PRIVILEGIA NE IRROGANTO di
Mauro Novelli
BIBLIOTECA
Mons. Antonino Mongitore
L'ATTO PUBBLICO
DI FEDE
SOLENNEMENTE CELEBRATO NELLA CITTA' DI PALERMO
à 6 Aprile
1724
DAL TRIBUNALE DEL S. UFFIZIO DI SICILIA
DEDICATO
ALLA MAESTÀ C.C.
DI
CARLO VI
IMPERADORE
E III. RE DI SICILIA.
DESCRITTO DAL D. D. ANTONINO MONGITORE
Canonico della Cattedrale Metropolitana Chiesa della stessa
Città,
Consultore e Qualificatore di detto S. Uffizio
IN PALERMO M.DCC.XXIV.
Nella Regia Stamperia d'Agostino ed
Antonio Epiro, Familiari ed Impressori
del medesimo Tribunale
Con licenza de' Superiori
PREFAZIONE
(A cura del redattore)
L'autore
Mons. Antonino
Mongitore (1663-1743) fu scrittore e storico.
La sua produzione è principalmente riferita al mondo Siciliano
in genere e alla sua Palermo, ove fu Canonico della Cattedrale. Si
dedicò anche all'agiografia pubblicando la vita di alcuni Santi.
Consultore e
Qualificatore del S. Ufficio, venne sepolto nel Pantheon di S. Domenico, la
chiesa dei Domenicani dove normalmente venivano pronunciate le sentenze
dell'Inquisizione.
Tra
le sue opere si segnalano in modo particolare:
-
Biblioteca Sicula, sive De scriptoribus
Siculis (2 Vol. 1707-1714)
-
Della
Sicilia ricercata nelle cose più memorabili (2 Vol. 1742-1743)
L'Atto pubblico di Fede del 1724
L' Atto pubblico
di Fede, o ”Auto de fe”, celebrato a Palermo il 6 aprile 1724
rappresentò il colpo di coda del Santo Ufficio dell'Inquisizione di
Sicilia. Fu, infatti, l'ultimo celebrato prima della soppressione del Santo
Tribunale che, dopo alcuni decenni di agonia, avverrà per opera del
Vicerè Domenico Caracciolo, il 16 marzo 1782.
All'epoca del
nostro Atto di Fede, la Sicilia era sotto dominio austriaco. L'imperatore Carlo
VI l'aveva conquistata, in veste di erede della corona spagnola, nell'ambito
della guerra di successione che l'opponeva a Filippo V. Da ciò
l'opportunità di nominare degli Inquisitori spagnoli che dipendessero
dall'Inquisitore Generale di Spagna, allora residente presso la Corte di
Vienna.
L'obiettivo che
l'Inquisizione si proponeva di raggiungere attraverso gli “Autos de fé” era
lucido e preciso: l'annientamento della dignità umana dei “colpevoli” e
la loro morte sociale prima ancora dell'eventuale morte fisica. Doveva essere
il giorno del disprezzo, del disonore e del terrore.
Per tale motivo
era indispensabile approntare una celebrazione che fosse nel contempo
trionfale, spettacolare e terrorizzante.
Fu allestito
appositamente un “Teatro”, nella piazza della Cattedrale, dove si sarebbe
svolto l'importante spettacolo delle condanne e delle umilianti sottomissioni
al potere religioso, ed un secondo “Teatro”, nel piano di S. Erasmo, per
l'esecuzione delle due vittime destinate ad essere bruciate vive.
Ma ancora
più importante, per l'Inquisizione, era la necessità di
dimostrare che alla celebrazione dell'Atto pubblico di Fede partecipava
l'intera società siciliana, al completo. Così ci si
preoccupò di chiamare tutti a raccolta. Dal Vicerè ai Nobili,
dall'Arcivescovo al clero d'ogni ordine o grado, dalle rappresentanze
parrocchiali alle Congregazioni e Compagnie, dai vari dignitari al popolo.
Ognuno, facendo sfoggio di sé e sottolineando il proprio ruolo, con “i
migliori vestiti, che potranno portare, per comparire decorati e con lustro in
maggior gloria di Dio e servigio di questo S. Officio”. Tutti ben ordinati
ed al proprio posto con l'accompagnamento di trombe, tamburi, cori e insegne
variopinte. La processione avrebbe rappresentato la compattezza sociale contro
“i diversi” che attentavano all'ordine costituito e alla religione, quella
Cattolica, unica e obbligatoria.
Il
Libro
In questo libro
il Mongitore non si presenta solo come letterato e studioso ma principalmente
come cronista del Sant'Ufficio. Fu, infatti, il Tribunale dell'Inquisizione di
Sicilia a commissionargli l'opera e a patrocinarne la pubblicazione, come
l'autore precisa nella sua introduzione.
Scopo
dell'opera, pubblicata a meno di tre mesi dall'evento, era quello di essere
viva testimonianza del trionfo dell'Atto di Fede, esaltazione del gran potere e
consenso goduto dall'Inquisizione e degna memoria per quanti avevano concorso
al suo successo, citati espressamente e nominativamente nel testo.
È un
libro celebrativo, di grande interesse storico e di costume, ma la
caratteristica più importante è quella di farci conoscere, di
prima mano, quanto l'Inquisizione narra di sé.
Nell'ossessione
di descrivere l'evento nei minimi dettagli, il Mongitore riesce a trasferire il
lettore nell'atmosfera e nel clima surreale di un'incredibile Celebrazione. Non
solo, è anche un'opera che, se letta con attenzione, riesce a farci
incredibilmente rivivere, fotogramma dopo fotogramma, l'intero “Spettacolo”: di
odio e di vendetta, di dramma e di festa (si notino i numerosi e copiosi
rinfreschi!). Di odio contro i diversi e di vendetta per esorcizzare e
purificare, di dramma per le pene destinate ai “colpevoli” e di festa per il
Trionfo della Chiesa Istituzione nei confronti d'ogni dissenso.
Il trattamento
particolarmente inumano riservato dall'Inquisizione alle due principali
vittime, Suor Geltruda e Fra Romualdo, nonostante la loro dignitosa ed eroica
fermezza nel testimoniare, sino al supplizio, la convinzione di essere veri
cristiani in piena comunione con Dio, si può comprendere solo se si
tengono presenti le osservazioni di Grado Giovanni Merlo, quando scrive([1]):
“…con Innocenzo III l'eresia era stata equiparatala al crimen lesae
maiestatis nel 1199: da allora l'interesse si concentrò, non poté non
concentrarsi, dunque, sull'errante piuttosto che sull'errore. Il frate
Predicatore/inquisitore dovette occuparsi dal punto di vista giudiziario
dell'errante, e non, dal punto di vista teologico, dell'errore e dei suoi
motivi: non dovette nè poté spingersi nelle ragioni della “eresia”, non
dovette chiedersi perchè, ma indagare su chi e quando fosse
caduto in errore (ma quale errore?), impegnandosi a ricomporre una unità
che non era tanto di fede, quanto di obbedienza ai vertici della chiesa e,
dunque, di conformismo cristiano-religioso.”
È quello
che puntualmente asserì, durante l'Atto pubblico di Fede, il domenicano
P.A. Majorana nel suo “Discorso” ai Rei: “…e come non vi confonde
o Superbi il solo pensare, che siete abominati dagli Uomini, aborriti dagli
Angioli, odiati da Iddio? e tutto ciò, perchè ardiste Temerarj
porre la lingua nel Cielo delle Verità Cattoliche, e contraddire li
sagri Dogmi da un Dio sempre infallibile promulgati: perchè tentaste
lacerare nella bella unità della Fede, la veste inconsutile del
Redentor…”.
Il libro, di
là del non fluido stile settecentesco, non è di comoda lettura.
Non solo per la distanza culturale che ci separa ed i limiti di comprensione
che ciò comporta, ma anche perchè veniamo condotti in una
realtà che, dopo un primo smarrimento, ci induce a riflettere per alcune
analogie e similitudini – consenso o repressione - che non possiamo non
scorgere come pericoli ancora presenti nella nostra società
“globalizzata”.
La
Chiesa Cattolica e gli “Autos de fé”.
Adriano
Prosperi, nella relazione presentata al
Simposio Internazionale sull'Inquisizione svoltosi in Vaticano nell'ottobre
1998 asseriva([2]):
“Non si può cancellare il dato di fatto che da Roma, per un tempo
plurisecolare, furono impartiti insegnamenti e modelli di una religione
spietata, per la quale uccidere in un giorno festivo i nemici della fede era un
modo di celebrare degnamente il ”Dies Dominicus”; e fu da Roma che, per
fugare i dubbi che sussistevano perfino nell'Inquisizione spagnola, fu
dichiarato questo principio: “amigo de Dios es quien enemigos de Dios
mata”([3]).
La
presente redazione dell'opera.
Il testo
utilizzato per la redazione è quello della ristampa in facsimile
pubblicata da F. Guidicini (Bologna, 1868), senza alcuna emenda.
In Appendice sono
riportati sia l'avviso “Al discreto lettore” sia la traduzione in italiano
degli atti in lingua spagnola, che l'editore ritenne opportuno aggiungere.
Sono state
inserite alcune poche note a piè di pagina che il redattore ha creduto
potessero essere utili al lettore per un primo approccio al linguaggio e al
“mondo” dell'Inquisizione. Esse sono evidenziate da: (N.d.R.).
Segnalazioni Bibliografiche
Possono essere
utili per l'approfondimento dell'argomento trattato dal libro:
-
Francesco
Renda, L'Inquisizione in Sicilia. Palermo, Sellerio, 1997
-
Adriano
Prosperi, Tribunali della coscienza. Torino, Einaudi, 1996
-
Fra
Eliseo Masini, Il Manuale degli Inquisitori. Milano, Xenia, 1990
-
Andrea
Errera, Processus in causa fidei (L'evoluzione dei manuali
inquisitoriali nei secoli XVI-XVIII). Bologna, Monduzzi, 2000
ROBERTO DEROSSI
BOLOGNA 1868
Ristampata pei Tipi di Giuseppe Vitali,
AL DISCRETO
LETTORE
Nell'accreditato Giornale l'Italie, che si
stampa a Firenze, sotto la data 10 marzo del corrente anno 1868, io leggeva un
articolo intitolato - Une Pétition - che qui riproduco testualmente.
([4])C' était hier', à la Chambre des Deputes, la
journée des petitions.
Dans le nombre de ces recours individuels ou
collectifs, il en est toujours quelques-uns qui meritent l' intérêt. Nous
avons surtout remarqué celui de cette famille Palermitaine qui reclame
l'exemption d'une redevance à la quelle elle est obbligée envers le
domaine. Quelle est l'origine de cette redevance? On ne l'imaginerait
guères.
Cette famille paie
une somme annuelle au domaine pour les frais du procès de soeur
Gertrude, brulée vive par ordre du Saint-Office de Palerme en l' année 1724.
L'histoire est
fameuse dans les annales italiennes du midi. La voici telle que là
raconte Colette:
En l' annèe
1699, dit Colletta, furent mis en prison
par le Saint-Office de Palerme, frère Romuald, laïque augustinien,
et soeur Gertrude, religieuse de S. Benoît; celui là pour quiétisme,
molinisme, herèsie; celle-ci, pour orgueil, vanité, temerité,
hypocrisie. Tous deux sortes de fous. Les Saints Inquisiteurs et les
théologiens du Saint-Office avaient disputé plusieurs fois avec ces malheureux,
qui obstinés comme des fous répétaient leurs heresies. Enfermès en
prison, la femme pendant 25 ans, le frère pendant 18, ils
supportèrent les tourments les plus cruels, la torture, le fouet, la
faim, la soif; et enfin, arriva le moment desiré du supplice. Les inquisiteurs
les avaient en effet condamnés tous deux à mort. La sentence louait la douceur,
la mansuétude, la bénignité des saints inquisiteurs, et, en
regard de tant d' humanité, la méchancete, l'irreligion, l'obstination des deux
coupables. On insistait aussi sur la nécessité de maintenir la discipline de la
sacro-sainte religion catholique, d'eteindre le scandale et de satisfaire
l'indignation des chrétiens.
Le 6 Avril 1724
sur la place saint Erasme, la plus grande de la cité de Palerme, le supplice
fut preparé et exécuté.
Mais en
voilà assez pour faire comprendre que, si une famille paie une redevance
au domaine pour les frais de ce procès, c' est une singularité peu digne
du XIX siècle.
Qu'en pense l'Unità Cattolica?
Elle en pense
probablement que le mieux qu'on pourrait faire ce serait d'envoyer le
prêtre Cirèno Rinaldi rejondre soeur Geltrude. On est
orthodoxe, ou on ne l' est pas.
Di qui mi nacque il pensiero di ristampare un
curioso Libro in argomento, rispettandone scrupolosamente la dizione,
riportando solo infine del medesimo la traduzione di quegli atti, che trovansi
in idioma spagnolo per essere così da ciascuno debitamente interpretato.
Ascriverò quindi all' iniziativa di quel Rispettabile periodico quel
qualunque successo potrà ottenere la presente pubblicazione.
Bologna, 17 Maggio
1868.
F. Guidicini.
SEÑOR
([5])Las obras grandes, y tan
perfettamente buenas, que son la mas encargadas del Verbo humanado en la
Redempcion del Universo, deben, segun el Psalmo 44, dedicarse à los que
son, y saben ser Reyes, y Cristianamente Zelosos Soberanos. Ysiendolo tanto
V.M. que con propriedad es uno, de los principalmente incluidos en el celestial
vaticinio, que Isaias al cap. 49, hizo de la Yglesia, y de su sacrosanta
jurisdicion, et erunt Reges
Nutritii tui: quando generosamente Catholico V.M. conserva la Real
substancia, que los gloriosos predecessores de V.M. destinaron para
nutrimiento, y conservacion del S. Tribunal de la Inquisicion de Sicilia, y de
todos sus Ministros, siguiendo con la voluntad los exemplos de Valentiniano,
Marciano, y otros, que refiere Paulo Diacono cap. 24, en proteger capitales
castigos contra los Relapsos, y Hereges, para cumplir, con lo que mandò
el Levitico cap. 24, qui blasphemaverit nomen Domini, morte moriatur: y
con la liberalidad del Quinto de los Carlos, y sus successores Austriacos, los
que (como agora V.M.) destinaron interesses bastantes, paraque Sacrosanto
Cuchillo oportunamente cortasse la parte ya cangrenada (como lo ha hecho en el
Auto General celebrado en Sicilia) à fin de que no se infectasse todo el
cuerpo: seria injusticia el no dedicar à V.M. la relacion estampada, que
humildemente presento, de funcion tan Venerable, Catholica, y Sagrada.
Quien pudiera, Señor, explicar la
piadosa liberalidad de V.M. exercitada con los Españoles, que logramos
la incomparable honrra de estar bajo la Dominacion Augustissima! los que no
solo havemos encontrado Monarca, que nos honrre, y conserve en aquella
envidiable pureza de Religion, que sirviô siempre determino de comparacion
à todas las Naciones; sino tambien generoso Padre, que franquea à
sus Hijos consuelos, y abundancias. Bastarà el decir, que se ven reales,
y verdaderas aquellas fingidas cadenas de Alcides, que commenzaban en su boca
palabras, y terminaban en sus favorecidos dorados eslabones, con las que
logramos una esclavitud tan dulce, y afortunada, que desertan, para
conseguirla, los dichosos; y libres de los Dominios mas gloriosos.
Soñaron los Griegos, que su
amable Demetrio tenia una red prodigiosa, con la que prendia Provincias, y
aumentava sus Estados. Que dirian, Señor, sì hubieran alcanzado
aquellos, el siglo precioso de V.M. en el que la Arismetica recela, que le
falten guarismos para numerar las Provincias, que mas que se conquistan, se
admiten, y en el que las Naciones mas apartadas se atropellan, por llegar a la
gloria de ser parte en el augmento de los Austriacos Dominios?
Callen, y no fabulen mas los Rodios con
su Iove fingido, inventando, que deshacia para sus abundancias en lluvias las
Esferas; y vengan à cantar Realidades del Austriaco, Iupiter, el que
trahe à sus afortunados Vassallos immensos mares de Riquezas.
La realmente incomparable de la
succession masculina se haze, Señor, con esta Eroica, accion
indefectible; pues sì à David se añadieron en el Decreto
de sus dias mas dias asta que segun Valencia: in præfatione Psalmorum,
viesse no solo la generaciones de Absalon, y Adonias, infructuosas para el fin
de los Vaticinios sagrados; fino tambien la de Salomon, ya necessaria para
continuar la linea del Messias; y solo por que encargò a sù Hijo
la fabrica de aquel templo; paraque en el se guardasse con veneracion la ley
escrita, que incluia la Arca de Viejo Testamento: con mas razon se puede
esperar, que se alarguen los de V.M. astaque ve a las generaciones de muchos
Salomones, los que continuen, y conserven la Austriaca Estirpe, (como tantos
varones justos lo tienen predicho) quando no solo encarga, sino sustenta V.M.
el unico Templo, en que se conserva pura toda la ley de Gracia, y aplica sus
Reales Erarios paraque con justos castigos se logren exemplares escarmientos.
O Señor! y quien tubiera no las
ciento, que deseava, el Poeta, sino mil lenguas: no las ciento sino mil bocas
para explicar la menor parte de mi agradecimiento, que conservarè
siempre a V.M. por haverme elevado a la Dignidad de principal conducto, por
donde passen la justas operaciones de la jurisdiccion Sacrosanta a la noticia
de un Monarca tan excellente, que con mas razon que a Ervigio vuestro
antecessor, pudiera San Leon II. llamarlo: Preexcellentissimo: tan Christiano que San Gregorio
VII. pudiera con mas motivo, que a los Aragoneses Ramiro, y Sanccio,
apellidarlo Christianissimo: y tan Zeloso, y Catholico, que con mas propriedad
pudieran los Oraculos de la Yglesia distinguir a V.M. con el titulo singular de
Catholico, que a Ordoño, a Sanccio Graso, y a otros muchos Progenitores
de V.M. de los Siglos anteriores. Pero ya que el conseguirlo es impossible,
permitame V.M. que substituia las expressiones en fervorosos Ruegos al
Altissimo; paraque quanto antes conceda a V.M. la succession Masculina, que la
Christianidad auhela con ansia, y que acabe este humilde, pero reverente don,
exclamando con tanta justicia, como el Concilio Toletano del año 589,
exclamò del Christianissimo, Apostolico, y Catholico Recaredo: Cui a
Deo æternum meritur, nisi Catholico Carolo Regi? Cui a Deo æterna Corona, nisi vero Ortodoxo Carolo Regi? Cui
presens gloria, et æterna, nisi vero amatori Dei Carolo Regi? Ipse
novarum Plebium in Ecclesia Catholica Conquisitor. Ipse mereatur veraciter
Appostolicum meritum, qui Appostolicum implevit Officium. Ipse sit Deo, et Hominibus amabilis, qui tam
mirabiliter Deum glorificavit in terris. En Vienna a 2 de Junio 1724.
Señor.
A' los C.C. Pies de V, M.
El Ebispo de Albarracin
Inquisidor General
AL
ILLUSTRISS., Y REVERENDISS. SEÑOR
D. FR. JUAN NAVARRO,
OBISPO DE ALVARRAZIN,
Del Consejo de S.M.C.C., Inquisidor
General de Espana.
* * * * *
Illustriss. Y
Reverendiss. Señor.
([6])Seriamos ingratos, si en la relacion del Auto General de Fe celebrado,
que V.S. Illustrissima dedica de justicia a la Cesarea y Catholica Magestad del
Imperador, y Rei nuestro Señor (Dios le guarde) no estamparamos un
atestado de la gratitud impresa en nuestros corazones, en perpetuo reconocimiento
d lo mucho, que à V.S. Illustrissima debemos.
Luego, que las gloriosas Armas de S.M.C.C. movieron para la conquista
de este su Reyno, confiando V.S. Illustrissima en la Justicia dela causa, dio
por segura la empresa, y con anticipada providencia destinò los Ministros
necesarios para Govierno de este Santo Tribunal, y nos hizo la honrra de
elegirnos Inquisidores, embiandonos por escrito sus Santas, y Sabias
instruciones, para que pudieramos con menos dificultad comenzar el exercicio, y
desempenar las obligaciones de tan Santo Ministerio.
A pocos dias de nuestro primero ingreso dimos à V.S.
Illustrissima individual noticia de todo el estado de este Tribunal, y con
major diligencia de lo perteneciente à causas de Fè,
singularmente de dos gravisimas, y a de mucho tiempo pronunciadas en
definitiva, confirmadas por el Señor Inquisidor General, y supremo
Consexo dela Santa General Inquisicion de Espana, e insinuamos à V.S.
Illustrissima algunos motivos, que podian haver deferido su execucion. De lo que informando V.S. Illustrissima movido de grande zelo, y caridad
nos ordenò, que con los Reos de dichas dos Causas pasaramos todas las
piadosas, y mas eficaces diligencias a fin de vencer su obstinacion, ofreciendo
V.S. Illustrissima usar con ellos de quanta indulgencia pudiesse, en caso de
conocerse contritos.
No quedò diligencia, que à este fin no practicaramos en mas
de dos annos continuos; pero viendose, que no se lograva fruto, ni se concebia
esperanza alguna de vencer su pertinacia, nos mandò V.S. Illustrissima
con precisos, y repetidos ordenes, que con toda solicitud procurassemos
disponer las cosas para celebrar un Auto General de Fe, en que se diera fin a
las dos referidas causas, y execucion à otras, que se fueren
determinando, alentandonos con el vivo exemplo de su ardentissimo zelo à
superar las difficultades, que podian atrasar tan sagrada, e importante
funcion.
En satisfaccion de los justos deseos de V.S. Ill. y cumplimiento de nuestra
obligacion, se concluiò con extraordenaria applicacion un buen numero da
causas, para que fuera cumplido el Auto; y con tiempo dio V.S. Illustrissima
noticia a S.M.C.C. de la necesidad de celebrarse, pidiendo para ello su Real
permiso, y suplicando, que S.M.S.S. a imitacion, de sus gloriosos Catholicos
Predecessores protegiesse tan santa obra.
Manifestò S.M.C.C. su nunca bien ponderada piedad, y Catholico zelo,
no solo dando su aprovacion, y ordenando al Excellentissimo Senor Conde de
Palma, Marques de Almenara su Virrey, que en toda su autoridad protegiera al
Tribunal; sino tambien mandando, que de su Real Patrimonio se aplicasse y
pagase toda la cantidad, que fuera necessaria, para que el Auto se hiziera con
el mayor decoro, y magnificencia, come felizmente se executò con no
menor aplauso, que edificacion.
Los
referidos motivos nos precisan à confesar à V.S. Illustrissima
nuestras grandes obligaciones à su grande zelo, y à dar à
V.S. Illustrissima con el mayor gozo la enorabuena por haverse terminado, en el
vigilante, y felicissimo govierno de V.S. Illustrissima una obra tan relevante
con el mayor esplendor, que podian desear nuestras esperanzas, avaloradas de la
grande proteccion de V.S. Illustrissima. Y asi debemos dar à V.S.
Illustrissima por todo infinitas gracias, y muy especialmente; porque mediante
el favor de V.S. Illustrissima, se ha dignado S.M.C.C. dispensarnos en varias
ocasiones replicados honores, efectos de la Augustissima Clemencia de S.M.C.C.
Suplicamos rendidamente à V.S. Illustrissima que en atestado de
nuestro devoto, y humilde reconocimiento, nos ponga alos Reales Cesareos Pies,
que besamos con el mas profundo respeto, y logremos la mayor dicha de
conservarnos en la cara grazia de S.M.C.C.; para que cobrando nuevo aliento
nuestros buenos deseos, podamos con acierto proseguir nuestros santo Ministerio
en servicio de entrambas Magestades. La Divina guarde à V.S.
Illustrissima, como lo rogamos muchos, y felices annos. Palermo à 4 de Julio de 1724.
Illustrissimo Senor.
B.l.m. di V.S.
Illustrissima sus mas.
Favorecidos Capellanes,
y fieles siervos.
D. Juan Ferrer, D. Joseph de Luzan, y Guasso, D. Blas Antonio de Oloriz.
AL LETTORE
Un de' maggiori, e più pregevoli
benefizj comunicati dalla divina Provvidenza al Regno di Sicilia, fuor d'ogni
dubbio dee stimarsi il Sacro Tribunale della Santa Inquisizione, da cui
è stato sempre conservato nella purità della Cattolica Religione,
dachè fu in essa fondato; poichè egli invigilando alla sua
custodia, non ha mai permesso, che sorgesse a contaminarlo pestifero fiato d'empia
dottrina, opposta al candore della Santa Fede.
Ricevette la Sicilia i primi semi della
Cattolica Religione dai Santi Apostoli Pietro, e Paolo([7]) che
l'illustrarono colla presenza e celeste sapienza: e la provvidero di Santi Vescovi,
applicati ad inaffiarla co' sudori, e coltivarla colle fatiche Apostoliche:
irrigata poi dal copioso sangue d'innumerevoli Martiri, che ne conservarono, e
ne difesero inviolabili le sue glorie contro la barbarie degl'Idolatri
Regnanti. Se l'Eresia tentò ammorbar tal volta il terreno Siciliano co'
suoi abbominevoli errori, il zelo de' Sacri Pastori ne proibì colla
vigilanza il danno: anzi impedì, che vi nascesse: onde riportò la
lode singolare di non esser da lei uscito mai Eresiarca, Maestro di esecranda
dottrina. Che se altri con temerarj sforzi pretese infettarla, col piantarvi
avvelenate piante, valevoli a contaminare la sua santa credenza, d'un subito o
ne fu proibito l'ingresso, o furono nello spuntare recise, e sbarbicate le
infami sentenze.
Successore in questo zelo di conservare
illibata la Santa Fede in Sicilia ne' Secoli appresso fu il Tribunale della
Santa Inquisizione, che ha sempre riportato il pregio d'invigilare con
indefessa cura alla sua tutela; poichè s'ha studiato sempre di svellere
nel suo nascimento la zizzania, che col crescere sarebbe stata valevole ad
infettar la messe de' fedelissimi Siciliani. Quindi a ragione questo inclito
Tribunale da che fu fondato in Sicilia nel 1224.([8]) dall'Imperador
Federico II. e stabilito nella sua Regia Palermo, come in luogo di sicurezza,
considerato qual propugnacolo inespugnabile della Santa Fede, è stato
sempre proveduto di soggetti accreditati per dottrina, e merito di
singolarissimo zelo, che presedessero al suo governo col carattere d'Inquisitori
contro l'Eretica pravità. Fu in oltre arricchito di privilegi, protetto
dalla Regia autorità, e favorito con rari sentimenti di stima: onde ad
imitazione de' Regnanti è stato sempre da' Popoli riverito, da' Nobili
venerato, e da tutti con segni di sommo rispetto acclamato; in riguardo
agl'innumerevoli beni da esso diramati a benefizio universale d'ognuno.
Riconosce l'ingrandimento della sua
dignità, gloria, e maestà questo Santo Tribunale, dall'insigne
zelo, e poderosa protezione de' Re Cattolici, che bramosi di conservare nella
sua purità la Cristiana Religione, lontana da ogn'ombra di errore, che
l'offuscasse, e da ogni sospetto d'Eresia, che ne oscurasse lo splendore,
impegnarono il loro fervore per istabilirlo ne' Regni ove stendevan l'ampio
dominio: e oltre averlo cumulato di privilegi, e preminenze, lo sostennero col
nerboruto braccio della loro potenza, e colla profusione d'immensi tesori. Ben
essi saggiamente conobbero, che presidiati i loro Regni da questo Santo
Tribunale, mentre tenendo lontane non men l'Eresie opposte alla Cristiana
Religione, che ogni sospetto, che ne adombri lo splendore, coll'unità
della Religione, che sostiene le Monarchie, potean conservare i lor dominj, e
ne' dominj la quiete, con questo mezzo godettero purgate da ogni errore le lor
provincie; onde ne meritarono il titolo di Cattolici secondo Florimondo Remondo([9]): ma con
più verità fu lor confermato da' Sommi Pontefici, mentre il
guadagnaron prima, da tempi più antichi, come meglio attesta Cesare
Carena col Cardinal Baronio([10]).
Ma de' Re Cattolici s'infiammaron vie
più nel proteggerlo, ed ingrandirlo, in particolare gli Austriaci
Monarchi([11]), che stimando
la causa della Santa Inquisizione causa egualmente di Dio, e propria, si
mostraron santamente parziali nel conservarlo con pari zelo, e vigore: e ognun
di essi lasciò in eredità al Successore insieme colla corona,
l'obbligo della difesa, e protezione del Santo Tribunale: stimando correr del
pari gl'interessi de' Regni, e del Santo Uffizio. Jure quodam
hæreditario, scrisse degli Austriaci Regnanti il P. Sebastiano
Salelles([12]), hoc de
protegendis sic, et fulciendis Tribunalibus Fidei translatum esse de patribus
ad filios: imo ipsis tempore mortis, aut prius ab illis maximoperè
commendattum.
L'Imperador Carlo V. non men glorioso
per li suoi acquisti, che per la sua pietà, portò così
altamente impressa nell'animo la stima dovuta ad un Tribunale sì
benemerito della Santa Fede, che con tutti gli sforzi della sua attenzione si
studiò introdurlo in tutti i Dominj della sua vasta Monarchia Spagnuola.
Favorì con distinto fervore questo Tribunale di Sicilia; poichè
confermò gli ampissimi privilegi a lui conceduti da' suoi Predecessori
Regnanti, nel 1525; anzi ad esempio di Ferdinando V. suo Avolo, a maggiormente
favorire gl'interessi della Cattolica Fede, stese con piena beneficenza gli
atti della sua augustissima protezione a questo Tribunale; e per renderlo
più venerabile, e promuoverne i profittevoli suoi progressi,
ingrandì i suoi privilegi, ed esenzioni con sue lettere spedite in Toledo
a 21 Ottobre del 1525.([13]) con altre del
1534, riconfermò gl'istessi privilegi, e comandò, che
nell'approdare in Sicilia i nuovi Inquisitori; d'un subito fosse lor permesso
mettersi in esercizio del loro ministero, senza frapporvi impedimento veruno. Con
altre del medesimo anno aprì a tutti la sua mente esser, che gli
Uffiziali tutti, e Famigliari del S. Uffizio, come esenti, godessero le
impunità proprie dello stato Chiericale. Nel 1535 quando venne in
Palermo per far partecipe questa Regia del godimento de' suoi trionfi, fra le
universali acclamazioni non perdé di mira gli onori di questo Tribunale;
poichè approvò diversi suoi privilegi: il che si replicò
con altre sue lettere date in Madrid a 27 Febbraio del 1543 colla concessione
di nuovi onori, e dilatazione della sua giurisdizione. Egli volle assistere ad
un Atto pubblico di Fede celebrato dal Santo Tribunale in Vagliadolid([14]). Egli in
attestazione del suo tenero amore, lasciò, come più pregevole
parte di eredità, al Re Filippo suo Figlio la cura del Tribunale. Inter alia, protestò
nel suo Testamento hoc præcipuè, et obnixè illi
commendo, ut S. Inquisitionis Officium contra hæreticam pravitatem,
divinitus institutum, illiusque Ministros, et Officiales, omnibus favoribus,
atque honoribus prosequatur, eò quod hoc uno rimedio gravissimis in Deum
offensionibus obviam itur([15]).
Filippo II seguendone fedelmente le vestigie per sue lettere scritte da
Madrid a 16 Giugno del 1546, confessando il singolar benefizio, che nascea a'
Regni soggetti alla sua corona dal Santo Tribunale, volle che si osservasse
quanto saggiamente dispose l'Augustissimo Padre nel
Si manifestò esecutor fedele de'
consigli paterni il Re Filippo II onde in una lettera dirizzata al Cardinal
Colonna, Vicerè del Regno d'Aragona, si fece panegirista della S.
Inquisizione; lodandone con sincerissimi sentimenti il gran profitto, che da
essa deriva in benefizio della Cattolica Fede, e in terrore dell'Eresia. E
sì per essergli stata raccomandata dal Re suo Padre, sì anche per
proprio istinto, e zelo, raccomandò la conservazione della sua
autorità, e de' suoi privilegi, ed esenzioni con espressioni sì
premurose, che sarebbe ben meritevole di qui registrarsi, se la brevità
prefissa nol vietasse([19]). Egli ebbe in
sì alta stima il Sacro Tribunale di Sicilia, che a conservarlo con
particolar decoro, e splendore, gli assegnò nel 1600 per sua stabile
residenza quel Palazzo, ove oggi si conserva, stanza già di alcuni Re, e
poi de' Vicerè di Sicilia([20]). Né ciò
reca maraviglia, se i Cattolici Monarchi vollero, che gl'Inquisitori, e
Ministri del Supremo Tribunale si congregassero ogni giorno a maneggiar le
materie più premurose della Santa Fede nel proprio real Palazzo; affine
di conservarsi sotto l'ombra favorevole della regia protezione([21]).
Filippo IV Re delle Spagne non
manifestò men ardenti le fiamme del suo zelo nel conservare in credito,
ed alto decoro la S. Inquisizione. Col suo braccio reale avvalorò le
forze del S. Tribunale: e con pari sollecitudine, e pietà si vide
assistere agli Atti pubblici della S. Fede celebrati dal supremo Tribunale
della S. Inquisizione([22]).
Non fu minore la pietà
manifestata dalla Regina consorte Maria Anna d'Austria, in particolare nella
minore età del Re Carlo II, onde a mostrare l'alto grado di stima, in
che ebbe il S. Tribunale basta il registrare la sua lettera reale, degna in
vero di eterna memoria scritta al Principe di Legnè Vicerè di
Sicilia da Madrid a 10 Settembre del 1670 mentre era in grado di Governatrice
della Monarchia Spagnuola.
LA REYNA GOVERNADORA
([23])I li Principe de Lignè, Primo, Virrey, y Capitan
General en el Reyno de Sicilia. Ya sabeis lo mucho que Dios Nuestro Senores
servido, y nuestra Santa Fè, Catholica enfalçada, por el Santo Officio
dela Inquisicion, y de quanto beneficio hà sido a la universal Iglesia,
à estos Reynos y Senorios, y naturales de ellos, despues que los Senores
Reyes Catholicos de gloriosa memoria, le pusieron y plantaron en ellos. Con que
se han limpiado de Infinidad de hereges que à ellos, han venido, con el
castigo que ses les hà dado en tantos, y tan grandes, y insignes Autos
de Inquisicion, como se han celebrado, que les hà causado gran temor, y
confusion, y alos Cattolicos singular gozo, quietud, y consuelo: y por careçer
desta, gracia otros Reynos, han padecido y padecen grandes disturbios,
inquietudes, y desasosiegos, y damos muchas gracias à nuestro Senor, que
asi lo ha encaminado, haciendo tan gran bien à estos Reynos; y así por
todo esto como por haberlo encomendado affectuosamente el Rey mi Senor, que
està en el Cielo, como por lo que le estimo, devozion, y affecto que le
tengo, y la obligacion que a todos los fieles corre de mirar por el, y que sea
amparado, defendido y honrrado; mayormente en estos tiempos en que tanta
necesidad ay, y por ser una delas mas principales cosas, que se os pueden
encomendar del estado Real: os encargo mucho que a sì a los Venerables
Inquisidores, como a los Officiales Familiares, y demas Ministros dela
Inquisicion de ese Reyno, les honreis, y favorezcays, dandoles de nuestra parte
todo el favor, y ayuda, que se os pidiere, y fuere necessario, guardandoles, y
haciendoles guardar todos los privilegios, exempciones, y libertades, que les
estan concedidos, asì por derecho, cedulas Reales, y concordias, como de
uso, y costumbre, y en otra qualquier manera; de suerte que el dicho Santo
Officio, se use, y exerça, con la libertad, y autoridad que siempre hà
tenido, y Yo deseo, tenga, y no hagais ni permitais, que se haga otra cosa en
manera alguna, que demas de que cumplireis con lo que sois obligado como
Catholico Christiano, y que à vuestro exemplo, haran otros lo mismo, me
tendrè de vos pormuy servida, y alo contrario no tengo de dar lugar.
Nuestro Senor os guarde como deseo.
En Madrid à diez de Sept. de Mil Seiscentos y setenta anos.
YO LA REYNA
Estan siete rubricas del Consejo.
Por Mandando de su Magestad
Joseph
de Ribera
Al Principe
de Lignè Virrey de Sicilia encargandole la buena corespondenzia con los
Ministros de a quella Inquisicion.
Così pure Carlo II colla sua
somma pietà si studiò conservare in credito il Tribunale, ed ebbe
in alta stima i suoi pubblici Atti di Fede: e sin dal principio del suo Regno
diede replicati argomenti della sua propensione, che avea nel patrocinare,
autorizzare, e difendere gli esercizj del S. Tribunale. Quindi si legge, che
nell'Atto pubblico di Fede celebrato in Madrid a 30 Giugno del 1680 egli non
solo onorò colla sua Real presenza la pompa di quell'Atto; ma anche ad
imitazione del S. Re Ferdinando III che somministrò colle proprie mani
legna al fuoco; preparato ad abbruciar vivi gl'infetti d'eresia([24]); presentatogli
un fascetto di legna, presolo nelle sue mani, ordinò, che a suo nome
fusse il primo di tutti gettato nel fuoco per incenerire gli Eretici([25]).
Finalmente a coronare la serie di
questi Monarchi, fervidi promotori, e insieme difensori del S. Tribunale, si
mostra non men glorioso per gli acquisti contro i nemici della S. Fede, che
ardente nel conservare la purità della Cattolica Religione l'invitto regnante
Carlo VI Imperadore, e III Re di Sicilia. Egli continuando nell'amore, e
fervente zelo verso la Santa Inquisizione, non inferiore a suoi gloriosi
Predecessori dell'Austriaca famiglia, si compiacque nel 1720 spedire un suo
Cesareo, e Real dispaccio, dirizzato al Duca di Monteleone Vicerè di
Sicilia, con cui apertamente dichiarò, la sua intenzione essere che il
Tribunale del S. Uffizio si conservasse con tutti intieri i suoi privilegi,
prerogative, ed esenzioni, goduti nel governo della felice memoria del Re Carlo
II suo Zio.
La sincerità ci obbliga a
schiettamente confessare, che vegliando il S. Tribunale con cent'occhi alla
custodia della S. Fede, si guadagnò il merito d'esser protetto, e
largamente, favorito in ogni tempo da' Re Cattolici, ed Austriaci Monarchi.
Troppo in lungo anderebbe il discorso, se io volessi dilatarmi col mostrare a
tratti d'evidenza l'eccellenze, che assistono a questo Areopago della S. Fede;
e far conoscere la necessità, el profitto, che da esso deriva: perchè
quanto formidabile a' protervi di perduta coscienza, altrettanto venerabile a'
buoni, da' quali è considerato, come sicuro Propugnacolo della Cattolica
Pietà, e Religione.
Ma di solo uno non posso dispensarmene
a non additarlo; ed è, che se egli merita tutta la lode per l'apostolico
zelo, che professa, rendesi altresì ammirabile per lo savio, e ben
regolato costume di accoppiare una singolar Misericordia, al rigore d'una
incorrotta Giustizia; esercitandone gli atti secondo le misure della
necessità. Co' Rei caduti in esecrabili errori esercita gli atti di
soprafina carità per ridurli alla vera credenza, e al pentimento;
compartendo, secondo l'emenda, misericordiosamente il perdono: con quei, che
indurati nella loro ostinazione rifiutan protervi la benignità, applica
il rigore della giustizia. Queste dinotan l'Ulivo, e la Spada, inalberati nella
sua propria insegna; poichè è tutto suo proprio, e plausibil
costume, l'esercitar misericordia, simboleggiata nell'Ulivo([26]); el gastigo
nel taglio della Spada([27]): imitando i
decreti della Divina Sapienza, che volle uniti nell'Arca, Manna, e Verga([28]), per invitare
i caduti al ravvedimento: e atterrire le ostinazioni della Perfidia.
Quante volte ha portato l'occasione di
celebrarsi Atto pubblico di Fede, s'han veduti come in iscena fare ammirabil
comparsa, e in esercizio riguardevole, questi due atti; mostrandosi il Santo
Tribunale benigno co' pentiti, restituendoli al grembo della Santa Cattolica
Chiesa, da cui sedotti da errori, ed inganni avean traviato. Ma fulmina il
castigo contro gli empj, che abusando della pietà, e maniere tutte
dolci, e piacevoli, applicate per convertirli, vogliono, lor danno, anticipata
la pena del fuoco, che meritano per sempre, ed eterna.
In questo aspetto si mostrò in
pubblico lo Spettacolo ultimamente celebrato nella Città di Palermo a 6
Aprile dell'anno corrente, in cui si ammirò un abozzo del finale
Giudizio. Se in esso facendo gloriosa pompa la Santa Croce, Cristo Redentore, e
Giudice si manifesterà benigno, ed amorevole a quei, che pentiti
piansero, e detestaron le colpe: ma spaventevole a coloro, che ostinati nel
male spregiarono la divina beneficenza, riporteranno l'eterno gastigo del
fuoco; così in questo, trionfando la Santa Croce, conseguirono i pentiti
Rei benigno perdono da' Giudici della Santa Fede; e sperimentarono la
severità del gastigo gl'induriti nell'ostinazione; condannati alle
fiamme. Questo Atto pubblico di Fede celebrato con somma magnificenza m'accingo
a scrivere in quest'opera, con tutte quelle circostanze, che concorsero a renderlo
memorabile, per gloria della Santa Fede, consolazione de' buoni, confusione de'
miscredenti, e decoro immortale del Santo Tribunale.
Quanto in questa Relazione si scrive
tutto s'ha disteso come ne furon testimoni gli occhi proprj, o si ha tratto da
altri, che videro pure, e notaron fedelmente le particolarità, che vi
concorsero, e la lor cortesia m'ha benignamente somministrato le notizie
necessarie: e soprattutto da quanto lo stesso S. Tribunale, che diede moto alla
mia debole penna, m'ha communicato.
Stimerà forse il Lettore
soverchie molte minute circostanze, che si notano: ma s'ha avuto l'occhio a
doversi conservare la memoria di tutte le cerimonie, e aderenze distinte, che
si osservarono nella ben intesa, e prudente condotta dell'Atto, per restar come
regola ad altri simili Atti, che in appresso dovessero celebrarsi: e per tanto
si è considerato necessario il notar tutto, e mostrarci anzi prolissi,
che succinti, e manchevoli.
CAPITOLO PRIMO.
Determinazione della
Celebrazione dell'Atto Pubblico di Fede, e disposizioni precedenti.
Il Sacro Tribunale della
Santa Inquisizione del Regno di Sicilia ha in lodevol costume di mostrare di
tempo in tempo, secondo le occasioni, lo opere profittevoli del suo Santo Istituto,
col celebrare alcun Atto pubblico di Fede, in cui risplendano colle vampe di
ardentissimo zelo, che conserva in difesa della Cattolica Religione, non men la
sua incorrotta Giustizia, che la Misericordia: e dividendo la zizzania dal
frumento, condannar gli ostinati al fuoco, e conservar gli ravveduti, e pentiti
nel seno della Santa Chiesa purificati.
L'Atto pubblico di Fede
celebrato in quest'anno in Palermo merita, che resti alla memoria de' posteri,
sì per la magnificenza con cui splendidamente celebrato, sì anche
per lo zelo in dare dovuto gastigo a' Pertinaci, ad esempio degli altri, per la
pietà esercitata co' Pentiti Delinquenti.
Governano questo Santo
Tribunale con acclamato zelo, e vigilanza al presente tre Inquisitori, forniti
non men di dottrina, che di prudenza: un di essi è Monsignor D. D.
Giovanni Ferrer, che fu sublimato dal merito a molti gradi onorevoli;
poichè fu prima Collegiale maggiore del Collegio di S. Idelfonso
Università d'Alcalà: Indi Cattedratico di prima classe di Sacra
Teologia dell'Università di Saragosa d'Aragona: Canonico ed Esaminator
Sinodale, e Vicario Generale in tempo di Sedia così vacante, come piena
dell'Arcivescovato della stessa Saragosa. Passò finalmente in Sicilia
promosso al grado d'Inquisitore di questo Tribunale, eletto dal Regnante
Monarca Carlo VI. Imperadore,
e III. Re di Sicilia. Gode pure il grado di
Giudice Conservatore in questo Regno de' privilegi, e interessi della Sacra
Religione Gerosolimitana.
Il Secondo è
Monsignor D. D. Giuseppe de Luzan, e Guasso, che dopo essere stato Collegiale,
e Rettore nel Collegio Maggiore di S. Giacomo di Guasca, e Cattedratico della
Cattedra del Sesto e Vice-Rettore dell'Università di essa Città;
passò ad esser Canonico dell'insigne Collegiata di Monsòn, e
Vicario Generale della Chiesa, e Diocesi di Lerida nel Regno d'Aragona.
Designato Inquisitor Fiscale dell'Inquisizione di Sardegna, ad elezione dello
stesso Augustissimo Monarca, passò in Sicilia col carattere
d'Inquisitore del Santo Tribunale.
Il Terzo è
l'Inquisitor Fiscale Monsignor D. D. Biagio Antonio de Oloriz, il cui merito fu
riconosciuto col grado di Collegiale, e Rettore del Collegio Reale di
S.Vincenzio dell'Università di Guasca. Fu altresì Cattedratico in
essa della Cattedra del Digesto Vecchio, Codice, e Sesto: Reggente vespertino
delle leggi. Indi Canonico Dottorale, Vicario Generale, Giudice, ed Esaminator
Sinodale della Cattedrale nella Città di Valvastro nel Regno d'Aragona,
e Consigliere d'onore di Sua Cattolica Cesarea Maestà del Conseglio
della Santa Cruciata. Dal sopralodato Monarca fu in ultimo scelto al reggimento
di questo Santo Tribunale.
Nel governo di questi
Inquisitori essendosi terminati i processi di alcuni de' Rei, che si trovavano
entro le carceri secrete del S. Tribunale, Eglino dopo serie, e replicate
consulte, spinti da ardente zelo, maturarono la risoluzione di promuovere
questo pubblico Atto di Fede. Fu avvalorata la loro risoluzione
dall'approvazione ed ordine del singolarissimo zelo dell'Ill. e Rev. Mons: Fr.
D. Gio: Navarro Vescovo di Alvarrazin Inquisitore Generale di Spagna, residente
nella Corte di Vienna con suo dispaccio spedito a 29 di Ottobre del 1720. Ma
prima per incamminarne con passi d'alta prudenza la savia condotta, se ne diede
l'avviso all'Augustissimo Monarca per sentir gli oracoli della sua gran mente,
e riportarne la sua ben degna approvazione. Egli come che invitto difensore
della Cattolica Religione, avendo ereditato da' suoi gloriosi Progenitori non
meno il zelo della S. Fede, che la pietà, non solo approvò la
celebrazione d'un tal Atto pubblico, ma anche con isplendida liberalità
volle, che il suo Regio Erario concorresse alle spese necessarie nel
celebrarlo: onde scrisse all'Eccellentissimo F. D. Giachino Fernandez
Portocarrero Conte di Palma e Marchese di Montechiaro ed Almenara,
Vicerè di Sicilia, affine si celebrasse con tutta puntualità, e
splendidezza; anzi volle che applicasse la sua autorevole protezione in
favorire il S. Tribunale, e suoi Ministri. Ecco il Real dispaccio.
EL REY
([29])ILL. Marq. De Almenara etc. Havendome represetado el
Inquisidor General la necesidad que ay de celebrar un Auto General de Fee en
esse Reyno, para la mayor exaltacion de la gloria de Dios, he venido en
ordinaros con la presente, que de la misma suerte, que lo han executado otros Virreyes
vuostros antecessores, asistais a dicha funzion, protegiendo la jurisdicion del
Tribunal, y a sus Ministros, para que e la forma acostumbrada celebren dicho
Auto General, sin que nadie perturbe la menor de las ceremonias que en otros
Autos ha praticado esta Inquisicion, y destineis el sugeto, que ha de llevar el
estandarte del Tribunal, supliendo los gasto regulares de los frutos de las
yglesias vacantes: pues mi Real animo es conservarle, y hazer lo mismo, que mis
gloriosos Predecessores; y de averlo asì executado me dareis quenta en
que me servireis. De Praga a 7 de Julio 1723.
YO EL REY
I. Ramon de Vilana Perles.
Ottenuta l'approvazione dell'augustissimo zelo
dell'invitto Monarca, si disposero dalla vigilante cura de' Signori Inquisitori
i necessari apparecchi per celebrarlo; e maturati con singolar prudenza i
mezzi, finalmente si venne alla risoluzione di metterli in opera a 6 Aprile di
quest'anno 1724. Quindi ne fu pubblicata la notizia col Bando precedente a 6
Marzo dal Banditore della Città di Palermo D. Francesco Perino. Egli
ornato di toga di velluto cremesino, sopra cavallo vestito di gualdrappa
trapuntata ad oro, coll'accompagnamento de' Contestabili del Senato, ornati di
sopravesti di damasco cremisino, trombe, piffare, tamburri, e atabali,
ammantati di rosso, nella forma come costuman proclamarsi le solennità
maggiori della Città, fece la prima pubblicazione avanti il palazzo de'
Signori Inquisitori, che tutti e tre nell'atto di leggersi furono assistenti
nel soprastante balcone. Indi si proseguì successivamente la
pubblicazione ne' luoghi più principali della Città. Il bando fu
come siegue.
BANDO
Di ordine, e Comandamento del Tribunale
del S. Officio di questo Regno. Si fà intendere à tutti fedeli
Cristiani di questa Felice, e Fedelissima Città di Palermo, che
Giovedì, che saranno li 6 di Aprile di quest'anno, si celebrerà
Spettacolo Generale di Fede, nel piano della Metropolitana Chiesa: ove tutti
coloro, che si troveranno presenti, guadagneranno le Indulgenze concesse
à loro da' Sommi Pontefici. E si comanda sotto pena di Scommunica
Maggiore, ipso facto incurrenda à tutti i Parochi, Rettori, e Superiori,
che nelle loro Chiese Parochiali, Conventi, Monasterj, ò in qualsivoglia
altra Chiesa, non si possa quella mattina predicare, nè celebrare Messa
cantata, fin tanto, che quelle del S. Officio non siano finite. E così
comanda, che si publichi, acciocchè da tutti se n'abbia piena, e certa
notizia. Dato in Palermo oggi li 6 di Marzo del 1724.
D. Tomaso Antonio de Laredo, e Sertucha
Secretario.
Fu pure stampato in un foglio, e affisso nelle
piazze, e luoghi più notabili della Città.
Indi si tramandò la notizia dell'Atto a' 10
Marzo a tutti i Commissarj del S. Uffizio sparsi per le Città, e Terre
del Regno, affine di comunicar la notizia a tutti coloro, che fossero del foro
del S. Uffizio in questa forma.
INQUISITORI, etc.
Reverendo Commissario di questo S.
Officio in Salutem, etc.
Da questo S. Tribunale stà
risoluto farsi la celebrazione di Spettacolo generale di Fede publico nel Piano
della Chiesa Metropolitana di questa Felice, e Fedelissima Città di
Palermo (come fù quello, che si fece l'anno 1658) il giorno 6 di Aprile.
Onde vi si fa notorio, per dar una tal notizia à tutti cotesti nostri
Foristi così Ecclesiastici, come Secolari, acciocchè quelli, che
vorranno venire in questa, lo possano fare; per assistere alla Processione
generale, che si farà: avvertendo però, che venghino con le loro
Croci del S. Officio, e' migliori vestiti, che potranno portare, per comparire
decorati, e con lustro in maggior gloria di Dio, e servigio di questo S.
Officio. Dat. in Palermo li 10 di Marzo 1724.
Dottor Ferrer,
Dottor Luzan, Dottor Oloriz
Laredo
Secretario
E in appresso a' 20 dello stesso mese si
pubblicò con di più distinto ordine l'Atto Generale a tutti quei,
che fossero del foro, così in Palermo, come in tutto il Regno,
acciocchè si preparassero, e fossero assistenti alla solennità
ne' giorni stabiliti: e ne fu promulgato l'ordine nella seguente forma.
Si notifica à tutti i Foristi
del S. Officio di qualunque sia grado, così Ecclesiastici, come Secolari
di questa Fedelissima Città di Palermo, Patentati da' presenti
Monsignori Inquisitori, come pure à quei Foristi del medesimo S.
Officio, che verranno in questa Capitale dalle Città, e Terre del Regno
per assistere all'Atto Generale di Fede, che si celebrerà il giorno 6
d'Aprile p.v. qualmente dì 5 il d'Aprile suddetto debbansi tutti, e
ciascun di loro radunare nel Piano del S. Officio ad ore
Dat. dal Tribunale del S.Officio alli
20 Marzo 1724.
D. Tomaso Antonio del Laredo, e Sertucha Secretario
Nello stesso tempo fu avvisata la Compagnia della
Vergine Assunta. Fu essa fondata sin dall'anno 1565, per opera del P. Tommaso
Fazello Domenicano([30]) celebre
Istorico delle cose di Sicilia, ed abbracciò sin dal suo principio per
suo distinto esercizio l'intervenire agli Atti pubblici di Fede, che si
celebrino dal S. Tribunale, con accompagnare i Rei pertinaci sino al luogo del
supplicio, e procurarne la conversione coll'opera de' suoi Teologi. Ottenne poi
dal Tribunale particolar privilegio col quale a lei sola, coll'esclusione
d'ogni altra Compagnia, si concede l'accompagnar la Croce Verde del Tribunale
al luogo ove dovesse celebrarsi l'Atto pubblico della Fede: d'assegnar fratelli
Teologi per cooperare con egual pietà, e fervore alla conversione degli
Ostinati sin nelle carceri secrete del S. Uffizio, ne' tre giorni precedenti
all'esecuzione della giustizia; e assistere a Rei rilasciati al braccio
secolare sino al luogo ove dovessero consegnarsi al fuoco: come per concessione
del Tribunale a 21 Marzo 1575.([31]) confirmata a'
20 Marzo 1604.([32]) trascritte
negli atti di Notar Pietro Candili di Palermo a 28 Maggio 1717. e in vigore
d'una tal concessione ha sempre assistito con singolar pietà, e zelo
agli Atti pubblici del Tribunale, non senza grosso stipendio. Quindi di
ciò ben consapevoli i Signori Inquisitori fecero scrivere biglietto a'
Superiori, e Congionti di detta Compagnia, per doversi preparare, nella
seguente maniera.
ALLI SIG: OSS: LI SIG: SUPERIORI
e Congionti
della Venerab. Compagnia dell'Assunta.
SIGNORI OSSERVANDISSIMI
Essendosi publicato Bando ne' giorni
scorsi d'ordine di questo S. Tribunale, notiziando tener disposta la
celebrazione d'un Atto generale di Fede nel Piano della Metropolitana Chiesa di
questa Città, per li 6 di Aprile p.v. riflettendo al
privilegio che tiene cotesta Venerabile Compagnia di assistere al S. Tribunale,
con la sua esemplare carità in simili solenni funzioni; mi comanda, che
in suo nome, come osservo, portassi alle VV. SS. l'avviso acciocchè
s'approntasse in compita forma al fine suddetto in quei giorni, secondo che
saranno avvisati: ed in specialità nei giorni cinque, e sei di detto
mese; cioè il giorno cinque tutta la Compagnia si dovrà trovare
pronta ad avviso del Tribunale ad ore venti, portando tutti li Fratelli le loro
Torcie per associare la S. Croce Verde, che uscirà velata dal Tribunale
del S. Officio processionalmente, per collocarla nell'Altare preparatole nel
piano di detta Chiesa Metropolitana, distaccando dal corpo della Compagnia
quattro Fratelli secondo il praticato con loro Torcioni, per associare la Santa
Croce Verde, dove vien portata, ed arrivata che sarà la Compagnia, nel
piano di detta Metropolitana Chiesa, si metterà in ala nella parte
sinistra dell'Epistola, insinochè arriverà la Santa Croce, col
restante della processione. E similmente detta Compagnia il dimattina sei dello
stesso mese, ad ore duodeci incirca, si dovrà trovare pronta ad avviso
del Tribunale per uscir la prima in processione senza torcie, ma colli soli
quattro torcioni ed il suo Santissimo Crocifisso velato: acciò dia
principio alla processione: e poi arrivata che sarà nel piano destinato
della Metropolitana, si prenderà il posto assegnato secondo l'antico
costume, e si tratterrà insino alla conclusione di detto Atto generale.
E perchè forse potrebbono occorrere alle VV. SS. alcuni dubbj in questi
giorni; si compiaceranno venir à comunicarli al S. Tribunale;
acciò che ad ogni cosa si dasse la dovuta providenza, per non sortire
disturbi, nè contrasti veruni, con che si potesse recar pregiudizio alla
comune quiete, e molto meno alla celebrazione dello Spettacolo generale. Fine
con cui mi dedico al servizio dei loro Signori.
Palermo dal Segreto del S. Offizio li
20 di Marzo 1724.
D. Tomaso Antonio de Laredo, e Sertucha Seg.
Simile avviso fu comunicato nel medesimo giorno al
Superiore, e Deputati della Congregazione della Pescagione, fondata nella Casa
di S. Giuseppe de' Padri Chierici Regolari. Ella, Madre di molte opere pie,([33]) per lo fervore
Apostolico, che ha sempre nudrito, ottenne ne' scorsi tempi privilegio dal
Tribunale di assistere in occasione di Atti pubblici di Fede, e di confidarsi
alla sua diligenza i Rei: ond'ebbe l'avviso per prepararsi a quanto a lei
toccava operare in tal funzione.
Con questa occasione il Superiore, e Deputati di
questa Congregazione in ricever l'avviso mostraron tutta la prontezza in
servire il S. Tribunale: ma s'accesero in desiderio, che nell'esercizio del
loro ossequio da farsi nell'Atto solenne della Fede, fossero distinti i
Fratelli di essa coll'insegna del S. Offizio; e ne supplicarono della grazia i
Signori Inquisitori con questo memoriale.
ILL. E REV. SIG.
Il Superiore, e Deputati della divota
Congregazione della Pescagione a nome di tutti li Fratelli intimati, e
destinati per special privilegio a servire il Santo Tribunale nell'Atto
Generale di Fede, che dovrà farsi per li 6 Aprile p.v. desiderando
essere insigniti colla Crocetta in petto solita a portarsi da suoi Familiari
almeno per li soli giorni della solenne funzione: e questo per accudir al
desiderio, che ognuno di loro hà di far meglio mostra della loro
obbedienza rispettosa, e divoto ossequio al Santo Tribunale; non conoscendovi
per altro alcuna disconvenienza in tal sorte di grazia colla specialità
del loro privilegio, porgono umilmente le loro suppliche alle SS. VV. Ill. e
Rev. acciò si degnassero conceder ad ognuno de' detti Fratelli
Congregati, che interverrà in detta funzione il privilegio di poter
portar in petto la detta Crocetta; almeno per quella sola volta che dovranno
intervenire in servigio di detta solenne funzione: sperando, che sarà
per muoversi la loro benignità alla concessione di detta grazia dalla
considerazione della gran fatica, che dovrà recarle l'assistenza in
difesa, e custodia de' Rei. Et ita supplicant ut Altissimus etc.
Parve cosa convenevole a' Signori Inquisitori, che
in premio delle fatiche, e dispendio, che i Fratelli di detta Congregazione
dovean tollerare nell'Atto pubblico di Fede, si concedesse la grazia, secondo
il desiderio mostrato. Ma via più si diffuse la benignità del
Tribunale, poichè non solo fu conceduto che i Fratelli della
Congregazione andassero insigniti colla Croce del S. Uffizio in petto nella
solennità de' 5. e 6. di Aprile; ma ancora in tutti gli Atti pubblici di
Fede, che in altri tempi appresso dovessero celebrarsi, potessero usare la
stessa insegna: onde col seguente rescritto in piè del Memoriale ne fu
fatta la concessione.
INQUISITORI
etc
([34])En vista de este Memorial, y suplica; conzede el S.
Tribunal a los referidos Superior, Deputados, y Hermanos de la dicha
Congregacion, erecta en la Casa de los Padres del Orden de S. Gaetano, llamada
de S. Joseph en esta Ciudad; la grazia que piden, de poder llevar la Cruz del
Santo Offizio en el pecho los dias cinco, y seis de Abril de esto anno, para
assistir a las Processiones, y Auto general, que se hà de celebrar en
los referidos dias: y assì mismo les conzede el Santo Tribunal el referido
honor, y grazia a los espresados Superior, Deputados, y Hermanos de la dicha
Congregacion, para en las funziones de Autos generales, que en adelante
pudieren ofrezerse: con la condicion però, de que hayan de asistir al S.
Tribunal para lo mismo, en que se emplearàn en el proximo Auto general.
Dat.
En el Palazio, y Tribunal del S. Offizio à Veinte y ocho de Marzo del
anno Mil setecientos, y Veinte, y quatro etc.
Dottor Ferrer,
Dottor Luzan, Dottor Oloriz.
Laredo Sec.
Fu in oltre portata intimazione a' Parrocchiani
della Città, e Borgo, come pure a' Superiori degli Ordini Regolari,
soliti intervenire alle processioni principali della Città, affine di
trovarsi preparati anch'essi colla dovuta prontezza ne' giorni della prima, e
seconda processione, che dovea farsi. A Parrocchiani così fu mandato
l'avviso.
Don Girolamo Secano Nunzio di questo
Sant'Offizio, si conferirà personalmente dalli RR. Parrochi di questa
Città e Borgo, e d'ordine del medesimo Santo Tribunale
notificherà ad ogn'uno di loro; qualmente il Santo Tribunale tiene
già pubblicato Bando per la celebrazione d'un'Atto generale di Fede il
giorno 6 d'Aprile p.v. e perciò dovendosi rinovare tutta quella pompa,
ed ordine, che pratticaronsi nell'anno
R. Parrocho di
Santa Maria in Borgo.
R. Parrocho di
Santa Margherita.
R. Parrocho di Santa Croce.
R. Parrocho di
San Giovanni li Tartari.
R. Parrocho di Sant'Ippolito.
R. Parrocho di Sant'Antonio.
R. Parrocho di San Giacomo la Marina.
R. Parrocho di
S. Nicolò l'Albergaria.
R. Parrocho di S. Nicolò la
Calza.
Palermo 21 Marzo 1724
A' Superiori de' Conventi ne fu mandato l'ordine in
questa forma.
Don Girolamo Secano Nunzio di questo S.
Offizio, si conferirà personalmente dalli RR.PP. Superiori de' Conventi
infrascritti, e d'ordine del medesimo Santo Tribunale notificherà ad
ogn'uno di loro: qualmente il Santo Tribunale tiene già pubblicato Bando
per la celebrazione d'un Atto generale di Fede nel giorno 6 d'Aprile p.v. e
perciò rinovar dovendosi tutta quella pompa, ed ordine, secondo che si
praticò in simile occorrenza nel anno 1658 ciascuno di detti RR.PP.
Superiori mandasse in S. Offizio il giorno cinque, verso l'ore 20 colla propria
lor Croce velata tutti i Religiosi con candele, per associare sin'al piano
della Metropolitana la Croce Verde; ed il giorno sosseguente la mattina verso
l'ore 12 colla stessa lor Croce tutti i Religiosi, senza candele per
accompagnare i Rei sin'al medesimo piano della Metropolitana: ove gionti l'uno,
e l'altro dì, se ne ritorneranno a' proprj loro Conventi etc.
Il R. Rettore
degli Spersi.
Il R. Rettore degli
Orfani di S. Rocco.
Il P. Guardiano de' Cappuccini.
Il P.
Commendatore de' Riformati della Mercè.
Il P. Priore del Terz'Ordine di S.
Francesco.
Il P.
Correttore de' Minimi di S. Francesco di Paola.
Il P. Priore de' Carmelitani calzati.
Il P. Priore degli
Agostiniani calzati.
Li PP. Guardiani dei Minori Osservanti,
e Riformati.
Il P. Priore di
San Domenico.
Palermo 21 Marzo 1724
Si tralasciò di chiamar gli Agostiniani
Scalzi per degni rispetti, ben considerati dall'alta prudenza del S. Tribunale.
E poichè l'Augustissimo Monarca col suo
dispaccio, a dietro registrato, lasciò all'arbitrio del Vicerè
l'elezione del riguardevole Titolato, che dovesse portar nella processione lo
Stendardo della Santa Fede, poco prima della celebrazion dell'Atto elesse il
Sig. D. Francesco Bonanno Principe di Roccafiorita, e della Cattolica, col
seguente Biglietto, spedito per via della sua Segretaria.
All'Excell.
Senor Principe de Roccafiorita y de la Catolica,
guarde Dios muchos annos
como deseo del Consejo de Estado di S.M.C.C.
Doviendose
celebrar en esta Capital el dia seis del corriente el Auto General de Fee, y
ser costumbre llevar el Estendarte en esta funcion un de los mas Ill.
Barones del Reyno; ha resuelto S.E. elegir a V.E. para Ilevar el
referìdo Estendarte de la Fee en el citado dia, en
consideracion alas singulares circunstancias de merilo, y distincion, que
concurren en la Casa de V.E. y me manda participarselo, a fin que enterado de
ello, assista V.E. puntualmente como se lo promete S.E. de su Christiano celo a
la mayor exaltacion de Nuestra S. Fee Catholica. Dios guarde a V.E. muchos
annos como deseo. Palermo 2 Abril de 1724
Excelentissimo Senor.
B.L.M. de V.E. su major servidor
D. Pedro Pasqual Cano
Excell. Senor Principe de Roccafiorita, y Catholica
Da tutte queste ben pesate, e prudenti prevenzioni,
ne nacque il buon ordine, con che poi fu celebrato questo solenne Atto, non
senza la dovuta lode, e plauso.
CAPITOLO SECONDO.
Fabbrica del Teatro, sua
disposizione, ed apparato.
Fu destinato per Teatro a rappresentarsi questo
memorabile Atto, anzi Trionfo della Santa Fede, il gran piano, che si stende
avanti al fianco meridionale della Chiesa Cattedrale; altre volte eletto a
questo fine, come luogo spazioso, in cui commodamente potesse alzarsi un ampio
Teatro di legno, a spese del Regio erario; come avea precedentemente ordinato
la singolar pietà dell'invitto Monarca: e per la magnificenza, e ben
intesa struttura riuscì superbissimo. Fu eletto a ben disporlo il P.
Tommaso Maria Napoli Palermitano, dell'Ordine de' Predicatori, peritissimo
nell'Architettura.
La sola piazza, che restò dentro il ricinto,
sollevata da terra a far pavimento, si alzò palmi otto: si distese canne
23([35]) e si
dilatò a proporzione canne 13. Solo ad essa aprivasi l'ingresso per una
scala di sette gradini in fronte la porta del Palazzo Arcivescovale alta palmi
otto.
Avanti il portico meridionale della Chiesa
s'inalzò il sontuoso Palco per collocarvi il Solio de' Signori Inquisitori,
alto palmi 20 lungo 18 e largo 10 sublime però dal pavimento del Teatro
sino alla cima della covertura palmi 32. Il Solio però era alto palmi 5
con sei scalini.
Nel suo fianco destro altro Palco s'alzò per
lo Giudice Ordinario, Qualificatori, e Avvocati del Santo Tribunale, che
stendevasi in lunghezza palmi 42 ma la sua larghezza era palmi 8 e mezzo, con
panco lungo palmi 26 e predella sotto.
A questi ne succedea altro per lo Capitano
Giustiziero della Città, e sua Corte, lungo palmi 29 e mezzo, largo
palmi 12.
Contiguo al fianco sinistro del Palco
degl'Inquisitori vedeasi altro Palco destinato a ricevere il Promotor Fiscale,
Secretarj, Recettore, e Contatore del Tribunale, in lunghezza di palmi 32 con
panco di palmi 28 e in appresso ne fu altro fabbricato per l'Eccellentiss.
Senato di Palermo lungo palmi 56 inclusovi lo spazio, che restava vacuo, largo
palmi 10. Eran questi Palchi già descritti dal pavimento del Teatro sino
al loro suolo alti palmi 13 e la lunghezza di tutti detti cinque Palchi stendevasi
a canne 23 cioè palmi 184.
Dietro questi Palchi si fabbricarono cinque stanze:
due per li Signori Inquisitori, due per lo Senato, altra per la Corte del
Signor Capitano, ove potessero gl'istessi ritirarsi nella lunghezza del tempo a
pigliare qualche necessario ristoro. La stanza ove pranzarono gl'Inquisitori
s'allargava a palmi 16 si dilatava palmi 9. Quella ove si ritirò il
Senato a pranzare riuscì lunga palmi 40 larga palmi 9 e una sua stanza
ove si rizzò ricca credenza fu lunga palmi 16 della stessa larghezza di
palmi 9. Simile fu quella del Signor Capitano, e sua Corte.
Salivasi a questi Palchi della parte di dietro per
una scala di 25 scalini larga palmi 8. Altra scala aprivasi nel fianco del
Palco della Corte del Capitano, per cui scendevasi ad una stanza eretta fuori
del Teatro, e del piano della Cattedrale: destinata per luogo, ove doveasi
fulminar la sentenza contro de' Rei ostinati. Era sollevata da terra palmi 5
larga palmi 8 e lunga palmi 12 alta palmi 10.
Ascendevasi al Palco de' Signori Inquisitori della
parte avanti per una scala di 16 scalini.
Sotto i due Palchi de' Qualificatori, Consultori,
Avvocati, e de' Secretarj si disposero sei ordini di sedili, modellati a
scalinata, ognun di essi alto palmi due, compartiti a' fianchi di detta scala.
Nella parte destra più vicina alla scala era il luogo destinato a'
Ministri del Fisco Regio. Nella parte appresso dovean collocarsi i Maestri
Notai del Regno, Commissari, e Revisori de' libri: e questi due luoghi
occupavan la lunghezza di palmi 32. La parte sinistra più vicina alla
scala era dovuta al Nunzio, Portieri, e Uffiziali dell'Udienza Civile: e la
parte più remota a' Familiari di Palermo, e del Regno: ed amendue questi
luoghi si stendevano sino a palmi 28.
Nel mezzo del lato orientale del Teatro
s'alzò l'Altare, che guardava il Palazzo Arcivescovale, e l'ingresso del
Teatro. Si sollevava alto dal pavimento palmi 24 e vi s'ascendeva per due
scalini. Si modellò lungo palmi 12 largo palmi 4 con sua predella lunga
palmi
A' fianchi dell'Altare per quanto si dilungava la
intiera facciata orientale del Teatro, si dispose un palco alla lunghezza di
112 palmi, alto palmi 14 divisato in due parti, de' quali la destra
toccò alla Principessa d'Aragona moglie del Capitano Giustiziero della
Città, l'altra à sinistra alla Principessa di Resuttana, moglie
del Pretore; affine di assistere alla Solennità, colle Dame in gran
numero da loro invitate.
Nel lato meridionale del Teatro, in fronte al Solio
de' Sig. Inquisitori sopra una piazza particolare, alta dal pavimento del
Teatro palmi 7 si sollevò il Palco funesto, ò sia Catafalco
ignominioso per li Rei; ordinato con 7 scalini di lunghezza palmi 18 ognun di
essi alto palmi 2. Riuscì alto dal pavimento del Teatro sino alla cima
palmi 32 largo palmi 18 sotto eminente, ed orrorosa covertura. A lato destro
v'avea scala con sette gradini, per la quale dovean salire i Rei. Da questo
palco scendevasi ad un lungo passetto, che sporgendo sino in mezzo alla piazza,
di rimpetto al Solio degl'Inquisitori, terminava in un poggetto coll'alzamento
di 2 scalini. Era questo passetto lungo palmi 20 largo 3 s'alzava dalla piazza
palmi 5 difeso da proporzionati parapetti, alti palmi 3. Sopra l'accennato
poggetto dovea stare in piè, oggetto degli occhi di tutti, il Reo,
mentre leggevasi il suo processo. A' lati di questo luogo furon dell'una, e
l'altra parte situati due pulpiti, l'uno, e l'altro in distanza di palmi 8 dal
poggetto: sopra de' quali dovean salire alternativamente quei RR.PP.
Domenicani, che ebbero la cura di leggere i processi. A lato del palco de' Rei
si disposero stanze terrane per riposo, e ristoro de' Fratelli della
Pescagione.
La parte occidentale del Teatro restò libera
senza palchi, e senza impedimento alla vista del vicino Palazzo Arcivescovale:
sol dal Teatro diviso dalla strada, che framezzasi tra il piano della
Cattedrale, el Palazzo: onde da' balconi di esso poteasi agevolmente vedere,
quanto maneggiavasi,
e quanto vi fosse riguardevole nel Teatro. Un di questi balconi fu destinato al
Vicerè, che volle essere spettatore della Solennità: e fu munito
da gelosia.
Appoggiato alla facciata di detto Palazzo, e sotto
i balconi si eresse palco per la Principessa della Cattolica, lungo palmi 112
largo palmi 12, alto da terra palmi 10, sol ove era nel mezzo la porta del
Palazzo, che restò libera per lo passaggio delle carrozze, fu alto palmi
14. Fu fabbricato questo palco dal Tribunale in grata ricompenza delle spese, e
fatiche, che dovea sostenere il Principe di Roccafiorita in ossequio del
Tribunale in questo pubblico Atto di Fede: ed in esso poi si allogò la
Principessa moglie con molte Dame da lei invitate.
Ma se apparve sontuoso per la magnificenza, e
nobile per la ben intesa architettura questo Teatro, senza comparazione
maggiore fu l'apparenza, che fece, quando con rara splendidezza si vestì
col pomposo apparato, che tirò a folto concorso gli spettatori per
ammirarlo, e insieme a celebrarlo. Dal piccolo, e brieve abbozzo, che prendo a
delinearne potrà il Lettore argomentare il molto, che potrebbe dirsi nel
descriverlo.
Il Solio de' Signori Inquisitori fu riccamente
ornato di coltre, e baldacchino di velluto cremisino trinato d'oro, con in
mezzo l'arme del S. Tribunale, lavorate a ricamo. Il rimanente del palco
dall'una, e l'altra parte, dalla cima al fondo fu vestito di broccati di colore
azzurro arabescato d'argento, framezzati di trine pur d'argento. Nel Solio si
collocarono tre sedie per gl'Inquisitori di velluto cremisino trinato d'oro,
accompagnato di fregi. S'aggiunsero tre piumaccioni a' piedi dello stesso
drappo, con fiocchi pendenti da ogni lato. Avanti la sedia di mezzo, ove dovea
starsi assiso il Primo Inquisitore Monsignor D. Gio: Ferrer, si collocò
un tavolino tempestato di tartaruca, ed oro, sopra di cui vedeasi un Crocifisso
in argento, con Croce, e piedestallo d'ebano proffilato d'argento, campanello
d'argento, col Messale, e Croce del S. Uffizio per l'abiurazione de' Rei. I sei
scalini del Trono si coprirono di ricco tappeto fiorito.
Nel lato sinistro di esso palco vi avea sedia di
damasco rosso trinata d'oro, con uno scalino, oltre la predella, ricoperta di
tappeto, per il Sig. D. Teodoro de Lorenzo, Secretario del Tribunale, che
supplì la carica di Promotor Fiscale.
I due palchi de' Secretarj, e de' Qualificatori,
Consultori, e Avvocati eran provveduti di panconi ricoperti di panno azzurro,
con predella vestita di tappeti lavorati alla persiana: ed erano i palchi
ornati dalla cima sino a' panconi di velluto cremisino framezzato di falde di
lamine d'oro trinate d'argento.
Era il palco della Corte del Capitano occupato da
cinque sedie di velluto cremisino fregiate d'oro sopra predella ricoperta di
tappeto. Panno dello stesso drappo formava vaga spalliera; poichè ne' quattro
suoi angoli era trapuntato a lamine d'oro con in mezzo un'Aquila lavorata a
ricamo, che mostrava in petto l'arme Cesaree. Era preparata la prima sedia al
Capitano Giustiziero della Città il Sig. D. Baldassarre Naselli Principe
d'Aragona: le tre seguenti eran designate per li tre Giudici di detta Corte il
Sig. D. D. Francesco Cumbo, D. D. Tommaso Gioeni, e D. D. Pietro Portoleva:
l'ultima per il D. D. Antonino Citrano Avvocato Fiscale di detta Corte.
Seguivano in appresso due panchi senza spalliera, ne' quali ebbero luogo
Giovanni Comito Pro-Mastro Notajo Criminale, e D. Mariano Valguarnera Coadiutor
Fiscale.
Nel palco dell'Eccellentiss. Senato fu collocato il
solito suo pancone, ornato nobilmente di spalliera, sgabello e panno, posato
sopra una continuata predella sino alle sedie degli Uffiziali nobili:
sicchè era alto il pancone dal suolo del palco palmi 2. lungo palmi 25.
Il panno era di velluto cremisino messo a ricamo nell'intorno, coll'arme
dell'Augustissimo Monarca nel mezzo, e in due scudi a fianchi, coll'Aquila,
arme della Città: tutte ricamate ad oro. Piomacci di velluto cremisino
erano allogati per sotto i piedi del Pretore, e Senatori: lo sgabello fu
ricoperto di tappeto di seta lavorato a fiorami. In questo pancone doveano
stare assisi il Pretore, co' sei Senatori: e in appresso seguivano nove sedie
distinte di velluto cremisino con fregi d'oro per Uffiziali nobili del Senato,
sopra detta predella alta palmi due.
Dietro il panno sì della Corte del Capitano,
come dell'Eccellentiss. Senato, e nel rimanente, che avanzava fuor delle sedie,
dalla sommità sino al pavimento de' palchi pendea apparato composto di
drappi di tessuti a ricamo d'argento alla persiana di colore azzurro, e
cremisino, trinati d'argento. Da detti palchi sino al pavimento della piazza
scendean paramenti cremisini lavorati alla Persiana.
I sedili de' Ministri del Regio Fisco, dell'Udienza
Civile, de' Mastri Notaj Commissarj, Revisori di libri, e Familiari, si
coprirono di panno azzurro trinato d'argento.
La scala, per cui si saliva al trono degli
Inquisitori fu ornata di velluti arabescati, e con lamine d'oro in ricami; e i
parapetti, co' quali fu rinforzata, si coprirono di drappi alla Persiana
arabescati d'argento.
Fu raccomandata alla diligenza de' PP. Domenicani
la cura dell'Altare: essi l'arricchirono di sei candelieri, e vasi d'argento
ornati di Cipressi. Sostenevano i candelieri sei grosse candele di cera gialla,
che stettero incessantemente accese d'allora, che nel mezzo dell'Altare fu
inalberata la Santa Croce del Tribunale, sino al seguente giorno al terminar la
solennità, con radoppiata mutazion di cera.
Nel mezzo dell'Altare fu collocato un ben inteso
piedistallo lavorato con cornici, e arabeschi d'argento sopra fondo azzurro: e
sopra di esso dovea inalzarsi, come in trionfo la Croce Verde alla venerazione
di tutti. A' fianchi di essa si collocarono due Angioli, un de' quali sostenea
la spada, l'altro un verde ramo d'Ulivo: simboli della Giustizia, e della
Misericordia; e insegna del S. Tribunale. Il pallio dell'Altare era a ricamo
d'oro sopra lame in azzurro. La predella co' scalini di sotto si coprirono di
tappeto alla Persiana. Dirimpetto all'Altare in proporzionata distanza, su due
piedestalli d'argento, ed oro, si vedean situati due Angioli riccamente vestiti
di drappo d'oro; e in atteggiamento di adorare ginocchioni quella S. Croce, che
sagrilegamente spreggiarono gl'infelicissimi Rei. Sopra l'Altare si ammirava
ricca ombrella pendente in aria, ornata con otto laterali cortine, con suoi
involti al disotto in ognun de' quattro angioli, ne' quali terminava
l'ombrella, composta di drappo azzurro intessuto alla Persiana, con lavori,
trine, e fregi d'argento, per quanto l'arte, e'l buon gusto ricercava.
Lo steccato de' Musici fu apparato di drappi rossi
alla Persiana framezzati di trine d'argento.
I sedili della Compagnia collocati appresso al
fianco sinistro dell'Altare in due fila, si coprirono di drappi alla Persiana,
e ricami a fiori sopra tela d'argento.
Del palco dietro l'Altare la parte toccante alla
Principessa d'Aragona moglie del Sig. Capitano, era superbamente vestita al di
fuori di velluti cremisini trinati d'argento, con frapponi d'oro e guarnizione
bianca: nel di dentro ricoperto a pompa di drappi lavorati à dipintura
alla Persiana, con trine d'argento. L'altra della Principessa di Resuttano,
moglie del Sig. Pretore, fu nella parte esteriore vestito pur di velluti
cremisini trinati d'argento, con frapponi d'oro a più ordini di
guarnizione bianca: e nell'interiore di drappi alla persiana messi a fiorame in
fondo d'oro.
Il funesto palco de' Rei presentava all'occhio
spettatore, un'orrida scena, poichè fu tutto ammantato di panni neri, e
di rami di verde, ma mesto mirto, a manifestare il luttuoso
dell'enormità commesse. Sol apparivan nude le tavole de' scalini, per
ivi starvi assisi i Delinquenti. Di nero framischiato di mirto era pure
ricoperto il passetto, e'l luogo, ove dovea allogarsi il Reo nel leggersi il
suo processo.
Sotto questo palco si ripartirono i sedili per li
portieri del S. Uffizio nell'uno, e l'altro fianco, ricoperti di panni neri: e
appresso a questi pur dall'una, e l'altra parte nel piano della piazza si
disposero panchi in quattro ordini per li Fratelli della Pescagione in distinto
ricinto, ricoperto di drappi rossi, lavorati alla Persiana, e ricami sopra tela
d'argento framezzati di trine. Si stendean nella parte destra canne 10. e nella
sinistra canne 9.
I due pulpiti si vestirono di damasco violato
trinato d'argento.
Avanti il pulpito situato nella parte destra vi fu
collocata una sedia di velluto cremisino trinata d'oro, sopra predella coperta
di tappeto di seta; luogo dovuto al Sig. D. Tommaso de Laredo Secretario delle
sentenze, con tavolino d'osso di tartaruca con piè dorato avanti, sul
quale doveasi collocare il cassettino co' processi, e altri arredi da scrivere,
in argento.
A fianco del pulpito sinistro altra sedia uniforme
si pose sopra sgabello pur coperto di tappeto, destinato à starvi assiso
il Sig. D. Giuseppe Moxe Alcaide del Tribunale, per dare a tempo opportuno
l'ordine di scender dal Catafalco quel Reo, di cui dovea pubblicarsi il
processo, secondo la disposizione del Secretario delle sentenze.
A lato destro dell'altro pulpito pur si
collocò altra sedia di velluto cremisino, sopra sgabello ornato di
tappeto, per il Sig. D. Giovanni Alvarez de Valdes Secretario, che sostenea
l'uffizio di Capitano, con alta verga a fianco in lunghezza di 24 palmi.
Il palco alzato sotto de' balconi del Palazzo
Arcivescovale per la Principessa della Cattolica, e Dame da lei invitate, fu
coperto di velluto cremisino trinato d'argento, e lavorato a finta
architettura, composta da trine ben divisate dall'arte; con frapponi d'oro, e
guarnizioni bianche; onde appagava mirabilmente l'occhio di quanti lo
riguardavano.
Il balcone, da cui fu spettatore della Solennità
il Viciré si ornò di coltre cremisina ben addobata, coverta di gelosia.
Non lascerò di aggiungere, che per entro la
piazza del Teatro si distribuirono molti sedili per commodo de' Titolati
Nobili, e persone di raguardevole condizione.
In questa forma apparve superbamente ornato tutto
il Teatro, la cui sontuosa pompa eccitò la maraviglia, e insieme la lode
non solo de' Cittadini, ma anche della gran moltitudine de' Forestieri,
concorsi a goderlo, anche prima di cominciarsi la solennità.
CAPITOLO TERZO.
Steccato del piano di Santo
Erasimo.
Il gran piano di S. Erasimo (così chiamato
per una Chiesa ivi da antichissimi tempi dedicata al Santo) presso al mare, che
ampiamente si distende a canto il destro piede della Città, fu destinato
ad esser funesto Teatro per l'esecuzione della giustizia, che dovea piombare
sul capo de' Rei ostinati. Nel mezzo di esso si fabbricò un largo
ricinto di tavole, che si portava in giro canne 147 alto palmi 7. Gli
s'aprì l'ingresso per una sola porta di rimpetto al baloardo Vega, larga
palmi 8. Vicino l'ingresso in distanza di canne 5 si alzò un piedestallo
vestito di panni neri: e sopra di esso un monticello, disposto a forma di marmo
bianco, in altezza di palmi 12 sopra cui dovea collocarsi la Croce bianca.
Accanto a questo luogo si fabbricò una
piccola stanza di tavole dalla parte occidentale, ove i Fratelli della
Pescagione potessero riposare la notte.
Nel mezzo si prepararono due fornaci l'una
dall'altra distante palmi 69 sopra due poggetti. Sopra un di essi s'alzò
un patibolo di tavole, alto da terra palmi 5 con proporzionata salita: e
portavasi in giro palmi 3. Ad esso salivasi con due scalini di legno ognun di
essi alto palmi due, nel secondo de' quali dovea sedere il Delinquente. Dietro
si fissò una trave alta palmi 12 con tre forami, due de' quali eran
preparati per legarvisi il Reo: il terzo libero, per strangolarsi in esso, in
ogni caso, che si ravvedesse. S'aprì sotto al patibolo una
concavità a proporzione capace, con entro legna bastevoli al bruciamento.
Uniforme a questo era l'altro patibolo: ma fra l'uno, e l'altro fu intermesso
un ripartimento di tavole lungo palmi 14, alto palmi 14 tantocchè l'una,
che dovea bruciarsi, non potesse vedere, nè esser veduta dall'altro. Fu
questo così prudentemente disposto, affine che la costanza, o per meglio
dire pertinacia, dell'una non rifondesse spiriti di maggiore ostinazione
nell'altro.
Intorno allo steccato si eressero diversi palchi da
alcuni Falegnami per commodamente potersi vedere il bruciamento, sì da
persone di qualche condizione, come dal popolo.
In distanza di canne 10 dalla strada de' pioppi,
che porta a dirittura alla Chiesa, e Convento di S. Antonio di Padova, e presso
la siepe del giardino contiguo al piano stesso di S. Erasimo, cominciavan detti
palchi distesi a forma di semicircolo, distanti dallo steccato canne 41. Il
primo era in lunghezza di canne 45, alto palmi 12. Indi restando il vacuo di
canne 5 per dar libero il passo alle carrozze, seguiva il secondo palco lungo
canne 13 e intermesso il vacuo di canne due e mezza, per le carrozze, ne
seguiva altro, che stendevasi in lunghezza di canne 23 e mezza della medesima
altezza.. Seguiva in appresso altro vacuo di canne 2 e mezza, e poi il quarto
palco, che occupava canne
Presso la trincea di rimpetto al baluardo Vega ne
furono alzati altri due contigui, un di canne 10 altro di canne 3.
Sul baloardo dello Spasimo l'Eccellentiss. Senato
fece fabbricarne altro a sue spese, affine, che da una parte di esso potesse
vedere il funesto incendio la Principessa di Resuttana moglie del Pretore,
colle Dame da lei invitate: dall'altra parte il Senato: e fu ornato di ricco
apparato.
Altro finalmente ne fu eretto sopra il baloardo
Vega, per poter da esso vedere Cavalieri, e Dame.
CAPITOLO QUARTO.
Apparato nel Palazzo del S.
Uffizio.
Ha stabil sede il Sacro Tribunale del S. Uffizio di
Sicilia nella Città di Palermo, come in Regia, e Metropoli della
Sicilia. S. Officij Inquisitionis Tribunal, scrive il Paramo([36]) in Regno
Siciliæ Panormi, quæ Civitas Caput Regni est, ubi Prorex, et
Consilium esse consueverunt, situm est. Risiede in particolar Palazzo
presso la marina, per magnificenza di fabbriche riguardevole. Fu egli eretto
sin dall'anno 1307([37]) da Manfredo
Chiaramonte Conte di Modica, Signor di Ragusa, e Caccamo, e Gran Senescalco del
Regno, per mostrare la sua somma splendidezza, e potenza. Indi dallo stesso fu
portato a perfezione nel 1320([38]). Ma poi per la
ribellione di Andrea Chiaramonte nel 1392([39]) caduto nelle
mani del Regio Fisco, fu abitato dal Re Martino, e poi da' Vicerè di
Sicilia sino all'anno 1517. Poi nel 1600 fu dal Re Filippo III di Spagna, e di
Sicilia assegnato per abitazione degl'Inquisitori del S. Uffizio di Sicilia, e
del suo Tribunale.
Con questa occasione fu questo Palazzo con
sontuosità d'apparato nobilmente ornato, poichè nella Cappella
del Secreto sull'Altare, ivi dedicato al SS. Crocifisso, s'alzò ricco
baldacchino di velluto cremisino, contornato di trine, e fregio d'argento. Fu
arricchito di molti candelieri d'argento ben distribuiti, con lumi di cera; a'
quali si framezzarono vasi colmi di fiori. A piè dell'Altare due
smisurati candelieri d'argento con torcie. Pendean dal tetto alcune Ninfe con
lumi valevoli ad illuminare la Cappella.
La Sala della stessa Cappella si vestì
nobilmente di apparato di seta trinato, e fregiato d'argento.
In fronte alla Cappella, ove è il luogo
destinato al Trono degl'Inquisitori, s'alzò baldacchino di velluto
violato, distinto colle insegne del Sommo Pontefice, del Monarca Augustissimo
Regnante, e della S. Inquisizione, in ricamo d'oro, ed argento. Al disotto le
tre sedie de' Signori Inquisitori di velluto cremisino ornate di trine, e fregi
d'oro: avanti a' quali fu collocata la tavola costumata, ricoperta di ricco
tappeto di damasco cremisino, fornito di fregio di seta, ed oro, col Crocifisso
in argento dorato, la verga colla Croce del S. Offizio, e altri arredi
d'argento necessarj. Negli angoli del recinto, in cui si chiudeva il detto trono,
si collocò alla destra lo Stendardo del Trionfo della Santa Fede: nella
sinistra lo Stendardo Reale, detto in idioma spagnuolo il Gujon: e da
questo luogo furon poi levati da quei, che dovean portarli nella prima, e
seconda Processione, come si dirà in appresso.
Nella parte sinistra del Solio degl'Inquisitori, e
di rimpetto alla porta principale della Sala, s'alzò un'Altare per
collocarvi sopra la Croce Verde, da cui fu levata nel giorno della prima
processione. Stava la Croce sotto nobile baldacchino di velluto violato,
trinato d'oro, e pur d'oro fregiato all'intorno. Sull'Altare si disposero
candelieri, e vasi d'argento con rami verdi, e violati, per accordare co' loro
colori a giusta corrispondenza la Croce, e baldacchino. A piè
dell'Altare v'avean due gran Candelieri d'argento con sue torce eguali a quei
dell'Altare del Crocifisso.
Il pavimento tutto della Sala fu ricoperto di
tappeti, a lavoro arabesco.
In amendue i giorni 5 e 6 Aprile concorsero a
celebrar la Santa Messa nell'uno, e l'altro di questi Altari alcuni Consultori,
Qualificatori, e Commissarj del S. Uffizio: sottentrando a continuar la
celebrazione alcuni Sacerdoti della vicina Parrocchia, di S. Niccolò la
Calza, che assistean pronti nella mancanza delle persone più riguardevoli:
conchè si fomentò, ed accrebbe mirabilmente la devozione del
numeroso concorso, che si portò a vedere, e insieme ammirare la ben
regolata disposizione, e ricco apparato della Cappella: alla cui porta furono
assistenti due Alabardieri, per vietar qualsivoglia disordine, che potesse
nascere per la moltitudine de' concorrenti a vederla.
L'Anticamera, Salone, e Scala si ornarono con varj
quadri, imprese, e gran copia di lumi di cera, che fecero risplendere quel
passaggio nell'una, e l'altra funzione. Il certo è, che gli addobbi, e
apparato pienamente appagarono con soddisfazione universale tutta la
Città, che ammirò la magnificenza, e splendore del S. Tribunale,
e la prudente condotta, e buon gusto de' Ministri, che lo compongono.
CAPITOLO QUINTO.
Nobili nuovamente arrolati nel
numero de' Familiari del S. Uffizio.([40])
Negli andati tempi fu sempre fervente la divozione,
che professò la Nobiltà Siciliana al Tribunale del Sant'Uffizio:
e fu altresì segnalato lo splendore, e venerazione, che dall'aggregarsi
al numero de' suoi Ministri, s'accrebbe a questo gran Propugnacolo della Santa
Fede come in parecchie occasioni riferite dal Paramo([41]), chiaramente
si vide. Nella congiuntura di celebrarsi questo Atto pubblico di Fede in
Palermo s'accese mirabilmente in Molti Nobili della stessa Città,
segnalati per titoli, e chiarezza di sangue, l'amore verso il Tribunale; e
protestando il loro zelo nelle materie concernenti alla cattolica Religione, e
l'alta stima, in che l'aveano, si recarono a gloria singolare l'essere arrolati
nel numero de' Familiari del S. Uffizio; e con questo carattere assistere in
questa Solennità. De' Principali ne soggiungo quì il Catalogo,
come mi viene somministrato dallo stesso Tribunale. Furono essi:
D. Francesco Bonanno, e del Bosco, Principe di
Roccafiorita, e della Cattolica, Consigliere di Stato della Cattolica Cesarea
Maestà.
D. Vincenzo del Bosco Principe di Belvedere.
D. Ignazio Gravina, e Cruillas Marchese di
Francofonte.
D. Domenico Ventimiglia Principe di Belmontino.
D. Ferdinando Moncada, e Ventimiglia Conte di
Cammarata.
D. Carlo Cottone Principe di Castelnuovo.
D. Pietro di Napoli, e Bellacera Principe di
Monteleone.
D. Gio: Maria Ramondetta San Martino Duca della
Fabbrica.
D. Emmanuele Vanni Marchese di S. Leonardo.
D. Enrico Statella Conte Statella.
D. Giuseppe Santo Stefano Marchese della Cerda.
D. Giacomo Squiglio, e Parisi Barone del Landro.
D. Placido Vanni.
D. Gio: Luigi di Settimo.
D. Giacomo Busacca.
E altre persone particolari di
chiara condizione.
CAPITOLO SESTO.
Diligenze applicate per la
conversione de' Rei ostinati ne' tre giorni prima dell'Atto della Fede.
Da che ebbe l'avviso la Compagnia dell'Assunta dal
Tribunale, di dovere assistere all'Atto pubblico di Fede, che dovea celebrarsi,
il D. D. Melchiorre Raffaele Superiore, il Sacerdote D. Francesco Bellicci, e
D. Onofrio Buscemi Congionti di detta Compagnia, avendo avuta la notizia di
esservi fra' Rei, due pertinaci ne' loro errori, stimarono obbligo del loro
zelo di procurarne la conversione: onde, secondo il privilegio, che gode la
Compagnia, fecero scelta di dodici Fratelli Teologi, forniti di dottrina, e
pietà Cristiana, per assistere a detti Rei ostinati, e mettere in opera
tutta la loro efficacia per ridurli alla vera Fede. Gli Eletti, e pienamente
approvati dal S. Tribunale furono i seguenti, coll'ordine come allo stesso
Tribunale furono presentati.
Il P. Maestro Pietro Martire
Cicala Domenicano.
Il P. Ignazio di S. Raimondo Mercenario scalzo
Consultore, e Qualificatore del S. Uffizio.
Il P. Paulo di S. Filippo dello
stesso Ordine pur Consultore, e Qualificatore.
Il P. D. Michelangelo Allò Basiliano.
Il D. D. Paolo Pinnisi Canonico della Cattedrale di
Palermo.
Il D. D. Agostino Passalacqua Canonico della stessa
Cattedrale.
Il D. D. Vincenzio Torregrossa Avvocato del Santo
Uffizio.
Il D. D. Agostino Pantò.
Il D. D. Nicolò Bonanno.
Il D. D. Pietro Sant'Anna.
Il D. D. Giambattista Ingoglia.
Il P. Lettore Lorenzo Costa de' Minimi di San
Francesco di Paola.
Ma poichè alcuni per indisposizioni furono
astretti ad interrompere l'assistenza necessaria, a questi sostentarono i
seguenti.
Il D. D. Francesco Coos.
Il D. D. Francesco Galati.
Il D. D. Francesco Bua.
I primi quattro di questi Teologi col consenso de'
Signori Inquisitori, ne' tre giorni precedenti all'Atto solenne della Fede,
furon gli eletti ad assistere nelle carceri secrete e affaticarsi intorno a'
due pertinaci Rei per ridurli in buon senno. Furon questi due ostinati F.
Romualdo di S. Agostino laico degli Agostiniani Scalzi, e Suor Geltruda Maria
Cordovana Terziaria Benedettina, de' quali ci converrà dare in appresso
distinta notizia de' loro errori, e pene.
Quindi a 3 Aprile i quattro Fratelli vestiti la
mattina coll'abito proprio della Compagnia, nell'Oratorio di essa presso la
piazza di Ballarò, si portarono per lo Cassaro con pari divozione, ed
esemplarità al palazzo del S. Uffizio; e penetrando nelle carceri
secrete del Tribunale, cominciarono a mettere in esercizio la loro carità,
e sommo zelo, affaticandosi a persuadere gli ostinati in deponere i loro
inganni, e convincere i loro errori: e con quanto suggeriva loro la dottrina, e
la pietà cristiana, combatterono i due cuori ostinatissimi per piegarli
a quella Santa Cattolica Fede, da cui scioccamente s'eran ribellati. Ad ora di
pranzo tornaron all'Oratorio della Compagnia ove co' cibi, lautamente preparati
da' Superiori della Compagnia, si ristorarono. Dopo pranzo tornarono alla
fatica nelle carceri, e durarono sino alla sera, quando si restituirono
all'Oratorio, ivi altra volta ristorati. Lo stesso tenore mattina, e dopo
pranzo fu osservato ne' tre giorni, sino a 5 Aprile: benchè la notte de'
Ancorchè adoperassero i serventi Teologi
tutte le ragioni, e persuasive, ed aggiungessero preghiere, e lagrime per
ispezzare una volta la durezza de' loro cuori, tutto fu vano. Erano della tempra
di quello di cui s'ha nelle sacre carte: Cor ejus indurabitur tamquam lapis,
et stringetur quasi malleatoris incus([42]). O essi
ammutolivano: o col parlare si facean conoscer ne' loro inganni peggiori. Nel
quarto giorno di Aprile F. Romualdo vomitò dalla sagrilega bocca
infiniti errori ed eresie senza numero, secondo hanno insegnato, e scritto gli
Eretici di più perduta coscienza: conoscendosi in ciò
chiaramente, che avesse assistenza particolare de' Demonj: e si comprese, che
il Diavolo gli riferiva quanto i Teologi suggerivano a Suor Geltruda.
Più volte a voce gagliarda l'ingannato Reo disse a se stesso: F.
Ramualdo sta forte. O che egli animasse se stesso a non vacillare, stretto
alla gagliarda da' Padri assistenti: o che il Demonio per la sua bocca
l'esortasse a perseverar pertinace nella sua perfidia. Non men ostinata Suor
Geltruda, vedendosi stretta in maniera, che non avea che poter dire, rispondea
convinta, ma senza rendersi. Io son donna, Voi siete Teologi: non posso
mettermi a contender con Voi. Parea chiaramente, che essendosi resi
immeritevoli della divina grazia, per l'abuso de' divini benefizj, fossero
stati da Dio abbandonati, e fosse caduto sul capo loro ostinato il gastigo
minacciato da Dio a gli Empi: Væ iis cum recessero ab eis.([43])
CAPITOLO SETTIMO.
Prima processione a 5 Aprile
1724.
Già la fama dell'Atto della Fede, che dovea
celebrarsi con pubblica, e singolar magnificenza, avea chiamato in Palermo
dalle Città, e Terre del Regno, non men vicine che lontane, tanto i
Ministri del Tribunale, quanto ancora un numero sterminato di Spettatori, che
stimolati dalla curiosità vennero per goderlo. E non men ansiosi i
Cittadini aspettavano il giorno designato alla celebrazione di questo spettacolo;
atteso che in pochissimi restava viva la memoria di averne veduto altro
precedente; poichè erano trascorsi 66 anni da che si celebrò
l'ultimo dal Tribunale, che fu nell'anno 1658.
Per farsi godere da tutti senza impedimento la
solennità a 4 Aprile fu pubblicato Bando d'ordine dell'Ill. Capitano
della Città, e dell'Ecc. Senato, col quale si proibì il
passeggio, e trattenimento delle carrozze nelle strade, per le quali dovea
incamminarsi la processione, e nel tempo, che dovea continuare, cioè a 5
d'Aprile dalle ore
Preparato il tutto colle prevenzioni ugualmente
necessarie, e prudenti, e apparecchiato con rara splendidezza, a 5 d'Aprile si
radunarono quei, che dovean comporre la prima Processione in luoghi distinti,
per evitare ogni confusione, secondo le varie classi delle persone, che vi
dovean concorrere.
I Titolati, e Nobili, invitati dal Sig. Principe
della Cattolica, e di Roccafiorita, si unirono nel suo magnifico palazzo presso
la Chiesa di S. Francesco, a' quali dalla sua generosa splendidezza furon
dispensati copiosi rinfreschi.
I Fratelli della Compagnia dell'Assunta si
radunarono nella Chiesa di S. Antonio della Regia Dogana.
La Congregazione della Pescagione si portò
ad aspettar l'ora determinata della Processione nella vicina Chiesa della
Madonna della Catena de' Padri Chierici Regolari.
I Regolari, e Cappellani delle Parrocchie si
adunarono ne' tre cortili del Palazzo del S. Uffizio.
I Commissarj, Familiari, Portieri, e altri
inferiori Ministri occuparono la sala grande dello stesso Palazzo.
I Qualificatori, Consultori, Avvocati, e altri Uffiziali,
si congregarono nella sala del Secreto.
Circa le ore 22 uscì la solenne Processione
dal Palazzo del S. Uffizio, aspettata con impazienza dal folto concorso del
Popolo che a larga piena inondò il vasto piano della Marina, e 'l
Cassaro, strada la più magnifica, e principale della Città.
Precedettero la Processione quattro Alabardieri della guardia del Vicerè
per aprir la via fra la moltitudine affollata, che occupava il piano, e la
strada. Furono scelti quattro Cavalieri Familiari, Deputati dal S. Tribunale
per regolar la processione, secondo l'istruzioni date loro in iscritto da'
Signori Inquisitori: Essi portaron le bacchette, distinte coll'insegna del
Santo Tribunale in cima; e furon D. Antonino Galletti, D. Pietro Calascibetta,
D. Placido Vanni, e D. Gio: Luigi di Settimo. I primi due diedero principio
alla processione; restando gli altri due a scorrer per essa, e conservarla in
buon ordine, senza interrompersi, o intorbidarsi.
Seguiva un gran numero di Titolati, e Cavalieri,
oltre a ducento, che conservando innestata alla nobiltà del sangue il
zelo della Cattolica Religione, mostrarono nella prontezza, e pompa delle
vesti, estremo godimento nell'assistere a questa solennità. Carattere
proprio della Nobiltà Palermitana, manifestare somma pietà, e
riverenza nelle cose che s'attengono alla S. Fede, e al Santo Uffizio. Andavano
eglino alla rinfusa in varj, e successivi drappelli. In fine si presentava
all'occhio il Signor D. Francesco Bonanno e del Bosco Principe della Cattolica,
e di Roccafiorita, Consigliere di Stato della Cattolica Cesarea Maestà,
che portava inalberato lo Stendardo Reale chiamato in idioma Spagnolo il
Guione. Era questo in forma quadrata, di damasco cremesino trinato d'oro,
segnato da una parte coll'armi dell'Augustissimo Monarca, e da quelle del S.
Uffizio dall'altra: e in cima dell'asta splendea la Croce del S. Tribunale.
Pendean da' lati due cordoncini con fiocchi di seta cremisina nell'estrema
parte. Un di essi dalla destra era sostenuto dal Sig. D. Vincenzo del Bosco
Principe di Belvedere, Familiare del S. Uffizio, e l'altro dal Sig. D. Ignazio
Gravina Cruillas Marchese di Francofronte, pur esso Familiare. Seguiva dopo lo
Stendardo altro buon numero di Nobili.
Succedea la Compagnia della Vergine Assunta
numerosa di 90 Fratelli vestiti di sacco di tela bianca, mantello, e cappello
azzurri. Abito proprio di detta Compagnia. Ella avvisata, che già era
ora della Processione, dalla Chiesa di S. Antonio della Regia Dogana
salì per la scala secreta del Palazzo, ricevuta alla porta dal sig.
Capitano, e Secretarj del Tribunale, e si portò alla Cappella secreta,
ove era la Croce Verde: ivi prostrati avanti l'altare in adorazione i Fratelli,
si fecero sentire due Cori di scelti Musici vestiti dell'abito della Compagnia,
che con flebil suono fecero il dovuto ossequio alla S. Croce. Terminato il
mesto canto s'incamminò la Compagnia a proseguire la processione;
lasciando presso l'altare quattro Fratelli Sacerdoti con quattro torcioni, e
due altri con le bacchette, che doveano accompagnare la S. Croce. Colla stessa
cortesia del Capitano, e Secretarj fu accompagnata sino al supremo tavoliere
della scala maggiore, seguitando lo stendardo della Fede. Portava il Crocifisso
velato in mezzo a quattro torcioni, dopo de' quali seguiva un coro di Musici,
poi i Fratelli a due a due con torce accese in mano: e avanti a' Superiori
altro coro di Musici.
Venivan dietro le due Congregazioni de' Fanciulli
Dispersi, e degli Orfani in S. Rocco, con Croci velate, e candele accese. Indi
gli ordini Regolari, che furono i Padri Cappuccini con Croce velata in numero
96. Gli Scalzi della Mercè pur con Croce velata al numero di 48. I Padri
del Terz'Ordine di S. Francesco in numero 64. I Minimi di S. Francesco di Paola
30. I Carmelitani 72. Gli Agostiniani 60. Gli Osservanti di S. Francesco 64,
tutti con le loro Croci velate, e velo violato da esse pendente, che chiaman,
Grimpia. In ultimo i Padri Domenicani colla Croce del S. Uffizio svelata, e
Grimpia d'incarnato smorto in numero 75. Tutti con religiosa modestia, e
candele accese in mano seguivano le loro Croci. Dissi, che le Croci andavan
velate non men perchè correa la settimana di Passione, che in riguardo
alla Processione dell'Atto di Fede.
Proseguivan le pedate de' Regolari le Parrocchie
colle lor Croci velate fra due accoliti, co' candelieri, e candele accese: e in
oltre componeasi ognuna di esse di dodeci Cappellani, con superpelliccie in
dosso, e torce accese alle mani, con quest'ordine. La Parrocchia di S. Maria di
Monferrato nel Borgo di S. Lucia, di S. Margarita, di S. Giacomo la Marina, di
S. Croce, di S. Ippolito, di S. Gio: li Tartari, di S. Nicolò la Calza.
Non intervenne quella di S. Antonio, che presentò al Tribunale le sue
scuse per antica controversia di precedenza.
Immediatamente seguiva la Congregazione della
Pescagione, cui precedean quattro Cavalieri Fratelli di essa con bacchette:
oltre altre quattro portate da Sacerdoti, due nel mezzo de' Fratelli, e due
avanti la Croce. Nel principio si vedea il suo stendardo ricco di lama d'oro
distinto coll'armi del S. Uffizio, portato dal Sig. D. Girolamo Gravina
Principe di Montevago. Le due punte eran sostenute da D. Pietro Stella Barone
della Merca, e da D. Filippo Stella de' Marchesi di Bonagia. Era numerosa
questa Congregazione di circa 350 Fratelli, tra Nobili, Sacerdoti, Dottori, ed
Artefici, che la compongono. Portava ognun de' Fratelli torcia accesa in mano,
e la Croce del Tribunale pendente nel petto, secondo il privilegio nuovamente
ottenuto dal S. Tribunale, come si disse. Era accompagnata dal Padre, che ad
essa presiede, il P. D. Giuseppe Bonanno Chierico Regolare. Indi seguiva un
coro di Musici. In fine di essa inalberava la Croce bianca svelata, insegna
propria della Congregazione, l'Abbate D. Giuseppe Filingeri de' Principi di S.
Flavia.
Seguivano a due, a due con torce accese in mano, e
Croce in petto i Ministri, e altri del Foro del S. Uffizio col seguente ordine.
I Portieri del Regno, seguiti da quei della
Città di Palermo.
I Familiari del Regno, e poi i Familiari di
Palermo.
I Revisori Ecclesiastici de' libri del Regno, a'
quali succedean quei della Città.
I Maestri Notaj Ecclesiastici del Regno, e
Commissarj.
Gli Uffiziali dell'Udienza Civile del S. Uffizio.
Gli Uffiziali salariati del Fisco Regio, e
dell'Udienza Civile del S. Tribunale.
Dovea seguire in appresso il D. D. Benedetto
Porcaro Avvocato Fiscale: ma non intervenne, perchè sequestrato in casa
da infermità.
Indi D. Michele Sesto, e Bartorotta Pro-Maestro
Notajo.
D. Francesco Smarcio Procuratore della Sienda del
S. Tribunale.
D. Giovanni Mondello Procuratore Fiscale.
Don Pietro Mondello Sollecitator Fiscale.
Andavano appresso i Medici salariati del Tribunale,
cioè
Il D. D. Giovanni d'Orlando primo Fisico.
Il D. D. Cesare d'Orlando secondo Fisico.
Il D. D. Giovanni Calabrò Chirurgo.
Proseguivano gli Avvocati de' Rei([44]) nelle carceri
secrete del S. Uffizio sì Ecclesiastici, come Secolari: con Croce nel
petto, e altra di ricamo di seta nera, e bianca, con poco argento nel profilo,
sul mantello, secondo la concessione, che nuovamente n'ebbero dal Tribunale.
Questi per non isvegliare l'antica controversia di precedenza fra loro,
amichevolmente s'accordarono, di andare in questa Processione mescolati, con
che avesse la destra l'Ecclesiastico, la sinistra il Secolare
Succedeano i Consultori Ecclesiastici, e Secolari,
e i Qualificatori: di questi in primo luogo andavan quei del Regno, seguiti
dagli altri di Palermo: e fu conceduta la precedenza a quei, che si trovavano
in attuale esercizio servendo il Tribunale. Fra gli Ecclesiastici, e Secolari
si riaccese l'antica controversia della precedenza: ma dalla prudenza de'
Signori Inquisitori fu tranquillata col seguente accordo. Decretarono, che
occupasse l'ultimo, e più degno luogo il Padre Maestro Fr. Tommaso Maria
Pellizza dell'Ordine de' Predicatori, Giudice Ordinario, Consultore e
Qualificatore del S. Tribunale: e che andasse nel mezzo dei due più
antichi Consultori, e Qualificatori, che erano il P. F. Antonio da Trapani
Lettore Giubilato degli Osservanti di S. Francesco, e 'l P. Ignazio di P.
Raimondo Teologo de' Mercenarj Scalzi: benchè poi il detto Giudice
Ordinario non intervenne a questa processione. Avanti a questi tre fu
stabilito, che andassero due Consultori Secolari, che furono il D. D. Francesco
Gastone, e 'l D. D. Giuseppe Catena: e avanti a questi tutti gli altri
Consultori, e Qualificatori, a due a due con torce accese. Quanto fu
determinato, tanto fu eseguito: e bello era il vedere nell'unione di Essi la
varietà degli Ordini, che professavano: tantochè il Religioso
d'un Ordine, vedeasi accoppiato ad altro di Ordine diverso: e tutti colla Croce
del S. Uffizio in ricamo sopra le lor cappe, o mantelli, come quella degli
Avvocati, per nuova concessione, oltre quella, che portavano in petto.
Tutti questi Ministri, Familiari, e altri riferiti,
compivano il numero di 262.
Seguiva un pieno Coro di Musici della Real Cappella
di S. Pietro, che con flebile canto svegliava affetti di somma divozione.
Dietro s'incamminavano il D. D. Giuseppe Gandolfo
Cappellano del S. Uffizio, col D. D. Vincenzio Torregrossa secondo Cappellano,
che amendue sostenean l'uffizio di Maestri di Cerimonie: con superpelliccia, e
toga dottorale.
Indi succedea come in magnifico trionfo, la Croce
Verde del Santo Tribunale, velata di nero, portata dal Sacerdote D. Giuseppe
Barlotta Principe di S. Giuseppe, Consultore, Qualificatore del S. Tribunale,
ornato di piviale violato: ed era assistito dalla destra dal Sac. D. Carlo
Pollastra in uffizio di Diacono, e dalla sinistra dal Sac. D. Federico Rossel
da Subdiacono, vestiti amendue di dalmatiche violate. Andava la Croce fra
quattro torcioni portati da altrettanti Fratelli Sacerdoti della Compagnia
dell'Assunta, vestiti dell'abito della Compagnia: e altri due Fratelli con
bacchette in mano precedean la Croce, che uscì dal Palazzo del S.
Ufficio ad ore 23 e mezza.
Seguivan dietro a chiuder la processione gli
Uffiziali salariati del Santo Tribunale, anch'essi con torce accese, ornati
tutti a gala con ricche, e pompose vesti, seguiti da molti servi provveduti di
ricche livree. Furon essi.
D. Giuseppe Peregrin Portiere di
Camera straordinario del S. Uffizio, con
D. Biagio de Adiego Alcaide delle Carceri della
Penitenza.
D. Girolamo Secano Nunzio del Tribunale, con
D. Francesco Tovar Portiere di Camera ordinario
dello stesso Tribunale.
Si facean vedere in appresso i Ministri principali
salariati del Banco del Tribunale, quali assistono in tutte le pubbliche
funzioni, che si fan dal Tribunale. Fra questi doveasi luogo onorevole al D. D.
Giuseppe Foresta, come Recettore del S. Uffizio: ma furono ammesse le sue
scuse, per ritrovarsi in esercizio attuale, di Giudice della Regia Gran Corte.
Quei, che intervennero, furono il Capitan di Fanteria D. Giovanni Giuseppe
Manxe Alcaide delle Carceri Secrete, con D. Gio: Batista Gismondi Contatore di
età minore.
D. Pietro Urbistondo, e Lovera Secretario del
Secreto, col Barone di Portaferrata D. Pietro Gismondi Contatore Sostituto del
Figlio minore.
In fine il Licenziato D. Teodoro de Lorenzo, e
Navarro, già Collegiale di S. Vincenzio dell'Università di
Saragoza d'Aragona, ed Esaminator Sinodale della Diocesi d'Albarrazin, ora
Pro-Fiscale, e Secretario di questo Tribunale, assistito dalla destra da D.
Gio: Alvarez de Valdes Secretario, e Pro-Capitano del S. Uffizio, e dalla
sinistra da D. Tommaso Antonio de Laredo Secretario del Secreto.
A passo grave uscita, come dissi, la solenne
Processione dal Palazzo del S. Uffizio, s'avviò per lo piano della
Marina, a maraviglia inondato dalla moltitudine del popolo, che acclamava con
voci di estremo compiacimento, accompagnate dagli affetti del cuore, questo
pomposo, ed ammirabil Trionfo. Discesero dal loro Palazzo a piedi per
accompagnare la Croce i tre Signori Inquisitori sino all'imboccatura del Caffaro,
col P.M. Tommaso Maria Pellizza Consultore, Qualificatore, e Giudice Ordinario
del Tribunale, che alla dottrina, di cui è altamente fornito,
accoppiò l'indefessa cura d'assistere a quest'Atto. Ivi fermatasi
alquanto la Croce, fu da essi profondamente adorata, e poi fecero ritorno allo
stesso Palazzo, accompagnati dal detto Giudice Ordinario, e da un buon numero
di Nobili, che avea invitato il Sig. D. Domenico Ventimiglia, Principe di
Belmontino, Familiare del S. Uffizio, a' quali Signori furon dispensati copiosi
rinfreschi in detto Palazzo.
Per lo Caffaro s'incamminò la solenne
Processione: ma non può agevolmente spiegarsi il concorso della
moltitudine d'ogni sesso, e condizione, che da per tutto vedeasi
straordinariamente affollata. Non vi fu balcone, non fenestra di casa, o
palazzo; non bottega, nè luogo di questa strada, che si stende per oltre
un miglio, con rara magnificenza, che non fosse occupato da' spettatori. Parea,
che tutti gli abitatori di Palermo (popolato di circa censessanta mila Cittadini)
con insieme innumerevoli forestieri, si fossero radunati sì nel piano
della marina, come nella strada del Caffaro a goder la pompa di questa non mai
veduta processione: e non vi fu, chi non acclamasse la magnificenza,
maestà, e divozione di questo singolar Trionfo della Santa Fede.
Il Vicerè vide così questa, come la
seconda processione, e tutta la funzione dal Balcone preparatogli nel Palazzo
Arcivescovale, insieme coll'Arcivescovo di Palermo Fr. D. Giuseppe Gasch, col
Generale dell'Armi Cesaree il Baron di Zum-Jungen, e altri Cavalieri.
Arrivata la Processione alla Cattedrale,
entrò nel Teatro, ove il Principe di Roccafiorita collocò lo
Stendardo Reale nel fianco destro dell'Altare, in distanza di quattro palmi.
La Compagnia dell'Assunta fermò il suo
Crocifisso fra' torcioni presso lo stesso Altare nel fianco sinistro: e i
Fratelli si disposero in due eguali linee avanti l'Altare dall'uno, e l'altro
lato, aspettando l'arrivo della Croce: e fra tanto si provvidero di nuove
torce, colle quali illustrarono il Teatro.
Giunta nel Teatro la Congregazione della
Pescagione, l'Abbate Filingeri colla Croce Bianca si fermò sopra la
predella dell'Altare nel fianco sinistro: ma i Fratelli si ritirarono in
confuso nello stesso lato sinistro dell'Altare.
I Regolari, e Parrocchie entrati nella piazza del
Teatro si trattennero confusamente: quelli nel fianco destro, questi nel
sinistro.
I Musici della Real Cappella si ritirarono nel
ricinto loro assegnato, ove in flebil suono fecero risuonare il lor canto.
All'entrar la Croce Verde nel Teatro si spiccarono
dalla testa della Compagnia quattro Fratelli colle bacchette per accoglierla; e
venerata, che l'ebbero, l'accompagnarono sino all'Altare: e i due Cori di
musica della Compagnia con mesto canto tributarono il loro divoto ossequio alla
S. Croce. Fra tanto si collocò la Croce Verde sull'Altare colle tenere
cerimonie dovute alla funzione: onde si commossero a lagrime di divozione gli
astanti. Ciò seguì ad ore una della notte.
Restarono alla custodia della Croce dodici Domenicani,
che si segnalarono in assistere in tutta la notte intorno alla Croce senza
minimo riposo: otto Francescani dell'Osservanza, e otto Chierici Regolari
Teatini, che a vicenda in tutta la notte, e mattina seguente, s'occuparono in
orazione, nella recitazione di Salmi, delle Litanie maggiori, e altre divote
preghiere: e così pure molti de' Fratelli della Congregazione della
Pescagione, che a vicendevole veglia restarono alla venerazione della Croce: a'
quali la mattina succedettero 14 Sacerdoti spediti dalla stessa Congregazione.
Collocata già la Croce Verde sull'Altare, si
disciolse la Processione, onde partirono i Regolari, e Parrocchie senza ordine,
sol restando la Croce, e Cappellani della Parrocchia di S. Nicolò la
Calza. Ma la Compagnia dell'Assunta partì ordinatamente, trasferendosi
al suo Oratorio.
La Congregazione della Pescagione anch'essa
riordinatasi in forma di Processione s'incamminò fuori del Teatro,
seguendo il suo stendardo; portando in fine la Croce Bianca, seguita dalla
Parrocchia della Calza. Per la strada del Cassaro discese sino alle Quattro
Cantonere, ove si distaccò la Croce di detta Parrocchia, per trasferirsi
alla sua Chiesa. La Congregazione però ritorcendo il cammino per la
Strada Nuova si avanzò sino a Porta di Vicari, accompagnata da un folto
concorso di popolo, non senza lagrime di tenerissima divozione. Indi uscita
fuori la porta per la strada di S. Antonino, si portò sino al piano di
S. Erasimo. Ivi entrata nello steccato, fu alzata la Croce Bianca sul monte
preparato, circa le ore due della notte. Restarono a custodirla molti de'
Fratelli della Congregazione, che senza curar le fatiche durate nel lungo
viaggio della processione, con sommo fervore, e non piccola edificazione
stettero costanti tutta la notte, e 'l giorno seguente, in venerazione di essa,
recitando Salmi, e altre divote preghiere.
Così terminò questo giorno non senza
giubilo universale, ed estrema consolazione di quanti furono spettatori di
questo Trionfo.
CAPITOLO OTTAVO.
Denunzia della Sentenza di
morte a' Rei ostinati, e diligenze usate per convertirli.
Terminata la processione ad ora una di notte nel
Teatro entro il piano della Cattedrale, se ne ritornò d'un subito al
Palazzo del S. Uffizio il Sig. Secretario D. Tommaso Antonio de Laredo, ove era
atteso da' Sig. Inquisitori. Ivi bisognò, che insieme con cinque Medici
Fisici s'applicasse ad esaminar coll'ultime, ed esattissime diligenze lo stato
de' due Rei, che per loro diabolica ostinazione dovean rimettersi al Braccio
Secolare. Furon ritrovati, come erano stati osservati più volte per lo
passato, sani di mente, ed in ottimo grado di salute: onde i cinque Medici dopo
diligente squittinio, ne fecero relazione scritta, e con giuramento autenticata.
Ricevuta da' Signori Inquisitori l'attestazione de'
Medici, comandaron essi allo stesso Secretario Laredo, che portandosi alle
carceri secrete, ivi alla presenza di alcuni Consultori, e Qualificatori del S.
Uffizio, e de' Teologi Fratelli della Compagnia dell'Assunta, eletti ad
assistere a' Rei, e solleciti al maggior segno della salute eterna
degl'Infelici, colla dovuta solennità s'intimasse distintamente all'uno,
ed all'altra la sentenza di doversi rilasciare al Braccio Secolare, e condannarsi
nel seguente giorno ad essere bruciati vivi in pena della loro ostinazione.
Eseguì l'incombenza il Secretario, con pari
zelo, e spirito cattolico ad ore tre della notte: denunziando all'uno, e
all'altra la esecuzione della sentenza, e a F. Romualdo così disse: Fra
Romualdo di S. Agostino. Sappi che io son D. Tommaso Antonio de Laredo
Secretario di questo nostro Ss. Tribunale, e vengo per ordine suo ad intimarti,
che dimane sarai portato ad uno Spettacolo pubblico, dove si leggeranno i
meriti del tuo processo, e per li tuoi gravissimi delitti contro la nostra S.
Fede Cattolica Romana; ti si fulminerà la sentenza che hai avuto dal
Nostro Ss. Tribunale, la quale consiste, che tu sarai rilasciato alla Giustizia
Secolare per Eretico impenitente: relasso, acciocchè eseguisca in te le
pene disposte dai Sacri Canoni, Bolle Pontificie, leggi, e stile del S.
Uffizio, che per ciò attendi a salvarti l'anima. Con simile formola
fu intimata pur la sentenza a Suor Geltruda dallo stesso Secretario.
Ma questi lampi della Giustizia vendicatrice,
valevoli a sbigottire qualsivoglia petto fornito d'intrepidezza, non
partorirono minimo segno di terrore negli ostinati cuori de' miscredenti: anzi
allora si manifestarono vie più pertinaci. La ostinazione nel male gli
avea resi insensibili ad ogni denunzia di terrore; e all'avviso della
soprastante morte, egualmente infame e spaventevole, si fecero conoscere
inflessibili. È proprio carattere d'un cuor duro non temere nè
minacce, nè castighi, secondo va descritto da S. Bernardo([45]): Quid ergo
cor durum? Ipsum est quod nec compuctione scinditur, nec pietate mollitur, nec
movetur precibus, minis non cedit, flagellis duratur. Ingratum ad beneficia
est, impavidum ad pericola, inhumanum ad humana, temerarium ad divina,
preteritorum obliviscens, praesentia negligens, futura non providens: e in
fine, ipsum est quod nec Deum timet, nec hominem reveretur. Quindi al
Secretario Laredo gli convenne ritornarsene altamente sconsolato per osservare
una tanta durezza in quelle ultime ore della lor vita, che gli facean credere
disperato il lor ravvedimento.
Furon dunque lasciati in mano de' Teologi Fratelli
della Compagnia dell'Assunta, la quale dopo la Processione ritornata appena al
suo Oratorio, sollecita dell'anima di quegli Infelici ingannati, d'un subito
spedì tutti e dodici i suoi Teologi, affine, che nella notte
vicendevolmente s'affaticassero intorno a' pertinaci per riportarne la
sospirata conversione. E ancorchè alcuni di essi disperando il lor
ravvedimento gli abbandonassero, altri però perseveraron costanti in
tutta la notte. Duraron essi straordinaria fatica per ridurli in buon senno, ma
parlavano a sordi o per meglio dire a chi non volea aprir l'orecchio alla
verità. Applicarono ragioni, sparsero in abbondanza preghiere, e
lagrime, per commovere la loro ostinazione: ma era vilipeso quanto lor
suggeriva la carità de' zelanti Sacerdoti, cui acerbamente feriva il
cuore la perdita di quell'anime.
A Suor Geltrude fu fatta promessa della vita se si
pentisse: ma non volle accettarne l'offerta: e vantandosi essere impeccabile,
fu pregata che almeno dicesse: in caso che io vi avessi offeso mio Dio, vi
domando perdono. Ma non fu possibile il tirarla a tanto: sol dicendo essere
innocente. Fra Romualdo verso l'alba disse a' Sacerdoti assistenti: vi
è qualche riparo per me? Sì, risposero prontamente i Teologi:
e cominciarono a persuaderlo al pentimento de' suoi errori: ma fu momentanea la
sua commozione; poichè d'un subito ricadde nella sua ostinazione: ed
anzi con uno, che gli pose avanti gli occhi la vergogna, e la pena di esser
bruciato vivo, non lasciò di vantarsi l'Infelice ingannato, che se
moriva bruciato, nel giorno appresso sarebbe apparso sopra un carro trionfale,
in vista di tutti nel centro della Città: e che così avverrebbe a
Suor Geltruda.
CAPITOLO NONO.
Seconda Processione a' 6
Aprile 1724.
Appena spuntò il seguente giorno 6 Aprile,
che a truppe si spinse il Popolo ad occupare i luoghi, per li quali dovea
ripassare la processione. Prevedendo la prudenza degl'Inquisitori la
moltitudine, che avrebbe potuto accorrere ad occupare il Teatro, elesse i Sig.
D. Giuseppe Termine, D. Domenico Achates, e Guiglia Barone di Mondello, e D.
Giulio Cesare Caldarera Barone della Menta, Cavalieri Familiari del S. Uffizio,
che assistiti da alcuni Alabardieri della guardia del Vicerè, e altri
del foro del Santo Uffizio avessero la cura del Teatro, affine di non farvi
entrare persona alcuna avanti il tempo prefisso, e tenerlo libero d'ogni
impedimento. Ma non potè esser tale la vigilanza, che non vi fossero
molti spinti dall'ansietà di trovarsi spettatori della funzione, che
furtivamente non si insinuassero nel Teatro ad occupar luogo opportuno; sino a
farsi strada per sopra i tetti dei Palchi.
Non dee qui passarsi sotto silenzio la divozione
mostrata dal Popolo in questa mattina; poichè accorrendo molti al piano
di S. Erasimo, con sentimenti di cristiana, e straordinaria pietà, si
portarono ad adorare, e baciare riverentemente la S. Croce, ivi inalzata entro
lo steccato: e fu tale la divozione mostrata, che intenerì quanti vi si
trovaron presenti.
Nella Cattedrale si cantò a voce bassa, e a
porte chiuse il Mattutino ed Ore Canoniche: e nè in essa nè in
altra Chiesa si cantò Messa solenne in questo giorno.
Si radunarono quei, che doveano intervenire alla
seconda Processione negli stessi luoghi del giorno precedente: se non che in
questa seconda processione i Portieri, con un buon numero de' Fratelli della
Congregazione della Pescagione, che doveano assistere in guardia de' Rei, si
radunarono nel piccol cortile presso il giardino dell'Alcaide. Gli Alabardieri
nel cortile grande. I Cavalieri che doveano accompagnare l'Alcaide a cavallo
furono dallo stesso accolti nella propria casa; a' quali fu dispensato copioso
rinfresco: e i lor cavalli si trattennero nel piano vicino. I cavalli de'
Titolati, e Nobili per l'accompagnamento de' Sig. Inquisitori, e del Capitano
del S. Uffizio, aspettarono ivi intorno e nel cortile grande. Quei de'
Consultori, e Qualificatori, e altri Ministri, nel cortile del terzo
Inquisitore.
Furono destinati a ben regolare la cavalcata li
Sig. D. Emmanuele Vanni Marchese di S. Leonardo, e D. Michele Busacca Barone
del Corbo.
In ora opportuna il Senato, senza toga, co' suoi
Uffiziali partitosi dal palazzo Pretoriano nelle proprie carrozze si
portò al palazzo del Sig. D. Lucio Dente Principe di Castellazzo nel
piano della Marina, da cui vide passar la processione, finchè venne
l'ora della cavalcata: e allora cavalcando in detto palazzo, passò a
quello del S. Uffizio.
Circa le ore quindeci si diede principio alla
processione, cominciata dal palazzo del S. Uffizio. Precedettero quattro
Alabardieri della guardia del Vicerè, che a viva forza bisognò,
che aprissero angusta strada fra l'addensata moltitudine per potervi passare la
processione. Indi i due Cavalieri Familiari Deputati del giorno antecedente
furono in capo alla processione colle bacchette del S. Uffizio per guidarla.
Seguiva la Compagnia dell'Assunta col Crocifisso velato, in mezzo a quattro
torcioni accesi: ma gli altri Fratelli, oltre a cento, senza torce.
Indi coll'ordine della prima processione, seguivan
le due Congregazioni degli Spersi, ed Orfani, e gli Ordini Regolari, colle
Croci velate, e grimpie di color nero: a riserva de' Padri Domenicani, che
andarono con Croce svelata, e Grimpia di cremesino smorto: tutti senza lume. Le
Parrocchie altresì e senza torce, e colle Croci velate di nero.
Succedea il Capitan di Fanteria D. Giovanni
Giuseppe Monxe Alcaide delle Carceri secrete del S. Tribunale, a cavallo,
accompagnato dalla comitiva di altri venti Cavalieri Spagnuoli, tutti a
cavallo, ornati di superbe gale, e co' cavalli fregiati di gualdrappine
ricamate d'oro, ed argento.
Veniva dietro la Congregazione della Pescagione
numerosa più del giorno precedente, perchè montò il suo
numero a 500, eccettine alcuni restati nel piano di Santo Erasimo in custodia
della Croce Bianca. Seguivano essi il loro stendardo verde portato dallo stesso
Principe di Montevago, come nella prima processione. Non portavan torce, ma
andavano armati in custodia de' Rei. Avanti a' Delinquenti si vedevan due
Fratelli della Compagnia con le bacchette in mano; indi le persone processate
in numero di ventotto, ad una ad una, con abito giallo([46]), e candela di
cera gialla estinta in mano. Ognuna di esse andava in mezzo a due de' Fratelli
della Congregazione, e due Portieri del S. Uffizio, che si tenean poco dietro,
e in poca distanza di detti Congregati. Alcuni dei Rei eran distinti con
vergognose mitre sul capo, nelle quali erano rozzamente dipinte
l'enormità commesse. Erano in ultimo luogo i due Pertinaci, che dovean
rilasciarsi al braccio secolare, con gli abiti del loro Ordine, e sopraveste
intonacata di pece, dipinta a fiamme, e con mitre vituperose pur delineate con
fiamme. Erano essi assistiti da' Fratelli Teologi della Compagnia, che
mostraron le più fervide prove del loro zelo, ed eloquenza cristiana,
per farli ravvedere delle loro enormità. Quindi a F. Romualdo dalle
carceri del S. Uffizio sino alle Quattro Cantonere furon di continuo
assistenti, vestiti coll'abito della Compagnia, D. Francesco Coos, el P. D.
Michelangelo Allò. Dalle Quattro Cantonere sino al Teatro il Canonico D.
Paolo Cinnisi, e D. Francesco Galati. Intorno a Suor Geltruda s'affaticarono
dal Palazzo del S. Uffizio sino alle Quattro Cantonere D. Agostino Cantò
e D. Niccolò Bonnano: e dalle Quattro Cantonere sino al Teatro D. Pietro
S. Anna, e D. Gio: Battista Ingoglia, anch'essi Fratelli della Compagnia
vestiti di sacco.
Dietro seguiva il Secretario D. Giovanni Alvarez de
Valdes Pro-Capitano del S. Uffizio, a cavallo, con in mano la verga, insegna
della Giustizia del S. Tribunale, riccamente vestito, e armato di pistole. Gli
andava a fianco D. Pietro di Napoli, e Bellacera Principe di Monteleone, e
Familiare del S. Uffizio, che si prese la cura d'invitare i Cavalieri per la
cavalcata, che seguiva in appresso numerosa di oltre 80 Titolati, e Nobili a
due a due, in abito splendidamente ricco.
Ai Nobili succedean pure a cavallo gli altri
Uffiziali, e Ministri sì Secolari, come Ecclesiastici, i primi con
cavalli ornati di gualdrappe nere di velluto, panno, o saja. Furon questi i
Familiari del Regno, seguiti da' Familiari della Città di Palermo. Indi
gli Ecclesiastici Revisori di libri del Regno, e in appresso quei di Palermo.
Dapoi i Maestri Notai, Ecclesiastici, del Regno, e Commissarj. Gli Uffiziali
dell'Udienza Civile, gli Uffiziali salariati del Fisco Regio, e poi i Medici
del Tribunale con gualdrappe nere.
Succedeano i Tamburi, e Atabali del Senato con
giubbe rosse, e cavalli con gualdrappe di panno rosso: indi le Trombe, e
Piffare con giamberghe rosse, e cavalli con gualdrappine ben addobbate: e i
Contestabili dello stesso Senato con mantelli neri di seta, e bastonetti in
mano con l'Aquila in cima, insegna lor propria, sopra cavalli fregiati di
gualdrappine di vario colore.
Seguivano gli Avvocati dei Rei sì
Ecclesiastici, come Secolari. Questi andaron nella prima processione della sera
precedente a due a due, occupando la destra l'Ecclesiastico, e la sinistra il
Secolare: in questa cavalcata, poichè eran quattro Secolari, e sette
Ecclesiastici osservarono quest'ordine. Andaron prima due Ecclesiastici: indi
un Ecclesiastico alla destra, e un Secolare alla sinistra: seguirono due altri
Ecclesiastici: poi un Ecclesiastico, e un Secolare: chiudeano il numero due
Secolari con in mezzo un Ecclesiastico. I nomi di essi furono i seguenti:
Il Sacerdote D. D. Francesco Zuaro, e Sacerdote D.
D. Gaspare Mancini.
D. D. Giuseppe Manfrè e D. D. Gio: Battista
Cozzo.
Sac. D. D. Benedetto Famularo, e Sac D. D. Giuseppe
Pollice.
Sac. D. D. Giacomo Ragusa, e D. D. Benedetto
Barone.
D. D. Mario la Rosa, Sac. D. D. Gaetano Barone, e
D. D. Benedetto Patti.
Altri avvocati, che ritenuti da indisposizioni non
cavalcarono, non lasciarono di assistere nel Palco, e furono il D. D. Giacomo
Porcari, D. D. Antonino Arena, D. D. Andrea Noto, e D. D. Giovanni di
Francisci.
Seguirono appresso collo stesso ordine della sera
precedente i Consultori, e Qualificatori del Tribunale in numero di circa 50 di
varj Ordini Regolari tutti a cavallo, e con grave portamento, convenevole non
meno al loro uffizio, che all'istituto, che professavano: con mule ornate per
lo più di gualdrappine di velluto nero. Nell'ultimo luogo di essi
andò il P. M. Tommaso Maria Pellizza, Domenicano, Giudice Ordinario,
Consultore, e Qualificatore del S. Uffizio.
Apparivano appresso gli Uffiziali salariati del
Tribunale, ed eran l'Alfiere di fanteria D. Emmanuele Aguaron Ajutante
dell'Alcaide delle carceri secrete, coll'Alfiere di cavalleria D. Giovanni Teivela
Provveditore di dette Carceri. D. Biagio Perez de Adiego Alcaide delle carceri
della Penitenza, con D. Giuseppe Peregrin Portier di Camera. D. Girolamo Secano
Nunzio del Tribunale, con D. Francesco Tovar Portier di Camera del Tribunale,
che portò sopra il suo cavallo una cassettina, foderata di velluto
cremisino, in cui si chiudeano i processi de' Rei.
Eran questi seguiti da' due Cappellani del
Tribunale: e immediatamente succedea il Licenziato D. Teodoro de Lorenzo e
Navarro Secretario del Secreto, con carattere di Pro-Fiscale portando lo
stendardo del Trionfo della Santa Fede di damasco cremisino ornato di fregi
d'oro, e fiocchi pendenti di seta cremisina, ed oro, coll'arme della Santa
Chiesa da una parte, e della Cesarea Maestà dall'altra, e Crocifisso
d'argento in cima all'asta. La punta destra era portata da D. Tommaso Antonio
de Laredo Secretario delle sentenze; e la sinistra da D. Pietro Urbisiondo e
Lovera Secretario del secreto.
Venivan dietro il Barone di Porta Ferrata E. Pietro
Gismondi Contatore Sostituto, con suo figlio D. Gio: Battista Gismondi minore,
e Contatore proprietario. Tutti questi Uffiziali vestiti a gala, e con cavalli
ornati con pomposi arredi, accrescevano la magnificenza della Cavalcata: a
riserva degli Ecclesiastici, che osservarono le leggi della modestia, secondo
il loro grado.
Seguivan dietro i Mazzieri del Senato D. Francesco
Perino, e D. Antonino Sapone con vesti nere, sopra cavalli fregiati di
gualdrappe, di drappo messo ad oro, e colle mazze inalberate.
Chiudean la Cavalcata gl'Ill. Inquisitori un dietro
l'altro. Il primo di essi Monsig. D. Giovanni Ferrer in mezzo al Sig. D.
Francesco Bonanno Principe della Cattolica, e Roccafiorita dalla destra, e al
Sig. D. Federico di Napoli, e Barresi, Principe di Ressuttano, Pretore, dalla
sinistra. Il secondo inquisitore Monsig. D. Giuseppe de Luzano e Guasso in
mezzo al Sig. D. Vincenzio del Bosco, Principe di Belvedere, e a D.
Niccolò Vincenzio di Napoli Senatore, Priore. Il terzo Inquisitore Mons.
D. Biagio Antonio de Oloriz fra il Sig. D. Ignazio Gravina Cruillas Marchese di
Francofonte, e D. Marc'Antonio Vanni Senatore: fiancheggiati tutti e tre dagli
Alabardieri della Guardia del Vicerè. Cavalcarono gli Inquisitori sopra
mule bianche ornate di gualdrappe di velluto nero, con cappelli fregiati di
cordon nero in testa: e Croce in ricamo d'oro, ed argento nel mantello: oltre
quella pendente in petto: e col grave portamento, e sontuoso corteggio
s'accrebbe mirabilmente la maestà del S. Tribunale, e la di lui
venerazione in tutti. I Titolati, e Senatori, che andarono a' fianchi degli
Inquisitori andarono vestiti senza gale, sopra cavalli ornati di gualdrappe di
velluto nero: e così gli altri Senatori, che andaron dietro
gl'Inquisitori, che furono D. Domenico Garsia, e Vanni, D. Giacinto
Ventimiglia, e D. Giovanni Pizzarro. Mancò fra essi D. Giovanni Alvarez
de Valdes, perchè occupato coll'uffizio di Pro-Capitano del Tribunale.
Seguirono dietro i Senatori gli Uffiziali Nobili del Senato, anch'essi su ben
addobbati cavalli, e vestiti a pompa, che furono D. Giovanni Maurici Regio
Maestro Notajo del Senato, D. Giuseppe la Placa Sindaco, D. Baldassare
Filingeri Maestro Razionale, D. Giovanni Zappino Conservatore dell'Armi, D.
Coriolano Fardella Archivario, D. Luigi del Castillo Marammero, e D. Luigi
Filippo di Settimo Governadore, Magaziniero. Tra questi mancarono D. Giovan
Luigi di Settimo Tesorero, poichè ebbe l'incombenza di portar la
bacchetta, per conservar nel dovuto ordine la Processione: e l'Abbate D. D.
Pietro Vitale Segretario: ma questi intervenne poi nel Palco del Senato. In
ultimo andarono D. Giuseppe Immastiani Capitano dell'Ambasciate, e D. Antonio
Intermaggio, Capitano delle Torri. Seguivano in appresso la carrozza più
ricca a sei cavalli del Vicerè per gl'Inquisitori, poi le altre de'
Titolati, e Senato.
Se la curiosità tirò sin dalla
mattina il concorso della gente nel piano della Marina, e nel Cassaro, molto
più a maraviglia si accrebbe quando fu il tempo di passar la
processione, e cavalcata. Fu così folta la moltitudine, che
s'affollò intorno a' Rei, che impediva alla libertà degli occhi,
anche poco distanti, il poterli vedere: e poco giovò l'alzamento di varj
palchi in diverse parti del Cassaro, per poterli con più agevolezza
osservare.
Coll'ordine descritto s'incamminò la
processione, e cavalcata per lo piano della Marina, e Cassaro. Entrata la
Compagnia nel Teatro, occupò i sedili assegnati a fianco sinistro
dell'Altare. La Congregazione fissò il suo Stendardo Verde a' pié del
Catafalco de' Rei dalla parte sinistra. I Regolari, e Parrocchie arrivati alla
porta del Teatro, per non ingombrar la piazza colla moltitudine, partirono
senza entrare, secondo l'ordine, che n'ebbero prima. Solo entrò, e
perseverò sino alla fine la Croce della Parrocchia di S. Niccolò
la Calza.
In fronte al palco degl'Inquisitori si assisero nel
loro infame palco, a far vituperevole spettacolo i Rei: e in cima di esso i due
Ostinati. Eran custoditi dall'uno, e l'altro fianco da' Fratelli della
Congregazione della Pescagione, restati sul pavimento del Teatro a riposarsi in
alcuni sedili ivi preparati in più ordini, occupando dal destro lato
canne 10. e dal sinistro canne
Gli altri Ministri, ed Uffiziali, che venivano a
cavallo, smontati avanti la porta del Palazzo Arcivescovile, ognun di loro
andò ad occupare il luogo assegnato, secondo il proprio ministero, ed
uffizio. I due Cappellani del Secreto si assisero in due panche, che si
collocarono a piè de' scalini del Solio de' Signori Inquisitori.
Gli Inquisitori, e Titolati, che l'aveano
accompagnato, come pure l'Eccellentiss. Senato, co' suoi Uffiziali, smontarono
avanti la porta settentrionale della Cattedrale, che guarda il Monastero, detto
la Badia Nuova, ed entrarono nella Chiesa, ove si licenziarono i Titolati
dagl'Inquisitori, e dal Senato. Ma gl'Inquisitori, deposti i Cappelli, e
pigliata la berretta Ecclesiastica, accompagnati dallo stesso Senato si
portarono all'adorazione della SS. Eucaristia, e poi delle Reliquie di S.
Rosalia nella sua Cappella. Indi usciti dalla porta meridionale, avanti a cui
sorgeva il Teatro, per la scala secreta, che guidava al palco degl'Inquisitori,
salirono unitamente: e arrivati a piè de' scalini del Solio
degl'Inquisitori, questi licenziatisi dal Senato, che si ritirò al suo
Palco, si assisero nel loro trono. Nella punta sinistra del Palco degl'istessi
Inquisitori s'allogò il Sig. D. Teodoro de Lorenzo Secretario, e allora
in uffizio di Pro-Fiscale, ove si fissò lo stendardo, da lui portato
nella Cavalcata. La Corte del Capitano Giustiziero anch'essa in questo tempo si
portò nel suo palco particolare. Gran numero di Nobili restarono ad
essere spettatori delle funzioni nel pavimento del Teatro, accomodati in alcune
panche particolari ivi in buon ordine disposte: e in questo, e in tutto il
tempo appresso, che durarono gli esercizj entro il Teatro, è
inesplicabile il concorso della gente, che si affollò per godere, quanto
ivi maneggiavasi. Non solo si riempì la piazza del Teatro, il piano intorno,
e la strada che frammezzasi tra il piano, e 'l Palazzo Arcivescovile: ma anche
i tetti de' palchi, e delle Case, e Palazzi vicini; e tutti i luoghi, da' quali
potesse discoprirsi o in parte il Teatro, si riempirono di gente, che senza
curare gli ardori del Sole, volle partecipare della funzione.
Devo qui con distinzione notare, ciò che di
passo ho accennato, che i Signori Inquisitori, oltre la Croce del S. Uffizio,
che portavan pendente dal collo in petto, altra in forma maggiore ne portarono
nel mantello, lavorata a ricamo d'oro, ed argento; a distinzione di quella, che
portarono pur nel mantello, oltre quella del petto, i Portieri Secreti, Alcaide
della Penitenza, Nunzio, Avvocati, Consultori, Qualificatori, e Secretarj, la
quale era di forma minore, ricamata di seta nera, e bianca, con poco argento
nel profilo. Concessione nuovamente a loro compartita in questa
solennità, e con licenza di portarla così in appresso nelle
solennità maggiori della Chiesa.
CAPITOLO DECIMO
Predica, e Lettura de' Processi.
Assisi tutti ne' luoghi assegnati, ad ore
diciassette, e un quarto, salì sul Pulpito, situato nella punta sinistra
del passetto a pié del palco de' Rei, il P. Maestro Pietro Antonio Majorana
Domenicano, che con quell'eloquenza, di cui è singolarmente fornito, a
dispetto della moltitudine sterminata, che co' strepiti della lingua impediva
le soddisfazioni dell'orecchio, si fece ben udire, e fece conoscer, quanto
fosse meritevole d'applauso la sua Orazione. Ma poichè non fu a tutti
permesso di goderla, qui a comun benefizio s'aggiunge.
IL GIUDIZIO UNIVERSALE
RAPPRESENTATO
DALLA S. INQUISIZIONE
DEL REGNO DI SICILIA
DISCORSO
DEL P. MAESTRO F. PIETRO ANTONIO MAJORANA
DELL'ORDINE DE' PREDICATORI
QUALIFICATORE, E CONSULTORE DEL S. UFFIZIO.
Timete Dominum, et date illi honorem,
quia venit hora Judicii ejus.
Così
appunto esclamava, volando in mezzo al Cielo col libro dell'Evangelio eterno
alla mano, e con questi fulmini su le labbra, espressivi del Divino Giudizio,
quel famoso Paraninfo, che fu veduto, ed ascoltato dall'Evangelista Giovanni
nella sua Apocalisse al quartodecimo. Così bene spesso dava principio
alle sue fervorosissime Prediche il Grande Apostolo di Valenza, il mio
Ferrerio, di cui celebrammo jeri il dì festivo, e si comincia quest'oggi
il solenne Ottavario; ed esprimeva egli cotanto al vivo i funerali vicini del
Mondo, gli sconcerti della Natura, e le catastrofi del finale giorno degli
Uomini, che in Tolosa più di trentamila Uditori, percossi dalle di lui
minacce, non meno, che contriti di cuore, stramazzarono a terra. E così
parimente ho io risoluto sta mane, di voler intraprendere, ad esempio di due
Angeli Apocalistici, il mio presente discorso; affinchè dove manca lo
spirito, e l'efficacia al mio dire, supplir potesse l'enfasi, e l'energia di un
Tema tanto canonizzato, e tanto celebre, nella Terra, e nel cielo, tra gli
Angioli, e gli Uomini: Timete Dominum, et date illi honorem, quia venit hora Judicii ejus. Ma con quale delli due Divini Giudizj, consigliereste, o Signori,
essere più proprio, e più adatto il paragone del nostro Atto
Generale di Fede? Coll'uno, che fu eseguito nel Cielo a motivo del peccato
degli Angioli; o coll'altro, che sarà per praticarsi quì in Terra
sul termine de' giorni, e delle colpe degli Uomini? Con quello, che venne
ordinato dal Giudice supremo sul bel principio della Creazione del Mondo,
quando creavit Deus, o come legge l'Ebreo, creavit Judex Cælum et
Terram; o con quell'altro, che
doverà egli fare sul fine tanto temuto del Mondo stesso? Cum venerit
judicare sæculum per ignem? Voi ben sapete Uditori, che ne pure fu
libero dalli disturbi, e dalle dissensioni l'Empireo; e che in quel vasto
Regno, ove l'Eterno Iddio stabilì con decreto inviolabile la Religione,
e la Pace, udironsi una volta temerarj sconcerti di perfide apostasie, di
ribellioni superbe: Super astra Dei exaltabo solium meum; similis ero
Altissimo: ma ben sapete ancora, come in un solo istante, secondo il parere
comune de' Teologi, fu compilato, e finito tutto il Processo dell'Angelica
causa; tantochè senza dilazione veruna, dopo quella misteriosa
inquisizione: Quis ut Deus?, non più, che in un momento
restò sentenziato Lucifero, e con tutti i suoi seguaci precipitato
nell'Abisso. Non potrà dunque paragonarsi ad un tal Fatto giudiziale
degli Angioli il pio modo di procedere del nostro Santissimo Tribunal della
Fede, che addottrinato nella Scuola de' Divini Giudizj sopra degli Uomini, e
senza mai disunire dalla Pietà la Giustizia aspetta per tempi, e tempi
la sospirata conversione de' suoi colpevoli. Quindi piacciavi meglio, che io mi
accinga a dimostrarvi su la gran tela del presente Spettacolo, disposto per
gloria della Fede con sommo Zelo, e con tanta magnificenza per comune benefizio
dell'anime, un mezzano Disegno, o sia un abbozzo informe del Finale Giudizio
del Mondo: acciò dalla memoria spaventevole dell'Originale,
benchè lontano, e dalla viva rappresentanza del disegno agli occhi
nostri vicino, resti sempre più avvivata ne' nostri petti la Religione,
e la Fede; e si risvegli ne' cuori di quei miseri disgraziati la Penitenza, e
'l dolore.
Date orecchio
alla Fede, che parla, ed introdotta ancor essa, come la più interessata
di tutti gli altri, in questo luogo, a vista di quell'orrido Palco a tanti Rei
di violata Religione preparato, sfogar volendo le sue alte querele, in questi
accenti prorompe. Povera me sconsolata a che avvenni! E dove sono quelli
propizj tempi, quando col favellare di poche lingue Apostoliche soggettai al
mio cenno Popoli innumerabili, scrissi senza contraddizione veruna in fronte a'
loro Principi, e Potentati le mie leggi adorate; e santamente audace piegai
gl'imperiali diademi per iscabello al mio piede? Io, che ne' primi lustri della
Chiesa nascente, sotto il comando del Principe degli Apostoli, e per mezzo de'
suoi fidi Ministri spediti a santificar questo Regno, comparvi un banco aperto
di miracoli, e spedii senza numero le tratte di buona corrispondenza fra la
Terra, e il Cielo; oggi sono divenuta ne' cuori di quei Miseri sospettosi, e
miscredenti screditata, e raminga; quasi fosse fallito tutto il pregiabile de'
miei nascosti tesori. Provai bambina, mercè la Nave Apostolica, in
questa Città tutta Porto, non meno che nel Mare di Tiberiade fra le
tempeste la calma: or che provetta io sono, mi veggo esposta a tanti incontri,
e pericoli di durissimi scogli, quante sono quell'anime, che vivono insassite
nell'ostinazione di offendermi. Del mio onore in difesa, avanzò il piede
fin dentro le divampanti fornaci di quest'Isola del Sole una calca di Eroi: per
conservarmi in vita, stuzzicarono delle fiere il dente, de' Manigoldi il ferro
le più delicate Donzelle; e sino col sangue innocente delle Ulive, delle
Agate, delle Lucie porto inostrate, ad onta dell'Infedeltà, le mie
porpore: ora son costretta richiamare dal cuore alle pupille le lagrime,
giacchè mi vedo sì malamente ridotta, anzichè vilipesa, e
schernita da tanti Prodighi Figli, più tosto della scigura, che miei.
Ma interrompete
di grazia (o miei cari Ascoltanti) in bocca alla Fede addolorata le querele
intraprese; mentre già è arrivato quel giorno, che per essere
destinato alle giuste vendette degli accennati oltraggi, e delle ingiurie
riferite, potrà con franchezza chiamarsi per tutti i secoli da venire: Dies
ultionum. Giorno molto simile a quello delle Sagre Pagine per tante, e tante
volte preveduto, nonchè descritto con tutta l'enfasi dello spavento del
Profeta Gioele; e perciò meritevole di quel medesimo laconismo di
terrori, compendiati in questa brevissima espressione del mentovato Profeta: Dies
Domini magnus, et terribilis. Giorno preconizzato dalle trombe sonore di
questo fedelissimo Pubblico divenute foriere dei trionfi, e delle vittorie di
nostra Fede: Hæc est victoria quæ vincit Mundum Fides nostra:
poichè sottentrando all'Uffizio di quegli Angelici oricalchi, che
promulgheranno l'ultimo giorno del Mondo; parmi, che dappertutto intuonassero
quelle spaventevoli voci, udite già una volta sin nella Palestina con
terrore indicibile da Girolamo il Santo: Surgite mortui, venite ad Judicium.
Su via dunque,
a Voi parlo o miseri Delinquenti, che con le vostre pessime operazioni, e con
detti apostatici avete dato l'esilio al Santo timor di Dio dalli vostri petti;
avete tolto l'onore, e la venerazione dovuta alla Religione, ed alla Fede, Surgite;
ed o che siate morti alla grazia, ed incadaveriti nelle colpe; o che siate
vivi all'infedeltà, e membra putride del Cattolico Corpo; Surgite,
venite ad Judicium. A Voi dico, o Nemici giurati del Signore, perchè
collegati col Principe delle tenebre suo Caporibelle; Professori di quelle Arti
superstiziose, e diaboliche, che Sortileghe si appellano; Dispensatori di tante
polizze false scritte con cifre, e caratteri incogniti; di Orazioni apocrife,
ripiene di bugiarde promesse; d'acque, di cere, di Croci, di Reliquie, sempre
accoppiate con parole vane, o circostanze vanissime. Surgite: e come non
vi spaventa, Infelici, il solo riflettere, che avete tenuta la pace, anzi la
corrispondenza, ed il commercio col più fiero Nemico dell'Uman Genere; e
che per mezzo de' vostri infami patti, o espressi, o taciti, con esso lui
stabiliti, ve l'ntendeste amichevolmente con le Furie dell'Abisso ne' vostri
affari più considerabili, ad onta di quell'amorevole divieto fatto
dall'Apostolo a' Corintj. Nolo Vos socios fieri demoniorum.
Surgite,
et venite ad Judicium. Voi, empj bestemmiatori; (ed oh potessi io conformarmi
allo stile antico delle Sacre Bibbie, tralasciando la congiuntura,
nonchè la necessità di nominarvi.) Voi, che scordati affatto
delli vostri doveri, dispregiaste quel Sale di Sapienza postovi in bocca da'
Ministri della Chiesa prima del Battesimo, per farvi intendere, che le vostre
lingue esser doveano tutte dedite alle lodi del Creatore, e consagrate al suo
culto, Surgite: e come non vi atterrisce, o Indegni, l'intendere, che vi
siete acquistati l'abominevole tirolo di Figlioli del Demonio: Vos ex patre
Diabolo estis? E come nò, se diveniste peggiori de' Demonj stessi?
poichè se questi bestemmiano a Iddio, ciò fanno solamente col
cuore; sento dire, colle loro intellettuali potenze; ma Voi lo bestemmiaste col
cuore, e colla bocca, e forse ancora colle mani sacrileghe nello strapazzo
irriverente delle sacrate Immagini. Bestemmiano quelli contro Iddio, mentre
egli da Giudice severo li punisce, e li flagella con le pene acerbissime degli
ergastoli sempiterni; ma Voi ingrati lo bestemmiaste nel tempo stesso, in cui
egli da Padre benefico vi accarezzava, e nodriva.
Surgite,
et venite ad Judicium, Voi, mostri
orrendi di Eretica pravità, che sopra fondamenta di fango vilissimo, e
con metalli eterogenei di false dottrine, ergeste un'altra volta la statua
fantastica da Nabucco sognata. Volpi astutissime di Salomone, che appiattate
nella vigna del Signore, tentaste disertarla con i vostri errori nascosti: Serpenti
velenosi scappati dal covile di quel prodigioso lenzuolo dato a divedere
all'Apostolo San Pietro, Surgite; e come non vi confonde o Superbi
il solo pensare, che siete abominati dagli Uomini, abborriti dagli
Angioli, odiati da Iddio? e tutto ciò, perchè ardiste Temerarj
porre la lingua nel Cielo delle Verità Cattoliche, e contraddire li
sagri Dogmi da un Dio sempre infallibile promulgati: perchè tentaste
lacerare nella bella unità della Fede, la veste inconsutile del
Redentore, e squarciare in mille pezzi il Velo adorabile del Santuario; Surgite,
et venite ad Judicium.
Piacesse al
Cielo, Uditori, che le mie voci, e queste intime giudiziali, fatte già
su l'idea dell'ultimo giorno del Mondo, producessero negli animi di tutti
quelli delinquenti il buono effetto, che ne pretende la Chiesa. Volesse Iddio,
che il nostro Zelo, conforme rimane in buona parte appagato dal vedere
coll'insegne di penitenti il numero maggiore di quei Colpevoli; così
restasse appieno soddisfatto da una mutazione istantanea, o dal pronto
ravvedimento di que' due miserabili, che tutta via protervi, ed ostinati ne'
loro errori, persistono. Oh se la durezza della loro protervia cedesse pure una
volta alle soavissime attrattive della Divina Grazia, che con mille modi, e
maniere imperscrutabili li chiama al pentimento, ed a sufficienza a sé
gl'invita. Oh se prevalesse a rischiarare l'oscurità di quelle menti
ottenebrate il lume di quel fuoco temporale, che lor sovrasta, o di quel
fulmine di maledizioni eterne, che dalla bocca Divina pende su i loro capi: Ite
maledicti in ignem æternum, qui paratus est Diabolo, et Angelis ejus.
Io mi ricordo
aver letto del mio glorioso San Vincenzio, che incontratosi una volta nella
Città di Zamora con due Uomini facinorosi, i quali convinti di nefande
ribalderie, ma non già compunti di cuore, erano condotti da' Ministri di
Giustizia al finale supplizio del fuoco; mosso il Santo a compassione di quelle
anime, che ravvisava vicino al precipizio eterno; comandò a quegli
Uffiziali di Corte, che si fermassero; poscia con un discorso ripieno di santo
zelo, e di efficacia in tal maniera li compunse, che, accesa ne' petti loro una
vivissima fiamma di contrizione, fè, che alla vista di un Popolo
stupefatto si disfacessero in due mucchi di cenere i loro corpi, nel tempo
istesso, che le loro anime gloriose sen volarono al Cielo.
Oh se toccasse
a me almeno per momenti, una simile virtù nel discorrervi! Oh se
toccasse a Voi, o Pertinaci, una sì bella sorte nell'udirmi; quanto ne
goderebbe il mio spirito, e col mio spirito la Cattolica Fede! E d'onde
sì scioccamente perversi, che potendo fra poche ore battere con
agevolezza il sentiero felicissimo dell'Empireo, vogliate correre a passi di
Giganti per la via dell'Abisso? potendo in un istante far passaggio da queste pene
temporali, agli eterni contenti, vogliate barattare questi, per un vano
capriccio di credenza fantastica? Sento per Voi un non sò che di filiale
compassione, e provo nel mio interno gli stimoli di una pena, che forse non
proverete Voi, per Voi stessi.
Eh via ricordatevi
almen di passo di quell'Abito Sacrosanto, che sin'ora indegnamente portaste, e
perciò da qui a poco sarete necessitati a deponerlo: di quell'Abito io
parlo, che in mano de' vostri Santissimi Patriarchi servì di glorioso
vessillo a' difensori del Vangelo, e di araldo di Vittorie alla Chiesa
militante; indosso a' loro Figli fu fregiato dall'innocenza di tante Vergini,
imperlato dalle lagrime di tanti Penitenti, e fu decorato dal sangue di tanti
Martiri. Riflettete a quella Fede Cattolica, senza la quale impossibile est
placere Deo; quella Fede io dico, che voi stessi giuraste sin dal principio
del vostro vivere doverla mantenere illibata sino alla morte. Sovvengavi di
quel buon Gesù, che per voi nacque in una vile Capanna sceso dal Cielo
in Terra; per voi visse in questa Valle di lagrime; per Voi morì fra
mille pene, ed angoscie; pronto più oggi, che mai a riaprirvi le sue
piaghe adorabili per risanare quelle delle vostre anime; disposto a stendervi
le sue braccia, per istringervi con finezza incredibile al suo petto da Figli.
Fede, Fede, vi vuole, e pentimento sincero: pensateci, e risolvete.
Ma se non
vagliono le mie persuasive a convincerli, li sbigottiscano almeno, e li
confondano le circostanze dell'Universale Giudizio, così al vivo
rappresentate nello Spettacolo di questo memorabile giorno, che ognuno de'
Spettatori incontrerà senz'altro replicati motivi a dovere esclamare: Nunc
Judicium est Mundi, nunc Princeps hujus Mundi ejicietur foras. Ecco in
fatti inalzato al cospetto di un Mondo cum potestate magna, et Majestate, quel
Tribunale Santissimo della Fede: anzi potremo soggiungere: et omnes Angeli
ejus cum eo; giacchè si vede assistito, non solamente dalle Motrici
Intelligenze del nostro Palermitano Cielo, ma parimente dalle numerosissime
Schiere, e Gerarchie de' suoi Crocesegnati, molti de' quali rinfacciano a
quelli Rei di lesa Maestà Divina, benchè in silenzio, e colla
sola presenza tutte le religiose fatiche a pro delle loro anime sostenute;
emuli al certo di que' Spiriti beati dal Boccadoro preveduti, li quali
nell'ultimo giorno del Mondo, corteggiando la Maestà del Giudice
Supremo, adopreranno un simile rimprovero contro de' dannati. Tunc Angeli
aderunt testificantes, quantum ipsi ministraverunt a Deo missi. Ecco
intronizzata in quel foglio istesso l'autorità quasi caratteristica
dell'Altissimo, giacchè quei Personaggi sublimi, che ivi presiedono, non
imprendono verun affare nelle cause di Fede, senza implorare sopra di loro la
Divina Presenza: Exurge Domine, et judica causam tuam: non registrano
verun decreto di condennare, o di assolvere, senza attenderne dal Divino volto
gli oracoli: de vultu tuo judicium meum prodeat. E dilatando la loro amplissima
Giurisdizione più in là della Regione de' Viventi, alla moda del
grande Iddio, che Judex est vivorum et mortuorum; si avanza a punire
Cadaveri, e Sepolcri, ossa, e ceneri, non che la fama, e la memoria istessa
degli Eretici defunti, nelle forme prescritte da' Sagri Canoni. Ecco là inalberata del
nostro Redentore la Croce, quella Croce medesima, che nell'estremo giorno del
Mondo sarà da tutti conosciuta, e chiamata: Signum Filii Hominis.
Laonde, se come tale sarà per comparire in quel giorno tutta fastosa nel
Campidoglio dell'Aria, non meno per consolazion degli Eletti, che per
confusione de' Reprobi; così appunto la Croce Verde, che sollevata in
aria sotto di quel dosello pomposamente si adora, quanto accresce di fermezza a
Noi Fedeli, e di speranza a' Delinquenti pentiti, altrettanto arreca di
terrore, e di spavento all'ostinazion degl'Increduli, de' Miscredenti alla
protervia.
Sò bene,
che per compimento dell'opera, e del mio disegno in questo giorno promessovi,
rappresentante l'universale Giudizio, attendereste volentieri da Me e l'esame
vigoroso degli Empj, e la pubblica manifestazione de' loro errori più
occulti. So, che vorreste udire l'intima delle fatali sentenze, nelle quali
risaltando con armonia portentosa la Pietà, e la Giustizia si riconosce
avverato il duplicato elogio fatto dal Profeta Reale alli Giudizj Divini: Misericordia,
et Veritas obviaverunt sibi; Justitia, et Pax osculatæ sunt. Ben mi
accorgo, che siete impazienti di dover più aspettare l'esecuzione delle
giuste vendette di quegli Apostati, e sospettosi nella Fede, a proporzione de'
loro enormi delitti meritate: ma disponetevi meglio a ravvisare ben presto il
tutto puntualmente adempiuto, subito, che sarà terminato il mio presente
discorso; avvengachè la solenne pubblicazione di tanti eccessi di lesa
Maestà Divina, che fra poco sarà per accendere il zelo, ed
irritare lo sdegno d'ogni Cuore Cattolico, accoppiata al terribile delle
giustissime pene, che dovranno giuridicamente fulminarsi, illuminabit
abscondita tenebrarum, et manis festabit consilia cordium.
Fortunata
Sicilia, in cui si governano su l'idea de' Divini Giudizj gl'interessi di Dio,
ove si regolano colla maggiore attenzione, e diligenza della Religione i
vantaggi, e si promuovono con tutto lo sforzo della magnificenza della nostra
Fede le glorie. Regno al certo sopra molt'altri fortunato, perchè
dominato da un Augusto Principe, così zelante dell'onore Divino, che col
Cesareo beneplacito, a questa sagra funzione apprestato, palesa al Mondo tutto,
che honor Regis Judicium diligit: anzi per accreditare sempre più
il suo cattolico zelo, stende quest'oggi con reale munificenza la destra alla
giusta punizione de' Nemici di Dio; emulo forse del Santo Re Ferdinando suo
degno Predecessore, che in un Atto generale di Fede celebrato nelle Spagne dal
mio Patriarca Domenico, applicò anch'egli la sua Regia mano al gastigo
degli Empj, sino con porgere da sé stesso la legna alle cataste micidiali de'
Contumaci.
Viva dunque per
sempre in questo Fedelissimo Regno il Santo Tribunale della Fede; e con esso
ancor viva il dominio religiosissimo del nostro invitto Monarca: giacchè
non men all'uno, che all'altro per tanti, e tanti capi si deve il titolo
glorioso di acerrimo Difensore delle Giurisdizioni Divine, di Parteggiano
indefesso de' progressi della Croce, di Tutelare inespugnabile della Religione
e della Fede. Dicali ognuno con gli applausi della Sapienza, e con la Glossa di
Gregorio il Grande due stabili Colonne del Cattolicismo, valevoli a sostenere
con fermezza inflessibile, la Fede Altissima de' suoi Popoli: Stabilimentum
Populi, quia videlicet super se Populum substinent; che io per me sono in
obbligo di venerare in silenzio super capita Columnarum opus in modum
lilii; sento dire, che terminerò il mio discorso, adorando col
più vivo de' miei affetti la Croce prodigiosa della Santa Inquisizione,
che tra bianchi, e negri gigli, nell'Orto del mio Sagrato Ordine germogliati,
con insolita gala rifiorisce, e trionfa in questo giorno.
E Voi, cari
Ascoltanti, se con orrore indicibile ammiraste la nostra Felicissima Capitale
trasformata da Conca d'Oro nella Valle di Giosafat; incolpatene l'ardente Zelo
degl'Illustrissimi Inquisitori Apostolici, che sono i Mecenati, i Censori, i
Giudici incorrotti di questo Universale Giudizio. Eglino per mantenere illibata
ne' vostri petti la Cattolica Fede, espongono agli occhi vostri le sozzure
abominevoli dell'Eretica gravità; per rendervi più cauti, e
più felici ne' pericoli altrui, mettono in pubblico le cadute
deplorabili degli Apostati convinti, e condannati; e a fine di conservarvi
stabili, e fermi ne' proponimenti ortodossi senza confondervi, ostentano in un
tempo istesso nella severità de' gastighi la Giustizia, nella
riconciliazione de' Penitenti la Misericordia, facendo risaltare in ogni passo
della loro autorità ciò, che disse il Profeta del Divino
Giudizio: Justitia et Pax osculatæ sunt. Scrivete dunque su la
Verga adorabile di questo SS. Tribunale quel laconismo di lode espressivo di
tali effetti contrarj, che diede il Vecchio Simeone al Redentore già
nato: In ruinam, et resurrectionem multorum, o quell'altro, che la penna
acutissima di Basilio da Seleucia scolpì su la Verga Mosaica, operatrice
di prodigj nel Mar Rosso: His iter, illis sepulchrum: mentre Io nella
confusione di questo grande Spettacolo, non ritrovando forme adatte alla
conclusione del mio dire, mi farò lecito di ripigliarvi con le parole medesime
dell'Apocalisse, che mi servirono di Tema: Timete Dominum, et date illi
honorem, quia venit hora Judicii ejus.
Fine della predica.
Terminato il sermone, e disceso dal pulpito,
coll'applauso meritatamente contribuito alla sua eloquenza, e dottrina il Sacro
Oratore, si ritirò a seder fra' Qualificatori, e Consultori, uno dei
quali egli era.
Circa le ore diciassette, e tre quarti il
Secretario D. Tommaso Laredo porse il primo processo di Suor Petra Maria di
Gesù a un Padre Domenicano: e la Rea discesa dal palco, fu portata sulla
punta di quel passetto, che sporgea a' piedi del Catafalco, assistita da due
Portieri a' fianchi: e facendo riverenza alla Santa Croce, e agl'Inquisitori,
si tenne in piedi colla candela di cera gialla in mano smorzata, in tutto il
tempo, che si lesse il suo processo dal Padre; che salito sul pulpito situato
alla sinistra, dopo il segno dato dall'Inquisitore maggiore col campanino, ne
cominciò la lettura. Indi soggiunse la sentenza: e allora il Capitano D.
Gio: Alvarez de Valdes, che stava a fianco destro del pulpito, si alzò
in piede: e così fecero il Secretario Laredo e D. Giuseppe Manxe
Alcaide.
Terminata la lettura della sentenza, discese dal
pulpito il Padre, restituì il processo al Secretario, e la Rea,
replicate le riverenze di prima, si ritirò a suo luogo. Lo stesso tenore
fu praticato successivamente con gli altri Rei, sino al numero di ventisei:
salendo i Padri ora in uno, ora in altro de' pulpiti. Ma de' nomi de' Rei, loro
delitti, e pene, in particolar Capitolo se ne darà distinto ragguaglio.
Mentre si leggevano i processi, si diede luogo al
necessario ristoro; onde gl'Inquisitori successivamente si ritirarono a pranzo
nella stanza, che era dietro il loro palco: ed ivi pure i Cavalieri, Ufficiali
del Tribunale, Consultori, Qualificatori, ed Avvocati, a spese di esso
Tribunale.
Il Capitano dispensò a proprie spese il
pranzo, e rinfreschi a quei della sua Corte, nella stanza dietro il suo palco:
come pure al palco della Principessa Moglie, e Dame da lei invitate.
Il pranzo, e rinfreschi per l'Eccellentissimo
Senato, suoi Ufficiali, e Ministri, fu fatto splendidamente dal Pretore dietro
il suo palco: ed egli pure apprestolli al palco della Principessa Moglie, e
Dame invitate: fra le quali furon le Mogli de' Senatori, e degli Uffiziali
nobili del Senato.
Il Sig. Principe di Roccafiorita contribuì
anch'egli con sontuosa lautezza il pranzo al palco della Principessa Moglie, e
Dame ivi adunate: e queste, e le Dame degli altri palchi mangiarono a cortine
chiuse ne' proprj palchi.
Il pranzo e i rinfreschi dispensati a quei del foro
del Tribunale fu apparecchiato a spese del medesimo Tribunale.
La Compagnia nella stanza bassa dietro l'Altare,
apparata d'arazzi, illustrata da molti lumi, e da ricca credenza, pigliò
il suo ristoro. Ivi a dieci per volta andarono i Fratelli a pranzare a spese
de' Superiori della stessa Compagnia.
Così con intervallo di tempo i Fratelli
della Congregazione in una stanza bassa dietro il palco de' Rei si ritirarono
in varie coppie a mangiare a proprie spese di essi Fratelli.
Ma terminata la lettura de' processi de' ventisei,
si venne ai due ostinati, che si riserbarono in ultimo luogo. Circa le ore
venti, e un quarto fu portata Suor Geltruda Maria Cordovana nella punta del
passetto, come gli altri: ma l'ostinata in arrivarvi, non mostrò alcun
segno di riverenza nè alla S. Croce, nè agl'Inquisitori([47]). Mentre
leggevasi il suo processo dal pulpito situato alla parte destra, in aspetto di
temeraria, e sfrontata, borbottando vomitava orrende bestemmie onde furon
obbligati i Portieri assistenti al suo fianco chiuderle più volte la
bocca con una mordacchia([48]). Fu profferita
in fine la sua sentenza, che come Eretica formale dovea rimettersi al braccio
della Corte Secolare per doversi condannare secondo la disposizion delle Leggi.
Durò il suo processo mezz'ora in circa. e finito, fu rimessa nel palco.
Indi circa le ore venti, e tre quarti fu condotto
allo stesso luogo del passetto Fra Romualdo di S. Agostino, che anch'egli
nell'arrivo a quel luogo non mostrò segno alcuno di pietà
cristiana, nè di riverenza alla S. Croce, nè agl'Inquisitori: ma
temerario stette a sentire con isfacciatezza, e senza rossore le sue
iniquità, pubblicate nel suo processo dal pulpito situato nella parte
sinistra. Dichiarato infine Eretico formale, colla sentenza di doversi
rimettere al braccio della Corte Secolare, e finita la lettura del suo
processo, ad ore 21 e mezza, fu ritirato nel palco: e allora furono rimessi
nella cassettina del Secretario Laredo tutti i processi.
CAPITOLO UNDECIMO.
Rilassazione de' Rei ostinati al Braccio della Corte secolare, e
loro sentenza.
Era uscito già ordine da' Sig. Inquisitori,
che terminata la lettura de' Processi, dovessero i Portieri del S. Uffizio
spogliar con disprezzo, e violenza i Rei Pertinaci degli abiti religiosi, che
indegnamente portavano. Quindi salito sul palco l'Alcaide D. Gio: Giuseppe
Manxe, con voce imperiosa, e parole di rimprovero, comandò a Fra
Romualdo, che si levasse il Sacro abito religioso, come indegno di portarlo in
dosso. Prontamente egli si sciolse la cintura, che si tenea legata nel mezzo,
porgendola ad un de' Portieri assistenti del S. Ufficio: e poi senza alcun segno
di sbigottimento levatasi la mitra, e la sopraveste messa a pece, e dipinta a
fiamme, si cavò l'abito religioso, senza alcun rossore, dandolo allo
stesso Portiere; restando colla veste di sotto di tela nera, sopra di cui fu
riposta la detta veste dipinta: e gli fu rimessa in capo la mitra.
Altresì a Suor Geltruda fu cavata la veste dipinta a fiamme, e cavatole
l'abito religioso da' Portieri le fu restituita la veste vergognosa, e la
mitra.
Indi amendue si fecero scendere in mezzo alla
piazza del Teatro, ove l'attendevano D. Gio: Alvarez de Valdes Pro-Capitano
colla Verga di Giustizia del S. Uffizio, e il Secretario Laredo. S'avviarono
questi al palco de' Sig. Inquisitori, e furon seguiti dall'Alcaide Manxe, e
dietro di esso i due Rei, circondati da' Portieri del S. Uffizio, e da'
Fratelli della Pescagione. Con quest'Ordine salirono al trono degl'Inquisitori:
il Pro-Capitano si collocò alla destra del Solio; il Secretario, e
l'Alcaide alla sinistra, ai lati del tavolino; restando a piè del Solio
i Rei. Comandarono allora gl'Inquisitori al Pro-Capitano, e Secretario, che
consegnassero quei due Rei, non più tollerabili per la loro diabolica
ostinazione, alla Corte secolare del Capitano Giustiziero della Città,
col Cerimoniale costumato. Ricevuto l'Ordine, discesero dal Solio, e si
trasferirono al palco della Corte, del Sig. Capitano, seguiti dall'Alcaide, e
da' Rei. Ivi si fece da' Ministri del S. Tribunale ossequiosa cortesia di
Cappello a tutta la Corte, dalla quale vennero cortesemente corrisposti: e mentre
stavan tutti in piedi coperti, il Secretario Laredo espose al Sig. Capitano, e
suoi Giudici l'ambasciata. Corrispose la loro risposta in ordine alla giustizia
con pari zelo, e prudenza; e con riverente ossequio al S. Tribunale: e allora
l'Alcaide consegnò i due Rei agli Uffiziali di detta Corte, non senza
sentimenti di estremo cordoglio di tutti gli Spettatori, che deploravano la
loro detestabile cecità, e durezza. I Ministri del Tribunale se ne
ritornarono al Solio de' Sig. Inquisitori; riferendo il Secretario Laredo il
compimento della loro incombenza, e la risposta di quella Corte. Dagli
Uffiziali del Sig. Capitano furon condotti i Rei a quella stanza di tavole
fabbricata fuori del luogo Ecclesiastico, a piè della scala, per cui si
saliva al palco di detta Corte come si disse nel Capitolo secondo, el Capitano,
co' suoi Giudici, Avvocato Fiscale, e Uffiziali s'alzarono, e fatta riverenza
agli Inquisitori, s'incamminarono alla stessa stanza. Ivi alzato Tribunale, e
portati alla lor presenza i Rei, dal D. D. Francesco Cumbo Giudice Ebdomadario
furon lette le Sentenze: e prima quella di Fra Romualdo in questo tenore.
Providenda est Relaxatio Ignatii
Barberi Calatanixectæ à Sancta Fide Cattolica alienati,
hæretici formalis relapsi, impœnitentis, obstinatissimi, per RR.
Dominos Doctores D. Joannem Ferreri, D. Josephum de Luzan, et D. Blasium
Antonium de Oloriz Inquisitores Tribunalis Hæreticæ Pravitatis in
hoc Siciliæ Regno ab eisdem Rev. Dominis Inquisitoribus ex officio
Sanctissimae Inquisitionis relaxati, veluti hæretici formalis, relapsi,
impœnitentis, obstinatissimi, in potestate brachii sæcularis
Regiæ Curiæ Capitanialis hujus felicis, et fidelissimæ Urbis
Panormi traditi, ut ei statim, absque mora, prout fieri consuevit, et solet
tanti criminis pæna condigna, et ejus atrocium scelerum tribui, et dare
debet, prout per dictos RR. Dominos Inquisitores jam fuit relaxatus et
declaratus, ac traditus in posse dicti brachii sæcularis; ideo pro Dei
servitio, conservatione, et cultu Justitiae, ne delicta impunita remaneant,
maxime tali Sanctæ Fidei Christianæ abominantia, ut supradictus
Ignatius Barberi Hæreticus formalis relapsus, impænitens,
obstinatissumus, et à Fide Catholica penitus derelictus, et relaxatus
secundum ejus scelera, puniatur juxta legum, sacrorum canonum dispositionem, et
generalem consuetudinem, ac de Jure Regni, assistente in judicio dictæ
Regiæ Curiæ Capitanialis Spect. D. Antonino Citrano Regi Fisci
Patrono ejusdem Curiæ, ut sentantia dictorum RR. Inquisitorum non deficiat,
sed ejus consequatur effectum.
Idcircò
JESUS
Nos D. Balthassar Naselli Princeps
Aragonæ de Consilio S.C.C.M. Capitaneus Justitiarius hujus felicis, et
fidelissimæ Urbis Panormi, et Utriusque Juris Doctores D. Franciscus
Cumbo, D. Thomas Gioeni, et D. Petrus Portuleva Judices Ordinarii ejusdem Urbis
anni præsentis, hic pro Tribunali in infrascripto loco sedentes,
supradictum Ignatium Barberi Curiæ Nostræ sæculari traditum,
et relaxatum, à dicta Sancta Fide Catholica expulsum tanquam Hæreticum
formalem relapsum, impænitentem, obstinatissimum declaratum, omnibus,
quæ in talibus requiruntur observatis, et adimpletis, et quæ
observari consueverunt, absque aliquo novo processu, post dictam sententiam RR.
Inquisitorum, condemnamus, ut ipse Ignatius Barberi vivus comburatur, donec in
cinerem convertatur; cinis verò dispergatur.
Hanc Nostram etc.
Lecta, et pronunciata fuit, et est
supradicta sententia in publico Spectaculo, sive Talamo Ss. Inquisitionis
detempto in Plano Majoris Ecclesiæ hujus Urbis, ei in providenda electa
per dictam R. C. Capitanialem, collaterali Talamo, exstra tamen Planum
prædictum, die sexto præsentis mensis Aprilis 2 Ind. 1724:
Præsentibus pro Testibus D. Fabio Galati, Marco Antonio Averna, et Sancto
Arenci.
Indi fu letta quella di Suor Gertruda nella seguente
forma:
Providenda est Relaxatio Philippæ
Mariæ Corduana Calatanixectæ à Sancta Fide Catholica
alienatæ, hæreticæ impænitentis, pertinacis, et
incorrigibilis, per Reverendissimos Dominos Doctores D. Joannem Ferreri, D.
Josephum de Luzan, et D. Blasium Antonim de Oloriz Inquisitores Tribunalis
Hæreticæ Pravitatis in hoc Siciliæ Regno ab eisdem RR.
Dominis Inquisitoribus ex Officio Ss. Inquisitionis relaxatæ, veluti
hæreticæ impænitentis, pertinacis, et incorrigibilis, in
protestate brachii Sæcularis Regiæ Curiæ Capitanialis hujius
felicis, et fidelissimæ Urbis Panormi traditæ, ut ei statim, absque
mora, prout fieri convenit, et solet tanti criminis pæna condigna, ut
ejus atrocium scelerum tribui, et dare debet, prout per dictos Reverendissimos
Dominos Inquisitores jam fuit relaxata, et declarata, ac tradita in posse dicti
Brachii Saecularis; ideo pro Dei servitio, conservatione, et cultu
Justitiæ, ne delicta impunita remaneant, maximè talis santæ
Fidei Christianæ abominantia, ut supradicta Philippa Maria Corduana,
hæretica, impænitens, pertinace, et incorrigibilis, et à
Sancta Fide Catholica penitus derelicta, et relaxata, secundum ejus scelera
puniatur juxta Legum, et Sacrorum Canonum dispositionem, generalem
consuetudinem, ac de jure Regni; assistente in Sudicio dictæ Regiæ
Curiae Capitanialis Urbis prædictæ Spect. D. Antonino Citrano Regii
Fisci Patrono ejusdem Regiæ Curiæ Capitanialis, ut sententia
dictorum RR. Inquisitorum, non deficiat, sed ejus consequatur effectum.
Idcircò
IESUS
Nos D. Balthassar Nasselli Princeps
Aragonæ de Consilio S.C.C.M. Capitaneus Iustitiarius hujus Felicis Urbis
Panormi, et Utriusque Iuris Doctores D. Franciscus Cumbo, D. Thomas Gioeni, et
D. Petrus Portuleva Iudices ordinarii ejusdem Urbis anni præsentis hic
pro Tribunalis in infrascripto loco sedentes, supradictam Philippam Mariam
Corduanam Curiæ nostræ sæculari traditam, et relaxatam
à dicta Sancta Fide Chatolica expulsam tanquam hæreticam
impænitentem, omnibus, quæ in talibus requiruntur observatis, et
adimpletis, et quæ observari consueverunt, absque aliquo novo processu
post dictam sententiam Reverendissimorum Inquisitorum, condemnamus, ut ipsa
Philippa Maria Corduana viva comburatur donec in cinerem convertatur, cinis
vero dispergatur.
Hanc nostram, etc.
Lecta, lata, et pronunciata fuit, et
est supradicta sententia in publico Spectaculo, sive Talamo Ss. Inquisitionis,
detempto in Plano Majoris Ecclesiæ hujus Urbis, et in Providenda electa
per dictam Regiam Curiam Capitanialem, collaterali Talamo, extra tamen Planum
prædictum. Die sexto præsentis Mensis Aprilis 2 Ind. 1724.
Præsentibus pro Testibus D. Fabio Galati, Marco Antonio Averna, et Sancto
Arenci.
Lette che furono le sentenze, diedero luogo alla
cristiana pietà, e compassione il Capitano, e Giudici, non lasciando di
ammonirli amorevolmente ad aprir gli occhi, e conoscere ormai l'infelice stato
a quale erano stati dalle loro enormità precipitati, secondo il merito
della loro durezza: che erano ancora in tempo di ravvedersi, e detestare i
commessi delitti: e che Essi non averebbono lasciato di regolare in forma
più mite([49]) la sentenza
già da loro udita. Il sig. Capitano in particolare con quella
pietà, e zelo che gli assiste singolare, non lasciò di lor
suggerire paterne ammonizioni, valevoli ad espugnare la loro inflessibile
pertinacia([50]). Ma
l'ostinazione avendo indurato il loro cuore non fece penetrare gli amorevoli
ricordi: onde ogni preghiera, ed avviso fu senza frutto. Anzi il perfido
Romualdo nello stesso tempo facea segni di non voler in conto alcuno acconsentire
a quanto dalla di lui accesa carità gli era suggerito. Quindi disperato
il loro ravvedimento, si deliberò di consegnarsi alla Compagnia
dell'Assunta, affine di portarsi al luogo del supplicio per eseguirsi la
sentenza. Parve allora, che dessero alcun segno di volersi convertire: onde a
tutta fretta fu chiamato il P. Nicolò Lavaggi della Compagnia di
Gesù, non molto distante, e fu introdotto nella stanza della sentenza:
ma ben tosto si accorsero tutti essere stati o momentanei, o finti i segni del
pentimento. Spedì in tanto la Compagnia i suoi Teologi, per versare gli
ultimi sudori in benifizio degl'Infelici, precedendo due Bacchettieri di essa:
el Capitano, e Giudici a detti Teologi consegnarono i Rei, custoditi da'
Ministri della lor Corte. Quindi estratti da detta stanza furon condotti al
luogo, ove dovea eseguirsi la sentenza, nel modo, come si dirà in
appresso: e la Corte Capitaniale, non le restando altro, che operare,
partì dal Teatro.
CAPITOLO DUODECIMO.
Abjurazione, e assoluzione de' Rei pentiti.
Fra tanto, che la Corte Capitanale procedea alla
sentenza de' due Pertinaci, i Signori Inquisitori s'avanzarono ad ammettere
all'abjurazione, e a conceder l'assoluzione a' Rei pentiti. Quindi per ordine di
essi Inquisitori furon condotti di sei in sei alla loro presenza nella forma
seguente. Discesa dunque la prima coppia di sei colle candele accese di cera
gialla nelle mani dal loro palco, accompagnati da' Portieri, si trasferirono al
Solio degl'Inquisitori, e si posero ginochioni intorno al tavolino: e toccando
colle lor mani il Messale, e la Croce, il Segretario D. Tommaso de Laredo a
voce alta cominciò a leggere distintamente la formula dell'abjurazione de
levi, ripetendo i Penitenti di parola in parola quanto egli diceva:
detestando gli errori commessi, promettendo di non ritornare a commetterli, ed
eseguire quanto dal S. Tribunale fosse loro imposto. Discesi dal solio
associati da' Portieri, andarono a trattenersi nella piazza a piè del
Palco aspettando l'abjurazione degli altri. Seguì poi la seconda, e
terza coppia di sei per volta, e in fine la quarta di otto, che fecero lo
stesso.
Indi si venne all'assoluzione d'alcuni, che
s'appartaron dagli altri. Furono essi in numero di sei, che genuflessi si collocaron
a canto del tavolino, tre da un lato, tre dall'altro: e Monsignor Ferrer primo
Inquisitore postasi la Stola pendente al collo, recitò gli Esorcisini([51]), ed Orazioni,
secondo prescrive il Rituale Romano, rispondendo il Coro de' Musici della Real
Cappella, che dal loro ricinto si portarono a piè del palco degli
Inquisitori. Indi cominciarono gli stessi Musici il canto del salmo Miserere,
e fra tanto i due Cappellani del S. Uffizio D. Giuseppe Gandolfo, e D.
Vincenzio Torregrossa battean colle verghe le spalle de' Penitenti percotendone
ognun di essi tre, or l'uno, or l'altro; cessando le battiture al terminare del
Salmo. Indi l'Inquisitore proseguì le altre preghiere, e poi il canto
dell'Inno Veni Creator Spiritus, e a' primi quattro versetti si prostraron
ginocchioni gl'Inquisitori, Astanti, e Senato, e alzandosi poi, restarono
genuflessi i soli Penitenti. All'intuonarsi il detto Inno, si svelò la
S. Croce Verde, ch'era stata sempre sull'Altare velata. Recitato
dall'Inquisitore le ultime Orazioni, finalmente diede l'assoluzione ad
cautelam a' Penitenti, alcuni de' quali piangean dirottamente, per lo
pentimento de' commessi errori: e molti de' Spettatori per tenerezza e
divozione nel vederli riuniti alla S. Chiesa, da cui erano stati staccati
dall'incorse censure. Durarono queste funzioni circa ora una, e mezza.
Finita l'assoluzione, discesi dal Solio gli
Assoluti, si riunirono agli altri Penitenti, i nomi, e cognomi de' quali colla
nota della lor patria, delitti, e pene, si soggiungono distintamente nel
Capitolo seguente.
CAPITOLO DECIMOTERZO.
Compendioso Ragguaglio de' Rei riconciliati, loro delitti, e pene.
PENITENZIATA
SENZA ABIURAZIONE.
1.
Suor Pietra Maria di Gesù
Pinzochera de' Riformati di S. Francesco, nel secolo chiamata Giovanna
Selvaggio, nativa della Terra di Chiaramonte, della Diocesi di Siracusa, di
anni 31. Per testimonianza falsa, e maliziosamente varia in materia grave di
Fede: avendo falsamente accusato di sollecitazione([52]) un Confessore,
fu condennata a stare racchiusa per due anni nelle carceri del S. Tribunale; e
dapoi a tre anni di esilio da Chiaramonte, Palermo e Corte di Sua Cesarea
Cattolica Maestà.
PENITENTI, CHE
ABIURARONO DE LEVI([53]).
2.
Antonino Casale Nativo di Mascali, e
abitatore della Città di Jaci Reale, Diocesi di Catania, di anni 36.
Bordonaro, Bestemmiatore ereticale, abjurò de levi. Uscì
nel pubblico spettacolo con mordacchia in bocca: fu condennato alla pubblica
vergogna per la Città di Palermo, senza sferzate: ed esiliato per un
anno da Mascali, Ciarri, Palermo, e Corte di Sua Maestà Cattolica
Cesarea.
3.
Antonino Gorgone, altrimente Galluzzo,
nativo della Terra di Bronte, Diocesi di Monreale, di anni 52, uomo di
campagna, Bestemmiatore ereticale, abjurò de levi e fu assoluto ad
cautelam. Uscì egli nel pubblico spettacolo con mordacchia in bocca.
Fu condennato alla vergogna per le pubbliche strade della Città senza
sferzate, e all'esilio per tre anni da Bronte, Palermo, e Corte di Sua
Maestà Cattolica Cesarea.
4.
Anello di Martino nativo della
Città di Napoli, ed abitator di Palermo, di anni 44, Calzolajo,
Bestemmiatore ereticale, e reo di sacrilega frattura di sacre Immagini,
abjurò de levi. Fu assoluto ad cautelam, e condennato a
girar con vergogna per le pubbliche strade della Città, senza sferzate;
e poi al remo per tre anni([54]) sulle regie
Galee senza soldo, e in fine esiliato per tre anni da Palermo, e Corte di Sua
Cattolica Cesarea Maestà.
5.
D. Giovanni Pilo Chierico insignito de'
quattro Ordini Minori, di anni 22, nativo della Città di Caltagirone,
Diocesi di Siracusa, per essere stato Sortilego, e bestemmiatore ereticale,
abjurò de levi: fu assoluto ad cautelam, e condennato a
stare racchiuso per tre anni in un Convento, da scegliersi ad arbitrio del S.
Tribunale, e poi all'esilio per due anni da Caltagirone, Palermo, e Corte di
Sua Cattolica Cesarea Maestà.
6.
Giuseppe Guzzanca, nativo della Terra
della Giojosa, Diocesi di Patti, abitator di Palermo, di anni 26, Cuoco. Per
essere stato Poligamo, abjurò de levi. Fu condennato a girar con
vergogna per le pubbliche strade della Città di Palermo senza sferzate;
e all'esilio per tre anni dalla Giojosa, Piraino, Palermo, e Corte di Sua
Cattolica Cesarea Maestà,
7.
Ignazio Guelli, nativo della Licata,
Diocesi di Girgenti, e abitatore di Palermo, di anni 22, Paggio, anch'egli
Poligamo, abjurò de levi. Fu condennato ad uscir alla vergogna
per le strade pubbliche della Città senza sferzate, e al remo sopra le
Galee per tre anni.
8.
Agatino Fauciglia, nativo della Città
di Nicosia, Diocesi di Catania, ed abitatore di Palermo, di anni 24,
Rappezzatore di scarpe. Pur egli per essere stato Poligamo, abjurò de
levi. Ebbe la pena di uscire alla vergogna per le pubbliche strade con
isferzate, e di remar sopra le Galee per tre anni.
9.
Antonino Gervasi, nativo della Terra di
Vittoria, Diocesi di Siracusa, ed abitatore della Città di Trapani, uomo
di Campagna, di anni 45, perchè Poligamo, abjurò de levi.
Fu sottoposto alla pena di uscir alla vergogna per le pubbliche strade di
Palermo con isferzate: e per tre anni al remo sulle Galee.
10. Alessandro
Ingargiola, nato nella Terra di Carini, Diocesi di Mazzara, di anni 47, uomo di
Campagna, dichiarato Poligamo, abjurò de levi, e fu condennato
alla vergogna per le pubbliche strade, e al remo sulle Galee per tre anni.
11. Giuseppe
Perricone, nativo della Terra di Leonforte, Diocesi di Catania, e abitatore
della Sala di Partitico, Beccajo, di anni 48, convinto di Poligamia,
abjurò de levi. Fu condennato alla pena della pubblica frusta, e
al remo per cinque anni sulle Galee.
12. D.
Giulio Maurici, nato nella Terra di Palma, Diocesi di Girgenti, abitatore di
Palermo, di anni 35. Fu egli Poligamo Similitudinario, per lo delitto di aver
contratto matrimonio essendo insignito dell'ordine sacro del Diaconato,
abjurò de levi, e fu condennato per anni cinque a stare racchiuso
nelle carceri della Penitenza, o in altro luogo ad arbitrio del Santo
Tribunale: e dapoi, all'esilio di anni due da Palermo, Palma, e Corte di Sua
Maestà Cattolica Cesarea.
13. Vincenzo
Jaci, altrimente detto Piedi di Castro, nativo di Daidone, Diocesi di Catania,
e abitatore della Città di Piazza, di anni 48, per essere stato
Sortilego ereticale, abjurò de levi. Fu condennato all'esilio per
tre anni da Piazza, Palermo e Corte di Sua Maestà Cattolica Cesarea.
14. Anna
Curcia, altrimente Sarna, nativa della Città di Palermo, di anni 39,
come Sortilega abjurò de levi, e fu condennata a vivere racchiusa
nelle Carceri del Tribunale per un anno.
15. Giovanna
Crescenti, nata nella Città di Marsala, Diocesi di Mazzara, abitatrice
di Castelvetrano, di anni 25, anch'ella Sortilega, abjurò de levi,
e fu condennata a stare racchiusa per un anno nelle Carceri del Tribunale.
16. Catarina
Castiglione, nativa della Terra Reffaudale, Diocesi di Girgenti, d'anni 38, per
essere stata Sortilega, e Fattucchiera, abjurò de levi, e fu
sottoposta alla pena dell'esilio per un anno dalle Terre di Reffaudale, e
Joppolo, e dalla città di Palermo, come pure dalla Corte della Cattolica
Cesarea Maestà.
17. Catarina
la Fenestra, nata nella Città di Marsala, Diocesi di Mazzara, e
abitatrice di Palermo, di anni 35, anch'ella Sortilega, e Fattucchiera,
abjurò de levi. Fu condennata alla pubblica frusta, e a restar
carcerata per cinque anni nelle Carceri del S. Uffizio.
18. Fra
Giuseppe Minneci, Romito, chiamato nel Secolo Pietro Minneci, nativo della
Terra di Petralia, Diocesi di Messina, di anni 35, per Sortilegj, e
proposizioni ereticali; come ancora per conservare polize superstiziose, abjurò
de levi. Ebbe la pena di servire in uno Spedale, o altro luogo ad
arbitrio del Tribunale, per tre anni.
19. Fra
Lorenzo di S. Pietro di Patti, Diocesi della Città di Patti, Laico degli
Osservanti di S. Francesco, nel Secolo chiamato Girolamo Calcerano, di anni 35,
per comunicazione familiare col Demonio, Sortilegj qualificati, e per valersi
di scongiuri superstiziosi, abjurò de levi. Fu assoluto ad
cautelam, e condennato a stare racchiuso in un Convento del suo Ordine per
cinque anni ad arbitrio del Tribunale: con che il Superiore del Convento
dovesse designare un soggetto de' più qualificati per doverlo coltivare
nella vita Spirituale: e il suddetto Superiore fosse obbligato per ogni sei
mesi dar conto al Tribunale de' suoi costumi, e miglioramento di essi.
20. Vincenzia
Cinquemani, nativa della Terra di Canicattì, Diocesi di Girgenti, di
anno 60, come Sortilega, e Fattucchiera abjurò de levi. Fu
gastigata colla pubblica vergogna per le strade di Palermo senza sferzate in
riguardo alla sua età, e colla carcerazione per cinque anni nelle
Carceri del S. Uffizio.
21. Anna
Lauretta, altrimente chiamata la Indovina, nativa della Città di Modica,
Diocesi di Siracusa, di anni 36, per essere stata Sortilega ereticale, e
Fattucchiera, abjurò de levi. Fu condennata ad uscir per le
pubbliche strade con isferzate, e a restar racchiusa per cinque anni nelle
Carceri del Tribunale.
22. Maria
Tamburello, nativa della Città di Marsala, Diocesi di Mazzara, di anni
35, per Sortilegj qualificati con effetti seguiti, e perchè
Fattucchiera, abjurò de levi. Ebbe la pena della pubblica
vergogna per le strade con isferzate, e poi a restar racchiusa nelle Carceri
del Tribunale per cinque anni.
23. Agatuzza
Romeo, nativa della Terra della Pagliara, Diocesi di Messina, di anni 50,
convinta per Sortilega ereticale, e per Fattucchiera, abjurò de levi.
Fu assoluta ad cautelam,condennata alla pubblica frusta, e dapoi a
starsi racchiusa nelle Carceri del Tribunale per cinque anni.
24. Rosa
la Barbera, nativa della Terra di Partinico, Diocesi di Mazzara, e abitatrice
di Leonforte, di anni 33, Sortilega ereticale, e Fattucchiera, abjurò de
levi. Fu assoluta ad cautelam, e fu condennata alla frusta per le
pubbliche strade con ducento sferzate; e poi ad esser racchiusa nelle Carceri
del Tribunale per sette anni, due de' quali si riserbarono ad arbitrio dello
stesso Tribunale.
25. Paolo
Vavaro, nativo della Sala di Paruta, Diocesi di Mazzara, di anni 66, per
Sortilegi, e Superstizioni, fu penitenziato, ed abjurò de levi nell'Atto
particolare di Fede celebrato addì 11 Settembre del 1721, ma
perchè ricadde negli stessi delitti, e per aver celebrato Messa, senza
essere Sacerdote, di nuovo abjurò de levi, e fu condennato alla
pubblica vergogna per le strade della Città, colla giunta di sferzate, e
a perpetua carcere nelle Carceri del Sant'Uffizio, o in altra parte ad arbitrio
del Tribunale.
26. D.
Giuseppe San Marco, altrimente nominato Donato, nativo della Terra di Militello
Valdemone, Diocesi di Messina, di anni 33, per aver celebrato molte volte
Messa, e messosi ad udir le altrui confessioni senza essere sacerdote: e
inoltre per aver più volte fuggito dalle Carceri del Tribunale,
abjurò de levi, e fu condennato al remo sulle Galee per anni
dieci.
RILASCIATI IN
PERSONA AL BRACCIO SECOLARE.
27. Suor
Geltruda Maria Cordovana, Terziaria dell'Ordine di S. Benedetto, nel Secolo
chiamata Filippa Cordovana, nativa di Caltanissetta, Diocesi di Girgenti, di
età di anni 57, Eretica formale, Molinista, e Quietista, perchè
ostinata nelle sue enormità, ed errori, fu rilasciata al Braccio Secolare,
e condennata al fuoco.
28. Fra
Romualdo di S. Agostino, Laico dell'Ordine degli Agostiniani Scalzi, nel Secolo
chiamato Ignazio Barberi, nativo pur di Caltanissetta, Diocesi di Girgenti, di
età di anni 58, Eretico formale, Molinista, Relasso, e Settario di molte
eresie; perchè impenitente, e pertinace ne' suoi errori, fu anch'egli
rilasciato al Braccio Secolare, e condennato alla meritata pena del fuoco.
Ma di questi due ultimi ci conviene dare più
distinto ragguaglio nel seguente Capitolo; per conoscere al vivo la
pietà del S. Tribunale, e la rettitudine della sua severa giustizia; e
insieme in qual baratro può precipitarsi l'umana malizia: motivo ben
efficace per adorare, e conoscere insieme quanto sian formidabili i divini
giudizj.
CAPITOLO DECIMOQUARTO.
Ristretto de' delitti de' due Rei pertinaci, e diligenze praticate
dal S. Tribunale per convertirli.
Le gravissime enormità, nelle quali cadde
Suor Geltruda Maria Cordovana, diedero l'impulso a varie persone di portarne le
dovute denunzie al S. Uffizio: onde a 27 Giugno del 1699, fu carcerata dal S.
Tribunale, sottoposte a sottilissima esamina le accuse, fu ritrovata Superba,
Scandalosa, Ippocrita, Temeraria, e Vanagloriosa: e macchiata di molti delitti
contro la Santa Fede, fu conosciuta ingannata, Molinista e Quietista([55]).
Si vanagloriava che il suo spirito si fosse
avanzato ad un altissimo grado di perfezione, e a cinque Unioni con Dio, da lei
chiamate, la prima Unione di Matrimonio: la seconda di Cognizione della SS.
Trinità: la terza di Matrimonio col Corpo di Cristo: la quarta di
Matrimonio colla Croce di Cristo: e la quinta col Crocifisso Glorioso in Cielo.
Indi dicea, essere stata sublimata ad altra Unione di Trasformazione,
immaginando inalzata l'anima sua con più perfetta cognizione, e grazia
ad un grado senza comparazione maggiore, a tal segno, che se prima in tutto e
per tutto operava in modo passivo, con questa nuova trasformazione non l'era
restata cosa alcuna di tal operazione: onde se parlava, camminava, guardava, e
facea qualsivoglia altro esercizio, vedea non esser più ella, ma che
Iddio in Lei operava. Quindi mentre camminava le pareva andare agilissima.
In una conferenza fatta con altra Pinzochera,
disse, che amendue eran perfette, con questo divario, che v'ha fra due vasi
d'acqua, un de' quali sia sol pieno per sè, e tale essere la Terziaria,
cui ragionava; e l'altro talmente soprapieno, che versi l'acqua al di fuori,
come era essa, che diffondea ad altrui benefizio.
Si vantava avere ottenuta grazia, che quante volte
ella guardava, chi da lei fosse guardato, con gli occhi suoi, come da due
saette restasse ferito; e vaticinava, doversi dare a vita spirituale, quando a
Dio piacesse: e che nel rimirare uno, egli sentì schiantarsi il cuore
dal petto, risoluto di consagrarsi a Dio.
Disse talvolta, trovarsi nella notte oscura de'
sensi. Altra volta, che era già nello stato de' godimenti e sponsalizio
spirituale; che era arrivata all'Orazione di pura Fede, e indifferenza.
Ad una Terziaria, cui era stato vietato dal
Confessore il comunicarsi, spacciandosi per Maestra di Spirito, più che
ogni Direttore illuminata, le comandò, che si comunicasse, con dirle: Va,
comunicati: che sà il tuo Confessore?
Per alcun tempo si comunicò con due
particole, stimandosi dotata di più perfezione, e degli altri più
meritevole. Più volte proruppe in manifesto disprezzo de' Confessori,
delle Prediche, degli Esercizi spirituali, e del SS. Rosario di Maria Vergine:
ed ebbe a sdegno il sentir nominare Gesù Bambino.
Permise esserle tagliati alcuni de' suoi capelli,
che cusciti in una borsetta con reliquie di Santi, diede al Confessore per
portarli in dosso, affine, che fossero antidoto contro le tentazioni: e in
virtù di essi restasse libero da' stimoli impuri del senso.
Diceva l'indegna, che la SS. Vergine le avea
rivelato, che gli atti impuri praticati col Confessore, non solo non erano
illeciti, nè peccaminosi, ma che accrescevan la purità. Non
tollera la modestia, che si spieghino dalla penna le molte laidezze, ed
enormità contro il decoro dell'onestà, secondo le pestilenti
massime dell'empio Michele Molinos, anche sagrilegamente praticate ne' luoghi
più santi: stimando l'ingannata, essere di mirabile accrescimento alla
purità([56]).
Si vantava in fine scioccamente, che fosse arrivata
a stato d'impeccabilità, nello stesso tempo, che non avea orrore di
aggravar la coscienza con nuove, e più enormi colpe, e sagrilegi.
Di questi, ed altri delitti accusata, stando avanti
i Signori Inquisitori, niegò prima il tutto, spacciandosi innocente. In
altre udienze poi, una e due volte confessò vere le sue enormità,
alcune delle quali inorpellò con varie scuse, e sol niegò alcune
circostanze. Ma in altra udienza appresso, niegò quanto aveva confessato,([57]) e andò
in furia, fingendosi pazza.
Ricorrendo il Santo Tribunale agli atti della
Cristiana carità, replicò più e più volte amorevoli
ammonizioni, e applicò l'opera di diversi Religiosi, e Teologi, di
singolar dottrina, e spirito, affine di cavarla dal profondo della sua
ostinazione, e ridurla a penitenza. Sudaron essi molto tempo, ma senza
profitto, aggiungendo ella a' narrati errori varie altre sciocchezze;
poichè dicea sé esser più pura della SS. Vergine: unita
perfettamente a Gesù Cristo: che sentivasi nel cuore l'assistenza della
SS. Trinità: che era impeccabile, e perciò non potea confessarsi:
che gl'Inquisitori eran Ministri del Demonio, e che la perseguitavano
innocente.
Conchiuso il suo processo, il S. Tribunale col
consiglio de' suoi Consultori venne alla diffinitiva sentenza a' 6 Febbraio del
1703, e con tutta pietà, e piacevolezza obbligò la Rea a
comparire in forma di penitente nella Camera del Sant'Uffizio alla presenza de'
Signori Inquisitori, e Ministri del Secreto, ma a porte chiuse([58]).
Stabilì con somma benignità, che in questa forma si leggesse il
suo processo: abjurasse ella i suoi errori, e gravemente ripresa, e ammonita,
fosse assoluta ad cautelam; e consegnata poi a persona dotta, e
prudente, da lui fosse istruita, e guidata nella vita cristiana; lasciando al
suo arbitrio le penitenze salutevoli, che dovesse imporle. Ma la Rea,
ritrovandosi alla presenza degli Inquisitori, montò in tanta furia, che
bisognò ritenerla ben forte, e metterle una mordacchia, per non parlare
a sproposito: e nientedimeno, dibattendosi con disperato furore, bisognò
interrompersi quell'atto, e restituirsi alla carcere.
Ad un Religioso, applicato dal Tribunale per
esortarla a ravvedersi, promise voler fare l'abjurazione de' suoi errori, ed
abbracciar la penitenza, che le si offeriva: ma nell'atto di volerla eseguire,
ritornò a' suoi propositi, e alle sue furie; manifestandosi tanto
più impenitente, e temeraria, quanto più soprabbondava la
pietà del Tribunale in tollerarla in profitto dell'anima sua.
Altri Religiosi di approvato spirito per lungo
tempo sudarono, per ordine del S. Tribunale, per farla ravvedere, e conseguirne
il pentimento. Le si posero avanti agli occhi il pericolo dell'anima: se le
minacciò il rigor delle Leggi, che disponevano abbandonarsi, come
impenitente, e incorreggibile, al Braccio Secolare, per ricevere il meritato
gastigo: ma Ella o ammutoliva, o si allontanava, per non udire esortazioni, e
ragioni: non volea recitare orazione alcuna, che se le dicesse, anzi nè
meno udirla: nè volea mostrar segno alcuno di cristiana.
Ancorchè si praticassero in appresso dal S.
Tribunale altri atti di sopraffina carità, per acquistare una volta il
suo pentimento e le fossero concedute molte udienze: tutto per lei fu inutile.
Altro alle paterne ammonizioni non rispondea, che volea andarsene libera a casa
sua, poichè niente vi era di vero nel suo processo: e inviperita con
atti superbi, e irriverenti, facea violenza per partire; manifestando sempre
diabolica ostinazione.
Mostrando furie da pazza, volle accertarsi il
Tribunale se fosse di sana mente, onde applicò varj Medici per osservare
lo stato di sua salute: e da essi messa a diligente esamina per molto tempo,
attestarono più volte con giuramento, essere in istato di piena salute.
Dopo una lunga tolleranza a' 23 Settembre del 1705
si venne alla diffinitiva sentenza, che essendo eretica formale, impenitente e
incorreggibile, dovesse rilasciarsi al Braccio della Corte Secolare. Fu
approvata la sentenza dal supremo Consiglio della S. Inquisizione di Spagna a'
26 Novembre 1705. Nulladimeno con singolar pazienza tollerata parecchi anni,
adoperò il Tribunale altri nuovi, ed efficacissimi mezzi per invitarla a
penitenza; ma senza frutto. Finalmente mandato puntuale ragguaglio della sua
causa, processi, e sentenza all'Ill. e Rev. Monsig. Vescovo de Alvarrazin,
Inquisitore Generale di Spagna, residente nella Cesarea Corte di Vienna, con
dispaccio de' 29 Ottobre 1720, fu da lui approvata la sentenza, e
comandò, che si eseguisse, colla celebrazione d'un Atto Generale di
Fede, che è quello, che si fece, e in questa relazione si descrive.
Non furono meno enormi gli errori di Fr. Romualdo
di S. Agostino, siccome non fu inferiore e la sua pertinacia, e la pietà
seco esercitata dal Santo Tribunale. Egli nell'anno 1699 preso, e racchiuso
nelle Carceri Secrete del Sant'Uffizio, fu riconosciuto e convinto per
Quietista, Molinista, Reo di molti delitti, ed Eretico formale. Nulladimeno
mostrando pentimento, apparve coll'abitino giallo nel pubblico spettacolo
celebrato a' 4 di Giugno, del 1703 nella Chiesa di S. Domenico di Palermo, ed
abjurò de vehementi. Giurò allora di ubbidire a quanto
avea detto nell'abjurazione, e di eseguire la pena impostagli, che fu, di stare
racchiuso per tre anni in un Convento della sua Religione: che occupasse
l'ultimo luogo fra' Laici in tutte le funzioni: e nel detto tempo fosse dato in
cura ad un Padre spirituale dotto, e prudente; rimettendo il S. Tribunale al
suo arbitrio l'imporgli le penitenze salutari, che stimasse profittevoli all'anima
sua.
Dopo questa abjurazione, fu mandato in apparenza di
pentito al suo Convento di S. Niccolò Tolentino, ove da' Sig.
Inquisitori gli fu assegnato Confessore particolare, che volendolo più
volte disporre alla Confessione, non potè mai ottenerne il piegarsi a
farla; vomitando infinite, ed enormi sciocchezze. Dicea, che quanto avea
confessato nel Sant'Uffizio l'avea detto, perchè così gli avean
fatto dire: ma che Egli non era macchiato da colpa alcuna, ed era più
puro dell'Immaculata Concezione: che non avea avuto volontà di giurare
nell'abjurazione: che era stato condannato innocente, e che volea ricorrere al
Papa. Fu ammonito più volte dal Confessore, a raffrenar la lingua, e a
riconoscere i suoi errori; ma senza giovamento: onde portata la notizia della sua
ricaduta al Tribunale, egli coll'esercizio della sua costumata carità,
mandollo nel Convento di S. Gregorio, luogo di Noviziato del suo Ordine, ove
gli furono assegnati Religiosi, dotati non men di dottrina, che di spirito, per
ridurlo a penitenza; ma senza frutto. Quindi fu trasferito nel Convento di S.
Domenico de' Padri Predicatori, e nell'altro de' Carmelitani Scalzi, ove
esortato con tutta efficacia da' Religiosi d'amendue questi Conventi, si
mostrò sempre ostinato: e in tutto questo tempo aggiunse alle passate,
nuove eresie, e delitti. Sicchè conosciuto incorreggibile, nel 1706 fu
ritornato alle carceri del Sant'Uffizio. Anderebbe in lungo questo ragguaglio,
se si avesse a far catalogo di tutti i suoi errori: i principali pubblicati nel
suo processo, ed uditi con orrore, furono i seguenti.
Dicea avergli Dio rivelato, che gli erano stati
perdonati i suoi peccati, e che non dovea più confessarsi: che sentivasi
serena la coscienza: ed essere impeccabile per grazia, anche venialmente. Che
il Demonio tal volta lo tentava di confessarsi, ma che egli non acconsentiva,
perchè Dio non voleva, che si confessasse.
Asseriva, che se il Sacerdote, o altro battezzava
in istato di peccato mortale, l'Infante non ricevea il Santo Battesimo:
nè lo ricevea un Adulto, se trovavasi in peccato grave. Che il
Confessore essendo in peccato mortale, non avea potestà d'assolvere. Che
se l'Uomo, e la Donna si legavano in Matrimonio in peccato mortale, non erano
veri sposi.
Niegava con gli Ebrei il Mistero dell'Incarnazione;
onde nell'Ave Maria non volea in conto alcuno dire le parole Dominus tecum:
nè S. Maria Mater Dei. Nel simbolo della Fede non voleva dire Jesum
Christum Filium ejus: nè Crucifixus, mortuus et sepultus. Non
potè mai esser persuaso a dire la Salve Regina: anzi avea in odio
il Nome Santissimo di Maria Vergine.
Dicea esser dieci i Comandamenti di Dio: e
stimolato a dire quali fossero, aggiungea. Primo:amare Dio: Secondo: Io son
Profeta; e non passava avanti. Si vanagloriava scioccamente esser Profeta
di Dio, Angelo, ed Arcangelo Michele: che era favorito da Dio con ratti, ed
estasi, e che il Signore gli avea comunicato due belle dottrine, la prima di
difender la menzogna: l'altra di verificar tutto, rispondendo ad ogni
interrogazione: è della maniera, che è.
Con molte imprecazioni dileggiava lo stato di
alcuni Ordini Regolari, e molti Religiosi: dicea non essere obbligato ad
ubbidire a' suoi Superiori, perchè l'anima e il corpo eran di Dio.
Avendo bastonato un Religioso suo Fratello, e dettogli, che era incorso nella scomunica,
rispose, averglielo comandato Dio.
Affermava, che la Chiesa poteva errare in materia
di Fede. Dicea avergli Dio rivelato, che sola Fides sufficit per
salvarsi; esclamando quante volte volea alcuno disingannarlo: Fede Fede vi
vuole, e non altro. Niegava il Demonio potersi trasfigurare in Angelo di
Luce, e di Dio, e in apparenza di Maria Vergine.
Avea in odio il S. Tribunale, dicendo che il Santo
Uffizio era un'inganno del Diavolo; e in particolare quel di Sicilia: e che non
dovea chiamarsi Santo, secondo gli avea detto Iddio. Che F. Diego la Mattina,
bruciato vivo in Palermo nel 1658 come eretico, era santo Martire: e
lodava il Molinos, ed altri Eretici condennati dalla Santa Chiesa.
Si vantava esser più puro della SS. Vergine,
quando che stavasi immerso con estrema dissolutezza in abominevoli
enormità, e laidezze; essendo stato sporchissimo in materia di
disonestà, e senza vestigio di rossore. Ma la modestia ci obbliga a
tacere il particolare delle sue sozzure.
Le tante sciocche proposizioni, che profferiva
parean vomitate dalla bocca d'un forsennato, onde si dubitò
ragionevolmente, se egli fosse scemo di cervello. Quindi volendo camminare il
S. Tribunale con vigilante prudenza, e sicurezza, applicò i Medici
più periti della Città per esaminar lo stato di sua salute.
Fu da essi più volte con tutta esattezza
osservato, per dare un maturo giudizio della sua sanità, e più
volte fecero relazione, confirmata con giuramento, che fosse in ottima salute;
e che fingesse pazzia per occultare la sua ostinazione, e la sciocchezza de'
suoi ereticali errori.
Non lasciò la pietà del Tribunale in
tutto il lungo corso degli anni, che stette rinchiuso nelle carceri del
Sant'Uffizio, di applicare i mezzi più proprj per guadagnare la
conversione del Reo; poichè destinò diversi Teologi, dotati di
singolar virtù e dottrina, per disingannarlo, e con ferventi esortazioni
ridurre il sedotto Romualdo alla vera Fede: ma non fu possibile di riportare
da' lor sudori il frutto desiderato. Cadde sempre su dura pietra il seme de'
loro discorsi; potendosi ben credere essere un di quelli accennati da Zaccaria([59]) che noluerunt
attendere, et averterunt scapulam recedentem, et aures suas aggravaverunt ne
audirent, et cor suum posuerunt ut adamantem, ne audirent legem et verba, quae
misit Dominus.
Stimandosi disperato il ravvedimento, il S.
Tribunale colla consulta de' suoi Consultori, e Qualificatori, venne alla
diffinitiva sentenza a 3 Settembre del 1709 che essendo Eretico formale,
Relasso, Impenitente, e ostinatissimo, dovea rimettersi al Braccio Secolare
della Corte Capitaniale.
Fu mandata copia del suo Processo, e sentenza al
Supremo Conseglio della S. Inquisizione di Spagna, che rispose a 11 Aprile, e 9
Maggio 1712, ordinando con abbondante ed eccessiva pietà, di farsi nuove
diligenze spirituali, e giuridiche per ridurre il Reo a penitenza; e si fecero
soprabbondantemente negli anni appresso, secondo gli avvisi di quel Tribunale:
onde s'adoperarono tutti i possibili mezzi così spirituali, come
temporali. Altri Religiosi accesi di santo zelo s'affaticarono per la sua
conversione: ma si discoprì sempre più enorme la sua durezza.
Finalmente trasmessa distinta relazione de' suoi
processi e sentenza all'Ill. e Rev. Inquisitor Generale il soprallodato Monsig.
Vescovo de Alvarrazin residente in Vienna nella Corte dell'Augustissimo
Monarca, egli a' 29 Ottobre del 1720 confermò la sentenza tanti anni
prima fulminata, e ne comandò l'esecuzione, colla celebrazione d'un Atto
Generale di Fede. Non lasciò nulladimeno la pietà singolare del
S. Tribunale di proseguir nuove diligenze, per ottener la quanto disperata,
altrettanto bramata salute di quest'anima. Nuovi Teologi dotati d'esemplare
perfezione e profonda dottrina, si studiarono di rimetterlo in buon senno, e
fecero l'ultime prove della loro carità: ma egli si mostrò vie
più pertinace, ed impenitente: anzi con accrescimento di nuovi errori,
vomitava nuove eresie, facendosi conoscere seguace di altri Eretici condannati
dalla Santa Chiesa Cattolica Romana. Or ammutoliva alle ragioni, e preghiere, e
dava in rabbiosi contorcimenti. Or l'infelice sedotto si spacciava per Angelo:
or per un Dio. Profondato ne' precipizj di più abominevoli errori dicea
che Dio avea già levato il Giudizio, Inferno, e Purgatorio. Che vi eran
più di cento Dei, e che Egli procedebat ex ore Altissimi. Che si
davan più Madri di Dio, che aveano avuto più figli, con altre
simili stravaganze: tanto che fece altra volta dubitare, se la sua mente si
trovasse lesa da qualche sorta di pazzia. Applicati per tanto dal S. Tribunale
altra volta i Medici più accreditati all'esamina di sua salute, dopo
mature, e diligenti osservazioni, attestaron con giuramento trovarsi in
perfetto stato di salute; e che non fosse già pazzo, ma simulasse
pazzia, per sostener la sua diabolica pertinacia. Quindi non restando al S.
Tribunale di adoperare altre diligenze, sì in riguardo alla giustizia,
sì anche a riflesso di pietà cristiana, venne all'esecuzione
della sentenza, colla celebrazione dell'Atto pubblico di Fede.
Fu ella in vero di sommo spavento la perdizione di
costui, e la diabolica durezza: e fu considerato da tutti, a qual precipizio, e
irreparabil rovina può arrivare l'umana malizia. Avrebbe Egli dovuto
apprendere massime di altissima perfezione, e di santa vita in quel rigoroso,
ed esemplare istituto, che professava: e dalle virtù di tanti Religiosi
che in esso han sempre fiorito ornati di consumata perfezione. Nulladimeno
declinando da quei principj, che succiò da esso ne' primi anni della sua
vita religiosa, diede in tali eccessi di enormità, che parvero opere
più tosto, e sentimenti di pazzo, che di persona ragionevole: ma eran
frutto d'un'ostinata malizia, che lo rese incapace d'ogni sentimento di
pietà Cristiana. Lo stesso dee argomentarsi dell'altra Rea Suor
Geltruda, i cui principj si raccontano dirizzati ad alta perfezione. Ma non
debbon le cadute, ed enormità di costoro recarsi a colpa degli Ordini
Religiosi, e santi, che professarono, come l'ignoranza di taluno potrebbe
opponere. Il difetto d'un solo membro putrido non dee rifondersi a tutto intiero
il corpo: nè per un frutto guasto dee condannarsi tutto l'albero.
Così la colpa d'un Religioso, non dee ascriversi a tutto l'Ordine
regolare, che professarono, come dottamente scrisse l'Angelico S. Tommaso([60]): Non
propter hoc infamandum est Religiosorum Collegium, si aliqui ex eorum numero
gravia etiam peccata, committunt: alias simili modo et Apostolorum Collegium
vituperabile fuit propter hoc quod dicitur: nonne duodecim vos elegi, et unus
ex vobis diabolus est?
CAPITOLO DECIMOQUINTO.
Ritorno degl'Inquisitori, e della Croce al Palazzo del S. Uffizio.
Mentre i Rei Pentiti facean l'atto
dell'abjurazione, si levò la Santa Croce Verde dell'Altare dal P. D.
Placido Vanni Chierico Regolare, seguito da due altri Teatini; e accompagnato
da molti Preti con torce accese in mano, che la precedeano, si portò
vicino alla scala, per cui si saliva al Solio de' Sig. Inquisitori, per poi
riportarla al Palazzo del S. Uffizio, come si dirà in appresso.
Terminata l'assoluzione, nel modo narrato, ad ore
23 e non restando altro, che fare a' Signori Inquisitori, mandarono Essi
ambasciata di complimento al Senato, ragguagliandolo, esser già
terminato l'Atto Generale della Santa Fede, e che detti Signori Inquisitori
attendevan gli ordini dell'Eccellentissimo Senato. A quest'ambasciata
s'alzò il Senato, e si trasferì al Solio degl'Inquisitori: ove
giunto, scesero dal loro Solio gl'Inquisitori, ringraziando il Senato per la
grave fatica sostenuta in quel giorno: e seguendo scambievoli atti di cortesia,
s'incamminarono per iscender dalla scala secreta dietro il palco. Precedean gli
Alabardieri del Vicerè: indi la famiglia degl'Inquisitori, gli Ufficiali
maggiori del Tribunale, il Pro-Fiscale: i due Mazzieri del Senato colle insegne
inalberate, dopo de' quali seguiva il Pretore, e Senatore Priore con in mezzo
il primo Inquisitore: indi altri due Senatori col secondo Inquisitore nel
mezzo: e poi il terzo Inquisitore fra altri due Senatori; e appresso seguirono
gli Uffiziali nobili del Senato. Con quest'Ordine discesi, entrarono nella
Cattedrale, e si portarono all'adorazione del SS. Sacramento; ringraziando la
Divina Maestà della felice condotta dell'Atto della Fede, e del glorioso
Trionfo riportato de' Sagrilegi spregiatori della Cattolica Religione. Passaron
poi alla Cappella di S. Rosalia, ove fecero lo stesso; ed uscirono dalla Porta
Settentrionale di rimpetto alla Badia Nuova: Arrivati alla ferrata del portico
di essa Porta, si licenziarono gl'Inquisitori dal Senato, entrando nella
carrozza del Vicerè ivi preparata; deponendo prima le berrette, e
ripigliando i cappelli: e con essoloro andò al il Pro-Fiscale. Per la
strada del Cassaro a dirittura si portarono al loro Palazzo del Sant'Uffizio;
precedendo gli Alabardieri del Vicerè.
Partiti gl'Inquisitori, anche il Senato
entrò nella sua carrozza, e co' suoi Uffiziali in appresso
s'incamminò verso il Baluardo dello Spasimo per veder l'ultimo atto
della tragica azione degli Ostinati, che dovea finir col fuoco. Arrivati al
baluardo, ad ore 23 e mezza, il Senato con gli Uffiziali si assise in una parte
del palco ivi eretto; e in altra parte vi fu la Principessa Moglie del Pretore,
con molte Dame invitate. L'arrivo fu opportuno, in tempo, che i carri de' Rei
eran già arrivati in poca distanza dello steccato: e fra tanto si
passò un copioso rinfresco.
Nello stesso tempo, che gl'Inquisitori, e Senato
diedero la mossa per uscir del Teatro, la Congregazione della Pescagione
riordinata in Processione, s'incamminò per riportar la Croce Verde, e li
Rei assoluti al Palazzo del Sant'Uffizio. Precedettero i Portieri del
Tribunale: indi lo Stendardo Verde della Congregazione, e in appresso la Croce
della Parrocchia di S. Niccolò la Calza, colla Croce svelata. Seguirono
i Fratelli della Congregazione, parte de' quali andarono due a due con torce
accese alle mani, altri si applicarono alla custodia de' Rei, che seguivano
colle candele accese; custoditi ancora da altri Portieri, e Familiari del
Sant'Uffizio: Indi succedeano i Preti con torce accese, e in ultimo la Croce
Verde disvelata, che era portata dal detto Padre D. Placido Vanni senza
superpelliccia, ma nel suo abito Religioso.
S'avviò la Processione per lo Cassaro sino
al palazzo del Tribunale: e saliti sopra, furono i Penitenti Rei riconsegnati
all'Alcaide del S. Uffizio: rinserrati altra volta nelle carceri secrete, per
pagar poi la pena ad ognun di essi prescritta dagl'Inquisitori, secondo il
merito della loro causa. I Fratelli però della Congregazione
s'avanzarono sino alla Cappella, ove eran già arrivati gli Inquisitori,
che all'apparir della Santa Croce, si posero genuflessi: e il P. D. Placido la
depose a piè dell'Altare; collocata poi con gran riverenza sullo stesso
Altare. Indi recitate alcune orazioni, tutti si alzarono, e gl'Inquisitori resero
cortesemente le grazie al Padre Vanni, e a' Fratelli della Congregazione, per
le tante fatiche sostenute in servizio del S. Tribunale.
Usciti dalla Cappella, il P. Vanni, e Preti
partirono: la Congregazione però collo stesso ordine s'incamminò
verso il piano di S. Erasimo, e s'avanzò verso lo steccato, per
assistere al funesto Spettacolo de' Rei ostinati, e ripigliar poi la sua Croce
Bianca.
CAPITOLO DECIMOSESTO.
Esecuzione della Sentenza contro gli ostinati Rei.
Ma tempo è già di chiuder questa narrazione
col racconto del fine deplorabile de' due Rei, che colla loro inflessibile
durezza si tiraron sul capo il meritato gastigo. Essi consegnati dalla Corte
Capitaniale a' Ministri della Giustizia, e a' Fratelli della Pescagione, furono
estratti dalla stanza, ove s'era pronunziata la loro sentenza. Fu fatta salire
sopra d'un carro tirato da' buoi Suor Geltruda sull'uscir della stanza: il
Carnefice la legò al palo, sopra di esso già preparato. Fra
Romualdo s'incamminò a piedi, e così passò per la strada della
Badia Nuova, e per lo Monastero de' Sett'Angioli, ove poco appresso la Chiesa
si trovò altro carro con due buoi, ed in esso salì l'Infelice,
legato colle mani addietro ad altro palo.
Non furon però abbandonati dalla
carità de' Teologi, ne' quali non era ancora spenta la speranza di
guadagnarli: onde sul carro di Fra Romualdo salirono D. Niccolò Bonanno,
e il P. Fr. Paolo di S. Filippo Mercennario Scalzo, vestiti coll'abito della
Compagnia: e senza abito il P. Niccolò Lavaggi della Compagnia di
Gesù, che affine di potervi intervenire, come Fratello della Compagnia
dell'Assunta, si pose sul capo il di lei Cappello azzurro. Sul carro di Suor
Geltruda ascesero D. Pietro Sant'Anna, D. Gio: Battista Ingoglia, il P. Lorenzo
Costa de' Minimi, e il P. Ignazio di S. Raimondo Mercennario Scalzo: pur
coll'abito della Compagnia. E questi Teologi tutti continuarono le loro
ferventi esortazioni, e ultime, e salutevoli ammonizioni incessantemente per
tutta la strada.
La Compagnia fra tanto uscita dal Teatro, e
passando avanti il Palazzo Arcivescovale, cominciò a scendere per la
strada del Cassaro, e si fermò alla punta del Monastero de' Sette
Angioli, e del piano della Cattedrale. Ivi passati prima gli Uffiziali della
Corte Capitaniale a Cavallo, che accompagnarono i Rei, seguì la
Compagnia, e poi i due Carri de' Rei custoditi da' Familiari del S. Uffizio, e
Congregati della Pescagione, circondati da un folto concorso di popolo, che
l'accompagnava con varj effetti. Chi escamava con atti di pietà, e
dolore, chiedendo per sé perdono, e misericordia a Dio: chi pregava la Divina
Clemenza ad illuminar la mente ottenebrata degl'infelici Rei: e chi detestava
la loro diabolica durezza.
Scesero per lo Cassaro con quest'ordine sino alla
Madonna del Cassaro, ove si venera un'Immagine della SS. Vergine, illustrata
dal Signore con molti miracoli, che l'hanno resa celebre dappertutto. Ivi si
fece fermare il carro di Fr. Romualdo: e i Padri assistenti rivoltatisi al
Popolo numerosissimo, pregaron tutti ad implorare la Divina Clemenza, e il
Patrocinio della benignissima Regina del Cielo: e a dar più fervore alle
preghiere, si fecero una pubblica disciplina([61]). Si commosse
tutto il Popolo a largo pianto, e diede in altissimi clamori, invocando la
Divina Misericordia, e la pietà della Vergine: onde si averebbe
intenerito in tal punto a quell'atto di sopraffina carità un cuor di
diamante. Solo Fra Romualdo fra tante lagrime, ed esclamazioni, si tenne
pertinace, ed immobile. Anzi non si potè ottener da' Padri, che
vivamente ne lo pregavano, che si rivoltasse a dare un solo sguardo
all'Immagine di Maria; ancorchè aggiungessero anche la violenza per
fargli rivoltare il capo, e fargliela vedere.
Avanzandosi all'imboccatura della strada de'
Centurinari, ed entrati in essa, si fermò altra volta il carro di Fr.
Romualdo avanti una devotissima immagine del Santissimo Crocifisso, che si
venera in un cantone in mezzo alla strada, per implorar la benignità del
Signore: e poi avanti la Chiesa de' Padri Conventuali, e si replicò da'
Sacerdoti assistenti, e dal Popolo la invocazione della Divina Pietà, e
la Clemenza dell'Immacolata Signora: ma egli coll'ostinazione, vie più
imperversata, demeritò la grazia del ravvedimento. S'avanzaron dunque
sino al Palazzo del Sig. Principe d'Aragona Capitano: indi rivolgendo il
cammino per la strada dell'Alloro, discesero sino al Monastero della
Pietà; e passando avanti la Chiesa di S. Mattia, Noviziato dei Chierici
Regolari Ministri degl'Infermi, uscirono per la porta dei Greci, portandosi al
piano di Sant'Erasimo, luogo del loro supplizio: riempito tutto dallo
sterminato concorso, affollatosi non tanto per vedere, quanto per compiangere
la perdita degl'Infelici.
Circa le ore 23 e tre quarti entrò nello
steccato il carro di Suor Geltruda, e quanto più avvicinava al luogo
della fornace, vie più cresceva ne' Teologi assistenti l'ardore del loro
santo zelo per ridurla a penitenza: ma l'Iniqua senza impallidire alla vista
del patibolo, altro non dicea, che era innocente, e ingiusto il Tribunale, che
l'avea condannata: senza riflettere al gran cumulo delle sue iniquità.
Indi entrò il carro, che portava Fra Romualdo, che dovea prima
bruciarsi: ma nello scender dal carro, fu maraviglioso il gran concorso della
gente, che s'affollò intorno ad esso. Cavalieri, Religiosi, e altri
d'ogni condizione, mostrando un immenso zelo della sua eterna salute, se gli
gettarono a' piedi, e chi con amorevoli rimproveri, chi con preghiere, chi con
atti di profonda umiliazione in ginocchio, e chi a forza di lagrime, si fece
lecito dimostrare la brama della sua salvazione, pregandolo a pentirsi, e ad
aver pietà dell'anima sua. Ma tutti parlavano e con gli occhi, e colla
lingua ad un sordo: tenendosi inflessibile senza dar minimo segno di
pentimento, e commozione. Questi amorevoli, e pietosi uffizi impedirono per
qualche spazio di tempo l'esecuzione del suo bruciamento: e fra tanto portata
sul patibolo Suor Geltruda, fu ivi legata al palo colle braccia a dietro e
colla faccia di profilo al Baluardo Vega. Allora i serventi, e infaticabili
Sacerdoti della Compagnia diedero l'ultime batterie al cuore indurito
dell'Ostinata. E veramente non è possibile spiegarsi dalla penna, quanto
sudassero per la sua conversione, tanto in tutta la strada, e sopra lo stesso
rogo negli ultimi momenti della sua vita infelice, affine di ravvederla de'
suoi errori. Ma alla fine stanca la loro energia, vedendo inutilmente sparse
tante loro esortazioni, sudori, e lagrime, furono astretti a ritirarsi per dar
luogo alla giustizia. Quindi prima se le bruciarono i capelli per farle provare
un picciol saggio degli ardori del fuoco; ma essa mostrò più
dispiacimento delle chiome, che dell'anima. Indi si diede fuoco alla sopraveste
di pece, se forse l'ardor delle fiamme le facessero aprir gli occhi: ma
conoscendosi tuttavia ostinatissima, si diede fuoco alle legna della fornace di
sotto, che consumando le tavole, sopra delle quali sedea l'indegna,
piombò dentro di essa, e vi restò consumata; spirando l'anima per
passare dal fuoco temporale all'eterno.
Mentre bruciavasi l'infame corpo, la Congregazione
levò dal suo luogo, ove era inalberata, la Croce Bianca, togliendola
dagli occhi degli Infelici: ma si trattenne a partire, aspettando l'esecuzione
della sentenza dell'altro. Prima di farlo ascedere sul patibolo, gli fu fatto
vedere l'esito dell'Infelice Geltruda per commuoverlo a terrore, e pentimento:
riscaldando al maggior segno l'esortazioni più veementi i Sacerdoti, e
durarono in questa batteria un grosso quarto: ma si sfiatarono invano,
poichè nè le fiamme vedute lo sbigottirono, nè le ammonizioni
lo commossero punto: onde si fece ascendere sul patibolo. Ivi il Principe di
Montevago, che avea portato lo Stendardo della Congregazione, con energia
Cristiana diede al Malfattore gli ultimi ricordi: come fecero altresì
gli altri Sacerdoti: ma egli con ostinata perversità deluse ogni
speranza, spregiò ogni avviso. Quindi dal Carnefice fu strettamente
legato al palo, e si diede fuoco alla sua sopraveste di pece. Fece egli allora
violenti moti per alzarsi: e soffiava nel fuoco, quasi volesse estinguerlo,
mentre le fiamme gli bruciavan la faccia: ma non per tanto l'ostinato diede
segno di pentimento. Indi s'appiccò il fuoco alla catasta delle legna
nella fornace di sotto: e mentre s'avanzavan le fiamme, facea sforzi
violentissimi; consumata però ben tosto la tavola, che lo sostenea,
piombò a faccia sotto dal lato destro della stessa fornace: e da quelle
fiamme passò l'anima a provar l'atrocità dell'eterne pene, che
egli ebbe ardimento di niegare. Fu la sua morte infelice circa a mezz'ora della
notte, con alto spavento di quanti si trovaron presenti. Seguì il fuoco
per tutta la notte, finchè si ridussero in ceneri gl'indegni cadaveri,
che furon poi seminate per quel piano, per esser disperse dal vento.
Seguita la morte degl'Infami Eretici la
Congregazione della Pescagione rimessa in ordine di Processione, colla sua
Croce Bianca portata dal P. D. Giuseppe Bonanno, Padre di essa Congregazione,
si avviò per la spiaggia del mare, ed entrata per la Porta Felice, per
la strada del Cassaro si portò alla Chiesa di S. Giuseppe, ove fu
decentemente collocata nel loro Oratorio sotto la stessa Chiesa.
Così terminò l'ultima scena di questa
rappresentazione lieta insieme, e lagrimevole: lieta per l'ammirabil Trionfo
della Santa Fede riportato degli Eretici suoi nemici: lagrimevole per la
perdita de' due Ostinati. Quindi varj furono i discorsi degli Spettatori,
siccome varie le riflessioni, che fecero. Molti non si stancavan di celebrare
l'utile del S. Tribunale nel conservare nella sua purità la Santa Fede:
lodavano con meritati encomj la pompa della Processione, il fasto de'
Cavalieri, il numero degli Arrolati all'ossequio del Tribunale, la
maestà degl'Inquisitori, la loro rettitudine, pietà, e rigore.
Altri inteneriti per la conversione de' Rei piangeano per divozione. Altri
detestavano con atti d'abominazione gli errori, e molto più
l'ostinazione de' Pertinaci. Tutti bramavano la conversione de' due
Delinquenti. Le preghiere, le lagrime, e le umiliazioni di quei, che stimolati
dalla cristiana pietà implorarono la divina clemenza per ammollire la
durezza diabolica de' due perversi, furono incessanti. Io so che vi furon
molti, che offersero a Dio molte divozioni, accompagnate dal rigore di molte
penitenze, e spesero lunghe, e ferventi orazioni: che s'obbligarono alla Divina
pietà di esercitarsi in opere penali, di digiuni, e discipline, e di
tributar esercizj di somma pietà, per impetrar la conversione
degl'Infelici. S'avantaggiarono fra questi molte Religiose, racchiuse ne' Sacri
Chiostri, che volentieri offersero a Dio la propria vita: e a costo della
temporale avrebbono comperato la vita dell'anima degl'Ingannati. Fra Secolari
si trovò donna fornita di tanta carità, che spinta dall'ardente
brama di guadagnarli a Dio, gli offerì un bambino, unico parto delle sue
viscere, e singolar godimento del suo cuore, purchè impetrasse dalla
divina beneficenza lume bastevole agl'Ingannati per convertirsi. Ma
poichè essi elessero piuttosto lasciar la vita fra le fiamme, che
l'ostinazione, tutti venerarono i Divini, imperscrutabili giudizj di Dio: e
acclamarono nella loro perdita il Trionfo della Santa Fede, che riportò
sugli Empi, col gridare ad altissime voci: Viva la Santa Fede.
Si maravigliaron molti della costanza, che
mostrarono i due Ostinati, nell'udire intrepidi le minaccie della morte,
nell'andare con franco piè al supplizio: non impallidire alla vista del
rogo, non sbigottirsi alle prime vampe; e nell'infame morte, anzi che spavento,
mostrar una straordinaria fortezza. Ma non è da maravigliarsene. Vanta
anche i suoi Martiri il demonio. Si de passionibus
gloriandum est, scrisse S. Agostino([62]), potest et ipse diabolus gloriari. S. Cipriano([63]) anch'egli degli Eretici scrisse: Ardeant licèt flammis, et
ignibus traditi, vel objecti bestiis, animas suas ponant, non erit illa Fidei
corona, sed poena perfidiae: nec religiosae virtutis exitus gloriosus, sed
desperationis interitus. Quindi da S. Bernardo([64]) son chiamati: Perfidiae
Martyres, e la loro costanza nasce dal demonio, che ne indura il cuore, da
lui pienamente posseduto. Mirabantur aliqui, scrive lo stesso Santo, quòd
non modò patienter, sed laeti, ut videbantur, ducerentur ad mortem. Sed
qui minus advertunt, quanta sit potestas diaboli, non modo in corpora hominum,
sed etiam in corda, quae semel permissus possederit. Nonne plus est sibimet hominem iniicere manus,
quàm id libenter ab alio sustinere? Hoc autem in multis potuisse
diabolum frequenter experti sumus, qui seipsos aut submerserunt, aut
suspenderunt. Denique Judas suspendit seipsum, diabolo sine dubio immittente.
Nihil ergo simile habet constantia Martyrum, et pertinacia horum: quia mortis
contemptum in illis pietas, in istis cordis duritia operatur. Quindi a proposito scrisse l'Engelgrave([65]): Diabolus inter suos Martyres numerat haereticos,
qui ex merito flammis, aliisque atrocibus poenis addicti, diabolica pertinacia
omnia perpeti maluerunt, quàm errores suos, et falsa dogmata revocare.
Il giorno seguente 7 Aprile quei Rei pentiti, che
erano stati condannati alla frusta, sopra vili giumenti: e alcuni di essi con
vergognosa mitra in testa, furon condotti per le pubbliche e principali strade
della Città, per pagar la pena degli errori, secondo era stata imposta
dalla giustizia del Tribunale.
Da questo pubblico, e Generale Atto di Fede con
somma ammirazione ne raccolse Iddio la sua gloria; poichè oltre essere
stati vendicati gli oltraggi fatti da' Malvagi alla Santa Cattolica Fede, e
aver trionfato sopra degli Empj la nostra Santa Religione, molti, o sia per
aver concepito un sacro spavento de' divini giudizj, considerando come persone
allevate con massime di perfezione, nulladimeno dopo i lor buoni principj
prevaricarono in orrende eresie; o sia per non incorrere nel demerito d'esser
da Dio abbandonati coll'abuso della divina grazia: o che al riflesso delle fiamme,
che incenerirono gl'Infelici, si rammentaron dell'eterne pene preparate agli
ostinati; molti, dissi, di perduta coscienza, che per parecchi anni non s'era
confessati, con lagrime di cordial pentimento vomitarono a' piedi de'
Confessori le loro colpe, e si riconciliarono con Dio offeso.
CAPITOLO DECIMOSETTIMO
Indulgenze concesse da Sommi Pontefici.
Fu sempre considerato il Tribunale della S.
Inquisizione da' Sommi Pontefici per una delle più profittevoli opere,
che risplendano nella Cattolica Chiesa, sì in riguardo a promuovere gli
interessi della Santa Fede, sì anche in estirpare l'Eresie, che senza la
sua opera crescerebbono a contaminarla. Quindi fu arricchito da essi di privilegi,
e di molte Indulgenze, delle quali qui se ne registra il Sommario.
SOMMARIO DI VARIE INDULGENZE E PRIVILEGI
concessi per alcuni Sommi Pontefici
alli Signori Inquisitori, Uffiziali, Commissarj, Familiari,
ed altri Ministri del S. Uffizio dell'Inquisizione,
contro l'Eretica pravità, e alla Confraternita delli
Crociati
sotto l'invocazione e Titolo
DI SAN PIETRO MARTIRE.
I Sommi Pontefici, Urbano IV nell'anno mille
ducento sessant'uno, e Clemente IV che gli successe nell'anno mille ducento
sessanta cinque, concessero per loro Bolle Apostoliche, che incominciano, præ
cunctis: a' Signori Inquisitori Apostolici, che s'impiegheranno ne' negozj
del S. Uffizio la medesima Indulgenza Plenaria, che fu concessa nel Concilio
Generale Lateranense, che si celebrò nella Città di Roma l'anno
mille ducento quindeci, a coloro, che andassero e soccorrere la Terra Santa non
solamente per una volta, ma per ciascun Atto pubblico, che celebreranno contro
gli Eretici, in favore, e difesa della Fede, Cattolica, o sia di
riconciliazione, assoluzione, o di qualsivoglia altra maniera, durante il suo
Uffizio.
Di più i medesimi Pontefici di sopra
riferiti, concedono ai Fiscali, Secretarj, Avvocati, Notaj, ed altri Ufficiali,
che insieme con i Signori Inquisitori assisteranno personalmente nel proseguimento
delle cause contro gli Eretici, tre anni d'Indulgenza per ciascheduna di esse,
in che s'impiegheranno nel detto Santo Uffizio, essendo separate l'une
dall'altre. E la stessa Indulgenza loro è concessa per lo Pontefice
Gregorio Nono nella sua Bolla che incomincia, Ille umani generis,che fu
pubblicata l'anno mille ducento trenta cinque; e per Adriano Quarto nella sua
Bolla che incomincia: Firmissimè teneat, l'anno 1259.
Di più concedono i medesimi Sommi Pontefici
Urbano Quarto, e Clemente Quarto nelle medesime Bolle riferite a' detti Signori
Inquisitori, che verranno a morte durante il tempo, che eserciteranno il loro
uffizio contro gli Eretici, Indulgenza Plenaria, e remissione di tutti i loro
peccati nell'articolo della morte, stando contriti, e confessati.
Di più gli stessi Pontefici Urbano Quarto
nella Bolla, che incomincia: Licet ex omnibus, Gregorio Nono, e Clemente
Quarto nelle medesime Bolle di sopra riferite concedono a' detti Uffiziali del
Santo Uffizio, che stando occupati insieme con i detti Signori Inquisitori
nelle cause contro gli Eretici, venissero a morire, Indulgenza Plenaria, e
remissione di tutti i loro peccati nell'articolo della morte, essendo contriti,
e confessati.
Di più il Pontefice Clemente Settimo nella
Bolla, che incomincia: Cum sicut, data in Bologna li quindici di Gennajo
del 1530 concede a' Crociati, o Familiari del S. Uffizio, che sono l'istessa
cosa, benchè differiscano nel nome, quando sono ammessi da' Signori
Inquisitori, e giurano innanzi loro, che tutte le volte saranno chiamati per i
detti Signori, o loro Vicarj, che sono i Commissarj per pigliare gli Eretici,
assisteranno con tutto il lor potere, conseglio, e favore, lor concede Sua
Santità per quella volta, e nell'articolo della morte, essendo contriti,
e confessati, Indulgenza plenaria, e remissione di tutti i loro peccati: e che
possano essere assoluti di tutti peccati, e delitti, ancorchè fossero
delli riservati nella Bolla della Cena del Signore.
Di più l'istesso Pontefice Clemente Settimo
concede nella detta Bolla a' detti Familiari, che in tempo di Interdetto
possano assistere a' Divini Offizj, e se in quel tempo si morissero godano
dell'Ecclesiastica Sepoltura, benchè senza pompa funerale, non essendo
però stati causa di tal Interdetto. Così ancora concede loro in
tutti i giorni dell'anno, che visitando cinque Altari in una Chiesa, se tanti
ve ne fossero, o uno, non avendone più la Chiesa di quel luogo, ed ivi
orassero, e recitassero un Salmo in ginocchio, o cinque Pater Noster, e cinque
Ave Maria, guadagnino le stesse Indulgenze, che sono concedute a quei, che
visitano le Stazioni della Santa Città di Roma.
Di più si concedette a' detti Crociati, o
Familiari del Santo Uffizio da' Pontefici Urbano Quarto, e Clemente Quarto
nelle Bolle sopra riferite, che incominciano Præ cunctis, e dal
Pontefice Calisto Terzo nella Bolla, che incomincia: Injunctum nobis,
data l'anno 1458 tutte le volte andassero a pigliare gli Eretici, godano del
privilegio della Indulgenza Plenaria, che fu concesso a que', che andassero
alla conquista di Terra Santa, dal Pontefice Innocenzio Terzo nel Concilio
Generale Lateranense riferito di sopra.
Di più il Pontefice Pio Quinto nella Bolla
che incomincia: Super gregem Domini, nella quale confirmò a'
fratelli di San Pietro Martire, che erano Uffiziali, Commissarj, e Familiari
del Santo Uffizio dell'Inquisizione della Città di Vagliadolid le
costituzioni, ed ordinazioni della detta Confraternita ad istanza del Cardinal
Don Francesco Paceco, concede a tutti i Signori Inquisitori, Fiscali, Secretarj,
ed altri Uffiziali della detta Confraternità, che in quel tempo erano, e
per l'avvenire fossero, ed a tutti gli altri Signori Inquisitori, Fiscali,
Uffiziali, Commissari, Familiari, e Ministri dell'altre Inquisizioni, essendo
fratelli della Confraternita di San Pietro Martire, o che per l'avvenire
fossero ammessi nella detta Confraternità, ed innanzi di uno de' detti
Signori Inquisitori, ed un Notajo, o Secretario del Santo Uffizio facessero
solenne giuramento d'aggiustar, e difendere la Santa Fede, e Chiesa Cattolica
Romana con le loro forze, e poteri; ed al Santo Uffizio dell'Inquisizione, e
suoi Ministri contro qualsivoglia Eretico, in qualsisia occasione, o
necessità che se gli offerisse, Indulgenza Plenaria, e remissione di
tutti loro peccati, essendo veramente pentiti, e confessati. E dell'istessa
Indulgenza Plenaria, e remissione di tutti loro peccati concede possano godere
nelle feste di S. Pietro Martire, ricevendo il SS. Sacramento dell'Eucaristia,
e nell'articolo della morte; e che si possano eleggere un Confessore Secolare,
o Regolare nella detta festa, e nell'entrata in detta Confraternità, e
nell'articolo della morte, che li possa assolver di qualsivoglia peccato,
eccesso, e delitto per grave, ed enorme che fosse, benchè sieno de'
riservati alla Sede Apostolica, e contenuti nella Bolla della Cena del Signore;
imponendoli per la colpa una penitenza salutare: e lor possa commutare in altre
opere di pietà qualsivoglia voto, che avesse fatto, eccettuati quelli di
Gerusalemme, Castità, e Religione, con che sieno obbligati a portare
sopra le vesti, o sotto di esse una Croce a simiglianza de' Crociati, che
differisca dall'altre, che portano i Cavalieri degli Ordini Militari in
Ispagna, come sono di San Giacomo, Calatrava, ed Alcantara.
Di più l'istesso Pontefice Pio V. nel Sacro
Canone, che incomincia: Si de protegendis, il quale coll'assistenza, e
consiglio di tutto il Collegio Apostolico dell'anno 1569 contra que', che
offendessero lo stato, beni, e persone del Santo Uffizio dell'Inquisizione
contra l'eretica pravità, dichiara a tutte le persone particolari, o
Città, e Terre, o Signori, Conti, Marchesi, Duchi, o ad altri più
principali titoli, che ammazzassero, o ferissero, o cacciassero dalle loro
Terre, o minacciassero a qualsivoglia dei Signori Inquisitori, Avvocati,
Fiscali, Secretarj, o altro qualsivoglia Ministro del Santo Uffizio, ed a'
Commissarj, che ne' suoi territorj esercitassero il detto Santo Uffizio, per
pubblici scomunicati, e che abbiano incorso nel delitto di Lesa Maestà,
e ad altre pene gravissime, acciocchè sieno gastigati del loro
Sagrilegio, e malvagio ardimento.
Tutte queste grazie, ed Indulgenze Plenarie c'hanno
conceduto i detti Sommi Pontefici; come s'ha riferito, l'han confirmato di
nuovo i Pontefici Clemente VII. nella Bolla, ch'incomincia: Cum sicut, menzionata
di sopra. Ed il Pontefice Pio V. nella Bolla che incomincia: Sacrosancta
Romanae pubblicata in Roma a' 13 Ottobre l'anno 1570.
Paolo Papa V.
ad perpetuam Rei memoriam.
Concede a tutti, e ad ognuno de' Fedeli Cristiani,
che saranno ammessi nella Confraternità de' Crociati, sotto titolo, ed
invocazione di S. Pietro Martire, per assistere agl'Inquisitori contro
l'Eretica pravità, ch'è propagata per diverse parti, in
qualsivoglia tempo, o luogo, il giorno, ch'entreranno, Indulgenza Plenaria, e
remissione di tutti i loro peccati.
Di più a tutti, e ad ognuno de' Fratelli
della detta Confraternità presenti, e futuri, che stando veramente
pentiti, e confessati, e se avendo commodità, ricevessero il Santissimo
Sacramento dell'Eucaristia, o che fossero contriti, ed essendo in articolo di
morte, invocassero il dolcissimo Nome di Gesù con la bocca, e non
potendo con essa, col cuore, Indulgenza plenaria.
Di più a tutti, e ad ognuno de' detti
Fratelli, che visiteranno alcun Oratorio, Chiesa, o Cappella della detta
Confraternità, ne' giorni dell'Esaltazione di S. Croce, o di S. Pietro
Martire, dal primo Vespro, sino al tramontar del Sole del giorno della
festività, confessati, e communicati, pregheranno a Dio Signor Nostro
per lo felice stato della Santa Madre Chiesa, Esaltazione della Fede Cattolica,
estirpazione dell'Eresie, salute del Romano Pontefice, pace, e concordia fra
Principi Cristiani; Indulgenza Plenaria, e remissione di tutti i loro peccati.
Di più a qualsivoglia de' detti Fratelli,
che facessero le sopradette cose dalli primi Vespri de' giorni dell'Invenzione
della Croce, Natività di Nostro Signore Gesù Cristo,
Annunciazione, ed Assunzione di Nostra Signora, e nel giorno di tutti i Santi, quaranta
anni d'Indulgenza.
Di più a tutti, che aiuteranno a pigliar gli
Eretici, e custodirli, dopo essere stati presi, o accompagnandoli, acciò
vadano sicuri, o in qualsivoglia altra maniera aiuteranno per il sopraddetto
effetto, quarant'anni d'Indulgenza.
Di più a' Fratelli, che staranno presenti
alle processioni, che fanno per loro istituto, o in qualsivoglia maniera con
licenza dell'Ordinario, ed a coloro, che assistono alle Abjurazioni pubbliche,
o particolari degli Eretici, ed a quelli, che s'occuperanno nella conversione
degli Eretici, ed instruirli nella Fede Cattolica; ed a quei, che assisteranno
a sentir le Prediche, che contro quelli si fanno: ed a tutti coloro, che
aiuteranno contro i fautori, ricettatori, e difensori degli Eretici; ed a tutti
quelli, che nell'antedetto assisteranno a' Signori Inquisitori con consiglio,
aiuto, o favore: il giorno, che faranno alcuna cosa delle sopraddette, per
l'Autorità, che abbiamo, rimettiamo loro nella forma, che la Chiesa
costuma, quarant'anni delle penitenze, che sono state loro imposte, o in
qualunque maniera debbano.
Di più a tutti i sopraddetti fratelli, che
in qualsivoglia giorno dell'anno visiteranno cinque Altari, se vi sono, o
almeno un'Altare in quella parte, dove non ve ne sieno degli altri, reciteranno
divotamente un Salmo, o cinque volte il Pater Noster, con l'Ave Maria,
guadagnino l'istesse Indulgenze, e remissione de' peccati che guadagnerebbono,
se in quel giorno visitassero le Chiese, alle quali vi son concesse Indulgenze
in Roma.
Di più queste Indulgenze vagliano per ogni
tempo perpetuamente.
Di più dichiara, che le sopraddette
Indulgenze, e grazie, si concedono dell'istessa maniera agl'Inquisitori contro
l'Eretica pravità, ed a' loro Vicarj, e Consultori, ed agli altri
Uffiziali, Ministri, e Servienti del S. Uffizio dell'Inquisizione in
qualsivoglia parte, che risiedano, benchè non sieno scritti nella detta
Confraternita, facendo ognuno il suo uffizio, che gli appartiene, o in altra
maniera facessero le sopraddette cose, non ostante le Costituzioni, ed Ordinazioni
Apostoliche, e la regola, che proibisce conceder le Indulgenze ad instar,
e le cose, che in contrario possano farsi, Datum Romae apud Sanctum Marcum,
sub annulo Piscatoris, die 28 Julii 1611 Pontificatus nostri anno octavo.
S. Cobellutius.
Forma di
benedire, e dar l'abito a' Familiari, e Ministri del S. Uffizio,
quale tocca a
qualsivoglia de' Signori Inquisitori del Regno,
o alla persona,
che per tal effetto assegneranno.
BENEDIZIONE
DELLA CROCE.
¢. Adjutorium nostrum in nomine Domini.
ø. Qui fecit
Cælum et Terram.
¢. Ostende nobis Domine misericordiam tuam.
ø. Et salutare tuum da nobis.
¢. Dominus
vobiscum.
ø Et cum spiritu
tuo.
OREMUS
Omnipotens
sempiterne Deus, qui Crucis signum pretioso Filii tui sanguine consecrasti, per
eamdem Crucem, et mortem ipsius Filii tui Jesu Christi, Mundum redimere
voluisti, ac per ejusdem venerabilis Crucis virtutem Hominum genus ab antiqui
hostis tyrannide liberasti: Te supplices exoramus, ut digneris hanc Crucem tua
pietate bene†dicere, et cælestem ei virtutem, et gratiam impertire: ut
quicumque eam super se gestaverit, cælestis gratiæ plenitudinem
recipere, et Christum contra omnes animæ, et corporis inimicos,
protectorem habere mereatur. Qui tecum vivit, et regnat per omnia sæcula
sæculorum. Amen.
Al dar della
Croce dica.
Accipe signum Crucis Domini nostri Jesu Christi, in
nomine Pa†tris, et Fi†lii, et Spiritus†Sancti, in figuram et memoriam Crucis,
Passionis, et mortis Jesu Christi Redemptoris nostri, ad animæ, et
corporis tui salutem, et Catholicæ Fidei defensionem, ut divinæ
bonitatis gratia, te ad cælestia regna perducat. Amen.
¢ Ostende nobis Domine misericordiam tuam.
ø Et salutare tuum da nobis.
¢ Domine
exaudi orationem meam.
ø Et clamor meus
ad te veniat.
¢ Dominus vobiscum.
ø Et cum spiritu
tuo.
OREMUS
Protende Domine
famulo tuo dexteram cælestis auxilii, quem pro gloria tui nominis, signo
Sacratissimæ Crucis insigniri, et propugnatorem Sanctæ Fidei
tuæ, contra perfidos hæreticos, eorumque fautores, et defensores, fieri
voluisti, ut de toto corde perquirat Fidem Catholicam, viriliter defendat, et
quæ dignè postulat sic assequatur, ut agone dignè peracto,
regni Filii tui, cohæres esse mereatur. Per eumdem Christum Dominum nostrum. Amen.
Aspergatur aquâ benedictâ.
FINE.
APPENDICE
(I)
AL DISCRETO
LETTORE
Trad. Ieri, alla
Camera dei Deputati, è stata la giornata delle petizioni. Tra i ricorsi,
individuali o collettivi, ve n'è sempre qualcuno che merita interesse.
Noi abbiamo notato soprattutto quello della famiglia palermitana che chiede
l'esenzione da una tassa alla quale è obbligata nei confronti del
demanio. Quale è l'origine di questa tassa? Non lo immaginereste mai.
Questa famiglia paga annualmente una somma al demanio per le spese del processo
a Suor Geltruda, bruciata viva per ordine del Sant'Ufficio di Palermo nell'anno
1724. La storia è famosa negli annali italiani del mezzogiorno. Ma ecco
com'è raccontata dal Colletta([66]). Nel 1699,
dice Colletta, furono imprigionati dal Sant'Ufficio di Palermo, fra Romualdo,
laico agostiniano, e suor Geltrude, religiosa di S. Benedetto; il primo per
quietismo, molinismo, eresia; l'altra per orgoglio, vanità,
temerarietà, ipocrisia. Tutte e due una specie di folli. I Santi
Inquisitori e i teologi del Sant'Ufficio avevano disputato molte volte con
questi disgraziati che, ostinati come mentecatti, ripetevano le loro eresie.
Imprigionati, la donna per 25 anni, il frate per 18, sopporteranno i più
crudeli tormenti, la tortura, la frusta, la fame, la sete; ed infine
arriverà il desiderato momento del supplizio. Gli inquisitori, infatti,
li condannarono ambedue a morte. La sentenza sottolineò la dolcezza, la
mansuetudine, la benevolenza dei santi inquisitori e, in contrasto con tanta
umanità, la cattiveria, l'irreligiosità, l'ostinazione dei due
colpevoli. S'insistette anche sulla necessità di mantenere la disciplina
della sacrosanta religione cattolica, di spegnere lo scandalo e di soddisfare
all'indignazione dei cristiani. Il 6 aprile 1724 sulla piazza sant'Erasmo, la
più grande della città di Palermo, fu preparato ed eseguito il
supplizio. Ciò è sufficiente a far comprendere, se una famiglia
paga una tassa al demanio per le spese di simile processo, che è una singolarità
poco degna del XIX secolo. Cosa ne pensa l'Unità Cattolica? Pensa
probabilmente che la miglior cosa da fare sarebbe quella di spedire il prete
Cireno Rinaldi a raggiungere Suor Geltrude. Si è ortodossi, o non si
è. (N.d.R.)
(II)
SIRE
Le opere grandi
e perfettamente buone, che sono quelle più raccomandate dal Verbo
incarnato nella Redenzione dell'Universo, debbono, secondo il salmo 44, dedicarsi
a quelli che sono e sanno essere Re, e Cristianamente zelanti Sovrani.
Essendolo tanto V.M., che è veramente uno di quelli principalmente
contemplati nel celestiale vaticinio, Isaia al cap. 49, sulla podestà
della Chiesa e della sua sacrosanta giurisdizione, et erunt Reges nutrii
tui: quando generosamente V.M. Cattolica conserva la Reale sostanza, che i
gloriosi predecessori di V.M. destinarono per nutrimento e conservazione del
santo Tribunale della Inquisizione di Sicilia, e di tutti i suoi Ministri,
seguendo volenterosamente gli esempi di Valentiniano, Marciano, ed altri, come
riferisce Paolo Diacono, cap. 24, proteggendo i capitali castighi contro gli
eretici, per compiere ciò, che comanda il Levitico, cap. 24. Qui
blasphemaverit nomen Domini, morte moriatur: e con la liberalità di
Carlo V e dei suoi successori Austriaci, i quali (come agisce V.M.) provvidero
con tanto interesse, perchè il sacrosanto coltello opportunamente
recidesse la parte già cancrenata (come è successo nell'Atto
Generale celebrato in Sicilia) affinchè non s'infettasse tutto il corpo:
sarebbe ingiustizia il non dedicare a V.M. la relazione stampata, che umilmente
presento, di funzione tanto Venerabile, Cattolica, e Sacra. Chi potrà,
Sire, spiegare la pietosa liberalità da V.M. esercitata con noi
Spagnoli, che godiamo l'incomparabile onore di esser sottoposti alla Denominazione
Augustissima! che non solo abbiamo incontrato un Monarca, che ci onora, e
conserva in quella invidiabile purezza di Religione, che servì sempre di
termine di paragone a tutte le Nazioni; ma eziandio un generoso padre, che
distribuisce a suoi figli consolazioni e abbondanza. Basterà il dire
che, se avvi realtà e verità in quelle finte catene di Alcide,
che cominciavano dalla sua bocca parole, e terminavano con catene dorate,
ciò si è per quelle, a cui noi dobbiamo una schiavitù
così dolce e fortunata, che disertano per conseguirla gli avventurati e
liberi dai Dominii Gloriosissimi.
Sognarono
i Greci, che il loro amabile Demetrio teneva una rete prodigiosa, colla quale
prendeva Provincie, e aumentava i suoi Stati. Che avrebbero detto, Sire, se
avessero provato ciò che accade nel suolo prezioso di V.M., nel quale
non bastano le risorse dell'aritmetica per noverare le Provincie che più
che si conquistano, si annettono, e in cui le Nazioni le più lontane
fanno a gara per arrivare a prender parte nell'aumento degli Austriaci Dominii?
Tacciano,
e non parlino più i Rodiani della loro favola, colla quale finsero che
il loro Giove convertiva le Sfere in pioggie di abbondanza; e vengano a cantare
le realtà dell'Austriaco Giove, il quale prodiga a' suoi fortunati
vassalli immensi mari di ricchezze.
Ciò
che vi ha di realmente incomparabile nella successione mascolina si rileva,
Sire, da questa eroica e perfetta azione; poichè se a Davide per decreto
divino, secondo Valenzia: in praefatione Psalmorum, non fu concessa la
generazione di Assalonne ed Adonia, infruttuosa per i fini dei vaticini sacri;
ma bensì quella di Salomone, necessaria a continuare fino alla
generazione del Messia, per cui raccomandò a suo figlio la fabbrica di
quel tempio; nel quale si conservasse con venerazione la legge scritta,
racchiusa nell'Arca del Vecchio Testamento, con più ragione si
può sperare che si aumenti la generazione di V.M. di molti Salomoni, che
continuino e conservino la stirpe Austriaca, (con tanti maschi, secondo le
predizioni) mentre non solo V.M. protegge, ma sostiene l'unico Tempio, in cui
si conserva pura tutta la legge di grazia, e destina le sue Reali sostanze,
perchè con giusti castighi si applichino esemplari correzioni.
O Sire,
qui ci vorrebbero non le cento come desiderava il Poeta, ma le mille lingue:
non le cento, ma le mille bocche per spiegare la minima parte del mio
gradimento che conserverò sempre a V.M. per avermi innalzato alla
dignità di principale condotto per cui passano le giuste operazioni
della Giurisdizione Sacrosanta di un Monarca tanto eccellente che, con
più ragione che Ervigio vostro antecessore, San Leone II avrebbe potuto
chiamare Preexcellentissimo: tanto Cristiano, che S. Gregorio VII
avrebbe potuto, con più motivo che gli Aragonesi Ramiro e Sanccio,
appellarlo Christianismo: e tanto zelante e Cattolico, che con
più proprietà avrebbero potuto gli oracoli della Chiesa
distinguere V.M. col titolo singolare di Cattolico che a Ordano, a Sancio
Graso, e a molti altri predecessori di V.M. fu concesso nei secoli anteriori.
Però
siccome il conseguirlo è impossibile, mi permetta V.M. che io
sostituisca a queste espressioni, fervorose preghiere all'Altissimo,
perchè quanto prima conceda a V.M. la successione mascolina, che la
cristianità anela con ansia, e che io termini questa umile e riverente
lettera esclamando con tanta giustizia, come il Concilio Toledano, dell'anno
589, esclamò del Cristianissimo, Apostolico e Cattolico Recaredo: Cui
a Deo ecc.
Vienna, 2 Giugno 1724
Ai C.C. piedi di V. M.
Il Vescovo di Albarricin
Inquisitore Generale
(III)
All'Illust. e Rev. Sig.
D. FRANCESCO GIOVANNI NAVARRO
Vescovo di Alvarrazin
Del Consiglio S. M. C. C. Inquisitore generale di Spagna
* * * * *
Illust. e reverendissimo Signore
Saremo
ingrati, se nella relazione dell'Atto generale di fede testè celebrato,
che V.S. Ill.ma dedica giustamente alla Cesarea e Cattolica Maestà
dell'Imperatore, e Re nostro Signore (Dio lo conservi) non stampassimo un
attestato della gratitudine impressa nei nostri cuori, come perpetuo riconoscimento
del molto, che dobbiamo alla S. V. Ill.ma. Subito che le gloriose armi di
S.M.C.C. mossero alla conquista di questo suo regno, V. S. Ill.ma, confidando
nella giustizia della causa, diede per sicura l'impresa, e con anticipata
provvidenza destinò i Ministri necessari per il governo di questo santo
Tribunale, e ci fece l'onore di eleggerci Inquisitori, fornendoci in iscritto
le sue sante e dotte istruzioni, per cui potemmo con minore difficoltà
cominciare l'esercizio, e disimpegnare le obbligazioni di tanto santo
Ministero.
Pochi
giorni dopo il nostro primo ingresso, demmo a V. S. Ill.ma individuale notizia
di tutto lo stato di questo tribunale, e con maggior diligenza di ciò,
che apparteneva alle cause della fede, e singolarmente di due gravissime, e da
molto tempo pronunciate definitivamente, confermate dal Sig. Inquisitore
Generale, e dal Supremo Consesso della Santa Generale Inquisizione di Spagna, e
insinuammo a V. S. Ill.ma alcuni motivi, che potevano aver differito la loro
esecuzione.
Dal che
informata V. S. Ill.ma, mossa da grande zelo e carità, ci ordinò,
che con i rei di dette due cause adoperassimo tutte le pietose e più
efficaci diligenze, affine di vincere la loro ostinazione, promettendo V. S.
Ill.ma di usare con essi quanta indulgenza potesse, se dessero prova di
contrizione.
Non fu
omessa diligenza, che a questo fine non si praticasse per più di due
anni continui; però vedendosi che non se ne tirava frutto, nè si
concepiva speranza alcuna di vincere la loro ostinazione, la S. V. Ill.ma con
precisi e ripetuti ordini ci comandò che con tutta sollecitudine
procurassimo di disporre le cose per celebrare un Atto generale di fede, con
che si desse fine alle due differite cause, ed esecuzione alle altre, che si
eran venute determinando, animandoci col vivo esempio del suo ardentissimo zelo
a superare le difficoltà, che potevano attraversare tanto sacra ed
importante funzione.
A
soddisfazione dei giusti desideri di V. S. Ill.ma, e a compimento del nostro
obbligo, furono concluse con straordinaria applicazione un buon numero di
cause, con che fosse compiuto l'Atto; e in seguito, V. S. Ill.ma
notificò a S.M.C.C. la necessità che si celebrasse, chiedendo
perciò il suo Reale permesso, e supplicando che S.M.C.C., ad imitazione dei
suoi gloriosi Cattolici predecessori, proteggesse una così santa opera.
Manifestò
S.M.C.C. la sua unqua ben ponderata pietà e cattolico zelo, non solo
dando la sua approvazione, e ordinando all'Eccellentissimo signor Conte di
Palma, Marchese di Almenara, suo Vicerè, che con tutta la sua
autorità proteggesse il Tribunale, ma eziandio comandando: che sul suo
Reale patrimonio si prelevasse e pagasse tutto quanto era necessario,
perchè l'Atto si facesse col maggior decoro e magnificenza, come
felicemente si eseguì con non minore applauso che edificazione.
I
riferiti motivi ci costringono a protestare alla S. V. Ill.ma le nostre grandi
obbligazioni pel suo grandissimo zelo, e a dare a V. S. Ill.ma col maggior
gaudio la felicitazione per essersi compiuta nel vigilante e felicissimo governo
di V. S. Ill.ma un'opera tanto rilevante col maggiore splendore che si possono
desiderare, avvalorandola colla grande protezione di V. S. Ill.ma.
E
così dobbiamo dare a V. S. Ill.ma infinite grazie per tutto, e
più specialmente perchè, mediante il favore di V. S. Ill.ma,
S.M.C.C. si è degnata di dispensarci in varie occasioni replicati onori,
effetto dell'Augustissima Clemenza di S.M.C.C.
Supplichiamo
umilmente V. S. Ill.ma che in attestato della nostra devota ed umile
riconoscenza, ci ponga ai Reali e Cesarei Piedi, che baciamo col più
profondo rispetto, e raggiungiamo così la immensa ventura di conservarci
nella cara grazia di S.M.C.C., con che acquistando nuovo coraggio i nostri
buoni desideri, possiamo con successo proseguire nel nostro santo ministero e
servizio di entrambe le Maestà.
Di
conservi V. S. Ill.ma, come lo auguriamo per molti e felicissimi anni.
Palermo,
4 Luglio 1724
Della S. V. Illust.
I suoi più devoti
Cappellani e fedeli servitori.
(IV)
La Regina Reggente
Ill.mo
Principe di Lignè Vice Re e Capitano Generale nel Regno di Sicilia.
Io so
quanto in servigio di Dio Nostro Signore e a sostegno della nostra santa fede
cattolica abbia operato il Santo Ufficio della Inquisizione, e di quanto
beneficio sia stato alla Chiesa universale, a questi Regni e Signorie, non che
ai loro abitanti, dacchè i Re cattolici di gloriosa memoria lo posero e
impiantarono in essi. Con che si son purificati da un'infinità di
eretici che vi erano accorsi, col castigo che si è loro dato in tanti e
tanto grandi ed insigni Atti della Inquisizione che si sono celebrati e coi
quali si è loro cagionato gran timore e confusione, ed ai cattolici
singolar gaudio, tranquillità e consolazione: e in mancanza di questa
grazia altri Regni han patito e patirono gravi disturbi, inquietudini e disagi,
per cui rendiamo singolari grazie a Nostro Signore che qui lo ha condotto a
più grande vantaggio di questi Regni; e così per tutte queste
ragioni come perchè me lo ha raccomandato affettuosamente il Re mio Signore
che è in Cielo, come anche per la stima, devozione ed affetto che gli
professo, e l'obbligo che hanno tutti i fedeli di far sì che sia
ubbidito, difeso ed onorato, maggiormente in questi tempi in cui vi è
tanta necessità di esso, e per essere una delle cose più
importanti che possano interessare questi Stati Reali: vi raccomando molto che
onoriate e favoriate i venerabili Inquisitori non solo, ma gli ufficiali
famigliari e tutti i ministri della Inquisizione di questo regno, accordando
loro da parte nostra tutto il favore ed aiuto che fossero per chiedervi e sia
necessario, difendendone e facendone difendere tutti i privilegi, esenzioni e
libertà che furon loro concessi per diritto, per patenti reali, o
dall'uso, dal costume o in qualunque altra maniera; di modo che il detto Santo
Ufficio si usi ed eserciti con le libertà ed autorità che ha
sempre avuto e che Io desidero abbia, e non facciate nè permettiate si
faccia altra cosa in alcuna maniera che non concordi con ciò, cui siete
obbligato come cristiano cattolico, e che ad esempio vostro agiscano lo stesso
gli altri, con che mi avrete servita secondo le mie intenzioni, non ammettendo
Io che il contrario possa aver luogo. Nostro Signore vi guardi come desidero.
Madrid 10
Settembre 1670
Io la Regina
Depositata
nelle Rubriche del Consiglio
Per mandato di Sua Maestà
GIUSEPPE DE RIBERA
Al Principe di Lignè Vice Re di Sicilia raccomandandogli i
buoni rapporti coi Ministri di quella Inquisizione.
(V)
Il Re
Ill.mo
Marchese di Almenara ecc.
Avendomi
l'Inquisitore Generale rappresentato la necessità che vi è di
celebrare un atto generale di fede in questo Regno per la maggiore esaltazione
della gloria di Dio, vengo ad ordinarvi colla presente che nella stessa guisa
che hanno praticato gli altri Vice Re vostri antecessori, assistiate a detta
funzione, proteggendo la giurisdizione del Tribunale ed i suoi Ministri,
dimodochè detto atto generale si celebri nella solita forma, senza che
sia menomamente perturbata veruna delle cerimonie che in altri atti la Inquisizione
ha praticate, e destiniate il soggetto che ha da innalzare lo stendardo del
Tribunale, supplendo alle spese regolari i frutti delle Chiese vacanti. Possa
l'animo mio reale conservarsi ed agire così come i miei gloriosi
predecessori; e dalla esecuzione de' miei ordini avrò prova del vostro
zelo nel servirmi.
Da Praga
7 Luglio 1723.
(VI)
In vista
di questo memoriale e supplica; concede il Santissimo Tribunale ai predetti
Superiori, Deputati, e fratelli di detta Congregazione eretta nella Casa dei
Padri dell'ordine di S. Gaetano, chiamata di S. Giuseppe in questa
Città, la grazia che domandano di potersi insignire della Croce del Santo Uffizio in petto nei
giorni 5 e 6 di Aprile di quest'anno per assistere alle processioni e atto
generale che si deve celebrare nei giorni riferiti: come pure il Santo
Tribunale concede il riferito onore e grazia ai suddetti Superiori, Deputati e
fratelli della detta Congregazione per le funzioni degli atti generali che in
seguito potessero offrirsi: alla condizione però che abbiano da
assistere il Santo Tribunale nello stesso modo come si comporteranno nel
prossimo atto generale.
Dato nel
Palazzo del Tribunale del Santo Ufficio il 28 Marzo 1724.
Dottor Ferrer, Dottor Luzan, Dottor Oloriz.
Laredo Segretario
([1]) Grado Giovanni Merlo, Il senso delle opere dei frati Predicatori in quanto inquisitores haeretichae pravitatis – in “ Le scritture e le opere degli inquisitori”, CIERRE, Sommacampagna, 2002.
([2]) L'Inquisizione nella storia: i caratteri originali di una controversia secolare, in: A. Prosperi, L'Inquisizione Romana, pagg. 95-96. Ed. Storia e Letteratura, Roma, 2003
([3]) Risposta del Sant'Uffizio
romano, del luglio
([22])
Màtraga Pompe funebri par.
([40]) I “Familiari”, in altri luoghi chiamati anche Crociati o Crocesegnati, avevano il compito di individuare e ricercare possibili eretici, denunciarli, arrestarli e difendere, anche con le armi, gli Inquisitori e il loro Tribunale. Godevano di potere riflesso del S. Uffizio. In particolare, per qualsiasi reato commesso - in quanto assimilati al clero e quindi “esenti”- non erano soggetti alle autorità secolari e potevano essere arrestati e giudicati solo dal Tribunale dell'Inquisizione. Era una posizione di notevole privilegio e prestigio, anche economico. Cfr. F. Renda, op. cit. pagg. 216 e segg. (N.d.R.)
([44]) Non dobbiamo ritenere che la funzione dall'avvocato difensore fosse analoga a quella svolta nei nostri attuali Tribunali. Per l'Inquisizione “l'Avvocato dei Rei” era considerato un coadiutore del S. Ufficio. A) Veniva scelto dal Tribunale, previo un particolare giuramento di fedeltà. B) Era suo compito primario indurre il Reo a confessare e a pentirsi, e quindi a testimoniare anche contro se stesso. C) Non presenziava al procedimento o agli interrogatori. L'unica attività difensiva era quella svolta al termine del processo informativo. ”Valutare”, in base alla copia del processo che veniva consegnata al “Reo”, l'attendibilità dei testi a carico, senza tuttavia conoscerne il nome nè poterli contro interrogare direttamente, comunicare i nominativi di eventuali testimoni a discarico e fornire all'Inquisitore un elenco di domande da porre ai testi. Infine, se l'avvocato si fosse convinto della colpevolezza del Reo, aveva l'obbligo di comunicarlo al Tribunale, abbandonandone la difesa. Qualsiasi altro atteggiamento “difensivo” a favore del Reo poteva comportare il reato di “fautore d'eretici”. Per tale motivo “l'avvocato del Reo” appare figura patetica e mistificante. Cfr. Fra. E. Masini, op. cit. pagg. 18-19, pagg. 95 e segg., pag. 299. (N.d.R.)
([46]) Le vittime non solo dovevano essere punite ma era fondamentale che fossero umiliate sino ad annientarne la dignità umana. A tal fine concorreva anche il sambenito (saco bendito), cioè l'abito giallo infamante che dovevano indossare in pubblico, talvolta per molti anni, gli eretici penitenziati. (N.d.R.)
([47]) La complessa mentalità inquisitoria, ideologica e dommatica, impedisce di comprendere quanto irreale ed assurda sia la pretesa che le vittime, dopo indicevoli torture durate ben venticinque anni e con un verdetto di morte terribile già emesso, manifestino umile ossequio e prostrazione di fronte ai propri carnefici e al loro simbolo. (N.d.R.)
([48]) Strumento di tortura con il quale veniva immobilizzata la lingua della vittima affinché non potesse parlare. (N.d.R.)
([49]) La mitezza consisteva nel venir strangolati prima del rogo, come descritto al Capitolo Terzo. (N.d.R.)
([50]) Questa ossessionante e continua insistenza con le vittime aggiunge tortura a tortura. L'Inquisizione non poteva accettare che vi fossero impenitenti. Essi rappresentavano una sfida e un vero pericolo al suo potere, alla sua autorità e alla sua immagine. Non a caso si giungeva alla sentenza e all'esecuzione dopo ben 25 anni di detenzione e di tentativi, tortura compresa, per “convertirli”. Gli impenitenti, in modo particolare, potevano creare dubbi e perplessità nei fedeli con il rischio che venissero in qualche modo considerati dei martiri. L'uso della mordacchia o simili, le varie forme di violenza e d'umiliazione - compresi i peggiori insulti - e la dispersione delle loro ceneri, manifestava tale preoccupazione. È un problema ben presente all'autore che, al Capitolo Decimosesto, lo affronterà cercando di dare una risposta con argomenti che risulteranno, però, tautologici. (N.d.R.)
([52]) Era definita “sollecitazione” il tentativo da parte del confessore di avere rapporti carnali con una penitente. (N.d.R.)
([53]) De Levi: termine inquisitoriale per indicare la presenza di deboli e non provati indizi d'eresia. Assoluto ad cautelam: si intende l'assoluzione da un'eventuale scomunica nella quale fosse incorso il “Reo”. (N.d.R.)
([54]) È una pena pesante se si considera che raramente si poteva sopravvivere a cinque anni di remo. (N.d.A.)
([55]) Il molinismo o quietismo è una corrente mistica che insegna che è necessario, per progredire nel cammino spirituale, porsi in uno stato passivo o di quiete, sospendendo le proprie facoltà e cessando ogni pensiero razionale su se stessi e su Dio. Ciò consente di aprirsi totalmente all'illuminazione e all'opera divina e di giungere alla perfetta e totale unione con Dio. Il cristiano così trasformato e divinizzato non ha più necessità nè della mediazione della gerarchia ecclesiastica nè di pratiche devozionali. Il quietismo fu esposto dal sacerdote e celebre direttore spirituale Miguel de Molinos (1628-1696) che nel 1687 fu condannato al carcere perpetuo, ove morì. Con la Bolla “Caelestis Pastor” Innocenzo XI condannò 68 brevissime proposizioni estrapolate dalle sue opere e specialmente dalle circa 12.000 lettere meticolosamente e caparbiamente raccolte dall'Inquisizione. Ciò diede inizio alla caccia ai “perfidi” molinisti: i nostri due “Rei” non furono nè le prime nè le ultime vittime. (N.d.R.)
([56]) Nella descrizione delle “colpe” di suor Geltruda i Giudici Inquisitori hanno ben presente le tesi condannate del Molinos. Ogni addebito ascritto trova formale riscontro, secondo le norme ed il filtro interpretativo degli Inquisitori, in una tesi condannata. Ciò preclude di giungere al vero significato dei comportamenti e delle affermazioni di suor Geltruda. Ma non era ciò che interessava. (N.d.R.)
([57]) Ciò lascia intendere che le confessioni le furono estorte con la tortura. Una confessione così ottenuta doveva, per la sua validità, essere confermata dal “Reo” in un tempo successivo ed in un luogo diverso da quello dove era stato praticato il “rigoroso esame”, l'eufemismo utilizzato, spesso, dagli inquisitori per evitare la parola tortura. Cfr. Fra E. Masini, op.cit., pag. 135. (N.d.R.)
([58]) Una sentenza “a porte chiuse” significava che nessuno sarebbe venuto a conoscenza della sentenza, dell'abiura e della condanna inflitta. (N.d.R.)