HOME   PRIVILEGIA NE IRROGANTO           di Mauro Novelli            

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SUPPLICA

 

DEGLI STAMPATORI E LIBRAJ D’ITALIA

 

AL PAPA   PIO VI.

 

PER IL LIBERO SMERCIO DEI LORO LIBRI.

 

 

 

Dal Torchio al Sacro Fuoco è breve il passo.

 

 

 

 

 

CEILLAN – CATAI – TIBET

1785.

 

 

 

 

A CHI LEGGE.

 

 

Vi  è a Roma stabilita da lungo tempo una Congregazione dell’Indice, a cui si attribuisce il diritto di esaminare i Libri. Molti di essi sono inseriti in detto Indice, e allora la lettura deve essere proibita, o assolutamente, o donec corrigantur. Ciò che sembra più singolare è che parecchi Libri di Pietà, e di Morale sono stati da essa condannati, specialmente quelli nati di là dai Monti, che nei due Secoli passati le erano i più sospetti. A poco a poco la sua diffidenza si è accresciuta a misura, che si è veduto diminuire il suo credito. Anche la nostra Italia le fornisce adesso della materia per ingrossare il suo Indice, che comparisce ogni anno sempre più voluminoso del solito. In vista di tante, e sì moltiplicate Proscrizioni, ogni Lettore zelante teme sempre i rimorsi della coscienza nell’aprire un Libretto, e quantunque alla lettura non trovi talvolta cosa alcuna, che offenda la sua Religione, o la pubblica decenza, resta ciò non ostante sempre dubbioso di aver trasgredito, benché senza alcuna conseguenza spirituale, né temporale, alle sacre Leggi di questa ecclesiastica Censura.

Allorché i Governi secolari credono a proposito di condannare un Libro pericoloso e cattivo, ricorrono tosto alla sorgente. Gli Stampatori, e i Libraj sono intimati a deporre questo veleno, onde non infetti altrimenti la Società, e restano quasi garanti di una tal soppressione. I Particolari curiosi per conformarsi alle saggie vedute del Governo non hanno allora bisogno di ricorrere ad alcun Indice. Questo Libro non si trova, non comparisce, non si vende; in conseguenza non è letto. Ma quale obbedienza, qual sommissione può mai sperare la Congregazione Romana proibendo un Libro stampato con tutte le solennità; e cerimonie tipografiche, un Libro che si trova da per tutto, che da per tutto vendesi pubblicamente, e che lo leggono quelli ancora che pur vorrebbero obbedire a questa Sacra Congregazione, ma che non possono farlo per mancanza d’istruzioni?

Non si fà egli un torto alla verità della nostra Religione Cristiana, temendo che poche falsità, pochi sofismi stampati in un Libro possano offenderla, ed oscurarla? Noi crediamo che una libertà generale, e un assoluta indifferenza potrebbe molto più giovare di un passeggiero rimorso che si tenta arrecare alle coscienze.

Con questa supposizione si è osato pubblicare il presente Libretto. Non si dà altro in mira che di presentare un Progetto, senza lusingarci di alcun successo. Forse un giorno si troverà buono, o necessario; ma questo giorno è ben lontano, e non si avrà allora alcun merito al Progettista.

Si tratta qui di sapere se pochi Individui, o piuttosto un solo possa essere il Despota dell’umano Intelletto. Gli Annali del Mondo, e l’Istoria di tutte le Religioni non ci danno alcuno esempio di un Popolo che abbia accordato ad un Corpo una simile autorità. È vero che la Corte di Roma sembra aver avuto delle ragioni particolari per creare un tale stabilimento. Diversi Scismi agitando allora la Chiesa, fù creduto necessario opporre un Tribunale, che tenesse in freno le coscienze dei vacillanti Fedeli, onde non succhiassero alla lettura di un Libro dei funesti veleni. Questa Chiesa era bene infelice per dover ricorrere a sì dubbioso rimedio. Comunque sia, questi tempi sono finalmente passati, e quando disgraziatamente tornassero, il mezzo più efficace di confondere, e atterrare i nemici della Chiesa sarebbe non già di sopprimere artificiosamente degli Scritti pieni di falsità, e di menzogne, ma piuttosto di porger la mano alla loro pubblicazione, e quindi smascherarli, confutarli, e metterli in ridicolo.

Due cose principalmente rendono disgustoso questo Tribunale: la mancanza di formalità, e l’estensione del suo potere. Quante opere sono state condannate a perder la vita senza aver potuto indovinare quali fossero i loro delitti! Un arbitrio già convenuto, e dei pregiudizj particolari pronunziano una sentenza, a cui non è permesso appellarsi. I Giudici possono tanto più facilmente ingannarsi, in quanto non si ammette né il reo, né le Parti interessate ad alcuna difesa. Bisogna sempre supporre che pochi Individui, a cui si accorda un potere senza limiti, non ne abuseranno; che lascieranno da parte ogni capriccio particolare, ed ogni umana considerazione; che cosa alcuna non li obbligherà a far torto al loro Ministero; in una parola che non saranno degli Uomini, ma degli Angioli.

Noi desideriamo che tali sieno sempre stati i membri di questa Sacra Congregazione, e che non si sieno mai portati a proibire ciò che essi non hanno avuto voglia di leggere: Avrebbero fatto così il torto il più grande alle Lettere, ai Letterati, alla Congregazione, e a loro stessi.

L’Inglese Signore Iohonson pubblicò alcuni anni sono un progetto per diminuire il numero degli Autori. Egli voleva stabilire delle Accademie per la revisione dei manoscritti colla facoltà di concedere o proibire la stampa. Ma queste Accademie saprebbero forse decidere giustamente? Quelle che esistono attualmente per dare dei premj alla miglior dissertazione sulla questione proposta ci obbligano ad essere di contrario parere. Ogni piccolo Scrittore uscito di fresco dal Collegio cercherebbe dei suffragj presso i membri di questo letterario Divano, per quindi annoiare il suo prossimo con un Volume di sciocchezze. Quanti capricci, quante debolezze, quante strane opinioni di più in queste per altro rispettabili Assemblee! Sarebbe proibito tutto ciò che non fosse relativo alla maniera di pensare di quelli illustri Individui, e la Letteratura Europea diventerebbe un Termometro che alzerebbe, o abbasserebbe a misura del freddo, o del caldo di poche Teste. Per fortuna il Progetto del Signor Iohonson non è stato ascoltato, trovandolo assurdo e pericoloso. Potremmo noi lusingarci di esser di lui più felici? Nò, senza dubbio il nostro Progetto può esser giusto, vantaggioso, e forse necessario, ma siamo ciò non ostante sicuri di vederlo messo in ridicolo da alcuni, disprezzato da altri, e lodato solo da pochi che non possono farci né bene, né male.

 

 

 

SUPPLICA

Degli Stampatori e Libraj d’Italia

AL PAPA PIO VI.

PER IL LIBERO SMERCIO DEI LORO

LIBRI.

Dal Torchio al Sacro Fuoco è breve

 il paſſo.

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SANTISSIMO PADRE.

 

 

Voi già ben sapete, poiché si è detto, e ripetuto mille volte, che siccome un prete vive dell’Altare, un Cappuccino della Elemosina dei Fedeli, un Avvocato dei suoi Clienti, un Medico dei suoi Malati; così uno Stampatore, e un Librajo vive delle Opere che gli Autori vanno giornalmente pubblicando. Gli ostacoli, ed i limiti che si frappongono fra il Manoscritto, ed il Torchio pregiudicano ugualmente agli uni, ed agl’altri. Sarebbe tempo oramai che le leggi della Censura fossero in ogni Paese le istesse, in maniera che un Libro permesso, ed approvato da un Governo, potesse liberamente circolare da per tutto. Converrebbe dunque stabilire, e fissar queste leggi, onde gli Autori prima di scrivere sapessero fin dove giungano i limiti della penna, ed i Libraj potessero senza temere nè i rimorsi della coscienza, nè i rigori della Giustizia, offrire alla mostra nelle loro botteghe qualunque sorta di Libro.

Queste Leggi, ci si risponderà, sono già fissate, e cosa alcuna non può alterarle: sono esse ben conosciute, semplici, ed immutabili. La Religione, il Governo, i Costumi: ecco ciò che si deve rispettare. Ma noi conosciamo dei Libri che sono sicuramente conformi a queste Leggi, e che ciò non ostante si sono attirati tutti i fulmini Apostolici. Un Censore è dunque smentito dall’altro, e più non si sà a chi dobbiamo attenerci.

Eccovi, Santissimo Padre, l’oggetto di questa Supplica. Degnatevi riguardarla con quell’occhio benigno degno solo di un Luogotenente di Cristo su questa Terra.

La Sacra Congregazione dell’Indice è un antico stabilimento ([i]) degno sicuramente di Elogio per il Pontefice che lo ha immaginato. Egli volle assicurare la Purità della Religione Cristiana, onde non fosse macchiata, o avvelenata dai suoi Nemici; cercò prevenire gli scandali, o i cattivi insegnamenti affinché la mal accorta, gioventù non fosse traviata, e ingannata da false letture. L’oggetto è bello, importante, e necessario. Ma questa Congregazione ha ella sempre avuto in mira le savie intenzioni del suo Creatore? Noi ne dubitiamo fortemente. Si è condannato un Libro di Geometria, perché l’autore ha detto che fra due punti dati la linea più corta è la linea diritta. I venerabili Membri Congregati hanno creduto trovare in questo Assioma un allusione falsa, e maligna, e sono andati ad immaginare che egli intendesse parlar di quelli che camminando per un cattivo sentiero arrivano ciò non ostante su quella Terra alla felicità. Quanti Autori per timore di una scomunica hanno sepolto nei tempi passati le loro opere in un portafoglio, e si sono limitati a farle leggere segretamente a pochi Amici? Qual danno per la Letteratura? E quale ancor più grande per il Commercio? A poco a poco illuminati gli spiriti sono andati a cercare in un Paese libero dei Torchi ancora più liberi. È convenuto stampare a Ginevra lo Spirito delle Leggi, l’Enriade a Colonia, e quindi all’Haya, a Londra, a Losanna, a Berna; sono ricorsi tutti quelli che hanno temuto ò veder soppressa prima di nascere una buona Opera, o diminuita, e lacerata in più parti. Per questo in Francia, e in Italia per parecchi Anni non si è veduto stampato alcun buon Libro, e noi tutti ci siamo ridotti a pubblicare, e vendere delle Istorielle, dei Romanzi, delle Commedie, delle Tragedie. Insieme coi manoscritti sono espatriati ancora gli Autori per andare altrove a cogliere liberamente un Pomo proibito nel loro Paese.

Quasi tutti i Governi politici sono ormai persuasi che il Monopolio dei grani ha luogo appunto in quel Paese dove è proibito espressamente; che và sempre accrescendosi a misura degli Ostacoli, e delle Pene, e che per sopprimerlo affatto basta lasciare una assoluta libertà. Noi ne abbiamo sempre una prova sotto degli occhi. Questa massima si può applicare benissimo, riguardo ancora ai cattivi Libri. Vengono essi stampati in Paesi Stranieri; ma non vi rimangono, anzi talvolta non vi sono neppure letti, e si procura tosto introdurli segretamente nei Paesi appunto in cui non sono permessi: così noi cambiamo il nostro denaro con tanto veleno che si sparge da per tutto, e infetta l’intera Società. Se dunque questi contrabbandi tipografici non circolano se non nei Paesi in cui è limitata la stampa, si potrebbero facilmente sopprimere, aprendo ai confini tutte le strada per il loro passaggio. In mezzo a una libertà generale un Autore non sarebbe più tentato a dare sfogo impunemente, sotto l’ombra dell’Anonimo, alla licenza della sua Penna.

Se ciascuno fosse dichiarato il suo proprio Censore, se dovesse restar sempre garante della sua Opera in faccia ai Tribunali, alla Chiesa, ed al Pubblico, sarebbe forse più circospetto e più severo verso se stesso che non lo sono ordinariamente i suoi Censori. Il Sacrifizio delle sue idee non costerebbe cosa alcuna al suo amor proprio, perchè sarebbe volontario. Convien pur dire, e noi parliamo qui contro i nostri interessi, che un Autore deve essere bene acciecato o dall’interesse, o dalla vanità di far stampare il suo nome per vincere una repugnanza naturale, e sottoporsi a veder tagliare quà, e là i frutti dei suoi sudori. Colla penna in mano egli è obbligato a dire ogni momento a se stesso “Bisogna che io Scancelli questa Frase: essa disgusterebbe qualche Uomo di Chiesa: Quest’altra mi farebbe sospettare, e passare per un incredulo. È vero che offre una verità brillante allo Spirito; ma la sodisfazione di dire una verità non mi deve fare arrischiare la mia quiete, e il mio riposo. Ecco un progetto ch’io sarò forzato a sopprimere; ecco un dilemma ch’io debbo pure condannare all’oblio.” A così dure condizioni val molto meglio il non pigliare in mano la penna.

L’invidia, la cattività, l’ignoranza, il bigottismo hanno sempre attaccato, e qualche volta oppresso gli Uomini di lettere. Nei Secoli passati si sono essi dipinti come i perturbatori degli Imperi, e i Nemici, dei Papi. Adesso sono essi un piccolo numero di Cittadini sparsi quà, e là in varie parti dell’Europa, e tutti in generale buoni Sudditi, e ancor migliori Cristiani. È dunque inutile una persecuzione contro di essi. Lasciamoli finalmente in riposo, e in libertà.

Le scoperte, le utili invenzioni, le Arti meccaniche, i migliori sistemi politici, e quel sistema medesimo che ha data, o Santo Padre, una potenza, e una grandezza ai vostri Antecessori dipende dalla cultura delle Lettere. E perchè mai dopo tali sensibili vantaggi si deve distruggere il loro Impero? La verità, e la morale sono i loro grandi oggetti. Qual colpa hanno essi se questa verità, e questa Morale dipinta ora con dei colori troppo forti, pregiudica ad alcuno in particolare, mentre che giova a tanti altri? Si supponeva che gli abusi sarebbero stati sempre i medesimi; che cosa alcuna non poteva divertire la loro impulsione stabilita; che gli Uomini sarebbero stati sempre quali si sono veduti negli ultimi quindici, o sedici Secoli; che i Capi delle nazioni non avrebbero ardito giammai portar la mano su questi abusi. Non vi era cosa più falsa quanto simili supposizioni con cui si pretendeva provare che l’uomo non si corregge: era l’istesso che dire che il vizio è necessario, che l’armonia, è una cosa immaginaria, che bisogna tollerare tutte le umane assurdità.

L’Esperienza ha smentito questi taciti Declamatori. In pochi anni si è veduta eseguire una grande rivoluzione nelle nostre Idee. Considerando quindi il progresso delle cognizioni, e il cangiamento che queste debbono necessariamente produrre, è permeso sperare che esse apporteranno al Mondo i vantaggi più grandi, e che i Tiranni di ogni specie, e di ogni carattere fremeranno in faccia a quella voce universale che si innalza e che risuona dovunque per riempire, e risvegliare l’Europa.

VOI non ignorate che col mezzo solo delle Lettere si sono sparse fra noi le sane idee che hanno circolato attraverso ogni ostacolo. Gli Autori hanno sparso dei veri Tesori cavandoci dalle tenebre, in cui eravamo sepolti. Non è egli giusto pertanto che essi possano oramai annunziare il loro potere senza mascherare come per il passato la legittima autorità che essi hanno sopra gli Spiriti? La gloria letteraria sembra destinata quindi innanzi a chiunque difenderà con una voce più ferma gli interessi respettivi delle Nazioni, a chiunque citerà al Tribunale della Filosofia tutti i nemici della medesima. Appartiene solo a VOI, o Santo Padre, l’aprir libero il campo a tutte le penne, e se fra queste ne insorgesse mai alcuna che vomitasse veleno, dubitate voi che non sia ben presto calcata sotto i piedi da tutte le altre? Sembraci già vedere da lontano la Verità coraggiosa slanciarsi da tutte le parti, atterrare il fanatismo, la superstizione, e l’ignoranza. Che bello spettacolo per la Letteratura il mirare in trionfo i suoi figli più cari! Già le Capitali dell’Europa risplendono maggiormente per la riunione di tanti Lumi divenuti più forti. L’errore dovrà cedere ala fine a questo generoso concorso, e qual gloria per VOI, se in vista di un incoraggimento generale vi saranno sempre degli occhi aperti per vedere, delle lingue pronte a parlare, delle penne sul punto di scrivere!

La Filosofia è simile a un Astro che gira sopra la Terra; deve essa illuminare successivamente tutti i punti del Globo. Ora i suoi raggi sono obliqui, ora perpendicolari, ma debbono, presto o tardi, colpire gli occhi ancora di quelle Nazioni che sembrano le più lontane a ricevere le loro salutari influenze. Il Genio filosofico che alcuni spiriti interessati, e ignoranti vorrebbero soffogare, ed estinguere, è come la polvere da cannone; quanto è più riserrata, e ristretta, la sua esplosione è più forte.

Felici quelli Stati, i di cui Principi avendo lo spirito filosofico favoriscono quelli che si sforzano di acquistarlo. Noi siamo nati per conoscere, e perfezionare il nostro intelletto. Questo desiderio è il più nobile attributo dell’Uomo. Una volta le più dense tenebre ci circondavano; hanno esse cominciato a dissiparsi: Si deve egli produr degli ostacoli a questo fortunato scioglimento!

La pace, e la concordia debbono regnare fra gli Uomini unitamente alle Arti, e alle Scienze; per queste sole divengono essi potenti e felici. Tosto che un Popolo è arrivato al punto di possederle, conviene che le spinga al più alto grado di perfezione: allora le idee sono più sane, il dispotismo si ammollisce, e l’umanità viene più rispettata. Da tutte le parti si cerca, si esamina, si travaglia al demolimento del vecchio Tempio dell’Errore: per ben comprendere questa verità, non bisogna circoscrivere la nostra vista nelle mura di poche Città; conviene osservare l’Europa, vedere gli stabilimenti numerosi, ed utili che si inalzano da per tutto; bisogna passare i mari, riguardare l’America, e meditare sulla rivoluzione strepitosa che vi si prepara. Forse in questo vasto Continente si incammina il genere umano a prendervi nuova forma, e nuovo aspetto; forse và a perfezionare le Scienze, e le arti per adottare nel tempo istesso una nuova legislazione. In questo asilo di libertà vi cresceranno le anime forti, e generose. Il grande esempio dato all’Universo proverà ciò che possa l’Uomo, allor che mette in deposito comune il suo coraggio, ed i suoi Lumi. Ma credete voi che vi sarà mai immaginato, ed eretto un Tribunale simile alla Congregazione dell’Indice? Alla prima idea di un tale stabilimento spaventate, e confuse fuggirebbero tosto di là le Arti, e le Scienze.

Senza una saggia libertà di pensare non ci possono essere più buoni Scrittori, e in conseguenza più alcuna verità. La permissione però di scrivere data agli Ignoranti è funesta in se stessa, perchè si possono ricavare le peggiori inconseguenze dai principj i più veri. Gli sciocchi Autori che si immaginano di essere Moralisti, e Politici, sono più insopportabili, e pericolosi che se fossero assolutamente privi di ogni lume. Ma chiunque vuol dire la verità, non può prendere in mano la penna senza offendere necessariamente qualcuno. Vi è un numero troppo grande di uomini interessati alla prolungazione di certi abusi, di antichi errori, all’adorazione e quei simulacri che incensa il pregiudizio: sono questi tanti nemici ostinati degli Uomini grandi che gli odiano, se non possono perseguitargli ed opprimergli. Bisognerebbe che un Autore non fosse soggetto a costoro per poter dare un libero corso alla sua penna. Egli sà già molto bene che non gli sarà perdonato giammai tutto ciò che offende le loro pretensioni, il loro orgoglio, i loro capricci.

E qual male fà egli mai un Filosofo, un Uomo di Lettere? Se egli parla qualche volta ai Capi della Chiesa con tono fermo, ed austero, non alza però giammai contro di essi una mano omicida, e non getta nascostamente un fatale veleno in una amichevol bevanda. Egli prende a cuore i loro interessi senza loro saputa, allontana l’intrigo, e l’ambizione, procura di addolcire i costumi; si occupa alla ricerca della felicità dei popoli, e quando non può riuscirvi, si contenta almeno di far dei voti. È egli questo un uomo pericoloso, per cui convenga erigere espressamente un Tribunale, onde invigilare sopra la sua condotta? Una condanna, una scomunica saranno dunque le belle ricompense che egli può aspettarsi dopo essere incanutito prima di pubblicar la sua Opera? Presso gli antichi popoli questi uomini di Lettere godevano della pubblica considerazione. Si accordava loro una specie di Apoteosi che gli stimolava a più sublimi intraprese. I piccoli premj accademici che usano ai tempi nostri, sono un nulla in paragone di quelli Onori, di quei trionfi, di quelle Acclamazioni che pagavano largamente i servigi resi alla Società. Per liberarsi fra noi della stima, e dalla riconoscenza, e per non accordare i privilegi dovuti agli Uomini di Lettere, si grida da per tutto che il numero degli Autori è divenuto immenso. Sì, è vero, quando si considerino per tali tutti quelli che usurpano questo nome, e che hanno fatto una miserabile lettera ad un Amico, un Sonetto ad una Sposa, o ad una Amante, una Dissertazione a una Accademia. Convien mettere nella lista degli Autori quelli soli che danno al pubblico delle Opere di immaginazione, e di Filosofia, e che soddisfanno l’altrui attenzione con successive produzioni. Per disgrazia il disgusto, il timore delle persecuzioni medesime fanno uscire tre quarti, e mezzo dalla carriera quando appena vi hanno fatto i primi passi. Senza un tale ostacolo gli Scrittori sarebbero dieci volte più numerosi. E quando vogliamo noi cessare di prendergli di mira? La vita di una Avventuriera galante è meno esaminata di quella di un Uomo di Lettere. La riconoscenza del pubblico è poi così scarsa che non lo incoraggisce a nuove intraprese. Egli dà molto, e riceve pochissimo in contraccambio: appena la sua Opera gli è uscita dalle mani che più non gli appartiene. Tutto un Pubblico ne gode ugualmente per mezzo di pochi soldi. Il Libro istruisce, diverte, illumina, ed occupa, ma egli non ne ricava alcun profitto: la consuetudine fà tollerare un simile abuso, e alcuno Autore non ardisce reclamare. Parrebbe dunque cosa giusta, e necessaria che la gloria, la sicurezza, la quiete, l’approvazione universale lo rindennizzasse in qualche maniera, onde se non divenisse più ricco, fosse almeno più celebre, e più tranquillo.

Un Uomo di Lettere compone un buon Libro: Sarà esso necessariamente il frutto di molti anni di applicazione, e di studio. Dopo aver sormontate mille difficoltà, si presenta finalmente al pubblico. I Curiosi, e gl’Intendenti lo trovano conforme al loro genio. Noi ci affrettiamo a stamparlo, e ristamparlo, e tutte le edizioni rimangono vendute. Mani straniere ammassano del danaro che non ricade giammai sopra quella che ne è la prima motrice. Quale è stato in fatti il gran profitto degli Autori della Enciclopedìa, e di tante altre Opere che hanno illustrato la letteratura del nostro Secolo? Gli Autori sono pagati con degli sterili elogi, ma più ordinariamente con delle vessazioni, delle scomuniche, e delle prigionìe. A poco a poco questa ingiusta ricompensa alle loro fatiche gli scoraggisce, e gi fa renunziare per sempre alla gloria letteraria. E che sarà tutta la classe numerosa di Stampatori, e Libraj, allorchè più non si troverà chi abbia il coraggio di scrivere quattro pagine? Ecco la risposta dataci da un Autore riguardo alle istanze, e alle preghiere fattegli per consegnarci un importante suo manoscritto “Se io vi dò questo Volume di fogli, verrò a perdere tutto il diritto, che ho per ora sopra di esso, e altro non mi resterà che il diritto miserabile di confessarmene il Padre; anzi si incontrano sovente delle circostanze, in cui siamo obbligati a tralasciare la confessione cara, e preziosa di questa paternità.” ([ii])

Si potrebbero dare senza dubbio delle istruzioni, e dei limiti a quelli che scrivono, lasciando nel tempo istesso una assoluta libertà alla penna. Ma, dirassi, questi limiti sarebbero facilmente oltrepassati. Tanto peggio per il trasgressore temerario. O questi limiti sono giusti, o non lo sono. Se sono giusti, il disprezzo universale del Pubblico servirà di pena a una tal trasgressione. Se non lo sono, sarà forzata la legislazione illuminata dall’evidenza del fatto a pensar seriamente a una riforma. Incontrastabili sono le Leggi della Verità, e della Morale. Inculcatele VOI, o fatele inculcare dai vostri Ministri a tutti i Fedeli. Difendete, se pure ha bisogno di difesa, con la ragione, e con l’esempio una Religione di Pace. Tutte le cautele mondane, le esclusioni, le pene, il fuoco servono appunto agli empi di un incentivo maggiore per trasgredire una legge sulla speranza di potersi mettere in salvo. Nò, la coscienza di un indegno Scrittore resti solo aggravata, e trovi pure, se può, ad essa un rifugio. Fate che ogni uomo sul punto di scrivere sia penetrato da una interna voce che risuoni nel fondo del di lui cuore, e gli dica ”Fermati; considera chi tu sei avanti di prendere in mano la penna: trema di ingannar te, e gli altri nel tempo istesso. Cosa dirai ai tuoi simili? Hai tu per oggetto la loro felicità? Pensa che a questo solo titolo tu avrai qualche diritto alla loro attenzione. Diffida della tua penna: è pericoloso lo scrivere se non hai un gran fondo di virtù. Il tuo solo oggetto sia quello di essere utile. Getta la penna se in vece dei sentimenti generosi che animano l’Uomo grande, tu non avessi altro che la rabbia, e la follìa di essere Autore.”

Il terribile fulmine della Posterità sia quello che spaventi un Autore maligno, e cattivo. “L’esame dei libri, dice un abile Politico, é tanto più necessario in quanto si insegna appunto con i Libri la buona, o la cattiva dottrina donde dipende la corruzione, o la purità dei costumi. Nel 1569. il Duca d’Alba ([iii]) volendo pensare seriamente alla riforma degli abusi che la ribellione aveva introdotti nei Paesi Bassi Spagnoli, cominciò dai Libri sospetti comandando per mezzo di un rigoroso editto di portargli ai Teologi, che avea nominati per esaminargli. Fù egli così bene obbedito, che parecchie migliaia di Libri furono pubblicamente bruciati nelle Città che riconoscevano ancora il dominio del Rè di Spagna.”

Con permissione di questo Autore che parla secondo i suoi principj, noi siamo ben persuasi che tutti questi Libri fossero innocenti, e che si facesse loro subire ingiustamente la pena del fuoco: Ma bisognava necessariamente qualche nutrimento al fuoco di crudeltà che consumava le viscere di quel barbaro Duca, e non potendo più imbrattar le sue mani nel sangue, né far tagliare a pezzi i Corpi dei poveri Olandesi, cià che formava le sue più care delizie, spingeva il suo furore sopra gli spiriti, e credeva tormentargli facendo così bruciar tutti i Libri. Per fortuna egli si ingannò nel suo progetto, poichè siccome le sue crudeltà ad altro non servirono che ad assicurare maggiormente la libertà delle Provincie Unite, così non potè fare alcun torto alla verità bruciando tante Opere veramente stimabili: Il foglio fu certamente ridotto in cenere, ma la verità rimase illesa nei cuori; oltre di che bruciando i Libri altro non fece che accendere maggiormente la curiosità di leggergli.

Assicuratevi, o SANTO PADRE, che qualunque rimedio è sempre peggiore di un male supposto. Invano la vostra Congregazione tenta estirpare dei perniciosi veleni; invano dei subalterni Ministri vegliano scrupolosamente alla introduzione dei Libri pericolosi. Il vostro illustre Antecessore ([iv]) era solite dir sovente a quelli che lo consigliavano su questo punto a dei rigori più grandi. “Lasciate ([v]) pure che i belli Spiriti compongano dei Libri perniciosi, che vengano pubblicati con tutte le solennità necessarie, e che circolino quindi per le mani di tutti i Curiosi: siccome la Religione è divina, e la Verità una sola, e incontrastabile, tutto ciò che si potrà dire contro di essa risveglierà la nostra compassione, o il nostro disprezzo. Come volete voi che poche pagine ripiene di falsità, e di paradossi possano distruggerla e sfigurarla? Le Perquisizioni, le pene, i rigori risvegliano maggiormente la curiosità, e contribuiscono alla lunga reputazione di un Opera che sarebbe morta sicuramente pochi giorni avanti la sua nascita. Se noi illustriamo, questa è la frase dei Belli Spiriti del Secolo, se noi illustriamo qualche Libro col fuoco, gli si procura il successo più grande che mai potrebbe sperare. Persuadetevi che la non curanza, il disprezzo è un fuoco che serve a consumare con più sicurezza qualunque Libro assurdo, pericoloso, e cattivo.”

Questo Saggio Pontefice, se fosse stato ancor più lungo il suo Regno, avrebbe sicuramente con la facilità, e la dolcezza guadagnato molto più che non guadagna ordinariamente la Congregazione con tutto il suo Indice voluminoso.

La Satira sembra doversi punire da tutti i Governi, attesi i danni che ne possono resultare al Particolare attaccato, o preso di mira. Ma siccome un Autore Satirico ha la disgrazia di esser sospetto dicendo ancora la verità, qual caso si può egli fare delle false ingiurie che vomita contro un Uomo onesto? Ordinariamente gli Autori Satirici sono odiati ugualmente da quelli che prendono piacere a leggerli, come da quelli che sono offesi. Essi non possono mordere che con un dente di menzogna, e di malignità, e tutto il Pubblico conosce facilmente, e diffida delle loro armi. Se fosse possibile anderebbero puniti piuttosto gli Ammiratori e i Lettori di un Autore Satirico, che il Satirico istesso. Il male che questi fà non consiste nel veleno della sua Penna, ma nell’uso che si fà di questo veleno.

Comparisce un libello pieno di calunnie: è pagato un prezzo stravagante. Colui che lo vende per la Città, che ordinariamente non sà leggere, e che altro non ha in mira che guadagnarsi del pane per la sua povera famiglia, viene arrestato: è strascinato in una Prigione dove per molti mesi non si pensa più a lui.

A misura del rigore con cui è proibito il libello, più curioso diventa il pubblico di vederlo. Quando poi si legge, e che si osserva che la lettura non compensa un avida curiosità, si ha quasi vergogna di averla soddisfatta. Non si ardisce dire neppure io l’ho letto: é questa la schiuma della bassa letteratura, e qual cosa mai non ha la sua schiuma? Che diventava dunque il libello senza una Inquisizione, senza un Processo, senza una pena arbitraria?

Il disprezzo, noi torniamo a ripeterlo, sarà sempre l’Arme la più sicura contro questi miserabili scritti così lontani dal buon senso, quanto dalla verità.

E quale è mai quel libello che in capo a quindici giorni non sia stato disonorato dalla pubblica opinione, e abbandonato alla sua propria Infamia? L’avida ricerca che se ne fà da questo per leggerlo, da quelli per punirne l’Autore, e gli Editori, ecco ciò che gli dà una seria conseguenza.

Tutti coloro che siedono sopra dei gradini superiori, debbono sempre aspettarsi dei taciti colpi lanciati da quelli situati più basso: ciò divien quasi inevitabile. Non è egli giusto che essi paghino la distinzione del posto? Si attribuiscono almeno a quelli che ci regolano, e ci governano dei rari piaceri: lo confesseranno loro stessi, quando ciò non fosse che per vedersi al disopra della moltitudine. Il Cuore Umano è naturalmente invidioso. Sappiano dunque gli Uomini in Carica perdonare, o dissimulare a proposito: Mostrandosi indifferenti, disarmeranno l’ardente malignità, e non verrà più nella mente di alcuno di scrivere un Libello.

L’Uomo che non sà perdonare un ingiuria, e che dimostra un evidente Amor proprio, quando si creda attaccato abbandoni il posto in cui il caso, o la fortuna lo hanno collocato: egli non è nato per la Gloria: bisogna sapere ascoltare quello che disapprova, come quello che approva.

Vi è certamente un genere di Libelli odioso che avendo tutti i caratteri della Calunnia, e della malignità, deve esser soppresso col braccio della Giustizia Secolare. Ordinariamente questo è il frutto di una oscura, e velenosa vendetta. L’Uomo di lettere isolato nel suo Gabinetto non deve curarsi di esaminare il maneggio segreto delle Corti per farvi sopra delle riflessioni maligne. A suo tempo egli saprà ciò che conviene alla penna dell’Istorico.

Uno scrittore Satirico deve essere punito come un Uomo perturbatore del pubblico riposo: Ma converrebbe che le parti interessate si astenessero dal pronunziare la sua sentenza; mentre allora dove sarebbe la proporzione fra la pena, e il delitto?

Noi non chiamiamo delle Opere quelle accuse atroci, quelle ingiurie personali, con cui si è disonorata tante volte la Letteratura, e la Tipografia. Sono questi dei delitti paragonabili a un furto, e a uno Omicidio, per cui debbono stabilirsi, se pur non si è fatto, delle pene rigorose.

Uomini infami destinati alla scoperta di questi libelli ne hanno talvolta proposta la fabbrica a dei famelici Scrittori che dopo aver teso loro questo laccio infernale, mediante l’esca di una piccola somma di danaro, andavano poi ad accusarli al Ministero. I disgraziati Autori accecati dalla sete di un poco di Oro vendono ben cara la loro tranquillità, e il loro riposo.

Una libertà generale ha reso il Ministero Inglese insensibile ai libelli. Il disprezzo,la non curanza, e la freddezza sono cose che l’Autore può aspettarsi avanti ancora che la sua Opera sia pubblicata. Se la Satira è ingegnosa, si ride senza prestarle fede; se è insipida, è gettata in un canto: in una maniera, o in un'altra essa non porta ad alcuna conseguenza.

La licenza presso questo popolo singolare si estende fino alle stampe in rame, e ai geroglifici. I Ministri di Stato vi sono talvolta rappresentati sotto figure emblematiche, e l’istesso Re non và esente da qualche facezia, secondo l’immaginazione, o il capriccio del Disegnatore. Tutte queste stampe satiriche restano sempre esposte impunemente, e in gran numero davanti tutte le botteghe. Nel passare gli abitanti di Londra le guardano, sorridono, si stringono nelle spalle,e più non vi pensano. Cosa alcuna, né pitture, né stampe, né libro, non fa torto all’Uomo in carica: queste Satire si distruggono l’una con l’altra ([vi]).

E perché gli altri Governi non potrebbero eglino adattare almeno in parte questa salutare incuranza? Un disprezzo più caratterizzato per queste penne vili, e sconosciute, che cercano di piccare la sensibilità dell’orgoglio, disgusterebbe assai facilmente i Lettori di queste Satire insipide, e bugiarde, di cui non sono sì avidi, se non perchè s’immaginano che i Governi, o le Persone di alto rango ne sono rimaste veramente offese.

Si osservi ancora che questi Opuscoli infami che lusingano più, o meno la pubblica malignità, dissipano in scintille minutissime un gran fuoco centrale, che essendo compresso, e soggiogato a forza, formerebbe forse un Vulcano terribile.

Il cattivo umore degli Spiriti, e la loro inquietudine si sodisfà compiutamente con questo Libelli: ciascuno si crede vendicato, allorchè ha saputo, o potuto imbrattare della carta. Non è egli necessario mettere in mano a un fanciullo qualche bagattella per divertirlo, per timore che non faccia anche di peggio rompendo tutti i mobili della Casa? Figuratevi che egli abbia in mano un piccolo Tamburo, che stordisce per vero dire, ma che avverte nel tempo istesso che il fanciullo non fà altro male.

I Capi dl Governo di Atene hanno forse rinchiuso o esiliato giammai quelli Autori, che invece di parlare della Tragedia di Eschilo, o esaminare la condotta di Temistocle, e di Milziade, parlavano con libertà, e con franchezza della Venere di Prassitele, o della Minerva di Fidìa? Si infuriarono forse, allorchè un Sarcasmo che il brio, e la facezia piuttosto che la malignità avea fatto nascere, andava a cadere sopra i venerabili Arconti? Se Eschilo nel suo Prometeo si prendeva la libertà di scrivere, e pubblicare dei versi un poco troppo forti, un Censore era egli autorizzato a sopprimere questi versi? Tutto ciò che si permetteva nella Capitale dell’Attica, e nelle contrade famose per l’eloquenza, e la robustezza del pensare, non si permetterebbero più adesso nella nostra Penisola.

Per fortuna noi viviamo però in tempi in cui la ragione umana comincia a perfezionarsi. Quanto saremmo infelici se fossimo contemporanei di coloro che si condannavano alla Prigione, o alle Galere per avere scritto contro le categorie di Aristotile! I progressi dello spirito umano agiscono a vista d’occhio. Qual piacere d’istruirsi con pochi paoli, e per mezzo di pochi Libri senza uscire dal suo Gabinetto!

“Mi sembra,ci diceva un giorno un uomo di lettere, che la Ragione viaggi a piccole giornate, dirigendosi dal Nord al Mezzogiorno in compagnia delle sue intime amiche l’Esperienza, e la Tolleranza. L’Agricoltura, e il Commercio l’accompagnano. Ella si è presentata in Italia, ma la Congregazione dell’Indice l’ha rispinta con tutto il rigore, e l’ha cacciata di là dai monti. Tutto ciò che ha potuto fare per noi, è stato di inviare segretamente degli Emissari, e degli Agenti che non cessano mai di farci del bene, senza però darsi a conoscere. Aspettiamo ancora alcuni Anni, e il Paese degli Scipioni, dei Marcelli, dei Ciceroni cangerà totalmente d’aspetto.

Ella ha di tempo in tempo dei crudeli nemici in Francia; ma vi ha ancora tanti Amici che alla fine la vedremo acquistarci una generale influenza.

Allorchè essa si presentò per la prima volta nel Palatinato, nella Baviera, nell’Austria, in Ungheria, in Pollonia, trovò due, o tre grosse Teste in Parrucca, che la riguardarono con occhi sorpresi, ed attoniti. Le dissero incontrandola «Noi non abbiamo giammai, o Signora, inteso parlare di voi, e non abbiamo l’onore di conoscervi» «Signori, essa rispose loro, col tempo voi mi conoscerete, e mi amerete. Io sono benissimo ricevuta a Berlino, a Dresda, a Coppenaghen, a Stokolm, all’Haya ec. Mediante il credito, e la Reputazione del cavalier Temple di Milord Valpoole, di Loke, di Gordon ec., e di tanti altri, ho ricevuto già da lungo tempo le mie lettere di naturalizzazione in Inghilterra. Spero che voi pure un giorno me le accorderete. Io sono la figlia del Tempo, e tutto aspetto da mio Padre.» È già noto che alla non si è ingannata nelle sue belle speranze.

Passando ultimamente sulle frontiere della Spagna, e del Portogallo benedisse il Cielo in vedere che i Roghi dell’Inquisizione non erano più accesi sì spesso; e fin di quando ella vide cacciare i Gesuiti da questi due Regni ([vii]), previde parecchi salutari cangiamenti. Ma è però da temersi che purgando lo Stato dalle Volpi, non rimanga poi esposto a dei Lupi.

Se ella fà dei nuovi tentativi per entrare in Italia, si crede che dagli Svizzeri si lancerà in un tratto sul Milanese, e che dopo essersi colà ben stabilita, e assicurata, scorrerà più facilmente tutto il resto dell’Italia.”

Dopo un tal Discorso fattoci da quest’Uomo di Lettere, chi sà fin dove sia giunta coi suoi progressi la Ragione, giacchè si assicura che ella non manchi di farne ogni giorno. Entrando in Italia per il Milanese, chi sà in questo momento fin dove possa essere penetrata! Avrebbe ella mai valicato il Tevere senza incontrare il minimo ostacolo! il cammino non è ignoto per essa, ed altro non farebbe che ricalcare delle orme già impresse? Noi i primi saremo a pubblicare il Giornale del suo Viaggio, con tutte quelle circostanze onorevoli per l’Italia, e per il Secolo.

Si è predicata lungo tempo la libertà di coscienza, e la tolleranza universale: in fine si è stabilita solidamente in parecchi Governi, sembrando bene cosa troppo giusta il lasciare agli Uomini la libertà del pensare. Si comincia adesso a predicare l’indipendenza dello spirito, e del Genio; ma forse è riserbato solo ai nostri figli il godere senza limiti questo bel privilegio.

Non si possono mai onorare abbastanza quegli Uomini Superiori che estendono i nostri lumi, che stabiliscono il Codice morale delle Nazioni, e le virtù civili dei particolari. Anche un Poema, un Dramma, un Romanzo che dipinge vivamente la Virtù, modella il Lettore, senza che egli se ne accorga, sui personaggi virtuosi che agiscono. L’Autore predica così la morale senza parlarne. Con un bello artifizio egli ci presenta certe qualità dell’anima rivestite di quelle Immagini che le fanno adottare.

Nel solo spazio di cinquanta anni si è fatta una grande, e importante rivoluzione nelle nostre idee. La pubblica opinione ha oggi in Europa una forza preponderante, a cui non si resiste. Pertanto se si considerano i progressi delle Umane cognizioni si è fatto molto più in un Secolo che nei diciassette antecedenti. ([viii])

Per mezzo solo delle Lettere, e dei Letterati, VOI già sapete che le idee sane hanno scorso con rapidità le parti del nostro Continente. Lo spirito di osservazione, che comincia a circolare fra noi, ci promette gl’istessi vantaggi di cui godono alcuni dei nostri fortunati vicini. Gli Antichi Moralisti, e Teologi hanno mostrato di non ben conoscere l’Uomo, irritando le sue passioni, invece di moderarle con l’indulgenza, e la dolcezza. Per fortuna sono stati essi rimpiazzati da Uomini di genio che hanno avuto a cuore i vantaggi della Umanità, atterrando con una mano gl’ipocriti, e gl’ignoranti. La loro influenza è tale adesso che possono annunziare oramai quella legittima autorità acquistata sopra gli Spiriti. Stabiliti sulla base del pubblico interesse, e della cognizione Reale dell’Uomo, essi dirigeranno le idee nazionali. La Morale è divenuta lo studio principale dei buoni spiriti, e la gloria letteraria sembra destinata quindi innanzi a chi difenderà con una voce più forte gl’interessi rispettivi dei Popoli citati al Tribunale della Filosofia: Gli Scrittori penetrati da queste auguste funzioni saranno ben gelosi di corrispondere con la vigilanza, e l’attenzione all’importanza di questo sacro deposito. Per questo si vede già la verità coraggiosa slanciarsi da tutte le parti, ed annunziare un nuovo Secolo d’oro.

Ma siccome vi sono sempre degli ostacoli al bene, è necessario dopo l’Opera della virtù quella ancora del Tempo. Vi resta qualche cosa da fare: sono piantati i fondamenti al grande edifizio, ma non ardisce inalzare superba la testa, finchè una mano potente non li dà il primo urto salutare; e quali voti non si fanno, onde questa mano si sciolga, ed annunzi la comune felicità. VOI ben sapete di qual mano si parli. Qual piacere l’osservare frattanto in vista di tale aspettativa lo sforzo degli Spiriti da Filadelfia, a Pietroburgo! L’errore deve cedere in fine a questo generoso concorso. Tutti gli occhi sono aperti, tutte le lingue sono pronte a parlare, tutte le penne sono sul punto di scrivere. Altro non si attende che un cenno. Gli avanzi dell’antica barbarie finiscono di dissiparsi: Un lume salutare ci circonda: I due grandi flagelli dell’Umanità, l’ignoranza, e la superstizione non sono forse ancora distrutti, ma si vedono però atterrati, e la loro voce, allorchè ardisce farsi sentire, sembra atroce, o ridicola.

In attenzione frattanto di questa rivoluzione sospirata, o per dir meglio di questa renunzia a delle massime antiche, ed inutili, li spiriti incatenati, o almeno guardati a vista tentano furtivamente sottrarsi dai loro già poco vigilanti custodi. Sull’esempio di Prometeo essi tentano rapire il fuoco celeste, quando fossero sicuri ancora di dover soffrire l’istessa pena. “Nò queste catene, dirassi, e questi Custodi sono troppo necessari per l’Uomo che è naturalmente cattivo, ed abusando di una libertà generale nuocerebbe talvolta all’istesso suo simile.” Ebbene accordiamo ancora questi vantati nocumenti; dobbiamo noi per questo rinunziare al più bel diritto che possa desiderare un Uomo di Lettere? Poiché la Natura avara ci vende tutto sì caro, paghiamola da Uomini superbi, e generosi. E cosa importa un piccol numero di disgrazie, e di mali da aggiungersi a quelli che inevitabilmente ci opprimono, purchè si giunga a stabilire la superiorità del nostro essere.

Si obbietterà ancora che le umane cognizioni sono in sostanza una piccola cosa, e che è inoltre impossibile all’uomo il possederle pienamente. Rientriamo dunque nell’antica barbarie; abbandoniamo tante idee presontuose, tanti sogni d’immaginazione, tanti sistemi falsi, o dubbiosi. Chi potrà allora dar dei limiti alle nostre sensazioni le più care, al nostro amore, alla nostra amicizia. Come giudicheremo noi il punto in cui siamo, e quello che abbiamo da scorrere? Dove trovar delle forze per non temere dell’avvenire senza sprezzarlo? L’Uomo circondato così dalle tenebre, e dall’errore, di cui sarà spettatore, e spettacolo, confonderà la sua natura con quella dei Bruti, e farà torto a quell’Essere, che lo ha creato.

L’Uomo di lettere allorchè scrive, allorchè si applica per l’istruzione dei suoi simili non ha bisogno di limiti; il genio che lo anima è quasi un despota. Egli comanda, e non vuol essere obbedito a metà. Si prenderebbe quasi per un Uomo orgoglioso. Nò, voi lo vedrete sempre umile in faccia alla Verità, e alla Virtù. Sarebbe quasi da desiderarsi che l’intolleranza applicata all’arte di scrivere distruggesse quest’arte; ma essa la snatura, e l’avvilisce, mantenendole sempre una specie di languida esistenza. Questa intolleranza rovina l’edifizio delle Umane cognizioni, in cui debbono entrare tutti i materiali, e attacca nel suo centro la potenza reale, e la felicità futura dell’Uomo.

Non si può guarire, o SANTO PADRE, un pubblico errore, se non combattendolo pubblicamente. E chi mai avrà il coraggio di dire che non ci sono fra noi degli errori accreditati? Allorchè l’Uomo si è una volta ingannato non può scancellare lo sbaglio se non correggendosi, cioè a dire facendo l’opposto di quel che era già solito fare. Sarebbe cosa troppo disgustosa il non poter rovesciare uno stabilimento fatto dai nostri Padri, tosto che se ne conosce la falsità. Senza pena, e senza sforzo si può fare un simile affronto alla cenere di illustri Antecessori, allorchè si osserva un pregiudizio reale. Quale inconseguenza, quale assurdità il vedere con una mano incoraggire i progressi delle Scienze, e delle Arti, e presentar loro con l’altra delle barriere, e degli ostacoli?

Anche i Libri empi, pericolosi, e cattivi dovrebbero secondo noi conservarsi. Serviranno sempre essi a far maggiormente risaltare il pregio dei buoni. Inoltriamoci per un momento in una vasta, e magnifica Biblioteca: vi si troverà un ammasso di Libri di dugento piedi di altezza tutti concernenti della Teologia mistica; centocinquanta della più fina Scolastica; quaranta di Diritto pubblico, un intera facciata di Istorie voluminose; circa a quattromila Poeti epici, Drammatici, e Lirici ec. In tutta questa immensità di Libri vi si troveranno appena dieci righe di buon senso. Ad altro essi non servono che a confondere la mente del Bibliotecario molto imbrogliato a dar loro un ordine, e una disposizione. Non bisogna per questo mettere il fuoco a questa nuova Torre di Babilonia; mentre i tre quarti, e mezzo di questi Libri sono utili servendo a rammentare costantemente allo Spirito dell’Uomo quale fù per tanti Secoli la sua sciocchezza, la sua assurdità, la sua demenza, la sua imperizia.

Oh potere della Stampa! potere Divino, e soprannaturale! Tu non richiami ancora abbastanza l’ammirazione universale: con qual meccanismo poche parole impresse sopra della Carta, e la di cui influenza al primo colpo d’occhio sembra dovere essere poco considerabile, fanno delle impressioni sì durevoli, e profonde! Questo potere di combinare rapidamente delle Immagini, e delle Idee coll’ajuto di semplici figure ha veramente qualche cosa di sorprendente. Oggetti che non sono mai caduti sotto i sensi divengono sensibili, e si offrono realmente fino a turbare, e spaventare i nostri Spiriti. Le parole colpiscono più la nostra immaginazione di quel che farebbe la cosa istessa. È difficile il concepire come queste parole simili al tuono della voce prendano un carattere di tenerezza, di passione, di timore, di patimento, di disprezzo, d’orgoglio; come un carattere morto, e inanimato divenga un linguaggio eloquente, espressivo, che fà spargere delle lacrime, e cagiona le più deliziose emozioni.

A quest’Arte, sì torniamo a ripeterlo, noi tutto dobbiamo. Né ai più potenti Monarchi, né ai Principi i più giusti e i più clementi; la maggior parte degli Stati non debbono il loro splendore, la loro forza, e la loro gloria. Semplici, e oscuri particolari, che hanno fatto dei progressi maravigliosi nelle arti, e nelle scienze hanno dissipato a poco a poco le tenebre, che dopo la caduta dell’Impero Romano oscurarono tutta l’Italia. Chi ha misurato la Terra? Chi ha scoperto il maraviglioso sistema del Cielo? Chi ha inventato quelle curiose manifatture, per cui brillano adesso le più colte nazioni? Chi ha scritto l’Istoria Naturale? Chi ha penetrato nei reconditi sentieri della Chimica, dell’Anatomia, e della Bottanica? Quelli Autori istessi, a cui adesso si ricusa accordar il più bel privilegio della penna. Questi uomini superiori, che veri padroni del mondo hanno detto ai loro simili “bandite quel tal pregiudizio troppo imbecille; pensate in una maniera più nobile; avvilite ciò che avete fin qui follemente rispettato, e rispettate ciò che avete avvilito per ignoranza; profittate delle nostre sciocchezze passate per meglio conoscere i diritti dell’uomo; adottate tutte le mie idee, camminate per il sentiero, che io v’insegno, e resterò poi garante di qualunque successo”. Di qual coraggio non hanno bisogno questi Autori per sostenersi in una carriera, in cui l’orgoglio degli uomini offre loro tanti disgusti! Conviene che essi non curino per lungo tempo l’insolente disprezzo dei Grandi, e li attacchi imbecilli del volgo prima che la fama, sempre giusta, si risolva a coronare i loro nobili sforzi.

Le persone di lettere sono, senza contradizione, i Cittadini i più rispettabili, onde si debbono avere per loro tutti i riguardi. Essi dipingono le disgrazie dei popoli, li eccessi delle passioni, li sforzi della virtù, e fino le conseguenze del delitto. Fedeli alla loro vocazione essi hanno avuto il coraggio d’insultare i trofei sanguinosi, che la servitù, e l’orrore aveano consacrati alla tirannia. Giammai la causa dell’Umanità non è stata meglio patrocinata, e quantunque per una fatalità incomprensibile essi l’abbiano talvolta perduta, questi intrepidi Avvocati non sono rimasti per questo meno coperti di gloria.

Io non conosco, ci diceva una volta un barbaro nemico dei poveri Letterati, io non conosco sulla terra un Governo peggio regolato di quello delle Lettere. Esso non ha né ordine, né metodo, né giustizia. I suoi popoli che noi chiamiamo Autori sono la maggior parte degli assassini che vivono di furti, e di rapine. Ogni Suddito si appropria quanto può, la roba altrui, e la fà comparire come sua. I Greci, e i Romani, che deposero un giorno nel pubblico Tesoro delle grandi ricchezze, vi sono saccheggiati ogni giorno senza pietà. Questi assassini letterarj si chiamano dei Plagiarj cioè a dire degli Scrittori le di cui Opere appartengono ad altri, e che non avrebbero mai scritte, se altri non gli avessero preceduti.

Non vi è adesso in Europa nulla di più facile quanto il fare un Libro. È questo solamente un affare di memoria. Basta di aver letto un assortimento di Opere antiche, e moderne, di imprimere stabilmente nell’idea i passi, e gli Aneddoti più importanti. La combinazione poi è uno studio a parte che si impara con l’esercizio([ix]).

Io non saprei meglio paragonare uno Scrittore moderno quanto a un Giardiniere che raccoglie in un piccolo spazio di terreno le piante, e gli alberi di tutte le parti della Terra, e che non vi mette del suo, se non la coltura, e la custodia.

Si agita da lungo tempo una disputa curiosa, cioè se sieno più valutabili gli scrittori antichi, o i moderni. È facile la risposta. I moderni non avrebbero scritto in quella maniera che gli fà distinguere, se gli antichi non lo avessero fatto prima di loro. Togliendo dalle Opere di quelli ciò che appartiene a questi non resterebbe ai primi cosa alcuna.

Quantunque si facciano sempre in Europa dei buoni libri, è già lungo tempo che non si scrive più cosa alcuna. Gli Autori altro non fanno che ripetersi: essi dicono ciò che è stato già detto mille volte. Si cerca soltanto di dare una nuova idea a dei vecchi pensieri. L’Autore originale è ora stimato quello che fà comparire in un nuovo aspetto ciò che tutto il mondo già sà.

Ecco quali sono gli Uomini che illustrano attualmente l’Europa, e che sono sì vani del loro titolo di Autori che riguardano il resto dei loro simili come dei piccoli mortali indegni di respirare un aria comune con essi.

Se volete meglio sapere i mezzi che mettono in uso gli Europei per divenire sapienti, io vel insegnerò: Non vi è nulla di più facile. Ecco come accade questo fenomeno.

Tutto il genio Europeo è rinchiuso in grandi Biblioteche dove sono ammassati dei milioni di Libri. Questi Libri formano un Magazzino di mercanzie Letterarie dove ciascuno và a comprare quella dose che gli bisogna.

Per non confondere le cognizioni, ogni genere di Letteratura ha il suo quartiere. Non bisogna, che il curioso Iniziato si allontani dal distretto che si è proposto, mentre si troverebbe in un Paese straniero dove ignorerebbe fino il nome degli Abitanti.

Tutto lo studio consiste in una ricerca materiale. Si spogliano lungo tempo questi Libri, e talvolta tutta la vita senza trovarvi il genio che vi si cerca. Quelli che sono abbastanza felici per trovarlo alla prima ricerca sono gli Eletti della Letteratura; Ecco tutta la differenza che passa tra i Sapienti e gl’ignoranti.

Quantunque si lavori da più di venti Secoli all’aumento del magazzino delle scienze; mi si è assicurato che il sapere si trova sempre nel medesimo grado, e che il genio Europeo in duemila anni non ha guadagnato un palmo di terreno.

Io lo credo tanto più facilmente allorchè rifletto che si mette sempre nel magazzino dello spirito ciò che, si era già cavato pochi giorni avanti: Anzi si pretende fino che se ne renda meno di quel che si è preso. Se ciò fosse questo magazzino delle Scienze sarebbe dunque un oracolo alla lor perfezione, e accaderebbe quindi([x]) che a forza di leggere si arriverebbe in fine a non saper nulla.

Si vestono, e si adornano continuamente i vecchi pensieri sul gusto moderno; ma quando tutte le mode saranno finalmente esaurite, non resteranno se non i primi elementi delle cognizioni che trovandosi affatto nude, e disadorne ricaderanno nel nulla da cui sono uscite.

Gli Uomini in generale non sono propri alle Scienze. Esseri troppo limitati non saprebbero scorrere ciò che per se stesso è senza limiti: Ma di tutti gli individui che abitano la Terra forse gli Europei vi sono ancora i meno propri.

Questi Popoli sono involti da una folla di pregiudizi, da cui in generale sono prive le altre nazioni. Essi hanno troppo fuoco, troppo spirito, troppa vivacità: si comunicano troppo, e la Società è quella appunto che mette presso di loro un ostacolo al sapere. Quella molteplicità di piaceri, di dipartimenti, di capricci, che si succedono continuamente, gettano nello spirito una leggerezza, e una incostanza naturale che impedisce il progresso delle arti. Bisognerebbe per così dire cangiare il suo clima che tanto influisce sul suo carattere.

Più si esamina l’Universo, e meno si trovano delle facilità per l’acquisto delle Scienze.

L’America è naturalmente senza genio. L’Affrica manca di talenti, L’Asia non si comunica abbastanza. L’Europa si comunica troppo.”

Questo è il linguaggio di tutti coloro che hanno battuta la strada delle Lettere senza riuscirvi. Osservando degli Uomini più fortunati di essi gli invidiano, li calunniano, o gli disprezzano. Ah fossero questi soli almeno i loro maggiori nemici! Poco si temono delle armi che non hanno né taglio né punta. Per disgrazia altri nemici, ed altre armi difficili a superarsi si oppongono ai loro progressi.

In generale è permesso agli Europei l’aver dello spirito, ma è proibito loro di esser sapienti. La loro più profonda erudizione si riduce ad un sapere superficiale.

Se un letterato mostra di aver troppo genio, e tenta di inalzarsi al di sopra delle cognizioni ordinarie si fa ben presto rientrare nei limiti dell’ignoranza generale. Non bisogna mai credere che vi sia una mancanza di capacità, o di forze. Le nostre buone teste moderne anderebbero ancor più lontano delle antiche se non fossero arrestate in mezzo al corso.

Se un uomo di gran talento ardisse in qualche Paese di fare aprire gli occhi ai suoi Concittadini, si procurerebbe ben presto di chiudere i suoi. Uno dei nostri Filosofi osservò un giorno che vi era qualche cosa da correggere nell’Asse Celeste: Gli fù risposto che egli non dovea mescolasi nelle cose del Cielo, e fù carcerato.

Le persone di Chiesa che nei tempi passati sono stati i Depositari o i custodi della pubblica ignoranza avrebbero perduta troppo presto la loro autorità forse ancora prima di bene assicurarla, permettendo agli Uomini di divenire sapienti. Invigilavano soprattutto sui loro progressi nella Fisica che conduce direttamente alle cognizioni soprannaturali. Questa era la loro piazza di frontiera che difendevano gelosamente; essi ben prevedevano che perduta questa tutto il resto era senza difesa.

Finchè il Mondo è stato ignorante essi si facevano la legge: appena illuminato un poco la scena è cangiata. Per difendersi adesso, e ricevere meno colpi che possono, è necessaria l’applicazione, e lo studio, ed una volta era molto più comodo il dominare gli spiriti, ed essere ignoranti.

È un paradosso il supporre che il Clima Europeo, e le forze dell’Uomo sieno un ostacolo per la perfezione delle Scienze. Malgrado i limiti fissati, malgrado tante catene che si offrono di lontano agli Uomini di lettere, vengono pubblicate di tempo in tempo delle Opere che passano i limiti, e non curano le catene. Queste Opere provano che altro non manca se non la libertà onde gli Uomini arrivino alla perfezione desiderata. Quando le parole sono schiave, quando non si è permesso di pensare, lo Scrittore diventa un uccello a cui si sono tagliate le ali.

Quanti Scrittori sono stati disgraziati, ed inquieti in tutto il resto della lor vita per aver troppo scritto! Il silenzio, e l’inazione si può quasi riguardare come l’emblema della tranquillità. Un Uomo per aver scritto poche righe è rimasto muto dieci, e venti anni. Un altro che ha parlato una sol volta condannato a un eterno silenzio.

La parola, e il pensiero sono delle facoltà dell’anima, sopra a cui cosa alcuna non sembra avere alcun diritto, seppure non turbano l’ordine politico, e civile di uno Stato; e in quest’ultimo caso ancora non dovrebbe essere soggette che alla riprensione. Si punisce il Cittadino che ha parlato, o che ha scritto come quello che ha agito, e si confonde così l’ordine dei delitti, e delle pene.

Giammai gli antichi Governi posero una inquisizione sopra la penna; tutti ebbero la libertà di riflettere, e comunicare le proprie idee. Di più a Roma ogni Cittadino aveva fino il diritto di dire il suo sentimento sugli affari dello Stato, e solamente dopo la rovina della Repubblica gl’Imperatori imposero silenzio.

Adesso chi scrive procura di star lontano dugento miglia almeno dalla Bastiglia, altrettante da Spandau, più di cinquecento dalla Siberia, e due o tremila dall’Inquisizione.

Ecco ciò che si legge in un nuovo foglio periodico un poco sospetto, perchè scritto, e stampato con le precauzioni suddette.

Montesquieu dice che gli Sciti facevano crepare gli occhi ai loro schiavi onde fossero meno distratti battendo il loro Burro. L’istesso appresso a poco si costuma in Europa dove con buonissimi occhi è proibito veder chiaro. Da più di cent’anni è solo permesso l’aver due occhi aperti in Inghilterra. In alcuni paesi si comincia solo ad aprire un occhio; ma in altri non si accorda neppure il diritto di esser Monoculo([xi]).

Date un occhiata, o SANTO PADRE, a tutto ciò che abbiamo avuto l’onore di esporvi. Degnatevi fissare la vostra attenzione. Non ne è indegno l’oggetto. È tempo il riformare degli abusi consacrati dalla barbarie, o dalla ignoranza dei tempi. Considerate che le Inquisizioni Ecclesiastiche hanno prodotto poi le Civili, e che in conseguenza l’annullazione delle prime può cagionare la moderazione delle seconde. La Chiesa è attualmente in uno stato di crisi ([xii]). Tutta l’Europa è inondata di scritti pericolosi, e seducenti, che si ricercano con maggiore ansietà, quando appunto sono più rari e inquisiti. Che mai dunque può accadere di peggio con un nuovo sistema? Si quelques Livres ont l’avantage d’etre marqués au sceau de la brulure, comme s’ils s’épurassent ([xiii]) par le feu, leur celebritè s’augmente d’autant plus. Nouveaux Phénix ils renaissent de leurs cendres. Les Editions se succèdent rapidement, & le Monde en est inondé. Vedi Correspondance ([xiv]) litteraire secrète Num.42. 1783.

Da VOI dipende il vendicare la giustizia, la verità, il buon gusto sì rigorosamente trattati, e che reclamano il vostro soccorso. Tra i fasti gloriosi del vostro Pontificato non lasciate indietro il più importante, se non il più necessario. Voi dovete rendere questo servizio alle Lettere avvilite, alla lingua incatenata, e sopra tutto all’Italia gemente, che vede imputridire copiosamente nel suo seno i più fervidi talenti, e geni i più felici. Fate che i nostri Bastardi della Letteratura, e tutti gl’Imbrattatori di carta della Penisola cedano il campo; e si nascondano per sempre in faccia a dei competitori superbi dei loro nuovi diritti. Essi altro non cercano se non di scrivere in un Paese, in cui i Torchi, senza essere licenziosi, vi sieno liberi, onde non essere obbligati a produrre dei mostri, o degli Aborti. Ciò che riguarda l’Arte Libraja vi sia regolato su i principj i più saggi, e nel tempo istesso i più giusti. Tutti i Libri nazionali, e stranieri vi si producano, e si espongano con sicurezza, e con libertà. Le Frontiere non sieno coperte di certi Ufizi Sindacali, incaricati a far subire ai Bauli, ai Fagotti ec. una visita rigorosa, e quel che è peggio di portar via sovente senza scrupolo, né rimorso ciò che essi rinchiudono, quando ancora non vi fosse nulla di pericoloso, e di reprensibile. Qualunque Opera che non abbia eccitata la pubblica indignazione, o provocato il rigore delle Leggi, vi sia accolta e tollerata. Finalmente un Autore non sia allontanato dalla Società, se non quando ne fosse considerato come un velenoso Perturbatore.

Ecco ciò che i Letterati, i Sapienti, gli Stampatori, i Libraj, e tutte le persone attaccate alla pelle degli uomini di Lettere cercano, e sospirano da lungo tempo. Esaminate le nostre dimande, leggete la nostra Supplica, e salvate questa almeno dalle unghie della Congregazione, onde non serva di pascolo al suo Indice.

 

 

 

 

 

F I N E.

 

 



([i]) Questo stabilimento è ammirabile per riempire l’Europa di cattivi Libri, e impedire l’impressione dei buoni. Un Autore che non ha altra raccomandazione che il suo merito corre rischio di non incontrare presso quelli che debbono dargli la permissione di averne.

([ii]) Paradossalmente furono proprio gli stampatori/editori a contribuire alla nascita del diritto dell’autore sull’opera dell’ingegno. Le nuove correnti illuministe, che riconoscevano il concetto di proprietà intellettuale, unitamente all’idee liberiste, contrarie ai sistemi monopolistici, accelerarono il processo di trasformazione. All’inizio del XIX secolo paesi come l’Inghilterra, la Francia e la Prussia definiscono regole nazionali per gestire la proprietà intellettuale, mentre l’Italia statuiva la proprietà dell’autore nel Codice Albertino del 1838. (N.d.R.)

([iii]) Ferdinando Alvarez de Toledo(1507-1582), terzo Duca d'Alba. Fu il più celebre uomo d'arme della grande stagione della Spagna imperiale (1469-1716). E’ celebre come il macellaio delle Fiandre, regione nella quale si rese responsabile di sanguinosi massacri di migliaia di uomini, donne e bambini protestanti: fanaticamente era convinto che fosse meglio radere al suolo l'intero Paese piuttosto che lasciarlo nelle mani degli “eretici”. (N.d.R.)

([iv]) Ganganelli.

([v]) V. il Dialogo fra Clemente XIV. e Pio VI. [Si tratta di un opuscolo di 68 pagine edito da questo stesso stampatore, il cui titolo completo è: Ganganelli e Braschi o sia dialogo fra Clemente XIV. e Pio VI. - Tibet Antica 1784. (N.d.R.) ]

([vi]) Il Sig. Duca di Dorset ha rappresentato che la libertà della stampa era la più bella prerogativa dell’Aristocrazia Inglese, e che una ingiuria stampata in Inghilterra non portava ad alcuna conseguenza.

V. Nouvelles de Divers Endroits N. 10. 1785.

Si arrestò a Londra, non è molto tempo, un cittadino che aveva scritto, dicesi, con troppa libertà sul Governo. Dopo averlo fatto strascinare in una prigione che si chiama la Torre, si esaminò seriamente se si potesse con giustizia ritenervelo. Dopo parecchie ricerche si osservò che il prigioniero non avea passato i limiti della libertà Inglese, e che anzi avea parlato al Governo con quel tuono accordato dalla costituzione patriottica. Siccome dunque non si potea ritenere più a lungo tempo questo Cittadino, si rilasciò; ma appena recuperata la libertà scrisse ai Ministri che erano tanti assassini, e gli minacciò di fargli condannare come tali. Si fecero delle nuove ricerche sopra questa seconda invettiva, e si trovò che egli poteva impiegare precisamente questi termini; poichè alcuni Ministri aveano ordinato di fare una perquisizione in casa sua nel tempo del suo arresto, e di portargli via tutti i suoi fogli: onde secondo le Leggi di Inghilterra quelli che prendono, o ordinano di prendere gli effetti che appartengono a un Cittadino sono dichiarati assassini. Il prigioniero era Membro del Parlamento, cioè a dire uno dei rappresentanti il Corpo in cui risiede la Sovrana Potenza. Pertanto se fosse permesso l’arrestare uno dei suoi Membri sotto il minimo pretesto, si potrebbe ancora imprigionare ben presto tutto il Parlamento, e sarebbe rinnovato l’esempio di Cromwell che avendo cacciati gli uni dopo gli altri i Membri dalla gran Sala chiuse la porta, e portò seco la Chiave.

([vii]) L’espulsione dei Gesuiti dal Portogallo e dalle sue Colonie avvenne nel 1759 con destinazione il porto di Civitavecchia. La Spagna, nella notte tra il 2 e il 3 aprile 1767, circondò tutte le case della Compagnia, gli occupanti arrestati e quindi imbarcati, con i soli vestiti che avevano indosso, su navi dirette anch’esse a Civitavecchia. Ma lo stesso Papa, poichè erano troppi, rifiutò di accoglierli e furono trasferiti, a gruppi, in Corsica...(N.d.R.)

([viii]) V. Voltaire Istoria Universale T. II.

 

([ix]) Nel testo eservizio (!)

([x]) Nel testo qoindi (!).

([xi]) La Gazzette noire par un homme qui n’est pas blanc. Opera periodica stampata in Olanda che è cominciata a comparire sulla fine del 1783.

([xii]) Nel testo crise

([xiii]) Nel testo s’epuroient .

([xiv]) Nel testo correspondence .