HOME PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro Novelli BIBLIOTECA
EMANUELE KANT
LA PEDAGOGIA
PROEMIO E
TRADUZIONE
DI
ANGELO
VALDARNINI
INDICE
Scienza
filosofica e, secondo altri, scienza universale può dirsi la Pedagogia.
Scienza filosofica, perchè il soggetto della Pedagogia è l’uomo considerato
nella sua natura, nella sua destinazione e in tutte le sue attinenze
principali. Scienza universale, perchè il fine supremo della Pedagogia
consiste nell’arte di perfezionare l’uomo. Ora questo perfezionamento, che
è materiale o fisico, intellettivo, morale e politico o sociale, dimanda
la conoscenza di molte e svariate discipline, ma segnatamente la conoscenza
della Fisiologia ed Antropologia fisica, della Psicologia, della Logica, della
Morale, della Storia, del Diritto, della Politica, delle sociali discipline in
generale. Di qui i vari metodi educativi secondo i tempi, i luoghi, i sistemi
filosofici, le istituzioni religiose, civili e politiche, e secondo il grado
stesso dell’umano sapere. Ma oggi, in così notevole progresso di
cognizioni e di civiltà, onde mai si disputa ancora su molti punti
essenziali della scienza e dell’arte educativa? Perchè l’arte di
perfezionare l’uomo è sommamente difficile e complessa per la natura
stessa dell’uomo, pel suo fine, per le sue molteplici e diverse relazioni.
Quindi troppo ardito e non guari attuabile ci pare il detto famoso del
Leibnitz: «Chi ha in mano l’educazione della gioventù può
cambiare la faccia del mondo.» Il valentuomo forse dimenticava che all’arte umana
segna confini non valicabili la natura, e che il soggetto da educarsi è
l’uomo con i suoi pregi e difetti naturali, e fornito di volontà libera.
Onde l’autorità, la forza morale unita pure alla fisica, e la stessa
ragione non sempre riescono a piegare o a dirigere l’altrui volontà
libera. Invece, noi diremo che l’educazione da sè non può far
tutto, ma può far molto, anche se incontri difficoltà non lievi e
tenaci resistenze nell’educando. Non occorre, d’altra parte, spender molte
parole per dimostrare come l’educazione fisica, intellettiva, morale e civile
per l’uomo sia una necessità. Sta bene che l’uomo, fornito di corpo e di
animo, ha naturali disposizioni fisiche e intellettuali, come ha leggi sue
proprie; ch’egli è un animale naturalmente ragionevole, sociabile e parlante,
come lo definiva Aristotile. Ma senza l’arte educativa, abbandonato a sè
stesso, l’uomo non si distingue dagli animali bruti, non apprende il linguaggio,
non dispiega debitamente le sue facoltà mentali e morali, e non
può quindi conseguire il suo massimo perfezionamento e il vero suo fine.
Ora, se all’uomo è necessaria
l’educazione, se la natura umana in sostanza non cambia, perchè tanta
varietà di sistemi educativi in ogni tempo e luogo, perchè non
abbiamo ancora unità e concordia d’intelligenze rispetto ai principî
direttivi nell’arte dell’umana educazione? Ardua è la risposta. E
già. il Kant ebbe acutamente osservato, che di tutti i problemi,
affacciatisi o dati a risolvere alla mente umana, il più nobile ma
insieme il più difficile è il problema dell’educazione.
Criterî principali
della scienza e dell’arte educativa per noi sono gl’infrascritti. Presa notizia
della natura, della perfettibilità e del fine vero e compiuto dell’uomo,
educar tutto l’uomo e perfezionarlo non pure verso sè stesso, ma. in
relazione coi fini della società civile ed umana. Con qual mezzo? Per
via di ragionevole autorità, intesa a porre l’alunno in grado di
far poi retto uso della libertà. Entro qual periodo di tempo?
Nè troppo breve, nè troppo lungo, ma quanto è necessario
perchè l’educazione sia graduata e piena, non torni a danno dello sviluppo
e della salute del corpo, nè affatichi di soverchio la mente e lo
spirito. In quali modi? Partendo dall’educazione fisica e sensitiva, quindi per
quella intellettuale ed estetica arrivando alla compiuta educazione morale:
cioè comprendere tutto l’uomo, non disfarlo, ma perfezionarlo, addestrandone
tutte le facoltà, distinte ma in armonia fra loro, e però
distinguere e comprendere lo studio delle varie discipline, a quel modo che
distinti sono i fini e i doveri sociali dell’uomo. Ma, intanto, una è la
persona umana, uno l’animo nostro, uno il vero ed il bene, uno il dovere nostro
supremo, cioè l’ossequio costante, incondizionato alla legge morale e il
perfezionamento umano.
Contro questa
dottrina pedagogica vanno pertanto quei sistemi educativi, che o tutto
concedono all’autorità dell’educatore e del maestro, a danno della spontaneità
dell’alunno, e viceversa; che accelerano troppo, o che ritardano l’educazione
intellettiva e morale; che insegnano ad un tempo cose e discipline soverchie, o
in numero troppo scarso e superficialmente; che nell’alunno altro non cercano
che un puro spirito da coltivare, od un semplice animale con organi più
perfetti; che badano al solo fine dell’individuo umano, e punto o poco al fine
sociale, e viceversa; che fondano l’educazione su meri principi a priori, o
sulla nuda osservazione esteriore e su mezzi materiali, riducendo l’arte
educativa ad un gretto empirismo.
Nei tempi
andati l’autorità dei genitori, degli educatori e dei maestri pesava
troppo su’ figli e sugli alunni; all’età nostra generalmente si eccede
in fatto di libertà, in ogni educazione domestica, privata e pubblica.
Una volta s’insegnava poco e tardi; oggi molti genitori e maestri ed alcuni
Stati hanno la smania d’istruire i fanciulli troppo presto e d’insegnar loro
troppe cose. Nei secoli anteriori, e anco nella prima metà del secol
nostro, l’educazione fisica era generalmente trascurata, o non tenevasi conto
delle leggi fisiologiche nell’educazione mentale; oggi si tende, specie dai
più fervidi seguaci delle teorie Darwiniane e della Filosofia
evoluzionista, ad imperniare sulla Fisiologia la Pedagogia intera, cioè
non pure l’educazione fisica e sensitiva dell’uomo, sì anche la intellettiva
e la morale. Ma, fra gli altri, un valoroso propugnatore della nuova Pedagogia
scientifica, il compianto Siciliani (Storia critica delle teorie
pedagogiche), osservava giustamente che il Darwinismo non può dar ragione
di tutta la scienza pedagogica, e ancor più esso torna insufficiente
quando all’arte educativa si vogliano applicare le pure leggi meccaniche del trasformismo.
Anticamente
l’educazione morale forse invadeva troppo il campo dell’educazione mentale; in
oggi avviene il contrario: di qui la mancanza d’una soda morale pubblica, come
lamentava non ha guari lo Schäffle (Struttura e vita del corpo sociale). Alcuni
pedagogisti racchiudono tutta la scienza e l’arte educativa in una metodica
generale ed astratta, dimenticando così l’aurea sentenza di Seneca: Longum
est iter per praecepta, breve et effìcax per exempla. Altri, invece,
non sanno mai elevarsi ai principî ed a certe regole supreme, a qualche
concetto nobile e peregrino intorno all’arte e al fine dell’educazione, ma
tutto riducono a tritumi, ad esempi, e a norme le più viete e comuni.
Alla
più parte di questi difetti rimedia un breve trattato di Pedagogia,
uscito dalla mente di un gran pensatore e filosofo, di Emanuele Kant, e fiorito
appunto in Germania, detta a ragione terra classica della Pedagogia.
Verità
essenziali, feconde e peregrine, elevati e ardui problemi accennati o risoluti
dal Kant, formano il pregio massimo del libro pedagogico tedesco. Vediamolo
brevemente.
1. Secondo il
Kant, la sola creatura capace di educazione sulla terra è l’uomo, il
quale non può diventare vero uomo che per educazione.
2. Il genere
umano deve a poco a poco trarre da sè stesso tutte le qualità e
le disposizioni naturali che spettano all’umanità.
3. Una
generazione educa l’altra; e così il progresso dell’educazione va necessariamente
unito alla perfezione della natura umana.
4. L’abbozzo
d’una dottrina pedagogica è un ideale stupendo e nobile, quand’anche non
possa effettuarsi; dacchè l’arte educativa richiegga molte generazioni
per essere perfezionata.
5. Fra le
scoperte ed arti umane due sono le più difficili: l’arte di educare gli
uomini e l’arte di governarli.
6. Non devesi
educare i fanciulli per la generazione presente, ma per un migliore stato
sociale avvenire, fondando le norme educative sull’idea dell’umanità e
della sua vera e compiuta destinazione.
7. Un disegno
di educazione dovrebbe, pertanto, essere cosmopolitico.
8. Il metodo
d’istruzione e d’educazione non vuol essere meccanico, ma fondato su principî
razionali. - E già il Ratich aveva detto lieto e animoso: Vetustas
cessit, ratio vicit.
10. L’uomo
è il solo animale che abbia necessità di lavoro. Il lavoro fisico
e il lavoro mentale, benchè distinti, non vanno separati; e l’uno e
l’altro dev’essere fatto per dovere. Onde la stessa cultura dello
spirito è doverosa, nè va impartita ed appresa per mero
divertimento.
11. Non una
sola, nè alcune, nè separatamente, ma tutte le facoltà
umane vogliono essere coltivate, ciascuna di esse in relazione con le altre e
per le altre. La cultura fisica non sia quindi segregata da quella dello
spirito. - La quale armonia delle potenze dell’animo e del corpo nel graduato
loro svolgimento era stata accennata e raccomandata anche da Francesco Bacone
nel De augmentis scientiarum, là ove tratta della pedagogica.
12. Rispetto
all’educazione mentale, bisogna apprender bene più cose, con attività
costante e intensa, ma nel debito tempo: festina lente.
13. Nell’educazione
progressiva si tenti di unire il sapere e il potere. - E già Francesco
Bacone aveva detto: «L’uomo tanto può quanto sa.» Ma come dee procedere,
secondo il Kant, la prima educazione intellettuale? Alle lezioni di cose (tal
sarebbe la descrizione del Mondo figurato) e all’esercizio della memoria
si unisca quello dell’intelletto e del giudizio, se non vogliamo formare degli
alunni tanti lessici viventi. Nella cultura della ragione si preferisca
pertanto il metodo socratico.
È
chiaro che al metodo intuitivo ed oggettivo (come si domanda oggi) il Kant
voleva si unisse anche il metodo razionale e soggettivo, per avvezzare l’alunno
a riflettere ed a pensare da sè.
14. Prima
delle Scuole normali si fondino Scuole sperimentali, dove si osservino
diligentemente gli uomini e se ne venga a conoscere per esperienza la natura
varia e moltiplice.
15. Gli
Insegnanti abbiano ed usino libertà. di metodo, conforme si praticava
nella scuola sperimentale di Dessau. - E cosi il Kant risolveva uno dei
molteplici aspetti dell’ardua e complicata questione sulla libertà
dell’insegnamento.
16. L’arte
perfetta, anche nella didattica e autodidattica, ritorna alla natura. -
Onde mai? Perchè l’arte fondata sulla natura non può fallire a sicura
meta. Quindi il Machiavelli voleva ritirare ai loro principî quelle
istituzioni, che fossero troppo inveterate o corrotte. E più tardi il
Vico uscì in quest’aurea sentenza: «Le cose fuori del loro stato
naturale né vi si adagiano, né vi durano.»
17.
L’educazione morale ha per fine principale di formare il retto e vero carattere
nell’uomo, il quale deve anzitutto domare le sue passioni: sustine et
abstine.
18. Nello
stato presente intellettuale e sociale, bisogna inculcare per tempo ai
fanciulli alcune idee religiose, ma con siffatto metodo che la nozione di Dio
sia congiunta a quella del dovere e che la legge divina apparisca come legge di
natura, legge che l’uomo sente e ritrova nella propria coscienza. Imperocché la
Religione senza la moralità si riduce a un mero culto superstizioso.
19. Si
avvezzino i giovinetti alla tolleranza religiosa perchè, nonostante la
differenza delle religioni positive, v’ha una sola religione.
20. Il
giovinetto, inoltre, sia educato alla socievolezza, cioè
all’amore non solo della famiglia, degli amici e della patria, ma degli uomini
tutti, prescindendo da ogni interesse proprio e da ogni disuguaglianza sociale,
dacché il bene sia amabile per sè stesso e gli uomini siano tutti eguali
per natura.
21. Il
giovane, stimando sè giusta il proprio valore intrinseco e non secondo
il giudizio e il valore degli altri, dia poca importanza ai beni e a’ piaceri
della vita, e si apparecchi a non temere la morte.
22. Una buona
educazione è proprio la sorgente d’ogni bene nel mondo.
Oltre questi
punti essenziali, nella Pedagogia del Kant troverà il lettore osservazioni
elevate, giudiziose, pratiche, argute, e quel senso profondamente morale che
domina tutta la Filosofia pratica del grande pensatore tedesco.
Narrasi che
appena il Kant ebbe gettato gli occhi sull’Emilio del Rousseau, lo lesse
tutto con tale ardore e attenzione da sospendere perfino la regolarità
delle sue passeggiate quotidiane. E di alcuni principî di questo libro si
giovò assai nelle sue lezioni di Pedagogia all’Università, per
quello che si attiene alla morale disciplina e soprattutto all’educazione
fisica, come può vedersi nel trattato pedagogico del Kant paragonato
coll’Emilio. Ma nel resto, egli sapeva discernere benissimo gli errori e
l’esagerazioni del filosofo ginevrino anche in fatto d’educazione; e quindi se
il Kant (come osserva il Barni) è per alcuni rispetti un discepolo di
Rousseau, si mostra però un discepolo indipendente, e che mira e va
più alto nel correggere il suo maestro.
Il gran
segreto del perfezionamento del genero umano è riposto nel problema
dell’educazione. Queste parole del Kant sono l’espressione fedele del pensiero generale
del secolo XVIII, detto a ragione il secolo dei lumi e del progresso. Allora fu
meglio compreso che dall’educazione dipende l’avvenire del genere umano, e che
indi essa è il più efficace strumento del civile progresso.
Questa nuova idea, tanto profonda nell’aspetto teorico quanto feconda di buoni
risultamenti nell’aspetto pratico, fu dal Kant, già riformatore della
filosofia speculativa e pratica, sviluppata sapientemente e bandita con ardore
d’apostolo nelle lezioni di Pedagogia. È da notarsi che in queste
lezioni il Kant non segue il metodo ed i risultamenti teorici ai quali pervenne
col suo criticismo filosofico nella Critica della Ragion pura e nella Critica
del Giudizio; ma si attiene generalmente ai principî stabiliti nella sua
Filosofia pratica, conformando le massime dell’educazione morale alle sue
dottrine morali, religiose, giuridiche e politiche. Basti confrontare parecchie
sue massime di educazione morale e religiosa con i principî stabiliti nella Critica
della Ragion pratica, nella Metafisica dei costumi, nella Dottrina
della Virtù, nella Religione entro i limiti della pura ragione. Per
esempio, tanto nella sua Filosofia pratica quanto nella Pedagogia, il Kant
insegna e raccomanda una Morale pura e disinteressata, il bene per il bene, il
dovere per il dovere, e sopra ogni altra cosa il dovere anche nel lavoro e
nella istruzione! Bensì nella Pedagogia il Kant mira alla vita pratica e
sociale più e meglio che non faccia nella stessa Filosofia pratica.
Infine, per ciò che si attiene al progresso ed alla perfezione del
genere umano in relazione con una sana e compiuta educazione, vogliono essere
meditate non pure le massime inculcate nel suo trattato pedagogico, ma eziandio
le infrascritte leggi stabilite nel breve scritto: Idea intorno alla Storia
universale, al quale si rannoda l’opuscolo Sulla pace perpetua.
1ª Tutte le disposizioni
naturali di un essere si debbono svolgere compiutamente.
2ª
Nell’individuo umano tali disposizioni non si possono svolgere in modo compiuto;
quindi esse debbono conseguire il loro massimo svolgimento nella specie.
3ª Per i
fini della natura era necessario che una specie animale fosse dotata di
ragione, come appunto è la specie umana. La natura ha voluto che questa
specie acquistasse tutto da sè stessa, fuorché quello che appartiene al
meccanismo naturale, e che dovesse a sè sola la propria felicità
e perfezione. Quindi tutto ci fa credere che la natura colle sue leggi non miri
alla nostra felicità, ma solamente alla nostra perfezione, cioè
al massimo svolgimento delle facoltà umane.
4ª Il
mezzo di cui la natura si serve per questo svolgimento è l’antagonismo
degli uomini, il quale consiste in due tendenze, associante una, e dissociante
l’altra. La prima conduce gli uomini ad una società regolata poi da
leggi; la seconda è madre di molte passioni che rendono gli uomini
attivi e intraprendenti, suscitando tra essi la gara del fare e del possedere.
In tal modo sorge e fiorisce la civiltà.
5ª Il
più grande problema dell’Umanità, alla cui soluzione la natura
induce gli uomini, è quello di effettuare una Società civile
universale che regoli e governi i diritti di ciascuno.
6ª
Questo problema, il più difficile e il più tardo di tutti a sciogliersi,
non potrà essere sciolto fino a tanto che non saranno regolate legalmente
le relazioni dei vari Stati. Secondo il Kant, il diritto e la sociale
tranquillità non possono essere pienamente assicurati senza una
confederazione generale degli Stati che ponga termine alle guerre.
7ª Noi
possiamo risguardare in grande la Storia dell’Umanità quale compimento
d’un disegno occulto della natura, inteso ad attuare una perfetta costituzione
interna, e, per questo fine, anche esterna degli Stati, come vera e sola
condizione in cui agli uomini sia dato di svolgere e perfezionare le loro
facoltà. Quindi pel Kant, la perfetta costituzione politica è un
semplice mezzo al perfezionamento delle facoltà umane; il qual
perfezionamento mira, alla sua volta, al progresso morale dell’Umanità.
8ª Noi
dobbiamo risguardare come possibile il tentativo filosofico di trattare
la Storia secondo l’accennato disegno della Natura. Poiché si presuppone, aggiunge
il Kant, un’unità organica nella natura, non possiamo rifiutarci di ammetterla
anche nella Storia, come una giustificazione della natura e della Provvidenza.
A che varrebbero, infatti, le meraviglie del resto della natura, se ciò
che v’ha di più importante al mondo, vale a dire la Storia
dell’Umanità, non fosse che disordine?
E così
la Filosofia della Storia, considerata dal Kant quasi una Teologia umana,
rannodasi da una parte colla Filosofia speculativa, dall’altra colla Filosofia
pratica e colla stessa Pedagogia, conforme appare dai sommi principî pedagogici
del filosofo tedesco.
Dopo il Kant,
che può dirsi novatore anco nella scienza dell’umana educazione, molto
si è scritto di Pedagogia nelle più colte e civili nazioni
d’Europa, come appunto in Germania, Francia, Inghilterra, Svizzera. ed Italia.
Ma osiamo dire che nessun pedagogista ha superato il Kant nei principj
fondamentali e nelle massime generali della scienza e dell’arte educativa, se
pure altri non abbia attinto a quella sorgente inesausta e pura. Onde i Tedeschi
non senza ragione han chiamato libretto d’oro il breve ma sostanzioso
trattato pedagogico del Kant. Questo libro non ha certo il rigore, l’ordine e
la perfezione delle opere principali del filosofo di Könisberga, perché in
fondo non è che una raccolta ordinata di principj, di massime, di note e
di osservazioni, delle quali si giovava il Kant nel suo corso di lezioni
popolari di Pedagogia, ch’egli era obbligato di fare per turno, come ogni altro
professore di filosofia, all’Università durante un semestre. Ma, in
compenso, questo trattatello pedagogico è più chiaro e più
facile, e quindi accessibile alla mente d’ogni persona culta; è insomma
quasi popolare e pratico, mentre ne’ suoi principî fondamentali non si diparte,
come abbiamo visto, dalla Filosofia pratica del Kant, cioè dalle
dottrine morali, giuridiche, politiche e religiose di lui.
Il trattato
seguente, da noi recato in italiano, fu compilato da uno scolaro del Kant, dal
prof. Teodoro Rinck, sopra il corso di lezioni pedagogiche fatto più volte
dal Kant stesso all’Università di Könisberga, e pubblicato, col consenso
dell’autore, nel 1803. Questo libro si compone di tre parti. La prima, o
Introduzione, discorre i principî e le idee generali dell’educazione; la
seconda versa sull’educazione fisica, vale a dire sull’educazione del
corpo e sulla cultura delle facoltà dello spirito; la terza parla
dell’educazione pratica o morale.
Il nostro G.
Capponi ebbe a lamentare, nell’aureo Frammento sull’educazione, il tanto
discorrere che a’ tempi suoi facevasi dell’educazione, sentenziando che non
avrebbe potuto incominciare l’educazione vera se non quando fosse
cessato il tanto discorrerne. Che mai direbbe quel sobrio e valoroso
pedagogista se oggi potesse alzare il capo dalla tomba?
Or bene, in
mezzo a questa farragine di libri, di opuscoli e di riviste pedagogiche
nostrane e forestiere onde siamo inondati; in mezzo a tendenze opposte anche in
fatto d’educazione privata e pubblica, liberali le une, autoritarie le altre;
in mezzo a sistemi disparati della vecchia scienza pedagogica e della nuova,
quest’ultima informata generalmente alle teorie darwiniane ed evoluzioniste; mi
è parso utile ed opportuno di recar nuovamente in italiano (giovandomi
assai della versione francese del Barni) le dottrine liberali, austere, elevate
del Kant sull’educazione umana, e che in fondo tengono il giusto mezzo. Non
voglio dire con questo che il trattato pedagogico del Kant, anche spiegato
debitamente in relazione colle altre parti della sua Filosofia pratica, si
debba oggi adottare come vero ed unico libro di testo nelle scuole nostre:
quantunque, anche in Italia, non manchino esempî in contrario rispetto ad altri
libri moderni stranieri. Ma se noi dovessimo scegliere, puta caso, fra il libro
assai più recente di Erberto Spencer sull’Educazione intellettuale,
morale e fisica e il trattatello pedagogico del Kant, non esiteremmo a
preferire quest’ultimo. Per qual ragione? Perché se il primo racchiude alcune
giuste e pratiche osservazioni, e quindi se può tornare utile
all’educazione fisica e mentale applicata; il secondo vince notabilmente
l’altro, non solo per alti e sani principî morali ond’è informato,
sì anche per profondità ed estensione di dottrina psicologica e
pedagogica segnatamente riguardo all’educazione intellettuale e morale, mentre
esso pure mira generalmente alla pratica, all’arte vera educativa di tutto
l’uomo. Ad ogni modo, è fuori di dubbio che il trattato del Kant
può servire come libro di lettura e di analisi comparativa nelle nostre
Scuole di Pedagogia superiore, e in parte anche di guida tanto ai maestri
quanto agli alunni nelle Scuole normali e secondarie. Imperocché va sempre
tenuto presente al pensiero un detto vero e profondo, che cioè le
moderne e civili nazioni che sono e vogliono restar libere, come appunto
è l’Italia, hanno bisogno d’una scienza pedagogica sana ed alta.
1. L’uomo
è la sola creatura capace di essere educata. Per educazione, in senso
largo, s’intende la cura (il trattamento, la conservazione) che richiede
l’infanzia di lui, la disciplina che lo fa uomo, infine la istruzione
con la cultura. Sotto questi tre rispetti, egli è infante, allievo e
scolare.
Appena gli
animali cominciano a sentire le proprie forze, le usano regolarmente,
cioè in maniera tale da non recar danno a sè stessi. È
curioso il vedere, per esempio, come le giovani rondinelle, appena uscite dal
loro uovo e tuttora cieche, sappiano disporsi per modo da far cadere i loro
escrementi fuori del nido. Gli animali non hanno dunque bisogno d’essere
curati, sviluppati, riscaldati e guidati, o protetti. Vero è che la
più parte di essi domandano nutrimento, ma non cure. Per cure bisogna
intendere le precauzioni che prendono i genitori per impedire ai loro nati di
far uso nocivo delle loro forze. Se, per esempio, un animale venendo al mondo
gridasse come fanno i bambini, diverrebbe certamente preda dei lupi e di altre
bestie selvagge attirate dalle sue grida.
La disciplina
o educazione ci fa passare dallo stato di animale a quello d’uomo. Un
animale è pel suo istinto medesimo tutto ciò che può
essere; una ragione a lui superiore ha preso anticipatamente per esso tutte le
cure necessarie. Ma l’uomo ha bisogno della sua propria ragione. Costui non ha
istinto, e conviene che formi da se stesso il disegno della sua condotta. Ma,
siccome non ne possiede la immediata capacità e viene al mondo nello stato
selvaggio, ha bisogno dell’aiuto altrui.
La specie
umana è obbligata a cavare a grado a grado da sè stessa colle proprie
sue forze tutte le qualità naturali che appartengono all’umanità,
una generazione educa l’altra. Se ne può cercare il primo principio in
uno stato selvaggio o in uno stato perfetto di civiltà; ma nel secondo
caso, bisogna pure, ammettere che l’uomo sia poi ricaduto nello stato selvaggio
e nella barbarie.
2. La.
disciplina impedisce all’uomo di lasciarsi deviare dal suo destino,
dall’umanità, per le sue inclinazioni animali. Occorre, per esempio,
ch’essa lo moderi, perché egli non si getti nel pericolo come un animale
feroce, o come uno stordito. Ma la disciplina è puramente negativa,
perché si restringe a spogliare l’uomo della sua selvatichezza; l’istruzione,
al contrario, è la parte positiva dell’educazione.
La
selvatichezza consiste nell’indipendenza da tutte le leggi. La disciplina sottomette
l’uomo alle leggi dell’umanità, e comincia a fargli sentire la forza,
l’autorità delle leggi stesse. Ma ciò dev’esser fatto per tempo.
Così, mandansi per tempo i bambini alla scuola, non perchè vi
apprendano qualcosa, ma perché vi si avvezzino a restare tranquillamente seduti
e ad osservare puntualmente ciò che loro vien comandato, affinchè
in progresso di tempo sappiano cavar subito buon partito da tutte le idee che
verranno loro in mente.
Ma l’uomo
è così portato naturalmente alla libertà che, quando vi
abbia preso una lunga consuetudine, le sacrifica tutto. Ora questa è la
precisa ragione onde conviene per tempo ricorrere alla disciplina; ché
altrimenti sarebbe troppo difficile di cambiar poi il suo carattere, ed egli
seguirà allora tutti i suoi capricci. Parimente, si vede che i selvaggi
non si abituano mai a vivere come gli Europei, quantunque restino per lungo
tempo ai servigj loro. Il che non deriva già in essi, come opinano il
Rousseau ed altri, da una nobile tendenza alla libertà, ma da una certa
rozzezza, perché l’uomo appo essi non si è ancora spogliato in qualche
maniera della natura animale. E però dobbiamo avvezzarci per tempo a
sottometterci ai precetti della ragione. Quando all’uomo si è lasciato
seguire la piena sua volontà per tutta la gioventù e non gli si
è mai resistito in nulla, ei conserva una certa selvatichezza per tutta
la vita. Né ai giovani reca alcuna utilità un affetto materno esagerato,
dacché più tardi si pareranno loro dinanzi ostacoli da tutte le parti, e
troveranno dovunque contrarietà quando piglieranno parte agli affari del
mondo.
Un vizio, nel
quale ordinariamente si cade nell’educazione dei grandi, è quello di non
opporre loro alcuna resistenza nella loro gioventù, perché sono
destinati a comandare. Nell’uomo la tendenza alla libertà richiede
ch’egli deponga la sua rozzezza: nell’animale bruto, al contrario, questo non
è necessario per l’istinto di lui.
L’uomo ha
bisogno di vigilanza e di cultura. La cultura abbraccia la disciplina e
l’istruzione. Nessun animale, che noi sappiamo, ha bisogno di quest’ultima;
imperciocchè veruno di essi apprende alcun che da’ suoi antenati, salvo
quegli uccelli che imparano a cantare. Infatti, gli uccelli sono ammaestrati
nel canto dai loro genitori; ed è mirabil cosa il vedere, come in una
scuola, i genitori cantare con tutte le proprie forze davanti ai loro nati e
questi adoperarsi a cavare gli stessi suoni dalle loro tenere gole. Se taluno
volesse convincersi che gli uccelli non cantano per istinto, ma che imparano a
cantare, basta ne faccia la prova ed è questa: levi ai canarini la
metà delle uova loro e vi sostituisca uova di passero; ed ancora coi
piccoli canarini mescoli insieme passeri giovanissimi. Li metta in una gabbia
donde non possano udire i passeri di fuori; essi impareranno il canto dai
canarini e così avremo passeri cantanti. Né meno stupendo è il
fatto che ogni specie d’uccelli conserva in tutte le generazioni un certo canto
principale; così la tradizione del canto è la più fedele
nel mondo.
L’uomo non
può diventare vero uomo che per educazione; egli è ciò
ch’essa lo fa. Vuolsi notare ch’egli può ricevere questa educazione
soltanto da altri uomini che l’abbiano egualmente ricevuta dagli altri. Quindi
la mancanza di disciplina e d’istruzione in certi uomini li rende assai cattivi
maestri dei loro allievi. Se un essere di natura superiore si prendesse cura
della nostra educazione, vedrebbesi allora ciò che noi possiamo
divenire. Ma siccome l’educazione, da una parte insegna qualcosa agli uomini,
e, dall’altra. non fa che svolgere in loro certe qualità. non si
può sapere fin dove portino le nostre disposizioni naturali. Se almeno
si facesse una esperienza coll’aiuto dei grandi e col riunire le forze di
molti, ciò ne illuminerebbe sulla quistione di sapere fin dove l’uomo
può arrivare per questa via. Ma una cosa tanto degna di osservazione per
una mente speculativa quanto triste per un amico dell’umanità si
è il vedere, che la più parte dei grandi non pensano che a
sè stessi e non pigliano alcuna parte alle interessanti esperienze sulla
educazione, per fare avanzare di qualche altro passo verso la perfezione la
natura umana.
3. Non vi ha
alcuno che, essendo stato trascurato nella sua gioventù, sia incapace di
ravvisare nell’età matura in che venne trascurato, vuoi nella
disciplina, vuoi nella cultura (poiché si può chiamar così la
istruzione). Chi non possiede cultura di sorta è bruto; chi non ha disciplina
o educazione è selvaggio. La mancanza di disciplina è un male
peggiore della mancanza di cultura, perché a questa si può ancora rimediare
più tardi, mentre non si può più mandar via la selvatichezza
e correggere un difetto di disciplina. Forse l’educazione diverrà sempre
migliore, e ciascuna delle generazioni venture farà un passo di
più verso il perfezionamento dell’umanità, imperocché il gran
segreto della perfezione della natura. umana dimora nel problema stesso
dell’educazione. Si può camminare oramai per questa via; difatti,
oggidì si principia a giudicare esattamente e a vedere in modo chiaro in
che proprio consiste una buona educazione. E reca dolce conforto il pensare che
la natura umana sarà sempre più e meglio dispiegata e migliorata
dall’educazione, e che si può arrivare a darle quella forma che
veramente le conviene. In ciò consiste la prospettiva della
felicità avvenire della specie umana.
L’abbozzo
d’una teorica dell’educazione è un ideale nobilissimo e che non tornerebbe
punto nocivo, quando anche non fossimo in grado di effettuarlo. Non bisogna
considerare un’idea come vana e ritenerla come un bel sogno, perché certi
ostacoli ne impediscono l’effettuazione.
Un ideale
altro non è che il concetto d’una perfezione che non si è
riscontrato ancora nell’esperienza: tal sarebbe, per esempio, l’idea d’una repubblica
perfetta, governata secondo le regole della giustizia. Si dirà dunque
impossibile? Basta, in primo luogo, che la nostra idea non sia falsa; in secondo
luogo, che non sia impossibile assolutamente di vincere tutti gli ostacoli per
tradurla in atto. Se, poniamo, ciascuno mentisse, la veracità sarebbe
per questo una chimera? L’idea di una educazione che svolga nell’uomo tutte le
sue disposizioni naturali è vera assolutamente.
Con
l’educazione presente l’uomo non consegue appieno il fine della sua esistenza.
Imperocché quanta diversità non corre tra gli uomini nel loro modo di vivere!
Né tra loro può essere uniformità di. vita se non in quanto essi
operino secondo gli stessi principi e questi principi divengano per loro come
una seconda natura. Noi possiamo almeno lavorare intorno al disegno d’una
educazione conforme all’intento che dobbiamo proporci, e lasciare istruzioni
agli avvenire che potranno a grado a grado metterle in pratica. Osservate, per
esempio, i fiori detti orecchi di orso: quando li tiriamo dalle radici,
hanno tutti il medesimo colore; quando invece se ne pianta il seme, otteniamo
colori tutti differenti e svariatissimi. La natura ha dunque riposto in loro
certi germi del colore, e per isvilupparveli basta seminare e piantare convenientemente
questi fiori. Il somigliante accade nell’uomo!
Vi sono molti
germi nell’umanità, e spetta a noi svolgere con debita proporzione le
nostre disposizioni naturali, dare all’umanità tutto il suo dispiegamento,
e adoperarci a conseguire la nostra destinazione. Gli animali compiono il loro
destino spontaneamente e senza conoscerlo. L’uomo, al contrario, è
obbligato a cercar di conseguire il fine suo; il che non può egli fare
se prima non ne ha un’idea. L’individuo umano non può compiere da
sè questa destinazione. Se ammettiamo una prima coppia del genere umano
realmente educata, bisogna sapere altresì in qual modo essa educò
i suoi figli. I primi genitori danno ai loro figli un primo esempio; questi lo
imitano, e così dispiegansi alcune disposizioni naturali. Ma tutti non
possono essere educati a questo modo, giacché gli esempi si offrono
ordinariamente ai bambini secondo l’occasione. In altri tempi gli uomini non
avevano alcuna idea della perfezione onde la natura umana. è capace; noi
stessi non l’abbiamo ancora in tutta la sua purezza. È certo del pari
che tutti gli sforzi individuali, che hanno per fine la cultura dei nostri
allievi, non potranno mai far sì che costoro giungano a conseguire la
loro destinazione. Questo fine non può esser dunque conseguito dall’uomo
singolo, ma unicamente dalla specie umana.
4.
L’educazione è un’arte, la cui pratica ha bisogno d’essere perfezionata
da più generazioni. Ciascuna generazione, provveduta dalle conoscenze
delle precedenti generazioni, è sempre più in grado di arrivare a
una educazione che in giusta proporzione e in conformità del loro fine
svolga tutte le nostre disposizioni naturali e così guidi tutta la
specie umana alla sua destinazione. - La Provvidenza ha voluto che l’uomo fosse
obbligato a cavare da sè stesso il bene, e in qualche modo gli dice: «Entra
nel mondo. Io ho messo in te ogni specie di attitudini per il bene. Ora a te
solo spetta svilupparle per il bene; e quindi la tua felicità o la tua
infelicità dipende da te.» Così il Creatore potrebbe parlare agli
uomini!
5. L’uomo deve innanzi tutto svolgere
le sue attitudini per il bene; la Provvidenza non le ha messe in lui bell’e
formate, ma come semplici disposizioni, e però non vi è ancora
distinzione di moralità. Render sè stesso migliore, educare
sè medesimo, e, s’egli è cattivo, svolgere in sè la
moralità, ecco il dovere dell’uomo. Quando vi si rifletta
consideratamente, si vede quanto ciò sia difficile. L’educazione, pertanto,
è il più grande e il più arduo problema che ci possa esser
proposto. Difatti le cognizioni dipendono dall’educazione, e questa dipende
alla sua volta da. quelle. Onde non potrebbe l’educazione progredire che di
mano in mano; e noi possiamo arrivare a farcene un’idea esatta solo in quanto
ciascuna generazione trasmette le sue sperienze e le sue cognizioni alla
generazione posteriore, che vi aggiunge qualcosa di suo e le tramanda
così aumentate a quella che le succede. Qual cultura e quale sperienza
dunque non suppone questa idea? E però essa non poteva sorgere che
tardi, e noi stessi non l’abbiamo ancora innalzata al suo più alto grado
di purezza. Si tratta di sapere se l’educazione nell’uomo singolo debba imitare
la cultura che l’umanità in generale riceve dalle sue diverse
generazioni.
Tra le umane
scoperte ve ne ha due difficilissime, e sono l’arte di governare gli uomini e
l’arte di educarli; e però si disputa ancora su queste idee.
Ora, donde
principieremo a svolgere le naturali disposizioni dell’uomo? Bisogna muovere
dallo stato barbaro dell’uomo, o da uno stato già culto? Non è
agevol cosa il concepire uno svolgimento partendo dalla barbarie (per la
difficoltà somma di farci un’idea del primo uomo); e noi vediamo che
ogni qualvolta si sono prese le mosse da questo stato, l’uomo è ricaduto
nella selvatichezza, e che però sono sempre stati necessari nuovi sforzi
per uscirne. Anche nei popoli assai civili ritroviamo un avanzo di barbarie,
attestato dai più antichi monumenti scritti a noi tramandati: e qual
grado di cultura non suppone già la scrittura? E da questo punto,
cioè dalla invenzione della scrittura, si potrebbe anzi far cominciare
il mondo rispetto alla civiltà.
Poiché le
nostre disposizioni naturali non si svolgono da sè stesse, ogni educazione
è un’arte. - La. natura non ci ha dato per questo fine alcun istinto. -
L’origine, come il suo relativo progresso, dell’arte educativa, è o meccanica,
senza disegno, sottoposta a date circostanze, o ragionata. L’arte di
educare non risulta meccanicamente dalle condizioni in che apprendiamo per
esperienza se una data cosa ci è dannosa od utile. Ogni arte di questo
genere, che sarebbe puramente meccanica, conterrebbe molti errori e lacune,
perchè non seguirebbe alcuna norma. Occorre pertanto che l’arte
dell’educazione o la Pedagogia sia ragionata, affinchè la natura
umana possa svolgersi per modo da conseguire la sua destinazione. I genitori,
che hanno ricevuto essi pure una certa educazione, sono già esemplari
su’ quali si regolano i figli. Ma per rendere questi migliori, è
necessario di fare uno studio nella Pedagogia; diversamente nulla se ne
può sperare, e l’educazione viene affidata ad uomini educati non bene.
Al meccanismo nell’arte educativa bisogna sostituire la scienza, diversamente
ella non sarà altro che uno sforzo continuo, ed una generazione potrebbe
distruggere quanto un’altra avesse edificato.
6. Un
principio di Pedagogia, al quale dovrebbero mirare segnatamente gli uomini che
propongono norme di arte educativa, è questo: Che non devesi educare i
fanciulli secondo lo stato presente nella specie umana, ma secondo uno stato
migliore, possibile nell’avvenire, cioè secondo l’idea
dell’umanità e della sua intera. destinazione. Questo principio è
d’una importanza tragrande. I genitori educano per lo più i loro figli
per la società presente, sia pure corrotta. Dovrebbero, al contrario,
dar loro una educazione migliore, perché un migliore stato ne possa venir fuori
nell’avvenire. Ma qui si parano dinanzi due ostacoli: 1° I genitori non si
curano per ordinario che di una cosa sola, ed è che i loro figli
facciano buona figura nel mondo; 2° I principi risguardano i propri sudditi
come strumenti nei loro disegni.
I genitori
pensano alla casa, i principi allo Stato. Gli uni e gli altri non si propongono
per fine ultimo il bene generale e la perfezione a cui è destinata
l’umanità. Le basi fondamentali d’un disegno d’educazione fa d’uopo che
abbiano un carattere mondiale. Ma il bene generale è un’idea che possa
tornar dannosa al nostro bene particolare? Niente affatto! Imperocché,
quantunque sembri che gli si debba sacrificare qualcosa, veniamo così a
lavorar meglio pel bene del nostro stato presente. E allora quante nobili
conseguenze! Una buona educazione è proprio la sorgente d’ogni bene nel
mondo. I germi che sono riposti nell’uomo debbono svilupparsi ognor di vantaggio;
imperocché nelle disposizioni naturali dell’uomo non v’ha principio di male. La
sola causa del male sta nel sottoporre a norme la natura. Nell’uomo non vi sono
che i germi per il bene.
Da chi dee
provenire il miglioramento dello stato sociale? Dai principi o dai sudditi?
Conviene che questi si migliorino prima da sè stessi, e facciano la
metà di strada per andare incontro a governi buoni? Se, invece, deve
partire dai principi questo miglioramento, si cominci dunque a riformare la
loro educazione; poiché si è commesso per lungo tempo questo grave
sbaglio, di non resistere mai agli stessi principi nella loro gioventù.
Un albero che resta isolato in mezzo ad un campo perde la sua dirittura nel
crescere e stende lungi i suoi rami; al contrario, quello che cresce nel mezzo
di una foresta si mantiene diritto, per la resistenza che gli oppongono gli
alberi vicini, e cerca al disopra l’aria ed il sole. Avviene lo stesso nei
principi. Ma vale ancor meglio siano educati da qualcuno dei loro sudditi che
dai loro pari. Non si può attendere il bene dall’alto se prima non vi
sarà migliorata l’educazione! Qui bisogna dunque contare più
sugli sforzi dei privati che sul concorso dei principi, come hanno giudicato
Basedow ed altri; dacchè l’esperienza c’insegna che i principi
nell’educazione badano meno al bene del mondo che a quello dello Stato, e vi
scorgono solo un mezzo per giungere ai loro fini. Se col denaro soccorrono la
educazione, si riservano il diritto di stabilire le norme che loro convengono.
Lo stesso va detto per tutto ciò che risguarda la cultura dello spirito
umano e l’incremento delle umane conoscenze. Questi due risultamenti non sono
procurati dal potere e dal denaro, ma solo facilitati; bensì potrebbero
procurarli ove lo Stato non prelevasse le imposte unicamente nell’interesse del
suo erario. Neppur le Accademie li hanno dati finora, ed oggi più che
mai non si scorge alcun segno ch’esse comincino a darli.
7. La
direzione delle scuole dovrebbe pertanto dipendere dal senno di persone
competenti ed illustri. Ogni cultura comincia dai privati e da questi poi si diffonde.
La natura umana può avvicinarsi di mano in mano al suo fine solamente
per gli sforzi di persone dotate di generosi e grandi sentimenti, le quali
s’interessano al bene del mondo sociale e sono in grado di concepire uno stato
migliore, come possibile, nell’avvenire. Intanto alcuni potenti risguardano il
loro popolo come, in certa guisa, una parte del regno animale, e mirano
solamente alla propagazione. Al più desiderano ch’esso abbia una certa
abilità, ma solo a fine di potersi giovare dei proprii sudditi come di
strumenti più acconci ai loro disegni. I privati devono certamente
badare al fine della natura fisica, ma devono soprattutto curare lo svolgimento
della umanità, e far si ch’ella diventi non solo più abile, ma
ancora più morale, da ultimo, cosa molto più difficile,
adoperarsi a che i posteri arrivino ad un più alto grado di perfezione.
8.
L’educazione, pertanto, deve:
1° Disciplinare
gli uomini. Disciplinarli vuol dire cercar d’impedire che la parte animale
non soffochi la parte veramente umana, così nell’umano individuo come
nella società. Dunque la disciplina consiste semplicemente nello
spogliar l’uomo della sua selvatichezza.
2° Deve coltivarli.
La. cultura abbraccia la istruzione ed i varî insegnamenti. Essa fornisce
l’abilità: e questa è il possesso d’un’attitudine sufficiente a
tutti i fini che possiamo proporci. Essa dunque non determina da sè
alcun fine, ma lascia questa cura alle circostanze. Alcune arti sono utili in
ogni tempo e in ogni occasione, come sarebbero le arti di leggere e di
scrivere; altre sono buone solo in rispetto a certi fini, come l’arte della
musica, che rende amabile colui che la possiede. L’abilità è in
certo modo infinita, in grazia dei molti fini che possiamo proporci.
3°
L’educazione deve altresì curare che l’uomo divenga prudente, che
sappia vivere in società coi suoi simili, farvisi amare ed avervi
autorità. Questa sorta di cultura dicesi propriamente civiltà.
Essa richiede certi modi cortesi, gentilezza e quella prudenza onde
possiamo giovarci degli altri uomini pei nostri fini; e si regola secondo il
gusto mutabile di ogni secolo. Così amiamo ancora, dopo alcuni anni, le
cerimonie in società.
4° Deve,
finalmente, curare nell’uomo la moralità. Ed invero, non basta
che l’uomo sia capace di ogni sorta di fini; occorre altresì ch’ei
sappia farsi una massima di scegliere tra quelli soltanto i buoni. Diconsi
buoni que’ fini che sono necessariamente approvati da ognuno e che ponno essere
al tempo stesso i fini di ciascuno.
9. L’uomo può essere guidato,
disciplinato, istruito in modo affatto meccanico, ed illuminato veramente. Si
guidano i cavalli, i cani, e si può guidare anche gli uomini.
Ma non basta
guidare i fanciulli; preme massimamente ch’essi imparino a pensare. Occorre
badare ai principii dai quali derivano tutte le azioni. È dunque manifesto
quante cose richiede una vera educazione! Ma nell’educazione privata la quarta
condizione, che è la più importante, viene per lo più
assai trascurata; poiché insegnasi ai fanciulli ciò che stimiamo
essenziale, e intanto si lascia la morale al predicatore. Ma non è forse
importante d’insegnare ai fanciulli a odiare il vizio, non per la semplice
ragione che Dio l’ha proibito, ma perché di natura sua è spregevole!
Altrimenti e’ si lasciano indurre nel vizio, pensando che il male potrebbe
esser lecito se Dio non l’avesse vietato, e che si può far benissimo una
eccezione a favor loro. Dio, ch’è l’essere sovranamente santo, non vuole
se non ciò ch’è buono. Egli vuole che noi pratichiamo la
virtù per il suo valore intrinseco e non perché Ei lo comandi.
Noi viviamo in un’epoca di
disciplina, di cultura e di civiltà, ma che non è ancora quella
della moralità vera. Nelle presenti condizioni si può dire che la
felicità degli Stati cresce di pari grado colla infelicità degli
uomini. E non si tratta ancora di sapere se noi saremmo più felici nello
stato di barbarie, dove non esiste tutta questa nostra cultura, che nello stato
presente. Come si può, difatti, render felici gli uomini, se non li
rendiamo morali e savi? La quantità del male appo essi non verrà
cosi diminuita.
Bisogna
fondare scuole sperimentali prima di poter creare quelle normali. L’educazione
e l’istruzione non debbono essere puramente meccaniche, ma devono riposare su
principî. Tuttavia non hanno da fondarsi sul puro ragionamento, ma in un certo
senso anche sul meccanismo. L’Austria non ha guari che scuole normali, istituite
giusta un disegno contro il quale si sono a buon diritto sollevate molte
obbiezioni, ed al quale si poteva rimproverare un cieco meccanismo. Tutte le
altre scuole dovevano regolarsi su quelle e si negava altresì un ufficio
pubblico a chi non avesse frequentato quelle scuole! Tali prescrizioni
dimostrano quale e quanta parte abbia in certe cose il Governo; e non è
possibile di arrivare a qualcosa di buono con siffatti ordinamenti.
Si crede da’
più che non sia necessario di fare sperienze in materia di educazione, e
che si possa giudicare con la sola ragione se una cosa sarà buona o
cattiva. Ma qui sta un grave errore, e l’esperienza ne insegna che i nostri
tentativi spesso han dato risultamenti opposti affatto a quelli che ci
attendevamo. È dunque chiaro che, sendo qui necessaria l’esperienza,
nessuna generazione d’uomini può fare un disegno compiuto d’educazione.
La sola scuola sperimentale che abbia finora incominciato in qualche modo a
battere questa via è stata l’Istituto di Dessau. Nonostante parecchi
difetti che gli potremmo rimproverare, ma che del rimanente si riscontrano in
tutti i primi sperimenti, bisogna concedergli questa gloria, ch’esso non ha
cessato di spronare a nuovi tentativi. In un certo modo esso è stato l’unica
scuola dove i maestri avessero libertà di lavorare secondo i propri
metodi e disegni, e dove fossero uniti fra loro e si mantenessero in relazione
con tutti i dotti della. Germania.
10. L’educazione
comprende le cure necessarie ai bambini e la cultura.
La cultura
è: 1° negativa, come disciplina che si restringe ad impedire le
colpe; 2° è positiva, come istruzione e direzione (Anführung),
e sotto questo rispetto merita il nome di cultura. La direzione serve di
guida nella pratica di ciò che si vuole apprendere. Di qui la differenza
tra il precettore, che è semplicemente un maestro, e il governatore
(Hofmeister), che è un direttore. Il primo dà soltanto
l’educazione della scuola; il secondo, quella della vita.
Il primo
periodo dell’educazione è quello in cui l’allievo deve mostrare soggezione
ed obbedienza passiva; il secondo, quello in cui gli si permette far uso della
sua riflessione e della sua libertà, ma purché sottometta l’una e
l’altra a certe leggi. Nel primo periodo il costringimento è meccanico,
nel secondo è morale.
11. L’educazione
è privata o pubblica. Quest’ultima si riferisce
all’insegnamento che può sempre rimaner pubblico. La pratica dei precetti
si lascia all’educazione privata. Un’educazione pubblica compiuta è
quella che riunisce ad un tempo l’istruzione e la cultura morale. Il suo fine
consiste nel promuovere una buona educazione privata. Una scuola dove si
pratichi questo si chiama un Istituto di educazione. Di somiglianti Istituti
non può esservi gran copia, né potrebbero essi ammettere un gran numero
di allievi; imperocché sono costosissimi, e la semplice istituzione di questi
Collegi richiede molte spese. Lo stesso va detto degli ospedali. Gli edifizi loro
necessari, il trattamento dei direttori, delle guardie o dei domestici assorbiscono
la metà dell’entrate: ed è oramai provato che se si distribuisse
questo denaro ai poveri nelle rispettive loro case, e’ sarebbero curati assai
meglio. - È difficile ancora di ottenere che i ricchi mandino i loro
figliuoli agl’Istituti educativi.
Fine di
questi Istituti pubblici è il perfezionamento dell’educazione domestica.
Se i genitori o quelli che li assistono nell’educare i loro figli avessero
ricevuto una buona educazione, la spesa degli Istituti pubblici potrebbe non
esser più necessaria. Quindi bisogna farvi certe prove e formarvi
persone adatte, affinché ci possano dare in progresso una buona educazione
domestica.
L’educazione
privata è data dai genitori stessi, o, se per caso non ne abbiano il
tempo, la capacità o il gusto, da altre persone che li aiutano in
ciò, mediante una ricompensa. Ma questa educazione data così da
persone ausiliarie ha il gravissimo difetto di dividere l’autorità fra i
genitori ed il precettore. Il fanciullo deve regolarsi secondo i precetti dei
suoi maestri, e deve in pari tempo seguire i capricci dei suoi genitori.
È necessario che in questo genere di educazione i genitori depongano
tutta la loro autorità in mano dei maestri.
Ma fin dove
l’educazione privata è preferibile alla educazione pubblica, o questa a
quella? L’educazione pubblica, in generale, sembra più vantaggiosa
dell’educazione domestica, non solamente in rispetto alla abilità,
sì anche in rispetto al vero carattere di cittadino. L’educazione
domestica, oltre non correggere i difetti appresi in famiglia, li aumenta.
12. Quanto
tempo deve durare l’educazione? Fino a che la natura ha voluto che l’uomo si
governi da sè stesso, fino a che si sviluppi in lui l’istinto del sesso,
fino a che egli può divenire padre ed esser tenuto di educare alla sua
volta, ossia fino all’età di circa sedici anni. Decorsa
quest’età, si può ricorrere a maestri che proseguano a
coltivarlo, a sottoporlo ad una celata disciplina; ma la sua educazione
regolare è finita.
13. La
soggezione dell’allievo è positiva o negativa. Positiva, in
quanto ei deve fare ciò che gli viene comandato, non potendo ancora
giudicare da sè e non avendo ancora appreso l’arte d’imitare. Negativa,
in quanto l’allievo dee fare ciò che desiderano gli altri, se vuole
ch’essi dal canto loro facciano qualcosa che gli torni piacevole. Nel primo
caso egli è esposto ad essere punito; nel secondo, a non ottenere
ciò che desidera: e qui, benché possa oramai riflettere, ei dipende dal
suo piacere.
14. Uno
dei più grandi problemi dell’educazione si è di poter conciliare
la sommissione all’autorità legittima coll’uso della libertà. Imperocché
l’autorità è necessaria! Ma in qual modo coltivare la
libertà per mezzo dell’autorità? Bisogna che io avvezzi il mio
allievo a soffrire che la sua libertà venga sottoposta
all’autorità altrui, e che in pari tempo io gl’insegni a far retto uso
della sua libertà. Senza questa condizione, in lui non vi sarebbe altro
che puro meccanismo; l’uomo sfornito di vera educazione non sa far uso della
sua libertà. Fa d’uopo ch’egli senta per tempo la resistenza inevitabile
della società, perché impari a conoscere quanto è difficile di
bastare a sè stesso, di tollerare le privazioni e di acquistare quanto
basti a rendersi indipendente.
Qui devesi por mente alle
infrascritte regole. 1° Bisogna lasciar libero il fanciullo fino dalla sua
prima età e in tutti i suoi movimenti (salvo in quelle occasioni in cui
può farsi del male come, per esempio, se prendesse in mano uno strumento
tagliente), a patto bensì di non impedire la libertà altrui, come
quando grida, o manifesta il suo brio in modo troppo rumoroso e da recar
disturbo agli altri. 2° Gli si deve mostrare ch’ei può conseguire i suoi
fini, a patto bensì ch’egli permetta agli altri di conseguire i loro
propri; ad esempio, non si farà niente di piacevole per lui s’ei non fa
ciò che desideriamo, come d’imparare ciò che gli viene insegnato,
e via dicendo. 3° Bisogna provargli che l’autorità, il costringimento a
cui si sottopone, ha per fine d’insegnargli ad usar bene della sua
libertà, che lo educhiamo ed istruiamo affinché possa un giorno esser
libero, cioè fare a meno del soccorso altrui. Questo pensiero sorge
assai tardi nella mente dei fanciulli, poichè non riflettono nei primi
anni che dovranno un giorno provvedere da sè stessi al loro
mantenimento. Credono che la cosa andrà sempre come nella casa paterna,
cioè ch’essi avranno da mangiare e da bere senza darsene alcun pensiero.
Ora senza questa idea, i fanciulli, segnatamente quelli dei ricchi ed i figli
dei principi, restano per tutta la vita come gli abitanti di Otahiti.
L’educazione pubblica ha qui manifestamente i più grandi vantaggi: vi
s’impara a conoscere la misura delle proprie forze ed i limiti che c’impone il
diritto altrui. Non vi si gode alcun privilegio, poiché vi sentiamo dovunque la
resistenza, e ci eleviamo sopra gli altri solo per merito proprio. Questa educazione
pubblica è la migliore immagine della vita del cittadino.
Resta ancora una difficoltà
che non vuol essere qui dimenticata, e risguarda la cognizione anticipata del
sesso, a fine di preservare i giovinetti dal vizio prima dell’età
matura. Vi ritorneremo sopra più innanzi.
15. La
Pedagogia o scienza dell’educazione, si divide in fisica e in pratica.
L’educazione fisica è quella che l’uomo ha comune con gli
animali, e risguarda le cure della vita corporea. L’educazione pratica o
morale (si chiama pratico tutto quello che si riferisce alla
libertà) è quella che risguarda la cultura dell’uomo,
perchè costui possa vivere come ente libero. Quest’ultima è
l’educazione della persona, l’educazione d’un ente libero, che può
bastare a sè stesso e tenere il suo vero posto in società, ma che
altresì è capace d’avere per sè un valore intrinseco.
Quindi
l’educazione consiste: 1° nella cultura. scolastica o meccanica, che risguarda
l’abilità; essa. pertanto è didattica (e sta nell’opera
del maestro); 2° nella cultura prammatica, che si riferisce alla
prudenza (e sta nell’opera del governatore); 3° nella cultura morale, e
si riferisce alla moralità.
L’uomo ha
bisogno della cultura scolastica o della istruzione, per mettersi in
grado di conseguire tutti i suoi fini. Essa gli dà un valore come
individuo umano. La cultura della prudenza lo prepara a diventare
cittadino vero, dacché gli conferisce un valore pubblico. In questo modo egli
impara a trar partito pei suoi fini della società civile e a conformare
sè stesso a quelli sociali. Finalmente, la cultura morale gli
dà un valore che risguarda tutta la specie umana.
Prima viene
la cultura scolastica. Difatti, la prudenza presuppone sempre l’abilità.
La prudenza è la facoltà di usar bene e con profitto
l’abilità propria. Per ultimo viene la morale, in quanto si fonda su
principi che l’uomo stesso deve riconoscere; ma finché riposa unicamente sul
senso comune, dev’essere praticata fin da principio, anche nell’educazione
fisica, chè altrimenti parecchi difetti si radicherebbero a segno da
render poi vani tutti gli sforzi e tutta l’arte dell’educazione. Rispetto
all’abilità e alla prudenza, tutto dee venire a suo tempo con gli anni.
Mostrarsi nell’infanzia abile, prudente, paziente, senza malizia, come un uomo
adulto, sarebbe lo stesso che voler conservare nell’età matura la
sensibilità di un fanciullo.
A.
Dell’educazione fisica.
16. Chi intraprende un’educazione
come precettore, sebbene non tolga a dirigere così presto i fanciulli
per occuparsi anche della loro educazione fisica, giova per altro ch’egli
sappia tutto quello che si richiede nella, educazione da principio alla fine.
Quantunque un precettore non debbasi occupare che di fanciulli adulti,
può accadere ch’ei veda nascere altri figli nella stessa famiglia, e
che, s’egli ha meritato per la sua condotta di essere il confidente dei
genitori, questi non manchino di consultarlo sull’educazione fisica dei loro
figli; poiché si dà spesso il caso che il precettore sia l’unica persona
dotta della casa. Occorre adunque che il precettore abbia cognizioni su questa
materia.
17.
L’educazione fisica consiste propriamente nelle cure date ai bambini o dai genitori,
o dalle nutrici, o dalle bambinaie. Il nutrimento destinato dalla. natura al
bambino è il latte della sua propria madre. È un pregiudizio il
credere che il bambino succhi in qualche modo col latte i sentimenti materni,
benchè sentiamo dire spesso: Tu hai succhiato ciò col latte di
tua madre. Ma è di gran vantaggio pel bambino e per la madre che costei
lo allatti da sè stessa. Bisogna però ammettere, in certi casi estremi,
le debite eccezioni per motivi di salute o di malattia. Si credeva un tempo che
il primo latte che viene alla madre dopo il parto e che rassomiglia al siero
fosse nocivo al bambino, e che la madre dovesse subito liberarsene prima di
allattare la sua creatura. Ma il Rousseau fu il primo a richiamare l’attenzione
dei medici sulle qualità di questo primo latte; se cioè potesse
tornare utile al bambino, dacché la natura non ha fatto niente invano [1].
E si è realmente trovato che questo latte non solo monda il corpo del
neonato da quegli escrementi che contiene, detti meconio dai medici, ma
che è altresì buono e utile al bambino
18. È
stata agitata la questione se si possa egualmente nutrire il bambino col latte
di animali. Il latte degli animali erbivori, che cioè si nutriscono di
vegetabili, si rapprende prontamente quando vi si unisca qualche acido, per
esempio l’acido tartarico o l’acido nitrico, o particolarmente il caglio
animale (Lab o Laff). Ciò posto, quando la madre o la
balia si è per qualche tempo nutrita di vegetabili esclusivamente, il
suo latte si rapprende come quello di vacca e di altri animali. Ma s’ella si rimette
a mangiare per qualche tempo la carne, il latte le ritorna buono come prima. Onde
si è concluso esser più confacente al bambino che la madre o la
balia si nutriscano di carne fino a che allattano. Quando i bambini rigettano
il latte che hanno succhiato, vuol dire ch’esso è rappreso. L’acido
contenuto nel loro stomaco deve pertanto far cagliare il latte meglio di tutti
gli altri acidi, chè diversamente il latte della donna non avrebbe
affatto la proprietà di rappigliarsi. Quanto non sarebbe dunque
contrario alla salute dei bambini porgere loro del latte che si accagliasse
già da sè medesimo! Ma non tutto dipende da questo presso altre
nazioni. Per esempio, i Tongos campano quasi unicamente di carne, e son gente
sana e robusta. Ma tutti i popoli di questa sorta hanno vita breve, e senza
molto sforzo si può sollevare da terra un giovane alto che a prima
giunta non si credeva leggero. Gli Svedesi, al contrario, ma segnatamente i
popoli dell’India non mangiano quasi mai carne, e tuttavia i figli loro son
bene allevati e crescono forti. Pare adunque che tutto dipenda dalla salute
della madre o della balia, e che il cibo più confacente alla nutrice sia
quello che la fa star meglio di salute.
19. Ora
si tratta di sapere quale alimento convenga scegliere pel bambino quanto sia
stato divezzato o gli sia cessato il latte materno. Da qualche tempo si
è tentato di surrogarvi ogni sorta di pappe; ma non è bene di
somministrare fin da principio al bambino questo genere di alimenti. Si badi
soprattutto di non dargli alcun che di piccante, come vino, spezie, sale.
D’altra parte non deve far meraviglia che i bambini palesino tanto gusto per
queste cose; imperocché esse danno ai loro sensi ancora ottusi un eccitamento
ed un’animazione piacevole. In Russia i bambini certamente ereditano questo
genere di gusti dalle madri loro, le quali amano di bere l’acquavite; e si nota
che i Russi sono forti e sani. Per fermo coloro che sopportano questa maniera
di vita debbono essere d’una buona costituzione fisica; ma è vero altresì
che ne muoiono parecchi, mentre con diverso tenore di vita avrebbero potuto vivere.
Difatti, un eccitamento prematuro di nervi genera molti disordini nella vita.
Si guardi parimente di non dare ai bambini bevande e cibi troppo caldi, perché
tutto ciò li rende deboli.
20. Conviene
altresì aver cura di non tener troppo caldi i bambini, perché il sangue
loro è per sua natura assai più caldo di quello degli adulti. Il
calore del sangue dei bambini ascende a 110 gradi del termometro Farenheit,
mentre il sangue degli adulti non oltrepassa i 90 gradi. Il bambino soffoca in
un’atmosfera in cui gli adulti possono trovarsi bene. Le abitazioni fresche
generalmente rendono forti gli uomini. Non conferisce neppure alla salute degli
adulti il vestire troppo caldamente, il coprirsi e l’avvezzarsi a bevande
troppo calde. E però il letto dei fanciulli dev’essere fresco e duro:
anche i bagni freddi giovano ai medesimi. Non si deve usare alcun eccitante per
far nascere l’appetito nel fanciullo; al contrario, bisogna che l’appetito sia
sempre generato dall’attività e dall’occupazione. Ai fanciulli non si
lascino contrarre abiti che poi si convertano in bisogni. Anche in quello che
è buono, non usate la vostra arte per far loro di tutto una
consuetudine.
21. I popoli
barbari non fanno uso di fasce pei bambini. I selvaggi dell’America, per
esempio, scavano piccole fosse nella terra pei loro bambini; e ne guarniscono
il fondo con polvere di vecchi alberi affinché l’orina e le immondezze vi
s’infiltrino ed i bambini possano così restarvi asciutti; e poi le
cuoprono di foglie. Ma, del resto, lasciano ad essi affatto libero l’uso delle
membra. Se noi fasciamo i bambini come mummie si fa unicamente per nostro
comodo, cioè per toglierci la noia di vegliare perché non divengano
storpi. E ciò tuttavia accade spesso per l’uso delle fasce! Le quali,
d’altra parte, riescono dolorose ai bambini stessi, e li gettano in una specie
di disperazione impedendo loro l’uso delle proprie membra. Si crede allora poterne
acquetare i pianti rivolgendo loro alcune parole. Ma si tenti di fasciare stretto
stretto a quel modo un uomo adulto, e allora vedremo ch’egli pure si mette a
gridare e cade nell’angoscia e nella disperazione.
23. Un’altra
consuetudine nella prima educazione è di cullare i bambini. Il mezzo
più semplice è quello che adoprano certi contadini. Sospendono la
culla alle travi per mezzo d’una corda e non fanno che spingerla; la culla si
dondola da sè. Ma in generale il cullamento non serve a nulla. Si vede
anche colle persone adulte, che quel dondolìo produce lo stordimento e
l’alterazione di stomaco. Si vuole in tal modo stordire i bambini, per impedire
loro di piangere. Ma il pianto è loro salutare. Appena usciti dal seno
materno, ove son privi d’aria, cominciano a respirare, e così il corso
del sangue, essendo in tal modo alterato, fa loro provare una sensazione
dolorosa. Però col pianto essi facilitano lo sviluppo delle parti
interne e dei vasi del corpo. È dunque pernicioso ai bambini cercare di
quietarli appena cominciano a piangere, cantando loro qualcosa come sogliono
fare le balie. E così cominciasi ad avvezzar male il bambino, poiché
vedendo che tutto cede ai suoi pianti, li ripete più spesso.
24. Veramente
possiamo dire che i bambini del popolo sono più avvezzati male di quelli
dei signori, perché il popolo scherza con loro come le scimmie. Cantano, li
abbracciano, li accarezzano, ballano con loro. Credono dunque di fare cosa
buona ed utile al bambino, accorrendo subito appena comincia a piangere e giuocando
con lui; ma egli non farà che piangere sempre più. Se al
contrario non ci occupiamo de’ suoi pianti, egli finisce per non piangere
più; dacché nessuna creatura si procaccia volentieri una pena inutile.
Se avvezziamo i bambini a veder tutti i loro capricci soddisfatti, invano
tenteremo più tardi di piegare la loro volontà. Lasciamo dunque
che piangano a loro talento, e presto ne saranno stanchi e annoiati essi
stessi. Ma se cediamo ai loro capricci nella prima età, si corrompe in
tal modo il loro cuore ed i loro costumi.
Certamente il
bambino non ha ancora nessuna idea dei costumi, ma si guastano le sue
disposizioni naturali in questo senso, che per rimediare al male bisogna poi
infliggergli durissime punizioni. E allorquando vogliamo divezzare i bambini
dal veder subito soddisfatti i loro capricci, essi piangono con tale
inquietezza e rabbia, che parrebbe non fosse possibile altro che negli adulti,
e la quale non produce alcuno effetto solo perché mancano loro le forze. Finche
non hanno da far altro che piangere per ottenere quello che vogliono, essi
dominano da veri padroni; e quando questo dominio cessa, ne sono naturalmente
indispettiti. Ed invero, non è per gli stessi adulti una cosa
affliggente l’essere costretti a perdere in un istante quel certo dominio, che
hanno per lungo tempo esercitato?
20. Nei primi
tre mesi circa della loro vita, i bambini non hanno ancora la vista bene
sviluppata. Essi ricevono la impressione della luce, ma non possono distinguere
un oggetto dall’altro: ne possiamo avere una prova, presentando loro qualcosa
splendente; essi non la seguono cogli occhi. Colla vista si dispiega pure la facoltà
del riso e del pianto; giunto a questo periodo di vita, il bambino piange con
una certa riflessione, sebbene oscura e indistinta. Egli crede sempre che gli
si voglia far del male. Il Rousseau nota che se picchiamo sulle mani un bambino
di sei mesi, egli piange come se un tizzone ardente fossegli caduto sulle mani
stesse, giacché pensa che l’abbiamo voluto offendere. I genitori, per ordinario,
parlano troppo di piegare la volontà dei loro teneri figli; ma
ciò non sarebbe necessario, se non fossero avvezzati male fin da
principio. La prima origine del male sta appunto nel rendersi schiavi della
loro volontà, e nel far loro credere che tutto possano ottenere col
pianto. E più tardi è sommamente difficile di rimediare a questo
male, dato pure che vi si possa rimediare. Possiamo, è vero, ottenere
che il bambino si quieti; ma egli consuma entro di sè il dolore e non fa
che alimentare la sua collera. Si avvezza per tal modo alla dissimulazione ed
alle passioni interne. Per citare un esempio, è cosa molto strana che alcuni
genitori, dopo aver picchiato colla bacchetta i loro fanciulli, esigano che
questi bacino poi loro le mani: è proprio un volerli avvezzare alla dissimulazione
ed alla menzogna. Le nerbate poi non sono un bel dono di cui il fanciullo possa
mostrarsi grato; e figuriamoci con che cuore bacerà allora la mano che
l’ha percosso!
26. Si
adoprano in generale le dande e il carruccio per insegnare a
camminare ai bambini. Ma è proprio curioso di voler insegnare a
camminare ad un bambino; come se un uomo non potesse camminare senza che gli
s’insegni. Le dande specialmente sono dannosissime. Uno scrittore si lamentava
della strettezza del petto, attribuendolo alle dande: infatti, siccome il
bambino prende e raccatta ogni cosa, appoggia naturalmente il petto alle dande,
e questo non essendo ancora sviluppato, s’incassa e rimane così per
tutta la vita. Con tutti questi espedienti, il bambino non impara di certo a
camminare con sicurezza più di quello che non avrebbe imparato da
sè. La miglior cosa è di lasciarlo andar carponi, finché a po’
per volta non incominci a camminare; si può in tal caso aver la
precauzione di tappezzare la stanza con coperte di lana per evitare contusioni
e brutte cadute.
27. Si dice
in generale che i bambini cascano con molta forza: ma questo non avviene
spesso, e del resto non è poi un male che avvenga qualche volta. Poiché
ciò non fa altro che insegnar loro a stare in equilibrio ed a trovare il
modo di rendere la caduta meno pericolosa. Si mette in generale ai bambini una
sorta di ciambelle di cencio imbottite, per impedire di battere la testa e il
viso per terra. Ma questa è una educazione negativa che consiste nell’usare
mezzi artificiali, mentre il bambino ha quelli naturali. Nel caso nostro, gli
strumenti naturali sono le mani, che il bambino mette avanti quando casca.
Quanto più si fa uso di mezzi artificiali, tanto più è
difficile che in progresso l’uomo possa farne a meno. Sarebbe meglio usare fin
da principio ben pochi strumenti, e lasciare che il bambino impari molte cose
da sè; le imparerebbe così in modo incancellabile. Sarebbe, ad
esempio, possibilissimo che egli imparasse a scrivere da sè, perché
qualcuno deve avere inventato per il primo la scrittura, e questa invenzione
non è poi tanto difficile. Basterebbe dire al bambino che vuole il pane:
me lo puoi raffigurare? Egli disegnerebbe una figura ovale. Potremmo allora
fargli notare, che non si distingue s’egli ha voluto disegnare un pane o una
pietra. Così egli si proverà a fare un P, e di seguito
formerà da sè stesso il suo A B C, che potrà quindi
surrogare con altri segni.
28. Vi sono
alcuni bambini che nascono con certe imperfezioni nel corpo: si possono allora
correggere queste deformità? Le ricerche dei più dotti scrittori
hanno dimostrato, che le fascette di balena non possono recare nessun
giovamento, ma non fanno altro che aggravare il male, impedendo la circolazione
del sangue e degli umori, e lo sviluppo tanto necessario delle parti interne ed
esterne del corpo. Se il bambino resta libero può ancora esercitare le
membra; ma un individuo umano che porti il busto di balena, quando arriva a
cavarselo è molto più debole di altri che non ne abbia mai portato.
Invece faremmo cosa vantaggiosa, a chi è nato deforme, di mettere un
peso maggiore da quella parte in cui i muscoli sono più rilevati. Ma
anche questo rimedio ha i suoi inconvenienti; poiché, qual è l’uomo che
può illudersi di ristabilire l’equilibrio? La miglior cosa è che
il fanciullo si eserciti da sè stesso e prenda una posizione per quanto
incomoda gli sia, perché tutte le macchine non giovano a nulla.
29. Questi
apparecchi artificiali sono tanto più funesti, inquantochè contraddicono
direttamente il fine che si propone la natura negli esseri organizzati e ragionevoli,
che è quello di lasciar loro piena libertà d’imparare a servirsi
delle proprie forze. Tutto quello che può fare l’educazione, è
d’impedire che i fanciulli crescano troppo delicati. La fortezza è
l’opposto della mollezza; è quindi un pretendere troppo il volere
avvezzare a tutto i bambini. In questo eccedono i Russi, presso i quali muore
un numero grandissimo di fanciulli. L’abito è un piacere o un’azione
convertita in necessità, per la continua ripetizione di questo piacere e
di quest’azione. Non vi è cosa a cui più facilmente si abituino i
fanciulli quanto alle sostanze eccitanti, come per esempio al tabacco,
all’acquavite, alle bevande calde; e quindi preme sommamente di non abituarveli
perché resta poi difficilissimo il divezzarli, e cagiona loro una sofferenza
perché quel gusto ripetuto altera le funzioni del corpo.
30. Quanto
più l’uomo si rende schiavo delle consuetudini, tanto meno è
libero e indipendente. Accade all’uomo come agli altri animali; egli conserva
sempre una certa inclinazione per i primi abiti: quindi preme sommamente
d’impedire che il fanciullo ne contragga qualcuno.
Molti
genitori vogliono che i loro figliuoli si avvezzino a tutto. Ma questa è
un’opera inutile, perché la natura umana in generale, e quella dei diversi
uomini in particolare, non si presta ad ogni cosa, e molti figliuoli rimangono
alle semplici regole. Così vogliono, per esempio, che i fanciulli
dormano e si alzino a qualunque ora, o che mangino quando loro meglio talenta.
Ma per sopportare questo, è necessario un tenore di vita particolare,
che fortifichi il corpo e ripari al male che produce questo sistema. Del resto,
anche nella natura troviamo molti esempi di periodicità; così gli
animali hanno il loro tempo determinato per il sonno. L’uomo pure dovrebbe
abituarsi a dormire in certe date ore, per non disturbare il corpo nelle sue
funzioni. Quanto al mangiare a tutte le ore, non possiamo citare qui l’esempio
degli animali; così, mangiando gli erbivori cose poco nutritive, il
mangiare è per loro un’occupazione ordinaria. Ma per l’uomo è
molto salutare cibarsi ad ore stabilite.
Alcuni
genitori vogliono altresì che i fanciulli possano sopportare freddi
intensi, cattivi odori, qualunque romore, ed altre somiglianti cose. Ma
ciò non è per nulla necessario; l’importante si è che non
contraggano abito alcuno, ed a tal uopo è bene che i fanciulli si
trovino in condizioni diverse.
Un letto duro
è molto più sano che un letto morbido. In generale un’educazione
rigida fortifica il corpo; per educazione rigida intendo semplicemente quella
che non ci rende schiavi di tutti i nostri comodi. Non mancano esempi notevoli
per confermare questa nostra asserzione, ma disgraziatamente non si osservano,
o meglio non si vogliono osservare.
Per ordinario
si grida ai medesimi: Eh via! Non ti vergogni, questa cosa è indecente!
e somiglianti espressioni le quali non dovrebbero mai adoperarsi nella prima
educazione. Il bambino non ha ancora idea alcuna di vergogna e di convenienza;
non ha di che arrossire, non deve arrossire; e diventerà solamente
più timido. Si troverà impacciato dinanzi agli altri, e
fuggirà volentieri la loro presenza. Quindi nasce in lui una
riservatezza male intesa ed una molesta dissimulazione. Non osa più
dimandar nulla, mentre dovrebbe poter dimandar tutto; nasconde i proprii
sentimenti e si mostra sempre diverso da quello che è, mentre dovrebbe
poter dire tutto francamente. Invece di star sempre appo i suoi genitori li
evita e si getta nelle braccia dei domestici più compiacenti.
Nè
meglio di questa educazione irritante giovano la burla e le continue carezze.
Tutto ciò rende tenace il fanciullo nella sua volontà, lo rende
finto e, manifestandogli una debolezza. ne’ suoi genitori, gli toglie il
rispetto dovuto ai medesimi. Ma se viene educato in modo che nulla. possa
ottenere con le grida, egli diverrà libero senza essere sfacciato, e
modesto senza essere timido. Non si può tollerare un insolente. Certi
uomini hanno un aspetto così insolente da far sempre temere qualche villania;
ve n’ha degli altri, all’opposto, che al solo vederli si giudica siano incapaci
di dire una villania a qualcuno. Possiamo sempre mostrarci aperti e franchi,
purché vi si unisca una certa bontà. Si sente dire spesso che i grandi
hanno un aspetto veramente regale; ma questo in essi altro non è che un
certo sguardo insolente, a cui si abituarono da giovani non avendo trovato
alcuna resistenza.
Tutto
ciò risguarda solamente l’educazione negativa. Difatti, molte debolezze
dell’uomo non provengono da quanto non gli s’insegna, ma da quel tanto che gli
comunicano le false impressioni. Così a mo’ d’esempio, le nutrici
spaventano i bambini, parlando dei ragni, dei rospi, e via dicendo. I bambini
potrebbero certamente prendere i ragni, come pigliano le altre cose. Ma siccome
le nutrici, veduto un ragno, palesano nella faccia il loro spavento, questo si
comunica al bambino con una certa simpatia. Molti lo conservano per tutta la
vita e, sotto questo rispetto, rimangono sempre fanciulli. Imperocché i ragni
sono certamente dannosi alle mosche, e il loro morso è per esse
velenoso, ma l’uomo non ha di che temerne. In quanto al rospo, è questo
un animale innocuo al pari di una rana verde o di qualunque altro animale.
32. La parte
positiva dell’educazione fisica è la cultura; per questa l’uomo si
distingue dal bruto. La cultura consiste principalmente nell’esercizio delle
facoltà dello spirito. Quindi i genitori debbono porgerne ai figli
occasioni favorevoli. La prima ed essenziale regola è di fare a meno,
per quanto è possibile, d’ogni strumento. Bisogna dunque abolire l’uso
delle dande e delle girelle, lasciando che il bambino si trascini per terra
finché impari a camminare da sè, giacché a questo modo camminerà
più sicuramente. Gli strumenti riescono dannosi alla abilità
naturale. Così, ci serviamo d’una corda per misurare una certa
estensione, ma si può fare ugualmente colla semplice vista; ricorriamo
ad un oriolo per determinare il tempo, ma basterebbe guardare la posizione del
sole; ci serviamo d’un compasso per conoscere in qual regione è situata
una foresta, ma si può anche sapere osservando il sole se di giorno e le
stelle se di notte. Aggiungiamo che invece di servirci di una barca per passare
nell’acqua, si può nuotare. Il celebre Franklin si maravigliava che
l’esercizio del nuoto, così piacevole ed utile, non fosse appreso da
ognuno: e ne indicava così il modo facile per apprenderlo. Si lasci
cadere un uovo in un fiume dove, stando tu ritto e toccando co’ piedi il fondo,
la testa almeno ti rimanga fuori dell’acqua. Cerca allora quell’uovo.
Nell’abbassarti, fa risalire i piedi in alto, e, perché l’acqua non ti entri in
bocca, solleva la testa sulla nuca, ed avrai così la giusta posizione
necessaria a nuotare. Allora basta mettere in moto le mani, e si nuota. -
L’essenziale sta nel coltivare l’abilità naturale. Il più delle
volte basta una semplice indicazione; spesso il fanciullo stesso è
fecondo d’invenzioni, e si crea da sè gli strumenti.
33.
Ciò che bisogna osservare nell’educazione fisica, e però in
quella del corpo, si riferisce o all’uso del moto volontario, o all’uso degli
organi del senso. Nel primo caso il fanciullo deve sempre aiutarsi da
sè: quindi ha bisogno di forza, di abilità, di celerità,
di sicurezza. Egli deve, per esempio, poter traversare luoghi stretti, salire
su altezze a picco, donde si scorge l’abisso dinanzi a noi, camminare su palchi
vacillanti. Se un uomo non può far tutto questo, egli non è
veramente quello che potrebbe essere. Da che l’Istituto filantropico di Dessau
ne ha dato l’esempio, molti sperimenti di questo genere sono stati fatti coi
fanciulli negli altri Istituti. Restiamo assai meravigliati in leggendo come
gli Svizzeri sino dall’infanzia si avvezzino a salire sulle montagne e fin dove
li spinga la propria agilità, con quanta sicurezza traversino i luoghi
più stretti e saltino al di là dei precipizi, dopo aver giudicato
con un’occhiata di potervi riuscire senza pericolo. Ma la più parte
degli uomini han paura d’una caduta presentata loro dalla immaginazione; e
questa paura ne paralizza talmente le membra che per essi ci sarebbe davvero
pericolo di saltare oltre. Questa paura cresce ordinariamente coll’età,
e si riscontra in specie negli uomini che hanno molte occupazioni mentali.
Simili
sperimenti nei fanciulli in realtà non sono i più pericolosi. Per
l’età loro, il corpo è meno pesante del nostro, e non cadono tanto
gravemente. Di più, non hanno le ossa né così fragili, né
così dure come sono quelle degli adulti. I fanciulli sperimentano da
sè stessi le loro forze. Ad esempio, li vediamo spesso arrampicarsi
senza un fine determinato. La corsa è un moto salutare e che fortifica
il corpo. Saltare, alzar pesi, tirare, lanciare, gettar sassi verso una mira,
lottare, correre, e tutti gli esercizi di questo genere son loro adattati e
utili. La danza regolare non pare convenga ancora ai fanciulli.
Il tiro a
segno, vuoi per la distanza, vuoi per colpire il bersaglio, esercita pure i
sensi e particolarmente la vista. Il giuoco della palla è uno dei
migliori pei fanciulli, perché richiede una corsa salutare. In generale i
migliori giuochi sono quelli che, oltre sviluppare l’abilità, sono
ancora esercitazioni pei sensi; ad esempio, quelli che esercitano la vista nel
giudicare esattamente la distanza, la grandezza e la proporzione, nel trovare
la posizione dei luoghi secondo le regioni, il che si può fare
coll’aiuto del sole, e via dicendo. Tutti questi esercizi sono utilissimi e
convenienti. Assai vantaggiosa è pure la immaginazione locale, ossia
l’abilità di rappresentarci tutte le cose nei rispettivi luoghi dove si
sono vedute; essa dà, per esempio, la soddisfazione di ritrovarci in una
foresta, osservando gli alberi vicino ai quali siamo prima passati. Dicasi lo
stesso della memoria locale, onde sappiamo non solamente in qual libro si
è letta una cosa, ma altresì in qual parte del libro stesso. Così,
il musico ha il tasto in mente, onde non ha più bisogno di cercarlo.
È del pari utilissimo di coltivare l’orecchio dei fanciulli, e
d’insegnar loro a discernere se una cosa è lontana o vicina ed in qual
direzione.
Il giuoco dei
fanciulli alla mosca cieca era già noto appo i Greci. In generale, i
giuochi dei fanciulli sono pressoché universali. Quelli noti e praticati in
Germania ritrovansi anche in Inghilterra, in Francia. ed altrove. Hanno la
propria origine da una certa naturale inclinazione dei fanciulli: il giuoco
alla mosca cieca, per esempio, nasce in essi dal desiderio di sapere come
potrebbero aiutarsi se fossero privi d’un senso. La trottola è un giuoco
particolare. Ma queste sorte di giuochi da bambini forniscono agli uomini
argomento di riflessioni ulteriori e sono talvolta occasione d’importanti
scoperte. Il Segner, per esempio, scrisse una dissertazione sulla trottola, e
questa poi fornì ad un capitano di vascello inglese l’occasione
d’inventare uno specchio, col quale si può misurare sopra un vascello
l’altezza delle stelle.
I fanciulli
amano gli strumenti rumorosi, come le piccole trombette, i piccoli tamburi, e
cose simili. Ma questi strumenti non hanno alcun valore, perché i bambini
stessi li rendono disadatti. Meglio sarebbe che imparassero da sè
medesimi a tagliare una canna, dove potrebbero soffiare.
Anche
l’altalena è un buon esercizio; può giovare alla salute dei
fanciulli e anco delle persone adulte; ma i fanciulli han qui bisogno d’essere
invigilati, perchè il moto che vi cercano può essere molto
rapido. L’aquilone è un giuoco innocentissimo; serve a coltivare la destrezza
del corpo, stantechè il sollevarsi in aria dell’aquilone dipende da una
certa posizione riguardo al vento.
Pigliando
interesse a questi giuochi, il fanciullo rinunzia ad altri bisogni, e
così a grado a grado si avvezza a privarsi di altre cose di maggiore
importanza. Di più, egli acquista l’abito a star sempre occupato, ma i
suoi giuochi debbono avere anche un fine. Imperocché più il suo corpo si
fortifica e s’indurisce in questa guisa, e più e’ divien sicuro contro
le conseguenze corruttive della mollezza. La ginnastica stessa deve
ristringersi a guidar la natura; non deve procurare grazie forzate. Alla
disciplina, e non alla istruzione, spetta il primo passo. Educando il corpo dei
fanciulli, non va però dimenticato che li formiamo per la
società. Il Rousseau dice: « Non arriverete mai a formare uomini savi,
se prima non fate dei monelli.» Ma da un fanciullo svegliato si caverà
piuttosto un uomo dabbene, che da un impertinente un cameriere discreto. Il
fanciullo non ha da essere importuno in società, ma non deve mostrarsi
neppure insinuante. Verso quanti lo chiamano a sè, deve mostrarsi
famigliare, senza importunità; franco, senza impertinenza. Per ottenere
questo da lui, bisogna non guastarlo in niente, non ispirargli idee di decoro,
che varranno solo a renderlo timido e selvaggio, o che d’altra parte gli
suggeriranno il desiderio di farsi valere. In un fanciullo niente v’ha di
più ridicolo che una prudenza senile, od una sciocca presunzione.
Nel secondo
caso è nostro dovere di far maggiormente sentire al fanciullo i suoi
difetti, ma procurando insieme di non fargli troppo sentire la nostra
superiorità ed autorità, perché egli si formi da sè
stesso, come un uomo che dee vivere in società; perocchè se il
mondo è abbastanza grande per lui, dev’essere non meno grande anche per
gli altri.
Toby, nel Tristram
Sandy, dice a una mosca che l’aveva molestato per lungo tempo e che lascia
scappare dalla finestra: «Va’, cattivo animale, il mondo è abbastanza
grande per me e per te!» Ciascuno potrebbe pigliare questo detto per divisa.
Non dobbiamo renderci importuni gli uni agli altri; il mondo è
abbastanza grande per tutti.
34. Siamo
così arrivati alla cultura dell’anima, che in certa maniera può
dirsi anche fisica. Si deve ben distinguere la Natura dalla Libertà.
Altra cosa è dar leggi alla libertà, ed altra coltivar la natura.
La natura del corpo e quella dell’anima si accordano in questo: coltivandole
devesi cercare d’impedir loro che si guastino, e l’arte aggiunge ancora
qualcosa alla natura del corpo ed a quella dell’anima. Si può dunque, in
un certo senso, dimandar fisica la cultura dell’anima quanto quella del corpo.
Ma questa cultura fisica dell’anima si distingue dalla cultura morale,
poichè l’una si riferisce alla Natura, l’altra alla Libertà. Un
uomo può essere coltissimo fisicamente; può avere ornatissimo lo
spirito, ma esser privo di cultura morale, ed essere un cattivo uomo.
Bisogna
distinguere la cultura fisica dalla cultura pratica, che è
prammatica o morale. Quest’ultima si propone di render l’uomo
più morale che colto.
Divideremo la
cultura fisica dello spirito in cultura libera e in scolastica.
La cultura libera si riduce, sto per dire, ad uno svago; mentre la
cultura scolastica è cosa seria. La prima è quella che ha
luogo naturalmente nell’allievo; nella seconda, egli può essere
considerato come soggetto ad un obbligo. Anche nel giuoco possiamo essere
occupati, il che si chiama occupare i nostri ozi; ma possiamo essere obbligati
ad occuparci, e questo dicesi lavorare. La cultura scolastica sarà
dunque un lavoro pel fanciullo, e la cultura libera uno svago.
35. Sono
stati proposti vari sistemi di educazione per cercare, cosa davvero lodevolissima,
il miglior metodo educativo. Si è pensato, fra gli altri, di lasciare
che i fanciulli apprendano tutto come un divertimento. Il Lichtenberg, in una
puntata del Magazzino di Gottinga, deride l’opinione di quanti vogliono
che si tenti di lasciar fare ogni cosa ai fanciulli come un divertimento,
mentre dovrebbero essere abituati per tempo a serie occupazioni, dovendo essi
entrare un giorno nella vita seria del mondo. Quel metodo produce un effetto
detestabile. Il fanciullo deve giuocare, aver le sue ore di ricreazione, ma
deve anche apprendere a lavorare. È bene certamente di esercitare la sua
abilità e di coltivare il suo spirito; ma a queste due sorte di cultura
vogliono esser dedicate ore diverse. La tendenza alla infingardaggine costituisce
per l’uomo una grande infelicità; e più egli si abbandona a
questa tendenza, più gli torna poi difficile di mettersi al lavoro.
Nel lavoro
l’occupazione non è piacevole per sè stessa, ma s’intraprende per
un altro fine. L’occupazione nello svago è piacevole in sè,
nè quindi fa mestieri di proporsi alcun fine. Se vogliamo passeggiare,
la passeggiata stessa è fine; e quindi più lunga è la
strada fatta, più ci torna piacevole. Ma se ci occorre andare in qualche
luogo, fine del nostro cammino è la società che si trova in quel
luogo, od un’altra cosa; e allora scegliamo volentieri la strada più
corta. Dicasi il somigliante del giuoco delle carte. È cosa proprio
singolare vedere come uomini ragionevoli rimangano seduti per ore intere ed
occupati a scozzar carte. Il che dimostra che gli uomini non cessano cosi
facilmente d’esser fanciulli. Ed invero, in che questo giuoco è
superiore al giuoco della palla dei fanciulli? Vero è che le persone
adulte non vanno a cavallo sopra un bastone, ma hanno altri cavalli da bambini.
Avvezzare i
fanciulli a lavorare è di somma importanza. L’uomo è il solo animale
dedito al lavoro. Prima di arrivare a goder le cose necessarie alla sua vita,
l’uomo dee fare molti lavori diretti a quel fine. La questione, se il cielo non
sarebbesi mostrato assai più benigno verso di noi, offrendoci ogni cosa
bella e preparata, onde non avremmo avuto più bisogno di lavorare, deve
essere certamente risoluta in modo negativo; imperocchè l’uomo ha
bisogno di occupazioni, anco di quelle che suppongono un certo costringimento.
È parimente falso l’immaginare che se Adamo ed Eva fossero rimasti nel
paradiso terrestre, non avrebbero fatto altro che star seduti insieme, cantare
canzoni pastorali e contemplar la bellezza della natura. L’ozio li avrebbe
tormentati, come tormenta gli altri uomini.
L’uomo
dev’essere occupato in modo che, tutto compreso del fine a cui mira, non senta
più sè stesso, e che il miglior riposo per lui sia quello che succede
al lavoro. Vuolsi pertanto avvezzare il fanciullo a lavorare. E dove la
tendenza al lavoro può esser meglio coltivata che nella scuola? La
scuola è una cultura obbligatoria. Si renderebbe al fanciullo un cattivo
servigio se l’avvezzassimo a considerar tutto come uno svago. Egli deve
certamente avere i suoi momenti di ricreazione, ma anco le sue ore di lavoro.
Se non comprende subito l’utilità di quest’obbligo, la
comprenderà più tardi. Voler sempre rispondere alle dimande dei
fanciulli: Perchè ciò? A qual fine? sarebbe lo stesso, in generale,
che procurar loro abiti di curiosità indiscreta. L’educazione dov’essere
obbligatoria; il che per altro non vuol dire che i fanciulli si abbiano a trattare
come schiavi.
Le
facoltà inferiori non hanno per sè stesse alcun valore. A che
giova, per esempio, che un uomo abbia molta memoria, ma poco discernimento?
Egli non è che un dizionario vivente. Questa specie di asini del Parnaso
sono, d’altra parte, assai utili; imperocché, se non possono da sè
stessi produrre niente di ragionevole, almeno recano de’ materiali onde altri
può far qualcosa di buono. - Lo spirito non fa che sciocchezze, quando
non sia accompagnato dal giudizio. L’intelletto è destinato a conoscere
il generale. Il giudizio applica il generale al particolare. La ragione
è la facoltà di scorgere il nesso tra il generale e il
particolare. Questa libera cultura prosegue il suo corso dall’infanzia
dell’uomo fino a che cessa per lui ogni educazione. Per esempio, quando un
giovane parla d’una regola generale, gli si può far citare dei casi
tratti dalla Storia o dalla favola dove quella è nascosta, squarci di
poeti dove si trova espressa, e così fornirgli occasione d’esercitare il
suo ingegno, la sua memoria, e va dicendo.
La massima tantum
scimus quantum memoria tenemus (tanto sappiamo quanto riteniamo a memoria)
ha certo la sua verità, e quindi la cultura della memoria è necessarissima.
Le cose han natura siffatta che l’intelletto segue prima le impressioni
sensibili e la memoria deve conservarle. Lo stesso avviene, per esempio, nelle
Lingue. Possiamo impararle con un metodo formale, cioè mediante la
memoria, o praticamente nel conversare, e questo secondo metodo è da
preferirsi nelle Lingue viventi. Per fermo lo studio dei vocaboli è
necessario, ma i fanciulli assai meglio li imparano quando li ritrovano
nell’autore che hanno sotto gli occhi. Bisogna che la gioventù abbia uno
scopo fisso e determinato. Specialmente la Geografia s’insegna con un certo
meccanismo. La memoria ha una certa predilezione per questo meccanismo, che in
molti casi torna utilissimo. Finora non si è trovato alcun meccanismo
proprio a facilitare lo studio della Storia; si è tentato l’uso di certi
specchi e cataloghi, ma non pare abbia dato buoni risultamenti. La Storia
è un mezzo eccellente per esercitare l’intelletto a ben giudicare. La
memoria è molto necessaria, ma non conviene farne un puro esercizio pei
fanciulli, tal sarebbe quello di far loro imparare a mente i discorsi. Il che
serve a renderli più arditi; mentre la declamazione si conviene solo
agli uomini. Va detto lo stesso di tutte quelle cose che s’imparano per
sostenere un futuro esame, o per dimenticarle in progresso (in futuram
oblivionem). La memoria va occupata in cognizioni che ci preme di
conservare e che hanno attinenza colla vita reale. Funestissima pei fanciulli
è la lettura dei romanzi, perché riesce soltanto a divertirli fino a che
li leggono: essa indebolisce la memoria. Sarebbe infatti ridicolo di volerli
tenere a mente e raccontarli agli altri. Bisogna dunque ritirare tutti i
romanzi dalle mani dei fanciulli. Leggendoli, nel romanzo e’ fanno a sè
stessi un nuovo romanzo, poiché ne ordinano altrimenti le circostanze e,
lasciando cosi vagare la loro fantasia, si nutrono di chimere.
Le
distrazioni non devono esser mai tollerate, almeno nella scuola, perché finiscono
per degenerare in una certa tendenza, in un certo abito. Anche le più
belle doti dell’ingegno si perdono in un uomo soggetto alla distrazione.
Quantunque i fanciulli si distraggano nelle ricreazioni loro, non tardano a
raccogliersi di nuovo; ma vediamo che sono maggiormente distratti quando e’
meditano qualche cattivo tiro, giacché pensano come potranno nasconderlo o come
rimediarvi. Allora essi non intendono le cose che a metà, rispondono in
senso contrario, non sanno quello che leggono, e somiglianti.
La memoria
devesi coltivare per tempo, procurando bensì di coltivare insieme anche
la intelligenza.
Si coltiva la
memoria: 1° facendole ritenere i nomi che trovansi nelle narrazioni; 2°
mercè la lettura e la scrittura, esercitando i fanciulli a leggere
attentamente e senza. bisogno di compitare; 3° con lo studio delle Lingue, che
i fanciulli debbono capire avanti di passare a leggerne qualcosa. Il
così detto Mondo figurato (orbis pictus)[2],
quando sia descritto convenientemente, rende i più grandi servigî, e
possiamo incominciarlo dalla Botanica, dalla Mineralogia e dalla Fisica
generale. Per descriverne gli obbietti, fa mestieri d’imparare a disegnare e a
modellare, e quindi vi abbisognano le Matematiche. Le prime cognizioni
scientifiche devono specialmente avere per obbietto la Geografia così
matematica come fisica. I racconti di viaggi, spiegati per via d’incisioni e di
carte, condurranno poi alla Geografia politica. Dallo stato presente della
superficie della terra si risalirà al suo stato primitivo, e si
arriverà alla Geografia antica, alla Storia antica, e via dicendo.
Nell’istruzione
del fanciullo bisogna cercare di unire a grado a grado il sapere e il potere.
Fra tutte le scienze la Matematica pare sia la più adatta a far conseguire
questo fine. Inoltre, bisogna unire la scienza e la parola (la facilità
del dire, l’eleganza, l’eloquenza). Ma occorre altresì che il fanciullo
impari a distinguere perfettamente la scienza dalla semplice opinione e dalla
credenza. A questo modo si formerà in lui una mente retta, e un gusto giusto
se non fine o delicato. Il gusto da coltivarsi sarà
prima quello dei sensi, degli occhi specialmente, e infine quello delle idee.
Vi debbono
essere norme per tutto ciò che può coltivare l’intelletto.
È anche utilissimo di astrarle, affinché l’intelletto non proceda in
modo puramente meccanico, ma abbia coscienza della regola che segue.
Riesce ancora
di grande utilità l’esprimere le norme con una certa formula e
tramandarle così alla memoria. Se abbiamo in mente la regola e ne
dimentichiamo l’uso, non si pena molto a ritrovarla. E qui si domanda: Conviene
principiare dallo studio delle regole astratte, e le si devono apprendere dopo
averne fatto uso, oppure conviene far procedere di pari passo le regole e il
loro rispettivo uso? Quest’ultimo è il solo partito conveniente:
nell’altro caso l’uso rimane incertissimo finché non siamo arrivati alle
regole. Occorre altresì, ove si presenti l’occasione, ordinare per
classi le regole; è necessario che siano unite fra loro. Dunque, sotto
questo rispetto, la Grammatica precederà sempre lo studio delle Lingue.
37. Dobbiamo
dare ancora un’idea sistematica del fine intiero dell’educazione e del modo in
che conseguirlo.
1° Cultura
generale delle facoltà dello spirito, diversa dalla cultura particolare.
Quella ha per fine l’abilità e il perfezionamento; non insegna alcun che
di particolare all’alunno, ma fortifica le potenze dello spirito. Essa è
fisica o morale.
a) Nella cultura
fisica tutto dipende dalla pratica e dalla disciplina, e il fanciullo
non ha bisogno di conoscere alcuna massima. È cultura passiva pel
discepolo, che deve seguire l’altrui direzione. Altri pensano per lui.
b) La cultura morale
si fonda sulle massime, e non sulla disciplina. Tutto è perduto
quando la si voglia fondare sull’esempio, sulle minacce, sulla punizione, e via
dicendo. Sarebbe allora una pura disciplina. Bisogna fare in modo che l’allievo
operi bene secondo le proprie sue massime e non per mero abito, e che non
faccia solamente il bene, ma che lo faccia perché è bene in sè.
Imperocché tutto il valore morale delle azioni risiede nelle massime del bene.
Tra l’educazione fisica e l’educazione morale corre questo divario: la prima
è passiva per l’allievo, mentre la seconda è attiva. Fa duopo
ch’egli veda sempre il principio fondamentale dell’azione e il vincolo che la
rannoda all’idea del dovere.
2° Cultura
particolare delle facoltà dello spirito. Questa cultura risguarda
l’intelligenza, i sensi, la immaginazione, la memoria, l’attenzione e lo
spirito (Witz) come qualità peculiare. Abbiamo già parlato
della cultura dei sensi, per esempio della vista. In quanto alla immaginazione,
devesi notare una cosa ed è, che i fanciulli son dotati di una
immaginazione potentissima, e però questa non ha bisogno d’essere sviluppata
ed estesa con favole e novelle. Piuttosto dev’essere frenata e sottoposta a regole,
senza lasciarla però disoccupata del tutto.
Le carte
geografiche sono una grande attrattiva per tutti i fanciulli, anche pei
bambini: Benché stanchi d’ogni altro studio, essi imparano ancora qualcosa per
mezzo delle carte. Questa pei fanciulli è una distrazione conveniente,
dove la immaginazione, senza divagar troppo, trova da fermarsi su certe figure.
Onde si potrebbe far loro incominciare gli studi dalla Geografia, cui sarebbero
unite figure di animali, di piante, eccetera, destinate a vivificare la
Geografia stessa. La Storia dovrebbe venire più tardi.
Riguardo
all’attenzione, vuolsi notare ch’essa ha bisogno d’essere fortificata in
generale. Unire fortemente i nostri pensieri ad un oggetto non è una
prerogativa ma una debolezza del nostro senso interiore, il quale si mostra
indocile in questo caso e non si lascia applicare dove noi vogliamo. Nemica
d’ogni educazione si è appunto la distrazione. La memoria suppone
l’attenzione.
38. Ora
passiamo alla cultura delle facoltà superiori dello spirito, che
sono l’intelletto, il giudizio e la ragione. Si può cominciare dal
formare in qualche modo passivamente l’intelletto, chiedendogli esempj che si
applichino alla regola, o al contrario la regola che si applichi agli esempj
particolari. Il giudizio mostra l’uso che dee farsi dell’intelletto. È
necessario di capir bene quello che s’impara o si dice, e di non ripetere
alcuna cosa senza averla già compresa. Quanti leggono ed ascoltano certe
cose che poi ammettono senza capirle! E qui fa mestieri di ricordare la
differenze tra la immagini e le cose stesse.
La ragione ci
fa conoscere i principî. Ma bisogna por mente che qui si tratta d’una ragione
non ancora diretta o educata. Essa pertanto non deve sempre voler ragionare, ma
badare di non ragionar troppo su quanto è superiore alle nostre idee.
Qui non si parla ancora della ragione speculativa, ma della riflessione su
ciò che avviene secondo la legge degli effetti e delle cause. V’ha una
ragione pratica sottoposta al suo impero ed alla sua direzione.
Il miglior
modo di coltivare le facoltà dello spirito consiste nel far da sè
tutto quello che si vuol fare; per esempio, mettere in pratica la regola
grammaticale che abbiamo imparata. Si capisce segnatamente una carta
geografica, quando possiamo eseguirla da noi. Il miglior mezzo di comprendere
è quello di fare. Quello che s’impara e si ritiene più
stabilmente e meglio è appunto ciò che s’impara in qualche
maniera da noi stessi. Ma pochi sono gli uomini che siano in grado di far da maestri
a sè medesimi. Questi chiamansi grecamente autodidascali (autodidactoi).
Nella cultura
della ragione bisogna praticare il metodo di Socrate. Costui, infatti, che
chiamava sè stesso l’ostetricante della intelligenza de’ suoi uditori,
ne’ suoi dialoghi, conservatici in qualche maniera da Platone, ci dà
esempi del come si può guidare anco le persone d’età matura a
tirar fuori certe idee dalla loro propria ragione. Su molti punti non è
necessario che i fanciulli esercitino la mente loro. Non devono ragionare su
tutto. Non hanno bisogno di conoscere le ragioni di quanto può conferire
alla loro educazione; ma quando si tratta del dovere, necessita farne loro
conoscere i principi. Tuttavia si deve generalmente fare in modo che cavino da
loro stessi le cognizioni razionali, piuttosto che introdurvele. Il metodo
socratico dovrebbe servir di norma al metodo catechetico. Esso è
certamente un po’ lungo; e torna difficile condurlo in maniera tale da fare
imparare agli altri qualcosa, mentre si cavano le cognizioni dalla mente d’uno.
Il metodo meccanicamente catechetico giova pure in molte scienze, come
nell’insegnamento della religione rivelata. Nella religione universale, al
contrario, devesi praticare il metodo socratico. Ma per tutto ciò che
dev’essere insegnato storicamente, si raccomanda il metodo meccanicamente catechetico.
39. Dobbiamo
qui trattare anche la cultura del sentimento del piacere o del castigo.
Dev’essere negativa; il sentimento non dev’essere effeminato. La inclinazione
alla effeminatezza è per l’uomo il più funesto di tutti i mali
della vita. Dunque preme sommamente d’avvezzare per tempo i giovani al lavoro.
Quando non sono già effeminati, amano in realtà i divertimenti
misti di fatica e le occupazioni che richiedono un certo uso di forze. Non
dobbiamo renderli incontentabili nei loro piaceri e lasciarne loro la scelta.
Qui le madri guastano per ordinario i loro figli e li rendono troppo delicati.
E tuttavia si osserva che i figli, specie i giovinetti, amano più il
loro padre che la madre; forse perché la madre non permette loro di saltare, di
correre da un punto all’altro, per timore che non accada loro qualcosa di
sinistro. Il padre, invece, che li sgrida, che li picchia quando non sieno
stati buoni, li conduce talvolta in campagna, e quivi li lascia correre,
giuocare e divertirsi a loro posta, conforme alla loro età.
Si crede di
esercitare la pazienza de’ giovinetti facendo loro attendere una cosa per lungo
tempo. Il che non dovrebbe essere punto necessario. Ma essi han bisogno di
pazienza nelle malattie e in altre contingenze della vita. Di due sorta
è la pazienza: consiste o nel rinunziare ad ogni speranza, o nel
prendere nuovo coraggio. La prima non è necessaria, quando si desideri
unicamente il possibile; e si può aver sempre la seconda, quando non
altro si desideri che il giusto. Ma tanto funesto è il perdere la
speranza nelle malattie, quanto è favorevole il coraggio al ristabilirsi
della salute. Chi è capace di mostrarne ancora nel suo stato fisico o
morale, non rinuncia alla speranza.
Non bisogna
render più timidi i fanciulli. Questo accade principalmente quando ci
rivolgiamo ad essi con parole ingiuriose e quando si umiliano spesso. Conviene pertanto
biasimare quelle parole che molti genitori indirizzano ai loro figli: Eh, non
ti vergogni! Non vedesi di che i fanciulli potrebbero vergognarsi quando, per
esempio, mettono in bocca il loro dito. Si può dir loro che ciò
non sta bene, questo non essendo l’uso: ma dobbiamo dir loro che si vergognino
solamente quando mentiscono. La natura ha dato all’uomo il rossore della
vergogna, perché si palesi quand’egli mentisce. Se dunque i genitori parlassero
di vergogna ai loro figli solamente quando mentiscono, essi conserverebbero
fino alla morte questo rossore per la menzogna. Ma se li facciamo arrossire di
continuo, si darà loro una timidezza che non li abbandonerà
più.
Come abbiamo
detto qua sopra, non devesi piegare la volontà dei fanciulli, ma
dirigerla per modo che ella sappia cedere agli ostacoli naturali. Sulle prime
il fanciullo deve obbedire ciecamente. Non è conforme a natura ch’egli
comandi con le sue grida, e che il forte obbedisca al debole. Dunque non va mai
ceduto alle grida dei fanciulli e dei bambini stessi, perché ottengano
così ciò che vogliono. Qui i genitori per lo più
s’ingannano, e credono di poter rimediare al male più tardi ricusando ai
loro figli quanto dimandano. Ma è assurdo il negar loro senza ragione
quello che essi attendono dalla bontà dei genitori, coll’unico intento
di far loro sentire che sono più deboli.
Guasta i
fanciulli chi lascia far loro quello che vogliono, e li educa malissimo chi va
sempre contro la loro volontà ed i loro desiderii. Il che avviene
ordinariamente sino a che i figli sono un trastullo pei genitori, segnatamente
nel periodo in cui cominciano a parlare. Ma questa indulgenza reca loro un gran
danno per tutta la vita. L’opposizione ai voleri loro certamente impedisce
ch’essi manifestino il proprio cattivo umore; ma ciò non fa che renderli
più adirosi. Non hanno ancora imparato a conoscere come debbono
governarsi. - Impertanto la regola da praticarsi coi bambini è questa:
andare a soccorrerli quando gridano e si teme che non accada loro qualche male,
ma lasciarli gridare quando lo fanno per cattivo umore. E una somigliante condotta
bisogna costantemente tenere più tardi. La resistenza che in questo caso
trova il bambino è affatto naturale e propriamente negativa, poiché
rifiuta semplicemente di cedere a lui. Molti figliuoli, invece, ottengono dai
loro genitori quello che desiderano, mercé le preghiere. Ove si lasci ottenere
loro ogni cosa con le grida, essi divengono cattivi; ma se ottengono tutto con
le preghiere, diventano dolci. Bisogna dunque cedere alla preghiera del
fanciullo, salvo che non ci sia qualche potente ragione in contrario. Ma quando
ci siano queste ragioni per non cedere, non bisogna lasciarsi più
commuovere da molte preghiere. Ogni rifiuto dev’essere irrevocabile. Ecco un
mezzo certo per non ripetere così di frequente il rifiuto.
Supponete che
vi sia nel fanciullo (cosa da potersi ammettere assai di rado) una tendenza
naturale alla indocilità: il miglior partito si è, quando egli
non faccia niente per rendersi a noi piacevole, di non far niente per lui.
Piegando la sua volontà, gl’ispiriamo sentimenti servili; la resistenza
naturale, al contrario, genera la docilità.
40. La
cultura morale vuolsi fondare su certe massime, non sulla disciplina.
Questa impedisce i difetti; quelle formano la maniera di pensare. Bisogna fare
in modo che il fanciullo si avvezzi ad operare secondo le massime, e non
secondo certi motivi. La disciplina non genera altro che gli abiti, i quali
svaniscono con gli anni. Necessita che il fanciullo impari ad operare secondo
certe massime, di cui veda egli stesso la convenienza. Non occorre dimostrare
come sia difficile di ottenere questo dai bambini, e come la cultura morale
richieda molte cognizioni da parte dei genitori e dei maestri.
Quando un
fanciullo mentisce, per esempio, non si deve punire, ma. si deve trattare con
disprezzo, dirgli che in avvenire non gli crederemo più, e somiglianti.
Ma se lo castighiamo quando fa male, e lo ricompensiamo quando fa bene, egli
allora fa il bene per essere ben trattato; e quando più tardi
entrerà nel mondo dove le cose procedono altrimenti, dove cioè
egli può fare il bene ed il male senza riceverne ricompensa o castigo,
non penserà che ai mezzi per conseguire il suo fine, e sarà buono
o cattivo secondo l’utile proprio.
Le massime
della. condotta umana vanno desunte dall’uomo stesso. Devesi cercare per tempo
d’inculcare ai fanciulli, mediante la cultura morale, l’idea di ciò che
è bene o male. Se vogliamo fondare la moralità, non bisogna
punire. La moralità è qualcosa di così santo e sublime che
non si deve abbassare a questo punto, nè metterla al pari colla
disciplina. I primi sforzi della cultura morale devono tendere a formare il
carattere, il quale consiste nell’abito d’operare secondo certe massime. Queste
dapprima sono le massime della scuola e poi quelle dell’umanità. Sul
principio il fanciullo obbedisce a certe leggi. Anche le massime sono leggi, ma
personali o soggettive, perché derivano dall’intelligenza stessa dell’uomo.
Niuna trasgressione alla legge della scuola deve restare impunita, ma la pena
vuol essere sempre proporzionata alla colpa.
Quando si
vuol formare il carattere dei fanciulli preme assai di mostrar loro in tutte le
cose un certo disegno, certe leggi, che essi ponno seguire fedelmente. Quindi,
a mo’ d’esempio, si stabilisce loro un tempo per dormire, per lavorare, per
ricrearsi; questo tempo, stabilito che sia, non devesi più né allungare
né abbreviare. Nelle cose indifferenti si può lasciare l’elezione ai
fanciulli, a patto bensì che poi osservino sempre la legge che han fatto
a sè stessi. Non bisogna tentare, per altro, di dare a un fanciullo il
carattere di un cittadino, ma quello di un fanciullo.
Gli uomini
che non si sono proposti certe regole non potrebbero inspirare molta fiducia;
spesso ci accade di non poterli comprendere, né mai sappiamo da qual verso
conviene pigliarli. Vero è che non di rado si biasima la gente che opera
sempre secondo certe regole, come un tale che ha sempre un’ora ed un tempo
stabilito per ogni azione; ma sovente questo biasimo è ingiusto, e quella
regolarità è una favorevole disposizione al carattere, benché
sembri una tortura.
Elemento
essenziale del carattere d’un fanciullo, e segnatamente d’uno scolare, è
soprattutto l’obbedienza. Questa è di due sorte: prima, un’obbedienza
alla volontà assoluta di chi dirige; seconda, un’obbedienza ad
una volontà risguardata come ragionevole e buona. L’obbedienza
può venire dal costringimento, dall’autorità, e allora è assoluta;
o dalla fiducia, e in questo caso è volontaria. Importantissima
è la seconda; ma anche la prima è assolutamente necessaria,
perché questa prepara il fanciullo al rispetto delle leggi che dovrà
più tardi osservare come cittadino, quand’anche non gli andassero a
genio.
Si deve
dunque sottoporre i fanciulli ad una certa legge di necessità. Ma questa
legge dev’essere universale, e bisogna averla sempre dinanzi alla mente nelle
scuole. Il maestro non deve mostrare alcuna predilezione, alcuna preferenza per
uno scolare tra molti: chè diversamente la legge cesserebbe d’essere
universale. Quando il fanciullo vede che tutti gli altri non sono sottoposti
alla medesima legge come lui, diviene ostinato.
Si dice
sempre che ogni cosa va presentata in modo tale ai fanciulli che la facciano
per inclinazione. Il che in molti casi è certamente bene, ma parecchie
cose vogliono esser loro prescritte come doveri. E ciò in progresso
tornerà loro utilissimo per tutta la vita. Imperocché nei servizii
pubblici, nelle funzioni unite alle cariche, ed in molti altri casi il dovere
solo può guidarci e non la inclinazione. Ove supponessimo che il
fanciullo non comprendesse il dovere, sarebbe sempre meglio di fornirgliene
l’idea; e d’altra parte egli sa che ha doveri come fanciullo, quantunque veda
più difficilmente d’averne come uomo. Se comprendesse ancor questo, il
che solo con gli anni è possibile, l’obbedienza sarebbe ancor più
perfetta.
Ogni
violazione d’un ordine pel fanciullo è un mancare di obbedienza, che porta
seco una punizione. Ma non è inutile di punire anche una semplice
negligenza. La pena è fisica o morale.
La pena
è morale quando si attutisce la nostra inclinazione ad essere
onorati ed amati, due aiuti della moralità, come quando si umilia, o si
accoglie freddamente il fanciullo. Tale inclinazione dev’essere, finché si
può, conservata. Ora questa sorta di pena è la migliore, perché
aiuta la moralità; per esempio, se un fanciullo mentisce, castigo
sufficiente ed il migliore per lui è un’occhiata di disprezzo.
La pena fisica
consiste o nel ricusare al fanciullo ciò che desidera, o
nell’infliggergli una certa punizione. La prima sorta di pena si avvicina a
quella morale, ed è negativa. Le altre pene vanno adoperate con
precauzione, affinché non generino disposizioni servili (indoles servilis). Non
conviene dar ricompense ai fanciulli, perché ciò li rende interessati e
genera in essi disposizioni mercenarie (indoles mercenaria).
Inoltre,
l’obbedienza risguarda ora il fanciullo, ora il giovinetto. Il
mancare d’obbedienza deve sempre avere la sua pena. Questa punizione, che si
merita l’uomo per la sua condotta, o è affatto naturale, come
sarebbe la malattia che si procura il fanciullo quando mangia troppo; e questa
specie di pena è la migliore, perché l’uomo la subisce non solamente
nella infanzia, ma per tutta la vita. O la pena è artificiale. Il
bisogno di essere stimati ed amati è un espediente sicuro per rendere i
castighi durabili. Le pene fisiche vanno adoperate solo come rimedio alla
insufficienza delle pene morali. Quando il castigo morale non ha più
efficacia e si ricorre alla pena fisica, bisogna rinunziare per sempre a
formare con questo mezzo un buon carattere. Ma sulle prime la pena fisica serve
a riparare la mancanza di riflessione nel fanciullo.
Non approdano
i castighi inflitti con segni manifesti di collera. Allora i fanciulli ci
vedono solamente gli effetti della passione altrui, e considerano sè
stessi come vittime di questa passione. In generale, bisogna fare in modo che i
fanciulli stessi vedano come il fine vero e ultimo delle pene inflitte sia il
loro miglioramento. È assurdo pretendere che il fanciullo da voi punito
vi renda grazie, vi baci le mani, e via dicendo; sarebbe un volerne fare uno
schiavo. Quando le pene fisiche sono di frequente ripetute, formano caratteri
ostinati e intrattabili, e quando i genitori puniscono i figliuoli per l’egoismo
loro, non fanno altro che renderli ancora più egoisti. Non sono sempre i
più cattivi quegli uomini che si dicono intrattabili, ma questi spesso
arrendonsi facilmente con le buone maniere.
L’obbedienza
del giovinetto è diversa da quella del fanciullo, e sta nel sottomettersi
alle regole del dovere. Fare una cosa per dovere equivale ad obbedire la ragione.
Parlar di dovere ai fanciulli è fiato sprecato; essi alla fin fine
concepiscono il dovere come una cosa da farsi sotto pena di essere frustati.
Unicamente dai suoi istinti potrebbe esser guidato il fanciullo; ma, quando
cresce, gli necessita l’idea del dovere. Parimente, non devesi cercare di
mettere innanzi ai fanciulli il sentimento della vergogna, ma riserbarlo alla
età giovanile. Difatti non può aversi tal sentimento se prima non
siasi radicata la nozione dell’onore.
Una seconda
dote, a cui bisogna soprattutto mirare nella formazione del carattere del
fanciullo, è la veracità. Questo infatti è il tratto
principale e l’attributo essenziale del carattere. Un uomo che mentisce non ha
carattere, e se v’ha in lui qualcosa di buono lo deve al suo temperamento.
Molti fanciulli hanno una disposizione alla menzogna, che spesso deriva
unicamente da una tal quale vivacità d’immaginazione. È dovere
dei padri segnatamente di badare che i figli non contraggano questo abito,
poiché le madri non vi annettono per ordinario che niuna o poca importanza; se
pure esse non vi trovino una prova lusinghiera delle attitudini e delle
capacità superiori dei loro figli. Qui torna opportuno di ricorrere al
sentimento della vergogna, poiché il fanciullo in questo caso lo comprende
benissimo. In noi si manifesta il rossore della vergogna quando mentiamo, ma
questa non è sempre una prova di aver mentito o di mentire. Sovente
arrossiamo della impudenza onde altri ci accusa d’una colpa. Non devesi cercare
a verun costo di trar di bocca ai fanciulli la verità per via di
punizioni, avesse pure a cagionare qualche danno la loro menzogna: e’ saranno
allora puniti per questo danno. La sola pena che ai mendaci convenga è
la perdita della stima.
Possiamo
dividere le pene ancora in negative e in positive. Le negative si
applicherebbero alla infingardia, o alla mancanza di moralità o almeno
di gentilezza, come la menzogna, il difetto di cortesia, la insocialità.
Le pene positive sono riservate alla malvagità. Preme sommamente di non
tener rancore verso i fanciulli.
Una terza
dote del carattere del fanciullo è la socialità. Egli deve
pur conservare con gli altri relazioni di amicizia, e non vivere sempre e tutto
per sè. Parecchi maestri, è vero, sono contrari a questa idea: ma
è ingiustissimo. I fanciulli debbono così prepararsi al
più dolce di tutti i piaceri della vita. Dal canto loro, i maestri non
hanno da preferire alcuno di essi per le sue doti intellettuali, ma pel
carattere; diversamente ne risulterebbe una gelosia contraria all’amicizia.
I fanciulli
debbono essere anche ingenui, aperti, e nello sguardo sereni come il sole. Un
animo contento è solo capace di trovar piacere nel bene. Ogni religione
che renda cupo l’uomo è falsa, poichè egli deve servire Dio con
piacere e non per forza. Non bisogna sempre comprimere l’allegria sotto la dura
soggezione della scuola, ché allora sarebbe presto annientata: la
libertà la conserva. Di qui la utilità di certi giuochi, dove il
cuore si manifesta e si allarga, e dove il fanciullo si studia di superare i
compagni. L’anima ritorna allora serena. Molte persone risguardano il tempo
della loro gioventù come il più felice e piacevole della vita. Ma
in realtà non è così. Gli anni giovanili sono i più
penosi, perché allora siamo sotto il giogo, di rado possiamo avere un amico
vero e più di rado ancora godere la libertà. Orazio aveva
già detto:
Multa tulit
fecitque puer sudavit et alsit.
41. I
fanciulli hanno da essere istruiti solo in quelle cose che si addicono
all’età loro. Molti genitori si rallegrano tutti vedendo i loro figli
parlare col senno proprio de’ vecchi. Ma da figliuoli di questa sorta per lo
più non si ricava niente. Un fanciullo non può avere che la prudenza
di fanciullo: e’ non dev’essere un cieco imitatore. Ora, un fanciullo che vi
pone davanti le massime del senno proprio degli uomini, va fuori della via
tracciata alla sua età, e non fa che imitare servilmente. Egli dee avere
solamente l’intelligenza d’un fanciullo, e non deve mettersi in evidenza
così presto. Un fanciullo cosiffatto non diventerà mai un uomo
illustre e d’una mente serena. Non si può egualmente tollerare un
fanciullo che voglia già eseguire tutte le mode, per esempio, farsi
radere, portare anelli ed anche una tabacchiera. E’ diviene così un individuo
affettato, che non rassomiglia punto ad un fanciullo. Una vera società
civile per lui è un peso, e finisce per mancargli del tutto il vero
coraggio dell’uomo. Bisogna dunque combattere per tempo la sua vanità,
o, meglio ancora, non fornirgli occasione di diventar vano. Il che appunto
avviene quando non facciamo che ripetere ai fanciulli che sono belli, che
questa o quella acconciatura di capelli torna loro a meraviglia, o che si
promette o dà loro quella parrucca come un premio. Essi devono
risguardare i propri abiti come belli o brutti solo in quanto sono necessari al
corpo. Ma i genitori stessi non spendano molte cure pei loro abiti, ed evitino
di specchiarsi a lungo alla presenza de’ figli; dacché qui, come per tutto,
l’esempio ha grandissima efficacia e fortifica o distrugge le buone dottrine.
B.
Dell’educazione
pratica.
42.
L’educazione pratica abbraccia: 1° l’abilità; 2° la prudenza; 3° la
moralità. Riguardo all’abilità, si richiede che sia
fondata, soda e non fuggitiva. Non si deve aver l’aria di conoscere quello che
non possiamo poi tradurre in atto. L’abilità deve anzitutto essere ben
fondata, soda e convertirsi a poco a poco in abito della mente. Qui sta
l’elemento essenziale del carattere d’un uomo. L’abilità è
necessaria all’ingegno.
La prudenza
consiste nell’arte di applicare all’uomo la nostra abilità, ossia di
giovarci degli uomini per i nostri fini. Molte condizioni son necessarie ad
acquistare la prudenza; la quale è propriamente l’ultima virtù
dell’uomo, ma pel suo pregio tiene il secondo posto.
Se un giovane
deve abbandonarsi alla prudenza, è necessario ch’ei si renda chiuso
d’animo e impenetrabile, e sappia bene indagare l’animo altrui. Rispetto al
carattere segnatamente egli dev’essere chiuso d’animo. L’arte di apparire
esteriormente è la convenienza, e bisogna possedere quest’arte. Difficil
cosa è indagare l’animo altrui, ma devesi necessariamente comprendere
l’arte di render sè stesso impenetrabile. Bisogna pertanto dissimulare,
cioè nascondere i propri difetti. Dissimulare non è sempre
fingere e può talvolta esser lecito, ma si avvicina, oltre che
all’astuzia, alla immoralità. La dissimulazione è un mezzo
disperato. La prudenza richiede che l’uomo non dimostri troppa furia, ma
neppure che sia indolente. Non dobbiamo pertanto essere furiosi, ma energici;
il che non è la stessa cosa. Uomo energico (strenuus) è
colui che prova diletto nel volere. Qui si tratta. di moderare l’affetto. La
prudenza ha relazione col temperamento.
La moralità
risguarda il carattere. Sustine et abstine, questo è il modo
di prepararsi ad una savia moderazione. Se vogliamo formare un buon carattere,
bisogna prima domar le passioni. Riguardo alle sue tendenze, l’uomo deve
acquistar l’abito di non lasciarle degenerare in passioni e di fare a meno di
quanto gli è negato. Sustine vuol dire: sopporta ed avvezzati a
sopportare.
Per
avvezzarsi a fare a meno d’una cosa ci vuole coraggio ed una certa disposizione
di animo. Fa d’uopo avvezzarsi ai rifiuti, alla resistenza, e va dicendo.
Al
temperamento appartiene la simpatia. Convien preservare i fanciulli da una
simpatia troppo viva o troppo languida. La simpatia si addice realmente alla
sensibilità; conviene solo ad un carattere sensibile. Si distingue pure
dalla compassione, e forma un male che consiste nel rimpiangere semplicemente
una cosa. Ai fanciulli dovrebbesi regalare un po’ di denaro, perché possano
aiutare i bisognosi: a questo modo si vedrebbe se hanno, o meno, compassione
per gli altri; quando i figli sono generosi coi quattrini dei genitori, perdono
questa dote dell’animo.
La. massima: festina
lente significa un’operosità costante. Dobbiamo affrettarci ad
imparar molte cose, festina; ma bisogna anche saperle profondamente, e però
in ogni cosa spendervi il tempo necessario, lente. Alla dimanda, se ad
una gran somma di cognizioni sia o no preferibile una minor somma di conoscenze
ma più soda, si risponde: Val meglio saper poco ma saperlo bene, che
saper molto ma superficialmente; perché in questo caso uno finirà sempre
per accorgersi della imperfezione delle sue conoscenze. Ma il fanciullo ignora
altresì in quali circostanze avrà bisogno di queste o di quelle
cognizioni, e quindi è meglio ch’ei sappia di tutto qualcosa profondamente:
se no egli ingannerebbe ed abbaglierebbe gli altri con imperfette cognizioni.
La cosa
più importante si è di fondare il carattere; il quale consiste
nella ferma risoluzione di voler fare una cosa e di metterla realmente in
pratica. Vir propositi tenax, dice Orazio; ed ecco il buon carattere.
Se, a mo’ d’esempio, ho promesso una cosa, io devo attenere la mia promessa,
qualunque danno possa derivarmene. Difatti, un uomo che prende una certa
risoluzione e che non la eseguisce, non può aver più fiducia in
sè stesso. Se, puta caso, avendo risoluto di alzarmi tutti i giorni di
buon’ora per studiare, o per fare questa o quella cosa, o per passeggiare, poi
non ne fo niente, scusandomi, in primavera perché di mattina fa troppo freddo e
mi potrebbe far male, in estate perché è bene dormire ed il sonno mi
è particolarmente piacevole; e se rimando di giorno in giorno d’eseguire
la mia risoluzione, finisco col perdere ogni fiducia in me stesso.
Tutto quello che si oppone alla morale
dev’essere escluso dalle nostre risoluzioni. Il carattere in un uomo cattivo
è cattivissimo, e già si chiama un uomo caparbio; ma si ama
sempre di vedere che uno eseguisca le sue risoluzioni e vi si mostri costante,
benché si preferisca di vederlo costante nel bene.
Non
c’è molto da sperare da colui che procrastina sempre d’eseguire i suoi intendimenti,
come la sua. futura conversione. Difatti, un uomo che ha sempre vissuto nel
vizio e che vuol essere convertito in un attimo, non può riescirvi: si
richiederebbe un miracolo perché egli divenisse, in un batter d’occhio, eguale
a colui che ha vissuto onestamente tutta la vita. Impertanto nulla possiamo
riprometterci dai pellegrinaggi, dalle mortificazioni e dai digiuni, perché non
si vede in che possano questi pellegrinaggi ed altre pratiche somiglianti cooperare
a far d’un vizioso un uomo onesto. Qual profitto possono l’onestà e il
miglioramento dei costumi ricavare dal digiunare il giorno, salvo a mangiar di
più la notte, o dall’infliggere al corpo una pena che in nulla potrebbe
conferire alla conversione dell’anima?
Se vogliamo
fondare un carattere morale nei fanciulli preme di seguire le infrascritte
norme.
Bisogna
indicar loro, meglio che si può, con esempi e regolamenti, i doveri da
compiere. Questi doveri sono quelli stessi ordinari che i fanciulli hanno verso
sè medesimi e verso gli altri, e però vanno desunti dalla natura
delle cose. Vediamo più di proposito in che consistono.
a) Doveri verso
sè stesso. Questi non consistono già nel procurarsi un abito
magnifico, nel darsi lauti desinari, quantunque nelle vesti e nei desinari
convenga ricercare la decenza. E neppure consistono nel cercar di soddisfare i
nostri desideri e le nostre inclinazioni, poiché dobbiamo anzi mostrarci
temperanti e riservati; ma consistono nel conservare nella personalità
interiore una certa dignità, che fa dell’uomo una creatura più
nobile di tutte le altre. Difatti, all’uomo corre obbligo di non disconoscere
nella sua propria persona la dignità della natura umana.
Ora noi
dimentichiamo questa dignità quando, per esempio, ci diamo all’ebbrezza
e a vizî contro natura, ad ogni sorta d’intemperanza: cose tutte che pongono
l’uomo più basso ancora dell’animale. Nè meno contrario alla
dignità umana è l’avvilirsi dinanzi agli altri, o ricoprirli di
complimenti, sperando di cattivarsi l’animo loro con una condotta sì
indegna.
Dovrebbesi
far sentire la dignità umana al fanciullo nella sua propria persona, nel
caso (per esempio) di laidezza, che almeno disdice all’umanità. Ma
è soprattutto colla menzogna che il fanciullo si rende inferiore alla
natura umana, giacché suppone oramai dispiegata in lui la facoltà di.
pensare e quella di comunicare agli altri i suoi pensieri. La menzogna fa
dell’uomo un essere degno di generale disprezzo, e lo rende a sè stesso
indegno di quella stima e fiducia che ognuno dovrebbe portare a sè medesimo.
b) Doveri verso
gli altri. Si deve per tempo inculcare al fanciullo il rispetto dei diritti
dell’uomo, e procurare che lo metta in pratica. Se un fanciullo, poniamo, incontra
un altro fanciullo povero e lo respinge fieramente dalla sua via, o se gli
dà un colpo, non dobbiamo dirgli: «Non far così, ciò fa
male a questo fanciullo, e somiglianti espressioni:» ma alla sua volta bisogna
trattarlo con la stessa fierezza, e vivamente fargli sentire quanto la sua
condotta è contraria al diritto dell’umanità. La
generosità i fanciulli non la posseggono affatto. A persuadersi di
ciò, basta che i genitori impongano al loro figlio di dare a un altro la
metà d’una fetta di pane coperta di burro senza promettergliene
un’altra; o il figlio non obbedisce, o se per caso obbedisce, lo fa mal
volentieri. D’altra parte, come parlare di generosità ai fanciulli, se
ancora non ne hanno affatto?
Parecchi
autori hanno pienamente omessa o mal compresa, come il Crugott, la sezione
della morale che comprende la dottrina dei doveri verso sè stesso. Il
dovere verso sè stesso consiste, come si è detto, nel conservare
la dignità della natura umana nella propria persona. L’uomo, fermandosi
colla mente sull’idea dell’umanità, biasima e corregge sè stesso.
In questa idea trova un originale, un modello a cui paragona sè
medesimo. Quando gli anni crescono e la inclinazione pel sesso incomincia a
farsi sentire, quello è il momento difficile; e l’idea della
dignità umana è sola capace di frenare il giovane. Bisogna
avvertirlo in tempo a diffidare di questo o di quello.
Nelle nostre
scuole manca. quasi interamente una cosa che tuttavia sarebbe così utile
per educare all’onestà i fanciulli, manca cioè un catechismo
morale del diritto (Katechismus des Rechts)[3].
Esso dovrebbe contenere, sotto forma popolare, casi risguardanti la condotta da
tenersi nella vita ordinaria, e che naturalmente implicherebbe sempre questa
questione: Ciò è giusto od ingiusto? Se qualcuno, che dovesse
oggi pagare il suo creditore, si lasciasse commuovere alla vista d’un infelice
e gli desse la somma che ha da pagare al suo creditore, farebbe cosa giusta?
Ingiusta, perché chi vuol praticare la beneficenza occorre sia libero da ogni
debito verso gli altri. Soccorrendo un povero, fo una cosa meritoria; ma
pagando il mio debito, fo il dover mio. Si domanderebbe, inoltre, se la
necessità può giustificare la menzogna. No di certo! non si
potrebbe concepire un solo caso in cui potesse ciò scusarsi, almeno davanti
ai fanciulli; ché altrimenti essi piglierebbero la più lieve cosa per
una necessità e si permetterebbero spesso di mentire. Se ci fosse un
libro di questo genere, vi si potrebbe spendere con grande utilità
un’ora ogni dì, per insegnare ai fanciulli a conoscere ed a pigliare a
cuore i diritti degli uomini, che sono eccitamento posto da Dio sulla terra.
In rispetto
all’obbligo di essere benefici, questo è un dovere imperfetto. Occorre
meno affievolire che eccitare l’animo dei fanciulli per renderlo sensibile alle
sventure altrui. Che il fanciullo sia tutto penetrato non dal sentimento, ma
dall’idea del dovere! Molte persone son divenute realmente dure di cuore
perchè altre volte essendosi mostrate compassionevoli, furono di sovente
tratte in inganno. È inutile di voler far sentire a un fanciullo il lato
meritorio delle azioni. I preti commettono assai volte l’errore di presentare
gli atti di beneficenza come qualcosa di meritorio. Anche senza riflettere che,
agli occhi di Dio, non possiamo far mai che il nostro dovere, si può
dire che adempiamo semplicemente l’obbligo nostro beneficando i poveri. Difatti,
la disuguaglianza del benessere tra gli uomini deriva da mere condizioni accidentali.
Dunque, se io posseggo beni di fortuna li debbo a quelle circostanze che han favorito
me o chi mi ha preceduto, e però devo pensare anco alla società
di cui sono membro.
Si eccita
l’invidia in un fanciullo avvezzandolo a stimare sè stesso giusta il valore
degli altri. Egli deve, al contrario, stimar sè giusta le idee della sua
ragione. Cosi l’umiltà vera e propria è un confronto del nostro
valore colla perfezione morale. La religione cristiana, per esempio, comandando
agli uomini di paragonar sè medesimi al modello sovrano della
perfezione, li rende umili piuttosto che insegnar loro la umiltà. Far
consistere l’umiltà nello stimar sè meno degli altri è
assurdo. - Vedi come questo o quel fanciullo si porta bene! e somiglianti espressioni.
Parlar così ai fanciulli non è certo il modo d’inspirar loro
nobili sentimenti. Quando l’uomo stima sè, giusta il valore degli altri,
cerca o di elevarsi sopra loro, o di abbassarli. Il secondo caso è
proprio dell’invidia. Allora non si pensa che a trovar difetti negli altri;
solo a questa condizione si regge al confronto, e si riesce superiori. Lo spirito
di emulazione applicato non bene produce l’invidia. Quando volessimo persuadere
alcuno che una cosa è fattibile, qui l’emulazione potrebbe giovare:
come, puta caso, quando esigo da un fanciullo un certo còmpito e gli
mostro che altri han potuto farlo.
A un fanciullo
non va permesso di umiliare gli altri in qualsiasi modo. Conviene adoprarsi a
soffocare ogni superbia fondata sui vantaggi della fortuna. Ma bisogna fondare
in pari tempo la franchezza, cioè una modesta fiducia in sè
medesimo. Essa mette l’uomo in grado di mostrare e far valere convenientemente
tutte le sue belle qualità. La franchezza va distinta dall’arroganza,
che sta nel non curarsi affatto dei giudizi altrui.
Tutti i
desiderî umani sono o formali (libertà e potere), o materiali (relativi
ad un oggetto), cioè desiderî d’opinione o di piacere; o, finalmente,
risguardano la semplice durata di queste due cose, come elementi della
felicità.
Sono desiderî
della prima specie quelli degli onori, del potere e delle ricchezze.
Appartengono alla seconda specie i desideri del piacere sessuale
(voluttà), delle cose (benessere materiale) e della società
(conversazione). Sono, infine, desideri della terza specie l’amore della vita,
della salute, delle comodità (il desiderio d’essere scevro di cure
nell’avvenire).
I vizî sono
quelli o di malignità, o di bassezza, o di grettezza d’animo. Alla prima
specie appartengono la invidia, la ingratitudine e la gioia per la sventura altrui;
alla seconda, la ingiustizia, la infedeltà (falsità), il
disordine vuoi nel dissipare le proprie sostanze, vuoi nel rovinarsi la salute
(intemperanza) e la propria reputazione; alla terza specie, la durezza di
cuore, l’avarizia e la infingardia (effeminatezza).
Le
virtù sono o di puro merito, o di obbligazione stretta, o d’innocenza.
La prima classe comprende la magnanimità (che consiste nel domare
sè stesso vuoi nella collera, vuoi nell’amore del benessere materiale e
delle ricchezze), la beneficenza, il dominio sopra sè stesso. Spettano
alla seconda classe l’onestà, la decenza e la dolcezza; alla terza
infine, la buona fede, la modestia e la temperanza.
Si domanda:
l’uomo è moralmente buono o cattivo per sua natura? lo rispondo: egli
non è moralmente buono nè cattivo, perché non è un essere
morale per natura; e’ diviene morale quando innalza la sua ragione fino alle
idee del dovere e della legge. Si può dir tuttavia che l’uomo racchiude
in sè tendenze originarie per tutti i vizî, avendo inclinazioni ed
istinti che lo spingono da una parte, mentre la sua ragione l’attira dalla
parte opposta. Egli dunque potrebbe divenire moralmente buono solo in grazia
della virtù, ossia d’una forza esercitata sopra sè stesso,
quantunque possa rimanere innocente finché non sì destano le sue
passioni.
La maggior
parte dei vizi derivano da quello stato di moralità che fa violenza alla
natura; e ciò nondimeno la nostra destinazione come uomini è di
uscire dal puro stato di natura dove non corre differenza tra noi e gli animali
bruti. L’arte perfetta ritorna alla natura.
Nella
educazione tutto dipende da una cosa ed è: si stabiliscano dovunque buoni
principi e si facciano comprender bene ed accettare dagli alunni. Questi devono
imparare a sostituire all’odio l’orrore di tutto ciò che ripugna
all’animo od è assurdo; il timore della propria coscienza a quello degli
uomini e dei castighi divini; la stima di sè medesimi e la
dignità interiore all’opinione altrui; il pregio intrinseco delle parole
e la condotta ai moti del cuore; l’intelligenza al sentimento; una pietà
serena e di animo lieto a una devozione mesta, cupa e selvaggia.
Ma bisogna
anzitutto preservare i giovani dal pericolo di stimar troppo i meriti della
fortuna (merita fortunae).
43. Se
togliamo ad esame l’educazione dei fanciulli nella sua attinenza colla
Religione, la prima questione da risolvere è questa: Si può
inculcare per tempo ai fanciulli idee religiose? Ecco un punto di Pedagogia sul
quale si è molto disputato. Le idee religiose suppongono sempre qualche
Teologia. Ora, come insegnare una Teologia alla prima gioventù, che non
conosce ancora il mondo e neppure sè stessa? I fanciulli, che non hanno
ancora la nozione del dovere, come potrebbero capire un dovere immediato verso
Dio? Ciò che v’ha di certo si è, che se potesse avvenire che i
fanciulli non fossero mai presenti ad alcun atto di venerazione verso l’Ente
supremo, e non udissero mai pronunziare il nome di Dio, sarebbe allora conforme
all’ordine delle cose d’attirare prima la loro attenzione sulle cause finali e
su quanto si addice all’uomo, di esercitarvi il loro giudizio, d’istruirli
sull’ordine e sulla bellezza de’ fini della natura, di aggiungervi poi una
cognizione più estesa e perfetta del sistema dell’universo, e di venir
cosi alla idea d’un Ente supremo, di un Legislatore. Ma siccome tutto
ciò non è possibile nello stato presente della società,
come non può vietarsi che i fanciulli non odano pronunziare il nome di
Dio e non siano presenti ad atti di devozione verso di Lui, se volessimo
attendere per insegnar loro qualcosa intorno a Dio, ne deriverebbe nel loro
animo una grande indifferenza per la Divinità, o un’idea falsa di essa,
come il timore della potenza divina. Ora, poiché bisogna evitare che questa
idea metta radice nella immaginazione dei fanciulli, devesi cercare per tempo di
inculcar loro idee religiose. Il che, per altro, non vuol essere un mero
esercizio di memoria, nè una pura imitazione affettata, ma devesi al
contrario seguir sempre la via naturale. I fanciulli, pur non avendo ancora
l’idea astratta del dovere, dell’obbligazione, della condotta buona o cattiva,
capiranno esservi una legge del dovere e ch’essa non consiste nel piacere,
nell’utile, o in altre simili considerazioni che la determinano, ma in qualcosa
di generale che non si fonda sui capricci umani. Bensì il maestro
medesimo deve farsi questa idea.
Prima si deve
tutto riferire a Dio nella natura, e attribuire ancor questa a Lui. Per
esempio. si dimostrerà in primo luogo che tutto è disposto per la
conservazione delle specie e per l’equilibrio loro, ma indirettamente anche per
l’uomo affinché possa rendersi felice.
La miglior
via per dare fin da principio un’idea chiara di Dio sarebbe questa: paragonare
per analogia il concetto di Dio con quello d’un padre che abbia cura di noi
tutti; si arriva cosi felicemente a concepire l’unità del genere umano
come una sola famiglia.
In che
adunque consiste la Religione? La Religione è la legge che risiede in
noi stessi, in quanto riceve da un legislatore e da un giudice
l’autorità che ha su noi; è la morale applicata alla cognizione
di Dio. Se la religione non si unisce alla morale, essa altro non è che
una maniera di sollecitare il favore celeste. I cantici, le preghiere, il
frequentare le chiese, tutto ciò deve servire unicamente a dare all’uomo
nuove forze ed un nuovo coraggio per diventare migliore; altro non deve essere
che la pura espressione di un cuore animato dall’idea del dovere; tutto
ciò è preparazione al bene, ma non costituisce il bene in
sè. Non possiamo piacere all’Ente supremo se non diventando migliori.
Ai fanciulli
conviene anzitutto insegnare la legge che hanno entro di loro. L’uomo è
dispregevole agli stessi occhi suoi quando cade nel vizio. Questo disprezzo ha
la sua ragione in sè, e non già nella considerazione che Dio ha
proibito il male; imperocché non è necessario che ogni legislatore sia
nel tempo stesso autore della legge. Così un principe può vietare
il furto nei suoi Stati, e nondimeno egli potrebbe non essere l’autore della
proibizione del furto. Quindi l’uomo riconosce che la sua buona condotta può
solo renderlo degno della felicità. La legge divina deve nel tempo
stesso apparire come una legge naturale, poiché non è arbitraria. La
Religione rientra dunque nella moralità.
Ma non bisogna cominciare dalla
Teologia. La religione che sia fondata semplicemente sulla Teologia, non
può contenere alcun che di morale. Essa non ispirerà altri
sentimenti che il timore da una parte e la speranza del premio dall’altra; e
quindi produrrà un culto superstizioso. La Morale deve pertanto venir
prima della Teologia. E così abbiamo la Religione.
Dimandasi
coscienza la legge considerata in noi. La coscienza è veramente
l’applicazione delle nostre azioni a questa legge. I rimorsi della coscienza
resteranno inefficaci, ove non li consideriamo come rappresentanti di Dio, il
cui trono sublime è fuori e sopra di noi, ma che ha pure stabilito in
noi un tribunale. D’altra parte, quando la Religione non è accompagnata
dalla coscienza morale resta inefficace. La religione senza la coscienza
morale, come abbiamo detto, è un culto superstizioso. Si pretende
servire Dio con lodarlo, per esempio, col celebrarne la potenza e la sapienza,
senza curarsi di osservare le leggi divine, senza neppur conoscere e studiare
la sapienza e potenza di Lui. Taluni cercano in quelle lodi una sorta di
narcotico per la loro coscienza, o una sorta di cuscino sul quale sperano
riposare tranquillamente.
I fanciulli
non sono in grado di capire tutte le idee religiose, ma possiamo tuttavia
inculcarne loro alcune; queste bensì debbono essere piuttosto negative
che positive. È inutile di far recitare formole ai fanciulli; questo non
può dar loro che un’idea falsa della pietà. La vera maniera
d’onorare Dio sta nell’operare secondo la volontà di Lui: ecco la
massima che si deve inculcare ai fanciulli. Nell’interesse loro e
nell’interesse nostro, si badi che il nome di Dio non sia profanato così
spesso. Invocarlo nei desiderî e negli augurî, sia pure con intendimento
pietoso, è una vera profanazione. Ogni qualvolta gli uomini pronunziano
il nome Dio, e’ dovrebbero essere tutti compresi di rispetto; dovrebbero
pertanto farne uso di rado e mai leggermente. Il fanciullo deve imparare a
riverire Dio, prima come signore della sua vita e dell’universo, poi come
protettore o provvidente dell’uomo, e finalmente come suo giudice. Dicesi che
Newton si raccogliesse un momento ogni qualvolta pronunziava il nome di Dio.
Unendo e
rendendo chiare nella mente del fanciullo ad un tempo le nozioni di Dio e del
dovere, gl’insegniamo a rispettar meglio le cure provvidenziali di Dio verso le
sue creature, e lo preserviamo dalla tendenza alla distruzione ed alla
crudeltà, che in tanti modi si compiace di tormentare i piccoli animali.
Si dovrebbe nello stesso tempo istruire la gioventù a scoprire il bene
nel male, mostrandole, per esempio, modelli di nettezza e di operosità
negli animali di rapina e negli insetti. Essi fan ricordare agli nomini cattivi
il rispetto della legge. Gli uccelli che danno la caccia ai vermi, sono i
difensori de’ giardini; e così prosegui.
Bisogna
pertanto inculcare ai fanciulli certe nozioni intorno all’Ente supremo,
affinché quand’essi vedono gli altri pregare, sappiano a chi e perché si fanno
quelle preghiere. Ma poche hanno da essere tali nozioni e, come dicemmo qui
sopra, puramente negative. Devesi cominciare ad imprimerle fin dalla. prima
età nell’animo dei fanciulli, ma insieme badare ch’essi non istimino gli
uomini secondo la pratica della rispettiva religione; imperocché, nonostante la
diversità dei culti religiosi, trovasi dovunque unità di
Religione.
44. Aggiungeremo,
per concludere, alcune osservazioni, rivolte particolarmente ai fanciulli che
entrano nella giovinezza. A quest’età il giovinetto principia a fare
certe distinzioni che non faceva prima. Viene in primo luogo la
differenza dei sessi. La natura ha in qualche modo gettato là sopra il
velo del segreto, come se là ci fosse qualcosa di meno decente per
l’uomo e che per lui fosse un mero bisogno della vita animale. Essa ha cercato
d’unirlo con ogni sorta di moralità possibile. Gli stessi popoli selvaggi
conservano su questo punto una specie di pudore e di ritegno. I fanciulli curiosi
fanno talvolta certe dimande su questa materia alle persone adulte, per esempio:
Donde nascono i bambini? Ma possiamo contentarli facilmente o dando risposte
insignificanti, o dicendo loro che la dimanda è proprio da bambini.
Meccanico
è lo svolgimento di queste tendenze nel giovinetto; e, come in tutti
gl’istinti che si dispiegano in lui, non ha bisogno di conoscerne prima
l’oggetto. È dunque impossibile di mantener qui il giovinetto nella
ignoranza e nella innocenza che l’accompagna. Il silenzio non fa che aggravare
il male. Una prova ci è fornita dall’educazione dei nostri antenati.
Secondo l’educazione dell’età nostra, si ammette giustamente che di
queste cose bisogna parlare al giovinetto senz’ambagi, in modo chiaro e
preciso. Per fermo si tocca un tasto delicato, poiché non se ne fa volentieri
soggetto di conversazione pubblica. Ma tutto sarà ben fatto se gli
parliamo di ciò in modo serio e conveniente, e se penetriamo nelle sue
inclinazioni.
L’età
dei tredici o dei quattordici anni è quella ordinariamente in cui la tendenza
per il sesso dispiegasi ne’ giovinetti (se avviene prima, vuol dire che i
fanciulli sono stati corrotti e perduti da cattivi esempi). A quell’età
il giudizio loro si è già formato, e la natura l’ha provvidamente
preparato affinché possiamo allora discorrere di tal oggetto con essi.
Non v’è cosa che tanto fiacchi
lo spirito e il corpo quanto la specie di voluttà che l’uomo consuma
sopra sè stesso; non occorre dire ch’essa è contraria alla natura
umana. E quindi non si deve più tener celata al giovinetto. Bisogna
mostrargliela in tutto l’orrore suo, e dirgli che si rende così
disadatto alla propagazione della specie, che rovina le sue forze fisiche, che
si prepara una vecchiaia prematura, che consuma il suo spirito, e va dicendo.
Per fuggire
le tentazioni di questo genere bisogna stare occupati sempre, e non concedere
al letto ed al sonno altre ore che le necessarie. A questo modo il giovinetto
caccerà via dalla mente i pensieri cattivi; poiché, sebbene l’oggetto
esista nella pura immaginazione, egli usa ancora la forza vitale. Quando la
inclinazione si porta sull’altro sesso, almeno s’incontra sempre qualche
resistenza; ma quando è rivolta sopra lo stesso individuo, può ad
ogni momento essere appagata. Rovinoso è l’effetto fisico; ma le
conseguenze morali sono ancor più funeste. Qui si varcano i confini
della natura, e la tendenza non è mai sazia, perché non trova mai alcuna
soddisfazione reale. Rispetto ai giovani, alcuni precettori han posto la
quistione: Può ad un giovane permettersi di formare unione con una
persona di sesso diverso? Se bisognasse scegliere uno di questi due partiti, il
secondo sarebbe certamente migliore. Nel primo caso il giovane opererebbe
contro natura; ma nel secondo, no. La natura l’ha destinato a diventare uomo, e
quindi anche a propagare la specie umana, appena è in grado di
proteggere sè stesso; ma i bisogni, ai quali deve necessariamente
sottostare l’uomo nella società civile, non gli consentono di poter
ancora allevare i suoi figli. Qui pertanto egli va contro l’ordine civile. Il
miglior partito pel giovane, e questo è per lui anche un dovere, sta
nell’attendere che sia in grado di unirsi regolarmente in matrimonio. Operando
così, egli si mostrerà non solo uomo dabbene, sì anche
buon cittadino.
Il giovine
apprenda per tempo a dimostrare alla donna tutto il rispetto che le si deve, a
meritarne la stima con lodevole operosità, ed a prepararsi così
all’onore d’una felice unione.
La seconda
differenza che il giovinetto, vicino oramai ad entrare nel mondo, comincia
a porre è quella che risguarda la distinzione dei ceti e la
disuguaglianza degli uomini. Finché resta fanciullo, non bisogna fargli notare
questa differenza. Non gli si deve permettere di comandare ai domestici. S’egli
osserva che i suoi genitori comandano ai domestici, gli si può sempre
dire: Noi li manteniamo, e però essi ci obbediscono. I fanciulli
ignorano del tutto questa differenza, se i genitori non ne porgono loro l’idea.
Convien dimostrare al giovinetto come la disuguaglianza degli uomini sia un
ordine di cose derivato dai vantaggi onde certi uomini hanno cercato di distinguersi
dagli altri. La coscienza dell’eguaglianza degli uomini, nonostante la disuguaglianza
civile, può essergli inspirata a poco a poco.
45. Fa
mestieri di avvezzare il giovine a stimar sè giusta il proprio valore, e
non secondo il valore altrui. La stima degli altri, in tutto ciò che non
costituisce affatto il valore dell’uomo, è vanità. Bisogna,
inoltre, insegnare al giovine a fare ogni cosa coscenziosamente, ed a porre
ogni cura non tanto di parere, quanto di essere. Gli si faccia comprendere che
se prima non ha ben riflettuto, non deve pigliare una risoluzione; meglio
sarebbe di non venire in alcuna deliberazione, e di lasciar sospesa la cosa.
Insegnategli la moderazione ne’ suoi rapporti col mondo e la pazienza nel lavoro:
Sustine. Raccomandategli la temperanza ne’ piaceri: Abstine. Quando
l’uomo non desidera unicamente i piaceri, ma sa ancora essere paziente nel
lavoro, diviene un membro utile alla società e si preserva dalla noia.
Conviene pure
istruire il giovine a mostrarsi festevole e di buon umore. La serenità
dell’animo deriva naturalmente dalla coscienza tranquilla. Raccomandategli pertanto
di conservare lo stesso temperamento. Con l’esercizio egli può arrivare
a mostrarsi sempre di buon umore in società.
Abituatelo a
considerare molte cose come doveri. Un’azione dev’essere pregevole non perché
si accorda colla mia inclinazione, ma perché nel farla io compio il mio dovere.
Bisogna
educare il giovine all’amore verso gli altri e poi a tutti i sentimenti verso
l’umanità. Nell’animo nostro v’ha qualcosa che vuole c’interessiamo di
noi stessi, di coloro coi quali siamo cresciuti non che educati, e del bene
universale. Va reso familiare questo interesse ai fanciulli perchè
riscaldi le anime loro. Essi devono gioire del bene universale, anche quando
non torni a vantaggio della patria o di loro stessi.
Conviene abituarli
ad accordare una mediocre stima al godimento de’ piaceri nella vita.
Così svanirà il timore puerile della morte. Occorre dimostrare ai
giovani che il piacere non fa conseguire ciò che promette.
Bisogna, per
ultimo, fermare la loro attenzione sulla necessità di rendersi conto
ogni giorno della propria condotta, perchè al termine della vita possano
stimare debitamente il valore acquistato.
[1] Il Kant segue in parte, nell’educazione fisica e nella disciplina morale, le dottrine pedagogiche del Rousseau esposte nell’Emilio
(Nota del Traduttore).
[2] È noto che il Comenius (1592-1671) pubblicò nel 1658 un’opera col titolo: Orbis sensualium pictus, a fine di rappresentare ai fanciulli, per via d’immagini, le cose sensibili delle quali si parla loro di mano in mano. L’Orbis pictus del Comenius (come osserva il Compayré nella sua bella Storia della Pedagogia) fu la prima applicazione del metodo intuitivo, divenne assai popolare, e servì di modello ai molti libri con figure, diffusi da oltre due secoli nelle scuole infantili ed elementari.
(Nota del Traduttore).
[3] L’Elvetius (1715-1771)
ebbe l’idea d’un Catechismo di probità. E più tardi, nel
1798 il Saint-Lambert pubblicò un Catechislno universale.
(Nota del Traduttore).