PRIVILEGIA NE IRROGANTO           di Mauro Novelli               BIBLIOTECA

 


 

Mons. Antonino Mongitore

 

L'ATTO  PUBBLICO DI FEDE

 

SOLENNEMENTE CELEBRATO NELLA CITTA'  DI PALERMO

 

à 6 Aprile 1724

 

DAL TRIBUNALE DEL S. UFFIZIO DI SICILIA

 

DEDICATO

 

ALLA MAESTÀ C.C.

 

DI

 

CARLO VI

 

IMPERADORE

 

E III. RE DI SICILIA.

 

DESCRITTO DAL D. D. ANTONINO MONGITORE

 

Canonico della Cattedrale Metropolitana Chiesa della stessa Città,

Consultore e Qualificatore di detto S. Uffizio

 

 

IN PALERMO M.DCC.XXIV.

 

Nella Regia Stamperia d'Agostino ed Antonio Epiro, Familiari ed Impressori

del medesimo Tribunale

 

Con licenza de' Superiori

 

 


 

 


PREFAZIONE

 

(A cura del redattore)

 

 

 

L'autore

 

Mons. Antonino Mongitore (1663-1743) fu scrittore e storico.

La sua produzione è principalmente riferita al mondo Siciliano in genere e alla sua Palermo, ove fu Canonico della Cattedrale. Si dedicò anche all'agiografia pubblicando la vita di alcuni Santi.

Consultore e Qualificatore del S. Ufficio, venne sepolto nel Pantheon di S. Domenico, la chiesa dei Domenicani dove normalmente venivano pronunciate le sentenze dell'Inquisizione.

 

Tra le sue opere si segnalano in modo particolare:

 

-         Biblioteca Sicula, sive De scriptoribus Siculis (2 Vol. 1707-1714)

-         Della Sicilia ricercata nelle cose più memorabili (2 Vol. 1742-1743)

 

 

L'Atto pubblico di Fede del 1724

 

L' Atto pubblico di Fede, o ”Auto de fe”, celebrato a Palermo il 6 aprile 1724 rappresentò il colpo di coda del Santo Ufficio dell'Inquisizione di Sicilia. Fu, infatti, l'ultimo celebrato prima della soppressione del Santo Tribunale che, dopo alcuni decenni di agonia, avverrà per opera del Vicerè Domenico Caracciolo, il 16 marzo 1782.

 

All'epoca del nostro Atto di Fede, la Sicilia era sotto dominio austriaco. L'imperatore Carlo VI l'aveva conquistata, in veste di erede della corona spagnola, nell'ambito della guerra di successione che l'opponeva a Filippo V. Da ciò l'opportunità di nominare degli Inquisitori spagnoli che dipendessero dall'Inquisitore Generale di Spagna, allora residente presso la Corte di Vienna.

 

L'obiettivo che l'Inquisizione si proponeva di raggiungere attraverso gli “Autos de fé” era lucido e preciso: l'annientamento della dignità umana dei “colpevoli” e la loro morte sociale prima ancora dell'eventuale morte fisica. Doveva essere il giorno del disprezzo, del disonore e del terrore.

 

Per tale motivo era indispensabile approntare una celebrazione che fosse nel contempo trionfale, spettacolare e terrorizzante.

 

Fu allestito appositamente un “Teatro”, nella piazza della Cattedrale, dove si sarebbe svolto l'importante spettacolo delle condanne e delle umilianti sottomissioni al potere religioso, ed un secondo “Teatro”, nel piano di S. Erasmo, per l'esecuzione delle due vittime destinate ad essere bruciate vive.

 

Ma ancora più importante, per l'Inquisizione, era la necessità di dimostrare che alla celebrazione dell'Atto pubblico di Fede partecipava l'intera società siciliana, al completo. Così ci si preoccupò di chiamare tutti a raccolta. Dal Vicerè ai Nobili, dall'Arcivescovo al clero d'ogni ordine o grado, dalle rappresentanze parrocchiali alle Congregazioni e Compagnie, dai vari dignitari al popolo. Ognuno, facendo sfoggio di sé e sottolineando il proprio ruolo, con “i migliori vestiti, che potranno portare, per comparire decorati e con lustro in maggior gloria di Dio e servigio di questo S. Officio”. Tutti ben ordinati ed al proprio posto con l'accompagnamento di trombe, tamburi, cori e insegne variopinte. La processione avrebbe rappresentato la compattezza sociale contro “i diversi” che attentavano all'ordine costituito e alla religione, quella Cattolica, unica e obbligatoria.

 

Il Libro

 

In questo libro il Mongitore non si presenta solo come letterato e studioso ma principalmente come cronista del Sant'Ufficio. Fu, infatti, il Tribunale dell'Inquisizione di Sicilia a commissionargli l'opera e a patrocinarne la pubblicazione, come l'autore precisa nella sua introduzione.

 

Scopo dell'opera, pubblicata a meno di tre mesi dall'evento, era quello di essere viva testimonianza del trionfo dell'Atto di Fede, esaltazione del gran potere e consenso goduto dall'Inquisizione e degna memoria per quanti avevano concorso al suo successo, citati espressamente e nominativamente nel testo.

 

È un libro celebrativo, di grande interesse storico e di costume, ma la caratteristica più importante è quella di farci conoscere, di prima mano, quanto l'Inquisizione narra di sé.

 

Nell'ossessione di descrivere l'evento nei minimi dettagli, il Mongitore riesce a trasferire il lettore nell'atmosfera e nel clima surreale di un'incredibile Celebrazione. Non solo, è anche un'opera che, se letta con attenzione, riesce a farci incredibilmente rivivere, fotogramma dopo fotogramma, l'intero “Spettacolo”: di odio e di vendetta, di dramma e di festa (si notino i numerosi e copiosi rinfreschi!). Di odio contro i diversi e di vendetta per esorcizzare e purificare, di dramma per le pene destinate ai “colpevoli” e di festa per il Trionfo della Chiesa Istituzione nei confronti d'ogni dissenso.

 

Il trattamento particolarmente inumano riservato dall'Inquisizione alle due principali vittime, Suor Geltruda e Fra Romualdo, nonostante la loro dignitosa ed eroica fermezza nel testimoniare, sino al supplizio, la convinzione di essere veri cristiani in piena comunione con Dio, si può comprendere solo se si tengono presenti le osservazioni di Grado Giovanni Merlo, quando scrive([1]): “…con Innocenzo III l'eresia era stata equiparatala al crimen lesae maiestatis nel 1199: da allora l'interesse si concentrò, non poté non concentrarsi, dunque, sull'errante piuttosto che sull'errore. Il frate Predicatore/inquisitore dovette occuparsi dal punto di vista giudiziario dell'errante, e non, dal punto di vista teologico, dell'errore e dei suoi motivi: non dovette nè poté spingersi nelle ragioni della “eresia”, non dovette chiedersi perchè, ma indagare su chi e quando fosse caduto in errore (ma quale errore?), impegnandosi a ricomporre una unità che non era tanto di fede, quanto di obbedienza ai vertici della chiesa e, dunque, di conformismo cristiano-religioso.”

 

È quello che puntualmente asserì, durante l'Atto pubblico di Fede, il domenicano P.A. Majorana nel suo “Discorso” ai Rei: “…e come non vi confonde o Superbi il solo pensare, che siete abominati dagli Uomini, aborriti dagli Angioli, odiati da Iddio? e tutto ciò, perchè ardiste Temerarj porre la lingua nel Cielo delle Verità Cattoliche, e contraddire li sagri Dogmi da un Dio sempre infallibile promulgati: perchè tentaste lacerare nella bella unità della Fede, la veste inconsutile del Redentor…”.

 

Il libro, di là del non fluido stile settecentesco, non è di comoda lettura. Non solo per la distanza culturale che ci separa ed i limiti di comprensione che ciò comporta, ma anche perchè veniamo condotti in una realtà che, dopo un primo smarrimento, ci induce a riflettere per alcune analogie e similitudini – consenso o repressione - che non possiamo non scorgere come pericoli ancora presenti nella nostra società “globalizzata”.


La Chiesa Cattolica e gli “Autos de fé”.

 

Adriano Prosperi, nella relazione presentata al Simposio Internazionale sull'Inquisizione svoltosi in Vaticano nell'ottobre 1998 asseriva([2]): “Non si può cancellare il dato di fatto che da Roma, per un tempo plurisecolare, furono impartiti insegnamenti e modelli di una religione spietata, per la quale uccidere in un giorno festivo i nemici della fede era un modo di celebrare degnamente il ”Dies Dominicus”; e fu da Roma che, per fugare i dubbi che sussistevano perfino nell'Inquisizione spagnola, fu dichiarato questo principio: “amigo de Dios es quien enemigos de Dios mata”([3]).

 

 

La presente redazione dell'opera.

 

Il testo utilizzato per la redazione è quello della ristampa in facsimile pubblicata da F. Guidicini (Bologna, 1868), senza alcuna emenda.

In Appendice sono riportati sia l'avviso “Al discreto lettore” sia la traduzione in italiano degli atti in lingua spagnola, che l'editore ritenne opportuno aggiungere.

 

Sono state inserite alcune poche note a piè di pagina che il redattore ha creduto potessero essere utili al lettore per un primo approccio al linguaggio e al “mondo” dell'Inquisizione. Esse sono evidenziate da: (N.d.R.).

 

 

Segnalazioni Bibliografiche

 

Possono essere utili per l'approfondimento dell'argomento trattato dal libro:

 

-           Francesco Renda, L'Inquisizione in Sicilia. Palermo, Sellerio, 1997

-           Adriano Prosperi, Tribunali della coscienza. Torino, Einaudi, 1996

-           Fra Eliseo Masini, Il Manuale degli Inquisitori. Milano, Xenia, 1990

-           Andrea Errera, Processus in causa fidei (L'evoluzione dei manuali inquisitoriali nei secoli XVI-XVIII). Bologna, Monduzzi, 2000

 

 

ROBERTO  DEROSSI


 

BOLOGNA 1868

Ristampata pei Tipi di Giuseppe Vitali,

 

 

 

AL DISCRETO LETTORE

 

Nell'accreditato Giornale l'Italie, che si stampa a Firenze, sotto la data 10 marzo del corrente anno 1868, io leggeva un articolo intitolato - Une Pétition - che qui riproduco testualmente.

 

([4])C' était hier', à la Chambre des Deputes, la journée des petitions.

 Dans le nombre de ces recours individuels ou collectifs, il en est toujours quelques-uns qui meritent l' intérêt. Nous avons surtout remarqué celui de cette famille Palermitaine qui reclame l'exemption d'une redevance à la quelle elle est obbligée envers le domaine. Quelle est l'origine de cette redevance? On ne l'imaginerait guères.

Cette famille paie une somme annuelle au domaine pour les frais du procès de soeur Gertrude, brulée vive par ordre du Saint-Office de Palerme en l' année 1724.

L'histoire est fameuse dans les annales italiennes du midi. La voici telle que là raconte Colette:

En l' annèe 1699, dit Colletta, furent mis en prison par le Saint-Office de Palerme, frère Romuald, laïque augustinien, et soeur Gertrude, religieuse de S. Benoît; celui là pour quiétisme, molinisme, herèsie; celle-ci, pour orgueil, vanité, temerité, hypocrisie. Tous deux sortes de fous. Les Saints Inquisiteurs et les théologiens du Saint-Office avaient disputé plusieurs fois avec ces malheureux, qui obstinés comme des fous répétaient leurs heresies. Enfermès en prison, la femme pendant 25 ans, le frère pendant 18, ils supportèrent les tourments les plus cruels, la torture, le fouet, la faim, la soif; et enfin, arriva le moment desiré du supplice. Les inquisiteurs les avaient en effet condamnés tous deux à mort. La sentence louait la douceur, la mansuétude, la bénignité des saints inquisiteurs, et, en regard de tant d' humanité, la méchancete, l'irreligion, l'obstination des deux coupables. On insistait aussi sur la nécessité de maintenir la discipline de la sacro-sainte religion catholique, d'eteindre le scandale et de satisfaire l'indignation des chrétiens.

Le 6 Avril 1724 sur la place saint Erasme, la plus grande de la cité de Palerme, le supplice fut preparé et exécuté.

Mais en voilà assez pour faire comprendre que, si une famille paie une redevance au domaine pour les frais de ce procès, c' est une singularité peu digne du XIX siècle.

Qu'en pense l'Unità Cattolica?

Elle en pense probablement que le mieux qu'on pourrait faire ce serait d'envoyer le prêtre Cirèno Rinaldi rejondre soeur Geltrude. On est orthodoxe, ou on ne l' est pas.

 

Di qui mi nacque il pensiero di ristampare un curioso Libro in argomento, rispettandone scrupolosamente la dizione, riportando solo infine del medesimo la traduzione di quegli atti, che trovansi in idioma spagnolo per essere così da ciascuno debitamente interpretato. Ascriverò quindi all' iniziativa di quel Rispettabile periodico quel qualunque successo potrà ottenere la presente pubblicazione.

 

Bologna, 17 Maggio 1868.

F. Guidicini.


 

SEÑOR

 

 

([5])Las obras grandes, y tan perfettamente buenas, que son la mas encargadas del Verbo humanado en la Redempcion del Universo, deben, segun el Psalmo 44, dedicarse à los que son, y saben ser Reyes, y Cristianamente Zelosos Soberanos. Ysiendolo tanto V.M. que con propriedad es uno, de los principalmente incluidos en el celestial vaticinio, que Isaias al cap. 49, hizo de la Yglesia, y de su sacrosanta jurisdicion, et erunt Reges Nutritii tui: quando generosamente Catholico V.M. conserva la Real substancia, que los gloriosos predecessores de V.M. destinaron para nutrimiento, y conservacion del S. Tribunal de la Inquisicion de Sicilia, y de todos sus Ministros, siguiendo con la voluntad los exemplos de Valentiniano, Marciano, y otros, que refiere Paulo Diacono cap. 24, en proteger capitales castigos contra los Relapsos, y Hereges, para cumplir, con lo que mandò el Levitico cap. 24, qui blasphemaverit nomen Domini, morte moriatur: y con la liberalidad del Quinto de los Carlos, y sus successores Austriacos, los que (como agora V.M.) destinaron interesses bastantes, paraque Sacrosanto Cuchillo oportunamente cortasse la parte ya cangrenada (como lo ha hecho en el Auto General celebrado en Sicilia) à fin de que no se infectasse todo el cuerpo: seria injusticia el no dedicar à V.M. la relacion estampada, que humildemente presento, de funcion tan Venerable, Catholica, y Sagrada.

Quien pudiera, Señor, explicar la piadosa liberalidad de V.M. exercitada con los Españoles, que logramos la incomparable honrra de estar bajo la Dominacion Augustissima! los que no solo havemos encontrado Monarca, que nos honrre, y conserve en aquella envidiable pureza de Religion, que sirviô siempre determino de comparacion à todas las Naciones; sino tambien generoso Padre, que franquea à sus Hijos consuelos, y abundancias. Bastarà el decir, que se ven reales, y verdaderas aquellas fingidas cadenas de Alcides, que commenzaban en su boca palabras, y terminaban en sus favorecidos dorados eslabones, con las que logramos una esclavitud tan dulce, y afortunada, que desertan, para conseguirla, los dichosos; y libres de los Dominios mas gloriosos.

Soñaron los Griegos, que su amable Demetrio tenia una red prodigiosa, con la que prendia Provincias, y aumentava sus Estados. Que dirian, Señor, sì hubieran alcanzado aquellos, el siglo precioso de V.M. en el que la Arismetica recela, que le falten guarismos para numerar las Provincias, que mas que se conquistan, se admiten, y en el que las Naciones mas apartadas se atropellan, por llegar a la gloria de ser parte en el augmento de los Austriacos Dominios?

Callen, y no fabulen mas los Rodios con su Iove fingido, inventando, que deshacia para sus abundancias en lluvias las Esferas; y vengan à cantar Realidades del Austriaco, Iupiter, el que trahe à sus afortunados Vassallos immensos mares de Riquezas.

La realmente incomparable de la succession masculina se haze, Señor, con esta Eroica, accion indefectible; pues sì à David se añadieron en el Decreto de sus dias mas dias asta que segun Valencia: in præfatione Psalmorum, viesse no solo la generaciones de Absalon, y Adonias, infructuosas para el fin de los Vaticinios sagrados; fino tambien la de Salomon, ya necessaria para continuar la linea del Messias; y solo por que encargò a sù Hijo la fabrica de aquel templo; paraque en el se guardasse con veneracion la ley escrita, que incluia la Arca de Viejo Testamento: con mas razon se puede esperar, que se alarguen los de V.M. astaque ve a las generaciones de muchos Salomones, los que continuen, y conserven la Austriaca Estirpe, (como tantos varones justos lo tienen predicho) quando no solo encarga, sino sustenta V.M. el unico Templo, en que se conserva pura toda la ley de Gracia, y aplica sus Reales Erarios paraque con justos castigos se logren exemplares escarmientos.

O Señor! y quien tubiera no las ciento, que deseava, el Poeta, sino mil lenguas: no las ciento sino mil bocas para explicar la menor parte de mi agradecimiento, que conservarè siempre a V.M. por haverme elevado a la Dignidad de principal conducto, por donde passen la justas operaciones de la jurisdiccion Sacrosanta a la noticia de un Monarca tan excellente, que con mas razon que a Ervigio vuestro antecessor, pudiera San Leon II. llamarlo: Preexcellentissimo: tan Christiano que San Gregorio VII. pudiera con mas motivo, que a los Aragoneses Ramiro, y Sanccio, apellidarlo Christianissimo: y tan Zeloso, y Catholico, que con mas propriedad pudieran los Oraculos de la Yglesia distinguir a V.M. con el titulo singular de Catholico, que a Ordoño, a Sanccio Graso, y a otros muchos Progenitores de V.M. de los Siglos anteriores. Pero ya que el conseguirlo es impossible, permitame V.M. que substituia las expressiones en fervorosos Ruegos al Altissimo; paraque quanto antes conceda a V.M. la succession Masculina, que la Christianidad auhela con ansia, y que acabe este humilde, pero reverente don, exclamando con tanta justicia, como el Concilio Toletano del año 589, exclamò del Christianissimo, Apostolico, y Catholico Recaredo: Cui a Deo æternum meritur, nisi Catholico Carolo Regi? Cui a Deo æterna Corona, nisi vero Ortodoxo Carolo Regi? Cui presens gloria, et æterna, nisi vero amatori Dei Carolo Regi? Ipse novarum Plebium in Ecclesia Catholica Conquisitor. Ipse mereatur veraciter Appostolicum meritum, qui Appostolicum implevit Officium. Ipse sit Deo, et Hominibus amabilis, qui tam mirabiliter Deum glorificavit in terris. En Vienna a 2 de Junio 1724.

 

Señor.

 

A' los C.C. Pies de V, M.

 

El Ebispo de Albarracin

Inquisidor General

 

 


AL ILLUSTRISS., Y REVERENDISS. SEÑOR

D. FR. JUAN NAVARRO,

OBISPO DE ALVARRAZIN,

Del Consejo de S.M.C.C., Inquisidor General de Espana.

* * * * *

Illustriss. Y Reverendiss. Señor.

 

([6])Seriamos ingratos, si en la relacion del Auto General de Fe celebrado, que V.S. Illustrissima dedica de justicia a la Cesarea y Catholica Magestad del Imperador, y Rei nuestro Señor (Dios le guarde) no estamparamos un atestado de la gratitud impresa en nuestros corazones, en perpetuo reconocimiento d lo mucho, que à V.S. Illustrissima debemos.

Luego, que las gloriosas Armas de S.M.C.C. movieron para la conquista de este su Reyno, confiando V.S. Illustrissima en la Justicia dela causa, dio por segura la empresa, y con anticipada providencia destinò los Ministros necesarios para Govierno de este Santo Tribunal, y nos hizo la honrra de elegirnos Inquisidores, embiandonos por escrito sus Santas, y Sabias instruciones, para que pudieramos con menos dificultad comenzar el exercicio, y desempenar las obligaciones de tan Santo Ministerio.

A pocos dias de nuestro primero ingreso dimos à V.S. Illustrissima individual noticia de todo el estado de este Tribunal, y con major diligencia de lo perteneciente à causas de Fè, singularmente de dos gravisimas, y a de mucho tiempo pronunciadas en definitiva, confirmadas por el Señor Inquisidor General, y supremo Consexo dela Santa General Inquisicion de Espana, e insinuamos à V.S. Illustrissima algunos motivos, que podian haver deferido su execucion. De lo que informando V.S. Illustrissima movido de grande zelo, y caridad nos ordenò, que con los Reos de dichas dos Causas pasaramos todas las piadosas, y mas eficaces diligencias a fin de vencer su obstinacion, ofreciendo V.S. Illustrissima usar con ellos de quanta indulgencia pudiesse, en caso de conocerse contritos.

No quedò diligencia, que à este fin no practicaramos en mas de dos annos continuos; pero viendose, que no se lograva fruto, ni se concebia esperanza alguna de vencer su pertinacia, nos mandò V.S. Illustrissima con precisos, y repetidos ordenes, que con toda solicitud procurassemos disponer las cosas para celebrar un Auto General de Fe, en que se diera fin a las dos referidas causas, y execucion à otras, que se fueren determinando, alentandonos con el vivo exemplo de su ardentissimo zelo à superar las difficultades, que podian atrasar tan sagrada, e importante funcion.

En satisfaccion de los justos deseos de V.S. Ill. y cumplimiento de nuestra obligacion, se concluiò con extraordenaria applicacion un buen numero da causas, para que fuera cumplido el Auto; y con tiempo dio V.S. Illustrissima noticia a S.M.C.C. de la necesidad de celebrarse, pidiendo para ello su Real permiso, y suplicando, que S.M.S.S. a imitacion, de sus gloriosos Catholicos Predecessores protegiesse tan santa obra.

Manifestò S.M.C.C. su nunca bien ponderada piedad, y Catholico zelo, no solo dando su aprovacion, y ordenando al Excellentissimo Senor Conde de Palma, Marques de Almenara su Virrey, que en toda su autoridad protegiera al Tribunal; sino tambien mandando, que de su Real Patrimonio se aplicasse y pagase toda la cantidad, que fuera necessaria, para que el Auto se hiziera con el mayor decoro, y magnificencia, come felizmente se executò con no menor aplauso, que edificacion.

Los referidos motivos nos precisan à confesar à V.S. Illustrissima nuestras grandes obligaciones à su grande zelo, y à dar à V.S. Illustrissima con el mayor gozo la enorabuena por haverse terminado, en el vigilante, y felicissimo govierno de V.S. Illustrissima una obra tan relevante con el mayor esplendor, que podian desear nuestras esperanzas, avaloradas de la grande proteccion de V.S. Illustrissima. Y asi debemos dar à V.S. Illustrissima por todo infinitas gracias, y muy especialmente; porque mediante el favor de V.S. Illustrissima, se ha dignado S.M.C.C. dispensarnos en varias ocasiones replicados honores, efectos de la Augustissima Clemencia de S.M.C.C.

Suplicamos rendidamente à V.S. Illustrissima que en atestado de nuestro devoto, y humilde reconocimiento, nos ponga alos Reales Cesareos Pies, que besamos con el mas profundo respeto, y logremos la mayor dicha de conservarnos en la cara grazia de S.M.C.C.; para que cobrando nuevo aliento nuestros buenos deseos, podamos con acierto proseguir nuestros santo Ministerio en servicio de entrambas Magestades. La Divina guarde à V.S. Illustrissima, como lo rogamos muchos, y felices annos. Palermo à 4 de Julio de 1724.

Illustrissimo Senor.

B.l.m. di V.S. Illustrissima sus mas.

Favorecidos Capellanes, y fieles siervos.

 

D. Juan Ferrer,   D. Joseph de Luzan, y Guasso,   D. Blas Antonio de Oloriz.


 

AL LETTORE

 

 

 

Un de' maggiori, e più pregevoli benefizj comunicati dalla divina Provvidenza al Regno di Sicilia, fuor d'ogni dubbio dee stimarsi il Sacro Tribunale della Santa Inquisizione, da cui è stato sempre conservato nella purità della Cattolica Religione, dachè fu in essa fondato; poichè egli invigilando alla sua custodia, non ha mai permesso, che sorgesse a contaminarlo pestifero fiato d'empia dottrina, opposta al candore della Santa Fede.

Ricevette la Sicilia i primi semi della Cattolica Religione dai Santi Apostoli Pietro, e Paolo([7]) che l'illustrarono colla presenza e celeste sapienza: e la provvidero di Santi Vescovi, applicati ad inaffiarla co' sudori, e coltivarla colle fatiche Apostoliche: irrigata poi dal copioso sangue d'innumerevoli Martiri, che ne conservarono, e ne difesero inviolabili le sue glorie contro la barbarie degl'Idolatri Regnanti. Se l'Eresia tentò ammorbar tal volta il terreno Siciliano co' suoi abbominevoli errori, il zelo de' Sacri Pastori ne proibì colla vigilanza il danno: anzi impedì, che vi nascesse: onde riportò la lode singolare di non esser da lei uscito mai Eresiarca, Maestro di esecranda dottrina. Che se altri con temerarj sforzi pretese infettarla, col piantarvi avvelenate piante, valevoli a contaminare la sua santa credenza, d'un subito o ne fu proibito l'ingresso, o furono nello spuntare recise, e sbarbicate le infami sentenze.

Successore in questo zelo di conservare illibata la Santa Fede in Sicilia ne' Secoli appresso fu il Tribunale della Santa Inquisizione, che ha sempre riportato il pregio d'invigilare con indefessa cura alla sua tutela; poichè s'ha studiato sempre di svellere nel suo nascimento la zizzania, che col crescere sarebbe stata valevole ad infettar la messe de' fedelissimi Siciliani. Quindi a ragione questo inclito Tribunale da che fu fondato in Sicilia nel 1224.([8]) dall'Imperador Federico II. e stabilito nella sua Regia Palermo, come in luogo di sicurezza, considerato qual propugnacolo inespugnabile della Santa Fede, è stato sempre proveduto di soggetti accreditati per dottrina, e merito di singolarissimo zelo, che presedessero al suo governo col carattere d'Inquisitori contro l'Eretica pravità. Fu in oltre arricchito di privilegi, protetto dalla Regia autorità, e favorito con rari sentimenti di stima: onde ad imitazione de' Regnanti è stato sempre da' Popoli riverito, da' Nobili venerato, e da tutti con segni di sommo rispetto acclamato; in riguardo agl'innumerevoli beni da esso diramati a benefizio universale d'ognuno.

Riconosce l'ingrandimento della sua dignità, gloria, e maestà questo Santo Tribunale, dall'insigne zelo, e poderosa protezione de' Re Cattolici, che bramosi di conservare nella sua purità la Cristiana Religione, lontana da ogn'ombra di errore, che l'offuscasse, e da ogni sospetto d'Eresia, che ne oscurasse lo splendore, impegnarono il loro fervore per istabilirlo ne' Regni ove stendevan l'ampio dominio: e oltre averlo cumulato di privilegi, e preminenze, lo sostennero col nerboruto braccio della loro potenza, e colla profusione d'immensi tesori. Ben essi saggiamente conobbero, che presidiati i loro Regni da questo Santo Tribunale, mentre tenendo lontane non men l'Eresie opposte alla Cristiana Religione, che ogni sospetto, che ne adombri lo splendore, coll'unità della Religione, che sostiene le Monarchie, potean conservare i lor dominj, e ne' dominj la quiete, con questo mezzo godettero purgate da ogni errore le lor provincie; onde ne meritarono il titolo di Cattolici secondo Florimondo Remondo([9]): ma con più verità fu lor confermato da' Sommi Pontefici, mentre il guadagnaron prima, da tempi più antichi, come meglio attesta Cesare Carena col Cardinal Baronio([10]).

Ma de' Re Cattolici s'infiammaron vie più nel proteggerlo, ed ingrandirlo, in particolare gli Austriaci Monarchi([11]), che stimando la causa della Santa Inquisizione causa egualmente di Dio, e propria, si mostraron santamente parziali nel conservarlo con pari zelo, e vigore: e ognun di essi lasciò in eredità al Successore insieme colla corona, l'obbligo della difesa, e protezione del Santo Tribunale: stimando correr del pari gl'interessi de' Regni, e del Santo Uffizio. Jure quodam hæreditario, scrisse degli Austriaci Regnanti il P. Sebastiano Salelles([12]), hoc de protegendis sic, et fulciendis Tribunalibus Fidei translatum esse de patribus ad filios: imo ipsis tempore mortis, aut prius ab illis maximoperè commendattum.

L'Imperador Carlo V. non men glorioso per li suoi acquisti, che per la sua pietà, portò così altamente impressa nell'animo la stima dovuta ad un Tribunale sì benemerito della Santa Fede, che con tutti gli sforzi della sua attenzione si studiò introdurlo in tutti i Dominj della sua vasta Monarchia Spagnuola. Favorì con distinto fervore questo Tribunale di Sicilia; poichè confermò gli ampissimi privilegi a lui conceduti da' suoi Predecessori Regnanti, nel 1525; anzi ad esempio di Ferdinando V. suo Avolo, a maggiormente favorire gl'interessi della Cattolica Fede, stese con piena beneficenza gli atti della sua augustissima protezione a questo Tribunale; e per renderlo più venerabile, e promuoverne i profittevoli suoi progressi, ingrandì i suoi privilegi, ed esenzioni con sue lettere spedite in Toledo a 21 Ottobre del 1525.([13]) con altre del 1534, riconfermò gl'istessi privilegi, e comandò, che nell'approdare in Sicilia i nuovi Inquisitori; d'un subito fosse lor permesso mettersi in esercizio del loro ministero, senza frapporvi impedimento veruno. Con altre del medesimo anno aprì a tutti la sua mente esser, che gli Uffiziali tutti, e Famigliari del S. Uffizio, come esenti, godessero le impunità proprie dello stato Chiericale. Nel 1535 quando venne in Palermo per far partecipe questa Regia del godimento de' suoi trionfi, fra le universali acclamazioni non perdé di mira gli onori di questo Tribunale; poichè approvò diversi suoi privilegi: il che si replicò con altre sue lettere date in Madrid a 27 Febbraio del 1543 colla concessione di nuovi onori, e dilatazione della sua giurisdizione. Egli volle assistere ad un Atto pubblico di Fede celebrato dal Santo Tribunale in Vagliadolid([14]). Egli in attestazione del suo tenero amore, lasciò, come più pregevole parte di eredità, al Re Filippo suo Figlio la cura del Tribunale. Inter alia, protestò nel suo Testamento hoc præcipuè, et obnixè illi commendo, ut S. Inquisitionis Officium contra hæreticam pravitatem, divinitus institutum, illiusque Ministros, et Officiales, omnibus favoribus, atque honoribus prosequatur, eò quod hoc uno rimedio gravissimis in Deum offensionibus obviam itur([15]).

Filippo II seguendone fedelmente le vestigie per sue lettere scritte da Madrid a 16 Giugno del 1546, confessando il singolar benefizio, che nascea a' Regni soggetti alla sua corona dal Santo Tribunale, volle che si osservasse quanto saggiamente dispose l'Augustissimo Padre nel 1543 in vantaggio di esso. Né di ciò pienamente soddisfatto, conoscendo quanto fosse giovevole all'integrità della Cattolica Religione il Santo Uffizio, con urgentissime formole scrisse a tutti i Ministri, Titolati, e Baroni del Regno di Sicilia: ut honore, atque omnibus modis S. Officii Inquisitoribus, Ministris, ac rebus auxilientur, ad id eos districtius urgens, atque propellens: Onde accese mirabilmente gli animi de' Siciliani nel fervore di proteggerlo col più vivo ardore, e favorirlo in quanto concernesse il suo esercizio, e ingrandimento: e i più principali Signori, e i più illustri per nobiltà di sangue, ebbero a gloria singolare l'arrolarsi al di lui ossequio, col titolo di Familiari del S. Tribunale([16]). Nel 1580 in molte controversie insorte intorno alla giurisdizione del S. Uffizio, dopo mature consulte, e discussioni, venne alla determinazione di molti punti favorevoli al Tribunale; volendo in ogni conto, che da' suoi Vicerè, e Ministri si avesse in distinta venerazione: nè s'impedissero gli atti della sua giurisdizione contro a' Delinquenti in materia di Fede. Il fervore del suo santo zelo gli suggerì di non solo sostenere colla sua reale autorità gl'Inquisitori Apostolici ne' suoi Regni: ma anche d'introdurli nelle Navi Regie, e nelle Armate Navali([17]). Ne lasciò il tentare di promuoverlo nello Stato di Milano per munire ogni parte ove stendeasi il suo scettro, contro la perfidia ereticale([18]). E in fine con altri sentimenti di stima ne raccomandò la protezione al Re Filippo III suo figlio, e successore.

Si manifestò esecutor fedele de' consigli paterni il Re Filippo II onde in una lettera dirizzata al Cardinal Colonna, Vicerè del Regno d'Aragona, si fece panegirista della S. Inquisizione; lodandone con sincerissimi sentimenti il gran profitto, che da essa deriva in benefizio della Cattolica Fede, e in terrore dell'Eresia. E sì per essergli stata raccomandata dal Re suo Padre, sì anche per proprio istinto, e zelo, raccomandò la conservazione della sua autorità, e de' suoi privilegi, ed esenzioni con espressioni sì premurose, che sarebbe ben meritevole di qui registrarsi, se la brevità prefissa nol vietasse([19]). Egli ebbe in sì alta stima il Sacro Tribunale di Sicilia, che a conservarlo con particolar decoro, e splendore, gli assegnò nel 1600 per sua stabile residenza quel Palazzo, ove oggi si conserva, stanza già di alcuni Re, e poi de' Vicerè di Sicilia([20]). Né ciò reca maraviglia, se i Cattolici Monarchi vollero, che gl'Inquisitori, e Ministri del Supremo Tribunale si congregassero ogni giorno a maneggiar le materie più premurose della Santa Fede nel proprio real Palazzo; affine di conservarsi sotto l'ombra favorevole della regia protezione([21]).

Filippo IV Re delle Spagne non manifestò men ardenti le fiamme del suo zelo nel conservare in credito, ed alto decoro la S. Inquisizione. Col suo braccio reale avvalorò le forze del S. Tribunale: e con pari sollecitudine, e pietà si vide assistere agli Atti pubblici della S. Fede celebrati dal supremo Tribunale della S. Inquisizione([22]).

Non fu minore la pietà manifestata dalla Regina consorte Maria Anna d'Austria, in particolare nella minore età del Re Carlo II, onde a mostrare l'alto grado di stima, in che ebbe il S. Tribunale basta il registrare la sua lettera reale, degna in vero di eterna memoria scritta al Principe di Legnè Vicerè di Sicilia da Madrid a 10 Settembre del 1670 mentre era in grado di Governatrice della Monarchia Spagnuola.

 

LA REYNA GOVERNADORA

 

([23])I li Principe de Lignè, Primo, Virrey, y Capitan General en el Reyno de Sicilia. Ya sabeis lo mucho que Dios Nuestro Senores servido, y nuestra Santa Fè, Catholica enfalçada, por el Santo Officio dela Inquisicion, y de quanto beneficio hà sido a la universal Iglesia, à estos Reynos y Senorios, y naturales de ellos, despues que los Senores Reyes Catholicos de gloriosa memoria, le pusieron y plantaron en ellos. Con que se han limpiado de Infinidad de hereges que à ellos, han venido, con el castigo que ses les hà dado en tantos, y tan grandes, y insignes Autos de Inquisicion, como se han celebrado, que les hà causado gran temor, y confusion, y alos Cattolicos singular gozo, quietud, y consuelo: y por careçer desta, gracia otros Reynos, han padecido y padecen grandes disturbios, inquietudes, y desasosiegos, y damos muchas gracias à nuestro Senor, que asi lo ha encaminado, haciendo tan gran bien à estos Reynos; y así por todo esto como por haberlo encomendado affectuosamente el Rey mi Senor, que està en el Cielo, como por lo que le estimo, devozion, y affecto que le tengo, y la obligacion que a todos los fieles corre de mirar por el, y que sea amparado, defendido y honrrado; mayormente en estos tiempos en que tanta necesidad ay, y por ser una delas mas principales cosas, que se os pueden encomendar del estado Real: os encargo mucho que a sì a los Venerables Inquisidores, como a los Officiales Familiares, y demas Ministros dela Inquisicion de ese Reyno, les honreis, y favorezcays, dandoles de nuestra parte todo el favor, y ayuda, que se os pidiere, y fuere necessario, guardandoles, y haciendoles guardar todos los privilegios, exempciones, y libertades, que les estan concedidos, asì por derecho, cedulas Reales, y concordias, como de uso, y costumbre, y en otra qualquier manera; de suerte que el dicho Santo Officio, se use, y exerça, con la libertad, y autoridad que siempre hà tenido, y Yo deseo, tenga, y no hagais ni permitais, que se haga otra cosa en manera alguna, que demas de que cumplireis con lo que sois obligado como Catholico Christiano, y que à vuestro exemplo, haran otros lo mismo, me tendrè de vos pormuy servida, y alo contrario no tengo de dar lugar. Nuestro Senor os guarde como deseo.

En Madrid à diez de Sept. de Mil Seiscentos y setenta anos.

 

YO LA REYNA

Estan siete rubricas del Consejo.

Por Mandando de su Magestad

Joseph de Ribera

Al Principe de Lignè Virrey de Sicilia encargandole la buena corespondenzia con los Ministros de a quella Inquisicion.

 

Così pure Carlo II colla sua somma pietà si studiò conservare in credito il Tribunale, ed ebbe in alta stima i suoi pubblici Atti di Fede: e sin dal principio del suo Regno diede replicati argomenti della sua propensione, che avea nel patrocinare, autorizzare, e difendere gli esercizj del S. Tribunale. Quindi si legge, che nell'Atto pubblico di Fede celebrato in Madrid a 30 Giugno del 1680 egli non solo onorò colla sua Real presenza la pompa di quell'Atto; ma anche ad imitazione del S. Re Ferdinando III che somministrò colle proprie mani legna al fuoco; preparato ad abbruciar vivi gl'infetti d'eresia([24]); presentatogli un fascetto di legna, presolo nelle sue mani, ordinò, che a suo nome fusse il primo di tutti gettato nel fuoco per incenerire gli Eretici([25]).

Finalmente a coronare la serie di questi Monarchi, fervidi promotori, e insieme difensori del S. Tribunale, si mostra non men glorioso per gli acquisti contro i nemici della S. Fede, che ardente nel conservare la purità della Cattolica Religione l'invitto regnante Carlo VI Imperadore, e III Re di Sicilia. Egli continuando nell'amore, e fervente zelo verso la Santa Inquisizione, non inferiore a suoi gloriosi Predecessori dell'Austriaca famiglia, si compiacque nel 1720 spedire un suo Cesareo, e Real dispaccio, dirizzato al Duca di Monteleone Vicerè di Sicilia, con cui apertamente dichiarò, la sua intenzione essere che il Tribunale del S. Uffizio si conservasse con tutti intieri i suoi privilegi, prerogative, ed esenzioni, goduti nel governo della felice memoria del Re Carlo II suo Zio.

La sincerità ci obbliga a schiettamente confessare, che vegliando il S. Tribunale con cent'occhi alla custodia della S. Fede, si guadagnò il merito d'esser protetto, e largamente, favorito in ogni tempo da' Re Cattolici, ed Austriaci Monarchi. Troppo in lungo anderebbe il discorso, se io volessi dilatarmi col mostrare a tratti d'evidenza l'eccellenze, che assistono a questo Areopago della S. Fede; e far conoscere la necessità, el profitto, che da esso deriva: perchè quanto formidabile a' protervi di perduta coscienza, altrettanto venerabile a' buoni, da' quali è considerato, come sicuro Propugnacolo della Cattolica Pietà, e Religione.

Ma di solo uno non posso dispensarmene a non additarlo; ed è, che se egli merita tutta la lode per l'apostolico zelo, che professa, rendesi altresì ammirabile per lo savio, e ben regolato costume di accoppiare una singolar Misericordia, al rigore d'una incorrotta Giustizia; esercitandone gli atti secondo le misure della necessità. Co' Rei caduti in esecrabili errori esercita gli atti di soprafina carità per ridurli alla vera credenza, e al pentimento; compartendo, secondo l'emenda, misericordiosamente il perdono: con quei, che indurati nella loro ostinazione rifiutan protervi la benignità, applica il rigore della giustizia. Queste dinotan l'Ulivo, e la Spada, inalberati nella sua propria insegna; poichè è tutto suo proprio, e plausibil costume, l'esercitar misericordia, simboleggiata nell'Ulivo([26]); el gastigo nel taglio della Spada([27]): imitando i decreti della Divina Sapienza, che volle uniti nell'Arca, Manna, e Verga([28]), per invitare i caduti al ravvedimento: e atterrire le ostinazioni della Perfidia.

Quante volte ha portato l'occasione di celebrarsi Atto pubblico di Fede, s'han veduti come in iscena fare ammirabil comparsa, e in esercizio riguardevole, questi due atti; mostrandosi il Santo Tribunale benigno co' pentiti, restituendoli al grembo della Santa Cattolica Chiesa, da cui sedotti da errori, ed inganni avean traviato. Ma fulmina il castigo contro gli empj, che abusando della pietà, e maniere tutte dolci, e piacevoli, applicate per convertirli, vogliono, lor danno, anticipata la pena del fuoco, che meritano per sempre, ed eterna.

In questo aspetto si mostrò in pubblico lo Spettacolo ultimamente celebrato nella Città di Palermo a 6 Aprile dell'anno corrente, in cui si ammirò un abozzo del finale Giudizio. Se in esso facendo gloriosa pompa la Santa Croce, Cristo Redentore, e Giudice si manifesterà benigno, ed amorevole a quei, che pentiti piansero, e detestaron le colpe: ma spaventevole a coloro, che ostinati nel male spregiarono la divina beneficenza, riporteranno l'eterno gastigo del fuoco; così in questo, trionfando la Santa Croce, conseguirono i pentiti Rei benigno perdono da' Giudici della Santa Fede; e sperimentarono la severità del gastigo gl'induriti nell'ostinazione; condannati alle fiamme. Questo Atto pubblico di Fede celebrato con somma magnificenza m'accingo a scrivere in quest'opera, con tutte quelle circostanze, che concorsero a renderlo memorabile, per gloria della Santa Fede, consolazione de' buoni, confusione de' miscredenti, e decoro immortale del Santo Tribunale.

Quanto in questa Relazione si scrive tutto s'ha disteso come ne furon testimoni gli occhi proprj, o si ha tratto da altri, che videro pure, e notaron fedelmente le particolarità, che vi concorsero, e la lor cortesia m'ha benignamente somministrato le notizie necessarie: e soprattutto da quanto lo stesso S. Tribunale, che diede moto alla mia debole penna, m'ha communicato.

Stimerà forse il Lettore soverchie molte minute circostanze, che si notano: ma s'ha avuto l'occhio a doversi conservare la memoria di tutte le cerimonie, e aderenze distinte, che si osservarono nella ben intesa, e prudente condotta dell'Atto, per restar come regola ad altri simili Atti, che in appresso dovessero celebrarsi: e per tanto si è considerato necessario il notar tutto, e mostrarci anzi prolissi, che succinti, e manchevoli.


 

CAPITOLO PRIMO.

Determinazione della Celebrazione dell'Atto Pubblico di Fede, e disposizioni precedenti.

 

 

Il Sacro Tribunale della Santa Inquisizione del Regno di Sicilia ha in lodevol costume di mostrare di tempo in tempo, secondo le occasioni, lo opere profittevoli del suo Santo Istituto, col celebrare alcun Atto pubblico di Fede, in cui risplendano colle vampe di ardentissimo zelo, che conserva in difesa della Cattolica Religione, non men la sua incorrotta Giustizia, che la Misericordia: e dividendo la zizzania dal frumento, condannar gli ostinati al fuoco, e conservar gli ravveduti, e pentiti nel seno della Santa Chiesa purificati.

L'Atto pubblico di Fede celebrato in quest'anno in Palermo merita, che resti alla memoria de' posteri, sì per la magnificenza con cui splendidamente celebrato, sì anche per lo zelo in dare dovuto gastigo a' Pertinaci, ad esempio degli altri, per la pietà esercitata co' Pentiti Delinquenti.

Governano questo Santo Tribunale con acclamato zelo, e vigilanza al presente tre Inquisitori, forniti non men di dottrina, che di prudenza: un di essi è Monsignor D. D. Giovanni Ferrer, che fu sublimato dal merito a molti gradi onorevoli; poichè fu prima Collegiale maggiore del Collegio di S. Idelfonso Università d'Alcalà: Indi Cattedratico di prima classe di Sacra Teologia dell'Università di Saragosa d'Aragona: Canonico ed Esaminator Sinodale, e Vicario Generale in tempo di Sedia così vacante, come piena dell'Arcivescovato della stessa Saragosa. Passò finalmente in Sicilia promosso al grado d'Inquisitore di questo Tribunale, eletto dal Regnante Monarca Carlo VI. Imperadore, e III. Re di Sicilia. Gode pure il grado di Giudice Conservatore in questo Regno de' privilegi, e interessi della Sacra Religione Gerosolimitana.

Il Secondo è Monsignor D. D. Giuseppe de Luzan, e Guasso, che dopo essere stato Collegiale, e Rettore nel Collegio Maggiore di S. Giacomo di Guasca, e Cattedratico della Cattedra del Sesto e Vice-Rettore dell'Università di essa Città; passò ad esser Canonico dell'insigne Collegiata di Monsòn, e Vicario Generale della Chiesa, e Diocesi di Lerida nel Regno d'Aragona. Designato Inquisitor Fiscale dell'Inquisizione di Sardegna, ad elezione dello stesso Augustissimo Monarca, passò in Sicilia col carattere d'Inquisitore del Santo Tribunale.

Il Terzo è l'Inquisitor Fiscale Monsignor D. D. Biagio Antonio de Oloriz, il cui merito fu riconosciuto col grado di Collegiale, e Rettore del Collegio Reale di S.Vincenzio dell'Università di Guasca. Fu altresì Cattedratico in essa della Cattedra del Digesto Vecchio, Codice, e Sesto: Reggente vespertino delle leggi. Indi Canonico Dottorale, Vicario Generale, Giudice, ed Esaminator Sinodale della Cattedrale nella Città di Valvastro nel Regno d'Aragona, e Consigliere d'onore di Sua Cattolica Cesarea Maestà del Conseglio della Santa Cruciata. Dal sopralodato Monarca fu in ultimo scelto al reggimento di questo Santo Tribunale.

Nel governo di questi Inquisitori essendosi terminati i processi di alcuni de' Rei, che si trovavano entro le carceri secrete del S. Tribunale, Eglino dopo serie, e replicate consulte, spinti da ardente zelo, maturarono la risoluzione di promuovere questo pubblico Atto di Fede. Fu avvalorata la loro risoluzione dall'approvazione ed ordine del singolarissimo zelo dell'Ill. e Rev. Mons: Fr. D. Gio: Navarro Vescovo di Alvarrazin Inquisitore Generale di Spagna, residente nella Corte di Vienna con suo dispaccio spedito a 29 di Ottobre del 1720. Ma prima per incamminarne con passi d'alta prudenza la savia condotta, se ne diede l'avviso all'Augustissimo Monarca per sentir gli oracoli della sua gran mente, e riportarne la sua ben degna approvazione. Egli come che invitto difensore della Cattolica Religione, avendo ereditato da' suoi gloriosi Progenitori non meno il zelo della S. Fede, che la pietà, non solo approvò la celebrazione d'un tal Atto pubblico, ma anche con isplendida liberalità volle, che il suo Regio Erario concorresse alle spese necessarie nel celebrarlo: onde scrisse all'Eccellentissimo F. D. Giachino Fernandez Portocarrero Conte di Palma e Marchese di Montechiaro ed Almenara, Vicerè di Sicilia, affine si celebrasse con tutta puntualità, e splendidezza; anzi volle che applicasse la sua autorevole protezione in favorire il S. Tribunale, e suoi Ministri. Ecco il Real dispaccio.

EL REY

 

([29])ILL. Marq. De Almenara etc. Havendome represetado el Inquisidor General la necesidad que ay de celebrar un Auto General de Fee en esse Reyno, para la mayor exaltacion de la gloria de Dios, he venido en ordinaros con la presente, que de la misma suerte, que lo han executado otros Virreyes vuostros antecessores, asistais a dicha funzion, protegiendo la jurisdicion del Tribunal, y a sus Ministros, para que e la forma acostumbrada celebren dicho Auto General, sin que nadie perturbe la menor de las ceremonias que en otros Autos ha praticado esta Inquisicion, y destineis el sugeto, que ha de llevar el estandarte del Tribunal, supliendo los gasto regulares de los frutos de las yglesias vacantes: pues mi Real animo es conservarle, y hazer lo mismo, que mis gloriosos Predecessores; y de averlo asì executado me dareis quenta en que me servireis. De Praga a 7 de Julio 1723.

 

YO EL REY

I. Ramon de Vilana Perles.

 

Ottenuta l'approvazione dell'augustissimo zelo dell'invitto Monarca, si disposero dalla vigilante cura de' Signori Inquisitori i necessari apparecchi per celebrarlo; e maturati con singolar prudenza i mezzi, finalmente si venne alla risoluzione di metterli in opera a 6 Aprile di quest'anno 1724. Quindi ne fu pubblicata la notizia col Bando precedente a 6 Marzo dal Banditore della Città di Palermo D. Francesco Perino. Egli ornato di toga di velluto cremesino, sopra cavallo vestito di gualdrappa trapuntata ad oro, coll'accompagnamento de' Contestabili del Senato, ornati di sopravesti di damasco cremisino, trombe, piffare, tamburri, e atabali, ammantati di rosso, nella forma come costuman proclamarsi le solennità maggiori della Città, fece la prima pubblicazione avanti il palazzo de' Signori Inquisitori, che tutti e tre nell'atto di leggersi furono assistenti nel soprastante balcone. Indi si proseguì successivamente la pubblicazione ne' luoghi più principali della Città. Il bando fu come siegue.

 

BANDO

 

Di ordine, e Comandamento del Tribunale del S. Officio di questo Regno. Si fà intendere à tutti fedeli Cristiani di questa Felice, e Fedelissima Città di Palermo, che Giovedì, che saranno li 6 di Aprile di quest'anno, si celebrerà Spettacolo Generale di Fede, nel piano della Metropolitana Chiesa: ove tutti coloro, che si troveranno presenti, guadagneranno le Indulgenze concesse à loro da' Sommi Pontefici. E si comanda sotto pena di Scommunica Maggiore, ipso facto incurrenda à tutti i Parochi, Rettori, e Superiori, che nelle loro Chiese Parochiali, Conventi, Monasterj, ò in qualsivoglia altra Chiesa, non si possa quella mattina predicare, nè celebrare Messa cantata, fin tanto, che quelle del S. Officio non siano finite. E così comanda, che si publichi, acciocchè da tutti se n'abbia piena, e certa notizia. Dato in Palermo oggi li 6 di Marzo del 1724.

 

D. Tomaso Antonio de Laredo, e Sertucha Secretario.

 

Fu pure stampato in un foglio, e affisso nelle piazze, e luoghi più notabili della Città.

Indi si tramandò la notizia dell'Atto a' 10 Marzo a tutti i Commissarj del S. Uffizio sparsi per le Città, e Terre del Regno, affine di comunicar la notizia a tutti coloro, che fossero del foro del S. Uffizio in questa forma.

 

 

 

INQUISITORI, etc.

 

Reverendo Commissario di questo S. Officio in Salutem, etc.

 

Da questo S. Tribunale stà risoluto farsi la celebrazione di Spettacolo generale di Fede publico nel Piano della Chiesa Metropolitana di questa Felice, e Fedelissima Città di Palermo (come fù quello, che si fece l'anno 1658) il giorno 6 di Aprile. Onde vi si fa notorio, per dar una tal notizia à tutti cotesti nostri Foristi così Ecclesiastici, come Secolari, acciocchè quelli, che vorranno venire in questa, lo possano fare; per assistere alla Processione generale, che si farà: avvertendo però, che venghino con le loro Croci del S. Officio, e' migliori vestiti, che potranno portare, per comparire decorati, e con lustro in maggior gloria di Dio, e servigio di questo S. Officio. Dat. in Palermo li 10 di Marzo 1724.

 

Dottor Ferrer, Dottor Luzan, Dottor Oloriz

Laredo Secretario

 

E in appresso a' 20 dello stesso mese si pubblicò con di più distinto ordine l'Atto Generale a tutti quei, che fossero del foro, così in Palermo, come in tutto il Regno, acciocchè si preparassero, e fossero assistenti alla solennità ne' giorni stabiliti: e ne fu promulgato l'ordine nella seguente forma.

 

Si notifica à tutti i Foristi del S. Officio di qualunque sia grado, così Ecclesiastici, come Secolari di questa Fedelissima Città di Palermo, Patentati da' presenti Monsignori Inquisitori, come pure à quei Foristi del medesimo S. Officio, che verranno in questa Capitale dalle Città, e Terre del Regno per assistere all'Atto Generale di Fede, che si celebrerà il giorno 6 d'Aprile p.v. qualmente dì 5 il d'Aprile suddetto debbansi tutti, e ciascun di loro radunare nel Piano del S. Officio ad ore 20 in circa, portandosi ogni uno la sua Torcia per accompagnare la Santa Croce Verde, che si condurrà processionalmente dal Palazzo del S. Officio insino al Piano della Metropolitana Chiesa, incorporandosi ciascun Forista senza menoma discordia, con quegli che saranno d'uguale grado Patentati. E di più il giorno susseguente, 6 di detto Mese, la mattina ad ore 12 in circa, si debbano pur ritrovare tutti i sudetti Foristi (eccetto li quaranta Portieri di Palermo) in detto Piano del S. Officio, li Ecclesiastici, con Mule, e sue gualdrappe di panno, ò saja nere, e li Secolari, con Cavalli, e suoi gualdrappini di colore, per cavalcare nella Cavalcata, che si farà per la celebrazione di detto Atto Generale lo stesso giorno. Avvertendo, che tutti i detti Foristi intervengano l'uno, e l'altro giorno con le loro Croci del S. Officio in petto; e migliori abiti, che averanno, rispettivi alla loro qualità, stato, e graduazione.

Dat. dal Tribunale del S.Officio alli 20 Marzo 1724.

 

D. Tomaso Antonio del Laredo, e Sertucha Secretario

 

Nello stesso tempo fu avvisata la Compagnia della Vergine Assunta. Fu essa fondata sin dall'anno 1565, per opera del P. Tommaso Fazello Domenicano([30]) celebre Istorico delle cose di Sicilia, ed abbracciò sin dal suo principio per suo distinto esercizio l'intervenire agli Atti pubblici di Fede, che si celebrino dal S. Tribunale, con accompagnare i Rei pertinaci sino al luogo del supplicio, e procurarne la conversione coll'opera de' suoi Teologi. Ottenne poi dal Tribunale particolar privilegio col quale a lei sola, coll'esclusione d'ogni altra Compagnia, si concede l'accompagnar la Croce Verde del Tribunale al luogo ove dovesse celebrarsi l'Atto pubblico della Fede: d'assegnar fratelli Teologi per cooperare con egual pietà, e fervore alla conversione degli Ostinati sin nelle carceri secrete del S. Uffizio, ne' tre giorni precedenti all'esecuzione della giustizia; e assistere a Rei rilasciati al braccio secolare sino al luogo ove dovessero consegnarsi al fuoco: come per concessione del Tribunale a 21 Marzo 1575.([31]) confirmata a' 20 Marzo 1604.([32]) trascritte negli atti di Notar Pietro Candili di Palermo a 28 Maggio 1717. e in vigore d'una tal concessione ha sempre assistito con singolar pietà, e zelo agli Atti pubblici del Tribunale, non senza grosso stipendio. Quindi di ciò ben consapevoli i Signori Inquisitori fecero scrivere biglietto a' Superiori, e Congionti di detta Compagnia, per doversi preparare, nella seguente maniera.

 

ALLI SIG: OSS: LI SIG: SUPERIORI

e Congionti della Venerab. Compagnia dell'Assunta.

 

SIGNORI OSSERVANDISSIMI

 

Essendosi publicato Bando ne' giorni scorsi d'ordine di questo S. Tribunale, notiziando tener disposta la celebrazione d'un Atto generale di Fede nel Piano della Metropolitana Chiesa di questa Città, per li 6 di Aprile p.v. riflettendo al privilegio che tiene cotesta Venerabile Compagnia di assistere al S. Tribunale, con la sua esemplare carità in simili solenni funzioni; mi comanda, che in suo nome, come osservo, portassi alle VV. SS. l'avviso acciocchè s'approntasse in compita forma al fine suddetto in quei giorni, secondo che saranno avvisati: ed in specialità nei giorni cinque, e sei di detto mese; cioè il giorno cinque tutta la Compagnia si dovrà trovare pronta ad avviso del Tribunale ad ore venti, portando tutti li Fratelli le loro Torcie per associare la S. Croce Verde, che uscirà velata dal Tribunale del S. Officio processionalmente, per collocarla nell'Altare preparatole nel piano di detta Chiesa Metropolitana, distaccando dal corpo della Compagnia quattro Fratelli secondo il praticato con loro Torcioni, per associare la Santa Croce Verde, dove vien portata, ed arrivata che sarà la Compagnia, nel piano di detta Metropolitana Chiesa, si metterà in ala nella parte sinistra dell'Epistola, insinochè arriverà la Santa Croce, col restante della processione. E similmente detta Compagnia il dimattina sei dello stesso mese, ad ore duodeci incirca, si dovrà trovare pronta ad avviso del Tribunale per uscir la prima in processione senza torcie, ma colli soli quattro torcioni ed il suo Santissimo Crocifisso velato: acciò dia principio alla processione: e poi arrivata che sarà nel piano destinato della Metropolitana, si prenderà il posto assegnato secondo l'antico costume, e si tratterrà insino alla conclusione di detto Atto generale. E perchè forse potrebbono occorrere alle VV. SS. alcuni dubbj in questi giorni; si compiaceranno venir à comunicarli al S. Tribunale; acciò che ad ogni cosa si dasse la dovuta providenza, per non sortire disturbi, nè contrasti veruni, con che si potesse recar pregiudizio alla comune quiete, e molto meno alla celebrazione dello Spettacolo generale. Fine con cui mi dedico al servizio dei loro Signori.

Palermo dal Segreto del S. Offizio li 20 di Marzo 1724.

 

D. Tomaso Antonio de Laredo, e Sertucha Seg.

 

Simile avviso fu comunicato nel medesimo giorno al Superiore, e Deputati della Congregazione della Pescagione, fondata nella Casa di S. Giuseppe de' Padri Chierici Regolari. Ella, Madre di molte opere pie,([33]) per lo fervore Apostolico, che ha sempre nudrito, ottenne ne' scorsi tempi privilegio dal Tribunale di assistere in occasione di Atti pubblici di Fede, e di confidarsi alla sua diligenza i Rei: ond'ebbe l'avviso per prepararsi a quanto a lei toccava operare in tal funzione.

Con questa occasione il Superiore, e Deputati di questa Congregazione in ricever l'avviso mostraron tutta la prontezza in servire il S. Tribunale: ma s'accesero in desiderio, che nell'esercizio del loro ossequio da farsi nell'Atto solenne della Fede, fossero distinti i Fratelli di essa coll'insegna del S. Offizio; e ne supplicarono della grazia i Signori Inquisitori con questo memoriale.

 

 

ILL. E REV. SIG.

 

Il Superiore, e Deputati della divota Congregazione della Pescagione a nome di tutti li Fratelli intimati, e destinati per special privilegio a servire il Santo Tribunale nell'Atto Generale di Fede, che dovrà farsi per li 6 Aprile p.v. desiderando essere insigniti colla Crocetta in petto solita a portarsi da suoi Familiari almeno per li soli giorni della solenne funzione: e questo per accudir al desiderio, che ognuno di loro hà di far meglio mostra della loro obbedienza rispettosa, e divoto ossequio al Santo Tribunale; non conoscendovi per altro alcuna disconvenienza in tal sorte di grazia colla specialità del loro privilegio, porgono umilmente le loro suppliche alle SS. VV. Ill. e Rev. acciò si degnassero conceder ad ognuno de' detti Fratelli Congregati, che interverrà in detta funzione il privilegio di poter portar in petto la detta Crocetta; almeno per quella sola volta che dovranno intervenire in servigio di detta solenne funzione: sperando, che sarà per muoversi la loro benignità alla concessione di detta grazia dalla considerazione della gran fatica, che dovrà recarle l'assistenza in difesa, e custodia de' Rei. Et ita supplicant ut Altissimus etc.

 

Parve cosa convenevole a' Signori Inquisitori, che in premio delle fatiche, e dispendio, che i Fratelli di detta Congregazione dovean tollerare nell'Atto pubblico di Fede, si concedesse la grazia, secondo il desiderio mostrato. Ma via più si diffuse la benignità del Tribunale, poichè non solo fu conceduto che i Fratelli della Congregazione andassero insigniti colla Croce del S. Uffizio in petto nella solennità de' 5. e 6. di Aprile; ma ancora in tutti gli Atti pubblici di Fede, che in altri tempi appresso dovessero celebrarsi, potessero usare la stessa insegna: onde col seguente rescritto in piè del Memoriale ne fu fatta la concessione.

 

INQUISITORI etc

 

([34])En vista de este Memorial, y suplica; conzede el S. Tribunal a los referidos Superior, Deputados, y Hermanos de la dicha Congregacion, erecta en la Casa de los Padres del Orden de S. Gaetano, llamada de S. Joseph en esta Ciudad; la grazia que piden, de poder llevar la Cruz del Santo Offizio en el pecho los dias cinco, y seis de Abril de esto anno, para assistir a las Processiones, y Auto general, que se hà de celebrar en los referidos dias: y assì mismo les conzede el Santo Tribunal el referido honor, y grazia a los espresados Superior, Deputados, y Hermanos de la dicha Congregacion, para en las funziones de Autos generales, que en adelante pudieren ofrezerse: con la condicion però, de que hayan de asistir al S. Tribunal para lo mismo, en que se emplearàn en el proximo Auto general.

Dat. En el Palazio, y Tribunal del S. Offizio à Veinte y ocho de Marzo del anno Mil setecientos, y Veinte, y quatro etc.

Dottor Ferrer, Dottor Luzan, Dottor Oloriz.

Laredo Sec.

 

Fu in oltre portata intimazione a' Parrocchiani della Città, e Borgo, come pure a' Superiori degli Ordini Regolari, soliti intervenire alle processioni principali della Città, affine di trovarsi preparati anch'essi colla dovuta prontezza ne' giorni della prima, e seconda processione, che dovea farsi. A Parrocchiani così fu mandato l'avviso.

 

Don Girolamo Secano Nunzio di questo Sant'Offizio, si conferirà personalmente dalli RR. Parrochi di questa Città e Borgo, e d'ordine del medesimo Santo Tribunale notificherà ad ogn'uno di loro; qualmente il Santo Tribunale tiene già pubblicato Bando per la celebrazione d'un'Atto generale di Fede il giorno 6 d'Aprile p.v. e perciò dovendosi rinovare tutta quella pompa, ed ordine, che pratticaronsi nell'anno 1658 in simile occorrenza; Ciascuno di detti Signori Parrochi s'approntasse 12 Cappellani, acciò il dì cinque di detto mese venissero ad ore 20 in S. Offizio colla Croce della propria Parrochia, soppelliccie, e 12 Torcie, per accompagnare processionalmente la Santa Croce Verde sin'al piano della Metropolitana; ed il giorno sei susseguente ad ore 12 venissero colla lor propria Croce velata, soppelliccie senza torcie, per accompagnare la processione de' Rei sin'al palco della medesima Metropolitana: Dove giunti, che saranno, faran ritorno alle proprie loro Cure, restando solamente i Cappellani della Parrochia di S. Nicolò la Calza colla loro Croce; per poi ricondurre i Rei penitenziati al Santo Offizio etc.

R. Parrocho di Santa Maria in Borgo.

R. Parrocho di Santa Margherita.

R. Parrocho di Santa Croce.

R. Parrocho di San Giovanni li Tartari.

R. Parrocho di Sant'Ippolito.

R. Parrocho di Sant'Antonio.

R. Parrocho di San Giacomo la Marina.

R. Parrocho di S. Nicolò l'Albergaria.

R. Parrocho di S. Nicolò la Calza.

Palermo 21 Marzo 1724

 

A' Superiori de' Conventi ne fu mandato l'ordine in questa forma.

 

Don Girolamo Secano Nunzio di questo S. Offizio, si conferirà personalmente dalli RR.PP. Superiori de' Conventi infrascritti, e d'ordine del medesimo Santo Tribunale notificherà ad ogn'uno di loro: qualmente il Santo Tribunale tiene già pubblicato Bando per la celebrazione d'un Atto generale di Fede nel giorno 6 d'Aprile p.v. e perciò rinovar dovendosi tutta quella pompa, ed ordine, secondo che si praticò in simile occorrenza nel anno 1658 ciascuno di detti RR.PP. Superiori mandasse in S. Offizio il giorno cinque, verso l'ore 20 colla propria lor Croce velata tutti i Religiosi con candele, per associare sin'al piano della Metropolitana la Croce Verde; ed il giorno sosseguente la mattina verso l'ore 12 colla stessa lor Croce tutti i Religiosi, senza candele per accompagnare i Rei sin'al medesimo piano della Metropolitana: ove gionti l'uno, e l'altro dì, se ne ritorneranno a' proprj loro Conventi etc.

 

Il R. Rettore degli Spersi.

Il R. Rettore degli Orfani di S. Rocco.

Il P. Guardiano de' Cappuccini.

Il P. Commendatore de' Riformati della Mercè.

Il P. Priore del Terz'Ordine di S. Francesco.

Il P. Correttore de' Minimi di S. Francesco di Paola.

Il P. Priore de' Carmelitani calzati.

Il P. Priore degli Agostiniani calzati.

Li PP. Guardiani dei Minori Osservanti, e Riformati.

Il P. Priore di San Domenico.

Palermo 21 Marzo 1724

 

Si tralasciò di chiamar gli Agostiniani Scalzi per degni rispetti, ben considerati dall'alta prudenza del S. Tribunale.

E poichè l'Augustissimo Monarca col suo dispaccio, a dietro registrato, lasciò all'arbitrio del Vicerè l'elezione del riguardevole Titolato, che dovesse portar nella processione lo Stendardo della Santa Fede, poco prima della celebrazion dell'Atto elesse il Sig. D. Francesco Bonanno Principe di Roccafiorita, e della Cattolica, col seguente Biglietto, spedito per via della sua Segretaria.

 

 

All'Excell. Senor Principe de Roccafiorita y de la Catolica,

guarde Dios muchos annos

como deseo del Consejo de Estado di S.M.C.C.

 

Doviendose celebrar en esta Capital el dia seis del corriente el Auto General de Fee, y ser costumbre llevar el Estendarte en esta funcion un de los mas Ill. Barones del Reyno; ha resuelto S.E. elegir a V.E. para Ilevar el referìdo Estendarte de la Fee en el citado dia, en consideracion alas singulares circunstancias de merilo, y distincion, que concurren en la Casa de V.E. y me manda participarselo, a fin que enterado de ello, assista V.E. puntualmente como se lo promete S.E. de su Christiano celo a la mayor exaltacion de Nuestra S. Fee Catholica. Dios guarde a V.E. muchos annos como deseo. Palermo 2 Abril de 1724

 

Excelentissimo Senor.

B.L.M. de V.E. su major servidor

D. Pedro Pasqual Cano

Excell. Senor Principe de Roccafiorita, y Catholica

 

 

Da tutte queste ben pesate, e prudenti prevenzioni, ne nacque il buon ordine, con che poi fu celebrato questo solenne Atto, non senza la dovuta lode, e plauso.

 

 

CAPITOLO SECONDO.

Fabbrica del Teatro, sua disposizione, ed apparato.

 

 

Fu destinato per Teatro a rappresentarsi questo memorabile Atto, anzi Trionfo della Santa Fede, il gran piano, che si stende avanti al fianco meridionale della Chiesa Cattedrale; altre volte eletto a questo fine, come luogo spazioso, in cui commodamente potesse alzarsi un ampio Teatro di legno, a spese del Regio erario; come avea precedentemente ordinato la singolar pietà dell'invitto Monarca: e per la magnificenza, e ben intesa struttura riuscì superbissimo. Fu eletto a ben disporlo il P. Tommaso Maria Napoli Palermitano, dell'Ordine de' Predicatori, peritissimo nell'Architettura.

La sola piazza, che restò dentro il ricinto, sollevata da terra a far pavimento, si alzò palmi otto: si distese canne 23([35]) e si dilatò a proporzione canne 13. Solo ad essa aprivasi l'ingresso per una scala di sette gradini in fronte la porta del Palazzo Arcivescovale alta palmi otto.

Avanti il portico meridionale della Chiesa s'inalzò il sontuoso Palco per collocarvi il Solio de' Signori Inquisitori, alto palmi 20 lungo 18 e largo 10 sublime però dal pavimento del Teatro sino alla cima della covertura palmi 32. Il Solio però era alto palmi 5 con sei scalini.

Nel suo fianco destro altro Palco s'alzò per lo Giudice Ordinario, Qualificatori, e Avvocati del Santo Tribunale, che stendevasi in lunghezza palmi 42 ma la sua larghezza era palmi 8 e mezzo, con panco lungo palmi 26 e predella sotto.

A questi ne succedea altro per lo Capitano Giustiziero della Città, e sua Corte, lungo palmi 29 e mezzo, largo palmi 12.

Contiguo al fianco sinistro del Palco degl'Inquisitori vedeasi altro Palco destinato a ricevere il Promotor Fiscale, Secretarj, Recettore, e Contatore del Tribunale, in lunghezza di palmi 32 con panco di palmi 28 e in appresso ne fu altro fabbricato per l'Eccellentiss. Senato di Palermo lungo palmi 56 inclusovi lo spazio, che restava vacuo, largo palmi 10. Eran questi Palchi già descritti dal pavimento del Teatro sino al loro suolo alti palmi 13 e la lunghezza di tutti detti cinque Palchi stendevasi a canne 23 cioè palmi 184.

Dietro questi Palchi si fabbricarono cinque stanze: due per li Signori Inquisitori, due per lo Senato, altra per la Corte del Signor Capitano, ove potessero gl'istessi ritirarsi nella lunghezza del tempo a pigliare qualche necessario ristoro. La stanza ove pranzarono gl'Inquisitori s'allargava a palmi 16 si dilatava palmi 9. Quella ove si ritirò il Senato a pranzare riuscì lunga palmi 40 larga palmi 9 e una sua stanza ove si rizzò ricca credenza fu lunga palmi 16 della stessa larghezza di palmi 9. Simile fu quella del Signor Capitano, e sua Corte.

Salivasi a questi Palchi della parte di dietro per una scala di 25 scalini larga palmi 8. Altra scala aprivasi nel fianco del Palco della Corte del Capitano, per cui scendevasi ad una stanza eretta fuori del Teatro, e del piano della Cattedrale: destinata per luogo, ove doveasi fulminar la sentenza contro de' Rei ostinati. Era sollevata da terra palmi 5 larga palmi 8 e lunga palmi 12 alta palmi 10.

Ascendevasi al Palco de' Signori Inquisitori della parte avanti per una scala di 16 scalini.

Sotto i due Palchi de' Qualificatori, Consultori, Avvocati, e de' Secretarj si disposero sei ordini di sedili, modellati a scalinata, ognun di essi alto palmi due, compartiti a' fianchi di detta scala. Nella parte destra più vicina alla scala era il luogo destinato a' Ministri del Fisco Regio. Nella parte appresso dovean collocarsi i Maestri Notai del Regno, Commissari, e Revisori de' libri: e questi due luoghi occupavan la lunghezza di palmi 32. La parte sinistra più vicina alla scala era dovuta al Nunzio, Portieri, e Uffiziali dell'Udienza Civile: e la parte più remota a' Familiari di Palermo, e del Regno: ed amendue questi luoghi si stendevano sino a palmi 28.

Nel mezzo del lato orientale del Teatro s'alzò l'Altare, che guardava il Palazzo Arcivescovale, e l'ingresso del Teatro. Si sollevava alto dal pavimento palmi 24 e vi s'ascendeva per due scalini. Si modellò lungo palmi 12 largo palmi 4 con sua predella lunga palmi 6. A canto di esso dalla parte destra fu situato uno steccato per li Musici in lunghezza di palmi 22 con risalto di palmi 10 lungo palmi 17 alto palmi 4 formato à foggia d'un gran disco, ove potessero collocarsi le carte musicali. Nella sinistra furon situati con due ordini di panchi in lunghezza di palmi 47 i sedili per li Fratelli della Compagnia dell'Assunta: e da questo luogo s'apriva scala secreta, che guidava ad un corridore basso, dietro l'Altare, destinato a' Fratelli di essa Compagnia, per ivi riposare, e ristorarsi: e stendevasi in lunghezza di palmi 57 dilatandosi palmi 12.

A' fianchi dell'Altare per quanto si dilungava la intiera facciata orientale del Teatro, si dispose un palco alla lunghezza di 112 palmi, alto palmi 14 divisato in due parti, de' quali la destra toccò alla Principessa d'Aragona moglie del Capitano Giustiziero della Città, l'altra à sinistra alla Principessa di Resuttana, moglie del Pretore; affine di assistere alla Solennità, colle Dame in gran numero da loro invitate.

Nel lato meridionale del Teatro, in fronte al Solio de' Sig. Inquisitori sopra una piazza particolare, alta dal pavimento del Teatro palmi 7 si sollevò il Palco funesto, ò sia Catafalco ignominioso per li Rei; ordinato con 7 scalini di lunghezza palmi 18 ognun di essi alto palmi 2. Riuscì alto dal pavimento del Teatro sino alla cima palmi 32 largo palmi 18 sotto eminente, ed orrorosa covertura. A lato destro v'avea scala con sette gradini, per la quale dovean salire i Rei. Da questo palco scendevasi ad un lungo passetto, che sporgendo sino in mezzo alla piazza, di rimpetto al Solio degl'Inquisitori, terminava in un poggetto coll'alzamento di 2 scalini. Era questo passetto lungo palmi 20 largo 3 s'alzava dalla piazza palmi 5 difeso da proporzionati parapetti, alti palmi 3. Sopra l'accennato poggetto dovea stare in piè, oggetto degli occhi di tutti, il Reo, mentre leggevasi il suo processo. A' lati di questo luogo furon dell'una, e l'altra parte situati due pulpiti, l'uno, e l'altro in distanza di palmi 8 dal poggetto: sopra de' quali dovean salire alternativamente quei RR.PP. Domenicani, che ebbero la cura di leggere i processi. A lato del palco de' Rei si disposero stanze terrane per riposo, e ristoro de' Fratelli della Pescagione.

La parte occidentale del Teatro restò libera senza palchi, e senza impedimento alla vista del vicino Palazzo Arcivescovale: sol dal Teatro diviso dalla strada, che framezzasi tra il piano della Cattedrale, el Palazzo: onde da' balconi di esso poteasi agevolmente vedere, quanto maneggiavasi, e quanto vi fosse riguardevole nel Teatro. Un di questi balconi fu destinato al Vicerè, che volle essere spettatore della Solennità: e fu munito da gelosia.

Appoggiato alla facciata di detto Palazzo, e sotto i balconi si eresse palco per la Principessa della Cattolica, lungo palmi 112 largo palmi 12, alto da terra palmi 10, sol ove era nel mezzo la porta del Palazzo, che restò libera per lo passaggio delle carrozze, fu alto palmi 14. Fu fabbricato questo palco dal Tribunale in grata ricompenza delle spese, e fatiche, che dovea sostenere il Principe di Roccafiorita in ossequio del Tribunale in questo pubblico Atto di Fede: ed in esso poi si allogò la Principessa moglie con molte Dame da lei invitate.

Ma se apparve sontuoso per la magnificenza, e nobile per la ben intesa architettura questo Teatro, senza comparazione maggiore fu l'apparenza, che fece, quando con rara splendidezza si vestì col pomposo apparato, che tirò a folto concorso gli spettatori per ammirarlo, e insieme a celebrarlo. Dal piccolo, e brieve abbozzo, che prendo a delinearne potrà il Lettore argomentare il molto, che potrebbe dirsi nel descriverlo.

Il Solio de' Signori Inquisitori fu riccamente ornato di coltre, e baldacchino di velluto cremisino trinato d'oro, con in mezzo l'arme del S. Tribunale, lavorate a ricamo. Il rimanente del palco dall'una, e l'altra parte, dalla cima al fondo fu vestito di broccati di colore azzurro arabescato d'argento, framezzati di trine pur d'argento. Nel Solio si collocarono tre sedie per gl'Inquisitori di velluto cremisino trinato d'oro, accompagnato di fregi. S'aggiunsero tre piumaccioni a' piedi dello stesso drappo, con fiocchi pendenti da ogni lato. Avanti la sedia di mezzo, ove dovea starsi assiso il Primo Inquisitore Monsignor D. Gio: Ferrer, si collocò un tavolino tempestato di tartaruca, ed oro, sopra di cui vedeasi un Crocifisso in argento, con Croce, e piedestallo d'ebano proffilato d'argento, campanello d'argento, col Messale, e Croce del S. Uffizio per l'abiurazione de' Rei. I sei scalini del Trono si coprirono di ricco tappeto fiorito.

Nel lato sinistro di esso palco vi avea sedia di damasco rosso trinata d'oro, con uno scalino, oltre la predella, ricoperta di tappeto, per il Sig. D. Teodoro de Lorenzo, Secretario del Tribunale, che supplì la carica di Promotor Fiscale.

I due palchi de' Secretarj, e de' Qualificatori, Consultori, e Avvocati eran provveduti di panconi ricoperti di panno azzurro, con predella vestita di tappeti lavorati alla persiana: ed erano i palchi ornati dalla cima sino a' panconi di velluto cremisino framezzato di falde di lamine d'oro trinate d'argento.

Era il palco della Corte del Capitano occupato da cinque sedie di velluto cremisino fregiate d'oro sopra predella ricoperta di tappeto. Panno dello stesso drappo formava vaga spalliera; poichè ne' quattro suoi angoli era trapuntato a lamine d'oro con in mezzo un'Aquila lavorata a ricamo, che mostrava in petto l'arme Cesaree. Era preparata la prima sedia al Capitano Giustiziero della Città il Sig. D. Baldassarre Naselli Principe d'Aragona: le tre seguenti eran designate per li tre Giudici di detta Corte il Sig. D. D. Francesco Cumbo, D. D. Tommaso Gioeni, e D. D. Pietro Portoleva: l'ultima per il D. D. Antonino Citrano Avvocato Fiscale di detta Corte. Seguivano in appresso due panchi senza spalliera, ne' quali ebbero luogo Giovanni Comito Pro-Mastro Notajo Criminale, e D. Mariano Valguarnera Coadiutor Fiscale.

Nel palco dell'Eccellentiss. Senato fu collocato il solito suo pancone, ornato nobilmente di spalliera, sgabello e panno, posato sopra una continuata predella sino alle sedie degli Uffiziali nobili: sicchè era alto il pancone dal suolo del palco palmi 2. lungo palmi 25. Il panno era di velluto cremisino messo a ricamo nell'intorno, coll'arme dell'Augustissimo Monarca nel mezzo, e in due scudi a fianchi, coll'Aquila, arme della Città: tutte ricamate ad oro. Piomacci di velluto cremisino erano allogati per sotto i piedi del Pretore, e Senatori: lo sgabello fu ricoperto di tappeto di seta lavorato a fiorami. In questo pancone doveano stare assisi il Pretore, co' sei Senatori: e in appresso seguivano nove sedie distinte di velluto cremisino con fregi d'oro per Uffiziali nobili del Senato, sopra detta predella alta palmi due.

Dietro il panno sì della Corte del Capitano, come dell'Eccellentiss. Senato, e nel rimanente, che avanzava fuor delle sedie, dalla sommità sino al pavimento de' palchi pendea apparato composto di drappi di tessuti a ricamo d'argento alla persiana di colore azzurro, e cremisino, trinati d'argento. Da detti palchi sino al pavimento della piazza scendean paramenti cremisini lavorati alla Persiana.

I sedili de' Ministri del Regio Fisco, dell'Udienza Civile, de' Mastri Notaj Commissarj, Revisori di libri, e Familiari, si coprirono di panno azzurro trinato d'argento.

La scala, per cui si saliva al trono degli Inquisitori fu ornata di velluti arabescati, e con lamine d'oro in ricami; e i parapetti, co' quali fu rinforzata, si coprirono di drappi alla Persiana arabescati d'argento.

Fu raccomandata alla diligenza de' PP. Domenicani la cura dell'Altare: essi l'arricchirono di sei candelieri, e vasi d'argento ornati di Cipressi. Sostenevano i candelieri sei grosse candele di cera gialla, che stettero incessantemente accese d'allora, che nel mezzo dell'Altare fu inalberata la Santa Croce del Tribunale, sino al seguente giorno al terminar la solennità, con radoppiata mutazion di cera.

Nel mezzo dell'Altare fu collocato un ben inteso piedistallo lavorato con cornici, e arabeschi d'argento sopra fondo azzurro: e sopra di esso dovea inalzarsi, come in trionfo la Croce Verde alla venerazione di tutti. A' fianchi di essa si collocarono due Angioli, un de' quali sostenea la spada, l'altro un verde ramo d'Ulivo: simboli della Giustizia, e della Misericordia; e insegna del S. Tribunale. Il pallio dell'Altare era a ricamo d'oro sopra lame in azzurro. La predella co' scalini di sotto si coprirono di tappeto alla Persiana. Dirimpetto all'Altare in proporzionata distanza, su due piedestalli d'argento, ed oro, si vedean situati due Angioli riccamente vestiti di drappo d'oro; e in atteggiamento di adorare ginocchioni quella S. Croce, che sagrilegamente spreggiarono gl'infelicissimi Rei. Sopra l'Altare si ammirava ricca ombrella pendente in aria, ornata con otto laterali cortine, con suoi involti al disotto in ognun de' quattro angioli, ne' quali terminava l'ombrella, composta di drappo azzurro intessuto alla Persiana, con lavori, trine, e fregi d'argento, per quanto l'arte, e'l buon gusto ricercava.

Lo steccato de' Musici fu apparato di drappi rossi alla Persiana framezzati di trine d'argento.

I sedili della Compagnia collocati appresso al fianco sinistro dell'Altare in due fila, si coprirono di drappi alla Persiana, e ricami a fiori sopra tela d'argento.

Del palco dietro l'Altare la parte toccante alla Principessa d'Aragona moglie del Sig. Capitano, era superbamente vestita al di fuori di velluti cremisini trinati d'argento, con frapponi d'oro e guarnizione bianca: nel di dentro ricoperto a pompa di drappi lavorati à dipintura alla Persiana, con trine d'argento. L'altra della Principessa di Resuttano, moglie del Sig. Pretore, fu nella parte esteriore vestito pur di velluti cremisini trinati d'argento, con frapponi d'oro a più ordini di guarnizione bianca: e nell'interiore di drappi alla persiana messi a fiorame in fondo d'oro.

Il funesto palco de' Rei presentava all'occhio spettatore, un'orrida scena, poichè fu tutto ammantato di panni neri, e di rami di verde, ma mesto mirto, a manifestare il luttuoso dell'enormità commesse. Sol apparivan nude le tavole de' scalini, per ivi starvi assisi i Delinquenti. Di nero framischiato di mirto era pure ricoperto il passetto, e'l luogo, ove dovea allogarsi il Reo nel leggersi il suo processo.

Sotto questo palco si ripartirono i sedili per li portieri del S. Uffizio nell'uno, e l'altro fianco, ricoperti di panni neri: e appresso a questi pur dall'una, e l'altra parte nel piano della piazza si disposero panchi in quattro ordini per li Fratelli della Pescagione in distinto ricinto, ricoperto di drappi rossi, lavorati alla Persiana, e ricami sopra tela d'argento framezzati di trine. Si stendean nella parte destra canne 10. e nella sinistra canne 9.

I due pulpiti si vestirono di damasco violato trinato d'argento.

Avanti il pulpito situato nella parte destra vi fu collocata una sedia di velluto cremisino trinata d'oro, sopra predella coperta di tappeto di seta; luogo dovuto al Sig. D. Tommaso de Laredo Secretario delle sentenze, con tavolino d'osso di tartaruca con piè dorato avanti, sul quale doveasi collocare il cassettino co' processi, e altri arredi da scrivere, in argento.

A fianco del pulpito sinistro altra sedia uniforme si pose sopra sgabello pur coperto di tappeto, destinato à starvi assiso il Sig. D. Giuseppe Moxe Alcaide del Tribunale, per dare a tempo opportuno l'ordine di scender dal Catafalco quel Reo, di cui dovea pubblicarsi il processo, secondo la disposizione del Secretario delle sentenze.

A lato destro dell'altro pulpito pur si collocò altra sedia di velluto cremisino, sopra sgabello ornato di tappeto, per il Sig. D. Giovanni Alvarez de Valdes Secretario, che sostenea l'uffizio di Capitano, con alta verga a fianco in lunghezza di 24 palmi.

Il palco alzato sotto de' balconi del Palazzo Arcivescovale per la Principessa della Cattolica, e Dame da lei invitate, fu coperto di velluto cremisino trinato d'argento, e lavorato a finta architettura, composta da trine ben divisate dall'arte; con frapponi d'oro, e guarnizioni bianche; onde appagava mirabilmente l'occhio di quanti lo riguardavano.

Il balcone, da cui fu spettatore della Solennità il Viciré si ornò di coltre cremisina ben addobata, coverta di gelosia.

Non lascerò di aggiungere, che per entro la piazza del Teatro si distribuirono molti sedili per commodo de' Titolati Nobili, e persone di raguardevole condizione.

In questa forma apparve superbamente ornato tutto il Teatro, la cui sontuosa pompa eccitò la maraviglia, e insieme la lode non solo de' Cittadini, ma anche della gran moltitudine de' Forestieri, concorsi a goderlo, anche prima di cominciarsi la solennità.

 

 

CAPITOLO TERZO.

Steccato del piano di Santo Erasimo.

 

 

Il gran piano di S. Erasimo (così chiamato per una Chiesa ivi da antichissimi tempi dedicata al Santo) presso al mare, che ampiamente si distende a canto il destro piede della Città, fu destinato ad esser funesto Teatro per l'esecuzione della giustizia, che dovea piombare sul capo de' Rei ostinati. Nel mezzo di esso si fabbricò un largo ricinto di tavole, che si portava in giro canne 147 alto palmi 7. Gli s'aprì l'ingresso per una sola porta di rimpetto al baloardo Vega, larga palmi 8. Vicino l'ingresso in distanza di canne 5 si alzò un piedestallo vestito di panni neri: e sopra di esso un monticello, disposto a forma di marmo bianco, in altezza di palmi 12 sopra cui dovea collocarsi la Croce bianca.

Accanto a questo luogo si fabbricò una piccola stanza di tavole dalla parte occidentale, ove i Fratelli della Pescagione potessero riposare la notte.

Nel mezzo si prepararono due fornaci l'una dall'altra distante palmi 69 sopra due poggetti. Sopra un di essi s'alzò un patibolo di tavole, alto da terra palmi 5 con proporzionata salita: e portavasi in giro palmi 3. Ad esso salivasi con due scalini di legno ognun di essi alto palmi due, nel secondo de' quali dovea sedere il Delinquente. Dietro si fissò una trave alta palmi 12 con tre forami, due de' quali eran preparati per legarvisi il Reo: il terzo libero, per strangolarsi in esso, in ogni caso, che si ravvedesse. S'aprì sotto al patibolo una concavità a proporzione capace, con entro legna bastevoli al bruciamento. Uniforme a questo era l'altro patibolo: ma fra l'uno, e l'altro fu intermesso un ripartimento di tavole lungo palmi 14, alto palmi 14 tantocchè l'una, che dovea bruciarsi, non potesse vedere, nè esser veduta dall'altro. Fu questo così prudentemente disposto, affine che la costanza, o per meglio dire pertinacia, dell'una non rifondesse spiriti di maggiore ostinazione nell'altro.

Intorno allo steccato si eressero diversi palchi da alcuni Falegnami per commodamente potersi vedere il bruciamento, sì da persone di qualche condizione, come dal popolo.

In distanza di canne 10 dalla strada de' pioppi, che porta a dirittura alla Chiesa, e Convento di S. Antonio di Padova, e presso la siepe del giardino contiguo al piano stesso di S. Erasimo, cominciavan detti palchi distesi a forma di semicircolo, distanti dallo steccato canne 41. Il primo era in lunghezza di canne 45, alto palmi 12. Indi restando il vacuo di canne 5 per dar libero il passo alle carrozze, seguiva il secondo palco lungo canne 13 e intermesso il vacuo di canne due e mezza, per le carrozze, ne seguiva altro, che stendevasi in lunghezza di canne 23 e mezza della medesima altezza.. Seguiva in appresso altro vacuo di canne 2 e mezza, e poi il quarto palco, che occupava canne 25 in lunghezza: sicchè tutti insieme questi palchi occupavano canne 106 e mezza.

Presso la trincea di rimpetto al baluardo Vega ne furono alzati altri due contigui, un di canne 10 altro di canne 3.

Sul baloardo dello Spasimo l'Eccellentiss. Senato fece fabbricarne altro a sue spese, affine, che da una parte di esso potesse vedere il funesto incendio la Principessa di Resuttana moglie del Pretore, colle Dame da lei invitate: dall'altra parte il Senato: e fu ornato di ricco apparato.

Altro finalmente ne fu eretto sopra il baloardo Vega, per poter da esso vedere Cavalieri, e Dame.

 

 

CAPITOLO QUARTO.

Apparato nel Palazzo del S. Uffizio.

 

 

Ha stabil sede il Sacro Tribunale del S. Uffizio di Sicilia nella Città di Palermo, come in Regia, e Metropoli della Sicilia. S. Officij Inquisitionis Tribunal, scrive il Paramo([36]) in Regno Siciliæ Panormi, quæ Civitas Caput Regni est, ubi Prorex, et Consilium esse consueverunt, situm est. Risiede in particolar Palazzo presso la marina, per magnificenza di fabbriche riguardevole. Fu egli eretto sin dall'anno 1307([37]) da Manfredo Chiaramonte Conte di Modica, Signor di Ragusa, e Caccamo, e Gran Senescalco del Regno, per mostrare la sua somma splendidezza, e potenza. Indi dallo stesso fu portato a perfezione nel 1320([38]). Ma poi per la ribellione di Andrea Chiaramonte nel 1392([39]) caduto nelle mani del Regio Fisco, fu abitato dal Re Martino, e poi da' Vicerè di Sicilia sino all'anno 1517. Poi nel 1600 fu dal Re Filippo III di Spagna, e di Sicilia assegnato per abitazione degl'Inquisitori del S. Uffizio di Sicilia, e del suo Tribunale.

Con questa occasione fu questo Palazzo con sontuosità d'apparato nobilmente ornato, poichè nella Cappella del Secreto sull'Altare, ivi dedicato al SS. Crocifisso, s'alzò ricco baldacchino di velluto cremisino, contornato di trine, e fregio d'argento. Fu arricchito di molti candelieri d'argento ben distribuiti, con lumi di cera; a' quali si framezzarono vasi colmi di fiori. A piè dell'Altare due smisurati candelieri d'argento con torcie. Pendean dal tetto alcune Ninfe con lumi valevoli ad illuminare la Cappella.

La Sala della stessa Cappella si vestì nobilmente di apparato di seta trinato, e fregiato d'argento.

In fronte alla Cappella, ove è il luogo destinato al Trono degl'Inquisitori, s'alzò baldacchino di velluto violato, distinto colle insegne del Sommo Pontefice, del Monarca Augustissimo Regnante, e della S. Inquisizione, in ricamo d'oro, ed argento. Al disotto le tre sedie de' Signori Inquisitori di velluto cremisino ornate di trine, e fregi d'oro: avanti a' quali fu collocata la tavola costumata, ricoperta di ricco tappeto di damasco cremisino, fornito di fregio di seta, ed oro, col Crocifisso in argento dorato, la verga colla Croce del S. Offizio, e altri arredi d'argento necessarj. Negli angoli del recinto, in cui si chiudeva il detto trono, si collocò alla destra lo Stendardo del Trionfo della Santa Fede: nella sinistra lo Stendardo Reale, detto in idioma spagnuolo il Gujon: e da questo luogo furon poi levati da quei, che dovean portarli nella prima, e seconda Processione, come si dirà in appresso.

Nella parte sinistra del Solio degl'Inquisitori, e di rimpetto alla porta principale della Sala, s'alzò un'Altare per collocarvi sopra la Croce Verde, da cui fu levata nel giorno della prima processione. Stava la Croce sotto nobile baldacchino di velluto violato, trinato d'oro, e pur d'oro fregiato all'intorno. Sull'Altare si disposero candelieri, e vasi d'argento con rami verdi, e violati, per accordare co' loro colori a giusta corrispondenza la Croce, e baldacchino. A piè dell'Altare v'avean due gran Candelieri d'argento con sue torce eguali a quei dell'Altare del Crocifisso.

Il pavimento tutto della Sala fu ricoperto di tappeti, a lavoro arabesco.

In amendue i giorni 5 e 6 Aprile concorsero a celebrar la Santa Messa nell'uno, e l'altro di questi Altari alcuni Consultori, Qualificatori, e Commissarj del S. Uffizio: sottentrando a continuar la celebrazione alcuni Sacerdoti della vicina Parrocchia, di S. Niccolò la Calza, che assistean pronti nella mancanza delle persone più riguardevoli: conchè si fomentò, ed accrebbe mirabilmente la devozione del numeroso concorso, che si portò a vedere, e insieme ammirare la ben regolata disposizione, e ricco apparato della Cappella: alla cui porta furono assistenti due Alabardieri, per vietar qualsivoglia disordine, che potesse nascere per la moltitudine de' concorrenti a vederla.

L'Anticamera, Salone, e Scala si ornarono con varj quadri, imprese, e gran copia di lumi di cera, che fecero risplendere quel passaggio nell'una, e l'altra funzione. Il certo è, che gli addobbi, e apparato pienamente appagarono con soddisfazione universale tutta la Città, che ammirò la magnificenza, e splendore del S. Tribunale, e la prudente condotta, e buon gusto de' Ministri, che lo compongono.

 

CAPITOLO QUINTO.

Nobili nuovamente arrolati nel numero de' Familiari del S. Uffizio.([40])

 

 

Negli andati tempi fu sempre fervente la divozione, che professò la Nobiltà Siciliana al Tribunale del Sant'Uffizio: e fu altresì segnalato lo splendore, e venerazione, che dall'aggregarsi al numero de' suoi Ministri, s'accrebbe a questo gran Propugnacolo della Santa Fede come in parecchie occasioni riferite dal Paramo([41]), chiaramente si vide. Nella congiuntura di celebrarsi questo Atto pubblico di Fede in Palermo s'accese mirabilmente in Molti Nobili della stessa Città, segnalati per titoli, e chiarezza di sangue, l'amore verso il Tribunale; e protestando il loro zelo nelle materie concernenti alla cattolica Religione, e l'alta stima, in che l'aveano, si recarono a gloria singolare l'essere arrolati nel numero de' Familiari del S. Uffizio; e con questo carattere assistere in questa Solennità. De' Principali ne soggiungo quì il Catalogo, come mi viene somministrato dallo stesso Tribunale. Furono essi:

 

D. Francesco Bonanno, e del Bosco, Principe di Roccafiorita, e della Cattolica, Consigliere di Stato della Cattolica Cesarea Maestà.

D. Vincenzo del Bosco Principe di Belvedere.

D. Ignazio Gravina, e Cruillas Marchese di Francofonte.

D. Domenico Ventimiglia Principe di Belmontino.

D. Ferdinando Moncada, e Ventimiglia Conte di Cammarata.

D. Carlo Cottone Principe di Castelnuovo.

D. Pietro di Napoli, e Bellacera Principe di Monteleone.

D. Gio: Maria Ramondetta San Martino Duca della Fabbrica.

D. Emmanuele Vanni Marchese di S. Leonardo.

D. Enrico Statella Conte Statella.

D. Giuseppe Santo Stefano Marchese della Cerda.

D. Giacomo Squiglio, e Parisi Barone del Landro.

D. Placido Vanni.

D. Gio: Luigi di Settimo.

D. Giacomo Busacca.

E altre persone particolari di chiara condizione.


 

CAPITOLO SESTO.

Diligenze applicate per la conversione de' Rei ostinati ne' tre giorni prima dell'Atto della Fede.

 

 

Da che ebbe l'avviso la Compagnia dell'Assunta dal Tribunale, di dovere assistere all'Atto pubblico di Fede, che dovea celebrarsi, il D. D. Melchiorre Raffaele Superiore, il Sacerdote D. Francesco Bellicci, e D. Onofrio Buscemi Congionti di detta Compagnia, avendo avuta la notizia di esservi fra' Rei, due pertinaci ne' loro errori, stimarono obbligo del loro zelo di procurarne la conversione: onde, secondo il privilegio, che gode la Compagnia, fecero scelta di dodici Fratelli Teologi, forniti di dottrina, e pietà Cristiana, per assistere a detti Rei ostinati, e mettere in opera tutta la loro efficacia per ridurli alla vera Fede. Gli Eletti, e pienamente approvati dal S. Tribunale furono i seguenti, coll'ordine come allo stesso Tribunale furono presentati.

 

Il P. Maestro Pietro Martire Cicala Domenicano.

Il P. Ignazio di S. Raimondo Mercenario scalzo Consultore, e Qualificatore del S. Uffizio.

Il P. Paulo di S. Filippo dello stesso Ordine pur Consultore, e Qualificatore.

Il P. D. Michelangelo Allò Basiliano.

Il D. D. Paolo Pinnisi Canonico della Cattedrale di Palermo.

Il D. D. Agostino Passalacqua Canonico della stessa Cattedrale.

Il D. D. Vincenzio Torregrossa Avvocato del Santo Uffizio.

Il D. D. Agostino Pantò.

Il D. D. Nicolò Bonanno.

Il D. D. Pietro Sant'Anna.

Il D. D. Giambattista Ingoglia.

Il P. Lettore Lorenzo Costa de' Minimi di San Francesco di Paola.

Ma poichè alcuni per indisposizioni furono astretti ad interrompere l'assistenza necessaria, a questi sostentarono i seguenti.

Il D. D. Francesco Coos.

Il D. D. Francesco Galati.

Il D. D. Francesco Bua.

 

I primi quattro di questi Teologi col consenso de' Signori Inquisitori, ne' tre giorni precedenti all'Atto solenne della Fede, furon gli eletti ad assistere nelle carceri secrete e affaticarsi intorno a' due pertinaci Rei per ridurli in buon senno. Furon questi due ostinati F. Romualdo di S. Agostino laico degli Agostiniani Scalzi, e Suor Geltruda Maria Cordovana Terziaria Benedettina, de' quali ci converrà dare in appresso distinta notizia de' loro errori, e pene.

Quindi a 3 Aprile i quattro Fratelli vestiti la mattina coll'abito proprio della Compagnia, nell'Oratorio di essa presso la piazza di Ballarò, si portarono per lo Cassaro con pari divozione, ed esemplarità al palazzo del S. Uffizio; e penetrando nelle carceri secrete del Tribunale, cominciarono a mettere in esercizio la loro carità, e sommo zelo, affaticandosi a persuadere gli ostinati in deponere i loro inganni, e convincere i loro errori: e con quanto suggeriva loro la dottrina, e la pietà cristiana, combatterono i due cuori ostinatissimi per piegarli a quella Santa Cattolica Fede, da cui scioccamente s'eran ribellati. Ad ora di pranzo tornaron all'Oratorio della Compagnia ove co' cibi, lautamente preparati da' Superiori della Compagnia, si ristorarono. Dopo pranzo tornarono alla fatica nelle carceri, e durarono sino alla sera, quando si restituirono all'Oratorio, ivi altra volta ristorati. Lo stesso tenore mattina, e dopo pranzo fu osservato ne' tre giorni, sino a 5 Aprile: benchè la notte de' 5 a questi quattro s'unirono gli altri Teologi per fare gl'ultimi sforzi, moltiplicando le batterie per espugnare la loro durezza, come si dirà in appresso a suo luogo.

Ancorchè adoperassero i serventi Teologi tutte le ragioni, e persuasive, ed aggiungessero preghiere, e lagrime per ispezzare una volta la durezza de' loro cuori, tutto fu vano. Erano della tempra di quello di cui s'ha nelle sacre carte: Cor ejus indurabitur tamquam lapis, et stringetur quasi malleatoris incus([42]). O essi ammutolivano: o col parlare si facean conoscer ne' loro inganni peggiori. Nel quarto giorno di Aprile F. Romualdo vomitò dalla sagrilega bocca infiniti errori ed eresie senza numero, secondo hanno insegnato, e scritto gli Eretici di più perduta coscienza: conoscendosi in ciò chiaramente, che avesse assistenza particolare de' Demonj: e si comprese, che il Diavolo gli riferiva quanto i Teologi suggerivano a Suor Geltruda. Più volte a voce gagliarda l'ingannato Reo disse a se stesso: F. Ramualdo sta forte. O che egli animasse se stesso a non vacillare, stretto alla gagliarda da' Padri assistenti: o che il Demonio per la sua bocca l'esortasse a perseverar pertinace nella sua perfidia. Non men ostinata Suor Geltruda, vedendosi stretta in maniera, che non avea che poter dire, rispondea convinta, ma senza rendersi. Io son donna, Voi siete Teologi: non posso mettermi a contender con Voi. Parea chiaramente, che essendosi resi immeritevoli della divina grazia, per l'abuso de' divini benefizj, fossero stati da Dio abbandonati, e fosse caduto sul capo loro ostinato il gastigo minacciato da Dio a gli Empi: Væ iis cum recessero ab eis.([43])

 

 

CAPITOLO SETTIMO.

Prima processione a 5 Aprile 1724.

 

 

Già la fama dell'Atto della Fede, che dovea celebrarsi con pubblica, e singolar magnificenza, avea chiamato in Palermo dalle Città, e Terre del Regno, non men vicine che lontane, tanto i Ministri del Tribunale, quanto ancora un numero sterminato di Spettatori, che stimolati dalla curiosità vennero per goderlo. E non men ansiosi i Cittadini aspettavano il giorno designato alla celebrazione di questo spettacolo; atteso che in pochissimi restava viva la memoria di averne veduto altro precedente; poichè erano trascorsi 66 anni da che si celebrò l'ultimo dal Tribunale, che fu nell'anno 1658.

Per farsi godere da tutti senza impedimento la solennità a 4 Aprile fu pubblicato Bando d'ordine dell'Ill. Capitano della Città, e dell'Ecc. Senato, col quale si proibì il passeggio, e trattenimento delle carrozze nelle strade, per le quali dovea incamminarsi la processione, e nel tempo, che dovea continuare, cioè a 5 d'Aprile dalle ore 21 in poi, e a 6 dello stesso dalle ore 13 in appresso: affine che restando libere le strade, ad ogni condizione di gente, potessero tutti essere spettatori della solennità senza veruna molestia, e impedimento.

Preparato il tutto colle prevenzioni ugualmente necessarie, e prudenti, e apparecchiato con rara splendidezza, a 5 d'Aprile si radunarono quei, che dovean comporre la prima Processione in luoghi distinti, per evitare ogni confusione, secondo le varie classi delle persone, che vi dovean concorrere.

I Titolati, e Nobili, invitati dal Sig. Principe della Cattolica, e di Roccafiorita, si unirono nel suo magnifico palazzo presso la Chiesa di S. Francesco, a' quali dalla sua generosa splendidezza furon dispensati copiosi rinfreschi.

I Fratelli della Compagnia dell'Assunta si radunarono nella Chiesa di S. Antonio della Regia Dogana.

La Congregazione della Pescagione si portò ad aspettar l'ora determinata della Processione nella vicina Chiesa della Madonna della Catena de' Padri Chierici Regolari.

I Regolari, e Cappellani delle Parrocchie si adunarono ne' tre cortili del Palazzo del S. Uffizio.

I Commissarj, Familiari, Portieri, e altri inferiori Ministri occuparono la sala grande dello stesso Palazzo.

I Qualificatori, Consultori, Avvocati, e altri Uffiziali, si congregarono nella sala del Secreto.

Circa le ore 22 uscì la solenne Processione dal Palazzo del S. Uffizio, aspettata con impazienza dal folto concorso del Popolo che a larga piena inondò il vasto piano della Marina, e 'l Cassaro, strada la più magnifica, e principale della Città. Precedettero la Processione quattro Alabardieri della guardia del Vicerè per aprir la via fra la moltitudine affollata, che occupava il piano, e la strada. Furono scelti quattro Cavalieri Familiari, Deputati dal S. Tribunale per regolar la processione, secondo l'istruzioni date loro in iscritto da' Signori Inquisitori: Essi portaron le bacchette, distinte coll'insegna del Santo Tribunale in cima; e furon D. Antonino Galletti, D. Pietro Calascibetta, D. Placido Vanni, e D. Gio: Luigi di Settimo. I primi due diedero principio alla processione; restando gli altri due a scorrer per essa, e conservarla in buon ordine, senza interrompersi, o intorbidarsi.

Seguiva un gran numero di Titolati, e Cavalieri, oltre a ducento, che conservando innestata alla nobiltà del sangue il zelo della Cattolica Religione, mostrarono nella prontezza, e pompa delle vesti, estremo godimento nell'assistere a questa solennità. Carattere proprio della Nobiltà Palermitana, manifestare somma pietà, e riverenza nelle cose che s'attengono alla S. Fede, e al Santo Uffizio. Andavano eglino alla rinfusa in varj, e successivi drappelli. In fine si presentava all'occhio il Signor D. Francesco Bonanno e del Bosco Principe della Cattolica, e di Roccafiorita, Consigliere di Stato della Cattolica Cesarea Maestà, che portava inalberato lo Stendardo Reale chiamato in idioma Spagnolo il Guione. Era questo in forma quadrata, di damasco cremesino trinato d'oro, segnato da una parte coll'armi dell'Augustissimo Monarca, e da quelle del S. Uffizio dall'altra: e in cima dell'asta splendea la Croce del S. Tribunale. Pendean da' lati due cordoncini con fiocchi di seta cremisina nell'estrema parte. Un di essi dalla destra era sostenuto dal Sig. D. Vincenzo del Bosco Principe di Belvedere, Familiare del S. Uffizio, e l'altro dal Sig. D. Ignazio Gravina Cruillas Marchese di Francofronte, pur esso Familiare. Seguiva dopo lo Stendardo altro buon numero di Nobili.

Succedea la Compagnia della Vergine Assunta numerosa di 90 Fratelli vestiti di sacco di tela bianca, mantello, e cappello azzurri. Abito proprio di detta Compagnia. Ella avvisata, che già era ora della Processione, dalla Chiesa di S. Antonio della Regia Dogana salì per la scala secreta del Palazzo, ricevuta alla porta dal sig. Capitano, e Secretarj del Tribunale, e si portò alla Cappella secreta, ove era la Croce Verde: ivi prostrati avanti l'altare in adorazione i Fratelli, si fecero sentire due Cori di scelti Musici vestiti dell'abito della Compagnia, che con flebil suono fecero il dovuto ossequio alla S. Croce. Terminato il mesto canto s'incamminò la Compagnia a proseguire la processione; lasciando presso l'altare quattro Fratelli Sacerdoti con quattro torcioni, e due altri con le bacchette, che doveano accompagnare la S. Croce. Colla stessa cortesia del Capitano, e Secretarj fu accompagnata sino al supremo tavoliere della scala maggiore, seguitando lo stendardo della Fede. Portava il Crocifisso velato in mezzo a quattro torcioni, dopo de' quali seguiva un coro di Musici, poi i Fratelli a due a due con torce accese in mano: e avanti a' Superiori altro coro di Musici.

Venivan dietro le due Congregazioni de' Fanciulli Dispersi, e degli Orfani in S. Rocco, con Croci velate, e candele accese. Indi gli ordini Regolari, che furono i Padri Cappuccini con Croce velata in numero 96. Gli Scalzi della Mercè pur con Croce velata al numero di 48. I Padri del Terz'Ordine di S. Francesco in numero 64. I Minimi di S. Francesco di Paola 30. I Carmelitani 72. Gli Agostiniani 60. Gli Osservanti di S. Francesco 64, tutti con le loro Croci velate, e velo violato da esse pendente, che chiaman, Grimpia. In ultimo i Padri Domenicani colla Croce del S. Uffizio svelata, e Grimpia d'incarnato smorto in numero 75. Tutti con religiosa modestia, e candele accese in mano seguivano le loro Croci. Dissi, che le Croci andavan velate non men perchè correa la settimana di Passione, che in riguardo alla Processione dell'Atto di Fede.

Proseguivan le pedate de' Regolari le Parrocchie colle lor Croci velate fra due accoliti, co' candelieri, e candele accese: e in oltre componeasi ognuna di esse di dodeci Cappellani, con superpelliccie in dosso, e torce accese alle mani, con quest'ordine. La Parrocchia di S. Maria di Monferrato nel Borgo di S. Lucia, di S. Margarita, di S. Giacomo la Marina, di S. Croce, di S. Ippolito, di S. Gio: li Tartari, di S. Nicolò la Calza. Non intervenne quella di S. Antonio, che presentò al Tribunale le sue scuse per antica controversia di precedenza.

Immediatamente seguiva la Congregazione della Pescagione, cui precedean quattro Cavalieri Fratelli di essa con bacchette: oltre altre quattro portate da Sacerdoti, due nel mezzo de' Fratelli, e due avanti la Croce. Nel principio si vedea il suo stendardo ricco di lama d'oro distinto coll'armi del S. Uffizio, portato dal Sig. D. Girolamo Gravina Principe di Montevago. Le due punte eran sostenute da D. Pietro Stella Barone della Merca, e da D. Filippo Stella de' Marchesi di Bonagia. Era numerosa questa Congregazione di circa 350 Fratelli, tra Nobili, Sacerdoti, Dottori, ed Artefici, che la compongono. Portava ognun de' Fratelli torcia accesa in mano, e la Croce del Tribunale pendente nel petto, secondo il privilegio nuovamente ottenuto dal S. Tribunale, come si disse. Era accompagnata dal Padre, che ad essa presiede, il P. D. Giuseppe Bonanno Chierico Regolare. Indi seguiva un coro di Musici. In fine di essa inalberava la Croce bianca svelata, insegna propria della Congregazione, l'Abbate D. Giuseppe Filingeri de' Principi di S. Flavia.

Seguivano a due, a due con torce accese in mano, e Croce in petto i Ministri, e altri del Foro del S. Uffizio col seguente ordine.

 

I Portieri del Regno, seguiti da quei della Città di Palermo.

I Familiari del Regno, e poi i Familiari di Palermo.

I Revisori Ecclesiastici de' libri del Regno, a' quali succedean quei della Città.

I Maestri Notaj Ecclesiastici del Regno, e Commissarj.

Gli Uffiziali dell'Udienza Civile del S. Uffizio.

Gli Uffiziali salariati del Fisco Regio, e dell'Udienza Civile del S. Tribunale.

Dovea seguire in appresso il D. D. Benedetto Porcaro Avvocato Fiscale: ma non intervenne, perchè sequestrato in casa da infermità.

Indi D. Michele Sesto, e Bartorotta Pro-Maestro Notajo.

D. Francesco Smarcio Procuratore della Sienda del S. Tribunale.

D. Giovanni Mondello Procuratore Fiscale.

Don Pietro Mondello Sollecitator Fiscale.

Andavano appresso i Medici salariati del Tribunale, cioè

Il D. D. Giovanni d'Orlando primo Fisico.

Il D. D. Cesare d'Orlando secondo Fisico.

Il D. D. Giovanni Calabrò Chirurgo.

 

Proseguivano gli Avvocati de' Rei([44]) nelle carceri secrete del S. Uffizio sì Ecclesiastici, come Secolari: con Croce nel petto, e altra di ricamo di seta nera, e bianca, con poco argento nel profilo, sul mantello, secondo la concessione, che nuovamente n'ebbero dal Tribunale. Questi per non isvegliare l'antica controversia di precedenza fra loro, amichevolmente s'accordarono, di andare in questa Processione mescolati, con che avesse la destra l'Ecclesiastico, la sinistra il Secolare

Succedeano i Consultori Ecclesiastici, e Secolari, e i Qualificatori: di questi in primo luogo andavan quei del Regno, seguiti dagli altri di Palermo: e fu conceduta la precedenza a quei, che si trovavano in attuale esercizio servendo il Tribunale. Fra gli Ecclesiastici, e Secolari si riaccese l'antica controversia della precedenza: ma dalla prudenza de' Signori Inquisitori fu tranquillata col seguente accordo. Decretarono, che occupasse l'ultimo, e più degno luogo il Padre Maestro Fr. Tommaso Maria Pellizza dell'Ordine de' Predicatori, Giudice Ordinario, Consultore e Qualificatore del S. Tribunale: e che andasse nel mezzo dei due più antichi Consultori, e Qualificatori, che erano il P. F. Antonio da Trapani Lettore Giubilato degli Osservanti di S. Francesco, e 'l P. Ignazio di P. Raimondo Teologo de' Mercenarj Scalzi: benchè poi il detto Giudice Ordinario non intervenne a questa processione. Avanti a questi tre fu stabilito, che andassero due Consultori Secolari, che furono il D. D. Francesco Gastone, e 'l D. D. Giuseppe Catena: e avanti a questi tutti gli altri Consultori, e Qualificatori, a due a due con torce accese. Quanto fu determinato, tanto fu eseguito: e bello era il vedere nell'unione di Essi la varietà degli Ordini, che professavano: tantochè il Religioso d'un Ordine, vedeasi accoppiato ad altro di Ordine diverso: e tutti colla Croce del S. Uffizio in ricamo sopra le lor cappe, o mantelli, come quella degli Avvocati, per nuova concessione, oltre quella, che portavano in petto.

Tutti questi Ministri, Familiari, e altri riferiti, compivano il numero di 262.

Seguiva un pieno Coro di Musici della Real Cappella di S. Pietro, che con flebile canto svegliava affetti di somma divozione.

Dietro s'incamminavano il D. D. Giuseppe Gandolfo Cappellano del S. Uffizio, col D. D. Vincenzio Torregrossa secondo Cappellano, che amendue sostenean l'uffizio di Maestri di Cerimonie: con superpelliccia, e toga dottorale.

Indi succedea come in magnifico trionfo, la Croce Verde del Santo Tribunale, velata di nero, portata dal Sacerdote D. Giuseppe Barlotta Principe di S. Giuseppe, Consultore, Qualificatore del S. Tribunale, ornato di piviale violato: ed era assistito dalla destra dal Sac. D. Carlo Pollastra in uffizio di Diacono, e dalla sinistra dal Sac. D. Federico Rossel da Subdiacono, vestiti amendue di dalmatiche violate. Andava la Croce fra quattro torcioni portati da altrettanti Fratelli Sacerdoti della Compagnia dell'Assunta, vestiti dell'abito della Compagnia: e altri due Fratelli con bacchette in mano precedean la Croce, che uscì dal Palazzo del S. Ufficio ad ore 23 e mezza.

Seguivan dietro a chiuder la processione gli Uffiziali salariati del Santo Tribunale, anch'essi con torce accese, ornati tutti a gala con ricche, e pompose vesti, seguiti da molti servi provveduti di ricche livree. Furon essi.

D. Giuseppe Peregrin Portiere di Camera straordinario del S. Uffizio, con

D. Biagio de Adiego Alcaide delle Carceri della Penitenza.

D. Girolamo Secano Nunzio del Tribunale, con

D. Francesco Tovar Portiere di Camera ordinario dello stesso Tribunale.

Si facean vedere in appresso i Ministri principali salariati del Banco del Tribunale, quali assistono in tutte le pubbliche funzioni, che si fan dal Tribunale. Fra questi doveasi luogo onorevole al D. D. Giuseppe Foresta, come Recettore del S. Uffizio: ma furono ammesse le sue scuse, per ritrovarsi in esercizio attuale, di Giudice della Regia Gran Corte. Quei, che intervennero, furono il Capitan di Fanteria D. Giovanni Giuseppe Manxe Alcaide delle Carceri Secrete, con D. Gio: Batista Gismondi Contatore di età minore.

D. Pietro Urbistondo, e Lovera Secretario del Secreto, col Barone di Portaferrata D. Pietro Gismondi Contatore Sostituto del Figlio minore.

In fine il Licenziato D. Teodoro de Lorenzo, e Navarro, già Collegiale di S. Vincenzio dell'Università di Saragoza d'Aragona, ed Esaminator Sinodale della Diocesi d'Albarrazin, ora Pro-Fiscale, e Secretario di questo Tribunale, assistito dalla destra da D. Gio: Alvarez de Valdes Secretario, e Pro-Capitano del S. Uffizio, e dalla sinistra da D. Tommaso Antonio de Laredo Secretario del Secreto.

A passo grave uscita, come dissi, la solenne Processione dal Palazzo del S. Uffizio, s'avviò per lo piano della Marina, a maraviglia inondato dalla moltitudine del popolo, che acclamava con voci di estremo compiacimento, accompagnate dagli affetti del cuore, questo pomposo, ed ammirabil Trionfo. Discesero dal loro Palazzo a piedi per accompagnare la Croce i tre Signori Inquisitori sino all'imboccatura del Caffaro, col P.M. Tommaso Maria Pellizza Consultore, Qualificatore, e Giudice Ordinario del Tribunale, che alla dottrina, di cui è altamente fornito, accoppiò l'indefessa cura d'assistere a quest'Atto. Ivi fermatasi alquanto la Croce, fu da essi profondamente adorata, e poi fecero ritorno allo stesso Palazzo, accompagnati dal detto Giudice Ordinario, e da un buon numero di Nobili, che avea invitato il Sig. D. Domenico Ventimiglia, Principe di Belmontino, Familiare del S. Uffizio, a' quali Signori furon dispensati copiosi rinfreschi in detto Palazzo.

Per lo Caffaro s'incamminò la solenne Processione: ma non può agevolmente spiegarsi il concorso della moltitudine d'ogni sesso, e condizione, che da per tutto vedeasi straordinariamente affollata. Non vi fu balcone, non fenestra di casa, o palazzo; non bottega, nè luogo di questa strada, che si stende per oltre un miglio, con rara magnificenza, che non fosse occupato da' spettatori. Parea, che tutti gli abitatori di Palermo (popolato di circa censessanta mila Cittadini) con insieme innumerevoli forestieri, si fossero radunati sì nel piano della marina, come nella strada del Caffaro a goder la pompa di questa non mai veduta processione: e non vi fu, chi non acclamasse la magnificenza, maestà, e divozione di questo singolar Trionfo della Santa Fede.

Il Vicerè vide così questa, come la seconda processione, e tutta la funzione dal Balcone preparatogli nel Palazzo Arcivescovale, insieme coll'Arcivescovo di Palermo Fr. D. Giuseppe Gasch, col Generale dell'Armi Cesaree il Baron di Zum-Jungen, e altri Cavalieri.

Arrivata la Processione alla Cattedrale, entrò nel Teatro, ove il Principe di Roccafiorita collocò lo Stendardo Reale nel fianco destro dell'Altare, in distanza di quattro palmi.

La Compagnia dell'Assunta fermò il suo Crocifisso fra' torcioni presso lo stesso Altare nel fianco sinistro: e i Fratelli si disposero in due eguali linee avanti l'Altare dall'uno, e l'altro lato, aspettando l'arrivo della Croce: e fra tanto si provvidero di nuove torce, colle quali illustrarono il Teatro.

Giunta nel Teatro la Congregazione della Pescagione, l'Abbate Filingeri colla Croce Bianca si fermò sopra la predella dell'Altare nel fianco sinistro: ma i Fratelli si ritirarono in confuso nello stesso lato sinistro dell'Altare.

I Regolari, e Parrocchie entrati nella piazza del Teatro si trattennero confusamente: quelli nel fianco destro, questi nel sinistro.

I Musici della Real Cappella si ritirarono nel ricinto loro assegnato, ove in flebil suono fecero risuonare il lor canto.

All'entrar la Croce Verde nel Teatro si spiccarono dalla testa della Compagnia quattro Fratelli colle bacchette per accoglierla; e venerata, che l'ebbero, l'accompagnarono sino all'Altare: e i due Cori di musica della Compagnia con mesto canto tributarono il loro divoto ossequio alla S. Croce. Fra tanto si collocò la Croce Verde sull'Altare colle tenere cerimonie dovute alla funzione: onde si commossero a lagrime di divozione gli astanti. Ciò seguì ad ore una della notte.

Restarono alla custodia della Croce dodici Domenicani, che si segnalarono in assistere in tutta la notte intorno alla Croce senza minimo riposo: otto Francescani dell'Osservanza, e otto Chierici Regolari Teatini, che a vicenda in tutta la notte, e mattina seguente, s'occuparono in orazione, nella recitazione di Salmi, delle Litanie maggiori, e altre divote preghiere: e così pure molti de' Fratelli della Congregazione della Pescagione, che a vicendevole veglia restarono alla venerazione della Croce: a' quali la mattina succedettero 14 Sacerdoti spediti dalla stessa Congregazione.

Collocata già la Croce Verde sull'Altare, si disciolse la Processione, onde partirono i Regolari, e Parrocchie senza ordine, sol restando la Croce, e Cappellani della Parrocchia di S. Nicolò la Calza. Ma la Compagnia dell'Assunta partì ordinatamente, trasferendosi al suo Oratorio.

La Congregazione della Pescagione anch'essa riordinatasi in forma di Processione s'incamminò fuori del Teatro, seguendo il suo stendardo; portando in fine la Croce Bianca, seguita dalla Parrocchia della Calza. Per la strada del Cassaro discese sino alle Quattro Cantonere, ove si distaccò la Croce di detta Parrocchia, per trasferirsi alla sua Chiesa. La Congregazione però ritorcendo il cammino per la Strada Nuova si avanzò sino a Porta di Vicari, accompagnata da un folto concorso di popolo, non senza lagrime di tenerissima divozione. Indi uscita fuori la porta per la strada di S. Antonino, si portò sino al piano di S. Erasimo. Ivi entrata nello steccato, fu alzata la Croce Bianca sul monte preparato, circa le ore due della notte. Restarono a custodirla molti de' Fratelli della Congregazione, che senza curar le fatiche durate nel lungo viaggio della processione, con sommo fervore, e non piccola edificazione stettero costanti tutta la notte, e 'l giorno seguente, in venerazione di essa, recitando Salmi, e altre divote preghiere.

Così terminò questo giorno non senza giubilo universale, ed estrema consolazione di quanti furono spettatori di questo Trionfo.

 

 

CAPITOLO OTTAVO.

Denunzia della Sentenza di morte a' Rei ostinati, e diligenze usate per convertirli.

 

 

Terminata la processione ad ora una di notte nel Teatro entro il piano della Cattedrale, se ne ritornò d'un subito al Palazzo del S. Uffizio il Sig. Secretario D. Tommaso Antonio de Laredo, ove era atteso da' Sig. Inquisitori. Ivi bisognò, che insieme con cinque Medici Fisici s'applicasse ad esaminar coll'ultime, ed esattissime diligenze lo stato de' due Rei, che per loro diabolica ostinazione dovean rimettersi al Braccio Secolare. Furon ritrovati, come erano stati osservati più volte per lo passato, sani di mente, ed in ottimo grado di salute: onde i cinque Medici dopo diligente squittinio, ne fecero relazione scritta, e con giuramento autenticata.

Ricevuta da' Signori Inquisitori l'attestazione de' Medici, comandaron essi allo stesso Secretario Laredo, che portandosi alle carceri secrete, ivi alla presenza di alcuni Consultori, e Qualificatori del S. Uffizio, e de' Teologi Fratelli della Compagnia dell'Assunta, eletti ad assistere a' Rei, e solleciti al maggior segno della salute eterna degl'Infelici, colla dovuta solennità s'intimasse distintamente all'uno, ed all'altra la sentenza di doversi rilasciare al Braccio Secolare, e condannarsi nel seguente giorno ad essere bruciati vivi in pena della loro ostinazione.

Eseguì l'incombenza il Secretario, con pari zelo, e spirito cattolico ad ore tre della notte: denunziando all'uno, e all'altra la esecuzione della sentenza, e a F. Romualdo così disse: Fra Romualdo di S. Agostino. Sappi che io son D. Tommaso Antonio de Laredo Secretario di questo nostro Ss. Tribunale, e vengo per ordine suo ad intimarti, che dimane sarai portato ad uno Spettacolo pubblico, dove si leggeranno i meriti del tuo processo, e per li tuoi gravissimi delitti contro la nostra S. Fede Cattolica Romana; ti si fulminerà la sentenza che hai avuto dal Nostro Ss. Tribunale, la quale consiste, che tu sarai rilasciato alla Giustizia Secolare per Eretico impenitente: relasso, acciocchè eseguisca in te le pene disposte dai Sacri Canoni, Bolle Pontificie, leggi, e stile del S. Uffizio, che per ciò attendi a salvarti l'anima. Con simile formola fu intimata pur la sentenza a Suor Geltruda dallo stesso Secretario.

Ma questi lampi della Giustizia vendicatrice, valevoli a sbigottire qualsivoglia petto fornito d'intrepidezza, non partorirono minimo segno di terrore negli ostinati cuori de' miscredenti: anzi allora si manifestarono vie più pertinaci. La ostinazione nel male gli avea resi insensibili ad ogni denunzia di terrore; e all'avviso della soprastante morte, egualmente infame e spaventevole, si fecero conoscere inflessibili. È proprio carattere d'un cuor duro non temere nè minacce, nè castighi, secondo va descritto da S. Bernardo([45]): Quid ergo cor durum? Ipsum est quod nec compuctione scinditur, nec pietate mollitur, nec movetur precibus, minis non cedit, flagellis duratur. Ingratum ad beneficia est, impavidum ad pericola, inhumanum ad humana, temerarium ad divina, preteritorum obliviscens, praesentia negligens, futura non providens: e in fine, ipsum est quod nec Deum timet, nec hominem reveretur. Quindi al Secretario Laredo gli convenne ritornarsene altamente sconsolato per osservare una tanta durezza in quelle ultime ore della lor vita, che gli facean credere disperato il lor ravvedimento.

Furon dunque lasciati in mano de' Teologi Fratelli della Compagnia dell'Assunta, la quale dopo la Processione ritornata appena al suo Oratorio, sollecita dell'anima di quegli Infelici ingannati, d'un subito spedì tutti e dodici i suoi Teologi, affine, che nella notte vicendevolmente s'affaticassero intorno a' pertinaci per riportarne la sospirata conversione. E ancorchè alcuni di essi disperando il lor ravvedimento gli abbandonassero, altri però perseveraron costanti in tutta la notte. Duraron essi straordinaria fatica per ridurli in buon senno, ma parlavano a sordi o per meglio dire a chi non volea aprir l'orecchio alla verità. Applicarono ragioni, sparsero in abbondanza preghiere, e lagrime, per commovere la loro ostinazione: ma era vilipeso quanto lor suggeriva la carità de' zelanti Sacerdoti, cui acerbamente feriva il cuore la perdita di quell'anime.

A Suor Geltrude fu fatta promessa della vita se si pentisse: ma non volle accettarne l'offerta: e vantandosi essere impeccabile, fu pregata che almeno dicesse: in caso che io vi avessi offeso mio Dio, vi domando perdono. Ma non fu possibile il tirarla a tanto: sol dicendo essere innocente. Fra Romualdo verso l'alba disse a' Sacerdoti assistenti: vi è qualche riparo per me? Sì, risposero prontamente i Teologi: e cominciarono a persuaderlo al pentimento de' suoi errori: ma fu momentanea la sua commozione; poichè d'un subito ricadde nella sua ostinazione: ed anzi con uno, che gli pose avanti gli occhi la vergogna, e la pena di esser bruciato vivo, non lasciò di vantarsi l'Infelice ingannato, che se moriva bruciato, nel giorno appresso sarebbe apparso sopra un carro trionfale, in vista di tutti nel centro della Città: e che così avverrebbe a Suor Geltruda.

 

 

CAPITOLO NONO.

Seconda Processione a' 6 Aprile 1724.

 

 

Appena spuntò il seguente giorno 6 Aprile, che a truppe si spinse il Popolo ad occupare i luoghi, per li quali dovea ripassare la processione. Prevedendo la prudenza degl'Inquisitori la moltitudine, che avrebbe potuto accorrere ad occupare il Teatro, elesse i Sig. D. Giuseppe Termine, D. Domenico Achates, e Guiglia Barone di Mondello, e D. Giulio Cesare Caldarera Barone della Menta, Cavalieri Familiari del S. Uffizio, che assistiti da alcuni Alabardieri della guardia del Vicerè, e altri del foro del Santo Uffizio avessero la cura del Teatro, affine di non farvi entrare persona alcuna avanti il tempo prefisso, e tenerlo libero d'ogni impedimento. Ma non potè esser tale la vigilanza, che non vi fossero molti spinti dall'ansietà di trovarsi spettatori della funzione, che furtivamente non si insinuassero nel Teatro ad occupar luogo opportuno; sino a farsi strada per sopra i tetti dei Palchi.

Non dee qui passarsi sotto silenzio la divozione mostrata dal Popolo in questa mattina; poichè accorrendo molti al piano di S. Erasimo, con sentimenti di cristiana, e straordinaria pietà, si portarono ad adorare, e baciare riverentemente la S. Croce, ivi inalzata entro lo steccato: e fu tale la divozione mostrata, che intenerì quanti vi si trovaron presenti.

Nella Cattedrale si cantò a voce bassa, e a porte chiuse il Mattutino ed Ore Canoniche: e nè in essa nè in altra Chiesa si cantò Messa solenne in questo giorno.

Si radunarono quei, che doveano intervenire alla seconda Processione negli stessi luoghi del giorno precedente: se non che in questa seconda processione i Portieri, con un buon numero de' Fratelli della Congregazione della Pescagione, che doveano assistere in guardia de' Rei, si radunarono nel piccol cortile presso il giardino dell'Alcaide. Gli Alabardieri nel cortile grande. I Cavalieri che doveano accompagnare l'Alcaide a cavallo furono dallo stesso accolti nella propria casa; a' quali fu dispensato copioso rinfresco: e i lor cavalli si trattennero nel piano vicino. I cavalli de' Titolati, e Nobili per l'accompagnamento de' Sig. Inquisitori, e del Capitano del S. Uffizio, aspettarono ivi intorno e nel cortile grande. Quei de' Consultori, e Qualificatori, e altri Ministri, nel cortile del terzo Inquisitore.

Furono destinati a ben regolare la cavalcata li Sig. D. Emmanuele Vanni Marchese di S. Leonardo, e D. Michele Busacca Barone del Corbo.

In ora opportuna il Senato, senza toga, co' suoi Uffiziali partitosi dal palazzo Pretoriano nelle proprie carrozze si portò al palazzo del Sig. D. Lucio Dente Principe di Castellazzo nel piano della Marina, da cui vide passar la processione, finchè venne l'ora della cavalcata: e allora cavalcando in detto palazzo, passò a quello del S. Uffizio.

Circa le ore quindeci si diede principio alla processione, cominciata dal palazzo del S. Uffizio. Precedettero quattro Alabardieri della guardia del Vicerè, che a viva forza bisognò, che aprissero angusta strada fra l'addensata moltitudine per potervi passare la processione. Indi i due Cavalieri Familiari Deputati del giorno antecedente furono in capo alla processione colle bacchette del S. Uffizio per guidarla. Seguiva la Compagnia dell'Assunta col Crocifisso velato, in mezzo a quattro torcioni accesi: ma gli altri Fratelli, oltre a cento, senza torce.

Indi coll'ordine della prima processione, seguivan le due Congregazioni degli Spersi, ed Orfani, e gli Ordini Regolari, colle Croci velate, e grimpie di color nero: a riserva de' Padri Domenicani, che andarono con Croce svelata, e Grimpia di cremesino smorto: tutti senza lume. Le Parrocchie altresì e senza torce, e colle Croci velate di nero.

Succedea il Capitan di Fanteria D. Giovanni Giuseppe Monxe Alcaide delle Carceri secrete del S. Tribunale, a cavallo, accompagnato dalla comitiva di altri venti Cavalieri Spagnuoli, tutti a cavallo, ornati di superbe gale, e co' cavalli fregiati di gualdrappine ricamate d'oro, ed argento.

Veniva dietro la Congregazione della Pescagione numerosa più del giorno precedente, perchè montò il suo numero a 500, eccettine alcuni restati nel piano di Santo Erasimo in custodia della Croce Bianca. Seguivano essi il loro stendardo verde portato dallo stesso Principe di Montevago, come nella prima processione. Non portavan torce, ma andavano armati in custodia de' Rei. Avanti a' Delinquenti si vedevan due Fratelli della Compagnia con le bacchette in mano; indi le persone processate in numero di ventotto, ad una ad una, con abito giallo([46]), e candela di cera gialla estinta in mano. Ognuna di esse andava in mezzo a due de' Fratelli della Congregazione, e due Portieri del S. Uffizio, che si tenean poco dietro, e in poca distanza di detti Congregati. Alcuni dei Rei eran distinti con vergognose mitre sul capo, nelle quali erano rozzamente dipinte l'enormità commesse. Erano in ultimo luogo i due Pertinaci, che dovean rilasciarsi al braccio secolare, con gli abiti del loro Ordine, e sopraveste intonacata di pece, dipinta a fiamme, e con mitre vituperose pur delineate con fiamme. Erano essi assistiti da' Fratelli Teologi della Compagnia, che mostraron le più fervide prove del loro zelo, ed eloquenza cristiana, per farli ravvedere delle loro enormità. Quindi a F. Romualdo dalle carceri del S. Uffizio sino alle Quattro Cantonere furon di continuo assistenti, vestiti coll'abito della Compagnia, D. Francesco Coos, el P. D. Michelangelo Allò. Dalle Quattro Cantonere sino al Teatro il Canonico D. Paolo Cinnisi, e D. Francesco Galati. Intorno a Suor Geltruda s'affaticarono dal Palazzo del S. Uffizio sino alle Quattro Cantonere D. Agostino Cantò e D. Niccolò Bonnano: e dalle Quattro Cantonere sino al Teatro D. Pietro S. Anna, e D. Gio: Battista Ingoglia, anch'essi Fratelli della Compagnia vestiti di sacco.

Dietro seguiva il Secretario D. Giovanni Alvarez de Valdes Pro-Capitano del S. Uffizio, a cavallo, con in mano la verga, insegna della Giustizia del S. Tribunale, riccamente vestito, e armato di pistole. Gli andava a fianco D. Pietro di Napoli, e Bellacera Principe di Monteleone, e Familiare del S. Uffizio, che si prese la cura d'invitare i Cavalieri per la cavalcata, che seguiva in appresso numerosa di oltre 80 Titolati, e Nobili a due a due, in abito splendidamente ricco.

Ai Nobili succedean pure a cavallo gli altri Uffiziali, e Ministri sì Secolari, come Ecclesiastici, i primi con cavalli ornati di gualdrappe nere di velluto, panno, o saja. Furon questi i Familiari del Regno, seguiti da' Familiari della Città di Palermo. Indi gli Ecclesiastici Revisori di libri del Regno, e in appresso quei di Palermo. Dapoi i Maestri Notai, Ecclesiastici, del Regno, e Commissarj. Gli Uffiziali dell'Udienza Civile, gli Uffiziali salariati del Fisco Regio, e poi i Medici del Tribunale con gualdrappe nere.

Succedeano i Tamburi, e Atabali del Senato con giubbe rosse, e cavalli con gualdrappe di panno rosso: indi le Trombe, e Piffare con giamberghe rosse, e cavalli con gualdrappine ben addobbate: e i Contestabili dello stesso Senato con mantelli neri di seta, e bastonetti in mano con l'Aquila in cima, insegna lor propria, sopra cavalli fregiati di gualdrappine di vario colore.

Seguivano gli Avvocati dei Rei sì Ecclesiastici, come Secolari. Questi andaron nella prima processione della sera precedente a due a due, occupando la destra l'Ecclesiastico, e la sinistra il Secolare: in questa cavalcata, poichè eran quattro Secolari, e sette Ecclesiastici osservarono quest'ordine. Andaron prima due Ecclesiastici: indi un Ecclesiastico alla destra, e un Secolare alla sinistra: seguirono due altri Ecclesiastici: poi un Ecclesiastico, e un Secolare: chiudeano il numero due Secolari con in mezzo un Ecclesiastico. I nomi di essi furono i seguenti:

Il Sacerdote D. D. Francesco Zuaro, e Sacerdote D. D. Gaspare Mancini.

D. D. Giuseppe Manfrè e D. D. Gio: Battista Cozzo.

Sac. D. D. Benedetto Famularo, e Sac D. D. Giuseppe Pollice.

Sac. D. D. Giacomo Ragusa, e D. D. Benedetto Barone.

D. D. Mario la Rosa, Sac. D. D. Gaetano Barone, e D. D. Benedetto Patti.

Altri avvocati, che ritenuti da indisposizioni non cavalcarono, non lasciarono di assistere nel Palco, e furono il D. D. Giacomo Porcari, D. D. Antonino Arena, D. D. Andrea Noto, e D. D. Giovanni di Francisci.

Seguirono appresso collo stesso ordine della sera precedente i Consultori, e Qualificatori del Tribunale in numero di circa 50 di varj Ordini Regolari tutti a cavallo, e con grave portamento, convenevole non meno al loro uffizio, che all'istituto, che professavano: con mule ornate per lo più di gualdrappine di velluto nero. Nell'ultimo luogo di essi andò il P. M. Tommaso Maria Pellizza, Domenicano, Giudice Ordinario, Consultore, e Qualificatore del S. Uffizio.

Apparivano appresso gli Uffiziali salariati del Tribunale, ed eran l'Alfiere di fanteria D. Emmanuele Aguaron Ajutante dell'Alcaide delle carceri secrete, coll'Alfiere di cavalleria D. Giovanni Teivela Provveditore di dette Carceri. D. Biagio Perez de Adiego Alcaide delle carceri della Penitenza, con D. Giuseppe Peregrin Portier di Camera. D. Girolamo Secano Nunzio del Tribunale, con D. Francesco Tovar Portier di Camera del Tribunale, che portò sopra il suo cavallo una cassettina, foderata di velluto cremisino, in cui si chiudeano i processi de' Rei.

Eran questi seguiti da' due Cappellani del Tribunale: e immediatamente succedea il Licenziato D. Teodoro de Lorenzo e Navarro Secretario del Secreto, con carattere di Pro-Fiscale portando lo stendardo del Trionfo della Santa Fede di damasco cremisino ornato di fregi d'oro, e fiocchi pendenti di seta cremisina, ed oro, coll'arme della Santa Chiesa da una parte, e della Cesarea Maestà dall'altra, e Crocifisso d'argento in cima all'asta. La punta destra era portata da D. Tommaso Antonio de Laredo Secretario delle sentenze; e la sinistra da D. Pietro Urbisiondo e Lovera Secretario del secreto.

Venivan dietro il Barone di Porta Ferrata E. Pietro Gismondi Contatore Sostituto, con suo figlio D. Gio: Battista Gismondi minore, e Contatore proprietario. Tutti questi Uffiziali vestiti a gala, e con cavalli ornati con pomposi arredi, accrescevano la magnificenza della Cavalcata: a riserva degli Ecclesiastici, che osservarono le leggi della modestia, secondo il loro grado.

Seguivan dietro i Mazzieri del Senato D. Francesco Perino, e D. Antonino Sapone con vesti nere, sopra cavalli fregiati di gualdrappe, di drappo messo ad oro, e colle mazze inalberate.

Chiudean la Cavalcata gl'Ill. Inquisitori un dietro l'altro. Il primo di essi Monsig. D. Giovanni Ferrer in mezzo al Sig. D. Francesco Bonanno Principe della Cattolica, e Roccafiorita dalla destra, e al Sig. D. Federico di Napoli, e Barresi, Principe di Ressuttano, Pretore, dalla sinistra. Il secondo inquisitore Monsig. D. Giuseppe de Luzano e Guasso in mezzo al Sig. D. Vincenzio del Bosco, Principe di Belvedere, e a D. Niccolò Vincenzio di Napoli Senatore, Priore. Il terzo Inquisitore Mons. D. Biagio Antonio de Oloriz fra il Sig. D. Ignazio Gravina Cruillas Marchese di Francofonte, e D. Marc'Antonio Vanni Senatore: fiancheggiati tutti e tre dagli Alabardieri della Guardia del Vicerè. Cavalcarono gli Inquisitori sopra mule bianche ornate di gualdrappe di velluto nero, con cappelli fregiati di cordon nero in testa: e Croce in ricamo d'oro, ed argento nel mantello: oltre quella pendente in petto: e col grave portamento, e sontuoso corteggio s'accrebbe mirabilmente la maestà del S. Tribunale, e la di lui venerazione in tutti. I Titolati, e Senatori, che andarono a' fianchi degli Inquisitori andarono vestiti senza gale, sopra cavalli ornati di gualdrappe di velluto nero: e così gli altri Senatori, che andaron dietro gl'Inquisitori, che furono D. Domenico Garsia, e Vanni, D. Giacinto Ventimiglia, e D. Giovanni Pizzarro. Mancò fra essi D. Giovanni Alvarez de Valdes, perchè occupato coll'uffizio di Pro-Capitano del Tribunale. Seguirono dietro i Senatori gli Uffiziali Nobili del Senato, anch'essi su ben addobbati cavalli, e vestiti a pompa, che furono D. Giovanni Maurici Regio Maestro Notajo del Senato, D. Giuseppe la Placa Sindaco, D. Baldassare Filingeri Maestro Razionale, D. Giovanni Zappino Conservatore dell'Armi, D. Coriolano Fardella Archivario, D. Luigi del Castillo Marammero, e D. Luigi Filippo di Settimo Governadore, Magaziniero. Tra questi mancarono D. Giovan Luigi di Settimo Tesorero, poichè ebbe l'incombenza di portar la bacchetta, per conservar nel dovuto ordine la Processione: e l'Abbate D. D. Pietro Vitale Segretario: ma questi intervenne poi nel Palco del Senato. In ultimo andarono D. Giuseppe Immastiani Capitano dell'Ambasciate, e D. Antonio Intermaggio, Capitano delle Torri. Seguivano in appresso la carrozza più ricca a sei cavalli del Vicerè per gl'Inquisitori, poi le altre de' Titolati, e Senato.

Se la curiosità tirò sin dalla mattina il concorso della gente nel piano della Marina, e nel Cassaro, molto più a maraviglia si accrebbe quando fu il tempo di passar la processione, e cavalcata. Fu così folta la moltitudine, che s'affollò intorno a' Rei, che impediva alla libertà degli occhi, anche poco distanti, il poterli vedere: e poco giovò l'alzamento di varj palchi in diverse parti del Cassaro, per poterli con più agevolezza osservare.

Coll'ordine descritto s'incamminò la processione, e cavalcata per lo piano della Marina, e Cassaro. Entrata la Compagnia nel Teatro, occupò i sedili assegnati a fianco sinistro dell'Altare. La Congregazione fissò il suo Stendardo Verde a' pié del Catafalco de' Rei dalla parte sinistra. I Regolari, e Parrocchie arrivati alla porta del Teatro, per non ingombrar la piazza colla moltitudine, partirono senza entrare, secondo l'ordine, che n'ebbero prima. Solo entrò, e perseverò sino alla fine la Croce della Parrocchia di S. Niccolò la Calza.

In fronte al palco degl'Inquisitori si assisero nel loro infame palco, a far vituperevole spettacolo i Rei: e in cima di esso i due Ostinati. Eran custoditi dall'uno, e l'altro fianco da' Fratelli della Congregazione della Pescagione, restati sul pavimento del Teatro a riposarsi in alcuni sedili ivi preparati in più ordini, occupando dal destro lato canne 10. e dal sinistro canne 9. in lunghezza. Solo salirono sul palco alcuni de' Portieri.

Gli altri Ministri, ed Uffiziali, che venivano a cavallo, smontati avanti la porta del Palazzo Arcivescovile, ognun di loro andò ad occupare il luogo assegnato, secondo il proprio ministero, ed uffizio. I due Cappellani del Secreto si assisero in due panche, che si collocarono a piè de' scalini del Solio de' Signori Inquisitori.

Gli Inquisitori, e Titolati, che l'aveano accompagnato, come pure l'Eccellentiss. Senato, co' suoi Uffiziali, smontarono avanti la porta settentrionale della Cattedrale, che guarda il Monastero, detto la Badia Nuova, ed entrarono nella Chiesa, ove si licenziarono i Titolati dagl'Inquisitori, e dal Senato. Ma gl'Inquisitori, deposti i Cappelli, e pigliata la berretta Ecclesiastica, accompagnati dallo stesso Senato si portarono all'adorazione della SS. Eucaristia, e poi delle Reliquie di S. Rosalia nella sua Cappella. Indi usciti dalla porta meridionale, avanti a cui sorgeva il Teatro, per la scala secreta, che guidava al palco degl'Inquisitori, salirono unitamente: e arrivati a piè de' scalini del Solio degl'Inquisitori, questi licenziatisi dal Senato, che si ritirò al suo Palco, si assisero nel loro trono. Nella punta sinistra del Palco degl'istessi Inquisitori s'allogò il Sig. D. Teodoro de Lorenzo Secretario, e allora in uffizio di Pro-Fiscale, ove si fissò lo stendardo, da lui portato nella Cavalcata. La Corte del Capitano Giustiziero anch'essa in questo tempo si portò nel suo palco particolare. Gran numero di Nobili restarono ad essere spettatori delle funzioni nel pavimento del Teatro, accomodati in alcune panche particolari ivi in buon ordine disposte: e in questo, e in tutto il tempo appresso, che durarono gli esercizj entro il Teatro, è inesplicabile il concorso della gente, che si affollò per godere, quanto ivi maneggiavasi. Non solo si riempì la piazza del Teatro, il piano intorno, e la strada che frammezzasi tra il piano, e 'l Palazzo Arcivescovile: ma anche i tetti de' palchi, e delle Case, e Palazzi vicini; e tutti i luoghi, da' quali potesse discoprirsi o in parte il Teatro, si riempirono di gente, che senza curare gli ardori del Sole, volle partecipare della funzione.

Devo qui con distinzione notare, ciò che di passo ho accennato, che i Signori Inquisitori, oltre la Croce del S. Uffizio, che portavan pendente dal collo in petto, altra in forma maggiore ne portarono nel mantello, lavorata a ricamo d'oro, ed argento; a distinzione di quella, che portarono pur nel mantello, oltre quella del petto, i Portieri Secreti, Alcaide della Penitenza, Nunzio, Avvocati, Consultori, Qualificatori, e Secretarj, la quale era di forma minore, ricamata di seta nera, e bianca, con poco argento nel profilo. Concessione nuovamente a loro compartita in questa solennità, e con licenza di portarla così in appresso nelle solennità maggiori della Chiesa.

 

 

CAPITOLO DECIMO

Predica, e Lettura de' Processi.

 

 

Assisi tutti ne' luoghi assegnati, ad ore diciassette, e un quarto, salì sul Pulpito, situato nella punta sinistra del passetto a pié del palco de' Rei, il P. Maestro Pietro Antonio Majorana Domenicano, che con quell'eloquenza, di cui è singolarmente fornito, a dispetto della moltitudine sterminata, che co' strepiti della lingua impediva le soddisfazioni dell'orecchio, si fece ben udire, e fece conoscer, quanto fosse meritevole d'applauso la sua Orazione. Ma poichè non fu a tutti permesso di goderla, qui a comun benefizio s'aggiunge.

 

IL GIUDIZIO UNIVERSALE

 

RAPPRESENTATO

 

DALLA S. INQUISIZIONE

 

DEL REGNO DI SICILIA

 

DISCORSO

 

DEL P. MAESTRO F. PIETRO ANTONIO MAJORANA

 

DELL'ORDINE DE' PREDICATORI

 

QUALIFICATORE, E CONSULTORE DEL S. UFFIZIO.

 

Timete Dominum, et date illi honorem, quia venit hora Judicii ejus.

 

Così appunto esclamava, volando in mezzo al Cielo col libro dell'Evangelio eterno alla mano, e con questi fulmini su le labbra, espressivi del Divino Giudizio, quel famoso Paraninfo, che fu veduto, ed ascoltato dall'Evangelista Giovanni nella sua Apocalisse al quartodecimo. Così bene spesso dava principio alle sue fervorosissime Prediche il Grande Apostolo di Valenza, il mio Ferrerio, di cui celebrammo jeri il dì festivo, e si comincia quest'oggi il solenne Ottavario; ed esprimeva egli cotanto al vivo i funerali vicini del Mondo, gli sconcerti della Natura, e le catastrofi del finale giorno degli Uomini, che in Tolosa più di trentamila Uditori, percossi dalle di lui minacce, non meno, che contriti di cuore, stramazzarono a terra. E così parimente ho io risoluto sta mane, di voler intraprendere, ad esempio di due Angeli Apocalistici, il mio presente discorso; affinchè dove manca lo spirito, e l'efficacia al mio dire, supplir potesse l'enfasi, e l'energia di un Tema tanto canonizzato, e tanto celebre, nella Terra, e nel cielo, tra gli Angioli, e gli Uomini: Timete Dominum, et date illi honorem, quia venit hora Judicii ejus. Ma con quale delli due Divini Giudizj, consigliereste, o Signori, essere più proprio, e più adatto il paragone del nostro Atto Generale di Fede? Coll'uno, che fu eseguito nel Cielo a motivo del peccato degli Angioli; o coll'altro, che sarà per praticarsi quì in Terra sul termine de' giorni, e delle colpe degli Uomini? Con quello, che venne ordinato dal Giudice supremo sul bel principio della Creazione del Mondo, quando creavit Deus, o come legge l'Ebreo, creavit Judex Cælum et Terram; o con quell'altro, che doverà egli fare sul fine tanto temuto del Mondo stesso? Cum venerit judicare sæculum per ignem? Voi ben sapete Uditori, che ne pure fu libero dalli disturbi, e dalle dissensioni l'Empireo; e che in quel vasto Regno, ove l'Eterno Iddio stabilì con decreto inviolabile la Religione, e la Pace, udironsi una volta temerarj sconcerti di perfide apostasie, di ribellioni superbe: Super astra Dei exaltabo solium meum; similis ero Altissimo: ma ben sapete ancora, come in un solo istante, secondo il parere comune de' Teologi, fu compilato, e finito tutto il Processo dell'Angelica causa; tantochè senza dilazione veruna, dopo quella misteriosa inquisizione: Quis ut Deus?, non più, che in un momento restò sentenziato Lucifero, e con tutti i suoi seguaci precipitato nell'Abisso. Non potrà dunque paragonarsi ad un tal Fatto giudiziale degli Angioli il pio modo di procedere del nostro Santissimo Tribunal della Fede, che addottrinato nella Scuola de' Divini Giudizj sopra degli Uomini, e senza mai disunire dalla Pietà la Giustizia aspetta per tempi, e tempi la sospirata conversione de' suoi colpevoli. Quindi piacciavi meglio, che io mi accinga a dimostrarvi su la gran tela del presente Spettacolo, disposto per gloria della Fede con sommo Zelo, e con tanta magnificenza per comune benefizio dell'anime, un mezzano Disegno, o sia un abbozzo informe del Finale Giudizio del Mondo: acciò dalla memoria spaventevole dell'Originale, benchè lontano, e dalla viva rappresentanza del disegno agli occhi nostri vicino, resti sempre più avvivata ne' nostri petti la Religione, e la Fede; e si risvegli ne' cuori di quei miseri disgraziati la Penitenza, e 'l dolore.

Date orecchio alla Fede, che parla, ed introdotta ancor essa, come la più interessata di tutti gli altri, in questo luogo, a vista di quell'orrido Palco a tanti Rei di violata Religione preparato, sfogar volendo le sue alte querele, in questi accenti prorompe. Povera me sconsolata a che avvenni! E dove sono quelli propizj tempi, quando col favellare di poche lingue Apostoliche soggettai al mio cenno Popoli innumerabili, scrissi senza contraddizione veruna in fronte a' loro Principi, e Potentati le mie leggi adorate; e santamente audace piegai gl'imperiali diademi per iscabello al mio piede? Io, che ne' primi lustri della Chiesa nascente, sotto il comando del Principe degli Apostoli, e per mezzo de' suoi fidi Ministri spediti a santificar questo Regno, comparvi un banco aperto di miracoli, e spedii senza numero le tratte di buona corrispondenza fra la Terra, e il Cielo; oggi sono divenuta ne' cuori di quei Miseri sospettosi, e miscredenti screditata, e raminga; quasi fosse fallito tutto il pregiabile de' miei nascosti tesori. Provai bambina, mercè la Nave Apostolica, in questa Città tutta Porto, non meno che nel Mare di Tiberiade fra le tempeste la calma: or che provetta io sono, mi veggo esposta a tanti incontri, e pericoli di durissimi scogli, quante sono quell'anime, che vivono insassite nell'ostinazione di offendermi. Del mio onore in difesa, avanzò il piede fin dentro le divampanti fornaci di quest'Isola del Sole una calca di Eroi: per conservarmi in vita, stuzzicarono delle fiere il dente, de' Manigoldi il ferro le più delicate Donzelle; e sino col sangue innocente delle Ulive, delle Agate, delle Lucie porto inostrate, ad onta dell'Infedeltà, le mie porpore: ora son costretta richiamare dal cuore alle pupille le lagrime, giacchè mi vedo sì malamente ridotta, anzichè vilipesa, e schernita da tanti Prodighi Figli, più tosto della scigura, che miei.

Ma interrompete di grazia (o miei cari Ascoltanti) in bocca alla Fede addolorata le querele intraprese; mentre già è arrivato quel giorno, che per essere destinato alle giuste vendette degli accennati oltraggi, e delle ingiurie riferite, potrà con franchezza chiamarsi per tutti i secoli da venire: Dies ultionum. Giorno molto simile a quello delle Sagre Pagine per tante, e tante volte preveduto, nonchè descritto con tutta l'enfasi dello spavento del Profeta Gioele; e perciò meritevole di quel medesimo laconismo di terrori, compendiati in questa brevissima espressione del mentovato Profeta: Dies Domini magnus, et terribilis. Giorno preconizzato dalle trombe sonore di questo fedelissimo Pubblico divenute foriere dei trionfi, e delle vittorie di nostra Fede: Hæc est victoria quæ vincit Mundum Fides nostra: poichè sottentrando all'Uffizio di quegli Angelici oricalchi, che promulgheranno l'ultimo giorno del Mondo; parmi, che dappertutto intuonassero quelle spaventevoli voci, udite già una volta sin nella Palestina con terrore indicibile da Girolamo il Santo: Surgite mortui, venite ad Judicium.

Su via dunque, a Voi parlo o miseri Delinquenti, che con le vostre pessime operazioni, e con detti apostatici avete dato l'esilio al Santo timor di Dio dalli vostri petti; avete tolto l'onore, e la venerazione dovuta alla Religione, ed alla Fede, Surgite; ed o che siate morti alla grazia, ed incadaveriti nelle colpe; o che siate vivi all'infedeltà, e membra putride del Cattolico Corpo; Surgite, venite ad Judicium. A Voi dico, o Nemici giurati del Signore, perchè collegati col Principe delle tenebre suo Caporibelle; Professori di quelle Arti superstiziose, e diaboliche, che Sortileghe si appellano; Dispensatori di tante polizze false scritte con cifre, e caratteri incogniti; di Orazioni apocrife, ripiene di bugiarde promesse; d'acque, di cere, di Croci, di Reliquie, sempre accoppiate con parole vane, o circostanze vanissime. Surgite: e come non vi spaventa, Infelici, il solo riflettere, che avete tenuta la pace, anzi la corrispondenza, ed il commercio col più fiero Nemico dell'Uman Genere; e che per mezzo de' vostri infami patti, o espressi, o taciti, con esso lui stabiliti, ve l'ntendeste amichevolmente con le Furie dell'Abisso ne' vostri affari più considerabili, ad onta di quell'amorevole divieto fatto dall'Apostolo a' Corintj. Nolo Vos socios fieri demoniorum.

Surgite, et venite ad Judicium. Voi, empj bestemmiatori; (ed oh potessi io conformarmi allo stile antico delle Sacre Bibbie, tralasciando la congiuntura, nonchè la necessità di nominarvi.) Voi, che scordati affatto delli vostri doveri, dispregiaste quel Sale di Sapienza postovi in bocca da' Ministri della Chiesa prima del Battesimo, per farvi intendere, che le vostre lingue esser doveano tutte dedite alle lodi del Creatore, e consagrate al suo culto, Surgite: e come non vi atterrisce, o Indegni, l'intendere, che vi siete acquistati l'abominevole tirolo di Figlioli del Demonio: Vos ex patre Diabolo estis? E come nò, se diveniste peggiori de' Demonj stessi? poichè se questi bestemmiano a Iddio, ciò fanno solamente col cuore; sento dire, colle loro intellettuali potenze; ma Voi lo bestemmiaste col cuore, e colla bocca, e forse ancora colle mani sacrileghe nello strapazzo irriverente delle sacrate Immagini. Bestemmiano quelli contro Iddio, mentre egli da Giudice severo li punisce, e li flagella con le pene acerbissime degli ergastoli sempiterni; ma Voi ingrati lo bestemmiaste nel tempo stesso, in cui egli da Padre benefico vi accarezzava, e nodriva.

Surgite, et venite ad Judicium, Voi, mostri orrendi di Eretica pravità, che sopra fondamenta di fango vilissimo, e con metalli eterogenei di false dottrine, ergeste un'altra volta la statua fantastica da Nabucco sognata. Volpi astutissime di Salomone, che appiattate nella vigna del Signore, tentaste disertarla con i vostri errori nascosti: Serpenti velenosi scappati dal covile di quel prodigioso lenzuolo dato a divedere all'Apostolo San Pietro, Surgite; e come non vi confonde o Superbi il solo pensare, che siete abominati dagli Uomini, abborriti dagli Angioli, odiati da Iddio? e tutto ciò, perchè ardiste Temerarj porre la lingua nel Cielo delle Verità Cattoliche, e contraddire li sagri Dogmi da un Dio sempre infallibile promulgati: perchè tentaste lacerare nella bella unità della Fede, la veste inconsutile del Redentore, e squarciare in mille pezzi il Velo adorabile del Santuario; Surgite, et venite ad Judicium.

Piacesse al Cielo, Uditori, che le mie voci, e queste intime giudiziali, fatte già su l'idea dell'ultimo giorno del Mondo, producessero negli animi di tutti quelli delinquenti il buono effetto, che ne pretende la Chiesa. Volesse Iddio, che il nostro Zelo, conforme rimane in buona parte appagato dal vedere coll'insegne di penitenti il numero maggiore di quei Colpevoli; così restasse appieno soddisfatto da una mutazione istantanea, o dal pronto ravvedimento di que' due miserabili, che tutta via protervi, ed ostinati ne' loro errori, persistono. Oh se la durezza della loro protervia cedesse pure una volta alle soavissime attrattive della Divina Grazia, che con mille modi, e maniere imperscrutabili li chiama al pentimento, ed a sufficienza a sé gl'invita. Oh se prevalesse a rischiarare l'oscurità di quelle menti ottenebrate il lume di quel fuoco temporale, che lor sovrasta, o di quel fulmine di maledizioni eterne, che dalla bocca Divina pende su i loro capi: Ite maledicti in ignem æternum, qui paratus est Diabolo, et Angelis ejus.

Io mi ricordo aver letto del mio glorioso San Vincenzio, che incontratosi una volta nella Città di Zamora con due Uomini facinorosi, i quali convinti di nefande ribalderie, ma non già compunti di cuore, erano condotti da' Ministri di Giustizia al finale supplizio del fuoco; mosso il Santo a compassione di quelle anime, che ravvisava vicino al precipizio eterno; comandò a quegli Uffiziali di Corte, che si fermassero; poscia con un discorso ripieno di santo zelo, e di efficacia in tal maniera li compunse, che, accesa ne' petti loro una vivissima fiamma di contrizione, fè, che alla vista di un Popolo stupefatto si disfacessero in due mucchi di cenere i loro corpi, nel tempo istesso, che le loro anime gloriose sen volarono al Cielo.

Oh se toccasse a me almeno per momenti, una simile virtù nel discorrervi! Oh se toccasse a Voi, o Pertinaci, una sì bella sorte nell'udirmi; quanto ne goderebbe il mio spirito, e col mio spirito la Cattolica Fede! E d'onde sì scioccamente perversi, che potendo fra poche ore battere con agevolezza il sentiero felicissimo dell'Empireo, vogliate correre a passi di Giganti per la via dell'Abisso? potendo in un istante far passaggio da queste pene temporali, agli eterni contenti, vogliate barattare questi, per un vano capriccio di credenza fantastica? Sento per Voi un non sò che di filiale compassione, e provo nel mio interno gli stimoli di una pena, che forse non proverete Voi, per Voi stessi.

Eh via ricordatevi almen di passo di quell'Abito Sacrosanto, che sin'ora indegnamente portaste, e perciò da qui a poco sarete necessitati a deponerlo: di quell'Abito io parlo, che in mano de' vostri Santissimi Patriarchi servì di glorioso vessillo a' difensori del Vangelo, e di araldo di Vittorie alla Chiesa militante; indosso a' loro Figli fu fregiato dall'innocenza di tante Vergini, imperlato dalle lagrime di tanti Penitenti, e fu decorato dal sangue di tanti Martiri. Riflettete a quella Fede Cattolica, senza la quale impossibile est placere Deo; quella Fede io dico, che voi stessi giuraste sin dal principio del vostro vivere doverla mantenere illibata sino alla morte. Sovvengavi di quel buon Gesù, che per voi nacque in una vile Capanna sceso dal Cielo in Terra; per voi visse in questa Valle di lagrime; per Voi morì fra mille pene, ed angoscie; pronto più oggi, che mai a riaprirvi le sue piaghe adorabili per risanare quelle delle vostre anime; disposto a stendervi le sue braccia, per istringervi con finezza incredibile al suo petto da Figli. Fede, Fede, vi vuole, e pentimento sincero: pensateci, e risolvete.

Ma se non vagliono le mie persuasive a convincerli, li sbigottiscano almeno, e li confondano le circostanze dell'Universale Giudizio, così al vivo rappresentate nello Spettacolo di questo memorabile giorno, che ognuno de' Spettatori incontrerà senz'altro replicati motivi a dovere esclamare: Nunc Judicium est Mundi, nunc Princeps hujus Mundi ejicietur foras. Ecco in fatti inalzato al cospetto di un Mondo cum potestate magna, et Majestate, quel Tribunale Santissimo della Fede: anzi potremo soggiungere: et omnes Angeli ejus cum eo; giacchè si vede assistito, non solamente dalle Motrici Intelligenze del nostro Palermitano Cielo, ma parimente dalle numerosissime Schiere, e Gerarchie de' suoi Crocesegnati, molti de' quali rinfacciano a quelli Rei di lesa Maestà Divina, benchè in silenzio, e colla sola presenza tutte le religiose fatiche a pro delle loro anime sostenute; emuli al certo di que' Spiriti beati dal Boccadoro preveduti, li quali nell'ultimo giorno del Mondo, corteggiando la Maestà del Giudice Supremo, adopreranno un simile rimprovero contro de' dannati. Tunc Angeli aderunt testificantes, quantum ipsi ministraverunt a Deo missi. Ecco intronizzata in quel foglio istesso l'autorità quasi caratteristica dell'Altissimo, giacchè quei Personaggi sublimi, che ivi presiedono, non imprendono verun affare nelle cause di Fede, senza implorare sopra di loro la Divina Presenza: Exurge Domine, et judica causam tuam: non registrano verun decreto di condennare, o di assolvere, senza attenderne dal Divino volto gli oracoli: de vultu tuo judicium meum prodeat. E dilatando la loro amplissima Giurisdizione più in là della Regione de' Viventi, alla moda del grande Iddio, che Judex est vivorum et mortuorum; si avanza a punire Cadaveri, e Sepolcri, ossa, e ceneri, non che la fama, e la memoria istessa degli Eretici defunti, nelle forme prescritte da' Sagri Canoni. Ecco là inalberata del nostro Redentore la Croce, quella Croce medesima, che nell'estremo giorno del Mondo sarà da tutti conosciuta, e chiamata: Signum Filii Hominis. Laonde, se come tale sarà per comparire in quel giorno tutta fastosa nel Campidoglio dell'Aria, non meno per consolazion degli Eletti, che per confusione de' Reprobi; così appunto la Croce Verde, che sollevata in aria sotto di quel dosello pomposamente si adora, quanto accresce di fermezza a Noi Fedeli, e di speranza a' Delinquenti pentiti, altrettanto arreca di terrore, e di spavento all'ostinazion degl'Increduli, de' Miscredenti alla protervia.

Sò bene, che per compimento dell'opera, e del mio disegno in questo giorno promessovi, rappresentante l'universale Giudizio, attendereste volentieri da Me e l'esame vigoroso degli Empj, e la pubblica manifestazione de' loro errori più occulti. So, che vorreste udire l'intima delle fatali sentenze, nelle quali risaltando con armonia portentosa la Pietà, e la Giustizia si riconosce avverato il duplicato elogio fatto dal Profeta Reale alli Giudizj Divini: Misericordia, et Veritas obviaverunt sibi; Justitia, et Pax osculatæ sunt. Ben mi accorgo, che siete impazienti di dover più aspettare l'esecuzione delle giuste vendette di quegli Apostati, e sospettosi nella Fede, a proporzione de' loro enormi delitti meritate: ma disponetevi meglio a ravvisare ben presto il tutto puntualmente adempiuto, subito, che sarà terminato il mio presente discorso; avvengachè la solenne pubblicazione di tanti eccessi di lesa Maestà Divina, che fra poco sarà per accendere il zelo, ed irritare lo sdegno d'ogni Cuore Cattolico, accoppiata al terribile delle giustissime pene, che dovranno giuridicamente fulminarsi, illuminabit abscondita tenebrarum, et manis festabit consilia cordium.

Fortunata Sicilia, in cui si governano su l'idea de' Divini Giudizj gl'interessi di Dio, ove si regolano colla maggiore attenzione, e diligenza della Religione i vantaggi, e si promuovono con tutto lo sforzo della magnificenza della nostra Fede le glorie. Regno al certo sopra molt'altri fortunato, perchè dominato da un Augusto Principe, così zelante dell'onore Divino, che col Cesareo beneplacito, a questa sagra funzione apprestato, palesa al Mondo tutto, che honor Regis Judicium diligit: anzi per accreditare sempre più il suo cattolico zelo, stende quest'oggi con reale munificenza la destra alla giusta punizione de' Nemici di Dio; emulo forse del Santo Re Ferdinando suo degno Predecessore, che in un Atto generale di Fede celebrato nelle Spagne dal mio Patriarca Domenico, applicò anch'egli la sua Regia mano al gastigo degli Empj, sino con porgere da sé stesso la legna alle cataste micidiali de' Contumaci.

Viva dunque per sempre in questo Fedelissimo Regno il Santo Tribunale della Fede; e con esso ancor viva il dominio religiosissimo del nostro invitto Monarca: giacchè non men all'uno, che all'altro per tanti, e tanti capi si deve il titolo glorioso di acerrimo Difensore delle Giurisdizioni Divine, di Parteggiano indefesso de' progressi della Croce, di Tutelare inespugnabile della Religione e della Fede. Dicali ognuno con gli applausi della Sapienza, e con la Glossa di Gregorio il Grande due stabili Colonne del Cattolicismo, valevoli a sostenere con fermezza inflessibile, la Fede Altissima de' suoi Popoli: Stabilimentum Populi, quia videlicet super se Populum substinent; che io per me sono in obbligo di venerare in silenzio super capita Columnarum opus in modum lilii; sento dire, che terminerò il mio discorso, adorando col più vivo de' miei affetti la Croce prodigiosa della Santa Inquisizione, che tra bianchi, e negri gigli, nell'Orto del mio Sagrato Ordine germogliati, con insolita gala rifiorisce, e trionfa in questo giorno.

E Voi, cari Ascoltanti, se con orrore indicibile ammiraste la nostra Felicissima Capitale trasformata da Conca d'Oro nella Valle di Giosafat; incolpatene l'ardente Zelo degl'Illustrissimi Inquisitori Apostolici, che sono i Mecenati, i Censori, i Giudici incorrotti di questo Universale Giudizio. Eglino per mantenere illibata ne' vostri petti la Cattolica Fede, espongono agli occhi vostri le sozzure abominevoli dell'Eretica gravità; per rendervi più cauti, e più felici ne' pericoli altrui, mettono in pubblico le cadute deplorabili degli Apostati convinti, e condannati; e a fine di conservarvi stabili, e fermi ne' proponimenti ortodossi senza confondervi, ostentano in un tempo istesso nella severità de' gastighi la Giustizia, nella riconciliazione de' Penitenti la Misericordia, facendo risaltare in ogni passo della loro autorità ciò, che disse il Profeta del Divino Giudizio: Justitia et Pax osculatæ sunt. Scrivete dunque su la Verga adorabile di questo SS. Tribunale quel laconismo di lode espressivo di tali effetti contrarj, che diede il Vecchio Simeone al Redentore già nato: In ruinam, et resurrectionem multorum, o quell'altro, che la penna acutissima di Basilio da Seleucia scolpì su la Verga Mosaica, operatrice di prodigj nel Mar Rosso: His iter, illis sepulchrum: mentre Io nella confusione di questo grande Spettacolo, non ritrovando forme adatte alla conclusione del mio dire, mi farò lecito di ripigliarvi con le parole medesime dell'Apocalisse, che mi servirono di Tema: Timete Dominum, et date illi honorem, quia venit hora Judicii ejus.

 

Fine della predica.

 

Terminato il sermone, e disceso dal pulpito, coll'applauso meritatamente contribuito alla sua eloquenza, e dottrina il Sacro Oratore, si ritirò a seder fra' Qualificatori, e Consultori, uno dei quali egli era.

Circa le ore diciassette, e tre quarti il Secretario D. Tommaso Laredo porse il primo processo di Suor Petra Maria di Gesù a un Padre Domenicano: e la Rea discesa dal palco, fu portata sulla punta di quel passetto, che sporgea a' piedi del Catafalco, assistita da due Portieri a' fianchi: e facendo riverenza alla Santa Croce, e agl'Inquisitori, si tenne in piedi colla candela di cera gialla in mano smorzata, in tutto il tempo, che si lesse il suo processo dal Padre; che salito sul pulpito situato alla sinistra, dopo il segno dato dall'Inquisitore maggiore col campanino, ne cominciò la lettura. Indi soggiunse la sentenza: e allora il Capitano D. Gio: Alvarez de Valdes, che stava a fianco destro del pulpito, si alzò in piede: e così fecero il Secretario Laredo e D. Giuseppe Manxe Alcaide.

Terminata la lettura della sentenza, discese dal pulpito il Padre, restituì il processo al Secretario, e la Rea, replicate le riverenze di prima, si ritirò a suo luogo. Lo stesso tenore fu praticato successivamente con gli altri Rei, sino al numero di ventisei: salendo i Padri ora in uno, ora in altro de' pulpiti. Ma de' nomi de' Rei, loro delitti, e pene, in particolar Capitolo se ne darà distinto ragguaglio.

Mentre si leggevano i processi, si diede luogo al necessario ristoro; onde gl'Inquisitori successivamente si ritirarono a pranzo nella stanza, che era dietro il loro palco: ed ivi pure i Cavalieri, Ufficiali del Tribunale, Consultori, Qualificatori, ed Avvocati, a spese di esso Tribunale.

Il Capitano dispensò a proprie spese il pranzo, e rinfreschi a quei della sua Corte, nella stanza dietro il suo palco: come pure al palco della Principessa Moglie, e Dame da lei invitate.

Il pranzo, e rinfreschi per l'Eccellentissimo Senato, suoi Ufficiali, e Ministri, fu fatto splendidamente dal Pretore dietro il suo palco: ed egli pure apprestolli al palco della Principessa Moglie, e Dame invitate: fra le quali furon le Mogli de' Senatori, e degli Uffiziali nobili del Senato.

Il Sig. Principe di Roccafiorita contribuì anch'egli con sontuosa lautezza il pranzo al palco della Principessa Moglie, e Dame ivi adunate: e queste, e le Dame degli altri palchi mangiarono a cortine chiuse ne' proprj palchi.

Il pranzo e i rinfreschi dispensati a quei del foro del Tribunale fu apparecchiato a spese del medesimo Tribunale.

La Compagnia nella stanza bassa dietro l'Altare, apparata d'arazzi, illustrata da molti lumi, e da ricca credenza, pigliò il suo ristoro. Ivi a dieci per volta andarono i Fratelli a pranzare a spese de' Superiori della stessa Compagnia.

Così con intervallo di tempo i Fratelli della Congregazione in una stanza bassa dietro il palco de' Rei si ritirarono in varie coppie a mangiare a proprie spese di essi Fratelli.

Ma terminata la lettura de' processi de' ventisei, si venne ai due ostinati, che si riserbarono in ultimo luogo. Circa le ore venti, e un quarto fu portata Suor Geltruda Maria Cordovana nella punta del passetto, come gli altri: ma l'ostinata in arrivarvi, non mostrò alcun segno di riverenza nè alla S. Croce, nè agl'Inquisitori([47]). Mentre leggevasi il suo processo dal pulpito situato alla parte destra, in aspetto di temeraria, e sfrontata, borbottando vomitava orrende bestemmie onde furon obbligati i Portieri assistenti al suo fianco chiuderle più volte la bocca con una mordacchia([48]). Fu profferita in fine la sua sentenza, che come Eretica formale dovea rimettersi al braccio della Corte Secolare per doversi condannare secondo la disposizion delle Leggi. Durò il suo processo mezz'ora in circa. e finito, fu rimessa nel palco.

Indi circa le ore venti, e tre quarti fu condotto allo stesso luogo del passetto Fra Romualdo di S. Agostino, che anch'egli nell'arrivo a quel luogo non mostrò segno alcuno di pietà cristiana, nè di riverenza alla S. Croce, nè agl'Inquisitori: ma temerario stette a sentire con isfacciatezza, e senza rossore le sue iniquità, pubblicate nel suo processo dal pulpito situato nella parte sinistra. Dichiarato infine Eretico formale, colla sentenza di doversi rimettere al braccio della Corte Secolare, e finita la lettura del suo processo, ad ore 21 e mezza, fu ritirato nel palco: e allora furono rimessi nella cassettina del Secretario Laredo tutti i processi.


 

CAPITOLO UNDECIMO.

Rilassazione de' Rei ostinati al Braccio della Corte secolare, e loro sentenza.

 

 

 

Era uscito già ordine da' Sig. Inquisitori, che terminata la lettura de' Processi, dovessero i Portieri del S. Uffizio spogliar con disprezzo, e violenza i Rei Pertinaci degli abiti religiosi, che indegnamente portavano. Quindi salito sul palco l'Alcaide D. Gio: Giuseppe Manxe, con voce imperiosa, e parole di rimprovero, comandò a Fra Romualdo, che si levasse il Sacro abito religioso, come indegno di portarlo in dosso. Prontamente egli si sciolse la cintura, che si tenea legata nel mezzo, porgendola ad un de' Portieri assistenti del S. Ufficio: e poi senza alcun segno di sbigottimento levatasi la mitra, e la sopraveste messa a pece, e dipinta a fiamme, si cavò l'abito religioso, senza alcun rossore, dandolo allo stesso Portiere; restando colla veste di sotto di tela nera, sopra di cui fu riposta la detta veste dipinta: e gli fu rimessa in capo la mitra. Altresì a Suor Geltruda fu cavata la veste dipinta a fiamme, e cavatole l'abito religioso da' Portieri le fu restituita la veste vergognosa, e la mitra.

Indi amendue si fecero scendere in mezzo alla piazza del Teatro, ove l'attendevano D. Gio: Alvarez de Valdes Pro-Capitano colla Verga di Giustizia del S. Uffizio, e il Secretario Laredo. S'avviarono questi al palco de' Sig. Inquisitori, e furon seguiti dall'Alcaide Manxe, e dietro di esso i due Rei, circondati da' Portieri del S. Uffizio, e da' Fratelli della Pescagione. Con quest'Ordine salirono al trono degl'Inquisitori: il Pro-Capitano si collocò alla destra del Solio; il Secretario, e l'Alcaide alla sinistra, ai lati del tavolino; restando a piè del Solio i Rei. Comandarono allora gl'Inquisitori al Pro-Capitano, e Secretario, che consegnassero quei due Rei, non più tollerabili per la loro diabolica ostinazione, alla Corte secolare del Capitano Giustiziero della Città, col Cerimoniale costumato. Ricevuto l'Ordine, discesero dal Solio, e si trasferirono al palco della Corte, del Sig. Capitano, seguiti dall'Alcaide, e da' Rei. Ivi si fece da' Ministri del S. Tribunale ossequiosa cortesia di Cappello a tutta la Corte, dalla quale vennero cortesemente corrisposti: e mentre stavan tutti in piedi coperti, il Secretario Laredo espose al Sig. Capitano, e suoi Giudici l'ambasciata. Corrispose la loro risposta in ordine alla giustizia con pari zelo, e prudenza; e con riverente ossequio al S. Tribunale: e allora l'Alcaide consegnò i due Rei agli Uffiziali di detta Corte, non senza sentimenti di estremo cordoglio di tutti gli Spettatori, che deploravano la loro detestabile cecità, e durezza. I Ministri del Tribunale se ne ritornarono al Solio de' Sig. Inquisitori; riferendo il Secretario Laredo il compimento della loro incombenza, e la risposta di quella Corte. Dagli Uffiziali del Sig. Capitano furon condotti i Rei a quella stanza di tavole fabbricata fuori del luogo Ecclesiastico, a piè della scala, per cui si saliva al palco di detta Corte come si disse nel Capitolo secondo, el Capitano, co' suoi Giudici, Avvocato Fiscale, e Uffiziali s'alzarono, e fatta riverenza agli Inquisitori, s'incamminarono alla stessa stanza. Ivi alzato Tribunale, e portati alla lor presenza i Rei, dal D. D. Francesco Cumbo Giudice Ebdomadario furon lette le Sentenze: e prima quella di Fra Romualdo in questo tenore.

 

Providenda est Relaxatio Ignatii Barberi Calatanixectæ à Sancta Fide Cattolica alienati, hæretici formalis relapsi, impœnitentis, obstinatissimi, per RR. Dominos Doctores D. Joannem Ferreri, D. Josephum de Luzan, et D. Blasium Antonium de Oloriz Inquisitores Tribunalis Hæreticæ Pravitatis in hoc Siciliæ Regno ab eisdem Rev. Dominis Inquisitoribus ex officio Sanctissimae Inquisitionis relaxati, veluti hæretici formalis, relapsi, impœnitentis, obstinatissimi, in potestate brachii sæcularis Regiæ Curiæ Capitanialis hujus felicis, et fidelissimæ Urbis Panormi traditi, ut ei statim, absque mora, prout fieri consuevit, et solet tanti criminis pæna condigna, et ejus atrocium scelerum tribui, et dare debet, prout per dictos RR. Dominos Inquisitores jam fuit relaxatus et declaratus, ac traditus in posse dicti brachii sæcularis; ideo pro Dei servitio, conservatione, et cultu Justitiae, ne delicta impunita remaneant, maxime tali Sanctæ Fidei Christianæ abominantia, ut supradictus Ignatius Barberi Hæreticus formalis relapsus, impænitens, obstinatissumus, et à Fide Catholica penitus derelictus, et relaxatus secundum ejus scelera, puniatur juxta legum, sacrorum canonum dispositionem, et generalem consuetudinem, ac de Jure Regni, assistente in judicio dictæ Regiæ Curiæ Capitanialis Spect. D. Antonino Citrano Regi Fisci Patrono ejusdem Curiæ, ut sentantia dictorum RR. Inquisitorum non deficiat, sed ejus consequatur effectum.

    Idcircò

JESUS

Nos D. Balthassar Naselli Princeps Aragonæ de Consilio S.C.C.M. Capitaneus Justitiarius hujus felicis, et fidelissimæ Urbis Panormi, et Utriusque Juris Doctores D. Franciscus Cumbo, D. Thomas Gioeni, et D. Petrus Portuleva Judices Ordinarii ejusdem Urbis anni præsentis, hic pro Tribunali in infrascripto loco sedentes, supradictum Ignatium Barberi Curiæ Nostræ sæculari traditum, et relaxatum, à dicta Sancta Fide Catholica expulsum tanquam Hæreticum formalem relapsum, impænitentem, obstinatissimum declaratum, omnibus, quæ in talibus requiruntur observatis, et adimpletis, et quæ observari consueverunt, absque aliquo novo processu, post dictam sententiam RR. Inquisitorum, condemnamus, ut ipse Ignatius Barberi vivus comburatur, donec in cinerem convertatur; cinis verò dispergatur.

     Hanc Nostram etc.

Lecta, et pronunciata fuit, et est supradicta sententia in publico Spectaculo, sive Talamo Ss. Inquisitionis detempto in Plano Majoris Ecclesiæ hujus Urbis, ei in providenda electa per dictam R. C. Capitanialem, collaterali Talamo, exstra tamen Planum prædictum, die sexto præsentis mensis Aprilis 2 Ind. 1724: Præsentibus pro Testibus D. Fabio Galati, Marco Antonio Averna, et Sancto Arenci.

 

Indi fu letta quella di Suor Gertruda nella seguente forma:

 

Providenda est Relaxatio Philippæ Mariæ Corduana Calatanixectæ à Sancta Fide Catholica alienatæ, hæreticæ impænitentis, pertinacis, et incorrigibilis, per Reverendissimos Dominos Doctores D. Joannem Ferreri, D. Josephum de Luzan, et D. Blasium Antonim de Oloriz Inquisitores Tribunalis Hæreticæ Pravitatis in hoc Siciliæ Regno ab eisdem RR. Dominis Inquisitoribus ex Officio Ss. Inquisitionis relaxatæ, veluti hæreticæ impænitentis, pertinacis, et incorrigibilis, in protestate brachii Sæcularis Regiæ Curiæ Capitanialis hujius felicis, et fidelissimæ Urbis Panormi traditæ, ut ei statim, absque mora, prout fieri convenit, et solet tanti criminis pæna condigna, ut ejus atrocium scelerum tribui, et dare debet, prout per dictos Reverendissimos Dominos Inquisitores jam fuit relaxata, et declarata, ac tradita in posse dicti Brachii Saecularis; ideo pro Dei servitio, conservatione, et cultu Justitiæ, ne delicta impunita remaneant, maximè talis santæ Fidei Christianæ abominantia, ut supradicta Philippa Maria Corduana, hæretica, impænitens, pertinace, et incorrigibilis, et à Sancta Fide Catholica penitus derelicta, et relaxata, secundum ejus scelera puniatur juxta Legum, et Sacrorum Canonum dispositionem, generalem consuetudinem, ac de jure Regni; assistente in Sudicio dictæ Regiæ Curiae Capitanialis Urbis prædictæ Spect. D. Antonino Citrano Regii Fisci Patrono ejusdem Regiæ Curiæ Capitanialis, ut sententia dictorum RR. Inquisitorum, non deficiat, sed ejus consequatur effectum.

      Idcircò

IESUS

Nos D. Balthassar Nasselli Princeps Aragonæ de Consilio S.C.C.M. Capitaneus Iustitiarius hujus Felicis Urbis Panormi, et Utriusque Iuris Doctores D. Franciscus Cumbo, D. Thomas Gioeni, et D. Petrus Portuleva Iudices ordinarii ejusdem Urbis anni præsentis hic pro Tribunalis in infrascripto loco sedentes, supradictam Philippam Mariam Corduanam Curiæ nostræ sæculari traditam, et relaxatam à dicta Sancta Fide Chatolica expulsam tanquam hæreticam impænitentem, omnibus, quæ in talibus requiruntur observatis, et adimpletis, et quæ observari consueverunt, absque aliquo novo processu post dictam sententiam Reverendissimorum Inquisitorum, condemnamus, ut ipsa Philippa Maria Corduana viva comburatur donec in cinerem convertatur, cinis vero dispergatur.

      Hanc nostram, etc.

Lecta, lata, et pronunciata fuit, et est supradicta sententia in publico Spectaculo, sive Talamo Ss. Inquisitionis, detempto in Plano Majoris Ecclesiæ hujus Urbis, et in Providenda electa per dictam Regiam Curiam Capitanialem, collaterali Talamo, extra tamen Planum prædictum. Die sexto præsentis Mensis Aprilis 2 Ind. 1724. Præsentibus pro Testibus D. Fabio Galati, Marco Antonio Averna, et Sancto Arenci.

 

Lette che furono le sentenze, diedero luogo alla cristiana pietà, e compassione il Capitano, e Giudici, non lasciando di ammonirli amorevolmente ad aprir gli occhi, e conoscere ormai l'infelice stato a quale erano stati dalle loro enormità precipitati, secondo il merito della loro durezza: che erano ancora in tempo di ravvedersi, e detestare i commessi delitti: e che Essi non averebbono lasciato di regolare in forma più mite([49]) la sentenza già da loro udita. Il sig. Capitano in particolare con quella pietà, e zelo che gli assiste singolare, non lasciò di lor suggerire paterne ammonizioni, valevoli ad espugnare la loro inflessibile pertinacia([50]). Ma l'ostinazione avendo indurato il loro cuore non fece penetrare gli amorevoli ricordi: onde ogni preghiera, ed avviso fu senza frutto. Anzi il perfido Romualdo nello stesso tempo facea segni di non voler in conto alcuno acconsentire a quanto dalla di lui accesa carità gli era suggerito. Quindi disperato il loro ravvedimento, si deliberò di consegnarsi alla Compagnia dell'Assunta, affine di portarsi al luogo del supplicio per eseguirsi la sentenza. Parve allora, che dessero alcun segno di volersi convertire: onde a tutta fretta fu chiamato il P. Nicolò Lavaggi della Compagnia di Gesù, non molto distante, e fu introdotto nella stanza della sentenza: ma ben tosto si accorsero tutti essere stati o momentanei, o finti i segni del pentimento. Spedì in tanto la Compagnia i suoi Teologi, per versare gli ultimi sudori in benifizio degl'Infelici, precedendo due Bacchettieri di essa: el Capitano, e Giudici a detti Teologi consegnarono i Rei, custoditi da' Ministri della lor Corte. Quindi estratti da detta stanza furon condotti al luogo, ove dovea eseguirsi la sentenza, nel modo, come si dirà in appresso: e la Corte Capitaniale, non le restando altro, che operare, partì dal Teatro.

 

 

CAPITOLO DUODECIMO.

Abjurazione, e assoluzione de' Rei pentiti.

 

 

Fra tanto, che la Corte Capitanale procedea alla sentenza de' due Pertinaci, i Signori Inquisitori s'avanzarono ad ammettere all'abjurazione, e a conceder l'assoluzione a' Rei pentiti. Quindi per ordine di essi Inquisitori furon condotti di sei in sei alla loro presenza nella forma seguente. Discesa dunque la prima coppia di sei colle candele accese di cera gialla nelle mani dal loro palco, accompagnati da' Portieri, si trasferirono al Solio degl'Inquisitori, e si posero ginochioni intorno al tavolino: e toccando colle lor mani il Messale, e la Croce, il Segretario D. Tommaso de Laredo a voce alta cominciò a leggere distintamente la formula dell'abjurazione de levi, ripetendo i Penitenti di parola in parola quanto egli diceva: detestando gli errori commessi, promettendo di non ritornare a commetterli, ed eseguire quanto dal S. Tribunale fosse loro imposto. Discesi dal solio associati da' Portieri, andarono a trattenersi nella piazza a piè del Palco aspettando l'abjurazione degli altri. Seguì poi la seconda, e terza coppia di sei per volta, e in fine la quarta di otto, che fecero lo stesso.

Indi si venne all'assoluzione d'alcuni, che s'appartaron dagli altri. Furono essi in numero di sei, che genuflessi si collocaron a canto del tavolino, tre da un lato, tre dall'altro: e Monsignor Ferrer primo Inquisitore postasi la Stola pendente al collo, recitò gli Esorcisini([51]), ed Orazioni, secondo prescrive il Rituale Romano, rispondendo il Coro de' Musici della Real Cappella, che dal loro ricinto si portarono a piè del palco degli Inquisitori. Indi cominciarono gli stessi Musici il canto del salmo Miserere, e fra tanto i due Cappellani del S. Uffizio D. Giuseppe Gandolfo, e D. Vincenzio Torregrossa battean colle verghe le spalle de' Penitenti percotendone ognun di essi tre, or l'uno, or l'altro; cessando le battiture al terminare del Salmo. Indi l'Inquisitore proseguì le altre preghiere, e poi il canto dell'Inno Veni Creator Spiritus, e a' primi quattro versetti si prostraron ginocchioni gl'Inquisitori, Astanti, e Senato, e alzandosi poi, restarono genuflessi i soli Penitenti. All'intuonarsi il detto Inno, si svelò la S. Croce Verde, ch'era stata sempre sull'Altare velata. Recitato dall'Inquisitore le ultime Orazioni, finalmente diede l'assoluzione ad cautelam a' Penitenti, alcuni de' quali piangean dirottamente, per lo pentimento de' commessi errori: e molti de' Spettatori per tenerezza e divozione nel vederli riuniti alla S. Chiesa, da cui erano stati staccati dall'incorse censure. Durarono queste funzioni circa ora una, e mezza.

Finita l'assoluzione, discesi dal Solio gli Assoluti, si riunirono agli altri Penitenti, i nomi, e cognomi de' quali colla nota della lor patria, delitti, e pene, si soggiungono distintamente nel Capitolo seguente.

 

 

CAPITOLO DECIMOTERZO.

Compendioso Ragguaglio de' Rei riconciliati, loro delitti, e pene.

 

 

 

PENITENZIATA SENZA ABIURAZIONE.

 

1.      Suor Pietra Maria di Gesù Pinzochera de' Riformati di S. Francesco, nel secolo chiamata Giovanna Selvaggio, nativa della Terra di Chiaramonte, della Diocesi di Siracusa, di anni 31. Per testimonianza falsa, e maliziosamente varia in materia grave di Fede: avendo falsamente accusato di sollecitazione([52]) un Confessore, fu condennata a stare racchiusa per due anni nelle carceri del S. Tribunale; e dapoi a tre anni di esilio da Chiaramonte, Palermo e Corte di Sua Cesarea Cattolica Maestà.

 

 

PENITENTI, CHE ABIURARONO DE LEVI([53]).

 

2.      Antonino Casale Nativo di Mascali, e abitatore della Città di Jaci Reale, Diocesi di Catania, di anni 36. Bordonaro, Bestemmiatore ereticale, abjurò de levi. Uscì nel pubblico spettacolo con mordacchia in bocca: fu condennato alla pubblica vergogna per la Città di Palermo, senza sferzate: ed esiliato per un anno da Mascali, Ciarri, Palermo, e Corte di Sua Maestà Cattolica Cesarea.

3.      Antonino Gorgone, altrimente Galluzzo, nativo della Terra di Bronte, Diocesi di Monreale, di anni 52, uomo di campagna, Bestemmiatore ereticale, abjurò de levi e fu assoluto ad cautelam. Uscì egli nel pubblico spettacolo con mordacchia in bocca. Fu condennato alla vergogna per le pubbliche strade della Città senza sferzate, e all'esilio per tre anni da Bronte, Palermo, e Corte di Sua Maestà Cattolica Cesarea.

4.      Anello di Martino nativo della Città di Napoli, ed abitator di Palermo, di anni 44, Calzolajo, Bestemmiatore ereticale, e reo di sacrilega frattura di sacre Immagini, abjurò de levi. Fu assoluto ad cautelam, e condennato a girar con vergogna per le pubbliche strade della Città, senza sferzate; e poi al remo per tre anni([54]) sulle regie Galee senza soldo, e in fine esiliato per tre anni da Palermo, e Corte di Sua Cattolica Cesarea Maestà.

5.      D. Giovanni Pilo Chierico insignito de' quattro Ordini Minori, di anni 22, nativo della Città di Caltagirone, Diocesi di Siracusa, per essere stato Sortilego, e bestemmiatore ereticale, abjurò de levi: fu assoluto ad cautelam, e condennato a stare racchiuso per tre anni in un Convento, da scegliersi ad arbitrio del S. Tribunale, e poi all'esilio per due anni da Caltagirone, Palermo, e Corte di Sua Cattolica Cesarea Maestà.

6.      Giuseppe Guzzanca, nativo della Terra della Giojosa, Diocesi di Patti, abitator di Palermo, di anni 26, Cuoco. Per essere stato Poligamo, abjurò de levi. Fu condennato a girar con vergogna per le pubbliche strade della Città di Palermo senza sferzate; e all'esilio per tre anni dalla Giojosa, Piraino, Palermo, e Corte di Sua Cattolica Cesarea Maestà, 20 miglia lontano da detti luoghi.

7.      Ignazio Guelli, nativo della Licata, Diocesi di Girgenti, e abitatore di Palermo, di anni 22, Paggio, anch'egli Poligamo, abjurò de levi. Fu condennato ad uscir alla vergogna per le strade pubbliche della Città senza sferzate, e al remo sopra le Galee per tre anni.

8.      Agatino Fauciglia, nativo della Città di Nicosia, Diocesi di Catania, ed abitatore di Palermo, di anni 24, Rappezzatore di scarpe. Pur egli per essere stato Poligamo, abjurò de levi. Ebbe la pena di uscire alla vergogna per le pubbliche strade con isferzate, e di remar sopra le Galee per tre anni.

9.      Antonino Gervasi, nativo della Terra di Vittoria, Diocesi di Siracusa, ed abitatore della Città di Trapani, uomo di Campagna, di anni 45, perchè Poligamo, abjurò de levi. Fu sottoposto alla pena di uscir alla vergogna per le pubbliche strade di Palermo con isferzate: e per tre anni al remo sulle Galee.

10. Alessandro Ingargiola, nato nella Terra di Carini, Diocesi di Mazzara, di anni 47, uomo di Campagna, dichiarato Poligamo, abjurò de levi, e fu condennato alla vergogna per le pubbliche strade, e al remo sulle Galee per tre anni.

11. Giuseppe Perricone, nativo della Terra di Leonforte, Diocesi di Catania, e abitatore della Sala di Partitico, Beccajo, di anni 48, convinto di Poligamia, abjurò de levi. Fu condennato alla pena della pubblica frusta, e al remo per cinque anni sulle Galee.

12. D. Giulio Maurici, nato nella Terra di Palma, Diocesi di Girgenti, abitatore di Palermo, di anni 35. Fu egli Poligamo Similitudinario, per lo delitto di aver contratto matrimonio essendo insignito dell'ordine sacro del Diaconato, abjurò de levi, e fu condennato per anni cinque a stare racchiuso nelle carceri della Penitenza, o in altro luogo ad arbitrio del Santo Tribunale: e dapoi, all'esilio di anni due da Palermo, Palma, e Corte di Sua Maestà Cattolica Cesarea.

13. Vincenzo Jaci, altrimente detto Piedi di Castro, nativo di Daidone, Diocesi di Catania, e abitatore della Città di Piazza, di anni 48, per essere stato Sortilego ereticale, abjurò de levi. Fu condennato all'esilio per tre anni da Piazza, Palermo e Corte di Sua Maestà Cattolica Cesarea.

14. Anna Curcia, altrimente Sarna, nativa della Città di Palermo, di anni 39, come Sortilega abjurò de levi, e fu condennata a vivere racchiusa nelle Carceri del Tribunale per un anno.

15. Giovanna Crescenti, nata nella Città di Marsala, Diocesi di Mazzara, abitatrice di Castelvetrano, di anni 25, anch'ella Sortilega, abjurò de levi, e fu condennata a stare racchiusa per un anno nelle Carceri del Tribunale.

16. Catarina Castiglione, nativa della Terra Reffaudale, Diocesi di Girgenti, d'anni 38, per essere stata Sortilega, e Fattucchiera, abjurò de levi, e fu sottoposta alla pena dell'esilio per un anno dalle Terre di Reffaudale, e Joppolo, e dalla città di Palermo, come pure dalla Corte della Cattolica Cesarea Maestà.

17. Catarina la Fenestra, nata nella Città di Marsala, Diocesi di Mazzara, e abitatrice di Palermo, di anni 35, anch'ella Sortilega, e Fattucchiera, abjurò de levi. Fu condennata alla pubblica frusta, e a restar carcerata per cinque anni nelle Carceri del S. Uffizio.

18. Fra Giuseppe Minneci, Romito, chiamato nel Secolo Pietro Minneci, nativo della Terra di Petralia, Diocesi di Messina, di anni 35, per Sortilegj, e proposizioni ereticali; come ancora per conservare polize superstiziose, abjurò de levi. Ebbe la pena di servire in uno Spedale, o altro luogo ad arbitrio del Tribunale, per tre anni.

19. Fra Lorenzo di S. Pietro di Patti, Diocesi della Città di Patti, Laico degli Osservanti di S. Francesco, nel Secolo chiamato Girolamo Calcerano, di anni 35, per comunicazione familiare col Demonio, Sortilegj qualificati, e per valersi di scongiuri superstiziosi, abjurò de levi. Fu assoluto ad cautelam, e condennato a stare racchiuso in un Convento del suo Ordine per cinque anni ad arbitrio del Tribunale: con che il Superiore del Convento dovesse designare un soggetto de' più qualificati per doverlo coltivare nella vita Spirituale: e il suddetto Superiore fosse obbligato per ogni sei mesi dar conto al Tribunale de' suoi costumi, e miglioramento di essi.

20. Vincenzia Cinquemani, nativa della Terra di Canicattì, Diocesi di Girgenti, di anno 60, come Sortilega, e Fattucchiera abjurò de levi. Fu gastigata colla pubblica vergogna per le strade di Palermo senza sferzate in riguardo alla sua età, e colla carcerazione per cinque anni nelle Carceri del S. Uffizio.

21. Anna Lauretta, altrimente chiamata la Indovina, nativa della Città di Modica, Diocesi di Siracusa, di anni 36, per essere stata Sortilega ereticale, e Fattucchiera, abjurò de levi. Fu condennata ad uscir per le pubbliche strade con isferzate, e a restar racchiusa per cinque anni nelle Carceri del Tribunale.

22. Maria Tamburello, nativa della Città di Marsala, Diocesi di Mazzara, di anni 35, per Sortilegj qualificati con effetti seguiti, e perchè Fattucchiera, abjurò de levi. Ebbe la pena della pubblica vergogna per le strade con isferzate, e poi a restar racchiusa nelle Carceri del Tribunale per cinque anni.

23. Agatuzza Romeo, nativa della Terra della Pagliara, Diocesi di Messina, di anni 50, convinta per Sortilega ereticale, e per Fattucchiera, abjurò de levi. Fu assoluta ad cautelam,condennata alla pubblica frusta, e dapoi a starsi racchiusa nelle Carceri del Tribunale per cinque anni.

24. Rosa la Barbera, nativa della Terra di Partinico, Diocesi di Mazzara, e abitatrice di Leonforte, di anni 33, Sortilega ereticale, e Fattucchiera, abjurò de levi. Fu assoluta ad cautelam, e fu condennata alla frusta per le pubbliche strade con ducento sferzate; e poi ad esser racchiusa nelle Carceri del Tribunale per sette anni, due de' quali si riserbarono ad arbitrio dello stesso Tribunale.

25. Paolo Vavaro, nativo della Sala di Paruta, Diocesi di Mazzara, di anni 66, per Sortilegi, e Superstizioni, fu penitenziato, ed abjurò de levi nell'Atto particolare di Fede celebrato addì 11 Settembre del 1721, ma perchè ricadde negli stessi delitti, e per aver celebrato Messa, senza essere Sacerdote, di nuovo abjurò de levi, e fu condennato alla pubblica vergogna per le strade della Città, colla giunta di sferzate, e a perpetua carcere nelle Carceri del Sant'Uffizio, o in altra parte ad arbitrio del Tribunale.

26. D. Giuseppe San Marco, altrimente nominato Donato, nativo della Terra di Militello Valdemone, Diocesi di Messina, di anni 33, per aver celebrato molte volte Messa, e messosi ad udir le altrui confessioni senza essere sacerdote: e inoltre per aver più volte fuggito dalle Carceri del Tribunale, abjurò de levi, e fu condennato al remo sulle Galee per anni dieci.

 

 

RILASCIATI IN PERSONA AL BRACCIO SECOLARE.

 

27. Suor Geltruda Maria Cordovana, Terziaria dell'Ordine di S. Benedetto, nel Secolo chiamata Filippa Cordovana, nativa di Caltanissetta, Diocesi di Girgenti, di età di anni 57, Eretica formale, Molinista, e Quietista, perchè ostinata nelle sue enormità, ed errori, fu rilasciata al Braccio Secolare, e condennata al fuoco.

 

28. Fra Romualdo di S. Agostino, Laico dell'Ordine degli Agostiniani Scalzi, nel Secolo chiamato Ignazio Barberi, nativo pur di Caltanissetta, Diocesi di Girgenti, di età di anni 58, Eretico formale, Molinista, Relasso, e Settario di molte eresie; perchè impenitente, e pertinace ne' suoi errori, fu anch'egli rilasciato al Braccio Secolare, e condennato alla meritata pena del fuoco.

 

Ma di questi due ultimi ci conviene dare più distinto ragguaglio nel seguente Capitolo; per conoscere al vivo la pietà del S. Tribunale, e la rettitudine della sua severa giustizia; e insieme in qual baratro può precipitarsi l'umana malizia: motivo ben efficace per adorare, e conoscere insieme quanto sian formidabili i divini giudizj.

 

 

 

CAPITOLO DECIMOQUARTO.

Ristretto de' delitti de' due Rei pertinaci, e diligenze praticate dal S. Tribunale per convertirli.

 

 

 

Le gravissime enormità, nelle quali cadde Suor Geltruda Maria Cordovana, diedero l'impulso a varie persone di portarne le dovute denunzie al S. Uffizio: onde a 27 Giugno del 1699, fu carcerata dal S. Tribunale, sottoposte a sottilissima esamina le accuse, fu ritrovata Superba, Scandalosa, Ippocrita, Temeraria, e Vanagloriosa: e macchiata di molti delitti contro la Santa Fede, fu conosciuta ingannata, Molinista e Quietista([55]).

Si vanagloriava che il suo spirito si fosse avanzato ad un altissimo grado di perfezione, e a cinque Unioni con Dio, da lei chiamate, la prima Unione di Matrimonio: la seconda di Cognizione della SS. Trinità: la terza di Matrimonio col Corpo di Cristo: la quarta di Matrimonio colla Croce di Cristo: e la quinta col Crocifisso Glorioso in Cielo. Indi dicea, essere stata sublimata ad altra Unione di Trasformazione, immaginando inalzata l'anima sua con più perfetta cognizione, e grazia ad un grado senza comparazione maggiore, a tal segno, che se prima in tutto e per tutto operava in modo passivo, con questa nuova trasformazione non l'era restata cosa alcuna di tal operazione: onde se parlava, camminava, guardava, e facea qualsivoglia altro esercizio, vedea non esser più ella, ma che Iddio in Lei operava. Quindi mentre camminava le pareva andare agilissima.

In una conferenza fatta con altra Pinzochera, disse, che amendue eran perfette, con questo divario, che v'ha fra due vasi d'acqua, un de' quali sia sol pieno per sè, e tale essere la Terziaria, cui ragionava; e l'altro talmente soprapieno, che versi l'acqua al di fuori, come era essa, che diffondea ad altrui benefizio.

Si vantava avere ottenuta grazia, che quante volte ella guardava, chi da lei fosse guardato, con gli occhi suoi, come da due saette restasse ferito; e vaticinava, doversi dare a vita spirituale, quando a Dio piacesse: e che nel rimirare uno, egli sentì schiantarsi il cuore dal petto, risoluto di consagrarsi a Dio.

Disse talvolta, trovarsi nella notte oscura de' sensi. Altra volta, che era già nello stato de' godimenti e sponsalizio spirituale; che era arrivata all'Orazione di pura Fede, e indifferenza.

Ad una Terziaria, cui era stato vietato dal Confessore il comunicarsi, spacciandosi per Maestra di Spirito, più che ogni Direttore illuminata, le comandò, che si comunicasse, con dirle: Va, comunicati: che sà il tuo Confessore?

Per alcun tempo si comunicò con due particole, stimandosi dotata di più perfezione, e degli altri più meritevole. Più volte proruppe in manifesto disprezzo de' Confessori, delle Prediche, degli Esercizi spirituali, e del SS. Rosario di Maria Vergine: ed ebbe a sdegno il sentir nominare Gesù Bambino.

Permise esserle tagliati alcuni de' suoi capelli, che cusciti in una borsetta con reliquie di Santi, diede al Confessore per portarli in dosso, affine, che fossero antidoto contro le tentazioni: e in virtù di essi restasse libero da' stimoli impuri del senso.

Diceva l'indegna, che la SS. Vergine le avea rivelato, che gli atti impuri praticati col Confessore, non solo non erano illeciti, nè peccaminosi, ma che accrescevan la purità. Non tollera la modestia, che si spieghino dalla penna le molte laidezze, ed enormità contro il decoro dell'onestà, secondo le pestilenti massime dell'empio Michele Molinos, anche sagrilegamente praticate ne' luoghi più santi: stimando l'ingannata, essere di mirabile accrescimento alla purità([56]).

Si vantava in fine scioccamente, che fosse arrivata a stato d'impeccabilità, nello stesso tempo, che non avea orrore di aggravar la coscienza con nuove, e più enormi colpe, e sagrilegi.

Di questi, ed altri delitti accusata, stando avanti i Signori Inquisitori, niegò prima il tutto, spacciandosi innocente. In altre udienze poi, una e due volte confessò vere le sue enormità, alcune delle quali inorpellò con varie scuse, e sol niegò alcune circostanze. Ma in altra udienza appresso, niegò quanto aveva confessato,([57]) e andò in furia, fingendosi pazza.

Ricorrendo il Santo Tribunale agli atti della Cristiana carità, replicò più e più volte amorevoli ammonizioni, e applicò l'opera di diversi Religiosi, e Teologi, di singolar dottrina, e spirito, affine di cavarla dal profondo della sua ostinazione, e ridurla a penitenza. Sudaron essi molto tempo, ma senza profitto, aggiungendo ella a' narrati errori varie altre sciocchezze; poichè dicea sé esser più pura della SS. Vergine: unita perfettamente a Gesù Cristo: che sentivasi nel cuore l'assistenza della SS. Trinità: che era impeccabile, e perciò non potea confessarsi: che gl'Inquisitori eran Ministri del Demonio, e che la perseguitavano innocente.

Conchiuso il suo processo, il S. Tribunale col consiglio de' suoi Consultori venne alla diffinitiva sentenza a' 6 Febbraio del 1703, e con tutta pietà, e piacevolezza obbligò la Rea a comparire in forma di penitente nella Camera del Sant'Uffizio alla presenza de' Signori Inquisitori, e Ministri del Secreto, ma a porte chiuse([58]). Stabilì con somma benignità, che in questa forma si leggesse il suo processo: abjurasse ella i suoi errori, e gravemente ripresa, e ammonita, fosse assoluta ad cautelam; e consegnata poi a persona dotta, e prudente, da lui fosse istruita, e guidata nella vita cristiana; lasciando al suo arbitrio le penitenze salutevoli, che dovesse imporle. Ma la Rea, ritrovandosi alla presenza degli Inquisitori, montò in tanta furia, che bisognò ritenerla ben forte, e metterle una mordacchia, per non parlare a sproposito: e nientedimeno, dibattendosi con disperato furore, bisognò interrompersi quell'atto, e restituirsi alla carcere.

Ad un Religioso, applicato dal Tribunale per esortarla a ravvedersi, promise voler fare l'abjurazione de' suoi errori, ed abbracciar la penitenza, che le si offeriva: ma nell'atto di volerla eseguire, ritornò a' suoi propositi, e alle sue furie; manifestandosi tanto più impenitente, e temeraria, quanto più soprabbondava la pietà del Tribunale in tollerarla in profitto dell'anima sua.

Altri Religiosi di approvato spirito per lungo tempo sudarono, per ordine del S. Tribunale, per farla ravvedere, e conseguirne il pentimento. Le si posero avanti agli occhi il pericolo dell'anima: se le minacciò il rigor delle Leggi, che disponevano abbandonarsi, come impenitente, e incorreggibile, al Braccio Secolare, per ricevere il meritato gastigo: ma Ella o ammutoliva, o si allontanava, per non udire esortazioni, e ragioni: non volea recitare orazione alcuna, che se le dicesse, anzi nè meno udirla: nè volea mostrar segno alcuno di cristiana.

Ancorchè si praticassero in appresso dal S. Tribunale altri atti di sopraffina carità, per acquistare una volta il suo pentimento e le fossero concedute molte udienze: tutto per lei fu inutile. Altro alle paterne ammonizioni non rispondea, che volea andarsene libera a casa sua, poichè niente vi era di vero nel suo processo: e inviperita con atti superbi, e irriverenti, facea violenza per partire; manifestando sempre diabolica ostinazione.

Mostrando furie da pazza, volle accertarsi il Tribunale se fosse di sana mente, onde applicò varj Medici per osservare lo stato di sua salute: e da essi messa a diligente esamina per molto tempo, attestarono più volte con giuramento, essere in istato di piena salute.

Dopo una lunga tolleranza a' 23 Settembre del 1705 si venne alla diffinitiva sentenza, che essendo eretica formale, impenitente e incorreggibile, dovesse rilasciarsi al Braccio della Corte Secolare. Fu approvata la sentenza dal supremo Consiglio della S. Inquisizione di Spagna a' 26 Novembre 1705. Nulladimeno con singolar pazienza tollerata parecchi anni, adoperò il Tribunale altri nuovi, ed efficacissimi mezzi per invitarla a penitenza; ma senza frutto. Finalmente mandato puntuale ragguaglio della sua causa, processi, e sentenza all'Ill. e Rev. Monsig. Vescovo de Alvarrazin, Inquisitore Generale di Spagna, residente nella Cesarea Corte di Vienna, con dispaccio de' 29 Ottobre 1720, fu da lui approvata la sentenza, e comandò, che si eseguisse, colla celebrazione d'un Atto Generale di Fede, che è quello, che si fece, e in questa relazione si descrive.

Non furono meno enormi gli errori di Fr. Romualdo di S. Agostino, siccome non fu inferiore e la sua pertinacia, e la pietà seco esercitata dal Santo Tribunale. Egli nell'anno 1699 preso, e racchiuso nelle Carceri Secrete del Sant'Uffizio, fu riconosciuto e convinto per Quietista, Molinista, Reo di molti delitti, ed Eretico formale. Nulladimeno mostrando pentimento, apparve coll'abitino giallo nel pubblico spettacolo celebrato a' 4 di Giugno, del 1703 nella Chiesa di S. Domenico di Palermo, ed abjurò de vehementi. Giurò allora di ubbidire a quanto avea detto nell'abjurazione, e di eseguire la pena impostagli, che fu, di stare racchiuso per tre anni in un Convento della sua Religione: che occupasse l'ultimo luogo fra' Laici in tutte le funzioni: e nel detto tempo fosse dato in cura ad un Padre spirituale dotto, e prudente; rimettendo il S. Tribunale al suo arbitrio l'imporgli le penitenze salutari, che stimasse profittevoli all'anima sua.

Dopo questa abjurazione, fu mandato in apparenza di pentito al suo Convento di S. Niccolò Tolentino, ove da' Sig. Inquisitori gli fu assegnato Confessore particolare, che volendolo più volte disporre alla Confessione, non potè mai ottenerne il piegarsi a farla; vomitando infinite, ed enormi sciocchezze. Dicea, che quanto avea confessato nel Sant'Uffizio l'avea detto, perchè così gli avean fatto dire: ma che Egli non era macchiato da colpa alcuna, ed era più puro dell'Immaculata Concezione: che non avea avuto volontà di giurare nell'abjurazione: che era stato condannato innocente, e che volea ricorrere al Papa. Fu ammonito più volte dal Confessore, a raffrenar la lingua, e a riconoscere i suoi errori; ma senza giovamento: onde portata la notizia della sua ricaduta al Tribunale, egli coll'esercizio della sua costumata carità, mandollo nel Convento di S. Gregorio, luogo di Noviziato del suo Ordine, ove gli furono assegnati Religiosi, dotati non men di dottrina, che di spirito, per ridurlo a penitenza; ma senza frutto. Quindi fu trasferito nel Convento di S. Domenico de' Padri Predicatori, e nell'altro de' Carmelitani Scalzi, ove esortato con tutta efficacia da' Religiosi d'amendue questi Conventi, si mostrò sempre ostinato: e in tutto questo tempo aggiunse alle passate, nuove eresie, e delitti. Sicchè conosciuto incorreggibile, nel 1706 fu ritornato alle carceri del Sant'Uffizio. Anderebbe in lungo questo ragguaglio, se si avesse a far catalogo di tutti i suoi errori: i principali pubblicati nel suo processo, ed uditi con orrore, furono i seguenti.

Dicea avergli Dio rivelato, che gli erano stati perdonati i suoi peccati, e che non dovea più confessarsi: che sentivasi serena la coscienza: ed essere impeccabile per grazia, anche venialmente. Che il Demonio tal volta lo tentava di confessarsi, ma che egli non acconsentiva, perchè Dio non voleva, che si confessasse.

Asseriva, che se il Sacerdote, o altro battezzava in istato di peccato mortale, l'Infante non ricevea il Santo Battesimo: nè lo ricevea un Adulto, se trovavasi in peccato grave. Che il Confessore essendo in peccato mortale, non avea potestà d'assolvere. Che se l'Uomo, e la Donna si legavano in Matrimonio in peccato mortale, non erano veri sposi.

Niegava con gli Ebrei il Mistero dell'Incarnazione; onde nell'Ave Maria non volea in conto alcuno dire le parole Dominus tecum: nè S. Maria Mater Dei. Nel simbolo della Fede non voleva dire Jesum Christum Filium ejus: nè Crucifixus, mortuus et sepultus. Non potè mai esser persuaso a dire la Salve Regina: anzi avea in odio il Nome Santissimo di Maria Vergine.

Dicea esser dieci i Comandamenti di Dio: e stimolato a dire quali fossero, aggiungea. Primo:amare Dio: Secondo: Io son Profeta; e non passava avanti. Si vanagloriava scioccamente esser Profeta di Dio, Angelo, ed Arcangelo Michele: che era favorito da Dio con ratti, ed estasi, e che il Signore gli avea comunicato due belle dottrine, la prima di difender la menzogna: l'altra di verificar tutto, rispondendo ad ogni interrogazione: è della maniera, che è.

Con molte imprecazioni dileggiava lo stato di alcuni Ordini Regolari, e molti Religiosi: dicea non essere obbligato ad ubbidire a' suoi Superiori, perchè l'anima e il corpo eran di Dio. Avendo bastonato un Religioso suo Fratello, e dettogli, che era incorso nella scomunica, rispose, averglielo comandato Dio.

Affermava, che la Chiesa poteva errare in materia di Fede. Dicea avergli Dio rivelato, che sola Fides sufficit per salvarsi; esclamando quante volte volea alcuno disingannarlo: Fede Fede vi vuole, e non altro. Niegava il Demonio potersi trasfigurare in Angelo di Luce, e di Dio, e in apparenza di Maria Vergine.

Avea in odio il S. Tribunale, dicendo che il Santo Uffizio era un'inganno del Diavolo; e in particolare quel di Sicilia: e che non dovea chiamarsi Santo, secondo gli avea detto Iddio. Che F. Diego la Mattina, bruciato vivo in Palermo nel 1658 come eretico, era santo Martire: e lodava il Molinos, ed altri Eretici condennati dalla Santa Chiesa.

Si vantava esser più puro della SS. Vergine, quando che stavasi immerso con estrema dissolutezza in abominevoli enormità, e laidezze; essendo stato sporchissimo in materia di disonestà, e senza vestigio di rossore. Ma la modestia ci obbliga a tacere il particolare delle sue sozzure.

Le tante sciocche proposizioni, che profferiva parean vomitate dalla bocca d'un forsennato, onde si dubitò ragionevolmente, se egli fosse scemo di cervello. Quindi volendo camminare il S. Tribunale con vigilante prudenza, e sicurezza, applicò i Medici più periti della Città per esaminar lo stato di sua salute.

Fu da essi più volte con tutta esattezza osservato, per dare un maturo giudizio della sua sanità, e più volte fecero relazione, confirmata con giuramento, che fosse in ottima salute; e che fingesse pazzia per occultare la sua ostinazione, e la sciocchezza de' suoi ereticali errori.

Non lasciò la pietà del Tribunale in tutto il lungo corso degli anni, che stette rinchiuso nelle carceri del Sant'Uffizio, di applicare i mezzi più proprj per guadagnare la conversione del Reo; poichè destinò diversi Teologi, dotati di singolar virtù e dottrina, per disingannarlo, e con ferventi esortazioni ridurre il sedotto Romualdo alla vera Fede: ma non fu possibile di riportare da' lor sudori il frutto desiderato. Cadde sempre su dura pietra il seme de' loro discorsi; potendosi ben credere essere un di quelli accennati da Zaccaria([59]) che noluerunt attendere, et averterunt scapulam recedentem, et aures suas aggravaverunt ne audirent, et cor suum posuerunt ut adamantem, ne audirent legem et verba, quae misit Dominus.

Stimandosi disperato il ravvedimento, il S. Tribunale colla consulta de' suoi Consultori, e Qualificatori, venne alla diffinitiva sentenza a 3 Settembre del 1709 che essendo Eretico formale, Relasso, Impenitente, e ostinatissimo, dovea rimettersi al Braccio Secolare della Corte Capitaniale.

Fu mandata copia del suo Processo, e sentenza al Supremo Conseglio della S. Inquisizione di Spagna, che rispose a 11 Aprile, e 9 Maggio 1712, ordinando con abbondante ed eccessiva pietà, di farsi nuove diligenze spirituali, e giuridiche per ridurre il Reo a penitenza; e si fecero soprabbondantemente negli anni appresso, secondo gli avvisi di quel Tribunale: onde s'adoperarono tutti i possibili mezzi così spirituali, come temporali. Altri Religiosi accesi di santo zelo s'affaticarono per la sua conversione: ma si discoprì sempre più enorme la sua durezza.

Finalmente trasmessa distinta relazione de' suoi processi e sentenza all'Ill. e Rev. Inquisitor Generale il soprallodato Monsig. Vescovo de Alvarrazin residente in Vienna nella Corte dell'Augustissimo Monarca, egli a' 29 Ottobre del 1720 confermò la sentenza tanti anni prima fulminata, e ne comandò l'esecuzione, colla celebrazione d'un Atto Generale di Fede. Non lasciò nulladimeno la pietà singolare del S. Tribunale di proseguir nuove diligenze, per ottener la quanto disperata, altrettanto bramata salute di quest'anima. Nuovi Teologi dotati d'esemplare perfezione e profonda dottrina, si studiarono di rimetterlo in buon senno, e fecero l'ultime prove della loro carità: ma egli si mostrò vie più pertinace, ed impenitente: anzi con accrescimento di nuovi errori, vomitava nuove eresie, facendosi conoscere seguace di altri Eretici condannati dalla Santa Chiesa Cattolica Romana. Or ammutoliva alle ragioni, e preghiere, e dava in rabbiosi contorcimenti. Or l'infelice sedotto si spacciava per Angelo: or per un Dio. Profondato ne' precipizj di più abominevoli errori dicea che Dio avea già levato il Giudizio, Inferno, e Purgatorio. Che vi eran più di cento Dei, e che Egli procedebat ex ore Altissimi. Che si davan più Madri di Dio, che aveano avuto più figli, con altre simili stravaganze: tanto che fece altra volta dubitare, se la sua mente si trovasse lesa da qualche sorta di pazzia. Applicati per tanto dal S. Tribunale altra volta i Medici più accreditati all'esamina di sua salute, dopo mature, e diligenti osservazioni, attestaron con giuramento trovarsi in perfetto stato di salute; e che non fosse già pazzo, ma simulasse pazzia, per sostener la sua diabolica pertinacia. Quindi non restando al S. Tribunale di adoperare altre diligenze, sì in riguardo alla giustizia, sì anche a riflesso di pietà cristiana, venne all'esecuzione della sentenza, colla celebrazione dell'Atto pubblico di Fede.

Fu ella in vero di sommo spavento la perdizione di costui, e la diabolica durezza: e fu considerato da tutti, a qual precipizio, e irreparabil rovina può arrivare l'umana malizia. Avrebbe Egli dovuto apprendere massime di altissima perfezione, e di santa vita in quel rigoroso, ed esemplare istituto, che professava: e dalle virtù di tanti Religiosi che in esso han sempre fiorito ornati di consumata perfezione. Nulladimeno declinando da quei principj, che succiò da esso ne' primi anni della sua vita religiosa, diede in tali eccessi di enormità, che parvero opere più tosto, e sentimenti di pazzo, che di persona ragionevole: ma eran frutto d'un'ostinata malizia, che lo rese incapace d'ogni sentimento di pietà Cristiana. Lo stesso dee argomentarsi dell'altra Rea Suor Geltruda, i cui principj si raccontano dirizzati ad alta perfezione. Ma non debbon le cadute, ed enormità di costoro recarsi a colpa degli Ordini Religiosi, e santi, che professarono, come l'ignoranza di taluno potrebbe opponere. Il difetto d'un solo membro putrido non dee rifondersi a tutto intiero il corpo: nè per un frutto guasto dee condannarsi tutto l'albero. Così la colpa d'un Religioso, non dee ascriversi a tutto l'Ordine regolare, che professarono, come dottamente scrisse l'Angelico S. Tommaso([60]): Non propter hoc infamandum est Religiosorum Collegium, si aliqui ex eorum numero gravia etiam peccata, committunt: alias simili modo et Apostolorum Collegium vituperabile fuit propter hoc quod dicitur: nonne duodecim vos elegi, et unus ex vobis diabolus est?


CAPITOLO DECIMOQUINTO.

Ritorno degl'Inquisitori, e della Croce al Palazzo del S. Uffizio.

 

 

Mentre i Rei Pentiti facean l'atto dell'abjurazione, si levò la Santa Croce Verde dell'Altare dal P. D. Placido Vanni Chierico Regolare, seguito da due altri Teatini; e accompagnato da molti Preti con torce accese in mano, che la precedeano, si portò vicino alla scala, per cui si saliva al Solio de' Sig. Inquisitori, per poi riportarla al Palazzo del S. Uffizio, come si dirà in appresso.

Terminata l'assoluzione, nel modo narrato, ad ore 23 e non restando altro, che fare a' Signori Inquisitori, mandarono Essi ambasciata di complimento al Senato, ragguagliandolo, esser già terminato l'Atto Generale della Santa Fede, e che detti Signori Inquisitori attendevan gli ordini dell'Eccellentissimo Senato. A quest'ambasciata s'alzò il Senato, e si trasferì al Solio degl'Inquisitori: ove giunto, scesero dal loro Solio gl'Inquisitori, ringraziando il Senato per la grave fatica sostenuta in quel giorno: e seguendo scambievoli atti di cortesia, s'incamminarono per iscender dalla scala secreta dietro il palco. Precedean gli Alabardieri del Vicerè: indi la famiglia degl'Inquisitori, gli Ufficiali maggiori del Tribunale, il Pro-Fiscale: i due Mazzieri del Senato colle insegne inalberate, dopo de' quali seguiva il Pretore, e Senatore Priore con in mezzo il primo Inquisitore: indi altri due Senatori col secondo Inquisitore nel mezzo: e poi il terzo Inquisitore fra altri due Senatori; e appresso seguirono gli Uffiziali nobili del Senato. Con quest'Ordine discesi, entrarono nella Cattedrale, e si portarono all'adorazione del SS. Sacramento; ringraziando la Divina Maestà della felice condotta dell'Atto della Fede, e del glorioso Trionfo riportato de' Sagrilegi spregiatori della Cattolica Religione. Passaron poi alla Cappella di S. Rosalia, ove fecero lo stesso; ed uscirono dalla Porta Settentrionale di rimpetto alla Badia Nuova: Arrivati alla ferrata del portico di essa Porta, si licenziarono gl'Inquisitori dal Senato, entrando nella carrozza del Vicerè ivi preparata; deponendo prima le berrette, e ripigliando i cappelli: e con essoloro andò al il Pro-Fiscale. Per la strada del Cassaro a dirittura si portarono al loro Palazzo del Sant'Uffizio; precedendo gli Alabardieri del Vicerè.

Partiti gl'Inquisitori, anche il Senato entrò nella sua carrozza, e co' suoi Uffiziali in appresso s'incamminò verso il Baluardo dello Spasimo per veder l'ultimo atto della tragica azione degli Ostinati, che dovea finir col fuoco. Arrivati al baluardo, ad ore 23 e mezza, il Senato con gli Uffiziali si assise in una parte del palco ivi eretto; e in altra parte vi fu la Principessa Moglie del Pretore, con molte Dame invitate. L'arrivo fu opportuno, in tempo, che i carri de' Rei eran già arrivati in poca distanza dello steccato: e fra tanto si passò un copioso rinfresco.

Nello stesso tempo, che gl'Inquisitori, e Senato diedero la mossa per uscir del Teatro, la Congregazione della Pescagione riordinata in Processione, s'incamminò per riportar la Croce Verde, e li Rei assoluti al Palazzo del Sant'Uffizio. Precedettero i Portieri del Tribunale: indi lo Stendardo Verde della Congregazione, e in appresso la Croce della Parrocchia di S. Niccolò la Calza, colla Croce svelata. Seguirono i Fratelli della Congregazione, parte de' quali andarono due a due con torce accese alle mani, altri si applicarono alla custodia de' Rei, che seguivano colle candele accese; custoditi ancora da altri Portieri, e Familiari del Sant'Uffizio: Indi succedeano i Preti con torce accese, e in ultimo la Croce Verde disvelata, che era portata dal detto Padre D. Placido Vanni senza superpelliccia, ma nel suo abito Religioso.

S'avviò la Processione per lo Cassaro sino al palazzo del Tribunale: e saliti sopra, furono i Penitenti Rei riconsegnati all'Alcaide del S. Uffizio: rinserrati altra volta nelle carceri secrete, per pagar poi la pena ad ognun di essi prescritta dagl'Inquisitori, secondo il merito della loro causa. I Fratelli però della Congregazione s'avanzarono sino alla Cappella, ove eran già arrivati gli Inquisitori, che all'apparir della Santa Croce, si posero genuflessi: e il P. D. Placido la depose a piè dell'Altare; collocata poi con gran riverenza sullo stesso Altare. Indi recitate alcune orazioni, tutti si alzarono, e gl'Inquisitori resero cortesemente le grazie al Padre Vanni, e a' Fratelli della Congregazione, per le tante fatiche sostenute in servizio del S. Tribunale.

Usciti dalla Cappella, il P. Vanni, e Preti partirono: la Congregazione però collo stesso ordine s'incamminò verso il piano di S. Erasimo, e s'avanzò verso lo steccato, per assistere al funesto Spettacolo de' Rei ostinati, e ripigliar poi la sua Croce Bianca.

 

 

CAPITOLO DECIMOSESTO.

Esecuzione della Sentenza contro gli ostinati Rei.

 

 

 

Ma tempo è già di chiuder questa narrazione col racconto del fine deplorabile de' due Rei, che colla loro inflessibile durezza si tiraron sul capo il meritato gastigo. Essi consegnati dalla Corte Capitaniale a' Ministri della Giustizia, e a' Fratelli della Pescagione, furono estratti dalla stanza, ove s'era pronunziata la loro sentenza. Fu fatta salire sopra d'un carro tirato da' buoi Suor Geltruda sull'uscir della stanza: il Carnefice la legò al palo, sopra di esso già preparato. Fra Romualdo s'incamminò a piedi, e così passò per la strada della Badia Nuova, e per lo Monastero de' Sett'Angioli, ove poco appresso la Chiesa si trovò altro carro con due buoi, ed in esso salì l'Infelice, legato colle mani addietro ad altro palo.

Non furon però abbandonati dalla carità de' Teologi, ne' quali non era ancora spenta la speranza di guadagnarli: onde sul carro di Fra Romualdo salirono D. Niccolò Bonanno, e il P. Fr. Paolo di S. Filippo Mercennario Scalzo, vestiti coll'abito della Compagnia: e senza abito il P. Niccolò Lavaggi della Compagnia di Gesù, che affine di potervi intervenire, come Fratello della Compagnia dell'Assunta, si pose sul capo il di lei Cappello azzurro. Sul carro di Suor Geltruda ascesero D. Pietro Sant'Anna, D. Gio: Battista Ingoglia, il P. Lorenzo Costa de' Minimi, e il P. Ignazio di S. Raimondo Mercennario Scalzo: pur coll'abito della Compagnia. E questi Teologi tutti continuarono le loro ferventi esortazioni, e ultime, e salutevoli ammonizioni incessantemente per tutta la strada.

La Compagnia fra tanto uscita dal Teatro, e passando avanti il Palazzo Arcivescovale, cominciò a scendere per la strada del Cassaro, e si fermò alla punta del Monastero de' Sette Angioli, e del piano della Cattedrale. Ivi passati prima gli Uffiziali della Corte Capitaniale a Cavallo, che accompagnarono i Rei, seguì la Compagnia, e poi i due Carri de' Rei custoditi da' Familiari del S. Uffizio, e Congregati della Pescagione, circondati da un folto concorso di popolo, che l'accompagnava con varj effetti. Chi escamava con atti di pietà, e dolore, chiedendo per sé perdono, e misericordia a Dio: chi pregava la Divina Clemenza ad illuminar la mente ottenebrata degl'infelici Rei: e chi detestava la loro diabolica durezza.

Scesero per lo Cassaro con quest'ordine sino alla Madonna del Cassaro, ove si venera un'Immagine della SS. Vergine, illustrata dal Signore con molti miracoli, che l'hanno resa celebre dappertutto. Ivi si fece fermare il carro di Fr. Romualdo: e i Padri assistenti rivoltatisi al Popolo numerosissimo, pregaron tutti ad implorare la Divina Clemenza, e il Patrocinio della benignissima Regina del Cielo: e a dar più fervore alle preghiere, si fecero una pubblica disciplina([61]). Si commosse tutto il Popolo a largo pianto, e diede in altissimi clamori, invocando la Divina Misericordia, e la pietà della Vergine: onde si averebbe intenerito in tal punto a quell'atto di sopraffina carità un cuor di diamante. Solo Fra Romualdo fra tante lagrime, ed esclamazioni, si tenne pertinace, ed immobile. Anzi non si potè ottener da' Padri, che vivamente ne lo pregavano, che si rivoltasse a dare un solo sguardo all'Immagine di Maria; ancorchè aggiungessero anche la violenza per fargli rivoltare il capo, e fargliela vedere.

Avanzandosi all'imboccatura della strada de' Centurinari, ed entrati in essa, si fermò altra volta il carro di Fr. Romualdo avanti una devotissima immagine del Santissimo Crocifisso, che si venera in un cantone in mezzo alla strada, per implorar la benignità del Signore: e poi avanti la Chiesa de' Padri Conventuali, e si replicò da' Sacerdoti assistenti, e dal Popolo la invocazione della Divina Pietà, e la Clemenza dell'Immacolata Signora: ma egli coll'ostinazione, vie più imperversata, demeritò la grazia del ravvedimento. S'avanzaron dunque sino al Palazzo del Sig. Principe d'Aragona Capitano: indi rivolgendo il cammino per la strada dell'Alloro, discesero sino al Monastero della Pietà; e passando avanti la Chiesa di S. Mattia, Noviziato dei Chierici Regolari Ministri degl'Infermi, uscirono per la porta dei Greci, portandosi al piano di Sant'Erasimo, luogo del loro supplizio: riempito tutto dallo sterminato concorso, affollatosi non tanto per vedere, quanto per compiangere la perdita degl'Infelici.

Circa le ore 23 e tre quarti entrò nello steccato il carro di Suor Geltruda, e quanto più avvicinava al luogo della fornace, vie più cresceva ne' Teologi assistenti l'ardore del loro santo zelo per ridurla a penitenza: ma l'Iniqua senza impallidire alla vista del patibolo, altro non dicea, che era innocente, e ingiusto il Tribunale, che l'avea condannata: senza riflettere al gran cumulo delle sue iniquità. Indi entrò il carro, che portava Fra Romualdo, che dovea prima bruciarsi: ma nello scender dal carro, fu maraviglioso il gran concorso della gente, che s'affollò intorno ad esso. Cavalieri, Religiosi, e altri d'ogni condizione, mostrando un immenso zelo della sua eterna salute, se gli gettarono a' piedi, e chi con amorevoli rimproveri, chi con preghiere, chi con atti di profonda umiliazione in ginocchio, e chi a forza di lagrime, si fece lecito dimostrare la brama della sua salvazione, pregandolo a pentirsi, e ad aver pietà dell'anima sua. Ma tutti parlavano e con gli occhi, e colla lingua ad un sordo: tenendosi inflessibile senza dar minimo segno di pentimento, e commozione. Questi amorevoli, e pietosi uffizi impedirono per qualche spazio di tempo l'esecuzione del suo bruciamento: e fra tanto portata sul patibolo Suor Geltruda, fu ivi legata al palo colle braccia a dietro e colla faccia di profilo al Baluardo Vega. Allora i serventi, e infaticabili Sacerdoti della Compagnia diedero l'ultime batterie al cuore indurito dell'Ostinata. E veramente non è possibile spiegarsi dalla penna, quanto sudassero per la sua conversione, tanto in tutta la strada, e sopra lo stesso rogo negli ultimi momenti della sua vita infelice, affine di ravvederla de' suoi errori. Ma alla fine stanca la loro energia, vedendo inutilmente sparse tante loro esortazioni, sudori, e lagrime, furono astretti a ritirarsi per dar luogo alla giustizia. Quindi prima se le bruciarono i capelli per farle provare un picciol saggio degli ardori del fuoco; ma essa mostrò più dispiacimento delle chiome, che dell'anima. Indi si diede fuoco alla sopraveste di pece, se forse l'ardor delle fiamme le facessero aprir gli occhi: ma conoscendosi tuttavia ostinatissima, si diede fuoco alle legna della fornace di sotto, che consumando le tavole, sopra delle quali sedea l'indegna, piombò dentro di essa, e vi restò consumata; spirando l'anima per passare dal fuoco temporale all'eterno.

Mentre bruciavasi l'infame corpo, la Congregazione levò dal suo luogo, ove era inalberata, la Croce Bianca, togliendola dagli occhi degli Infelici: ma si trattenne a partire, aspettando l'esecuzione della sentenza dell'altro. Prima di farlo ascedere sul patibolo, gli fu fatto vedere l'esito dell'Infelice Geltruda per commuoverlo a terrore, e pentimento: riscaldando al maggior segno l'esortazioni più veementi i Sacerdoti, e durarono in questa batteria un grosso quarto: ma si sfiatarono invano, poichè nè le fiamme vedute lo sbigottirono, nè le ammonizioni lo commossero punto: onde si fece ascendere sul patibolo. Ivi il Principe di Montevago, che avea portato lo Stendardo della Congregazione, con energia Cristiana diede al Malfattore gli ultimi ricordi: come fecero altresì gli altri Sacerdoti: ma egli con ostinata perversità deluse ogni speranza, spregiò ogni avviso. Quindi dal Carnefice fu strettamente legato al palo, e si diede fuoco alla sua sopraveste di pece. Fece egli allora violenti moti per alzarsi: e soffiava nel fuoco, quasi volesse estinguerlo, mentre le fiamme gli bruciavan la faccia: ma non per tanto l'ostinato diede segno di pentimento. Indi s'appiccò il fuoco alla catasta delle legna nella fornace di sotto: e mentre s'avanzavan le fiamme, facea sforzi violentissimi; consumata però ben tosto la tavola, che lo sostenea, piombò a faccia sotto dal lato destro della stessa fornace: e da quelle fiamme passò l'anima a provar l'atrocità dell'eterne pene, che egli ebbe ardimento di niegare. Fu la sua morte infelice circa a mezz'ora della notte, con alto spavento di quanti si trovaron presenti. Seguì il fuoco per tutta la notte, finchè si ridussero in ceneri gl'indegni cadaveri, che furon poi seminate per quel piano, per esser disperse dal vento.

Seguita la morte degl'Infami Eretici la Congregazione della Pescagione rimessa in ordine di Processione, colla sua Croce Bianca portata dal P. D. Giuseppe Bonanno, Padre di essa Congregazione, si avviò per la spiaggia del mare, ed entrata per la Porta Felice, per la strada del Cassaro si portò alla Chiesa di S. Giuseppe, ove fu decentemente collocata nel loro Oratorio sotto la stessa Chiesa.

Così terminò l'ultima scena di questa rappresentazione lieta insieme, e lagrimevole: lieta per l'ammirabil Trionfo della Santa Fede riportato degli Eretici suoi nemici: lagrimevole per la perdita de' due Ostinati. Quindi varj furono i discorsi degli Spettatori, siccome varie le riflessioni, che fecero. Molti non si stancavan di celebrare l'utile del S. Tribunale nel conservare nella sua purità la Santa Fede: lodavano con meritati encomj la pompa della Processione, il fasto de' Cavalieri, il numero degli Arrolati all'ossequio del Tribunale, la maestà degl'Inquisitori, la loro rettitudine, pietà, e rigore. Altri inteneriti per la conversione de' Rei piangeano per divozione. Altri detestavano con atti d'abominazione gli errori, e molto più l'ostinazione de' Pertinaci. Tutti bramavano la conversione de' due Delinquenti. Le preghiere, le lagrime, e le umiliazioni di quei, che stimolati dalla cristiana pietà implorarono la divina clemenza per ammollire la durezza diabolica de' due perversi, furono incessanti. Io so che vi furon molti, che offersero a Dio molte divozioni, accompagnate dal rigore di molte penitenze, e spesero lunghe, e ferventi orazioni: che s'obbligarono alla Divina pietà di esercitarsi in opere penali, di digiuni, e discipline, e di tributar esercizj di somma pietà, per impetrar la conversione degl'Infelici. S'avantaggiarono fra questi molte Religiose, racchiuse ne' Sacri Chiostri, che volentieri offersero a Dio la propria vita: e a costo della temporale avrebbono comperato la vita dell'anima degl'Ingannati. Fra Secolari si trovò donna fornita di tanta carità, che spinta dall'ardente brama di guadagnarli a Dio, gli offerì un bambino, unico parto delle sue viscere, e singolar godimento del suo cuore, purchè impetrasse dalla divina beneficenza lume bastevole agl'Ingannati per convertirsi. Ma poichè essi elessero piuttosto lasciar la vita fra le fiamme, che l'ostinazione, tutti venerarono i Divini, imperscrutabili giudizj di Dio: e acclamarono nella loro perdita il Trionfo della Santa Fede, che riportò sugli Empi, col gridare ad altissime voci: Viva la Santa Fede.

Si maravigliaron molti della costanza, che mostrarono i due Ostinati, nell'udire intrepidi le minaccie della morte, nell'andare con franco piè al supplizio: non impallidire alla vista del rogo, non sbigottirsi alle prime vampe; e nell'infame morte, anzi che spavento, mostrar una straordinaria fortezza. Ma non è da maravigliarsene. Vanta anche i suoi Martiri il demonio. Si de passionibus gloriandum est, scrisse S. Agostino([62]), potest et ipse diabolus gloriari. S. Cipriano([63]) anch'egli degli Eretici scrisse: Ardeant licèt flammis, et ignibus traditi, vel objecti bestiis, animas suas ponant, non erit illa Fidei corona, sed poena perfidiae: nec religiosae virtutis exitus gloriosus, sed desperationis interitus. Quindi da S. Bernardo([64]) son chiamati: Perfidiae Martyres, e la loro costanza nasce dal demonio, che ne indura il cuore, da lui pienamente posseduto. Mirabantur aliqui, scrive lo stesso Santo, quòd non modò patienter, sed laeti, ut videbantur, ducerentur ad mortem. Sed qui minus advertunt, quanta sit potestas diaboli, non modo in corpora hominum, sed etiam in corda, quae semel permissus possederit. Nonne plus est sibimet hominem iniicere manus, quàm id libenter ab alio sustinere? Hoc autem in multis potuisse diabolum frequenter experti sumus, qui seipsos aut submerserunt, aut suspenderunt. Denique Judas suspendit seipsum, diabolo sine dubio immittente. Nihil ergo simile habet constantia Martyrum, et pertinacia horum: quia mortis contemptum in illis pietas, in istis cordis duritia operatur. Quindi a proposito scrisse l'Engelgrave([65]): Diabolus inter suos Martyres numerat haereticos, qui ex merito flammis, aliisque atrocibus poenis addicti, diabolica pertinacia omnia perpeti maluerunt, quàm errores suos, et falsa dogmata revocare.

Il giorno seguente 7 Aprile quei Rei pentiti, che erano stati condannati alla frusta, sopra vili giumenti: e alcuni di essi con vergognosa mitra in testa, furon condotti per le pubbliche e principali strade della Città, per pagar la pena degli errori, secondo era stata imposta dalla giustizia del Tribunale.

Da questo pubblico, e Generale Atto di Fede con somma ammirazione ne raccolse Iddio la sua gloria; poichè oltre essere stati vendicati gli oltraggi fatti da' Malvagi alla Santa Cattolica Fede, e aver trionfato sopra degli Empj la nostra Santa Religione, molti, o sia per aver concepito un sacro spavento de' divini giudizj, considerando come persone allevate con massime di perfezione, nulladimeno dopo i lor buoni principj prevaricarono in orrende eresie; o sia per non incorrere nel demerito d'esser da Dio abbandonati coll'abuso della divina grazia: o che al riflesso delle fiamme, che incenerirono gl'Infelici, si rammentaron dell'eterne pene preparate agli ostinati; molti, dissi, di perduta coscienza, che per parecchi anni non s'era confessati, con lagrime di cordial pentimento vomitarono a' piedi de' Confessori le loro colpe, e si riconciliarono con Dio offeso.

 

 

CAPITOLO DECIMOSETTIMO

Indulgenze concesse da Sommi Pontefici.

 

 

Fu sempre considerato il Tribunale della S. Inquisizione da' Sommi Pontefici per una delle più profittevoli opere, che risplendano nella Cattolica Chiesa, sì in riguardo a promuovere gli interessi della Santa Fede, sì anche in estirpare l'Eresie, che senza la sua opera crescerebbono a contaminarla. Quindi fu arricchito da essi di privilegi, e di molte Indulgenze, delle quali qui se ne registra il Sommario.

 

 

 

SOMMARIO DI VARIE INDULGENZE E PRIVILEGI

concessi per alcuni Sommi Pontefici

alli Signori Inquisitori, Uffiziali, Commissarj, Familiari,

ed altri Ministri del S. Uffizio dell'Inquisizione,

contro l'Eretica pravità, e alla Confraternita delli Crociati

sotto l'invocazione e Titolo

DI SAN PIETRO MARTIRE.

 

I Sommi Pontefici, Urbano IV nell'anno mille ducento sessant'uno, e Clemente IV che gli successe nell'anno mille ducento sessanta cinque, concessero per loro Bolle Apostoliche, che incominciano, præ cunctis: a' Signori Inquisitori Apostolici, che s'impiegheranno ne' negozj del S. Uffizio la medesima Indulgenza Plenaria, che fu concessa nel Concilio Generale Lateranense, che si celebrò nella Città di Roma l'anno mille ducento quindeci, a coloro, che andassero e soccorrere la Terra Santa non solamente per una volta, ma per ciascun Atto pubblico, che celebreranno contro gli Eretici, in favore, e difesa della Fede, Cattolica, o sia di riconciliazione, assoluzione, o di qualsivoglia altra maniera, durante il suo Uffizio.

Di più i medesimi Pontefici di sopra riferiti, concedono ai Fiscali, Secretarj, Avvocati, Notaj, ed altri Ufficiali, che insieme con i Signori Inquisitori assisteranno personalmente nel proseguimento delle cause contro gli Eretici, tre anni d'Indulgenza per ciascheduna di esse, in che s'impiegheranno nel detto Santo Uffizio, essendo separate l'une dall'altre. E la stessa Indulgenza loro è concessa per lo Pontefice Gregorio Nono nella sua Bolla che incomincia, Ille umani generis,che fu pubblicata l'anno mille ducento trenta cinque; e per Adriano Quarto nella sua Bolla che incomincia: Firmissimè teneat, l'anno 1259.

Di più concedono i medesimi Sommi Pontefici Urbano Quarto, e Clemente Quarto nelle medesime Bolle riferite a' detti Signori Inquisitori, che verranno a morte durante il tempo, che eserciteranno il loro uffizio contro gli Eretici, Indulgenza Plenaria, e remissione di tutti i loro peccati nell'articolo della morte, stando contriti, e confessati.

Di più gli stessi Pontefici Urbano Quarto nella Bolla, che incomincia: Licet ex omnibus, Gregorio Nono, e Clemente Quarto nelle medesime Bolle di sopra riferite concedono a' detti Uffiziali del Santo Uffizio, che stando occupati insieme con i detti Signori Inquisitori nelle cause contro gli Eretici, venissero a morire, Indulgenza Plenaria, e remissione di tutti i loro peccati nell'articolo della morte, essendo contriti, e confessati.

Di più il Pontefice Clemente Settimo nella Bolla, che incomincia: Cum sicut, data in Bologna li quindici di Gennajo del 1530 concede a' Crociati, o Familiari del S. Uffizio, che sono l'istessa cosa, benchè differiscano nel nome, quando sono ammessi da' Signori Inquisitori, e giurano innanzi loro, che tutte le volte saranno chiamati per i detti Signori, o loro Vicarj, che sono i Commissarj per pigliare gli Eretici, assisteranno con tutto il lor potere, conseglio, e favore, lor concede Sua Santità per quella volta, e nell'articolo della morte, essendo contriti, e confessati, Indulgenza plenaria, e remissione di tutti i loro peccati: e che possano essere assoluti di tutti peccati, e delitti, ancorchè fossero delli riservati nella Bolla della Cena del Signore.

Di più l'istesso Pontefice Clemente Settimo concede nella detta Bolla a' detti Familiari, che in tempo di Interdetto possano assistere a' Divini Offizj, e se in quel tempo si morissero godano dell'Ecclesiastica Sepoltura, benchè senza pompa funerale, non essendo però stati causa di tal Interdetto. Così ancora concede loro in tutti i giorni dell'anno, che visitando cinque Altari in una Chiesa, se tanti ve ne fossero, o uno, non avendone più la Chiesa di quel luogo, ed ivi orassero, e recitassero un Salmo in ginocchio, o cinque Pater Noster, e cinque Ave Maria, guadagnino le stesse Indulgenze, che sono concedute a quei, che visitano le Stazioni della Santa Città di Roma.

Di più si concedette a' detti Crociati, o Familiari del Santo Uffizio da' Pontefici Urbano Quarto, e Clemente Quarto nelle Bolle sopra riferite, che incominciano Præ cunctis, e dal Pontefice Calisto Terzo nella Bolla, che incomincia: Injunctum nobis, data l'anno 1458 tutte le volte andassero a pigliare gli Eretici, godano del privilegio della Indulgenza Plenaria, che fu concesso a que', che andassero alla conquista di Terra Santa, dal Pontefice Innocenzio Terzo nel Concilio Generale Lateranense riferito di sopra.

Di più il Pontefice Pio Quinto nella Bolla che incomincia: Super gregem Domini, nella quale confirmò a' fratelli di San Pietro Martire, che erano Uffiziali, Commissarj, e Familiari del Santo Uffizio dell'Inquisizione della Città di Vagliadolid le costituzioni, ed ordinazioni della detta Confraternita ad istanza del Cardinal Don Francesco Paceco, concede a tutti i Signori Inquisitori, Fiscali, Secretarj, ed altri Uffiziali della detta Confraternità, che in quel tempo erano, e per l'avvenire fossero, ed a tutti gli altri Signori Inquisitori, Fiscali, Uffiziali, Commissari, Familiari, e Ministri dell'altre Inquisizioni, essendo fratelli della Confraternita di San Pietro Martire, o che per l'avvenire fossero ammessi nella detta Confraternità, ed innanzi di uno de' detti Signori Inquisitori, ed un Notajo, o Secretario del Santo Uffizio facessero solenne giuramento d'aggiustar, e difendere la Santa Fede, e Chiesa Cattolica Romana con le loro forze, e poteri; ed al Santo Uffizio dell'Inquisizione, e suoi Ministri contro qualsivoglia Eretico, in qualsisia occasione, o necessità che se gli offerisse, Indulgenza Plenaria, e remissione di tutti loro peccati, essendo veramente pentiti, e confessati. E dell'istessa Indulgenza Plenaria, e remissione di tutti loro peccati concede possano godere nelle feste di S. Pietro Martire, ricevendo il SS. Sacramento dell'Eucaristia, e nell'articolo della morte; e che si possano eleggere un Confessore Secolare, o Regolare nella detta festa, e nell'entrata in detta Confraternità, e nell'articolo della morte, che li possa assolver di qualsivoglia peccato, eccesso, e delitto per grave, ed enorme che fosse, benchè sieno de' riservati alla Sede Apostolica, e contenuti nella Bolla della Cena del Signore; imponendoli per la colpa una penitenza salutare: e lor possa commutare in altre opere di pietà qualsivoglia voto, che avesse fatto, eccettuati quelli di Gerusalemme, Castità, e Religione, con che sieno obbligati a portare sopra le vesti, o sotto di esse una Croce a simiglianza de' Crociati, che differisca dall'altre, che portano i Cavalieri degli Ordini Militari in Ispagna, come sono di San Giacomo, Calatrava, ed Alcantara.

Di più l'istesso Pontefice Pio V. nel Sacro Canone, che incomincia: Si de protegendis, il quale coll'assistenza, e consiglio di tutto il Collegio Apostolico dell'anno 1569 contra que', che offendessero lo stato, beni, e persone del Santo Uffizio dell'Inquisizione contra l'eretica pravità, dichiara a tutte le persone particolari, o Città, e Terre, o Signori, Conti, Marchesi, Duchi, o ad altri più principali titoli, che ammazzassero, o ferissero, o cacciassero dalle loro Terre, o minacciassero a qualsivoglia dei Signori Inquisitori, Avvocati, Fiscali, Secretarj, o altro qualsivoglia Ministro del Santo Uffizio, ed a' Commissarj, che ne' suoi territorj esercitassero il detto Santo Uffizio, per pubblici scomunicati, e che abbiano incorso nel delitto di Lesa Maestà, e ad altre pene gravissime, acciocchè sieno gastigati del loro Sagrilegio, e malvagio ardimento.

Tutte queste grazie, ed Indulgenze Plenarie c'hanno conceduto i detti Sommi Pontefici; come s'ha riferito, l'han confirmato di nuovo i Pontefici Clemente VII. nella Bolla, ch'incomincia: Cum sicut, menzionata di sopra. Ed il Pontefice Pio V. nella Bolla che incomincia: Sacrosancta Romanae pubblicata in Roma a' 13 Ottobre l'anno 1570.

 

 

Paolo Papa V. ad perpetuam Rei memoriam.

 

Concede a tutti, e ad ognuno de' Fedeli Cristiani, che saranno ammessi nella Confraternità de' Crociati, sotto titolo, ed invocazione di S. Pietro Martire, per assistere agl'Inquisitori contro l'Eretica pravità, ch'è propagata per diverse parti, in qualsivoglia tempo, o luogo, il giorno, ch'entreranno, Indulgenza Plenaria, e remissione di tutti i loro peccati.

Di più a tutti, e ad ognuno de' Fratelli della detta Confraternità presenti, e futuri, che stando veramente pentiti, e confessati, e se avendo commodità, ricevessero il Santissimo Sacramento dell'Eucaristia, o che fossero contriti, ed essendo in articolo di morte, invocassero il dolcissimo Nome di Gesù con la bocca, e non potendo con essa, col cuore, Indulgenza plenaria.

Di più a tutti, e ad ognuno de' detti Fratelli, che visiteranno alcun Oratorio, Chiesa, o Cappella della detta Confraternità, ne' giorni dell'Esaltazione di S. Croce, o di S. Pietro Martire, dal primo Vespro, sino al tramontar del Sole del giorno della festività, confessati, e communicati, pregheranno a Dio Signor Nostro per lo felice stato della Santa Madre Chiesa, Esaltazione della Fede Cattolica, estirpazione dell'Eresie, salute del Romano Pontefice, pace, e concordia fra Principi Cristiani; Indulgenza Plenaria, e remissione di tutti i loro peccati.

Di più a qualsivoglia de' detti Fratelli, che facessero le sopradette cose dalli primi Vespri de' giorni dell'Invenzione della Croce, Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, Annunciazione, ed Assunzione di Nostra Signora, e nel giorno di tutti i Santi, quaranta anni d'Indulgenza.

Di più a tutti, che aiuteranno a pigliar gli Eretici, e custodirli, dopo essere stati presi, o accompagnandoli, acciò vadano sicuri, o in qualsivoglia altra maniera aiuteranno per il sopraddetto effetto, quarant'anni d'Indulgenza.

Di più a' Fratelli, che staranno presenti alle processioni, che fanno per loro istituto, o in qualsivoglia maniera con licenza dell'Ordinario, ed a coloro, che assistono alle Abjurazioni pubbliche, o particolari degli Eretici, ed a quelli, che s'occuperanno nella conversione degli Eretici, ed instruirli nella Fede Cattolica; ed a quei, che assisteranno a sentir le Prediche, che contro quelli si fanno: ed a tutti coloro, che aiuteranno contro i fautori, ricettatori, e difensori degli Eretici; ed a tutti quelli, che nell'antedetto assisteranno a' Signori Inquisitori con consiglio, aiuto, o favore: il giorno, che faranno alcuna cosa delle sopraddette, per l'Autorità, che abbiamo, rimettiamo loro nella forma, che la Chiesa costuma, quarant'anni delle penitenze, che sono state loro imposte, o in qualunque maniera debbano.

Di più a tutti i sopraddetti fratelli, che in qualsivoglia giorno dell'anno visiteranno cinque Altari, se vi sono, o almeno un'Altare in quella parte, dove non ve ne sieno degli altri, reciteranno divotamente un Salmo, o cinque volte il Pater Noster, con l'Ave Maria, guadagnino l'istesse Indulgenze, e remissione de' peccati che guadagnerebbono, se in quel giorno visitassero le Chiese, alle quali vi son concesse Indulgenze in Roma.

Di più queste Indulgenze vagliano per ogni tempo perpetuamente.

Di più dichiara, che le sopraddette Indulgenze, e grazie, si concedono dell'istessa maniera agl'Inquisitori contro l'Eretica pravità, ed a' loro Vicarj, e Consultori, ed agli altri Uffiziali, Ministri, e Servienti del S. Uffizio dell'Inquisizione in qualsivoglia parte, che risiedano, benchè non sieno scritti nella detta Confraternita, facendo ognuno il suo uffizio, che gli appartiene, o in altra maniera facessero le sopraddette cose, non ostante le Costituzioni, ed Ordinazioni Apostoliche, e la regola, che proibisce conceder le Indulgenze ad instar, e le cose, che in contrario possano farsi, Datum Romae apud Sanctum Marcum, sub annulo Piscatoris, die 28 Julii 1611 Pontificatus nostri anno octavo.

S. Cobellutius.

 

Forma di benedire, e dar l'abito a' Familiari, e Ministri del S. Uffizio,

quale tocca a qualsivoglia de' Signori Inquisitori del Regno,

o alla persona, che per tal effetto assegneranno.

 

BENEDIZIONE DELLA CROCE.

 

¢. Adjutorium nostrum in nomine Domini.

ø. Qui fecit Cælum et Terram.

¢. Ostende nobis Domine misericordiam tuam.

ø. Et salutare tuum da nobis.

¢. Dominus vobiscum.

ø Et cum spiritu tuo.

OREMUS

 

Omnipotens sempiterne Deus, qui Crucis signum pretioso Filii tui sanguine consecrasti, per eamdem Crucem, et mortem ipsius Filii tui Jesu Christi, Mundum redimere voluisti, ac per ejusdem venerabilis Crucis virtutem Hominum genus ab antiqui hostis tyrannide liberasti: Te supplices exoramus, ut digneris hanc Crucem tua pietate bene†dicere, et cælestem ei virtutem, et gratiam impertire: ut quicumque eam super se gestaverit, cælestis gratiæ plenitudinem recipere, et Christum contra omnes animæ, et corporis inimicos, protectorem habere mereatur. Qui tecum vivit, et regnat per omnia sæcula sæculorum. Amen.

 

 

Al dar della Croce dica.

 

Accipe signum Crucis Domini nostri Jesu Christi, in nomine Pa†tris, et Fi†lii, et Spiritus†Sancti, in figuram et memoriam Crucis, Passionis, et mortis Jesu Christi Redemptoris nostri, ad animæ, et corporis tui salutem, et Catholicæ Fidei defensionem, ut divinæ bonitatis gratia, te ad cælestia regna perducat. Amen.

¢ Ostende nobis Domine misericordiam tuam.

ø Et salutare tuum da nobis.

¢ Domine exaudi orationem meam.

ø Et clamor meus ad te veniat.

¢ Dominus vobiscum.

ø Et cum spiritu tuo.

OREMUS

 

Protende Domine famulo tuo dexteram cælestis auxilii, quem pro gloria tui nominis, signo Sacratissimæ Crucis insigniri, et propugnatorem Sanctæ Fidei tuæ, contra perfidos hæreticos, eorumque fautores, et defensores, fieri voluisti, ut de toto corde perquirat Fidem Catholicam, viriliter defendat, et quæ dignè postulat sic assequatur, ut agone dignè peracto, regni Filii tui, cohæres esse mereatur. Per eumdem Christum Dominum nostrum. Amen.

Aspergatur aquâ benedictâ.

 

 

 

 

 

FINE.


APPENDICE

 

 

(I)

AL DISCRETO LETTORE

 

Trad. Ieri, alla Camera dei Deputati, è stata la giornata delle petizioni. Tra i ricorsi, individuali o collettivi, ve n'è sempre qualcuno che merita interesse. Noi abbiamo notato soprattutto quello della famiglia palermitana che chiede l'esenzione da una tassa alla quale è obbligata nei confronti del demanio. Quale è l'origine di questa tassa? Non lo immaginereste mai. Questa famiglia paga annualmente una somma al demanio per le spese del processo a Suor Geltruda, bruciata viva per ordine del Sant'Ufficio di Palermo nell'anno 1724. La storia è famosa negli annali italiani del mezzogiorno. Ma ecco com'è raccontata dal Colletta([66]). Nel 1699, dice Colletta, furono imprigionati dal Sant'Ufficio di Palermo, fra Romualdo, laico agostiniano, e suor Geltrude, religiosa di S. Benedetto; il primo per quietismo, molinismo, eresia; l'altra per orgoglio, vanità, temerarietà, ipocrisia. Tutte e due una specie di folli. I Santi Inquisitori e i teologi del Sant'Ufficio avevano disputato molte volte con questi disgraziati che, ostinati come mentecatti, ripetevano le loro eresie. Imprigionati, la donna per 25 anni, il frate per 18, sopporteranno i più crudeli tormenti, la tortura, la frusta, la fame, la sete; ed infine arriverà il desiderato momento del supplizio. Gli inquisitori, infatti, li condannarono ambedue a morte. La sentenza sottolineò la dolcezza, la mansuetudine, la benevolenza dei santi inquisitori e, in contrasto con tanta umanità, la cattiveria, l'irreligiosità, l'ostinazione dei due colpevoli. S'insistette anche sulla necessità di mantenere la disciplina della sacrosanta religione cattolica, di spegnere lo scandalo e di soddisfare all'indignazione dei cristiani. Il 6 aprile 1724 sulla piazza sant'Erasmo, la più grande della città di Palermo, fu preparato ed eseguito il supplizio. Ciò è sufficiente a far comprendere, se una famiglia paga una tassa al demanio per le spese di simile processo, che è una singolarità poco degna del XIX secolo. Cosa ne pensa l'Unità Cattolica? Pensa probabilmente che la miglior cosa da fare sarebbe quella di spedire il prete Cireno Rinaldi a raggiungere Suor Geltrude. Si è ortodossi, o non si è. (N.d.R.)

 

 (II)

 

SIRE

 

Le opere grandi e perfettamente buone, che sono quelle più raccomandate dal Verbo incarnato nella Redenzione dell'Universo, debbono, secondo il salmo 44, dedicarsi a quelli che sono e sanno essere Re, e Cristianamente zelanti Sovrani. Essendolo tanto V.M., che è veramente uno di quelli principalmente contemplati nel celestiale vaticinio, Isaia al cap. 49, sulla podestà della Chiesa e della sua sacrosanta giurisdizione, et erunt Reges nutrii tui: quando generosamente V.M. Cattolica conserva la Reale sostanza, che i gloriosi predecessori di V.M. destinarono per nutrimento e conservazione del santo Tribunale della Inquisizione di Sicilia, e di tutti i suoi Ministri, seguendo volenterosamente gli esempi di Valentiniano, Marciano, ed altri, come riferisce Paolo Diacono, cap. 24, proteggendo i capitali castighi contro gli eretici, per compiere ciò, che comanda il Levitico, cap. 24. Qui blasphemaverit nomen Domini, morte moriatur: e con la liberalità di Carlo V e dei suoi successori Austriaci, i quali (come agisce V.M.) provvidero con tanto interesse, perchè il sacrosanto coltello opportunamente recidesse la parte già cancrenata (come è successo nell'Atto Generale celebrato in Sicilia) affinchè non s'infettasse tutto il corpo: sarebbe ingiustizia il non dedicare a V.M. la relazione stampata, che umilmente presento, di funzione tanto Venerabile, Cattolica, e Sacra. Chi potrà, Sire, spiegare la pietosa liberalità da V.M. esercitata con noi Spagnoli, che godiamo l'incomparabile onore di esser sottoposti alla Denominazione Augustissima! che non solo abbiamo incontrato un Monarca, che ci onora, e conserva in quella invidiabile purezza di Religione, che servì sempre di termine di paragone a tutte le Nazioni; ma eziandio un generoso padre, che distribuisce a suoi figli consolazioni e abbondanza. Basterà il dire che, se avvi realtà e verità in quelle finte catene di Alcide, che cominciavano dalla sua bocca parole, e terminavano con catene dorate, ciò si è per quelle, a cui noi dobbiamo una schiavitù così dolce e fortunata, che disertano per conseguirla gli avventurati e liberi dai Dominii Gloriosissimi.

Sognarono i Greci, che il loro amabile Demetrio teneva una rete prodigiosa, colla quale prendeva Provincie, e aumentava i suoi Stati. Che avrebbero detto, Sire, se avessero provato ciò che accade nel suolo prezioso di V.M., nel quale non bastano le risorse dell'aritmetica per noverare le Provincie che più che si conquistano, si annettono, e in cui le Nazioni le più lontane fanno a gara per arrivare a prender parte nell'aumento degli Austriaci Dominii?

Tacciano, e non parlino più i Rodiani della loro favola, colla quale finsero che il loro Giove convertiva le Sfere in pioggie di abbondanza; e vengano a cantare le realtà dell'Austriaco Giove, il quale prodiga a' suoi fortunati vassalli immensi mari di ricchezze.

Ciò che vi ha di realmente incomparabile nella successione mascolina si rileva, Sire, da questa eroica e perfetta azione; poichè se a Davide per decreto divino, secondo Valenzia: in praefatione Psalmorum, non fu concessa la generazione di Assalonne ed Adonia, infruttuosa per i fini dei vaticini sacri; ma bensì quella di Salomone, necessaria a continuare fino alla generazione del Messia, per cui raccomandò a suo figlio la fabbrica di quel tempio; nel quale si conservasse con venerazione la legge scritta, racchiusa nell'Arca del Vecchio Testamento, con più ragione si può sperare che si aumenti la generazione di V.M. di molti Salomoni, che continuino e conservino la stirpe Austriaca, (con tanti maschi, secondo le predizioni) mentre non solo V.M. protegge, ma sostiene l'unico Tempio, in cui si conserva pura tutta la legge di grazia, e destina le sue Reali sostanze, perchè con giusti castighi si applichino esemplari correzioni.

O Sire, qui ci vorrebbero non le cento come desiderava il Poeta, ma le mille lingue: non le cento, ma le mille bocche per spiegare la minima parte del mio gradimento che conserverò sempre a V.M. per avermi innalzato alla dignità di principale condotto per cui passano le giuste operazioni della Giurisdizione Sacrosanta di un Monarca tanto eccellente che, con più ragione che Ervigio vostro antecessore, San Leone II avrebbe potuto chiamare Preexcellentissimo: tanto Cristiano, che S. Gregorio VII avrebbe potuto, con più motivo che gli Aragonesi Ramiro e Sanccio, appellarlo Christianismo: e tanto zelante e Cattolico, che con più proprietà avrebbero potuto gli oracoli della Chiesa distinguere V.M. col titolo singolare di Cattolico che a Ordano, a Sancio Graso, e a molti altri predecessori di V.M. fu concesso nei secoli anteriori.

Però siccome il conseguirlo è impossibile, mi permetta V.M. che io sostituisca a queste espressioni, fervorose preghiere all'Altissimo, perchè quanto prima conceda a V.M. la successione mascolina, che la cristianità anela con ansia, e che io termini questa umile e riverente lettera esclamando con tanta giustizia, come il Concilio Toledano, dell'anno 589, esclamò del Cristianissimo, Apostolico e Cattolico Recaredo: Cui a Deo ecc.

Vienna, 2 Giugno 1724

SIRE

Ai C.C. piedi di V. M.

Il Vescovo di Albarricin

Inquisitore Generale

 

(III)

All'Illust. e Rev. Sig.

D. FRANCESCO GIOVANNI NAVARRO

Vescovo di Alvarrazin

Del Consiglio S. M. C. C. Inquisitore generale di Spagna

* * * * *

Illust. e reverendissimo Signore

 

Saremo ingrati, se nella relazione dell'Atto generale di fede testè celebrato, che V.S. Ill.ma dedica giustamente alla Cesarea e Cattolica Maestà dell'Imperatore, e Re nostro Signore (Dio lo conservi) non stampassimo un attestato della gratitudine impressa nei nostri cuori, come perpetuo riconoscimento del molto, che dobbiamo alla S. V. Ill.ma. Subito che le gloriose armi di S.M.C.C. mossero alla conquista di questo suo regno, V. S. Ill.ma, confidando nella giustizia della causa, diede per sicura l'impresa, e con anticipata provvidenza destinò i Ministri necessari per il governo di questo santo Tribunale, e ci fece l'onore di eleggerci Inquisitori, fornendoci in iscritto le sue sante e dotte istruzioni, per cui potemmo con minore difficoltà cominciare l'esercizio, e disimpegnare le obbligazioni di tanto santo Ministero.

Pochi giorni dopo il nostro primo ingresso, demmo a V. S. Ill.ma individuale notizia di tutto lo stato di questo tribunale, e con maggior diligenza di ciò, che apparteneva alle cause della fede, e singolarmente di due gravissime, e da molto tempo pronunciate definitivamente, confermate dal Sig. Inquisitore Generale, e dal Supremo Consesso della Santa Generale Inquisizione di Spagna, e insinuammo a V. S. Ill.ma alcuni motivi, che potevano aver differito la loro esecuzione.

Dal che informata V. S. Ill.ma, mossa da grande zelo e carità, ci ordinò, che con i rei di dette due cause adoperassimo tutte le pietose e più efficaci diligenze, affine di vincere la loro ostinazione, promettendo V. S. Ill.ma di usare con essi quanta indulgenza potesse, se dessero prova di contrizione.

Non fu omessa diligenza, che a questo fine non si praticasse per più di due anni continui; però vedendosi che non se ne tirava frutto, nè si concepiva speranza alcuna di vincere la loro ostinazione, la S. V. Ill.ma con precisi e ripetuti ordini ci comandò che con tutta sollecitudine procurassimo di disporre le cose per celebrare un Atto generale di fede, con che si desse fine alle due differite cause, ed esecuzione alle altre, che si eran venute determinando, animandoci col vivo esempio del suo ardentissimo zelo a superare le difficoltà, che potevano attraversare tanto sacra ed importante funzione.

A soddisfazione dei giusti desideri di V. S. Ill.ma, e a compimento del nostro obbligo, furono concluse con straordinaria applicazione un buon numero di cause, con che fosse compiuto l'Atto; e in seguito, V. S. Ill.ma notificò a S.M.C.C. la necessità che si celebrasse, chiedendo perciò il suo Reale permesso, e supplicando che S.M.C.C., ad imitazione dei suoi gloriosi Cattolici predecessori, proteggesse una così santa opera.

Manifestò S.M.C.C. la sua unqua ben ponderata pietà e cattolico zelo, non solo dando la sua approvazione, e ordinando all'Eccellentissimo signor Conte di Palma, Marchese di Almenara, suo Vicerè, che con tutta la sua autorità proteggesse il Tribunale, ma eziandio comandando: che sul suo Reale patrimonio si prelevasse e pagasse tutto quanto era necessario, perchè l'Atto si facesse col maggior decoro e magnificenza, come felicemente si eseguì con non minore applauso che edificazione.

I riferiti motivi ci costringono a protestare alla S. V. Ill.ma le nostre grandi obbligazioni pel suo grandissimo zelo, e a dare a V. S. Ill.ma col maggior gaudio la felicitazione per essersi compiuta nel vigilante e felicissimo governo di V. S. Ill.ma un'opera tanto rilevante col maggiore splendore che si possono desiderare, avvalorandola colla grande protezione di V. S. Ill.ma.

E così dobbiamo dare a V. S. Ill.ma infinite grazie per tutto, e più specialmente perchè, mediante il favore di V. S. Ill.ma, S.M.C.C. si è degnata di dispensarci in varie occasioni replicati onori, effetto dell'Augustissima Clemenza di S.M.C.C.

Supplichiamo umilmente V. S. Ill.ma che in attestato della nostra devota ed umile riconoscenza, ci ponga ai Reali e Cesarei Piedi, che baciamo col più profondo rispetto, e raggiungiamo così la immensa ventura di conservarci nella cara grazia di S.M.C.C., con che acquistando nuovo coraggio i nostri buoni desideri, possiamo con successo proseguire nel nostro santo ministero e servizio di entrambe le Maestà.

Di conservi V. S. Ill.ma, come lo auguriamo per molti e felicissimi anni.

Palermo, 4 Luglio 1724

Illust. Signore

Della S. V. Illust.

I suoi più devoti Cappellani e fedeli servitori.

 

 

 

(IV)

La Regina Reggente

 

Ill.mo Principe di Lignè Vice Re e Capitano Generale nel Regno di Sicilia.

Io so quanto in servigio di Dio Nostro Signore e a sostegno della nostra santa fede cattolica abbia operato il Santo Ufficio della Inquisizione, e di quanto beneficio sia stato alla Chiesa universale, a questi Regni e Signorie, non che ai loro abitanti, dacchè i Re cattolici di gloriosa memoria lo posero e impiantarono in essi. Con che si son purificati da un'infinità di eretici che vi erano accorsi, col castigo che si è loro dato in tanti e tanto grandi ed insigni Atti della Inquisizione che si sono celebrati e coi quali si è loro cagionato gran timore e confusione, ed ai cattolici singolar gaudio, tranquillità e consolazione: e in mancanza di questa grazia altri Regni han patito e patirono gravi disturbi, inquietudini e disagi, per cui rendiamo singolari grazie a Nostro Signore che qui lo ha condotto a più grande vantaggio di questi Regni; e così per tutte queste ragioni come perchè me lo ha raccomandato affettuosamente il Re mio Signore che è in Cielo, come anche per la stima, devozione ed affetto che gli professo, e l'obbligo che hanno tutti i fedeli di far sì che sia ubbidito, difeso ed onorato, maggiormente in questi tempi in cui vi è tanta necessità di esso, e per essere una delle cose più importanti che possano interessare questi Stati Reali: vi raccomando molto che onoriate e favoriate i venerabili Inquisitori non solo, ma gli ufficiali famigliari e tutti i ministri della Inquisizione di questo regno, accordando loro da parte nostra tutto il favore ed aiuto che fossero per chiedervi e sia necessario, difendendone e facendone difendere tutti i privilegi, esenzioni e libertà che furon loro concessi per diritto, per patenti reali, o dall'uso, dal costume o in qualunque altra maniera; di modo che il detto Santo Ufficio si usi ed eserciti con le libertà ed autorità che ha sempre avuto e che Io desidero abbia, e non facciate nè permettiate si faccia altra cosa in alcuna maniera che non concordi con ciò, cui siete obbligato come cristiano cattolico, e che ad esempio vostro agiscano lo stesso gli altri, con che mi avrete servita secondo le mie intenzioni, non ammettendo Io che il contrario possa aver luogo. Nostro Signore vi guardi come desidero.

Madrid 10 Settembre 1670

Io la Regina

Depositata nelle Rubriche del Consiglio

Per mandato di Sua Maestà

GIUSEPPE DE RIBERA

Al Principe di Lignè Vice Re di Sicilia raccomandandogli i buoni rapporti coi Ministri di quella Inquisizione.

 

(V)

Il Re

Ill.mo Marchese di Almenara ecc.

Avendomi l'Inquisitore Generale rappresentato la necessità che vi è di celebrare un atto generale di fede in questo Regno per la maggiore esaltazione della gloria di Dio, vengo ad ordinarvi colla presente che nella stessa guisa che hanno praticato gli altri Vice Re vostri antecessori, assistiate a detta funzione, proteggendo la giurisdizione del Tribunale ed i suoi Ministri, dimodochè detto atto generale si celebri nella solita forma, senza che sia menomamente perturbata veruna delle cerimonie che in altri atti la Inquisizione ha praticate, e destiniate il soggetto che ha da innalzare lo stendardo del Tribunale, supplendo alle spese regolari i frutti delle Chiese vacanti. Possa l'animo mio reale conservarsi ed agire così come i miei gloriosi predecessori; e dalla esecuzione de' miei ordini avrò prova del vostro zelo nel servirmi.

Da Praga 7 Luglio 1723.

 

(VI)

In vista di questo memoriale e supplica; concede il Santissimo Tribunale ai predetti Superiori, Deputati, e fratelli di detta Congregazione eretta nella Casa dei Padri dell'ordine di S. Gaetano, chiamata di S. Giuseppe in questa Città, la grazia che domandano di potersi insignire  della Croce del Santo Uffizio in petto nei giorni 5 e 6 di Aprile di quest'anno per assistere alle processioni e atto generale che si deve celebrare nei giorni riferiti: come pure il Santo Tribunale concede il riferito onore e grazia ai suddetti Superiori, Deputati e fratelli della detta Congregazione per le funzioni degli atti generali che in seguito potessero offrirsi: alla condizione però che abbiano da assistere il Santo Tribunale nello stesso modo come si comporteranno nel prossimo atto generale.

 

Dato nel Palazzo del Tribunale del Santo Ufficio il 28 Marzo 1724.

 

Dottor Ferrer, Dottor Luzan, Dottor Oloriz.

 

Laredo Segretario

 



([1]) Grado Giovanni Merlo, Il senso delle opere dei frati Predicatori in quanto inquisitores haeretichae pravitatis – in “ Le scritture e le opere degli inquisitori”, CIERRE, Sommacampagna, 2002.

([2]) L'Inquisizione nella storia: i caratteri originali di una controversia secolare, in: A. Prosperi, L'Inquisizione Romana, pagg. 95-96. Ed. Storia e Letteratura, Roma, 2003

([3]) Risposta del Sant'Uffizio romano, del luglio 1605, a una richiesta dell'Inquisizione spagnola sulla data in cui era opportuno tenere gli “autos de fe” (cit. da Consuelo Maqueda Abreu, El Auto de fe, Madrid 1992, pag. 23).

([4]) Traduzione in Appendice (I)  (N.d.R.)

([5]) Traduzione in Appendice, (II). (N.d.R.)

([6]) Traduzione in Appendice, (III). (N.d.R.)

([7]) Oct. Cajetanus Isag. Ad history. Sic. Cap. 34. 35. et 36.

([8]) Paramus de org. Inquis. Lib. 2 tit. 2 c. 11.

([9]) Hist. de ortu prog. et ruina haeres. Par. 2. l 5. c. 6. n. 3 et seq.

([10]) De offic. Ss. Inquis. antelud. §4 n. 45

([11]) Ann. 638. n. 3.

([12]) De materiis Trib. S. Inq. prol. 4 f. 17.

([13]) Apud Paramus cit. cap. 11 n. 12 Sabeles cit. prol. 7 n. 13

([14]) Paramus cit. lib. 2 c. 5 n. 6

([15]) Apud Paramus cit.lib. 2 tit. 3 c. 2 n. 16 et Carenam cit. § 5 n. 63.

([16]) Paramus cit. l. 2 tit. 2 c. 2 n. 19 et 20

([17]) Idem lib. 2 tit. 2 cap. 14

([18]) Idem cit. c. 30

([19]) Apud Salell. Cit. proleg. 4

([20]) Ex literis regiis

([21]) Carena par. 1 tit. 3 n. 11

([22]) Màtraga Pompe funebri par. 3 f. 268, Giuseppe dell'Olmo nella Rel. dell'Atto di Fede del 1680 f. 3

([23]) Traduzione in Appendice, (IV). (N.d.R.)

([24]) Bernini hist. dell'Eresie to. 3 secul. 13 cap. 2

([25]) Gius. Dell'Olmo cit. f. 47

([26]) Pierius Valer. hirogl. Lib. 53 c. 5 Cesare Ripa Invol. V. Misericordia

([27]) Pier cit. lib 42 c. 61 Ripa cit. v. Justitia, Paramus cit. lib. 2 tit. 3 c. 10 n. 66 et 67

([28]) Epist. ad Hæb. 9. 4

([29]) Traduzione in Appendice, (V). (N.d.R.)

([30]) Petrus Cannizzarus de relig. Panor.

([31]) In lib. Divers. S. Offic. f. 437

([32]) In lib. 4 diversor. S. Offic. f. 42

([33]) P.D.Franc.Maria Maggio, Crocifisso del Duomo cap. 6 f. 148

([34]) Traduzione in Appendice, (VI). (N.d.R.)

([35]) 1 Canna mt. 2,064 , 1 Palmo cm. 25,8. – 1 Canna = 8 Palmi. (N.d.R.)

([36]) de Orig. Inquis. Lib. 2 tit. 2 cap. 11 n. 4

([37]) Inveges. Cartag. Sic. Lib. 2 cap. 6 § 3

([38]) Fazello de reb. Sic. Dec. 1 lib. 8 f. 184

([39]) Idem dec. 2 lib. 9 cap. 7

([40]) I “Familiari”, in altri luoghi chiamati anche Crociati o Crocesegnati, avevano il compito di individuare e ricercare possibili eretici, denunciarli, arrestarli e difendere, anche con le armi, gli Inquisitori e il loro Tribunale. Godevano di potere riflesso del S. Uffizio. In particolare, per qualsiasi reato commesso - in quanto assimilati al clero e quindi “esenti”- non erano soggetti alle autorità secolari e potevano essere arrestati e giudicati solo dal Tribunale dell'Inquisizione. Era una posizione di notevole privilegio e prestigio, anche economico. Cfr. F. Renda, op. cit. pagg. 216 e segg. (N.d.R.)

([41]) lib. 2 tit. 2 cap. 10 n. 21, 22 et 27

([42]) Iob. 41. 15

([43]) Osea 9. 12

([44]) Non dobbiamo ritenere che la funzione dall'avvocato difensore fosse analoga a quella svolta nei nostri attuali Tribunali. Per l'Inquisizione “l'Avvocato dei Rei” era considerato un coadiutore del S. Ufficio. A) Veniva scelto dal Tribunale, previo un particolare giuramento di fedeltà. B) Era suo compito primario indurre il Reo a confessare e a pentirsi, e quindi a testimoniare anche contro se stesso. C) Non presenziava al procedimento o agli interrogatori. L'unica attività difensiva era quella svolta al termine del processo informativo. ”Valutare”, in base alla copia del processo che veniva consegnata al “Reo”, l'attendibilità dei testi a carico, senza tuttavia conoscerne il nome nè poterli contro interrogare direttamente, comunicare i nominativi di eventuali testimoni a discarico e fornire all'Inquisitore un elenco di domande da porre ai testi. Infine, se l'avvocato si fosse convinto della colpevolezza del Reo, aveva l'obbligo di comunicarlo al Tribunale, abbandonandone la difesa. Qualsiasi altro atteggiamento “difensivo” a favore del Reo poteva comportare il reato di “fautore d'eretici”. Per tale motivo “l'avvocato del Reo” appare figura patetica e mistificante. Cfr. Fra. E. Masini, op. cit. pagg. 18-19, pagg. 95 e segg., pag. 299. (N.d.R.)

([45]) De consder. Lib. 1 cap. 2

([46]) Le vittime non solo dovevano essere punite ma era fondamentale che fossero umiliate sino ad annientarne la dignità umana. A tal fine concorreva anche il sambenito (saco bendito), cioè l'abito giallo infamante che dovevano indossare in pubblico, talvolta per molti anni, gli eretici penitenziati. (N.d.R.)

([47]) La complessa mentalità inquisitoria, ideologica e dommatica, impedisce di comprendere quanto irreale ed assurda sia la pretesa che le vittime, dopo indicevoli torture durate ben venticinque anni e con un verdetto di morte terribile già emesso, manifestino umile ossequio e prostrazione di fronte ai propri carnefici e al loro simbolo. (N.d.R.)

([48]) Strumento di tortura con il quale veniva immobilizzata la lingua della vittima affinché non potesse parlare. (N.d.R.)

([49]) La mitezza consisteva nel venir strangolati prima del rogo, come descritto al Capitolo Terzo. (N.d.R.)

([50]) Questa ossessionante e continua insistenza con le vittime aggiunge tortura a tortura. L'Inquisizione non poteva accettare che vi fossero impenitenti. Essi rappresentavano una sfida e un vero pericolo al suo potere, alla sua autorità e alla sua immagine. Non a caso si giungeva alla sentenza e all'esecuzione dopo ben 25 anni di detenzione e di tentativi, tortura compresa, per “convertirli”. Gli impenitenti, in modo particolare, potevano creare dubbi e perplessità nei fedeli con il rischio che venissero in qualche modo considerati dei martiri. L'uso della mordacchia o simili, le varie forme di violenza e d'umiliazione - compresi i peggiori insulti - e la dispersione delle loro ceneri, manifestava tale preoccupazione. È un problema ben presente all'autore che, al Capitolo Decimosesto, lo affronterà cercando di dare una risposta con argomenti che risulteranno, però, tautologici. (N.d.R.)

([51]) Così nel testo

([52]) Era definita “sollecitazione” il tentativo da parte del confessore di avere rapporti carnali con una penitente. (N.d.R.)

([53]) De Levi: termine inquisitoriale per indicare la presenza di deboli e non provati indizi d'eresia. Assoluto ad cautelam: si intende l'assoluzione da un'eventuale scomunica nella quale fosse incorso il “Reo”. (N.d.R.)

([54]) È una pena pesante se si considera che raramente si poteva sopravvivere a cinque anni di remo. (N.d.A.)

([55]) Il molinismo o quietismo è una corrente mistica che insegna che è necessario, per progredire nel cammino spirituale, porsi in uno stato passivo o di quiete, sospendendo le proprie facoltà e cessando ogni pensiero razionale su se stessi e su Dio. Ciò consente di aprirsi totalmente all'illuminazione e all'opera divina e di giungere alla perfetta e totale unione con Dio. Il cristiano così trasformato e divinizzato non ha più necessità nè della mediazione della gerarchia ecclesiastica nè di pratiche devozionali. Il quietismo fu esposto dal sacerdote e celebre direttore spirituale Miguel de Molinos (1628-1696) che nel 1687 fu condannato al carcere perpetuo, ove morì. Con la Bolla “Caelestis Pastor” Innocenzo XI condannò 68 brevissime proposizioni estrapolate dalle sue opere e specialmente dalle circa 12.000 lettere meticolosamente e caparbiamente raccolte dall'Inquisizione. Ciò diede inizio alla caccia ai “perfidi” molinisti: i nostri due “Rei” non furono nè le prime nè le ultime vittime. (N.d.R.)

([56]) Nella descrizione delle “colpe” di suor Geltruda i Giudici Inquisitori hanno ben presente le tesi condannate del Molinos. Ogni addebito ascritto trova formale riscontro, secondo le norme ed il filtro interpretativo degli Inquisitori, in una tesi condannata. Ciò preclude di giungere al vero significato dei comportamenti e delle affermazioni di suor Geltruda. Ma non era ciò che interessava. (N.d.R.)

([57]) Ciò lascia intendere che le confessioni le furono estorte con la tortura. Una confessione così ottenuta doveva, per la sua validità, essere confermata dal “Reo” in un tempo successivo ed in un luogo diverso da quello dove era stato praticato il “rigoroso esame”, l'eufemismo utilizzato, spesso, dagli inquisitori per evitare la parola tortura. Cfr. Fra E. Masini, op.cit., pag. 135. (N.d.R.)

([58]) Una sentenza “a porte chiuse” significava che nessuno sarebbe venuto a conoscenza della sentenza, dell'abiura e della condanna inflitta. (N.d.R.)

([59]) Cap. 7

([60]) Opus. 19 c. 20.

([61]) È l'autoflagellazione prevista, di solito il venerdì, dalle Regole di molti Ordini Religiosi: notevolmente caduta in disuso dopo il Concilio Vaticano II. (N.d.R.)

([62]) Ser . 117. de divers. c. 4.

([63]) Lib. De unitate Eccl.

([64]) Ser. 66. in cant.

([65]) Coelum Empir. Par. 2 in festo S. Tho. Apost § 1.

([66]) Cfr. Pietro Colletta – Storia del Reame di Napoli, Cap. 1, XI. (N.d.R.)