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INSERITO IL  21-1-2012

 

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Tradotto in italiano l’articolo di Jan Fleischhauer pubblicato da Der Spiegel sul naufragio di Nave Concordia.

Commento:

Egregio signor Fleischhauer,

si capisce benissimo che queste cose sugli italiani avrebbe voluto scriverle da sempre. Guardi che può farlo liberamente anche senza attendere qualche naufragio. Scriva tranquillo! Noi non deportiamo nessuno. Anzi, come vede, traduciamo i Suoi articoli.

 

Le do una mano con un quiz d’incoraggiamento:

Le due foto mostrano parte delle manovre di due navi, la Vespucci (italiana) e  la Fespukchy (tedesca). Saprebbe dirci, signor Fleischhauer, quale è la tedesca e quale l’italiana?

Come? Ha ragione! E’ in difficoltà perché non sono numerate. Facciamo così: la prima è la numero 1, la seconda è la numero 2.

Fespukki (1).jpg

Vespucci.jpg 

 

 

 

Il PuntO 222

 

Nave Concordia. Schettino, De Falco e i commenti.

 

Di Mauro Novelli  21-1-2012

 

Di fronte a quel dramma avevo deciso di non commentare. Ma alcune valutazioni del tipo : “Mi si nota di più se elogio De Falco o se gli sparo addosso?” Mi impongono una presa di posizione precisa.

 

 

Il Fatto Quotidiano 20-1-2012. Alla faccia del comandante di Massimo Fini

La cosa più rabbrividente nella tragedia della Concordia non è il naufragio col suo strascico di morti e di dispersi, ma la telefonata fra il capitano di Fregata Gregorio De Falco, a capo della Capitaneria di Livorno, e il comandante Francesco Schettino. Perché non c’è spettacolo più osceno, pornografico di un uomo, di qualsiasi uomo, ma in particolare di un comandante di nave, ‘secondo solo a Dio’ quando è in plancia, che, per paura, di colpo si smaschera, si cala le braghe e si umilia e si fa umiliare in quel modo, davanti al mondo intero.
Gli errori, l’imprudenza, la leggerezza del comandante Schettino appaiono evidenti. Ma l’errore, cioè una valutazione sbagliata, proprio perché tale va al di là della volontà di chi lo compie, anche se poi dovrà pagarne giustamente tutte le conseguenze legali. Ma non è necessariamente un’onta. Ci sono stati assi del volante che, per un eccesso di spericolatezza, hanno ucciso degli spettatori (penso, per esempio, a una Mille Miglia di tanti anni fa), ma non per questo sul loro nome è rimasta l’ombra della vergogna. La colpa veramente imperdonabile del comandante Schettino è un’altra: aver abbandonato la nave prima che tutti i passeggeri – quelli almeno per i quali si poteva fare ancora qualcosa – fossero stati tratti in salvo. Perché questa è una decisione che è dipesa solo dalla sua volontà, non da un’errata valutazione, sempre possibile. Prima della legge un codice d’onore antichissimo, ancestrale, e l’intera storia della navigazione dicono che il comandante deve essere l’ultimo ad abbandonare la nave che affonda e, se del caso, inabissarsi con essa (e, a volte, anche se non è il caso, come fece il comandante del Titanic, Edward Smith, che rifiutò di essere tratto in salvo, e che ne seguì l’inevitabile sorte – ma erano altri tempi, altra gente, altre tempre, altra classe: dopo il mayday, e non è leggenda, non è film, è storia, l’orchestra continuò a suonare e i passeggeri a ballare).
Con quell’abbandono Francesco Schettino non ha perso solo gli alamari del comandante, ha perso la faccia, ha perso la dignità, ha perso l’onore. E l’onta indelebile di quell’abbandono lo seguirà per tutta la vita. Non potrà più guardare in faccia nessuno senza avvertirne il disprezzo. Ma non mi ha convinto nemmeno l’atteggiamento del capitano De Falco. De Falco, standosene seduto in capitaneria (giustamente il comandante Amato, che ebbe Schettino come ottimo primo ufficiale, ha ricordato un vecchio detto: “I marittimi si dividono in due categorie: quelli che vanno per mare e rischiano e quelli che stanno a terra e giudicano”), maramaldeggia sadicamente su un uomo finito. De Falco, si scrive, non vuole passare da eroe. Non si fa vedere in televisione, non parla. In compenso fa parlare la moglie che dichiara all’inviato del Corriere della Sera: “Sa qual è la cosa più preoccupante? Che in Italia chi fa semplicemente il proprio dovere, come ha fatto mio marito, diventa un eroe”. Ma questa è l’apoteosi dell’autoesaltazione, espressa in termini retorici, dell’eroismo.
Perché non esiste solo una retorica della grandezza, esiste anche una retorica della modestia o piuttosto della falsa modestia. E la retorica, di cui i media italiani hanno fatto in questi giorni uso a piene mani (soprattutto la retorica dei ‘buoni sentimenti’), come avvertiva Alberto Savinio in un preveggente e prezioso libretto, “Sorte dell’Europa” del 1943, “è un male endemico nel nostro paese, è il male che inquina la nostra vita, la nostra politica, la nostra letteratura e una delle cause principali, se non addirittura la principale, delle nostre sciagure”.


Massimo Fini Il Fatto Quotidiano, 21 Gennaio 2012

 

 

 

 

Il guaio è che ci sono uomini che vanno per mare e farebbero meglio a starsene dietro una scrivania.

Per economia riporto in parte il commento inserito nell'articolo della signora Guma, sempre sul Fatto del 20 gennaio.

Da più parti si tende a giustificare i comportamenti del povero Comandante  Schettino sottoposto ad uno stress estremo, mentre il Comandante De Falco operava e giudicava al caldo della sala operativa della CdP di Livorno. La nostra cultura è cattolica e tendiamo alla pietà ed al perdono, prima ancora che al tentar di essere giusti; facciamo primeggiare la meno lacerante bontà sulla complicata giustizia. Questo atteggiamento non permette l'assunzione piena di responsabilità da parte di chi ha assunto l'impegno di rivestire il ruolo, per il quale è "comandato" e che ha volontariamente accettato di ricoprire, decidendo di andar per mare e non per scartoffie. A parte lo stress estremo della situazione,  affrontato non solo da Schettino, ma anche dai passeggeri (si pensi ai bambini o ai disabili in carrozzina, o ai morti) come si fa a "giustificare" chi non svolge bene il lavoro che ha scelto di fare e per cui pretende – giustamente – di essere  retribuito?

In situazioni di emergenza, un comandante di nave (lo richiede il ruolo, non la volontà di chi quel ruolo ricopre), deve fare alcune cose: Schettino le ha fatte? Deve avere alcuni comportamenti: Schettino li ha avuti? Deve sbarcare per ultimo: lo stress ha spinto Schettino a capitombolare - a sua insaputa e con altri ufficiali – da una biscaglina, di cui stava forse verificando la tenuta, nella scialuppa di salvataggio.

De Falco aveva un altro ruolo. L'ha ricoperto adeguatamente? Ha fatto le cose che doveva fare? Ha avuto comportamenti conseguenti? Si è assunto le responsabilità che quel ruolo impone? In Italia questo è sport sconosciuto prima ancora che poco praticato. Oppure avrebbe dovuto farsi trasportare sugli scogli del Giglio per dare una mano a Schettino? Anzi, proprio su Nave Concordia, visto che non aveva subito uno stress estremo. Avrebbe dovuto avere, da pigro cattolico,  sentimenti di pietà e di perdono e suggerire a Schettino di allontanarsi anche dagli scogli perché, al buio, è pericoloso guardare anche da li?

E che cosa avrebbero scritto se si fosse presentato da Vespa?

Altra cosa è che poi si provi – personalmente - pietà per quel poveraccio che, da marittimo vero, ha deciso di far parte della categoria di  quelli che vanno per mare e rischiano e non di quelli che stanno a terra e giudicano.
Vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che  una qualsiasi imbarcazione è un organismo, ma non tutti sono in grado di ben comprendere le implicazioni di questa affermazione, specie se non hanno mai stemperato il loro essere ed il loro vivere con altre persone, chiamate a rendere operativo quell’organismo, in ambienti che richiedono consapevolezza di ciò e comportamenti conseguenti. Magari per sopravvivere. Il comandante gestisce la materia grigia di questo organismo. Se sa farlo. Se non sa farlo, la colpa di gesti inconsulti non è di altri organi, né del medico che cerca di provvedere e spera che l’organismo reagisca ai suoi stimoli, ai suoi richiami ed alle sue cure. “Comodo, dotto'”! - diranno i poveri di spirito - “Lei sta bene! Non maramaldeggi!”