposta. Il Governo in carica ha stabilito un tetto, con un meccanismo di prenotazione. Per la presidente dei Giovani, bisogna ritornare ad un sistema automatico. Poi l'Irap: potrebbe essere scissa in due componenti, a parità di gettito: un'addizionale Ires e un contributo sanitario a carico delle aziende. «Sarebbe nello spirito del federalismo fiscale, creerebbe una competizione tra territori». Inoltre si potrebbero sperimentare forme di incentivi alle aziende che stipulino polizze sanitarie a favore dei dipendenti: «Sarebbe un nuovo strumento di negoziazione salariale». Altro tema rilanciato dalla Guidi, è la detassazione degli utili reinvestiti per il periodo 2010-2012. «Ci sarebbe un costo in termini di minor gettito, ma gli investimenti sono l'unica leva per la ripresa e l'aumento dell'occupazione », ha insistito la presidente dei Giovani. Infine, una revisione del meccanismo di ammortamenti. Ma il fisco certamente non basta: bisogna sbloccare i debiti della Pubblica amministrazione, rivedere quelle norme urbanistiche che spesso rendono difficilissimo ampliareo aprire gli stabilimenti, rilanciare le infrastrutture, «facendo seguire le parole ai fatti». Se il mercato resta il principio di base, allora bisogna evitare forma di protezionismo e andare avanti sulle liberalizzazioni, a partire dai servizi pubblici locali. E la Guidi ha rilanciato ieri un tema rimasto da tempo sottotraccia, «un'indicazione per i nostri nuovi rappresentanti a Strasburgo»: il ritorno alla direttiva Bolkestein (libera circolazione delle prestazioni d'opera). Oggi, ultima giornata del convegno, con la presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, ed il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. © RIPRODUZIONE RISERVATA LA TEMPESTA MONDIALE Le regole vanno cambiate senza ingessare la finanza No a una guerra di classe tra le aziende e le banche, ma il credito deve fluire «Meno tasse sulle imprese». La presidente dei giovani imprenditori, Federica Guidi, con il ministro degli Esteri Franco Frattini e il presidente del Senato Renato Schifani INFOPHOTO

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Il G-8: uscire dagli aiuti pubblici (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-06-13 - pag: 3 autore: Il G-8: uscire dagli aiuti pubblici Preoccupa il debito, ma c'è divergenza sul timing per una frenata del sostegno Alessandro Merli LECCE. Dal nostro inviato Con la fase più acuta della recessione globale che alcuni dati economici fanno pensare possa essere superata, i ministri finanziari del G-8 hanno cominciato a interrogarsi su un possibile piano di rientro dai massicci piani di stimolo fiscale adottati nei mesi scorsi, per evitare che l'esplosione del debito pubblico possa rinfocolare le turbolenze sui mercati finanziari dopo il terremoto degli ultimi due anni. Il recente aumento dei rendimenti sui titoli di Stato americani e la debolezza del dollaro sono considerati i segnali più preoccupanti e sottolineano il rischio di muoversi troppo tardi. Una sottrazione prematura dello stimolo alle economie potrebbe però far abortire anche quei timidi segnali di ripresa intravisti nelle ultime settimane, come riconoscono anche i sostenitori della linea più rigorosa, a partire dai tedeschi. All'arrivo a Lecce, i ministri presentavano tuttavia uno spettro di opinioni diverse, sia sull'evoluzione della crisi sia su modi e tempi della normalizzazione, la cosiddetta exit strategy, delle politiche economiche. Il Fondo monetario, nell'analisi dell'economia mondiale che fa da sfondo alla discussione dei mi-nistri, indica che, proprio in virtù delle azioni di stimolo monetario e fiscale, nel 2010 la crescita mondiale potrebbe raggiungere il 2,4%, oltre l'1,9 previsto ad aprile. «La forza della tempesta globale – ha detto il segretario al Tesoro, Tim Geithner, che ieri ha avuto un colloquio con il governatore Mario Draghi – si è un po' ridotta », grazie alle azioni intraprese. Anche per il ministro canadese, Jim Flaherty, «ci sono indicazioni che l'economia reale sta migliorando » e il cancelliere britannico, Alistair Darling, si è definito «fiducioso ma cauto». Il National Institute for Economic and Social Research ha rilevato che ad aprile e maggio l'economia inglese ha registrato una crescita positiva. I dati migliori vengono dalla Cina, che però non partecipa al G-8. L'Europa è in ritardo. L'incontro di Lecce è stato preceduto, oltre che dalla preoccupata valutazione dei mercati obbligazionari e valutari, dalle sollecitazioni di alcuni banchieri centrali, a partire dal presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, e quello della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, ad avviare la riflessione sul rientro per i conti pubblici (i governatori però non sono presenti alla riunione, che prepara il vertice de L'Aquila e le questioni valutarie non sono in agenda): l'Fmi ha stimato che in media i paesi del G-20 (il G-8 più le grandi economie emergenti) registreranno dall'inizio del 2008 e la fine del 2010 un aumento del debito pubblico del 20 per cento. «Vogliamo che le azioni stimolo siano mantenute», ha sostenuto Geithner, ma il ministro tedesco, Peer Steinbrueck, ha preferito concentrarsi sulla exit strategy, pur riconoscendo che «un accordo sarà difficile». Per la francese Christine Lagarde «dobbiamo pianificare in anticipo quale sarà questa strategia e come affrontare i problemi delle nostre finanze pubbliche ». Il rafforzamento dei sistemi bancari e la ripulitura dei bilanci delle banche vengono considerati passi indispensabili per sostenere la ripresa, ma anche qui i punti di vista divergono. Secondo il canadese Flaherty, i paesi europei, che anche secondo l'Fmi hanno finora portato a galla una percentuale minore delle perdite, dovrebbero fare di più. Anche in Europa, però, non c'è intesa sull'opportunità di pubblicare i risultati degli stress test sui bilanci bancari, come hanno fatto gli Usa: Lagarde è favorevole, Steinbrueck contrario. Fiducioso però il padrone di casa, il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, prima della cena di lavoro che avviato il G-8. «Troveremo un accordo su una posizione comune », ha detto. EXIT STRATEGY Il tedesco Steinbrueck chiede di concentrarsi sull'«uscita» Il segretario Usa Geithner vede Draghi: segnali positivi, ancora azioni di stimolo

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Un salvataggio da 5.300 miliardi (sezione: crisi)

( da "Manifesto, Il" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

BANCHE UE Un salvataggio da 5.300 miliardi I governi europei hanno stanziato in totale 5.300 miliardi di dollari di finanziamenti per aiutare le banche durante la crisi finanziaria. Il primo consuntivo dei fondi pubblici utilizzati, il cui ammontare supera i 3.300 miliardi del Pil tedesco che è il più grande dell'Unione europea, è contenuto in un documento realizzato dalla Commisione Europea e la Bce con la collaborazione degli stati membri, anticipato dall'agenzia Bloomberg. Al primo posto nella speciale classifica dei salvataggi si colloca la Gran Bretagna con 781 miliardi di euro (1.100 miliardi di dollari), seguita dalla Danimarca che ha nazionalizzato 13 istituti di credito e speso quasi 600 miliardi di euro. La Commissione europea sta ora lavorando alla creazione di un'agenzia con potere normativo per monitorare i rischi nell'economia dopo che la crisi ha portato 460 miliardi di perdite in tutto il continente. Per il presidente della banca centrale europea, Jean-Claude Triche, la situazione economica resta ancora «difficile» e «imprevedibile», le banche centrali devono rimanere «in allerta permanente». e per questo ci vuole una rapida messa in pratica delle misure anti-crisi di stimolo fin qui adottate. La Bce, ha proseguito, ha adottato misure «eccezionali» contro la crisi. Ora resta impegnata sul fronte della stabilità dei prezzi, sottolineando che le aspettative inflazionistiche di lungo termine sono estremamente resistenti alle fluttuazioni dei prezzi, e sono «fermamente ancorate». Gli economisti delle banche centrali europee prevedono un calo del tasso di inflazione di Eurolandia sotto zero nei prossimi mesi, per poi risalire in territorio positivo verso fine anno.

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Regole da inventare, energia da garantire, conti Usa da risanare (sezione: crisi)

( da "Manifesto, Il" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

DIARIO DELLA CRISI Regole da inventare, energia da garantire, conti Usa da risanare Francesco Piccioni Tutti gli sforzi per «uscire dalla crisi» hanno bisogno di un pilastro fondamentale: un sistema di regolazione finalmente credibile per i mercati finanziari e, quindi, per le grandi banche. Anche per questo sembra si siano incontrati anche ieri il ministro del tesoro Usa, Tim Geithner, e il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi (nella sua veste di presidente del Financial Stability Forum). Le indiscrezioni parlano della possibilità di introdurre anche in Europa gli «stress test» per le banche adottate oltreoceano. Se fosse così, sarebbe quasi tempo perso: gli «stress test» Usa, infatti, prevedevano risultati «concordati» con le stesse banche. Quindi poco attendibili. Più complesso, o più serio, appare il tentativo europeo di varare una riforma della vigilanza finanziaria. Un testo è stato preparato in vista del vertice di giovedì e venerdì prossimi, a Bruxelles. Secondo le indicazioni della Commissione dovrebbero esserci due nuovi capisaldi - un Board sui rischi sistemici e un Sistema dei supervisori - ma ci saranno da superare le resistenze della Gran Bretagna e di alcuni paesi dell'Est. Che incredibilmente sembrano non aver ancora imparato la lezione durissima imposta dalla crisi e pretendono, perciò, che non si creino poteri sovranazionali che abbiano capacità decisionale a scapito di quelli nazionali. La Francia, al contrario, guida l'ala dei paesi che ritengono le proposte fin qui fatte fin troppo timide. Non ci sarà da perder tempo. Anche perché c'è fronteggiare la minaccia di una nuova «crisi del gas» con l'avvicinarsi dell'inverno. L'Ucraina non riesce a far fronte ai suoi debiti con Mosca, con il risultato che - insieme proprio ai russi - chiede investimenti tra i 4,2 e i 5 miliardi di euro per costruire strutture di stoccaggio del gas sul proprio territorio. L'allarme preoccupa tutti, meno il ministro Scajola, convinto che basti l'apertura del rigassificatore di Rovigo per coprire ogni possibile defaillance sul «fronte russo». L'energia, in ogni caso, domina le preoccupazioni dei mercati globali. Wall Street, dopo oltre due mesi di rialzi che hanno consentito guadagni nell'ordine del 30% rispetto ai minimi di marzo, sta valutando gli effetti del raddoppio - nello stesso periodo - del prezzo del petrolio. Da un lato ne hanno guadagnato i titoli del settore (energetici e materie prime), ma il rialzo del prezzo rischia di «congelare» i sogni di ripresa economica. Sotto osservazione anche i rendimenti dei titoli di stato Usa (+4% in una settimana), spinti dalla debolezza del dollaro e dal mega-deficit statale Usa. Un avvisaglia di inflazione che ha già spinto Ben Bernanke a premere per rimettere ordine, il prima possibile, nei conti di Washington. Se sarà possibile...

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L'Enpapi nel 2008 guadagna il 7,3% (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il (Plus)" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

Plus sezione: ATTUALITA data: 2009-06-13 - pag: 13 autore: Casse. Le mosse degli infermieri L'Enpapi nel 2008 guadagna il 7,3% In portafoglio titoli di Stato, corporate e BTpi Ora il fotovoltaico A volte farsi guidare dalla paura può portare a risultati positivi. Certo, confrontato con quanto accaduto lo scorso ottobre, l'estate del 2007 potrà passare alla storia come un semplice campanello d'allarme della crisi finanziaria che stava per abbattersi sui mercati. Ma è pur vero che gli scossoni borsistici di quei mesi hanno indotto i vertici dell'Enpapi (la cassa previdenziale degli infermieri, 160 milioni di patrimonio e oltre 15mila iscritti) a decidere di liquidare quasi tutte le posizioni e di avere in portafoglio titoli monetari per l'85% del totale (9.6% in obbligazioni e 4,3% in hedge fund). I risultati sono evidenti nel bilancio 2008, approvato il 29 maggio scorso e già sul sito dell'Ente previdenziale. La performance degli asset mobiliari è stata positiva per il 7,3%, un dato più che doppio rispetto alla media del Pil quinquennale, il +3,46%, come imposto dalla legge per le Casse ex 103. Una performance ottenuta grazie al progressivo aumento nel corso del 2008 della quota di obbligazioni, in particolare BTpi, indicizzati cioè all'inflazione, oltre a corporate bond e titoli di Stato. Tra le new entry 2008 del portafoglio degli infermieri in portafoglio si registra anche un fiche nel Fondo Italiano per le Infrastrutture – F2i, con 2 milioni allocati lo scorso anno, con l'impegno per salire in cinque fino a 60 milioni. Acquistano molto spazio le polizze assicurative, ora al 16,6% del totale, mentre per la parte immobiliare c'è da registrare l'acquisto della sede centrale dell'Enpapi, per un ammontare di 20 milioni di euro, cui se ne aggiungeranno altri per la ristrutturazione. La strategia futura della Cassa non sembra orientata a tornare ad investire nel rischio, quanto piuttosto a diversificarlo: «Stiamo procedendo ad acquistare immobili per le nostre sedi sul territorio – dice Mario Schiavon, presidente di Enpapi –. E stiamo studiando la possibilità di investire nel fotovoltaico. A questo scopo abbiamo pensato di destinare 10 milioni di euro in investimenti diretti, in attesa di aumentare la quota nel prossimo futuro». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Guardare al passato è un errore (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il (Plus)" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

Plus sezione: ATTUALITA data: 2009-06-13 - pag: 7 autore: INTERVISTA Marc Taborsky Pimco «Guardare al passato è un errore» «D iversificare le classi di investimento non è più sufficiente, se ci si vuole veramente proteggere da shock sistemici come quello degli ultimi mesi occorre ragionare in termini di fattori di rischio». Marc Taborsky – vice presidente esecutivo di Pimco, la società californiana fondata da Bill Gross – non risparmia critiche ai tradizionali metodi di asset allocation, rei di basarsi sulla logica dello "specchio retrovisore". «Per costruire un portafogli – spiega – ci si avvale in genere di previsioni a lungo termine per le diverse categorie di investimento che sono ottenute sulla base di ciò che avvenuto in passato: performance, volatilità e relazioni storiche fra le varie categorie. Ma tutto ciò può condurre a scelte errate». Perché? La crisi finanziaria ha drammaticamente dimostrato che le categorie di investimento sono sempre più interconnesse fra loro, in particolar modo nelle fasi di tensione sui mercati. Nel 2008 azioni, materie prime, bond societari si sono mossi in un'unica direzione, proprio per questo gli investitori non si potranno limitare a diversificare le categorie di investimento nella speranza che ciò determini anche una diversificazione del rischio. Che soluzione proponete? Il nostro approccio si basa sull'analisi di ciò che può avvenire realmente in futuro: cerchiamo di valutare i possibili fattori di rischio (che sono poi le ragioni fondamentali che determinano le dinamiche tra le varie categorie di attivi) e quindi i rischi effettivi che l'investitore assume. Da questi cerchiamo di difenderci, coprendo anche il pericolo che si verifichino eventi estremi come la crisi degli ultimi mesi. Il cosiddetto "cigno nero", dal quale pochi sono riusciti a difendersi. Esatto, si tratta di eventi che secondo una curva normale di distribuzione di probabilità sarebbero estremamente rari, ma che nella realtà si verificano poi più spesso di quanto ci si potrebbe attendere come dimostrano gli ultimi 30 anni di storia. Per coprirsi da questi rischi i nostri fondi utilizzano una serie di strumenti, principalmente opzioni e titoli assimilabili, in base ai diversi strumenti e alle aree geografiche. Così si rinuncia a qualche punto base di rendimento in cambio di paracadute adatti nelle varie fasi di crisi. Una strategia da investitore istituzionale, cosa può fare il piccolo risparmiatore? Esistono alcune asset class che tendono a comportarsi bene nei momenti di crisi dei mercati: mi riferisco in particolare a oro, titoli di Stato Usa a breve termine, ma anche a certe valute come dollaro, yen e franco svizzero che tradizionalmente vengono viste come un rifugio nelle fasi di tensione. Cambia anche l'orizzonte di investimento ottimale? Ragionare nel lungo termine ha ormai senso soltanto per chi ha un portafoglio strutturato e segue una regola di asset allocation rigida. Noi preferiamo avere una visione strategica al massimo di 3-5 anni, alla quale sovrapponiamo un'analisi sulle prospettive cicliche dei prossimi 6-12 mesi. Quale sarà l'elemento scatenante della prossima crisi? Vista l'enorme quantità di moneta che le Banche centrali stanno stampando per superare la crisi finanziaria è probabile che l'inflazione sarà il principale rischio dei prossimi anni. Più difficile invece prevedere quando ci sarà lo shock e da questo elemento dipende la scelta della copertura efficace. © RIPRODUZIONE RISERVATA «Occorre valutare i rischi effettivi per individuare asset decorrelati» Marc Taborsky Vicepresidente Pimco

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Keep it simple per capire la crisi finanziaria (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il (Plus)" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

Plus sezione: ATTUALITA data: 2009-06-13 - pag: 9 autore: STUDIO «Keep it simple» per capire la crisi finanziaria • Perchè il sistema finanziario mondiale è entrato in impasse? E quali sono le strategie da mettere in atto per evitare che lo tsunami finanziario si ripeta? Una risposta arriva da un studio pubblicato da Stefano Micossi e Carmine Di Noia, rispettivamente direttore e vicedirettore generale di Assonime. "Keep it simple: policy responses to the financial crisis" propone infatti nuove regole per le architetture macroeconomiche mondiali, a partire da quella statunitense. Gli autori mettono in guardia dal rischio di un eccessivo ricorso alla legiferazione, che potrebbe rivelarsi controproducente per i mercati. La soluzione, invece, potrebbe passare per una maggiore semplificazione ma anche per una piena applicazione della regolamentazione già in atto. Il lavoro, scritto in inglese e pubblicato da Assonime e dal Ceps, è a disposizione anche online sui siti www.assonime.it (sezione Note e Studi) e www.ceps.eu.

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Caccia al portafoglio anti-shock (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il (Plus)" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

Plus sezione: ATTUALITA data: 2009-06-13 - pag: 7 autore: Tregua sui mercati. I gestori rielaborano le strategie alla luce del crack Lehman Caccia al portafoglio anti-shock Correggere il Value at Risk e dare più peso al fattore liquidità degli strumenti N ove mesi sono trascorsi ormai da quel fatidico 15 settembre, data del fallimento Lehman Brothers, e i mercati sembrano, con i dovuti scongiuri, aver ritrovato quel minimo di tranquillità. Intendiamoci, rialzi e ribassi sono sempre all'ordine del giorno, ma tutto sembra filare sui binari della normalità e da alcuni mesi ormai non capita più di assistere a quelle giornate di autentico panico che hanno seguito il crollo del sistema finanziario. Tanto per fare un esempio, l'indice Vix che misura la volatilità attesa sull'Indice S&P 500 di New York e che rappresenta – se non un indicatore per il futuro – almeno un buon barometro dell'aria che in questo momento si respira fra gli operatori, è tornato sui livelli pre-Lehman: sotto il 30% e lontano dal picco dell'80% registrato lo scorso novembre. E nel momento in cui i guru dell'economia si interrogano sui motivi della crisi finanziaria e cercano di trarne «lezioni per il futuro», anche il mondo dei gestori si ferma a riflettere per rivedere i metodi di costruzione o di gestione del rischio di un portafoglio alla luce dei nuovi scenari. L'irrinunciabile Var Sotto accusa è finito soprattutto il Value at Risk (Var), un metodo di misura del rischio finanziario che deve il suo successo anche all'immediatezza e alla comprensibilità per i non addetti ai lavori, visto che indica la percentuale di perdita massima che può subire un'attività finanziaria o un portafoglio in un determinato orizzonte temporale. Ma anche uno strumento che ha dimostrato i suoi limiti, perché non è stato in grado di mettere al riparo da quegli eventi straordinari (che poi così rari non sono) che si sono verificati negli ultimi mesi. Chi difende il Var sostiene che il problema stia nell'utilizzo che se ne fa e non nello strumento in sé, ma la sensazione è che nonostante tutto non sia poi così facile da accantonare: «Non si può rinunciare al Var, ma si può cercare di renderlo più funzionale esplicitando in modo migliore la percentuale di rischio e l'arco temporale», conferma Andrea Delitala, responsabile dell'Investment Advisory di Pictet Funds. Che poi aggiunge: «In fondo la vera novità introdotta dalla crisi post-Lehman è l'impossibilità di liquidare gran parte degli strumenti di investimento nelle fasi più acute della tempesta ed è soprattutto di questo aspetto che dovranno in futuro tenere conto sia i gestori nel costruire un portafogli, sia le autorità nell'intervenire per regolamentare i mercati che non hanno funzionato». Illusi dalla diversificazione Altro elemento, oltre alla liquidità, che ha caratterizzato l'anno appena alle spalle è il tramonto del mito della diversificazione delle attività come metodo efficace per limitare i rischi di investimento. «Il 2008 – conferma Massimo De Palma, responsabile Asset management di Julius Baer Sgr – è anzi stato caratterizzato da una forte correlazione tra le varie asset class che non ha fatto che creare ulteriori problemi: alla fine si è salvato soltanto chi è rimasto liquido o al limite ha puntato sui titoli governativi dei Paesi industrializzati». Suddividere il portafoglio in varie categorie di investimento, insomma, non è più sufficiente per mettersi al riparo da sorprese. «Se si inseriscono attività che si muovono nella stessa direzione come per esempio azioni emergenti, materie prime e corporate bond – aggiunge Delitala – non si diversifica, anzi si fa maggior danno: il consiglio è di non guardare tanto all'aspetto geografico o alla categoria di investimento, quanto di considerare il fattore di rischio che sta dietro ogni investimento e di scegliere attraverso questo metodo asset decorrelati». Capire quali siano gli elementi di rischio effettivi di un portafoglio può dunque essere la chiave per non ripetere gli errori di questi ultimi mesi e per acquistare anche le dovute protezioni. Con un avvertimento, però: «Dato che non possiamo sapere in anticipo dove e quando colpirà la prossima crisi – sostiene De Palma – non esiste uno strumento che permetta a priori di immunizzare il portafoglio da ogni rischio». Insomma, deve essere chiaro che il danno si può minimizzare ma non eliminare del tutto, altrimenti non sarebbero investimenti. pagina a cura di Maximilian Cellino © RIPRODUZIONE RISERVATA

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L'arte tribale diventa bene rifugio (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il (Plus)" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

Plus sezione: ARTECONOMY data: 2009-06-13 - pag: 22 autore: Il mercato «altro». Occhi puntati sulle prossime aste di opere africane e oceaniane a Parigi L'arte tribale diventa bene rifugio I pezzi di medio livello offrono le migliori occasioni C he nei momenti di crisi convenga comperare può apparire scontato. Meno scontato, forse, è che questa opportunità si presenti in modo particolarmente allettante anche nel settore dell'arte tribale e precolombiana che fino a pochi anni fa non sembrava offrire beni rifugio e che è stato caratterizzato da un vertiginoso aumento dei prezzi. Le due aste Sotheby's del 15 maggio, le prime dopo il punto più basso della crisi finanziaria, si sono concluse con risultati (un fatturato di 4.888.316 e 5.693.813 dollari e percentuali del venduto sul valore dell'offerta dell'94% e 91%) che confermano quanto già emerso all'asta Rosenthal all'inizio del crollo: i capolavori viaggiano a gonfie vele, mentre i pezzi di medio livello incontrano qualche difficoltà. Si può, quindi, affermare che il boom degli ultimi anni non è il risultato di bolle speculative, né di mode effimere, la tematica delle attribuzioni ha sedimentato un dato irriducibile del quale anche il più provinciale degli investitori nel campo dell'arte deve tener conto: le Fang a sei milioni di euro non sono una follia, ma solo l'inizio di quella rivoluzione copernicana, che, avendo separato i capolavori dall'artigianato, porterà i maestri dell'arte «altra» allo stesso livello dei Van Gogh e dei Moore. Inoltre le leggere difficoltà dei pezzi di medio livello possono offrire occasioni d'acquisto molto interessanti. Naturalmente a condizione di avere conoscenze e «occhi » adeguati. In realtà, nella prospettiva della tematica delle attribuzioni hanno senso anche investimenti impegnativi (e in effetti c'è qualche mercante che li fa – in questo caso il problema non è «quanto » si spende, ma «cosa» si acquista). Soprattutto, bisogna dimenticare le lamentele dei collezionisti che rimpiangono il tempo in cui al mercato delle pulci o da qualche antiquario si potevano acquistare dei capolavori per qualche decina di dollari. Certo, è vero, ci sono stati dei periodi storici in cui coloro che avevano l'occhio lungo sono entrati nella storia accumulando capitali notevoli. Ma è anche vero, che, da un altro punto di vista, il periodo d'oro del collezionismo è sempre «già passato» e che alcune delle raccolte vendute a prezzi da record in questi ultimi anni sono state fatte da appassionati che hanno pagato senza batter ciglio ciò che il mercato chiedeva non al tempo dello «scrambling for Africa» ma solo 20 o 30 anni fa. Se, tuttavia, si lascia da parte la questione degli investimenti sulle opere dei maestri, ovviamente non alla portata di tutti, è evidente che il settore dei pezzi di medio livello è quello che oggi offre le migliori occasioni al maggior numero di collezionisti. Tra gli invenduti delle ultime aste Sotheby's, ad esempio, ci sono interessanti opportunità. Nel campo dell'arte africana si può segnalare una figura Dan con un buon pedigree e un eccellente curriculum espositivo e collezionistico che, probabilmente, poteva essere acquistata per poco più di 5mila euro (la stima di base era di 15-25mila $). Passando nell'America precolombiana, è significativo il caso di una figurina maya Jaina (in foto), raffigurante una tipologia elegante e con un discreto curriculum, che non ha trovato compratori nonostante fosse stimata 6-8mila $ e quindi potesse essere portata a casa, probabilmente, con poco più di 2.200 euro. Inutile dire che occasioni del genere non si trovano solo tra gli invenduti e solo a cifre così basse. Opere con un buon rapporto qualità prezzo, ad esempio, si trovano anche nelle prossime aste di Parigi (Christie's il 16 giugno, Sotheby's il 17) accanto a reperti importanti e quindi, giustamente, costosi. Ma deve essere chiaro che in queste situazioni non ci si può illudere di acquistare il pezzo da museo a poco prezzo, semplicemente si può cercare di fare qualche buon affare. A condizione, come sempre, di avere la competenza di uno studioso e la pazienza di un predatore. Antonio Aimi © RIPRODUZIONE RISERVATA Figurina femminile seduta, cultura maya (300-900 d.C.), dalla stima 6-8mila è andata invenduta da Sotheby's il 15 maggio a New York COURTESY SOTHEBY'S

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L'euro spinge i rendimenti (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il (Plus)" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

Plus sezione: ANALISI data: 2009-06-13 - pag: 29 autore: L'ANGOLO DEL BUND di Francesco Paglianisi L'euro spinge i rendimenti L e parole del vice governatore della banca centrale russa riguardo alla volontà di ridurre la quota di dollari nelle riserve valutarie del paese ha creato pressione sui titoli di stato. Non è noto se in futuro ci sarà una moneta unica mondiale e quali regole governeranno i mercati finanziari, ma sappiamo che le banche centrali, compresa quella cinese, manifestano un sempre minor gradimento per i titoli di stato in dollari ed una maggiore propensione ad accumulare oro ed euro. Questi flussi sono la prima vera conseguenza della crisi finanziaria ed insieme alle elevate emissioni spingono al rialzo i rendimenti. Il mercato da inizio anno è diventato insidioso, da una parte lo scenario macro spingerebbe ad acquistare tasso fisso, dall'altra seduta dopo seduta si sommano variabili contrarie. Il risultato è la formazione di numerevoli trading range di rendimenti che via via si spostano verso l'alto. Ad inizio anno il trend si sviluppava fra 2,90 e 3,30 di rendimento, ora è fra quota 3,75 e 3,55. A livello di prezzo questo significa che l'area fra quota 117,50 e 118 è d'acquisto mentre è di vendita quella fra quota 119,50 e 120,50. Le tensioni sull'euribor a tre mesi hanno schiacciato la parte breve, ma quella italiana è da acquistare sulle fasi di debolezza ed in concomitanza delle aste. Rimane interessante l'area a trent'anni almeno fino a quando l'inflazione rimarrà vicino allo zero. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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UniCredit continua a piacere C. Suisse premia Bnp Paribas (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il (Plus)" del 13-06-2009)

Argomenti: Crisi

Plus sezione: ANALISI data: 2009-06-13 - pag: 29 autore: Il settore caldo. Gli istituti di credito dopo il recupero degli ultimi mesi UniCredit continua a piacere C. Suisse premia Bnp Paribas L' indice europeo dei titoli bancari è salito del 25% da gennaio. è il secondo miglior recupero settoriale (dopo quello dei titoli delle risorse di base a +56%); ma il comparto ha più che dimezzato la capitalizzazione dall'inizio della crisi finanziaria (-65% da metà 2007). I prezzi delle azioni, dunque, sono invitanti; a patto, però, che le attività tossiche siano state tutte scontate. Il rimbalzo prelude a un'ulteriore corsa dei titoli o a una fase di prese di profitto in attesa di maggiore trasparenza sugli utili? Secondo Keefe, Bruyette & Woods, il settore merita una raccomandazione overweight (peso in portafoglio superiore a quello negli indici globali), poiché ritiene che le azioni bancarie possano scendere ancora poco, mentre abbiano più possibilità di salire, man mano che aumenta la visibilità dei bilanci; sostiene, inoltre, che i risultati del secondo trimestre dovrebbero essere migliori delle aspettative, trainati dalle attività di investment banking e di trading. Kbw preferisce nomi con un rapporto interessante di rischio/rendimento e ha alzato il rating (giudizio) di UniCredit e di Crédit Agricole a outperform (performance prevista superiore a quella del mercato) da market perform (in linea con il mercato). Più cauta la valutazione sull'industria di Crédit Suisse, che teme stime troppo ottimistiche sui profitti e sulle perdite su crediti – alla base del recente rally di Borsa – e non esclude una riduzione nel volume d'affari, oltre che necessità di ricapitalizzazioni. Tra le azioni selezionate dalla banca svizzera, figurano Santander (target price, cioè prezzo obiettivo a dodici mesi, di 9,50 euro), UniCredit e Intesa Sanpaolo (target, rispettivamente, di 2,25 e 2,60 euro), Bnp Paribas (target 52 euro) e le greche Alpha Bank (target 10 euro), Bank of Piraeus (target 8,81 euro), Efg (target 9 euro) e Nbg (target 23,50 euro). UniCredit rimane la scelta principe di Crédit Suisse nel panorama tricolore, nonostante negli ultimi tre mesi abbia doppiato la performance del settore; il broker assume che il miglioramento del consensus degli analisti sull'istituto non sia ancora completo e non intravede difficoltà peculiari, se non quella di una recessione generalizzata. In realtà le banche italiane hanno subìto il peggioramento del merito di credito di Standard & Poors, che prevede un deterioramento dei prestiti e delle perdite su crediti, pur inferiore a quello delle concorrenti inglesi o spagnole; i nostri istituti, infatti, hanno un profilo più spiccatamente commerciale e vengono da un processo di ristrutturazione profonda. Morgan Stanley ha appena iniziato la copertura delle aziende di credito italiane con una visione cauta nel breve termine. Il broker le ritiene strutturalmente attraenti, ma passibili di ritorni negativi dall'esposizione all'attività internazionale e dalle prospettive della recessione domestica più pesante di tutta l'area euro. Anche per Morgan Stanley Unicredit è la banca più apprezzabile (rating overweight e target a 2,35 euro) e sottovalutata dal mercato; Intesa Sanpaolo appare solida e liquida, ma già correttamente prezzata (equalweight, target 3 euro); Monte Paschi è altamente difensiva, per via della focalizzazione sul business retail (underweight, target 1,35 euro), ma potrebbe aver bisogno di rafforzare il capitale (underweight, target 1,35 euro). Per l'azione della banca senese, viceversa, Fox Pitt Kelton ipotizza un andamento in linea con quello del settore (dal precedente underperform), perché si attende risultati in miglioramento. Il broker indica con outperform Bpm (target 5,2 euro), che gode di una forte vocazione al dettaglio e elevata visibilità degli utili. Marzia Redaelli

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"Ora cento giorni di governo forte" (sezione: crisi)

( da "Stampa, La" del 14-06-2009)

Argomenti: Crisi

"Ora cento giorni di governo forte" Confindustria: da sola la fiducia non basta Servono mezzi finora sono mancati [FIRMA]GIANLUCA PAOLUCCI INVIATO A SANTA MARGHERITA Cento giorni di «azioni mirate e forti» da parte del governo perché i prossimi cento giorni saranno fondamentali per la sopravvivenza stessa di un pezzo del tessuto produttivo del Paese. La presidente di Confidustria, Emma Marcegaglia, dal palco dei giovani industriali riuniti a Santa Margherita Ligure rivolge un appello deciso all'esecutivo per sostenere il tessuto impreditoriale e facilitarne l'uscita dalla crisi. Silvio Berlusconi ha terminato il suo intervento da qualche minuto, rivendicando l'efficacia dell'azione di governo e paragonando la squadra dei ministri ad un «consiglio d'amministrazione validissimo». E la presidente degli industriali si rivolge in primo luogo al premier, seduto in prima fila, quando spiega che «la fiducia da sola non basta, servono cento giorni di concretezza di azioni mirate e forti e i mezzi che in parte a oggi sono mancati. Noi siamo vivi e combattivi - dice la Marcegaglia - e non vogliamo che il funerale ci sia, ma abbiamo bisogno in questo momento fondamentale di qualcosa di straordinario». Per iniziare, suggerisce la Marcegaglia, potrebbe essere affrontato l'annoso tema dei ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione. «Lo stesso presidente Berlusconi li ha definiti "una vergogna nazionale"», ricorda la Marcegaglia. «Iniziamo da quelli: dateci almeno una parte, sarebbe un segnale importante». E ancora pressing sulle banche per concedere credito alle imprese, la «Tremonti ter» invocata ieri da Federica Guidi per la detassazione degli utili reinvestiti, maggiore incisività per il via ai cantieri delle opere pubbliche anche piccole. Un intervento iniziato con una sorta di risposta a distanza al premier: il gruppo guidato da Emma Marcegaglia aveva vinto l'appalto per la realizzazione di strutture alla Maddalena e lo spostamento del G8 a L'Aquila gli ha causato «un grande danno economico». Il ricorso al Tar è stato vinto, spiega la Marcegaglia, e «vedremo come andrà a finire, ma fa lo stesso, noi portiamo avanti comunque questo sforzo perché crediamo sia una bella realizzazione». Poco prima, Berlusconi si era impegnato a portare nell'isola «otto manifestazioni internazionali all'anno». E comunque la presidente di Confidustria spiega di essere soddisfatta della decisione di trasferire l'incontro in Abruzzo non solo per l'impatto sull'area ma anche per la forte valenza simbolica, ricostruire dalle macerie dopo il terremoto come dopo la crisi finanziaria. Anche sui cantieri per opere infrastrutturali «si deve fare di più: facciamo uno sforzo per aprirli tutti». Occorre dire basta «alla cultura dei veti. Non ci possiamo rassegnare al fatto che in questo Paese ci vogliono 18 mesi per aprire un cantiere». («Ho finito di firmare stanotte alle tre, tra settembre e novembre ne apriremo 19», aveva detto poco prima Berlusconi). Non manca, dal palco di Santa Margherita, una stoccata per l'opposizione. «Ho sentito Pier Luigi Bersani ieri proporre l'introduzione di una tassa patrimoniale. Per favore non scherziamo. Il paese ha già troppe tasse, non serve nessuna nuova imposta». Quello che serve per la Marcegaglia è la lotta all'evasione e i tagli alla spesa improduttiva. È un richiamo, forte, a entrambe le parti. Il dibattito politico, dice la Marcegaglia, «torni alla serietà, a temi consoni a paesi come il nostro, a temi vicini ai problemi di cittadini e imprese. Vogliamo una politica che si ritrovi sui grandi temi fondamentali per la coesione sociale, sarebbe importante. Vediamo invece passi indietro». Anche perché, aggiunge, «l'Italia penso sia un Paese serio e responsabile nonostante quello che appare».

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La ripresa non c'è ancora Regole comuni nemmeno Inefficace il G8 di Lecce (sezione: crisi)

( da "Unita, L'" del 14-06-2009)

Argomenti: Crisi

La ripresa non c'è ancora Regole comuni nemmeno Inefficace il G8 di Lecce LAURA MATTEUCCI Ci sono «segni di stabilizzazione delle economie, ma la situazione rimane incerta» ed esistono «rischi significativi per la stabilità finanziaria ed economica». Ma la strategia comune per uscirne può attendere. Più che raggiungere un accordo sui nuovi standard globali, i ministri delle Finanze del G8, riuniti in una Lecce blindata per le manifestazioni di protesta, hanno concordato sulla necessità di sviluppare una cornice di regole comuni per i mercati finanziari. Il merito verrà discusso al prossimo G8 a L'Aquila, in luglio, di cui Lecce è stato l'ultimo passo preparatorio. Deluse, quindi, le speranze di molti, tra cui la leader degli industriali Emma Marcegaglia che, mentre Lecce si chiudeva con un nulla di fatto, dal convegno ligure dei giovani imprenditori lanciava un monito: «Auspichiamo che da questo incontro possano uscire regole comuni, questo è un punto molto importante: bisogna cambiare le regole finanziarie, perchè non si ripetano crisi come questa». Resta anche senza sostanziali passi in avanti il coordinamento sulla misurazione della solidità finanziaria in Europa, visto che i ministri non hanno trovato punti d'accordo sugli stress test da effettuare sugli istituti bancari. Il ministro Giulio Tremonti, mentre avverte del fatto che sui mercati la speculazione sta tornando, segno che «certa finanza sta rialzando la testa», si dichiara comunque soddisfatto: «Le divergenze restano - ammette - ma il cammino è destinato a proseguire». E sarà necessario «un compromesso politico». Una volta raggiunta l'adesione sui principi, bisognerà capire in che modo si dovranno obbligare i Paesi ad applicarli, e in quali tempi. Ci sono sono da superare anche le perplessità ideologiche e di metodo, soprattutto dal mondo anglosassone, a fronte di una Germania che lavora a un documento che non affronta il tema giuridico, ma che abbraccia più campi, dal clima al lavoro, passando per i cambi. SITUAZIONE INCERTA Si parte da un fatto: «Sebbene le prospettive economiche stiano migliorando, la situazione resta incerta - si legge nel documento conclusivo del G8 - dobbiamo restare vigili per essere certi che la fiducia di investitori e consumatori venga pienamente ristabilita e che la crescita sia sostenuta da mercati finanziari stabili e fondamentali solidi». Come avverte anche il segretario al Tesoro Usa, Timothy Geithner, la ripresa non è ancora arrivata, e i governi non devono quindi alleviare le misure di stimolo per l'economia adottate. «Le sfide - avverte Geithner - saranno ancora molto severe». Anzi, sul fronte occupazionale, i prossimi mesi potrebbero riservare sorprese negative, perchè gli effetti dell'economia reale sono rallentati. I ministri tracciano una linea e guardano al Fondo monetario internazionale: riassorbire a tempo debito le misure di stimolo adottate contro la crisi affidando al Fmi la valutazione delle possibili strade d'uscita da percorrere. «Regole globali per un'economia globale», dice il documento, agendo «sulla corporate governance, l'integrità del mercato, la regolazione e la supervisione finanziaria, la cooperazione fiscale, la trasparenza delle politiche macroeconomiche e le informazioni». «La situazione resta incerta» e permangono «rischi significativi». Al G8 finanziario di Lecce i ministri non riescono a trovare l'accordo sulle regole comuni anti-crisi. Tremonti: «Necessari compromessi politici».

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Il Papa e l'enciclica sulla crisi: servono regole etiche (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 14-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Cronache data: 14/06/2009 - pag: 18 Benedetto XVI e l'economia «Da ripensare certi paradigmi che sono stati dominanti negli ultimi anni» Il Papa e l'enciclica sulla crisi: servono regole etiche CITTA' DEL VATICANO L'essenziale è arrivare a «una visione dell'economia moderna rispettosa dei bisogni e dei diritti dei deboli». Fra meno di un mese, ai primi di luglio, verrà pubblicata la terza enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate, «dedicata al vasto tema dell'economia e del lavoro». Benedetto XVI ne ha accennato ieri nell'udienza alla Fondazione vaticana Centesimus Annus Pro Pontifice, che aveva appena concluso un convegno dedicato non a caso a «valori e regole per un nuovo modello di sviluppo». È ciò che chiede anche il Papa, valori e regole cui «il mondo economico dovrebbe attenersi per porre in essere un nuovo modello di sviluppo più attento alle esigenze della solidarietà e più rispettoso della dignità umana». Perché «la crisi finanziaria ed economica che ha colpito i Paesi industrializzati, emergenti e in via di sviluppo, mostra in modo evidente come siano da ripensare certi paradigmi economicofinanziari che sono stati dominanti negli ultimi anni». Nell'enciclica, così, «verranno posti in evidenza quelli che per noi cristiani sono gli obbiettivi da perseguire e i valori da promuovere e difendere instancabilmente, al fine di realizzare una convivenza umana veramente libera e solidale ». Una prima bozza aspramente critica della globalizzazione, una seconda pronta dopo l'estate scorsa. Poi «si è scatenata la crisi e abbiamo ripreso il testo», ha spiegato il Papa a marzo: per rispondere in base «agli elementi reali». Benedetto XVI ha consultato una quantità di persone, tra economisti e prelati, ma rispetto all'ultima bozza di aprile ha fatto la revisione definitiva da solo, parola per parola. Si racconta ne abbia portata una copia con sé pure nel viaggio in Terrasanta, il mese scorso. Ora si stanno completando le traduzioni. Il testo è ampio, un centinaio di pagine, porta la data del 29 giugno (santi Pietro e Paolo) e parte dalla Populorum progressio di Paolo VI. Lo sguardo è globale. Il punto centrale è che la crisi, per il Papa, è nata da un «deficit di etica nelle strutture economiche » e l'«economia non funziona se non porta in sé un elemento etico». Dio e i grandi valori spirituali non possono esserle estranei: giustizia, sobrietà e solidarietà contro l'«avarizia come peccato, l'idolatria che sta contro il vero Dio». La crisi è un banco di prova. Ci vuole un «codice etico comune» e una visione del «bene comune» a lungo termine. Compiendo «una denuncia ragionevole e ragionata che non si fonda su grandi moralismi ma su ragioni concrete ». Parlare di «solidarietà globale», a esempio, significa che i Paesi poveri vanno sostenuti e soprattutto coinvolti nei processi decisionali. G. G. V. Pontefice Benedetto XVI (foto Ap)

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i governi scendono in campo "il credito è ancora limitato" (sezione: crisi)

( da "Repubblica, La" del 15-06-2009)

Argomenti: Crisi

Pagina 14 - Economia Il documento I governi scendono in campo "Il credito è ancora limitato" ROMA - Nonostante i pesanti e coordinati interventi pubblici effettuati in ogni paese d´Europa, il credito all´economia rimane tuttora "limitato": per imprese e famiglie del Vecchio Continente la possibilità di ottenere finanziamenti è quindi ancora ridotta. I governi europei sono quindi chiamati a "restare vigili". è il monito contenuto nel progetto di conclusioni del vertice dei capi di Stato e di governo della Ue, in programma il 18 e 19 giugno a Bruxelles. Progetto che oggi sarà sul tavolo dei ministri europei degli Affari esteri che dovranno lavorare proprio alla preparazione del Consiglio Ue. Nel testo - secondo quanto si apprende da fonti comunitarie - si sottolinea come nonostante i provvedimenti adottati a livello nazionale e dalle banche centrali abbiano consentito di limitare gli effetti della crisi finanziaria, resta tuttora sul tappeto il problema della stretta del credito. La Commissione Ue, quindi, viene invitata a fornire ulteriori indicazioni sulle attività bancarie, con l´obiettivo di vedere in che modo favorire il totale ripristino della piena funzionalità del sistema finanziario. L´altra priorità assoluta in questa fase resta poi l´occupazione. Nel progetto di conclusioni si sottolinea come le persone debbano essere messe al centro dei piani di ripresa nazionali, tutelando il più possibile i posti di lavoro a rischio e migliorando l´accesso al mercato del lavoro di chi lo perde.

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Una buona notizia può cambiare il clima (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 15-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: COMMENTI E INCHIESTE data: 2009-06-14 - pag: 11 autore: Una buona notizia può cambiare il clima di Giacomo Vaciago G li effetti della crisi finanziaria sull'economia reale inizialmente modesti diventano drammatici dopo il fallimento di Lehman Brothers del 15 settembre 2008. L'intervento coordinato delle Banche centrali - molto enfatizzato l'8 ottobre con un taglio comune dei tassi di interesse - evita il peggio con riferimento al settore finanziario, ma ciò non basta a far ripartire l'economia. Il panico dato dalla scomparsa di Lehman determina infatti condizioni di illiquidità totale cui l'industria può reagire in un solo modo: tagliando gli ordini, a cominciare da investimenti e magazzino. Per compensare ciò, servirebbe una "buona notizia" altrettanto importante e globale come lo era stata la "pessima notizia" della scomparsa di Lehman, ma di questi tempi ciò non è facile. è quindi improbabile un recupero altrettanto rapido e intenso come lo è stato il crollo dei mesi successivi al 15 settembre. Più probabile che il graduale e lento cumularsi di tante piccole buone notizie, prima o poi (ma ciò può richiedere tre anni) ci riporti a dov'eravamo un anno fa. Lo "stato delle aspettative", che è quello che chiamiamo la "fiducia collettiva", è quanto accomuna miliardi di persone al mondo: non basterebbe (neppure se ci fosse) tutto l'ottimismo di 60 milioni di italiani. E nell'economia globale in cui viviamo, non ci sono più paesi-locomotiva. Quando ci sarà la ripresa, sarà comune come lo è stata la crisi dei mesi scorsi. è la prima lezione che abbiamo imparato del modo di operare della " internazionalizzazione produttiva" che da vent'anni sempre più ci caratterizza. Non solo globalizzazione come è l'aumento degli scambi commerciali, ma è in modo ancor più radicale: organizzazione della produzione industriale su un numero " n" di paesi. Ci diceva Krugman - nella sua bella "Lezione Luca d'Agliano" tenuta due anni fa a Torino che questa "frammentazione" della produzione su un numero "n" di paesi amplifica gli effetti degli shock, sia di quelli positivi sia di quelli negativi. Che è poi la seconda lezione imparata della globalizzazione: quando le cose vanno bene vanno meglio, ma quanto vanno male vanno peggio. In tutti i paesi del mondo sono crollate le esportazioni: cioè quanto eravamo abituati a mettere fra le variabili "esogene", alle cui variazioni l'industria di ciascun paese si adegua (salvo recuperare nel più lungo periodo, quando le esportazioni vanno invece "meritate"). Ma nell'economia mondiale le esportazioni sono "endogene", nel senso che si limitano (come peraltro le importazioni) a seguire la matrice input-output di come la domanda finale viene soddisfatta da ciò che è prodotto (ovunque ciò avvenga; essendo molto limitata nel breve periodo la sostituibilità tra paesi e loro industrie). Dire che la produzione industriale e gli investimenti sono caduti per il crollo della domanda estera ("Considerazioni Finali" di Mario Draghi) è come dire che siamo in recessione perché il mondo ( che ci comprende) è in recessione. è questa la terza lezione che stiamo imparando: la crisi più grave della nostra storia non l'abbiamo "meritata", come è invece successo più volte, dalla prima crisi di metà anni 60, all'ultima di metà anni 90. Non consola, ma atterrisce sapere che puoi essere un ottimo imprenditore, a capo di un'ottima azienda, eppure gli ordini dei tuoi prodotti si dimezzano nel giro di qualche settimana. Come usciamo dal pasticcio in cui ci siamo cacciati con il fallimento di Lehman del settembre scorso? è chiaro che ciascun paese da solo può fare ben poco: può sostenere, con un sistema efficiente ed equo di ammortizzatori sociali, il reddito (e quindi i consumi) dei lavoratori, consentendo così alle imprese di ristrutturarsi come richiesto dalla futura ripresa. Ce l'ha appena ricordato il Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi: non possiamo uscire da soli dalla crisi - che è dell'economia mondiale ma possiamo e dobbiamo ridurne le conseguenze negative anzitutto evitandone un ulteriore peggioramento. Mentre l'economia mondiale si avvicinerà alla ripresa se ritrova un'àncora positiva alla sua fiducia, che solo il G-20 può darle. Dopo il successo della riunione di Londra del 2 aprile scorso, il clima è di nuovo peggiorato in parte per la situazione politica: c'è una leader scadente a Berlino e ce ne è uno scaduto a Londra,mentre c'èil vuoto a Bruxelles e Obama è stato finora più popolare che efficace. Sta di fatto che hanno ripreso a litigare governi e banchieri centrali di vari paesi e ben lo avvertono i mercati finanziari, che nel dubbio speculano sulle materie prime (come un anno fa: dollaro debole; food an energy alle stelle: ma non c'era una crisi grave?). Due riunionidel G-20 all'anno basteranno (forse) per le riforme, ma non bastano per il governo dell'economia mondiale. Senza un'àncora solida allo "stato delle aspettative", si resta in condizioni troppo incerte perché l'economia possa riuscire a ripartire presto e bene con produzione e investimenti. © RIPRODUZIONE RISERVATA PAESI AL TRAINO La crisi più grave della storia non l'abbiamo meritata: è frutto dell'instabilità che acuisce le situazioni di difficoltà economica RIFORME E LEADERSHIP Due riunioni all'anno del G-20 servono per elaborare i nuovi legal standard ma non possono bastare per il governo dell'economia

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Anche le formiche, in fondo, rischiano (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 15-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: COMMENTI E INCHIESTE data: 2009-06-14 - pag: 10 autore: Alta finanza e piccoli risparmiatori Anche le formiche, in fondo, rischiano di J. Bradford DeLong N essuno mette in dubbio l'utilità della "bassa" finanza: la possibilità di usare assegni, banconote e carte di credito invece di portarsi in giro casse di argento, bilance e reagenti per accertare la purezza del metallo, e guardie armate per proteggere l'argento, e altre guardie ancora per sorvegliare il primo gruppo di guardie, presenta innegabili vantaggi. E lo stesso si può dire per la possibilità di prendere e dare soldi in prestito per le famiglie, in modo da non essere costretti a far combaciare guadagni e spese ogni giorno, settimana, mese o anno. Ma a che cosa serve l'"alta" finanza? Convenzionalmente,gli economisti dicono che l'alta finanza soddisfa tre esigenze. In primo luogo consente a molti risparmiatori di mettere in comune il loro patrimonio per finanziare grandi imprese che possono raggiungere le efficienze di scala rese possibili da un'industria moderna ad alta intensità di capitale. In secondo luogo, l'alta finanza offre un mezzo per limitare gli abusi più gravi da parte dei manager delle grandi aziende. La "democrazia azionaria" semplicemente non funziona, ma la paura dei manager di essere mandati a spasso in caso di tracollo delle azioni rappresenta un utile freno. Per finire, l'alta finanza permette di diversificare il portafoglio, consentendo ai singoli investitori di perseguire rendimenti attesi elevati senza essere costretti ad assumersi rischi cospicui di bancarotta e miseria. Ma questi sono i benefici dell'altafinanza visti nell'ottica del mondo ideale degli economisti, cioè in un mondo di attori utilitaristi razionali, che riescono a calcolare efficacemente l'utilità attesa in condizioni di incertezza, che padroneggiano con sicurezza la programmazione dinamica, che trattano il calcolo stocastico da pari a pari. Noi non viviamo in un mondo simile. Se prendiamo in considerazione il mondo come veramente è, ci rendiamo conto in fretta che l'alta finanza assolve ad altri due compiti utili al nostro benessere economico collettivo: ci induce a risparmiare, accumulare e investire promettendoci investimenti sicuri e liquidi anche in periodi eccezionali, e ci induce a risparmiare e investire come prerequisito per poter appagare il nostro amore per il gioco d'azzardo e come sottoprodotto di quest'ultimo. è un dato di fatto che siamo molto più felici risparmiando e accumulando, e che è molto più probabile che ci comportiamo in questo modo quando pensiamo che le risorse risparmiate e accumulate siano disponibili, a portata di mano. è vero anche che quando investiamo le nostre ricchezze - nei brevetti della Pfizer, nelle fabbriche di Shenzhen, nelle reti mondiali di distribuzione o nei centri commerciali di Atlanta in realtà questi soldi non li abbiamo a portata di mano. Al massimo si può fare in modo che tali ricchezze investite appaiano liquide a ciascuno di noi, e soltanto se non ci sono variazioni significative del nostro desiderio collettivo di liquidità. Naturalmente gli investitori convinti che i loro averi investiti siano facilmente convertibili in liquidità e che vendendo e comprando stanno producendo valore aggiunto per se stessi sono degli illusi. Il nostro patrimonio investito non è trasformabile in liquidi in una situazione di emergenza. E quando compriamo e vendiamo non stiamo arricchendo noi stessi, ma gli specialisti e i grandi operatori di mercato. Ma queste illusioni sono benefiche per noi. Da un punto di vista psicologico siamo naturalmente portati all'impazienza, dunque è un bene per noi credere che il nostro patrimonio sia al sicuro e che possiamo accrescerlo investendo con accortezza. Perché questa illusione ci spinge a comportarci in modo meno impaziente. E, collettivamente, rimpingua i nostri risparmi e dunque le nostre riserve di capitale, che a loro volta rimpinguano tutti i nostri salari e stipendi. Per Keynes «il gioco dell'investimento professionale è intollerabilmente noioso ed eccessivamente impegnativo per chi sia del tutto privo dell'istinto del giocatore; mentre chi ce l'ha deve pagare a questa inclinazione il giusto tributo...». è per queste ragioni che siamo sembrati paralizzati nelle ultime due generazioni ogni volta che si è parlato di riformare il nostro sistema di regolamentazione finanziaria. Ed è per questo che sembriamo pa-ralizzati ancora oggi, perfino di fronte a una grave crisi finanziaria. L'autore, ex sottosegretario al Tesoro dell'amministrazione Clinton, insegna a Berkeley Copyright: Project Syndicate, 2009. (Traduzione di Fabio Galimberti)

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Contro la crisi ombrelli su misura (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 15-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: COMMENTI E INCHIESTE data: 2009-06-14 - pag: 11 autore: Contro la crisi ombrelli su misura Regole troppo generali hanno consentito a molti soggetti l'uso di strumenti ad alto rischio di Dario Scannapieco L a crisi non è stata causata dall'innovazione finanziaria, ma dal cattivo uso che se ne è fatto, spesso dissociandoi nuovi prodotti dalle originarie esigenze economiche che ne avevano determinato il concepimento o creandoli ai soli fini di elusione delle regole. L'innovazione finanziaria non deve essere frenata se consente al sistema di funzionare meglio. Innovazioni quali gran parte dei derivati oggi evocano l'idea di strumenti dannosi, venduti ad imprenditori o amministratori pubblici inconsapevoli. Ma essi sono nati come utili strumenti di copertura dai rischi, che stabilizzano i flussi finanziari, minimizzando l'impatto della volatilità dei prezzi o dei cambi e permettono così di conseguire una struttura più efficiente del capitale. I problemi sono sorti quando operatori con scarse conoscenze specifiche li hanno utilizzati – o sono stati convinti ad utilizzarli – con finalità diverse, a volte speculative. La responsabilità di questo cattivo uso è da individuarsi in alcuni soggetti, spesso mossi da un cattivo sistema di incentivi ( non la qualità del servizio al cliente ma il bonus a fine anno legato ai profitti annuali generati), che a volte li hanno collocati approfittando della scarsa competenza dei propri interlocutori. Ma essa va condivisa anche con chi ha accettato di fare uso di strumenti di cui non aveva colto le modalità di funzionamento e i rischi. Infine, a fronte del diffondersi di questi strumenti sui mercati, a volte è stato tardivo l'intervento dei regolatori. Anche le cartolarizzazioni oggi vengono additate come prodotto di quella finanza nociva che ha innescato la crisi. Tuttavia esse sono solo uno strumento di funding e gestione del rischio. Occorre quindi solo evitare che le cartolarizzazioni vengano strutturate e collocate in modo pericoloso per gli investitori, impedendo che rischi presi da un soggetto con piene informazioni sulla bontà dei crediti (chi li ha concessi e poi effettua l'operazione) siano trasferiti in modo non trasparente su soggetti che poco o nulla conoscono degli effettivi rischi di tali crediti e quindi dei titoli che su di essi poggiano. è un tema etico e tecnico allo stesso tempo. In questo senso si può dire che la crisi deriva dal fallimento dei mercati finanziari nell'offrire soluzioni ai problemi di moral hazard ed asimmetria informativa insiti in queste operazioni. Il vantaggio per chi effettua una cartolarizzazione è quello di liberare il proprio bilancio ottenendo provvista finanziaria. Gli investitori al contempo, ottengono un rendimento a seconda del rischio dei titoli che acquistano. Ma allora dove è il problema? Per rispondere occorre affrontare i temi della concreta strutturazione delle cartolarizzazioni e delle regole contabili. Il valore di un'istruttoria approfondita nel processo di erogazione del credito è fondamentale. Il sapere ex-ante di non dovere tenere in bilancio un credito ma di poterlo cedere al mercato può spingere a ridurre l'accuratezza dell'istruttoria stessa. Nel caso delle operazioni sui mutui residenziali, all'origine della crisi, vi è stata una sottovalutazione del rischio di credito da parte delle istituzioni finanziarie ( ed una conseguente sopravvalutazione degli asset) ed una strutturazione aggressiva di cartolarizzazioni, che una volta entrate in difficoltà hanno generato perdite per i possessori dei titoli innescando una spirale di write-offs e vendite, realizzabili solo con forti perdite in un mercato divenuto illiquido. Passando alle regole contabili, il riferimento al mercato per valorizzare poste di bilancio (il famoso Ias 39) non può essere adottato in modo meccanicistico se i mercati non funzionano o se gli operatori adottano politiche di gestione di attivi e passivi che li immunizzano dalla volatilità dei mercati. Occorre evitare che tale volatilità si rifletta automaticamente sui risultati di esercizio degli operatori rendendoli troppo mutevoli e poco rappresentativi della loro vera performance. Gli effetti possono essere paradossali. Se il valore di mercato di certi attivi di bilancio registrasse una forte crescita in un periodo ed una pari diminuzione in quello successivo per poi stabilizzarsi su questo valore più basso, dopo il primo periodo l'operatore dovrebbe registrare utili elevati, per poi scontare il minore valore in perdite. Se distribuisse dividendi dopo la prima oscillazione, allora occorrerebbe chiedersi se abbia effettivamente distribuito utili o piuttosto capitale. Un esempio degli effetti dell'adozione automatica di queste regole ha riguardato la Bei ma, fortunatamente, solo in linea teorica, in quanto essa riclassifica il bilancio secondo gli Ias a fini puramente illustrativi. Nel 2007 al manifestarsi della crisi, gli investitori si sono rifugiati nei titoli più sicuri, tra i quali le obbligazioni Bei. Per la forte domanda, il loro prezzo è aumentato. Avendo la Bei in bilancio (tra le passività) obbligazioni per oltre 200 miliardi, ciò si è tradotto in un incremento del valore di mercato delle passività, con un impatto contabile - al netto delle operazioni di hedging - negativo di circa un miliardo sul risultato annuale. E ciò solo perché la Bei era percepita come più sicura! Viceversa, nel 2008, il clima di incertezza ha implicato per tutti gli emittenti, inclusa la Bei, un rialzo dei tassi e quindi la riduzione del valore delle sue obbligazioni sul mercato. Nuovo paradosso è che applicando gli Ias, la Banca si sarebbe trovata a registrare un risultato gonfiato per qualche miliardo. Occorre allora domandarsi che senso abbia registrare queste variazione del valore delle passività della banca se la sua policy è di ripagarle a scadenza, in base ad un valore certo. Non è, quindi, un caso che negli Stati Uniti le regole sull'applicazione del mark-to-market siano state modificate dal Fasb, che ha individuato anche proposte per contabilizzare i titoli in bilancio in base alla intenzione o meno di cederli o riacquistarli sul mercato. In Europa, una modifica di tali principi è attesa entro fine anno. Sulle cartolarizzazioni, è importante la proposta recentemente discussa nel Parlamento Europeo, di prevedere che il soggetto promotore dell'operazione ne detenga titoli per almeno il 5 per cento. Si tratta di una misura volta ad impedire che lo stesso si svincoli da un'operazione che ha originato e ad allineare maggiormente gli interessi di chi ha istruito, concesso, gestito e ceduto i crediti con quelli di chi ha acquistato titoli basati su tali crediti. Forse il 5% è un po' poco,sebbene si debba considerare che in queste operazioni i promotori mantengono sempre una “first loss” pari alla differenza tra valore dei beni sottostanti e valore dei titoli emessi. Si potrebbe, ad esempio, richiedere loro anche di investire in una tranche mezzanina dell'operazione, esponendoli così anche ad una “second loss”.Questo aumenterebbe la credibilità di queste operazioni e ne renderebbe ancora più sicure le tranche senior, favorendo il riavvicinamento degli investitori e contribuendo a rilanciare uno strumento utile per le banche. Allo stesso fine si potrebbe richiedere agli stessi promotori di svolgere attività di market making sui titoli, così da ridurne il rischio di illiquidità. Istituzioni come la Bei, con un forte connotato di sussidiarietà, in questa fase stanno supplendo alle carenze del sistema finanziario, in particolare assicurando funding a lungo termine. Non è da escludere che con il ritorno a condizioni di mercato normali sia richiesto a soggetti di natura istituzionale di svolgere anche quelle funzioni di credit enhancement in passato, ad esempio, svolte da monolines ed altri soggetti che la crisi di fatto ha eliminato – credo temporaneamente dallo scenario finanziario internazionale. Questo contribuirebbe a riattivare il flusso del credito verso l'economia reale. Guardando al futuro, in un sistema finanziario globale potrebbe infine essere utile anche il ruolo di un soggetto internazionalmente riconosciuto che in base a principi condivisi a) analizzasse tempestivamente i rischi di nuovi prodotti ed il loro potenziale impatto nel momento in cui essi da essere fatti su misura per un cliente si diffondono creando un mercato che coinvolge investitori terzi e, di conseguenza b) definisse le caratteristiche minime di tali prodotti a tutela della stabilità del sistema. L'autore è vicepresidente della Banca europea per gli investimenti. Le opinioni espresse dall'autore non riflettono necessariamente la posizione della Bei AZZARDO MORALE Derivati, cartolarizzazioni ed hedge fund sono stati collocati in modo pericoloso con scarsa trasparenza e pochi controlli di enti terzi SISTEMA GLOBALE Un solo soggetto finanziario potrebbe definire le caratteristiche minime dei nuovi prodotti e valutare il loro potenziale impatto L'ombrello delle regole. Gli standard internazionali indiscriminati hanno provocato effetti paradossali sui bilanci delle società emittenti di titoli AFP

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Mercato e natura sostenibili L'equazione di Friedman (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Cultura data: 15/06/2009 - pag: 30 Incontri Il tre volte Premio Pulitzer riscrive il saggio «Caldo, piatto e affollato». E all'umanità dice: ripensiamo finanza ed ecologia Mercato e natura sostenibili L'equazione di Friedman «Bruciate troppe risorse, stiamo tradendo i nostri figli» dal nostro corrispondente PAOLO VALENTINO WASHINGTON Cosa lega il contemporaneo melting (nel senso del crollo) di Citigroup e il melting (nel senso dello scioglimento) della calotta polare antartica? Quale connessione esiste tra la sparizione di Bear Stearns (la banca d'investimento americana, fallita nel 2008) e la sparizione dei polar bears, gli orsi polari? Per Tom Friedman sono fattori della stessa equazione. La Grande Recessione non è solo economica, ma è il prodotto dell'azione combinata di due eventi: «Il mercato finanziario e Madre Natura sono andati a sbattere contro il muro nello stesso momento». E in entrambi i casi, il messaggio, Friedman preferisce dire «l'ultimo avviso» all'umanità è lo stesso: «Fermatevi, state crescendo in un modo che non è più sostenibile, per il mondo finanziario e per quello naturale. Dovete ripensarci e svilupparvi in maniera finanziariamente sana, ecologicamente verde». Tre volte premio Pulitzer, editorialista del «New York Times», autore di saggi fondamentali sul Medio Oriente prima di diventare uno dei maggiori guru della modernità, Tom Friedman è forse l'analista più creativo e penetrante del mondo globalizzato, alle prese con le grandi questioni del clima e della sovrappopolazione, un mondo che nel suo ultimo libro ha definito Caldo, piatto e affollato (edito in Italia da Mondadori). A Friedman giovedì prossimo la città di Urbino consegna il suo Press Award, un premio che per il «ragazzo del Minnesota», come ama definirsi, «significa molto, è un grande privilegio: quando qualcuno chiama dall'altra parte del mondo per dirmi che hanno un premio letterario e me lo vogliono assegnare, è il segno che ciò che scrivo ha una risonanza, riesce a connettersi anche con persone di altre culture e di altri continenti». Lo incontriamo in un diner di Bethesda, periferia chic della capitale federale dove vive, alle 8 del mattino di un sabato, unico buco nelle sue giornate densissime. Quando arrivo, sta rispondendo alle email dei lettori sul suo blog per il «New York Times». Ordina per tutti e due, bagels tostate e caffè. Friedman ha un approccio tutto suo alle interviste, le usa per verificare le proprie idee, parla sempre lui, anticipa le domande e poi ti chiede: «Cosa ne pensi?». Sta riscrivendo tutta la prima parte del suo ultimo saggio, Hot, Flat and Crowded appunto, alla luce della depressione innescata dalla crisi dei titoli immobiliari. Uscirà a fine anno. Ma qui il nostro anticipa in esclusiva le linee essenziali della sua tesi. «Il mio argomento è che ci siamo ridotti così perché abbiamo sistematicamente sottovalutato i rischi, consentendo ai protagonisti e alle aziende di privatizzare i profitti e socializzare le perdite. La stessa cosa è avvenuta con l'ambiente: abbiamo consentito a chiunque di sottovalutare il rischio dell'impronta carbonica, anche qui privatizzando i guadagni (la benzina a 2 dollari al gallone) e socializzando le perdite, cioè inquinando l'atmosfera dove vivranno i nostri figli. La filosofia che ci ha ispirato può essere simbolizzata in due sigle: Ibg e Ybg, I'll be gone e You'll be gone, io non ci sarò più e tu non ci sarai più. Questa crisi è stata un crollo di valori etici. Tutti concedevano prestiti che non avrebbero dovuto concedere, prendevano prestiti che non avrebbero potuto ripagare, abusavano della natura senza pensare a chi sarebbe venuto dopo. Ci sono due tipi di valori nel mondo: valori di situazione, quelli legati all'idea che tutto passa; e valori sostenibili, il principio che io sarò sempre qui. Il problema è che in un mondo piatto, reso piatto dalla globalizzazione come io sostengo, aver privilegiato i valori situazionali è stato devastante: chi avrebbe mai immaginato che i fondi pensione della polizia britannica avrebbero perso i loro soldi in isave.com, o che la Cambridge University avrebbe perso 20 milioni di dollari nelle banche dell'Islanda?». L'analisi generazionale che sottende il suo ragionamento è impietosa, ma anche ottimista: «I nostri genitori furono la Grande Generazione, costruirono per noi un mondo di libertà e abbondanza. Noi siamo stati la generazione delle cavallette, abbiamo mangiato tutto. I nostri figli dovranno essere la re-generation, creando un modello di crescita basato su valori sostenibili, sia per il mercato che per Madre Natura. Detto in due parole, quello che la libertà fu per i nostri genitori, la sostenibilità dovrà essere per noi e i nostri figli. Altrimenti non saremo liberi, anzi saremo ancora meno liberi di quanto non lo saremmo stati se i sovietici avessero vinto la guerra fredda. Le restrizioni che l'economia e la natura imporrebbero su di noi sarebbero severissime, a meno appunto di non trovare un modello di crescita sostenibile. Saremmo schiavi». Eppure, Friedman è cauto sulla riscoperta del ruolo del governo, che in tutto il mondo sembra essere la lezione più forte tratta da quanto è accaduto. «Non c'è dubbio che il governo debba giocare un ruolo in questa gigantesca opera di riconversione etica. Ma bisogna trovare l'equilibrio. C'è una linea d'ombra nel sistema capitalistico, tra l'assunzione di rischio e l'irresponsabilità. Negli ultimi anni l'abbiamo attraversata. Ma non si può togliere il rischio dal sistema, perché senza quello si elimina l'innovazione e si rallenta la crescita, non potremmo più avere Google o Amazon. Per me il governo deve limitarsi ad assicurare il massimo di trasparenza sui mercati e imporre regole severe per l'uso delle risorse ambientali». Controcorrente, Tom Friedman lo è anche su un'altra questione centrale: a crisi globale soluzioni globali? «No. Al dunque ogni dollaro finisce in un'iniziativa locale, una banca locale, un fondo locale. Se non abbiamo regole locali, con buone garanzie di trasparenza e solvibilità, non si hanno regole globali. Ma se si hanno regole locali, non sono necessarie quelle globali. Guardiamo al Canada, oltre il confine: perché le sue banche sono solide e il dollaro canadese va bene? Perché erano ben regolate. Quindi, ognuno deve intervenire per regolare i propri mercati, ma il coordinamento globale non è una necessità assoluta». Stessa cosa per l'ambiente: «Kyoto è l'equivalente di una regolamentazione mondiale per i mercati finanziari. Io non sono contrario in linea di principio: voglia Dio convincere 192 Paesi a firmare un impegno per ridurre le emissioni nocive. Ma non credo che ciò accadrà e non voglio che il futuro dei miei figli sia ostaggio del giorno in cui Cina e Nigeria saranno d'accordo sul giusto livello di emissioni per loro e gli altri. Io dico: l'America prenda la guida della rivoluzione verde e il mondo seguirà, perché il suo potere di emulazione è ancora forte, ineguagliato. Se tentenniamo, gli altri tentennano, se avanziamo gli altri ci imitano. La Cina in particolare. Finora abbiamo tentennato. Ma se mostriamo che si può essere innovativi, ricchi e imprenditoriali anche colorando di verde la nostra economia, questo varrà più di cento trattati. Durante la guerra fredda la sfida fu tra due Paesi: vinceva la corsa allo spazio chi mandava per primo l'uomo sulla Luna. Oggi è la corsa alla Terra, a chi inventerà per primo le tecnologie più verdi, perché uomini e donne possano continuare a vivere sul pianeta». E chi la vincerà? «Beh c'è una differenza. Questa volta è tutti contro tutti. Chi avrà il dominio delle energy technologies avrà il futuro. Ma alla fine vinceremo tutti o perderemo tutti». Thomas L. Friedman e, a destra, «Discussione al planisferio» (Corbis)

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Marcegaglia chiede 100 giorni di azioni (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 15-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-06-14 - pag: 3 autore: Marcegaglia chiede «100 giorni di azioni» Obiettivi «concreti e mirati», serietà nel dibattito politico - Bene il premier sugli sgravi per gli investimenti Nicoletta Picchio SANTA MARGHERITA. Dal nostro inviato «Caro Presidente, la fiducia non basta: c'è bisogno di qualcosa di straordinario. I prossimi 100 giorni saranno fondamentali per la sopravvivenza del sistema produttivo». Emma Marcegaglia si rivolge a Silvio Berlusconi, che è seduto di fronte: la campagna elettorale, «la peggiore che abbiamo avuto», si è conclusa. è ora che la politica, maggioranza e opposizione, «torni ad occuparsi di questioni concrete, fondamentali per la coesione sociale del Paese». Anche perché, avverte la presidente di Confindustria, «non ci saranno esami di riparazione». Tutto si gioca nei prossimi cento giorni: «Siamo vivi e combattivi. Ma la situazione non è facile». Non si tratta di essere pessimisti: «Non ci si aspettava una crisi così lunga e così profonda ». E anche se probabilmente il peggio è alle spalle, «molte aziende rischiano di morire ». è questo lo scenario che dipinge la presidente di Confindustria per incalzare il Governo, concludendo il convegno dei Giovani imprenditori a Santa Margherita Ligure: «Non vogliamo celebrare nessun funerale, ma servono azioni e mezzi che fino ad oggi in parte sono mancati». Mentre occorrono anche nuove regole sui mercati finanziari: «Mi auguro che dal G-8 finanziario di Lecce e dai prossimi vertici internazionali escano regole comuni». Tempi stretti e rapidità d'azione:sul credito,sulle infrastrutture, sui rimborsi della Pubblica amministrazione. Anche questi rientrano nella terapia dei 100 giorni: «Almeno che ci venga detto: un pezzo ve lo paghiamo ». E poi il fisco, il tema sollevato venerdì dalla presidente dei Giovani, Federica Guidi. Anche la Marcegaglia ha chiesto di ritornare al credito di imposta automatico, superando il tetto inserito da questo Governo. E poi ha rilanciato la detassazione degli utili reinvestiti, apprezzando l'apertura arrivata poco prima da Berlusconi. Fermo restando che la terapia d'urto dei 100 giorni deve andare di pari passo con le riforme: welfare, sanità, liberalizzazioni, Pa. «Diamoci scadenze certe, in questa sfida possiamo essere un alleato forte». Confindustria preme e il Governo risponde: nelle prossime due settimane il presidente del Consiglio, come ha annunciato ieri, si incontrerà con la Marcegaglia e con la Guidi per parlare della strategia anti-crisi. Disponibilità apprezzata dalla presidente di Confindustria, che già ieri è entrata nel dettaglio. Prima emergenza, il credito: «A forza di stare in apnea le imprese possono morire di asfissia». è vero che le banche sono imprese, «ma non si può lesinare il credito alle aziende sane, che vivono il dramma della crisi di settore, con cali degli ordini, si vedono ritirare i fidi, e non riescono a fare investimenti». Bene l'aumento del fondo di garanzia, bene il ricorso a Cassa depositi e prestiti e Sace, «deve diventare tutto operativo rapidamente ». E poi le infrastrutture: non si possono aspettare, come aveva detto venerdì il ministro delle Infrastrutture, Altero Metteoli, 18 mesi per aprire i cantieri: «Bisogna sconfiggere la cultura dei no e dei veti». E restano cruciali gli investimenti: «Le imprese sono pronte a fare la propria parte. Vogliamo andare, come ci ha esortato Berlusconi, a conquistare nuovi mercati». Ma servono i soldi per investire: ecco quindi la necessità di una Tremonti ter e di tornare al credito di imposta automatico per ricerca e innovazione. Non sfuggono alla Marcegaglia i problemi di finanza pubblica. Ma guai se si tornasse, come aveva ipotizzato l'ex ministro Pd Pierluigi Bersani, ad una patrimoniale: «Non scherziamo. I soldi vanno trovati combattendo l'evasione e gli sprechi della spesa pubblica». Replica di Bersani: «La destra ha aumentato le tasse, ho detto che se il Governo avesse risparmiato i 3 miliardi e mezzo dell'Ici,ora avremmo isoldi per tagliare le tasse». Sugli ammortizzatori sociali, bene ha fatto il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. «Si merita un applauso». E a riprova che le aziende italiane «la coesione sociale ce l'hanno nel Dna» la Marcegaglia ha annunciato che presenterà presto con Sacconi una ricerca dove si afferma che l'Italia ma mantenuto più posti di lavoro rispetto ad altri Paesi europei. Ora è la politica che deve dare buona prova di sè. «Bisogna ritornare alla serietà». Basta con le «beghe interne» che ci danno discredito a livello internazionale. E proprio ora che c'è il nuovo Parlamento europeo, bisognerebbe evitare «lo scempio del passato, quando 37 deputati hanno tradito il mandato degli elettori tornando in Italia». Infine il G-8 e lo spostamento all'Aquila: «Apprezzo il valore simbolico», ha detto la presidente di Confindustria, che avrà in gestione il centro congressi a La Maddalena. «Ho avuto un danno economico, ma abbiamo continuato lo stesso, abbiamo vinto un ricorso al Tar. è molto bello, come è bello il porto, e possiamo portarlo avanti anche senza il G-8». © RIPRODUZIONE RISERVATA POLITICHE FISCALI Nuove tasse? Ho sentito Bersani proporre una patrimoniale, non scherziamo. Semmai avanti con la lotta all'evasione Appello alla concretezza. Il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ANSA

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Più spazio al secondo pilastro (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 15-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-06-14 - pag: 2 autore: WELFARE Più spazio al secondo pilastro Puntellare il sistema irrobustendo il secondo pilastro, a dispetto delle recenti defaillance patite dai fondi integrativi per le turbolenze dei mercati finanziari. Quella che è una strada obbligata per la previdenza potrebbe diventarlo anche per la sanità. Almeno da quanto emerge dal Libro bianco sulle politiche sociali presentato nelle scorse settimane dal ministro Maurizio Sacconi, che ipotizza una più marcata presenza della componente privata e integrativa sul versante dei servizi sanitari e che ribadisce la necessità di spianare la strada alle forme complementari sul fonte pensionistico. Non senza prevedere meccanismi di salvaguardia, come ad esempio dei fondi di garanzia. Ad essere convinti che occorra insistere sul secondo pilastro previdenziale sono anche la Banca d'Italia e la Corte dei conti, che nella recente relazione sull'Inps afferma: «i due pilastri previdenziali, obbligatorio e complemen-tare, sono ormai un "corpus" unitario».

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Per gli otto grandi il peggio è passato (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 15-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-06-14 - pag: 5 autore: Il summit. Geithner: ma ancora non c'è ripresa Per gli otto grandi «il peggio è passato» Alessandro Merli LECCE. Dal nostro inviato I ministri finanziari del G-8 mandano da Lecce un cauto segnale che il peggio della più grave crisi economica e finanziaria degli ultimi settant'anni potrebbe essere passato. Ci sono «segni di stabilizzazione, fra cui la ripresa delle Borse, il declino degli spread sui tassi d'interesse, il miglioramento della fiducia delle imprese e dei consumatori», dice il comunicato diffuso ieri al termine dell'incontro, ma la situazione resta «incerta» e i rischi «significativi». Per il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Tim Geithner,«l'economia globale non ha ancora raggiunto il punto in cui possiamo dire di avere una ripresa in corso». E i grandi dissentono, oltre che sui modi degli stress test da applicare alle banche per misurarne la solidità, sui tempi della «strategia d'uscita » dalle misure straordinarie adottate nei mesi scorsi e finanziate massicciamente con soldi pubblici. Per il momento, il G-8 ha affidato al Fondo monetario il compito di studiare queste strategie. Lo stesso direttore dell'Fmi,Dominique Strauss- Kahn, tuttavia, ha ammesso che «prima della strategia d'uscita, dobbiamo avere l'uscita dalla crisi», anche se ha ricordato che, per la prima volta da due anni a questa parte il Fondo ha rivisto al rialzo, e non al ribasso, le previsioni di crescita (per il 2010). Il punto focale delle politiche economiche, secondo Geithner, deve restare la crescita, sia per i paesi industriali sia per quelli emergenti. C'è inoltre il problema della disoccupazione che, riconosce il G-8, continuerà ad aumentare anche dopo il ritorno della crescita. «Se la crescità tornerà all'inizio del 2010 – ha detto Strauss-Kahn – il picco della disoccupazione verrà raggiunto solo all'inizio del 2011». Come spesso avviene, la linea più rigorista sulle finanze pubbliche è stata abbracciata soprattutto dalla Germania. Il ministro Peer Steinbrueck ha fatto balenare lo spettro dei downgrading del debito che, in mancanza dell'adozione a breve di piani di rientro, possono colpire anche paesi europei. Altri però ritengono che i tempi per invertire la rotta sugli stimoli fiscali non siano maturi. «Siamo d'accordo che alla strategia d'uscita dobbiamo pensarci, ma non è il momento di metterla in atto», ha sostenuto il ministro giapponese, Kaoru Yosano. Stessa linea dal cancelliere britannico, Alistair Darling, e da Geithner. Il quale tuttavia è convinto che «la ripresa economica e finanziaria sarà più forte e più duratura se spieghiamo oggi come intendiamo recuperare la sostenibilità dei conti pubblici». Il segretario al Tesoro ha evitato di commentare direttamente le preoccupazioni dei mercati finanziari sul debito Usa, che si sono manifestate in un aumento dei rendimenti dei titoli di Stato e in un calo del dollaro. E, come sempre, la vera misura del successo del G-8 nel far passare la propria linea verrà dalla risposta dei mercati finanziari alla riapertura di domani. «Si sono attenuati- ha detto Geithner- i timori, ma c'è ancora molto da fare». Strauss-Kahn ha detto di non vedere un dollaro debole.

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Il Papa: ripensare il sistema finanziario (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 15-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-06-14 - pag: 5 autore: La prossima enciclica. Più controlli ed etica Il Papa: ripensare il sistema finanziario Carlo Marroni CITTà DEL VATICANO Servono nuove regole del mercato finanziario globale e valori a cui ispirarsi. Non ci sono dubbi sul messaggio forte dell'enciclica economico-sociale di Benedetto XVI "Caritas in veritate", che sarà pubblicata con tutta probabilità il prossimo 29 giugno. «La crisi finanziaria ed economica che ha colpito i Paesi industrializzati, quelli emergenti e quelli in via di sviluppo, mostra in modo evidente come siano da ripensare certi paradigmi economico-finanziari che sono stati dominanti negli ultimi anni» ha detto Ratzinger ieri in un discorso rivolto ai membri della Fondazione Centesimus Annus che raccoglie anche industriali e banchieri (tra cui Hans Tietmeyer e Michel Camdessus, ma anche il politologo americano Michel Novak)), ai quali il Pontefice ha ricordato che «la libertà nel settore dell'economia deve inquadrarsi in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale, una libertà responsabile il cui centro è etico e religioso». L'enciclica, pensata ormai quasi due anni fa e sempre rimandata per gli sviluppi della crisi ( le indiscrezioni parlano ormai di ben quattro stesure) sarà «tutta dedicata al vasto tema dell'economia e del lavoro e in essa verranno posti in evidenza quelli che per noi cristiani sono gli obiettivi e i valori da promuovere e difendere instancabilmente, al fine di realizzare una convivenza umana veramente libera e solidale». Insomma, etica al centro dei comportamenti e rispetto dei deboli nei programmi, così da evitare sbandamenti e squilibri, registrati negli ultimi anni, a partire da quella finanza "facile" più volte messa nel mirino dal Papa negli ultimi mesi. Anche l'occasione non è casuale: la Centesimus Annus è l'enciclica del 1991 di Giovanni Paolo II (scritta in occasione del centenario della Rerum Novarum, la madre della Dottrina Sociale della Chiesa) in cui si riconosce il ruolo positivo del capitalismo pur se inquadrato in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana. E così Benedetto XVI si trova, alle prese con la crisi planetaria, a chiedere alle autorità pubbliche che «elaborino una visione dell'economia moderna rispettosa dei bisogni e dei diritti dei deboli, ispirandosi agli eterni principi del Vangelo». Dunque, «bene ha fatto» la Fondazione ad affrontare nel suo Convegno annuale «il tema della ricerca e della individuazione di quali siano i valori e le regole a cui il mondo economico dovrebbe attenersi per porre in essere un nuovo modello di sviluppo più attento alle esigenze della solidarietà e più rispettoso della dignità umana». A questo proposito il Papateologo ha sottolineato l'attualità della Centesimus Annus alla quale si richiama la Fondazione presieduta da Rossi di Montelera, e cita la sua affermazione più forte: «Come la persona realizza pienamente se stessa nel libero dono di sé, così la proprietà si giustifica moralmente nel creare, nei modi e nei tempi dovuti, occasioni di lavoro e crescita umana per tutti». L'ANNUNCIO Nuovo testo sull'economia e sul lavoro: «Attenzione e rispetto verso i bisogni e i diritti dei più deboli»

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Stop alla corsa delle Borse l'Europa brucia 101 miliardi (sezione: crisi)

( da "Stampa, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

DOPO LA CAVALCATA DEI LISTINI DEGLI ULTIMI TRE MESI Stop alla corsa delle Borse l'Europa brucia 101 miliardi Giù auto e materie prime, Milano perde il tre per cento [FIRMA]GIANLUCA PAOLUCCI Oltre cento miliardi di capitalizzazione persi in una seduta, quella di ieri, che ha fatto ricadere le Borse nei giorni cupi della crisi finanziaria. In realtà dovrebbe trattarsi solo di una battuta d'arresto, spiegano dalle sale operative, dopo la corsa delle ultime settimane. Una corsa che ha visto il Ftse Mib di Piazza Affari, ieri giù del 3%, guadagnare circa il 35% dai 14100 punti di tre mesi fa. Rialzo ancora più massiccio nei mercati asiatici (+47% in tre mesi per l'indice di riferimento dell'area Asia-Pacifico) da dove sono partite le vendite della giornata. Ad innesscarle, proprio i timori legati ad uno scollamento tra i prezzi dei titoli e gli utili attesi dalle aziende, con molte azioni ritenute ormai sopravvalutate. La debolezza di Asia e Europa si è poi riversata in Usa, con gli indici di Wall Street in deciso ribasso in apertura. Nel Vecchio continente, il Dj Stoxx 600 ha chiuso in ribasso del 2,49%, ma Parigi e Francoforte, con Milano, hanno perso oltre il 3%. Ad essere più colpiti dai realizzi sono proprio i settori più vivaci nell'ultimo periodo. Le vendite massicce hanno dunque interessato gli automobilistici (sottoindice Dj Stoxx -5,04%) con Francoforte (-3,54%) che ha accusato il contraccolpo peggiore con le flessioni di Daimler (-6,5%), Volkswagen (-4,5%), Bmw (-4,4%) e Porsche (-3,7%). Ma sono finiti giù, nel settore, anche Renault (-5,4%), Michelin (-4,9%) e Fiat (-4,5%). A Milano le vendite hanno invece interessato tra gli altri Fondiaria-Sai (-5,04%), Alleanza (-4,02), Generali (-4,03%), Unicredit (-4,4%) e Intesa Sanpaolo (-3,3%). Ad appesantire Londra (-2,61%) sono state invece le materie prime (-4,3% l'indice di settore), con i timori di una nuova bolla speculativa sui prezzi. Tra i titoli peggiori Lonmin (-9,7%), Eurasian (-7,2%), Vedanta (-7,19%), Xstrata (-7,1%) e Rio Tinto (-6,9%). A Parigi (-3,2%) ha sofferto Air France (-5,2%) dopo che Citigroup ha abbassato il giudizio sul titolo. Male poi Stm (-6,3%) per le indicazioni sui piani di Finmeccanica di cedere il suo 3,2% nella società. A New York il pretesto per vendere è arrivato con una serie di dati macroeconomici non particolarmente brillanti. In primo luogo dall'indice manifatturiero nell'area di New York sceso a giugno a quota -9,41, risultando decisamente peggiore del previsto, così come il saldo degli investimenti esteri fermatosi a 11,2 miliardi di dollari rispetto ad una stima di 60 miliardi. Anche a Wall Street si fa sentire il tema dei prezzi delle materie prime, con il prezzo del greggio tornato sotto i 70 dollari al barile che spinge in basso i titoli di petroliferi e energetici. Al termine della seduta il Dow Jones cede il 2,13%, mentre il Nasdaq è in calo del 2,28%.

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cala di 4 punti l'8 per mille a favore della cei (sezione: crisi)

( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

Pagina 27 - Economia Il fisco Cala di 4 punti l´8 per mille a favore della Cei CITTà DEL VATICANO - Il vento della crisi economica colpisce anche la Chiesa italiana. Calano, infatti, di quasi 4 punti, dall´89,82 per cento del 2008 all´86,02 del 2009, i fondi assegnati alla Cei (Conferenza episcopale italiana) dallo Stato in base alla ripartizione dell´8 per mille. Per cui, dai 1002,5 milioni di euro del 2008 (in riferimento alle dichiarazioni del 2005 relative ai redditi del 2004) si passa ai 967,5 milioni di euro del 2009 (sulla base delle dichiarazioni 2006 relative ai redditi del 2005). Lo rivela l´agenzia di stampa di informazione religiosa Adista presentando la Relazione sull´otto per mille 2009 curata dal segretario generale Cei, il vescovo Mariano Crociata, e approvata all´Assemblea Generale dei vescovi del maggio scorso. Una evidente battuta d´arresto legata, secondo i vescovi, «alla crisi dei mercati finanziari». Ma nemmeno le prospettive future sono tanto rosee, perché per la Cei l´8 per mille potrà aumentare «solo se crescerà il gettito fiscale e col contestuale mantenimento della percentuale delle firme a favore della Chiesa cattolica». (o. l. r.)

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berlusconi alla casa bianca "obama o bush, sempre alleati" - caludio tito (sezione: crisi)

( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

Pagina 6 - Interni Berlusconi alla Casa Bianca "Obama o Bush, sempre alleati" "Sono qui per ascoltare e per dare consigli sul G8" L´incontro Nell´agenda dell´incontro vertice dell´Aquila, Guantanamo, Iran, Afghanistan Il Cavaliere si è presentato con alcuni doni tra cui le cravatte di Marinella CALUDIO TITO DAL NOSTRO INVIATO WASHINGTON - «Noi siamo alleati degli Stati Uniti comunque. Non fa differenza se alla Casa Bianca c´è George Bush o Barack Obama». Per Silvio Berlusconi è stata la prima volta. Non alla Casa Bianca. Ma con il nuovo presidente americano. Ieri dunque c´è stato l´incontro tanto atteso dal Cavaliere. Obama l´ha ricevuto nel pomeriggio per poco più di un´ora. Niente pranzo di lavoro, solo un caffè. Nello studio ovale i due hanno discusso alcuni dei più attuali temi di politica internazionale. Il G8 dell´Aquila e la situazione in Afghanistan, l´Iran e i detenuti di Guantanamo. Ma soprattutto hanno iniziato a conoscersi. E per allentare la tensione il Cavaliere si è presentato con qualche dono tra cui un bel pacchetto di cravatte Marinella. Del resto, al di là dell´agenda ufficiale, il premier italiano ha in primo luogo fatto di tutto per confermare l´amicizia con Washington. Dal suo arrivo a Washington si è chiuso nella sua stanza all´hotel St. Regis per studiare i dossier. Se fino a sei mesi l´intesa con l´Amministrazione statunitense era quasi naturale, adesso è tutta verificare e costruire. Non a caso, poco prima di varcare la soglia della Casa Bianca agli uomini del suo staff e a quelli che lo hanno accompagnato nel bilaterale, ha ripetuto che l´Italia non fa differenza tra un presidente repubblicano ed uno democratico. Un modo, insomma, per sgombrare il campo da possibili incomprensioni. «Io sono qui per ascoltare - è stato il suo ragionamento - ed eventualmente per dare consigli visto che sono il leader del G8 più esperto». L´inquilino della Casa Bianca e il presidente del Consiglio, quindi, hanno iniziato ieri a conoscersi. Al colloquio erano presenti per la parte americana anche il segretario di Stato Hillary Clinton, il consigliere per la sicurezza nazionale James Jones, e il capo dello staff «obamiano» Rahm Emanuel; per la parte italiana l´ambasciatore Castellaneta, il segretario generale della Farnesina Massolo, il consiglier diplomatico Archi e il portavoce Bonaiuti. Berlusconi ha concentrato l´attenzione sul prossimo G8. «Per noi - ha spiegato il capo del governo - è fondamentale che il summit abruzzese sia efficiente». Un eventuale insuccesso, infatti, rappresenterebbe una ulteriore batosta sotto il profilo della reputazione internazionale. Così, al presidente americano ha esposto i suoi obiettivi ma ha anche chiesto se ci fossero da parte statunitense delle richieste particolari. Sapendo che difficilmente a luglio si potrà definire davvero il cosiddetto «Global legal standard», le norme internazionali per i mercati finanziari. «Quello - spiegava nei giorni scorsi Giulio Tremonti - è un lavoro ancora lungo». In realtà alla Casa Bianca erano interessati soprattutto agli aspetti «concreti» dell´incontro. Obama ha cercato di capire in cosa l´Italia può essere d´aiuto. A partire dai detenuti di Guantanamo. Roma ha dato la sua disponibilità ad accettare dei «trasferimenti». Dovrebbe presto prendersi in carico tre prigionieri tunisini. Poi c´è il capitolo Afghanistan. Da tempo Palazzo Chigi ha confermato l´intenzione di ampliare il suo contingente a Kabul. Il numero dei soldati italiani dovrebbe crescere da un minimo di 300 a un massimo di 500 con una corrispondente riduzione delle presenze in Kosovo. Un impegno maggiore che dovrebbe andare oltre le operazioni elettorali nel paese asiatico previste a dicembre. Dovrebbero crescere di due unità anche gli aerei Tornado. Le due delegazioni poi si sono soffermate sulle ultime vicende iraniane. La preoccupazione americana è salita e lo stesso Berlusconi - nonostante i tanti investimenti italiani nell´area - non ha mai nascosto il suo giudizio su Ahmadinejad. A Parigi, nel settembre scorso, lo ha addirittura paragonato a Hitler. Nell´area mediorientale, però, il presidente del consiglio è sicuro che l´Italia possa svolgere un ruolo. Ha ricordato a Obama che la prossima settimana incontrerà il premier israeliano Netanyahu.

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perché il vento della crisi spazza via la sinistra europea - marc lazar (sezione: crisi)

( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

Pagina 46 - Cultura Tutele perdute Preoccupazione Il mondo del lavoro ha perso le tutele di cui ha goduto in passato E di fronte alla debolezza delle forze sindacali per difendersi può solo scegliere strade individuali I dati sono preoccupanti: a ingrossare le file dell´astensionismo sono stati proprio gli elettori tradizionalmente più affezionati alla sinistra i giovani e i ceti popolari Perché il vento della crisi spazza via la sinistra europea La sconfitta generale nelle ultime elezioni per il Parlamento di Strasburgo costringe le socialdemocrazie a ripensare il loro orizzonte teorico e politico MARC LAZAR Il risultato delle elezioni europee, che ha penalizzato la sinistra, suscita due interrogativi cruciali: il primo è sul suo attuale stato di salute, il secondo sul suo futuro che riguarda ormai il post-socialismo. Si delineano due risposte di segno contrario. La prima relativizza l´insuccesso e insiste sul carattere particolare di questa consultazione elettorale, rinviando alle specificità dei singoli Paesi e ricordando che la storia della sinistra registra un alternarsi ininterrotto di cicli ora favorevoli, ora negativi. La seconda, pur riconoscendo la pertinenza dei suddetti argomenti, vede in queste elezioni europee – peraltro precedute da altre batoste – una sconfitta storica. Ed è quest´ultima risposta che dobbiamo prendere in considerazione. Di fatto, la sinistra riformista ha dovuto incassare ben sedici sconfitte, alcune delle quali di considerevole portata, che colpiscono le sue formazioni più importanti e emblematiche. La sinistra è colpita, a prescindere dalla sua attuale collocazione – all´opposizione, sola al potere o associata a coalizioni di governo – e indipendentemente dalla sua traiettoria storica. Come spiegare un tale disastro? Mettendo insieme una serie di considerazioni di fatto, di ragioni congiunturali e di fattori più strutturali. Il record di astensioni registrato alle elezioni europee è riconducibile all´elettorato prediletto dalla sinistra: i giovani e soprattutto i ceti popolari e operai e gli elettori ai livelli di istruzione più modesti, che sono oggi i più depoliticizzati, e i meno interessati all´Europa. I simpatizzanti della sinistra che si sono recati alle urne hanno disperso i loro voti. Chi vede nell´Ue la causa di ogni sua attuale difficoltà ha votato per i partiti euroscettici, o magari per quelli xenofobi e populisti, come sembra sia stato il caso per una parte dell´elettorato popolare. I moderati, più volatili e incerti che mai, hanno optato per le formazioni di centro-destra. Gli europei con redditi assicurati e un alto livello di istruzione, più aperti al mondo, hanno preferito i Verdi (progrediti in alcuni Paesi, tra cui la Francia) ritenendo che oggi i temi prioritari siano quelli dell´ecologia e dell´ambiente. è inoltre emerso un paradosso significativo: lungi dal favorirla, la crisi finanziaria ed economica ha anzi danneggiato la sinistra, che pure era convinta di doverne trarre vantaggio, poiché l´attuale congiuntura segna la fine delle illusioni sui benefici dell´economia di mercato e il crollo del mito liberista, con la necessità di regole emananti dallo Stato e di politiche sociali. Il Partito socialista europeo non aveva peraltro incontrato particolari difficoltà nel varo di un manifesto comune, e la sua campagna era focalizzata sull´Europa sociale. Anche la sinistra radicale credeva che fosse venuto il suo momento, per fustigare da un lato il capitalismo e dall´altro il riformismo, reo di tutti i tradimenti; mentre pur avendo riportato qualche progresso, in totale avrà dieci deputati in meno nel futuro parlamento europeo. Ma come mai non si è dato ascolto alle sinistre? Innanzitutto, come scriveva Bernardo Valli su Repubblica del 9 giugno, perché la destra, dando prova di grande pragmatismo, ha smesso di richiamarsi al neoliberismo – al quale in verità l´Europa non si era mai convertita – per adottare posizioni protezioniste; e non ha esitato a far propri i temi della sinistra. Inoltre – e soprattutto – la sinistra ha mostrato una tendenza a leggere il presente attraverso gli occhiali del passato, senza cogliere tutta la complessità di questa crisi, rivelatrice delle mutazioni ben più profonde che travagliano da decenni le nostre società. Crisi vuol dire disoccupazione, sperequazioni sociali crescenti, inasprimento della povertà; eppure, almeno per il momento questa crisi non ha suscitato importanti mobilitazioni collettive. Perché si ha paura. Perché i sindacati sono indeboliti. Perché c´è stata un´evoluzione nelle relazioni sociali all´interno delle imprese. Perché il mondo del lavoro è cambiato. Perché la precarizzazione è ormai generalizzata. Di conseguenza molti europei, deliberatamente o per forza maggiore, tentano ancora strategie individuali di sopravvivenza e di adattamento; e vorrebbero considerarsi liberi e indipendenti, pur avendo forti esigenze di protezione. Quanto agli anziani – peraltro sempre più numerosi – sono sensibili a temi quali la sicurezza e l´immigrazione; e molti aspirano a rifondare la propria identità. Infine, a loro volta anche i nostri regimi politici hanno subito una profonda trasformazione, in particolare con l´affermarsi della democrazia del pubblico e dell´opinione, in cui il ruolo del leader è decisivo. Ed è chiaro che da un decennio, in questo campo tutta la sinistra soffre di un deficit flagrante. La sinistra riformista non è rimasta né immobile né muta. Ha rifiutato di riesumare, come fa la sinistra radicale, le vecchie ricette del passato; ha esplorato altre vie, tentando di rivolgersi a nuove fasce di elettori. Ma a fronte di una destra unita, capace di proposte incisive, decisa a imporre un´egemonia culturale e a rispondere al bisogno d´identità che si manifesta negli europei, si presenta divisa, sulla difensiva, senza progettualità né identità, priva di leader, poco credibile, non in sintonia con le trasformazioni in atto. Perciò la sinistra riformista ha una priorità: quella di avviare al più presto una riflessione approfondita sui fondamenti e le modalità del suo riformismo, e analizzare la complessità dei cambiamenti in atto nelle società e nelle nostre democrazie. Pena la sua scomparsa. (Traduzione di Elisabetta Horvat)

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Bce: nuovi rischi per le banche (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMA data: 2009-06-16 - pag: 1 autore: Segnali di stabilità ma anche 283 miliardi di dollari di svalutazioni Bce: nuovi rischi per le banche Nella riforma americana più controlli e poteri alla Fed L'Europa non ha finito di fare i conti con la crisi finanziaria globale. Sul sistema bancario nella zona dell'euro gravano infatti 283 miliardi di dollari di perdite potenziali aggiuntive dovute essenzialmente a esposizioni su prestiti che si potranno trasformare in sofferenze e crediti inesigibili entro il 2010. Il dato è contenuto nel rapporto Financial Stability Review, presentato ieri dal vice-presidente della Banca centrale europea Lucas Papademos. Il documento fornisce comunque numeri leggermente più confortanti rispetto a quelli già indicati lo scorso aprile dal Fondo monetario internazionale. Intanto negli Stati Uniti si sta per alzare il velo sulla più ambiziosa proposta di riforma dei controlli sui mercati finanziari dalla Grande Depressione degli anni 30. Barack Obama ha rinunciato a un radicale consolidamento delle numerose autorità americane preposte alla supervisione, ma ha in cantiere una serie di riforme ugualmente significative . Domani il presidente solleverà il sipario su un "white paper", un documento da mesi in gestazione alla Casa Bianca e che propone di affidare alla Federal Reserve nuovi poteri di super-poliziotto dei giganti della finanza. Bufacchi, Riolfi e Valsania u pagina 6 l'articolo prosegue in altra pagina

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Si riduce l'appetito per i titoli di stato Usa (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-06-16 - pag: 10 autore: In calo gli acquisti da parte di Cina, Russia e Giappone Si riduce l'appetito per i titoli di stato Usa Cala l'appetito per i titoli di stato americani. In aprile, secondo i dati comunicati ieri dal dipartimento del Tesoro, Cina, Russia e Giappone hanno ridotto, sia pur di poco, l'ammontare di Treasury nei loro portafogli. La Cina, primo detentore di bond Usa dal settembre scorso (quando ha superato il Giappone), ha diminuito di 4,4 miliardi i propri titoli, passati da 767,9 a 763,5 miliardi di dollari. è la prima retromarcia dal maggio 2008. In calo anche la quota in mano alla Russia (da 138,4 a 137 miliardi) e al Giappone (da 686,7 a 685,9). La notizia arriva in un periodo delicato per il debito americano, alle prese con le extra-spese di bilancio varate dal Congresso per uscire dalla recessione. Secondo le ultime stime del Congressional Budget Office, quest'anno il deficit arriverà alla stratosferica cifra di 1.850 miliardi di dollari (il 13,1% del Pil) dai 459 miliardi del 2008. Per finanziarlo, il Tesoro ha in programma un massiccio piano di emissione di titoli che solleva dubbi sulla capacità della domanda di tenere testa all'offerta. A questo si aggiungono segnali di minor fiducia nei confronti degli Usa e del dollaro da parte dei grandi paesi emergenti. Lo scorso marzo, il premier cinese Wen Jiabao ha chiesto a Washington di «garantire la sicurezza dei titoli in mano ai cinesi». E all'inizio di giugno, il presidente russo Dmitrji Medvedev, parlando del dollaro, ha detto che «non è certo in una situazione spettacolare e che le sue prospettive sono oggetto di numerosi interrogativi », (ieri il ministro delle Finanze Aleksej Kudrin ha smorzato i toni, affermando che non vede alternative al dollaro). La banca centrale russa inoltre ha intenzione di vendere Treasury per comprare i bond che verranno emessi dal Fondo monetario internazionale. I dati di ieri sono solo un piccolo segnale di allarme. Nel suo complesso, infatti, gli acquisti di titoli Usa a lungo termine (azioni e obbligazioni) sono aumentati in aprile di 41,9 miliardi di dollari, contro l'incremento di 55,3 miliardi registrato in aprile. Una frenata in un contesto di crescita, quindi. Se si includono i titoli con scadenza a breve, il saldo è negativo per 2,6 miliardi di dollari. «Le voci - ha detto all'agenzia Bloomberg Chris Rupkey, economista di Bank of Tokyo-Mitsubishi Ufj - secondo cui le banche centrali diversificheranno i propri portafogli dal dollaro e dai Treasury per ora sono solo voci. I Treasury sono un porto sicuro in questa crisi finanziaria». Resta il fatto che da marzo i rendimenti dei titoli di stato decennali sono saliti di oltre un punto. Ieri i tassi erano al 3,77% dopo aver toccato il 4% giovedì scorso. Un aumento che viene spiegato in due modi: c'è chi lo collega alla rinnovata propensione al rischio degli investitori e chi alla minore attrattività dei bond americani in una fase così delicata per i conti pubblici del paese. Per Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve, prevale la prima ragione, ma pesano anche i timori per il debito. G.Me. © RIPRODUZIONE RISERVATA LA FRENATA In aprile resta positivo ma scende da 55 a 42 miliardi il saldo tra investimenti finanziari in entrata e in uscita

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L'impresa di rialzare la testa (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: COMMENTI E INCHIESTE data: 2009-06-16 - pag: 14 autore: ... MILANO E ASSOLOMBARDA L'impresa di rialzare la testa «M ilano rialzerà la testa, la crescita ripartirà da qui». Già in passato ha anticipato i trend, facendosi laboratorio del paese. Ne è sicuro il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, intervenendo all'assemblea annuale di Assolombarda, in coincidenza con il rinnovo del mandato presidenziale di via Pantano:la staffetta tra l'uscente Diana Bracco e il neodesignato Alberto Meomartini, presidente di Snam Rete gas, dunque una grande impresa delle Reti non una Pmi tradizionale. Scelto dalla base associativa per rappresentare il sistema ambrosiano nel mondo nuovo post crisi finanziaria globale, quandoè doveroso, per dirla con Meomartini, insieme agli interessi collettivi da tutelare, mantenere e sviluppare condizioni di concorrenzialità tra le imprese in una nuova sintesi tra stato e mercato. Dunque «un tenere insieme» in cui al mercato e all'economia si affianca il ruolo della politica e dei governi in funzione di riequilibrio, di stimolo e di "facitori" di nuove regole. Un paradigma tutto da scrivere. Nel dosaggio e nelle best practise. Ma con Milano, questa è la sfida, un'altra volta potenzialmente battistrada...

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A Condotte maxi-appalto per le gallerie del Gottardo (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: ECONOMIA E IMPRESE MERCATI IT data: 2009-06-16 - pag: 22 autore: Cantieri all'estero. Vinta in Svizzera una gara da 680 milioni A Condotte maxi-appalto per le gallerie del Gottardo Franco Vergnano MILANO Parlerà italiano il cantiere di Sigirino, vicino a Lugano, nel Canton Ticino. Da questa "caverna operativa", come la chiamano gli addetti ai lavori, partiranno gli scavi per costruire sotto il Monte Ceneri le gallerie del progetto Alp Transit, una in direzione di Lugano e l'altra verso Bellinzona. La commessa è infatti stata vinta da un consorzio tutto made in Italy, guidato dalla Condotte di Roma in cordata con la valtellinese Cossi ( controllata dallo stesso gruppo). «Siamo molto orgogliosi – racconta Duccio Astaldi, presidente del consiglio di Gestione Condotte – di essere stati scelti dall'Alp Transit San Gottardo per effettuare lo scavo principale della galleria di base del Monte Ceneri. Per almeno quattro motivi. Il primo è che il nostro portafoglio ordini si incrementa in un sol colpo di 680 milioni di euro. La seconda motivazione riguarda il fatto che siamo stati ritenuti i migliori in una gara internazionale alla quale hanno partecipato cinque consorzi (tra cui uno svizzero e uno austriaco). Inoltre viene premiata la nostra strategia di diversificare l'operatività in vari Paesi. Infine riusciamo a fare un altro passo avanti nella scelta di incrementare le nostre specializzarci, tra cui quelle dei lavori in sotterraneo». Il consorzio italiano si dovrà occupare dello scavo dei due "tubi" lunghi 11,5 chilometri previsti nel progetto per l'alta velocità ferrovia svizzera. I lavori di apertura del cantiere cominceranno in autunno, mentre lo scavo vero e proprio inizierà nella primavera del 2010 per essere terminato nel 2015. L'apertura del tunnel è prevista per la fine del 2019. «Da notare –aggiunge Astaldi – che la commessa viene poche settimane dopo un'altra, di 40 milioni di euro, conquistata in una gara al San Bernardo». Con queste ultime acquisizioni, il portafoglio ordini Condotte sale a 4.209 milioni di euro, in pratica significa avere il lavoro assicurato per 4-5 anni. Inoltre il peso dell'estero sale al 44% delle commesse. Insomma per Condotte la parola d'ordine è «diversificazione ». Con un fatturato 2008 di 744,5 milioni di euro, l'azienda rappresenta uno dei principali general contractor italiani. La società, con una governance duale, è guidata da un management giovane. Presidente del consiglio di Gestione è appunto Astaldi, mentre Isabella Bruno Tolomei Frigerio è a capo di Ferfina, la holding che controlla il gruppo. Il piano industriale triennale di Condotte ha un "fil rouge" chiaro: «Puntiamo – spiega Astaldi – sulla diversificazione geografica (siamo in 6 Paesi), per tipologia di lavori (marittimi, ponti, strade, ferrovie, ecc.) e per varietà contrattuali (project financing, general contracting, concessioni, ecc.). Continueremo a lavorare molto in Italia, anche attraverso le concessioni, ma uno dei principali obiettivi è aumentare il portafoglio lavori all'estero, prevedendo di passare dal 20% di fatturato attuale al 50% nel 2011. I Paesi di riferimento sono l'Algeria (dove già siamo molto attivi), gli Stati Uniti, la Giordania, la Romania e, appunto, la Svizzera». Sulle specializzazioni produttive, Condotte rivendica la leadership nelle opere marittime, nei ponti e viadotti, nei trasporti idrici, nelle gallerie. Nel novembre scorso, nel pieno della crisi finanziaria mondiale, il gruppo romano ha acquisito il 60% della Cossi costruzioni, una società creata dall'imprenditore di Sondrio Renato Cossi, particolarmente capace nella realizzazione di gallerie: «Abbiamo fatto questo passo – conclude Astaldi – per consolidare la nostra leadership nei tunnel ferroviari. è stato un investimento su un'impresa efficiente e specializzata, ma soprattutto sull'imprenditore Cossi. Nel nostro settore gli uomini contano più di tutto, prima ancora delle tecnologie». © RIPRODUZIONE RISERVATA FERROVIA Da realizzare entro il 2015 sotto il Monte Ceneri due trafori da 11,5 chilometri destinati alla linea elvetica ad Alta velocità

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Rendimenti in calo per i dottori (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI PROFESSIONISTI data: 2009-06-16 - pag: 39 autore: CORTE DEI CONTI Rendimenti in calo per i dottori I conti previdenziali dei commercialisti tengono, ma il loro equilibrio è messo in pericolo dalla crisi finanziaria, che riduce i successi della gestione del patrimonio, e dal rallentamento dell'economia che può intaccare le entrate contributive. L'avvertimento arriva dalla Corte dei conti, che ha passato al setaccio i conti 2006 e 2007 della Cassa di previdenza dei dottori commercialisti ( delibera 33/2009 della sezione di controllo degli enti) e ha messo in rilievo il primo rallentamento nelle sue dinamiche economiche. I risultati continuano a migliorare (il saldo 2007 è positivo per 356,6 milioni di euro), ma in modo meno vivace rispetto al passato (l'incremento nel 2007 è stato del 4,5%, contro il 18,8% del 2006). A spiegare il rallentamento sono proprio le prime nubi che si sono affacciate sui mercati finanziari a partire da metà 2007, e che ha tagliato i rendimenti del patrimonio (da 4,03% del 2006 a 1,25% del 2007), con problemi soprattutto su quello mobiliare. Meno preoccupante l'andamento della gestione caratteristica, perché il bilancio tecnico 2007-2036 (con punte al 2056) tiene conto del fatto che il numero di pensionati corre con ritmi decisamente più rapidi rispetto a quello degli iscritti. G.Tr. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Veb in soccorso di Lukoil Il 4,9% alla banca statale (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: FINANZA E MERCATI data: 2009-06-16 - pag: 45 autore: Petrolio. Il 20% della società è della ConocoPhillips Veb in soccorso di Lukoil Il 4,9% alla banca statale Antonella Scott MOSCA. Dal nostro inviato Sull'ultimo numero dell'edizione russa di Newsweek, la storia di copertina parte da un'immagine di Vladimir Putin e Dmitrij Medvedev, chini su un grande gioco del Monopoli aggraziato dalle cupole di San Basilio. Titolo: «Compriamo tutto. A buon prezzo». La corsa ad assets resi appetibili dalla crisi globale non guarda soltanto oltre i confini russi. Da ottobre a oggi Vnesheconombank (Veb), la banca di stato orientata allo sviluppo, ha speso 167 miliardi di rubli (5,7 miliardi di dollari) acquistando blue chips: in totale aveva ricevuto dal governo un tesoro di 175 miliardi, destinati a sostenere i mercati finanziari. Di fatto, attraverso Veb e gli altri due grandi istituti pubblici, Vtb e Sberbank, lo stato russo ha accumulato azioni nell'industria strategica, rafforzando il controllo. Entrando anche nel capitale di Lukoil. Il principale produttore petrolifero privato, secondo solo alla statale Rosneft, ha confermato ieri che a fine anno Veb aveva acquisito una quota definita "importante" dalla banca. Un passo che il vicepresidente di Lukoil, Leonid Fedun, ha commentato positivamente: la compagnia, ha scritto, «accoglie tra i suoi azionisti Vnesheconombank, uno degli istituti finanziari statali più importanti in Russia, investitore strategico nell'economia reale». Né Veb né Lukoil hanno rilasciato commenti sulle dimensioni dell'acquisto, ma un portavoce della compagnia ha fatto notare che al di sotto di un livello del 5% Lukoil non è tenuta a rendere pubblica nulla. Il 20% della compagnia è in mano all'americana ConocoPhillips, il 28% delle sue azioni vengono scambiate sul mercato aperto. Le attenzioni della Veb, nel distribuire i propri investimenti, sono andate soprattutto a gruppi statali: Gazprom, Rosneft, Surgutneftegaz. Ma la settimana scorsa Norilsk Nickel aveva reso pubblico l'acquisto del 3,7% delle azioni da parte di Veb, quando lo stato già ha una mano sul 25% di Oleg Deripaska come collaterale di un prestito di 4,5 miliardi di dollari. Il caso di Lukoil è diverso: la compagnia ha avuto il suo momento più buio quando i prezzi del petrolio sono scesi sotto i 50 dollari, ma negli ultimi mesi ha ritrovato slancio, guadagnando in Borsa da inizio anno più del 60%: anche se giornate come quella di ieri, in cui il titolo ha perso il 5,4%, mettono in evidenza la fragilità di una ripresa che ancora non dà garanzie di essere definitiva. Ma Lukoil già guarda al futuro: prepara il ritorno in Iraq, ha in programma di espandersi sul mercato italiano del gas, insieme a Erg, non ha perso le speranze sulla spagnola Repsol, offre 1,5 miliardi a Bp per la sua quota di Lukarco, parte del Caspian Pipeline Consortium. La settimana scorsa a Pietroburgo il presidente della compagnia, Vagit Alekperov, spiegava che la crisi non cambierà i piani di investimento, che per il 2009 immaginano una spesa di 7 miliardi. Sulla scia del petrolio, del resto, l'ottimismo cerca di farsi strada in Russia,dove l'interesse degli investitori sembra risvegliarsi e le prime società tra cui Lukoil - riprendono ad avventurarsi sui mercati del debito. Tornano a riempirsi anche le casse dello stato, e i due fondi sovrani che custodiscono i guadagni del petrolio. © RIPRODUZIONE RISERVATA Nuovo socio. Un impianto Lukoil in Siberia. La banca russa Veb è entrata nel capitale con una quota del 5% BLOOMBERG

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In Cina l'Antitrust ora affila le armi (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: MONDO E MERCATI data: 2009-06-16 - pag: 29 autore: Focus. Il ministero del Commercio prospetta un possibile altolà all'alleanza tra Rio Tinto e Bhp Billiton dopo lo «schiaffo» a Chinalco In Cina l'Antitrust ora affila le armi Legge antimonopolio a due lame: sotto il segno della libera concorrenza e del protezionismo Luca Vinciguerra SHANGHAI. Dal nostro corrispondente L'alleanza tra Rio Tinto e Bhp Billiton dovrà passare sotto le forche caudine delle autorità antimonopolio cinesi. Lo ha fatto intendere chiaramente un funzionario del ministero del Commercio ( Mofcom), il dicastero incaricato di valutare e sanzionare eventuali concentrazioni lesive della libera concorrenza sul mercato cinese. Com'era prevedibile,Pechino non ha preso bene il secco no all'ingresso di Chinalco nel capitale del gruppo minerario angloaustraliano Rio Tinto. E ha già iniziato ad affilare le armi per rendere la vita difficile oltre la Grande Muraglia al nuovo colosso dei metalli ferrosi, sorto dalla santa alleanza in chiave anti-cinese stipulata la settimana scorsa tra Rio Tinto e la sua arcirivale di sempre, Bhp Billiton. Occhio per occhio, dente per dente.C'era da aspettarselo.D'altronde, quella di Canberra è stata una bocciatura squisitamente politica, giacché, sotto il profilo finanziario, la proposta Chinalco era ineccepibile. E ora, in Cina, l'Australia dovrà sopportare tutte le conseguenze politiche di quella decisione. Ma le minacce di ritorsione contro Rio Tinto-Bhp Billiton lanciate da Pechino nel nome della libera ed equa concorrenza, sollevano un inquietante interrogativo: in futuro la Cina potrebbe utilizzare la nuova legge antimonopolio, entrata in vigore nell'agosto 2008, per proteggere il proprio mercato da indesiderate aggressioni straniere? «A giudicare dalle decisioni prese dal Mofcom da quando è entrata in vigore la normativa,il rischio c'è. Ciò detto, la Cina sa bene che un approccio di questo tipo scatenerebbe una guerra protezionistica a livello mondiale», osserva Marco Marazzi, partner di Baker & McKenzie a Shanghai. Dallo scorso autunno, l'Antitrust ha sentenziato tre volte nel merito di concentrazioni che vedevano protagoniste società straniere. Il verdetto più clamoroso è stato il no pronunciato tre mesi fa all'offerta da 2,4 miliardi di dollari lanciata da Coca- Cola per acquisire China Huiyuan Juice, il maggiore produttore domestico di succhi di frutta. Un no che diversi analisti hanno interpretato come una tardiva rivalsa al feroce fuoco di sbarramento politico fatto nel 2005 dagli Stati Uniti per bloccare l'acquisizione di Unocal da parte del colosso petrolifero cinese Cnooc. «Forse è presto per sostenere che, nel caso di Coca-Cola, la Cina abbia fatto un uso politico della legge antitrust. Certo è che, per respingere l'operazione, il Mofcom ha utilizzato un dispositivo obsoleto come la leveraging theory, caduto ormai in disuso da decenni in quasi tutti i paesi del mondo», avverte Marazzi, lamentando una scarsità d'informazione sulle motivazioni che hanno condotto al rigetto dell'offerta di Coca- Cola. Ma anche quando si è trattato di esprimersi sulle ricadute indirette di operazioni di Merger & Acquisition realizzate da società straniere fuori dalla Cina, l'Antitrust cinese non è stato molto tenero. Dopo aver acquisito la tedesca Anheuser Busch, il colosso belga della birra Inbev ha visto i sorci verdi per sistemare le varie partecipazioni detenute oltre la Grande Muraglia in linea con le condizioni dettate dal Mofcom. Mitsubishi Rayon, invece, dopo aver ricevuto il via libera all'acquisto dell'azienda chimica britannica Lucite da una dozzina di autorità antimonopolio nel mondo, è stata costretta a ridimensionare drasticamente la sua capacità industriale in Cina. Adottando la linea dura anche su operazioni condotte lontane dai suoi confini, probabilmente, Pechino ha voluto trasmettere un messaggio importante alla comunità economicofinanziaria internazionale: d'ora in avanti, ovunque nel mondo, i progetti espansivi delle multinazionali dovranno fare i conti anche con le autorità antimonopolio cinesi. Più che legittimo. A patto, però, che l'Antitrust del Dragone si limiti a valutare solo il merito tecnico-giuridico delle operazioni di fusione e acquisizione che, direttamente o indirettamente, modificano la concorrenza sul mercato cinese. Tutto dipenderà da come Pechino deciderà di utilizzare gli ampi margini di manovra di cui dispone nell'applicazione della legge antimonopolio. «Finora, la Cina non ha usato strumentalmente la nuova normativa contro le operazioni straniere – osserva Amedeo Celori di Chiomenti Studio Legale Shanghai – Ovviamente, la discrezionalità legata al concetto di sicurezza nazionale prevista dalla legge sarà unfattore importante nella valutazione delle operazioni di Merger & Acquisition su questo mercato. Ma questo principio è applicato anche in altri paesi dotati di sistemi giuridici molto più avanzati rispetto a quello cinese. In fondo, senza ricorrere all'antitrust, l'Australia ha bocciato l'operazione Chinalco proprio per ragioni di supremo interesse nazionale». Ma c'è un altro aspetto della legge antimonopolio che potrebbe riservare sorprese. Finora, la nuova normativa è stata applicata solo alle concentrazioni industriali. La disciplina che concerne la formazione di cartelli, l'abuso di posizione dominante, gli accordi di restrizione della concorrenza (materie che, a causa di una bizzarra suddivisione delle competenze, non rientrano nelle prerogative del Mofcom) non hanno ancora trovato applicazioni concrete. «Quest'altra parte della legislazione antitrust avrà effetti importanti sull'operatività di tutte le società straniere operanti in Cina, che nella predisposizione dei contratti, nei trasferimenti di tecnologie, nella costituzione di società miste dovranno tenere conto della nuova normativa- sostiene Marazzi - Per ora su tutte queste materie si sa poco e si naviga a vista. Vedremo come i tribunali cinesi interpreteranno la legge.Il primo test importante sarà sulle società in joint venture ». ganawar@gmail.com © RIPRODUZIONE RISERVATA OCCHIO PER OCCHIO Gi australiani dovranno affrontare le conseguenze della loro decisione politica Ci si chiede se non pagheranno altri gruppi esteri DIECI MESI DI SENTENZE Dall'entrata in vigore della norma (agosto 2008) ci sono già state tre pronunce che hanno interessato società straniere

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Sì alla stretta sui paradisi fiscali (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-06-16 - pag: 3 autore: Regole per i mercati. Primo passo in Abruzzo, i dettagli al G-20 di Pittsburgh Sì alla stretta sui paradisi fiscali ROMA Mettere a punto un «corpus di regole comuni» per fronteggiare la crisi economica e finanziaria e «fare in modo che non si ripeta mai più». è l'impegno comune assunto dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, al termine dell'incontro di ieri sera alla casa Bianca. Obama ha parlato di un «accordo quadro » sulle nuove regole da adottare nel prossimo G-8 in materia di vigilanza sugli intermediari finanziari e di protezione dei risparmiatori e degli investitori. «Mi auguro – ha detto il presidente americano – che a l'Aquila si possa arrivare a un accordo quadro sulle nuove regole » aggiungendo che si dovrà evitare in ogni modo di trovarsi, dopo la crisi, con paradisi fiscali dove possano continuare a migrare i capitali. A l'Aquila si fisseranno i principi generali, i nuovi legal standard che poi verranno tradotti in regole operative nel vertice del G-20 che si terrà a Pittsburgh in settembre. Berlusconi ha confermato che la messa a punto di regole comuni sarà «iniziata al G-8, ma sappiamo che non potrà essere quel consesso a realizzarle: tuttavia lavoriamo affinchè si possano scrivere delle regole condivise». Il premier ha aggiunto a sua volta che le nuove regole dovranno riguardare, «tra l'altro, le agenzie di rating, la stabilità finanziaria, il riciclaggio e i paradisi fiscali: su tutto questo – ha concluso –c'è il tentativo di scrivere delle regole insieme e che siano approvate da tutti». Sia Berlusconi sia Obama hanno fatto riferimento al lavoro svolto dai ministri dell'Economia e delle Finanze nell'ultimo vertice di Lecce, che è servito a fissare la cornice dei principi etici e giuridici per il dopo-crisi. Si tratta di un documento di 77 pagine che prende le mosse dalla ricognizione sull'azione di coordinamento già portata avanti negli ultimi mesi da diversi players internazionali (Fsb, Ocse, Fondo monetario internazionale). Nel corso della conferenza stampa il presidente Obama ha anche riconosciuto la specificità delle banche italiane: «Il presidente Berlusconi – ha osservato– mi ha spiegato come le banche italiane non siano state coinvolte con la stessa intensità dalla crisi finanziaria».

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L'entusiasmo ha nascosto i rischi (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-06-16 - pag: 2 autore: L'entusiasmo ha nascosto i rischi Le tecniche di valutazione aiutano a gestire i pericoli, ma non possono eliminarli di Alessandro Profumo I l risk management è una componente cruciale di ogni strategia di creazione di valore e di massimizzazione del rendimento del capitale investito da un'impresa. La crisi finanziaria iniziata nell'estate 2007 ne ha rammentato la centralità. Da un lato ha ribadito l'importanza del risk management per la crescita sostenibile del valore e della profittabilità di un'impresa. Dall'altro, ha reso tangibili i rischi di un suo malfunzionamento, e ha sollevato giusti interrogativi sull'affidabilità complessiva delle metodologie di risk management del sistema bancario. Non è un elemento di poco conto, poiché l'evoluzione delle tecniche di valutazione e gestione del rischio e lo sviluppo di mercati liquidi per la sua negoziazione hanno innescato una profonda trasformazione del settore bancario negli ultimi anni. Sono proprio queste componenti che hanno agevolato un crescente trasferimento al mercato di alcuni dei rischi cui la banca è tipicamente soggetta, ponendo le basi per la nascita e l'espansione del modello bancario cosiddetto originate to-distribuite basato sulla cartolarizzazione dei crediti. Questa trasformazione ha avuto l'effetto benefico di liberare capitale bancario per l'attività creditizia, ma ha anche trasformato parte dell'industria finanziaria in una sorta di grande stanza di compensazione dei rischi. Un eccesso di entusiasmo ha portato molti a dimenticare che la gestione del rischio, benché evoluta e sofisticata, può migliorare le capacità di valutarlo e prezzarlo e di selezionare i rischi da trattenere e da cedere al mercato, ma non può eliminare i rischi stessi. A mio avviso, ne emerge che una delle cause della recente crisi potrebbe essere collegata proprio al fatto che si sia ingenerata una errata convinzione che una modellistica sempre più sofisticata e la diffusa liquidità dei mercati potessero consentire una crescita indefinita senza rischi. Questo diffuso errato convincimento potrebbe avere pericolosamente ridotto la prudenza di molte istituzioni, eccessivamente fiduciose di poter cedere integralmente al mercato ogni rischio non desiderato e rimanere esenti da ogni conseguenza. La crisi, invece, ha rimarcato i limiti degli strumenti di gestione del rischio e, allo stesso tempo, ha reso evidente che non si può assumere che l'ampia liquidità necessaria a una aggressiva strategia di cartolarizzazione dei crediti sia sempre disponibile. In questo contesto mi pare sia emerso che la selezione del livello e della tipologia di rischio da assumere e della quota da gestire direttamente, oltre che la sua effettiva gestione, sono e continueranno a essere la principale fonte di creazione di valore per tutte le aziende, in particolare nel settore finanziario e creditizio. Forte di questa convinzione, credo che sia opportuno intervenire per migliorare la cultura e le tecniche di risk management applicate dal sistema bancario alla luce delle criticità emerse dalla crisi, e che banche e regolatori lavorino insieme in tale direzione. Non si tratterà semplicemente di rivedere indiscriminatamente al rialzo i requisiti di capitale a fronte delle diverse tipologie di rischio - intervento che certamente rafforzerebbe la stabilità finanziaria delle banche compromettendone la redditività - ma di migliorare significativamente le capacità valutative e predittiva dei sistemi di risk management in modo da garantire una maggiore coerenza tra le coperture di capitale e gli effettivi rischi assunti. Mi pare che fra le aree di miglioramento che sono emerse in maniera evidente dalla crisi vi è il tema dello stress testing, una tecnica di simulazione finalizzata a studiare le conseguenze di condizioni di rischio estreme. I modelli attuali tendono a valutare gli effetti di crisi future sulla base dell'osservazione delle dinamiche passate. Queste tecniche, seppur affidabili in condizioni di rischio confrontabili allo status quo, non sono in grado di prevedere gli effetti di situazioni estreme e, di conseguenza, quelli di una crisi particolarmente severa. Ritengo cruciale che i modelli di stresstesting valutino con maggiore attenzione i potenziali effetti di condizioni di rischio particolarmente negative che, seppur di remota realizzabilità (cosiddetto tail risk), possono causare un marcato e generale peggioramento delle condizioni complessive del mercato. Ciò fornirebbe una migliore rappresentazione dei rischi complessivi cui le banche sono soggette e le aiuterebbe a indirizzare in maniera più adeguata le opportune azioni di immunizzazione o di trasferimento dei rischi al mercato. Inoltre, mi pare che sia emerso con chiarezza che il risk management deve uscire da una dimensione di mera compliance ai vincoli imposti dai regolatori, per diventare uno strumento quotidiano di supporto ai manager nella loro attività decisionale, sebbene senza sostituirsi in alcun modo allaloro capacità di valutazione discrezionale e indipendente. In conclusione, se la qualità dei manager e la loro sensibilità al rischio sono gli elementi più importanti su cui le banche devono investire per ottimizzare il loro profilo di rischio e massimizzare la loro capacità di creazione di valore, mi pare che un sistema di risk management affidabile ed efficiente sia di estrema importanza e valore per consentire ai manager stessi di assumere decisioni informate e razionali. L'autore è amministratore delegato di UniCredit Group LA NUOVA SFIDA DEGLI STRESS TEST Le conseguenze di possibili crisi non vanno studiate dalle banche sulla base dei soli dati storici: bisogna ipotizzare cosa può avvenire in condizioni estreme Le regole del gioco. Per vincere bisogna anche calcolare i rischi che si incontrano. Nella foto, giocatori di scacchi in un parco acquatico della Slovacchia AFP

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Authority senza riassetto (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-06-16 - pag: 6 autore: Il presidente Obama lancia la «riforma soft» delle regole Authority senza riassetto Marco Valsania NEW YORK Sarà la più ambiziosa proposta di riforma dei controlli sui mercati finanziari dagli anni Trenta, dalla Grande Depressione. Barack Obama ha rinunciato a un radicale consolidamentodelle numerose autorità americane preposte alla supervisione, ma le riforme sono ugualmente significative: domani il presidente solleverà il sipario su un "white paper", un documento da mesi in gestazione alla Casa Bianca e che propone di affidare alla Federal Reserve nuovi poteri di super-poliziotto dei giganti della finanza. I contorni della riforma sono stati anticipati da indiscrezioni del Wall Street Journal, da un articolo a firma del Segretario al Tesoro Tim Geithner e del consigliere economico Larry Summers pubblicato sul Washington Post e da dichiarazioni ieri dello stesso Geithner. Per assicurare nuova stabilità, prevede la possibilità di un intervento governativo per rilevare e sanare, oltre alle banche, tutte le società considerate ritenute cruciali. Nuovi requisiti di capitale e liquidità, nuovi limiti sul rischio e l'indebitamento verranno introdotti per gruppi il cui crack potrebbe mettere i pericolo l'economia. Protagonisti finora sfuggiti ai controlli, gli hedge fund, dovranno registrarsi con il governo e i più grandi tra loro potranno essere soggetti a supervisione. Il piano crea inoltre un'agenzia dedicata a tenere sotto osservazione i prodotti destinati al grande pubblico, quali mutui e carte di credito, impegnata cioè nella protezione di risparmiatori e consumatori. E invoca maggior trasparenza sui prodotti più sofisticati quali i derivati. «Siamo impegnati a far decollare gli aspetti cruciali della riforma _ ha detto il Segretario al Tesoro Tim Githner rispondendo a chi teme che l'amministrazione non sia sufficientemente aggressiva nei cambiamenti _ Dobbiamo chiudere le falle che si sono aperte sui rischi sistemici, nella supervisione, nella protezione di investitori e consumatori». Geithner, che ha parlato ad un summit economico organizzato da Time Warner a New York, ha anche difeso gli stress test, gli esami di solidità di recente imposti alle banche, dal sospetto che siano stati troppo generosi con gli istituti. «Sono stati condotti con parametri conservatori», ha detto. E ha respinto l'accusa opposta, quella di eccesiva aggressività nelle strette di regolamentazione. «Non pssiamo tornare al passato _ Serve maggior prudenza sul rischio, maggiori capitali nel sistema finanziario, senza danneggiare l'innovazione ». Il ministro, che giovedì testimonierà sia al Senato che alla Camera sulla riforma, ha aggiunto che un rilancio dell'economia «richiederà ancora tempo», ma che «correzioni di eccessi sono già avvenute, nel settore finanziario, tra le famiglie e nel comparto immobiliare ». La nuova riforma, che il Congresso cercherà di approvare entro l'anno, dovrebbe garantire che simili pericolosi eccessi non avvengano più in futuro. Vedrà la Fed, nel suo inedito ruolo, alla guida di un vero e proprio Consiglio degli organismi di controllo. Potrebbe abolire un'agenzia, l'Office of Thrif Supervision dedicato alla casse di risparmio. Nessun fusione invece tra la Securities and Excvhange Commission e la Commodities Future Trading Commission, che invece riceveranno ordine di cooperare. © RIPRODUZIONE RISERVATA ALCUNE NOVITà Gli hedge fund dovranno registrarsi e sarà creata un'agenzia dedicata a tenere sotto osservazione i prodotti destinati ai risparmiatori

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Processo a Greenberg, padre-padrone di Aig (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia data: 16/06/2009 - pag: 33 Wall Street A difenderlo l'accusatore dell'amministrazione Clinton contro la Microsoft Processo a Greenberg, padre-padrone di Aig DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK Ha creato l'AIG fondendo varie società assicurative e, dal 1968, ne è stato per 38 anni il capo assoluto. Ha trasformato una società da 300 milioni di dollari in un gigante che, al culmine del suo splendore, è arrivato a valere 158 miliardi di dollari, tanto da spingere alcuni azionisti ad augurargli l'immortalità. Ma nel 2005, quando aveva già spento 80 candeline, Maurice Greenberg si è dovuto dimettere, travolto da uno scandalo. Ben presto il gruppo assicurativo ha perso il suo dinamismo; poi, con la crisi finanziaria degli ultimi 18 mesi, le difficoltà sono diventate drammatiche. Gli affari avviati nell'era Greenberg si sono rivelati fragili e molto rischiosi: AIG è arrivata sull'orlo della bancarotta. E' stata salvata dal Tesoro con una serie di interventi costati (finora) 183 miliardi di dollari al contribuente Usa. Da ieri l'84enne Greenberg è sotto processo a New York con l'accusa di essersi impossessato illecitamente di 4,3 miliardi di dollari di azioni di AIG detenuti in portafoglio da una strana società da lui presieduta, costituita nel 1970 e che, fino al 2005, ha usato il suo patrimonio per integrare le retribuzioni dei dipendenti del gruppo. Il nuovo vertice dell'AIG società ormai nazionalizzata, visto che è per l'80% del Tesoro ha scoperto quasi per caso la strana vicenda della Starr International, la società creata oltre 40 anni fa da Cornelius Vander Starr, titolare di un'assicurazione di Shanghai attorno alla quale si è coagulato il gruppo AIG. «Ereditata» da Greenberg, la società, dicono i gestori attuali del gruppo, era di fatto un 'trust' nato per pagare parte delle retribuzioni AIG (probabilmente usufruendo di esenzioni fiscali «border line») e per proteggere AIG da tentativi di scalata. Benché presidente sosterrà quindi Theodore Wells, avvocato celebre per aver difeso vent'anni fa Mike Milken, l'inventore dei «junk bonds» e, più di recente, 'Scooter' Libby, il «braccio destro» di Cheney alla Casa Bianca, nello scandalo 'Ciagate' Greenberg non poteva quindi disporre del patrimonio della Starr. Greenberg afferma invece che la società non è un «trust»: non c'è alcun atto che lo attesta, non ci sono obblighi formalizzati. A difenderlo sarà David Boies, un'altra celebrità del foro: negli anni '90 fu l'accusatore dell'Amministrazione Clinton contro la Microsoft e nel 2000 rappresentò Al Gore al momento della contestazione dei risultati del voto presidenziale in Florida. Per Boies Greenberg aveva il diritto di vendere come ha fatto le azioni AIG. Un processo che già appassiona Wall Street e i contribuenti americani, ma anche anomalo: la Starr è una società di natura indefinita i cui obiettivi non erano stati messi nero su bianco. E l'imputato Greenberg non è un altro Madoff né un personaggio come quelli che hanno animato gli scandali Enron o Worldcom, ma un imprenditore che fu definito dal procuratore Spitzer l'uomo d'affari più influente del mondo, uno che aprì agli Usa la porta degli affari con la Cina quando la parola globalizzazione non aveva ancora fatto capolino nel nostro vocabolario. Greenberg non solo difende la legittimità dei suoi comportamenti, ma vuole usare il processo per ottenere una riabilitazione anche rispetto alle accuse del 2005 per le quali fu messo alla porta (ma non condannato) e per accusare chi è venuto dopo di lui e lo stesso governo Usa di aver fatto un pessimo lavoro. I nuovi capi di AIG devono, invece, rassicurare i contribuenti: il vostro denaro non viene sperperato e chi ha spinto la società verso il baratro facendole rischiare troppo, non la farà franca. Al vertice Maurice Greenberg Massimo Gaggi

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La rincorsa e quel timore della bolla (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia data: 16/06/2009 - pag: 33 La bussola La rincorsa e quel timore della bolla Le spiegazioni contingenti abbondano: l'allarme della Bce sulle banche, ma anche il calo di petrolio e materie prime, i dati macro americani, le vendite di beneficio. Lo scivolone di ieri delle Borse (culminato con un calo del 2% del Dow Jones e del 2,3% del Nasdaq) merita tuttavia qualche riflessione in più. Soprattutto perché oscillazioni così evidenti indicano che i mercati finanziari non hanno ancora ritrovato l'equilibrio. Dopo i crolli del 2008, nei primi mesi del nuovo anno i listini azionari hanno ricominciato a crescere. Alcuni singoli titoli hanno recuperato tra il 30 e il 50% e in qualche caso le quotazioni sono addirittura raddoppiate. Gli esempi si possono trovare anche scorrendo le quotazioni di Piazza Affari. A questo punto una correzione non solo era attesa, ma era auspicata dalla gran parte degli operatori. Un trend rialzista troppo prolungato, infatti, richiama immediatamente alla memoria le cosiddette «bolle», caratteristiche di un passato che brucia ancora. Da questo punto di vista, dunque, la tregua è salutare. Serve a spegnere entusiasmi ed evitare l'affermarsi di false illusioni. Ma anche a riportare un po' più di razionalità sui mercati. Rivalutando per esempio le aziende più solide e meno indebitate. In una parola, guardando soprattutto ai famosi «fondamentali». Uno stop, insomma, da cui ripartire. Evitando gli eccessi del passato. Giacomo Ferrari

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Europa, persi 2 milioni di posti In Italia buste paga più leggere (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia data: 16/06/2009 - pag: 35 Mercati Saccomanni: attenzione al corto circuito disoccupazione-consumi Europa, persi 2 milioni di posti In Italia buste paga più leggere L'Istat: retribuzioni salite dello 0,6%, i minimi dal 2000 DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BRUXELLES Come sempre, sono le cifre di Eurostat che danno il «la» al coro. E questa volta, è un «la» davvero cupo: nei primi 3 mesi, dice appunto Eurostat, nei 27 Stati dell'Unione Europea sono andati perduti 1.916.000 posti di lavoro. E di questi, 1.220.000 nei soli 16 Paesi della zona euro. Traduzione in termini percentuali: per tutto il continente, occupazione giù dello 0,8% in 3 mesi, il doppio rispetto all'ultimo trimestre del 2008. In termini tendenziali, poi, la contrazione è dell'1,2%, cioè la più alta dal 1995, anno in cui si è dato inizio a queste rilevazioni. In testa alla classifica nera della zona Euro è la Spagna (-6,4%), fuori stanno peggio di tutti la Lettonia (-8,2%) e l'Estonia (-7,2%). L'Italia è a quota -0,8%. Dietro questi numeri, una conferma: la crisi finanziaria, iniziata in Europa circa un anno e mezzo fa, è arrivata a mordere l'economia reale, cioè le tasche e le tavole delle famiglie. E al «la» dell'Eurostat, parte puntuale il coro dei leader politici ed economici, che dopodomani saranno a Bruxelles per il vertice Ue: «Sarebbe irresponsabile e suicida pensare che questa crisi sia stata una parentesi », avverte il presidente francese Nicholas Sarkozy; «il peggio non è passato, non vedo luci in fondo al tunnel», conferma il commissario europeo all'Industria Gunther Verheugen; «non ha senso lanciare segnali di cessato allarme ribadisce l'economista-capo di Deutsche Bank, Norbert Walter il peggio deve ancora arrivare e la Germania deve aspettarsi 5 milioni di disoccupati nel 2010». Dagli Usa, dove pure il Fondo monetario prevede per il 2010 un Pil di nuovo in crescita dello 0,75%, il segretario al Tesoro Timothy Geithner avverte: «La ripresa sarà più lenta del previsto». Per l'Italia l'Istat ha comunicato che le retribuzioni lorde di fatto sono aumentate nel primo trimestre dello 0,6% sullo stesso periodo 2008 (dello 0,1% sul trimestre precedente): è l'aumento più basso mai registrato dal 2000. Sono aumentati di più i prezzi al consumo: +1,5%. Il potere d'acquisto delle retribuzioni è stato dunque ulteriormente intaccato. Anche a questo si riferisce un monito lanciato da Fabrizio Saccomanni, direttore generale di Bankitalia, che indica un possibile «corto circuito » fra la perdita di posti, il calo dei consumi, la parallela crisi produttiva e l'innesco di nuove ondate di disoccupazione: secondo un'indagine della Banca d'Italia, ha detto Saccomanni, le aziende «segnalano che nei prossimi mesi le prospettive occupazionali potrebbero aggravarsi in tutte le aree geografiche. Occorre sventare il rischio che si avviti una spirale, con cali dell'occupazione e dei consumi interni che si alimentano vicendevolmente». Luigi Offeddu

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StM guida i ribassi, sale Terna (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 16/06/2009 - pag: 41 La Giornata in Borsa di Giacomo Ferrari StM guida i ribassi, sale Terna Assicurativi In frenata i titoli delle polizze: giù Fondiaria-Sai, Generali e Alleanza Brusco calo delle Borse europee (101 miliardi di euro bruciati in termini di capitalizzazione), frenate dalle incertezze sull'economia. Pesante anche la flessione di Piazza Affari, dove l'Ftse-Mib è sceso del 3,01% e l'Ftse Italia All Share ha lasciato sul terreno il 2,59%. Sempre sottili gli scambi, il cui controvalore ha superato a malapena i 2 miliardi di euro. La maglia nera nell'ambito delle 40 large cap del listino italiano è andata a StMicroelectronics, che ha ceduto il 6,83%. Il titolo aveva corso parecchio la scorsa settimana, ma la svolta di ieri più che dalle vendite di beneficio deriva dalla notizia che Finmeccanica intende ridurre (per la verità soltanto del 3,2%) la propria quota nella società di semiconduttori. Forti perdite, inoltre, nel comparto assicurativo, a partire dal tonfo di Fondiaria-Sai (-5,04%), mentre Generali e Alleanza, che ormai marciano appaiate, hanno perso rispettivamente il 4,35% e il 4,32%. In calo anche gran parte dei bancari: in questo settore le perdite più significative le hanno registrate Unicredit (-4,4%) e Banco Popolare (-4,26%). È proseguita, poi, la discesa di Luxottica che, all'1% perso venerdì, ieri ha aggiunto una ben più consistente riduzione (-4,59%). Completa il quadro dei ribassi il -4,52% di Fiat, in linea con il comparto europeo dell'automobile alla vigilia dei dati sulle immatricolazioni in Europa che saranno resi noti oggi. Fra i pochi titoli in rialzo, infine, spicca soprattutto Terna, che ha recuperato ampiamente la flessione di venerdì, chiudendo in progresso del 2,46% a quota 2,5 euro.

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Corsa di Camfin, Pirelli Re raddoppia (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 16/06/2009 - pag: 41 A Milano Corsa di Camfin, Pirelli Re raddoppia L'ingresso della famiglia Malacalza nel capitale Camfin è stato salutato ieri con entusiasmo da Piazza Affari. Il titolo della cassaforte di Tronchetti Provera, che controlla Pirelli, è riuscito a fare prezzo soltanto dopo le 12, per poi salire ininterrottamente fino a chiudere a 0,4 euro, con un incremento del 52,09% rispetto a venerdì. «Il mercato valuterà l'operazione dal punto di vista industriale », ha commentato Marco Tronchetti Provera. Ieri, intanto, anche Pirelli Real Estate, nella prima giornata dell'aumento di capitale, è salita del 102,75% con circa il 10% del capitale passato di mano. Marco T. Provera presidente Camfin

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Le materie prime affondano Lonmin (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 16/06/2009 - pag: 41 A Londra Le materie prime affondano Lonmin (g.fer.) Il brusco calo dei prezzi delle materie prime ha trascinato al ribasso i titoli minerari. Quelli quotati a Londra hanno ceduto ieri tra i sei e i dieci punti percentuali. In particolare Lonmin ha lasciato sul campo il 9,78%, chiudendo a 1.300 pence, anche se nel corso della seduta la quotazione è scesa fino a un minimo di 1.291 pence. La società (ex Lonro, tra i principali produttori di platino al mondo) ha 25 mila dipendenti e lo scorso anno ha chiuso il bilancio con un fatturato di 2,231 miliardi di dollari e un utile netto di 5,66 milioni di dollari. Sotto la media le quantità scambiate. Ian Farmer ceo di Lonmin

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L'EUROPA, LA CRISI E LA MOSSA DELLA MERKEL (sezione: crisi)

( da "Unita, L'" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

L'EUROPA, LA CRISI E LA MOSSA DELLA MERKEL L'ATTACCO ALLA BCE L'attacco rivolto nei giorni scorsi dalla Merkel alle banche centrali, compresa quella europea (Bce), viola la regola, sostenuta finora soprattutto dai governi tedeschi, di non interferire con la politica monetaria. Evidentemente quella regola ai governi tedeschi va bene fintanto che la Bce adotta la politica che essi desiderano. L'attacco della Merkel alla politica monetaria espansiva fa seguito a quello del ministro dell'Economia alla politica economica di Obama tacciata di "crasso keynesismo". Le pressioni dei governi europei hanno poi indotto quello tedesco ad un modesto intervento di rilancio, ma la sua ostilità a politiche macroeconomiche interventiste resta evidente. Se si tiene conto che il governo tedesco è stato il principale oppositore ai programmi comuni europei per il rilancio dell'economia e per il risanamento delle banche, bisognerebbe rendersi conto che l'Unione europea ha un grosso problema: la Germania. Le politiche interventiste sono state adottate in uno stato di necessità e bisognerebbe avere l'onestà intellettuale di riconoscere che esse hanno finora evitato il collasso dei sistemi finanziari ed economici. Ciò detto bisogna aggiungere che semplici interventi macroeconomici non saranno in grado di rimettere in marcia lo sviluppo. Innanzitutto perché non siamo di fronte a una semplice crisi finanziaria, ma alla insostenibilità di un modello di sviluppo che ha accumulato enormi squilibri nell'economia mondiale; tra gli altri quello fra Paesi che da decenni vivono al disopra dei propri mezzi indebitandosi sull'estero e Paesi la cui crescita è trainata da un sistematico eccesso di esportazioni. Il rilancio quantitativo della domanda non risolverà questo squilibrio occorre cambiare il modello di sviluppo ed anche qui esiste un problema Germania: la Merkel ha dichiarato che i tedeschi non intendono cambiare la loro economia trainata dalle esportazioni. La robusta crescita dei deficit pubblici derivanti dagli interventi, inoltre, avviene a partire da un livello di indebitamento pubblico già elevatissimo a livello mondiale. Nel trentennio di egemonia liberista, nonostante la teorizzazione dello "Stato minimo", il debito pubblico e raddoppiato in rapporto al prodotto lordo mondiale; alla fine della cura sarà probabilmente triplicato. Alla luce di tutto ciò diventa inevitabile porsi una domanda, anzi due. Si può mantenere e accrescere il benessere in presenza di un indebitamento pubblico che non ha precedenti nella storia economica in tempo di pace? E come si fa a ristabilire un controllo politico della distribuzione del reddito tale renderla più giusta e più funzionale rispetto alle esigenze di sviluppo? Problemi complessi, come si vede. Ma da affrontare senza perdere tempo. * Centro Studi di Politica Internazionale www.silvanoandriani.it

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La Cina ora scappa dai titoli Usa, Geithner pessimista (sezione: crisi)

( da "Manifesto, Il" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

BOMBA FINANZIARIA La Cina ora scappa dai titoli Usa, Geithner pessimista Francesco Piccioni Era nominata sottovoce, evocata con il timore reverenziale che si deve provare davanti a una «bomba atomica». Ora la miccia è stata accesa. Il flusso di capitali verso gli Stati Uniti è drasticamente calato nel mese di aprile, segnando un saldo positivo di appena 11,2 miliardi di dollari. Un'inezia, per un paese abituato da anni a vedere affluire mensilmente tra i 50 e i 70 miliardi di capitali freschi, orientati verso i «super.sicuri» titoli di stato a lungo termine o verso il più rischioso mercato azionario (Wall Street). Solo a marzo erano entrati 55,4 miliardi in più di quanti ne erano usciti. Stavolta i titoli del tesoro detenuti da investitori internazionali sono diminuiti di 44,5 miliardi di dollari. E per la prima volta sono diminuiti quelli in possesso della Cina, ormai il primo creditore degli Usa. E solo pochi giorni fa Pechino aveva chiesto al governo Usa di «garantire la sicurezza degli investimenti cinesi» in America. Si tratta della prima manifestazione concreta di un'intenzione che - insieme a Russia, Giappone, Brasile, India - era già stata espressa in modo chiaro: «differenziare gli investimenti» e cercare un'alternativa al dollaro come moneta di riserva globale. Ma anche Russia e Giappone hanno agito, in aprile, nello stesso modo, sia pure su cifre minori. La Cina, del resto, deve fare i conti con una sistematica riduzione degli investimenti esteri sul proprio territorio (-17,8% rispetto al 2008), che la costringono a far rientrare quel che serve per alimentare una crescita tuttora fortissima (intorno all'8% annuo). Questa fuga, per gli Usa, è però di eccezionale gravità: dall'acquisto di titoli di stato dipende infatti la possibilità di rifinanziare il crescente debito pubblico, stressato dalla necessità di intervenire per salvare le banche «troppo grandi per fallire». L'affidabilità di questo debito, già dubbia, potrebbe a questo punto essere messa seriamente in discussione dalle società di rating, costringendo il tesoro usa a offrire rendimenti ancora più alti (e più costosi per le casse pubbliche). Lo stesso segretario al Tesoro, Tim Geithner, è apparso ieri molto preoccupato sugli sviluppi futuri dell'economia Usa. «Siamo di fronte a sfide enormi», «c'è ancora parecchia strada da fare», «è ancora troppo presto per parlare di uscita dalla crisi», e «la disoccupazione potrebbe aumentare anche in presenza di una ripresa, che probabilmente sarà più lenta di quanto ci si aspetti». E questo anche se «ora i rischi di aggravamento sono più bassi», dopo gli interventi di sostegno. E' vero che il Fondo monetario internazionale ha rivisto per la prima volta, dopo mesi, al rialzo le stime sull'andamento Usa: -2,5% quest'anno (prima era previsto -2,8) e +0,7 nel 2010 (prima si pensava a 0). Ma questo segnale di speranza di è scontrato con l'indice manifatturiero Empire State, calato a -9,1, mentre ci si attendeva che restasse intorno a un comunque negativo -4,5. Dall'Europa, contemporaneamente, è arrivato l'allarme della Bce sulle svalutazioni che le banche dovranno ancora effettuare a causa dei «titoli tossici» rimasti nei loro bilanci: 283 miliardi di euro, che si andranno ad aggiungere ai 366 già registrati dall'inizio della crisi finanziaria. Le borse mondiali, che da tre mesi crescevano in attesa miracolistica della «ripresa», non l'hanno presa affatto bene: hanno perso tutte mediamente il 3%.

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La Confidustria batte cassa. Ma è vuota (sezione: crisi)

( da "Manifesto, Il" del 16-06-2009)

Argomenti: Crisi

La Confidustria batte cassa. Ma è vuota Galapagos Scajola non l'ha presa bene: «Non abbiamo bisogno di richiami e reprimenda da parte di nessuno» ha replicato stizzito alla Marcegaglia che aveva chiesto un impegno straordinario dell'esecutivo nei prossimi 100 giorni sui temi della politica economica. Per il ministro dello sviluppo economico, il governo ha «lavorato con grande impegno e la crisi è sostanzialmente passata: lo dicono gli osservatori internazionali». Che in realtà affermano semplicemente che il peggio della crisi finanziaria dovrebbe essere alle spalle, ma per l'economia reale, a cominciare dall'occupazione, i prossimi mesi saranno di lacrime e sangue. Quello che da più fastidio al governo è che anche gli industriali si facciano sotto con richieste e che a contestare l'esecutivo non sia più solo la Cgil, rompendo l'armonia del «tutto va bene», «ci siamo mossi prima e meglio degli altri paesi». Ovviamente non è così: la struttura produttiva è in sofferenza (anche perché il sistema creditizio non la sostiene abbastanza) e la domanda sta precipitando rapidamente sia sul fronte estero che su quello interno. Scajola si consola con la Libia che si sarebbe impegnata a triplicare gli investimenti in Italia. Ma sia lui che Tremonti sanno che non basta: servirebbe una manovra - non piccola - di sostegno all'economia. Per farla però servono soldi, ma con il debito record e il deficit esplosivo il governo non sa dove prenderli. Per abolire l'Ici sulla prima casa ha sprecato 3/4 miliardi di euro; per L'Aquila e altri provvedimenti ha prelevato da investimenti già finanziati. Intanto la lotta all'evasione (non per colpa dei finanzieri) batte la fiacca. E di una patrimoniale Tremonti non vuole se ne parli. Al massimo arriverà un nuovo condono per chi l'altra volta ha mentito sui capitali all'estero.

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Il tempismo di Blackstone Vende Extended Stay e scampa ancora il crac (sezione: crisi)

( da "Stampa, La" del 17-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il tempismo di Blackstone Vende Extended Stay e scampa ancora il crac Manager, passata la tempesta possono tornare i superbonus Con il contributo delL'indignazione per le eccessive gratifiche dei banchieri si è appena smorzata: tutto è pronto per il ritorno dei mega compensi. Molte banche d'investimento sono riuscite a ottenere enormi commissioni con la negoziazione dei titoli di debito e a chiudere aumenti di capitale nel primo trimestre e nel secondo. La maggior parte di questi profitti potrebbe essere collegata ad accordi per sistemare il disordine causato dalla crisi finanziaria, ovvero dalle banche stesse. Dopo un crollo del 50% dei profitti nel 2008, Goldman Sachs è ritornata a un ritmo di crescita che le ha permesso di uguagliare i 38 miliardi di dollari che aveva realizzato nel 2006. Jp Morgan si sta vantando della sua quota record del 9% del mercato europeo dell'investment banking, raggiunta a maggio. I dirigenti si aspetteranno di essere ricompensati per tali risultati. In seguito, le banche si libereranno dalle loro restrizioni statali. Dieci banche statunitensi stanno rimborsando i fondi dei contribuenti che hanno salvato loro e l'intero sistema finanziario. Stanno anche cominciando a disabituarsi alla liquidità garantita dallo Stato. I test di stress sono stati superati e i margini di sicurezza del capitale aumentati. Di fatto, queste banche stanno facendo tutto quello che era stato loro chiesto. Quello che ancora non si sa in molti casi è il come le banche pensano di ripartire il compenso annuale su diversi anni per assicurarsi che nessun banchiere o trader rubi i guadagni di un accordo, passando il rischio residuo agli azionisti. Alcuni politici hanno già iniziato a protestare per questa prospettiva. Sottolineano, giustamente, che alcuni degli accordi con ricchi margini di quest'anno sono possibili grazie al capitale statale, dei programmi di garanzie di finanziamento e dei programmi assicurativi. Ma le autorità di regolamentazione dovranno incolpare soltanto loro stesse per aver fornito questo aiuto troppo a buon mercato. Per le autorità di regolamentazione potrebbe essere troppo tardi per esercitare la persuasione morale e tagliare gli eccessi dei compensi dei banchieri. Ma gli azionisti potrebbero ancora avere voce in capitolo se agiscono subito. \ Blackstone ha evitato un altro pericolo di fallimento. Come ha fatto con le sue tempestive vendite del 2007 di alcuni asset di immobili commerciali, destinati a fallire, la società finanziaria di Steve Schwarzman si è liberata di un problema riguardante un altro asset in difficoltà - la catena di alberghi statunitense, ora fallita, Extended Stay. È difficile dire quanto abbia ottenuto con questo accordo ma, perlomeno, non ci ha rimesso la camicia. Blackstone ha acquistato Extended Stay nel 2004 per circa 3,1 miliardi di dollari. La società finanziaria specializzata in acquisizioni aveva acquistato alcuni altri asset nel corso degli ultimi anni e poi ha venduto la società a un'altra azienda di private equity, Lightstone, a metà 2007 per un prezzo di 8 miliardi. È difficile dire esattamente quanto Blackstone abbia ricavato dall'accordo, poiché durante tutto il periodo ha effettuato investimenti di importo sconosciuto. Inoltre, ha mantenuto una piccola partecipazione in Extended Stay. Nonostante questo, sembra che l'investimento sia stato positivo. E, in ogni caso, ha evitato il completo disastro e i grossi problemi che i fallimenti spesso causano. Blackstone ha un talento particolare per uscire da accordi su asset di immobili commerciali prima che falliscano. A inizio 2007 la società aveva scaricato rapidamente diversi stabili per uffici che aveva comprato appena pochi mesi prima come parte della sua acquisizione di Equity Office Properties (Eop) di Sam Zell. Poco più tardi, quel mercato aveva cominciato a scendere e diversi investitori coinvolti in quegli acquisti si sono trovati in difficoltà, inclusi il magnate immobiliare, Harry Macklowe, e l'hedge fund Fortress Investment Group. Naturalmente, la storia di Blackstone non è incontaminata. Detiene ancora alcuni asset Eop di un tempo. Inoltre, ha acquistato gli alberghi Hilton quando ha venduto Extended Stay, al livello massimo del mercato. Pertanto, il suo gruppo immobiliare non è ancora fuori dai guai. Ma avendo evitato alcune potenziali forti perdite nel settore, non sarebbe sorprendente che Blackstone trovasse il modo di evitarne altre. \

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I nove punti irrinunciabili (sezione: crisi)

( da "Stampa, La" del 17-06-2009)

Argomenti: Crisi

La relazione I nove punti irrinunciabili 1. Il protezionismo Secondo l'autorità, la politica deve fuggire la tentazione di tornare al protezionismo e a politiche restrittive del mercato. 2. I monopolisti Assolutamente da evitare i «favori» a chi ha posizioni dominanti sul mercato. 3. La class action Da evitare anche i ritardi e gli impedimenti nella promozione di cause collettive dei consumatori. 4. Parafarmacie Non vanno abolite: garantiscono sconti fino al 22,5% alla loro clientela. 5. Assicurazioni Sarebbe sbagliato cancellare la clausola annuale che di recesso. 6. Energia Non bisogna abolire i tetti antitrust all'import di gas naturale. 7. Le banche I risparmiatori hanno diritto a contratti più comprensibili. 8. Le pmi Serve maggiore trasparenza nell'accesso al credito per le piccole e medie imprese italiane. 9. I mutui Più trasparenza anche nella gestione dei mutui: le surroghe devono restare gratuite.

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Antitrust avverte "I consumatori vanno tutelati" (sezione: crisi)

( da "Stampa, La" del 17-06-2009)

Argomenti: Crisi

LA RELAZIONE DEL GARANTE IN PARLAMENTO Antitrust avverte "I consumatori vanno tutelati" [FIRMA]ROBERTO GIOVANNINI ROMA Il quadro è davvero poco confortante. Le aziende, a cominciare dalle banche, stanno cercano di sfruttare la crisi per far pagare il conto delle loro difficoltà ai consumatori. Intanto, in Parlamento lobbies grandi e piccole vanno all'assalto dei diritti dei cittadini-utenti, presentando (si parla del centrodestra, soprattutto) miriadi di norme per intaccare le liberalizzazioni tanto faticosamente varate in passato. Parla Antonio Catricalà, presidente dell'Antitrust, che ieri nella sua relazione annuale al Parlamento c'è andato giù durissimo. Le banche? Devono fare passi avanti verso una trasparenza «compromessa» da contratti incomprensibili. Le imprese? Tentano un ritorno alle protezioni, e c'è il rischio che «i costi della crisi siano riversati sui consumatori». Il Parlamento? C'è uno «stillicidio» di norme «volte a restaurare gli equilibri del passato». Qualche prova dell'offensiva parlamentare in corso contro le liberalizzazioni? Catricalà non si tira indietro. Le misure che riguardano l'abolizione delle parafarmacie (in 3 anni ne sono state aperte circa 3.000 con sconti su alcuni farmaci superiori al 22%). L'abrogazione della facoltà di recesso annuale nei contratti assicurativi. La cancellazione dei tetti antitrust per l'importazione di gas, come richiesto esplicitamente dall'Eni di Paolo Scaroni. «Il processo di riapertura dei mercati deve essere riavviato», sottolinea il Garante, ribadendo la necessità di «contrastare i rischi di una fenice corporativa alimentata dai gruppi tutori degli interessi di categoria». Il Garante indica nell'alta velocità ferroviaria, nella disciplina del trasporto del gas, nel digitale terrestre e satellitare e nella banda larga alcuni degli «importanti appuntamenti che attendono il paese». Mercati da aprire e liberalizzare, ma si tratta di una prospettiva difficile e insidiosa, perché «i monopolisti resistono anche alle riforme già approvate». Le banche? L'analisi è chiara: la reputazione degli istituti di credito «oggi sembra compromessa più che in altri periodi», anche a causa di «prassi contrattuali spesso troppo articolate e difficilmente comprensibili da parte dei risparmiatori». Vedi il ritorno sotto mentite spoglie della Commissione Massimo Scoperto, abolita per legge. Le imprese? Soffia forte il vento del protezionismo in Europa, mettendo in pericolo la ripresa, e per questo, avverte Catricalà, «occorre vigilare affinché i costi della crisi non siano riversati sui consumatori». Anche perché quando l'economia non va per i cittadini crescono i pericoli, con il proliferare delle «offerte truffa», ovvero «particolari ingannevolezze favorite dal bisogno: false offerte di lavoro, finte vendite sottocosto o promesse di vincita alle lotterie». Più in generale, a quanto pare l'Antitrust rimpiange la scelta (voluta dal governo Berlusconi) di congelare l'entrata in vigore della legge sulla class action, un istituto che in Italia, «per la resistenza di pochi, stenta a trovare giusta considerazione», ed è stato anche peggiorato nel percorso parlamentare. E si conferma la scarsa efficacia della legge Frattini sul conflitto d'interessi. In generale, servono più poteri e più risorse per il Garante, che è costretto a svuotare il mare con un secchiello. A volte bucato. Positive le reazioni alla requisitoria del Garante. Plaudono dalle associazioni dei consumatori, anche se il Codacons parla di discorso «troppo morbido» e il leader della Cgil Guglielmo Epifani esorta Catricalà ad «alzare la voce più spesso e non solo una volta l'anno».

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Dimenticare Bisanzio per regole più semplici (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 17-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMA data: 2009-06-17 - pag: 1 autore: NUOVA GOVERNANCE Dimenticare Bisanzio per regole più semplici di Marco Onado N on a caso, mentre a Lecce si delinea un certo consenso internazionale sulle nuove regole per il sistema finanziario globale e alla vigilia della proposta Obama di revisione della vigilanza, è cominciato il fuoco di sbarramento contro le ipotesi di riforma della supervisione finanziaria. Da varie parti si agita lo spauracchio di eccessi che rischierebbero di soffocare il processo di innovazione finanziaria e di limitare la libertà di impresa. Con un coordinamento degno di miglior causa, sulle due sponde dell'oceano si sono levati in questi giorni severi moniti sugli eccessi di intervento pubblico (si veda la posizione della potente American Chamber of Commerce sul Sole 24 Ore di ieri) oppure sulla volontà della Fsa di rinunciare a quel "tocco leggero" che avrà fatto il vantaggio competitivo della piazza finanziaria londinese, ma che non è riuscita a prevenire disastri come quelli di Northern Rock o di Royal Bank of Scotland. Leggendo queste cronache, si ha l'impressione che la crisi finanziaria non solo sia passata, ma sia stata poco più di una fastidiosa malattia stagionale. Non è stato così: i trilioni di dollari di sussidi ricevuti dalle banche, la liquidità a tasso zero che ancora viene immessa a piene mani, la drastica contrazione del credito a famiglie e imprese («Il conto più salato della storia», lo ha definito l'Economist)sono la prova provata di quanto grave fosse la situazione e quanto sia necessario evitare che in futuro si ripeta un simile disastro. Il fatto sorprendente è che nessuno finora ha chiesto di mettere un poliziotto a ogni crocevia del sistema finanziario. Le proposte più articolate su cui si basa l'attuale dibattito sono contenute in rapporti redatti da comitati che non sembrano animati da furore massimalista: il Financial Stability Board, il Group of Thirty presieduto da Paul Volcker, la commissione Larosière o la Fsa britannica (il cosiddetto rapporto Turner). Le misure indicate in questi rapporti, largamente convergenti nei contenuti e nelle modalità concrete, sono tutte relativamente semplici e, tanto per essere chiari, sono molto più moderate di quelle avanzate da personaggi come Warren Buffett o George Soros. Continua u pagina 4

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Sfida dell'Antitrust: no ai protezionismi Ora liberalizzare (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 17-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMA data: 2009-06-17 - pag: 1 autore: Abete (Assonime): più mercato per i servizi locali Sfida dell'Antitrust: no ai protezionismi Ora liberalizzare La recessione alimenta i rischi di protezionismo,con l'effetto di scaricare i costi della crisi sui consumatori senza risolvere gli annosi problemi di bassa crescita dell'economia italiana. A lanciare l'allarme è il presidente dell'Antitrust, Antonio Catricalà, nella Relazione annuale tenuta in Parlamento. Il numero uno dell'Authority ha sollecitato il legislatore a riavviare il processo di apertura dei mercati con le liberalizzazioni, a partire dai servizi pubblici locali, più vicini alle necessità dei cittadini. Per superare monopoli e conflitti di interesse territoriali, Catricalà ha anche suggerito di coinvolgere le fondazioni «che hanno dimostrato di saper fare bene nel processo di modernizzazione delle banche ». Poi un richiamo severo al Parlamento: su farmacie e class action ha assecondato passi indietro normativi a scapito della concorrenza. Anche per il neo-presidente di Assonime, Luigi Abete, serve più mercato per i servizi locali. Carabini, Locatelli e Rendina u pagina 4

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Il salto di qualità di Fondimpresa (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 17-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: JOB 24 data: 2009-06-17 - pag: 33 autore: FRONTIERE DEL LAVORO ... Il salto di qualità di Fondimpresa U n salto di qualità per Fondimpresa e in generale per i fondi interprofessionali per la formazione continua. Che consenta maggiore efficienza e una vera concorrenza tra i diversi fondi esistenti. è quanto viene auspicato per dare forza a questi strumenti di formazione che hanno dimostrato di funzionare molto bene, ma potrebbero diventare ancora più efficienti e così rispondere al compito affidato loro in tempi di flexsecurity in termini di occupabilità dei lavoratori. Che Fondimpresa funzioni è dimostrato dalle cifre. Nei primi anni di vita ha indirizzato alla formazione più di 350 milioni di euro, interessando 550mila lavoratori, ha quasi 70mila aziende iscritte. Ancora, oltre l'80% delle imprese aderenti occupa meno di 50 dipendenti, il 30%dei lavoratori formati appartiene alla categoria a rischio degli over 45 e il 28% è rappresentato da donne. Dei 17 fondi interprofessionali nati dopo la legge del 2000 Fondimpresa, creato da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, è di gran lunga il più forte. Questa sua capacità di realizzazione Fondimpresa l'ha sfruttata anche per far fronte ai danni prodotti dalla crisi finanziaria all'economia reale e in particolare al mercato del lavoro, modificando per questo anno e il prossimo i propri regolamenti. In particolare, ha eliminato, nei casi in cui ci sono lavoratori in cassa integrazione, l'obbligo di cofinanziamento che le aziende hanno quando attingono al Conto formazione. E ha previsto, sempre nei casi di cig, un piccolo rimborso spese per i lavoratori che partecipano a corsi di formazione per incrementarne la presenza. Poca cosa, che non è stato comunque possibile estendere a tutti gli interventi perché le regole, nazionali, ma anche comunitarie, sono molto rigide. Il problema di questi fondi, del resto, è proprio questo. La legge infatti prevede per tutte le aziende l'obbligo di versare all'Inps lo 0,30 del monte salari per finanziare la formazione continua e questisoldi sono girati ai fondi quando le aziende si iscrivono a uno di essi. Sono quindi soldi pubblici e, nel momento in cui vengono versati a delle aziende, sono considerati come aiuti dello Stato e regolati con molta attenzione. Sarebbe tutto diverso se cambiasse la natura di queste risorse. Se, per esempio, come propugna anche Fondimpresa, la legge prevedesse l'obbligo del versamento all'Inps dello 0,30 solo per le aziende che non abbiano già provveduto a finanziare in altro modo la formazione continua. L'iscrizione a un Fondo dovrebbe essere sufficiente a eliminare per l'azienda quell'obbligo e quindi a non considerare più quelle risorse come soldi pubblici. Senza attenuare controlli, vigilanza, trasparenza, ma dando più spazio all'autonomia. Si realizzerebbe davvero la sussidiarietà, si giustificherebbe la presenza di tanti fondi interprofessionali, il cui numero si giustifica solo se si fanno effettivamente concorrenza. Si riuscirebbe finalmente anche in Italia a premiare la cultura della responsabilità a danno della cultura delle procedure. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il fondo creato da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil ha formato 550mila lavoratori

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Corsi e ricorsi della Grande Depressione (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 17-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-06-17 - pag: 2 autore: DALLA PRIMA Corsi e ricorsi della Grande Depressione Eppure la Grande Depressione si chiama così perché il suo duro declino è andato avanti per tre anni. Questa volta il mondo applica le lezioni che ne avevano tratto John Maynard Keynes e Milton Friedman, gli economisti più influenti del secolo scorso, e la reazione politica lascia pensare che il disastro non si ripeterà. Eichengreen e O'Rourke descrivono il seguente contrasto. Durante la Grande Depressione, in media ponderata i tassi di sconto non sono mai scesi sotto il 3%, mentre oggi sono prossimi allo zero. Persino la Bce, la più battagliera di tutte, ha abbassato il proprio tasso all'1 per cento. Durante la Grande Depressione, era crollata anche l'offerta monetaria, questa volta è continuata ad aumentare. In effetti, la compresenza di una forte espansione monetaria e di una profonda recessione solleva alcuni dubbi sulla spiegazione monetarista della Grande Depressione. Infine la politica fiscale è molto più aggressiva. All'inizio degli anni Trenta, in media ponderata i deficit rimasero sotto il 4% del Pil in 24 paesi significativi. Oggi saranno molto superiori, si calcola che arriverà al 14% del Pil nei soli Stati Uniti. Tutto questo conferma le conclusioni di The Aftermath of Financial Crisis www.nber.org - l'analisi già diventata un classico di Carmen Reinhart dell'Università del Maryland e di Kenneth Rogoff di Harvard. Una crisi finanziaria provoca una crisi economica grave, e più severa ancora quando la crisi finanziaria è globale. Inoltre, il valore reale del debito governativo tende a esplodere: negli episodi successivi alla Seconda guerra mondiale, è salito in media all'86 per cento. Il motivo non va cercato nei salvataggi delle banche, ma nelle recessioni. A cose fatte, il credito privato senza freni si trasforma in spesa pubblica e in montagne di debiti. L'unica alternativa è il collasso e i governi con capacità di credito non l'accettano. Bisogna però domandarci se lo stimolo attuale,senza precedenti,compenserà l'effetto del collasso finanziario e dei debiti, anch'essi senza precedenti, accumulati dal settore privato negli Stati Uniti e altrove. Se ci riuscirà, vedremo presto una deviazione dal tracciato della Grande Depressione. Altrimenti, no. Sappiamo tutti in che cosa sperare, ma cosa dobbiamo aspettarci invece? Assistiamo a una gara tra un risanamento dei bilanci privati e un riequilibrio globale della domanda da un lato, e la sostenibilità dello stimolo dall'altro. Tornerà una domanda robusta del settore privato solo quando saranno risanati i bilanci delle famiglie e delle imprese sovra-indebitate, e dei settori finanziari sotto-capitalizzati. O tornerà quando paesi con elevati tassi di risparmio consumeranno o investiranno di più. Niente di tutto ciò accadrà domani. Ci vorranno anni, probabilmente, dopo lo straordinario accumulo di debiti dello scorso decennio. Negli ultimi due trimestri, le famiglie americane hanno ripagato appena il 3,1% del proprio debito. Il deleveraging è un processo lento. Nel frattempo, il governo federale è diventato l'unico a ricevere prestiti consistenti. Allo stesso modo, il governo cinese può aumentare rapidamente gli investimenti. Ma è assai più difficile per entrambi rialzare il livello dei consumi. è assaiprobabile pertanto che l'economia mondiale abbia bisogno di provvedimenti monetari e fiscali più a lungo di quanto molti credono e questo non mancherà di innervosire i politici, e gli investitori. Si profilano due pericoli opposti. Lo stimolo potrebbe esser ritirato troppo presto - com'è successo negli anni Trenta e in Giappone alla fine degli anni Novanta con una conseguente ricaduta nella recessione perché il settore privato non è ancora pronto o intenzionato a spendere. L'altro rischio è che lo stimolo venga ritirato troppo tardi, il che porterebbe a una sfidu-cia nella stabilità monetaria, aggravata dalle preoccupazioni sulla sostenibilità del debito pubblico, in particolare negli Stati Uniti, detentori della moneta mondiale chiave. Al limite, l'aumento dei prezzi in dollari delle materie prime e quello dei tassi d'interesse sui titoli governativi a lungo termine potrebbero spingere gli Stati Uniti, insieme alle economie mondiali, in una stagflazione maligna. Contrariamente a certi allarmisti, oggi non vedo segnali in questo senso, ma potrebbe accadere. L'anno scorso, l'economia mondiale è franata e la reazione politica è stata massiccia. Ma temo che s'illudachi è certo che siamo sull'orlo di una vigorosa ripresa originata nel settore privato. La corsa alla ripresa completa sarà quasi sicuramente lunga, difficile e incerta. Martin Wolf (traduzione di Sylvie Coyaud)

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Un passo indietro sull'Opa (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 17-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-06-17 - pag: 4 autore: La richiesta delle società quotate. Eliminare l'arretramento sulla passivity rule Un passo indietro sull'Opa ROMA Occorre eliminare «al più presto» le norme restrittive nella legislazione sull'Opa introdotte in Italia come risposta alla crisi finanziaria. A chiederlo è il neo presidente di Assonime Luigi Abete, nel discorso pronunciato ieri a Roma all'assemblea dell'associazione. Le modifiche alla disciplina italiana sulle offerte pubbliche – che hanno reso, tra l'altro, facoltativa la regola della passività che impone un preventivo benestare degli azionisti a qualunque iniziativa di contrasto di un'Opa - si sono tradotte «in un deciso arretramento, riducendo il grado di contendibilità delle società quotate italiane». Secondo Abete «le norme restrittive, introdotte in risposta alla crisi finanziaria, dovrebbero essere eliminate al più presto, con il ritorno alla normalità dei mercati finanziari e dei corsi delle azioni. Esse rendono il nostro mercato dei capitali meno attraente per gli investitori istituzionali e scoraggiano l'afflusso di capitali dall'estero». Al di là delle questioni tecniche la nuova normativa sulle offerte pubbliche – fortemente voluta dal presidente della Consob Lamberto Cardia –pone, per Abete, anche un «problema filosofico, se la contendibilità di un'impresa rappresenti un valore oppure no. Come anche la distinzione tra imprese nazionali o meno». La discussione su questi temi si può appunto svolgere in un clima più sereno in considerazione del rasserenarsi dei mercati. Il peggio - ha spiegato - «è stato evitato» e le azioni del governo per contrastare le turbolenze finanziarie «sono andate nella giusta direzione ». Ora il peso della crisi si è spostato sull'economia reale ed è lì che occorre intervenire. Con quali misure? Assonime giudica «prioritario rivedere il sistema di deduzione delle perdite, che oggi appare eccessivamente restrittivo. in particolare per le perdite su crediti verso i debitori insolventi ». Un tema- ha proseguito Abete – particolarmente sentito dalle banche «alle quali si chiede di mantenere i flussi di credito». L'assemblee biennale di Assonime, in aggiunta alla nomina di Abete (in sostituzione di Vittorio Mincato, il cui incarico era in scadenza) ha anche provveduto al rinnovo del consiglio direttivo che ora risulta composto dai precedenti presidenti Pietro Marzotto, Vittorio Merloni, Vittorio Mincato, Umberto Zanni, in qualità di membri didiritto.E da 30 componenti eletti tra i nomi più rappresentantivi della business community italiana.

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Tre pilastri per la exit strategy (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 17-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-06-17 - pag: 3 autore: Tre pilastri per la exit strategy Draghi: ridurre il debito e la liquidità - Gli Stati escano dal credito Rossella Bocciarelli BERLINO. Dal nostro inviato è ancora troppo presto per mettere in atto le varie strategie di uscita dalla crisi (monetarie, fiscali e di riprivatizzazione delle banche salvate dagli Stati) ma è senz'altro ora di cominciare a progettarle. Ne è convinto il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, che ha colto ieri l'occasione del Wirtschafstag 2009 di Berlino, al quale erano presenti il cancelliere tedesco Angela Merkel e Otmar Issing, ex membro del board Bce e storico economista Bundesbank, per tornare su uno dei temi clou del recente G8 finanziario di Lecce, quello dei tempi e dei modi più opportuni per "rimettere la casa in ordine" dopo gli interventi straordinari messi in opera nelle due sponde dell'Atlantico. «Anche se i tempi non sono ancora maturi per l'immediata attuazione di tali strategie di uscita – ha detto Draghi– io sono per cominciare a progettarle e per riflettere sulle condizioni necessarie alla loro realizzazione ». Draghi ha poi sottolineato la necessità di un forte impegno in questo campo da parte dei policy maker dei vari paesi. A Lecce, del resto, Draghi aveva partecipato come presidente del Financial stability board, l'organismo nel quale sono rappresentati, in ambito G20, tutti gli attori di questo processo di ridefinizione delle strategie monetarie e finanziarie future(le banche centrali, i governi, i controllori dei mercati) e in quell'occasione aveva avuto modo di parlare a lungo con il ministro dell'Economia americano, Tim Geithner, che per l'appunto si sta accingendo a varare il nuovo piano nazionale di ridefinizione delle regole di vigilanza. Sinora, nell'attenta tessitura di una nuova cooperazione internazionale sul terreno delle regole finanziarie, Draghi ha già ottenuto un ampio consenso sulle modalità per rafforzare i requisiti di capitale delle banche, sugli hedge fund e sulla necessità che la politica monetaria tenga conto anche dell'obiettivo della stabilità. Anche nel suo discorso "tedesco"( la Germania è un altro paese chiamato ad affrontare gli effetti negativi delle carenze regolamentari) Draghi ha parlato ieri in qualità di FSB: «Ci troviamo ora nel mezzo di una strategia disegnata come risposta alla crisi. Si tratta – ha osservato - di una strategia fondata su tre pilastri». Innanzitutto c'è «una risposta strutturale e regolamentare che mira a ricostruire un sistema finanziario più robusto e meno soggetto al rischio sistemico». Il secondo pilastro, ha aggiunto Draghi, «è costituito dalle varie politiche, a livello macro e micro, che i governi nazionali hanno intrapreso per far fronte alle diverse emergenze. L'aumento dei deficit di bilancio, le politiche monetarie marcatamente espansionistiche in tutto il mondo hanno fatto fronte all'emergenza di segno macro. Dovremmo anche tener conto – ha spiegato – delle numerose azioni intraprese dai governi a sostegno degli istituti in difficoltà, dalle ricapitalizzazioni alle garanzie, alle bad banks». Ma c'è un terzo pilastro,ha aggiunto il governatore, «che dovremmo cominciare a considerare: le strategie di uscita.L'uscita da politiche di bilancio eccessivamente espansionistiche per gestire la riduzione del debito pubblico e l'uscita dall'attuale orientamento delle politiche monetarie per mantenere l'ancoraggio delle aspettative di inflazione », ha sottolineato «sono essenziali, sia per la stabilità dei prezzi, sia per la stabilità finanziaria. Infine,occorre considerare l'uscita dalle micro- politiche a sostegno delle banche». In questo contesto, ha osservato ancora il numero uno di via Nazionale, l'FSB non vuole essere un «nuovo ente globale di regolamentazione, ma un forte punto di riferimento per una regolamentazione basata su due cardini: mantenere la parità concorrenziale, puntare alla convergenza degli standard». Le «radici della crisi», secondo il governatore sono «essenzialmente riconducibili alle gravi carenze della regolamentazione ». Tra le falle più vistose, Draghi ha citato tre esempi: «gli incentivi forniti dai requisiti di capitale e dagli standard contabili all'attività di cartolarizzazione fuori bilancio; la rimozione nel 2004 del limite sul leverage per le banche di investimento; la possibilità per gli enti con rating a tripla A di sottoscrivere credit default swap senza costituire alcun collaterale». © RIPRODUZIONE RISERVATA CAMBIO DI POLITICA Per il presidente dell'Fsb è ancora presto per agire ma vanno già pianificate le iniziative dei governi per il dopo-recessione Nuove regole per i mercati finanziari. Il presidente del Financial stability board, Mario Draghi, con Otmar Issing, ex membro del board della Bce REUTERS

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I Bric all'attacco del re dollaro (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 17-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-06-17 - pag: 5 autore: I Bric all'attacco del re dollaro Iniziativa di Cina, Russia, Brasile e India per un riequilibrio del sistema valutario Antonella Scott MOSCA. Dal nostro inviato Un giorno Ekaterinburg non sarà ricordata tanto per aver visto uccidere lo zar Nicola e la sua famiglia, né per essere - con il vecchio nome di Sverdlovsk - il luogo dove nacque Boris Eltsin: Ekaterinburg - ha detto ieri il presidente russo Dmitrij Medvedev ospitando nella capitale degli Urali ben due summit internazionali - «è l'epicentro della politica mondiale». Una politica, però, da cui è assente il mondo occidentale. Vertice Sco la mattina, vertice Bric al pomeriggio. Il primo è il Gruppo di Shanghai, lavora per rafforzare la cooperazione economica e la sicurezza tra i paesi dell'Asia centrale: dunque Cina e Russia insieme a Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan. Bric invece è l'ormai famosissimo acronimo che raccoglie Brasile, Russia, India e Cina nel comune desiderio di cambiare la geografia commerciale e politica del mondo, di contare di più in una comunità internazionale in cui le economie emergenti più dinamiche soffrono la dipendenza dagli Stati Uniti, dal loro debito e dal dollaro, preoccupazione acutizzata dalla crisi finanziaria. Il tema comune ai due vertici è stato dunque il desiderio di riformare l'ordine finanziario globale distribuendo i ruoli con maggiore equilibrio. Il desiderio, più che l'attuazione pratica. Quando a sera i leader dei Bric hanno tirato le conclusioni, dalla dichiarazione finale congiunta erano svaniti i riferimenti a una valuta di riserva sovranazionale, e il dollaro appariva di sfuggita nel documento. In un mondo in cui i quattro paesi, insieme, custodiscono 2.800 miliardi di riserve denominate per lo più in dollari per sostenere le rispettive valute, la campagna contro la moneta americana può diventare un boomerang: la Cina, da sola, conta 763,5 miliardi di dollari in titoli del Tesoro americano. E tuttavia, la dichiarazione auspica «un sistema monetario internazionale stabile, prevedibile e più diversificato»: abbastanza per innervosire il diretto interessato, che ha perso lo 0,4% del proprio valore contro l'euro finendo a 1,3840. Questo malgrado nei giorni scorsi fosse stato proprio il ministro delle Finanze russo, Aleksej Kudrin, a rilanciare il dollaro affermando che è troppo presto per parlare di valute di riserva. Qualcuno nota delle dissonanze all'interno del Cremlino. «Il sistema valutario globale non può avere successo se gli strumenti finanziari sono denominati soltanto in una valuta», ha ripetuto ieri Medvedev agli ospiti: il premier indiano Manmohan Singh, il presidente cinese Hu Jintao, il presidente brasiliano Ignacio Lula da Silva. La loro voce che chiede spazio rappresenta il 40% dell'economia mondiale, il 15% del Pil (rispetto al 7,5% di dieci anni fa). Ricollegandosi all'invito rivolto ai paesi del Gruppo di Shanghai in mattinata, Medvedev ha incoraggiato l'uso delle rispettive valute negli scambi commerciali mentre il suo consigliere economico, Arkadij Dvorkovich, ha auspicato l'ingresso di rublo e yuan nel basket di monete sulle quali il Fondo monetario internazionale costruisce la propria unità di conto, i diritti speciali di prelievo. La promozione delle valute regionali, aveva detto Dvorkovich, passa anche dall'impegno a investire una parte delle rispettive riserve in bond degli altri paesi Bric: ma anche questa possibilità non compare nelle conclusioni distribuite alla stampa. Lo stesso Dvorkovich, del resto, aveva chiarito che «nessuno vuole rovinare il dollaro, compresi noi», auspicando un rafforzamento della moneta americana accanto alla creazione di nuove valute regionali di riserva. Una prudenza condivisa senza dubbio da Hu Jintao, che non ha neppure accennato al tema del dollaro e alla necessità di diluirne l'importanza. Per la Cina, come per la Russia, il valore del vertice di Ekaterinburg non era tanto nelle iniziative concrete in campo finanziario, quanto nella sua dimensione politica. Il Gruppo di Shanghai, prima ancora dei Bric, è prioritario per Pechino per la proiezione che consente sull'Asia centrale e le sue risorse energetiche. Una delle iniziative più importanti della giornata è stato l'annuncio di uno stanziamento di 10 miliardi di dollari da parte della Cina a favore dei paesi della regione maggiormente in difficoltà. Paradossalmente, il rafforzamento dell'influenza cinese nell'area si scontra con i disegni analoghi della Russia, alleata nella Sco, nell'eterno gioco di alleanze e rivalità cui sono costrette le due grandi potenze asiatiche. Jim O'Neill, il responsabile della ricerca di Goldman Sachs che nel 2001 coniò il termine Bric immaginando che i quattro paesi avrebbero superato le sei economie più avanzate nella prima metà del secolo, ritiene ora che la crisi possa anticipare il sorpasso dei Bric. I quali, per fare il punto sulla strada percorsa, si sono dati appuntamento tra un anno, in Brasile. © RIPRODUZIONE RISERVATA QUATTRINI E DIPLOMAZIA Da Pechino un prestito di 10 miliardi di dollari ai paesi dell'Asia centrale per rispondere agli shock della crisi finanziaria

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Guardare avanti e battere le lobby (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 17-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-06-17 - pag: 4 autore: ANALISI Guardare avanti e battere le lobby di Orazio Carabini S ebbene nulla autorizzi ad affermare con sicurezza che la crisi è finita, si comincia a guardare avanti, si prova a individuare un percorso per rimettere l'economia sul sentiero della crescita. Possibilmente sostenuta e duratura. Una coincidenza ha fatto sì che il mondo dell'impresa in senso lato, rappresentato dall'Assonime, e l'autorità che vigila sul corretto funzionamento del mercato celebrassero ieri, nello stesso giorno, il loro evento annuale. Luigi Abete, neopresidente dell'Assonime, e Antonio Catricalà, presidente dell'Antitrust, hanno analizzato le cause della crisi e i possibili rimedi. Ma soprattutto hanno messo l'accentosul dopo:che cosa fare per riavviare la macchina inceppata dell'economia italiana. Il dato positivo è che, secondo entrambi, bisogna ripartire dalle liberalizzazioni perché solo l'azione della concorrenza, in un quadro di regole certe, non invasive e fatte rispettare, è in grado di stimolare efficacemente lo sviluppo. «Non avremo crescita sostenuta del prodotto, dei redditi, dell'occupazione – ha detto Abete –senza riprendere il cammino interrotto delle riforme strutturali: le liberalizzazioni, l'efficienza dello Stato, la qualità delle leggi, la modernizzazione del welfare ». «Il processo di apertura dei mercati – ha detto Catricalà – deve essere riavviato. Importanti appuntamenti attendono il paese: alta velocità ferroviaria, disciplina del trasporto del gas, digitale terrestre e satellitare, banda larga e comunicazioni elettroniche di nuova generazione». Il sistema è dunque in standby, e deve superare la tentazione di difendere imprese e posti di lavoro attraverso politiche protezionistiche, aiuti di Stato, tutela di rendite consolidate. Come peraltro si sta facendo in molti altri paesi dell'Europa e del mondo. Quello di Abete e di Catricalà è dunque un auspicio che per ora si confronta con una realtà ben diversa. Dove, per dirla con il presidente dell'Antitrust, «in Parlamento va scoraggiato lo stillicidio di iniziative volte a restaurare gli equilibri del passato, a detrimento dei consumatori». Tutti i provvedimenti di liberalizzazione (dalle misure introdotte solo tre anni fadall'allora ministro Pier Luigi Bersani a quelle precedenti sull'energia)sono infatti costantemente sotto tiro delle lobby che trovano nella crisi il pretesto per far ripristinare comode rendite. «Inopportuni tentativi di restaurazione», li ha efficacemente descritti il presidente della Camera Gianfranco Fini che ha difeso i «progressi sin qui realizzati in direzione di una maggiore liberalizzazione e apertura dei mercati». Quanto la realtà di oggi sia lontana da quella auspicata emerge anche dalle modifiche alla legge sull'Opa.«Queste norme restrittive, introdotte in risposta alla crisi finanziaria –ha detto Abete –, dovrebbero esser tolte al più presto, con il ritorno alla normalità dei mercati finanziari e dei corsi delle azioni. Esse rendono il nostro mercato dei capitali meno attraente per gli investitori istituzionali e scoraggiano l'afflusso di capitali dall'estero». La "contendibilità" delle società quotate italiane, la possibilità che siano scalate, è ormai ridotta al minimo. E in prospettiva questo ostacolo rappresenta un grosso limite alla capacità di sviluppo del sistema. Infine c'è la dilagante presenza del " capitalismo municipale", le società partecipate dagli enti locali, «che sono più di 4mila – ha detto Abete – e operano nei settori più vari, ben al di là della prestazione dei servizi pubblici locali». Catricalà vorrebbe che fossero «restituite al mercato», magari con l'aiuto delle fondazioni che hanno contribuito efficacemente alla privatizzazione del sistema bancario. Ma l'importante è, in questo come negli altri casi, avere un Parlamento disponibile a fare le riforme vere, quelle che creano sviluppo e che fanno male alle lobby. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Concorrenza indesiderata (sezione: crisi)

( da "Manifesto, Il" del 17-06-2009)

Argomenti: Crisi

ANTITRUST La relazione annuale bacchetta banche, governo centrale e enti locali Concorrenza indesiderata Catricalà: «Il mercato competitivo richiede più regole e presìdi» Francesco Piccioni Non è sempre confortante vedere che la realtà può esser negata con un piccolo click ideologico. Così può accadere che il liberismo sia globalmente messo in discussione da una crisi senza precedenti - che ha nell'assoluta libertà dei capitali una delle ragioni profonde della sua squassante ampiezza - mentre esistono istituzioni funzionanti che hanno ancora inscritta nel loro dna la fede assoluta nei principi del «libero mercato». E' il caso dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (sbrigativamente chiamata Antitrust), il cui presidente - Antonio Catricalà - ha tenuto ieri, nella sala della Lupa, a Montecitorio, la sua relazione annuale. Una relazione-testimonianza ideale già nel saluto, quando Catricalà ricorda come «soprattutto in ragione della crisi finanziaria ed economica, più volte l'Autorità sia stata chiamata a riaffermare che concorrenza sviluppa nuova ricchezza da investire e da distribuire». Per lui deve essere stato un anno durissimo, con gli imprenditori mondiali scatenati nel chiedere dosi crescenti di «interventi di stato». L'Autorità, di conseguenza, ha dovuto enfatizzare più di altre volte la necessità di «regole», perché «il mercato competitivo richiede più presidi di un'economia protetta». In modo da contrastare più efficacemente «i rischi di un ritorno al protezionismo e a politiche restrittive» (con la Lega e Tremonti nel governo, in effetti, ne deve aver viste parecchie). Il problema strutturale gli appare perciò immutato: da un lato «i vincoli di finanza pubblica», che costringerebbero a «incoraggiare le liberalizzazioni», dall'altra l'assenza di imprenditori interessati a sostituire le «troppe aziende pubbliche che svolgono i servizi loro affidati dagli enti territoriali proprietari». Aleggia quindi il profumo dell'appello irrealizzabile quando Catricalà definisce il «restituire al mercato attività così rilevanti per la nostra economia» come «la soluzione più efficace». Tanto che il soggetto chiamato a svolgere «un ruolo determinante nella prima fase di privatizzazioni» viene individuato nelle «fondazioni», non nelle imprese. Del resto, chi mai si è fatto avanti per gestire i trasporti pubblici urbani? La logica del profitto di impresa, in questo settore, implicherebbe tariffe appena poco inferiori a quelle dei taxi. E corre un brivido per la schiena al pensiero di quel che accade con l'acqua, là dove è già «privatizzata». L'ideologia liberista dell'Autorità si scontra comunque anche con una prassi governativa (una «fenice corporativa») che tende a cancellare sia il brutto che il buono di alcune «liberalizzazioni» disegnate nelle «lenzuolate» di Pierluigi Bersani, ministro dello sviluppo con Prodi. Ad esempio, l'idea di cancellarie parafarmacie e corner negli ipermercati (con sconti sui farmaci di automedicazione tra il 3 e il 22,5%, e 5.0000 farmacisti finalmente occupati). Oppure il tentativo di «abrogare la facoltà di recesso annuale nei contratti di durata» con le assicurazioni (qui, invece, non si è prodotto un vero ribasso delle tariffe, anche se i singoli sono diventati liberi di cambiare se trovano condizioni migliori). Stesso discorso per le «pulsioni vincolistiche» stimolate dalle «discipline locali», che disattendono spesso gli indirizzi di legge nazionali in numerosi settori. Anche le imprese ci mettono però del loro, con «intese restrittive della concorrenza», «abusi di posizione dominante», «pratiche commerciali scorrette a danno dei consumatori», «pubblicità occulte» e varie «prassi sleali». In cima a tutte le banche, che - nella relazioni non viene dettagliato - sono accusate dai clienti (singoli cittadini e piccole imprese, in primo luogo) di aver aumentato gli spread sui tassi, introitando di fatto un guadagno maggiore mentre la Bce comprime il prime rate. O che hanno rialzato le «commissioni di massimo scoperto», oppure «offrono condizioni onerose per la surroga del mutuo», che pure dovrebbe poetr avvenire a costo zero. Dura la vita, per chi deve difendere la «purezza» ideale di un mercato che proprio nessuno riesce ad incarnare davvero...

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Usa, la capacità ritorna al 1982 Europa, prezzi fermi (sezione: crisi)

( da "Manifesto, Il" del 17-06-2009)

Argomenti: Crisi

DIARIO DELLA CRISI Usa, la capacità ritorna al 1982 Europa, prezzi fermi Galapagos A che punto è la crisi? Gli ultimi dati diffusi ieri non sono confortanti. Con esclusione, forse, del tedesco indice Zew che misura la fiducia delle imprese: in giugno è balzato a 44,8 punti contro i 31,1 di maggio. Il rimbalzo ha superato le attese degli analisti che si aspettavano un indice a quota 37. L'indicatore della situazione corrente è salito a -89,7 da -92,8. Tradotto: va ancora molto male (indice corrente) ma per i futuro (verso la fine anno) la congiuntura potrebbe registrare un andamento meno negativo. Non va bene neppure negli Usa. Ieri la Fed ha fatto sapere che, in maggio, la produzione industriale è scesa di un ulteriore 1,1%. Una discesa non attesa (almeno in queste dimensioni) aggravata da una revisione peggiorativa dei dati di aprile e marzo. Complessivamente negli ultimi 12 mesi la produzione ha registrato una caduta del 13,4%. La cosa più grave sottolineata dal comunicato è che l'utilizzo della capacità produttiva è sceso al 68,3%. Ovvero 12,6 punti meno della media registrata tra il 1972 e il 2008. La Fed aggiunge anche che il precedente record negativo risaliva al dicembre 1982, quando la capacità produttiva scivolò al 70,9%. L'output industriale ha depresso le borse (reduci da un forte scivolone lunedì) anche se un dato in controtendenza c'è. E' quello dell'attività edilizia. In maggio l'apertura ha segnato un incremento del 17,2%, mentre sono cresciute del 4% le licenze edilizie concesse. Tuttavia, su base annua, l'apertura di nuovi cantieri registra un crollo del 45,2%, a conferma che la crisi del comparto immobiliare non è ancora superata. In valori assoluti, secondo i dati governativi a maggio sono stati avviati cantieri per la costruzione di 51.200 case, tra villette unifamiliari e condomini. Sempre dagli Usa, una notizia contrastante arriva dal dato sui prezzi alla produzione: in maggio sono saliti poco (dello 0,2%) e su base annua segnano una flessione del 5%: la contrazione è la più significativa dall'agosto 1949. A influire sulla caduta annua è stato il prezzo del petrolio ma, anche, la bassa domanda conseguente la recessione. Anche l'Europa in fatto di prezzi al consumo va «forte»: a maggio di quest'anno - secondo l'indagine Eurostat relativa ai 16 paesi dell'euro - l'indice si è posizionato allo stesso livello del maggio 2008. Come dire: inflazione zero. Con una nota speciale per l'Italia in maggio su base annua, dice l'Istat, i prezzi sono cresciuti dello 0,9%, molto più della media. Perché? Forse ha ragione il presidente dell'Antitrust che ieri ha denunciato un fiorire di accordi collusivi e di situazioni di piccoli monopoli che bloccano la discesa dei prezzi in una fase largamente recessiva. Non va meglio nell'ambiziosa Russia: in maggio la produzione industriale è precipitata del 17,1% su base annua. Lo ha comunicato - scoraggiato - lo stesso governo. Il dato conferma la crisi profonda in cui versa l'economia russa a seguito del crollo del prezzo del greggio rispetto ai massimi di un anno fa e alla netta diminuzione degli investimenti esteri. Tuttavia ha promosso di sollevare la questione di una valuta di riserva globale al primo vertice formale con i leader del Bric ( Brasile, Russia, India e Cina) che detengono 3 miliardi di dollari di riserve. Insomma, un attacco al dollaro, anche se il Cremlino si è affrettato a dichiarare che «l'ultima cosa che vogliano evitare è una tempesta sui mercati finanziari» e «sfasciare il dollaro».

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(sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia data: 17/06/2009 - pag: 30 Strategie Il governatore: il credito non scorre come dovrebbe. Guttenberg: la recessione ha toccato il fondo «I governi inizino a pensare al dopo crisi» Draghi: strategia di uscita dalle politiche di spesa. Napolitano: ristabilire i valori DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO È il momento di iniziare a pensare al dopo crisi finanziaria, dice Mario Draghi. Non siamo ancora nella situazione in cui si possono adottare politiche e misure concrete - secondo il governatore della Banca d'Italia - perché le difficoltà non sono finite e non si è tornati alla normalità. Ma si tratta di progettare subito quello che andrà fatto nel medio periodo, su almeno due grandi filoni: regole per «ricostruire un sistema finanziario più robusto e meno soggetto al rischio sistemico» e una strategia di uscita «da politiche di bilancio eccessivamente espansionistiche» e dalle «micropolitiche a sostegno delle banche». Draghi era a Berlino, alla giornata organizzata dal Consiglio economico della Cdu, il partito di Angela Merkel. Niente di partitico, un forum molto aperto in casa del governo che probabilmente più di ogni altro al mondo si è posto le questioni delle nuove regole da dare alla finanza (e le sta disegnando) e della exit strategy dalla bolla di interventi di Stato che si è formata negli scorsi otto mesi come risposta al blocco dei mercati e alla recessione. Alla conferenza, molti economisti, esperti di business, imprenditori, il ministro dell'Economia Karl-Theodor zu Guttenberg - secondo il quale la recessione «ha più o meno toccato il fondo» e le cose dovrebbero ora migliorare - e conclusioni della cancelliera Merkel sulla necessità di tornare a creare crescita in Germania e in Europa. Insomma, tutti a guardare avanti. Ma tutti anche sicuri che non saranno tempi facili. Il Governatore ha sostenuto che «è il momento di cominciare a pensare al futuro, non di cominciare a uscire dalle politiche espansive». È vero - nella sua analisi - che i governi hanno fatto interventi anti-crisi in tutto il mondo, «dai pochi in Italia ai molti e moltissimi in altri Paesi», che le politiche espansive sono state eccezionali. Ma non è ancora il momento di abbandonarle, «le condizioni economiche non sono pronte, il credito non arriva al sistema come dovrebbe ». Questa è l'ora di prendere un «forte e credibile impegno» sulle scelte future. Impostazione ben recepita dai tedeschi, i quali hanno appena approvato una modifica alla Costituzione per rendere vincolanti, dal 2016, politiche di bilancio pubblico virtuose, cioè a bassissimo deficit. Draghi parlava soprattutto come presidente del Financial Stability Forum. E con questo cappello ha indicato le linee di riforma delle regole valide sui mercati finanziari, questione che sta diventando urgente: c'è il rischio (anche se il Governatore non lo ha detto) che con la ripresa non si cambi niente e si torni alle vecchie abitudini. Si tratta dunque - secondo Draghi - di stabilire nuove norme, compresa la revisione di quelle di Basilea II, per assicurare che la finanza non sia pro-ciclica, cioè generosa nei momenti di espansione e avara in quelli di recessione. E poi di garantire che tutti gli attori finanziari siano trasparenti e vigilati, di affrontare la questione delle istituzioni «troppo grandi per fallire» che favoriscono situazioni di moral hazard (tanto non posso fallire), di rivedere i «sistemi di remunerazione nelle istituzioni finanziarie». Tutto in un coordinamento globale tra Paesi ma senza un regolatore unico globale. Con l'obiettivo di fare funzionare i mercati, non di punirli. Danilo Taino

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La vendita di Saab fa bene a Volvo (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 17/06/2009 - pag: 37 Il caso a Stoccolma La vendita di Saab fa bene a Volvo (g. fer.) Il passaggio di proprietà, annunciato ieri, della Saab (da General Motors alla società di auto di lusso Koenigsegg) e, soprattutto, il fatto che l'acquirente sia svedese, ha favorito l'intero settore automotive alla Borsa di Stoccolma. In particolare il titolo della Volvo ha guadagnato il 2,25%, chiudendo a quota 50 corone. Particolarmente elevati i volumi scambiati: 15,2 milioni di pezzi rispetto a una media di 8,9 milioni degli ultimi tre mesi. In crescita, sia pure in misura minore, anche Scania, che produce autobus e autocarri, il cui titolo ha guadagnato l'1,25% a 79,75 corone. Stephen O'Dell presidente di Volvo

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Indici ancora giù, balzo di A2A (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 17/06/2009 - pag: 37 La Giornata in Borsa di Giacomo Ferrari Indici ancora giù, balzo di A2A Bancari in calo Banco Popolare e Popolare Milano cedono oltre tre punti percentuali Borse europee incerte dopo il forte calo della vigilia. Nel Vecchio Continente, con Francoforte, Parigi e Londra in equilibrio, il risultato peggiore lo ha registrato Piazza Affari, dove l'Ftse-Mib ha ceduto lo 0,91% e l'Ftse Italia All Share è sceso dello 0,77%, con scambi per un controvalore di 2,4 miliardi di euro. Pur con una leggera prevalenza di risultati negativi, il paniere dei 40 titoli principali del listino italiano presenta numerose variazioni al rialzo. La più consistente riguarda A2A, che sembra aver digerito il terremoto che ha investito di recente i vertici della società. Il prezzo di riferimento della utility lombarda è cresciuto del 4,25%, avvicinandosi ai livelli massimi raggiunti quest'anno. Significativo anche il balzo di Ansaldo Sts (+3,8%) grazie a un contratto da 149 milioni di euro in Arabia Saudita per la progettazione e la realizzazione di una metropolitana automatica leggera a Riyadh. Rimbalzo, inoltre, per Lottomatica (+2,87%) e, con variazioni di poco superiori al punto percentuale, Bulgari, Campari e StMicroelectronics. Per quanto riguarda, invece, la graduatoria dei maggiori ribassi, nelle prime posizioni figurano due bancari: Popolare Milano e Banco Popolare (in calo rispettivamente del 3,57% e del 3,06%), ma anche Autogrill (-3,52%) e Geox (-3,43%). Giù del 2,13%, invece, Fiat, nonostante i buoni risultati delle vendite di auto sul mercato europeo. Assestamenti, infine, per i titoli del gruppo Tronchetti dopo gli exploit di lunedì: mentre Pirelli Real Estate è salito ancora (+22,86%), Camfin è arretrata del 10,25%.

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Abete al vertice dell'Assonime (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia data: 17/06/2009 - pag: 33 La nomina Abete al vertice dell'Assonime «Opa da rivedere» MILANO L'assemblea di Assonime, l'associazione italiana delle società per azioni, ha nominato ieri Luigi Abete presidente dell'associazione per il biennio 2009-2011. L'ex presidente di Confindustria e attuale presidente di Bnl sostituisce così Vittorio Mincato, giunto al termine del suo secondo mandato. Nel suo intervento all'assemblea, Abete ha delineato la linea che intende seguire alla guida dell'associazione. In particolare, il banchiere romano ha insistito sul fatto che le regole societarie introdotte in seguito agli scandali e in risposta alla crisi «dovrebbero essere eliminate al più presto con il ritorno alla normalità dei mercati finanziari e dei corsi delle azioni». Secondo Abete queste norme «rendono il nostro mercato dei capitali meno attraente per gli investitori istituzionali e scoraggiano l'afflusso dei capitali all'estero ». Peraltro anche il recepimento in Italia della direttiva europea sulle offerte pubbliche d'acquisto, ha insistito Abete, «si è tradotto in un deciso arretramento riducendo il grado di contendibilità delle società quotate italiane». In particolare è venuta meno la forza delle regole che fissavano in Italia la regola di passività degli amministratori sulle misure anti-scalata: su questo punto, la direttiva europea è meno rigorosa della normativa italiana, che, secondo Abete, si è adeguata al quadro comunitario ma solo al ribasso.

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Effetto Riyad, sale Ansaldo Sts (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 17/06/2009 - pag: 37 Il caso a Milano Effetto Riyad, sale Ansaldo Sts (g. fer.) Balzo del 3,8%, il secondo per consistenza fra i 40 titoli che compongono l'Ftse- Mib, per Ansaldo Sts, che ha chiuso con un prezzo di riferimento di 12,03 euro, assai vicino al massimo dell'anno. Oltre 432 mila le azioni scambiate. A spingere il titolo della società (che fa capo a Finmeccanica e riunisce le attività di segnalamento e sistemi di trasporto ferroviario e metropolitano) è stata la firma di un contratto da 149 milioni di euro in Arabia Saudita per la progettazione e la realizzazione di una metropolitana automatica leggera nel campus dell'università femminile di Riyad. Alessandro Pansa presidente Ansaldo Sts

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Soldi alla DueGi Oggi la risposta delle banche (sezione: crisi)

( da "Stampa, La" del 18-06-2009)

Argomenti: Crisi

Fossano Soldi alla DueGi Oggi la risposta delle banche Si dovrebbe conoscere oggi il responso delle otto banche alle quali la DueGi prefabbricati di frazione Loreto, a Fossano, ha chiesto un «finanziamento ponte» di 1 milione 500 mila euro per tentare di uscire dalla crisi finanziaria che ne ha di fatto bloccato l'attività. Dal 3 giugno i 94 dipendenti hanno iniziato il presidio di fronte ai cancelli delle sede di Loreto. Da oltre tre mesi, pur continuando a lavorare, non percepiscono lo stipendio. Giovanni Battista Giaccardi, titolare della ditta, ha spiegato che il finanziamento servirà per pagare gli stipendi arretrati e per acquistare le materie prime necessarie per terminare le commesse in corso e affrontare i nuovi lavori. Secondo dati forniti dalla stessa azienda negli ultimi tempi il livello di indebitamento sarebbe sceso di molto, arrivando a 3,8 milioni di euro, e ci sarebbero buone prospettive per uscire dalla crisi. Il fatturato a inizio anno ha superato i 3,7 milioni di euro, le commesse in esecuzione ammonterebbero a 1,6 milioni e il «portafoglio ordini» sarebbe di circa 4 milioni. Insieme alla richiesta di finanziamento è stato anche aggiornato il piano di ristrutturazione e risanamento aziendale già presentato a marzo, che prevede tra l'altro l'ingresso di un nuovo socio. Le otto banche chiamate in causa sono la Cassa di risparmio di Fossano, Intesa San Paolo, Unicredit, Monte dei Paschi di Siena, Banca Popolare di Novara, Credito Emiliano, Banca nazionale del lavoro e Cassa di risparmio di Savona. Hanno tempo fino a stasera per dare una risposta all'azienda. Del caso, oltre ai sindacati che stanno seguendo la vicenda fin dall'inizio, si è interessato anche Raffaele Costa, ex presidente della Provincia, e il sindaco di Fossano Francesco Balocco che hanno richiesto un incontro, la cui data è ancora da stabilire, con politici e parlamentari locali.

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samuelson: "adesso attenti alle lobby banche e assicurazioni sono in agguato" - eugenio occorsio (sezione: crisi)

( da "Repubblica, La" del 18-06-2009)

Argomenti: Crisi

Pagina 29 - Economia Il premio Nobel per l´economia: scelte giuste, finalmente la svolta rispetto agli anni di Bush Samuelson: "Adesso attenti alle lobby banche e assicurazioni sono in agguato" Lo Stato deve essere più vicino ai cittadini, bene il maggior controllo su prestiti e mutui EUGENIO OCCORSIO ROMA - Professore, le piace il piano Obama? «Sì, molto. C´è una totale discontinuità con gli otto disastrosi anni di Bush. Ma sarà durissima per il presidente farlo passare indenne attraverso il fuoco di fila delle lobby, degli interessi, delle potenti associazioni bancarie e assicurative». Paul Samuelson, gran decano degli economisti americani, classe 1915, commenta in diretta con noi il progetto di riforma dei mercati finanziari dalla sua casa di Boston: «Lo sto vedendo in tv mentre faccio colazione». Premio Nobel 1970, è stato consigliere di John Kennedy ma soprattutto ha vissuto da studente gli anni della Grande Depressione. Obama ha fatto riferimento a quel periodo. è appropriato? «Sì, per alcuni versi. Sono gli interventi più decisi da allora, certo. Per fortuna a differenza di allora si è intervenuti prima, non solo qui in America ma a livello di Bank of England e di Bce. Questa è la differenza: fra l´ottobre 1929 e il marzo ´33 il presidente Herbert Hoover non fece assolutamente nulla, per sua precisa scelta addirittura teorizzando il non-intervento, e provocò il collasso. Anche oggi c´è una forte recessione, e c´è tantissima gente che soffre e perde il posto, ma probabilmente non si piomberà a quei livelli. Intendiamoci, non ne siamo ancora fuori: quello che stiamo vivendo lo definirei uno stallo (stalemate). Il crollo si è arrestato, ma per parlare di ripresa bisognerà aspettare. E sul medio termine ci sono altri pericoli». Qual è il più pressante? «Intanto come dicevo che gli interessi costituiti finiscano con lo snaturare il piano Obama, anche se la forte maggioranza al Congresso, e in più il fatto che molti repubblicani appoggiano la politica del presidente, fanno ben sperare. Poi le incognite estere come la Cina: fra 3-4 anni si stancherà di tenere in portafoglio ingenti quantità di titoli del Tesoro Usa e comincerà a venderli. Il rischio è che questo provochi il crollo del dollaro, e per scongiurarlo servirà un´accorta opera politica di collaborazione». Nel merito del piano, qual è il punto che la convince di più? «Direi proprio il concetto di fondo: lo Stato deve essere più vicino ai cittadini, e di qui l´istituto che sovrintenderà ai mutui e ai prestiti, e in generale più presente nell´economia aiutando i risparmiatori a distinguere l´oro vero da quello fasullo. E poi le regole, anche se non sarà facile far accettare di comportarsi disciplinatamente chi non c´è più abituato dai tempi di Reagan. Quanto al rafforzamento della Fed, la inserirà meglio nel sistema. Vede, negli anni di Greenspan e dei suoi tassi all´1% abbiamo avuto ben due bolle, il Nasdaq nel 2000 e l´immobiliare del 2007. Se la Fed avesse lavorato più a stretto contatto con tutti gli altri organi dello Stato, forse avrebbe avuto più raziocinio».

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morgan stanley e jpmorgan restituiscono i fondi pubblici (sezione: crisi)

( da "Repubblica, La" del 18-06-2009)

Argomenti: Crisi

Pagina 29 - Economia Il caso Morgan Stanley e JpMorgan restituiscono i fondi pubblici ROMA - Jp Morgan Chase e Morgan Stanley restituiscono gran parte degli aiuti concessi dal Tesoro Usa nella fase più acuta della crisi finanziaria e che hanno consentito alle banche di ripatrimonializzarsi. Jp Morgan ha ridato 25 miliardi di dollari, Morgan Stanley 10: in entrambi i casi si tratta di fondi relativi al programma di aiuti denominato "Tarp" (Troublet Asset Repurchase Program) con le quali il governo Usa, a suo tempo, aveva sottoscritto azioni privilegiate emesse dalle banche, per aprire i margini necessari a fronteggiare la crisi evitando fallimenti. Al Tesoro sono arrivati anche 795 milioni sotto forma di dividendi prodotti dalle azioni privilegiate. Ma oltre ai capitali appena recuperati, già Us Bancorp ( per 6,6 miliardi) e BB&T (3,1) avevano restituito i fondi pubblici.

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Wall Street e consumatori, la grande svolta di Obama (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 18-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 18/06/2009 - pag: 8 Wall Street e consumatori, la grande svolta di Obama «La più importante revisione dal '29, superpoteri alla Fed» DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK Ben Bernanke, il capo della Fed, «superpoliziotto » con ampi poteri di intervento su tutte le grandi società finanziarie (banche, ma anche assicurazioni e altro) che, proprio per le loro dimensioni, possono far correre un «rischio sistemico » all'intera economia. È l'intervento più forte e, forse, controverso, della riforma dei meccanismi di controllo dei mercati finanziari Usa presentata ieri da Barack Obama. Ed è la terza grande sfida lanciata dal presidente nel tentativo di tirare fuori il Paese dalla grave crisi nella quale è precipitato e di modernizzarlo, dopo il varo, qualche mese fa, di un pacchetto di stimoli fiscali all'economia da quasi 800 miliardi di dollari e l'avvio di una serie di interventi socio-economici, dalle misure per il risparmio energetico a una riforma sanitaria che deve migliorare la salute degli americani ma anche quella del bilancio federale e alleggerire le imprese dagli oneri assicurativi che riducono la loro competitività. Una parte della «corporate America» e il partito repubblicano sono già sul sentiero di guerra, ma Obama è convinto di aver messo a punto un progetto ben bilanciato, frutto del lavoro fatto dal suo team economico coi leader del Congresso (soprattutto Barney Frank e Chris Dodd, capi di due commissioni-chiave), dopo aver consultato imprese, accademici e organizzazioni dei consumatori. Secondo i suoi detrattori la riforma introduce troppi vincoli: ad esempio l'obbligo di registrazione presso la Sec, la Consob americana, per gli «hedge fund» e regole molto più severe per l'erogazione dei mutui-casa, con l'abolizione delle formule «esotiche» che consentono di ottenere finanziamenti imponenti pagando, all'inizio, rate bassissime. Vincoli che rischiano di «ingessare» i mercati finanziari in una fase nella quale il motore di Wall Street già sta girando ad un ritmo molto ridotto. Ma il presidente sostiene il contrario: sa che il mercato è un insostituibile e straordinario produttore di ricchezza e dice di volerne uno «forte e vibrante; ma, per averne uno così, dobbiamo anche renderlo trasparente e ben sorvegliato, con adeguate tutele per i consumatori». Obama sostiene di voler sfidare la «cultura dell'irresponsabilità » che ha portato i mercati sulla soglia della dissoluzione e che è costata carissima a gran parte degli americani. E avverte che non si farà legare le mani né da chi dice che sta facendo troppo poco che la sua non è la riforma radicale che sarebbe necessaria né da chi lo accusa di andare troppo in là sulla strada dell'intervento dello Stato in economia, perché stavolta in ballo non ci sono solo i rapporti tra diversi tipi di operatori finanziari, ma il destino delle pensioni di milioni di americani, delle risorse con le quali la gente paga la formazione scolastica e universitaria dei figli, la capacità dei cittadini di conservare la casa acquistata con molti sacrifici. Oltre ai rafforzamenti dei poteri della Federal Reserve, la Banca centrale Usa, per prevenire i rischi sistemici (che possono costare centinaia di miliardi di dollari al contribuente, come è avvenuto per il salvataggio di AIG) alla registrazione degli «hedge fund» (che, comunque, non vengono regolamentati severamente, come molti chiedevano) e alle nuove regole per l'erogazione di mutui, la riforma di Obama contiene diverse altre novità: la costituzione di una nuova «authority» per la tutela dei consumatori di prodotti finanziari; la previsione che l'originatore di un prestito mantenga un certo interesse al suo rimborso (si parla di un impegno del 5%, ma Obama non l'ha precisato), anche se cede il credito, cartolarizzato, ad altri soggetti; una serie di iniziative per colmare i vuoti normativi che fin qui hanno consentito a molti operatori di «scegliersi» la loro autorità di sorveglianza, approfittando della concorrenza esistente tra diversi «regolatori ». Negli Usa ne esistono ben sette. Problemi giuridici e politici hanno costretto il governo a rinunciare al progetto iniziale di unificare tutto sotto un ombrello unico. Ma verrà costituito un consiglio (Council of Regulators) del quale faranno parte tutti gli enti di supervisione del mercato, presieduto dal ministro del Tesoro, che coordinerà le politiche delle varie agenzie, in modo da evitare che si creino vuoti o sovrapposizioni. Un solo ente verrà soppresso: l'OTS (Office of Thrift Supervision), un'agenzia del Tesoro che ha dato una pessima prova di sé nel controllo delle banche minori e delle casse di risparmio. Da oggi la riforma è all'esame del Congresso, dove le lobby di Wall Street che considerano i nuovi vincoli alla loro attività troppo stringenti, sono già al lavoro. Obama non drammatizza: «C'è sempre stata tensione tra chi ha fiducia nella 'mano invisibile del mercato' e chi, invece crede nella mano visibile del governo. In sé questa tensione non è negativa: ci aiuta a discutere, ma anche a essere dinamici, ci obbliga ad adattarci, ma anche a crescere ». Massimo Gaggi Il presidente \\ La cultura dell'irresponsabilità si era radicata a Washington e sul mercato

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Svolta protezionista a Pechino (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 18-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia data: 18/06/2009 - pag: 31 Il caso Spinta sui consumi dopo il piano di stimoli all'economia «Cade l'export, comprate cinese» Svolta protezionista a Pechino DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINO La direttiva è stata emanata con un dispiegamento di forze massiccio: da nove ministeri e l'ufficio legislativo del Consiglio di Stato, ovvero il governo. E il contenuto è elementare. Comprate cinese.>I destinatari sono tutti gli operatori economici governativi, vigorosamente invitati ad «acquistare prodotti nazionali a meno che i prodotti o i servizi necessari non si possano ottenere in Cina a condizioni commerciali ragionevoli». In particolare, il monito vale per i progetti interessati dal pacchetto di stimolo da 585 miliardi di dollari varato nell'autunno scorso per fronteggiare il rallentamento della crescita. Protezionismo. Il «Buy Chinese » riflette lo sforzo della leadership di Pechino di sopperire sul fronte interno al declino dell'export. Proprio martedì il vicepremier Li Keqiang aveva dovuto ammettere come «è improbabile un'inversione di tendenza nell'export a breve termine ed è difficile che si riesca a ottenere l'obbiettivo di quest'anno, che era stato fissato in un aumento delle esportazioni dell'8%». Non resta, dunque, che la domanda interna, da alimentare e sostenere. E se, in parallelo ai provvedimenti lanciati dal governo centrale, nei mesi scorsi province e città hanno assistito a una fioritura di misure di incentivo al consumo, con buoni-acquisto e facilitazioni di ogni tipo, l'ordine di adesso lancia un segnale preoccupante agli investitori e alle aziende straniere che coltivano il mercato cinese. L'ambasciata americana a Pechino, interpellata dalla stampa occidentale, ha provato a sdrammatizzare, avvertendo che direttive che facilitano l'acquisto di prodotti e servizi nazionali esistono da tempo. Tuttavia, il passo cinese ha un peso simbolico paradossale. Era stata Pechino a rimproverare all'amministrazione americana di arroccarsi in un "Buy American" sleale e controproducente, salvo poi ritrovarsi a concordare con Barack Obama sul fatto che il protezionismo non può esser la soluzione alla crisi globale. E solo pochi mesi fa l'esecutivo cinese aveva rassicurato politici ed economisti: «Non lanceremo mai iniziative all'insegna del 'Buy Chinese aveva promesso in una conferenza stampa il viceministro del Commercio, Jiang Zengwei perché la competitività sul mercato dovrebbe essere basata unicamente su qualità e prezzo, e non sul Paese d'origine». Altro clima. Il premier Wen Jiabao mercoledì affermava che «l'economia cinese è in un momento critico in cui sta cominciando a riprendersi»: ecco, se il rigurgito protezionista è il prezzo della ripresa, bisogna vedere chi è disposto a pagarlo. Marco Del Corona Il premier cinese Wen Jiabao

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Prysmian maglia nera, sale Bulgari (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 18-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 18/06/2009 - pag: 35 La Giornata in Borsa di Giacomo Ferrari Prysmian maglia nera, sale Bulgari Prosegue la fase di correzione per Piazza Affari e le altre Borse europee, che ieri in termini di capitalizzazione complessiva hanno bruciato altri 80 miliardi di euro. A Milano, dove domani sono in programma le scadenze tecniche di metà anno (circostanza che ha fatto salire il controvalore degli scambi fino a quasi 3 miliardi di euro), l'indice Ftse All Share ha perso il 2,82% e l'Ftse Mib il 2,89%. Nel dettaglio dei titoli principali, maglia nera per Prysmian, il cui prezzo di riferimento è scivolato dell'8,88% abbandonando di colpo la soglia dei 10 euro (ha chiuso a 9,34 euro). Fra i titoli legati al comparto petrolifero hanno registrato forti ribassi anche Tenaris (-6,91%) e Saipem (-5,56%). Tutti in calo i bancari, a cominciare da Ubi Banca e Unicredit, che hanno ceduto rispettivamente il 7,01% e il 6,43%. Seguono Banco Popolare (-5,11%), Mediobanca (-4,84%), Mediolanum (-4,8%), Popolare Milano (-4,5%) e Monte Paschi (-3,06%). Superiori ai quattro punti percentuali anche i cali di Autogrill (-4,6%), Cir (-4,66%), Buzzi-Unicem (-4,87%), Impregilo (-4,9%) Pirelli (-4,74%). Quanto ai pochi titoli in controtendenza, il migliore è stato Finmeccanica (+1,48%), grazie alle notizie di nuove commesse internazionali acquisite dal gruppo. Bene anche i titoli del lusso: Bulgari è cresciuta dell'1,17% dopo che Bnp Paribs ha corretto al rialzo il target price, portandolo da 2,7 a 4,7 euro. A sua volta Luxottica ha segnato un progresso dello 0,73% mentre, fuori dal paniere dell'Ftse-Mib, Tod's è cresciuta dell'1,39% riconquistando quota 40 euro. Bancari out Ubi Banca (-7,01%) e Unicredit (-6,43%) guidano i ribassi del comparto bancario

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Abu Dhabi spinge Finmeccanica (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 18-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 18/06/2009 - pag: 35 Il caso a Milano Abu Dhabi spinge Finmeccanica (g.dos.) La partnership industriale, nell'ambito dell'aviazione civile, rimane. L'ingresso nel capitale, per ora, non c'è, ma forse arriverà. Tra Finmeccanica e Mubadala, il fondo sovrano di Abu Dhabi, le relazioni sembrano destinate a rafforzarsi. E ieri è bastata l'indiscrezione di un possibile imminente ingresso degli Emirati Arabi, per accendere i riflettori sul gruppo guidato da Pier Francesco Guarguaglini. Alle voci ha poi fatto seguito una smentita. Intanto però sul listino di Piazza Affari il titolo Finmeccanica ha guadagnato l'1,48%. Complice anche la firma di un contratto da 44 milioni di dollari per la controllata Drs Technologies. P. Francesco Guarguaglini presidente Finmeccanica

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Vola Qualcomm, promossa da Goldman (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 18-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 18/06/2009 - pag: 35 Il caso a New York Vola Qualcomm, promossa da Goldman (g.fer.) La decisione di Goldman Sachs di inserire il titolo nella conviction buy list ha messo le ali a Qualcomm, produttore di chip e apparecchiature informatiche, quotato al Nasdaq, il listino delle società tecnologiche. Le azioni del colosso Usa hanno segnato, al termine delle contrattazioni, un progresso del 3,77%, a quota 45,09 dollari, ma nel corso della seduta avevano toccato un massimo di 45,35 dollari. Superiori alla media i quantitativi scambiati: 26,4 milioni le azioni passate di mano, contro una media di 21,7 milioni degli ultimi tre mesi. Nello stesso comparto, in rialzo anche Cisco e Texas Instruments. Paul Jacobs presidente Qualcomm

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No a finanza selvaggia (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMA data: 2009-06-18 - pag: 1 autore: Il presidente Obama lancia la superFed con nuovi poteri - Le grandi banche restituiscono i fondi Tarp «No a finanza selvaggia» Controlli più rigorosi, tutele al risparmio e authority anti-crack Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha alzato ieri il velo sulla proposta per nuove regole sui mercati finanziari. In un corposo documento, Washington punta l'indice contro la «finanza selvaggia » e propone un pacchetto di misure per evitare il ripetersi di crisi sistemiche: si va da un rafforzamento dei poteri della Federal Reserve, alla creazione di nuove authority a difesa dei consumatori e di controllo globale sul panorama finanziario. Nelle stesse ore in cui Obama illustrava il suo piano, quattro grandi banche statunitensi (Jp Morgan, Morgan Stanley, Us Bancorp e BB&T) hanno restituito gli aiuti pubblici, ricomprando le azioni privilegiate offerte al governo in cambio dei fondi del Tarp. In Borsa Wall Street ha limitato la flessione (-0,14%), mentre i listini europei hanno registrato considerevoli perdite (-2,89% a Milano l'indice Ftse Mib). Servizi u pagina 3 l'articolo prosegue in altra pagina

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La prima manager alla guida di AngloAmerican. (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: FINANZA E MERCATI data: 2009-06-18 - pag: 41 autore: La prima manager alla guida di AngloAmerican. Cynthia Carroll nel mirino degli azionisti: vicina la sua sostituzione La miniera? Non è un posto per donne Sissi Bellomo S ono di nuovo tempi difficili per Cynthia Carroll, amministratore delegato di AngloAmerican. Prima donna al mondo alla guida di un gruppo minerario, la manager americana non ha forse mai goduto appieno del favore degli azionisti: al solo annuncio della sua designazione il titolo della società aveva bruciato un miliardo di dollari di capitalizzazione in Borsa. Ma la diffidenza ha ora lasciato il posto a critiche sempre più esplicite e al riemergere di una vecchia ipo-tesi, che potrebbe finire col vederla perdente: una fusione con la concorrente Xstrata. A poco più di due anni dalla nomina, Carroll starebbe insomma già rischiando di uscire di scena. Com'è successo nelle ultime settimane ad altre due importanti dirigenti nell'industria petrolifera, settore molto vicino a quello minerario ed altrettanto maschile: Linda Cook, che ha lasciato la guida della divisione Gas & Power di Royal Dutch Shell, e Vivienne Cox, fino a ieri responsabile delle energie alternative in Bp. Stare al timone di AngloAmerican non è mai stata una sfida facile per Carroll, una cinquantenne bionda e minuta, che di "virile" non ha proprio nulla, tranne la fortuna – condivisa tuttora da pochissime donne in carriera – di avere un coniuge dedito alla cura dei figli: ben quattro, oggi di età compresa fra i dieci e i sedici anni. Il marito David, compagno di studi ai tempi dell'Mba ad Harvard, l'ha seguita in ogni trasferimento: prima negli Usa, poi a Montreal in Canada –dove Cynthia ha diretto per anni la divisione Metalli primari di Alcan, numero due dell'alluminio nel mondo e infine a Londra,la sua attuale sede di lavoro. Quando AngloAmerican annunciò di averla scelta come Ceo al posto dell'anziano Tony Trahar, un manager tanto conservatore da essere soprannominato "Jurassic Park", per molti fu uno vero e proprio choc. Al vertice del più tradizionalista fra i gruppi minerari, fondato oltre novant'anni fa a Johannesburg dalla famiglia Oppenheimer, si erano avvicendati solo manager sudafricani, provenienti da una carriera aziendale interna. Lei ha rotto ogni tabù, a cominciare da quello del sesso. Un'impresa non da poco, se si pensa che in tempi non lontani le donne in miniera venivano accolte dagli scongiuri. Guidare AngloAmerican è un compito di alto livello. Il gruppo minerario controlla attraverso AngloPlat il 40% della produzione globale di platino e attraverso De Beers un quinto del mercato dei diamanti, oltre a possedere importanti risorse di rame e minerale di ferro. A Carroll sarebbe toccato completare le dismissioni degli asset non minerari, già avviate da Trahar, nonché l'uscita dal settore aurifero (l'ultima quota in AngloGold Ashanti è stata ceduta quest'anno per 1,7 miliardi di dollari). A inizio 2007, il ciclo delle commodities era ancora in pieno boom e la nuova ceo si ritrovava oltre 3 miliardi in cassa per facilitare l'espansione del gruppo. Il suo curriculum non ne faceva una star di primissimo piano, ma la formazione e le esperienze erano di tutto rispetto. Prima della brillante carriera in Alcan, Cynthia si era occupata di esplorazioni petrolifere alla Amoco (poi confluita in Bp). Come intermezzo un Master alla prestigiosa Harvard University, complemento decisivo agli studi in geologia: passione scoperta al college e forse accolta con un pizzico di delusione dal padre Frederick, un agente di cambio che imponeva ai suoi bambini di leggere e commentare con lui ogni giorno un articolo del Wall Street Journal. Ai pregiudizi di chi non la riteneva all'altezza del ruolo la Carroll ha sempre risposto con un sorriso. Ma la luna di miele con gli investitori, alimentata soprattutto dai progressi nel campo della sicurezza e nelle relazioni col governo sudafricano, è durata poco. Alle prime difficoltà, legate alla crisi finanziaria globale, Carroll è finita di nuovo sotto tiro. Molti azionisti hanno cominciato a criticare l'acquisto della brasiliana Minas-Rio, un produttore di minerale di ferro per cui Anglo ha sborsato ben 5,5 miliardi in contanti nel marzo 2008, poco prima del crollo dei prezzi delle materie prime. L'operazione ha contribuito a gonfiare il debito della società a 11 miliardi, costringendo la Carroll - intenzionata ad evitare una ricapitalizzazione - a misure draconiane: dal dimezzamento del piano di inve-stimenti, al taglio di 19mila posti di lavoro,alla cancellazione a sorpresa del dividendo. Quest'ultimo annuncio, arrivato il 19 febbraio, è stato come il fumo negli occhi per molti azionisti. Dalle comunicazioni all'Fsa, l'autorità che vigila sui mercati britannici, risulta che da allora numerosi investitori hanno fortemente ridotto la propria partecipazione nella società. Per il londinese Times alcuni fondi sarebbero addirittura «furiosi» con la Carroll. Lo stesso quotidiano, in un altro articolo, suggeriva anche il possibile esito della crociata contro di lei: l'acquisizione di Anglo da parte di Xstrata (che guarda caso è guidata da un sudafricano, Mick Davis). Una vecchia ipotesi, che trova oggi più forza perché a sostenerla sarebbero i fondi attivisti Black Rock e Capital Group, che di Xstrata sono azionisti. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL TREND Nelle ultime settimane sono state costrette a uscire di scena anche Linda Cook (Shell) e Vivienne Cox (Bp) AngloAmerican. Il Ceo Cynthia Carroll BLOOMBERG

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Il real estate regge in Italia (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: FINANZA E MERCATI data: 2009-06-18 - pag: 43 autore: Mercati. Il rapporto di Nomisma Il real estate regge in Italia Gianfranco Ursino ROMA Finanza e immobili, un connubio che negli ultimi anni ha riservato un altalenante andirivieni di gioie e dolori non solo agli immobiliaristi, ma anche ai nuclei familiari. Due termini che sinoa prima dell'attuale crisi finanziaria venivano letti in simbiosi, ma che oggi vengono visti sempre più in antitesi per l'eccesso di finanziarizzazione che ha travolto l'intera industria immobi-liare: un comparto che, al di là degli eccessi, comunque necessita, per sua natura e in misura più rilevante di altri, di un propulsore che consuma un ingente quantità di carburante finanziario. Sarà questo il punto di partenza da cui gli operatori del settore si confronteranno oggi a Roma, presso la sede dell'Abi, in occasione della presentazione dell'annuale "Rapporto sulla finanza immobiliare" di Nomisma. Una ricerca che analizza le tendenze dei vari strumenti a disposizione degli operatori: dai mutui al leasing, dalle cartolarizzazioni alle società e fondi immobiliari, con un approfondimento delle tematiche relative alla finanza per il territorio, come la partnership pubblico-privata e il project financing. Una sorta di vademecum che ha l'obiettivo di fornire un quadro completo di statistiche e fonti in materia di finanza immobiliare. Tra i dati citati nel rapporto emerge che nel 2008 gli investimenti in immobili per attività economiche nel mondo sono calati del 59%, scendendo a 335 miliardi di dollari, con un inasprimento della discesa che nel primo trimestre del 2009 avrebbe addirittura raggiunto il 74%. E secondo il parere degli operatori, il mercato continuerà a scendere sino a fine anno. In Italia sembrerebbe essere accaduto qualcosa di simile, ma limitatamente al solo segmento su cui operano investitori istituzionali, come i fondi immobiliari. Sul fronte delle transazioni di singole abitazioni, lo scorso anno i prezzi delle case in Usa, Regno Unito e Spagna hanno registrato crolli anche nell'ordine del 20-30% rispetto ai massimi storici toccati negli anni precedenti. Per contro, in Italia, rispetto all'anno precedente il mercato della casa ha archiviato il 2008 con un calo contenuto di circa il 15% dei volumi di compravendite ( sono state concluse complessivamente 700mila), con un allungamento dei tempi di chiusura dei contratti, ma con prezzi medi che sono stati ritoccati solo leggermente al ribasso. Nel capitolo dedicato all'indagine condotta da Nomisma lo scorso mese di maggio su un campione di 2000 famiglie rappresentativo della popolazione nazionale, emerge che 3,5 milioni di famiglie stanno prendendo in seria considerazione l'idea di comprare un'abitazione nei prossimi due anni. Una quota di interessati all'acquisto di una casa che raddoppia a 7 milioni se si considera anche la percentuale di famiglie che si mostrano poco interessate all'abitazione, ma che comunque non escludono del tutto l'acquisto. Tra questi, l'82%si dichiara pronto a stipulare un contratto di mutuo. Allargando l'analisi a tutti coloro che dichiarano di avere un mutuo in essere (quasi 4,8 milioni di famiglie), il 15,1% asserisce di avere incontrato difficoltà nel suo ottenimento, in particolare per quanto attiene la richiesta di garanzie aggiuntive avanzate dalla banca e alla lunghezza dei tempi necessari per l'erogazione. Percentuale che sale al 31,7% per i mutui attivati solo nel 2008. Dimostrazione che dopo l'eccessiva e acritica apertura di credito degli anni scorsi, che hanno fatto perdere di vista il tema della sostenibilità del debito, le banche negli ultimi mesi hanno infittito le maglie dell'istruttoria,rendendo più difficoltoso l'accesso al credito dei clienti. © RIPRODUZIONE RISERVATA LA FOTOGRAFIA Secondo la società di studi economici il mercato delle singole abitazioni è caduto del 15% per volumi Leggera limatura dei prezzi

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Regole flessibili per i titoli illiquidi (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: FINANZA E MERCATI data: 2009-06-18 - pag: 45 autore: Mercati. Serve un bollino di qualità Regole flessibili per i titoli illiquidi Riccardo Sabbatini Quanto un titolo può essere definito liquido? è sufficiente che venga scambiato in un mercato regolamentato per tranquillizzare gli investitori, e anche i regulator? Il tema, emerso con prepotenza durante la crisi dei mercati finanziari (quando gli scambi su prodotti strutturati o derivati sono del tutto evaporati), ha alimentato ieri il dibattito promosso dallo studio legale Allen &Overy assieme a Il Sole 24 Ore sull'attuazione della recente comunicazione della Consob sugli strumenti " illiquidi". L'autorità di vigilanza ha recentemente diffuso una sua comunicazione sull'argomento impartendo disposizioni (su standard di trasparenza e norme di condotta) per intermediari che propongono alla clientela prodotti il cui successivo smobilizzo potrebbe rivelarsi problematico. Mercati regolamentari e sistemi multilaterali di negoziazione –hanno sottolineato i responsabili per la regolamentazione di Borsa Italiana, Fabrizio Plateroti, e di Tlx, Stefano Cuccia – debbono godere di una «presunzione» di liquidità, evitando pertanto alcuni dei nuovi oneri regolamentari. è un bollino di qualità che potrebbe essere rimosso – ha osservato in particolare Plateroti – soltanto se fossero riscontrate, caso per caso, alcune significative deficienze in quelle piattaforme (regole di accesso discriminatorie, limitato numero di partecipanti al mercato, mancanza di trasparenza sugli scambi etc.). A giudizio di Gianluigi Gugliotta, segretario generale di Assosim, analoga presunzione di liquidità andrebbe accordata anche agli internalizzatori sistematici (gli intermediari che, esponendo quotazioni irrevocabili, eseguono in proprio gli ordini della clientela). Per tutti questi attori – ha detto Gugliotta dando conto delle linee guida che gli intermediari stanno redigendo in applicazione dei nuovi precetti regolamentari della Consob – dovrebbe poi essere decisa una graduazione delle nuove norme relative, ad esempio, agli scenari probabilistici di rendimento dei prodotti "illiquidi" o della scomposizione dei fattori di costo che gravano sui loro acquirenti. Ma una simile esenzione non si giustifica, ha risposto Giuseppe D'Agostino, responsabile della divisione intermediari della Consob. E anche sugli internalizzatori sistematici dovrebbero sottostare a una specifica verifica per superare il test della liquidità. La Consob – ha aggiunto – è per mantenere un alto livello di guardia in una problematica, quella degli "illiquidi", che coinvolge il 30-40% dei prodotti finanziari presenti nei portafogli delle famiglie. E che, nel momento di essere collocati presso il pubblico, devono essere forniti di adeguati presidi informativi a cura degli intermediari. «Già, ma senza includere nei prospetti informazioni aggiuntive rispetto a quello che prevedono gli schemi comunitari » ha osservato Paola Leocani, partner di Allen&Overy. Diversamente –ha fatto presente – si creerebbero scalini normativi tra i diversi paesi europei ( in mercati che sono invece integrati) rompendo una catena di responsabilità già codificata a livello comunitario. © RIPRODUZIONE RISERVATA TUTELARE L'INVESTITORE Al dibattito promosso da Sole 24 Ore e A&O evidenziate le disposizioni su standard di trasparenza e norme di condotta

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Europa sei un osservato speciale (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-06-18 - pag: 2 autore: Europa sei un osservato speciale Giavazzi: «La crisi è una grande occasione per le riforme e per uscirne più forti di prima» di Alessandro Merli F rancesco Giavazzi non ci sta. No al de profundis dell'economia di mercato, recitato da chi negli anni 90 ha dovuto inghiottire il mercato «come fosse olio di ricino e ora approfitta della crisi per dire che il mercato fa schifo»; no al rinvio delle riforme con l'alibi della crisi perché «altrimenti si rischia di uscirne come ci siamo entrati, cioè a crescita zero»; sì a nuove regole per la finanza a patto che si facciano presto prima che la ripresa dei mercati rafforzi la lobby contraria; no all'ossessione della strategia d'uscita dal debito quando il problema più grave potrebbe essere invece quello di salvaguardare, a crisi finita, l'indipendenza delle banche centrali, a partire dalla Federal Reserve. Giavazzi – che ormai passa metà dell'anno accademico a insegnare a Cambridge, al Massachusetts Institute of Technology, il corso che fu del suo maestro e amico Rudi Dornbusch, e metà alla Bocconi –ha il vantaggio di una doppia prospettiva, di guardare la crisi globale da entrambe le sponde dell'Atlantico. E quel che vede forse non lo sorprende più, ma lo induce a una riflessione. «La differenza d'approccio nel dibattito sullacrisi- dice l'economista- è enorme. Basta leggere due riviste come Business Week e l'Economist. Sulla prima, si legge della grande occasione offerta dalla crisi alle imprese e ai settori che sapranno ristrutturarsi, del ritorno di fusioni e acquisizioni. In genere, negli Stati Uniti, più pragmatici, non ci sono discussioni filosofiche sul futuro del capitalismo. In Europa, persino l'Economist, che non è certo Liberazione, riesuma il modello francese come esempio da imitare. Ma forse l'Europa, essendo una regione che già prima della crisi cresceva poco, non ha l'ansia di tornare a una crescita del 3% come gli Usa, e inoltre ci sono paesi e classi dirigenti che non hanno mai accettato il mercato. Negli anni 90 lo hanno inghiottito come se fosse olio di ricino e ora approfittano della crisi per dire che il mercato fa schifo». Che cosa intende per la crisi come grande occasione? Prendiamo l'Italia. Se non si farà nulla, con la crisi avremo preso una botta dalla quale sarà difficile riprendersi. Alla meglio, ne usciremo deboli come ci siamo entrati. Non dimentichiamoci che già prima lamen-tavamo crescita spesso vicina allo zero, salari bassi, crescita della produttività insufficiente. Se invece sfrutteremo la crisi per alcune riforme strutturali, possiamo uscirne più forti di prima. Ma persino il suo collega del Mit, Olivier Blanchard, oggi capo economista del Fondo monetario, in un'intervista al Sole 24 Ore del 26 aprile ha sostenuto che bisognaprestare attenzione alla fattibilità politica delle riforme in tempo di crisi, per non spaventare i consumatori e indurli a risparmiare ancora di più e frenare la ripresa. Ha parlato però di necessità della riforma delle pensioni, decisiva per migliorare i conti pubblici. Io credo che sia proprio adesso che le riforme sono fattibili. Per esempio l'allugamento dell'età pensionabile è popolare nel momento in cui la gente è preoccupata per il futuro e ha paura di restare senza lavoro. Mantenere il posto per qualche anno in più può rassicurarla. Il mercato del lavoro: in tempi normali non si riesce a cambiarlo per l'opposizione dei sindacati. Adesso si potrebbe invece fare un grande sforzo per creare un sistema vero di ammortizzatori sociali in cambio di una riscrittura dello Statuto dei lavoratori, che ormai ha quarant'anni ed è obsoleto. Tanto più che il costo degli ammortizzatori si paga lo stesso, con un sistema come la cassa integrazione che è un'illusione. Illude i lavoratori che dopo la crisi i loro posti di lavoro ci saranno ancora e li disincentiva dal cercare nuove opportunità. è in corso uno sforzo a più livelli, anche in campo internazionale, per dare nuove regole alla finanza, dopo le lacune che sono emerse con la crisi. A livello internazionale il Financial Stability Board, guidato dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, sta realizzando un lavoro molto serio e che va nella giusta direzione. Mi preoccupa piuttosto che, se questo non verrà messo in pratica rapidamente, possa essere bloccato. La ripresa dei mercati finanziari è un fatto auspicabile, ma se le banche, che sono una lobby molto potente, cominciano, come stanno facendo già ora, a restituire gli aiuti pubblici, si opporranno e non si farà più niente. Faccio l'esempio di un tema cruciale: la proposta di portare su mercati regolamentati i derivati, limitando le operazioni over-the-counter. Queste però sono più lucrative per le banche e se la riforma non viene fatta in tempi brevi, poi le cose si complicheranno. Le banche sono accusate, un po' ovunque e anche in Italia, di aver utilizzato gli aiuti pubblici per ridurre il leverage e di non far credito all'economia reale. Credo che le banche abbiano un problema, più che di capitale, di raccolta. Se prima si finanziavano per i due terzi con i depositi e un terzo con le cartolarizzazioni, oggi quest'ultimo canale è scomparso. E così fanno meno prestiti. Chi pensa che si debba tornare al mondo antico dei soli depositi, fa il tifo per il credit crunch. Bisogna invece rivitalizzare le securitizations e, come ha detto il governatore Draghi, utilizzare garanzie pubbliche per far ripartire questo mercato. Siamo già arrivati al momento in cui si può parlare, come si è fatto al G-8 di Lecce, di exit strategy, di vie d'uscita dalla crisi? Credo che anche in questo caso la posizione espressa dal segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner, sia stata molto pragmatica. Se l'economia non esce dal guado, e ancora non è uscita, è inutile mettere in atto delle strategie d'uscita. Bisogna prima essere sicuri che l'economia abbia preso a funzionare. Se no, c'è il rischio di ridurre le chance di uscita. Non c'è un problema grave di esplosione del debito pubblico, soprattutto negli Usa? A dire la verità, penso che il problema più grave non sia il debito, ma l'inflazione futura e l'indipendenza della Federal Reserve,cheè minacciata sia sul fronte tecnico sia su quello politico. Ipotizziamo che a gennaio la Fed siaal punto di dover alzare i tassid'interesse. Per poterlo fare, deve prima immettere sul mercato tutte le attività finanziarie che ha comprato in questo periodo. In parte è robaccia, e dovrà essere scambiata con titoli del Tesoro. Ora, il Tesoro ha garantito che riacquisterà parte di questi assets, quelli finiti sui libri della Fed con le operazioni Bear Stearns e Aig. E il resto? Se a gennaio il Tesoro si opponesse al rialzo dei tassi, magari perché allora la disoccupazione sarà ancora in rialzo e quindi la considerasse una mossa prematura, o difficile politicamente, può rifiutarsi di ricomprare gli asset della Fed. Per di più saremo nella fase della riconferma del presidente della Fed, Ben Bernanke. Quindi, ci potrebbero essere pressioni di tipo tecnico e politico sulla Fed che le impedirebbero di adottare la decisione corretta. Torniamo al dibattito sul mondo postcrisi. Dev'essere frustrante, per chi è statoprotagonista della stagione delle privatizzazioni e sostenitore del liberismo, vedere il ritorno in grande stile dello stato in economia. All'atto pratico,per quanto riguarda il sistema bancario, nessuno ha mai negato che ci volesse un prestatore d'ultima istanza. Semmai, ha sorpreso la dimensione con cui gli interventi si sono resi necessari. E comunque sono chiaramente temporanei. Sono contrario invece all'ingresso dello stato nell'automobile. Negli Usa le grandi case hanno tre elementi: un fondo pensione, un'assicurazione sanitaria per i dipendenti e la produzione di auto. Le prime due sono il vero problema e sarebbe stato cor-retto, dato che si tratta di attività con finalità pubblica, nazionalizzarle. A quel punto, anche il salvataggio dell'auto,con una cessione ad al-tri privati, sarebbe stato più semplice. Liberata da quei pesi, General Motors non sarebbe finita in amministrazione controllata. Ma l'amministrazione Obama non ha avuto coraggio. Se vogliamo fare invece una discussione di principi, nessuno negli Usa pensa ad alterare perma-nentemente l'equilibrio stato/ mercato.Le storie di successo sono quelle di imprese che si ristrutturano e che nel giro di tre anni consentiranno all'economia americana di tornare a crescere con forza. Noi invece, senza riforme, saremo ancora qui, con gli stessi problemi. alessandro.merli@ilsole24ore.com COLPI DI TIMONE «Alla guida del Financial Stability Board Mario Draghi sta realizzando un lavoro molto serio che va nella giusta direzione» Sotto osservazione. Il Vecchio continente non ha l'ansia di tornare a una crescita del 3% come gli Usa. Nella foto, «Puniscment exercise» dell'artista scozzese Douglas Gordon in mostra alla manifestazione internazionale Art Basel appena conclusa AFP Economista. Francesco Giavazzi, 60 anni IMAGOECONOMICA

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Obama sbaracca la finanza Usa (sezione: crisi)

( da "Manifesto, Il" del 18-06-2009)

Argomenti: Crisi

Obama sbaracca la finanza Usa Carlo Leone Del Bello Il tono usato da Barack Obama è quello dei cambiamenti epocali: «stiamo proponendo una revisione radicale del sistema della regolamentazione finanziaria, una trasformazione di dimensioni non viste sin dai tempi della Grande Depressione». La riforma della regolamentazione, annunciata da Obama con un discorso, e le cui linee generali sono contenute in un «libro bianco», dovrà affrontare ora l'iter parlamentare, dove si preannuncia battaglia con lobbies finanziarie e deputati liberali. La ristrutturazione del sistema finanziario è da tempo uno degli obiettivi chiave dell'amministrazione Usa: la crisi è gravissima - ha ricordato ieri notte Obama che la disoccupazione supererà il 10% - e il governo si è indebitato spropositatamente per mitigarne gli effetti sia reali che finanziari. Per pagare questo debito senza alzare le tasse, ci sarà bisogno di una robusta crescita economica: «senza di questa - ha ammonito Obama - o senza una strategia per una ripresa senza bolle, che sostanzialmente è ciò che si è avuto durante gli scorsi cicli, continueremo ad avere problemi». Dunque vanno chiusi i «buchi» nella regolamentazione, gli stessi buchi che avrebbero permesso l'assunzione sconsiderata di rischi da parte del sistema finanziario americano. Secondo quanto si evince dal libro bianco, la riforma ruoterà intorno a cinque cardini: promozione della supervisione sistemica, che andrà alla Federal reserve; regolamentazione globale dei mercati finanziari, specialmente quelli degli strumenti derivati; protezione del consumatore; attribuzione di più poteri all'esecutivo nella gestione delle crisi finanziarie; rendere più stringenti gli standard internazionali e aumentare la cooperazione fra gli stati. A prima vista non sembra una vera e propria «rivoluzione», come lo fu il cosiddetto Glass-Steagall Act del 1933, che istituì il fondo di garanzia dei depositi (Fdic) e sancì l'obbligo di divisione fra l'attività di banca commerciale e banca d'investimento. Quello che però appare è che il sistema virerà da un tipo di vigilanza «per soggetto» verso un tipo di regolamentazione «per obiettivo». Ciò è reso evidente dal primo - e forse più importante - punto del libro bianco, ovvero l'attribuzione di poteri alla Federal reserve per quanto riguarda la supervisione della stabilità sistemica. Nell'attuale schema di regolamentazione, tale figura non esiste, e ogni autorità di controllo si dedicava alla vigilanza su un solo tipo di soggetto. Questo ha fatto sì che le maglie della regolamentazione fossero larghissime per tutta la molteplicità di soggetti che viene spesso chiamata «sistema bancario ombra». Per usare la metafora di Obama, «i regolatori avevano il compito di guardare gli alberi, non la foresta». Con la riforma sarà la Fed a svolgere questo nuovo compito di vigilanza di ogni società che possa porre in essere la minaccia di «rischio sistemico». La nuova regolamentazione dovrà inoltre imporre, per le società particolarmente grandi, indipendentemente dal loro business, nuovi standard per quanto riguarda i requisiti minimi di capitale e di liquidità. Questo per indurle ad accollarsi meno rischi, scoraggiarne il gigantismo, e ridurre il rischio di fallimento. L'obiettivo è quello di evitare un nuovo caso Bear Stearns e un nuovo caso Lehman, oltre che ovviamente il replicarsi del «buco nero» Aig. Ma la ratio è anche più «politica»: si legge nel libro bianco che lo scopo di tale misura è quello di fargli «internalizzare» i costi che potrebbero imporre alla collettività in caso di fallimento. Il secondo punto della proposta prevede una regolamentazione più «unitaria» per quanto riguarda i mercati finanziari, specialmente quelli dove si negoziano titoli derivati. Ad esempio, che senso ha che il mercato delle opzioni venga regolamentato dalla Sec e il mercato dei futures congiuntamente dalla Sec e dalla Commodity futures trading commission, quando fondamentalmente sono strumenti simili? Il libro bianco si preoccupa inoltre di regolare alcuni aspetti dei derivati negoziati over-the-counter, come i famosi quanto temuti Cds (credit default swaps). Si stringeranno le maglie della rete anche per gli hedge funds, i fondi speculativi per ricchi facoltosi, che in alcuni casi potrebbero remare contro la stabilità sistemica: saranno obbligati alla registrazione presso la Sec. Il terzo e quarto punto si occupano rispettivamente della tutela del consumatore, proponendo la creazione di una apposita agenzia, e l'attribuzione di poteri governativi per liquidare in modo ordinato le società in procinto di fallire che presentano rischio sistemico. L'agenzia per la tutela del consumatore in particolare avrà il compito di assicurare la trasparenza per i cittadini che vanno ad accendere un mutuo per l'acquisto di una casa: molti dei problemi di oggi sono nati dalla scorrettezza con cui le società finanziarie hanno concesso prestiti.

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Da samurai a bamboccioni (sezione: crisi)

( da "Stampaweb, La" del 18-06-2009)

Argomenti: Crisi

PECHINO In una società che per secoli si è modellata sul valore virile dei samurai, guerrieri che tagliavano la testa del nemico con un solo colpo di sciabola e si bagnavano degli spruzzi del suo sangue come insegne di valore, una società che ancora sogna di trangugiare cruda la carne rossa del tonno, il nome è tutto. I giornali li chiamano «maschi erbivori» (soshoku-danshi) o semplicemente «erbivori» (soshouku-kei) e nell’appellativo c’è tutto il disprezzo di un popolo che sente di dover essere cacciatore e quindi guarda di traverso chi non mangia carne. Sotto, nei tempi antichi, c’erano i contadini, che mangiavano cereali, sotto ancora gli erbivori. Una larga fetta di maschi fra i 20 e i 35 anni non ha interesse a fare carriera, trascura il lavoro, non pensa a farsi una famiglia e nemmeno a trovarsi fidanzate fisse o occasionali. Sono loro gli erbivori, il contrario dei vecchi marziali impiegati in giacca cravatta e gilet che hanno dedicato la vita a rifondare la forza dell’economia giapponese, e lanciarla verso il modo, quasi come i loro genitori di baionetta e fucile ed erano corsi a conquistare l’Asia. Per loro l’azienda, la patria e la famiglia erano tutto, condite di sbornie ai bar e avventure occasionali nei karaoke. Oggi però, secondo ricerche di mercato, due terzi dei giapponesi tra i 20 e i 35, quelli con più energia, sono del tutto o parzialmente «erbivori». Vivono con la mamma, amano i dolci, compreso il «tilamisù», trascorrono ore in chiacchiere platoniche con l’altro sesso sul computer o sulla panchina di un parco, spendono in trucchi e belletti quanto le donne, si fanno la manicure, stanno più attenti al taglio dei capelli, con brillantina, che ai risultati del proprio ufficio. È una crisi spirituale, che però ha chiare radici economiche. Negli ultimi 20 anni il Giappone si è trasformato. Non è più il Paese sostanzialmente egualitario di un tempo, quello incentrato sul posto fisso a vita. Secondo i dati della Tv nipponica l’82% degli uomini giapponesi di 35 anni guadagna meno di 2 milioni di yen al mese, considerata la soglia della povertà. nel 2007, secondo un rapporto dell’Ocse, il Giappone era al secondo posto dopo gli Usa per la povertà relativa tra i paesi sviluppati. Un terzo della forza lavoro giapponese oggi lavora con contratti a termine senza prospettiva di impiego fisso. Il risultato è che per metter su casa bisogna lavorare in due. E spesso le donne, mogli o madri, portano a casa più del marito o del figlio. Il risultato è una trasformazione epocale delle abitudini di vita. I dati di fabbricanti di sanitari suggeriscono che il 40% degli uomini urini da seduto, oppure appoggiandosi a una specie di inginocchiatoio. Il tutto su pressioni della donna di casa che vuole prevenire quegli spiacevoli schizzi dal water. Questi comportamenti sono solo la punta dell’iceberg: negli ultimi dieci anni la vendita di preservativi è crollata progressivamente e il quotidiano in lingua inglese Japan Times riporta che un grande magazzino di Tokyo ha venduto 4mila reggiseni da uomo. Dicono che indossarli dà loro maggiore tranquillità, serenità. C’è un «vuoto di speranza», come denunciano i giornali nipponici. I trentenni hanno visto sbriciolarsi il mondo per cui i loro genitori, «carnivori», si erano spaccati la schiena. Il Giappone non sarebbe stato più «il numero 1» come sognavano gli opinionisti di metà degli anni ‘80, rispolverando i miti degli anni ‘30. Tokyo, nel frattempo, è stata stracciata dalla nuova economia americana e sta per essere sorpassata in curva dalla nuova vaporiera cinese. Ora sta arrancando sotto la crisi finanziaria con oltre il 180% di deficit sul Pil. Lo yen, una volta imperatore dell’Asia, ormai, nell’ordine delle monete globali, è dietro il dollaro, l’euro e fra poco anche lo yuan cinese. Dopo la fine di queste idee di grandezza, il destino del Giappone, e dei giapponesi, sembra incerto. Perché bisogna lavorare e divorare? Meglio prendersela calma, meglio pascolare tra l’erba, perché forse, chissà, è proprio l’anima del samurai che si sta estinguendo. E alla fine, forse, potrebbe anche non essere un male.

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l'era della ri-regulation - luigi spaventa (sezione: crisi)

( da "Repubblica, La" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

Pagina 1 - Prima Pagina L´analisi L´era della ri-regulation LUIGI SPAVENTA è vacuo ritenere che la responsabilità della crisi finanziaria sia tutta e solo degli squilibri economici mondiali: degli asiatici che spendono troppo poco e riempiono di credito e di liquidità gli anglosassoni che spendono troppo. SEGUE A PAGINA 38

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la finzione - (segue dalla prima pagina) (sezione: crisi)

( da "Repubblica, La" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

Pagina 49 - Cultura La finzione Un´analisi dei libri di sartori e di salvadori: si sono smarrite regole e garanzie quando comandano le oligarchie democratica La strategia è quella di svuotare i controlli giuridici e politici Dobbiamo usare ossimori come "la costituzione incostituzionale" (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Giovanni Sartori (in Il sultanato) parla di "costituzione incostituzionale" (i costituzionalisti dicono: costituzione senza costituzionalismo). Massimo Salvadori, già nel titolo del suo libro (dedicato allo stesso Sartori), parla di Democrazie senza democrazia (entrambi i libri sono usciti per gli Editori Laterza). Forse davvero questo è il tempo degli ossimori, cioè della realtà, espressa dagli aggettivi, distinta dal sogno, espresso dal sostantivo. è il tempo dell´ambiguità, dell´oscillazione, della paralisi, che impedisce di prendere posizione. Se diciamo incostituzionale, subito, come nelle commedie di Aristofane dove i buoni concetti si affacciano nelle forme di belle fanciulle, si fa avanti La Costituzione; se diciamo a- o anti-democratico, subito entra in scena La Democrazia a smentirci e a tenerci su di morale. E lo stesso al contrario: se diciamo costituzione, subito pensiamo all´incostituzionale; se diciamo democrazia, subito pensiamo all´antidemocrazia per deprimerci nel morale. E´ la condizione del nostro tempo, alla quale siamo inchiodati. Non osiamo dire apertamente: la costituzione, la democrazia non ci sono più, perché abbiamo paura che cada la maschera, una maschera che conta poco, ma pur sempre qualcosa, quantomeno per la nostra rassicurazione e per la nostra speranza che non tutto ciò che di buono contengono quelle parole è andato perduto e che domani, forse, potrà essere diverso. Sartori introduce il suo discorso con una cautela: non parlare di dittatura a vanvera. "Proprio e anche perché le vere dittature sono, quando davvero ci sono, regimi orrendi, il termine va usato con cognizione di causa". Benissimo. Poi, però, si parla della strategia odierna di conquista delle democrazie, una strategia che produce "costituzioni incostituzionali" attraverso l´eliminazione, dall´interno e senza dare nell´occhio, delle strutture di garanzia: la separazione dei poteri, i controlli giuridici e politici. "Nessuno si dichiara dittatore. Tutti fanno finta di essere democratici. Ma non lo sono", perché l´erosione della costituzione come garanzia ne consente un esercizio concentrato e illimitato. La legge non serve contro le prepotenze, ma diventa essa stessa prepotenza. Rex facit legem, secondo il motto del despota; non (più) lex facit regem, secondo il motto del costituzionalismo. Noi comprendiamo facilmente la specifica direzione polemica di queste proposizioni astratte, resa palese già nel titolo del libro, Il sultanato. Tuttavia, in un luogo, il discorso si allarga a un certo modo di concepire la democrazia in Italia, nei tempi recenti, là dove si parla di un "berlusco-prodismo" - forse, nell´omologazione, facendo qualche torto all´archetipo secondo - come di un regime che vuolsi ridurre a competizione a due, dove la politica si personalizza e si de-istituzionalizza, riducendo i cittadini a massa mossa demagogicamente. Le considerazioni di Sartori sono univoche nel condurci a pensare che la contesa, sul terreno della demagogia, non può avere storia. Non solo Berlusconi non ha rivali nel sapersi indirizzare al (suo) popolo e a interpretare le pulsioni elementari con argomenti e atteggiamenti esemplari, idonei a metterlo in movimento al suo seguito, ma dispone anche di strumenti persuasivi che nessuno può neanche lontanamente sognarsi. Non solo non ci sarebbe storia ed è dunque stolto accettare una competizione su questo terreno. Sarebbe anche una politica solo apparentemente democratica, se per democrazia s´intende, senza tante complicazioni, il sistema di governo, fondato sul libero consenso, in cui il potere "viene dal basso" e in qualche modo condiziona attivamente coloro che temporaneamente lo detengono. Sono finte democrazie i «governi a legittimazione popolare passiva» (definizione di Salvadori), i regimi dove il potere procede dall´alto e condiziona coloro che sono chiamati, dal basso, ad acconsentire. Una formula politica del fascismo suonava così: il potere scende dall´alto, dove più ampia è la visione delle cose, ed è acconsentito dal basso, dove è più gretta e ristretta. Questo rovesciamento, pur nel rispetto formale della costituzione - la "costituzione incostituzionale" - deriva da una ragione profonda, anzi profondissima, quella che riduttivamente si denomina conflitto d´interessi, cui è dedicato il saggio che chiude il volume. Qualunque grande concentrazione di potere economico, che necessariamente travalica nella cultura e nella comunicazione, quando si trasferisce nella politica, inevitabilmente altera le condizioni della libera competizione in questa sfera. E la politica, a sua volta, altererà la competizione economica e attenterà alla libertà della cultura. La critica sferzante ai flebili tentativi di correggere quest´aberrante commistione - la "legge Frattini" o l´idea di un blind trust che, nelle condizioni italiane non sarebbe affatto blind - conduce per mano entro la causa prima delle difficoltà della nostra democrazia, una difficoltà che si potrà pensare di affrontare efficacemente solo incidendo sulla radice, la pervasiva presenza di un potere assorbente che non sapremmo dire se politico, economico o culturale o, forse, tutte e tre queste cose insieme. La riflessione di Salvadori si allarga alla crisi mondiale delle democrazie, di cui la crisi italiana è solo un modesto esempio, alquanto grottesco. A fronte del trionfalismo democratico (la democrazia come "concetto idolatrico", nel cui nome si fanno guerre imperialistiche) sta la realtà del suo svuotamento a opera di oligarchie che operano senza limiti e controlli su scala mondiale. Ciò cui assistiamo è una nuova forma della "ferrea legge delle oligarchie": le organizzazioni dei grandi numeri, come sono le democrazie, producono piccoli numeri di persone organizzate. Oligarchia democratica: un altro ossimoro non è un ossimoro. Se, nella preistoria della democrazia, si trattava di funzionari di partito, di boss politici, di società più o meno segrete, nazionali e sovranazionali, oggi si tratta di oligarchie economiche senza confini, che si aggregano, disgregano, combattono fuori delle forme che la democrazia si è date nei confini degli stati nazionali. Per questi potentati, gli stati e il potere che essi possono esercitare sulle loro popolazioni, diventano pedine della loro lotta per la supremazia, da acquisire o acquistare alla propria parte, cui si consente, al massimo di essere «amministratori locali» di poteri che li sovrastano. Un concetto importante nell´analisi di Salvadori è quello di "post-democrazia" (Colin Crouch), un regime (la democrazia) che «non ha tenuto il passo con la corsa del capitalismo alla globalizzazione». Eccone i segni: le competizioni elettorali controllate da professionisti esperti nelle tecniche di persuasione, i cittadini ridotti all´acquiescenza, la politica decisa tra governi eletti ed élite economiche, strapotere delle lobby, disuguaglianze sociali crescenti e riduzione delle politiche sociali a misure di ordine pubblico. La post-democrazia è questo regime delle oligarchie del denaro, che possono comprare il consenso o, in mancanza, possono reprimere il dissenso, anche con l´uso della forza e perfino della guerra. Un quadro apocalittico? L´ultimo capitolo è uno sguardo sul futuro che sembra potersi aprire alla speranza. Si tratta dell´elezione di Barack Obama alla guida della più grande e potente democrazia del pianeta, spiegata come rigetto della politica senza freni delle oligarchie economiche, di cui la crisi finanziaria che quell´elezione ha accompagnato sarebbe stata un fattore decisivo. Si tratta di vedere, dice Salvadori, se ne verrà un risanamento anche democratico, inteso come tentativo efficace d´inversione del rapporto di potere tra gli interessi delle oligarchie economiche, predominanti durante l´amministrazione precedente, e le forze legittimate da un voto popolare, emancipate politicamente. Mettiamo insieme le riflessioni di Sartori e Salvadori sull´involuzione oligarchica della democrazia. Ne viene l´indicazione per una definizione realistica: non il regime utopistico dove governa il popolo ma, almeno, dove i cittadini dispongono di strumenti e li usano per combattere i suoi parassiti che, dall´interno, ne svuotano le forme dal contenuto.

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banche, la scommessa genovese di allianz (sezione: crisi)

( da "Repubblica, La" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

Pagina XIII - Genova L´iniziativa Banche, la scommessa genovese di Allianz Consolidare il rapporto con i clienti già acquisiti, ampliare il portafoglio, attirare professionisti esperti: con questi obiettivi Allianz Bank Financial Advisors (gruppo Allianz) razionalizza la propria presenza a Genova, concentrando le risorse prima dislocate in piazza Corvetto, piazza Dante e via Fieschi nel nuovo centro di promozione finanziaria in via delle Casaccie 1, inaugurato ieri. «Siamo convinti - spiega Paolo Bellotto - direttore generale di Allianz Bank Financial Advisors - che a Genova esistano opportunità di sviluppo e convenga investire, anche in questi tempi, in cui molti dismettono. Qui ci sono patrimoni consolidati che hanno bisogno di attenzione. C´è consonanza di valori tra i genovesi e un gruppo come il nostro: non a caso dalla bufera dei mercati finanziari Allianz è uscito come primo al mondo nel campo assicurativo e al secondo posto tra gli investitori, con 1.138 miliardi di euro sotto gestione, 80 milioni di clienti in una settantina di paesi». Allianz Bank Financial Advisors in Italia ha 300 centri di promozione e 19,9 miliardi di euro sotto gestione. In Liguria può contare su 31 consulenti per 332 milioni di euro gestiti e 6.564 clienti, a Genova su 16 consulenti per 177 milioni di euro gestiti e 2.920 clienti. In via delle Casaccie confluiranno dieci consulenti. (odoardo scaletti)

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fondi pensione in crescita ma il tfr rende molto di più - vittoria puledda (sezione: crisi)

( da "Repubblica, La" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

Pagina 28 - Economia Fondi pensione in crescita ma il Tfr rende molto di più Sacconi annuncia per il 2010 la "busta arancione" con la proiezione della pensione futura VITTORIA PULEDDA MILANO - Crescono lentamente - più 6% gli iscritti rispetto al 2007 - dopo il momento di relativa effervescenza legata all´adesione tacita ai fondi pensione (a meno di indicazioni esplicitamente contrarie) voluta dalla riforma; attirano solo il 20,7% dei lavoratori complessivi, a fine 2008 avevano un patrimonio complessivo di 61,3 miliardi di euro e, al 31 marzo scorso, sfiorano senza toccarla quota 5 milioni di iscritti (4,9 per l´esattezza). Non è certo brillante il quadro della previdenza complementare tracciato ieri da Antonio Finocchiaro, presidente della Covip (la Commissione di vigilanza dei fondi pensione) nella Relazione annuale. Un anno difficile anche «per il deterioramento del mercato del lavoro e il massiccio ricorso alla Cig», come ha ricordato Finocchiaro. Un anno che non ha dato grandi soddisfazioni ai futuri pensionati, anche se il presidente ha sottolineato che il sistema - pur sottoposto ad una prova severa - ha sostanzialmente «tenuto». Ma non è riuscito certo a sottrarsi alla crisi finanziaria: nel 2008 la media dei prodotti negoziali ha perso il 6,3%, che sale a meno 24,5% per le linee azionarie (quelle più soggette alle oscillazioni dei mercati finanziari). Se ci si sposta ai fondi pensione aperti, le perdite medie salgono al 14% mentre i nuovi Pip nella versione unit linked hanno sommato perdite pari al 24,9% (e oltre 36 per le versioni azionarie). Perdite in valore che diventano ancora più dolorose se si fa il raffronto con il Tfr, che rende quasi sempre di più delle varie tipologie di fondi, ma che batte mediamente i rendimenti anche nel 2007 e nel risultato periodo 2003-2008. Un andamento negativo che è durato anche nel primo trimestre dell´anno: «I segnali di miglioramento stentano ad emergere e l´inversione del ciclo è ipotizzato per il prossimo anno», prosegue Finocchiaro, anche se qualche timido spiraglio di ottimismo si è visto a partire da metà marzo (tanto che il bilancio dei primi cinque mesi 2007 è positivo per tutti). Per superare le diverse criticità, ha sottolineato il presidente, servono «interventi mirati di manutenzione». Tra le proposte, oltre ad un´altra fase di adesione automatica ai fondi, salvo esplicito dissenso, c´è l´introduzione del meccanismo del "life cycle", che consente di modificare l´investimento nei fondi in base all´età del sottoscrittore. L´idea di un altro periodo di silenzio-assenso, nei primi sei mesi del 2010, ieri è stata avanzata anche dal ministro al Lavoro Maurizio Sacconi, che ha ricordato come a partire dal prossimo anno sarà consegnata una "busta arancione" con la proiezione annuale della pensione totale maturata da ogni lavoratore. Sacconi ha anche avanzato la possibilità di studiare «forme di reversibilità delle adesioni» ai fondi pensione, perché la rigidità del meccanismo attuale può essere stato un ostacolo alla previdenza complementare. Il ministro infine ha sottolineato «la sostanziale stabilizzazione della spesa pensionistica sul Pil».

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Fondi pensione in cerca di ripresa (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-06-19 - pag: 34 autore: Previdenza complementare. La relazione della Covip segnala un calo dei rendimenti nel 2008 Fondi pensione in cerca di ripresa Miglioramento nel 2009 - Sacconi: nuova chance per la scelta Marco lo Conte Roma Il sistema della previdenza complementare italiana ha retto all'urto della crisi finanziaria, ma sono necessarie misure urgenti per estendere le adesioni, perché le pensioni future offriranno tassi di sostituzione sempre più bassi ai futuri pensionati. E il supporto dei fondi pensione si rivelerà indispensabile. La Relazione 2008 della Covip, la commissione di vigilanza sui fondi pensione guidata da Antonio Finocchiaro, ha confermato il calo limitato delle gestioni previdenziali: rispetto ai meno 40% di molti fondi pensione britannici o statunitensi, i negoziali italiani sono scesi del 6,3%, gli aperti del 14 e i Pip unit linked del 24,9 per cento. E grazie al rimbalzo delle Borse da marzo in poi, sono riusciti a recuperare terreno, nella sfida con la rivalutazione del Tfr. La Relazione annuale è stata l'occasione per fare il punto sulle nuove misure da introdurre nel sistema per estendere la copertura di secondo pilastro alle categorie finora escluse (giovani, donne, lavoratori delle aree meridionali e pubblico impiego, con l'eccezione della scuola). Secondo Finocchiaro, è necessario estendere il novero delle garanzie e delle tutele per gli aderenti, per conquistare la fiducia di nuovi iscritti che, altrimenti, si troverebbero soli a fronteggiare tassi di sostituzione ( differenza tra pensione e ultimo stipendio), superiori al 50% per gli autonomi cinquantenni e vicini alla metà per i dipendenti trentenni. Alle misure identificate da Finocchiaro, si sono aggiunte quelle indicate dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, intervenuto a chiusura dell'incontro. Alcune misure erano già state indicate in precedenza, come la possibilità a determinate condizioni di revocare la destinazione del Tfr maturando ai fondi pensione o l'istituzione di un fondo di garanzia a favore delle imprese – soprattutto medie o piccole – private del flusso delle liquidazioni che i dipendenti intendono destinare ai fondi pensione. Oppure il lifecycle, ossia l'adeguamento automatico del portafoglio dell'aderente in base al suo ciclo di vita professionale, per dosare il rischio in base alle sue esigenze; per non parlare della riforma de decreto 703/ 96 che determina i criteri e i limiti di investimento. Inedita invece la proposta di Finocchiaro di ideare gestioni che grazie ad accantonamenti interni agli stessi fondi pensione «rendano possibile perequare i rendimenti delle diverse generazioni di iscritti». O quella che ipotizza il passaggio del regime fiscale da deducibile a detraibile, per avvantaggiare i meno abbienti. Finocchiaro ha inoltre ripreso il dibattito sulla partecipazione dei lavoratori agli utili aziendali: utili – ha detto – da destinare almeno in parte alla previdenza complementare. Sacconi ha sottolineato l'importanza dell'accordo tra le fonti istitutive per dar vita a modifiche dell'assetto normativo. E proprio alle parti sociali Sacconi si è riferito per avviare una riflessione mirata a ridurre il numero dei fondi pensione: troppi, con troppe poche professionalità per una gestione adeguata. Una riduzione che prevede un costo in termini di «rappresentatività» delle fonti istitutive: «Valutino la possibilità di prevedere l'apertura dei fondi "chiusi" anche a categorie non riconducibili a quella di riferimento, con l'obiettivo di favorire l'adesione alla previdenza complementare dei lavoratori appartenenti a categorie contrattuali i cui fondi stentano a decollare». E ha ipotizzato il rilancio dell'operazione di smobilizzo del Tfr, per incrementare il tasso di adesione ai fondi pensione: «Si potrebbe pensare – ha detto – ad un secondo semestre di silenzio assenso, nel corso del primo semestre 2010, con possibilità di ripensamento anche per i lavoratori che non avevano aderito alla previdenza complementare nel 2007. Il presidente Finocchiaro ha ricordato poi il ruolo decisivo di un'attenta vigilanza per tutelare la credibilità del sistema e ha annunciato una particolare attenzione a quei fondi pensione, soprattutto preesistenti, potenzialmente condizionati dalle società sponsor. Per Finocchiaro quella di ieri è stata la prima Relazione annuale da presidente della Covip, Authority cui è approdato a gennaio scorso dopo oltre 47 anni passati in Banca d'Italia. © RIPRODUZIONE RISERVATA LE PROPOSTE Finocchiaro: detraibilità e partecipazione dei lavoratori agli utili da destinare anche al secondo pilastro

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L'ex a.d. di Rbs si taglia la pensione (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-06-19 - pag: 13 autore: GOODWIN RISCHIAVA UN'AZIONE LEGALE L'ex a.d. di Rbs si taglia la pensione Nicol Degli Innocenti LONDRA La pensione d'oro è stata dimezzata: dopo mesi di pressioni e di fronte alla minaccia di un'azione legale,Sir Fred Goodwin (nella foto) ha accettato una riduzione del suo assegno annuale da 703mila a 342.500 sterline. L'ex chief executive di Royal Bank of Scotland (Rbs), diventato il simbolo della crisi finanziaria e degli eccessi dei banchieri, era riuscito nell'ottobre scorso a negoziare bene la sua uscita di scena, ottenendo una pensione del valore di quasi 17 milioni di sterline in cambio delle dimissioni anticipate. Goodwin, architetto della politica espansionista di Rbs e in particolare della costosa acquisizione della banca olandese AbnAmro, è considerato il responsabile del crollo della banca, salvata dal Tesoro con un intervento da 20 miliardi di sterline. Lo Stato ora controlla il 70% di Rbs. La rivelazione in febbraio del valore della pensione ottenuta da Goodwin a soli 50 anni aveva contribuito ad alimentare il risentimento popolare contro i banchieri. Lo stesso premier Gordon Brown aveva chiesto all'ex Ceo di rinunciarvi. Goodwin si era rifiutato, ribadendo che l'accordo era valido e legale. Aveva deciso di incassare subito 2,9 milioni di sterline, riducendo però la pensione a 555mila sterline annue. Ieri il nuovo passo indietro: il presidente di Rbs Philip Hampton ha annunciato senza un filo di ironia che Goodwin ha deciso «volontariamente » di ridurre ulteriormente la pensione, portandola a meno di metà dell'originale. Il cancelliere dello Scacchiere Alistair Darling ha dichiarato di essere «molto contento» della «giusta decisione» presa dall'ex Ceo. © RIPRODUZIONE RISERVATA REUTERS

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Il protezionismo pronto a rispuntare (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-06-19 - pag: 2 autore: Indispensabile un'azione multilaterale. Principali protagonisti Stati Uniti e Unione Europea Il protezionismo pronto a rispuntare di Valerio Castronovo è divenuto sempre più evidente che a una crisi economica come quella che, da un anno a questa parte, ha assunto dimensioni e implicazioni di portata mondiale, si debba reagire con misure di carattere globale. Non si può infatti pensare che, per risalire la china, possano bastare determinati provvedimenti assunti finora a livello nazionale, anche se hanno cominciato a dare alcuni segnali positivi. Per uscire dal tunnel della recessione e riprendere la via dello sviluppo, è indispensabile un'azione concertata su scala multilaterale, un'ampia convergenza di propositi e d'interventi commisurati a tal fine. Qualcosa del genere ha cominciato a delinearsi nel vertice del G-20 di Londra dell'aprile scorso, durante il quale si è deciso di immettere nel circuito dell'economia mondiale un consistente quantitativo di risorse sia per evitare il tracollo di alcuni paesi più pericolanti, sia per riattivare gli scambi internazionali, e si è stabilito altresì di porre al bando i paradisi fiscali. Ma il più resta ancora da fare, se si vuole ripristinare la stabilità del sistema finanziario, incentivare gli investimenti e rilanciare l'economia reale. Ed è questo un compito tanto più difficile e complesso, poiché a ben poco servirebbero certe ricette e terapie ereditate dalle esperienze del passato, in quanto non più idonee a uno scenario economico che negli ultimi due decenni ha conosciuto tanti e così notevoli mutamenti di ordine strutturale. Di fatto, si tratta oggi di creare un nuovo sistema di governance globale, che sia espressione e risultato di una serie di risoluzioni altrettanto efficaci che largamente condivise e, quindi, adeguate a un mondo sempre più integrato e interdipendente. Senonché, perché sia possibile realizzare quest'obiettivo occorre che si manifesti innanzitutto una convergenza di forze e di propositi sul versante politico ad opera dei singoli stati nazionali. Altrimenti c'è il rischio che si rimanga in bilico, nel mezzo della bufera, e che nel frattempo si riaffaccino dietro le quinte, nell'illusione di potercela fare da soli, tentazioni ed espedienti di sapore protezionistico. In pratica, è necessario che s'instauri un clima di reciproca fiducia e di fattiva cooperazione fra i principali attori della scena internazionale. A cominciare dagli Stati Uniti e dall'Unione Europea, che insieme rappresentano quasi il 50% dell'economia mondiale, ma che finora hanno agito in ordine sparso, senza una parvenza di strategia comune. Altrettanto essenziale risulta un'intesa politico-diplomatica fra gli Usa e la Cina, fra il maggiore paese debitore del mondo e il suo principale creditore, e così pure un accordo di fondo fra la Ue e gli Usa da un lato e la Russia dall'altro. Peraltro, la creazione di un ordine economico mondiale post- crisi, che si regga su basi salde e durevoli, non può prescindere dal concorso attivo di paesi emergenti come l'India,il Brasile, il Messico,il Sud Africa.Da tempo, infatti, essi non sono più dei semplici comprimari di terza fila, e oltretutto annoverano risorse e potenzialità tali, se convenientemente valorizzate, da modificare in un prossimo futuro la mappa geo-economica mondiale. Resta tuttavia il fatto che dipenderà soprattutto da Stati Uniti, Unione Europea, Cina e Russia la possibilità di porre le fondamenta di un nuovo modello di governance globale. Perché sta ad essi, per primi, agire in modo da venire a capo di certi reciproci motivi di contrasto o d'incomprensione, altrimenti d'ostacolo a un effettivo partenariato, su alcune questioni cruciali riguardanti tanto i loro rapporti bilaterali che le loro direttrici di politica estera in alcune "aree calde" del mondo (dal Medio Oriente, all'Africa subsahariana, al Sud-Est asiatico) focolai di ricorrenti conflitti e tensioni. In sostanza, un impegno collegiale e lungimirante a sciogliere determinati nodi e dilemmi esistenti sul versante politico internazionale, assecondando la causa della pace e della sicurezza, contribuirebbe all'avvento di un nuovo robusto sistema di relazioni economiche. Vale a dire un sistema che da un lato contempli norme valide e omogenee di regolazione dei mercati finanziari e un assetto più equilibrato dell'Fmi, e che dall'altro renda possibile un'ulteriore liberalizzazione degli scambi e una soddisfacente soluzione delle questioni aperte e ormai inderogabili in settori d'importanza vitale come quelli delle energie rinnovabili, delle fonti idriche e della tutela dell'ambiente. © RIPRODUZIONE RISERVATA TRA WASHINGTON E PECHINO Essenziale l'intesa politico-diplomatica tra il maggior paese debitore del mondo e il suo principale creditore

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Ottimo il riassetto negli Usa anche se arriva in ritardo (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 19-06-2009)

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Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-06-19 - pag: 7 autore: Le reazioni/1. Giampiero Cantoni: «Ma i buoi sono già scappati» Ottimo il riassetto negli Usa anche se arriva in ritardo ROMA «Mi sembra un'ottima riforma, anche se arriva in ritardo perchè ormai i buoi sono scappati ». Anche Giampiero Cantoni, presidente della commissione Difesa del Senato ed ex presidente della Bnl, è tiepido verso il giro di vite sullavigilanza dei mercati annunciato dall'amministrazione Usa. Anche se, comunque, accoglie di buon grado ogni passo avanti verso una maggiore trasparenza. «Da parte di Obama è una prova di coraggio, un segnale di trasparenza e un passo avanti verso una maggiore severità», chiosa il senatore. Secondo il quale l'aspetto più interessante del pacchetto annunciato mercoledì riguarda comunque la nuova regolamentazione della cosiddetta finanza ombra, dall'estensione della vigilanza della Sec su hedge fund e fondi di private equity, alla totale regolamentazione dei derivati, con particolare attenzione ai credit default swap che tanto hanno contribuito al contagio della crisi finanziaria. «Ritengo di fondamentale importanza la decisione di irreggimentare hedge fund e contratti derivati –spiega Cantoni –.Finora non c'era regolamentazione, quegli strumenti potevano circolare senza controllo, la responsabilità di chi li emetteva era poco visibile e poco perseguibile». Rispetto al potenziamento della Fed, la Sec, ovvero la Consob americana, sembra restare un po' in ombra. Anche l'Europa dovrebbe muoversi in questa direzione? «No, sono convinto che sia indispensabile arrivare al coordinamento di tutte le Consob europee e della vigilanza bancaria – risponde il senatore –.Penso a un organismo che non sia burocratico ma di indirizzo, in grado di fare ispezioni per controllare il rispetto delle regole. Senza il coordinamento l'Europa sarebbe spiazzata: gli Usa contano metà degli abitanti che ha l'Europa ma operano con regole comuni, mentre la normativa del Vecchio Continente è ancora troppo frammentata. La Bce, dal canto suo, ha dato prova di eccessiva prudenza, limitata dal fatto che lo statuto le conferisce funzioni di indirizzo e sovranità sugli stati europei solo per decidere il movimento dei tassi di interesse, ma sul resto si muove in modo superficiale e non vincolante. Serve un nuovo organismo, collegato alla Bce, che possa svolgere anche un coordinamento con i Paesi europei che non hanno aderito all'euro, perchè comunque i capitali sono come l'acqua e si dirigono dove le condizioni di mercato o regolamentari sono più agevoli». L.Ser. © RIPRODUZIONE RISERVATA I PUNTI A FAVORE «Da parte del presidente statunitense è una prova di coraggio, un segnale di trasparenza e un altro passo verso una nuova severità» IMAGOECONOMICA Giampiero Cantoni

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Cercare il vento del credito (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMO PIANO data: 2009-06-19 - pag: 2 autore: Cercare il vento del credito Con nuovi legal standard aperture agli investitori di lungo termine di Franco Bassanini Augustin de Romanet Philippe Maystadt e Ulrich SchrÖder R ilanciare la crescita dell'economia mondiale ed evitare il ripetersi di crisi finanziarie globali sono le due grandi sfide che i governi e le autorità di regolamentazione hanno di fronte. Per vincerle è necessario creare condizioni favorevoli per gli investimenti di lungo termine. Le misure annunciate nei diversi piani di salvataggio e la prevista riforma delle regole dei mercati finanziari e del commercio internazionale sono, beninteso, del tutto necessarie: ma nessuno di questi rimedi avrà successo se non si riuscirà, nel contempo, ad aprire la strada della finanza globale a prospettive e strategie di lungo termine. Il crollo dei mercati ha infatti due cause principali: l'ossessiva ricerca di profitti elevati a breve termine e lo scollamento tra gli strumenti finanziari e le esigenze dell'economia reale. L'emergere di un robusto gruppo d'investitori di lungo termine potrebbe dunque rivelarsi - in un contesto regolamentare appropriato - il migliore alleato dei policy maker nell'azione di correzione delle distorsioni che hanno prodotto la crisi, e dunque nelle politiche di ripristino della stabilità economica a breve termine e di creazione di valore per le generazioni future. Una strategia di lungo termine è, del resto, imposta dai rapidi cambiamenti in atto nella società. Per la prima volta nella storia, più di metà della popolazione mondiale vive in un contesto metropolitano. Per fronteggiare i cambiamenti climatici occorre spostarsi verso modelli di sviluppo caratterizzati da un basso tasso di emissioni di carbonio. Ma per adattarsi a una rapida urbanizzazione, per ridurre drasticamente l'emissione di carbonio, e per far fronte alla scarsità di risorse naturali sono necessari grandi investimenti nel campo delle infrastrutture urbane, delle innovazioni tecnologiche, delle energie rinnovabili, delle reti idriche e delle infrastrutture di telecomunicazione e trasporto. Nicholas Stern ha stimato intorno al 2% del Pil mondiale i costi annui dei soli investimenti necessari per affrontare la sfida del climate change. Il perseguimento di strategie di lungo termine per l'infrastrutturazione urbana e per la lotta ai cambiamenti climatici è, peraltro, anche un mezzo per rilanciare la ripresa economica. Si tratta infatti d'investimenti capaci di creare, anche a breve, crescita e posti di lavoro, di stimolare innovazione tecnologica e investimenti collegati e di generare elevati rendimenti, ancorché spesso differiti nel tempo. La necessità di tali investimenti nel futuro della nostra società non è contestata. Il problema è capire chi può permettersi di finanziarli. Poiché le finanze pubbliche nazionali saranno completamente assorbite dai piani di salvataggio in corso, non rimane altra alternativa che modificare la cornice delle regole consentendo agli investitori a lungo termine di far fronte a queste sfide. Per individuare i veri long term investors è necessario fare riferimento alla struttura di bilancio dei grandi operatori. Numerosi sono i soggetti in possesso delle caratteristiche richieste: i cosiddetti fondi perpetui, come i fondi sovrani e gli investitori istituzionali con mandato pubblico specifico, i fondi pensione del settore pubblico e alcune compagnie di assicurazioni con passività a lungo termine vincolanti. In condizioni ideali di regolamentazione, questi investitori possono assumere un ruolo complementare rispetto a quello svolto dagli investitori di breve termine. La coesistenza d'investitori di breve e di lungo termine può attenuare l'impatto di nuovi shock finanziari, poiché gli investitori di lungo termine hanno la capacità di smussare l'oscillazione dei profitti e delle perdite nel tempo, favorendo un approccio anticiclico. Inoltre, l'impegno degli investitori di lungo termine, sia in termini d'importo sia di durata dell'investimento, consente investimenti in know how e capitale umano complessi e costosi, attenuando i rischi di penalizzazione connessi alla volatilità di breve termine. Ma i sistemi di regolamentazione finanziaria nazionali e internazionale non favoriscono oggi lo sviluppo di questa categoria d'investitori. Il rapporto de Larosière mostra come le attuali norme contabili e prudenziali, fedeli al principio mark-tomarket, siano sistematicamente orientate alle performance a breve termine e incoraggino quindi effetti pro-ciclici. Nella riforma dei sistemi di regolamentazione, è dunque auspicabile che i policy maker operino una chiara distinzione tra investitori di lungo termine, capaci di mantenere in portafoglio i loro asset anche in periodo di crisi finanziaria, e le banche e i fondi comuni, che devono rendere conto in qualsiasi momento ai loro azionisti e sottoscrittorie creare per essi valore a breve termine. In particolare, le norme contabili e prudenziali dovranno tenere conto del fatto che i capitali degli investitori di lungo termine, e in particolare i loro portafogli azionari, saranno di norma detenuti per decenni. Gli investitori di lungo termine dovranno sottostare a regolamentazioni più rigide per quanto concerne i requisiti di capitale e le responsabilità e obblighi nei confronti degli azionisti, delle autorità pubbliche o di altri stakeholder. Impegnati a eliminare l'attuale volatilità dei mercati finanziari, a contenere l'aumento incessante del debito pubblico e a continuare a investire sulle infrastrutture e sullo sviluppo necessari alla prosperità del futuro, i nostri governi e i nostri legislatori hanno oggi compiti e responsabilità straordinari. Meritano tutto l'aiuto possibile. Un aiuto importante potranno trovarlo nell'attività dei veri investitori di lungo termine, se sapranno creare per loro un quadro regolamentare favorevole, senza obbligarli a giocare con le stesse regole dei protagonisti del breve termine. Gli autori sono rispettivamente presidente della Cassa Depositi e Prestiti, direttore generale della Caisse des DépÔts et Consignations, presidente della Bei, direttore generale del Kreditanstalt (L'articolo esce in contemporanea con il Wall Street Journal, Les Echos e il Financial Times) APPROCCIO ANTICICLICO I «long term investors» si caratterizzano per la capacità di smussare l'oscillazione dei profitti e delle perdite nel tempo Nuove direzioni. Nessun rimedio avrà successo se non si riuscirà a far svoltare la finanza globale verso strategie di lungo termine. Nella foto, una performance dell'artista francese Daniel Buren REUTERS

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Dalla perplessità allo sconcerto. Dallo sconcerto alla preoccupazione. E all'affacciarsi d... (sezione: crisi)

( da "Unita, L'" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

UMBERTO DE GIOVANNANGELI Dalla perplessità allo sconcerto. Dallo sconcerto alla preoccupazione. E all'affacciarsi di interrogativi inquietanti. A Bruxelles e nelle cancellerie europee più importanti. Gli scandali che investono il Cavaliere non vengono più considerati dagli alleati europei come vicende interne ad una Italia guidata da un primo ministro «eccentrico» e «donnaiolo». Negli ambienti diplomatici occidentali non è passato inosservato un articolo apparso sull'autorevole Times nei giorni burrascosi del Noemigate. «L'Italia - rilevava il quotidiano londinese - quest'anno ospita il vertice del G8. In quel forum si tengono importanti discussioni dove i governi occidentali chiedono maggior cooperazione nella lotta al terrorismo e al crimine organizzato. Berlusconi - proseguiva il Times - si vede come amico di Vladimir Putin. Il suo Paese è un importante membro della Nato. È anche parte dell'Eurozona, che è messa alla prova della crisi finanziaria globale». Per concludere che «non sono solo gli elettori italiani a chiedersi cosa stia succedendo. Lo fanno anche gli alleati perplessi dell'Italia». Una perplessità che cresce con il crescere degli scandali che investono il Cavaliere. Ed è una perplessità, dice a l'Unità un'autorevole fonte diplomatica a Bruxelles, che non ha una sua identificazione di parte politica: essa, infatti, accomuna la Francia del conservatore Sarkozy alla Spagna del socialista Zapatero, dalla Germania della centrista Merkel alla Gran Bretagna del laburista Brown. A far discutere non è la caratura morale del premier italiano. L'interrogativo che comincia a farsi strada nelle cancellerie europee è molto più pesante. E riporta dritto alle considerazioni del Times. L'Italia è parte della Nato, e ciò significa, ad esempio, che il primo ministro italiano è in possesso dei nullaosta dell'Alleanza atlantica che danno accesso ai segreti degli armamenti nucleari. Per questo la certezza della non ricattabilità del Cavaliere è una questione che travalica i confini nazionali e va ben oltre le polemiche interne. La risposta degli aedi del premier è nervosa. Molto nervosa. Adombra una mano internazionale che tiene le redini del «grande complotto». C'è chi scomoda Zapatero, chi (vedi prima pagina di Libero di qualche settimana fa) si spinge addirittura oltreoceano puntando l'indice accusatore contro il «Giuda» della Casa Bianca (Barack Obama) impegnato a spezzare la «diplomazia del gas» del duo Berlusconi-Putin. Questione di credibilità. In caduta libera. La Francia di Nicolas Sarkozy ha scavalcato l'Italia nella leadership euromediterranea. Nel valzer delle poltrone che contano davvero in Europa - la presidenza della Commissione europea, l'Alto rappresentante per la politica estera e, se il Trattato di Lisbona entrerà in vigore, il presidente stabile dell'Ue - l'Italia del Cavaliere non «danza». Fuori dai giochi. L'unico posto rimasto da assegnare è quello di presidente dell'Europarlamento. Spetta allo schieramento vincitore delle elezioni europee: il Ppe. Berlusconi lancia la candidatura di Mario Mauro: «Credo che questa volta tocchi a noi», ribadisce il presidente del Consiglio all'apertura del vertice di Bruxelles del Partito popolare europeo. Fa sfoggio di ottimismo, Berlusconi, ma sa che la questione è tutt'altro che risolta. Ma sulla sua strada trova un concorrente agguerrito: il polacco Jerzy Buzek. La Polonia è in crescita di consensi e di credito a livello europeo, e può contare sul sostegno dell'Est e, sia pure non ancora formalizzato, della Cdu di Angela Merkel. Quel credito, e quella credibilità che stanno scemando per il Cavaliere. In Europa sembra iniziata l' «operazione scaricamento». L'analisi

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Fondi pensione, la crisi morde Rendimenti negativi nel 2008 (sezione: crisi)

( da "Unita, L'" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

Fondi pensione, la crisi morde Rendimenti negativi nel 2008 BIANCA DI GIOVANNI Previdenza complementare ancora troppo lenta. È il richiamo che arriva dal neopresidente Covip Antonio Finocchiaro in occasione della presentazione della Relazione annuale. Secondo la Commissione di vigilanza dei fondi, a marzo 2009 gli iscritti sono 4,9 milioni, con un incremento oltre il 50% rispetto al periodo pre-riforma. Lo scorso anno le adesioni hanno registrato un +6%, un rallentamento nelle adesioni causato da «crisi finanziaria, deterioramento del mercato del lavoro e massiccio ricorso alla cig», ha specificato Finocchiaro. ma accanto a un avevrtimento, c'è anche una rassicurazione. Il sistema è sostanzialmente solido, nonostante la crisi finanziaria. Che però ha pesato sui rendimenti. «Nel 2008 sono stati negativi - dichiara il presidente -con perdite del 6% per i fondi negoziali, del 14% per i fondi aperti e del 25% per i piani individuali unit-linked». numeri A marzo le adesioni ai fondi pensione hanno raggiunto il 26% del totale dei lavoratori dipendenti del settore privato, percentuale che sale al 30% se si limita il calcolo ai lavoratori che possono conferire il tfr in forma tacita. Nel lavoro autonomo le adesioni coprono il 18% mentre risultano ancora marginali tra i lavoratori del pubblico. Alcune aree registrano un'alta diffusione: su 34 fondi negoziali, 12 hanno un tasso di partecipazione superiore al 50%, 6 superano l'80% mentre tra i fondi preesistenti si riscontrano tassi prossimi al 100%. giovani e donne «Tuttavia - osserva Finocchiaro - restano alcuni settori in cui la previdenza complementare mostra difficoltà: i giovani, le donne, i lavoratori autonomi sono sottorappresentati, così come le piccole imprese e le regioni meridionali». Nella relazione si sottolinea come «nel pubblico impiego il secondo pilastro previdenziale è assente, ad eccezione della scuola, peraltro con adesioni modeste». Preoccupano anche le condizioni del mercato del lavoro che «aggiungono un ulteriore elemento di difficoltà» per via di nuovi «fenomeni di discontinuità contributiva». servono «interventi mirati di manutenzione per superare le diverse criticità» come la possibilità di previsioni contrattuali che favoriscano le adesioni. Il ministro Maurizio Sacconi non ha escluso l'eventualità di un nuovo semestre (l'anno prossimo) di «silenzio-assenso» per la previdenza complementare, ovvero di conferimento automatico del Tfr maturando ai fondi pensione a meno di esplicita decisione contraria del lavoratore, con possibilità di ripensamento anche per i lavoratori che non avevano aderito alla previdenza complementare nel 2007. Sacconi ha aggiunto che martedì discuterà con gli altri ministri competenti sulla linea da seguire nell'Ue, dopo l'annuncio dell'infrazione per l'Italia sull'età di pensionamento delle donne nel pubblico. Ancora pochi iscritti alla previdenza complementare. La crisi pesa sui rendimenti, ma i fondi negoziali perdono meno degli altri. Affossati i piani individuali. Sacconi: forse un nuovo semestre di silenzio-assenso.

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Dai leader europei primo sì a Barroso-bis (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 19/06/2009 - pag: 5 Dai leader europei primo sì a Barroso-bis I Ventisette: controlli finanziari più severi e pressing sull'Irlanda per un nuovo referendum DAL NOSTRO INVIATO BRUXELLES Il Consiglio dei capi di Stato e di governo dell'Ue ha espresso il suo appoggio politico alla candidatura del portoghese José Manuel Barroso per un secondo mandato come presidente della Commissione europea. I leader europei hanno anche preso atto dell'opposizione nel centrosinistra dell'Europarlamento a questa conferma di un esponente del Partito popolare europeo (Ppe). La nomina formale è stata spostata quindi a dopo le consultazioni con i gruppi politici dell'Assemblea comunitaria per evitare un possibile scontro istituzionale. «Sono molto fiero del sostegno unanime ricevuto ha dichiarato Barroso . È un riconoscimento al lavoro svolto dalla Commissione europea in questi anni». Oggi, giornata conclusiva del vertice, è atteso un accordo di massima sulla nuova supervisione comune dei mercati finanziari, che punta a evitare il ripetersi di turbolenze sistemiche. In programma restano le discussioni sulla crisi e sulla disoccupazione, insieme alla trattativa con l'Irlanda, volta a convincere il premier di Dublino Brian Cowen a lanciare nell'ottobre prossimo un secondo referendum sul Trattato di Lisbona per superare la vittoria del no, che ha bloccato il processo di ratifica. L'Italia vuole nelle conclusioni un richiamo all'immigrazione clandestina. La conferma di Barroso appariva quasi scontata dopo che il Ppe si è confermato nelle elezioni europee il partito di maggioranza relativa nell'Europarlamento. La cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy, entrambi del Ppe, si sono impegnati a favore del collega portoghese. Premier socialisti come lo spagnolo José Luis Zapatero, il britannico Gordon Brown e il portoghese José Socrates si sono dichiarati disponibili. Ma gli eurodeputati socialisti del Pse hanno diffidato il Consiglio europeo a procedere alla nomina formale. Il leader dei Verdi Daniel Cohn-Bendit ha lanciato la campagna «fermate Barroso». Nel centrosinistra chiedono una consultazione preventiva, che consenta di valutare il programma del candidato portoghese e ne condizioni l'approvazione alla trattativa complessiva sulle nomine in arrivo nel nuovo Europarlamento (si insedia il 14 luglio) e nella prossima Commissione (da formare in autunno). Ora la candidatura verrà valutata dai gruppi politici. Il progetto di supervisione finanziaria dell'Ue si basa su una entità di prevenzione dei rischi sistemici, che si vorrebbe affidare al vertice della Banca centrale europea (Bce). Tre organismi settoriali controllerebbero poi le banche, i mercati finanziari e le assicurazioni. L'azione Ue appare in sintonia con quella del presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Ma la Gran Bretagna si oppone perché nella City di Londra preferiscono restare sotto l'esclusiva competenza nazionale soprattutto per i salvataggi bancari. Dubbi trapelano anche sull'opportunità di attribuire la guida dell'organismo principale alla Bce. Per lanciare il secondo referendum sul Trattato di Lisbona, in una Irlanda dove la priorità è la crisi finanziaria, Cowen chiede di garantire formalmente autonomia al suo Paese sulla neutralità militare, l'aborto e la fiscalità. Vari governi si oppongono a questa richiesta, che imporrebbe successive ratifiche nazionali. Verso il via libera Ora la candidatura del portoghese passa alla valutazione dell'Europarlamento L'accordo Angela Merkel tra Sarkozy e Zapatero (di spalle). La cancelliera tedesca e il presidente francese, entrambi del Ppe, sono favorevoli a un Barroso bis a Bruxelles. Anche il premier spagnolo, socialista, ha approvato la conferma di un esponente del Ppe come presidente della Commissione Ue (Gerard Cercles / Afp Photo) Ivo Caizzi

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Obama e i tempi (stretti) dei cambiamenti (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 19/06/2009 - pag: 3 Il presidente Obama e i tempi (stretti) dei cambiamenti SEGUE DALLA PRIMA Sanità, controlli sulla finanza, revisione dei meccanismi che dilatano il debito pubblico ma, al tempo stesso, possibile esigenza di una «fase 2» delle politiche di stimolo fiscale per favorire la ripresa economica: sono queste le sfide che lo attendono nei prossimi mesi. Il presidente degli Stati Uniti può sempre contare su un vasto consenso personale: merito del suo carisma, ma anche dei progetti ambiziosi, del suo guardare lontano. I sondaggi pubblicati ieri da New York Times, Wall Street Journal e da due reti tv (Cbs e Nbc) indicano, tuttavia, che il prolungarsi della crisi sta cominciando a provocare un'erosione di questo sostegno, almeno per quanto riguarda il giudizio sui singoli interventi fin qui decisi dalla Casa Bianca. Obama continua a godere di un indice di gradimento più che confortevole (63% nel sondaggio Times/Cbs), ma il consenso tra i repubblicani è dimezzato rispetto a qualche mese fa, mentre su alcune questioni specifiche (il nodo della sanità, il modo in cui ha affrontato la crisi dell'auto) i cittadini soddisfatti per le mosse della Casa Bianca ora sono una minoranza. Niente di drammatico: un'evoluzione di questo tipo era stata prevista, dato il perdurare della crisi e l'avvicinarsi della campagna per le elezioni di «mezzo termine» che si terranno nell'autunno del prossimo anno. Sulla base di segnali raccolti anche da altre società che analizzano i «trend» sociali (Gallup e Rasmussen), già da tempo il passaggio di Obama da consensi «stellari» a un livello di soddisfazione più «terreno» era stato previsto (magari 'gufando' un po') dal Wall Street Journal, ma anche da organi certo non ostili alla Casa Bianca, come il Washington Post. Solo che, alle prese con la crisi più grave da 80 anni a questa parte, Obama non può permettersi alcun indebolimento della sua leadership. E il tempo non sembra giocare in suo favore: la crisi continua e, anche se la recessione vera e propria potrebbe finire negli ultimi mesi del 2009 o all'inizio del prossimo anno, quasi tutti gli analisti prevedono che la disoccupazione continuerà a crescere ancora a lungo. Ed è questo, ovviamente, il fattore che crea maggiore sofferenza e disagio sociale, mentre anche i valori immobiliari, principale indice della ricchezza a disposizione dei ceti medi, non accennano ancora a stabilizzarsi. Il leader democratico reagisce alle difficoltà accelerando il percorso delle riforme, ma anche cercando di renderle digeribili al più ampio ventaglio possibile di forze; cerca di coinvolgere parlamentari dell'opposizione e lobby che di certo non lo amano. Non vuole ripetere errori come quelli che sedici anni fa impedirono a Bill Clinton di far passare la sua riforma sanitaria e, anzi, lo costrinsero a governare assediato dai repubblicani, tornati improvvisamente maggioranza al Congresso. La prudenza rischia, però, di portare a misure poco incisive. Ieri il New York Times criticava Obama per aver varato una riforma dei controlli sui mercati finanziari molto meno radicale e coraggiosa di quella imposta da Franklin Delano Roosevelt negli anni Trenta del secolo scorso (ma allora il potere di Wall Street era limitato, le banche erano più piccole e molte di loro erano fallite). E il politologo E.J. Dionne, sul Post, sostiene che il presidente si illude se pensa che ci sia spazio per ottenere il consenso dei repubblicani a riforme a partire da quella della sanità che vadano davvero in profondità. Oltre a quello del varo di misure «senza denti», il rischio, come detto in apertura, è quello di un crescente ricorso a formule populiste. Obama è un pragmatico e questo dovrebbe rappresentare una garanzia: un affondo demagogico sulla sanità o sulla formulazione dei contratti di mutuo può essere solo un espediente tattico che lascia il tempo che trova. Ma è rischioso girare con un fiammifero acceso vicino alla benzina di un Congresso che ha problemi di consenso molto più gravi di quelli di Obama (ancora pochi mesi fa gli americani consideravano il Parlamento addirittura più impopolare dell'impopolarissimo Bush). La vera sfida di Obama è quella di non farsi risucchiare dal tritacarne di Capitol Hill nelle battaglie parlamentari dell'estate. Massimo Gaggi

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La recessione picchia duro sui fondi pensione: il secondo pilastro resta al palo (sezione: crisi)

( da "Manifesto, Il" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

PREVIDENZA INTEGRATIVA Rendimenti giù nel 2008 e nei primi mesi 2009. La Covip chiede aiuto. Sacconi: «Altri sei mesi di silenzio assenso» La recessione picchia duro sui fondi pensione: il secondo pilastro resta al palo Sara Farolfi ROMA ROMA Tempi duri per la previdenza complementare e soprattutto per chi (un po' forzosamente, per la verità) lì ha investito il proprio Tfr. La sberla inferta dalla crisi dei mercati finanziari è stata severa. E se le perdite dei fondi pensione (sia aperti che chiusi) sono risultate inferiori a quelle di altri paesi, ciò si deve alle dimensioni ridotte del secondo pilastro pensionistico italiano (che ad oggi riguarda 4,9 milioni di lavoratori, il 26% dei dipendenti del settore privato), oltre a una gestione concentrata sul mercato obbligazionario e garantito più che su quello azionario. Ciò detto, le perdite ci sono state eccome, nell'ordine del 6% per i fondi negoziali (quelli contrattuali, cosiddetti chiusi), del 14% per i fondi aperti (quelli più esposti al mercato azionario) e del 24,9% per i Pip (piani individuali pensionistici). Anche per i primi mesi di quest'anno, i rendimenti sono stati contrassegnati da un andamento negativo, mentre qualche segnale di ripresa (nell'ordine di 2,2 punti percentuali di media) si è fatto largo tra aprile e maggio. È quanto emerge dalla relazione annuale della Covip (la commissione di vigilanza sui fondi pensione), che non esita a stigmatizzare i numeri del rapporto come «la dimostrazione della tenuta e della solidità del sistema», e chiede al governo «interventi mirati di manutenzione per superare le diverse criticità». La verità è che «il secondo pilastro previdenziale» stenta a decollare in Italia. Dalla riforma del 2007 (quella che, con il meccanismo del «silenzio-assenso» ha portato il Tfr di molti lavoratori nelle casse dei fondi pensione) gli iscritti sono raddoppiati. Ma già nel corso del 2008 c'è stato un rallentamento, e per quest'anno, a giudicare dallo stato comatoso in cui versano i mercati finanziari, non è difficile immaginare come andrà. A questo si aggiunge, si sottolinea nel rapporto, «il deterioramento del mercato del lavoro» e «il ricorso massiccio alla cassa integrazione» che, in quanto fattori di profonda erosione del reddito disponibile, non fanno che contribuire a frenare l'adesione alla previdenza integrativa. Perciò il presidente della Covip, Antonio Finocchiaro, suggerisce un altro semestre di «silenzio assenso», oltre all'introduzione di forme di reversibilità (oggi negate) dalla decisione di versare il Tfr ai fondi. Il ministro del lavoro Maurizio Sacconi raccoglie l'invito, indica già come papabile il primo semestre 2010 e apre all'introduzione di «forme di reversibilità», da definire comunque «tenendo conto dell'andamento dei mercati». Il punto, esplicitato tanto dalla relazione introduttiva di Finocchiaro quanto dall'intervento di Sacconi, è che la pensione pubblica viene data per spacciata. Finocchiaro cita i dati della ragioneria generale dello stato, secondo i quali il futuro grado di copertura delle pensioni pubbliche si ridurrà a poco più del 50% (lordo) del salario, o persino a valori inferiori per chi ha carriere discontinue. Sul lungo periodo, i dati parlano di una stabilizzazione della spesa pensionistica sul Pil «ma questo non basta» dice Sacconi, che dell'intenzione di ridurre progressivamente il pilastro pubblico a vantaggio di quello privato parla più diffusamente nel Libro bianco sul welfare. La relazione Covip convince i sindacati confederali. «La previdenza complementare, e in particolare i fondi negoziali, tengono anche in una fase così difficile per l'economia», dice Morena Piccinini (Cgil). Unica voce contraria, quella della Cub: «Un altro silenzio-assenso? Lo faremo fallire nuovamente».

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Barroso e referendum irlandese, menu indigesto per il vertice Ue (sezione: crisi)

( da "Manifesto, Il" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

UNIONE EUROPEA La riconferma del capo della Commissione e il voto nell'Isola per il trattato di Lisbona al centro del summit di Bruxelles Barroso e referendum irlandese, menu indigesto per il vertice Ue Anna Maria Merlo I trattori degli agricoltori che protestano per il crollo del prezzo del latte pagato dalla grande distribuzione ha accolto ieri pomeriggio l'apertura del Consiglio europeo che ha chiuso la pallida presidenza semestrale della Repubblica ceca. Ieri sera, il menu dei capi di stato e di governo dei 27 era dei più indigesti: dare un avallo informale alla rielezione di José Manuel Barroso alla presidenza della Commissione, unico candidato alla carica. Se si dovesse dare un volto all'implosione della Commissione, quello di Barroso sarebbe il più adatto: ieri sera, ha presentato il suo «programma per i prossimi cinque anni, fatto di generici impegni a favore della regolazione finanziaria internazionale e di lotta contro il riscaldamento climatico, terreno dove l'Unione europea potrebbe perdere la leadership mondiale con la svolta di Obama. Sulla carta, tutto quadra. Barroso è un politico di destra, 21 stati membri su 27 sono governati dalla destra, che ha pure vinto le elezioni europee del 7 giugno e il gruppo Ppe è maggioritario. Ma un fronte anti-Barroso si sta costituendo, contro questo uomo del passato, che nel 2003 organizzò il vertice delle Azzorre, dove la Spagna di Aznar, la Gran Bretagna di Blair e l'Italia di Berlusconi si inchinarono alla scelta di Bush di fare la guerra all'Iraq. Anche se il gruppo Pse è spaccato (il labour britannico e il Psoe di Zapatero appoggiano Barroso), soprattutto in Francia si rafforza l'ipotesi di poter sbarrare la strada all'ex primo ministro portoghese. Il Verde Daniel Cohn-Bendit, che ieri mattina ha incontrato Nicolas Sarkozy, è sicuro che all'europarlamento «Barroso non ha la maggioranza». Nicolas Sarkozy e Angela Merkel lo sostengono, ma ponendo delle condizioni. In un testo comune gli hanno intimato di prodigarsi per far sì che «l'Europa protegga gli europei». Il bilancio dei suoi primi cinque anni è deludente: Barroso è stato l'uomo della deregulation su tutti i fronti, paladino della direttiva Bolkestein, non si è accorto dell'arrivo della più grande crisi finanziaria mondiale, non ha reagito non solo dopo il fallimento della Northern Rock britannica (settembre 2007), ma neppure dopo quello di Lehman Brothers (settembre 2008). Ha frenato per evitare una regolazione europea degli hedge funds. Ha evitato verifiche da parte della Commissione dell'applicazione dell'agenda di Lisbona (la famosa «economia più competitiva al mondo entro il 2010»). Ha condiviso l'idea di Bush della «nuova Europa» contro la «vecchia». Ha subito, impermeabile, tre sconfitte europee: il doppio «no» franco-olandese del 2005 al trattato costituzionale e il rifiuto irlandese del trattato di Lisbona nel 2008. Adesso, però, l'attesa del nuovo referendum irlandese potrebbe fargli un brutto tiro: il fronte anti-Barroso punta ad evitare un voto dell'europarlamento a metà luglio. Se si aspetta l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, in autunno, dopo il secondo referendum irlandese, Cohn-Bendit è convinto di poter costituire una maggioranza anti-Barroso, anche se la presidente uscente della Repubblica ceca e la nuova presidenza svedese, hanno dichiarato di voler «rispettare il calendario». Gli stati puntano sulla rielezione di Barroso perché si è rivelato un uomo estremamente malleabile, pronto a piegarsi ad ogni richiesta. In particolare, è stato l'uomo della visione anglo-sassone della Ue, privilegiando le relazioni intergovernative a scapito della costruzione comunitaria. Il problema, per il fronte anti-Barroso, è trovare un nome consensuale, che convinca socialisti, sinistra, verdi e liberali.

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Promossa da Crédit Suisse, vola Snam (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 19/06/2009 - pag: 39 Il caso a Milano Promossa da Crédit Suisse, vola Snam Un report favorevole spinge Snam rete gas sopra quota 3 euro. La società, che ha da poco concluso l'aumento di capitale da 3,4 miliardi di euro, ha beneficiato di un upgrade da parte degli analisti di Crédit Suisse, che hanno alzato la raccomandazione da «neutral» a «outperform ». A lungo in controtendenza in un mercato di segno negativo, Snam ha chiuso la seduta con un rialzo del 2,26% a 3,06 euro per azione, facendo meglio degli indici. Scambi sopra la media degli ultimi trenta giorni, con 15,7 milioni di pezzi passati di mano contro una media di circa 14 milioni. Alberto Meomartini presidente di Snam Fa. Chi.

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Rialzo targato Usa, scatta Unicredit (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 19/06/2009 - pag: 39 La Giornata in Borsa di Paola Pica Rialzo targato Usa, scatta Unicredit Mercato tecnico A condizionare il mercato anche le scadenze tecniche di oggi per future e opzioni Il primo calo, da gennaio, delle richieste di sussidi di disoccupazione Usa ha regalato, insieme ad altri dati macroeconomici migliori delle attese, una boccata di ossigeno anche alle Borse europee. Piazza Affari, dove pure il Ftse Mib ha guadagnato 1,11% interrompendo il ciclo al ribasso in corso da lunedì, è apparsa però condizionata anche dalle scadenze tecniche, le cosiddette «tre streghe», che oggi interessano i futures sugli indici e le opzioni sulle azioni e sugli indici. In primo piano i titoli sostenuti dai report degli analisti, come Snam rete gas (+2,26%) e Mediaset (+3,39%), mentre anche qualche bancario ha ripreso il cammino. È il caso di Unicredit che dopo lo scivolone delle ultime sedute ha recuperato il 4,58% nel giorno in cui Moody's ha confermato il rating di breve e lungo periodo, mettendo sotto osservazione per un possibile downgrade la «forza finanziaria». A Intesa Sanpaolo (+1,30%), Moody's ha confermato il rating sulla forza finanziaria rivedendo l'outlook da stabile a negativo. Bene anche il Banco Popolare (+3,88%) e Bpm (+3,58%), rally per Banca Profilo (+9,29%), in correzione Mps (-2,8%) e Mediobanca (-1,23%). Tra gli industriali, maglia rosa per Ansaldo Sts (+5,13%), Fiat ha segnato invece il passo (-1,05%). Ancora una flessione per Pirelli Pirelli Re (-14,33%) ha continuato a risentire della volatilità legata all'aumento di capitale. Impregilo premiata con un rialzo del 2,63% per il contratto per siglato in Brasile dalla controllata Primav Ecorodovias.

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Multinazionali: pochi big, molto Stato (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia data: 19/06/2009 - pag: 37 Il rapporto Le 17 maxi-imprese italiane tengono la posizione nella classifica mondiale Multinazionali: pochi big, molto Stato Mediobanca: la crisi arriva all'industria. Utili -75%, ricavi -26% MILANO La crisi finanziaria si è trasferita ora sull'economia. E il 2009 è cominciato in modo molto diverso per le grandi banche e le multinazionali industriali: nei primi tre mesi dell'anno le prime sono tornate al profitto, le seconde hanno accusato un brusco stop, con una caduta pesante di fatturato e risultati. Ma proprio a causa della crisi è cambiata la geografia dello Statoazionista: in Europa per la prima volta la mano pubblica è più grande nelle banche che nelle imprese. Nelle prime la quota sul totale degli attivi è pari al 22,3%, nelle seconde al 19,8%. Il passo differente tra finanza e produzione è descritto nell'ultimo rapporto sui «dati cumulativi delle multinazionali» realizzato da R&S-Mediobanca, che solo qualche giorno fa aveva pubblicato un analogo studio sul settore del credito. La crisi dunque morde e nel primo trimestre 2009 (rispetto all'analogo periodo 2008) i ricavi delle multinazionali mondiali sono caduti del 26% e gli utili sono crollati del 75%. Il campione preso in esame (368 società) mostra comunque che il netto peggioramento della redditività parte dal secondo semestre 2008, quando il risultato netto delle multinazionali europee è calato del 64% e di quelle nordamericane del 58%. Nel rapporto vengono poi confermato le dimensioni ridotte e il basso grado di internazionalizzazione dell'industria italiana. le nostre superimprese comprese nella ricerca, quindi con un fatturato superiori ai 3 miliardi, sono soltanto 17 (sarebbero in realtà 19 comprendendo due con quartier generale in Lussemburgo: Ferrero e Tenaris): Eni, Fiat, Enel, Telecom, Finmeccanica, Riva Fire, Pirelli, Italcementi, Prysmian, Luxottica, Barilla, Cofide, Marcegaglia, Parmalat, Buzzi Unicem, Intek e Indesit. Le big italiane sono più «pubbliche », piccole (la prima, Eni, nel 2008 ha ricavi per 108 miliardi) e il loro contributo al fatturato aggregato europeo è pari al 7% contro il 21% della Germania e il 17% della Francia. A fine 2007 in media una multinazionale industriale italiana aveva 36.400 dipendenti, contro i 113 mila della Germania e i 76.500 della Francia. Una novità di rilievo è però rappresentata dalla Fiat. Secondo le stime di R&S il gruppo torinese con Chrysler sale nella classifiche: il fatturato passa da 59,4 a 93,5 miliardi e il nuovo big dell'auto in Italia supera l'Enel e diventa la seconda multinazionale; nel mondo passa dal nono al sesto posto subito alle spalle di Daimler. Mediobanca Sergio Bocconi

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Il superindice spinge Bank of America (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Economia Mercati Finanziari data: 19/06/2009 - pag: 39 Il caso a New York Il superindice spinge Bank of America Salgono i titoli finanziari a Wall Street e a spingerli è il superindice economico, che anticipa l'andamento futuro dell'economia statunitense. A maggio l'indicatore ha segnato un rialzo dell'1,2% dopo il +1,1% di aprile, facendo così segnare due rialzi consecutivi per la prima volta dal periodo settembre-ottobre 2006. E così Bank of America ha guadagnato il 4,88%, seguita peraltro da un altro bancario come Jp Morgan e da alcuni titoli farmaceutici. Nessun effetto sulla banca guidata da Ken Lewis dall'annuncio che il numero uno della Fed, Ben Bernanke, testimonierà giovedì prossimo al Congresso sull'acquisizione di Merrill Lynch. Ken Lewis ceo di Bank of America

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Lord Ralf, il tedesco che ripensò la libertà (sezione: crisi)

( da "Corriere della Sera" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

Corriere della Sera sezione: Cultura data: 19/06/2009 - pag: 44 1929-2009 La vita di un personaggio centrale del Novecento: unì la teoria alla prassi, sottopose le sue idee al vaglio della politica Lord Ralf, il tedesco che ripensò la libertà La scomparsa di Dahrendorf, intellettuale d'azione di DANILO TAINO L o scorso primo maggio, quando ha compiuto ottant'anni, Ralf Dahrendorf era sofferente, debole, parlava con difficoltà. Una delle tante università che ha frequentato e guidato nella vita Oxford, St. Anthony's College lo festeggiava e il suo sforzo per discutere di crisi economica, della libertà dei cittadini, della società aperta, era grande. Ma quando trattava queste cose la sua vita non soffriva. «Sedevo dietro di lui e vedevo com'era dura», ha ricordato Jürgen Habermas, altro grande intellettuale tedesco, che ha saputo della morte di Dahrendorf mentre egli stesso, proprio ieri, compiva ottant'anni. Ma fu «un intervento appassionato » dello «spirito più determinato e con la vista più lunga della nostra generazione». Dahrendorf, tedesco di Amburgo, è un pezzo di cultura e di storia politica europea, l'anello di congiunzione tra più discipline sociologo, economista, politico praticante ma forse soprattutto tra mondi diversi: la prova che l'Europa continentale può beneficiare della vicinanza della Gran Bretagna. Amava il Regno di là della Manica, che lo ha adottato, per l'apertura e l'originalità, per le sue università, forse anche per qualche suo leader politico. Non era presuntuoso, ma gli piaceva che lo chiamassero Lord. Baron Dahrendorf of Clare Market in the City of Westminster: questo il titolo che gli aveva assegnato, su sua richiesta, Elisabetta II nel 1993 quando lo aveva nominato alla Camera dei Lord per meriti speciali. Dove Clare Market non è un pezzo di terra su cui poteva rivendicare diritti di proprietà formale, ma un angolo di Londra vittoriana ormai circondato dagli edifici della London School of Economics, la sua Lse della quale fu direttore e uno dei più illustri governatori. Una signoria intellettuale che fu per lui come un Premio Nobel. La politica era di casa per i Dahrendorf di Amburgo. Suo padre, Gustav, era un parlamentare socialdemocratico, di quelli aperti e di forti principi della città anseatica. Lo studio della socialdemocrazia rimarrà sempre un punto importante per Ralf. Ma non vi aderirà mai. Anzi, quando entrerà in politica e al Bundestag, nel 1969, lo farà da Liberale, nella Fdp. Non resterà molto, però, a Bonn: stava nascendo l'Europa e nel 1970 diventa commissario a Bruxelles, per il Lavoro, nella Commissione presieduta da Franco Maria Malfatti, assieme ad Altiero Spinelli e Raymond Barre. Tempi interessanti, per la Comunità economica europea ancora a Sei. E anche l'Europa resterà uno dei suoi interessi centrali: un europeista senza se e senza ma, ma scettico sulla retorica e sulla burocratizzazione dell'Unione che hanno via via preso piede a Bruxelles. Il suo destino, però, erano gli studi, l'università. Dopo la laurea e il dottorato ad Amburgo, negli Anni Cinquanta era stato ricercatore alla Lse con Karl Popper, filosofo che ha segnato quasi tutti coloro che hanno lavorato con lui e che per Dahrendorf sarà un punto di riferimento definitivo nella ricerca sui rapporti di classe e soprattutto sui meccanismi di potere nelle società a diversi gradi di apertura e di democrazia. Insegnerà poi Sociologia ad Amburgo, a Tubinga, a Costanza, prima della fase politica. Dopo, Londra e poi warden (direttore e controllore) del St. Anthony's College di Oxford, in un piccolo studio tanto buio quanto inglese e affascinante. Sulla sua «Introduzione alla Sociologia» si sono formati migliaia di studenti. Nel 1957, non ancora trentenne, pubblica un'opera tra le più importanti nello studio dei rapporti di potere, Classi e conflitto di classe nella società industriale: nessuno tra chi scriverà dopo su questo tema potrà non tenerne conto. Poi, per decenni, produce libri e saggi di politica, di sociologia, sull'Europa. Un grande padre liberale e democratico del Vecchio Continente che non ha mai disertato una battaglia. Forse, l'unico grande pensatore liberale moderno tedesco. Alla fine dello scorso marzo, quando ha concesso al Corriere della Sera quella che è stata probabilmente la sua ultima intervista, era in una clinica di Colonia, la «Residenz am Dom» nella quale è morto mercoledì sera: una settimana stava lì, l'altra tornava a Londra, dove aveva la casa e la Camera dei Lord, da indipendente, né laburista né conservatore. In quell'occasione in biblioteca, abito di tweed, cravatta e ironia sulle labbra, come sempre parlò della crisi finanziaria ed economica, disse che il capitalismo era diventato un capitalismo fondato sul debito e che per uscire da questo pasticcio avremmo dovuto tutti ridimensionare i nostri standard di vita. Parlò della fine di una «cultura diffusa, ma molto diffusa, per la quale mettevi lì cinquanta euro e ti pareva normale che ti dessero un'automobile». Non vedeva rischi per la democrazia ma «diverso è il discorso per la società aperta, perché la crisi non favorisce le libertà... Non saranno tempi belli». Parlò di Russia e dell'alta probabilità che l'Europa, nei prossimi anni, non sia alla guida del mondo. Lucido, come pochi in questa crisi, nonostante la malattia. Ieri, il presidente Giorgio Napolitano lo ha ricordato, con commozione. «Un protagonista di grande rilievo della ricerca e del dibattito culturale in Europa», ha detto parlando della sua originalità teorica. In effetti, ha aperto una grande strada: nella società post-socialdemocratica, il liberalismo passa per forza da Lord Dahrendorf.

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[FIRMA]LUCA FORNOVO La crisi dell'economia e delle Borse manda in rosso i fondi pensione. No... (sezione: crisi)

( da "Stampa, La" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

[FIRMA]LUCA FORNOVO La crisi dell'economia e delle Borse manda in rosso i fondi pensione. Non solo, la tempesta che ha sconvolti i mercati finanziari ha fatto anche rallentare drasticamente il numero degli iscritti alla previdenza complementare. Al punto che il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, è intervenuto sulla necessità di dare nuovo slancio ai fondi pensione. I dati emersi ieri dalla relazione annuale della Covip (Commissione vigilanza dei fondi pensione) fotografano un 2008 deludente per la previdenza complementare: se i fondi negoziali sono riusciti ad arginare in parte le perdite subendo un calo in media del 6,4% decisamente peggio è andata ai Pip (piani individuali pensionistici) united linked in rosso del 24,9% medio, mentre i fondi aperti archiviano il 2008 in ribasso del 14%. Insomma tempi duri per i lavoratori che hanno affidato i loro Tfr e i loro risparmi ai fondi pensione. Anche se la relazione annuale della Covip ha comunque sottolineato come il calo sia più contenuto rispetto all'andamento delle Borse. E comunque dalla Covip arrivano sprazzi di ottimismo visto che la ripresa è già in arrivo nel 2009 (+2,2% per i fondi negoziali, +2,7% per gli aperti). Tra i fondi che hanno registrato risultati positivi nel 2008 ci sono solo quelli a rendimento «garantito» (+3,1%) e quelli obbligazionari puri (+1,6%) mentre quelli che avevano una pur minima parte di azionario hanno registrato cali nella maggior parte dei casi (-9,4% i fondi negoziali bilanciati, -24,5% quelli solo azionari). Oltre alle perfomance, in calo è anche il numero delle adesioni ai fondi pensione. La Covip ha sottolineato come dopo il boom degli iscritti ai fondi grazie alla riforma (e all'adesione attraverso il silenzio assenso) si sia registrato un rallentamento nella crescita delle adesioni. Afine marzo gli iscritti erano oltre 4,9 milioni mentre nel 2008 la crescita è stata del 6,4% rispetto al 2007 (+52,4% rispetto al 2006). A fine 2008 erano quindi iscritti a una forma di previdenza complementare circa il 20,7% del totale dei lavoratori (il 26% tra i lavoratori dipendenti, il 18,7% tra gli autonomi e solo il 3,8% nel pubblico impiego). A fine marzo le risorse per prestazioni erano 62.665 milioni di euro (61.306 a fine 2008 con una crescita del 6,2% sul 2007). Sull'importanza di dare slancio alla previdenza integrativa è intervenuto il ministro Sacconi. «Si potrebbe pensare - ha detto Sacconi - a un secondo semestre di silenzio assenso nel primo semestre 2010, con possibilità di ripensamento anche per i lavoratori che non avevano aderito alla previdenza complementare nel 2007». Sacconi ha infine sottolineato la necessità di una diffusa informazione sulla previdenza integrativa «i cui primi destinatari devono essere i giovani». «Un contributo in tal senso - ha detto il ministro - potrebbero darlo già oggi i genitori iscrivendo quando possono i figli a carico a un fondo di previdenza complementare; ne ricaverebbero un vantaggio mentre nei ragazzi comincerebbe a radicarsi l'idea di un futuro previdenziale meno legato alla previdenza obbligatoria, cui provvedere fin dalla prima fase lavorativa».

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La crisi infetta le multinazionali (sezione: crisi)

( da "Stampa, La" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

il caso L'indagine dell'ufficio studi di Mediobanca L'ITALIA La crisi infetta le multinazionali L'utile nel primo trimestre scende del 75% FRANCESCO MANACORDA È prima in Europa per il maggior peso di fatturato dello Stato MILANO La crisi globale non morde solamente le piccole e medie imprese ma tinge di rosso, in tutti i Continenti, anche i conti delle grandi aziende, con un utile che in media scende nel primo trimestre del 2009 del 75% rispetto a un anno prima. Nei primi tre mesi del 2009 - segnala l'indagine sulle multinazionali di R&S, l'ufficio studi di Mediobanca - il fatturato delle 368 maggiori multinazionali nel mondo è sceso sensibilmente rispetto allo stesso periodo del 2008 mentre la loro «struttura finanziaria mostra diffusamente segni di maggiore disequilibrio». In particolare, il calo delle materie prime - in parte adesso già superato - fa calare del 43% il fatturato delle imprese del settore energetico, mentre scendono del 34,7% i mezzi di trasporto, del 32% la metallurgia e del 30% gli pneumatici e i cavi. E se scende il giro d'affari ancora peggio va al risultato netto, che a livello aggregato è in perdita per settori come i materiali da costruzione, i mezzi di trasporto, l'elettronica e la metallurgia. Dove i bilanci non passano in rosso il taglio dell'utile da un anno all'altro è comunque fortissimo. Si va dalla riduzione vicina al 50% per carta e telecomunicazioni al record positivo - «solo» un calo del 20% circa - della chimica. Proprio il settore chimico, però, è quello che dà i segnali più evidenti di un peggioramento della sua situazione finanziaria, pur rimanendo assai più in salute di altri settori. Se a inizio 2008 il rapporto tra i mezzi propri e i debiti finanziari nella chimica era infatti del 272%, a marzo di quest'anno era già sceso al 180%. Ma decisamente peggio va a chi mostra un'eccedenza di debito rispetto ai mezzi propri: è il caso degli pneumatici e cavi, con un rapporto mezzi propri/debito passato dal 94% al 62%, o delle utilities che calano dal 102 al 70%. Peggio di tutti il settore dei mezzi di trasporto, calato da un già non entusiasmante 57% al 27%. La crisi finanziaria, intanto, ha già rivoluzionato nel 2008 la classifica delle maggiori multinazionali al mondo. Sul gradino più alto del podio per capitalizzazione ci sono, grazie al boom del petrolio, i colossi del greggio. Ma l'americana ExxonMobil con un valore di Borsa di 291 miliardi circa, ruba il posto che l'anno prima era di PetroChina, ora solo seconda con 173 miliardi, mentre al terzo posto c'è Procter & Gamble, con 130 miliardi. ExxonMobil è anche la multinazionale più profittevole, seguita da Royal Dutch Shell e Gazprom. General Motors prima in quanto a maggiori perdite. E l'Italia? Come sempre il nostro paese non sembra territorio fertile per le multinazionali. Quelle presenti nella ricerca, con un fatturato superiore ai 3 miliardi, sono solamente 17: tra di loro la prima per dimensioni è l'Eni, all'ottavo posto nel mondo tra i colossi energetici con 108 miliardi di fatturato. Il loro contributo al fatturato aggregato europeo è pari al 7% contro il 21% della Germania e il 17% della Francia e a fine 2007 in media una multinazionale industriale italiana aveva 36.400 dipendenti, contro i 113mila della Germania e i 76.500 della Francia. Ad eccezione di Fiat e Telecom, poi, i maggiori campioni nazionali, che portano i nomi di Eni, Enel e Finmeccanica, sono pubblici tanto da configurare in Italia il maggior peso in termini di fatturato dello Stato (49% sul totale) rispetto agli altri Paesi europei.

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Presidio davanti alla DueGi e i titolari vanno in ferie (sezione: crisi)

( da "Stampa, La" del 19-06-2009)

Argomenti: Crisi

Presidio davanti alla DueGi e i titolari vanno in ferie Soltanto oggi si saprà il responso delle banche sulla concessione del finanziamento ponte di 1 milione 500 mila euro richiesto dalla proprietà della DueGi prefabbricati di Fossano per uscire dalla crisi finanziaria e ripartire con l'attività. La somma chiesta agli otto istituti di credito con cui l'azienda è in rapporti (Cassa di risparmio di Fossano, Intesa San Paolo, Unicredit, Monte dei Paschi di Siena, Banca Popolare di Novara, Credito Emiliano, Bnl e Cassa di risparmio di Savona) dovrebbe servire innanzitutto a pagare i tre mesi di stipendi arretrati ai 94 dipendenti e in secondo luogo ad acquistare le materie prime necessarie per portare a termine le commesse già in corso e accettarne di nuove. Perché come ricordato nei giorni scorsi la DueGi avrebbe buone prospettive per rimettersi in carreggiata, nonostante i debiti siano di circa 3,8 milioni di euro. Ieri è continuato il presidio di fronte ai cancelli della sede di frazione Loreto. Con una sorpresa amara per i lavoratori in attesa. Non solo non si è saputo ancora nulla sul destino dell'azienda, ma hanno assistito alla partenza del titolare e della moglie per una vacanza di qualche giorno. «E' stato uno schiaffo morale per i dipendenti che si trovano senza stipendio da mesi e che fino ai giorni scorsi hanno continuato a lavorare credendo in questa azienda - commenta Pasquale Stroppiana della Cgil -. Nonostante ciò, ancora una volta hanno dimostrato grande dignità, buttando giù questo ulteriore boccone amaro. Ma non so fino a che punto la situazione possa andare avanti». \

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Un miliardo di persone senza cibo (sezione: crisi)

( da "Corriere delle Alpi" del 20-06-2009)

Argomenti: Crisi

Un miliardo di persone senza cibo Allarme della Fao: con la crisi economica 100 milioni di denutriti in più L'organizzazione parla di mix letale tra recessione globale e aumento dei prezzi dei beni alimentari di Monica Viviani ROMA. Per la prima volta nella storia, le persone che nel mondo soffrono la fame hanno superato il miliardo. A denunciare il tragico primato è la Fao che sottolinea che si tratta 100 milioni di denutriti in più rispetto all'anno scorso e di circa un sesto della popolazione mondiale. E il problema riguarda anche 15 milioni di persone delle nazioni sviluppate. Mentre negli anni '80 e nella prima metà degli anni '90 c'è stato un miglioramento nella riduzione della fame nel mondo, nell'ultimo decennio si è invece assistito a una lenta ma continua crescita. Così alla fine quest'anno le bocche affamate raggiungeranno il livello storico di 1,02 miliardi con una crescita dell'11%: 642 milioni in Asia e nel Pacifico; 265 milioni nell'Africa Sub-Sahariana; 53 milioni in America Latina e nei Caraibi; 42 milioni nel vicino Oriente e nel Nord Africa 42 milioni; 15 milioni (con un incremento del 15,4% sul 2008) nei Paesi sviluppati. Questo aumento della fame a livello mondiale, spiega la Fao, non è la conseguenza di raccolti insoddisfacenti, ma della «combinazione letale» di crisi finanziaria globale (che ha ridotto i redditi e aumentato la disoccupazione) e dall'aumento dei prezzi alimentari. La situazione di crisi economica di alcuni paesi in via di sviluppo è anche aggravata dal fatto che i trasferimenti monetari (le rimesse) degli emigrati nei loro paesi d'origine sono diminuiti nel corso di quest'anno, causando una notevole riduzione delle riserve estere e dei redditi familiari. La diminuzione delle rimesse, insieme al previsto declino degli aiuti ufficiali allo sviluppo, ridurrà ulteriormente la capacità dei paesi di avere accesso al capitale necessario a sostenere la produzione e a creare reti di sicurezza e schemi di protezione sociale per i poveri. Mentre i prezzi alimentari sui mercati internazionali sono diminuiti nel corso degli ultimi mesi, i prezzi interni nei paesi in via di sviluppo sono invece scesi assai più lentamente. La Fao nota infine che i prezzi dei generi alimentari di base, sebbene siano diminuiti, restano ancora più alti del 24% rispetto al 2006, e del 33% rispetto al 2005. «Questa silenziosa crisi alimentare costituisce un serio rischio per la pace e la sicurezza nel mondo - ha dichiarato il direttore generale della Fao, Jacques Diouf -. Abbiamo bisogno di creare un largo consenso sul totale e rapido sradicamento della fame nel mondo, e intraprendere le azioni necessarie ad ottenerlo». Insomma «le nazioni povere - ha aggiunto - devono essere dotate degli strumenti economici e politici necessari a stimolare il loro settore agricolo» e «gli investimenti in agricoltura devono aumentare, perché, per la maggioranza dei paesi poveri, un settore agricolo in buone condizioni è essenziale per combattere i problemi della fame e della povertà, ed è un prerequisito per la crescita economica». Le proposte per far fronte all'emergenza mondiale saranno al centro del World Food Summit che ieri ha avuto il via libera della Fao e che a novembre riunirà a Roma i capi di stato di tutto il mondo.

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Tante offerte formative (sezione: crisi)

( da "Stampa, La" del 20-06-2009)

Argomenti: Crisi

Tante offerte formative che guardano alle esigenze di oggi Il prossimo anno accademico sarà un anno di importanti novità per la Facoltà di Economia che, con 10.126 iscritti complessivi (di cui 2.055 matricole), è la Facoltà dell'Università di Torino con il più elevato numero di studenti. In particolare, le principali novità sono le seguenti: nuovo polo didattico; nuova offerta formativa; modifiche al test di ingresso; internazionalizzazione e corsi di studio impartiti in inglese. Nuovo polo didattico. Per la prima volta da molti decenni la Facoltà è riunita in un'unica struttura, dopo aver lasciato definitivamente Piazza Arbarello e Palazzo del Lavoro, le matricole dell'a.a. 2009/2010 frequenteranno le lezioni presso il Nuovo Polo Didattico della Facoltà di Economia, in Corso Unione Sovietica 220, situato nel cortile del «Poveri Vecchi». La struttura, inaugurata ufficialmente mercoledì 17 giugno, ospita 4 grandi aule da oltre 400 posti l'una e diverse altre aule più piccole, tutte dotate delle più moderne ed efficienti attrezzature audio-video. Nuova offerta formativa. Visto il successo ottenuto dai corsi di studio proposti negli anni passati, la maggior parte dei corsi di laurea e di laurea magistrale è stata mantenuta, anche se il panorama delle lauree magistrali si è arricchito di alcuni nuovi corsi di studio. La Facoltà ha sfruttato l'occasione della riforma per razionalizzare e per migliorare la propria offerta formativa, tenendo conto delle esigenze manifestate dal mondo del lavoro e dagli studenti. Le lauree triennali attivate nell'a.a. 2009/2010 sono le seguenti: laurea in Banca, Borsa, Assicurazione; laurea in Commercio Internazionale; laurea in Economia Aziendale, articolata in nove percorsi: Economia e direzione imprese, Marketing, Amministrazione, finanza e controllo, Professioni contabili, E-business, Business & Management, Diritto e cultura d'impresa, Gestione d'impresa presso la sede di Biella e Direzione d'impresa presso la sede di Cuneo; laurea in Economia e Commercio, articolata in quattro percorsi: Economia, Economia e Diritto, Economia e management, Economia del territorio e dell'ambiente. Lauree magistrali: Business Administration; Economia e Direzione delle imprese; Economia e Diritto; Economia e Management internazionale;Economia, gestione e valorizzazione del Turismo; Economia, Istituzioni e Territorio; Economics; Finance and Insurance; Finanza aziendale e mercati finanziari; Management pubblico; Professioni contabili. Il dettaglio degli insegnamenti impartiti nelle diverse lauree e lauree magistrali è reperibile sul sito della Facoltà (www.econ.unito.it). Test di ingresso. Anche per l'a.a. 2009/2010 la Facoltà di Economia conferma, per le aspiranti matricole, il test di ingresso obbligatorio, non selettivo, bensì orientativo, che si terrà il giorno7 settembre 2009, con inizio alle ore 15. Come per gli anni passati, è necessario pre-iscriversi al test on line (www.unito.it) e confermare l'iscrizione presso il Centro immatricolazioni secondo le scadenze previste dall'Ateneo. Le innovazioni apportate al test sono però numerose. Innanzitutto, la sede. Il test avrà luogo nelle strutture della Facoltà di Economia, in Corso Unione Sovietica 218-bis e 220, Torino, grazie alla disponibilità delle aule del Nuovo Polo Didattico. Inoltre, gli studenti che manifesteranno, all'atto della pre-iscrizione online, l'intenzione di seguire i corsi nelle sedi di Biella e di Cuneo sosterranno il test presso le aule delle sedi decentrate. Un'altra importante novità riguarda le conseguenze del test. Il test che verrà affrontato dalle matricole il 7 settembre 2009 prevede, per la prima volta, meccanismi di incentivo/disincentivo legati ai punteggi ottenuti nel test. Infatti, gli studenti che otterranno un punteggio inferiore a 18 dovranno sostenere e superare prioritariamente gli esami di Matematica Generale e di Economia Aziendale, entrambi impartiti nel I semestre. Per fare in modo che questi studenti possano affrontare al meglio questo obbligo, verrà loro assicurato, durante il I semestre, un supporto aggiuntivo specifico (es.: esercitazioni, corsi integrativi) con cadenza settimanale ed a frequenza obbligatoria. Le matricole che otterranno al test un punteggio inferiore a 18 non potranno sostenere gli esami degli altri insegnamenti del I anno (e degli anni successivi) fino al conseguimento di una votazione positiva negli insegnamenti di Matematica Generale e di Economia Aziendale, dimostrando così di aver acquisito una solida preparazione di base in due materie fondamentali. Ma non sono stati previsti solo disincentivi: agli studenti immatricolati presso la Facoltà di Economia con i migliori 50 (cinquanta) punteggi conseguiti al test verrà consegnato, come premio, un notebook con il logo della facoltà! Internazionalizzazione e corsi di studio impartiti in inglese. La Facoltà di Economia continua il suo processo di internazionalizzazione che vede i propri studenti ed i propri docenti impegnati non solo in scambi in Europa attraverso il programma Erasmus, ma anche in altri Paesi, grazie a collaborazioni poste in essere direttamente dalla nostra Facoltà. Oltre agli accordi ormai consolidati (quattro Università negli USA e una Università in ciascuno dei seguenti Paesi: Canada, Corea, India, Australia), nel corso del 2009 si sono aggiunte nuove collaborazioni con altri atenei negli USA, a Taiwan, in Cina. Per favorire l'afflusso degli studenti stranieri a Torino e per consentire agli studenti italiani di prepararsi adeguatamente alle permanenze all'estero, anche per l'a.a. 2009/2010 la Facoltà di Economia conferma l'erogazione totalmente in inglese di un intero percorso (Business Management) della laurea triennale in Economia Aziendale. Inoltre, a partire dal prossimo anno accademico, l'offerta formativa vedrà anche l'erogazione in inglese di due lauree magistrali: la laurea magistrale di Economics e la laurea magistrale di Finance and Insurance. Tutti questi importanti cambiamenti sono il frutto del lavoro di tutto il corpo docente e dello staff didattico-tecnico-amministrativo della Facoltà guidata dal Preside, prof. Sergio Bortolani che, anche per il triennio 2008-2010, è coadiuvato nella sua attività da cinque Vice-Preside che presidiano altrettante aree strategiche: la prof.ssa Gabriella Racca, Vice-Preside Vicaria; il prof. Pietro Paolo Biancone, Vice-Preside per i Rapporti con le aziende; la prof.ssa Donatella Busso, Vice-Preside per la Didattica; il prof. Paolo Ghirardato, Vice-Preside per la Ricerca; la prof.ssa Stefania Ninatti, Vice-Preside per le Relazioni Internazionali. Sergio Bortolani Preside Facoltà di Economia

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l'auto di obama non aiuta il mercato - alessandro penati (sezione: crisi)

( da "Repubblica, La" del 20-06-2009)

Argomenti: Crisi

Pagina 26 - Economia IL MERCATO L´auto di obama non aiuta il mercato Sarebbero stato meglio spendere i 100 miliardi usati per salvare Gm e Chrysler per migliorare i servizi sociali ALESSANDRO PENATI In Italia, è stata Chrysler a tenere banco. Ma il fatto epocale è il fallimento di General Motors (GM): la più grande impresa al mondo fino agli anni ‘60, l´icona del capitalismo americano, prototipo del produttore di beni massa, culla di teoria manageriali e organizzazione del lavoro. Il suo fallimento coincide con quello dell´intera industria automobilistica: falliti GM, Chrysler e i maggiori produttori di componenti, rimane Ford, tenuta a galla da finanziamenti e garanzie statali. Ma soprattutto è la prima volta che il governo americano (come con Chrysler) interviene direttamente per promuovere e organizzare la procedura fallimentare, anche violando le priorità dei creditori, si sobbarca l´onere della ristrutturazione, e guida la riorganizzazione di un´azienda della quale è diventato il principale azionista. Il fatto in sé non sarebbe sorprendente, non fosse che il settore automobilistico americano è marginale, appena lo 0,8% del Pil; che la crisi negli Stati Uniti è prevalentemente nei settori finanziario e immobiliare; e che l´auto Usa era già da anni in evidente declino. La caduta della quota di mercato dal 50% al 20% era un chiaro segno che GM costruiva auto che la gente non voleva. Perché allora il coinvolgimento diretto dell´amministrazione Obama? Non per salvare fabbriche, stipendi e posti di lavoro. Il governo ha utilizzato la legge fallimentare per ristrutturare GM in modo drastico: 20.000 posti eliminati (oltre ai 90.000 degli ultimi anni); tagli di stipendi e benefici; la rete di vendita falcidiata; mezza dozzina di stabilimenti chiusi; e massicce cessioni di attività. Lo stesso copione usato per Chrysler. L´obiettivo non è neppure quello di indurre gli americani a comperare vetture che consumano poco: per questo bisognava aumentare le tasse sulla benzina, che costa un terzo della media europea. E per finanziare lo sviluppo di auto a basse emissioni, il Dipartimento dell´Energia ha già stanziato appositamente 25 miliardi. Inoltre, la via scelta di imporre un tetto ai consumi per legge è controproducente - riducendo il costo di funzionamento delle auto, se ne incoraggia l´utilizzo, e quindi i chilometri percorsi per auto - e pone il governo nella difficile condizione di dover regolamentare se stesso, essendo ora il principale azionista del settore auto. L´intervento statale non serve neanche a facilitare il raggiungimento di una dimensione ottimale in un´industria ancora troppo frammentata; che è il problema in Europa. Anzi, nel caso GM, lo Stato smantella uno dei tre veri produttori globali (con Toyota e Volkswagen), riducendola a una azienda nazionale, molto più piccola. L´unico risultato concreto ottenuto dall´intervento pubblico è quindi di attenuare l´impatto sull´occupazione di una ristrutturazione inevitabile, e di scegliere i manager che la porteranno a termine. Senza garanzie che questi riescano dove tanti hanno già fallito. Innescando però una reazione a catena con effetti potenzialmente distorsivi: GM sta usando i soldi pubblici per finanziare la cessione della società di componenti (Delphi) a un private equity; il settore dei prestiti auto di GM è stato trasformato in banca per ottenere le garanzie di Stato e i fondi della Fed, ma non quello di Caterpillar per i suoi bulldozer o di Harley-Davidson per le sue moto; senza contare l´effetto domino sugli altri Stati che sta scatenando il protezionismo finanziario (i casi Opel, Saab, Peugeot, Renault, ma anche gli aiuti pubblici a Ford da Usa, Brasile, Australia, e dalla Bce). Il costo per i cittadini americani è strabiliante: 100 miliardi solo per Chrysler e GM. Non c´è garanzia che siano spesi bene; o che siano gli ultimi. Forse sarebbero stato meglio usarli per migliorare gli ammortizzatori sociali negli Usa, lasciando la ristrutturazione al dinamismo dell´economia americana che, finanza e mattone a parte, da almeno 30 anni ha dato buona prova di sé.

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scissione, tribunali e nuova f1 ferrari e team ribelli: "via mosley" - marco mensurati silverstone (sezione: crisi)

( da "Repubblica, La" del 20-06-2009)

Argomenti: Crisi

Pagina 54 - Sport Silverstone, le scuderie maggiori se ne vanno. Il n.1 Fia: " Violazione contrattuale del Cavallino". Briatore: "Max non è più il nostro interlocutore" Scissione, tribunali e nuova F1 Ferrari e team ribelli: "Via Mosley" Il Consiglio federale si riunirà il 24 giugno. Il presidente: "Questa è tutta una recita" MARCO MENSURATI SILVERSTONE dal nostro inviato Ecclestone abbraccia un cocker poliziotto dell´antidroga inglese e si sforza di sorridere ai fotografi. Mosley meriggia negli uffici Fia, tutto solo, strapazzando il suo laptop. Briatore sembra una sentinella, dritto in piedi all´ingresso del motorhome Renault. La McLaren è un villaggio fantasma ormai da mesi. Solamente alla Ferrari c´è qualche forma di vita - oggi offrono gnocco fritto e mortadella per il 600esimo gp del loro uomo record, il fotografo-totem-eminenza grigia Ercole Colombo. Ma le facce, anche qui, non sono particolarmente entusiaste. Nel crepuscolo inglese, le macerie della Formula 1 sono battute da un vento gelido. Giovedì notte i team hanno annunciato l´intenzione di creare il mondiale alternativo. E, d´improvviso nessuno ha più voglia di parlare. E´ l´ora dei fatti. Come lo stesso Max Mosley ha dimostrato: "Gli avvocati stanno esaminando la situazione. Le azioni della Fota (l´associazione che riunisce tutti i team di F1 ad eccezione di Williams e Force India, ndr) e in particolare della Ferrari costituiscono una importante violazione contrattuale . La Fia procederà per vie legali", ha annunciato con un comunicato. Qualche giorno fa una notizia del genere avrebbe certamente innescato le solite reazioni. Ieri no. I team non hanno replicato. "Mosley non è più un nostro interlocutore", ha tagliato cortissimo Briatore, "non intendiamo fare alcun commento – ha chiosato la Ferrari – anche perché il 15 giugno scorso abbiamo avviato un arbitrato contro la Fia per gli stessi motivi…". Non che i team abbiano davvero deciso che sia meglio un campionato alternativo piuttosto che la Formula uno. Però hanno finalmente capito che trattare con Mosley è inutile. E quindi hanno posto la questione in maniera diversa: "Noi ce ne siamo andati via. Se ci rivolete sapete dove siamo e soprattutto quello che vogliamo: una F1 in mano ai professionisti, libera dalle bizze di Mosley". Il consiglio federale si terrà il prossimo 24 giugno: chi deve capire, capisca. Lui, mister Max ha capito che aria tira e ha cercato di riaprire uno spiraglio, millantando ottimismo: "Io non posso mollare, la crisi finanziaria non me lo permette. Sono certo che alla fine il prossimo anno i grandi team torneranno indietro, ora fanno così ma a marzo 2010, a Melbourne ci saranno. La loro è tutta una recita". Nei prossimi giorni dai siti internet degli otto team secessionisti partirà un grande sondaggio su scala planetaria per sceglie il nome della nuova serie. Sarà pure tutta una recita, però è ben fatta.

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la chiesa che preferisce l'obolo alla giustizia - francesco paolo rizzo (sezione: crisi)

( da "Repubblica, La" del 20-06-2009)

Argomenti: Crisi

Pagina I - Palermo Le idee La Chiesa che preferisce l´obolo alla giustizia FRANCESCO PAOLO RIZZO è recente la polemica scaturita dall´iniziativa della Conferenza episcopale italiana di soccorrere con un sussidio di 500 euro al mese un certo numero di famiglie ridotte in povertà a causa dell´attuale crisi economica. Su queste colonne Nino Alongi ne ha rilevato il limite di avere circoscritto il beneficio alle famiglie regolari con più di tre figli. E ha denunciato il fatto che altri casi ancora più drammatici quanto a miseria - purtroppo assai numerosi proprio in Sicilia - venissero esclusi dal pur meritevole provvedimento. Noi lettori siciliani, sensibili al grido di disperazione che si leva dagli emarginati della nostra maledetta isola, non possiamo non solidarizzare con tale fondato rilievo. Ma non possiamo fermarci a questo. Ben sappiamo che la necessità di compiere discriminazioni è insita in ogni azione benefica che emani dalla "carità privata". Questa è però, per definizione, la briciola che cade dalla mensa del ricco. Vorremmo dunque continuare a far finta di non capire che non della briciola ma della mensa oggi abbiamo bisogno? Vorremmo insomma, per dirla senza metafore, far finta di non capire che l´odierna crisi finanziaria ed economica richiede una profonda - e coraggiosa - ridistribuzione della ricchezza? Si dirà - e a ragione - che siffatto compito incombe specialmente sulle pubbliche istituzioni. SEGUE A PAGINA XIV

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"ora le bugie del mercato sono sotto gli occhi di tutti" - giampaolo cadalanu (sezione: crisi)

( da "Repubblica, La" del 20-06-2009)

Argomenti: Crisi

Pagina 15 - Esteri Parla Jean Ziegler, ex relatore speciale dell´Onu sul diritto al cibo "Ora le bugie del mercato sono sotto gli occhi di tutti" "La crisi uccide i più poveri, ma almeno costringe la gente a pensare e così avvia il cambiamento" GIAMPAOLO CADALANU Jean Ziegler, ex relatore speciale dell´Onu per il diritto al cibo, oggi consigliere per i Diritti umani, non si stupisce per le cifre della Fao. Come giudica il raggiungimento di quota un miliardo di affamati? «è il più grande scandalo dei nostri tempi. La stessa Fao dice che l´agricoltura, così com´è oggi, è in grado di nutrire appieno dodici miliardi di persone. Invece ogni cinque secondi muore di fame un bambino, ed è un assassinio. è un problema di accesso al cibo. E la responsabilità è di questo ordine mondiale cannibale, costruito dall´oligarchia del capitale finanziario. è un ordine mondiale omicida e allo stesso tempo assurdo, perché uccide senza motivo». Le tre agenzie dell´Onu, Fao, Wfp e Ifad, lo hanno detto apertamente: stavolta non ci sono siccità, alluvioni o cattivi raccolti, stavolta le colpe sono umane. è d´accordo? «Non potrei esserlo di più. La crisi finanziaria si sfoga soprattutto sui diseredati: colpisce nella favelas brasiliane, negli slum di Karachi, in Africa. Nel mondo 57 lavoratori su cento sono contadini, eppure la fame c´è ancora». Quali sono i meccanismi perversi della crisi finanziaria? «La crisi del cibo ha due motivi principali: il primo è la speculazione sui beni di alimentazione primaria, che ha fatto crescere i prezzi dei cereali di base fino all´83 per cento. Il secondo è la produzione di biocarburanti, che pure ha motivazioni non insensate. Ma se si pensa alla fame... Un esempio: per un pieno di 50 litri di bioetanolo bisogna bruciare 358 chili di mais. La stessa quantità permette a un bambino dello Zambia o del Messico di vivere per un anno». Lei è autore di saggi molto duri sui meccanismi che producono la fame. Nell´ultimo, L´odio dell´occidente, che in Italia uscirà per l´editore Tropea, c´è comunque una vena di ottimismo. Perché? «La crisi provoca terribili sofferenze nei paesi poveri, ma costringe la gente a pensare. E spazza via l´oscurantismo neoliberista, svelando una volta e per tutte che il dogma del mercato come forza capace di aggiustare tutto è solo una bugia». Da questa coscienza può nascere il cambiamento? «Ne sono convinto. Oggi il 52 per cento del Prodotto lordo del pianeta è in mano a 500 multinazionali. Ma se lo Stato torna nel suo ruolo, a ribadire che l´interesse fondamentale è il bene collettivo, la dittatura può essere battuta. Credo che i segni del cambiamento si vedano già, per esempio in Francia. Come diceva Marx: i rivoluzionari devono saper sentire l´erba che cresce».

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mercati, decolla la super-vigilanza ue - andrea bonanni (sezione: crisi)

( da "Repubblica, La" del 20-06-2009)

Argomenti: Crisi

Pagina 28 - Economia Mercati, decolla la super-vigilanza Ue Il Consiglio europeo vara due authority. Ma sui salvataggi bancari decideranno gli Stati ANDREA BONANNI dal nostro corrispondente Bruxelles - Dieci mesi dopo il punto più critico della crisi finanziaria, l´Unione europea ha deciso ieri di dotarsi di un sistema di sorveglianza comune che farà da «cappello» alle autorità di controllo nazionali, ma che avrà priorità su di esse. Di fatto, e nonostante le resistenze britanniche, è un altro importante pezzo di sovranità nazionale che viene devoluto a livello europeo. L´accordo politico raggiunto ieri al vertice di Bruxelles dai capi di governo dell´Unione segue sostanzialmente le indicazioni proposte dalla Commissione di Bruxelles, che ora sarà incaricata di predisporre i meccanismi legislativi dettagliati in grado di dare vita alla sorveglianza europea. Questa dovrà essere pienamente operativa entro il 2010, in anticipo su quanto era stato suggerito dal rapporto "La Rosiére". Gli organismi sovranazionali incaricati di sorvegliare sul buon funzionamento dei mercati finanziari saranno articolati su due livelli. Sul piano macro-economico, lo European Systemic Risk Board (Esrb) valuterà in permanenza i rischi per la stabilità del sistema finanziario, avrà il potere di far scattare allarmi, emettere raccomandazioni e controllare che le misure suggerite vengano adottate. Il presidente dell´Esrb sarà eletto dal Consiglio della Bce. Sul piano micro-economico la Ue si doterà invece di un sistema di supervisione finanziaria, lo European System of Financial Supervisors (Esfs), composto da tre authorities rispettivamente per il sistema bancario, assicurativo e delle Borse. Queste tre autorità avranno il compito di stabilire congiuntamente un «Libro delle regole uniche europee» che si applicheranno «a tutte le istituzioni finanziarie del Mercato Unico». Inoltre, ciascuna nel suo settore, le tre Autorità avranno compiti di supervisione sia dei gruppi transfrontalieri sia del lavoro svolto dalle autorità di controllo nazionali. L´Esfs avrà poteri di decisione vincolanti sia nel caso di contrasti tra differenti autorità di controllo nazionali, sia nel verificare che queste seguano il nuovo codice di regole comuni. Inoltre avrà potere di supervisione sulle attività delle agenzie di rating. I britannici, che in nome degli interessi della City si erano a lungo opposti alla nascita di una autorità europea in grado di interferire e di prevalere sulle autorità di controllo nazionali, alla fine si sono dovuti piegare. L´unico punto su cui Gordon Brown l´ha avuta vinta è nello stabilire il principio che i poteri delle autorità di controllo federali non potranno interferire con la sovranità nazionale in materia di bilanci pubblici. Gli interventi di salvataggio di banche e gruppi finanziari restano dunque di competenza dei singoli governi che vi impegnano i soldi dei contribuenti. Secondo quanto ha dichiarato Berlusconi, il vertice europeo si è chiuso su una nota di ottimismo: «Diffondiamo più fiducia perché le cause della crisi sono, a questo punto, eminentemente psicologiche», attribuendo questa filosofia al Consiglio europeo. Tuttavia nelle conclusioni finali il documento dei capi di governo afferma che «l´Unione Europea si confronta ancora con gli effetti della più profonda e diffusa recessione del Dopoguerra. L´Ue continuerà a sviluppare e mettere in atto le misure necessarie per far fronte alla crisi».

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LE FERITE APERTE DEI PIÚ PICCOLI (sezione: crisi)

( da "Unita, L'" del 20-06-2009)

Argomenti: Crisi

LE FERITE APERTE DEI PIÚ PICCOLI Congo, Sudan, Pakistan, Sri Lanka... L'allarme dell'Unicef sui bambini costretti a combattere o a prostituirsi, stuprati e affamati Un grido d'allarme disperato. Un quadro agghiacciante. Un rapporto che scuote, o dovrebbe farlo, le coscienze. E che pone i potenti della Terra di fronte a responsabilità pesantissime. Nessuno può dire: non sapevo. Stuprati, arruolati negli eserciti, obbligati a prostituirsi: ben 21 milioni di bambini nelle zone di guerra di tutto il mondo incontrano questo destino. Nei migliori dei casi, soffrono la fame e non conoscono l'istruzione; nel peggiore, muoiono. È la fotografia dell'infanzia violata, presentata dall'Unicef in vista della Giornata mondiale dei profughi che cade oggi, 20 giugno. Negli ultimi decenni - ricorda l'Unicef- i bambini sono stati sempre più coinvolti nei conflitti in corso in tutto il mondo, sfruttati nelle guerre degli adulti come facchini, servitori, schiavi sessuali e anche come soldati Sono 42 milioni i profughi nel mondo, uno su due è minorenne. In alcuni Stati, come la Repubblica Democratica del Congo (Rdc), la situazione è drammatica. La sorte di quattro sorelle congolesi ne è la sintesi: i soldati di una milizia le hanno violentate tutte. Una di loro era una bambina, di soli tre anni. È morta. Julien Harneis, direttore dell'Ufficio Unicef di Goma, Congo orientale, racconta della catastrofe nell'Est del Paese. «I profughi sono più di un milione, di cui molte donne e bambini, che vivono in estrema povertà, soffrono la fame, sono vittime di violenze e rapimenti», ha detto.Nella sola provincia di Kivu Sud, ci sono stati 2.283 stupri nel 2008. Quelli non rilevati sono ancora di più e solo il 6% delle vittime ha ricevuto soccorso nelle prime 72 ore. Quando le scuole non vengono bruciate, diventano centri di reclutamento per le forze armate: per l'Unicef ci sono ancora almeno 8.000 soldati bambini inquadrati nell'esercito. «La situazione peggiorerà nelle prossime settimane: si prevede un'azione militare di truppe congolesi e ruandesi», sottolinea Harneis.La Rdc è per l'Unicef «uno dei peggiori Stati al mondo dove nascere. Un posto dove tra chi ha meno di cinque anni, il 38% soffre di malnutrizione cronica e il 20% muore per malaria, diarrea o infezioni respiratorie. Neppure una persona su due ha l'acqua potabile». Nel mondo ci sono poi 100 milioni di bambini che non vanno a scuola, la metà vive in zone in conflitto, dove gli stupri sono usati sempre di più come arma di guerra. Sono Paesi dove i bambini, costretti a scappare, sono obbligati a prostituirsi o a imbracciare un'arma. È una scelta che i minori fanno spesso per disperazione, per uno dei 56 eserciti che non rispetta il divieto di arruolarli.«Non solo in Congo i minori vivono in condizioni disperate - riflette Rudi Tarneden, portavoce dell'Unicef in Germania, il Paese dove l'agenzia dell'Onu per l'infanzia ha presentato in anteprima il rapporto - . Tutti i profughi provengono da Paesi in via di sviluppo, dove la popolazione è di giovanissimi». Solo in Iraq, ha aggiunto, «i profughi sono più di due milioni e mezzo e vivono in condizioni estreme. Molti sono bambini. Anche quando trovano riparo da parenti o amici, non hanno mezzi di sussistenza».«A causa delle operazioni militari contro i talebani in Pakistan, ci sono circa 2,5 milioni di profughi, tanti vivono in campi di fortuna - ha spiegato Tarneden -. I bambini non hanno sostentamento ed è estremamente ridotta la possibilità di andare a scuola o di essere vaccinati». Dalla fine della guerra civile in Sri Lanka, poi, «nel Nord dell'isola oltre 300mila persone, tra cui molte donne e bambini, vivono in un grande campo, in condizioni durissime. E non è neanche sicuro se potranno tornare a casa», aggiunge. L'ultima considerazione è un appello e, al tempo stesso, un potente j'accuse rivolti ai potenti della Terra: «Mentre l'attenzione dell'opinione pubblica si concentra soprattutto sulla crisi finanziaria, il dolore dei bambini che vivono in Congo, Sudan, Pakistan e Sri Lanka rischia di finire nel dimenticatoio», denuncia l'Unicef.

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Ue, nuove regole Truffa Ponzi , arrestato texano (sezione: crisi)

( da "Manifesto, Il" del 20-06-2009)

Argomenti: Crisi

DIARIO DELLA CRISI Ue, nuove regole Truffa «Ponzi», arrestato texano Carlo Leone Del Bello Dopo gli Stati uniti d'America, anche l'Unione europea, con la riunione del Consiglio tenuta ieri, si sta muovendo verso un sistema più coerente e efficiente di regolamentazione dei mercati finanziari. Il nuovo sistema dovrebbe essere in piedi nel 2010, mentre entro ottobre di quest'anno la Commissione europea presenterà le proposte legislative specifiche. Quello che emerge dai lavori del Consiglio è che il nuovo assetto sarà caratterizzato dalla presenza di due super-autorità federali, dotate di notevoli poteri: l'European systemic risk board e il Sistema europeo di supervisori finanziari. Il primo dovrà occuparsi di monitorare i rischi e le minacce potenziali alla stabilità finanziaria, lanciando avvertimenti e raccomandazioni ove necessario. Il secondo, più importante, si occuperò di vigilanza micro (informativa e ispettiva) e macroprudenziale (identificazione di potenziali rischi per la stabilità delle istituzioni). Questo ente avrà il potere di scavalcare le autorità di vigilanza nazionali, imponendo un unico «manuale di condotta» - ancora da scrivere - applicabile a tutte le istituzioni finanziarie del mercato unico europeo. Negli Usa intanto non avrà una gestazione facile il piano di riforma della regolamentazione finanziaria annunciato in pompa magna dal presidente Barack Obama. In particolare si starebbe formando una sorta di sbarramento bipartisan alla proposta di accrescere i poteri della Federal reserve e dotarla di compiti di supervisione sistemica. Chris Dodd, democratico e presidente del comitato del senato per gli affari bancari, pur non dichiarandosi contrario a priori, ha ricordato come accrescere i poteri della Fed sarebbe come «dare un'auto più veloce e potente a un figlio che ha appena sfasciato l'auto di famiglia». A proposito di finanza da regolare, è stato arrestato ieri dall'Fbi Allen Stanford, un finanziere texano che già in febbraio era sospettato di condurre uno «schema Ponzi» basato ad Antigua. La truffa, sostanzialmente una catena di sant'Anonio dove gli investitori vecchi vengono remunerati da quelli nuovi, ammonterebbe a 8 miliardi di dollari. Un dilettante se paragonato a Bernard Madoff, che di miliardi ne ha fatti «sparire» 65. Finanza a parte, Obama si trova a fronteggiare la continua emorrargia di posti di lavoro. Secondo il consenso comune, la disoccupazione continuerà infatti ad aumentare per un altro anno, anche quando la «ripresa» sarà iniziata. Per giunta, la perdita di posti di lavoro colpisce il paese in modo asimmetrico: il tasso di disoccupazione supera il 10% in molti stati. Nel Michigan i senza lavoro hanno superato il 14%, mentre in altri stati tradizionalmente «ricchi», come Florida e la California, il tasso ha raggiunto il livello più alto dal 1976, battendo anche il record della durissima recessione dei primi anni ottanta. Proprio in California ora incombe un'ulteriore minaccia, quella del downgrade del rating su 74 miliardi del suo debito pubblico da parte di Moody's. Lo stato si trova alle prese con un deficit da 24 miliardi. L'aria di vacanza intanto si preannuncia gelida per le compagnie aeree che, causa recessione, trasporteranno molti meno turisti in mete esotiche. Air France ha annunciato che potrebbe tagliare fino a 3 mila posti, probabilmente solo riducendo il naturale turnover. Molto diverso l'approccio di Air India, che per problemi di liquidità ritarderà il pagamento degli stipendi di luglio dei manager. A vedersela brutta sono però anche i 30 mila dipendenti «comuni»: i sindacati hanno annunciato scioperi nel caso in cui la società non dovesse pagare gli stipendi.

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Come si scrive la quiete dopo la tempesta (finanziaria) (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 20-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMA data: 2009-06-20 - pag: 1 autore: ISTITUZIONI E GOVERNANCE Come si scrive la quiete dopo la tempesta (finanziaria) di Lorenzo Bini Smaghi I l Consiglio europeo ha approvato modifiche significative nel dispositivo istituzionale dell'Unione Europea per la supervisione e la regolamentazione finanziaria. Sono indubbiamente riforme importanti in particolare, ma non solo, nel contesto della crisi finanziaria iniziata nell'agosto 2007. E la Bce è interessata a queste riforme, in particolare all'aspetto macro-prudenziale, vale a dire alla creazione di un Comitato europeo per il rischio sistemico. La supervisione macro-prudenziale trae origine dal fenomeno di rischio sistemico. Nel 2000 Andrew Crockett – all'epoca direttore generale della Banca dei Regolamenti Internazionali e presidente del Forum per la Stabilità Finanziaria – aveva descritto in modo particolarmente illuminante la natura e la necessità di una politica di supervisione macro-prudenziale. Crockett sosteneva che dovevamo «consolidare un cambiamento di prospettiva già in atto, e integrare la prospettiva microprudenziale con una maggiore consapevolezza e attenzione nei confronti dell'aspetto macro prudenziale». Continua u pagina 2 l'articolo prosegue in altra pagina

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Basi nuove per valutare il rischio (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 20-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: IN PRIMO PIANO data: 2009-06-20 - pag: 2 autore: Basi nuove per valutare il rischio Modelli di supervisione più raffinati in grado d'identificare i fattori critici e disinnescarli di Lorenzo Bini Smaghi u Continua da pagina 1 N ella sua definizione, lo scopo della supervisione macro-prudenziale era di limitare la probabilità di fallimento, e i relativi costi, di porzioni significative del sistema finanziario (suscettibili di rischio sistemico). Sull'altro versante,l'obiettivo micro- prudenziale può essere considerato come quello di limitare la probabilità di fallimento di singoli istituti (suscettibili di rischio idiosincratico). Dalla prospettiva odierna, la distinzione pare rilevante così come lo era dieci anni fa. Tuttavia l'esperienza della crisi attuale e la storia delle crisi passate, nonché le trasformazioni dei sistemi finanziari moderni, ci chiedono di andare oltre. Dovremmo per esempio chiederci quale deve essere la portata della supervisione macroprudenziale. Distinguerei due dimensioni. La prima è l'analisi e il monitoraggio del rischio. La seconda è il contenimento dei rischi già identificati, il quale richiede strumenti specifici. Quale quadro istituzionale dovrebbe sorreggere la supervisione macroprudenziale? Un tale quadro implica inevitabilmente due attori principali:la banca centrale e l'autorità di vigilanza sulle istituzioni e sui mercati finanziari. Quest'ultima ha le informazioni sui singoli operatori e sugli andamenti dei mercati, ed è responsabile per la stabi-lità delle istituzioni creditizie. La banca centrale dispone delle capacità analitiche per valutare il rischio macroeconomico e gli sviluppi globali dei mercati finanziari. Un sistema ben funzionante richiede un flusso completo d'informazioni:dall'autorità di vigilanza alla banca centrale, per fornire tutte le informazioni rilevanti per monitorare e analizzare i rischi, e viceversa, dalla banca centrale all'autorità di vigilanza per fornirgli il risultato dell'analisi del rischio e accertare che le misure appropriate siano state implementate. è essenziale che ci sia una ripartizione chiara di responsabilità, per fornire alle due istituzioni gli incentivi adatti a conseguire risultati attraverso la cooperazione, evitando conflitti che portano a risultati disastrosi. Per semplificare l'analisi delle opzioni disponibili, baserò la mia analisi sulla Turner Review. In breve, la Turner Review assegna alla banca centrale la responsabilità di effettuare l'analisi dei rischi sistemici, ma considera tre modelli diversi per quel che riguarda l'attuazione delle misure per contenere tali rischi. Nel Modello 1, la banca centrale identifica i rischi sistemici e fa raccomandazioni all'autorità di vigilanza microprudenziale che stabilisce le azioni da mettere in atto per affrontare tali rischi. Nel Modello 2, non solo la banca centrale è incaricata di identificare i rischi, ma è anche in grado di prendere le misure macroprudenziali appropriate o di richiedere all'autorità di vigilanza micro-prudenziale di metterle in atto. Nel Modello 3, un comitato congiunto, composto da rappresentanti della banca centrale e dall'autorità di vigilanza, decide le misure da adottare. A mio parere, il terzo modello è il meno adeguato, perché rischia di confondere le responsabilità della banca centrale e dell'autorità di vigilanza. Eventuali dissensi tra la banca centrale e l'autorità di vigilanza all'interno del comitato non potrebbero essere resi pubblici, perché ciò minerebbe la credibilità delle decisioni. Ciò significa che di fatto l'autorità di vigilanza ha un diritto di veto sulla banca centrale. Se alle due componenti del comitato fosse consentito di dissentire pubblicamente, il Modello 3 diventerebbe molto simile al Modello 1 in cui le divergenze sono rese pubbliche e l'autorità di vigilanza ha l'onere di spiegare perché non concorda con la banca centrale e non agisce come essa suggerisce.Un altro svantaggio del Modello 3 emerge quando l'autorità di vigilanza non è indipendente dall'autorità politica. Non mi dilungherò sulla necessità di tale indipendenza, ma a mio avviso la crisi recente se non altro l'ha fortemente confermata. Guardando ai vari paesi europei, sarebbe interessante verificare finoa che punto, durante la crisi recente, i problemi d'insolvenza delle banche sono emersi soprattutto laddove la vigilanza sul sistema bancario non è effettuata dalla banca centrale, e laddove l'indipendenza dell'autorità di vigilanza ( anche in termini finanziarie istituzionali) è meno protetta di quella della banca centrale. Inoltre, nel contesto dell'Unione Europea, il Modello 3 sarebbe particolarmente difficile da applicare in quanto richiederebbe un accordo tra molteplici autorità di vigilanza nazionali, a meno che non si arrivi a una situazione in cui le banche centrali e le autorità di supervisione siano rappresentate ciascuna da una singola istituzione europea. Nel sistema attuale le banche centrali possono essere rappresentate dalla Bce, ma i supervisori non hanno ancora un sistema analogo. I Modelli 1 e 2 consentono di ripartire più chiaramente le responsabilità, alla banca centrale e all'autorità di vigilanza. Nel valutare i due modelli, un punto chiave di cui tenere conto riguarda i potenziali conflitti d'interesse, in particolare quelli interni alla banca centrale e all'autorità di vigilanza. Consideriamo i conflitti d'interesse interni alla banca centrale, che emergerebbero in particolare nel Modello 2, tra l'obiettivo della stabilità dei prezzi e quello della stabilità macrofinanziaria. Sorgerebbe un conflitto se la banca centrale dovesse mirare ai due obiettivi con un unico strumento: il tasso d'interesse.La banca centrale potrebbe essere spinta a usare tale strumento non soltanto per conseguire la stabilità dei prezzi, ma anche per contrastare l'emergere di rischi sistemici. Per esempio, potrebbe rialzare anzitempo i tassi d'interesse per impedire che si sviluppi una bolla finanziaria, mentre i sottostanti sviluppi economici non lo richiedono. Il tasso d'interesse non è necessariamente il modopiù efficace per prevenire una bolla o per farla scoppiare. Il conflitto d'interesse svanirebbe se la banca centrale disponesse di due strumenti distinti, uno per ciascun obiettivo.Il tasso d'interesse verrebbe utilizzato con l'obiettivo della stabilità dei prezzi e le misure macroprudenziali con l'obiettivo della stabilità finanziaria sistemica. Durante la crisi attuale, la Bce ha dimostrato che una simile separazione è possibile. Da un lato, il tasso d'interesse è stato usato per conseguire la stabilità dei prezzi,e dall'altro le iniezioni di liquidità sono state usate per stabilizzare il mercato monetario. Ogni misura è stata adottata e giustificata pubblicamente in modo da mantenere distinti i due obiettivi. Nell'insieme, l'esperienza indica che il tasso d'interesse e gli strumenti macroprudenziali sono piuttosto complementari e non fanno sorgere conflittid'interesse... Il Rapporto de Larosière ha optato per il Modello 1. Ha suggerito la creazione di un Consiglio europeo del rischio sistemico (Cers), nell'ambito della Bce. Il consiglio generale della Bce è formato dai governatori delle banche centrali dei 27 stati membri dell'Unione Europea, più il presidente e il vice-presidente della Bce. Il Consiglio sarebbe aperto a una serie di osservatori, come la Commissione, le tre autorità che stanno per essere create a partire dai tre Comitati Lamfalussy ( per banche, mercati e assicurazioni), e le 27 autorità di vigilanza nazionali. Il Cers potrebbe emettere raccomandazioni miranti a identificare e a correggere vulnerabilità sistemiche, mentre le autorità di vigilanza nazionali sarebbero responsabili della loro applicazione. Come ho detto in precedenza, questo modello genera problemi di uniformità di trattamente all'interno del mercato unico.L'esperienza degli ultimi anni ha mostrato che le autorità nazionali tendono a usare a propria discrezione il margine di manovra lasciato dalla legislazione europea. Ciò potrebbe accadere anche nel caso delle raccomandazioni del Cers. Infine il Rapporto de Larosière non ha previsto disposizioni separate per la zona euro. Saremo quindi nella strana situazione in cui i paesi che non hanno adottato l'euro avranno due livelli di analisi e di decisione sul rischio sistemico, unoa livello dell'Unione Europea e l'altro a livello nazionale, mentre i paesi della zona euro avranno solo quello dell'Unione Europea. A meno che, com'è ovvio, la Bce non decida di colmare il vuoto e di emettere essa stessa raccomandazioni specifiche per la zona euro e per i paesi che vi partecipano. Una proposta chiave contenuta nel Rapporto de Larosière è l'obbligo per i supervisori microprudenziali nazionali di fornire alla Bce tutte le informazioni necessarie per l'analisi dei rischi per conto del Cers. Tra il Rapporto de Larosière e le Conclusioni del Consiglio europeo appena adottate, c'è stata una lunga discussione tra i paesi membri, basata su una proposta della Commissione. I principali contenuti sono stati conservati. Il Comitato- e non più il "Consiglio"- per il rischio sistemico (Cers) ha il potere di fare raccomandazioni, ma non di ap-plicare direttamente i provvedimenti. Si appoggerà analiticamente e logisticamente alla Bce.Quest'autunno la Commissione presenterà proposte che preciseranno ulteriormente i nuovi dispositivi istituzionali. Occorre infatti altro lavoro per elaborare nei dettagli il quadro istituzionale del Cers, nonché per le nuove autorità europee incaricate della supervisione microprudenziale. La crisi recente ha dimostrato l'importanza di poter disporre di una supervisione macroprudenziale per promuovere la stabilità finanziaria. C'è molto da fare per attrezzare le istituzioni competenti con gli strumenti analitici in grado di valutare e monitorare il rischio sistemico e con una cassetta degli attrezzi adeguata per contenere tali rischi. Più passa il tempo, e più i mercati finanziari mostrano segni di stabilizzazione, più emerge il rischio che sfumi il senso d'urgenza per le riforme. Più si rafforzano le tendenze nazionalistiche e le gelosie istituzionali. Aumentano le forze che vogliono mantenere lo statu quo. Se tali forze non vengono contrastate con fermezza, questa crisi potrebbe diventare un'occasione persa. E la prossima crisi potrebbe farsi più vicina. L'autore fa parte del comitato esecutivo della Bce. Il testo è tratto dalla relazione «Andare avanti: regolamentazione e supervisione dopo la tempesta finanziaria» presentata al «Finlawmetrics 2009» in Università Bocconi. Il testo integrale in inglese e la traduzione in italiano sono disponibili sul sito del Sole 24 Ore (Traduzione di Sylvie Coyaud) ANDARE OLTRE La vicenda della crisi attuale e la storia dei precedenti casi suggeriscono di cambiare passo e ridiscutere i meccanismi e le dinamiche dei controlli FLUSSI COLLABORATIVI Un sistema ben funzionante richiede scambi completi d'informazioni: dall'autorità di vigilanza alla banca centrale con ripartizioni di responsabilità Stabilità. La tempesta finanziaria rilancia regolamentazione e supervisione. Nella foto una scultura per l'«Aida» di Giuseppe Verdi che verrà rappresentata al festival di Bregenz in Austria EPA

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La Total licenzia chi sciopera (sezione: crisi)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 20-06-2009)

Argomenti: Crisi

Il Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-06-20 - pag: 11 autore: Gran Bretagna. è la stessa raffineria in cui a gennaio c'era stata la rivolta contro l'assunzione di italiani La Total licenzia chi sciopera Linea dura contro 650 dipendenti che contestavano i piani di tagli Nicol Degli Innocenti LONDRA La scena di ieri è la stessa di sei mesi fa: centinaia di lavoratori inglesi che presidiano la raffineria di Lindsey, scandendo slogan contro la Total, proprietaria dell'impianto, issando bandiere britanniche e cartelli che chiedono «British jobs for British workers», ricordando l'incauta promessa del premier Gordon Brown di posti di lavoro riservati ai cittadini britannici. Questa volta però gli operai inglesi non protestano contro l'utilizzo di lavoratori italiani. La disputa è partita dal licenziamento di 51 operai l'11 giugno da parte della Shaw, una ditta che aveva avuto un subappalto dalla Total. Oltre 1.200 operai hanno avviato uno sciopero selvaggio, senza consultare i sindacati, per protestare contro i licenziamenti. Total ha scelto la linea dura contro gli scioperi non autorizzati e ha licenziato in tronco circa 650 dei lavoratori coinvolti. Ieri centinaia di operai in diverse raffinerie e centrali in tutta l'Inghilterra e il Galles hanno incrociato le braccia per solidarietà con i loro colleghi di Lindsey, creando il timore che un'escalation della disputa potrebbe portare a black-out energetici nel Paese. A fine gennaio la raffineria di Lindsey, la terza per dimensioni in Gran Bretagna, era diventata il simbolo della crescente ostilità all'utilizzo di manodopera straniera in un periodo di crisi economica e disoccupazione in aumento. Per una settimana gli operai inglesi avevano scioperato e manifestato contro l'utilizzo di lavoratori italianie portoghesi da parte della società italiana Irem, che aveva ottenuto un subappalto dalla Total. Il Governo aveva definito la protesta il sintomo di un pericoloso protezionismo, ma gli scioperi si erano anche allora rapidamente allargati ad altri impianti e centrali di proprietà di altre società europee come E.On, Edf, Rwe e Shell. La crisi si era risolta con un compromesso: i lavoratori italiani e portoghesi avrebbero continuato a lavorare normalmente, ma la Total avrebbe assunto anche oltre 100 operai del posto. I sindacati avevano cantato vittoria. La disputa di gennaio è cruciale per la risoluzione dello sciopero in corso ora. Secondoi sindacati e i lavoratori, all'epoca per risolvere la questione la Total si era impegnata a non licenziare alcun operaio britannico almeno fino a quando i lavoratori stranieri avrebbero continuato a lavorare. La società francese avrebbe quindi violato i patti. La Total nega in modo categorico di avere siglato un accordo in tal senso. Ieri, nonostante i tentativi dei sindacati che ora cercano di mediare tra gli scioperanti "selvaggi" e la società, non si è neanche arrivati al tavolo delle trattative: le posizioni sono troppo lontane. Bernard McAuley, National officer del sindacato Unite, che ha passato la giornata a cercare di organizzare un incontro tra le parti, ha dichiarato che un compromesso è necessario ma che la decisione di Total di licenziare gli operai è stata «davvero vergognosa». Total ha offerto un solo ramoscello di ulivo: se i lavoratori licenziati faranno domanda per tornare al lavoro entro questo fine settimana, lunedì verranno di nuovo assunti. Il manager della raffineria, Bob Emmerson, ha detto che la società «non è contraria alle trattative ma se la gente non torna al lavoro non possiamo avviarle. Ci sono delle procedure concordate con i sindacati che vanno rispettate». Il licenziamento dei 51 operai che ha scatenato lo sciopero è stato dovuto al fatto che il progetto al quale lavoravano era finito e non c'era più bisogno della loro manodopera, ha spiegato Total, mentre i sindacati insistono che altri operai sono poi stati assunti per fare lo stesso lavoro. Il Governo britannico ha criticato lo sciopero selvaggio. Un portavoce di Downing Street ha dichiarato ieri che «uno sciopero non autorizzato non è mai la risposta giusta a problemi nelle relazioni industriali». Per ora l'impianto di Lindsey continua a operare nonostante le proteste, raffinando 223mila barili di petrolio al giorno. «La produzione- ha assicurato ieri Emily Cooper, portavoce della Total - non è stata minimamente intaccata dallo sciopero. Si tratta di un progetto completamente separato dalla raffineria e ancora in fase di costruzione». I lavoratori licenziati stavano costruendo un impianto di desulfurizzazione accanto alla raffineria. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL CONTENZIOSO I lavoratori accusano l'azienda di non aver rispettato l'impegno a garantire i loro posti La replica: è falso «Il lavoro agli inglesi». Operai della raffineria di Lindsey durante la protesta contro la Total REUTERS

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E adesso salviamo la globalizzazione (sezione: crisi)