PRIVILEGIA
NE IRROGANTO Documento
inserito il: 16-2-2013 |
|
|||||||||||||
DOCUMENTI CORRELATI |
|
|||||||||||||
|
||||||||||||||
|
||||||||||||||
Il PuntO n° 259 Un
po’ di chiarezza sul dibattito in materia di “svalutazioni e moneta
(troppo) forte”. Di Mauro Novelli 16-2-2013 Da più parti si sta alimentando un dibattito circa le
conseguenze economiche di una moneta troppo forte (l’euro) e della
opportunità di premere sulla Germania perché allenti i meccanismi che fanno
della moneta unica una moneta forte. Facciamo un po’ di sintetica chiarezza analizzando le
conseguenze dell’andamento dei cambi sul versante dell’offerta e su quello
della domanda. 1)
OFFERTA (produzione) Aziende di Eurolandia
importatrici Una valuta apprezzata e forte avvantaggia le aziende che importano
materie prime, semilavorati per trasformarli in prodotti finiti, e prodotti
da vendere all’interno. Questo perché il cambio con la valuta del paese che
esporta genera un prezzo di vantaggio. Esempio: se il cambio dà luogo ad 1€ = 1$, importare una penna dagli USA che costa 1 dollaro, costerà all’importatore
(che dovrà pagare in dollari) esattamente 1 euro. Se si passa a 1€ = 2$
(euro diventa forte e dollaro debole) all’importatore di Eurolandia la stessa
penna (costo in USA pari ad 1 dollaro) costerà ½ euro, ovvero con lo stesso euro
di prima (1€ = 1$) al nuovo cambio potrà acquistare due penne. E’ evidente che una moneta forte permetterà a paesi
importatori di energia, come l’Italia, di far fronte a bollette energetiche
più leggere. Aziende di Eurolandia
esportatrici. Ragionamento inverso se consideriamo le aziende di
Eurolandia che esportano europenne dal costo di 1
euro ciascuna. In questo caso, sarà l’importatore americano a dover cambiare
i suoi dollari in euro. Se il cambio è 1€
= 1$, con un dollaro importerà una europenna. Ma se il cambio dà luogo a 1€ = 2$ (l’euro si è rivalutato rispetto al dollaro che si sta
svalutando), l’importatore USA dovrà pagare 2 dollari per importare una europenna. Quindi, con una moneta forte rispetto a quelle delle altre
nazioni, importare costerà di meno,
esportare costerà di più. Le aziende che importano importeranno di più a
parità di esborso, le aziende che esportano esporteranno di meno. 2)
DOMANDA (consumi) Sul fronte della domanda, i consumatori di Eurolandia (con
euro forte) pagheranno di meno (che se avessero un euro debole) i prodotti finali
importati da paesi a moneta più debole. Negli esempi precedenti, con la
moneta forte la penna americana costerà 1 euro, con la moneta debole costerà
di più (2 euro nell’esempio). Saranno avvantaggiati anche sui prodotti
interni forniti da aziende importatrici di materie prime e semilavorati che,
abbiamo visto, a parità di valore destinato ai pagamenti, importeranno di più. Al contrario, in caso di moneta debole, i consumatori
saranno svantaggiati sia perché i prodotti finali importati costeranno di
più, sia perché i prodotti finali di aziende importatrici saranno gravati da
costi più elevati per importare la
stessa quantità di materie prime o semilavorati. Senza considerare i costi di
importazione di energia, mitigati da una moneta tendenzialmente forte. In estrema sintesi:
Ne consegue che i fautori delle svalutazioni competitive (
Radio 24) sostenitori del fatto che “l’attuale
livello dell’euro rispetto a quello delle monete dei paesi competitori (dollaro,
yen, sterlina, fr. svizzero) è insostenibile”, apprezzano maggiormente i
vantaggi per le aziende esportatrici di una moneta in via di indebolimento,
rispetto ai vantaggi che genera una moneta forte per le aziende importatrici
e soprattutto per i consumatori. Auspicano infatti un allentamento della
rigidità della Germania nei confronti dei livelli dell’euro. Sottovalutano
però le ripercussioni sui livelli interni della domanda, non più drogabile da
immissioni di liquidità. Il nuovo equilibrio può essere raggiunto solo con
una forte diminuzione dei livelli di tassazione: scorrendo i programmini dei
maggiori partiti attuali, non mi sembra che la strada sia quella di un taglio
della spesa corrente improduttiva per poter agire sul fisco. Ricordo che, quando ancora valeva la liretta, i governi
procedevano a continue svalutazioni definite “competitive” in grado di
avvantaggiare le aziende esportatrici pur aggravando i costi delle
importazioni. Sopperivano all’inconveniente stampando CCT e BTP per mantenere
adeguato il livello della domanda interna, pur alimentando la spesa corrente
improduttiva. L’economia sembrava riprendere, ma solo con iniezioni di
liquidità (a carico dei nipoti) per sostenere redditi e consumi Questa analisi è
certamente compressa, ma le dinamiche prodotte dalle variazioni dei cambi è
quella illustrata. Sarà poi compito della politica economica del governo
accertare quale mix delle grandezze coinvolte e delle variabili influenzate
dovrà costituire l’equilibrio da raggiungere, anche considerando le
caratteristiche delle nostre aziende in termini di rapporti import-export. In
altre parole occorrerà valutare le ripercussioni sui livelli occupazionali,
sui consumi finali, sui livelli di
tassazione. Ultima considerazione: una moneta forte è tenuta in
considerazione anche come moneta di riserva da parte dei paesi con forti
surplus. Oggi oltre un quarto delle riserve mondiali è detenuto in euro. Agli anglosassoni non sta molto bene. |
||||||||||||||