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Documentazione   Documento inserito il 28-11-2007


 

 

 

 

LO STATUS DI PARLAMENTARE

Seconda parte

 

Ministri e reati ministeriali.

Consiglieri regionali. Parlamentari europei.

 

Di Federico Novelli

 


Prima parte (del 15-10-2007)

 

INDICE DELLA PRIMA PARTE

1. Introduzione. 2

2. Lo status dei parlamentari nel regime dello Statuto Albertino. 2

3. Lo status dei parlamentari nella Costituzione Repubblicana. 3

3.1 L’ immunità parlamentare. 3

3.2 La problematica dell’ insindacabilità alla luce di alcune sentenze della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei diritti dell’ uomo di Strasburgo. 4

3.3 Le altre garanzie previste dall’ art. 68 della Costituzione. 8

3.4 L’ applicazione dell’ art. 68  della Costituzione: la legge 140 del 20-6-2003. 9

3.5 L’ indennità e il trattamento economico dei parlamentari 10

FONTI BIBLIOGRAFICHE. 13

SITI INTERNET CONSULTATI 13


 

Seconda parte (28-11-2007)

 

 

INDICE DELLA SECONDA PARTE

 

 

4. La responsabilità dei Ministri e i reati ministeriali 4

5. Le prerogative dei Consiglieri regionali 1

6. Lo status dei parlamentari europei 6

7. Conclusioni 8

 

FONTI BIBLIOGRAFICHE. 9

SITI INTERNET CONSULTATI 9

 

 


 

5. La responsabilità dei Ministri e i reati ministeriali

 

 

L’ art. 28 della Costituzione stabilisce che i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici che compiono atti in violazione di diritti sono responsabili secondo le leggi civili, penali ed amministrative. Più specificamente, in base all’ art. 96 della Costituzione, così come modificato dalla legge costituzionale n. 1 del 16 gennaio 1989, il Presidente del Consiglio ed i Ministri sono sottoposti, per i reati commessi nell’ esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria anche se cessati dalla carica, previa autorizzazione del Senato o della Camera, secondo norme stabilite con legge costituzionale.

Fino al 1989 la disciplina dei reati ministeriali era diversa. Infatti l’ art. 96 stabiliva che il Presidente del Consiglio ed i Ministri fossero giudicati con lo stesso procedimento previsto per i reati presidenziali, ossia messa in stato d’ accusa da parte del Parlamento in seduta comune e successivo giudizio da parte della Corte Costituzionale. La suddetta disciplina dell’ art. 96 è stata modificata nel 1989 a seguito di un decennio nel quale si erano verificati fatti significativi che avevano suscitato reazioni nell’ opinione pubblica. Infatti, il 1° marzo 1979 iniziava il cosiddetto processo “Lockheed” dinanzi alla Corte Costituzionale.

A partire dal 1971, la compagnia aerospaziale “Lockheed” aveva offerto tangenti ai membri di vari governi, fra cui quello italiano, affinché essi acquistassero gli aerei da essa fabbricati. Lo scandalo, che scoppiò solo nel 1976, coinvolse anche due ex Ministri della Difesa, Luigi Gui (della DC) e Mario Tanassi (segretario del PSDI), oltre Mariano Rumor, eminente personalità della DC e capo del Governo per due volte negli anni 60 e 70. Il processo si concluse con la condanna del solo Tanassi; Rumor fu “assolto” dal Parlamento e Gui prosciolto dalla Corte Costituzionale. Fu questo l’ unico caso in cui fu attivata la procedura dell’ art. 96 della Costituzione; ciò avvenne con grande difficoltà e dispendio di energie, dal momento che la Corte Costituzionale fu bloccata nella sua attività ordinaria per due anni.

Le reazioni dell’ opinione pubblica a questi fatti imposero una riforma della materia. Ciò avvenne, inizialmente attraverso la legge ordinaria (legge n. 170 del 10 maggio 1978). Successivamente, nel novembre 1987, l’ esito positivo di un referendum abrogativo, sancì l’ abrogazione della legge suddetta. A questo punto, sul finire degli anni 80, la classe politica maturò la consapevolezza della necessità di procedere ad un riassetto completo della materia attraverso una riforma della Costituzione. Essa fu varata il 16 gennaio 1989.   

La disciplina attuale dei reati commessi dai Ministri, sebbene semplificata, è tuttavia diversa rispetto a quella prevista per i reati commessi dai comuni cittadini. Al pari di quanto già ampiamente detto a proposito delle prerogative dei parlamentari e dei consiglieri regionali, questa diversità di trattamento rispetto ai comuni cittadini non deve e non può in alcun modo trasformarsi in privilegio personale, ma si giustifica sulla base del fatto che i reati commessi dai ministri nell’ esercizio delle loro funzioni sono connessi con l’ attività di governo. Anche in questo caso, dunque, vale il nesso funzionale.

Si è detto che in base all’ art. 96 della Costituzione, così come modificato dalla legge costituzionale del 1989, i Ministri sono sottoposti alla giurisdizione ordinaria. Tuttavia bisogna precisare che esiste un collegio istituito ad hoc (il cosiddetto “tribunale dei Ministri”) presso il tribunale del capoluogo di distretto di corte d’ appello. Il collegio è costituito da tre magistrati ai quali sono affidate le indagini preliminari. Se il collegio non dispone l’ archiviazione, gli atti sono trasmessi alla Camera competente, ossia la Camera di appartenenza del Ministro oppure il Senato nel caso in cui il Ministro non sia membro del Parlamento. A questo punto la Camera competente può, a maggioranza assoluta, non concedere l’ autorizzazione a sottoporre il Ministro a giudizio, ma solo nel caso in cui questi abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico. La valutazione compiuta dalla Camera competente è comunque insindacabile.

Fino alla riforma del 1989 i Ministri venivano messi in stato d’ accusa dal Parlamento attraverso una speciale commissione cosiddetta inquirente. In seguito i Ministri accusati venivano giudicati dalla Corte Costituzionale nella sua composizione integrata[1], la stessa chiamata a giudicare dei reati del Presidente della Repubblica.

Cerchiamo, a questo punto, di definire meglio la tipologia dei reati ministeriali[2]. Tali dovrebbero essere i reati che i membri dell’ esecutivo commettono nell’ esercizio delle loro funzioni e, presumibilmente, in vista della “tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’ esercizio della funzione di governo”[3]. Bisogna, dunque, ritenere, che nel caso in cui il membro dell’ esecutivo commetta illeciti senza che vi sia la necessità di tutelare interessi rilevanti dal punto di vista costituzionale, tali atti siano ascrivibili alla fattispecie dei reati comuni e, come tali, sarebbero soggetti alla piena cognizione dell’ autorità giudiziaria ordinaria. Dunque, in quest’ ultimo caso, il Ministro sarebbe giudicato non quale Ministro, ma quale cittadino comune.

Il problema che si pone, però, deriva dal fatto che, una volta accertata la “ministerialità” del reato viene inibita la possibilità di procedere; ma allora che senso ha parlare di reato in queste condizioni? Se, come sostiene Giacomo Di Raimo[4], il reato è “ogni fatto umano per il quale l’ ordinamento giuridico prevede una pena”, allora quello ministeriale dovrebbe essere un reato “improprio”, in quanto non perseguibile; oppure si potrebbe pensare che, nel caso in cui il Parlamento conceda l’ autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro incriminato, il reato verrebbe “degradato” da ministeriale a comune. 

E’ importante ribadire che, essendo previsto il regime autorizzatorio di cui all’ art. 96 Cost., in base all’ art. 9, comma 3 della legge cost. n. 1 del 1989, la Camera competente può negare  l’ autorizzazione a maggioranza assoluta qualora sia dell’ avviso che il membro dell’ esecutivo abbia agito per tutelare interessi costituzionalmente rilevanti o preminenti interessi pubblici.

La volontà del legislatore che ha introdotto la riforma del 1989 è stata, dunque, quella di mantenere delle garanzie, vista l’ altissima e delicata funzione svolta dall’ esecutivo, ma di non stabilire un regime processuale troppo differenziato da quello ordinario. La risultante è stata il procedimento che potremmo definire “misto” stabilito dalla legge costituzionale del 1989 volto a limitare al massimo la disparità di trattamento tra membri dell’ esecutivo e cittadini comuni, ma nello stesso tempo finalizzato a garantire al Presidente del Consiglio ed ai Ministri un trattamento che li tuteli da eventuali strumentalizzazioni politiche. La garanzia è evidentemente rappresentata dall’ intervento parlamentare.        

Come si può vedere, dunque, il nostro ordinamento giuridico prevede delle prerogative particolari (e, dunque, uno status particolare), sia per i rappresentanti della Nazione che esercitano la sovranità popolare – ossia i parlamentari – sia per i membri dell’ esecutivo, sia per il Presidente della Repubblica. Tuttavia, come è stato più volte ribadito, tale status particolare è accordato solo sulla base del fatto che i rappresentanti delle istituzioni democratiche, per il compito fondamentale e particolarmente delicato che svolgono, non possono essere assimilati agli altri cittadini. Vale, lo ribadiamo anche nel caso del Presidente del Consiglio e dei Ministri, il nesso funzionale già ampiamente menzionato con riferimento ai membri del Parlamento. Questo implica che, ad esempio, se un Ministro uccide un suo dipendente all’ interno del suo Ministero (dunque in mera contestualità cronologica con l’ esercizio delle sue funzioni)uestroQQQ dovrebbe essere esclusa la “ministerialità” in quanto c’ è una relazione meramente cronologica con l’esercizio delle funzioni. Occorre, perciò, fare molta attenzione a non trasformare le prerogative in privilegi personali.

 

 

5. Le prerogative dei Consiglieri regionali

 

 

La Costituzione repubblicana del 1948 prevede che l’ ordinamento dello Stato italiano sia improntato su un ampio decentramento amministrativo. A questo proposito l’ art. 5 sancisce che la Repubblica, pur essendo una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali. Fra queste, l’ istituzione che ha maggior rilievo è la Regione. Infatti, sebbene l’ art. 114 della Costituzione menzioni espressamente anche le Province, i Comuni e le Città metropolitane e ne sancisca l’ autonomia, la Regione si colloca in posizione di preminenza sugli altri enti di decentramento ora citati. Ad essa la Costituzione dedica uno spazio ampio nel titolo 5° della seconda parte.

Ai fini del nostro studio è importante soffermarsi sull’ art. 122. Esso fissa le norme di base per il sistema d’ elezione e lo status dei consiglieri regionali. E’ stato riformato abbastanza di recente attraverso la legge costituzionale n. 1 del 22 novembre 1999.

Prima della riforma l’ art. 122 prevedeva che il sistema d’ elezione, il numero ed i casi di incompatibilità e di ineleggibilità fossero stabiliti con una legge della Repubblica. Dal 1999, invece, è una legge della Regione a stabilire tutto ciò, nei limiti dei principi fondamentali  sanciti con legge della Repubblica.

Fino al 1999 la leggi statali di riferimento erano la legge n. 108 del 17 febbraio 1968 e la legge 23 febbraio 1995, n. 43. Per quanto riguarda il numero dei componenti dei consigli, la normativa sancita dalla legge del 1968 stabiliva che essi fossero in numero variabile a seconda della popolazione della Regione. Tuttavia il numero dei consiglieri poteva essere aumentato nel caso in cui, anche con il premio di maggioranza, la coalizione vincente alle elezioni non fosse stata in grado di conquistare il 55% o il 60% dei seggi nel consiglio[5]. Questa normativa portava, ovviamente, alla possibilità di aumentare il numero dei consiglieri e quindi delle spese. Per di più la legge costituzionale del 1999 ha sancito una forma di governo transitoria in base alla quale entrano a far parte del Consiglio anche il Presidente ed il candidato Presidente non eletto, ma più votato fra gli sconfitti. Tale forma transitoria è ancora in vigore in molte regioni.

Si è detto che oggi l’ art. 122 prevede che sia una legge della Regione a stabilire la modalità d’ elezione dei consiglieri ed i casi di ineleggibilità ed incompatibilità. Il problema che si pone è quello di stabilire se la legge regionale competente a disciplinare il numero dei consiglieri sia lo Statuto o la legge elettorale. Sembra più appropriato affermare la competenza dello Statuto, anche perché la Corte Costituzionale ha fatto propria questa interpretazione.

Segnaliamo che molti Statuti hanno stabilito un numero fisso di consiglieri, spesso superiore a quello sancito dalle previgenti leggi statali. Gli Statuti della Calabria e dell’ Abruzzo prevedono che la legge elettorale possa stabilire un numero superiore di consiglieri ai fini del raggiungimento del premio di maggioranza. Molti Statuti stabiliscono poi che il Presidente della Giunta regionale (che come è noto è il Presidente della regione, il “Governatore”, secondo un’ espressione mutuata dal linguaggio politico-istituzionale degli Stati Uniti e molto in voga attualmente) faccia parte del consiglio.

Si segnala, inoltre, che in Abruzzo, in Lazio, in Emilia-Romagna, in Toscana ed in Calabria il candidato presidente più votato dopo quello risultato eletto entra a far parte del consiglio regionale.

Per quanto riguarda, infine, le regioni a statuto speciale, esse hanno un numero di consiglieri fisso, sancito dagli statuti, ad eccezione del Friuli-Venezia-Giulia che ha un numero variabile a seconda della popolazione.

Parliamo ora dello status dei consiglieri regionali. Per essi è stabilito il divieto di mandato imperativo, come per i parlamentari nazionali, in base alla legge 165 del 2004.

L’ art. 122, comma 4 della Costituzione, poi, sancisce che i consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’ esercizio delle loro funzioni. Come si può notare, l’ espressione è identica a quella dell’ art. 68, riferita ai parlamentari nazionali. Tuttavia le analogie con il Parlamento nazionale in fatto di immunità finiscono qui. Infatti l’ art. 122 non intende estendere lo status del consigliere regionale alle altre prerogative previste dall’ art. 68. La Corte Costituzionale (sent. 81 del 1975) ha precisato l’ ambito di applicazione della prerogativa di cui all’ art. 122, comma 4 della Costituzione ed ha stabilito che essa si riferisce anche a deliberazioni consiliari che assumano una forma amministrativa, purché diano attuazione a disposizioni costituzionali o a leggi statali (non a leggi regionali). L’ insindacabilità copre poi la responsabilità penale ed amministrativa per danni arrecati alla Regione. La prerogativa non si estende alle funzioni che i consiglieri svolgano nella loro qualità di membri della Giunta regionale.

La sentenza ora menzionata (n. 81 del 1975) appare interessante ai fini del nostro studio. Vale perciò la pena di ricordare brevemente i fatti che ne sono all’ origine.

Nel 1971 il clima di intimidazione e violenza scaturito dai sommovimenti creatisi per la scelta del capoluogo della regione Abruzzo obbligò il Consiglio regionale a rinchiudersi nel castello federiciano, all’ Aquila, ed a svolgere lì le proprie riunioni. L’ ufficio di presidenza del Consiglio provvide all’ invio dei pasti per i consiglieri e per i dipendenti attraverso un ristorante della zona. La Giunta regionale provvide a dare esecuzione a quanto stabilito dal Consiglio con delibera del 19 ottobre 1971, ma poiché la Commissione di controllo sugli atti della Regione non approvò la delibera, i consiglieri pagarono i pasti in proprio.

Inoltre il Consiglio approvò, con due delibere, il 26 e il 27 luglio 1971, un contratto di assicurazione contro gli infortuni per i consiglieri. La copertura finanziaria sarebbe in parte stata assicurata dalla Regione. La Commissione di controllo annullò anche queste delibere ed i consiglieri restituirono le somme anticipate dalla Regione.  A questo punto, il 20 ottobre 1972, la procura della Repubblica presso il tribunale dell’ Aquila aprì delle indagini finalizzate a verificare se i consiglieri, attraverso l’ adozione delle delibere suddette, avessero commesso il reato di peculato. La Regione, da parte sua, basò la sua difesa sull’ insindacabilità di cui all’ art. 122 della Costituzione, evidenziando una carenza di giurisdizione. In effetti la Corte costituzionale ha ritenuto coperte dall’ insindacabilità ex art. 122 della Costituzione le delibere del luglio 1971, nonostante fossero di natura amministrativa. L’ insindacabilità, come anche evidenziato in precedenza, non si estende però, ai membri della Giunta e, dunque, non può coprire anche la delibera che essa adottò il 19 ottobre 1971. Né vale l’ argomentazione in base alla quale i membri della Giunta erano, all’ epoca dei fatti[6], scelti tra i consiglieri, in quanto l’ insindacabilità è strettamente funzionale e gli stessi consiglieri possono invocarla solo quando svolgono funzioni consiliari e non anche quando operano in qualità dei membri della Giunta.

Dunque si può concludere che per quanto riguarda la posizione della Consulta in merito alla prerogativa dell’ insindacabilità per i consiglieri regionali essa è analoga a quella che abbiamo potuto esaminare in riferimento ai parlamentari nazionali. Inoltre la Corte Costituzionale ha stabilito che essa può essere fatta valere anche per le opinioni espresse alla stampa o comunque fuori dalla sede consiliare purché esse siano connesse con le funzioni svolte dai membri dei consigli. In sostanza vale il fondamentale nesso funzionale che abbiamo già considerato trattando del Parlamento nazionale.

Le assemblee regionali sono poi equiparate a quelle del Parlamento per quanto riguarda la tutela penale. Infatti l’ art. 289 del Codice Penale sanziona l’ attentato contro gli organi costituzionali e le assemblee regionali.

Infine consideriamo l’ indennità. Al pari dei membri del Parlamento, anche i consiglieri regionali ricevono un’ indennità di base alla quale vanno sommate le indennità percepite per altri incarichi e la diaria. L’ indennità dei consiglieri regionali è equiparata a quella dei parlamentari anche per quanto riguarda il regime fiscale.

I pubblici dipendenti che sono eletti consiglieri regionali sono posti in aspettativa obbligatoria per tutta la durata del mandato.

 

 

 

6. Lo status dei parlamentari europei

 

 

L’ assemblea parlamentare dell’ Unione Europea svolge importanti funzioni rappresentative e concorre anche alla funzione legislativa. Attualmente è composta da 785 membri[7] eletti a suffragio universale dai cittadini europei con metodo proporzionale. Sebbene per le funzioni che svolge il Parlamento Europeo non possa essere assimilato completamente alle assemblee parlamentari degli stati membri, tuttavia esso è simile ad esse, soprattutto per il suo carattere rappresentativo. In base all’ art. 190 del Trattato CE lo status giuridico dei parlamentari europei è regolato da uno statuto. Segnaliamo che questo è stato approvato nel 2005 ed entrerà in vigore nel 2009. Per il momento lo status varia da stato a stato.

Bisogna, tuttavia, sottolineare il fatto che esiste un Protocollo sui privilegi e le immunità dei membri dell’ Assemblea parlamentare, allegato al Trattato sulla fusione degli esecutivi dell’ 8 aprile 1965. In base all’ art. 8 del protocollo, i parlamentari europei che si recano al luogo di riunione del Parlamento o ritornano da esso hanno piena libertà di movimento; inoltre hanno particolari agevolazioni in materia di dogana e controllo dei cambi: in particolare ricevono dal proprio governo le stesse agevolazioni concesse agli alti funzionari che si recano all’ estero in missione ufficiale temporanea; dai governi degli altri stati membri ricevono le stesse agevolazioni concesse ai rappresentanti di governi esteri in missione ufficiale temporanea. Stabilisce l’ art. 9 che i parlamentari europei non possono essere ricercati, detenuti o perseguiti per le opinioni che esprimono e per i voti che danno nell’ esercizio delle loro funzioni.

In base all’ art. 10, nell’ ambito del territorio dello stato di cui sono cittadini, godono delle stesse prerogative accordate ai parlamentari nazionali di quello stato; negli altri stati membri sono immuni da ogni provvedimento di detenzione e da ogni procedimento giudiziario, anche quando vanno e tornano dal luogo di riunione del Parlamento; le immunità possono essere tolte dal Parlamento Europeo e cadono nel caso flagranza di reato. 

Lo statuto adottato il 28 settembre 2005 con decisione del Parlamento Europeo stabilisce regole precise anche per quanto riguarda l’ indennità e le immunità. Come si è già detto, entrerà in vigore nel 2009.

L’ art. 2 dello statuto sancisce, prima di ogni cosa, che i parlamentari europei sono liberi e indipendenti. Questa norma è analoga, ad esempio, all’ art. 67 della nostra Costituzione, che stabilisce che i parlamentari esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato. A questo proposito l’ art. 9, comma 1, sancisce che i parlamentari hanno diritto ad una indennità adeguata a garantire la loro indipendenza. L’ indennità ammonta, secondo quanto stabilito dall’ art. 10, al 38,5% del trattamento economico di base di un giudice della Corte di giustizia delle Comunità europee. Dall’ indennità è detratto, secondo l’ art. 11, l’ emolumento percepito dal deputato per l’ esercizio del mandato in un altro parlamento.

In base all’ art. 12, comma 1, l’ indennità di cui all’ art. 9 è soggetta all’ imposta a beneficio delle Comunità.   

Il comma 2 dell’ art. 12 sancisce che non si possono applicare le detrazioni per le spese professionali e personali e di carattere familiare o sociale di cui all’ art. 3, paragrafi 2, 3 e 4 del regolamento del Consiglio n. 260/68 del 29 febbraio 1968.

Ogni stato membro può sottoporre l’ indennità in questione alle sue disposizioni fiscali, fermo restando il fatto che non è possibile alcuna forma di doppia imposizione (art. 12, comma 3).

Secondo quanto prescritto dagli artt. 9, comma 2 e 13, comma 1, al termine del mandato, i membri del Parlamento hanno diritto ad una indennità transitoria, pari al 38,5% del trattamento economico di base del Giudice della Corte di giustizia delle Comunità europee e ad una pensione. Tale ultimo emolumento è, in base alla disposizione dell’ art. 14, comma 1, è accordato al parlamentare solo al compimento del 63° anno d’ età. La pensione ammonta al 3,5% dell’ indennità di cui all’ art. 10 per ogni anno compiuto di esercizio del mandato. Inoltre è previsto un ulteriore ammontare pari a 1/12 dell’ indennità per ogni mese aggiuntivo, sino ad una massimo complessivo del 70%. Il comma 3 dell’ art. 14 stabilisce che il diritto a detta pensione sussiste a prescindere da altri trattamenti pensionistici.

Segnaliamo che il diritto alla pensione è riconosciuto anche nel caso di invalidità insorta nel corso del mandato, come sancisce l’ art. 15. 

Nel caso in cui un ex deputato abbia diritto sia all’ indennità transitoria di cui all’ art. 13, sia alla pensione di cui agli artt. 14 e 15, si applica l’ opzione scelta dall’ interessato (art. 16).

In caso di decesso del parlamentare o dell’ ex parlamentare che, al momento della morte aveva diritto o aspettativa ad una pensione, i coniugi superstiti ed i figli a carico, secondo quanto prescritto dall’ art. 17, comma 1 hanno diritto ad una pensione. L’ importo complessivo delle prestazioni pensionistiche non può comunque superare la pensione a cui il deputato avrebbe avuto diritto al termine del mandato o che spettava o sarebbe spettata all’ ex deputato (art. 17, comma 2). In base al 3°comma dell’ art. 17 il coniuge superstite percepisce il 60% dell’ ammontare di cui al comma 2 e non può comunque percepire meno del 30% dell’ indennità di cui all’ art. 10. E’ importante notare che il diritto in questione sussiste anche nel caso di nuovo matrimonio, a meno che non vi sia alcun dubbio sul fatto che il nuovo matrimonio è stato contratto unicamente a fini previdenziali. 

In base all’ art. 19 i deputati hanno diritto alla copertura assicurativa per i rischi connessi all’ esercizio delle loro funzioni. 1/3 dei premi assicurativi è a carico dei deputati.

L’ art. 20 dello statuto stabilisce che i parlamentari hanno diritto al rimborso delle spese per l’ esercizio del loro mandato. Per i trasferimenti da e per i luoghi di lavoro e per i viaggi di servizio il Parlamento rimborsa le spese effettivamente sostenute; per le spese generali connesse con l’ esercizio del mandato, il Parlamento rimborsa in modo forfettario.

Sono poi contemplate le spese per gli assistenti dei deputati (art. 21). Il Parlamento sostiene quelle effettive.  

Secondo l’ art. 22 i parlamentari hanno diritto di usare le strutture di comunicazione e gli uffici nonché le automobili di servizio.

Poiché lo statuto in questione entrerà in vigore a partire dal 2009, sono stabilite norme transitorie. Tra queste merita menzione quella contenuta nell’ art. 25 in base alla quale, per quanto concerne l’ indennità, l’ indennità transitoria e le pensioni, i deputati in carica e rieletti prima dell’ entrata in vigore dello statuto possono optare per il regime del loro stato membro per l’ intera durata dell’ attività parlamentare. Inoltre secondo l’ art. 29 gli stati membri possono optare, in riferimento ai propri deputati, per un regime transitorio in deroga alle disposizioni dello statuto. La transizione non può durare più di 2 legislature del Parlamento europeo. Nel caso di opzione per il regime transitorio le spese sono a carico degli stati membri.

 

 

 

7. Conclusioni

 

 

Questa analisi sullo status di parlamentari e membri dell’ esecutivo induce a riflettere su un aspetto importante della nostra vita pubblica. Infatti le prerogative accordate dal nostro ordinamento (ma anche da quello dell’ Unione Europea nel caso dei parlamentari europei) danno un contributo notevole ai costi del sistema politico-istituzionale, realtà della quale oggi si parla tanto. Tuttavia occorre affrontare questo problema con spirito critico. A mio avviso non si può porre l’ accento solamente sui costi ingenti che il sistema comporta. Infatti, come detto più volte, sia l’ indennità e gli altri emolumenti economici, sia le immunità e le garanzie si giustificano sulla base del fatto che gli uomini politici svolgono funzioni fondamentali e molto delicate in vista dell’ interesse di tutti i cittadini. E’ dunque giusto assicurare loro uno status particolare che si differenzia dalla condizione dei cittadini comuni. Più volte si è ripetuto che la diversità di status non può in alcun modo essere trasformata in un privilegio personale. E’ dunque questa tendenza ciò che va denunciato e combattuto, non tanto lo status particolare dei politici in sé[8], in quanto questo risulta ben fondato nell’ ordinamento costituzionale in vista di garantire lo svolgimento di fondamentali funzioni politiche.   

 

 

 

 

FONTI BIBLIOGRAFICHE

 

 

  • CAPOTORTI (F.) Parlamento Europeo, voce tratta dall’ Enciclopedia giuridica Treccani, vol. 22, 1990;
  • CARETTI (P.), TARLI BARBIERI (G.), Diritto regionale, Torino, Giappichelli, 2007;
  • CIANCIO (A.), Il reato ministeriale – Percorsi di depoliticizzazione, Milano, Giuffré, 2000.
  • CIAURRO (L.) (a cura di), Lo Statuto Albertino illustrato dai lavori preparatori, Presidenza del Consiglio dei Ministri, dipartimento per le riforme istituzionali, Roma, 1996.
  • CIAURRO (L.), Parlamentare (status di), voce tratta dal Dizionario di diritto pubblico diretto da CASSESE (S.), Giuffrè, Milano, 2006.
  • CICCONETTI (S.M.), Diritto Parlamentare, Giappichelli, Torino, 2005.
  • CONTE (V.) (a cura di) con la supervisione di BUONUOMO (G.), Codice dello status del parlamentare, Servizio delle prerogative, delle immunità e del contenzioso. Raccolte normative n. 1, dicembre 2004, XIV legislatura.
  • CORCIULO (M.S.), Guida al Parlamento italiano, E.S.I., Napoli, 1998.
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  • DI RAIMO (G.), Reati ministeriali, voce tratta dall’ Enciclopedia del diritto, vol. 38, Giuffré, Milano, 1987.
  • FIORELLA (A.), Reato in generale, voce tratta dall’ Enciclopedia del diritto, vol. 38, Giuffré, Milano, 1987
  • GIUPPONI (T.F.), Le immunità della politica. Contributo allo studio delle prerogative costituzionali, Giappichelli, Torino, 2005.
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  • MARTINES (T.), Diritto Costituzionale, a cura di SILVESTRI (G.), Giuffré, Milano, 2003.
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  • TRAVERSA (S.), Immunità parlamentari, voce tratta dall’ Enciclopedia del diritto Giuffrè, vol. XX, Giuffrè, Milano, 1970.

 

 

SITI INTERNET CONSULTATI

 

www.altalex.it

www.camera.it

www.cortecostituzionale.it

www.senato.it

www.europa.eu.int

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Cfr. l’ art. 135, comma 7 della Costituzione.

[2] Bisogna notare che il problema della definizione dei reati ministeriali è annoso. La dottrina in materia è vasta e molto ricca e non esiste una definizione univoca del reato ministeriale.

[3] Cfr. l’ art. 9, comma 3, della legge costituzionale n. 1 del 16 gennaio 1989. 

[4] G. Di Raimo, Reati Ministeriali, voce tratta dall’ Enciclopedia del diritto Giuffré, vol. 38, 1987.

[5] Se la lista regionale maggioritaria e le liste provinciali non raggiungevano il 40% dei voti la cifra dei consiglieri di quella lista veniva aumentata fino al raggiungimento del 55% dei seggi. Se invece raggiungevano il 40% la cifra veniva aumentata in modo da permettere il raggiungimento del 60% dei seggi assegnati al Consiglio.

 

[6] Siamo negli anni 70. A quel tempo non era ancora intervenuta la riforma costituzionale introdotta dalla legge costituzionale n. 1 del 22 novembre 1999, che ha modificato l’ art. 122 della Costituzione. Segnaliamo, tuttavia, che sebbene il nuovo art. 122 stabilisca, al comma 5, che il Presidente della regione sia eletto a suffragio universale e diretto e che i membri della giunta siano da questo nominati e revocati, per espressa previsione dello stesso art. 122, comma 5, lo statuto regionale potrebbe disporre diversamente.

Effettivamente, ancora oggi, parecchie regioni mantengono una forma di governo “transitoria” , basata sulle regole antecedenti alla riforma del 1999, ossia l’ elezione del Presidente della giunta da parte del consiglio.

[7] Il numero dei parlamentari europei sta aumentando a causa dell’ allargamento progressivo dell’ Unione Europea ad altri stati. L’ ultimo allargamento c’ è stato il 1° gennaio 2007, quando sono entrate nell’ UE Bulgaria e Romania. Prima dell’ ultimo allargamento i deputati europei erano 732.

[8] Anche se si potrebbero, se non eliminare, almeno porre in discussione e modificare alcune prerogative.