Il PuntO n° 222
Nave Concordia.
Schettino, De Falco e i commenti.
Di Mauro
Novelli 21-1-2012
Di fronte a quel dramma avevo deciso di non commentare. Ma
alcune valutazioni del tipo : “Mi si nota di più se elogio De Falco o
se gli sparo addosso?” Mi impongono una presa di posizione precisa.
Il Fatto Quotidiano
20-1-2012. Alla faccia del comandante di Massimo Fini
La cosa
più rabbrividente nella tragedia della Concordia non è il
naufragio col suo strascico di morti e di dispersi, ma la telefonata fra il capitano di Fregata Gregorio De
Falco, a capo della Capitaneria di Livorno, e il comandante Francesco
Schettino. Perché non c’è spettacolo più osceno, pornografico
di un uomo, di qualsiasi uomo, ma in particolare di un comandante di nave,
‘secondo solo a Dio’ quando è in plancia, che, per paura, di colpo
si smaschera, si cala le braghe e si umilia e si fa umiliare in quel modo, davanti
al mondo intero.
Gli errori, l’imprudenza, la leggerezza del comandante Schettino appaiono
evidenti. Ma l’errore, cioè una valutazione sbagliata, proprio
perché tale va al di là della volontà di chi lo compie, anche
se poi dovrà pagarne giustamente tutte le conseguenze legali. Ma non
è necessariamente un’onta. Ci sono stati assi del
volante che, per un eccesso di spericolatezza, hanno ucciso degli
spettatori (penso, per esempio, a una Mille Miglia di tanti anni fa), ma
non per questo sul loro nome è rimasta l’ombra della vergogna. La colpa
veramente imperdonabile del comandante Schettino è
un’altra: aver abbandonato la nave prima che tutti i passeggeri – quelli
almeno per i quali si poteva fare ancora qualcosa – fossero stati tratti in
salvo. Perché questa è una decisione che è dipesa solo dalla
sua volontà, non da un’errata valutazione, sempre possibile. Prima
della legge un codice d’onore antichissimo,
ancestrale, e l’intera storia della navigazione dicono che il comandante
deve essere l’ultimo ad abbandonare la nave che affonda e, se del caso,
inabissarsi con essa (e, a volte, anche se non è il caso, come fece
il comandante del Titanic, Edward Smith, che
rifiutò di essere tratto in salvo, e che ne seguì
l’inevitabile sorte – ma erano altri tempi, altra gente, altre tempre,
altra classe: dopo il mayday, e non è leggenda, non è film,
è storia, l’orchestra continuò a suonare e i passeggeri a
ballare).
Con quell’abbandono Francesco Schettino non ha perso solo gli alamari del
comandante, ha perso la faccia, ha perso la dignità, ha perso
l’onore. E l’onta indelebile di quell’abbandono lo seguirà per tutta
la vita. Non potrà più guardare in faccia nessuno senza
avvertirne il disprezzo. Ma non mi ha convinto nemmeno l’atteggiamento del capitano
De Falco. De Falco, standosene seduto in capitaneria
(giustamente il comandante Amato, che ebbe Schettino come ottimo primo
ufficiale, ha ricordato un vecchio detto: “I marittimi si dividono in due
categorie: quelli che vanno per mare e rischiano e quelli che stanno a
terra e giudicano”), maramaldeggia sadicamente su un uomo finito. De Falco,
si scrive, non vuole passare da eroe. Non si fa vedere in televisione, non
parla. In compenso fa parlare la moglie che dichiara all’inviato del Corriere
della Sera: “Sa qual è la cosa più preoccupante?
Che in Italia chi fa semplicemente il proprio dovere, come ha fatto mio
marito, diventa un eroe”. Ma questa è l’apoteosi
dell’autoesaltazione, espressa in termini retorici,
dell’eroismo.
Perché non esiste solo una retorica della grandezza, esiste anche una retorica
della modestia o piuttosto della falsa modestia. E la
retorica, di cui i media italiani hanno fatto in questi giorni uso a piene
mani (soprattutto la retorica dei ‘buoni sentimenti’), come avvertiva
Alberto Savinio in un preveggente e prezioso
libretto, “Sorte
dell’Europa” del 1943, “è un male endemico nel nostro
paese, è il male che inquina la nostra vita, la nostra politica, la
nostra letteratura e una delle cause principali, se non addirittura la
principale, delle nostre sciagure”.
Massimo
Fini Il Fatto Quotidiano, 21 Gennaio 2012
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Il
guaio è che ci sono uomini che vanno per mare e farebbero meglio a
starsene dietro una scrivania.
Per
economia riporto in parte il commento inserito nell'articolo della signora Guma, sempre sul Fatto del 20 gennaio.
Da
più parti si tende a giustificare i comportamenti del povero
Comandante Schettino sottoposto ad uno stress estremo, mentre il
Comandante De Falco operava e giudicava al caldo della sala operativa della CdP di Livorno. La nostra cultura è cattolica e
tendiamo alla pietà ed al perdono, prima ancora che al tentar di
essere giusti; facciamo primeggiare la meno lacerante bontà sulla
complicata giustizia. Questo atteggiamento non permette l'assunzione piena di
responsabilità da parte di chi ha assunto l'impegno di rivestire il
ruolo, per il quale è "comandato" e che ha volontariamente
accettato di ricoprire, decidendo di andar per mare e non per scartoffie. A
parte lo stress estremo della situazione, affrontato non solo da Schettino,
ma anche dai passeggeri (si pensi ai bambini o ai disabili in carrozzina, o
ai morti) come si fa a "giustificare" chi non svolge bene il lavoro
che ha scelto di fare e per cui pretende – giustamente – di essere retribuito?
In
situazioni di emergenza, un comandante di nave (lo richiede il ruolo, non la
volontà di chi quel ruolo ricopre), deve fare alcune cose: Schettino
le ha fatte? Deve avere alcuni comportamenti: Schettino li ha avuti? Deve
sbarcare per ultimo: lo stress ha spinto Schettino a capitombolare - a sua
insaputa e con altri ufficiali – da una biscaglina, di cui stava forse
verificando la tenuta, nella scialuppa di salvataggio.
De
Falco aveva un altro ruolo. L'ha ricoperto adeguatamente? Ha fatto le cose
che doveva fare? Ha avuto comportamenti conseguenti? Si è assunto le
responsabilità che quel ruolo impone? In Italia questo è sport
sconosciuto prima ancora che poco praticato. Oppure avrebbe dovuto farsi
trasportare sugli scogli del Giglio per dare una mano a Schettino? Anzi,
proprio su Nave Concordia, visto che non aveva subito uno stress estremo.
Avrebbe dovuto avere, da pigro cattolico, sentimenti di pietà e
di perdono e suggerire a Schettino di allontanarsi anche dagli scogli perché,
al buio, è pericoloso guardare anche da li?
E che
cosa avrebbero scritto se si fosse presentato da Vespa?
Altra
cosa è che poi si provi – personalmente - pietà per quel
poveraccio che, da marittimo vero, ha deciso di far parte della categoria
di quelli che vanno per mare e
rischiano e non di quelli che stanno a terra e giudicano.
Vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che
una qualsiasi imbarcazione è un organismo, ma non tutti sono in
grado di ben comprendere le implicazioni di questa affermazione, specie se
non hanno mai stemperato il loro essere ed il loro vivere con altre
persone, chiamate a rendere operativo quell’organismo, in ambienti che
richiedono consapevolezza di ciò e comportamenti conseguenti. Magari
per sopravvivere. Il comandante gestisce la materia grigia di questo
organismo. Se sa farlo. Se non sa farlo, la colpa di gesti inconsulti non
è di altri organi, né del medico che cerca di provvedere e spera che
l’organismo reagisca ai suoi stimoli, ai suoi richiami ed alle sue cure.
“Comodo, dotto'”! - diranno i poveri di spirito - “Lei sta bene! Non maramaldeggi!”
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