HOME
PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro
Novelli … ictus …
SENECA
DE TRANQUILLITATE ANIMI
1. Ero immerso
nell'introspezione, Seneca, ed ecco mi apparivano alcuni vizi, messi allo
scoperto, tanto che potevo afferrarli con la mano: alcuni più nascosti e
reconditi, altri non costanti, ma ricorrenti di quando in quando, che definirei
addirittura i più insidiosi, come nemici sparpagliati e pronti ad
attaccare al momento opportuno, con i quali non è ammessa nessuna delle
due tattiche, star pronti come in guerra né tranquilli come in pace. 2.
Tuttavia ho da criticare soprattutto quell'atteggiamento in me (perché infatti
non confessarlo proprio come a un medico?), vale a dire di non essermi liberato
in tutta sincerità di quei difetti che temevo e odiavo e di non esserne
tuttavia ancora schiavo; mi ritrovo in una condizione se è vero non
pessima, pur tuttavia più che mai lamentevole e uggiosa: non sto né male
né bene. 3. Non devi dirmi che tutti i comportamenti virtuosi hanno esordi
malfermi, e che col tempo essi guadagnano consolidamento e forza; non ignoro
nemmeno che anche quelle attività che indirizzano i loro sforzi a
guadagnare immagine, intendo le cariche pubbliche o la fama legata
all'abilità oratoria e tutto ciò che punta sul favore della
gente, si rafforzano con il tempo -sia quelle attività che forniscono
vere forze sia quelle che per guadagnare favore si danno una qualche
verniciatura artificiosa aspettano anni, finché a poco a poco la durata faccia
assumere colore - ma io temo che la consuetudine, che consolida le cose, mi
infigga più profondamente questo vizio nell'animo: la lunga
frequentazione ingenera amore sia per i difetti che per le virtù. 4. Quale
sia la debolezza del mio animo in bilico tra i due comportamenti, incapace di
inclinare con forza verso la retta via o verso quella sbagliata, non posso
indicartela tutta insieme bensì per parti; ti dirò quel che mi
accade, tu troverai un nome al mio male. 5. Sono preda di un grandissimo amore
per la parsimonia, lo confesso: mi piace un letto non preparato per
l'ostentazione, una veste non tirata fuori dal forziere, non pressata da pesi e
mille strumenti di tortura che la costringono a ostentare una bella piega, ma
ordinaria e semplice, non di quelle che si conservano e si tirano fuori con
ansia. 6. Mi
piace il cibo che non debbano elaborare e sorvegliare stuoli di servi, non
ordinato molti giorni prima né servito dalle mani di molti, ma facile a
reperirsi e semplice, un cibo che non ha nulla di ricercato o di prezioso, che
non verrà a mancare da nessuna parte si vada, non oneroso per il
patrimonio né per il corpo, tale da non uscire poi per la stessa via dalla
quale è entrato 7. Mi
piacciono il servo alla buona e lo schiavetto rustico, l'argenteria massiccia
ereditata dal padre contadino che non reca norni di artigiani, e una tavola che
non si fa notare per la varietà delle venaturel e che non è
famosa in città per il frequente susseguirsi di padroni eleganti, ma che
sia improntata alla praticità, tale da non trattenere su di sé gli occhi
di nessun commensale per il piacere né accenderli di invidia. 8. Pienamente
soddisfatto di queste cose, mi attanaglia l'animo il fasto di un collegio di
valletti, schiavi vestiti e adorni d'oro con più cura che per una
processione solenne e una schiera di servi tirati a lucido, e poi una casa
preziosa anche là per dove si cammina e persino i soffitti splendenti di
ricchezze sparse per ogni angolo e la folla che fa da seguito e compagnia a patrimoni
che vanno in fumo; a che dovrei parlare di profiuvi di acque limpide fino al
fondo tutto intorno alle stesse mense, a che di banchetti degni della loro
messa in scena?' 9. Il lusso si riversa con uno splendore diffuso intorno a me
che vengo dal lungo letargo della mia frugalità e mi risuona intorno da
ogni parte: la vista un poco vacilla, contro il lusso levo più
facilmente l'animo che gli occhi; me ne vado dunque non peggiore ma più
triste, e non così a testa alta tra quelle mie povere cose e un assillo
segreto mi prende e il dubbio che quelle altre possano davvero essere migliori.
Nulla di queste cose mi cambia, e tuttavia non c'è nulla che non mi
agiti. 10. Mi
piace seguire gli ordini dei miei maestri e dedicarnii alla vita pubblica; n?ti
piace riportare onori e trionfi non certo perché attratto dalla porpora e dalle
insegne del potere, ma per essere più sollecito e più utile agli
amici, ai parenti e a tutti i concittadini, e insomma a tutti gli uomini. Seguo
pronto Zenone, Cleante, Crisippo,8 dei quali nessuno fece carriera politica e
tuttavia nessuno mancò di indirizzarci gli altri.11. Quando qualcosa
colpisce il mio animo non avvezzo a essere urtato, quando mi si presenta
qualche situazione spiacevole, come ce ne sono molte nella vita di ognuno, o di
quelle che procedono poco agevolmente, oppure occupazioni di non gran conto mi
richiedono troppo tempo, mi concedo del tempo per me e, come succede anche ai
greggi stanchi, tomo più velocemente verso casa. 12. Mi piace chiudere la
vita tra le sue pareti: "Che nessuno ci porti via alcun giomo, dato che
non potrà renderci nulla che sia degno di tanta perdita; l'animo stia
con se stesso, si coltivi, non si dedichi a nulla di estemo, a nulla che
attenda il giudizio di altri; si cerchi una tranquillità priva di
tormenti pubblici e privati." 13. Ma non appena una lettura più
impegnativa mi innalza l'animo e nobili esempi fanno sentire il loro stimolo,
mi piace corrermene nel foro, prestare ad uno la mia voce, a un altro il mio
aiuto, che, se anche non sarà di alcuna utilità, tuttavia
cercherà di esserlo, colpire l'arroganza di chi è ingiustamente
insuperbito per il favore delle circostanze. 14. Nella pratica degli studi
ritengo, davvero, che sia meglio tener presenti attentamente i contenuti stessi
e parlare per questi, per il resto affidare le parole ai contenuti, affinché
venga fuori un discorso non artificioso nella direzione in cui essi conducono:
"Che bisogno c'è di creare opere destinate a durare nei secoli? Non
vuoi tu cercare piuttosto che i posteri ti passino sotto silenzio! Sei nato per
la morte, un funerale silenzioso crea meno fastidi. Così, scrivi
qualcosa con semplicità per occupare il tempo ad uso personale, non
perché si sappia in giro: occorre minor fatica a coloro che si applicano per
l'oggi." 15. Ma di nuovo quando l'animo si eleva per la grandezza delle
cose che pensa, si fa ambizioso anche nella ricerca delle parole e cerca di
respirare e di parlare con maggiore sostenutezza e il discorso che vien fuori
si conforma alla grandezza dei concetti; allora, dimentico della regola o del
mio gusto più misurato mi faccio trasportare più in alto o
"parlo con bocca non più mia". 16. Per non dilungarmi sui
singoli aspetti, in tutte le occasioni mi accompagna questa incostanza di senno
. ... Il Temo di scivolare giù a poco a poco o, cosa più
preoccupante, di essere sempre in bilico come chi sta per cadere e che la
situazione sia forse peggiore di quella che vedo io; infatti guardiamo con
bonomia le cose che ci riguardano e la simpatia offusca sempre il giudizio.17
Penso che molti avrebbero potuto raggiungere la saggezza, se non avessero
ritenuto di averla raggiunta, se non si fossero nascosti qualche loro
manchevolezza, se non avessero sorvolato su qualcosa chiudendo gli occhi.
Infatti non c'è ragione di credere che noi andiamo in rovina più
per l'adulazione altrui che per la nostra. Chi è che ha mai osato dirsi
la verità? Chi è che posto tra branchi di elogiatori e
lusingatori non si è fatto tuttavia egli stesso grandissimo adulatore di
Sé? 18 Ti prego dunque, se hai un qualche rimedio con cui tu possa por fine a
questo mio fluttuare, di ritenermi degno di dovere a te la tnia
tranquillità. Che non siano pericolosi questi moti dell'animo e che non
portino con sé nessun vero sconvolgimento lo so; per esprimerti ciò di
cui mi lamento con una similitudine appropriata, non sono tormentato da una
tempesta, ma dal mal di mare: toglin?ù dunque questo malessere, quale
che sia, e vieni in aiuto di un naufrago che ancora tribola già in vista
della terraferma. 1. Mi
vado chiedendo, perbacco, già da un po', Sereno, tra me e me ?, a che
cosa potrei assimilare tale affezione dell'animo, e non saprei avvicinarla di
più a nessun esempio che a quello di quanti, usciti da una malattia
lunga e grave, di tanto in tanto sono colpiti da piccoli attacchi di febbre e
da episodi di leggero malessere e, quando si sono ormai sottratti alle residue
manifestazioni del male, tuttavia si fanno turbare da quelli che giudicano
sintomi e, orinai guariti, tendono la mano ai medici e sovrainterpretano ogni
rialzo di temperatura. Di costoro, Sereno, non è poco sano il corpo, ma
troppo poco si è abituato alla salute, così come è
presente un qualche tremolio anche nella marina tranquilla, specie quando
è uscita da una tempesta. 2.
C'è bisogno dunque non di quei provvedimenti
più duri che orinai ci siamo lasciati alle spalle, cioè che a
volte tu lotti con te stesso, altre monti in collera con te, altre ancora ti
incalzi pesantemente, ma di quello che viene da ultimo, che tu abbia fiducia in
te stesso e creda di procedere per la strada giusta, non facendotene
assolutamente distogliere dalle orme incrociate dei molti che vagano in tutte
le direzioni, di alcuni che sbandano proprio ai margini della strada. 3.Quanto
a ciò di cui senti la mancanza, è qualcosa di grande, di eccelso,
di vicino a dio, il non essere turbato. Questa stabilità dell'animo,
sulla quale c'è quel volume egregio di Democrito, i Greci la chiamano
"euthymia", io la chiamo tranquillità; infatti non è
necessario imitare e traslitterare un termine secondo la forma greca: lo stesso
oggetto di cui si tratta va contrassegnato con un nome, che deve avere
l'efficacia, non l'aspetto della dizione greca. 4.Dunque noi ci chiediamo in
che modo gli stati d'animo possano seguire un andamento sempre regolare e
favorevole e l'animo sia propizio a se stesso e guardi con contentezza a
ciò che lo concerne e non interrompa questa felicità, ma rimanga
in uno stato di benessere, senza mai esaltarsi o deprimersi: questo
costituirà la tranquillità. In che modo si possa pervenire ad
essa cerchiamolo in generale: tu prenderai dalla medicina comune quanto vorrai.
5. Frattanto va esposto alla vista di tutti il male nella sua interezza, e
ciascuno potrà riconoscere la parte che è sua; tu capirai subito
quanto minor imbarazzo costi a te il disprezzo di te stesso rispetto a quanti,
legati a una professione di immagine e affaticati dal peso della loro alta
dignità ufficiale, sono costretti a recitare una parte dal pudore
più che dalla volontà. 6. Tutti si trovano nella stessa
condizione, sia quanti sono tormentati dall'incostanza e dal tedio16 e dal
continuo mutamento dei propositi, ai quali sempre piace di più
ciò che hanno lasciato, sia quelli che si lasciano marcire tra gli
sbadigli. Aggiungi quelli che si agitano non diversamente da quanti hanno il
sonno difficile e si mettono in questa o in quell'altra posizione finché non
trovano pace per stanchezza: cambiando continuamente modo di vivere da ultimo
si fermano in quello in cui li sorprende non il fastidio per i cambiamenti ma
la vecchiaia restia ai rinnovamenti. Aggiungi anche quelli che sono poco
duttili non per colpa della loro fermezza, ma per colpa della loro inerzia, e
vivono non come vogliono, ma come hanno cominciato. 7. Di qui innumerevoli sono
le caratteristiche, ma uno solo l'effetto del male, l'essere scontenti di sé.
Questo trae origine dall'incostanza dell'animo e da desideri timidi o poco
fortunati, laddove gli uomini o non osano quanto vogliono o non lo ottegono e
sono tutti protesi nella speranza; sono sempre instabili e mutevoli, il che
è inevitabile succeda a chi sta con l'animo in sospeso. Tendono con ogni
mezzo al soddisfacimento dei loro desideri, e si addestrano e si costringono a
obiettivi disonorevoli d ardui, e quando la loro fatica è priva di premio,
li tormenta il disonore che non ha dato frutto, né si rammaricano di aver teso
a obiettivi ingiusti, ma di averlo fatto invano. 8. Allora li prende sia il
pentimento di quello che hanno intrapreso sia il timore di intraprendere altro
e s'insinua in loro quell'irrequietezza dell'animo che non trova vie d'uscita,
poiché non possono né dominare i loro desideri né assecondarli, e
l'irresolutezza di una vita che non riesce a realizzarsi e l'inerzia dell'animo
che s'intorpidisce tra desideri frustrati. 9. E tutto ciò risulta
più grave, laddove per il disgusto di una vita infelice piena di impegni
si sono rifugiati nell'ozio, nella vita privata, condizione che non può
sopportare un animo teso all'impegno civile e desideroso di agire e per natura
insofferente del quieto vivere, che ? si capisce ? trova in sé poco conforto;
perciò, tolti i piaceri che gli stessi impegni dispensano a chi corre da
tutte le parti, non sopporta casa solitudine pareti, a malincuore si guarda
abbandonato a se stesso. 10. Di qui quella noia e quel disgusto di sé, e
l'irrequietezza dell'animo che non trova mai un dove, e la triste e penosa
sopportazione del proprio ozio, soprattutto quando si ha ritegno
nell'ammetterne le cause e il pudore ha ricacciato dentro le ragioni del
tormento, mentre le passioni bloccate in uno spazio angusto si soffocano a
vicenda senza trovare sbocchi; di lì mestizia abbattimento e mille
ondeggiamenti della mente incerta, tenuta in sospeso dalle speranze
accarezzate, intristita da quelle abbandonate; di lì quello stato
d'animo di quanti detestano il loro ozio, lamentano di non aver nulla da fare e
la terribile invidia verso i successi altrui. Infatti l'inerzia infelice"
alimenta il livore e desiderano che tutti cadano in rovina, perché loro non
hanno potuto progredire; 11.quindi da questo avversare i progressi altrui e dal
disperare dei propri l'animo passa ad adirarsi contro la sorte e a lamentarsi
dello spirito dei tempi e a ritirarsi negli angoli e a covare la propria pena,
mentre prova fastidio e disgusto di sé. Infatti per natura l'animo umano
è attivo e portato al movimento. Gli è gradita ogni occasione di
muoversi e distrarsi, più gradita a tutti i peggiori soggetti che
volentieri si consumano nelle occupazioni; come certe ferite vogliono il
contatto con le mani che pure recheranno loro dolore e godono a sentirlo, e la
turpe scabbia prova piacere da qualunque cosa la esasperi, non diversamente
direi che per queste menti, in cui le passioni sono esplose come una dolorosa
ferita, sono motivo di piacere il travaglio e il tormento. 12. Ci sono infatti
cose che possono far piacere anche al nostro corpo recandogli un certo dolore,
come voltarsi e girare il fianco non ancora stanco e rigirarsi continuamente
ora in una posizione ora in un'altra, qual è quel famoso Achille
descritto da Omero ora prono, ora supino, che assume varie posizioni ? il che
è proprio di un malato: non sopportare nulla a lungo e ricorrere ai
cambiamenti come a medicine. 13.Per questo si intraprendono peregrinazioni in
lungo e in largo e si attraversano lidi inospitali e ora per mare ora per terra
fa prova di sé la loro incostanza sempre nemica del presente: "Ora andiamo
in Campania." Subito i luoghi raffinati vengono a noia: "Si vada a
vedere luoghi selvaggi, visitiamo le balze del Bruzio e della Lucania."
Tuttavia in mezzo ai luoghi desolati si cerca qualcosa di piacevole, in cui gli
occhi abituati al lusso possano trovar sollievo dal prolungato spettacolo di
squallore dei luoghi aspri: "Rechiamoci a Taranto, al suo porto elogiato e
al soggiorno invernale di un clima più mite e a una terra abbastanza
ricca anche per la popolazione di un tempo." "Ormai volgiamo la rotta
verso Roma": troppo a lungo le orecchie sono restate libere dagli applausi
e dal chiasso, ormai fa piacere godere della vista del sangue umano. Si
intraprende un viaggio dietro l'altro e si alternano spettacoli a spettacoli.
14. Come dice Lucrezio, "in questo modo ciascuno fugge sempre se
stesso." Ma a che gli serve, se non riesce a sfuggirsi? sempre si segue e
si C incalza da solo, compagno di viaggio insopportabile. Dunque dobbiamo
sapere che non è dei luoghi la colpa per cui ci tormentiamo, ma
nostra:24 siamo incapaci di tollerare tutto, non sopportiamo la fatica né il
piacere né noi stessi né nessuna cosa troppo a lungo. Questo ha portato alcuni
alla morte, il fatto che spesso cambiando propositi finivano per ritornare ai
medesimi e non avevano lasciato spazio alla novità: cominciarono ad
esser loro motivo di fastidio la vita e lo stesso mondo e si insinuò in
loro quel famoso dubbio proprio di una raffinatezza marcescente: "fino a
quando le stesse cose?" 1. Contro questa insofferenza chiedi di quale
aiuto io pensi ci si debba servire. Il meglio sarebbe stato, come diceva
Atenodoro tenersi occupati nell'azione e nell'impegno politico e nei doveri
civili. Infatti, come alcuni passano la vita all'aria aperta e nell'esercizio e
nella cura del corpo e per gli atleti è di gran lunga la cosa più
utile nutrire per gran parte del tempo la forza dei loro muscoli, alla quale si
sono dedicati totalmente, così per voi che preparate l'animo alla lotta
politica è di gran lunga la cosa preferibile darsi all'azione; infatti,
avendo il proposito di rendersi utile ai cittadini e agli uomini in generale,
si esercita e nello stesso tempo ne trae giovamento chi si è immerso
nelle occupazioni curando - in base alle sue possibilità - il pubblico e
il privato. 2. "Ma poiché - diceva - in questa così dissennata
ambizione degli uomini, in presenza di tanti detrattori che distorcono in peggio
le azioni oneste, la sincerità è troppo poco sicura ed è
sempre più probabile si verifichi un intoppo piuttosto che un successo,
è necessario ritirarsi dal foro e dalla vita pubblica, ma un animo
grande anche in privato ha dove dar ampia prova di sé; e per gli uomini non
è lo stesso che per i leoni e le bestie, la cui forza è soffocata
dalla cattività: le loro azioni risultano anzi efficacissime nel ritiro
. 3. Tuttavia starà nascosto cosi che, in qualunque luogo abbia tenuto
celato il suo ritiro, voglia giovare ai singoli e alla collettività con
l'intelligenza, la parola, la saggezza; infatti non si rivela utile allo stato
soltanto colui che promuove i candidati e difende gli accusati e decide della
pace e della guerra, ma anche colui che esorta i giovani, che in tanta carenza
di buoni insegnamenti instilla la virtù negli animi, che sa bloccare e
tirare indietro quelli che si gettano di corsa verso il denaro e il consumo
sfrenato e, se non altro, almeno li trattiene, costui in privato svolge un
compito di ordine pubblico. 4. Ma fa forse di più colui che tra i
forestieri e i concittadini o in qualità di pretore urbano a quanti gli
si rivolgono pronuncia le parole di un assistente rispetto a chi dice che cosa
sia la giustizia, che cosa il senso del dovere, che cosa la sopportazione, che
cosa la forza d'animo, che cosa il disprezzo della morte, che cosa la nozione
degli dei, che bene sicuro e incondizionato sia la buona coscienza? 5. Dunque,
se convertirai agli studi il tempo che avrai saputo sottrarre ai doveri
pubblici, non avrai disertato né ti sarai sottratto al tuo servizio. Infatti
non milita soltanto chi è sul campo e difende l'ala destra e quella
sinistra, ma anche chi sorveglia le porte e si vale di una postazione meno
pericolosa, ma non certo oziosa e osserva i turni di guardia e ha la
responsabilità dell'arsenale; i quali compiti, benché siano incruenti,
sono nel novero dei servizi militari. 6. Se saprai richiamarti agli studi,
fuggirai ogni forma di fastidio della vita e e non desidererai che venga la
notte per noia della luce, non sa rai di peso a te stesso né di troppo per gli
altri; attrarrai molti nella tua amicizia e tutti i migliori verranno da te.
Infatti la virtù non resta mai in incognito, per quanto nascosta, ma
manda segni di sé: chiunque ne sarà degno, la recupererà dal le
tracce. 7. Infatti se eliminiamo ogni frequentazione degli altri e rinunciamo
al genere umano e viviamo concentrati unica mente in noi stessi, farà
seguito a questo stato di solitudine priva di ogni interesse la mancanza di
cose da fare: cominceremo a costruire edifici e a distruggerne altri, e a
sconvolgere il mare e a condurre corsi d'acqua contro le difficoltà dei
luoghi e a distribuire male il tempo che la natura ci ha dato da impiegare. 8.
Alcuni di noi ne fanno uso con parsimonia, altri con prodigalità; alcuni
di noi lo spendono in modo da poter ne rendere conto, altri in modo da non
lasciarne alcun resi duo, cosa di cui niente è più vergognoso.
Spesso una persona molto anziana non ha nessun altro argomento con cui provare
di essere vissuta a lungo se non l'età." 1. A me sembra, carissimo
Sereno, che Atenodoro si sia piegato troppo ai tempi, si sia ritirato troppo
presto. E io non sono qui a escludere che a un certo punto ci si debba
ritirare, ma arretrando a poco a poco e con le insegne intatte, salvaguardando
l'onore delle armi: risultano più rispettati e più sicun quanti
si consegnano ai nemici con le armi in pugno. 2. Questo è ciò che
penso sia il compito della virtù e di uno che ama la virtù: se la
sorte avrà il sopravvento e reciderà la possibilità di
agire, non si dia subito alla fuga volgendo le spalle e gettando le anni,
cercando rifugio, quasi che esista davvero un luogo nel quale la sorte non
possa raggiungerlo, ma si dedichi agli impegni pubblici con maggiore misura e
scelga qualche occupazione in cui possa rendersi utile alla cittadinanza. 3.
Non gli è permesso prestare servizio militare: si candidi a cariche
pubbliche. Deve vivere da privato cittadino: faccia l'oratore. t costretto al
silenzio: aiuti i cittadini con una assistenza legale tacita. Gli è
pericoloso anche l'ingresso nel foro: nelle case, agli spettacoli, durante i
banchetti faccia il buon compagno, l'amico fidato, il convitato sobrio. Ha
perduto gli incarichi del cittadino: svolga quelli dell'uomo. 4. Per questo noi
con animo grande non ci siamo voluti chiudere nelle mura di una sola
città, ma ci siamo aperti alla relazione con tutto il mondo e abbiamo
affen?nato di avere il mondo come patria, perché fosse possibile offrire alla
virtù un campo più vasto. Ti è precluso il tribunale e ti
è vietata la frequentazione dei rostri o dei comizi;' I guarda dietro di
te che ampia estensione di vastissime terre e di popoli si apra; non ti
sarà mai preclusa una parte così grande che una più grande
non ti sia lasciata. 5. Ma fa' attenzione che tutto questo non sia un tuo
difetto; infatti non vuoi amministrare lo stato se non da console o da pritano
o da araldo o da suffete.11 Che dire se tu rifiutassi di combattere se non da
generale o da tribuno? Anche se altri occuperanno la prima fila, e la sorte ti
avrà posto fra i triarii combatti dunque con la voce, con l'esortazione,
con l'esempio, con il coraggio: anche con le mani tagliate colui che tuttavia
resiste e fa opera di sostegno con le grida trova nella battaglia modo di
aiutare il suo partito. 6. Fa' qualcosa di simile: se la sorte ti
allontanerà dalla posizione di primo piano nello stato, resisti tuttavia
e fa' opera di sostegno con le grida e, se qualcuno ti chiuderà la
bocca, resisti tuttavia e fa' opera di sostegno col silenzio. Non è mai
inutile l'opera di un buon cittadino: ascoltato e visto, col volto col cenno
con la tacita determinazione e con la stessa andatura aiuta. 7.Come certe cose
salutari giovano indipendentemente dal gusto e dal tatto con l'odore,
così la virtù dispensa la sua utilità anche da lontano e
di nascosto. Sia che possa spaziare e disporre di sé a suo piacere, sia che
abbia sbocchi incerti e sia costretta a contrarre le vele, sia che si trovi in
ozio e muta e circoscritta in spazi ristretti, sia che abbia libertà di
espandersi, in qualsiasi condizione si trovi, giova. Ritieni forse non
abbastanza utile l'esempio di chi vive bene stando appartato? 8. Dunque
è di gran lunga la cosa migliore mescolare l'ozio alle occupazioni, ogni
volta che verrà preclusa la vita attiva da impedimenti occasionali o
dalla situazione della città; mai infatti sono a tal segno impedite
tutte le possibilità che non ci sia spazio per alcuna azione onesta. 1.
Ma tu ti sei imbattuto in un tipo di vita difficile e la fortuna pubblica o la
tua personale ti ha imposto a tua insaputa un laccio che non sei in grado di
sciogliere né di rompere: pensa che gli schiavi in ceppi in un primo tempo mal
sopportano i pesi e gli impedimenti delle gambe; quindi, una volta che si sono
proposti di non indignarsi per essi, ma di sopportarli, la necessità
insegna loro a sopportarli con fermezza, l'abitudine con docilità. In
qualsiasi genere di vita troverai divertimenti, distensioni e piaceri, se
vorrai giudicare lievi i mali piuttosto di renderteli odiosi.2. A nessun titolo
ci trattò meglio la natura che per questo: sapendo per quali sofferenze
nasciamo, trovò come lenimento delle disgrazie l'assuefazione, ponendoci
subito in familiarità con le sventure più gravi. Nessuno potrebbe
resistere, se la continuità delle avversità conservasse la stessa
violenza del primo colpo. 3. Tutti siamo legati alla fortuna: la catena degli
uni è d'oro, lenta, quella di altri stretta e spregevole, ma che
importa? La medesima custodia ha stretto tutti e si trovano legati anche quelli
che hanno legato, a meno che tu non ritenga più leggera una catena nella
sinistra?" Uno lo tengono avvinto gli onori, un altro il patrimonio;
alcuni sono schiacciati dalla nobiltà, alcuni dalla condizione umile;
alcuni sono soggiogati dall'altrui potere, alcuni dal loro proprio; alcuni li
confina in un unico luogo l'esilio, alcuni la carica religiosa: ogni vita
è una schiavitù. 4. Occorre dunque assuefarsi alla propria
condizione e lamentarsi il meno possibile di essa e afferrare tutto ciò
di buono che ha intorno a sé: non c'è nulla di così aspro in cui
un animo obiettivo non sappia trovare un conforto. Spesso aree esigue si
sogliono aprire a molti utilizzi per l'abilità di chi le dispone e una
disposizione accorta suole rendere abitabile anche il più piccolo
spazio. Usa la ragione di fronte alle difficoltà: le durezze possono
addolcirsi, le strettoie allentarsi, le situazioni gravi opprimere di meno chi
le sopporta con accortezza. 5. I desideri non vanno indirizzati a obiettivi
lontani, ma dobbiamo permettere loro uno sbocco vicino, dal momento che non
sopportano di essere del tutto bloccati. Abbandonati quegli obiettivi che o non
possono realizzarsi o lo possono con difficoltà, perseguiamo mete
situate vicino e che arridono alla nostra speranza, ma manteniamo la
consapevolezza che tutte sono ugualmente inconsistenti, e all'esterno hanno
aspetto diverso, mentre all'intemo sono parimenti vane. E non invidiamo quelli
che stanno più in alto: quelle che sembravano vette si sono rivelate
dirupi. 6. Per converso quelli che una sorte contraria ha posto in situazione
incerta saranno maggiormente sicuri togliendo superbia a cose superbe di per sé
e cercando di portare il più possibile in piano la loro situazione. Ci
sono molti che per necessità devono tenersi attaccati al loro rango, dal
quale non possono scendere se non cadendone, ma attestano che proprio questo
è il loro maggior onere, il fatto che sono costretti a essere di peso ad
altri, e che non sono stati messi su un piedistallo ma ci sono stati inchiodati;"
con giustizia, mitezza, benevolenza, con mano prodiga e generosa dovrebbero
apprestare molte difese per i momenti favorevoli, alla speranza nei quali
potrebbero attaccarsi con più sicurezza. 7. Nulla tuttavia ci
saprà mettere al riparo da queste fluttuazioni dell'animo quanto fissare
sempre un qualche termine ai nostri successi, e non concedere alla sorte
l'arbitrio di smettere, ma fermarci noi stessi decisamente molto al di qua; in
questo modo sia alcuni desideri stimoleranno l'animo sia, delimitati, non spingeranno
verso l'infinito e l'incerto. 1.Questa mia chiacchierata si rivolge a uomini
imperfetti, deboli e non ragionevoli, non a chi possiede la saggezza. Costui
non deve camminare con incertezza né a piccoli passi; infatti ha tanta fiducia
in sé che non esita ad andare incontro alla sorte e non dovrà mai
cederle il passo. Né ha ragione di temerla, perché non solo gli schiavi e i
possedimenti e la posizione ma anche il suo corpo e gli occhi e la mano e tutto
ciò che rende più cara la vita e persino se stesso annovera tra i
beni fuggevoli e vive come se fosse stato affidato a se stesso in concessione e
disposto a restituirsi senza malumore a chi lo reclamasse. 2. E non per questo
si ritiene poco importante - perché sa di non appartenersi - ma svolgerà
tutti i suoi compiti con tanta diligenza, con tanta attenzione quanto un uomo
coscienzioso e responsabile è solito tutelare le cose rimesse alla sua
coscienza. 3. E quando poi gli sarà ingiunto di restituirle, non si
lamenterà con la sorte ma dirà: "Sono grato di ciò
che ho posseduto e ho avuto in uso. Ho curato le tue cose con grande profitto,
ma poiché così stabilisci, ecco che te le do, cedo, grato e volentieri.
Se vorrai che io tenga ancora ora qualcosa di tuo, lo conserverò; se
decidi diversamente, io allora argenteria, denaro, casa, servitù ti
rendo, ti restituisco." Poniamo che la natura reclarni le cose che per
prima ci aveva affidato: noi le diremo: "Riprenditi un animo migliore di
quello che mi hai dato; non sto a tergiversare o a rifiutarmi; ho pronto da darti
spontaneamente ciò che tu mi desti mentre ne ero inconsapevole:
prenditelo." 4.Che c'è di grave a tornare da dove sei venuto?
è destinato a vivere male chi non saprà morire bene. Dunque
occorre prima di tutto togliere valore a questa cosa e considerare la vita tra
le cose di poco conto. Come dice Cicerone, ci sono insopportabili i gladiatori,
se vogliono in ogni modo impetrare la grazia della vita; li applaudiamo, se
ostentano il disprezzo di essa. Sappi che anche a noi accade la stessa cosa;
spesso infatti è causa di morte la paura di morire. 5. Proprio la sorte,
che ama scherzare, dice: "A che scopo dovrei risparirtiarti, animale
meschino e tremebondo? Tanto più profondamente ti farai ferire e
trapassare, perché non te la senti di porgere la gola; tu invece vivrai
più a lungo e morirai in maniera più rapida, tu che aspetti la
spada non sottraendo il collo né mettendo davanti le mani, ma con
coraggio." 6. Chi avrà paura della morte non farà mai nulla
da uomo che vive; invece chi saprà che questa condizione è stata
stabilita subito nel momento in cui egli è stato concepito, vivrà
secondo i patti e contemporaneamente con la stessa forza d'animo si
prodigherà, perché nulla delle cose che accadono sia improvvisa. Infatti
guardando a tutto ciò che può avvenire come se fosse sul punto di
realizzarsi, saprà attenuare la forza di tutte le disgrazie, che non
portano niente di sorprendente a chi vi si è preparato e se le aspetta,
mentre giungono con tutto il loro peso su chi si sente sicuro e spera solo
nelle cose favorevoli. 7. Si tratta di una malattia, della prigionia, di un
crollo, di un incendio: nulla di ciò è improvviso; sapevo in che
albergo tumultuoso la natura mi aveva chiuso. Tante volte si sono levate grida
di dolore nelle mie vicinanze; tante volte torce e ceri hanno preceduto oltre
la soglia esequie immature; spesso mi è risuonato accanto il fragore di
un edificio che crollava; molti tra quelli che il foro la curia la
conversazione aveva messo in relazione con me una notte li ha portati via ... :
Mi dovrei meravigliare che una buona volta siano toccati a me i pericoli che mi
sono sempre girati attorno? 8.
C'è una grande parte dell'umanità che
mentre si accinge a navigare non pensa alla tempesta. lo non mi
vergognerò mai di citare un cattivo autore in un caso felice. Publilio
più vigoroso dei talenti tragici e comici ogni volta che ha rinunciato
alle sue buffonerie da mimo e alle parole dirette alle ultime file del
pubblico, tra molte altre frasi di tono più elevato di quello tragico,
non solo di quello del mimo, disse anche questo: A chiunque può capitare
ciò che può capitare a qualcuno. Chi si sarà impresso
questo principio nel profondo dell'animo e guarderà tutte le disgrazie
altrui, delle quali tutti i giorni c'è grande abbondanza, così
come se esse avessero la strada spianata anche verso di lui, si annerà
molto prima di venire assalito; troppo tardi si prepara l'animo a sopportare i
pericoli dopo che questi si sono presentati. 9. "Non pensavo che sarebbe
successo" e "avresti mai pensato tu che questo sarebbe
accaduto?" E perché no? Quali sono quelle ricchezze che non possono essere
seguite da vicino dalla miseria e dalla fame e dall'indigenza?Quale carica
pubblica di cui la toga pretesta, il bastone da augure e le cinghie patrizie
non siano accompagnate dalla veste n?úserabile, dal marchio del disono re e da
mille macchie fino all'estremo disprezzo? Quale regno c'è al quale non
siano già preparati la rovina e l'annientamento e l'oppressore e il
boia? Né queste cose sono separate da lunghi intervalli di tempo, ma intercorre
un momento solo tra il trono e l'omaggio alle ginocchia altrui. 10. Sappi
dunque che ogni condizione è rovesciabile e tutto ciò che si
abbatte su qualcuno può abbattersi anche su di te. Sei ricco: forse
più ricco di Pompeo? Eppure a lui, quando Gaio, parente da tempo, ospite
nuovo, ebbe aperto la casa di Cesare per chiudere la sua mancarono il pane e
l'acqua. Pur possedendo molti fiumi che nascevano sul suo territorio, che vi
sfociavano, andò mendicando qualche goccia d'acqua; morì di fame
e di sete nel palazzo del parente, mentre a lui che soffriva la fame l'erede
appaltava esequie pubbliche. 11. Hai ricoperto le più alte cariche
onorifiche: forse tanto alte o tanto insperate o tanto totalizzanti quanto
quelle di Seiano? Il giorno che il senato lo aveva scortato il popolo lo fece a
pezzi; di colui sul quale gli dei e gli uomini avevano accumulato quanto era
possibile accumulare, non rimase nulla che il carnefice potesse strappare. 12.
Sei re: non ti rimanderò a Creso, che dovette vedere da vivo il proprio
rogo e accendersi e spegnersi, fatto superstite non solo al proprio regno, ma
anche alla propria morte, non a Giugurta che il popolo romano poté contemplare
a spettacolo entro l'anno in cui ne aveva avuto paura: vedemmo Tolemeo re dell'Africa
Mitridate re dell'Armenia tra le guardie di Gaio; l'uno venne mandato in
esilio, l'altro si augurava di esservi mandato con migliore garanzia. In tanto
profondo sconvolgimento di situazioni che volgono in alto e in basso, se non
consideri come destinato a succedere tutto ciò che può succedere,
dai forza contro te stesso alle avversità, che sogliono essere sconfitte
da chi le vede prima. 1. Principio derivante da questi sarà che non ci
tormentiamo in preoccupazioni superflue o che derivano dal superfluo,
cioè o che non desideriamo le cose che non possiamo ottenere o che
ottenuto quel che volevamo non comprendiamo troppo tardi dopo molta fatica la
vanità dei nostri desideri, cioè che non sprechiamo fatica vana
senza risultato o che il risultato non sia degno della fatica; infatti da
queste cose per lo più scaturisce tristezza, se non c'è stato
successo o se ci si vergogna del successo ottenuto. 2. Bisogna limitare
l'andare in giro di qua e di là, che è proprio di gran parte degli
uomini che vagano per case per teatri e per fori: si offrono di occuparsi degli
affari degli altri, sembra che abbiano sempre qualcosa da fare. Se chiederai a
qualcuno di questi mentre esce di casa: "Dove vai? che pensi?", ti
risponderà: "Non lo so, per Ercole; ma vedrò qualcuno, farò
qualcosa." 3. Vanno vagando senza un proposito cercando occupazioni e non
fanno le cose che avevano deciso ma quelle in cui si sono imbattuti; è
insensata e vana la loro corsa, quale quella delle formiche che si arrampicano
su per gli alberi, che vanno su fino alla cima e poi di nuovo giù in
basso senza frutto: in modo simile a queste conducono la loro vita molte
persone, per le quali non senza motivo qualcuno parlerebbe di
inoperosità inquieta." 4. Commisererai alcuni quasi che stessero
correndo verso un incendio: tanto spingono quelli che si parano loro davanti e
travolgono sé e altri, mentre sono corsi o a salutare qualcuno che non
ricambierà il loro saluto o a seguire il funerale di un uomo ignoto o al
processo di uno che è spesso in contesa o alle nozze di una che si sposa
spesso e, dopo aver seguito la lettiga, in alcuni luoghi l'hanno persino
portata; quindi, tornando a casa con la loro stanchezza inutile, giurano che
non sanno loro stessi perché sono usciti, dove siano stati, già pronti il
giorno dopo a girovagare su quegli stessi passi. 5. Dunque ogni fatica deve
riferirsi a qualche scopo, deve riguardare qualche scopo. Non è
l'operosità che li agita rendendoli inquieti, ma sono le false immagini
delle cose che li agitano come pazzi; infatti nemmeno i pazzi si muovono senza
una qualche speranza: li attrae l'aspetto di una cosa, la cui inconsistenza la
mente, presa nel suo delirio, non è riuscita a cogliere. 6. Allo stesso
modo ognuno di costoro che escono senza scopo per ingrandire la folla viene condotto
in giro qua e là da motivi futili; non avendo niente a cui applicarsi,
il sorgere della luce lo caccia fuori e, dopo che, calcate invano le soglie di
molti, ha salutato i nomenclatori, da molti lasciato fuori, a casa non si
incontra con nessuno, tra tutti, con più difficoltà che con se
stesso.7. Da questo male deriva quel vizio tristissimo, l'origliare e il
curiosare tra gli affari pubblici e privati e il venire a conoscenza di molte
cose che né si raccontano né si ascoltano senza rischi 1. lo penso che seguendo
quest'idea Democrito abbia iniziato così: "Chi intenderà
vivere nella tranquillità non faccia molte cose né privatamente né
pubblicamente" chiaramente riferendosi alle cose superflue. Infatti, se
sono necessarie, si devono fare sia privatamente che pubblicamente non solo
molte ma innumerevoli cose, ma laddove nessun compito importante ci spinga, va
saputo contenere l'agire. 2. Infatti chi fa molte cose spesso dà potere
su di sé alla sorte, che è norma del tutto sicura sperimentare di rado,
mentre per il resto occorre sempre riflettere su di essa e non ripromettersi
nulla sulla sua affidabilità: "Navigherò, a meno che non
capiti qualche incidente" e "Diventerò pretore, a meno che non
si frapponga un qualche ostacolo" e "Mi riuscirà l'affare, a meno
che non intervenga qualcosa". 3. Questo è il motivo per cui diremmo
che all'uomo saggio non accade niente di inaspettato: non lo abbiamo esentato
dalle vicende umane, ma dagli errori, né a lui capitano tutte le cose come le
ha volute, ma come le ha pensate; e prima di tutto egli ha pensato che qualcosa
potesse far resistenza ai suoi propositi. t poi d'obbligo che il dolore di un
piacere deluso arrivi in forma attenuata all'animo al quale non è stata
promessa comunque la riuscita. 1. Dobbiamo anche rendere noi stessi disponibili
a non indulgere a un'eccessiva programmazione delle cose, a rivolgerci a quelle
nelle quali ci avrà fatto imbattere il caso e a non temere né un
cambiamento di programma né di condizione, a patto che non finiamo preda della
volubilità, difetto nemicissimo della quiete interiore. Infatti sia
è inevitabile che l'eccessivo attaccamento sia fonte di ansie e di
infelicità, poiché spesso la sorte gli strappa qualcosa, sia è
molto più grave la volubilità che non sa contenersi in nessun luogo.
L'uno e l'altro difetto sono nocivi per la tranquillità, non poter
mutare nulla e non sopportare nulla. 2. In ogni modo l'animo va richiamato da tutte
le sollecitazioni esterne a se stesso: si affidi a se stesso, gioisca di sé,
rivolga lo sguardo a se stesso, si ritiri quanto può dalle cose degli
altri e si applichi a sé, non patisca i danni, interpreti favorevolmente anche
le avversità. 3.Alla notizia del naufragio il nostro Zenone venendo a
sapere che erano andati sommersi tutti i suoi averi, disse: "La fortuna mi
impone di dedicarmi più agevolmente alla filosofia." Un tiranno
minacciava di morte il filosofo Teodoro e per di più di negargli la
sepoltura: questi gli disse: "Hai di che compiacerti con te stesso,
è in tuo potere un mezzo litro di sangue; infatti per quanto riguarda la
sepoltura, povero te se pensi che mi interessi l'imputridire sopra o sotto
terra." 4. Giulio Cano uomo tra i primi per grandezza, all'ammirazione del
quale non si oppone neppure il fatto di essere nato nel nostro secolo, avendo a
lungo discusso con Gaio, dopo che quel famoso Falaride gli disse, mentre se ne
andava: "Perché per caso tu non ti faccia allettare da una vana speranza,
ho dato ordine che tu sia accompagnato al supplizio," rispose: "Ti
ringrazio, ottimo principe." 5. Non so che cosa abbia pensato; infatti mi
vengono in mente molte ipotesi. Volle essere offensivo e mostrare quanto grande
fosse la crudeltà in cui la morte rappresentava un beneficio? Oppure gli
rimproverò la follia quotidiana? - infatti rendevano grazie sia coloro i
cui figli erano stati uccisi, sia coloro i cui beni erano stati portati via. 0
accolse l'annuncio volentieri come se si trattasse della libertà?
Qualsiasi sia la soluzione, diede una risposta coraggiosa. 6. Qualcuno
dirà: "Dopo questo, Gaio avrebbe potuto dare ordine che fosse
lasciato in vita." Cano non ebbe paura di questo; era nota la
affidabilità di Gaio in tali ordini. Credi forse che egli abbia
trascorso i dieci giorni che mancavano al supplizio senza alcuna occupazione? t
incredibile che cosa riuscì a dire quell'uomo, che cosa riuscì a
fare, quanto tranquillamente sia vissuto. 7.Giocava a dama, mentre il
centurione che trascinava la schiera dei condannati a morte gli ordinò
di seguirlo. Chiamato, contò i sassolini e al suo compagno disse:
"Bada dopo la mia morte di non mentire, dicendo che hai vinto"; poi,
facendo segno al centurione, disse: "Sarai testimone che vincevo io di una
mossa." Pensi tu che Cano con quella scacchiera abbia davvero giocato? Si
prese gioco. 8. Erano tristi gli amici che sapevano di perdere un tale amico:
"Perché siete tristi?" disse. "Voi vi chiedete se le anime siano
immortali: io lo saprò tra poco." E non smise di scrutare la
verità nemmeno alla fine e di fare della sua morte un argomento di
discussione. 9. Lo accompagnava il suo filosofo e ormai non era lontano il
tumulo sul quale tutti i giorni si svolgeva un sacrificio in onore del nostro
dio Cesare: egli disse: "Che pensi ora, Cano? o che intenzione hai?"
"Mi sono proposto", disse Cano, "di osservare in quel momento
fuggevole se l'animo avrà la sensazione di uscir fuori" e promise,
se avesse sperimentato qualcosa, che avrebbe fatto il giro degli amici e
avrebbe loro indicato quale fosse lo stato delle anime.10. Ecco la
tranquillità nel mezzo della tempesta, ecco l'animo degno
dell'eternità, che chiama la sua morte a testimonianza del vero, che
collocato su quell'ultimo fatale gradino interroga la sua anima mentre questa
esce dal corpo e si mette a imparare non solo fino alla morte ma qualcosa anche
dalla stessa morte: nessuno ha filosofato più a lungo. Non
dimenticheremo frettolosamente un grand'uomo e ne dovremo parlare con cura: ti
consegneremo alla memoria di tutti i tempi, o uomo insigne, tu parte
così importante della strage di Gaio. 1. Ma non giova per nulla
rimuovere le cause del dolore privato; infatti ci prende talvolta l'odio per il
genere umano. Quando avrai pensato quanto sia rara la franchezza e quanto
sconosciuta l'innocenza e come la realtà non si trovi se non quando
conviene, e vengono in mente la massa di tanti crimini felici e guadagni e
perdite derivanti dal piacere parimenti insopportabili, e l'ambizione che ormai
fino a tal punto non si contiene nei suoi limiti che splende attraverso la
vergogna, l'animo è spinto nella notte e come fossero stati sconvolti i
valori, che né è lecito sperare né conviene avere, spuntano le tenebre.
2.A questo dunque dobbiamo rivolgerci, a che tutti i vizi della gente ci
sembrino non odiosi ma ridicoli ed ad imitare piuttosto Democrito che Eraclito.
Costui infatti, ogni volta che era stato in pubblico piangeva, quello invece
rideva, a costui tutto ciò che facciamo sembravano disgrazie, a quello
sciocchezze. Occorre dunque saper sdrammatizzare ogni cosa e sopportarla con
animo indulgente: è più degno di un uomo ridere della vita che
piangerne. 3. Aggiungi che acquista meriti maggiori per il genere umano chi
ride piuttosto che chi piange: quello lascia ad esso una qualche speranza,
costui invece piange stoltamente delle cose che dispera possano essere
corrette; e per chi contempla le cose nel loro insieme è di animo
più forte chi non trattiene il riso di chi non trattiene le lacrime, dal
momento che suscita un'emozione piacevolissima e in mezzo a tanto apparato non
ritiene nulla grande, nulla serio, nemmeno misero. 4. Ciascuno si ponga davanti
agli occhi ad una ad una le cose per le quali siamo lieti e tristi e
saprà che è vero ciò che disse Bione che tutte le cose che
riguardano gli uomini sono del tutto simili a inizi e che la loro vita non e più
sacra o seria del loro concepimento, e che nati dal nulla sono ricondotti al
nulla. 5. Ma è meglio accettare le abitudini comuni e i difetti umani
serenamente senza cadere né nel riso né nelle lacrime; infatti tormentarsi per
le disgrazie altrui significa infelicità infinita, provar piacere delle
disgrazie altrui un piacere disumano, 6. così come quell'inutile atto di
compassione che è piangere perché qualcuno porta a seppellire il figlio,
e adattare a questa circostanza la propria espressione. Anche nelle proprie disgrazie
occorre comportarsi in modo da concedere al dolore solo quanto la natura
richiede, non quanto le convenzioni; molti infatti versano lacrime per
ostentazione e hanno gli occhi asciutti ogni volta che manca il pubblico,
poiché giudicano vergognoso non piangere quando lo fanno tutti: tanto
profondamente si è consolidato questo vizio, quello di dipendere
dall'opinione altrui, che diventa finzione anche un sentimento tra i più
naturali, il dolore. 1.Segue la parte che non senza motivo suole rattristare e
mettere in ansia. Laddove la sorte dei buoni è cattiva, laddove Socrate
viene costretto a morire in carcere, Rutilio a vivere in esilio, Pompeo e
Cicerone a offrire il collo ai loro clienti, e proprio Catone, ritratto vivente
della virtù, gettandosi sulla spada, a rendere chiaro il destino suo e
della repubblica, è inevitabile tormentarsi per il fatto che la sorte
paga compensi tanto iniqui; e allora che cosa potrebbe sperare ognuno per sé,
vedendo che i migliori subiscono il peggio? 2. Che significa dunque? Guarda
come ciascuno di loro abbia saputo sopportare e, se furono forti, impara a
rimpiangerli con il loro stesso animo, se morirono con la debolezza di una
donna, non andò perso nulla: o sono degni della tua ammirazione per la
loro virtù, o sono indegni del tuo rimpianto per la loro ignavia. Che
c'è infatti di più vergognoso che se gli uomini più grandi
morendo con coraggio rendono gli altri vili? 3.Lodiamo chi è degno tante
volte di lodi e diciamo: "Tanto più sei forte, tanto più sei
felice! Sei scampato a ogni disgrazia, all'invidia, alla malattia; sei uscito
di prigione; tu non sei apparso agli dei degno di una cattiva sorte, ma indegno
di essere ormai soggetto a un qualche colpo della sorte." Bisogna invece
costringere coloro che cercano di sottrarsi e in punto di morte si voltano a
guardare la vita. 4. Non piangerò nessuno che è lieto, nessuno
che piange: quello mi ha terso di sua iniziativa le lacrime, questo con le sue
lacrime si è reso indegno di alcuna altra. lo dovrei piangere Ercole, per
il fatto che viene bruciato vivo, o Regolo perché è trafitto da tanti
chiodi, o Catone, perché ferisce le sue ferite? Tutti costoro trovarono col
sacrificio di un breve spazio di tempo in che modo diventare eterni, e con la
morte pervennero all'immortalità. 1. Anche quella è materia non
trascurabile di inquietudini, se tu ti affatichi a darti una posa e non ti
mostri a nessuno nella tua schiettezza, così come fanno molti, la cui
vita è finta e costruita per l'esibizione; infatti è fonte di
tormento la continua osservazione di se stessi, e alimenta il timore di essere
scoperti diversi da come si è soliti presentarsi. Né mai ci liberiamo
dall'ansietà, se pensiamo di essere giudicati ogni volta che siamo
guardati; infatti, da una parte accadono molte cose che contro la nostra volontà
ci mettono a nudo, dall'altra, per quanto abbia successo tanta cura di sé,
tuttavia non è piacevole o sicura una vita che si nasconde sempre sotto
la maschera. 2. Al contrario, quanto piacere possiede quella schiettezza
sincera e di per sé priva di ornamenti, che non si serve di nulla per coprire
la propria indole! Tuttavia, anche questa vita va incontro al pericolo del
disprezzo, se tutto è scoperto a tutti; ci sono infatti persone che
provano fastidio per tutto ciò a cui si sono potute accostare troppo da
vicino. Ma per la virtù non c'è il pericolo di avvilirsi se
è posta sotto gli occhi ed è meglio essere disprezzati per la
schiettezza che tormentati da una continua finzione. Usiamo tuttavia misura
nella cosa: c'è molta differenza tra il vivere con semplicità o
con trascuratezza. 3. Occorre sapersi ritirare molto anche in sé; infatti la
frequentazione di persone dissimili turba il buon equilibrio raggiunto, rinnova
le emozioni ed esaspera ciò che nell'animo è ancora debole e non pienamente
guarito. Tuttavia queste condizioni vanno mescolate e alternate, la solitudine
e la compagnia: quella genererà in noi nostalgia degli uomini, questa di
noi stessi, e l'una sarà rimedio dell'altra; la solitudine
guarirà l'insofferenza della folla, la folla la noia della solitudine.
4. Nemmeno bisogna tenere la mente uniformemente nella stessa applicazione, ma
occorre richiamarla agli svaghi. Socrate non si vergognava di giocare coi
fanciulli, Catone rilassava col vino l'animo provato dalle fatiche
politiche" e Scipione muoveva a tempo di musica quel corpo avvezzo ai
trionfi e alle fatiche di guerra, non snervandosi in mollezze, come ora
è abitudine di quanti ondeggiano persino nell'andatura superando la
mollezza femminica, ma come quegli antichi uomini erano soliti tra lo svago e i
giorni di festa danzare in modo virile, non andando incontro a una perdita di
dignità, anche qualora venissero guardati dai loro nemici. 5. Occorre
concedere una pausa agli animi: riposati, rinasceranno migliori e più
combattivi. Come non si deve essere impositivi coi campi fertili ? infatti una
produttività mai interrotta li esaurirà in fretta ? cosi una
fatica continua indebolirà gli slanci degli animi, e questi
riacquisteranno le forze se per un po' risparmiati e lasciati a riposo; dal
protrarsi delle fatiche nascono un certo qual torpore e un infiacchimento degli
animi. 6. E a ciò non tenderebbe un tanto grande desiderio degli uomini,
se lo svago e il gioco non possedessero un certo naturale piacere; però
il ricorso frequente a questi toglierà ogni gravità e ogni forza
dagli animi; infatti, anche il sonno è necessario a ridare forze,
tuttavia qualora tu lo continui giorno e notte, diventerà la morte.
C'è molta differenza tra l'allentare una tensione e dissolverla del
tutto 7. I legislatori istituirono i giorni festivi, perché gli uomini fossero
costretti pubblicamente a divertirsi, come interponendo la necessaria
moderazione alle fatiche; e come ho detto alcuni grandi uomini si concedevano
in determinati giorni feste mensili, alcuni non c'era giorno che non
dividessero tra l'ozio e gli impegni. Tra questi ricordiamo il grande oratore
Asinio Pollione che soleva non farsi trattenere da nessuna occupazione oltre
l'ora decima; non leggeva nemmeno le lettere dopo quell'ora, perché non gliene
derivasse una qualche nuova preoccupazione, ma si liberava della stanchezza di
tutta una giornata in quelle due ore. Alcuni sogliono fare pausa a metà
della giornata e rimandare alle ore pomeridiane una qualche occupazione
più leggera. Anche i nostri antenati vietavano che in senato ci fosse
una nuova mozione oltre l'ora decima. I soldati si dividono i turni di guardia,
e la notte è libera dalla ronda per coloro che ritornano da una
spedizione. 8. Bisogna essere indulgenti con l'animo e concedergli ripetutamente
il riposo che funga da alimento e forze. Bisogna fare anche passeggiate
all'aperto, affinché l'animo si arricchisca e si innalzi grazie all'apertura
degli orizzonti e all'abbondanza di aria pura da inspirare; talvolta un viaggio
o un cammino e il cambiare luoghi e le cene e le bevute più generose
daranno energia. Talvolta è opportuno arrivare anche fino all'ebbrezza,
non perché ci sommerga, ma perché abbia effetto tranquillante; infatti dissolve
gli affanni e muove l'animo dal profondo e come cura alcune malattie
così anche la tristezza, e Libero non è detto così per la
libertà di parola ma perché libera l'animo dalla schiavitù delle
preoccupazioni e gli dà indipendenza e forza e lo rende più
audace verso ogni impresa. 9. Ma nella libertà come nel vino è
salutare la moderazione. Si crede che Solone e Arcesilao abbiano accondisceso
al vino, a Catone fu rinfacciata l'ebbrezza: chiunque gliela rinfacci,
potrà rendere più facilmente onesto un vizio che turpe Catone. Ma
non bisogna farlo nemmeno spesso, in modo che l'animo non prenda una cattiva
abitudine, e tuttavia talvolta occorre spingerlo all'esultanza e alla
libertà, e la triste sobrietà va per un po' abbandonata. 10.
Infatti sia che diamo retta al poeta greco:" "Talvolta è piacevole
anche fare follie", sia a Platone: "Invano chi è padrone di sé
bussa alla porta della poesia", sia ad Ari stotele: "Non ci fu nessun
grande ingegno senza un pizzico di follia": 11.non può esprimere
qualcosa di grande e superiore agli altri se non una mente eccitata. Una volta
che ha disprezzato le cose usuali e comuni e per divina ispirazione si è
elevata più in alto, allora infine suole cantare qualcosa di più
grande delle capacità umane. Non può attingere qualcosa di
sublime e di elevato finché rimane in sé:" è necessario si stacchi
dal consueto e scarti verso l'alto e morda i freni e trascini il suo auriga e
lo conduca là dove da solo avrebbe avuto paura di salire. 12. Tu hai,
carissimo Sereno, i mezzi che possono difendere la tranquillità, che
possono restituirla, che resistono ai mali striscianti; sappi tuttavia che
nessuno di loro è sufficientemente efficace per coloro che salvaguardano
una situazione di debolezza, a meno che una cura sollecita e assidua non
circondi l'animo vacillante. 1. Puoi forse trovare una città più
infelice di quanto lo fu quella degli Ateniesi, quando la dilaniavano i trenta
tiranni? Avevano ucciso milletrecento cittadini, tutti i migliori, e non per
questo si fermavano, ma era la stessa crudeltà che si fomentava da sola.
Nella città in cui si trovava l'Areopago il più sacro dei
tribunali, nella quale si trovavano un senato e un popolo simile al senato, si
raccoglieva ogni giorno un tristo collegio di carnefici e la curia infelice si
faceva stretta per i tiranni che la affollavano: avrebbe forse potuto vivere in
tranquillità quella città in cui c'erano tanti tiranni quanti
avrebbero potuto essere gli sgherri? Non si poteva presentare agli animi
nemmeno un barlume di speranza di riacquistare la libertà, né si
profilava spazio ad alcun rimedio contro tanta violenza di mali; da dove
infatti recuperare tanti Armodii per la povera città? 2. Eppure c'era
Socrate e consolava i senatori affranti, esortava quanti disperavano della
repubblica, ai ricchi che temevano a causa delle loro ricchezze rimproverava il
tardivo pentimento di una cupidigia foriera di pericolo e a quanti erano
desiderosi di imitarlo andava portando un grande esempio, col suo incedere
libero fra i trenta dominatori. 3.Tuttavia quest'uomo la stessa Atene lo uccise
in carcere, e la Libertà non tollerò la libertà di colui
che aveva sfidato la schiera compatta dei tiranni: sappi pure che anche in uno
stato oppresso c'è la possibilità per un uomo saggio di
manifestarsi, e in uno fiorente e felice regnano la sfrontatezza l'invidia e mille
altri vizi che rendono inerti. 4.Dunque, comunque si presenterà la
repubblica, comunque lo permetterà la sorte,così o esplicheremo
le nostre possibilità o le contrarremo, in ogni modo ci muoveremo e non
ci intorpidiremo paralizzati nel timore. Anzi, sarà davvero un uomo colui
che, mentre incombono pericoli da tutte le parti, mentre intorno fremono armi e
catene, non infrangerà la virtù né la occulterà;
nascondersi infatti non significa salvarsi. 5. A buon diritto, a quel che
penso, Curio Dentato diceva di preferire la morte alla vita: è l'estremo
dei mali uscire dal novero dei vivi prima di morire. Ma, se ti sarai imbattuto
in un periodo meno agevole della vita politica, dovrai fare in modo di
rivendicare più spazio per l'ozio e gli studi letterari, e da dirigerti
immediatamente verso il porto non diversamente che in una navigazione
pericolosa, non aspettando che sia la situazione ad allontanarti ma facendo in
modo da separarti tu da essa, di tua volontà. 1.Dovremo poi osservare
attentamente dapprima noi stessi, poi i compiti che intendiamo intraprendere,
poi coloro per i quali o con i quali intendiamo farlo. 2. Prima di tutto
è necessario che uno valuti se stesso, perché a noi sembra di potere
quasi più di quello che possiamo: uno cade in rovina per fiducia nell'eloquenza,
un altro ha chiesto al suo patrimonio più di quanto potesse sostenere,
un altro ha schiacciato il suo corpo debole con un compito gravoso. 3.Il
riserbo di alcuni poco si addice alla politica, che richiede sicurezza di
atteggiamenti; la fierezza di altri non si confà alla vita di corte;
alcuni non sanno governare la collera e una qualsiasi occasione di indignazione
li trascina a parole temerarie; alcuni non sanno trattenere l'ironia e non si
astengono da pericolose battute salaci: a tutti costoro la vita ritirata
è più utile delle occupazioni pubbliche; una natura indomita e
ribelle eviti le sollecitazioni di una franchezza destinata a nuocerle. 4. In secondo luogo occorre
valutare i compiti che intraprendiamo e confrontare le nostre forze con le
imprese che vogliamo tentare. Infatti devono esserci sempre più forze
nell'esecutore che nell'opera: è inevitabile che schiaccino i pesi che
sono maggiori di chi li sostiene. 5. Inoltre alcuni compiti non sono tanto
pesanti in sé quanto fecondi e recano con sé molti altri compiti: sono da
evitare anche questi, dai quali scaturirà un nuovo e multiforme impegno,
e non bisogna accostarsi a un compito dal quale non sia facile ritirarsi;
bisogna mettere mano a quelle faccende cui si può porre una fine o di
cui si può almeno sperarla, tralasciare quelle che si spingono sempre
più in là con l'azione e non finiscono là dove ci si era
proposti. 1.Bisogna comunque scegliere i destinatari, se sono degni che noi
dedichiamo loro una parte della nostra vita, o se sono toccati dal sacrificio
del nostro tempo; alcuni infatti ci ascrivono di loro iniziativa i nostri
doveri. Atenodoro dice che non andrebbe nemmeno a cena da chi per questo non si
sentisse per nulla in debito con lui. Comprendi ? penso ? che si recherebbe
tanto meno da coloro che si sdebitano dei favori degli amici con un pranzo, che
contano le portate come fossero donativi, quasi che fossero smodati in onore
degli altri: togli a costoro testimoni e spettatori, non piacerà loro
gozzovigliare in segretezza. Devi riflettere 39 se la tua natura sia più
adatta all'attività o a un ritiro dedito agli studi, e devi volgerti
là dove ti condurranno le capacità del tuo ingegno: Isocrate
portò via dal foro con le sue stesse mani Eforo, giudicandolo più
idoneo a stilare memorie storiche. Infatti daranno cattiva risposta gli ingegni
forzati; la fatica è vana, se la natura vi rilutta. Nulla tuttavia
delizierà tanto l'animo quanto un'amicizia fedele e dolce. Che bene
prezioso è l'esistenza di cuori preparati ad accogliere in sicurezza
ogni segreto, la cui coscienza tu debba temere meno della tua, le cui parole
allevino l'ansia, il cui parere renda più facile una decisione, la cui
contentezza dissipi la tristezza, la cui stessa vista faccia piacere! Questi li
sceglieremo naturalmente liberi, per quanto sarà possibile, da passioni;
infatti i vizi serpeggiano e si trasmettono a chiunque sia più vicino e
nuocciono per contatto. 2. Dunque, come in una pestilenza occorre badare a non
sedersi accanto a chi è già stato aggredito ed è divorato
dal male, perché ne trarremo pericolo e lo stesso respiro ci farà
ammalare, così nello scegliere gli amici faremo in modo di prendere
quelli il meno possibile contaminati: è l'inizio della malattia
mescolare sano e malato. Né vorrei consigliarti di non seguire o attrarre a te
nessuno che non sia saggio. Dove troverai infatti costui che cerchiamo da tante
generazioni? Valga per ottimo il meno cattivo. 3.Difficilmente avresti la
possibilità di una scelta più felice, se tu cercassi i buoni tra
i Platoni e i Senofonti e quella generazione di discepoli di Socrate, o se tu
avessi la possibilità di scegliere nell'età catoniana, che vide
numerosi uomini degni di nascere nella generazione di Catone (così come
molti peggiori di quelli mai nati in nessun'altra e promotori dei più
gravi crimini; infatti c'era bisogno dell'una e dell'altra schiera perché
potesse essere compreso Catone: egli doveva avere sia i buoni da cui farsi
approvare, sia i cattivi in mezzo ai quali far prova della sua forza): ora
invece in tanta povertà di buoni la scelta deve essere meno selettiva.
4.Tuttavia si evitino soprattutto quanti sono malcontenti e si lagnano di
tutto, per i quali non c'è un solo motivo che non sia buono per
lamentarsi. Se anche abbia fedeltà e benevolenza accertate, tuttavia
è nernico della tranquillità un compagno profondamente turbato e
che geme di tutto. 1. Veniamo ai patrimoni, massimo motivo delle preoccupazioni
umane; infatti, se confronti tutte gli altri mali per i quali ci angustiamo,
morti, malattie, timori, rimpianti, sopportazione di dolori e fatiche, con quei
mali che ci procura il nostro denaro, questa parte sarà molto più
gravosa. 2.Dunque, dobbiamo pensare quanto più lieve dolore sia non
avere che perdere: e comprenderemo che la povertà ha tanto meno materia
di sofferenze quanto minore ne ha di danni. Sei in errore infatti se ritieni
che i ricchi sopportino le perdite con animo più saldo: il dolore di una
ferita è uguale per i corpi più grandi e per quelli più
piccoli. 3. Bione disse con eleganza che farsi strappare i capelli non è
meno doloroso per i calvi che per chi calvo non è. Puoi ritenere la
stessa cosa per quanto riguarda i poveri e i ricchi, il loro tormento è
uguale; ad entrambi infatti il loro denaro sta attaccato né può esser
loro strappato senza che lo sentano. Inoltre è più sopportabile,
come ho detto, e più facile non acquistare che perdere, e perciò
vedrai più felici coloro che mai la fortuna si è voltata a
guardare di quelli che ha abbandonato. 4. Se ne avvide Diogene uomo di grande
animo, e fece in modo che nulla potesse essergli tolto. Tu chiama questo
povertà, miseria, indigenza, da' alla mancanza di preoccupazioni quel
nome vergognoso che vorrai: penserò che costui non sia felice, se mi
saprai trovare qualcun altro che non perda nulla. 0 io mi sbaglio o essere re
significa, tra avidi, circonventori, ladri, ricettatori di schiavi, essere il
solo a cui non si possa nuocere. 5. Se qualcuno mette in dubbio la
felicità di Diogene, può allo stesso modo dubitare anche della
condizione degli dei immortali, se vivano poco felicemente per il fatto che non
hanno né poderi né giardini né campi resi preziosi dal lavoro di coloni
mercenari né grandi proventi dall'usura. Non ti vergogni di ammutofire,
chiunque tu sia, davanti alle ricchezze? Guarda dunque l'universo: vedrai gli
dei nudi, che dispensano tutte le cose, non possedendone nessuna. Giudichi tu
povero o simile agli dei immortali chi si è spogliato di tutti i beni
legati alla sorte? 6. Chiami forse più felice Demetrio Pompeiano, che
non si vergognò di essere più ricco di Pompeo? A lui, per il
quale già avrebbero dovuto costituire ricchezze due schiavi vicari e una
cella un po' più grande, ogni giorno veniva rifatto l'elenco degli
schiavi come a un generale quello delle truppe. 7. A Diogene invece
scappò via l'unico schiavo ed egli non ritenne cosa così
importante riportarlo indietro, mentre gli veniva mostrato. "t
vergognoso" disse "che Mane possa vivere senza Diogene, e Diogene
senza Mane non possa." Mi sembra che abbia detto: "Occupati dei tuoi
affari, fortuna, ormai da Diogene non c'è più nulla di tuo: mi
è scappato lo schiavo, anzi me ne sono andato io, libero. " 8. La
servitù chiede il vestiario e il vitto, occorre prendersi cura di tanti
ventri di animali avidissimi, bisogna comprare la veste e sorvegliare mani
rapacissime, e utilizzare i servigi di gente che piange e maledice: quanto
più felice colui che non deve nulla a nessuno, se non a chi può
rifiutare nel modo più facile, a se stesso ! 9. Ma dal momento che non
abbiamo tanta forza, almeno dobbiamo limitare i patrimoni, per esser meno
esposti ai capricci della sorte. Sono più adatti alla guerra i corpi che
possono rannicchiarsi al riparo delle loro armi di quelli sovrabbondanti e che
la loro stessa grandezza ha esposto da ogni parte alle ferite: la migliore
misura del denaro è quella che né precipita in povertà né si
allontana molto dalla povertà. 1.E a noi piacerà questa misura,
se prima ci sarà piaciuta la parsimonia, senza la quale non ci sono
ricchezze bastanti e con la quale invece tutte sono abbastanza estese tanto
più che il rimedio è vicino e la stessa povertà
può, chiamata in aiuto la frugalità, tramutarsi in ricchezza. 2.
Abituiamoci a rimuovere da noi lo sfarzo e a misurare l'utilità, non gli
ornamenti delle cose. Il cibo domi la fame, le bevande la sete, il piacere sia
libero di espandersi entro i limiti necessari; impariamo a sostenerci sulle
nostre membra, ad atteggiare il modo di vivere e le abitudini alimentari non
alle nuove mode, ma come suggeriscono le tradizioni; impariamo ad aumentare la
continenza, a contenere il lusso, a moderare la sete di gloria, a mitigare
l'irascibilità, a guardare la povertà con obiettività, a
coltivare la frugalità anche se molti se ne vergogneranno ad apprestare
per i desideri naturali rimedi preparati con poco, a tenere come in catene le
speranze smodate e l'animo che si protende verso il futuro, a fare in modo di
chiedere la ricchezza a noi piuttosto che alla sorte. 3.Tanta varietà e
ingiustizia di accidenti non può mai essere allontanata cosà che
molte tempeste non irrompano su chi dispiega vele ampie; bisogna restringere le
nostre sostanze affinché gli strali della sorte cadano nel vuoto, e in questo
modo talora gli esili e le calarnità si sono mutati in rimedi e i danni
più gravi sono stati sanati da quelli più lievi. Laddove l'animo
dà poco ascolto ai consigli e non può essere curato in modo
più dolce, non si provvede forse al suo bene, ricorrendo alla
povertà e alla privazione degli onori e al rovescio di fortuna,
opponendo male a male? Abituiamoci dunque a essere capaci di cenare senza una
folla e ad adattarci a un numero minore di servi e a farci apprestare vesti per
lo scopo per cui sono state inventate e ad abitare in spazi pù
ristretti. Non soltanto nelle corse e nelle gare del circo, ma in questi spazi
della vita occorre serrare il giro. 4. Anche la spesa più grandiosa per
gli studi conserva un senso finché conserva una misura. A che scopo
innumerevoli libri e biblioteche, il cui proprietario in tutta la sua vita a
stento arriva a leggere per intero i cataloghi? La massa di libri grava sulle
spalle di chi deve imparare, non lo istruisce, ed è molto meglio che tu
ti affidi a pochi autori piuttosto che tu vada vagando attraverso molti. 5.Ad
Alessandria andarono in fiamme quarantamila libri;" altri loderebbe il
magnifico monumento di opulenza regale, come Tito Livio, che ne parla come di
un'opera insigne di stile e buona amministrazione dei re: non fu un fatto di
stile o di buona amministrazione quello, ma un'esibizione di lusso per gli
studi, anzi non per gli studi, dal momento che l'avevano apprestata non per lo
studio ma per l'apparenza, così come per molti ignari anche di sillabari
per l'infanzia i libri non rappresentano strumenti di studio ma ornamento delle
sale da pranzo. Dunque ci si procurino libri nella quantità necessaria,
non per rappresentanza. 6."Più dignitosamente" dici tu "i
soldi se ne andranno per questo che per bronzi di Corinto e quadri."
Ciò che è troppo è sbagliato ovunque. Che motivo hai di
giustificare un uomo che si procura librerie fatte di legno di cedro e di
avorio, che va in cerca di raccolte di autori o ignoti o screditati e tra tante
migliaia di libri sbadiglia, a cui dei suoi volumi piacciono soprattutto i
frontespizi e i titoli? 7.Dunque, a casa dei più pigri vedrai tutte le
orazioni e le opere storiografiche che esistono, scaffali che arrivano fino al
soffitto; ormai infatti tra i bagni e le terme si tiene lustra anche la
biblioteca come un ornamento necessario della casa. E lo potrei giustificare,
certo, se si sbagliasse per troppa passione per gli studi: ora codeste opere di
sacri ingegni ricercate e suddivise con i loro ritratti vengono procurate per
abbellire e decorare le pareti. 1. Ma tu ti sei imbattuto in un tipo di vita
difficile e la fortuna pubblica o la tua personale ti ha imposto a tua insaputa
un laccio che non sei in grado di sciogliere né di rompere: pensa che gli
schiavi in ceppi in un primo tempo mal sopportano i pesi e gli impedimenti
delle gambe; quindi, una volta che si sono proposti di non indignarsi per essi,
ma di sopportarli, la necessità insegna loro a sopportarli con fermezza,
l'abitudine con docilità. In qualsiasi genere di vita troverai
divertimenti, distensioni e piaceri, se vorrai giudicare lievi i mali piuttosto
di renderteli odiosi.2. A nessun titolo ci trattò meglio la natura che
per questo: sapendo per quali sofferenze nasciamo, trovò come lenimento
delle disgrazie l'assuefazione, ponendoci subito in familiarità con le
sventure più gravi. Nessuno potrebbe resistere, se la continuità
delle avversità conservasse la stessa violenza del primo colpo. 3. Tutti
siamo legati alla fortuna: la catena degli uni è d'oro, lenta, quella di
altri stretta e spregevole, ma che importa? La medesima custodia ha stretto
tutti e si trovano legati anche quelli che hanno legato, a meno che tu non
ritenga più leggera una catena nella sinistra?" Uno lo tengono
avvinto gli onori, un altro il patrimonio; alcuni sono schiacciati dalla
nobiltà, alcuni dalla condizione umile; alcuni sono soggiogati
dall'altrui potere, alcuni dal loro proprio; alcuni li confina in un unico
luogo l'esilio, alcuni la carica religiosa: ogni vita è una
schiavitù. 4. Occorre dunque assuefarsi alla propria condizione e
lamentarsi il meno possibile di essa e afferrare tutto ciò di buono che
ha intorno a sé: non c'è nulla di così aspro in cui un animo
obiettivo non sappia trovare un conforto. Spesso aree esigue si sogliono aprire
a molti utilizzi per l'abilità di chi le dispone e una disposizione
accorta suole rendere abitabile anche il più piccolo spazio. Usa la
ragione di fronte alle difficoltà: le durezze possono addolcirsi, le
strettoie allentarsi, le situazioni gravi opprimere di meno chi le sopporta con
accortezza. 5. I desideri non vanno indirizzati a obiettivi lontani, ma
dobbiamo permettere loro uno sbocco vicino, dal momento che non sopportano di
essere del tutto bloccati. Abbandonati quegli obiettivi che o non possono
realizzarsi o lo possono con difficoltà, perseguiamo mete situate vicino
e che arridono alla nostra speranza, ma manteniamo la consapevolezza che tutte
sono ugualmente inconsistenti, e all'esterno hanno aspetto diverso, mentre
all'intemo sono parimenti vane. E non invidiamo quelli che stanno più in
alto: quelle che sembravano vette si sono rivelate dirupi. 6. Per converso
quelli che una sorte contraria ha posto in situazione incerta saranno
maggiormente sicuri togliendo superbia a cose superbe di per sé e cercando di
portare il più possibile in piano la loro situazione. Ci sono molti che
per necessità devono tenersi attaccati al loro rango, dal quale non
possono scendere se non cadendone, ma attestano che proprio questo è il
loro maggior onere, il fatto che sono costretti a essere di peso ad altri, e
che non sono stati messi su un piedistallo ma ci sono stati inchiodati;"
con giustizia, mitezza, benevolenza, con mano prodiga e generosa dovrebbero
apprestare molte difese per i momenti favorevoli, alla speranza nei quali
potrebbero attaccarsi con più sicurezza. 7. Nulla tuttavia ci
saprà mettere al riparo da queste fluttuazioni dell'animo quanto fissare
sempre un qualche termine ai nostri successi, e non concedere alla sorte
l'arbitrio di smettere, ma fermarci noi stessi decisamente molto al di qua; in
questo modo sia alcuni desideri stimoleranno l'animo sia, delimitati, non
spingeranno verso l'infinito e l'incerto.