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Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: imagesCAXUIR6KHOME                PRIVILEGIA NE IRROGANTO   di Mauro Novelli        ictus

INSERITO IL  31-1-2012

 

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Il PuntO n° 223

I termini della crisi

Debiti sovrani, ruolo di  Fed e BCE, spread.

Un po’ di chiarezza e qualche perplessità!

 

Di Mauro Novelli 29-1-2012

 

 

Sommario

DEBITI SOVRANI  E RAPPORTO COL PIL. 1

SUL DEBITO PUBBLICO USA. 2

IL RAPPORTO EURO/DOLLARO. 3

La trappola. 4

LA VICENDA ITALIANA E LO SPREAD. “Lo sappiamo!”. 4

SPREAD. Alcune cose da sapere e qualche perplessità. 5

LE NOSTRE PERPLESSITÀ. 6

 

 

In calce, gli aggiornamenti della quotazione del BTP 5% 1°-3-2022, dei volumi scambiati, dello spread

 

 

 

 

 

DEBITI SOVRANI  E RAPPORTO COL PIL

 

La tabella  permette la comparazione, per i principali paesi, dei debiti sovrani in rapporto al PIL.

Certamente l’Italia è tra i paesi col debito più alto, ma negli ultimi anni ha visto crescere meno, in percentuale, il rapporto col PIL.

 

 

DEBITO PUBBLICO in percentuale del PIL

2007

2010

2011

(stime)

2011 su 2007

Japan

167%

197%

204%

+ 22,2 %

Greece

104%

123%

130%

+ 25,0 %

Italy

112%

116%

120%

+ 7,1 %

United States

62%

92%

100%

+ 61,3 %

France

70%

92%

99%

+ 41,4 %

Portugal

71%

91%

97%

+ 36,6 %

United Kingdom

47%

83%

94%

+ 100,0 %

Germany

65%

82%

85%

+ 30,8 %

Netherlands

52%

77%

82%

+ 57,7 %

Spain

42%

68%

74%

+ 76,2 %

 

 

 

In effetti, dal 2007 al 2011, mentre l’Italia ha aggravato la sua posizione nel rapporto debito/Pil solo del  +7,1 %, la Gran Bretagna col + 100 %  ha visto raddoppiare la percentuale, la Spagna mostra un + 76,2 %, gli USA un + 61,3 %.

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Peso sulla zonaMa le società di rating hanno altri parametri da controllare!

 

Per quanto riguarda il peso di ciascun debito sovrano dei paesi Euro su Eurolandia, il grafico che segue mostra che i debiti di Germania, Italia, Francia e Spagna impegnano oltre i tre quarti del totale.

 

A onor del vero, se lo stato italiano dovesse decidere di onorare i suoi debiti con varie società fornitrici di beni e servizi, i circa 80 miliardi ancora da rimborsare comporterebbero un ulteriore aumento del debito pubblico di circa 5 punti. Da quanti anni continua questa “creatività”?

 

 

 

 

SUL DEBITO PUBBLICO USA.

 

Il  debito pubblico americano ha raggiunto il 100 per cento del PIL USA, avendo superato la cifra di 15.000 miliardi di dollari, più del doppio dell’intera comunità europea, e cresce costantemente di circa 1.800 miliardi di dollari l’anno.

Il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che il debito USA raggiungerà il 105%  del Pil nel dicembre 2012 e il 115% entro il 2016 ( nel 2001 era intorno al 57% e nel 2008 non superava il 70%).

Si ritiene comunemente che il maggior detentore di titoli del debito del Tesoro USA sia la Cina, seguita dal Giappone e dalla Gran Bretagna.

 

Ecco la situazione USA a novembre 2011:

 

                       Foreign holders of U.S. Treasury securities

Foreign holders account for approximately one-third of all holders. The following is a list of the foreign holders

of U.S. Treasury securities as listed by the U.S. Treasury (revised by November 2011 survey completed January 18, 2012):

 

Leading Foreign Holders of US Treasury Securities

November 2011

MEMO : November 2010

Economic Area

billions of dollars (est.)

percent of total foreign holdings

billions of dollars (est.)

percent of total foreign holdings

Mainland China

1,132.6

23.8%

1,164.1

26.4%

Japan

1,038.9

21.9%

875.9

19.9%

United Kingdom

429.4

9.0%

242.5

5.5%

Oil exporters

232.0

4.9%

204.3

4.6%

Brazil

206.4

4.3%

189.8

4.3%

Caribbean Bank. C.

185.3

3.9%

158.8

3.6%

Taiwan

149.6

3.1%

154.4

3.5%

Switzerland

113.9

2.4%

106.8

2.4%

Hong Kong SAR

105.3

2.2%

134.9

3.1%

Russia

89.7

1.9%

167.3

3.8%

Canada

88.4

1.9%

75.6

1.7%

Luxembourg

72.9

1.5%

81.9

1.9%

Singapore

63.1

1.3%

62.2

1.4%

Thailand

62.0

1.3%

52.2

1.2%

Germany

60.7

1.3%

58.6

1.3%

France

46.9

1.0%

20.1

0.5%

Grand Total

4,750.9

100.0%

4,411.4

100.0%

 

 

In effetti questo primato cinese è crollato a fine febbraio 2011, quando con una impennata di fine estate 2010, la FED ha sopravanzato tutti gli altri detentori, compresa Pechino, arrivando a possedere (a luglio 2011) oltre 1.635 miliardi di dollari di titoli del debito americano.

 

La videata che segue, tratta da http://intermarketandmore.finanza.com/us-debt-ownership-i-padrone-del-debito-usa-32208.html,  mette in chiara evidenza le difficoltà di collocamento dei titoli americani ed i massicci acquisti da parte della Federal Reserve (riga chiara nel grafico). Gli acquisti di Bernanke furono decisi per sopperire alla cessazione degli acquisti da parte della Cina (riga rossa), che addirittura aveva cominciato ad alleggerire la sua posizione. In effetti a settembre di quell’anno, l’euro era tornato a 1,4 sul dollaro. Ma neanche alla luce di questi massicci interventi della FED i mercati finanziari vollero rendersi conto dei seri problemi che si sarebbero aperti nella capacità di rimborso degli USA.

 

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Detentori debito USA al 7-2011

 

L’acquisto massiccio di titoli del tesoro americano è ormai operazione abituale da parte della FED: prende carta del Tesoro o riacquista quella in mani terze (Cina, Giappone, G.B. ecc.)  e stampa dollari. Proprio quello che alla BCE non è permesso.

 

Secondo le società di rating, questa operazione della Fed (come prestatore di ultima istanza), permessa dalla facoltà di acquistare titoli stampando dollari,  mantiene alta l’affidabilità degli Usa.

 

 

 

 

IL RAPPORTO EURO/DOLLARO

 

Il grafico riporta l'andamento storico del rapporto euro/dollaro. Tratto da:

http://it.finance.yahoo.com/echarts?s=EURUSD%3DX#symbol=;range=my;compare=;indicator=volume;charttype=area;crosshair=on;ohlcvalues=0;logscale=off;sourc e=;]

 

Dal 1999 al 2002, anno di introduzione della moneta unica, il rapporto euro/dollaro era sempre stato a favore della moneta americana. Il minimo per l’euro si toccò il 20 novembre 2000 con 0,8397: con un euro si ricevevano 0,8 dollari.

Dal 2002, l’euro ha recuperato quasi costantemente in termini di mercato “normale”. Il 14 luglio 2008,  a circa un anno dalla crisi dei subprime, toccava il punto massimo con 1,5843 dollari per 1 euro.

 

Ma quel cambio era insostenibile per gli USA. Molti dei paesi stavano orientandosi verso l’euro per diversificare le loro riserve in valuta. Quasi un quarto delle riserve valutarie mondiali  erano espresse in euro.

 

 

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Euro Dollaro

 

 

 

Il rifiuto di Bush di porre in essere provvidenze a favore della Lehman Brothers, fecero precipitare (a metà settembre 2008) la situazione finanziaria mondiale, coinvolgendo in particolare  il sistema bancario occidentale.

A metà novembre 2008, l’euro era sceso a 1,25 sul dollaro. Ma già nel 2009 era tornato a crescere. A novembre 2009 era a 1,50: occorreva un dollaro e mezzo per avere un euro.

 

Nei primi mesi del 2010, la svolta. Per proteggere gli interessi di dollaro e sterlina, si assiste ad una azione concertata  tra più potentati economici anglosassoni (fondi speculativi, società di rating, banche d’affari) nel tentativo di mitigare il potere dell’euro, proprio quel potere conferito alla moneta unica da mercati “normali” (pur se minati dai futures)  con strumenti “normali”. In altri termini senza le azioni mediatiche generate dalle pagelline delle società di rating, senza i suggerimenti a disinvestire delle banche d’affari, l’euro mostrava basi ben più solide del dollaro.

 

Il dollaro aveva comunque bisogno di essere difeso Era ormai espresse in euro oltre un quarto delle riserve valutarie mondiali. Per inciso, nel 2002, l’Iraq di Hussein aveva manifestato l’intenzione di abbandonare il dollaro come valuta di riserva per passare all’euro. Oggi, la Cina detiene circa 800 miliardi di riserve espresse in euro.

All'inizio del 2010 Soros & co. ritennero opportuno aggredire l'euro minando la fiducia nei paesi finanziariamente ai margini di Eurolandia (Italia compresa). Programma massimo: affossare l’euro, programma minimo: approfittare di quella azione e del lungo periodo ribassista che certamente ne sarebbe seguito specie in Eurolandia.

[Qualche giorno fa, sempre Soros ha ritenuto opportuno suggerire alcuni rimedi per salvare l'euro. Che sia fallito il raggiungimento del programma massimo pianificato due anni fa e concluso di conseguenza il periodo ribassista?]

Dall’estate 2010, si assiste ad azioni combinate non direttamente contro l’euro, ma contro gli elementi deboli della costruzione, cioè contro i paesi con situazione finanziaria quasi compromessa e con economia in pessimo stato: Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna, Italia.  Con l’aggravante che, in molti casi, se un debito sovrano ottiene una votazione al di sotto di un certo livello si sarebbe impostata una automatica liquidazione dei suoi titoli di stato. È l’ultima azione che ha mandato l’Italia in serie B, nel tentativo di scardinare la moneta unica.

 

Sembra comunque di rilevare che le azioni continue di bocciatura, anche per gruppi di paesi o per gruppi di aziende di un paese, comincino a non mordere più di tanto.

 

 

 

 

                                  La trappola 

 

Con le direttive Mifid (normativa recepita in Italia nel 2007) viene istituzionalizzata l’attività di rating delle società specializzate. Da tempo molti fondi di investimento si autoimponevano (e  riportavano nei regolamenti)  limiti o divieti ad investire in prodotti finanziarti senza un rating adeguato. “A garanzia degli investitori” si diceva. Anche la legge sulle cartolarizzazioni (130/1999) richiama valutazioni di società esterne per le obbligazioni emesse. Con la Mifid le banche avrebbero dovuto proporre investimenti altrettanto “retati”. Solo da un paio d’anni ci si è resi conto che la concessione di questa “qualità” finanziaria era appannaggio di società non più indipendenti.

La tavola riporta gli incroci proprietari delle due più famose società di rating, S&P’s e Moody’s, ancora indipendenti agli inizi del decennio.

 

 

 

 

 

 

 

 

LA VICENDA ITALIANA E LO SPREAD. “Lo sappiamo!”

 

- “L’Italia ha un eccessivo debito pubblico” sostengono le tre sorelle del rating a giustificazione degli ultimi declassamenti.

Lo sappiamo!

 

Ma nel 1994, 1995 e 1996 il  rapporto del nostro debito sul  Pil superava il 120 % di oggi. Allora, però, e tre sorelle erano ancora sufficientemente indipendenti dai potentati finanziari.

Semmai il nostro problema è la scarsa crescita del Pil. Anche se, a dire il vero, nel 2009, il rapporto era al 116 per cento e il nostro Pil crollava di oltre 5 punti: perché nessuna delle tre sorelle si allarmò per quella situazione finanziaria? Forse perché qualcuno avrebbe potuto obbiettare che la loro attenzione subiva abbassamenti quando si trattò di valutare l’azione finanziaria della FED nella prima metà del decennio? Greenspan regalò dollari ai cittadini USA perché comprassero case e consumassero. Le conseguenze della regalia le conosciamo, ma quel parametro non influì sulla pagella USA.

 

Il grafico successivo riporta l’andamento del rapporto debito/Pil e i livelli di crescita del nostro  Prodotto interno lordo.

 

 

 

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Infografica Il peso del debito pubblico

 

 

- “Per i suoi titoli, l’Italia non può sostenere livelli di remunerazione così alti!”, sostengono le tre sorelle del rating a giustificazione degli ultimi declassamenti.

Lo sappiamo!

 

Nel 2011 il tasso medio di remunerazione del monte titoli di stato è passato al 3,61% (dal 2,10 del 2010), ma nel 2007 era addirittura del 4,14 %; in piena bagarre, nel 2008, è stato del 4,09%Mezzo punto in più degli interessi pagati oggi ai detentori dei nostri titoli di stato.

 

- “Lo spread BTP/BUND decennali ha raggiunto livelli impensabili!”.

Lo sappiamo!

 

Nel 2011, il tasso di remunerazione dei nostri BTP a dieci anni è stato del 5,25 %. Ma nel 2008 è stato del 4,75 %, non molto lontano dall’attuale. Allora, quel livello di tasso non fece grande effetto.

 

           ANNI 2005 – 2011 TASSO MEDIO APPLICATO

AL MONTETITOLI DEL DEBITO PUBBLICO ITALIANO E AL  BTP DECENNALE

   Fonte MEF Dipartimento del Tesoro (in percentuale)

 

 

TASSO MEDIO SUL

MONTETITOLI DI STATO

TASSO SU BTP

SCADENZA A 10 ANNI

2005

2,47

3,54

2006

3,32

3,95

2007

4,14

4,41

2008

4,09

4,75

2009

2,18

4,32

2010

2,10

4,01

2011

3,61

5,25

 

Dunque, il problema è sempre uno solo, sempre lo stesso da quando, due secoli fa, iniziò la rivoluzione industriale: la crescita economica. Ma sono 15 anni che praticamente ristagniamo.

 

Ma la crescita economica, come elemento di analisi,  ha poco senso se il parametro resta all’interno di un singolo paese. Ha un valore enorme, invece, se comparato con quello di altre nazioni. Ed oggi, la comparazione della crescita o del declino economico tra paesi più meno omogenei (quelli europei) ha poco senso. Ha invece interesse quello tra BRICS, USA ed Europa. I) BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa e, aggiungerei, Turchia), crescono a colpi di 8-11 per cento,

Analizzeremo in altra sede le implicazioni degli effetti di quella globalizzazione che – a inizio millennio – molti pensavano avrebbe dato luogo alla definitiva conquista del pianeta da parte degli Occidentali.

 

 

 

 

SPREAD. Alcune cose da sapere e qualche perplessità.

 

Lo spread è un differenziale. Un Δ (delta) direbbero i matematici.

Il differenziale che accompagna da qualche mese le nostre giornate è quello tra l’andamento di un nostro BTP con scadenza prossima ai 10 anni e quello di un pari titolo di stato tedesco con scadenza anch’essa prossima ai 10 anni.

Fino ad un paio di mesi fa il BTP preso in considerazione era quello scadente il 15 settembre 2021 tasso 2,1%. Oggi lo spread si parametra sul BTP scadente 1° marzo 2022, tasso 5,0%.

Per valutare il differenziale con i bund, e pervenire al calcolo dello spread, occorre calcolare – per i due titoli -  il “rendimento alla scadenza” (valore d’acquisto, cedole, valore di rimborso) e definirne la differenza, cioè lo spread.

E’ chiaro che prendere il BTP scadenza 15-9-2021 tasso 2,1% o quello con scadenza 1-3-2022 tasso 5%  darà luogo a risultati molto diversi.

 

Ma chi decide quando e come cambiare titolo?

 

[Da www.tradingborsa.info: “Cos’è cambiato?


Fino a qualche tempo fa, il Btp preso in considerazione come riferimento per  il calcolo era quello a scadenza settembre 2021. Un riferimento giudicato non più attuale, con la conseguenza di spostare la piattaforma di confronto al termine successivo, a marzo 2022. La portata più grande di questo cambiamento, ha fatto sì che cadessero tutti i riferimenti precedenti. Questo perché un titolo più giovane di sette mesi, si porta dietro una minore possibilità di scambio. E’ meno liquido, rispetto a al btp a scadenza settembre 2011. Per questo è derivata la penalizzazione di 30 punti.]

 

Il link che conduce alla quotazione del BTP 1° marzo 2022 è il seguente:

http://www.soldionline.it/quotazioni/azioni/btp-1mz22eur-5-IT0004759673.html

 

E’ evidente quindi come il calcolo dello spread abbia la quotazione di mercato del titolo quale variabile fondamentale: se il prezzo scende (le vendite superano gli acquisti) il rendimento salirà, essendo il BTP a tasso fisso; se le quotazioni salgono, il rendimento scende. A parità di altre condizioni (quotazione del bund, ecc.) se la quotazione del BTP scende lo spread salirà, se sale lo spread scenderà.

 

Ma c’è un equivoco di fondo: se la quotazione di quel BTP scende e, quindi lo spread sale, il suo rendimento cresce, ma ciò non significa che il monte titoli di stato già in circolazione verranno tutti remunerati al nuovo tasso. Quando cioè si affermava: il rendimento del nostro BTP decennale ha superato il tot per cento di rendimento, livello ormai insostenibile, si dava la semplice indicazione che se quel BTP emesso, ad esempio, al tasso fisso del 3 per cento, veniva quotato 70 il nuovo acquirente avrebbe investito 70 per ottenere 3. Il rendimento alla scadenza sarebbe risultato molto più alto del 3 nominale. Ma le ripercussioni della compravendita avrebbero coinvolto solo interessi privati, del compratore (per lui, un affare) e del venditore (per lui una remissione).

Ma non tutti i cittadini (e non solo) erano consapevoli di ciò. Molti credono ancora che il Tesoro si sarebbe dovuto spiantare a seguito della cresciuta remunerazione da applicare sulla massa complessiva già in circolazione.

La svalutazione del titolo ha due effetti: chi lo ha acquistato a 100 e lo rivende a 70 ci rimette l’osso del collo. Il Tesoro non viene minimamente coinvolto da questa nuova situazione. Solo le future emissioni (e solo quelle) sarebbero state “probabilmente” influenzate (ma la cosa si sarebbe potuto accertare solo a posteriori) dall’andamento negativo del mercato ed avrebbero quindi dovuto garantire remunerazioni più alte per invogliare i nuovi investitori. Ma solo le nuove! Nulla di più.

 

 

LE NOSTRE PERPLESSITÀ.

 

Il Dipartimento del Tesoro ci informa che:

 

- Il BTP preso a riferimento fu emesso per un importo di poco superiore ai 12 miliardi di euro.

 

IT0004759673

BTP

Em. 1-Set-2011

Scad.1-Mar-2022

5,00%

  12.203.182.000

 

 

- la massa di BTP in circolazione (circa 1.175 miliardi di euro) rappresenta quasi i tre quarti del monte titoli di stato, pari a 1.586,741 miliardi (dicembre 2011). I dati sono riportati nella tabella  seguente.

 

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Comp debito

 

 

Sappiamo che i grandi potentati bancari, assicurativi e finanziari italiani ed internazionali detengono la gran parte dei nostri titoli in circolazione.

 Si veda il grafico seguente.

 

 

 

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Detentyori debito pubblico

 

 

Come è possibile che le sorti del debito sovrano dell’8° paese di questo pianeta possa dipendere dalla quotazione di un BTP di 12 miliardi di euro, pari cioè ad un centesimo dei suoi BTP in circolazione e ad un centotrentaduesimo del monte titoli del debito pubblico?

A nessuno viene in mente che eventuali combine su quel titolo possono portare a sbalzi di quotazione (e quindi dello spread) incontrollabili?

Per assurdo potrebbe verificarsi il seguente scenario: avendo l’Italia recuperato la fiducia degli investitori, tutti i titoli del nostro debito pubblico si apprezzano perché ben richiesti, tranne quello preso a base del calcolo dello spread, che vede abbassarsi la sua quotazione per azioni convergenti di alcuni grandi detentori che hanno interesse ad un suo deprezzamento. In questo caso le variazioni dello spread non sono più indicative né utili nella comparazione economico-finanziaria tra Italia e Germania, anzi, risulteranno fuorvianti.

 

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: BTP grafico

                                           [In fondo, un aggiornamento al 3 febbraio 2012 del grafico.]

 

La parte bassa del grafico indica il volume giornaliero delle contrattazioni sul titolo. Sebbene nella figura i livelli precisi siano di difficile quantificazione, la media degli ultimi due mesi dovrebbe aggirarsi attorno ai 50-60 milioni; una sola volta si sono superati i 140; il  livello di circa 100 milioni è stato avvicinato solo 5 volte.

 

Possiamo quindi dire che con interventi di 50 - 100 milioni sul nostro BTP canonico, lo spread condanna o salva il paese. E non credo che quei livelli di intervento siano proibitivi per chi deve difendere il dollaro e pensa di indebolire l’euro attraverso la messa in discussione della solvibilità dei paesi considerati finanziariamente attaccabili.

Mi sembra addirittura puerile fare e pretendere chiarezza.

Occorre dunque reagire.

 

Quanto al “complotto”, da più parti indicato come causa dei nostri mali, va detto che difendere i propri interessi non costituisce mai un complotto. Difenderli con metodi truffaldini è reato, ma tra privati.

Chi parla di complotto è intellettualmente pigro e, non sapendo proporre azioni di difesa dei propri interessi, grida ad una immaginaria realtà piegata da nemici che perseguono loro inconfessabili  fini, con strumenti “equivoci”.

Gli anglosassoni curano, legittimamente, i propri interessi difendendo l’apparato finanziario da loro creato e dominato, tramite il quale sono in grado di prosperare anche senza preoccuparsi troppo del versante economico (produzione ecc.), opponendosi a qualsiasi tassazione sulle operazioni finanziarie, proteggendo dollaro e sterlina. E se tale difesa – secondo loro valutazioni -  passa attraverso il ridimensionamento o la cancellazione dell’euro, o l’offrire alla Germania di far parte degli “amici” (anglosassoni, Cina, forse Giappone), nulla da dire. Sarà un caso che Usa e Germania abbiano progettato una fusione tra la Nyse e la Deutsche Börse, in grado di controllare il 90 per cento del mercato dei futures? Che poi la Commissione europea abbia bocciato il tentativo di trust, è altra cosa.

Siamo caduti nella trappola delle pagelle fornite da loro stessi? Studiamo contromosse, invece di gridare al complotto! Da oltre due anni si parla di una società di rating europea ed effettivamente indipendente. La Gran Bretagna si oppone. Si parla di inserire la Tobin tax. La Gran Bretagna si oppone. Sa fare i suoi interessi.

Semmai, altri (leggi Eurolandia) stentano a ben curare i propri affari, lasciando l’euro indifeso o maldifeso, ritenendo che il dimensionamento nazionale dei presidi di protezione sia sufficiente a salvarli.

 


 

AGGIORNAMENTO

 

L’andamento del BTP 1° marzo 2022 nella giornata del 3-2-2012, il volume degli scambi e lo spread risultante col Bund decennale.

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: C:\Users\Novelli\Desktop\3-2-12 BTP + storico + spread.png

 


 

Aggiornamento el 20 febbraio 2012

 

 

 

 

 

Quotazione del 12-3-2012        Spread 312,63       Volume 32,727 milioni di euro