Io voglio
parlarvi dei vostri doveri. Voglio parlarvi, come il core mi detta, delle cose
più sante, che noi conosciamo, di Dio, dell'umanità, della
Patria, della Famiglia. Ascoltatemi con amore, com'io vi parlerò con
amore. La mia parola è parola di convinzione maturata da lunghi anni di
dolori e di osservazioni e di studi. I doveri che io vi indicherò, io
cerco e cercherò, finché io viva, adempierli quanto le mie forze
concedono. Posso ingannarmi, ma non ingannarvi. Uditemi dunque fraternamente:
giudicate liberamente tra voi medesimi, se vi pare che io vi dica la
verità: abbandonatemi se vi pare che io predichi errore; ma seguitemi e
operate a seconda dei miei insegnamenti, se mi trovate apostolo della
verità. L'errore è sventura da compiangersi, ma conoscere la
verità e non uniformarvi le azioni, è delitto che cielo e terra
condannano.
Perché vi parlo
io dei vostri doveri prima di parlarvi dei vostri diritti? Perché,
in una società dove tutti, volontariamente o involontariamente, vi
opprimono, dove l'esercizio di tutti i diritti che appartengono all'uomo vi
è costantemente rapito, dove tutte le infelicità sono per voi e
ciò che si chiama felicità è per gli uomini dell'altre
classi, vi parlo io di sacrificio e non di conquista? di
virtù, di miglioramento morale, d'educazione, e non di benessere materiale?
È questione che debbo mettere in chiaro, prima di andare innanzi, perché
in questo appunto sta la differenza tra la nostra scuola e molt'altre che vanno
predicandosi oggi in Europa; poi, perché questa è dimanda che sorge
facilmente nell'anima irritata dell'operaio che soffre.
Siamo poveri,
schiavi, infelici: parlateci di miglioramenti materiali, di libertà, di
felicità. Diteci se siamo condannati a sempre soffrire o se dobbiamo
alla nostra volta godere. Predicate il Dovere a' nostri padroni, alle classi
che ci stanno sopra e che trattando noi come macchine, fanno monopolio dei beni
che spettano a tutti. A noi parlate di dritti: parlate dei modi di
rivendicarceli; parlate della nostra potenza. Lasciate che abbiamo esistenza
riconosciuta; ci parlerete allora di doveri e di sacrifizio. Così
dicono molti fra i nostri operai, seguono dottrine ed associazioni corrispondenti
al loro desiderio; non dimenticando che una sola cosa, ed è: che il linguaggio
invocato da essi s'è tenuto da cinquanta anni in poi, senza aver
fruttato un menomo che di miglioramento materiale alla condizione degli operai.
Da cinquanta
anni in poi, tutto quanto s'è operato pel progresso e pel bene contro ai
governi assoluti o contro l'aristocrazia del sangue, s'è operato in nome
dei Diritti dell'uomo, in nome della libertà come mezzo e del benessere
come scopo alla vita. Tutti gli atti della Rivoluzione Francese e
dell'altre che la seguirono e la imitarono furono conseguenza d'una
“Dichiarazione dei Diritti dell'uomo”. Tutti i lavori dei Filosofi che la
prepararono furono fondati sopra una teoria di libertà, sull'insegnamento
dei propri diritti ad ogni individuo. Tutte le scuole rivoluzionarie predicarono
all'uomo che egli è nato per la felicità, che ha diritto di
ricercarla con tutti i suoi mezzi, che nessuno ha diritto di ostacolarlo in
questa ricerca, e che egli ha quello di rovesciare gli ostacoli incontrati sul
suo cammino. E gli ostacoli furono rovesciati: la libertà fu
conquistata: durò per anni in molti paesi: in alcuni ancora dura. La
condizione del popolo ha migliorato? I milioni che vivono alla giornata
sul lavoro delle loro braccia hanno forse acquistato una menoma parte del benessere
sperato, promesso?
No: la
condizione del popolo non ha migliorato; ha peggiorato anzi e peggiora in quasi
tutti i paesi. Specialmente qui, dove io scrivo, il prezzo delle cose
necessarie alla vita è andato progressivamente aumentando, il salario
dell'operaio in molti rami d'attività progressivamente diminuendo, e la
popolazione moltiplicando. In quasi tutti i paesi, la sorte degli uomini di
lavoro è diventata più incerta, più precaria; le crisi che
condannano migliaia d'operai all'inerzia per un certo tempo si son fatte
più frequenti. L'accrescimento annuo delle emigrazioni di paese in
paese, e d'Europa alle altre parti del mondo, e la cifra sempre crescente degli
istituti di beneficenza, delle tasse pei poveri, dei provvedimenti per la
mendicità bastano a provarlo. Questi ultimi provano anche che
l'attenzione pubblica va più sempre svegliandosi sui mali del popolo; ma
la loro inefficacia a diminuire visibilmente quei mali dimostra un aumento
egualmente progressivo di miseria nelle classi alle quali tentano provvedere.
E nondimeno, in
questi ultimi cinquant'anni, le sorgenti della ricchezza sociale e la massa dei
beni materiali sono andate crescendo. La produzione ha raddoppiato. Il
commercio, attraverso crisi continue, inevitabili nell'assenza assoluta
d'organizzazione, ha conquistato più forza d'attività e una sfera
più estesa alle sue operazioni. Le comunicazioni hanno acquistato
pressoché dappertutto sicurezza e rapidità; è diminuito, quindi,
col prezzo del trasporto, il prezzo delle derrate. E, d'altra parte, l'idea dei
diritti inerenti alla natura umana è oggimai generalmente accettata; accettata
a parole e ipocritamente anche da chi cerca, nel fatto, eluderla. Perché dunque
la condizione del popolo non ha migliorato? Perché il consumo dei prodotti,
invece di ripartirsi equamente fra tutti i membri delle società europee,
s'è concentrato nelle mani di pochi uomini appartenenti a una nuova
aristocrazia? Perché il nuovo impulso comunicato all'industria e al commercio
ha creato, non il benessere dei più, ma il lusso smodato di alcuni?
La risposta
è chiara per chi vuol internarsi un po' nelle cose. Gli uomini son
creature d'educazione, e non operano che a seconda del principio d'educazione
che loro è dato. Gli uomini che promossero le rivoluzioni anteriori
s'erano fondati sull'idea dei diritti appartenenti all'individuo: le
rivoluzioni conquistarono la libertà: libertà individuale,
libertà d'insegnamento, libertà di credenze, libertà di
commercio, libertà di ogni cosa e per tutti. Ma che mai importavano i
diritti riconosciuti a chi non avea mezzo d'esercitarli? Che importava la
libertà d'insegnamento a chi non aveva né tempo, né mezzi per
profittarne? Che importava la libertà di commercio a chi non aveva cosa
alcuna da porre in commercio, né capitali, né credito? La società si
componeva, in tutti i paesi dove quei principi furono proclamati, d'un piccol
numero d'individui possessori del terreno, del credito, dei capitali; e di
vaste moltitudini di uomini non aventi che le proprie braccia, forzati a darle,
come arnesi di lavoro, a quei primi e a qualunque patto, per vivere. Forzati a
spendere in fatiche materiali e monotone l'intera giornata, che cosa era per
essi, costretti a combattere colla fame, la libertà, se non una
illusione, un'amara ironia? Perché nol fosse, sarebbe stato necessario che gli
uomini delle classi agiate avessero consentito a ridurre il tempo dell'opera, a
crescerne la retribuzione, a procacciare un'educazione uniforme gratuita alle
moltitudini, a rendere gl'istrumenti del lavoro accessibili a tutti, a
costituire un credito pel lavoratore dotato di facoltà e di buone
intenzioni.
Or perché lo
avrebbero fatto? Non era il benessere lo scopo supremo della vita? Non
erano i beni materiali le cose desiderabili innanzi a tutte? Perché
diminuirsene il godimento a vantaggio altrui? S'aiuti adunque chi può.
Quando la società assicura ad ognuno che possa lo esercizio libero dei
diritti spettanti alla umana natura, fa quanto è richiesto di fare. Se
v'è chi, per fatalità della propria condizione, non può
esercitarne alcuno, si rassegni e non incolpi nessuno. Era naturale che
così dicessero infatti. E questo pensiero delle classi privilegiate di
fortuna, riguardo alle classi povere, diventò rapidamente pensiero di
ogni individuo verso ogni individuo. Ciascun uomo prese cura dei propri diritti
e del miglioramento della propria condizione, senza cercare di provvedere
all'altrui; e quando i proprii diritti si trovarono in urto con quelli degli
altri, fu guerra: guerra non di sangue, ma d'oro e di insidie: guerra meno
virile dell'altra, ma egualmente rovinosa: guerra accanita, nella quale i forti
per mezzi schiacciano inesorabilmente i deboli o gli inesperti. In questa
guerra continua, gli uomini si educarono all'egoismo e alla avidità dei
beni materiali esclusivamente. La libertà di credenza ruppe ogni
comunione di fede. La libertà di educazione generò l'anarchia
morale. Gli uomini senza vincolo comune, senza unità di credenza
religiosa e di scopo, chiamati a godere e non altro, tentarono ognuno la
propria via, non badando se camminando su quella non calpestassero le teste dei
loro fratelli, fratelli di nome ma nemici nel fatto. A questo siamo oggi,
grazie alla teoria dei diritti.
Certo esistono
diritti; ma dove i diritti di un individuo vengono a contrasto con quelli di un
altro, come sperare di conciliarli, di metterli in armonia, senza ricorrere a
qualche cosa superiore a tutti i diritti. E dove i diritti di un individuo, di
molti individui, vengono a contrasto coi diritti del paese, a che tribunale
ricorrere? Se il diritto al benessere, al più gran benessere possibile,
spetta a tutti i viventi, chi scioglierà la questione tra l'operaio e il
capo manifatturiere? Se il diritto alla esistenza è il primo inviolabile
diritto di ogni uomo, chi può comandare il sacrificio dell'esistenza pel
miglioramento d'altri uomini? Lo comanderete in nome della Patria, della
Società, della moltitudine dei vostri fratelli! Cos'è la Patria,
per l'opinione della quale io parlo, se non quel luogo in cui i nostri diritti
individuali sono più sicuri? Cos'è la Società, se non un
convegno d'uomini i quali hanno pattuito di mettere la forza di molti in
appoggio dei diritti di ciascuno? E voi, dopo avere insegnato per
cinquanta anni all'individuo che la Società è costituita per assicurargli
l'esercizio dei suoi diritti, vorrete dimandargli di sacrificarli tutti
alla Società, di sottomettersi, occorrendo, a continue fatiche, alla
prigione, all'esilio, per migliorarla? Dopo avergli predicato per tutte le vie
che lo scopo della vita è il benessere, vorrete a un tratto ordinargli
di perder il benessere e la vita stessa per liberare il proprio paese
dallo straniero, o per procacciare condizioni migliori a una classe che non
è la sua? Dopo avergli parlato per anni in nome degli interessi
materiali, pretendere che egli, trovando davanti a sé ricchezza e potenza,
non stenda la mano ad afferrarle, anche a scapito dei suoi fratelli?
Operai
italiani, questa non è opinione venuta senza appoggio di fatti nella nostra
mente; è storia, storia dei nostri tempi, storia le cui pagine grondano
sangue del popolo. Interrogate tutti gli uomini che cangiarono la rivoluzione
del 1830([1]) in una
sostituzione di persone ad altre persone, e, a modo d'esempio, fecero dei
cadaveri dei vostri compagni di Francia, morti combattendo nelle tre giornate,
uno sgabello alla propria potenza: tutte le loro dottrine, prima del 1830,
erano fondate sulla vecchia idea dei diritti([2]) non sulla
credenza nei doveri dell'uomo. Voi li chiamate in oggi traditori ed
apostati, e non furono che conseguenti alla loro dottrina. Combattevano con
sincerità il governo di Carlo X, perché quel governo era direttamente
nemico alla classe d'onde essi uscivano, e violava e tendeva a sopprimere i
loro diritti. Combattevano in nome di quel benessere, ch'essi non
possedevano quanto pareva loro di meritare.
Alcuni erano
perseguitati nella libertà del pensiero; altri, ingegni potenti, si
vedevano negletti, allontanati dagli impieghi, che occupavano uomini di
capacità inferiore alla loro. Allora anche i mali del popolo li
irritavano. Allora scrivevano arditamente e di buona fede intorno ai diritti
che appartengono a ogni uomo. Poi, quando i loro diritti politici e
intellettuali si trovarono assicurati, quando la via agli impieghi fu loro
aperta, quando ebbero conquistato il benessere che cercavano,
dimenticarono il popolo, dimenticarono che i milioni, inferiori ad essi per
educazione e per desideri, cercavano l'esercizio d'altri diritti e la conquista
di un'altro benessere, posero l'animo in pace e non si curarono d'altro
che di sé stessi. Perché li chiamate traditori? Perché non chiamate invece
traditrice la loro dottrina? Viveva e scriveva nello stesso tempo in Francia un
uomo che non dovete dimenticare, più potente d'ingegno che essi tutti
non erano: era allora nemico nostro; ma credeva nel dovere di
sacrificare l'intera esistenza al bene comune, alla ricerca e al trionfo della
Verità: studiava attento gli uomini e i tempi, non si lasciava sedurre
dagli applausi, né avvilire dalle delusioni: tentata e fallita una via,
ritentava sopra un'altra il miglioramento dei più: e quando i tempi
cangiati gli mostrarono un solo elemento capace d'operarlo, quando il popolo si
mostrò sull'arena più virtuoso e credente che non tutti coloro i
quali avevano preteso trattar la sua causa, egli, Lamennais, l'autore delle Parole
d'un credente([3]) che avete lette
voi tutti, divenne il migliore apostolo della causa nella quale siamo fratelli.
Eccovi, in lui e negli uomini dei quali ho parlato, rappresentata la differenza
tra gli uomini dei diritti e quei del Dovere. Ai primi la
conquista dei loro diritti individuali, togliendo ogni stimolo, basta perché
s'arrestino: il lavoro dei secondi non s'arresta qui in terra che colla vita.
E tra i popoli
interamente schiavi, dove la lotta ha ben altri pericoli, dove ogni passo che
si move verso il bene è segnato dal sangue d'un martire, dove il lavoro
contro l'ingiustizia dominatrice è necessariamente segreto e privo dei
conforti della pubblicità e della lode, quale obbligo, quale stimolo
alla costanza può mantenere sulla via del bene gli uomini che riducono
la santa guerra sociale che noi sosteniamo a un combattimento pei loro diritti?
Parlo, s'intende, della generalità e non delle eccezioni che esistono in
tutte le dottrine. Perché, sedato il tumulto di spiriti e il movimento di
reazione contro la tirannide che trascina naturalmente alla lotta la
gioventù, dopo qualche anno di sforzi, dopo delusioni inevitabili in
impresa siffatta, quegli uomini non si stancherebbero? Perché non
preferirebbero il riposo comunque a una vita irrequieta, agitata di contrasti e
pericoli, che può un giorno o l'altro finire in una prigione, sul
patibolo, o nello esilio? è
storia pur troppo dei più fra gli Italiani d'oggidì, imbevuti
come sono delle vecchie idee francesi: tristissima storia; ma come
interromperla se non cangiando il principio da cui partono per dirigersi? Come
e in nome di chi convincerli che i pericoli e le delusioni devono farli più
forti, che hanno a combattere non per alcuni anni, ma per tutta la loro vita?
Chi può dire ad un uomo: segui a lottare per i tuoi diritti, quando
lottare per essi gli costa più caro che non l'abbandonarli?
E chi
può, anche in una società costituita su basi più giuste che
non le attuali, convincere un uomo fondato unicamente sulla teoria dei diritti,
ch'egli ha da mantenersi sulla via comune e occuparsi di dare sviluppo al
pensiero sociale? Ponete che ei si ribelli; ponete che egli si senta forte e vi
dica: rompo il patto sociale: le mie tendenze, le mie facoltà mi
chiamano altrove; ho diritto sacro, inviolabile, di svilupparle, e mi pongo in
guerra contro tutti: quale risposta potrete voi dargli stando alla
dottrina? Che diritto avete voi di punirlo perché siete maggiorità,
d'imporgli ubbidienza a leggi che non si accordano coi suoi desiderii, colle
sue aspirazioni individuali? Che diritto avete voi di punirlo quand'ei le
viola? I diritti appartengono eguali ad ogni individuo: la convivenza sociale
non può crearne uno solo. La Società ha più forza, non
più diritti dell'individuo. Come dunque proverete voi all'individuo
ch'ei deve confondere la sua volontà colla volontà de' suoi
fratelli nella Patria e nell'umanità? Col carnefice, colle prigioni? Le
Società fin ora esistenti hanno fatto così. Ma questa è
guerra, e noi vogliam pace: è repressione tirannica, e noi vogliamo
educazione.
EDUCAZIONE,
abbiamo detto; ed è la gran parola che racchiude tutta quanta la nostra
dottrina. La questione vitale che s'agita nel nostro secolo è una
questione di Educazione. Si tratta non stabilire un nuovo ordine di cose
colla violenza; un ordine di cose stabilito colla violenza è
sempre tirannico foss'anche migliore del vecchio: si tratta di rovesciare
colla forza la forza brutale che s'oppone in oggi a ogni tentativo di
miglioramento, di proporre al consenso della Nazione, messa in
libertà, d'esprimere la sua volontà, l'ordine che par migliore e
di educare con tutti i mezzi possibili gli uomini a svilupparlo, ad
operare conformemente. Colla teoria dei diritti possiamo insorgere e
rovesciare gli ostacoli; ma non fondare forte e durevole l'armonia di tutti gli
elementi che compongono la Nazione. Colla teoria della felicità, del benessere
dato per oggetto primo alla vita, noi formeremo uomini egoisti, adoratori
della materia, che porteranno le vecchie passioni nell'ordine nuovo e lo
corromperanno pochi mesi dopo. Si tratta dunque di trovare un principio
educatore superiore a siffatta teoria, che guidi gli uomini al meglio, che
insegni loro la costanza nel sacrificio, che li vincoli a' loro fratelli senza
farli dipendenti dall'idea d'un solo o dalla forza di tutti. E questo principio
è il DOVERE. Bisogna convincere gli uomini ch'essi, figli d'un solo Dio,
hanno ad essere qui in terra esecutori d'una sola legge - che ognuno d'essi
deve vivere, non per sé, ma per gli altri ‑ che lo scopo della loro vita
non è quello d'essere più o meno felici, ma di rendere sé stessi
e gli altri migliori - che il combattere l'ingiustizia e l'errore a benefizio
dei loro fratelli e dovunque si trova, è non solamente diritto, ma
dovere: dovere da non negligersi senza colpa ‑ dovere di tutta la
vita.
Operai
Italiani, fratelli miei! intendetemi bene. Quand'io dico, che la conoscenza dei
loro diritti non basta agli uomini per operare un miglioramento importante
e durevole, non chiedo che rinunzino a questi diritti; dico soltanto che non
sono se non una conseguenza di doveri adempiti e che bisogna cominciare
da questi per giungere a quelli. E quand'io dico, che proponendo come scopo
alla vita la felicità, il benessere, interessi materiali,
corriamo rischio di creare egoisti, non intendo che non dobbiate
occuparvene; dico che gli interessi materiali, cercati soli, proposti non come mezzi
ma come fine, conducono sempre a quel tristissimo risultato.
Quando, sotto gli imperatori, gli antichi Romani si limitavano a chiedere pane
e divertimenti, erano la razza più abietta che dar si possa;
e dopo aver subita la tirannia stolida e feroce degli Imperatori, cadevano
vilmente schiavi dei Barbari che invadevano. In Francia e altrove i nemici
d'ogni progresso sociale hanno seminato la corruzione e tentano sviare le menti
dall'idea di mutamento, cercando sviluppo all'attività materiale. E noi
aiuteremo il nemica colle nostre mani? I miglioramenti materiali sono
essenziali, e noi combatteremo per conquistarceli; ma non perché importi unicamente
agli uomini d'essere ben nudriti e alloggiati; bensì perché la coscienza
della vostra dignità e il vostro sviluppo morale non possono venirvi,
finché vi state com'oggi in un continuo duello colla miseria! Voi lavorate
dieci o dodici ore della giornata: come potete trovar tempo per
educarvi? I più tra voi guadagnano appena tanto da sostenere sé e la
loro famiglia: come possono trovar mezzi per educarsi? La precarietà
e le interruzioni del vostro lavoro vi fanno trapassare dalla eccessiva operosità
alle abitudini dello sfaccendato: come potreste acquistar le tendenze all'ordine,
alla regolarità, all'assiduità? La scarsezza del vostro guadagno
sopprime ogni speranza di risparmio efficace e tale che possa un giorno giovare
ai vostri figli o agli anni della vostra vecchiaia: come potreste educarvi ad
abitudini d'economia? Molti fra voi sono costretti dalla miseria a separare i
fanciulli, non diremo dalle cure ‑ quali cure d'educazione possono dare
ai figli le povere mogli degli operai? ‑ ma dall'amore e dallo sguardo
delle madri, cacciandoli, per alcuni soldi, ai lavori nocivi delle manifatture;
come possono, in condizione siffatta, svilupparsi, ingentilirsi i sentimenti di
famiglia? Non avete diritti di cittadini, né partecipazione alcuna d'elezione e
di voto alle leggi che regolano i vostri atti e la vostra vita: come potreste
avere coscienza di cittadini e zelo per lo Stato e affetto sincero alle leggi?
La giustizia è inegualmente distribuita fra voi e l'altre classi: d'onde
imparereste il rispetto e l'amore alla giustizia? La Società vi tratta
senz'ombra di simpatia: d'onde imparereste a simpatizzare colla Società?
Voi dunque avete bisogno che cangino le vostre condizioni materiali, perché
possiate svilupparvi moralmente: avete bisogno di lavorare meno per poter
consacrare alcune ore della vostra giornata al progresso dell'anima vostra:
avete bisogno di una retribuzione di lavoro che vi ponga in grado di accumulare
risparmi, d'acquietarvi l'animo sull'avvenire, di purificarvi sopra tutto
d'ogni sentimento di reazione, d'ogni impulso di vendetta, d'ogni pensiero
d'ingiustizia verso chi vi fu ingiusto. Dovete dunque cercare, e otterrete
questo come mutamento; ma dovete cercarlo come mezzo, non fine:
cercarlo per senso di dovere, non unicamente di diritto:
cercarlo per farvi migliori, non unicamente per farvi materialmente
felici. Dove no, quale differenza sarebbe tra voi e i vostri tiranni? Essi
son tali precisamente, perché non guardano che al benessere, alle
voluttà, alla potenza.
Farvi migliori:
questo ha da essere lo scopo della vostra vita. Farvi stabilmente meno
infelici, voi noi potete, se non migliorando. I tiranni sorgerebbero a mille
tra voi, se voi non combatteste che in nome degli interessi materiali, o d'una
certa organizzazione. Poco importa che mutiate le organizzazioni, se lasciate
voi stessi e gli altri colle passioni e coll'egoismo dell'oggi: le
organizzazioni sono come certe piante che danno veleno o rimedio a seconda
delle operazioni di chi le ministra. Gli uomini buoni fanno buone le
organizzazioni cattive, i malvagi fanno triste le buone. Si tratta di render
migliori e convinte dei loro doveri le classi ch'oggi, volontariamente o
involontariamente, v'opprimono; né potete riescirvi se non cominciando a fare,
quanto è possibile, migliori voi stessi.
Quando dunque
udite dirvi dagli uomini, che predicano la necessità d'un cangiamento
sociale, ch'essi lo produrranno invocando unicamente i vostri diritti,
siate loro riconoscenti delle buone intenzioni, ma diffidate della
riuscita. I mali del povero sono noti, in parte almeno, alle classi agiate; noti
ma non sentiti. Nell'indifferenza generale nata dalla
mancanza d'una fede comune, nell'egoismo, conseguenza inevitabile della
predicazione continuata da tanti anni del benessere materiale, quei che
non soffrono si sono a poco a poco avvezzi a considerare quei mali come una
triste necessità dell'ordine sociale o a lasciare la cura dei rimedi
alle generazioni che verranno. La difficoltà non è nel
convincerli; è nel riscoterli dall'inerzia, nel ridurli, convinti che
siano, ad agire, ad associarsi, ad affratellarsi con voi per
conquistare l'organizzazione sociale, che porrà fine, per quanto le
condizioni dell'Umanità lo concedono, ai vostri mali e ai loro terrori.
Ora questa è l'opera della fede, della fede nella missione che Dio ha
dato alla creatura umana qui sulla Terra, nella responsabilità che pesa
su tutti coloro che non la compiono, nel Dovere che impone a ciascuno di
operare continuamente e con sacrifizio a norma del Vero. Tutte le dottrine
possibili di diritti e di benessere materiale non potranno che
condurvi a tentativi che, se rimarranno isolati o unicamente appoggiati sulle
vostre forze, non riesciranno: non potranno che preparare il più grave
dei delitti sociali: una guerra civile fra classe e classe.
Operai
italiani! fratelli miei! Quando Cristo venne e cangiò la faccia del
mondo, ei non parlò dei diritti ai ricchi, che non avevano bisogno di
conquistarli; a' poveri, che ne avrebbero forse abusato ad imitazione dei
ricchi: non parlò d'utile o d'interessi a una gente, che gl'interessi e
l'utile avevano corrotto: parlò di Amore, di Sacrificio, di Fede; disse
che quegli solo sarebbe il primo fra tutti, che avrebbe giovato a tutti
coll'opera sua. Quelle parole sussurrate nell'orecchio ad una
società che non aveva più scintilla di vita, la rianimarono,
conquistarono i milioni, conquistarono il mondo e fecero progredire d'un passo
l'educazione del genere umano. Operai Italiani! noi siamo in un epoca simile a
quella di Cristo. Viviamo in mezzo a una Società incadaverita, come era
quella dell'Impero Romano, col bisogno nell'animo di ravvivarla, di trasformarla,
d'associare tutti i membri e i lavori in una sola fede, sotto una sola legge,
verso uno scopo: sviluppo libero progressivo di tutte le facoltà che Dio
ha messo in germe nella sua creatura. Cerchiamo che Dio regni sulla terra
siccome nel Cielo, o meglio che la terra sia una preparazione al Cielo, e la
Società un tentativo di avvicinamento progressivo al pensiero Divino.
Ma ogni atto di
Cristo rappresentava la fede che ei predicava, e intorno a lui v'erano apostoli
che incarnavano nei loro atti la fede che essi avevano accettata. Siate tali e
vincerete. Predicate il Dovere agli uomini delle classi che vi stanno sopra, e
compite, per quanto è possibile, i doveri vostri: predicate la
virtù, il sacrifizio, l'amore; e siate virtuosi e pronti al sacrifizio e
all'amore. Esprimete coraggiosamente i vostri bisogni e le vostre idee; ma
senz'ira, senza reazione, senza minaccia: la più potente minaccia, se
v'è chi ne abbia bisogno, è la fermezza, non l'irritazione del
linguaggio, mentre propagate tra i vostri compagni l'idea dei loro futuri
destini, l'idea d'una nazione, che darà loro nome, educazione, lavoro e
retribuzione proporzionata e coscienza e missione d'uomini mentre infondete in
essi il sentimento della lotta inevitabile, alla quale essi devono prepararsi per
conquistarla contro le forze dei tristi nostri governi e dello straniero([4]) ‑
cercate istruirvi, migliorare, educarvi alla piena conoscenza e alla pratica
dei vostri doveri. È lavoro questo impossibile in gran parte d'Italia
per le moltitudini: nessun piano d'educazione popolare può verificarsi
tra noi senza un cangiamento nella condizione materiale del popolo, e senza una
rivoluzione politica: chi s'illude a sperarlo e lo predica come preparativo indispensabile
ad ogni tentativo d'emancipazione, predica l'inerzia, non altro. Ma i pochi tra
voi, ai quali le circostanze corrono un po' migliori e il soggiorno in paesi
stranieri concede mezzi più liberi d'educazione, lo possono, quindi lo
devono. E i pochi tra voi, imbevuti una volta dei veri principii dai quali
dipende l'educazione d'un Popolo, basteranno a spargerli fra le migliaia, a
dirigerlo sulla via e proteggerlo dai sofismi e dalle false dottrine che
verranno a insidiarlo.
L'origine dei
vostri Doveri sta in Dio. La definizione dei vostri DovERI sta nella sua Legge. La scoperta progressiva e l'applicazione
della sua Legge appartengono all'Umanità.
Dio esiste. Noi
non dobbiamo né vogliamo provarvelo: tentarlo ci sembrerebbe bestemmia, come
negarlo, follia. Dio esiste perché noi esistiamo. Dio vive nella nostra
coscienza, nella coscienza dell'Umanità, e nell'Universo che ci
circonda. La nostra coscienza lo invoca nei momenti più solenni di
dolore e di gioia. L'Umanità ha potuto trasformarne, guastarne, non mai
sopprimerne il santo nome. L'Universo lo manifesta coll'ordine, coll'armonia, colla
intelligenza dei suoi moti e delle sue leggi. Non vi sono atei fra voi: se ve
ne fossero, sarebbero degni non di maledizione, ma di compianto. Colui che
può negare Dio davanti ad una notte stellata, davanti alla sepoltura de'
suoi più cari, davanti al martirio, è grandemente infelice o
grandemente colpevole. Il primo ateo fu senz'alcun dubbio un uomo che avea
celato un delitto agli altri uomini e cercava, negando Dio, liberarsi
dell'unico testimonio a cui non poteva celarlo e soffocare il rimorso che lo
tormentava: forse fu un tiranno che avea rapito colla libertà
metà dell'anima a' suoi fratelli e tentava sostituire l'adorazione della
Forza brutale alla fede nel Dovere e nel Diritto immortale. Dopo lui, vennero
qua e là, di secolo in secolo, uomini che per aberrazione di filosofia
insinuarono l'ateismo, ma pochissimi e vergognosi: ‑ vennero, in momenti
non lontani da noi, moltitudini, che per irritazione contro un'idea di Dio
falsa, stolta, architettata a proprio benefizio da una casta o da un potere
tirannico, negarono Dio medesimo; ma fu un istante, e in quell'istante
adorarono, tanto avevano bisogno di Dio, la dea Ragione, la dea Natura. Oggi,
vi sono uomini che aborrono da ogni religione, perché vedono la corruzione
nelle credenze attuali e non indovinano la purità di quelle
dell'avvenire; ma nessun tra loro osa dirsi ateo: vi sono preti che
prostituiscono il nome di Dio ai calcoli della venalità, o al terrore
dei potenti: vi sono tiranni che lo imposturano invocandolo a protettore delle
loro tirannidi; ma perché la luce del sole ci viene spesso offuscata e guasta
da sozzi vapori, negheremo il sole o la potenza vivificatrice del suo raggio
sull'universo? Perché dalla libertà i malvagi possono talvolta far
sorgere l'anarchia, malediremo alla libertà? La fede in Dio brilla d'una
luce immortale attraverso tutte le imposture e le corruttele che gli uomini
addensano intorno a quel nome. Le imposture e le corruttele passano, come
passano le tirannidi: Dio resta, come resta il Popolo, immagine di Dio
sulla terra. Come il popolo, attraverso schiavitù, patimenti e miserie,
conquista a grado a grado coscienza, forza, emancipazione, il nome santo di Dio
sorge dalle rovine dei culti corrotti a splendere, circondato d'un culto
più puro, più fervido e più ragionevole.
Io dunque non vi
parlo di Dio per dimostrarvene l'esistenza, o per dirvi che dovete adorarlo:
voi lo adorate, anche non nominandolo, ogni qualvolta voi sentite la
vostra vita e la vita degli esseri che vi stanno intorno: ma per dirvi come
dovete adorarlo; per ammonirvi intorno a un errore che domina le menti di
molti tra gli uomini delle classi che vi dirigono, e, per esempio loro, di
molti tra voi: errore grave e rovinoso quanto è l'ateismo.
Questo errore
è la separazione più o meno dichiarata, di Dio dall'opera sua, dalla
Terra sulla quale voi dovete compire un periodo della vostra vita.
Avete, da una
parte, una gente che vi dice: “Sta bene: Dio esiste; ma voi non potete
più che ammetterlo ed adorarlo. La relazione tra lui e gli uomini,
nessuno può intenderla o dichiararla. È questione da dibattersi
fra Dio medesimo e la vostra coscienza. Pensate intorno a questo ciò che
volete, ma non proponete la vostra credenza ai vostri simili; non cercate
d'applicarla alle cose di questa terra. La politica è una cosa, la
religione un'altra. Non le confondete. Lasciate le cose del Cielo al potere
spirituale stabilito, qualunque ei siasi, salvo a voi di non credergli, se vi
pare ch'ei tradisca la sua missione: lasciate che ognuno pensi e creda a suo
modo; voi non dovete occuparvi in comune che delle cose della terra.
Materialisti o spiritualisti, credete voi nella libertà, o
nell'eguaglianza degli uomini? volete il ben essere per la maggiorità?
volete il suffragio universale? Riunitevi per ottenere codesto intento; non avete
bisogno per questo d'intendervi sulle quistioni che riguardano il cielo.”
Avete d'altra
parte uomini che vi dicono: “Dio esiste; ma così grande, troppo
superiore a tutte le cose create, perché voi possiate sperar di raggiungerlo
coll'opere umane. La terra è fango. La vita è un giorno.
Distaccatevi dalla prima quanto più potete: non date valore che non
merita alla seconda. Che sono mai tutti gli interessi terreni a fronte della
vita immortale dell'anima vostra? Pensate a questa: guardate al Cielo. Che v'importa
se voi vivete quaggiù in un modo o in un altro? Siete destinati a
morire; e Dio vi giudicherà secondo i pensieri che avrete dato, non alla
terra, ma a Lui. Soffrite? Benedite al Signore che vi manda quei patimenti.
L'esistenza terrena è una prova. La vostra è terra d'esilio.
Sprezzatela ed innalzatevi. Di mezzo ai patimenti, alla miseria, alla
schiavitù, voi potete rivolgervi a Dio, e santificarvi nell'adorazione
di Lui, nella preghiera, nella fede in un avvenire che vi compenserà largamente,
e nel disprezzo delle cose mondane.”
Di quei che
così vi parlano, i primi non amano Dio; i secondi non lo conoscono.
L'uomo è
uno, direte ai primi. Voi non potete troncarlo in due, e far sì ch'egli
concordi con voi nei principii che devono regolare l'ordinamento della
Società quand'ei differisca intorno all'origine sua, ai suoi destini e
alla sua legge di vita quaggiù. Le religioni governano il mondo. Quando
gli uomini dell'India credevano d'essere nati, gli uni dalla testa,
altri dalle braccia, altri dai piedi di Brama, Divinità loro, ordinavano
la Società secondo la divisione degli uomini in caste, assegnavano agli
uni ereditariamente il lavoro intellettuale, ad altri la milizia, ad altri le
opere servili, e si condannavano a una immobilità che ancor dura e
durerà, finché la credenza in quel principio non cada.
Quando i
Cristiani dichiararono al mondo, che gli uomini erano tutti figli di Dio
e fratelli di Lui, tutte le dottrine dei legislatori e dei teosofi
dell'antichità, che stabilivano l'esistenza di due nature negli uomini,
non valsero ad impedire l'abolizione della schiavitù, e quindi un
ordinamento radicalmente diverso nella Società. Ad ogni progresso delle
credenze religiose, noi possiamo mostrarvi corrispondente alla storia
dell'Umanità un progresso sociale: alla vostra dottrina d'indifferenza
in fatto di religione, voi non potete mostrarci altra conseguenza che
l'anarchia. Voi avete potuto distruggere, non mai fondare: smentiteci, se
potete. A forza d'esagerare un principio contenuto nel Protestantesimo, e che
oggi il Protestantesimo, pur sente il bisogno di abbandonare ‑ a forza di
dedurre tutte le vostre idee unicamente dall'indipendenza dell'individuo ‑
voi siete giunti, a che? all'anarchia, cioè all'oppressione del debole,
che non ha mezzi, né tempo, né istruzione per esercitare i propri diritti,
nell'ordinamento politico; all'egoismo, cioè all'isolamento e alla
rovina del debole che non può aiutarsi da sé nella morale. Ma noi
vogliamo Associazione: come ottenerla sicura se non da fratelli che credono
negli stessi principii regolatori, che s'uniscono nella stessa fede, che
giurino nell'istesso nome? Vogliamo educazione: come darla o riceverla, se non
in virtù d'un principio che contenga l'espressione delle nostre credenze
sull'origine, sul fine, sulla legge di vita dell'uomo su questa terra? Vogliamo
educazione comune: come darla o riceverla, senza una fede comune? Vogliamo
formare Nazione: come riescirvi, se non credendo in uno scopo comune, in un dovere
comune? E donde possiamo noi dedurre un dovere comune? se non
dall'idea che ci formiamo di Dio e della sua relazione con noi? Certo: il
suffragio universale è cosa eccellente; è il solo mezzo legale
col quale un paese possa, senza crisi violente ogni tanto, governarsi; ma il
suffragio universale in un paese dominato da una fede darà l'espressione
della tendenza, della volontà nazionale; in un paese privo
di credenze comuni, cosa mai potrà esprimere se non l'interesse
numericamente più forte e l'oppressione di tutti gli altri? Tutte le
riforme politiche in ogni paese irreligioso, o non curante di religione,
dureranno quanto il capriccio o l'interesse degli individui vorranno e non
più. L'esperienza degli ultimi cinquanta anni ci ha addottrinati, su
questo punto, abbastanza.
Agli altri che
vi parlano del Cielo, scompagnandolo dalla Terra, voi direte che
cielo e terra sono, come la via e il termine della via, una cosa sola. Non dite
che la terra è fango: la terra è Dio: Dio la creava perché per
essa salissimo a Lui. La terra non è un soggiorno di espiazione o di
tentazione: è il luogo del nostro lavoro per un fine di miglioramento,
del nostro sviluppo verso un grado d'esistenza superiore. Dio ci creava non per
la contemplazione, ma per l'azione: ci creava ad immagine sua, ed egli è
Pensiero ed Azione, anzi non v'è in lui pensiero che non si
traduca in azione. Noi dobbiamo, dite, sprezzare tutte le cose mondane e
calpestare la vita terrena, per occuparci della celeste; ma cos'è la
vita terrena, se non un preludio della celeste, un avviamento a raggiungerla?
non v'avvedete che voi benedicendo l'ultimo gradino della scala per la quale
noi tutti dobbiamo salire, e maledicendo al primo, ci troncate la vita?
La vita
d'un'anima è sacra, in ogni suo periodo: nel periodo terreno come negli
altri che seguiranno; bensì, ogni periodo dev'essere preparazione
all'altro, ogni sviluppo temporaneo deve giovare allo sviluppo continuo
ascendente alla vita immortale che Dio trasfuse in ciascuno di noi e nella
Umanità complessiva che cresce coll'Opera di ciascuno di noi. Or Dio
v'ha messo quaggiù sulla terra: v'ha messo intorno milioni di esseri
simili a voi, il cui pensiero si alimenta del vostro pensiero, il cui miglioramento
progredisce col vostro, la cui vita si feconda della vostra vita: v'ha dato, a
salvarvi dai pericoli dell'isolamento, bisogni che non potete soddisfar soli, e
istinti predominanti sociali che dormono nei bruti e che vi distinguono da
essi: v'ha steso intorno quel mondo che voi chiamate Materia, magnifico di
bellezza, pregno di vita, d'una vita che, non dovete dimenticarlo, si mostra
per ogni dove tanto che vi si vegga il segno di Dio, ma aspetta nondimeno
l'opera vostra, dipende nelle sue manifestazioni da voi, e si moltiplica di
potenza quanto più la vostra attività si moltiplica: v'ha posto
dentro simpatie inestinguibili, la pietà per chi geme, la gioia per chi
sorride, l'ira contro chi opprime la creatura, il desiderio incessante del
Vero, l'ammirazione pel Genio che scopre qualche parte del vero, l'entusiasmo
per chi lo traduce in azione giovevole a tutti, la venerazione religiosa per
chi, non potendo farlo trionfare, muore martire, portando col proprio sangue
testimonianza per esso ‑ e voi negate, sprezzate questi indizii della
vostra missione che Dio v'ha profuso d'intorno, anzi cacciate l'anatema sui
segni suoi, chiamandoci a concentrare tutte le nostre forze in una opera di
purificazione interna, imperfetta, impossibile quando è solitaria! Or
Dio non punisce chi la pensa così? Non degrada egli lo schiavo? Non
sommerge egli negli appetiti sensuali, negli istinti ciechi di quella che voi
chiamate materia, metà dell'anima del povero giornaliero
costretto a consumare, senza lume d'educazione, in una serie d'atti fisici, la
vita divina? Trovate fede religiosa più viva nel servo Russo che
non nel Polacco combattente le battaglie della patria e della Libertà?
Trovate amore più fervente di Dio nel suddito avvilito d'un Papa e d'un
Re tiranno, che non nel repubblicano Lombardo del dodicesimo secolo e nel
repubblicano Fiorentino del decimoquarto? Dov'è lo spirito di Dio ivi
è la libertà, ha detto uno dei più potenti Apostoli che
noi conosciamo; e la religione ch'ei predicava decretò l'abolizione
della schiavitù; chi può intendere e adorare convenientemente Dio
strisciandosi ai piedi della sua creatura? La vostra non è religione,
è setta d'uomini che hanno dimenticato la loro origine, le battaglie che
i loro padri sostennero contro una società incadaverita, e le vittorie
che riportarono trasformando quel mondo terrestre ch'oggi voi, o contemplatori,
sprezzate. Qualunque forte credenza sorga fra le rovine delle vecchie esaurite,
trasformerà l'ordinamento sociale esistente, perché ogni forte credenza
cerca applicarsi a tutti i rami dell'attività umana; perché la terra ha
cercato sempre, in ogni epoca, conformarsi al cielo in cui essa credeva;
perché tutta intera la storia dell'Umanità ripete, sotto forme diverse e
a gradi diversi, secondo i tempi, la parola registrata nella Orazione
Domenicale del Cristianesimo: Venga il tuo regno sulla terra, o
Signore, siccome è nel cielo.
Venga il regno
di Dio sulla terra, siccome è nel cielo: sia questa, o
fratelli miei, meglio intesa e applicata che non fu per l'addietro, la vostra
parola di fede, la vostra preghiera: ripetetela e operate perché si verifichi.
Lasciate ch'altri tenti persuadervi la rassegnazione passiva, l'indifferenza
alle cose terrene, la sommissione ad ogni potere temporale anche ingiusto,
replicandovi, male intesa, quell'altra parola: “Rendete a Cesare ciò
ch'è il Cesare e ciò ch'è di Dio a Dio”.
Possono dirvi
cosa che non sia di Dio? Nulla è di Cesare se non quanto è
conforme alla Legge Divina. Cesare, ossia il potere temporale, il governo
civile non è che il mandatario, l'esecutore, quanto le sue forze e i
tempi concedono, del disegno di Dio: dove tradisce il mandato, è vostro,
non diremo diritto, ma dovere mutarlo. A che siete quaggiù, se non per
affaticarvi a sviluppare coi vostri mezzi e nella vostra sfera il concetto di
Dio? A che professare di credere nell'unità del genere umano,
conseguenza inevitabile dell'Unità di Dio, se non lavorate a vivificarla
combattendo le divisioni arbitrarie, le inimicizie che separano tuttavia le
diverse tribù formanti l'Umanità? A che credere nella
Libertà umana, base della umana responsabilità, se non ci
adoperiamo a distruggere tutti gli ostacoli che impediscono la prima e viziano
la seconda? A che parlare di Fratellanza, pur concedendo che i nostri fratelli
siano ogni dì conculcati, avvinti, sprezzati? La terra è la
nostra lavoreria: non bisogna maledirla; bisogna santificarla. Le forze
materiali che ci troviamo d'intorno sono i nostri strumenti di lavoro; non
bisogna ripudiarli, bisogna costantemente, ardentemente dirigerli al bene.
Ma questo, voi,
senza Dio, non potete. V'ho parlato di Doveri: v'ho insegnato che
la sola conoscenza dei vostri Diritti non basta a guidarci durevolmente
sulle vie del bene, non basta a darvi quel miglioramento progressivo, continuo,
nella vostra condizione, che voi cercate: or bene, senza Dio, donde il Dovere?
senza Dio, voi, a qualunque sistema civile vogliate appigliarvi, non potete
trovare altra base che la Forza cieca, brutale, tirannica. Di qui non s'esce. O
lo sviluppo delle cose umane dipende da una legge di provvidenza che noi tutti
siamo incaricati di scoprire e di applicare, o è affidato al caso, alle
circostanze del momento, all'uomo che sa meglio avvalersene. O dobbiamo
obbedire a Dio, o servire ad uomini, uno o più non porta. Se non regna
una mente suprema su tutte le menti umane, chi può salvarci dall'arbitrio
dei nostri simili, quando si trovino più potenti di noi? Se non esiste
una Legge santa, inviolabile, non creata dagli uomini, quale norma avremo per
giudicare se un atto è giusto o non lo è? In nome di chi, in nome
di che protesteremo contro l'oppressione e l'ineguaglianza? Senza Dio, non
v'è altro dominatore che il Fatto: il Fatto davanti al quale i
materialisti s'inchinano sempre, abbia nome Rivoluzione o Bonaparte: il Fatto
del quale i materialisti anch'oggi, in Italia ed altrove, si fanno scudo per
giustificare l'inerzia anche dove concordano teoricamente coi nostri principii.
Or, comanderemo noi loro sacrificio, il martirio in nome delle nostre opinioni
individuali? Cangeremo, in virtù solamente dei nostri interessi, la
teorica in pratica, il principio astratto in azione? Disingannatevi. Finché
parleremo a individui, in nome di quanto il nostro intelletto individuale ci
suggerisce, avremo quel ch'oggi abbiamo: adesione a parole, non opera. Il grido
che suonò in tutte le grandi rivoluzioni, il grido Dio lo vuole! Dio
lo vuole! delle Crociate, può solo convertire gl'inerti in attivi,
dar animo ai paurosi, entusiasmo di sacrifizio ai calcolatori, fede a chi
respinge col dubbio ogni umano concetto. Provate agli uomini che l'opera
d'emancipazione e di sviluppo progressivo alla quale voi li chiamate, stia nel
disegno di Dio: nessuno si ribellerà. Provate loro che l'opera terrestre
da compirsi quaggiù è essenzialmente connessa colla loro vita
immortale: tutti i calcoli del momento spariranno davanti all'importanza
dell'avvenire. Senza Dio, voi potete imporre, non persuadere: potete essere
tiranni od oppressori alla volta vostra, non Educatori ed Apostoli.
Dio lo vuole,
Dio lo vuole! È grido di popolo, o fratelli; è grido del vostro
popolo, grido nazionale Italiano. Non vi lasciate ingannare, o voi
che lavorate con sincerità d'amore per la vostra Nazione, da chi vi
dirà forse che la tendenza Italiana non è che tentazione
politica, e che lo spirito religioso s'è dipartito da essa. Lo spirito
religioso non si dipartì mai dall'Italia finché l'Italia, comunque
divisa, fu grande ed attiva; si dipartì, quando nel secolo decimosesto,
caduta Firenze, caduta sotto le armi straniere di Carlo V, e sotto i raggiri
dei Papi ogni libertà di vita Italiana, noi cominciammo a perdere
tendenze nazionali e a vivere spagnuoli, tedeschi e francesi. Allora i nostri
letterati incominciarono a far da buffoni ai principi e ad accarezzare la
svogliatezza dei padroni, ridendo di tutti e di tutto. Allora i nostri preti,
vedendo impossibile ogni applicazione di verità religiosa,
incominciarono a far bottega del culto, e a pensare a se stessi, non al popolo
ch'essi dovevano illuminare e proteggere. E allora il popolo, sprezzato dai
letterati, tradito e spolpato dai preti, esiliato da ogni influenza nelle cose
pubbliche, cominciò a vendicarsi ridendo dei letterati, diffidando dei
preti, ribellandosi a tutte le credenze, poi che vedeva corrotta l'antica e non
poteva presentire più in là. Da quel tempo in poi, noi ci
trasciniamo tra le superstizioni comandate dall'abitudine o dai governi e la
incredulità, abietti e impotenti. Ma noi vogliamo risorgere grandi ed
onorati. E ricorderemo la tradizione Nazionale. Ricorderemo che col nome di Dio
sulla bocca e colle insegne della loro fede nel centro della battaglia, i
nostri fratelli lombardi vincevano, nel dodicesimo secolo, gl'invasori
tedeschi, e riconquistavano le loro libertà manomesse. Ricorderemo che i
repubblicani delle città toscane si radunavano al parlamento nei templi.
Ricorderemo gli Artigiani Fiorentini che, respingendo il partito di
sottomettere all'impero della famiglia Medici la loro libertà
democratica, elessero, per voto solenne, Cristo capo della Repubblica ‑ e
il frate Savonarola predicante a un tempo il dogma di Dio e quello del popolo ‑
e i Genovesi del 1746 liberatori, a furia di sassate, e del nome di Maria
protettrice, della loro città dall'esercito tedesco che la occupava, e
una catena d'altri fatti simili a questi, ne' quali il pensiero religioso
protesse e fecondò il pensiero popolare Italiano.
E il pensiero
religioso dorme, aspettando sviluppo, nel nostro popolo: chi saprà
suscitarlo, avrà fatto più per la Nazione che non con venti sette
politiche. Forse all'assenza di questo pensiero negli imitatori delle
costituzioni e tattiche monarchiche forestiere che condussero i tentativi
passati d'insurrezione in Italia, tanto quanto all'assenza d'uno scopo
apertamente popolare, è dovuta la freddezza con che il popolo
guardò finora a quei tentativi. Predicate dunque, o fratelli, in nome di
Dio. Chi ha cuore italiano vi seguirà.
Predicate in
nome di Dio. I letterati sorrideranno: dimandate ai letterati che cosa hanno
fatto per la loro patria. I preti vi scomunicheranno: dite ai preti che voi
conoscete Dio più ch'essi non fanno, e che tra Dio e la sua Legge, voi
non avete bisogno d'intermediari. Il popolo v'intenderà e
ripeterà con voi: “Crediamo in Dio Padre Intelletto ed amore,
Creatore ed Educatore dell'Umanità”. E in quella parola, voi e il
Popolo vincerete.
Voi avete vita:
dunque avete una legge di vita. Non c'è vita senza legge. Qualunque cosa
esiste, esiste in un certo modo, secondo certe condizioni, con una certa legge.
Una legge d'aggregazione governa i minerali: una legge di sviluppo governa le
piante: una legge di moto governa gli astri: una legge governa voi e la vostra
vita: legge tanto più nobile ed alta quanto più voi siete
superiori a tutte le cose create sulla terra. Svilupparvi, agire, vivere
secondo la vostra legge è il primo, anzi l'unico vostro dovere.
Dio v'ha dato
la vita; Dio v'ha dunque data la legge; Dio è l'unico Legislatore della
razza umana. La sua legge è l'unica alla quale voi dobbiate ubbidire. Le
leggi umane non sono valide e buone se non in quanto vi si uniformano,
spiegandola ed applicandola: sono tristi ogni qualvolta la contradicono o se ne
discostano: ed è non solamente vostro diritto, ma vostro dovere
disubbidirle e abolirle. Chi meglio spiega ed applica ai casi umani la legge di
Dio, è vostro capo legittimo: amatelo e seguitelo. Ma da Dio in fuori,
non avete, né potete, senza tradirlo e ribellarvi da lui, avere padrone.
Nella coscienza
della vostra legge di vita, della LEGGE DI DIO, sta dunque il fondamento
della morale, la regola delle vostre azioni e dei vostri doveri, la misura
della vostra responsabilità: in essa sta pure la vostra difesa contro le
leggi ingiuste che l'arbitrio d'un uomo o di più uomini può
tentare d'imporvi. Voi non potete, senza conoscerla, prender nomi o diritti
d'uomini. Tutti i diritti hanno la loro origine in una legge, e voi, ogni
qualvolta non potete invocarla, potete essere tiranni o schiavi, non altro:
tiranni se siete forti, schiavi dell'altrui forza se siete deboli. Ad essere uomini,
vi bisogna conoscere la legge che distingue la natura umana da quella dei
bruti, delle piante, dei minerali, e conformarvi le vostre azioni.
Or, come
conoscerla?
È questa
la dimanda che in tutti i tempi l'Umanità ha indirizzato a quanti hanno
pronunziato la parola: legge, doveri; e le risposte sono anch'oggi
diverse.
Gli uni hanno
risposto mostrando un Codice, un libro e dicendo: “Qui dentro è tutta
la legge morale.” Gli altri hanno detto: “Ogni uomo interroghi il
proprio core; ivi sta la definizione del bene e del male.” Altri ancora,
rigettando il giudizio dell'individuo, ha invocato il consenso universale, e
dichiarato che dove l'umanità concorda in una credenza, quella
è la vera.
Erravano tutti.
E la storia del genere umano dichiarava impotenti, con fatti irrecusabili,
tutte queste risposte.
Quei che
affermano trovarsi in un libro o sulla bocca d'un solo uomo tutta quanta la
legge morale, dimenticano che non v'è codice dal quale l'Umanità,
dopo una credenza di secoli, non si sia scostata per cercarne e ispirarne
un'altro migliore, e che non v'è ragione, oggi specialmente, di credere
che l'Umanità cangi di metodo.
A quel che
sostengono la sola coscienza dell'individuo essere la norma del vero e
del falso, ossia del bene e del male, basta ricordare, che nessuna
religione, per santa che fosse, è stata senza eretici, senza dissidenti
convinti e presti ad affrontare il martirio in nome della loro coscienza.
Oggi il Protestantesimo
si divide e suddivide in mille sette tutte fondate sui diritti della coscienza
dell'individuo; tutte accanite a farsi guerra tra loro, e
perpetuanti l'anarchia di credenze, vera e sola sorgente della discordia che
tormenta socialmente e politicamente i popoli dell'Europa.
E d'altra
parte, agli uomini che rinnegano la testimonianza della coscienza
dell'individuo per richiamarsi unicamente al consenso dell'Umanità in
una credenza, basta ricordare come tutte le grandi idee che migliorano
l'Umanità, cominciarono a manifestarsi in opposizione a credenze che
l'Umanità consentiva, e furono predicate da individui che
l'Umanità derise, perseguitò, crocefisse.
Ciascuna dunque di
queste norme è insufficiente a ottenere la conoscenza della LEGGE DI
DIO, della Verità! E nondimeno, la coscienza dell'individuo è
santa: il consenso comune dell'Umanità è santo: e chiunque
rinunzia a interrogare questo o quella, si priva d'un mezzo essenziale per
conoscere la verità. L'errore generale fin qui è stato quello di
volerla raggiungere con un solo di questi mezzi esclusivamente: errore
decisivo e funestissimo nelle conseguenze, perché non si può stabilire
la coscienza dell'individuo, sola norma della verità, senza cadere
nell'anarchia; non si può invocare come inappellabile il consenso
generale in un momento dato, senza soffocare la libertà umana e rovinare
nella tirannide.
Così ‑
e cito questi esempi per mostrare come da queste prime basi dipenda, più
che generalmente non si crede, tutto quanto l'edifizio sociale ‑
così gli uomini, servendo allo stesso errore, hanno ordinato la
società politica, gli uni sul rispetto unicamente dei diritti dell'individuo,
dimenticando interamente la missione educatrice della società; gli
altri unicamente sui diritti, sociali, sacrificando la libertà e
l'azione dell'individuo([5]). E la Francia
dopo la sua grande rivoluzione, e l'Inghilterra segnatamente, c'insegnarono
come il primo sistema non conduca che alla ineguaglianza e all'oppressione dei
più; il Comunismo, fra gli altri, ci mostrerebbe, se potesse mai
trapassare allo stato di fatto, come il secondo condanni a pietrificarsi la
società togliendone ogni moto e ogni facoltà di progresso.
Così gli
uni, considerando che i pretesi diritti dell'individuo hanno ordinato, o
meglio, disordinato il sistema economico, gli danno per unica base la teoria
della libera concorrenza illimitata; mentre gli altri, non guardando che
all'unità sociale, vorrebbero fidare al governo il monopolio di
tutte le forze produttrici dello Stato: due concetti, il primo de' quali ci ha
dato tutti i mali dell'anarchia, il secondo ci darebbe l'immobilità e
tutti i mali della tirannide.
Dio v'ha dato
il consenso dei vostri fratelli e la vostra coscienza, come due ale per
innalzarvi quanto è possibile sino a lui. Perché v'ostinate a troncarne
una? Perché isolarvi, assorbirvi nel mondo? Perché voler soffocare la voce del
genere umano? Ambe sono sacre: Dio parla in ambe. Dovunque s'incontrano, dovunque
il grido della vostra coscienza è ratificato dal consenso dell'Umanità,
ivi è Dio, ivi siete certi di avere in pugno la verità: l'uno
è la verificazione dell'altro.
Se i vostri
doveri non fossero che negativi, se consistessero unicamente nel non fare il
male, nel non nuocere ai vostri fratelli, forse, nello stato di sviluppo in
cui oggi sono anche i meno educati, il grido della vostra coscienza basterebbe
a dirigervi. Siete nati al bene, e ogni qual volta voi operate direttamente contro
la Legge, ogni qual volta voi commettete ciò che gli uomini chiamano
delitto, v'è tal cosa in voi che v'accusa, tale una voce di
rimprovero che voi potrete dissimulare agli altri, ma non a voi stessi. Ma i
vostri più importanti doveri sono positivi. Non basta il non fare: bisogna
fare. Non basta limitarsi a non operare contro la Legge: bisogna operare
a seconda della Legge. Non basta il non nuocere, bisogna giovare
ai vostri fratelli. Pur troppo finora la morale s'è presentata ai
più fra gli uomini in una forma più negativa che affermativa.
Gl'interpreti della Legge hanno detto: “non ruberai, non ammazzerai”; nessuno o
pochi, hanno insegnato gli obblighi che spettano all'uomo, e il come egli debba
giovare ai suoi simili e al disegno di Dio nella creazione. Or questo è
il primo scopo della Morale; né l'individuo, consultando unicamente la propria
coscienza, può raggiungerlo mai.
La coscienza
dell'individuo parla in ragione della sua educazione, delle sue
tendenze, delle sue abitudini, delle sue passioni. La coscienza dell'Irochese
selvaggio parla un linguaggio diverso da quello dell'Europeo incivilito del XIX
secolo. La coscienza dell'uomo libero suggerisce doveri che la coscienza dello
schiavo non sospetta nemmeno. Interrogate il povero giornaliero Napoletano o
Lombardo, al quale un cattivo prete fu l'unico apostolo di morale, al quale, s'ei
pur sa leggere, quella del catechismo Austriaco fu l'unica lettura concessa,
egli vi dirà che i suoi doveri sono lavoro assiduo a ogni prezzo per
sostenere la sua famiglia, sommissione illimitata senza esame alle leggi quali
esse siano, e il non nuocere altrui: a chi gli parlasse di doveri che lo legano
alla patria e all'Umanità, a chi gli dicesse: “voi nuocete ai nostri
fratelli, accettando di lavorare per un prezzo inferiore all'opera, voi peccate
contro Dio e contro all'anima vostra, obbedendo a leggi che sono ingiuste”, ei
risponderebbe, come chi non intende, inarcando le ciglia. Interrogate l'operaio
Italiano, al quale circostanze migliori o il contatto con uomini di più
educato intelletto hanno insegnato più parte del vero; ei vi dirà
che la sua patria è schiava, che i suoi fratelli sono ingiustamente condannati
a vivere in miseria materiale e morale, e ch'ei sente il dovere di protestare,
potendo, contro questa ingiustizia. Perché tanto divario fra i suggerimenti
della coscienza in due individui dello stesso tempo e dello stesso paese?
Perché fra dieci individui appartenenti in sostanza alla stessa credenza,
quella che impone lo sviluppo e il progresso della razza umana, troviamo dieci
convinzioni diverse sui modi d'applicare la credenza alle azioni, cioè
sui doveri? Evidentemente, il grido della coscienza dell'individuo non
basta, in ogni stato di cose e senz'altra norma, a rivelargli la Legge. La
coscienza basta solo a insegnarvi che una legge esiste, non quali sono questi
doveri. Per questo il martirio non s'è mai, e comunque l'egoismo
predominasse, esiliato dall'Umanità; ma quanti martiri non sacrificarono
l'esistenza per presunti doveri, a beneficio d'errori oggi patenti a ciascuno!
V'è
dunque bisogno d'una scorta alla vostra coscienza, d'un lume che le rompa
d'intorno la tenebra, d'una norma che ne verifichi e ne diriga gl'istinti. E
questa norma è l'Intelletto e l'Umanità.
Dio ha dato intelletto
a ciascun di voi, perché lo educhiate a conoscere la sua Legge. Oggi, la
miseria, gli errori inveterati da secoli e la volontà dei vostri
padroni, vi contrastano fin la possibilità d'educarlo; e per questo
v'è necessario rovesciare quegli ostacoli colla forza. Ma quand'anche
gli ostacoli saranno tolti di mezzo, l'intelletto di ciascun di voi sarà
insufficiente a conoscere la legge di Dio, se non appoggiandosi all'intelletto
dell'umanità. La vostra vita è breve: le vostre facoltà
individuali sono deboli, incerte, e abbisognano d'un punto d'appoggio. Or Dio
v'ha messo vicino un essere la cui vita è continua, e le cui
facoltà sono la somma di tutte le facoltà individuali che si
sono, da forse quattrocento secoli, esercitate; un essere che attraverso gli
errori e le colpe degli individui migliora sempre in sapienza e
moralità: un essere nel cui sviluppo Dio ha scritto e scrive ad ogni
epoca una linea della sua Legge.
Quest'essere
è l'Umanità.
L'Umanità,
ha detto un pensatore del secolo scorso, è un uomo che impara sempre.
Gl'individui muoiono; ma quel tanto di vero che essi hanno pensato, quel
tanto di buono ch'essi hanno operato non va perduto con essi: l'Umanità
lo raccoglie e gli uomini che passeggiano sulla loro sepoltura ne fanno lor
pro. Ognuno di noi nasce in oggi in una atmosfera d'idee e di credenze
elaborata da tutta l'Umanità anteriore: ognuno di noi porta, senza pur
saperlo, un elemento più o meno importante alla vita dell'Umanità
successiva. La educazione dell'Umanità progredisce come si inalzano in
Oriente quelle piramidi alle quali ogni viandante aggiunge una pietra. Noi passiamo,
viandanti d'un giorno, chiamati a compiere la nostra educazione individuale
altrove; l'educazione dell'Umanità si mostra a lampi in ciascuno di noi,
si svela lentamente, progressivamente, continuamente nell'Umanità.
L'Umanità è il Verbo vivente di Dio. Lo spirito di Dio la
feconda, e si manifestò sempre più puro, sempre più attivo
d'epoca in epoca in essa, un giorno per mezzo d'un individuo, un altro per
mezzo d'un popolo. Di lavoro in lavoro, di credenza in credenza,
l'Umanità conquista via via una nozione più chiara della propria
vita, della propria missione, di Dio e della sua Legge.
Dio s'incarna successivamente
nell'umanità. La legge di Dio è una, sì come è
Dio; ma noi lo scopriamo articolo per articolo, linea per linea, quanto
più s'accumula l'esperienza educatrice delle generazioni che precedono,
quanto più cresce in ampiezza e in intensità l'associazione fra
le razze, fra i popoli, fra gl'individui. Nessun uomo, nessun popolo, nessun
secolo può presumere di scoprirla intera: la legge morale, la legge di
vita dell'umanità tutta quanta raccolta in associazione, quando tutte le
forze, tutte le facoltà che costituiscono l'umana natura saranno
sviluppate e in azione. Ma intanto, quella parte dell'Umanità
ch'è più inoltrata nell'educazione c'insegna col suo sviluppo
parte della legge che noi cerchiamo. Nella sua storia leggiamo il disegno di
Dio; ne' suoi bisogni i nostri doveri: doveri che mutano o per dir
meglio crescono coi bisogni, perché il nostro primo dovere sta nel concorrere a
che l'Umanità salga prontamente quel grado di miglioramento e di
educazione al quale Dio e i tempi l'hanno preparata.
Voi dunque, a
conoscere la legge di Dio, avete bisogno d'interrogare non solamente la vostra
coscienza, ma la coscienza, il consenso dell'Umanità; a conoscere i
vostri doveri, avete bisogno d'interrogare i bisogni attuali
dell'Umanità. La morale è progressiva come l'educazione del
genere umano e di voi. La morale del Cristianesimo non era quella dei tempi
Pagani: la morale del secolo nostro non è quella di diciotto secoli
addietro. Oggi i vostri padroni, colla segregazione dell'altre classi, col
divieto d'ogni associazione, colla doppia censura imposta alla stampa
procacciano di nascondervi, coi bisogni dell'Umanità, i vostri doveri. E
nondimeno, anche prima del tempo in cui la Nazione v'insegnerà
gratuitamente dalle scuole di educazione generale la storia dell'Umanità
nel passato e i suoi bisogni presenti, voi potete, volendo, imparare in parte
almeno la prima e indovinare i secondi. I bisogni attuali dell'Umanità
emergono in espressioni più o meno imperfette, dai fatti che occorrono
ogni giorno nei paesi ai quali non è legge assoluta l'immobilità
del silenzio. Chi vi vieta, fratelli delle terre schiave, saperli? Qual forza
di sospettosa tirannide può lungamente contendere a milioni d'uomini,
moltissimi dei quali viaggiano fuori d'Italia e rimpatriano, la conoscenza dei
fatti europei? Se le associazioni pubbliche vi sono in quasi tutta Italia
vietate([6]), chi
può vietar le segrete, quand'esse fuggano i simboli e le organizzazioni
complicate, e non consistano che d'una catena fraterna stesa di paese in paese
fino a toccare alcuno tra gli infiniti punti della frontiera? Non troverete voi
sopra ogni punto della frontiera terrestre e marittima, uomini vostri, uomini
che i vostri padroni hanno cacciato fuori di patria per aver voluto giovarvi,
che vi saranno apostoli di verità, che vi diranno con amore ciò
che gli studi e le tristi facilità dell'esilio hanno loro insegnato sui
voti presenti e sulla tradizione dell'Umanità? Chi può impedirvi,
solo che voi vogliate, di ricevere alcuno degli scritti che i vostri fratelli
stampano qui nell'esilio per voi? Leggeteli e ardeteli, sì che il giorno
dopo, l'inquisizione dei vostri padroni non li trovi fra le vostre mani e non
ne faccia argomento di colpa alle vostre famiglie; ma pur leggeteli e ripetete,
quel tanto che avrete potuto serbare a mente, ai più fidati dei vostri
amici. Aiutateci colle offerte ad allargare la sfera dell'Apostolato, a
compilare, a stampare per voi manuali di storia generale e di storia patria.
Aiutateci, moltiplicando le comunicazioni, a diffonderli. Convincetevi che
senza istruzione, voi non potete conoscere i vostri doveri: convincetevi che
dove la Società vi contende ogni insegnamento, la responsabilità
d'ogni colpa è non vostra, ma sua: la vostra incomincia dal giorno in
cui una via qualunque allo insegnamento v'è aperta, e la negligete: dal
giorno in cui vi si mostrano mezzi per mutare una società che vi
condanna all'ignoranza, e voi non pensate ad usarne. Non siete colpevoli perché
ignorate; siete colpevoli perché vi rassegnate a ignorare ‑ perché mentre
la vostra coscienza v'avverte che Dio non v'ha dato facoltà senza
imporvi di svilupparle, voi lasciate dormire nell'anima vostra tutte le
facoltà del pensiero ‑ perché, mentre pur sapete che Dio non
può avervi dato l'amore del vero senza darvi i mezzi di conseguirlo,
voi, disperando, rinunziate a farne ricerca e accettate, senza esame, per
verità l'affermazione del potente e del sacerdote venduto al potente.
Dio, Padre
ed educatore dell'Umanità, rivela nello spazio e nel tempo la sua
legge all'Umanità. Interrogate la tradizione dell'Umanità, il
Consenso dei vostri fratelli, non nel cerchio ristretto di un secolo o d'una
setta, ma in tutti i secoli e nella maggiorità degli uomini passati e
presenti. Ogni volta che a quel consenso corrisponde la voce della vostra
coscienza, voi siete certi del vero, certi d'avere una linea della legge di
Dio.
Noi crediamo
nell'Umanità, sola interprete della legge di Dio sulla terra; e dal
consenso dell'umanità in armonia colla nostra coscienza, deduciamo
quanto andrò via via dicendovi intorno ai vostri doveri.
I vostri primi
doveri, primi non per tempo ma per importanza e perché senza intendere quelli
non potete compiere se non imperfettamente gli altri, sono verso
l'Umanità. Avete doveri di cittadini, di figli, di sposi e di padri,
doveri santi, inviolabili, dei quali vi parlerò a lungo tra poco; ma
ciò che fa santi e inviolabili quei doveri, è la missione, il
Dovere che la vostra natura d'uomini vi comanda. Siete padre per educare
uomini al culto e allo sviluppo della Legge di Dio. Siete cittadini,
avete una Patria, per potere facilmente, in una sfera limitata, con concorso di
gente già stretta a voi per lingua, per tendenze, per abitudini,
operare, a beneficio degli uomini quanti sono e saranno, ciò che
mal potreste operare perduti, voi soli e deboli, nell'immenso numero dei vostri
simili. Quei che v'insegnano morale, limitando la nozione dei vostri
doveri alla famiglia o alla patria, v'insegnano, più o meno ristretto, l'egoismo,
e vi conducono al male per gli altri e per voi medesimi. Patria e Famiglia
son come due circoli segnati dentro un circolo maggiore che li contiene; come
due gradini d'una scala senza i quali non potreste salire più in alto,
ma sui quali non è permesso arrestarvi.
Siete uomini:
cioè creature ragionevoli, socievoli e capaci, per mezzo unicamente
dell'associazione, d'un progresso, a cui nessuno può assegnar
limiti: e questo è quel tanto che oggi sappiamo dalla Legge di vita data
all'Umanità. Questi caratteri costituiscono la umana natura, che vi
distingue dagli altri esseri che vi circondano e che è fidata a ciascuno
di voi come un seme da far fruttare. Tutta la vostra vita deve tendere
all'esercizio e allo sviluppo ordinario di queste facoltà fondamentali
della vostra natura. Qualunque volta voi sopprimete o lasciate sopprimere, in
tutto o in parte, una di queste facoltà, voi scadete dal rango d'uomini
fra gli animali inferiori o violate la legge della vostra vita, la Legge di
Dio.
Scadete fra i
bruti e violate la Legge di Dio, qualunque volta voi sopprimete o lasciate
sopprimere una delle facoltà che costituiscono l'umana natura in voi o
in altri. Ciò che Dio vuole, è non già che la sua legge
s'adempia in voi individui ‑ se Dio non avesse voluto che questo, ei vi
avrebbe creato soli ‑ ma che s'adempia su tutta quanta la terra, fra
tutti gli esseri ch'egli creava a immagine sua. Ciò ch'egli vuole
è che il pensiero di perfezionamento e d'amore, da lui posto nel mondo,
si riveli e splenda più sempre adorato e rappresentato. La vostra
esistenza terrestre, individuale, limitatissima com'è per tempo e per
facoltà, non può rappresentarlo che imperfettissimo e a lampi.
L'Umanità sola, continua per generazioni e per intelletto, che si nutre
dell'intelletto di tutti i suoi membri, può svolgere via via quel divino
pensiero e applicarlo e glorificarlo. La vita vi fu dunque data da Dio perché
ne usiate a benefizio dell'Umanità, perché dirigiate le vostre
facoltà individuali allo sviluppo delle facoltà dei vostri
fratelli, perché aggiungiate con l'opera vostra un elemento qualunque all'opera
collettiva di miglioramento e di scoperta del vero, che le generazioni,
lentamente ma continuamente promuovono. Dovete educarvi ed educare,
perfezionare. Dio è in voi, non v'è dubbio; ma Dio è pure
in tutti gli uomini che popolano con voi questa terra: Dio è nella vita
di tutte le generazioni che furono, sono e saranno, e hanno migliorato e
miglioreranno progressivamente il concetto che l'Umanità si forma di
Lui, della sua Legge, e dei nostri Doveri. Dovete adorarlo e glorificarlo per
tutto ov'Egli è. L'Universo è il suo Tempio. Ed ogni profanazione
non combattuta, non espiata, del Tempio di Dio, ricade su tutti quanti i
credenti. Poco importa che voi possiate dirvi puri: quando anche poteste,
isolandovi, rimanervi tali, se avete a due passi la corruzione e non cercate
combatterla, tradite i vostri doveri. Poco importa che adoriate nell'anima
nostra la Verità: se l'errore governa i vostri fratelli in un altro
angolo di questa terra che ci è madre comune, e voi non desiderate e non
tentate, per quanto le forze vostre vel concedono, rovesciarlo, tradite i
vostri doveri. L'immagine di Dio è sformata nell'anime immortali dei
vostri simili. Dio vuole essere adorato nella sua Legge, e la sua Legge
è fraintesa, violata, negata d'intorno a voi. L'umana natura è
falsata nei milioni d'uomini ai quali, siccome a voi, Dio ha fidato
l'adempimento concorde del suo disegno. E voi rimanendovi inerti, osereste pure
chiamarvi credenti?
Un popolo, il
Greco, il Polacco, il Circasso, sorge con una bandiera di patria e
d'indipendenza, combatte, vince, o muore per quella. Cos'è che fa
battere il vostro cuore al racconto delle sue battaglie, che lo solleva nella
gioia alle sue vittorie, che lo contrista alla sua caduta? Un uomo, vostro o
straniero, si leva, nel silenzio comune, in un angolo della terra, preferisce
alcune idee, ch'ei crede vere, le mantiene nella persecuzione e fra i ceppi, e
muore, senza rinnegarle, sul palco. Perché lo onorate col nome di Santo e di
Martire? Perché rispettate e fate rispettare dai vostri figli la sua memoria?
E perché
leggete con avidità i miracoli di amor patrio registrati nelle storie
Greche e li ripetete ai figli vostri con un senso d'orgoglio quasi fossero
storie dei vostri padri? Quei fatti Greci son vecchi di due mila anni, e
appartengono a un'epoca d'incivilimento che non è la vostra, né lo
sarà mai. Quell'uomo che chiamate Martire, moriva forse per idee che non
sono le vostre, e troncava a ogni modo colla morte ogni via al suo progresso
individuale quaggiù. Quel popolo che ammirate nella vittoria o nella
caduta, e popolo straniero a voi, forse pressoché ignoto; parla un linguaggio
diverso, e il modo della sua esistenza non influisce visibilmente sul vostro:
che importa a voi se chi lo domina è il Sultano o il Re di Baviera, il
Russo o un governo escito dal consenso della nazione? Ma nel vostro cuore
è una voce che grida: “Quegli uomini di due mila anni addietro, quelle
popolazioni ch'oggi combattono lontane da voi, quel martire per le idee del
quale voi non morreste, furono, sono fratelli vostri: fratelli non solo per
comunioni di origine e di natura, ma per comunione di lavoro e di scopo. Quei
Greci antichi passarono; ma l'opera loro non passò, e senza quella voi
non avreste oggi quel grado di sviluppo intellettuale e morale che avete
raggiunto. Quelle popolazioni consacrarono col loro sangue una idea di
libertà nazionale per la quale voi combattete. Quel martire insegnava morendo
che l'uomo deve sacrificare ogni cosa e, occorrendo, la vita a quel che egli
crede essere la Verità. Poco importa ch'egli e quanti altri segnano col
loro sangue la fede tronchino qui sulla terra il proprio sviluppo individuale:
Dio provvede altrove per essi. Importa lo sviluppo dell'Umanità. Importa
che la generazione ventura sorga, ammaestrata dalle vostre pugne e dai vostri
sacrifici, più alta e più potente che voi non siete nella
intelligenza della Legge, nell'adorazione della Verità. Importa che,
fortificata dagli esempi, la natura umana migliori e verifichi più
sempre il disegno di Dio sulla terra. E in qualunque luogo la natura migliori,
in qualunque luogo si conquisti una verità, in qualunque parte si mova
un passo sulla via dell'educazione, del progresso, della morale, è
passo, è conquista che frutterà presto o tardi a tutta quanta
l'Umanità. Siete tutti soldati d'un esercito che move per vie diverse,
diviso in nuclei diversi, alla conquista d'un solo intento. Oggi, voi non
guardate che ai vostri capi immediati; le diverse assise, le diverse
parole d'ordine, le distanze che separano i corpi d'operazione, le montagne che
celano gli uni al guardo degli altri, vi fanno spesso dimenticare questa
verità e concentrano esclusivamente la vostra attenzione sul fine che
v'è più prossimo. Ma v'è più alto di tutti voi, chi
abbraccia l'insieme e dirige le mosse. Dio solo ha il segreto della battaglia e
saprà raccogliervi tutti in un campo e sotto una sola bandiera.
Quanta distanza
tra questa credenza che fermenta nelle anime nostre e sarà base alla
morale dell'Epoca che sta per sorgere, e quelle che davano per base alla loro
morale le generazioni che oggi chiamano antiche! E com'è stretto il
legame che passa fra l'idea che noi ci formiamo del Principio Divino e quella
che ci formiamo dei nostri doveri! I primi uomini sentivano Dio, ma senza
intenderlo, senza più cercare d'intenderlo nella sua Legge: lo sentivano
nella sua potenza, non nell'amore: concepivano confusamente una relazione
qualunque fra Lui e il proprio individuo, non altro. Poco atti a staccarsi
dalla sfera degli oggetti sensibili, lo sostanziavano in uno di quelli,
nell'albero che avevan veduto colpito dal fulmine, nella pietra presso alla
quale avevano innalzata la loro tenda, nell'animale che s'era offerto prima al
loro occhio. Era il culto che nella storia della religione si distingue col
nome di feticismo. E allora gli uomini non conobbero che la famiglia,
riproduzione in certo modo del loro individuo: oltre il cerchio della famiglia,
non v'erano che stranieri, o più generalmente, nemici; giovare a sé e
alla famiglia, era l'unica base della morale. Più appresso,
l'idea di Dio s'ampliò. Dagli oggetti sensibili l'uomo risali
timidamente all'astrazione: generalizzò. Dio non fu più il
protettore della famiglia, ma dell'associazione di più famiglie, della città,
della gente. Al feticismo successe il politeismo, culto
di molti Dei. Allora la morale ampliò anch'essa il suo cerchio
d'azione. Gli uomini riconobbero l'esistenza dei doveri più estesi della
famiglia e lavorarono all'incremento della gente, della nazione. Pur
nondimeno, l'Umanità s'ignorava. Ogni nazione chiamava barbari gli
stranieri, li trattava siccome tali, e ne cercava colla forza e coll'arte la
conquista o l'abbassamento. Ogni nazione aveva stranieri o barbari nel suo
seno, uomini, milioni di uomini, non ammessi ai riti religiosi dei cittadini,
creduti di natura diversa, e schiavi fra i liberi. L'unità del genere
umano non poteva essere ammessa che come conseguenza dell'unità di Dio.
E l'unità di Dio, indovinata da alcuni rari pensatori dell'antichità,
manifestata altamente da Mosè, ma colla restrizione funesta che un solo
popolo era l'eletto di Dio, non fu riconosciuta che verso lo scioglimento
dell'impero Romano, per opera del Cristianesimo; Cristo pose in fronte alla sua
credenza queste due verità inseparabili: non v'è che un solo
Dio, tutti gli uomini sono figli di Dio; e la promulgazione di queste due
verità cangiò aspetto al mondo e ampliò il cerchio morale
sino ai confini delle terre abitate. Ai doveri verso la famiglia e verso
la patria, s'aggiunsero i doveri verso l'Umanità. Allora
l'uomo imparò che dovunque ei trovava un suo simile, ivi era un fratello
per lui, un fratello dotato d'un'anima immortale come la sua, chiamata a
ricongiungersi al Creatore, e ch'ei gli dovea amore, partecipazione della fede,
e aiuto di consiglio e d'opera, dov'egli ne abbisognasse. Allora, presentimento
d'altre verità contenute in germe nel Cristianesimo, s'udirono sulla
bocca degli Apostoli parole sublimi, inintelligibili all'antichità, male
intese o tradite anche dai successori; siccome in un corpo sono molte
membra, e ciascun membro eseguisce una diversa funzione, così, benché
molti, noi siamo un corpo solo, e membra gli uni degli altri([7]). E vi
sarà un solo ovile e un solo pastore([8]). Ed oggi, dopo
diciotto secoli di studi ed esperienze e fatiche, si tratta di dare sviluppo a
quei germi: si tratta d'applicare quella verità, non solamente a ciascun
individuo, ma a tutto quell'insieme di facoltà e forze umane e presenti
e future che si chiama l'UMANITÀ:
si tratta di promulgare non solamente che l'Umanità, è un corpo
solo e deve essere governato da una sola legge, ma che il primo articolo di
questa Legge è: Progresso, progresso qui sulla terra dove dobbiamo
verificare quanto più possiamo del disegno di Dio ed educarci a migliori
destini. Si tratta d'insegnare agli uomini che, se l'Umanità è un
corpo solo, noi tutti, siccome membra di quel corpo, dobbiamo lavorare al suo
sviluppo e a farne più armonica, più attiva e più potente
la vita. Si tratta di convincersi che non possiamo salire a Dio, se non per
l'anime dei nostri fratelli, e che dobbiamo migliorarle e purificarle anche dov'esse
nol chiedano. Si tratta, dacché l'Umanità intera può sola
compiere quella parte del disegno di Dio ch'ei volle si compiesse
quaggiù, di sostituire all'esercizio della carità verso
gl'individui, un lavoro d'associazione tendente a migliorar l'insieme,
di ordinare a siffatto scopo la famiglia e la patria. Altri
doveri più vasti si riveleranno a noi, nel futuro, secondo che
acquisteremo una idea meno imperfetta e più chiara della nostra Legge di
vita. Così Dio Padre, per mezzo d'una lenta, ma continua educazione
religiosa, guida al meglio l'Umanità, e in quel meglio il nostro
individuo migliora anch'esso.
Migliora in
quel meglio, né senza un miglioramento comune voi potete sperare che migliorino
le condizioni morali o materiali del vostro individuo. Voi, generalmente
parlando, non potete, quando anche il voleste, separare la vostra vita da
quella dell'Umanità, vivente in essa, d'essa, per essa. L'anima vostra,
salve le eccezioni dei pochissimi straordinariamente potenti, non può
svincolarsi dalla influenza degli elementi fra i quali si esercita; come il
corpo, comunque costituito robustamente, non può sottrarsi all'azione
d'un'aria corrotta che lo circondi. Quanti fra voi vorranno, colla sicurezza di
cacciarli incontro alle persecuzioni, educare i figli ad una sincerità
senza limiti, dove la tirannide e lo spionaggio impongono di tacere o mentire i
due terzi delle proprie opinioni? Quanti vorranno educarli al disprezzo delle
ricchezze in una società dove l'oro è l'unica potenza che ottenga
onori, influenza, rispetto, anzi che protegga dall'arbitrio e dall'insulto dei
padroni e dei loro agenti? Chi è di voi che per amore e colle migliori
intenzioni del mondo non abbia mormorato ai suoi cari in Italia: diffidate
degli uomini; l'uomo onesto deve concentrarsi in sé stesso e fuggire la vita
Pubblica; la carità comincia da casa; e sì fatte massime
evidentemente immorali, ma suggeritevi dall'aspetto generale della società?
Qual'è la madre che, sebbene appartenente a una fede che adora la Croce
di Cristo, martire volontario dell'umanità, non abbia cacciato le
braccia intorno al collo del figlio, e tentato svolgerlo da tentativi
pericolosi pel bene de' suoi fratelli? E dov'anche trovaste in voi la forza
d'insegnare il contrario, la società intera non distruggerebbe essa
colle mille sue voci, coi mille suoi tristissimi esempi, l'effetto della vostra
parola? Potete voi stessi purificare, innalzare l'anima vostra, in un'atmosfera
di contaminazione e d'avvilimento? E scendendo alle vostre condizioni
materiali, pensate possano migliorare stabilmente per altra via che quella del
miglioramento comune? Milioni di lire sterline sono spese annualmente qui in Inghilterra,
ov'io scrivo, dalla carità dei privati a sollievo degli individui caduti
in miseria; e la miseria cresce annualmente, e la carità verso gli
individui è provata impotente a sanar le piaghe, e la necessità
di rimedi organici collettivi è più sempre universalmente
sentita. Dove il paese è minacciato continuamente in virtù delle
leggi ingiuste che lo governano, d'una lotta violenta fra gli oppressori e gli
oppressi, credete possono rifluire i capitali e abbondare le imprese vaste,
lunghe, costose? Dove i dazi e le proibizioni stanno nel capriccio d'un governo
assoluto che non ha chi lo moderi, e le cui spese di eserciti di spie.
d'impiegati o di pensionati crescono coi bisogni della sua sicurezza, credete
l'attività dell'industria e della manifattura possa ricevere uno
sviluppo progressivo, continuo? Risponderete che basta ordiniate meglio il
governo e le condizioni sociali nella patria vostra? Non basta. Nessun popolo
vive in oggi esclusivamente dei propri prodotti. Voi vivete di cambi, di
importazioni e d'esportazioni.
Una nazione
straniera che impoverisca, nella quale diminuisca la cifra dei consumatori,
è un mercato di meno per voi. Un commercio straniero che, in conseguenza
dei cattivi ordinamenti, soggiaccia a crisi o a rovina, produce crisi o rovina
nel vostro. I fallimenti d'Inghilterra o d'America trascinano fallimenti
Italiani. Il credito è in oggi istituzione non nazionale, ma Europea. E
inoltre, ogni tentativo di miglioramento nazionale che voi farete avrà
nemici, in virtù delle Leghe contratte dai principi, primi ad accorgersi
che la quistione è in oggi generale, di tutti i governi. Né v'è
speranza per voi se non nel miglioramento universale, nella fratellanza fra
tutti i popoli dell'Europa e, per l'Europa, dell'umanità.
Voi dunque, o
fratelli, per dovere e per utile vostro, non dimenticherete mai che i primi
vostri doveri, doveri, senza compiere i quali voi non potete sperare di compiere
quei che la patria e la famiglia comandano, sono verso l'Umanità. La
parola e l'opera vostra siano per tutti, sì come per tutti è Dio,
nel suo amore e nella sua Legge. In qualunque terra voi siate, dovunque un uomo
combatte pel diritto, pel giusto, pel vero, ivi è un vostro fratello:
dovunque un uomo soffre, tormentato dall'errore, dall'ingiustizia, dalla
tirannide, ivi è un vostro fratello, Liberi e schiavi SIETE TUTTI
FRATELLI. Una è la vostra origine, una la legge, uno il fine per tutti
voi. Una sia la credenza, una l'azione, una la bandiera sotto cui militate. Non
dite: il linguaggio che noi parliamo è diverso: le lagrime,
l'azione, il martirio formano linguaggio comune per gli uomini quanti sono, e
che voi tutti intendete. Non dite: l'Umanità è troppo vasta, e
noi troppo deboli. Dio non misura le forze, ma le intenzioni. Amate l'Umanità.
Ad ogni opera vostra nel cerchio della Patria o della famiglia, chiedete a voi
stessi: se questo ch'io fo fosse fatto da tutti e per tutti, gioverebbe o
nuocerebbe all'Umanità? e se la coscienza vi risponde: nuocerebbe,
desistete, desistete quand'anche vi sembri che dall'azione vostra escirebbe
un vantaggio immediato per la Patria e per la Famiglia. Siate apostoli di
questa fede, apostoli della fratellanza delle Nazioni e della unità,
oggi ammessa in principio, ma nel fatto negata, del genere umano. Siatelo dove
potete e come potete. Né Dio né gli uomini possono esigere più da voi.
Ma io vi dico che facendovi tali ‑ facendovi tali, dov'altro non
possiate, in voi stessi ‑ voi gioverete all'umanità. Dio misura i
gradi di educazione ch'ei fa salire al genere umano sul numero e sulla
purità dei credenti. Quando sarete puri e numerosi, Dio che vi conta,
v'aprirà il varco all'azione.
I primi vostri
Doveri, primi almeno per importanza, sono, com'io vi dissi, verso
l'Umanità. Siete uomini prima d'essere cittadini o
padri. Se non abbracciaste del vostro amore tutta quanta l'umana
famiglia ‑ se non confessaste la fede nella sua umanità,
conseguenza dell'unità di Dio, e nell'affratellamento dei Popoli che
devono ridurla a fatto ‑ se ovunque geme un vostro simile, ovunque la
dignità della natura umana è violata dalla menzogna o dalla
tirannide, voi non foste pronti, potendo, a soccorrere quel meschino o non vi
sentiste chiamati, potendo, a combattere per risollevare gli ingannati o gli
oppressi ‑ voi tradireste la vostra legge di vita e non intendereste la
religione che benedirà l'avvenire.
Ma che cosa
può ciascuno di voi, colle sue forze isolate, fare pel
miglioramento morale, pel progresso dell'Umanità? Vi potete esprimere,
di tempo in tempo, sterilmente la vostra credenza; potete compiere, qualche
rara volta, verso un fratello non appartenente alle vostre terre, un'opera di carità;
ma non altro. Ora la carità non è la parola della fede
avvenire. La parola della fede avvenire è l'associazione, la cooperazione
fraterna verso un intento comune, tanto superiore alla carità, quanto
l'opera di molti fra voi che s'uniscono a inalzare concordi un edifizio per
abitarvi insieme è superiore a quella che compireste innalzando ciascuno
una casupola separata e limitandovi a ricambiarvi gli uni cogli altri aiuto di
pietre, di mattoni, di calce. Ma quest'opera comune voi, divisi di lingua, di
tendenze, d'abitudini, di facoltà, non potete tentarla. L'individuo è
troppo debole e l'Umanità troppo vasta. Mio Dio, ‑ prega,
salpando il marinaio della Bretagna ‑ proteggetemi: il mio battello
è sì piccolo e il nostro Oceano così grande! E quella
preghiera riassume la condizione di ciascun di voi, se non si trova un mezzo di
moltiplicare indefinitivamente le vostre forze, la vostra potenza d'azione:
Questo mezzo Dio lo trovava per voi, quando vi dava una Patria, quando, come un
saggio direttore di lavori distribuisce le parti diverse a seconda delle
capacità, ripartiva in gruppi, in nuclei distinti l'Umanità sulla
faccia del nostro globo e cacciava il germe delle nazioni. I tristi governi
hanno guastato il disegno di Dio che voi potete vedere segnato chiaramente, per
quello almeno che riguarda la nostra Europa, dai corsi dei grandi fiumi, dalle
curve degli alti monti e dalle altre condizioni geografiche: l'hanno guastato
colla conquista, coll'avidità, colla gelosia dell'altrui giusta potenza;
guastato di tanto che oggi, dall'Inghilterra e dalla Francia in fuori, non
v'è forse Nazione i cui confini corrispondano a quel disegno. Essi non
conoscevano e non conoscono Patria, fuorché la loro famiglia, la dinastia,
l'egoismo di casta. Ma il disegno divino si compirà senza fallo. Le
divisioni naturali, le innate spontanee tendenze dei popoli, si sostituiranno
alle divisioni arbitrarie sancite dai tristi governi. La Carta d'Europa
sarà rifatta. La Patria del Popolo risorgerà delimita dal voto
dei liberi, sulle rovine della Patria dei re, delle caste privilegiate. Tra
quelle patrie sarà armonia, affratellamento. E allora, il lavoro dell'umanità
verso il miglioramento comune, verso la scoperta e l'applicazione della propria
legge di vita, ripartito a seconda delle capacità locali e associato,
potrà compirsi per via di sviluppo progressivo, pacifico: allora,
ciascuno di voi, forte degli effetti e dei mezzi di molti milioni d'uomini
parlanti la stessa lingua, dotati di tendenze uniformi, educati dalla stessa
tradizione storica, potrà sperare di giovare coll'opera propria a tutta
quanta l'Umanità.
A voi, uomini
nati in Italia, Dio assegnava, quasi prediligendovi, la Patria meglio definita
dell'Europa. In altre terre, segnate con limiti più incerti o
interrotti, possono insorgere questioni che il voto pacifico di tutti
scioglierà un giorno, ma che hanno costato e costeranno forse ancora
lagrime e sangue: sulla vostra, no. Dio v'ha steso intorno linee di confini
sublimi, innegabili: da un lato, i più alti monti d'Europa: l'Alpi;
dall'altro: il Mare, l'immenso Mare. Aprite un compasso: collocate una punta al
nord dell'Italia, su Parma; appuntate l'altra agli sbocchi del Varo e segnate
con essa, nella direzione delle Alpi, un semicerchio: quella punta che
andrà, compito il semicerchio, a cadere sugli sbocchi dell'Isonzo,
avrà segnato la frontiera che Dio vi dava. Sino a quella frontiera si
parla, s'intende la vostra lingua: oltre quella, non avete diritti. Vostre sono
innegabilmente la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, e le isole minori collocate
fra quelle e la terra ferma d'Italia. La forza brutale può ancora per
poco contendervi quei confini, ma il consenso segreto dei popoli li riconosce
d'antico, e il giorno in cui, levati unanimi all'ultima prova, pianterete la
vostra bandiera tricolore su quella frontiera, l'Europa intera
acclamerà, sorta e accettata nel consorzio delle Nazioni, l'Italia. A
quest'ultima prova dovete tendere con tutti gli sforzi.
Senza Patria,
voi non avete nome, né segno, né voto, né diritti, né battesimo di fratelli tra
i popoli. Siete i bastardi dell'umanità. Soldati senza bandiera,
israeliti delle Nazioni, voi non otterrete fede né protezione: non avrete
mallevadori. Non v'illudete a compiere, se prima non vi conquistate una Patria,
la vostra emancipazione da una ingiusta condizione sociale: dove non è
Patria, non è Patto comune al quale possiate richiamarvi: regna solo
l'egoismo degli interessi, e chi ha predominio lo serba, dacché non
v'è tutela comune a propria tutela. Non vi seduca l'idea di migliorare,
senza sciogliere prima la questione Nazionale, le vostre condizioni materiali:
non potrete riuscirvi. Le vostre associazioni industriali, le consorterie di
mutuo soccorso son buone com'opera educatrice, come fatto economico: rimarranno
sterili finché non abbiate un'Italia. Il problema economico esige
principalmente aumento di capitale e di produzione; e finché il vostro paese è
smembrato in frazioni ‑ finché, separati da linee doganali e
difficoltà artificiali d'ogni sorta, non avete se non mercati ristretti
dinanzi a voi ‑ non potete sperar quell'aumento. Oggi ‑ non v'illudete
‑ voi non siete la classe operaia d'Italia: siete frazione di quella
classe: impotenti, ineguali al grande intento che vi proponete. La vostra
emancipazione non potrà iniziarsi praticamente, se non quando un Governo
Nazionale, intendendo i segni dei tempi, avrà inserito, da Roma, nella
dichiarazione di Principii, che sarà norma allo sviluppo della vita
Italiana, le parole: Il lavoro è sacro ed è la sorgente della
ricchezza d'Italia.
Non vi sviate
dunque dietro a speranze di progresso materiale che, nelle vostre condizioni
dell'oggi sono illusioni. La Patria sola, la vasta e ricca patria Italiana, che
si stende dalle Alpi all'ultima terra di Sicilia, può compiere quelle
speranze. Voi non potete ottenere ciò che è vostro diritto se non
obbedendo a ciò che vi comanda il Dovere. Meritate ed avrete. Oh miei
fratelli! amate la Patria. La Patria è la nostra casa: la casa che Dio
ci ha data, ponendovi dentro una numerosa famiglia, che ci ama e che noi
amiamo, colla quale possiamo intenderci meglio e più rapidamente che non
con altri, e che per la concentrazione sopra un dato terreno e per la natura
omogenea degli elementi che essa possiede, è chiamata a un genere
speciale d'azione. La Patria è la nostra lavoreria; i prodotti della
nostra attività devono stendersi da quella a beneficio di tutta la
terra; ma gli istrumenti del lavoro che noi possiamo meglio e più
efficacemente trattare, stanno in quella e noi non possiamo rinunziarvi senza
tradire l'intenzione di Dio e senza diminuire le nostre forze. Lavorando,
secondo i veri principii per la Patria, noi lavoriamo per l'Umanità: la
patria è il punto d'appoggio della leva che noi dobbiamo dirigere a
vantaggio comune. Perdendo quel punto d'appoggio, noi corriamo rischio di
riuscire inutili alla Patria e all'Umanità. Prima d'associarsi
colle Nazioni che compongono l'Umanità, bisogna esistere come Nazione.
Non v'è associazione che tra gli eguali; e voi non avete esistenza
collettiva riconosciuta.
L'Umanità
è un grande esercito, che move alla conquista di terre incognite, contro
nemici potenti e avveduti. I popoli sono diversi corpi, le divisioni di quell'esercito.
Ciascuno ha un posto che gli si è confidato: ciascuno ha un'operazione
particolare da eseguire; e la vittoria comune dipende dall'esattezza colla
quale le diverse operazioni saranno compite. Non turbate l'ordine della
battaglia. Non abbandonate la bandiera che Dio vi diede. Dovunque vi trovate,
in seno a qualunque popolo le circostanze vi caccino, combattete per la
libertà di quel popolo, se il momento lo esige; ma combattete come
Italiani, così che il sangue che verserete frutti onore ed amore, non a
voi solamente, ma alla vostra Patria. E Italiano sia il pensiero continuo
dell'anime vostre: Italiani siano gli atti della vostra vita: Italiani i segni
sotto i quali v'ordinate a lavorare per l'Umanità. Non dite: io,
dite: noi. La Patria s'incarni in ciascuno di voi. Ciascuno di voi, si
senta, si faccia mallevadore dei suoi fratelli: ciascuno di voi impari a far si
che in lui sia rispettata ed amata la Patria.
La Patria,
è una, indivisibile. Come i membri d'una famiglia non hanno gioia
della mensa comune se un d'essi è lontano, rapito all'affetto fraterno,
così voi non abbiate gioia e riposo finché una frazione del territorio
sul quale si parla la vostra lingua è divelta dalla Nazione.
La Patria
è il segno della missione che Dio v'ha dato da compiere
nell'umanità. Le facoltà, le forze di tutti i suoi figli devono
associarsi pel compimento di quella missione. Una certa somma di doveri e di
diritti comuni spetta ad ogni uomo che risponde al chi sei? degli altri
popoli: sono Italiano. Quei doveri e quei diritti non possono essere
rappresentati che da un solo Potere uscito dal vostro voto. La patria
deve aver dunque un solo Governo. I politici che si chiamano federalisti, e che
vorrebbero far dell'Italia una fratellanza di Stati diversi, smembrano la
Patria e non ne intendono l'Unità. Gli stati nei quali si divide in oggi
l'Italia non sono creazione del nostro popolo: uscirono da calcoli d'ambizione
di principi o di conquistatori stranieri, e non giovano che ad accarezzare la
vanità delle aristocrazie locali, alle quali è necessaria una
sfera più ristretta della grande Patria. Ciò che voi, popolo,
creaste, abbelliste, consacraste coi vostri affetti, colle vostre gioie, coi
vostri dolori, col vostro sangue, è la Città, il Comune, non la
Provincia o lo Stato. Nella Città, nel comune dove dormono i vostri
padri e vivranno i nati da voi, s'esercitano le vostre facoltà, i vostri
diritti personali, si svolge la vostra vita d'individuo. È della
vostra Città che ciascuno di voi può dire ciò che cantano
i Veneziani della loro: Venezia la xe nostra: ‑ l'avemo fatta nu.
In essa avete bisogno di libertà, di Comune e Unità di patria,
sia dunque la vostra fede. Non dite Roma e Toscana, Roma e Lombardia, Roma e
Sicilia, dite Roma e Firenze, Roma e Siena, Roma e Livorno, e
così per tutti i comuni d'Italia: Roma per tutto ciò che
rappresenta la vita italiana, la vita della Nazione; il vostro comune per
quanto rappresenta la vita individuale. Tutte le altre divisioni sono
artificiali, e non s'appoggiano sulla vostra tradizione Nazionale.
La Patria
è una comunione di liberi e d'uguali affratellati in concordia di lavori
verso un unico fine. Voi dovete farla e mantenerla tale. La Patria non è
un aggregato, è una associazione. Non v'è dunque
veramente Patria senza un Diritto uniforme. Non v'è Patria dove
l'uniformità di quel Diritto è violata dall'esistenza di caste,
di privilegi, d'ineguaglianze ‑ dove l'attività d'una porzione
delle forze e facoltà individuale è cancellata o assopita ‑
dove non è principio comune accettato, riconosciuto, sviluppato da
tutti; vi è non Nazione, non popolo, ma moltitudine, agglomerazione
fortuita d'uomini che le circostanze riunirono, che circostanze diverse
separeranno. In nome del vostro amore alla Patria, voi combatterete senza
tregua l'esistenza d'ogni privilegio, d'ogni ineguaglianza sul suolo che v'ha
dato vita. Un solo privilegio è legittimo: il privilegio del genio,
quando il Genio si mostri affratellato colla Virtù; ma è
privilegio concesso da Dio e non dagli uomini ‑ e quando voi lo
riconoscerete seguendone le ispirazioni, lo riconoscerete liberamente esercitando
la vostra ragione, la vostra scelta. Qualunque privilegio pretende sommessione
da voi in virtù della forza, dell'eredità, d'un diritto che non
sia diritto comune, è usurpazione, è tirannide; e voi dovete
combatterla e spegnerla. La Patria deve essere il vostro Tempio. Dio al
vertice, un Popolo d'eguali alla base; non abbiate altra formola, altra legge
morale, se non volete disonorare la Patria e voi. Le leggi secondarie che
devono via via regolare la vostra vita siano l'applicazione progressiva di
quella Legge suprema.
E perché lo
siano, è necessario che tutti contribuiscano a farle. Le leggi fatte da
una sola frazione di cittadini non possono, per natura di cose e d'uomini,
riflettere che il pensiero, le aspirazioni, i desideri, di quella frazione:
rappresentano, non la Patria, ma un terzo, un quarto, una classe, una zona
della patria. La legge deve esprimere l'aspirazione generale, promuovere
l'utile di tutti, rispondere a un battito del core della Nazione. La Nazione
intera dev'essere, dunque, direttamente o indirettamente, legislatrice. Cedendo
a pochi uomini quella missione, voi sostituite l'egoismo d'una classe alla
Patria, che è l'unione di tutte classi.
La Patria non
è un territorio; il territorio non ne è la base. La Patria
è l'idea che sorge su quello; è il pensiero d'amore, il senso di
comunione che stringe in uno tutti i figli di quel territorio. Finché un solo
tra i vostri fratelli non è rappresentato dal proprio voto nello
sviluppo della vita nazionale ‑ finché un solo vegeta ineducato fra gli
educati ‑ finché uno solo, capace e voglioso di lavoro, langue per
mancanza di lavoro nella miseria ‑ voi non avrete la Patria come dovreste
averla, la Patria di tutti, la patria per tutti. Il voto, l'educazione,
il lavoro, sono le tre colonne fondamentali della Nazione; non
abbiate posa finché non siano per opera vostra solidamente innalzate.
E quando lo
saranno ‑ quando avrete assicurato a voi tutti il pane del corpo e quello
dell'anima ‑ quando liberi, uniti, intrecciate le destre come fratelli
intorno a una madre amata, moverete in bella e santa armonia allo sviluppo
delle vostre facoltà e della missione Italiana ‑ ricordatevi che
quella missione è l'unità morale d'Europa: ricordatevi gl'immensi
doveri ch'essa v'impone. L'Italia è la sola terra che abbia due volte gettato
la grande parola unificatrice alle nazioni disgiunte. La vita d'Italia fu vita
di tutti. Due volte Roma fu la Metropoli, il Tempio del mondo Europeo: la
prima, quando le nostre aquile percorsero conquistatrici da un punto all'altro
le terre cognite e le prepararono all'Unità colle istituzioni civili; la
seconda, quando, domati dalla potenza della natura, dalle grandi memorie e
dall'ispirazione religiosa, i conquistatori settentrionali, il genio d'Italia
s'incarnò nel Papato e adempì da Roma la solenne missione,
cessata da quattro secoli, di diffondere la parola Unità nell'anima ai
popoli del mondo Cristiano. Albeggia oggi per la nostra Italia una terza
missione: di tanto più vasta quanto più grande e potente dei
Cesari e dei Papi sarà il POPOLO ITALIANO, la Patria Una e Libera che
voi dovete fondare. Il presentimento di questa missione agita l'Europa e tiene
incatenati all'Italia l'occhio ed il pensiero delle Nazioni.
I vostri doveri
verso la Patria stanno in ragione dell'altezza di questa missione. Voi dovete
mantenerla pura d'egoismo, incontaminata di menzogna e delle arti di quel
gesuitismo politico, che chiamano diplomazia.
La politica
della patria sarà fondata per opera vostra sull'adorazione a' principii
non sull'idolatria dell'Interesse o dell'opportunità. L'Europa ha
paesi pei quali la Libertà è sacra al di dentro, violata
sistematicamente al di fuori: popoli che dicono: altro è il Vero,
altro l'Utile, altra cosa è la teorica, altra è la pratica.
Quei paesi espieranno lungamente, inevitabilmente la loro colpa
nell'isolamento, nell'oppressione e nell'anarchia. Ma voi sapete la missione
della nostra Patria e seguirete altra via. Per voi l'Italia avrà,
sì come un solo Dio nei cieli, una sola verità, una sola fede,
una sola norma di vita politica sulla terra. Sull'edifizio che il popolo
d'Italia innalzerà più sublime del Campidoglio e del Vaticano,
voi pianterete la bandiera della Libertà e dell'Associazione, sì
che rifulga sugli occhi a tutte le Nazioni, né la velerete mai per terrore di
despoti o libidine d'interessi d'un giorno. Avrete audacia sì come fede.
Confesserete altamente il pensiero che fermenta in core alla Italia davanti al
mondo e a quei che si dicono padroni del mondo. Non rinnegherete mai le Nazioni
sorelle. La vita della Patria si svolgerà per voi bella e forte, libera
di paure servili e di scettiche esitazioni, serbando per base il popolo,
per norma le conseguenze dei suoi principii logicamente dedotte e
energicamente applicate, per forza la forza di tutti, per risultato il
miglioramento di tutti, per fine il compimento della missione che Dio le dava.
E perché voi sarete pronti a morire per l'Umanità, la vita della Patria
sarà immortale.
La famiglia
è la Patria del core. V'è un Angiolo nella Famiglia che rende,
con una misteriosa influenza di grazie, di dolcezza e d'amore, il compimento
dei doveri meno arido, i dolori meno amari. Le sole gioie pure e non miste di
tristezza che sia dato all'uomo di goder sulla terra, sono, merce
quell'Angiolo, le gioie della Famiglia. Chi non ha potuto, per fatalità
di circostanze, vivere, sotto l'ali dell'Angiolo, la vita serena della
famiglia, ha un'ombra di mestizia stesa sull'anima, un vuoto che nulla riempie
nel core! ed io che scrivo per voi queste pagine, lo so. Benedite Iddio che
creava quell'Angiolo, o voi che avete le gioie e le consolazioni della
Famiglia. Non la tenete in poco conto, perché vi sembri di poter trovare
altrove gioie più ferventi o consolazioni più rapide ai vostri
dolori. La famiglia ha in sé un elemento di bene raro a trovarsi altrove, la
durata. Gli affetti, in essa, vi si stendono intorno lenti, inavvertiti, ma
tenaci e durevoli siccome l'ellera intorno alla pianta: vi seguono d'ora in
ora: s'immedesimano taciti colla vostra vita. Voi spesso non li discernete,
poiché fanno parte di voi; ma quando li perdete, sentite come un non so che
d'intimo, di necessario a vivere vi mancasse. Voi errate irrequieti e a
disagio! potete ancora procacciarvi brevi gioie o conforti; non il conforto
supremo, la calma, la calma dell'onda del lago, la calma del sonno della
fiducia, del sonno che il bambino dorme sul seno materno.
L'Angiolo della
Famiglia è la Donna. Madre, sposa, sorella, la donna è la carezza
della vita, la soavità dell'affetto diffusa sulle sue fatiche, un
riflesso sullo individuo della Provvidenza amorevole che veglia
sull'umanità: sono in essa tesori di dolcezza consolatrice che bastano ad
ammorzare qualunque dolore. Ed essa è inoltre per ciascun di noi
l'iniziatrice dell'avvenire. Il primo bacio materno insegna al bambino l'amore.
Il primo santo bacio d'amica insegna all'uomo la speranza, la fede nella vita;
e l'amore e la fede creano il desiderio del meglio, la potenza di raggiungerlo
a grado a grado, l'avvenire insomma, il cui simbolo vivente è il
bambino, legame tra noi e le generazioni future. Per essa, la Famiglia, col suo
mistero divino di riproduzione, accenna all'eternità.
Abbiate dunque,
o miei fratelli, sì come santa la Famiglia. Abbiatela come condizione
inseparabile della vita, e respingete ogni assalto che potesse venirle mosso da
uomini imbevuti di false e brutali filosofie o da incauti che irritati in vederla
sovente nido d'egoismo e di spirito di casta, credono, come il barbaro, che il
rimedio al male sia nel sopprimerla.
La Famiglia
è concetto di Dio, non vostro. Potenza umana non può sopprimerla.
Come la Patria, più assai che la Patria, la Famiglia è un
elemento della vita.
Ho detto
più assai che la Patria. La Patria sacra in oggi, sparirà forse
un giorno quando ogni uomo rifletterà nella propria coscienza la legge
morale dell'umanità; la Famiglia durerà quanto l'uomo. Essa
è la culla dell'umanità. Come ogni elemento della vita umana,
essa deve essere aperta al Progresso, migliorare d'epoca in epoca le sue
tendenze, le sue aspirazioni; ma nessuno potrà cancellarla.
Far la famiglia
più sempre santa e inanellata più sempre alla Patria, è
questa la vostra missione. Ciò che la Patria è per
l'umanità, la Famiglia deve esserlo per la Patria. Come io v'ho detto
che la parte della Patria è quella d'educare gli uomini,
così la parte della Famiglia è quella di educare i cittadini:
Famiglia e Patria sono i due punti estremi d'una sola linea. E dove non
è così, la Famiglia diventa Egoismo, tanto più schifoso e
brutale quanto più prostituisce, sviandola dal vero scopo, la cosa
più santa: gli affetti.
Oggi, l'egoismo
regna spesso pur troppo e forzatamente nella Famiglia. Le tristi istituzioni
sociali lo generano. In una società fondata su spie, birri, prigioni e
patiboli, la povera madre, tremante ad ogni nobile aspirazione del figlio,
è sospinta ad insegnargli la diffidenza, a dirgli: bada! l'uomo che
ti parla di Patria di Libertà d'Avvenire, e che tu vorresti stringerti
al petto non è forse che un traditore! In una società nella
quale il merito è pericoloso, e la ricchezza è la sola base della
potenza, della sicurezza, della difesa contro la persecuzione e il sopruso, il
padre è trascinato dall'affetto a dire al giovane anelante la
Verità: bada! la ricchezza è la tua tutela: la Verità
sola non può esserti scudo contro l'altrui forza, contro l'altrui
corruttela. Ma io vi parlo d'un tempo in cui, col vostro sudore e col
vostro sangue, avrete fondato ai figli una Patria di liberi, costituita sul
merito, sul bene che ciascuno di voi avrà fatto ai suoi fratelli. Fino a
quel tempo, voi pur troppo non avete innanzi che una sola via di miglioramento,
un solo supremo dovere da compiere: ordinarvi, prepararvi, scegliere l'ora
opportuna e combattere a conquistarvi coll'insurrezione la vostra Italia.
Allora soltanto potrete soddisfare senza gravi e continui ostacoli agli altri
vostri doveri. E allora, mentr'io sarò probabilmente sotterra, rileggete
queste mie pagine: i pochi consigli fraterni ch'esse contengono vengono da un
core che v'ama e sono scritti colla coscienza del vero.
Amate,
rispettate la donna. Non cercate in essa solamente un conforto, ma una forza,
una ispirazione, un raddoppiamento delle vostre facoltà intellettuali e
morali. Cancellate dalla vostra mente ogni idea di superiorità: non ne
avete alcuna. Un lungo pregiudizio ha creato, con una educazione disuguale e
una perenne oppressione di leggi, quell'apparente inferiorità intellettuale,
dalla quale oggi argomentano per mantenere l'oppressione. Ma la storia delle
oppressioni non v'insegna che chi opprime si appoggia sempre sopra un fatto
creato da lui? Le caste feudali contesero a voi, figli del popolo, fin quasi ai
nostri giorni, l'educazione; poi, dalla mancanza d'educazione,
argomentarono e argomentano anche oggi per escludervi dal santuario della città,
dal recinto dove si fanno le leggi, dal diritto di voto che inizia la
vostra missione sociale. I padroni dei Neri in America dichiarano radicalmente
inferiore e incapace d'educazione la razza e perseguitano intanto qualunque
s'adoperi a educarla. Da mezzo secolo i fautori delle famiglie affermano noi
italiani mal atti alla libertà, e intanto con le leggi e con la forza
brutale d'eserciti assoldati mantengono chiusa ogni via, perché possa da noi
vincersi, se pure esistesse l'ostacolo, come se la tirannide potesse mai essere
educazione alla libertà. Or noi tutti fummo e siamo tuttavia rei d'una
colpa simile verso la donna. Allontanate da voi fin l'ombra di quella colpa;
però che non è colpa più grave davanti a Dio, di quella
che divide in due classi l'umana famiglia e impone o accetta che l'una
soggiaccia all'altra. Davanti a Dio Uno e Padre non v'è uomo né donna
ma l'essere umano, l'essere nel quale, sotto l'aspetto d'uomo o di
donna, s'incontrano tutti i caratteri che distinguono l'Umanità dall'ordine
degli animali: tendenza sociale, capacità d'educazione, facoltà
di progresso. Dovunque si rivelano questi caratteri, ivi esiste l'umana natura,
uguaglianza quindi di diritti e doveri. Come due rami che muovono distinti da
uno stesso tronco, l'uomo e la donna muovono varii da una base comune, che
è l'umanità. Non esiste disuguaglianza fra l'uno e l'altra; ma
come spesso accade fra due uomini, diversità di tendenze, di vocazioni
speciali. Son due note d'un accordo musicale, disuguali o di natura
diversa! La donna e l'uomo sono due note senza le quali l'accordo umano non
è possibile; hanno doveri e diritti generali diversi due popoli chiamati
dalle loro tendenze speciali o dalle condizioni in cui vivono, l'uno a
diffondere il pensiero dell'associazione umana per via di colonie, l'altro a
predicarlo colla produzione di capolavori d'arte o di letteratura
universalmente ammirati! Ambi quei Popoli sono apostoli, consapevoli o no,
dello stesso concetto divino, eguali e fratelli in esso. L'uomo e la donna
hanno, come quei due Popoli, funzioni distinte nell'Umanità; ma quelle
funzioni sono sacre egualmente, necessarie allo sviluppo comune; ambe rappresentanze
del Pensiero che Dio poneva, come anima, nell'universo. Abbiate dunque la Donna
siccome compagna e partecipe, non solamente delle vostre gioie e dei vostri
dolori, ma delle vostre aspirazioni, dei vostri pensieri, dei vostri studi e
dei vostri tentativi di miglioramento sociale. Abbiatela eguale nella vostra
vita civile e politica. Siate le due ali dell'anima umana verso l'ideale
che dobbiamo raggiungere. La Bibbia Mosaica ha detto: Dio creò l'uomo
e dall'uomo la donna, ma la vostra Bibbia, la Bibbia dell'avvenire
dirà: Dio creò l'Umanità, manifestata nella donna e
nell'uomo.
Amate i figli
che la Provvidenza vi manda; ma amateli di vero, profondo, severo amore; non
dell'amore snervato, irragionevole, cieco, ch'è egoismo per voi, rovina
per essi. In nome di ciò che v'è di più sacro, non
dimenticate mai che voi avete in cura le generazioni future, che avete verso
quell'anime che vi sono affidate, verso l'umanità, verso Dio, la
più tremenda responsabilità che l'essere umano possa conoscere:
voi dovete iniziarle, non alle gioie o alle cupidigie della vita, ma alla vita
stessa, ai suoi doveri, alla Legge morale che la governa. Poche madri, pochi
padri, in questo secolo irreligioso, intendono, segnatamente nelle classi
agiate, la gravità, la santità della missione educatrice: poche
madri, pochi padri pensano che le molte vittime, le lotte incessanti e il lungo
martirio dei nostri tempi son frutto in gran parte dell'egoismo innestato
trenta anni addietro nell'animo da madri deboli o da padri incauti, i quali
lasciarono che i loro figli s'avvezzassero a considerare la vita non come
dovere e missione, ma come ricerca di piacere e studio del proprio benessere.
Per voi, uomini del lavoro, i pericoli sono minori; i più fra i nati da
voi imparano pur troppo la vita dalle privazioni. E minori sono d'altra parte
in voi, costretti dalla povera condizione sociale a continue fatiche, le
possibilità d'educare come importerebbe. Pur nondimeno potete anche voi
compiere in parte l'ardua missione. Lo potete coll'esempio e colla parola.
Lo potete
com'esempio.
“I vostri figli
sono simili a voi, corrotti o virtuosi, secondo che sarete voi stessi virtuosi
o corrotti.
Come mai
sarebbero essi onesti, pietosi, umani, se voi mancate di probità, se
siete senza viscere pei vostri fratelli? come reprimerebbero i loro grossolani
appetiti, se vi vedono abbandonati all'intemperanza? come serberebbero intatta
l'innocenza nativa, se voi non temete d'oltraggiare davanti ad essi il pudore
con atti indecenti o con oscene parole?
Voi siete il vivente
modello sul quale si formerà la pieghevole loro natura. Dipende da voi
che i vostri figli riescano uomini o bruti([9]).”
E potete
educare colla parola. Parlate loro di Patria, di ciò ch'essa fu, di
ciò che deve essere. Quando, la sera, dimenticate, fra il sorriso della
madre e l'ingenuo favellio dei fanciulli seduti sulle vostre ginocchia, le
fatiche della giornata, ridite ad essi i grandi fatti dei popolani delle
antiche nostre repubbliche; insegnate loro i nomi dei buoni che amarono
l'Italia e il suo popolo e per una via di sciagura, di calunnie e di
persecuzioni, tentarono migliorarne i destini. Instillate nei loro giovani
cuori, non l'odio contro gli oppressori, ma l'energia di proposito contro l'oppressione.
Imparino dal vostro labbro e dal tranquillo assenso materno, come sia bello il
seguire le vie della Virtù, come sia grande il piantarsi Apostoli della
verità, come sia santo il sacrificarsi, occorrendo, pei propri fratelli.
Infondete nelle tenere menti, insieme ai germi della ribellione contro ogni autorità
usurpata e sostenuta dalla forza, la riverenza alla vera, all'unica
Autorità, l'autorità della Virtù coronata dal Genio. Fate
che crescano, avversi egualmente alla tirannide ed all'anarchia, nella
religione della coscienza inspirata, non incatenata dalla tradizione. La
Nazione deve aiutarvi in quest'opera. E voi avete, in nome dei vostri figli,
diritto di esigerlo. Senza educazione Nazionale non esiste veramente Nazione.
Amate i
parenti. La Famiglia che procede da voi non vi faccia mai dimenticare la
famiglia dalla quale procedete. Pur troppo sovente i nuovi vincoli allentano
gli antichi, mentre non dovrebbero essere se non un nuovo anello nella catena
d'amore che deve annodare in uno tre generazioni della Famiglia. Circondate
d'affetti teneri e rispettosi sino all'ultimo giorno le teste canute della
madre, del padre. Infiorate ad essi la via della tomba. Diffondete colla
continuità dell'amore sulle loro anime stanche un profumo di fede e
d'immortalità. E l'affetto che serbate inviolato ai parenti vi sia pegno
di quello che vi serberanno i nati da voi.
Parenti,
sorelle e fratelli, sposa, figli, siano per voi come rami collocati in ordine
diverso sulla stessa pianta. Santificate la Famiglia nell'unità
dell'amore. Fatene come un Tempio dal quale possiate congiunti sacrificare alla
Patria. Io non so se sarete felici; ma che così facendo, anche di mezzo
alle possibili avversità, sorgerà per voi un senso di pace
serena, un riposo di tranquilla coscienza, che vi darà forza contro ogni
prova, e vi terrà schiuso un raggio azzurro di cielo in ogni tempesta.
PRELIMINARI
Io v'ho detto: voi
avete vita; dunque avete una legge di vita... Svilupparsi, agire, vivere
secondo la legge di vita, è il primo, anzi l'unico vostro Dovere. Vi
ho detto che per conoscere quale sia la legge della vostra vita, Dio v'ha dato
due mezzi: la vostra coscienza e la coscienza dell'Umanità, il
consenso dei vostri fratelli. V'ho detto che ogni qualvolta, interrogando la
vostra coscienza, troverete la sua voce in armonia colla grande voce del genere
umano trasmessavi dalla storia, voi siete certi d'avere la verità eterna,
immutabile in pugno.
Voi potete oggi
difficilmente interrogare a dovere la grande voce che l'umanità vi
tramanda attraverso la Storia: vi mancano finora libri buoni davvero e popolarmente
scritti, e vi manca il tempo; ma gli uomini che per ingegno e coscienza meglio
rappresentano, da oltre un mezzo secolo, gli studi storici e la scienza
dell'Umanità, hanno raccolto da quella voce alcuni caratteri della
nostra Legge di Vita; hanno raccolto che la natura umana è
essenzialmente adunabile, essenzialmente sociale: hanno raccolto
che, come non vi è né può esservi che un solo Dio, non v'è
né può esservi che una sola Legge per l'uomo individuo e per
l'umanità collettiva, hanno raccolto che il carattere
fondamentale, universale di questa Legge, è PROGRESSO. Da queste
verità oggimai innegabili, perché confermate da tutti i rami dell'umano
sapere, scendono tutti i vostri doveri verso voi stessi, e scendono pure tutti
i vostri diritti, i quali sommano in uno: il diritto di non essere
menomamente inceppati e d'essere, dentro certi limiti, aiutati nel compimento
dei vostri doveri. Voi siete e vi sentite liberi. Tutti i sofismi
d'una misera filosofia, che vorrebbe sostituire una dottrina di non so quale
fatalismo al grido della coscienza umana, non valgono a cancellare due
testimonianze invincibili a favore della libertà: il rimorso e il
martirio. Da Socrate a Gesù, da Gesù fino agli uomini che muoiono
ogni tanto per la Patria, i Martiri di una Fede protestano contro quella
servile dottrina, gridandovi: “noi amavamo la vita; amavamo esseri che ce la
facevano cara e che ci supplicavano di cedere: tutti gl'impulsi del nostro
cuore dicevano vivi! a ciascuno di noi, ma per la salute delle generazioni
avvenire, scegliemmo morire”. Da Caino alla spia volgare dei nostri
giorni, i traditori dei loro fratelli, gli uomini che si son messi sulla via
del male, sentono nel fondo dell'anima una condanna, una irrequietezza, un
rimprovero che dice a ciascun d'essi: perché t'allontanasti dalle vie del
bene? Voi siete liberi e quindi responsabili. Da questa
libertà morale scende il vostro diritto alla libertà politica, il
vostro dovere di conquistarvela e mantenerla inviolata, il dovere altrui di non
menomarla.
Voi siete educabili.
Esiste in ciascun di voi una somma di facoltà, di capacità
intellettuali, di tendenze morali, alle quali l'educazione sola
può dar moto e vita, e che, senza quella, giacerebbero sterili, inerti,
non rivelandosi che a lampi, senza regolare sviluppo.
L'educazione
è il pane dell'anima. Come la vita fisica, organica, non può crescere
e svolgersi senza alimenti, così la vita morale, intellettuale, ha
bisogno per ampliarsi e manifestarsi, delle influenze esterne e d'assimilarsi
parte almeno delle idee, degli effetti, delle altrui tendenze. La vita dell'industria
s'innalza, come la pianta, varietà dotata d'esistenza propria
e di caratteri speciali, sul terreno comune, si nutre degli elementi della vita
comune. L'individuo è un rampollo dell'UMANITÀ e alimenta e
rinnova le proprie forze nelle sue. Quest'opera alimentatrice, rinnovatrice, si
compie coll'Educazione che trasmette direttamente o indirettamente all'individuo
i risultati dei progressi di tutto quanto il genere umano. È dunque non
solamente come necessità della vostra vita, ma come una santa
comunione con tutti i vostri fratelli, con tutte le generazioni che vissero:
cioè pensarono ed operarono prima della vostra, che voi dovete
conquistarvi, nei limiti del possibile, educazione: educazione morale ed
intellettuale, che abbracci e fecondi tutte le facoltà che Dio vi dava
siccome deposito da far fruttare, e che istituisca e mantenga un legame tra la
vostra vita individuale e quella dell'Umanità collettiva.
E perché
quest'opera educatrice si compisse più rapidamente, perché la
vostra vita individuale s'inanellasse più certamente e più
intimamente colla vita collettiva di tutti, colla vita
dell'Umanità, Dio v'ha fatto esseri essenzialmente sociali. Ogni
essere al disotto di voi può vivere da per sé, senz'altra
comunione che colla natura, cogli elementi del mondo fisico: voi nol potete.
Avete a ogni passo necessità dei vostri fratelli e non potete soddisfare
ai più semplici bisogni della vita senza giovarvi dell'opera loro.
Superiori ad ogni altro essere mercé l'associazione coi vostri simili, siete,
se isolati, inferiori di forza a molti animali, e deboli e incapaci di sviluppo
e di piena vita. Tutte le più nobili aspirazioni del vostro core come
l'amor della Patria, e anche le meno virtuose come il desiderio di gloria e
dell'altrui lode, accennano alla tendenza ingenita in voi ad accomunare la
vostra vita colla vita dei milioni che vivono intorno a voi. Voi siete dunque
chiamati all'associazione. Essa centuplica le vostre forze: fa vostre le idee
altrui, vostro l'altrui progresso; e innalza, migliora e santifica la vostra natura
cogli affetti e col sentimento crescente dell'unità dell'umana famiglia.
Quanto più sarà vasta la vostra associazione coi vostri fratelli,
quanto più intima e complessiva, tanto più innanzi sarete sulla
via del vostro miglioramento. La Legge della vita non può compirsi tutta
se non dal lavoro riunito di tutti. E ad ogni grande progresso, ad ogni
scoperta di un frammento di quella Legge, corrisponde nella Storia un
allargamento dell'associazione umana, un contatto più vasto fra popolo e
popoli. Quando i primi Cristiani vennero a proclamare l'unità della
natura umana di fronte alla filosofia pagana che ammetteva due nature, di
padroni e di schiavi, il popolo Romano aveva portato le sue aquile a
passeggiare fra tutti i popoli noti d'Europa. Prima che il Papato ‑
dannoso in oggi, utile nei primi secoli dell'istituzione ‑ venisse a
dire: il potere spirituale è superiore al temporale, gli invasori
chiamati Barbari avevano messo in contatto violento il mondo Germanico col
mondo Latino. Prima che l'idea di Libertà applicata ai popoli promovesse
il concetto di nazionalità che agita in oggi l'Europa e
trionferà, le guerre della Rivoluzione e dell'Impero avevano suscitato e
chiamato in azione un elemento fino allora appartato, l'elemento Slavo.
Voi siete,
finalmente, esseri progressivi.
Questa parola
PROGRESSO, ignota all'antichità, sarà d'ora innanzi una parola
sacra per l'Umanità. Essa racchiude tutta una trasformazione sociale,
politica, religiosa.
L'antichità,
gli uomini delle vecchie religioni Orientali e del Paganesimo, credevano nel
Fato, nel Caso, in una Potenza arcana, inintelliggibile, padrona arbitraria
delle cose umane, creatrice e distruggitrice alternativamente senza che l'uomo
potesse intenderne, promoverne, o accelerarne i bisogni. Credevano l'uomo impotente
a fondare cosa alcuna durevole, permanente, sulla nostra terra. Credevano che i
popoli, condannati ad aggirarsi nel cerchio descritto dagl'individui
quaggiù, sorgessero, salissero a potenza, poi volgessero a vecchiaia, e
fatalmente, irrevocabilmente, perissero. Con un orizzonte d'idee e di fatti
assai ristretto davanti e senza conoscenza di Storia fuorché della loro nazione
e spesso della loro città, guardavano al genere umano unicamente come un
aggregato di uomini, senza vita e legge propria, e non derivavano i loro
pensieri fuorché dalla contemplazione dell'individuo. La conseguenza di
siffatte dottrine era una tendenza ad accettare i fatti predominanti senza
curare o sperar di mutarli. Dove le circostanze avevano impiantato una forma
repubblicana, gli uomini di quei tempi erano repubblicani; dove signoreggiava
il dispotismo, erano schiavi noncuranti di progresso e sommessi. Ma poi che
dappertutto, sotto la forma repubblicana come sotto la tirannide, trovavano
divisa la famiglia umana o in quattro caste, come in Oriente, o in due, di
cittadini liberi e di schiavi, come nella Grecia, accettavano la divisione
delle caste o la credenza in due nature diverse d'uomini; e l'accettarono i
più potenti intelletti del mondo Greco, Platone e Aristotele. L'emancipazione
della vostra classe era, tra siffatti uomini, una impossibilità.
Gli uomini che
fondarono, sulla parola di Gesù, una Religione superiore a tutte le
credenze del vecchio Oriente e del Paganesimo, intravidero, non conquistarono,
la santa idea contenuta in questa parola: Progresso. Intesero l'unità
della razza umana, intesero l'unità della Legge, intesero il dovere di
perfezionamento nell'uomo: non intesero la potenza data da Dio all'uomo per
compirlo, né la via per la quale si compie. Si limitarono essi pure a desumere
le norme della vita dalla contemplazione dell'individuo: l'Umanità come
corpo collettivo, rimase loro ignota. Conobbero la Provvidenza e la
sostituirono alla cieca Fatalità degli antichi; ma la conobbero come
protettrice dell'individuo, non come Legge dell'Umanità.
Collocati fra l'immensità dello scopo di perfezionamento che
intravedevano e la breve povera vita dell'individuo, sentirono il bisogno d'un
termine intermediario tra l'uno e l'altro, fra l'Uomo e Dio, e non possedendo
l'idea dell'Umanità collettiva, ricorsero a una incarnazione divina:
dichiararono che la Fede in essa era sorgente unica di salute, di forza, di grazia,
all'uomo.
Non sospettando
la rivelazione continua che scende da Dio sull'uomo attraverso
l'Umanità, credettero in una rivelazione immediata, unica, scesa
ad un tempo stesso determinato, e per favore speciale di Dio. Videro il
legame che annoda gli uomini in Dio, non videro quello che li annoda qui sulla
terra nell'umanità. Poco importava la serie delle generazioni a chi non
sentiva come l'una agisse sull'altra; s'avvezzarono dunque a non contemplarle;
s'adoprarono a staccar l'uomo dalla terra, dalle cose concernenti
l'Umanità intera, e finirono per mettere in opposizione la terra, che
abbandonarono ad ogni Potere di fatto e che chiamarono soggiorno d'espiazione,
e il cielo a cui l'uomo poteva, per virtù di grazia e di
fede, salire e dal quale esiliarono per sempre chi ne mancasse. La rivelazione
essendo per essa immediata ed unica in un dato periodo, ne dedussero che
nulla poteva aggiungervisi e che i depositari di quella rivelazione erano
infallibili. Dimenticavano che il fondatore della loro religione era venuto, non
ad annientare la Legge ma a continuarla, aggiungendovi. Dimenticavano che
in un solenne momento e con sublime istinto dell'avvenire, Gesù aveva
detto: Io vi dico le cose che voi potete in oggi intendere e praticare; ma
verrà dopo me lo spirito di verità, e vi parlerà per
autorità propria ma raccogliendo l'ispirazione da tutti,
l'ispirazione collettiva([10]). È in
quelle parole la profezia dell'idea del Progresso e della rivelazione continua
del Vero per mezzo dell'Umanità: v'è la giustificazione della
formola che Roma ridesta propose all'Italia colle parole Dio e il popolo, scritte
in fronte a' suoi decreti repubblicani. Ma gli uomini delle credenze del
medioevo non potevano intenderla. Non erano maturi i tempi.
Tutto
l'edifizio delle credenze che successero al Paganesimo posa, a ogni modo, sulle
basi or ora accennate. È chiaro che neppur su queste poteva fondarsi la
vostra emancipazione qui sulla terra.
Mille trecento
anni a un dipresso dopo le parole di Gesù or citate, un uomo Italiano,
il più grande fra gl'Italiani che io mi conosca, scriveva le
verità seguenti: “Dio è uno; l'Universo è un pensiero di
Dio; l'Universo è dunque uno esso pure. Tutte le cose partecipano,
più o meno, della natura divina, a seconda del fine pel quale sono
create. L'uomo è nobilissimo fra tutte le cose: Dio ha versato in lui
più della sua natura che non sull'altre. Ogni cosa che viene da Dio
tende al perfezionamento del quale è capace. La capacità di
perfezionamento nell'uomo è indefinita. L'Umanità è Una.
Dio non ha fatto cosa inutile; e poiché esiste una Umanità, deve
esistere uno scopo unico per tutti gli uomini, un lavoro da compiersi
per opera d'essi tutti. Il genere umano dovrebbe dunque lavorare unito,
sì che tutte le forze intellettuali diffuse in esso, ottengano il
più alto sviluppo possibile nella sfera del pensiero e dell'azione.
Esiste dunque una Religione universale della natura umana”.
Quell'uomo
aggiungeva che questa religione universale, questa Unità del mondo
doveva avere chi la rappresentasse: e accennava a Roma, la Città Santa,
le di cui pietre, ei diceva, erano meritevoli di riverenza.
L'uomo che
scriveva quelle idee aveva nome DANTE. Ogni città d'Italia quando
l'Italia sarà libera ed una, dovrebbe innalzargli una statua,
però che quelle idee contengono in germe la Religione dell'Avvenire.
Egli le scriveva in libri latini e italiani che s'intitolavano: Della
Monarchia e Convito, difficili a intendersi ed oggi negletti anche
dagli uomini che si dicono letterati. Ma le idee, cacciate una volta che
siano nel mondo dell'intelletto, non muoiono più. Altri le raccoglie,
anche dimenticandone la sorgente. Gli uomini ammirano la quercia: chi pensa al
germe dal quale esciva?
Il germe che
Dante cacciava fruttò. Raccolto e fecondato di tempo in tempo da qualche
potente intelletto, si svolse in pianta sul finire del secolo passato. L'idea
del Progresso siccome Legge della Vita accettata, sviluppata, verificata sulla
storia, confermata dalla scienza, diventò bandiera dell'avvenire. Oggi
non v'è ingegno severo che non lo ponga a cardine dei suoi lavori.
Oggi sappiamo
che la legge della Vita è PROGRESSO. Progresso per l'individuo, progresso
per l'Umanità. L'Umanità compie quella Legge sulla terra; l'individuo
sulla terra ed altrove. Un solo Dio; una sola Legge. Quella legge s'adempie
lentamente, inevitabilmente, nell'Umanità fin dal primo suo nascere. La
verità non s'è mai manifestata tutta o ad un tratto. Una
rivelazione continua, manifestata d'epoca in epoca, un frammento della
Verità, una parola della Legge. Ognuna di quelle parole modifica
profondamente, sulla via del Meglio, la vita umana e costituisce una credenza,
una Fede. Lo sviluppo dell'idea religiosa è dunque indefinitamente
progressivo; e quasi colonne d'un Tempio, le credenze successive,
svolgendo e purificando più sempre quell'idea, costituiranno un giorno
il Panteon della nostra Terra. Gli uomini benedetti da Dio di Genio e di
singolare Virtù ne sono gli Apostoli: il Popolo, il senso collettivo dell'umanità,
ne è l'interprete; accetta quella rivelazione di Verità, la
trasmette da una generazione all'altra, e la rende pratica, applicandola
ai diversi rami, alle diverse manifestazioni della vita umana. L'Umanità
è simile ad un uomo che vive indefinitamente e che impara sempre. Non
v'è dunque, né può esservi casta privilegiata di depositari
ed interpreti della Legge: non v'è, né può esservi
necessità d'intermediario tra Dio e l'uomo, dall'Umanità
infuori. Dio, prefiggendo un disegno provvidenziale d'Educazione progressiva
all'Umanità, ponendo l'istinto del progresso nel core d'ogni uomo, ha
messo pure nell'umana natura le facoltà e le forze necessarie a
compierlo. L'uomo individuo, creatura libera e responsabile, può usarne
e abusarne a seconda ch'ei si mantiene sulla via del Dovere, o cede alle cieche
seduzioni dell'Egoismo; ei può indugiare o accelerare il proprio
progresso; ma il disegno provvidenziale non può cancellarsi da forza
umana. L'educazione dell'umanità deve compiersi; noi vediamo
quindi escire dalle invasioni barbariche che sembravano spegnere la
civiltà, un nuovo incivilimento superiore all'antico e diffuso su
più ampia zona di terra: vediamo dalla tirannide, esercitata dagli
individui, escire subito dopo un più rapido sviluppo di libertà.
La legge, il
Progresso, devono compirsi, come altrove, qui sulla terra. Non v'è opposizione
fra terra e cielo; ed è bestemmia il supporre che l'opera
di Dio, la casa ch'egli ci ha dato, possa, senza peccato, sprezzarsi,
abbandonarsi ai Poteri, quali essi siano, alle influenze del Male, dell'Egoismo
e della Tirannide. La Terra non è soggiorno di espiazione; è
soggiorno di lavoro a prò dell'ideale, del Vero e del Giusto che ciascun
di noi ha in germe nell'anima; gradino verso un Miglioramento che noi non
possiamo raggiungere se non glorificando, coll'opere, Iddio
nell'Umanità, e consacrandoci a tradurre in fatto quanta
più parte possiamo del suo disegno. Il giudizio che s'adempirà su
ciascun di noi, e che ci farà inoltrare sulla scala del Perfezionamento
o ci condannerà a trascinarci nuovamente nello stadio tristamente e
sterilmente percorso, si fonderà sul bene che avremo fatto ai nostri
fratelli, sul grado di progresso che avremo aiutato altri a salire. L'associazione
più sempre intima, più e più sempre vasta, coi nostri
simili è il mezzo per cui si moltiplicano le nostre forze, il campo sul
quale si compiono i nostri Doveri, la via per ridurre in atto il Progresso. Noi
dobbiamo tendere a far dell'intera Umanità una Famiglia, ogni membro
della quale rappresenti in sé, a beneficio degli altri, la Legge morale. E come
il perfezionamento dell'umanità si compie d'epoca in epoca, di
generazione in generazione, il perfezionamento dell'individuo si compie
d'esistenza in esistenza, più o meno rapidamente a seconda dell'opere
nostre.
Son queste alcune
delle verità contenute in quella parola Progresso, dalla
quale escirà la Religione dell'Avvenire. In essa solo può
compiersi la vostra emancipazione.
Voi vivete. La
vita ch'è in voi non è opera del Caso; la parola Caso non
ha senso alcuno, e non fu trovata che ad esprimere l'ignoranza degli uomini su
certe cose. La vita ch'è in voi viene da Dio e rileva nel suo sviluppo
progressivo un disegno intelligente. La vostra vita ha dunque
necessariamente un fine, uno scopo.
Il fine ultimo,
pel quale fummo creati, ci è tuttora ignoto, e non può essere
altrimenti; né per questo dobbiamo negarlo. Sa il bambino lo scopo a cui
dovrà tendere nella Famiglia, nella Patria, nell'umanità? No: ma
lo scopo esiste, e noi cominciamo a saperlo per lui. L'Umanità è
il bambino di Dio: sa Egli il fine verso il quale essa deve svilupparsi.
L'Umanità comincia oggi appena a intendere che la legge è Progresso:
comincia appena a intendere incertamente qualche cosa dell'Universo che ha
intorno; e la maggior parte degl'individui che la compongono è tuttavia
inadatta, per barbarie, servitù o mancanza assoluta d'educazione, allo
studio di quella Legge, all'esame dell'universo, che bisogna intendere prima
d'intendere noi stessi. Una minoranza degli uomini che popolano la piccola
nostra Europa è sola capace di sviluppare verso lo scopo della
conoscenza le sue facoltà intellettuali. In voi stessi, privi i
più d'istruzione e soggiogati tutti dalla fatalità d'un lavoro
fisico male ordinato, dormono mute senza poter portare alla piramide della
scienza il loro tributo. Come potremmo dunque pretendere di conoscere in oggi
ciò che richiede l'opera associata di tutti? Come ribellarci contro il
nostro non avere raggiunto ancora ciò che costituirebbe l'ultimo gradino
del nostro Progresso terrestre, quando cominciamo appena a balbettare, pochi e
non associati, quella sacra e feconda parola? Rassegniamoci dunque
all'ignoranza sulle cose che ci sono per lungo tempo ancora inaccessibili, e
non abbandoniamo, fanciullescamente irritati, lo studio di quelle che possiamo
scoprire. La scoperta del Vero esige modestia e temperanza di desiderio quanto
esige costanza. L'impazienza, l'orgoglio umano, han perduto o sviato dal retto
sentiero molte più anime che non la deliberata tristizia. E questa
verità che l'Antichità ha voluto insegnarci, quando ci narrava
che il Despota voglioso di raggiungere il cielo non seppe innalzare se non una
Torre di confusione, e che i Giganti assalitori dell'Olimpo giacciono,
fulminati, sotto i nostri monti vulcanici.
Ciò di
cui importa conviverci è questo che, qualunque sia il fine verso
cui tendiamo, noi non potremo scoprirlo e raggiungerlo, se non collo sviluppo
progressivo e coll'esercizio delle nostre facoltà intellettuali. Le
nostre facoltà sono gli strumenti di lavoro che Dio ci dava. È
dunque necessario che il loro sviluppo sia promosso e aiutato; il loro
esercizio protetto e libero. Senza libertà voi non potete compiere
alcuno dei vostri doveri. Voi dunque avete diritto alla Libertà,
e Dovere di conquistarla ad ogni modo contro qualunque Potere la neghi.
Senza libertà
non esiste Morale, perché non esistendo libera scelta tra il bene ed il
male, tra la devozione al progresso comune e lo spirito d'egoismo, non esiste
società vera, perché tra liberi e schiavi non può esistere associazione;
ma solamente dominio degli uni sugli altri. La libertà
è sacra come l'individuo, del quale essa rappresenta la vita.
Dove non è libertà, la vita è ridotta ad una pura funzione
organica. Lasciando che la sua libertà sia violata, l'uomo tradisce la
propria natura e si ribella contro i decreti di Dio.
Non v'è
libertà dove una casta, una famiglia, un uomo s'assuma dominio sugli
altri in virtù d'un preteso diritto divino, in virtù d'un
privilegio derivato dalla nascita, o in virtù di ricchezza. La
libertà dev'essere per tutti e davanti a tutti. Dio non delega la
sovranità ad alcun individuo; quella parte di sovranità che
può essere rappresentata sulla nostra terra è da Dio fidata
all'umanità, alle Nazioni, alla Società. Ed anche quella cessa e
abbandona quelle frazioni collettive dell'Umanità, quand'esse non la
dirigono al bene, all'adempimento del disegno previdenziale Non esiste dunque
Sovranità di diritto in alcuno; esiste una sovranità dello
scopo e degli atti che vi si accostano. Gli atti e lo scopo verso cui
camminiamo devono essere sottomessi al giudizio di tutti. Non v'è dunque
né può esservi sovranità permanente. Quella istituzione
che si chiama Governo non è se non una Direzione: una missione affidata
ad alcuni per raggiungere più sollecitamente lo scopo della Nazione; e
se quella missione è tradita, il potere di direzione fidato a quei pochi
deve cessare. Ogni uomo chiamato al Governo è un amministratore del
pensiero comune: deve essere eletto, e sottomesso a revoca ogni
qualvolta ei lo fraintenda o deliberatamente lo combatta. Non può
esistere dunque, ripeto, casta o famiglia che ottenga il Potere per diritto
proprio, senza violazione della vostra libertà. Come potreste chiamarvi
liberi davanti ad uomini ai quali spettasse facoltà di comando senza
vostro consenso? la Repubblica è l'unica forma legittima e logica di
Governo.
Voi non avrete
padrone fuorché Dio nel cielo e il Popolo sulla terra. Quando avete scoperto
una linea della Legge, dei voleri di Dio, dovete, benedicendo, eseguirla.
Quando il Popolo, l'unione collettiva dei vostri fratelli, dichiara che tale
è la sua credenza, dovete piegar la testa e astenervi da ogni atto di
ribellione.
Ma vi son cose
che costituiscono il vostro individuo e sono essenziali alla vita umana.
E su queste neppure il popolo ha signoria. Nessuna maggioranza, nessuna forza
collettiva può rapirvi ciò che vi fa essere uomini. Nessuna
maggioranza può decretar la tirannide e spegnere o alienare la propria
libertà. Contro il popolo suicida che ciò facesse, voi non potete
usar la forza, ma vive e vivrà eterno in ciascun di voi il diritto di
protesta nei modi che le circostanze vi suggeriranno.
Voi dovete
avere libertà in tutto ciò ch'è indispensabile ad
alimentare, moralmente e materialmente, la vita.
Libertà
personale: libertà di locomozione: libertà di credenza religiosa:
libertà d'opinione su tutte le cose: libertà d'esprimere colla
stampa o in ogni altro modo pacifico il vostro pensiero: libertà di
associazione per poterlo fecondare col contatto nel pensiero altrui:
libertà di traffico pei suoi prodotti son tutte cose che nessuno
può togliervi, salvo alcune rare eccezioni, ch'or non importa il dire,
senza grave ingiustizia, senza che sorga in voi il dovere di protestare.
Nessuno ha
diritto, in nome della Società, d'imprigionarvi e di sottomettervi a
restrizioni personali o invigilamento, senza dirvi il perché, senza dirvelo col
minore indugio possibile, senza condurvi sollecitamente davanti al potere
giudiziario del paese. Nessuno ha diritto d'inceppare con restrizioni di
passaporti od altro il vostro trasferirvi di parte in parte della terra che
è vostra Patria. Nessuno ha diritto di persecuzione, d'intolleranza, di
legislazione esclusiva sulle vostre opinioni religiose: nessuno, fuorché la
grande pacifica voce dell'umanità, ha diritto di frapporsi fra Dio e la
vostra coscienza. Dio vi ha dato il Pensiero: nessuno ha diritto di vincolarlo
o sopprimerne l'espressione, ch'è la comunione dell'anima vostra coi
vostri fratelli e l'unica via di progresso che abbiamo. La stampa dev'essere
illimitatamente libera: i diritti dell'intelletto sono inviolabili, ed ogni
censura preventiva è tirannide: la Società può,
come tutte le altre colpe, punire soltanto le colpe di stampa: la predicazione
del delitto, l'insegnamento dichiaratamente immorale: la punizione in
virtù d'un giudizio solenne è conseguenza della
responsabilità umana, mentre ogni intervenuto anteriore è
negazione della libertà. L'associazione pacifica è santa
come il pensiero: Dio ne poneva in voi la tendenza come avviamento perenne al
progresso e pegno dell'Unità che la famiglia umana deve un giorno
raggiungere: nessun potere ha diritto d'impedirla o di limitarla. Ciascun di
voi ha dover d'usar della vita che Dio gli diede, di serbarla, di svilupparla;
a ciascun di voi corre quindi debito di lavoro, solo mezzo di sostenerla
materialmente: il lavoro è sacro: nessun ha diritto di vietarlo,
d'incepparlo o di renderlo con regolamenti arbitrari impossibile: nessuno ha
diritto di restringere il libero traffico de' suoi prodotti: la terra che
v'è Patria è il vostro mercato, e nessuno può limitarlo.
Ma quando
avrete ottenute che queste libertà siano sacre, quando avrete finalmente
costituito lo Stato sul voto di tutti e in modo che l'individuo abbia
schiuse davanti a lui tutte le vie che possono condurre allo sviluppo delle sue
facoltà ‑ allora, ricordatevi che al di sopra di ciascun di voi
sta lo scopo che è vostro dovere raggiungere: perfezionamento morale
vostro e d'altrui, comunione più sempre intima e vasta fra tutti i
membri della famiglia umana, sì che un giorno essa non riconosca che una
sola Legge.
“Voi dovete
formare la famiglia universale, edificare la Città di Dio, tradurre in
fatto progressivamente, con un continuo lavoro, l'opera sua
nell'umanità.
Quando,
amandovi gli uni cogli altri come fratelli, voi vi tratterete reciprocamente
sì come tali, e ciascuno, cercando il proprio bene nel bene di tutti, i
propri interessi negl'interessi di tutti, pronto sempre a sacrificarsi per
tutti i membri della comune famiglia, egualmente pronti a sacrificarsi per lui,
i più tra i mali che pesano in oggi sulla razza umana spariranno, come i
vapori addensati all'orizzonte spariscono al levarsi del sole: e ciò che
Dio vuole si compirà: però che è suo decreto che l'amore,
unendo a poco più sempre strettamente gli elementi dispersi
dell'umanità, e ordinandoli in un sol corpo, essa sia una com'egli
è uno”.([11])
Le parole or
citate d'un uomo che visse e mori santamente e amò il popolo e il suo
avvenire d'immenso amore, non v'escano, o miei fratelli, mai dalla mente. La
libertà non è che un mezzo; guai a voi e al vostro
avvenire se v'avvezzaste mai a guardarla siccome fine! Il vostro individuo ha
doveri e diritti propri che non possono essere abbandonati ad alcuno; ma guai a
voi ed al vostro avvenire se il rispetto che dovete avere per ciò che
costituisce la vostra vita individuale potesse mai degenerare in un
fatale egoismo! La vostra libertà non è la
negazione d'ogni autorità; è la negazione d'ogni autorità
che non rappresenti lo scopo collettivo della Nazione, e che presuma
impiantarsi e mantenersi sovr'altra base che su quella del libero spontaneo
vostro consenso. Dottrine di sofisti hanno in questi ultimi tempi pervertito il
santo concetto della Libertà: gli uni l'hanno ridotto a un gretto
immorale individualismo, hanno detto che l'io è tutto e che il
lavoro umano e l'ordinamento sociale non devono tendere che al sodisfacimento
dei suoi desiderii: gli altri hanno dichiarato che ogni governo, ogni
autorità è un male inevitabile, ma da restringersi, da
vincolarsi quanto più si può, che la libertà non ha
limiti; che lo scopo d'ogni Società è unicamente quello di
promoverla indefinitamente; che un uomo ha diritto d'usare e abusare della
libertà, purché questa non ridondi direttamente nel male altrui:
che un governo non ha missione fuorché quella d'impedire che un
individuo non nuoccia all'altro. Respingete, o miei fratelli, queste
false dottrine: son esse che indugiano anche in oggi l'Italia sulle vie della
sua grandezza avvenire. Le prime hanno generato l'egoismo di classe, le seconde
fanno d'una società che deve, se ben ordinata, rappresentare il vostro
scopo e la vostra vita collettiva, non altro che un birro o un soldato di
polizia incaricato di mantenere una pace apparente; tutte trascinano la libertà
ad essere un'anarchia: cancellano l'idea di miglioramento morale
collettivo; cancellano la missione educatrice, la missione di Progresso che la
società deve assumersi. Se voi potete intendere a questo modo la
Libertà, voi meritereste di perderla, e, presto o tardi, la perdereste.
La vostra
Libertà sarà santa, perché si svilupperà sotto il
predominio dell'idea del Dovere, della Fede nel perfezionamento comune. La
vostra Libertà fiorirà protetta da Dio e dagli uomini, perch'essa
non sarà il diritto d'usare e abusare delle vostre facoltà nella
direzione che a voi piaccia di scegliere, ma perch'essa sarà il diritto
di scegliere liberamente, a seconda delle vostre tendenze, i mezzi per fare
il bene.
Dio v'ha fatti educabili.
Voi dunque avete dovere d'educarvi per quanto è in voi, e diritto a
che la società alla quale appartenete non v'impedisca nella
vostra opera educatrice, v'aiuti in essa e vi supplisca, quando i
mezzi d'educazione vi manchino.
La vostra
libertà, i vostri diritti, la vostra emancipazione da condizioni sociali
ingiuste, la missione che ciascun di voi deve compiere qui sulla terra
dipendono dal grado di educazione che vi è dato raggiungere. Senza
educazione voi non potete scegliere giustamente fra il bene e il male; non
potete acquistare coscienza dei vostri diritti, non potete ottenere quella
partecipazione nella vita politica senza della quale non riuscirete ad
emanciparvi: non potete definire a voi stessi la vostra missione. L'Educazione
è il pane delle anime vostre. Senz'essa, le vostre facoltà dormono
assiderate, infeconde, come la potenza di vita che cova nel germe dorme
sterilita, s'esso è cacciato in terreno non dissodato, senza benefizio
d'irrigazione e cure d'assiduo coltivatore.
Oggi, voi, o
non avete educazione o l'avete da uomini e da poteri che nulla rappresentano
fuorché se stessi e, non servendo a un principio regolatore, sono condannati
essenzialmente a mutilarla o falsarla. I meno tristi fra i vostri educatori
credono aver sodisfatto al debito loro, quando hanno inegualmente aperto sul
territorio che reggono un certo numero di scuole dove i vostri figli possono
ricevere un grado qualunque d'insegnamento elementare. Questo insegnamento
consiste principalmente nel leggere, scrivere e computare.
Insegnamento
siffatto si chiama istruzione; e differisce dall'educazione quanto
i nostri organi differiscono dalla nostra vita. I nostri organi non sono
la vita; non ne sono che semplici stromenti e mezzi di manifestarla; non la
signoreggiano, non la dirigono: possono tradurre in fatti la vita più santa
e la più corrotta. Così l'istruzione somministra i mezzi
per praticare ciò che l'educazione insegna: ma non può
tener luogo dell'educazione.
L'educazione s'indirizza
alle facoltà morali; l'Istruzione alle intellettuali.
La prima sviluppa nell'uomo la conoscenza dei suoi doveri; la seconda rende
l'uomo capace di praticarli. Senza istruzione, l'educazione sarebbe
troppo sovente inefficace; senza educazione l'istruzione sarebbe
come una leva mancante d'un punto d'appoggio. Voi sapete leggere: che monta, se
non sapete in quali libri si trovi l'errore, in quali la verità? Voi
sapete, scrivendo, comunicare i vostri pensieri ai vostri fratelli: che
importa, quando i vostri pensieri non accennassero che ad egoismo? L'istruzione,
come la ricchezza, può essere sorgente di bene e di male a seconda
delle intenzioni colle quali s'adopra: consacrata al progresso di tutti,
è mezzo di incivilimento e di libertà; rivolta all'utile proprio,
diventa mezzo di tirannide e di corruttela. Oggi in Europa l'istruzione, scompagnata
da un grado corrispondente di educazione morale, è piaga
gravissima che mantiene l'ineguaglianza fra classe e classe d'uno stesso popolo
e inchina gli animi al calcolo, all'egoismo, alle transazioni fra il giusto e
l'ingiusto, alle false dottrine.
La distinzione
fra gli uomini i quali vi offrono più o meno istruzione e quei
che vi predicano educazione, è più grave che voi non
pensate, e merita ch'io vi spenda alcune parole.
Due dottrine,
due scuole, dividono il campo di quei che combattono per la libertà
contro il dispotismo. La prima dichiara che la sovranità risiede
nell'individuo: la seconda sostiene ch'essa vive unicamente nella società
e prende a norma il consenso manifestato dalla maggioranza. La prima crede
aver compiuto la propria missione quando ha proclamato i diritti creduti
inerenti alla natura umana e tutelato la libertà; la seconda
guarda quasi esclusivamente all'associazione, e desume dal patto che la
costituisce i doveri d'ogni individuo. La prima non vede più in
là di ciò che io chiamai istruzione, perché l'istruzione
tende infatti a dare facilità di sviluppo, senza norma generale,
alle facoltà individuali: la seconda intende la necessità d'un'educazione
ch'è per essa la manifestazione del programma sociale.
La prima guida
inevitabilmente all'anarchia morale, la seconda, se dimentica i diritti della
libertà, corre rischio di cadere nel dispotismo della maggioranza.
Alla prima
apparteneva tutta quella generazione di uomini chiamati in Francia dottrinari,
che tradì le speranze del Popolo dopo la rivoluzione del 1830, e
gridando libertà d'istruzione e non altro, perpetuò il
monopolio governativo nella classe borghese che ha più mezzi per
dare sviluppo alle proprie facoltà individuali: la seconda non è
sventuratamente rappresentata in oggi che da Sette e Poteri appartenenti a
vecchie credenze, ostili al dogma dell'avvenire, il Progresso.
Tutte due
quelle scuole peccano di tendenze anguste, esclusive.
Il vero
è questo:
La
sovranità è in Dio, nella Legge morale, nel disegno
provvidenziale che governa il mondo e ch'è via via rivelato dalle
ispirazioni del Genio virtuoso e dalle tendenze dell'Umanità nelle
epoche diverse della sua vita: e nello scopo che bisogna raggiungere, nella
missione che bisogna compiere. Non è sovranità nello individuo,
non è nella società, se non in quanto l'uno è l'altra
s'uniformino a quel disegno, a quella Legge, e si dirigono a quello scopo.
Un individuo o
è il migliore interprete della Legge morale e governa in suo nome, o
è un usurpatore da rovesciarsi. Il semplice voto d'una maggioranza non
costituisce sovranità, se avversa evidentemente alle norme morali
supreme, o chiuda deliberatamente la via al Progresso futuro. Bene sociale,
Libertà, Progresso: al di fuori di questi tre termini non può
esistere sovranità.
L'educazione
insegna qual sia il Bene sociale.
L'istruzione
assicura all'individuo la libera scelta dei mezzi per ottenere un progresso
successivo nel concetto del bene.
A voi importa
prima d'ogni altra cosa che i vostri figli imparino quale insieme di principii
e credenze diriga la vita dei loro fratelli nel tempo in cui sono chiamati a
vivere e nella terra ch'è stata loro assegnata: quale sia il programma
morale, sociale e politico della loro Nazione: ‑ quale lo spirito della
legislazione dalla quale le opere loro debbono venire giudicate: ‑ quale
il grado del progresso raggiunto dall'Umanità: ‑ quale quello da
raggiungersi. E v'importa ch'essi sentano fin dai primi anni giovanili di
essere stretti in uno spirito d'eguaglianza e d'amore verso un intento comune,
coi milioni di fratelli dati loro da Dio.
L'educazione,
che deve dare ai vostri figli insegnamento siffatto, non può venire che
dalla Nazione.
Oggi,
l'insegnamento morale è anarchia. Lasciato esclusivamente ai padri,
è nullo dove la miseria e la necessità d'un lavoro materiale
quasi continuo tolgono ad essi tempo per educare e mezzi per sostituire
educatori a se stessi, tristo, se l'egoismo e la corruttela hanno pervertita e
contaminata la famiglia. I fanciulli sono dati a tendenze superstiziose o
materialiste, di libertà o di rassegnazione codarda, di aristocrazia o
di reazione contr'essa, a seconda dell'istitutore prete o laico, che le tendenze
paterne scelgono dove esistono mezzi. Come possono, cresciuti a
gioventù, affratellarsi in concordia d'opere e rappresentare in sé
l'unità del paese? La società li chiama a promuovere lo sviluppo
d'una idea comune alla quale non furono iniziati mai. La società li
punisce per violazioni di leggi talora ignote, e delle quali lo spirito e lo
scopo non sono insegnati mai dalla società al cittadino. La
società desidera da essi cooperazione e sacrificio per un fine che
nessuna scuola svolge ad essi sull'aprirsi della loro vita civile. Strano a
dirsi: gli uomini della dottrina, alla quale ho accennato poc'anzi
riconoscono in ciascun individuo il diritto d'ammaestrare i giovani: non
lo riconoscono nell'associazione di tutti, nella Nazione. Il loro grido,
libertà d'insegnamento disereda la Patria d'ogni direzione
morale. Dichiarano importantissima l'unità del sistema monetario e dei
pesi; l'unità dei principii sui quali la vita nazionale deve
avere fondazione e sviluppo, è nulla per essi. Voi non dovete lasciarvi
adescare da quel grido che tutti quasi i fautori moderni di Costituzioni ripetono
l'uno dopo l'altro.
Senza
Educazione Nazionale non esiste moralmente Nazione. La coscienza nazionale non
può uscir che da quella.
Senza
Educazione Nazionale comune a tutti i cittadini: eguaglianza di doveri e
di diritti è formola vuota di senso, la conoscenza dei doveri, la
possibilità dell'esercizio dei diritti, sono lasciate al caso
della fortuna e all'arbitrio di chi sceglie l'educatore.
Gli uomini che
si dichiarano avversi all'unità della educazione invocano la
libertà. Libertà di chi? Dei padri o dei figli? La libertà
dei figli è violata, nel loro sistema dal dispotismo paterno: la
libertà delle giovani generazioni sacrificate alle vecchie: la
libertà di progresso diventa illusione.
Le credenze
individuali, false forse ed avverse al progresso, sono trasmesse sole e
autorevoli, di padre in figlio, nell'età in cui l'esame è
impossibile: più tardi, nelle condizioni dei più tra voi, la
fatalità d'un lavoro materiale di tutte l'ore, vieterà all'anima
giovane, nella quale si saranno stampate quelle credenze, di raffrontarle con
altre e modificarle. In nome di quella libertà menzognera il sistema
anarchico del quale io vi parlo tende a fondare o perpetuare il pessimo fra i
dispotismi, la casta morale.
Ciò che
quel sistema protegge ha nome arbitrio non libertà. Libertà
vera non esiste senza eguaglianza, e l'eguaglianza non può esistere fra
chi non move da una base, da un principio comune, da una coscienza uniforme del
Dovere. La libertà non si esercita che al di là di quella coscienza.
Io vi dissi poche pagine addietro che la Libertà vera non consiste nel
diritto di scegliere il male, ma nel diritto di scegliere fra le vie che
conducono al bene. La libertà che invocano quei falsi
filosofi è l'arbitrio dato al padre di scegliere il male pel figlio.
Che? Se un padre minacciasse di mutilazione, di un guasto qualunque il corpo
del suo fanciullo, la società interverrebbe invocata da tutti; e l'anima,
la mente di quell'essere, sarà da meno del corpo? La società
non potrà proteggerla dalla mutilazione delle facoltà,
l'ignoranza dalla deviazione del senso morale, la superstizione?
Quel grido di
libertà d'insegnamento sorgeva giovevole un tempo e sorge giovevole
anch'oggi dovunque l'educazione morale è un monopolio d'un governo
dispotico, d'una casta retrograda, d'un sacerdozio avverso, per natura di
dogma, al Progresso: fu un'arme contro la tirannide; una parola d'emancipazione
imperfetta ma indispensabile. Giovatevene ovunque siete schiavi. Ma io vi parlo
d'un tempo in cui la fede religiosa avrà scritto sulle porte del tempio
la parola PROGRESSO e tutte le istituzioni ripeteranno sotto varie forme quella
parola, e l'Educazione Nazionale dirà sul finire dell'insegnamento
all'allievo: a te, destinato a vivere sotto un Patto comune fra noi; noi
abbiam detto le basi fondamentali di quel Patto, i Principii nei quali crede in
oggi la tua Nazione; ma bada che il primo fra quei principii è
Progresso; bada che la tua missione d'uomo e di cittadino è quella di
migliorare, ove tu possa, la mente e il core dei tuoi fratelli: va, esamina,
raffronta; e se scopri verità superiore a quella che noi crediamo di
possedere, promulgala arditamente e avrai la benedizione della tua Patria. Allora,
non prima, respingete quel grido di libertà d'insegnamento come
ineguale ai vostri bisogni e funesto all'Unità della Patria; chiedete,
esigete, l'impianto d'un sistema d'educazione nazionale gratuita, obbligatoria
per tutti.
La Nazione deve
ad ogni cittadino la trasmissione del suo programma. Ogni cittadino deve
ricevere nelle scuole l'insegnamento morale ‑ un corso di
nazionalità comprendente un quadro sommario dei progressi
dell'Umanità, la Storia Patria e l'esposizione popolare dei principii
che reggono la legislazione del paese ‑ e l'istruzione elementare intorno
alla quale non v'è dissenso. Ogni cittadino deve imparare in esse
l'eguaglianza e l'amore.
Trasmesso quel
programma, la libertà ripiglia i suoi diritti. Non solamente
l'insegnamento della famiglia, ma ogni altro è sacro. Ogni uomo ha
diritto illimitato di comunicare ad altri le proprie idee: ogni uomo ha diritto
d'ascoltarlo. La Società deve proteggere, incoraggiare la libera
espressione del pensiero, sotto ogni forma; e aprire ogni via perché il
programma sociale possa svilupparsi e modificarsi pel bene.
Dio v'ha fatti sociali
e progressivi. Voi dunque avete dovere d'associarvi e di progredire
quanto comporta la sfera d'attività, nella quale le circostanze vi
collocarono, e avete diritto a che la società alla quale appartenete non
v'impedisca nella vostra opera d'associazione e di progresso, v'aiuti in
essa e vi supplisca, quando i mezzi d'associazione e di progresso
vi manchino.
La libertà
vi dà facoltà di scegliere fra il bene ed il male,
cioè fra il dovere e l'egoismo. L'educazione deve insegnarvi la scelta.
L'associazione deve darvi le forze colle quali potrete tradurre
la scelta in atto. Il progresso è il fine a cui dovete
mirare scegliendo, ed è ad un tempo, quando è visibilmente
compito, la prova che non v'ingannaste nella scelta. Dove una sola di queste
condizioni è tradita o negletta, non esiste uomo, né cittadino
o esiste imperfetto o inceppato nel suo sviluppo.
Voi dunque
dovete combattere per tutte, e segnatamente pel diritto d'Associazione, senza
il quale la Libertà e l'Educazione riescono inutili.
Il diritto
d'Associazione è sacro, come la Religione ch'è l'associazione
delle anime. Voi siete tutti figli a Dio: siete dunque fratelli: e chi
può senza delitto limitare l'associazione, la comunione fra
fratelli?
Questa parola comunione,
ch'io ho proferita pensatamente, vi fu detta dal Cristianesimo, che gli
uomini dichiararono, nel passato, religione immutabile e non è se non un
gradino sulla scala delle manifestazioni religiose dell'Umanità. Ed
è una santa parola. Essa diceva agli uomini che erano una sola famiglia
d'eguali in Dio; e riuniva il signore e il servo in un solo pensiero di
salvezza, di speranza e di amore pel Cielo.
Era un immenso
progresso sui tempi anteriori, quando popolo e filosofi credevano l'anime dei
cittadini e degli schiavi essere di diversa natura. E bastava al Cristianesimo
quella missione. La comunione era il simbolo dell'eguaglianza e della
fratellanza dell'anime; e spettava all'Umanità d'ampliare e sviluppare
la verità nascosta in quel simbolo.
La Chiesa nol
poteva e nol fece. Timida e incerta a principio, alleata coi signori e col
potere temporale più appresso e imbevuta, anche per utile proprio, d'una
tendenza all'aristocrazia che non era nello spirito del fondatore, essa
smarrì di tanto la via, che diminuì, retrocedendo, il valore
della Comunione, limitandola pei laici alla comunione nel solo pane e serbando
ai sacerdoti la comunione sotto le due specie.
D'allora in
poi, il grido di quanti sentivano il diritto d'una comunione illimitata, senza
distinzione fra ecclesiastici e laici, per tutta quanta la famiglia umana, fu: comunione
sotto le due specie al popolo: il calice al popolo! Nel XV secolo, quel
grido fu grido di moltitudini sollevate, preludio alla Riforma religiosa
santificato dal martirio. Un santo uomo, Giovanni Huss di Boemia, capo di quel
moto, perì tra le fiamme accese dall'Inquisizione. Oggi i più tra
voi ignorano la storia di quelle lotte e le credono lotte di fanatici per
questioni semplicemente teologiche. Ma quando, la Storia, fatta popolare
dell'Educazione Nazionale, v'avrà insegnato come ogni progresso nella
questione religiosa trascini un progresso corrispondente nella vita civile,
intenderete il giusto valore di quelle contese, e onorerete la memoria di quei
martiri come di vostri benefattori.
Noi dobbiamo a
questi martiri e a quei che li precedettero se oggi sappiamo che non v'è
casta privilegiata tra Dio e gli uomini; che i migliori per virtù e per
sapienza di cose divine ed umane possono e devono consigliarci e dirigerci
sulle vie del bene, ma senza monopolio di potenza o supremazia di classe; e che
il diritto di comunione è eguale per tutti. Ciò che è
santo nel Cielo è santo sulla Terra. E la Comunione degli uomini in Dio
porta con sé l'associazione degli uomini nella vita terrestre. L'associazione
religiosa delle anime genera il diritto dell'associazione nelle facoltà
e nell'opere che fanno realtà del pensiero.
Sia dunque
l'associazione dovere e diritto per voi.
Taluni, a
limitarne il diritto fra i cittadini, vi diranno che l'associazione è lo
Stato, la Nazione: che voi ne siete e dovete esserne tutti membri: e che quindi
ogni associazione parziale tra voi è o avversa allo Stato o superflua.
Ma lo Stato, la
Nazione non rappresentano se non l'associazione dei cittadini in quelle cose,
in quelle tendenze che sono comuni a tutti gli uomini che ne sono parte.
Esistono tendenze e fini che non abbracciano tutti i cittadini,
ma solamente un certo numero d'essi. E come le tendenze e il fine comune a tutti
generano la Nazione, le tendenze e il fine comune a parecchi fra i
cittadini devono generare l'associazione speciale.
Poi ‑ e
questa è base fondamentale al diritto d'associazione ‑
l'associazione è la mallevadoria del Progresso. Lo Stato rappresenta una
certa somma, un certo insieme di principii nei quali l'università dei
cittadini consente nel periodo in cui lo Stato è fondato. Ponete che un
nuovo e vero principio, un nuovo e ragionevole sviluppo delle verità che
danno vita allo Stato, s'affaccino a taluni fra i cittadini: come potranno
diffonderne, senza associarsi, la conoscenza? Ponete che in conseguenza di
scoperte scientifiche, di nuove comunicazioni aperte fra popoli e popoli o
d'altra cagione, si manifesti, per un certo numero d'uomini appartenenti allo
Stato, un nuovo interesse: come potranno quei che lo intendono primi
conquistargli luogo fra gli interessi da lungo esistenti se non
affratellando i propri mezzi, le proprie forze? L'inerzia, il riposo nella
condizione di cose esistente e sancita dal comune consenso, sono troppo
connaturali agli animi, perché un solo individuo possa, colla sua parola,
scoterli e vincerli. L'associazione d'una minoranza di giorno in giorno
crescente lo può. L'associazione è il metodo dell'avvenire.
Senz'essa, lo Stato rimarrebbe immobile, incatenato al grado raggiunto di
civiltà.
L'associazione
deve essere progressiva nel fine a cui tende, non contraria alle
verità conquistate per sempre dal consenso universale
dell'Umanità e della Nazione. Una associazione che s'impiantasse per
agevolare il furto dell'altrui proprietà, una associazione che facesse
obbligo a' suoi membri della poligamia, una associazione che dichiarasse
doversi sciogliere la Nazione o predicasse lo stabilimento del Dispotismo
sarebbe illegale. La Nazione ha diritto di dire a' suoi membri: noi non
possiamo tollerare che si diffondano in mezzo a noi dottrine violatrici di
ciò che costituisce la natura umana, la Morale, la Patria. Escite e
stabilite fra voi al di là dei nostri confini, l'associazione che le
vostre tendenze vi suggeriscono.
L'associazione
deve essere pacifica. Essa non può avere altr'arme che
l'apostolato della parola: deve proporsi di persuadere, non di costringere.
L'associazione
deve essere pubblica. Le associazioni segrete, arme di guerra legittima
dove non è Patria, né Libertà, sono illegali e possono essere
sciolte dalla Nazione quando la Libertà è diritto riconosciuto, quando
la Patria protegge lo sviluppo e l'inviolabilità del pensiero. Se
l'associazione deve schiudere la via al Progresso, essa dev'essere sottomessa
all'esame e al giudizio di tutti.
E finalmente
l'Associazione deve rispettare in altrui i diritti che sgorgano dalle
condizioni essenziali dell'umana natura. Una associazione che violasse, come le
corporazioni del medio evo, la libertà del lavoro o tendesse
direttamente a restringere la libertà di coscienza potrebb'essere
respinta, governativamente, dalla Nazione.
Da questi
limiti in fuori, la libertà d'associazione fra' cittadini è
sacra, inviolabile, come il progresso che ha vita in essa. Ogni governo che
s'attentasse restringerla tradirebbe la missione sociale: il popolo dovrebbe,
prima ammonirlo, poi, esaurite le vie pacifiche, rovesciarlo.
E son queste, o
miei fratelli, le basi principali sulle quali poggiano i vostri Doveri, le
sorgenti dalle quali scendono i vostri Diritti. Infinite sono le questioni
speciali che possono sorgere nella vostra vita civile; ma non è parte di
questo lavoro prevederle e aiutarvi a scioglierle. Intento unico del mio lavoro
era additarvi, come fiaccole sulla via, i principii che devono
predominare su tutte e nella severa applicazione dei quali troverete sempre
modo di scioglierle. E parmi d'averlo fatto.
V'ho additato
Dio come sorgente del Dovere e pegno d'eguaglianza tra gli uomini: ‑ la
legge morale come sorgente d'ogni legge civile, e base d'ogni vostro
giudizio sulla condotta di chi fa le legge ‑ il popolo, voi, noi, l'universalità
dei cittadini che formano la Nazione, come il solo legittimo interprete della
legge e sorgente d'ogni potere politico.
V'ho detto che
il carattere fondamentale della legge è Progresso: progresso,
indefinito, continuo d'epoca in epoca: progresso in ogni ramo d'attività
umana, in ogni manifestazione del pensiero, dalla religione fino all'industria,
fino alla distribuzione della ricchezza.
V'ho accennato
quali sono i vostri doveri verso l'Umanità, verso la Patria,
verso la Famiglia, verso Voi stessi. E ho desunto quei doveri dalle condizioni
che costituiscono la creatura umana e ch'è obbligo vostro di
sviluppare. Quelle condizioni, inviolabili in ogni uomo, sono: libertà,
edificabilità, socialità, capacità, necessità di
progresso. E da quei caratteri senza i quali non esiste uomo né cittadino,
ho desunto i vostri diritti e le condizioni generali del Governo che voi
dovete cercare alla Patria.
Non dimenticate
mai quei principii. Vigilate a ciò che non siano violati mai.
Incarnateli in voi. Sarete liberi e migliorerete.
Il lavoro ch'io
ho impreso per voi sarebbe dunque compito, se una tremenda obbiezione non
sorgesse dalle viscere della società com'è oggi ordinata contro
la possibilità di compiere doveri, d'esercitar quei diritti:
l'ineguaglianza dei mezzi.
Per compiere doveri,
per esercitare diritti, sono necessari: tempo, sviluppo
intellettuale, certezza di vita fisica.
Or, moltissimi
fra voi non hanno in oggi questi elementi di progresso. La loro vita è
una continua incerta battaglia per conquistare i mezzi di sostenere l'esistenza
materiale. Non si tratta per essi di progredire; si tratta di vivere.
Esiste dunque
un vizio radicale, profondo, nella società com'è in oggi
ordinata. E il mio lavoro sarebbe inutile s'io non definissi quel vizio e non
v'additassi la via di correggerlo.
La questione
economica sarà dunque soggetto di una ultima parte del mio lavoro.
§ 1°
Molti, troppi
fra voi, sono poveri. Per i tre quarti almeno degli uomini che appartengono
alla classe operaia, agricola o industriale, la vita è una lotta
d'ogni giorno per conquistarsi i mezzi indispensabili all'esistenza.
Essi lavorano colle loro braccia dieci, dodici, talvolta quattordici ore della
giornata, e da questo assiduo, monotono, penoso lavoro, ritraggono appena il necessario
alla vita fisica. Insegnare ad essi il dovere di progredire, parlar
loro di vita intellettuale e morale, di diritti politici, di educazione, nell'ordine
sociale attuale, è una vera ironia. Essi non hanno tempo né mezzi
per progredire. Spossati, affranti, pressoché istupiditi da una vita spesa
in un cerchio di poche operazioni meccaniche, essi v'imparano un muto,
impotente, spesso ingiusto rancore contro la classe degli uomini, che
l'impiegano; cercano l'oblio dei dolori presenti e dell'incertezza del domani
negli stimoli delle forti bevande, e si coricano in luoghi ai quali è
meglio adatto il nome di covile che non quello di stanza, per ridestarsi allo
stesso esercizio delle forze fisiche.
È
tristissima condizione e bisogna mutarla.
Voi siete uomini,
e come tali avete facoltà, non solamente fisiche, ma intellettuali
e morali, che è vostro dovere di sviluppare: dovete essere cittadini,
e come tali, dovete esercitare, pel bene di tutti, diritti i quali richiedono
un certo grado di educazione, una certa somma di tempo.
È chiaro
che voi dovete lavorar meno e guadagnare più che oggi non
fate.
Figli tutti di
Dio e fratelli in Lui e tra noi, noi siamo chiamati a formare una sola grande
famiglia. In questa famiglia possono esistere disuguaglianze generate dalle
diverse abitudini, dalle diverse capacità, dal diverso desiderio di
lavoro; ma un principio deve signoreggiarla: qualunque è disposto a
dare pel bene di tutti, ciò ch'ei può di lavoro, deve ottenere
compenso tale che lo renda capace di sviluppare, più o meno, la propria
vita sotto tutti gli aspetti che la definiscono.
È questo
l'ideale al quale dobbiamo tutti studiar modo d'avvicinarci più
sempre di secolo in secolo. Ogni mutamento, ogni rivoluzione che non vi
s'accosti d'un passo, che non faccia corrispondere al progresso politico un
progresso sociale, che non promuova d'un grado il miglioramento
materiale delle classi più povere, viola il disegno di Dio, si riduce a
una guerra di fazioni contro fazioni in cerca di una dominazione illegittima:
è una menzogna ed un male.
Ma fino a
qual punto possiamo raggiungere oggi lo scopo? E come, per quali vie
possiamo raggiungerlo?
Taluni fra i
vostri più timidi amici hanno cercato il rimedio nella moralità
dell'operaio. Fondando casse di risparmio o altre simili istituzioni, hanno
detto agli operai: recate qui il vostro soldo: economizzate: astenetevi da
ogni eccesso nella bevanda o in altro: emancipatevi dalla miseria colle
privazioni. E sono ottimi consigli perché mirano alla moralizzazione
dell'operaio, senza la quale tutte le riforme riescono inutili. Ma né sciolgono
la questione di miseria intorno alla quale io vi parlo, né tengono conto alcuno
del dovere sociale. Pochissimi tra voi possono economizzare quel
soldo. E quei pochissimi possono, accumulando lentamente, provvedere in parte
agli anni della vecchiaia, mentre la quistione economica deve mirare a
provvedere agli anni virili, allo sviluppo, all'espansione possibile della vita
quando è attiva e potente e può giovare efficacemente al
progresso della Patria e dell'Umanità. Perciò che riguarda i beni
materiali, la questione sta nel come accrescere la ricchezza, la
produzione; e quei consigli neppure vi accennano. Inoltre, la Società
che vive del lavoro e chiede, ogni qualvolta è minacciata, tributo di
sangue ai figli del popolo ha debiti sacri verso di loro.
Altri, non
nemici, ma poco curanti del popolo e del grido di dolore che sorge dalle
viscere degli uomini del lavoro, paurosi d'ogni innovazione potente, e legati a
una scuola detta degli economisti, che combatté con merito e con
vantaggio tutte le battaglie della libertà, dell'industria, ma senza por
mente alla necessità di progresso e di associazione, inseparabili
anch'esse dalla natura umana, sostennero e sostengono, come i filantropi dei
quali ora parlai, che ciascuno può anche nella condizione di cose
attuale, edificare colla propria attività la propria indipendenza; che
ogni mutamento nella costituzione del lavoro riuscirebbe superfluo o dannoso; e
che la formola ciascuno per sé, libertà per tutti è
sufficiente a creare a poco a poco un equilibrio approssimativo d'agi e
conforti fra le classi che costituiscono la Società. Libertà di
traffici interni, libertà di commercio fra le nazioni, abbassamento
progressivo delle tariffe daziarie specialmente sulle materie prime, incoraggiamenti
dati generalmente alle grandi imprese industriali, alla moltiplicazione delle
vie di comunicazione, alle macchine che rendono più attiva la
produzione: questo è quanto, secondo gli economisti, può
farsi dalla Società: ogni suo intervento al di là è, per
essi, sorgente di male.
Se ciò
fosse vero, la piaga della miseria sarebbe insanabile; e Dio tolga, o fratelli
miei, che io possa mai gittare, convinto, come risposta ai vostri patimenti e
alle vostre aspirazioni, questa risposta disperata, atea, immorale. Dio ha statuito
per voi un migliore avvenire, che non è quello contenuto nei rimedi
degli economisti.
Quei rimedi non
mirano infatti che ad accrescere possibilmente e per un certo tempo la produzione
della ricchezza, non a farne più equa la distribuzione. Mentre
i filantropi contemplano unicamente l'uomo e s'affannano a
renderlo più morale senza farsi carico d'accrescere, per dargli campo a
migliorarsi, la ricchezza comune, gli economisti non guardano che a
fecondare le sorgenti della produzione senza occuparsi dell'uomo. Sotto
il regime esclusivo di libertà ch'essi predicano e che ha più o
meno regolato il mondo economico nei tempi a noi più vicini, i documenti
più innegabili ci mostrano aumento d'attività produttrice e di
capitali, non di prosperità universalmente diffusa: la miseria delle
classi operaie è la stessa di prima. La libertà di concorrere per
chi nulla possiede, per chi, non potendo risparmiare sulla giornata, non ha di
che iniziare la concorrenza, è menzogna, com'è menzogna la
libertà politica per chi mancando di educazione, d'istruzione, di mezzo
e di tempo, non può esercitarne i diritti. L'accrescimento della
facilità dei traffichi, i progressi nei modi di comunicazione,
emanciperebbero a poco a poco il lavoro dalla tirannide del commercio della
classe intermedia fra la produzione e i consumatori: ma
non giovano a emanciparlo dalla tirannide del capitale, non danno i
mezzi del lavoro a chi non li ha. E per difetto di un'equa distribuzione della
ricchezza, d'un più giusto riparto dei prodotti, d'un aumento
progressivo della cifra dei consumatori, il capitale stesso si svia dal suo
vero scopo economico, s'immobilizza in parte nelle mani dei pochi invece di
spandersi tutto nella circolazione, si dirige verso la produzione d'oggetti
superflui, di lusso, di bisogni fittizi, invece di concentrarsi sulla
produzione degli oggetti di prima necessità per la vita o si avventura
in pericolose e spesso immorali speculazioni.
Oggi il capitale
‑ e questa è la piaga della Società economica
attuale ‑ è despota del lavoro. Delle tre classi che oggi formano
economicamente la Società ‑ capitalisti, cioè
detentori dei mezzi o strumenti del lavoro, terre, fattorie, numerario, materie
prime ‑ intraprenditori, capilavoro, commercianti, che
rappresentano o dovrebbero rappresentare l'intelletto ‑ e operai che
rappresentano il lavoro manuale ‑ la prima, sola, è padrona del
campo, padrona di promuovere, indugiare, accelerare verso certi fini il lavoro.
E la sua parte negli utili del lavoro, nel lavoro della produzione, è
comparativamente determinata: la locazione degli strumenti del lavoro non varia
se non tra limiti noti e ristretti; e il tempo, fino a un certo segno almeno,
è suo, non in balìa dell'assoluto bisogno. La parte dei secondi
è incerta, dipendente dal loro intelletto, dalla loro attività,
ma segnatamente dalle circostanze, dallo sviluppo maggiore o minore della
concorrenza e dal rifluire o ritirarsi, in conseguenza d'eventi non
calcolabili, dei capitali. La parte degli ultimi, degli operai, è
il salario determinato anteriormente al lavoro e senza riguardi
agli utili maggiori o minori che esciranno dall'impresa; e i limiti fra i quali
il salario si aggira, sono determinati dalla relazione che esiste fra il lavoro
offerto e il lavoro richiesto, in altri termini, tra la popolazione
degli operai ed il capitale. Or la prima tendendo all'aumento
e ad un aumento che supera generalmente, non fosse che di poco, l'aumento del
secondo, il salario tende, ove altre cause non s'infrappongano, a scendere. E
il tempo non è nelle mani dell'operaio: le crisi finanziarie e
politiche, la subita applicazione di nuove macchine ai rami diversi
dell'attività industriale, le irregolarità nella produzione e il
suo frequente soverchio accumularsi in unica direzione inseparabile da una poco
illuminata concorrenza, il riparto ineguale del popolo dei lavoranti su
certi punti o su certi rami d'attività, e dieci altre cause
interrompendo il lavoro, non lasciano all'operaio la libera scelta delle sue
condizioni. Da un lato sta per lui l'assoluta miseria, dall'altro
l'accettazione d'ogni patto che gli venga proposto.
Condizione
siffatta di cose ha, ripeto, il germe in sé d'una piaga che bisogna curare. I
rimedi proposti dagli economisti sono inefficaci per questo.
E nondimeno,
v'è progresso nella condizione della classe alla quale voi appartenete:
progresso storico, continuo, che ha superato ben altre difficoltà. Voi
foste schiavi, voi foste servi, voi siete in oggi assalariati.
V'emancipaste dalla schiavitù, dal servaggio; perché non
v'emancipereste dal giogo del salario per diventare produttori liberi,
padroni della totalità del lavoro della produzione ch'esce da voi?
Perché tra l'opera vostra e l'opera della Società, che ha doveri sacri
verso i suoi membri, non si compirebbe pacificamente la più grande, la
più bella rivoluzione che possa idearsi, quella che, dando come base
economica al consorzio umano il lavoro, come base alla proprietà i
frutti del lavoro, raccoglierebbe, sotto una sola legge d'equilibrio tra la produzione
e il consumo, senza distinzione di classi, senza predominio
tirannico d'uno degli elementi del lavoro sull'altro, tutti i figli della
stessa madre, la PATRIA?
§ 2°
Il senso di
dovere sociale verso gli uomini del lavoro, al quale ho accennato finora,
andava, mercé sopratutto la predicazione repubblicana, crescendo negli animi e
assicurando l'avvenire popolare delle rivoluzioni, quando sorsero negli ultimi
trent'anni, in Francia segnatamente, alcune scuole d'uomini buoni generalmente
e amici del popolo, ma trascinati da soverchio amore di sistema e da
vanità individuale, che sotto nome di socialismo proposero
dottrine esclusive, esagerate, avverse spesso alla ricchezza già
conquistata dall'altre classi ed economicamente impossibili, e spaventando la
moltitudine dei piccoli borghesi e suscitando diffidenza fra ordini e ordini di
cittadini, fecero retrocedere la questione e divisero in due il campo
repubblicano. In Francia, il primo effetto di quella diffidenza e di quel
terrore fu il più facile colpo di Stato.
Io non posso
esaminare con voi ad uno ad uno quei diversi sistemi, che furono chiamati Sansimonismo,
Fourierismo, Comunismo, o con altro nome. Fondati quasi tutti sopra idee
buone in sé e accettate da quanti appartengono alla Fede del Progresso, le
guastavano o le cancellavano coi mezzi di applicazione che proponevano
falsi o tirannici. Ed è necessario ch'io v'accenni brevemente in che
cosa peccavano, perché le promesse affacciate al popolo da quei sistemi sono
così splendide che potrebbero facilmente sedurvi e voi correreste
rischio, abbracciandole, di ritardare un avvenire d'emancipazione infallibile e
non lontano. Vero è ‑ e questo dovrebbe bastare a svegliare un
dubbio potente nell'animo vostro ‑ che quando le circostanze chiamarono
al potere taluni fra quegli uomini, essi neppur tentarono l'applicazione
pratica delle loro dottrine: giganti d'audacia nelle loro pagine, retrocessero
davanti alla realtà delle cose.
Se esaminando
un giorno attentamente quei sistemi, ricorderete le idee fondamentali ch'io
sono andato finora indicandovi e i caratteri inseparabili della natura umana,
voi troverete ch'essi violano tutti la Legge del Progresso, il modo con cui
questo si compie nell'umanità, e o l'una o l'altra delle facoltà
che costituiscono l'Uomo.
Il Progresso si
compie per legge che nessuna potenza umana può rompere, grado a grado,
collo sviluppo colla modificazione perpetua degli elementi che
manifestano l'attività della vita. Gli uomini hanno spesso, in certe
epoche, in certi paesi, e sotto l'influenza di certi pregiudizi e di certi
errori, dato il nome d'elementi, di condizioni della vita sociale, a cose che
non hanno radice nella natura, ma solamente nelle abitudini convenzionali d'una
società traviata, e che dopo quell'epoca o al di là dei limiti di
quei paesi, spariscono. Ma voi potete scoprire quali veramente siano gli
elementi inseparabili dall'umana natura, interrogando, come altrove vi dissi,
gli istinti dell'anime vostre e verificando nella tradizione di tutti i tempi,
di tutti i paesi, se quei vostri istinti siano stati sempre gl'istinti
dell'Umanità. E quelli, che una voce ingenita in voi (è la grande
voce dell'Umanità) v'addita come elementi costitutivi della vita, devono
essere modificati, sviluppati sempre d'epoca in epoca ma non possono essere
aboliti mai.
Tra questi
elementi della vita umana, oltre la Religione, la Libertà,
l'Associazione ed altri accennati nel corso di questo lavoro è pure la
Proprietà. Il principio, l'origine della Proprietà, sta
nella natura umana e rappresenta la necessità della vita materiale
dell'individuo ch'egli ha dovere di mantenere. Come per mezzo della
religione, della scienza, della libertà, l'individuo è
chiamato a trasformare, a migliorare, a padroneggiare il mondo morale ed
intellettuale, egli è pure chiamato a trasformare, a migliorare,
a padroneggiare, per mezzo del lavoro materiale, il mondo fisico.
E la proprietà è il segno, la rappresentazione del
compimento di quella missione, della quantità di lavoro col quale
l'individuo ha trasformato, sviluppato, accresciute le forze produttrici
della natura.
La
proprietà è dunque eterna nel suo principio, e voi la
trovate esistente e protetta attraverso tutta quanta l'esistenza
dell'umanità. Ma i modi coi quali la proprietà si governa
sono mutabili, destinati a subire, come tutte l'altre manifestazioni della vita
umana, la legge del Progresso. Quei che, trovando la proprietà
costituita in un certo modo, dichiarano quel modo inviolabile e combattono
quanti intendono a trasformarlo, negano dunque il Progresso: basta aprire due
volumi di storia appartenente a due epoche diverse, per trovarvi un cangiamento
nella costituzione della Proprietà. E quei che trovandola in una certa
epoca mal costituita, dichiarano che bisogna abolirla, cancellarla dalla
società, negando un elemento della umana natura, se potessero mai
riescire, ritarderebbero il Progresso, mutilando la Vita: la proprietà
riapparirebbe inevitabilmente poco tempo dopo, e probabilmente sotto la forma
che aveva al tempo della sua abolizione.
La
proprietà è in oggi mal costituita, perché l'origine del riparto
attuale sta generalmente nella conquista, nella violenza colla quale, in tempi
lontani da noi, certi popoli e certe classi invadenti s'impossessarono delle
terre e dei frutti d'un lavoro non compito da essi. La proprietà
è mal costituita, perché le basi del riparto dei frutti d'un lavoro
compito dal proprietario e dall'operaio, non sono fondate sopra una giusta
eguaglianza proporzionata al lavoro stesso. La proprietà è mal
costituita, perché conferendo a chi l'ha, diritti politici e legislativi che
mancano all'operaio, tende ad esser monopolio di pochi e inaccessibile ai
più. La proprietà è mal costituita, perché il sistema
delle tasse è mal costituito, e tende a mantenere un privilegio di
ricchezza nel proprietario, aggravando le classi povere e togliendo loro ogni
possibilità di risparmio. Ma se, invece di correggere vizi e modificare
lentamente la costituzione della Proprietà voi voleste abolirla,
sopprimereste una sorgente di ricchezza, di emulazione, d'attività, e
somigliereste al selvaggio, che per cogliere il frutto troncava l'albero.
Non bisogna
abolire la proprietà perché oggi è di pochi; bisogna
aprire la via perché i molti possano acquistarla.
Bisogna
richiamarla al principio che la renda legittima, facendo si che il lavoro
solo possa produrla.
Bisogna avviare
la società verso basi più eque di rimunerazione tra il
proprietario o capitalista e l'operaio.
Bisogna mutare
il sistema delle tasse, tanto che non colpiscano la somma necessaria alla vita
e lascino al popolano facoltà di economie produttive a poco a poco di
proprietà.
E perché
ciò avvenga, bisogna sopprimere i privilegi politici concessi alla
proprietà, e far sì che tutti contribuiscano all'opera
legislativa.
Or tutte queste
cose sono possibili e giuste. Educandovi, ordinandovi a chiederle con
insistenza, poi a volerle, potreste ottenerle; mentre cercando l'abolizione
della proprietà, cerchereste una impossibilità, fareste
un'ingiustizia verso chi l'ha conquistata col proprio lavoro e diminuireste la
produzione invece di accrescerla.
§ 3°
L'abolizione
della proprietà individuale nondimeno è il rimedio
proposto da parecchi tra i sistemi di socialisti dei quali vi parlo, e
segnatamente del comunismo. Altri vanno oltre; e trovando il concetto
religioso, il concetto di patria falsati dagli errori religiosi, dagli uomini
del privilegio e dall'egoismo delle dinastie, chiedono l'abolizione d'ogni
religione, d'ogni governo, d'ogni nazionalità. È procedere di
fanciulli o di barbari. Perché in nome delle malattie generate da un'aria
corrotta, non tenterebbero la soppressione d'ogni gaz respirabile?
L'idea di chi
vorrebbe, in nome della libertà, fondar l'anarchia e
cancellar la società per non lasciare che l'individuo co'
suoi diritti, non ha bisogno, con voi, di confutazione da me; tutto il mio
lavoro combatte quel sogno colpevole che rinnega progresso, doveri, fratellanza
umana, solidarietà di nazioni, ogni cosa che voi ed io veneriamo. Ma il
sogno di quei che, limitandosi alla quistione economica, chiedono l'abolizione
della proprietà individuale e l'ordinamento del comunismo, tocca
l'estremo opposto, nega l'individuo, nega la libertà, chiude
la via al progresso e impietra per così dire la Società.
La formola
generale del comunismo è la seguente: la proprietà d'ogni cosa
che produce terre, capitali, mobili, strumenti di lavoro, sia concentrata nello
Stato; lo Stato assegni la sua parte di lavoro, a ciascuno; lo Stato assegni a
ciascuno una retribuzione, secondo alcuni, con assoluta eguaglianza, e secondo
altri, a seconda dei suoi bisogni.
Questa, se
fosse possibile, sarebbe vita di castori non d'uomini.
La
libertà, la dignità, la coscienza dell'individuo spariscono in un
ordinamento di macchine produttrici. La vita fisica può esservi
soddisfatta: la vita morale, la vita intellettuale sono cancellate, e con esse
l'emulazione, la libera scelta del lavoro, la libera associazione, gli stimoli
a produrre, le gioie della proprietà, le cagioni tutte che inducono a
progredire. La famiglia umana è, in quel sistema, un armento al quale basta
essere condotto ad una sufficiente pastura. Chi tra voi vorrebbe rassegnarsi a
programma siffatto?
L'eguaglianza
è conquistata, dicono. Quale?
L'eguaglianza
nella distribuzione del lavoro? È impossibile. I lavori sono di natura
diversa, non calcolabile sulla durata o sulla somma di lavoro compita in
un'ora, ma sulla difficoltà, sulla minore o maggiore spiacevolezza del
lavoro, sul dispendio di vitalità che trascina con se, sull'utile
conferito da esso alla società. Come calcolar l'eguaglianza di un'ora di
lavoro passata in una miniera, o nel purificare l'acqua corrotta di una palude,
con un'ora passata in un filatoio? La impossibilità di siffatto calcolo
è tale, che ha suggerito a taluno tra i fondatori di sistemi l'idea di
far che ciascuno debba compiere alla volta sua un certo ammontar di lavoro in
ogni ramo di utile attività: rimedio assurdo che renderebbe impossibile
la bontà dei prodotti senza giungere a sopprimere l'ineguaglianza tra il
debole ed il robusto, tra il capace ed il lento nell'intelletto, tra l'uomo di
temperamento linfatico e l'uomo di temperamento nervoso. Il lavoro facile e
gradito all'uno è grave e difficile all'altro.
L'eguaglianza
nel riparto dei prodotti? È impossibile. O l'eguaglianza sarebbe
assoluta e costituirebbe una immensa ingiustizia, non distinguendo tra i
bisogni diversi, il risultato dell'organismo, né tra le forze e la
capacità acquistate per un senso di dovere e le forze e la
capacità ricevute, senza merito alcuno, dalla natura. O l'eguaglianza
sarebbe relativa e calcolata sui bisogni diversi; e non tenendo conto della
produzione individuale, violerebbe i diritti di proprietà che il
lavorante deve avere per i frutti del suo lavoro.
Poi, chi
sarebbe arbitro di decidere intorno ai bisogni d'ogni individuo? Lo Stato?
Operai,
fratelli miei, siete voi disposti ad accettare una gerarchia di capi padroni
nella proprietà comune, padroni dello spirito per mezzo d'una educazione
esclusiva, padroni dei corpi per mezzo della determinazione dell'opera, della
capacità, dei bisogni? Non è per questo il rinnovamento
dell'antica schiavitù? Non sarebbero quei capi trascinati dalla teoria d'interesse
che rappresenterebbero, e sedotti dall'immenso potere concentrato nelle
loro mani, fondatori della dittatura ereditaria delle antiche caste?
No; il
Comunismo non conquista l'eguaglianza fra gli uomini del lavoro: non aumenta la
produzione ‑ ch'è la grande necessità dell'oggi ‑
perché fatta sicura la vita la natura umana, come s'incontra nei più,
è soddisfatta, e l'incentivo a un accrescimento di produzione da
diffondersi su tutti i membri della società diventa sì piccolo
che non basta a scotere le facoltà([12]); non migliora
i prodotti; non conforta il progresso nelle invenzioni; non sarà mai
aiutata dalla incerta, ignara direzione collettiva dell'ordinamento. Ai
mali che affaticano i figli del popolo, il Comunismo non ha che un rimedio per
proteggerli dalla fame. Or non può farsi questo, non può
assicurarsi il diritto alla vita ed al lavoro dell'operaio senza sovvertire
tutto quanto l'ordine sociale, senza isterilire la produzione, senza inceppare
il progresso, senza cancellare la libertà dell'individuo e incatenarlo,
in un ordinamento soldatesco tirannico?
§ 4°
Il rimedio alle
vostre condizioni non può trovarsi in organizzazioni generali,
arbitrarie, architettate di pianta da uno o altro intelletto, contraddicenti
alle basi universali adottate nel viver civile e impiantate subitamente per vie
di decreti. Noi non siamo quaggiù per creare l'Umanità, ma
per continuarla: possiamo e dobbiamo modificarne, ordinare meglio gli
elementi costitutivi; non possiamo sopprimerli. L'Umanità è e
sarà sempre ribelle a disegni siffatti. Il tempo che voi spendereste
intorno a quelle illusioni, sarebbe dunque tempo perduto.
Non può
trovarsi in aumenti di salarii imposti dall'autorità governativa,
senz'altri cangiamenti che aumentano i capitali: l'aumento delle spese di
salarii, cioè l'aumento delle spese di produzione, trascinerebbe il
rincarimento dei prodotti, la diminuzione del consumo e quella quindi del
lavoro per gli operai.
Non può
trovarsi in cosa alcuna che cancelli la libertà, consacrazione e
stimolo del lavoro: né in cosa alcuna che diminuisca i capitali, strumenti del
lavoro e della produzione.
Il rimedio alle
vostre condizioni è l'unione del capitale e del lavoro nelle stesse
mani.
Quando la
società non conoscerà distinzione fuorché di produttori e consumatori
o meglio quando ogni uomo sarà produttore e consumatore ‑
quando i frutti del lavoro, invece di ripartirsi tra quella serie
d'intermediari che, cominciando dal capitalista e scendendo sino al venditore a
minuto, accresce sovente del cinquanta per cento il prezzo del prodotto,
rimarranno interi al lavoro ‑ le cagioni permanenti di miseria
spariranno per voi. Il vostro avvenire è nella vostra emancipazione
dalle esigenze d'un capitale arbitro in oggi d'una produzione alla quale rimane
straniero.
I1 vostro
avvenire materiale e morale. Guardatevi intorno. Ovunque voi
trovate il capitale e il lavoro riunito nelle stesse mani ‑
ovunque i frutti del lavoro sono non foss'altro, ripartiti fra quanti lavorano,
in ragione del loro aumento, in ragione dei loro benefizi all'opera collettiva ‑
voi trovate diminuzione di miseria e a un tempo aumento di moralità. Nel
Cantone di Zurigo, nell'Engadina, in molte altre parti della Svizzera dove il
contadino è proprietario, e terra, capitale, lavoro, sono congiunti in
un solo individuo ‑ in Norvegia, nelle Fiandre, nella Frisia Orientale,
nell'Holstein, nel Palatinato Germano, nel Belgio, nell'isola di Guernesey
sulle coste inglesi ‑ è visibile una prosperità
comparativamente superiore a quella di tutte l'altre parti d'Europa dove manca
al coltivatore la proprietà della terra. Una razza d'agricoltori popola
quelle contrade notabili per onestà, dignità, indipendenza e modi
schiettamente leali. Le abitudini dei lavoranti nelle miniere di Cornwal in
Inghilterra come quelle dei navigatori Americani che trafficano colla China e
sono addetti alla pesca delle balene, fra i quali è in vigore la
partecipazione agli utili dell'impresa, sono riconosciuti, da documenti
ufficiali, migliori che non quelle dei lavoranti sottomessi unicamente alla
legge del salario predeterminato.
Il lavoro
associato, il riparto dei fratti del lavoro, ossia del ricavato della vendita
dei prodotti, tra i lavoranti in proporzione del lavoro compiuto e dal valore
di quel lavoro; è questo il futuro sociale. In questo sta il segreto
della vostra emancipazione. Foste schiavi un tempo: poi servi: poi
assalariati: sarete fra non molto, purché il vogliate, liberi
produttori e fratelli nell'associazione.
Associazione
libera, volontaria, ordinata su certe basi da voi medesimi, tra uomini che si
conoscono e s'amano e si stimano l'un l'altro, non forzata, non imposta
dall'autorità governativa, non ordinata senza riguardo ad affetti e
vincoli individuali, tra uomini considerati non come esseri liberi e spontanei,
ma come cifre e macchine produttrici.
Associazione
amministrata con fratellanza repubblicana da vostri delegati e dalla quale
potrete, volendo, ritirarvi: non soggiacente al dispotismo dello Stato e d'una
gerarchia costituita arbitrariamente e ignara dei vostri bisogni e delle vostre
attitudini.
Associazione di
nuclei formati a seconda delle vostre tendenze, non come vorrebbero gli
autori dei sistemi ch'io vi accennai, di tutti gli uomini appartenenti a
un dato ramo d'attività industriale o agricola.
Il
concentramento di tutti gl'individui addetti, nello Stato o anche in una
sola città, ad un'arte in una sola società produttrice,
ricondurrebbe l'antico tirannico monopolio delle Corporazioni, renderebbe i
produttori arbitri dei prezzi a danno dei consumatori; darebbe forma legale
all'oppressione delle minoranze; esilierebbe l'operaio malcontento da ogni
possibilità di lavoro, e sopprimerebbe ogni necessità di
progresso spegnendo ogni rivalità di lavoro, ogni stimolo alle
invenzioni.
L'Associazione
tentata timidamente e in circostanze sfavorevoli in Francia negli ultimi venti
anni, poi in Inghilterra e nel Belgio, e coronata di successo dovunque fu
tentata con fermo volere e spirito di sagrificio, contiene il segreto di tutta
una trasformazione sociale che dovrebbe, in virtù delle vostre
tradizioni e dell'iniziativa di progresso sociale che fu sempre in voi,
compirsi in Italia.
E questa
trasformazione, emancipandovi dalla schiavitù del salario,
avviverebbe a un tempo, a pro di tutte le classi, la produzione e migliorerebbe
lo stato economico del paese. Oggi, il capitalista tende generalmente a
guadagnare quanto più può per ritirarsi dall'arena del lavoro:
sotto l'ordinamento dell'associazione, voi non tendereste che ad accertare la continuità
del lavoro, cioè della produzione. Oggi, il capo, direttore dei
lavori, fatto tale non da una speciale attitudine ma dal suo trovarsi fornito
di capitali, è spesso improvvido, avventato, incapace: una associazione,
diretta da delegati, invigilata da tutti i suoi membri, non correrebbe rischi siffatti.
Oggi, il lavoro è spesso diretto verso la produzione d'oggetti superflui,
non necessari: mercé l'ineguaglianza capricciosa e ingiusta delle
retribuzioni, i lavoranti abbondano in un ramo, fanno d'attività e
difetto in un altro; l'operaio, limitato a una mercede determinata, non
ha motivo per consacrare all'opera sua tutto lo zelo del quale è capace,
tutta l'attività colla quale ei potrebbe moltiplicare o migliorare i
prodotti. E l'associazione porrebbe evidentemente rimedio a queste ed
altre cagioni il perturbazione o d'inferiorità nella produzione.
Libertà
di ritirarsi, senza nuocere all'associazione - eguaglianza dei socii
nell'elezione d'amministratori a tempo o meglio soggetti a revoca ‑
ammessione, posteriormente alla fondazione, senza esigenza di capitale da
versarsi e costituzione d'un prelevamento, a pro del fondo comune, sui benefizi
dei primi tempi ‑ indivisibilità, perpetuità del
capitale collettivo, ‑ retribuzione per tutti, eguale alla necessità
della vita, ‑ riparto degli utili a seconda della
quantità e della qualità del lavoro di ciascuno ‑ son
queste le basi generali che voi, se volete far opera di avvenire per l'elemento
al quale appartenete, dovrete dare alle vostre associazioni. Ciascuna di queste
basi, quella segnatamente che riguarda la perpetuità del capitale
collettivo, vincolo e pegno d'emancipazione tra voi e la generazione futura,
meriterebbe un capitolo. Ma un lavoro speciale sulle associazioni operaie non
entra nell'economia del presente scritto. Forse, se Dio mi presta ancora
qualche anno di vita, io lo farò separatamente e con amore per voi.
Intanto, abbiate certezza che l'indicazione di quelle norme è in me
frutto d'esame meditato e severo e merita attenta considerazione da voi.
Ma il capitale?
Il capitale primo col quale potrà iniziarsi l'associazione? Da
dove ritrarlo?
È grave
questione; né io posso qui trattarla come vorrei. Ma vi accennerò
sommariamente il dovere vostro e l'altrui.
La prima
sorgente di quel capitale sta in voi, nelle vostre economie, nel vostro spirito
di sagrificio. Io so la condizione dei più tra voi; pur non manca a
taluni la possibilità, per ventura di lavoro non interrotto o meglio
retribuito, di raccogliere, economizzando, fra diciotto o venti, la piccola
somma che vi basterebbe a iniziare il lavoro per vostro conto. E dovrebbe
sostenervi in questa economia la coscienza di compiere un solenne dovere e di meritare
l'emancipazione invocata. Potrei citarvi associazioni industriali, or
potenti di mezzi, che s'iniziarono in Inghilterra col versamento d'un soldo per
giorno da un certo numero di operai. Potrei ripetervi parecchie storie di
sagrifici eroicamente durati in Francia ed altrove da nuclei di operai, oggi
possessori di capitali considerevoli, simili a quella sulla quale troverete
alcuni particolari in calce a questo volumetto. Non v'è quasi
difficoltà che una volontà ferma mantenuta dalla coscienza di
fare il bene, non superi. Voi potete contribuire coi vostri risparmi e dare al
piccolo fondo primitivo un aiuto in danaro o un po' di materiale o qualche
stromento da lavoro. Potete, mercé una condotta che frutti stima, raccogliere
piccoli imprestiti da parenti o compagni, i quali diventerebbero semplicemente
azionisti nell'associazione e non riceverebbe l'ammontare del loro imprestito
che sugli utili dell'impresa. Per molte delle vostre industrie, nelle quali il
prezzo delle materie prime è tenue, il capitale richiesto per iniziare
il lavoro indipendente è piccola cosa. Lo avrete volendo. E
sarà meglio per voi se la formazione di quel piccolo capitale
sarà tutta vostra, frutto del sudore della fronte o del credito che
avrete, operando bene, acquistato. Come le Nazioni serbano meglio la
libertà che conquistarono col loro sangue, le vostre associazioni
troveranno migliore e più prudente profitto dal capitale raccolto nella
veglia e nell'economia che non da quello largito d'altra sorgente. È
legge di cose. Le associazioni operaie che, in Parigi, nel 1848, ebbero, al
loro fondarsi, sovvenzioni governative, prosperarono assai meno di quelle che
formarono il capitale primitivo col sagrificio.
Ma perch'io,
amandovi davvero e non adulando servilmente a debolezze che sono o possono
essere in voi, vi consiglio il sagrificio non scema il dovere in altrui.
Gli uomini che le circostanze hanno forniti di ricchezze, dovrebbero
intenderlo: dovrebbero intendere che la vostra emancipazione è parte
d'un disegno di Provvidenza, e che si compirà inevitabilmente o con essi
o contr'essi. Parecchi tra quelli uomini, o segnatamente gli uomini di fede
repubblicana, intendono questo fin d'ora; e tra essi, se darete loro prove di
volontà e d'onesto intelletto, troverete aiuti all'impresa. Essi
potranno ‑ e lo faranno appena s'avvedranno che la tendenza all'associazione
è, non capriccio d'un'ora ma fede di maggioranza tra voi ‑
spianarvi le vie del credito, sia con anticipazioni, sia fondando Banchi che
accreditino il lavoro futuro; la forza collettiva degli operai, sia
ammettendovi a partecipazione nei benefizi delle loro imprese, stadio
intermedio fra il presente e l'avvenire, dal quale raccogliereste probabilmente
il piccolo capitale che occorre all'associazione indipendente. Nel Belgio
più che altrove esistono già, sotto nome di Banchi
d'anticipazione o di Banchi del Popolo, istituzione siffatte. Nella
Scozia è dato da parecchi Banchi credito a ogni uomo di nota
probità che impegni l'onore e presenti mallevadore un'altro individuo
d'onestà egualmente specchiata. E l'ammessione degli operai alla
partecipazione negli utili è norma adottata con successo da parecchi
Capi d'arte([13]).
§ 1°
Ma lo Stato, il
Governo ‑ istituzione legittima soltanto quando è fondata sopra
una missione d'educazione e di progresso oggi ancora fraintesa ‑
ha debito solenne verso voi che potrà facilmente compiere se sarà
un giorno Governo Nazionale davvero, di Popolo libero ed Uno. Una vasta serie
d'aiuti potrà scendere allora dal Governo al Popolo, che risolverebbe il
problema sociale senza spogliazioni, senza violenze, senza manomettere la
ricchezza acquistata anteriormente dai cittadini, senza suscitare
quell'antagonismo tra classe e classe ch'è ingiusto, immorale, fatale
alla Nazione e che ritarda in oggi visibilmente il progresso francese. E aiuti
potenti sarebbero:
L'influenza
morale esercitata a pro delle Associazioni coll'approvazione manifestata
pubblicamente dagli agenti governativi, colla frequente discussione sul loro
principio fondamentale nell'Assemblea, colla legalizzazione data a tutte le
Associazioni volontarie costituite sulle basi accennate più sopra:
Miglioramenti
nelle vie di comunicazione e abolizione di quanto inceppa ora il trasporto dei
prodotti:
Istituzione di
magazzini o luoghi di deposito pubblici, dai quali, accertato il valore
approssimativo delle merci consegnate, si rilascerebbe un documento o bono simile
a un biglietto bancario, ammesso alla circolazione e allo sconto, tanto da
render capace l'Associazione di poter continuare nei suoi lavori e di
non essere strozzata dalla necessità d'una vendita immediata e a ogni
patto:
Concessione dei
lavori che bisognano allo Stato, data eguaglianza di patti, alle Associazioni:
Semplificazione
delle forme giudiziarie, oggi rovinose e spesso inaccessibili al povero:
Facilità
legislative date alla mobilizzazione della proprietà fondiaria:
Mutamento
radicale nel sistema dei tributi pubblici: sostituzione d'un solo tributo sul
reddito all'attuale, complesso, dispendioso, sistema di tributi diretti e
indiretti; e sanzione data al principio che la vita è sacra - che
senza vita, non essendo possibile lavoro, né progresso né doveri, il tributo
non può cominciare che dove il reddito supera la cifra di danaro necessario
alla vita:
Ma v'ha di
più. L'incameramento o appropriazione dei possedimenti ecclesiastici ‑
atto ch'or non giova discutere, ma che è inevitabile ogni qual volta la
Nazione s'assuma una missione d'educazione e di progresso collettivo
porrà nelle mani dello Stato una somma di ricchezza più vasta che
altri non pensa. Or ponete che a questo s'aggiunga il valore rappresentato
dalle terre, dissociabili e fertilissime, tuttavia incolte ‑ il valore
rappresentato dagli utili delle vie ferrate e da altre pubbliche imprese, la
cui amministrazione dovrà concentrarsi nello Stato ‑ il valore
rappresentato dalle proprietà territoriali appartenenti ai comuni([14]), il valore
rappresentato dalle successioni collaterali, che al di là del
quarto grado dovrebbero ricader nello Stato ‑ ed altri, ch'è
inutile enumerare. Ponete che di tutto questo immenso cumulo di ricchezze si
formi un FONDO NAZIONALE consacrato al progresso intellettuale ed economico di
tutto quanto il paese. Perché una parte considerevole di quel fondo non si
trasformerebbe, colle precauzioni richieste a impedirne lo sperpero, in un
fondo di credito da distribuirsi, con un interesse dell'uno e mezzo o
del due per cento, alle Associazioni volontarie operaie, costituite
sulle norme indicate più sopra, e che porgerebbero sicurezza di moralità
e di capacità? Quel capitale dovrebb'essere sacro al lavoro
dell'avvenire e non d'una sola generazione. Ma la vasta scala delle operazioni
assicurerebbe compenso alle perdite, di tempo in tempo inevitabili.
La
distribuzione di quel credito dovrebbe farsi non dal Governo, né da un
Banco Nazionale Centrale; ma, invigilante il Potere Nazionale, da Banchi
locali amministrati da Consigli Comunali elettivi.
Senza sottrarre
alla ricchezza attuale delle varie classi, senza attribuire a una sola il
ricavato dei tributi che, chiesti a tutti i cittadini, deve erogarsi a
benefizio di tutti, l'insieme degli atti qui suggeriti, diffondendo il
credito per ogni dove, accrescendo e migliorando la produzione, costringendo
l'interesse del danaro a scemare gradatamente, affidando il progresso e la
continuità del lavoro al zelo e all'utilità di tutti i
produttori, sostituirebbe a una cifra di ricchezza, concentrata in poche mani e
imperfettamente diretta, la nazione ricca, maneggiatrice della propria
produzione e del proprio consumo([15]).
Ed è
questo, Operai Italiani, il vostro avvenire. Voi potete affrettarlo.
Conquistate la Patria, conquistate un Governo popolare che ne rappresenti la
vita collettiva, la missione, il concetto. Ordinatevi tra voi in una vasta
universale Lega di Popolo, tanto che la vostra voce sia voce di milioni e non
di pochi individui. Avete il vero e la giustizia per voi; la Nazione v'ascolterà.
Ma badate, e
credete alla parola d'un uomo che studia da trenta anni l'andamento delle cose
in Europa e ha veduto fallire a buon porto, per immoralità d'uomini, le
più sante ed utili imprese: non riuscirete se non migliorando: non
conquisterete se non meritando, col sacrificio, coll'attività,
coll'amore. Cercando in nome d'un dovere compito o da compiersi,
otterrete; cercando in nome dell'egoismo, o di non so quale diritto al benessere
che gli uomini del materialismo v'insegnano, non otterrete se non trionfi
d'un'ora seguiti da delusioni tremende.
Quei che vi
parlano in nome del benessere, della felicità materiale, vi
tradiranno. Cercano essi pure il loro benessere: s'affratelleranno con
voi, come un elemento di forza, finché avranno ostacoli da superare per
conquistarlo; appena, mercé vostra, l'avranno, v'abbandoneranno per godere tranquillamente
della loro conquista. È la storia dell'ultimo mezzo secolo e il nome di
questo mezzo secolo è materialismo.
Storia di
dolore e di sangue. Io li ho veduti gli uomini che negavano Dio, religione,
virtù, dovere e sacrificio, e parlavano in nome del diritto alla felicità,
al godimento, lottare audaci, colle parole di popolo e
libertà sulle labbra, e frammischiarsi a noi uomini della nuova fede,
che imprudenti gli accoglievamo nelle nostre fila. Quando s'aprì ad
essi, con una vittoria o con una transazione codarda, la via di godere, disertarono
e ci furono nemici acerbi al di dopo. Pochi anni di pericoli, di persecuzioni
durate erano stati sufficienti a stancarli. Perché senza coscienza d'una Legge
di dovere, senza fede in una missione imposta all'uomo da un Potere supremo su
tutti, avrebbero essi persistito nel sacrificio sino all'ultimo della vita? E
vidi, con più profondo dolore, i figli del popolo educati da quegli
uomini, da quei filosofi, al materialismo, tradire la loro missione, tradir
l'avvenire, tradire la loro Patria e se stessi, dietro alla stolta immorale
speranza che troverebbero forse il benessere materiale nei capricci e
negl'interessi della tirannide. Vidi gli operai di Francia rimanersi spettatori
indifferenti del 2 dicembre, perché tutte le questioni si erano ridotte per
essi a una questione di prosperità materiale e s'illudevano a
credere che le promesse sparse ad arte fra loro, da chi aveva spento la
libertà della patria, avrebbero forse potuto diventar fatti. Oggi
lamentano perduta la libertà senza aver conquistato il benessere. No,
senza Dio, senza coscienza di legge, senza moralità, senza potenza di
sacrificio, perduti dietro ad uomini che non hanno né fede, né culto del vero,
né vita d'apostoli, né cosa alcuna fuorché la vanità dei loro sistemi,
io lo dico con profondo convincimento, non riuscirete. Avrete sommosse, non la
vera, la grande Rivoluzione che voi ed io invochiamo. Quella Rivoluzione, se
non è una illusione d'egoisti spronati dalla vendetta, è un'opera
religiosa
Migliorare voi
stessi ed altrui: è questo il primo intento ed è la suprema
speranza d'ogni riforma, d'ogni mutamento sociale. Non si cangiano le sorti
dell'uomo, rintonacando, abbellendo la casa dov'egli abita: dove non
respira un'anima d'uomo ma un corpo di schiavo, tutte le riforme
sono inutili; la casa rabbellita, addobbata con lusso, è sepolcro
imbiancato, e non altro. Voi non indurrete mai la Società alla quale
appartenete a sostituire il sistema d'associazione a quello del salario,
se non provandole che l'associazione sarà tra voi stromento
di produzione migliorata e di prosperità collettiva. E non proverete
questo, se non mostrandovi capaci di fondare e mantenere l'associazione coll'onestà,
coll'amore reciproco, col sacrificio, coll'affetto al lavoro. Per progredire,
vi conviene mostrarvi capaci di progredire.
Tre cose sono
sacre: la Tradizione, il Progresso, l'Associazione. “Io credo” ‑ (scrissi
queste cose venti anni addietro) ‑ “nella immensa voce di Dio che i
secoli mi rimandano attraverso la tradizione universale dell'Umanità; ed
essa mi dice che la Famiglia, la Nazione, l'Umanità sono le tre sfere
dentro le quali l'individuo umano deve lavorare al fine comune,
al perfezionamento morale di se stesso e d'altrui, o meglio di se stesso
attraverso gli altri e per gli altri: essa mi dice che la proprietà è
destinata a manifestare l'attività materiale dell'individuo, la
parte ch'egli ha nella trasformazione del mondo fisico, come il diritto di voto
deve manifestare la parte ch'egli ha nell'amministrazione del mondo
politico; essa mi dice che appunto dall'uso più o meno buono di questi
diritti, in quelle sfere d'attività dipende d'avanti a Dio e agli uomini
il merito o demerito degli individui; essa mi dice che tutte queste cose,
elementi della natura umana, si trasformarono, si modificarono continuamente ravvicinandosi
all'ideale del quale abbiamo nell'anima ma non possono essere distrutte mai; e
che i sogni di comunismo, d'abolizione, di confusione dell'individuo
nell'insieme sociale, non furono mai che passeggieri accidenti nella
vita del genere umano, visibili in ogni grande crisi intellettuale e morale, ma
incapaci di realtà se non sopra una scala menoma come i Conventi
Cristiani. Credo nell'eterno progresso della vita nella creatura di Dio, nel
progresso del Pensiero e dell'Associazione, non solamente nell'uomo del passato
ma nell'uomo dell'avvenire; credo che importi non tanto di determinare la
forma del progresso futuro quanto di aprire, con una educazione veramente
religiosa, le vie d'ogni progresso agli uomini e di renderli capaci di
compirlo; e credo che non si fa l'uomo migliore, più amorevole,
più nobile, più divino ‑ ciò ch'è il nostro fine
sulla terra ‑ colmandolo di godimenti fisici, proponendogli a scopo
della vita quella ironia che ha nome felicità. Credo
nell'Associazione come nel solo mezzo che noi possediamo per compiere il
Progresso, non solamente perch'essa moltiplica l'azione delle forze
produttrici, ma perch'essa ravvicina tutte le diverse manifestazioni dell'anima
umana e fa sì che la vita dell'individuo abbia comunione colla
vita collettiva; e so che l'associazione non può essere
feconda se non esistendo fra individui liberi, fra nazioni libere, capaci
di coscienza della loro missione. Credo che l'uomo deve mangiare e vivere e non
avere tutte l'ore dell'esistenza assorbite da un lavoro materiale, per aver
campo di sviluppare le facoltà superiori che sono in lui; ma tende
l'orecchio con terrore alle voci che dicono agli uomini: nutrirsi è
lo scopo vostro; godere è il vostro diritto, perché io so che
quella parola non può creare se non egoisti, e fu in Francia, ed
altrove, e comincia ad essere pur troppo in Italia, la condanna d'ogni nobile
idea, d'ogni martirio, d'ogni pegno di futura grandezza.
Ciò che
toglie in oggi vita all'Umanità è il difetto d'una fede comune,
d'un pensiero adottato da tutti che ricongiunga Terra e Cielo, Universo e Dio.
Privo di fede siffatta, l'uomo si è prostrato davanti alla morta
materia, e s'è consacrato adoratore dell'idolo Interesse. E i
primi sacerdoti di quel culto fatale furono i re, i principi e i tristi Governi
dell'oggi. Essi inventarono l'orribile formula: ciascuno per sé: sapevano
che con essa, creerebbero l'egoismo: e sapevano che tra l'egoista e lo schiavo
non è che un passo”.
Operai
Italiani, fratelli miei, evitate quel passo. Nell'evitarlo, sta il vostro avvenire.
A voi spetta
una solenne missione: provare che siamo tutti figli di Dio e fratelli in Lui.
Voi non la compirete se non migliorandovi e soddisfacendo al Dovere.
Io v'ho
additato, come meglio ho potuto, qual sia il Dovere per voi. E il principale,
il più essenziale fra tutti, è quello che avete verso la Patria.
Costituirla è debito vostro; ed è pure necessità.
Gl'incoraggiamenti, i mezzi dei quali v'ho parlato, non possono venire che
dalla Patria Una e Libera. Il miglioramento delle vostre condizioni sociali non
può scendere che dal vostro partecipare nella vita politica della
Nazione. Senza voto, non avrete mai rappresentanti veri delle vostre
aspirazioni, dei vostri bisogni. Senza un Governo popolare che da Roma scriva e
svolga il PATTO ITALIANO, fondato sui consensi e rivolto al progresso
di tutti i cittadini dello Stato, non è per voi speranza di
meglio. Quel giorno in cui, seguendo l'esempio dei socialisti francesi,
voi separereste la questione sociale dalla politica e direste:
noi possiamo emanciparci, qualunque sia la forma d'istituzione che regge la
Patria, segnereste la perpetuità del vostro servaggio.
E
v'additerò, nell'accomiatarmi da voi, un altro Dovere, non meno solenne
di quello che ci stringe a fondare la Patria Libera ed Una.
La vostra emancipazione
non può fondarsi che sul trionfo d'un Principio: l'unità della
Famiglia Umana. Oggi, la metà della famiglia umana, la metà a cui
noi cerchiamo ispirazioni e conforti, la metà che ha in cura la prima
educazione dei nostri figli, è, per singolare contraddizione,
dichiarata, civilmente, politicamente, socialmente ineguale, esclusa da
quell'unità. A voi che cercate, in nome d'una verità religiosa,
la vostra emancipazione, spetta di protestare in ogni modo, in ogni occasione,
contro quella negazione dell'Unità.
L'emancipazione
della donna dovrebbe essere continuamente accoppiata coll'emancipazione
dell'operaio, dando così al vostro lavoro la consacrazione d'una
verità universale.
FINE
I N D I C E
Capitolo primo........................................................... 3
Agli operai italiani...................................................... 3
Capitolo secondo....................................................... 13
Dio....................................................................... 13
Capitolo terzo.......................................................... 21
La Legge................................................................ 21
Capitolo quarto......................................................... 27
Doveri verso l'umanità................................................. 27
Capitolo quinto......................................................... 33
Doveri verso la Patria.................................................. 33
Capitolo sesto.......................................................... 39
Doveri verso la famiglia............................................... 39
Capitolo settimo....................................................... 45
Doveri verso se stesso.................................................. 45
Capitolo ottavo......................................................... 51
Libertà.................................................................. 51
Capitolo nono........................................................... 55
Educazione.............................................................. 55
Capitolo decimo........................................................ 61
Associazione - Progresso............................................... 61
Capitolo undicesimo................................................... 65
Questione economica.................................................. 65
CONCHIUSIONE......................................................... 77
([1]) Le tre giornate del 29 al 31 luglio 1830 segnarono il decadimento in Francia della Monarchia assoluta di Carlo X e l'avvento al trono di Luigi Filippo d'Orleans.
([2]) Infatti, quelle dottrine erano diffuse dalla Società che s'intitolava appunto dei “Diritti dell'uomo.”
([3]) L'opuscolo intitolato “Les paroles d'hai croyant”, Le parole d'un credente, del Lamennais, si pubblicò nel 1831 e suscitò un incendio in tutta la Francia. Gregorio XVI, allora Papa, si affrettò a condannarlo con una celebre enciclica, ma ciò non valse a ritardarne la diffusione per tutta Europa; fu più volte tradotto in italiano, e pure in questa lingua apprezzato, difeso ed acerbamente criticato. Non improbabile che lo scritto di Lamennais abbia suggerito a Mazzini quello del Doveri dell'Uomo.
([5]) Parlo naturalmente de' paesi dove s'è tentata col sistema monarchico costituzionale un'organizzazione qualunque della società: nei paesi governati dispoticamente non v'è società: i diritti dell'individuo sono egualmente sacrificati.
([12]) Fu calcolato che se, su cento lavoranti, un lavorante producesse per cento franchi in un anno al di là della produzione media, ei raccoglierebbe a suo pro un millesimo per anno, tre centesimi ogni tre anni. Chi può chiamare questo un eccitamento alla produzione?
([13]) In Parigi, a cagion d'esempio, lo Stabilimento di pittura d'edifizii del signor Leclaire, fondato su quel principio, è notabile per la prosperità che gode.
([14]) Quelle proprietà appartengono legalmente ai comuni, moralmente ai bisognosi del Comune, non si tratta di rapirle ai Comuni, ma di consacrarle ai poveri d'ogni Comune, facendo d'esse, sotto l'alta direzione dei Consigli elettivi Comunali, il capitale inalienabile delle Associazioni Agricole.
([15]) La necessità d'un vasto capitale per lo stabilimento d'una manifattura di pianoforti trasse, nel 1848, i delegati d'alcune centinaia d'operai, riuniti per la fondazione di una grande associazione, a chiedere in suo nome al governo una sovvenzione di 300,000 franchi. La commissione governativa diede rifiuto.
L'associazione si sciolse, ma 14 operai decisero di superare ogni ostacolo e ricostituirla coi propri mezzi. Non avevano danaro né credito; avevano fede.
Alcuni fra loro portavano alla Società iniziata, in materiali e stromenti di lavoro, un valore di circa 2000 franchi. Ma era indispensabile un capitale di circolazione. Ciascuno degli associati contribuì, non senza fatica, 10 franchi. Alcuni operai, non aventi interesse diretto nella Società, aggiunsero a quel piccolo capitale, le loro piccole offerte. E il 10 marzo 1849, raggiunta la somma di 229 franchi e 50 centesimi, l'associazione fu dichiarata costituita.
Quel fondo sociale era insufficiente all'impianto e alle spese minute, indispensabile di giorno in giorno ad una lavoreria. Nulla rimanendo pei salarii, oltre a due mesi passarono senza che gli operai potessero ricevere un solo centesimo di mercede. Come vissero in quel tempo di crisi? Come vivono gli operai nelle interruzioni di lavoro, aiutati dall'operaio che per ventura lavora, vendendo, impegnando ad uno ad uno gli oggetti d'uso.
Alcuni lavori erano stati eseguiti. E il prezzo fu pagato il 4 maggio 1849. Quel giorno fu per l'associazione ciò ch'è una vittoria sul cominciare d'una guerra: e fu celebrato. Pagati i debiti, riscossi i crediti esigibili, rimaneva per ogni socio una somma di fr. 6 e 61 centesimi. Fu convenuto che ritenendo come parte di salario 5 franchi si consacrerebbe il di più di ciascuno a un pranzo fraterno. I 14 soci, i più fra i quali non avevano assaggiato vino da un anno, si riunirono assieme alle loro famiglie a mensa comune, la spesa fu di 32 soldi per famiglia.
Ancora per tutto un mese, il salario non fu che di cinque franchi per settimana. Nel giugno, un fornaio, amatore di musica o speculatore propose la compra d'un pianoforte da pagarsi a pane. Fu accettata la proposta e convenuto il prezzo in ragione di 480 franchi. Fu ventura per l'associazione che fu certa d'avere almeno l'indispensabile. Non si calcolò nei salarii il valore del pane. Ciascuno ebbe quanto gli bisognava e, per gli ammogliati, quanto bisognava alla famiglia.
Intanto l'associazione, composta d'operai capacissimi,
superava a poco a poco tutti gli ostacoli e le privazioni che aveva dovuto
incontrare nel primo periodo. I suoi libri di cassa presentavano le migliori
testimonianze dei progressi conquistati. Dal mese d'Agosto
L'inventario sociale del 30 dicembre 1850 dava i risultati seguenti:
Gli associati erano a quell'epoca 32. Lo stabilimento pagava 200 fr. di fitto ed era già angusto ai lavori.
Gli stromenti di lavoro sommavano a un valore di fr. 5922, 60 cent.
Le merci e le materie prime rappresentavano
Il portafoglio della Società conteneva biglietti per 3540 franchi.
Il conto debitori, che pagarono tutti, saliva a fr. 5861 e cent. 90.
L'attivo era dunque di 39,317 franchi 88 centesimi.
Su questo attivo la Società non era debitrice che di 4737 franchi 80 centesimi ad alcuni creditori e di 2650 franchi a 80 aderenti operai del mestiere che avevano imprestato sull'associazione nel primo periodo
Attivo reale 32,930 franchi 2 centesimi.
L'associazione continuò d'allora in poi a fiorire.
Da uno scritto d'A. COCHUT