PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro
Novelli
BIBLIOTECA
"I DOLORI
DEL GIOVANE WERTHER"
di Johann
Wolfgang von Goethe
Ho raccolto con cura e qui espongo
quanto ho potuto trovare intorno alla storia del povero Werther, e so che me ne
sarete riconoscenti. Voi non potrete negare la vostra ammirazione e il vostro
amore al suo spirito e al suo cuore, le vostre lacrime al suo destino.
E tu, anima buona, che come lui senti
l'interno tormento, attingi conforto dal suo dolore, e fai che questo scritto
sia il tuo amico, se per colpa tua o della sorte non puoi trovarne di
più intimi.
LIBRO PRIMO
4 maggio 1771.
Come sono lieto di esser partito! Amico
carissimo, che è mai il cuore dell'uomo! Ho lasciato te che amo tanto,
dal quale ero inseparabile, e sono lieto! Pure so che tu mi perdonerai. Tutte
le altre persone che conoscevamo non sembravano forse scelte apposta dal
destino per angosciare un cuore come il mio?
Povera Eleonora! Eppure io ero
innocente. Che potevo fare se mentre le grazie capricciose di sua sorella mi
procuravano un piacevole passatempo, in quel povero cuore nasceva una passione?
Ma... sono proprio del tutto innocente? Non ho forse alimentato i suoi
sentimenti? Non mi sono dilettato delle sue sincere, ingenue espressioni che
tanto spesso ci facevano ridere, e che erano invece così poco risibili?
non ho io... Ah! l'uomo deve sempre piangere su se stesso! Io voglio, caro
amico, e te lo prometto, io voglio emendarmi; non voglio più rimuginare
quel po' di male che il destino mi manda, come ho fatto finora; voglio godere
il presente e voglio che il passato sia per sempre passato. Senza dubbio tu hai
ragione, carissimo, i dolori degli uomini sarebbero minori se essi - Dio sa
perché‚ siamo fatti così! - se essi non si affaticassero con tanta forza
di immaginazione a risuscitare i ricordi del male passato, piuttosto che
sopportare un presente privo di cure.
Sarai così buono di dire a mia
madre che sbrigherò nel miglior modo possibile i suoi affari e gliene
darò notizie quanto prima. Ho parlato con mia zia e non ho affatto
trovato in lei quella donna cattiva che da noi si ritiene lei sia. E' una donna
ardente, passionale e di ottimo cuore. Le ho reso noti i lamenti di mia madre
per la parte di eredità che lei ha trattenuta; me ne ha esposto le
ragioni e mi ha detto a quali condizioni sarebbe pronta a rendere tutto, e
anche più di quanto noi domandiamo. Basta, non voglio scrivere altro su
questo; dì a mia madre che tutto andrà bene. Intanto, a proposito
di questa piccola questione, ho osservato che l'incomprensione reciproca e
l'indolenza fanno forse più male nel mondo della malignità e
della cattiveria. Almeno queste due ultime sono certo più rare.
Del resto io qui mi trovo benissimo; la
solitudine è un balsamo prezioso per il mio spirito in questo luogo di
paradiso, e questa stagione di giovinezza riscalda potentemente il mio cuore
che spesso rabbrividisce. Ogni albero, ogni siepe è un mazzo di fiori e
io vorrei essere un maggiolino per librarmi in questo mare di profumi e potervi
trovare tutto il mio nutrimento.
La città in se stessa non
è bella, ma la circonda un indicibile splendore di natura. Questo spinse
il defunto Conte M. a piantare un giardino sopra una delle colline che
graziosamente si intrecciano e formano leggiadrissime valli. Il giardino
è semplice, e si sente fin dall'entrare che ne tracciò il piano non
un abile giardiniere, ma un cuore sensibile che qui voleva godere se stesso. Ho
già sparso lacrime su colui che non è più, in quel cadente
gabinetto che era un giorno il suo posticino favorito e che ora è il
mio. Presto sarò padrone del giardino; il giardiniere mi si è
già affezionato in questi pochi giorni e non dovrà pentirsene.
10 maggio.
La mia anima è pervasa da una
mirabile serenità, simile a queste belle mattinate di maggio che io godo
con tutto il cuore. Sono solo e mi rallegro di vivere in questo luogo che
sembra esser creato per anime simili alla mia. Sono così felice, mio
caro, così immerso nel sentimento della mia tranquilla esistenza che la
mia arte ne soffre. Non potrei disegnare nulla ora, neppure un segno potrei
tracciare; eppure mai sono stato così gran pittore come in questo
momento. Quando l'amata valle intorno a me si avvolge nei suoi vapori, e l'alto
sole posa sulla mia foresta impenetrabilmente oscura, e solo alcuni raggi si
spingono nell'interno sacrario, io mi stendo nell'erba alta presso il ruscello
che scorre, e più vicino alla terra osservo mille multiformi erbette;
allora sento più vicino al mio cuore brulicare tra gli steli il piccolo
mondo degli innumerevoli, infiniti vermiciattoli e moscerini, e sento la presenza
dell'Onnipossente che ci ha creati a sua immagine e ci tiene in una eterna
gioia. Amico mio, quando dinanzi ai miei occhi si stende il crepuscolo e posa
intorno a me il mondo e il cielo tutto nell'anima mia come la sembianza di
donna amata, allora spesso sono preso da un angoscioso desiderio e penso: Ah,
potessi tu esprimere tutto questo, trasfonderlo sulla carta così pieno e
caldo come vive in te, e fosse questo lo specchio della tua anima, come la tua
anima è lo specchio del Dio infinito. Ma mi sprofondo in un abisso e
m'inchino alla potenza dello splendore di questa visione.
12 maggio.
Io non so se spiriti ingannevoli si
librino su questa contrada o se la calda, celeste fantasia che è nel mio
cuore renda tutto così paradisiaco intorno a me. Ecco lì una
fonte, una fonte alla quale io sono legato come Melusina alle sue sorelle. Tu
scendi per un piccolo poggio e ti trovi dinanzi a un arco, da dove venti
scalini ti conducono giù a una limpidissima acqua che sgorga da rocce
marmoree. Il piccolo muro che chiude il recinto, gli alti alberi che
l'ombreggiano intorno, la freschezza del luogo: tutto questo ha un non so che
di piacevole e di attraente. Non passa giorno che io non sieda lì
un'ora. Vengono dalla città le fanciulle ad attingere acqua, innocente e
necessaria faccenda che una volta compivano le stesse figlie dei re. E quando
sono lì, il mondo antico, patriarcale, rivive potentemente in me e
ripenso come i nostri padri alla fontana stringevano e rompevano relazioni e
come attorno alle fontane e alle sorgenti ondeggiassero spriti benefici.
Oh colui che non può partecipare
a questi sentimenti, non deve mai essersi dissetato a una fresca fontana dopo
una faticosa passeggiata, in un giorno d'estate!
13 maggio.
Mi domandi se devi spedirmi i miei
libri. Mio caro, te ne prego in nome di Dio, tienimeli lontani. Non voglio
più esser guidato, ravvivato, infiammato; questo cuore arde abbastanza
per se stesso; ho bisogno di un canto che mi culli, e questo l'ho trovato, in
tutta la sua pienezza, nel vecchio Omero. Quante volte io calmo il mio sangue
ardente... perché‚ tu non avrai mai visto nulla di così mutevole come il
mio cuore. Amico mio, ho bisogno di dire questo a te che tanto spesso ne hai
sopportato il peso e che mi hai visto passare dall'affanno ai più arditi
sogni e da una dolce malinconia alla più funesta passione? Di modo che
io considero il mio cuore come un bambino ammalato; e gli concedo ogni
capriccio. Ma non lo dire a nessuno: ci sarebbero persone che non me lo
perdonerebbero.
15 maggio.
L'umile gente del villaggio ormai mi
conosce, e tutti mi vogliono bene, specialmente i bambini. Sulle prime quando
io mi univo a loro e li interrogavo amichevolmente su questo o su quello,
alcuni credevano che io volessi prendermi gioco di loro e mi rispondevano
bruscamente. Io non me ne ebbi a male, soltanto compresi più
distintamente quanto spesso avevo già osservato: le persone di una certa
condizione si tengono a una fredda distanza dal popolo, come se credessero di
perdere qualche cosa avvicinandolo; vi sono poi giovani spensierati e malvagi
burloni che ostentano di abbassarsi, per far maggiormente sentire alla povera
gente la loro superbia.
So bene che noi non siamo n‚ possiamo
essere tutti uguali; ma ritengo che colui il quale sente il bisogno di
allontanarsi dalla cosiddetta plebe per averne il rispetto, è
biasimevole quanto un codardo che si nasconda al suo nemico per tema di esserne
ucciso.
Di recente andai alla fontana e trovai
una giovane donna di servizio che aveva posato il secchio sull'ultimo scalino e
guardava intorno per vedere se nessuna compagna venisse e l'aiutasse a
posarselo sulla testa.
Io scesi e la guardai. - Posso
aiutarvi? - le chiesi. Diventò rossa rossa e disse: - Oh no, signore. -
Senza complimenti. - Si aggiustò il cercine e io l'aiutai. Mi
ringraziò, e salì per la scala.
17 maggio.
Ho fatto conoscenze d'ogni specie, ma
non ho ancora trovato
Del resto è proprio della
buonissima gente. Talvolta io mi concedo un momento d'oblio e godo con loro le
gioie che all'uomo sono concesse: sedere a una parca mensa con animo aperto e
cordiale, fare una gita, disporre una ritmica danza, e simili cose; questo
esercita allora su di me una benefica influenza: soltanto io non devo pensare a
tante altre forze che sono latenti in me, e si corrompono inutilizzate, e che
io devo accuratamente nascondere. Il mio cuore ne è angosciato. Ma,
pure, essere incompresi è la sorte di tutti noi.
Se fosse qui l'amica della mia
giovinezza, se io l'avessi conosciuta! Ma dovrei dire a me stesso: tu sei un
pazzo, tu cerchi ciò che in nessun luogo si può trovare! Ma io
l'ho avuta; ho sentito il suo cuore, la sua grande anima, e, al suo cospetto,
mi sembrava di esser più di quello che io ero, perché‚ ero tutto
ciò che potevo essere.
Buon Dio! c'era allora una sola forza
della mia anima che rimanesse inattiva? non potevo io forse spiegare tutto il
mirabile sentimento col quale il mio cuore comprende la natura? Non erano forse
i nostri colloqui un eterno intrecciarsi del più elevato sentimento e
del più acuto INTELLETTO, di cui le gradazioni fino a quelle del mal garbo
erano segnate dall'orma del genio? E ora! La sua età, più grave
della mia, l'ha condotta alla tomba più presto di me, e io non
dimenticherò mai il suo forte sentire e la sua divina tolleranza.
Da pochi giorni ho incontrato un
giovane B., dall'aspetto simpatico e aperto. Esce ora dall'Università,
non si ritiene un dotto, ma crede di saperne più degli altri. Infatti
per quel che ho potuto capire si è applicato
Appena ha saputo che io disegno molto e
che so il greco (due cose miracolose in questo paese), è venuto da me e
ha fatto pompa di molta sapienza, da Batteux a Wood, da de Piles a Winkelmann;
mi ha assicurato che egli ha letto tutta la prima parte della teoria di Sulzer,
e che possiede un manoscritto di Heine sullo studio dell'antichità. Io
l'ho lasciato dire.
Ho fatto conoscenza con un'altra brava
persona: il borgomastro, uomo leale e schietto. Pare sia una vera gioia
spirituale vederlo tra i suoi figli; ne ha nove, e specialmente si dice un gran
bene della figliola maggiore. Mi ha pregato di andarlo a visitare e vi
andrò uno di questi giorni. Abita in una tenuta di caccia del principe,
a un'ora e mezzo da qui: dopo la morte di sua moglie ha avuto il permesso di
ritirarvisi perché‚ il soggiorno in città e nella casa comunale gli
faceva troppo male. Inoltre ho incontrato degli originali in cui tutto è
spiacevole, e sopratttutto insopportabili sono le manifestazioni di amicizia.
Addio; questa lettera, tutta storica,
ti piacerà!
22 maggio.
Già qualcuno ha pensato che la
vita dell'uomo sia soltanto un sogno, e questo sentimento si è
impadronito anche di me. Quando io contemplo i confini nei quali stanno
rinserrate le forze attive e speculative dell'uomo; quando vedo come ogni
attività non mira che alla soddisfazione di bisogni i quali a loro volta
non hanno altro scopo che di prolungare la nostra povera esistenza, e vedo
inoltre che il tranquillizzarsi su alcuni punti della nostra ricerca spirituale
non è che una FANTASTICA rassegnazione di chi dipinga con svariate
immagini e luminose vedute le pareti fra le quali è prigioniero, tutto
ciò, mio caro Guglielmo, mi rende muto. Io rientro in me stesso e trovo
un mondo, ma formato più di presentimenti e di cupi desideri che di
immagini e di forze viventi. Allora tutto ondeggia davanti ai miei sensi, io
sorrido e continuo a sognare nel mondo.
Tutti i più sapienti istitutori
e maestri sono d'accordo nel dire che i fanciulli non sanno perché‚ VOGLIONO;
ma anche i grandi, simili ai fanciulli, barcollano su questa terra e, come
quelli che non sanno donde vengono e dove vanno, non agiscono secondo uno scopo
determinato e si lasciano governare da biscotti e dolci e vergate; questo
invece nessuno lo vuol credere, eppure a me sembra sia una verità da
toccare con mano.
Ammetto, perché‚ so quali obiezioni tu
potresti farmi, che sono proprio i più felici coloro che vivono giorno
per giorno come i bambini, portando a spasso le bambole che vestono e
spogliano, girando con gran rispetto intorno alla dispensa dove la mamma ha
rinchiuso il pan dolce, e quando infine riescono a ottenere la ghiottoneria
desiderata, la divorano e con la bocca piena gridano: ancora! Queste sono
felici creature! E anche sono felici coloro che danno splendidi nomi alle loro
frivole occupazioni o alle loro passioni e fanno credere al genere umano che
siano queste opere gigantesche, dedicate alla sua salvezza e alla sua
prosperità.
Felice chi può vivere
così! Ma chi umilmente riconosce a che cosa tutto questo conduce, chi
vede come ogni savio borghese possa, secondo che gli aggrada, trasformare il
suo giardino in un paradiso, e come anche l'infelice continui il suo cammino
sotto i fardelli e tutti siano egualmente interessati a vedere per un minuto di
più la luce del sole, colui pure è tranquillo e forma il suo
mondo in se stesso, ed è felice, perché‚ è un uomo. E per quanto
limitati siano i suoi confini, egli custodisce pur sempre nel cuore il
sentimento della libertà e sente di potere, quando volesse, abbandonare
questo carcere.
26 maggio.
Tu conosci da tempo la mia abitudine di
costruire, di innalzare, a caso, in qualche luogo tranquillo una capanna e di
vivere lì con ogni ristrettezza: anche qui ho trovato un posticino che
mi è convenuto.
Circa a un'ora dalla città vi
è un luogo chiamato Wahleim (nota dell'autore: il lettore non si dia
pena di ricercare i luoghi qui nominati: si è creduto necessario di
cambiare i veri nomi che si trovano nell'originale. Fine della nota). La sua
posizione presso una collina è molto interessante e, quando si esce dal
villaggio e si va su per un sentiero, si ha il colpo d'occhio di tutta
La prima volta che per caso capitai
sotto i tigli in un bel pomeriggio, trovai il luogo solitario. Tutti erano ai
campi: soltanto un fanciullo di circa quattro anni sedeva per terra e fra le
gambe ne teneva un altro di forse sei mesi, stringendolo con le braccia al
petto in modo da fargli una specie di seggiola; e nonostante la vivacità
con la quale egli volgeva attorno i suoi occhi neri, sedeva perfettamente
tranquillo. Faceva piacere a vederlo; mi sedetti su un aratro che era lì
di fronte e disegnai con vero godimento la scena fraterna. Vi aggiunsi la siepe
che era vicina, una porta di fienile e alcune ruote rotte, così
com'erano disposte, e dopo un'ora trovai che avevo fatto un disegno ordinato e
interessante senza avervi messo nulla di mio. Questo mi ha confermato nel mio
proposito di attenermi per l'avvenire unicamente alla natura. Essa soltanto
è infinitamente ricca, essa sola forma il grande artista. Si può
dir molto in favore delle regole; all'incirca quello che si può dire in lode
della società civile: un uomo formatosi secondo le regole non
farà mai nulla di assurdo e di cattivo, come chi si modella sulle leggi
della buona creanza non sarà mai un vicino insopportabile, n‚
potrà divenire un vero scellerato; ma tutte le regole, si dica quello
che si vuole, distruggono il vero sentimento e la vera espressione della
natura.
Questo è troppo - dirai tu -
esse non fanno che moderare, recidere i rami esuberanti eccetera. Caro amico,
devo servirmi di un paragone? E' come l'amore! Un giovane si dedica completamente
a una ragazza; passa tutte le ore del giorno presso di lei, usa tutte le sue
forze e le sue facoltà per mostrarle che le appartiene interamente.
Viene allora un filisteo, un uomo che occupa una carica importante, e gli dice:
Mio carissimo signore: amare è umano, ma voi dovete amare virilmente!
Dividete le vostre ore, datene alcune al lavoro, e dedicate alla fanciulla che
amate quelle che vi restano libere. Contate i vostri averi e, con quello che vi
rimane dopo aver provveduto al necessario, non vi proibisco di fare a lei un
regalo, ma non troppo spesso, per esempio nel suo giorno natalizio e per il suo
onomastico. Se il giovane segue il consiglio, potrà diventare un uomo
utile e consiglierei al Principe di dargli un impiego. Ma è finita per
il suo amore, e per la sua arte se egli è artista. Oh amici miei!
perché‚ il torrente del genio così raramente straripa, così
raramente spumeggia in grandi flutti e scuote le vostre anime stupite? Cari
amici, è perché‚ sulle due rive abitano dei tranquilli signori, di cui
le casette campagnole, le aiuole di tulipani e gli orti sarebbero devastati, ed
essi sanno preservarsi dal minaccioso pericolo con argini e fosse costruite in
tempo.
27 maggio.
Mi accorgo di esser caduto in estasi,
paragoni e declamazioni e ho dimenticato di raccontarti quello che è poi
accaduto dei due bambini. Rimasi per ben due ore seduto sull'aratro, tutto
preso dal sentimento pittorico che ti descrive la mia frammentaria lettera di
ieri. A sera una giovane donna venne verso i fanciulli che intanto non si erano
mossi: aveva un cestello infilato al braccio e gridava da lontano: Filippo, sei
stato proprio bravo! Mi salutò, io ricambiai il saluto e, alzandomi, mi
avvicinai a lei e le chiesi se fosse la madre dei due bimbi. Mi disse di sì
e, mentre dava al più grande una mezza ciambella, prendeva in braccio il
piccolo e lo baciava con tenerezza tutta materna.
"Ho affidato il mio piccino a
Filippo -
Vidi tutto questo nel paniere, di cui
era caduto il coperchéio.
"Ora voglio cuocere una minestra
per stasera al mio Giovanni (era il nome del più piccolo), quel
birichino del mio figliolo maggiore mi ha rotto ieri il tegame, disputandosi
con Filippo gli avanzi della pappa".
Domandai del maggiore, e lei mi aveva
appena detto che era nel prato a correr dietro a due oche, quando il fanciullo
arrivò saltellando e portando al secondo un ramo di nocciolo. Mi
intrattenni ancora con la donna e seppi che era la figlia del maestro
elementare, e che il marito era in viaggio in Svizzera dove si era recato per
raccogliere l'eredità di un cugino.
"Volevano ingannarlo -
Mi fece pena staccarmi da quella donna:
diedi un soldo a ciascuno dei bimbi, e uno a lei perché‚ comprasse per il
piccolo un panino da aggiungere alla pappa, quando sarebbe andata in
città.
Ti assicuro, mio caro, che quando non
riesco a frenare i miei sensi, calma il mio tumulto la vista di una creatura
come questa, che trascorre in una felice tranquillità la stretta cerchia
della sua esistenza e vive giorno per giorno, e vede cadere le foglie pensando
soltanto che l'inverno si avvicina. Da allora io vado spesso laggiù. I
fanciulli hanno fatto amicizia con me, hanno lo zucchero quando io bevo il
caffè e la sera dividono con me il pane e burro e il latte quagliato. La
domenica non manca mai il loro kreuzer, e se io non mi trovo lì all'ora
della preghiera, l'ostessa ha l'ordine di distribuirlo.
Essi sono pieni di espansività,
mi raccontano ogni cosa, e io godo specialmente di osservare le loro passioni e
l'esplosione dei loro desideri quando si riuniscono molti bambini del
villaggio.
Ho durato gran fatica a persuadere la
madre la quale temeva che i bambini potessero dar fastidio al SIGNORE.
30 maggio.
Quello che ti dicevo recentemente a
proposito della pittura, può anche riferirsi alla poesia: si tratta
soltanto di saper riconoscere quello che c'è di meglio e di osare
esprimerlo: certo questo si chiama dir molto in poche parole. Oggi ho assistito
a una scena che, ben descritta, formerebbe il più bell'idillio del
mondo: ma che importa dire POESIA, SCENA, IDILLIO? perché‚ bisogna sempre
agghindarsi quando si vuole interessarsi a una manifestazione di natura?
Se ti aspetti, dopo questo esordio,
qualcosa di elevato e di eccezionale, t'inganni. E' semplicemente un contadino
che mi ha destato questa viva simpatia. Come al solito io racconterò
molto male e, come al solito, io penso, tu mi troverai esagerato: è
ancora Wahlheim, e sempre Wahlheim che produce queste meraviglie.
Una comitiva era riunita sotto i tigli
a bere il caffè: poiché‚ non mi piaceva gran che, presi un pretesto per
rimanere isolato.
Un contadino uscì da una casa
vicina e si mise ad accomodare qualcosa all'aratro che io avevo recentemente
disegnato. Il suo aspetto mi piacque, gli parlai, gli domandai delle sue
condizioni; la conoscenza fu ben presto fatta e, come mi avviene con quella
gente, divenne intimità.
Mi raccontò che era al servizio
di una vedova e che ne era trattato molto bene. Mi parlò tanto di lei e
ne fece tali lodi che io potei subito capire come egli le fosse completamente
devoto. Diceva che lei non era più giovane, che il primo marito l'aveva
fatta soffrire e che non voleva più sposarsi; dal suo racconto
traspariva chiaramente quanto egli la trovasse bella e affascinante, quanto
desiderasse di essere prescelto a cancellare il ricordo dei torti del primo
marito, e io dovrei ripeterti il suo discorso parola per parola per darti
un'idea della pura inclinazione, dell'amore e della fedeltà di
quell'uomo. Dovrei possedere le facoltà di un gran poeta per poterti
ripetere al vivo l'espressione dei suoi gesti, l'armonia della sua voce e il
fuoco che si rivelava nel suo sguardo. No, le parole non potrebbero mai
esprimere la tenerezza che si manifestava nel suo essere e nel suo aspetto:
sarebbe scialbo, incolore tutto quello che io potrei dire. Specialmente mi
commoveva il suo timore che io potessi dubitare della correttezzza dei suoi
rapporti con lei. Soltanto nell'intimo dell'anima mia io posso ripetere il
fascino da cui ero preso sentendolo parlare dell'aspetto di lei, del suo corpo
che lo attirava potentemente e lo avvinceva, pur essendo privo dello splendore
della giovinezza. Nella mia vita non mi è mai accaduto di vedere un
desiderio, una calda, nostalgica passione accompagnata da tanta purezza; devo
dire anzi che non ho saputo neppure pensare e sognare così puramente.
Non rimproverarmi se ti dico che al ricordo di quell'innocenza e di quella
sincerità d'affetto l'anima mia arde, che mi segue dovunque il ricordo
di quella fedeltà e di quella tenerezza e che, come se io stesso fossi
innamorato, languisco e mi consumo. Voglio cercare di vederla al più
presto... ma piuttosto, pensandoci meglio, voglio evitarla. E' meglio che io la
veda attraverso gli occhi di colui che l'ama; forse ai miei propri occhi lei
non apparirebbe qual è ora, e perché‚ dovrei guastarmi la bella
immagine?
16 giugno.
perché‚ non ti scrivo? Me lo domandi
proprio tu che sei un sapiente! Dovresti indovinare che sto bene e che... In
breve ho fatto una conoscenza che mi tocca proprio il cuore. Ho... non so quel
che ho!
Sarà difficile che io possa
raccontarti ordinatamente come ho conosciuto la più deliziosa fra le
creature. Sono soddisfatto e contento; e per conseguenza non sono un buono
storico.
Un angelo! ahi, questo ognuno lo dice
della sua amata. E quindi non so come fare a dirti come lei sia perfetta,
perché‚ sia perfetta: in breve lei è riuscita ad avvincere tutto il mio
essere.
Una grande purezza si unisce a una
grande intelligenza, e la bontà e l'energia, la pace dell'animo e
l'amore alla vita attiva armonizzano in lei. Tutte le cose che ti scrivo non
sono che chiacchiere inutili e vane astrazioni che non esprimono nulla di
quello che lei è. Un'altra volta... no, non un'altra volta, ora subito
voglio raccontarti, perché‚ se non lo faccio ora, non mi decido più. Giacch‚,
a dirti la verità, da quando ho cominciato a scriverti, tre volte sono
stato sul punto di posare la penna, di far sellare il cavallo e di andar
là. Eppure stamattina ho giurato che non andrò oggi, ma vado ogni
momento alla finestra per vedere quanto è ancora alto il sole...
Non ho potuto resistere, son dovuto
andare. Ora sono di ritorno, Guglielmo, mangerò il pane e burro della
mia cena e ti scriverò. Quale gioia è stata per me il vederla nel
cerchio vivace di tanti cari fanciulli, i suoi otto fratelli e sorelle!
Se continuo così, alla fine ne
saprai quanto in principio; ma ascolta, e io mi sforzerò di venire ai
particolari.
Ti scrissi ultimamente che ho
conosciuto il consigliere S. e che egli mi ha invitato ad andarlo a trovare nel
suo eremitaggio, o meglio nel suo piccolo regno. Io trascurai la cosa e non vi
sarei forse mai andato, se il caso non mi avesse indicato quale
- Ora farà conoscenza con una
bella signorina - disse la mia compagna, mentre traversavamo la grande foresta
diradata per andare verso la casa di caccia - Badi di non innamorarsene! -
aggiunse la cugina. - E perché‚? - dissi io. - E' già promessa - rispose
- a un brav'uomo che ora è in viaggio: è andato a mettere in
ordine i suoi affari perché‚ il padre è morto, e a procurarsi un buon
impiego. -
La notizia mi fu piuttosto
indifferente.
Mancava ancora un quarto d'ora perché‚
il sole raggiungesse la montagna, quando arrivammo alla porta della villa.
Era un caldo soffocante, e le signore
mostravano qualche preoccupazione per un temporale che alcune nuvole bianche,
grige e cupe sembravano far presagire, radunandosi all'orizzonte. Io calmai i
loro timori, dandomi l'aria di saper presagire il tempo, bench‚ io stesso
temessi che la nostra festa sarebbe stata turbata.
Io ero sceso di carrozza, e una donna,
che era venuta alla porta del cortile, ci pregò di scusare un momento,
che
"Vi prego di perdonarmi - disse
lei - se vi ho dato il fastidio di entrare e se ho fatto attendere le signore.
Nel vestirmi e nel dar le disposizioni necessarie alla casa durante la mia
assenza, ho dimenticato di dare la merenda ai miei piccoli ed essi vogliono che
il pane sia tagliato proprio da me". Balbettai un complimento
insignificante; tutta la mia anima era presa dal suo aspetto, dal suono della
sua voce, dal suo portamento, ed ero appena rinvenuto dalla sorpresa quando lei
corse nella sua camera a prendere i guanti e il ventaglio. I bambini mi
guardavano e stavano da parte, a una certa distanza; mi avvicinai al più
piccolo: un bellissimo bimbo, che si ritrasse da me, proprio quando Carlotta
rientrava. Lei gli disse: "Luigi, dai la mano a quel signore, tuo
cugino". Il bimbo obbedì graziosamente, e io non potei fare a meno
di abbracciarlo, nonostante il suo nasino imbrattato. "Cugino?" dissi
io, mentre le porgevo la mano, "credete che io sia degno della gioia di
esser vostro parente? - Oh", disse lei, con un arguto sorriso, "la
nostra parentela è molto estesa; mi dispiacerebbe che voi foste il
peggiore di tutti!".
Scendendo diede a Sofia, una fanciulla
di circa undici anni, la maggiore dopo di lei, l'incombenza di badare ai
più piccoli e di salutare il padre quando fosse ritornato dalla sua
cavalcata. Ai piccoli raccomandò di ubbidire a Sofia come avrebbero
obbedito a lei, ed alcuni lo promisero sinceramente. Ma una piccola
impertinente di circa sei anni disse: - Ma non sei tu, Carlottina, e noi
preferiamo quando sei tu! - I due ragazzi più grandi si erano
arrampicati sulla vettura e, alla mia preghiera, la sorella permise loro di
accompagnarci fino al limite della foresta, se promettavano di non farsi
dispetti e tenersi ben saldi.
Ci eravamo appena seduti e le signore
si erano da poco scambiati i saluti e le impressioni sui loro vestiti, e specie
sui cappelli, e avevano passato in rivista la compagnia che ci attendeva,
quando Carlotta fece fermare il cocchiere e scendere i fratelli, i quali
vollero baciarle un'altra volta la mano, ciò che il primo fece con tutta
la tenerezza con cui avrebbe potuto farlo un ragazzo di quindici anni, e
l'altro con vivacità e spensieratezza. Lei salutò ancora una
volta i bambini e proseguimmo il cammino.
La cugina le domandò se aveva
finito il libro che recentemente le aveva mandato. - No, disse Carlotta, non mi
piace e ve lo renderò: anche il precedente non era migliore. - Rimasi
meravigliato quando domandai di quali libri si trattava e lei mi rispose...
(Nota dell'autore: Si è creduto necessario sopprimere questo passo della
lettera per non dare ad alcuno, motivo di lamento. Bench‚ in fondo ogni autore
darebbe ben poca importanza al giudizio di una fanciulla e di un giovane. Fine
della nota). Trovavo una profonda individualità in tutto ciò che
lei diceva e a ogni sua parola vedevo un nuovo fascino, un nuovo raggio del suo
spirito brillarle sul viso che si andava animando sempre più, perché‚
lei sentiva che io la comprendevo. "Quando ero più giovane",
diceva, "nulla mi dilettava quanto i romanzi. Sa Dio come ero felice se
potevo la domenica sedermi in un angolo e seguire con tutto il cuore le vicende
liete o tristi di una Miss Jenny. Non nego che ancor oggi questo genere di
libri abbia attrattiva per me; ma giacch‚ molto raramente posso prendere in
mano un libro, bisogna che esso almeno sia completamente di mio gusto. E
l'autore che io preferisco è quello che rappresenta il mio mondo, nel
quale tutto avviene come intorno a me, le cui storie mi interessano e mi stanno
a cuore come la mia vita domestica, che non è proprio un paradiso, ma
che in complesso è una fonte di gioie inesprimibili".
Io facevo sforzi per nascondere la
commozione che mi destavano quelle parole. Ma non potei durare a lungo, perché‚
quando la sentii parlare incidentalmente, con profonda verità del
VICARIO DI WAKEFIELD di... (Nota dell'autore: Anche qui sono stati tralasciati
i nomi di alcuni autori nazionali. Quelli che godono il favore di Carlotta lo
sentiranno nel proprio cuore, se leggeranno questa pagina, e del resto nessuno
ha bisogno di conoscere i gusti di lei. Fine della nota), non potei più
trattenermi, le dissi tutto quello che mi venne in mente, e solo qualche tempo
dopo, quando Carlotta rivolse la parola alle altre, osservai che per tutto quel
tempo erano rimaste con gli occhi spalancati, come se si fossero trovate in un
altro mondo. La cugina mi guardava con aria canzonatoria, ma non me ne
importava nulla.
La conversazione cadde poi sui piaceri
della danza.
- Se pure questa passione è
colpevole, disse Carlotta, confesso che non c'è cosa al mondo che io
metta al di sopra del ballo. E se mi passa qualcosa di triste per la testa, basta
che io strimpelli una contradanza sul mio piano scordato e subito mi torna il
buon umore. -
Durante la conversazione quanto mi
beavo dei suoi occhi neri! E come le sue vivide labbra e le sue fresche guance
deliziavano tutta la mia anima! Ed ero così preso dall'alto significato
dei suoi discorsi che non udivo le parole con le quali si esprimeva - e tu che
mi conosci puoi farti un idea di questo. -
In breve scesi di carrozza come in
preda a un sogno, quando ci fermammo davanti alla casa della festa, ed ero
così perduto nelle mie fantasticherie, tra i bagliori del crepuscolo,
che appena sentii la musica il cui suono scendeva fino a noi dalla sala
illuminata.
Il signor Audran e un certo N. N... -
come si può ricordare tutti i nomi? - che erano i ballerini della cugina
e di Carlotta ci ricevettero allo sportello della carrozza, s'impadronirono
ciascuno della sua dama, e io condussi di sopra la mia.
Cominciammo a ballare il minuetto: io
invitai una signora dopo l'altra, e proprio quelle che avevano meno
Metteva nel ballo l'anima e il cuore,
il suo corpo si muoveva armonioso, lei era spensierata e ingenua come se non
pensasse, non sentisse che la danza; e certo in quel momento ogni altra cosa
era sparita per lei.
La pregai di concedermi la seconda
contradanza; mi promise la terza e, con la più grande franchezza, mi
disse che amava molto il valzer. "L'uso vuole che per il valzer ogni
cavaliere resti con la sua dama, ma il mio balla male, e mi sarà grato
se gli risparmierò questa fatica. La vostra ballerina è nelle
stesse condizioni e invece ho visto nella danza inglese che voi siete molto
abile; se volete dunque ballare il valzer con me, andate a chiedermi al mio
cavaliere, e io m'intenderò con la vostra dama".
Le diedi allora la mano, e fu deciso
che nel frattempo il suo cavaliere avrebbe tenuto compagnia alla mia ballerina.
Via dunque! Ci divertimmo dapprima a
intrecciare variamente le braccia. Con quale grazia e leggerezza lei si
muoveva! Venne poi il momento di cominciare il valzer; le coppie cominciarono a
girare le une intorno alle altre come sfere celesti, e ci fu un po' di
confusione perché‚ pochi sanno ballare bene. Noi fummo prudenti e lasciammo
sfogare gli altri; poi quando i meno abili ballerini ebbero lasciato libero il
campo, ci mettemmo in lizza con un'altra valida coppia: Audran e la sua dama.
Non sono mai stato così abile e leggero: non ero più un uomo.
Avere fra le braccia un'amabile creatura, girare con lei in un turbine come la
tempesta, e non veder più niente intorno a s‚... Per dirti la
verità, Guglielmo, ho giurato che se amassi una fanciulla e aspirassi a
lei, dovrebbe ballare il valzer soltanto con me e non con altri, a qualunque
costo. Tu mi capisci, è vero?
Facemmo qualche giro, camminando per la
sala, per riprendere fiato. Poi lei sedette, e le arance che avevo messo da
parte, le sole che mi restavano, ci furono utilissime... soltanto, io mi
sentivo il cuore trafitto quando, per complimento, lei offriva uno spicchio a
una vicina indiscreta.
Alla terza danza inglese, noi formavamo
la seconda coppia. Mentre seguivamo la colonna danzante e io (Dio sa con quale
gioia) pendevo dal suo braccio e dal suo sguardo, dove brillava la più
sincera e pura espressione di piacere, arrivammo presso una signora che avevo
già osservato per il suo aspetto piacente bench‚ non fosse più
giovane. Guardò Carlotta sorridendo, alzò un dito in atto
minaccioso e, passando, pronunziò due volte il nome di Alberto in tono
significativo.
Chi è Alberto? se non sono
indiscreto, chiesi a Carlotta. Lei stava per rispondermi, ma dovemmo separarci
per formare una catena di otto, e mi parve scorgere, quando c'incontrammo,
l'ombra di una preoccupazione sulla sua fronte. Quando mi diede la mano per la
PROMENADE, disse: "perché‚ dovrei nascondervelo? Alberto è un
onest'uomo al quale sono quasi promessa". Non era una novità per me:
le ragazze me lo avevano detto lungo il cammino, eppure mi parve una notizia
inattesa perché‚ non l'avevo considerata in rapporto a lei che in pochi minuti
mi era diventata tanto cara.
In breve, mi confusi, fui smemorato, mi
trovai in mezzo a un'altra coppia, guastai ogni cosa, e ci volle la presenza di
spirito di Carlotta che mi tirava di qua e di là per ristabilire
l'ordine al più presto.
Il ballo non era ancora finito quando i
lampi, che da molto tempo vedevamo brillare all'orizzonte e che sempre avevo
dati per lampi di calore, si fecero più frequenti e il tuono
coprì il suono della musica. Tre dame fuggirono, e i loro cavalieri le
seguirono: il disordine divenne generale e la musica cessò. Quando una
disgrazia o qualche cosa di spaventoso ci coglie immersi nel piacere, esso
produce naturalmente in noi una forte impressione, in parte a causa del
contrasto che ce lo fa sentire più vivo, in parte perché‚ i nostri sensi
sono aperti alle emozioni e ricevono più rapidamente ogni impressione. A
questo io devo attribuire lo strano contegno al quale vidi abbandonarsi molte
signore. La più saggia si mise in un angolo, volgendo la schiena alla
finestra e turandosi le orecchie; un'altra s'inginocchiò davanti a lei e
le nascose la testa sul grembo; una terza venne tra loro due e abbracciò
la sorellina in un torrente di lacrime. Alcune volevano ritornare a casa; altre
non sapevano più quello che facevano e non avevano sufficiente presenza
di spirito per tenere a freno i giovani storditi che sembravano molto occupati
a raccogliere dalle labbra delle belle tremanti le angosciose preghiere che
esse levavano al cielo. Alcuni signori erano scesi per fumare in pace la loro
pipa, e il resto della compagnia accettò il saggio invito dell'ostessa
che ci offriva una stanza fornita di imposte e di tende. Appena vi fummo
entrati Carlotta si occupò di disporre le sedie in circolo e quando,
assecondando la sua preghiera, tutti ebbero preso posto, lei cominciò a
spiegare un gioco. Vidi parecchi cavalieri che, nella speranza di un pegno
gustoso, avevano l'acquolina in bocca e tendevano le loro membra.
- Giochiamo a contare, disse Carlotta,
e ora attenzione! Io andrò in giro da destra a sinistra e voi conterete
uno dopo l'altro, ciascuno il numero che gli toccherà, il computo deve
essere rapido come il lampo, e chi esita o si sbaglia ha uno schiaffo... e
così fino a mille. - Era divertente a vedersi. Lei camminava in circolo,
col braccio teso. "Uno" disse il primo, "due"
continuò il secondo, "tre" il seguente, e così di
seguito. Poi lei cominciò ad andare in fretta e sempre più in
fretta: Uno si sbaglia: Paf! uno schiaffo e, poiché‚ il vicino ride, anche Paf!
E sempre più in fretta. Io stesso ebbi due colpi e, con segreto piacere,
mi parve che erano più forti di quelli che dava agli altri. Uno scoppio
generale di risate e di chiasso pose fine al gioco prima che si arrivasse a
mille. Gli amici fra di loro più intimi si tirarono da parte insieme; il
temporale era cessato e io seguii Carlotta nella sala.
Via facendo mi disse: "Con gli
schiaffi hanno dimenticato il temporale e tutto il resto!". Non seppi
rispondere nulla, ma lei continuò: "Io ero una delle più
paurose, ma nel farmi forza per dar coraggio agli altri sono diventata
coraggiosa io stessa".
Ci avvicinammo alla finestra: tuonava
in lontananza, una benefica pioggia cadeva sulla campagna e i più soavi
profumi salivano fino a noi nell'aria tiepida. Carlotta si appoggiava col
gomito alla finestra, il suo sguardo errava sui campi, si levava al cielo, poi
si posava su di me, io vidi i suoi occhi pieni di lacrime, lei posò la
sua mano sulla mia e disse: Klopstock! Io ricordai l'ode sublime cui lei
pensava in quel momento e mi immersi nel torrente di sensazioni che la sua
parola aveva destato in me. Non potei trattenermi, mi chinai sulla sua mano e
gliela baciai inondandola di dolci lacrime. E la guardai ancora negli occhi!
Nobile poeta, se tu avessi potuto vedere in quello sguardo la tua apoteosi! e
se io potessi ora non sentir più pronunciare il tuo nome così
spesso profanato.
19 giugno.
Non so più l'altro giorno a qual
punto sono rimasto del mio racconto: so che erano le due di notte quando andai
a letto, e che se avessi potuto chiacchierare con te, invece di scriverti, ti
avrei probabilmente tenuto sveglio fino alla mattina.
Non ti ho ancora raccontato quello che
accadde al nostro ritorno dal ballo e anche oggi non ne ho il tempo.
L'aurora era splendida; intorno a noi
si stendevano i campi rinfrescati e la foresta stillante. Le nostre compagne di
viaggio si assopirono; mi domandò se volevo anch'io fare altrettanto,
dicendomi di non trattenermi per lei. "Finch‚ vedrò questi occhi
aperti, le dissi fissandola, non corro rischio di addormentarmi". E
rimanemmo entrambi svegli fino alla porta di casa sua, che la cameriera venne ad
aprire silenziosamente: alla domanda di Carlotta, lei disse che il padre e i
bambini stavano bene, e che tutti dormivano ancora. La lasciai, pregandola di
permettermi di andarla a vedere il giorno stesso: acconsentì, e io
andai: da allora il sole, la luna e le stelle possono tranquillamente seguire
il loro corso: io non so se sia giorno o notte, e tutto il mondo scompare
intorno a me.
21 giugno.
Vivo giorni così felici, quali
Dio ne concede ai suoi beati: qualunque cosa possa avvenirmi ora, non
potrò dire di non aver gustato le più pure gioie della vita. Tu
conosci il mio Wahlheim; là mi sono definitivamente stabilito: sono
soltanto a una mezz'ora di distanza da Carlotta e vi godo tutta la
felicità che può essere concessa a un uomo. Eppure non avrei
pensato, scegliendo Wahlheim come meta delle mie passeggiate, che esso sarebbe
stato così vicino al cielo. E quante volte nelle mie lunghe escursioni
ho contemplato, dal monte, o dalla pianura che si stende al di là del
fiume, la casa di caccia che ora racchiude tutti i miei desideri!
Caro Guglielmo, ho tanto meditato sul
desiderio degli uomini di allontanarsi, di fare nuove scoperte, di percorrere
il mondo, poi un impulso segreto limita il loro cammino, li spinge sulla via
tracciata dall'abitudine, ed essi non si curano più di quel che avviene
a destra e a sinistra.
E' strano: quando sono venuto qui e,
dall'alto della collina, guardavo la bella vallata, essa da ogni parte mi
attirava: là è il boschetto! Oh potessi tu immergerti nella sua
ombra! Lassù è la cima del monte! Ah potessi tu da lì
contemplare la vasta contrada! E la catena di colline, e le valli piene di
mistero! Oh potessi perdermi nel loro seno! E correvo lontano, e ritornavo,
senza aver trovato quello che cercavo. E qual'è la distanza, tale
è l'avvenire! Un vasto panorama dai contorni confusi ci sta dinanzi
all'anima: i nostri sensi come i nostri sguardi si perdono in esso, e con tutto
il nostro essere noi aspiriamo alla voluttà di provare un unico, grande,
potente sentimento. E quando abbiamo corso, quando il LAGGIU' è divenuto
il QUI, tutto è come prima, noi siamo nella nostra povertà, negli
angusti confini che prima ci chiudevano, e l'anima sospira il sollievo che le
sfugge.
Così il più irrequieto
vagabondo desidera infine la sua patria e trova nella sua capanna, nel seno
della sua sposa, nella schiera dei suoi bambini, nel lavoro compiuto per loro,
la gioia che invano ha cercato nel lontano mondo.
Quando la mattina al levar del sole io
esco per recarmi al mio Wahlheim e lì nel giardino colgo da me stesso i
piselli, poi mi siedo e li sgrano mentre leggo Omero; quando scelgo un
pentolino nella cucina, taglio il burro, metto i piselli al fuoco, li copro, e
siedo lì vicino per poterli di tanto in tanto rigirare, allora io
capisco perfettamente come i superbi pretendenti di Penelope uccidessero buoi e
maiali, li facessero a pezzi e li arrostissero. Nulla mi dà una
così sincera e profonda sensazione di pace come i tratti di vita
patriarcale che, ringraziando il Signore, posso senza affettazione introdurre
nella mia vita.
Mi fa bene vedere che il mio cuore
può gustare la semplice, innocente gioia data all'uomo che porta alla
sua tavola un cavolo che egli stesso ha piantato, e gode non solo del cavolo,
ma di tanti bei giorni: della bella mattina in cui lo ha piantato, delle dolci
sere in cui lo innaffiava e con gioia ne sorvegliava il progresso crescente:
tutto in quello stesso istante gli rinnova il godimento.
29 giugno.
L'altro ieri il medico della
città venne qui in casa del Sindaco, e mi trovò disteso a terra,
fra i bambini di Carlotta, alcuni dei quali mi si arrampicavano addosso, mentre
gli altri mi tiravano da ogni parte e levavano alte grida se io facevo loro il
solletico. Il dottore che è un dogmatico fantoccio meccanico, e parlando
aggiusta le pieghe dei suoi manichini e mette in mostra un grandioso collare,
trovò questo gioco poco dignitoso per un uomo serio: lo vidi dal suo
aspetto. Non me ne curai, lasciai che facesse discorsi gravi e fabbricai di
nuovo ai ragazzi i castelli di carta che avevano distrutto. Poi egli
andò in città a diffondere la notizia che i bambini del Sindaco
erano già abbastanza maleducati, e che Werther finiva di guastarli!
Sì, mio caro Guglielmo, i
bambini sono particolarmente cari al mio cuore. Quando li osservo, e vedo in
quei piccoli esseri il germe di ogni virtù e di ogni forza che un giorno
sarà loro necessaria, quando nell'ostinazione io scopro la futura
costanza e fermezza di carattere, nella vivacità il buon umore e la
facilità con la quale passeranno fra i pericoli della vita... e tutto
questo così puro e completo, sempre io ripeto le auree parole del
Maestro degli uomini: guai a voi se non diverrete come uno di costoro! Eppure
noi trattiamo come sudditi questi che sono nostri simili e che dovrebbero
essere i nostri modelli. Essi non devono avere nessuna volontà... E noi
forse non ne abbiamo? e perché‚ dobbiamo essere privilegiati? Forse perché‚
siamo più vecchi e più abili? Buon Dio, dal tuo cielo tu non vedi
che vecchi e bambini, niente altro! e tuo figlio da lungo tempo ci ha detto quali
ti danno maggiore gioia. Ma essi credono in lui e non lo ascoltano - anche
questa è cosa vecchia - e formano i loro bambini a loro immagine e
somiglianza, e... addio Guglielmo: non voglio a questo proposito delirare di
più!
Primo luglio.
Che cosa deve essere Carlotta per un
malato, io lo sento nel mio povero cuore, che è più sofferente di
uno che giaccia in un letto di dolore. Lei passerà qualche giorno in
città, da una buona signora che, secondo quanto dicono i medici, non ha
più molto da vivere e che in questi ultimi momenti vuole avere Carlotta
presso di s‚!
La settimana scorsa andai con lei a far
visita al Parroco di San...; è un paesello fra i monti, a un'ora di qui.
Arrivammo circa alle quattro; Carlotta aveva preso con s‚ la sorella minore.
Quando entrammo nel cortile della canonica, ombreggiato da due alberi di noce,
il buon vecchio sedeva su di una panca dinanzi alla porta di casa, e appena
vide Carlotta sembrò rinascere a nuova vita, dimenticò il suo
nodoso bastone, e osò muoversi per venirle incontro. Lei corse verso di
lui, lo obbligò a sedersi mettendoglisi vicino, gli portò molti
saluti del padre, e abbracciò un fanciullo brutto e sudicio, il bimbo
più piccolo del pastore, il figlio della sua vecchiaia! E avresti dovuto
vedere quale cura prese del vecchio: come alzava la voce perché‚ giungesse
chiara al suo orecchio mezzo sordo, come gli raccontava di persone giovani e
robuste, e pure morte improvvisamente, come gli vantava l'efficacia di Carlsbad
lodando la sua decisione di passarvi l'estate e come badava a ripetergli che
trovava il suo aspetto migliore e più vivace dell'ultima volta che lo
aveva visto. Nel frattempo io avevo presentato i miei omaggi alla moglie del
pastore. Il vecchio era del tutto rianimato e poiché‚ io non seppi trattenermi
dal lodare i begli alberi di noce che ci davano ombra così grata, egli
cominciò, bench‚ con qualche difficoltà, a narrarcene la storia.
"Non sappiamo chi abbia piantato
il più vecchio, - disse - chi nomina l'uno e chi l'altro pastore. Ma il
più giovane ha proprio l'età di mia moglie: cinquant'anni in
ottobre. Suo padre lo piantò la mattina, e lei nacque
Carlotta gli domandò di sua
figlia; rispose che era andata in un prato vicino, con il signor Schmidt, a
vedere gli operai, e il vecchio proseguì il racconto: disse come il suo
predecessore avesse preso a volergli bene, e così pure la figlia di lui,
e come egli fosse diventato dapprima il suo vicario e poi il suo successore. La
storia era appena finita quando la figlia del pastore venne col signor Schmidt,
attraversando il giardino: accolse Carlotta con calda espansione, e devo dire
che non mi dispiacque affatto: è una brunetta vivace e ben fatta che
deve rendere molto piacevole il tempo a chi lo passi con lei in campagna. Il
suo innamorato (come tale si presentò subito il signor Schmidt) era una
persona fine, ma silenziosa, e non volle prender parte alla nostra
conversazione, bench‚ Carlotta ve lo spingesse continuamente. E io rimasi
turbato, potendo vedere dal suo viso che non per mancanza d'intelligenza egli
se ne stava appartato, ma per capriccio e cattivo umore. E questo apparve in
seguito anche più evidente, giacch‚ quando passeggiando Federica si
trovò con Carlotta e, casualmente, anche con me, il viso di quel signore,
già naturalmente bruno, divenne così cupo che era proprio tempo
che Carlotta mi tirasse per la manica e mi avvertisse che ero troppo gentile
con Federica. Ora, nulla mi urta tanto quanto vedere gli uomini tormentarsi
l'un l'altro, specie quando sono giovani che potrebbero godere di tutte le
gioie e che invece si amareggiano i pochi giorni buoni concessi e troppo tardi
si accorgono della loro irreparabile prodigalità. Questo proprio mi
tormenta, e la sera quando ritornammo al presbiterio e fummo seduti attorno a
una tavola dove ci servirono del latte, allorch‚ la conversazione cadde sui
dolori e le gioie della vita, non potei trattenermi dal cogliere la palla al
balzo e parlare con tutta l'anima contro il cattivo umore.
"Spesso noi ci lamentiamo, dissi,
perché‚ pochi sono i giorni buoni e molti quelli tristi, ma abbiamo torto, a
quel che mi sembra. Se avessimo sempre il cuore aperto e pronto a godere il
bene che Dio ogni giorno ci concede, avremmo poi forza sufficiente per
sopportare il male quando viene".
- Ma noi non siamo padroni del nostro
umore - disse la moglie del pastore - molte volte esso dipende dalla salute!
quando si è sofferenti si sta male dovunque. -
Le diedi ragione, ma aggiunsi: -
Ebbene, consideriamo la cosa come una malattia, e vediamo se non esistono dei
rimedi.
- E' giusto, disse Carlotta, credo che
molto dipenda da noi, a giudicare da me stessa. Quando qualcosa mi turba e
minaccia di mettermi di cattivo umore, corro in giardino canticchiando qualche
ballabile, e tutto passa.
- E' proprio quello che volevo dire,
ripresi, avviene per l'umore come per la pigrizia: anzi è proprio una
specie di pigrizia. Per natura vi siamo molto inclinati, ma se una volta
abbiamo la forza di vincerla, il lavoro ci pare facile e troviamo nell'attività
un vero piacere". Federica ascoltava attentamente, e il giovane si rivolse
a me dicendo che non si è padroni di se stessi, e che tanto meno si
può comandare ai propri sentimenti. "Ma in questo caso, replicai,
si tratta di una sensazione spiacevole, di cui ciascuno si libererebbe
volentieri; e nessuno sa fin dove arrivano le sue forze se non le ha prima
sperimentate: eppure, chi è ammalato, consulterà certo tutti i
medici e con grande rassegnazione prenderà le medicine più amare
per riacquistare la desiderata salute".
Osservai che il nobile vecchio tendeva
l'orecchio per prender parte alla conversazione; allora alzai la voce, e
rivolsi a lui il mio discorso: "Si predica contro tanti vizi, dissi, ma
ancora non ho sentito dire che dal pergamo si sia levata la voce contro il
cattivo umore".
- "Questo tocca ai pastori delle
città, disse lui; i contadini non conoscono il cattivo umore; eppure se
io lo facessi non sarebbe male: potrebbe se non altro servire di lezione a mia
moglie e al signor Sindaco". -
Tutti risero, ed egli pure rise di
cuore, finch‚ un colpo di tosse lo prese, e interruppe per un poco il nostro
discorso. Poi il giovane prese la parola: "Voi chiamate il cattivo umore
un vizio; mi sembra che siate eccessivo".
"A me non sembra, risposi; se
qualcosa nuoce a noi stessi e agli altri, merita senz'altro tale nome. Come se
non bastasse il non poterci render felici l'un l'altro, dovremmo anche rapirci
il piacere che talvolta il nostro cuore sa procurarsi? E trovatemi un uomo di
cattivo umore che sia così bravo da nasconderlo, da sopportarlo solo,
senza turbare la gioia che lo circonda! O piuttosto non deriva la nostra
inquietudine da un'intima coscienza della nostra indegnità, da uno
scontento di noi stessi, che sempre si collega con l'invidia e con una pazza
vanità? Noi vediamo felici delle persone che non ci debbono la loro
felicità, e questo non possiamo sopportarlo!".
Carlotta mi sorrise, vedendo la
commozione con la quale parlavo, e una lacrima di Federica mi spinse a
continuare: "Guai a coloro, dissi, che si servono dell'influenza che hanno
su di un cuore per rapirgli le semplici gioie che esso sa procurare a se
stesso! Tutti i doni, tutte le premure della terra non compensano un istante di
spontaneo piacere, rapitoci dalla gelosa importunità del nostro tiranno!"
Il mio cuore era gonfio in quel
momento; tutti i ricordi del passato si affollavano nell'anima mia, e gli occhi
mi si riempivano di lacrime. Tutti ogni giorno dovrebbero dirsi: tu non puoi
far altro per i tuoi amici che lasciar loro le gioie che hanno, e render
più vivo il loro piacere, godendone con essi. Infatti potresti tu, se il
loro animo fosse tormentato da un'angosciosa passione e oppresso dal dolore,
versar loro una goccia di balsamo consolatore?
E quando l'ultima più dolorosa
malattia sorprenderà la creatura che tu avrai tormentato nel fiore degli
anni, e che giacerà in uno stato di compassionevole esaurimento, quando
il suo occhio spento sarà rivolto al cielo e il freddo sudore della
morte bagnerà la sua pallida fronte, e tu starai presso il letto come un
condannato, con l'intimo sentimento di non poter far nulla nonostante tutto il
tuo buon volere, allora una profonda angoscia ti stringerà, pensando che
daresti tutto al mondo per poter infondere nella creatura morente una stilla di
forza, una scintilla di coraggio!
Il ricordo di una simile scena, alla
quale avevo assistito, si risvegliò potente in me mentre pronunciavo
queste parole. Mi coprii gli occhi con il fazzoletto, mi allontanai dalla
compagnia, e solo la voce di Carlotta che mi chiamava perché‚ era ora di andar
via, mi fece rientrare in me stesso. Cammin facendo lei mi rimproverò di
prendermela per tutto troppo vivamente; mi disse che questo mi farà
morire e che devo aver riguardo di me. Angelo caro! per te, io voglio vivere.
6 luglio.
Carlotta è sempre presso la sua
amica morente, ed è sempre la stessa provvida cara creatura che,
dovunque si trova, mitiga il dolore e porta
Stetti a vedere con quale ardore la
piccola si strofinava le guance con le manine bagnate, fiduciosa che la
sorgente miracolosa avrebbe portato via ogni impurità e le avrebbe
risparmiato la vergogna di vedersi spuntare una brutta barba; Carlotta diceva:
basta, ma la bimba continuava a lavarsi con ardore, pensando che molto era
meglio di poco. Ti assicuro, Guglielmo, che non ho mai assistito ad un
battesimo con più grande rispetto. E quando Carlotta risalì,
volentieri mi sarei prosternato davanti a lei, come dinanzi a un profeta che
avesse redento i peccati di una nazione.
La sera, nella gioia del mio cuore, non
potei trattenermi dal raccontare il caso a una persona alla quale attribuivo un
senso di umanità, perché‚ intelligente: ma come capitai male! Egli mi
disse che Carlotta non aveva agito bene, che non bisogna mai far credere ai
bambini delle fandonie perché‚ questo dà origine a una quantità
di errori e superstizioni dalle quali invece guardare i bambini fin dalla
più tenera infanzia. Mi ricordai allora che quell'uomo da otto giorni
aveva fatto battezzare un bambino, lasciai cadere il discorso, e rimasi in cuor
mio convinto di questa verità: bisogna fare con i bambini come Dio fa
con noi: egli non ci rende mai tanto felici come quando ci lascia nell'ebbrezza
di una cara illusione!
8 luglio.
Come si diventa bambini! Quanto si
desidera uno sguardo, proprio si diventa bambini! Eravamo andati a Wahlheim; le
signore erano in carrozza, e durante la passeggiata mi parve vedere negli occhi
neri di Carlotta... perdonami, sono pazzo, ma dovresti vederli tu quegli occhi!
Per essere breve (giacch‚ gli occhi mi si chiudono dal sonno) le signore erano
salite in carrozza e noi stavamo lì intorno, il giovane W. Selstadt,
Audran e io. Si chiacchierava vivacemente con quei giovani che erano abbastanza
leggeri e frivoli. Cercai gli occhi di Carlotta; essi andavano dall'uno
all'altro, ma su di me, su di me che stavo lì solo e triste, su di me
non si fermarono! La carrozza partì e una lacrima bagnò i miei
occhi. La seguii con lo sguardo e vidi la testa di Carlotta sporgersi fuori
dello sportello, e voltarsi a guardare... chi? me forse? Mio caro, mi dibatto
in questa incertezza e questa è la mia consolazione: forse lei si
è voltata indietro per vedermi! forse! Buona notte, sono proprio un
fanciullo!
10 luglio.
Dovresti vedere che figura stupida
faccio quando in società si parla di lei, e quando qualcuno mi domanda
se mi piace... Piacermi! Odio a morte questa parola! Che uomo sarebbe quello a
cui piacesse Carlotta, e che non avesse pensieri e sentimenti pieni di lei!
Piacere! del resto, recentemente, qualcuno mi chiedeva se Ossiam mi piace!
11 luglio.
Parlai con Carlotta dell'incredibile
cecità di spirito di un uomo, il quale non si accorge che dev'esserci
qualche mistero, se sette fiorini bastano a una spesa che importa il doppio. Ma
ho conosciuto delle persone che senza stupore avrebbero tenuto nelle loro case
l'inesauribile ampolla d'olio del Profeta.
13 luglio.
No, non m'inganno: leggo nei suoi occhi
neri un vero interesse per me, per la mia sorte. Io sento, e posso lasciar
parlare il mio cuore, sento che lei... devo in queste parole esprimere la mia
celeste felicità? sento che lei mi ama!
Mi ama! E come sono divenuto caro a me
stesso! a te posso dirlo perché‚ hai l'animo atto a comprendermi. Come mi sento
elevato ai miei propri occhi da quando lei mi ama!
E' forse presunzione? o è
coscienza dei veri sentimenti che ci uniscono? Io non conosco nessun uomo di
cui temere l'influenza sul cuore di Carlotta. Pure quando lei parla del suo
fidanzato con tanto calore e con tanto affetto, mi sento come un uomo al quale
si sottraggano tutti i suoi onori e le sue dignità, e a cui si porti via
la sua spada.
16 luglio.
Quale brivido mi corre nelle vene
quando per caso le mie dita toccano le sue, quando i nostri piedi s'incontrano
sotto la tavola! Mi ritiro come dal fuoco, una segreta forza mi spinge avanti
di nuovo, e tutti i miei sensi sono presi da vertigine. E la sua innocenza, la
sua anima ignara non le lasciano comprendere come queste piccole
familiarità mi fanno male. Se, parlando, lei posa la sua mano sulla mia,
se nel calore della conversazione si avvicina a me in modo che il suo alito
divino sfiori le mie labbra, io credo di morire, come percosso dal fulmine. E
se una volta, Guglielmo, quell'anima celeste e fiduciosa io osassi... tu mi capisci?
No, il mio cuore non è così corrotto! Ma è debole, molto
debole, e questa non è forse corruzione?
Lei mi è sacra. Ogni desiderio
tace alla sua presenza. Non posso dire quello che succede in me quando le sono
vicino; mi pare che tutta l'anima si riversi nei miei nervi. Carlotta sa una
melodia che suona al pianoforte con un'angelica espressione, con grande
semplicità e spirito. E' la sua aria preferita, e appena suona la prima
nota, fuggono lontano da me pene, preoccupazioni, capricci.
Sono così preso da quella
semplice melodia che non mi pare inverosimile niente di quel che si racconta
del fascino della musica antica. E come lei sa cominciarla al momento
opportuno, proprio quando starei per tirarmi una palla nella testa. Il cupo
turbamento della mia anima si dissipa, e io di nuovo respiro liberamente.
18 luglio.
Guglielmo, che sarebbe per il nostro
cuore un mondo senza amore? Quello che è una lanterna magica senza
Si racconta che
19 luglio.
Io la vedrò! esclamo al mattino
quando mi sveglio, e con gioia guardo il bel sole: io la vedrò! E non ho
altro desiderio per tutto il giorno. Tutto, tutto è assorbito in questa
prospettiva!
20 luglio.
Non ho ancora accolto la vostra idea di
farmi partire con l'ambasciatore per... Non mi piace troppo di essere
subordinato, e inoltre tutti sappiamo che quest'uomo ha un cattivo carattere.
Tu dici che mia madre desidererebbe molto di sapermi attivo; ciò mi ha
fatto ridere. Non sono forse attivo anche ora? e in fondo non è forse
indifferente che io raccolga piselli o lenticchie? tutto al mondo finisce in
cose da nulla, e un uomo che, per volere altrui, ma senza un'intima passione,
una personale necessità, si affanna dietro al denaro, l'onore o altro,
sarà sempre un pazzo.
24 luglio.
Ti sta tanto a cuore che io non
trascuri il disegno, e io preferirei non parlartene affatto, piuttosto che dirti
che da qualche tempo in qua me ne occupo assai poco.
Mai sono stato più felice, mai
il mio sentimento della natura, esteso fino alle pietruzze e ai fili d'erba,
è stato più integro e più profondo... eppure, non so come
esprimermi; la mia forza di rappresentazione è debole: tutto è
mobile e ondeggiante dinanzi a me, e io non posso fissare un contorno; mi
immagino che se avessi dell'argilla o della cera saprei ben modellarla. Se dura
così, finirò col prendere dell'argilla e darle forma, dovessi
anche fare delle palle!
Tre volte ho cominciato il ritratto di
Carlotta, e tre volte mi sono vergognato: sono veramente dolente perché‚ prima
ero molto felice nel cogliere le somiglianze. Ho fatto invece
26 luglio.
Sì, mia cara Carlotta, mi
occuperò di ogni cosa e ordinerò quello che desiderate; datemi
anzi un maggior numero di commissioni, datemene spesso. Solo di una cosa vi
prego: non mettete sabbia sui bigliettini che mi scrivete. Quello di oggi l'ho
rapidamente avvicinato alle mie labbra e i miei denti hanno scricchiolato.
26 luglio.
Molte volte mi sono proposto di non
vederla troppo spesso. Ma chi potrebbe mantenere una simile promessa? Ogni
giorno non so resistere alla tentazione, e solennemente giuro a me stesso che
l'indomani resterò lontano da lei. Ma fin dalla mattina trovo un motivo
imprescindibile e, prima di rendermene conto, sono a casa sua. Se la sera lei
mi ha detto: verrete dunque domani? come potrei non andare? o se lei mi
dà una commissione trovo più conveniente andarle a portare io
stesso la risposta; e se infine la giornata è molto bella, io vado a
Wahlheim e, quando mi trovo lì, sono soltanto a una mezz'ora di distanza
da lei: respiro la sua atmosfera... ed ecco mi trovo laggiù!
Mia nonna raccontava la storia di un
monte magnetico. Le navi che si avvicinavano troppo ad esso perdevano a un
tratto tutti i loro ferramenti; i chiodi volavano sulla montagna e i poveri
naviganti perivano tra le tavole che precipitavano le une sulle altre.
30 luglio.
Alberto è arrivato, e io me ne
andrò; fosse egli il migliore, il più nobile degli uomini, al
quale io fossi pronto a dichiararmi inferiore sotto ogni rispetto, pure mi
sarebbe insopportabile vederlo davanti ai miei occhi in possesso di quella
perfetta creatura. Possesso! Basta, Guglielmo; il fidanzato è qui!
è un bravo, caro uomo, per il quale bisogna provare simpatia.
Fortunatamente non ero presente al suo arrivo: ne avrei avuto il cuore
lacerato. E' così generoso che non ha
Intanto non posso negare ad Alberto la
mia stima. Il suo aspetto tranquillo contrasta con l'irrequietezza del mio
carattere vivace, che non riesco a nascondere. Ha molto sentimento e sa quello
che significa possedere Carlotta. Sembra non andar soggetto al cattivo umore e
tu sai che questo è il peccato che io odio di più negli uomini.
Egli mi ritiene un uomo di buon senso e
l'attaccamento, la calda amicizia che ho per Carlotta, l'interesse che prendo a
tutto ciò che fa, rendono più glorioso il suo trionfo ed egli la
ama ancor di più. Non so se qualche volta la tormenti con un po' di
gelosia e non voglio indagare: se fossi al suo posto questo demonio non mi
lascerebbe completamente tranquillo.
Ma in ogni modo la mia gioia di stare
presso Carlotta è finita. Devo chiamare ciò pazzia o accecamento!
Che importa il nome? è la cosa che conta! Prima che Alberto venisse
sapevo già tutto quello che so ora: sapevo che non potevo sperare nulla
da lei... e non speravo infatti... almeno per quanto è possibile non
desiderare al cospetto di una così affascinante persona. E ora, da
povero pazzo, mi meraviglio perché‚ l'altro viene davvero e mi porta via la ragazza.
Io mi adiro e rido della mia miseria, e
mi burlo di tutti quelli che mi dicono che devo rassegnarmi poiché‚ la cosa non
può andare diversamente. Liberatemi da questi uomini di paglia! Mi
aggiro correndo per le foreste e, se incontro Carlotta e Alberto le siede al
fianco nel giardinetto, sotto il pergolato, allora non posso più
trattenermi, mi sento pazzo e faccio mille stravaganze.
"Per amor di Dio, mi ha detto oggi
Carlotta, vi prego, non fate scene come quelle di ieri sera! Siete spaventoso
quando siete così allegro!".
A dirla fra noi io calcolo il tempo in
cui egli è occupato; subito mi affretto e sono felice quando la trovo
sola.
8 agosto.
Ti assicuro, caro Guglielmo, che
certamente non pensavo a te quando dichiaravo insopportabili gli uomini che
richiedono da noi la rassegnazione a un destino inevitabile. Non pensavo
proprio che tu potessi essere di questo parere. E in fondo hai ragione. Solo
una cosa voglio dirti, mio caro: al mondo è molto difficile che le
sensazioni e i modi d'agire si distinguano recisamente con un dilemma: ma vi
sono tante gradazioni, quante ve ne possono essere fra un naso aquilino e uno
camuso. Non avertene dunque a male se pur abbracciando tutto intero il tuo
argomento, io cerco di sfuggire al suo dilemma: o questo o quello.
O tu hai speranza in Carlotta -
Puoi tu domandare a un infelice la cui
vita si spegne a poco a poco per un'insidiosa malattia, puoi tu chiedergli di
troncare con una pugnalata la sorgente della vita? Il male che mina le sue
forze non gli toglie nello stesso tempo il coraggio di liberarsene?
Veramente tu potresti rispondermi con
un paragone analogo: chi non preferirebbe farsi tagliare un braccio piuttosto
che mettere in gioco la vita per indecisione e per timore? Non so... e non
vorrei che ci tormentassimo con i paragoni. Pure, Guglielmo, ho qualche volta
dei momenti di coraggio improvviso e impetuoso e allora... se soltanto sapessi
dove... me ne andrei volentieri.
Di sera.
Mi è capitato oggi fra le mani
il mio diario che da molto tempo avevo trascurato, e mi sono meravigliato di
vedere come, in piena coscienza, passo passo mi sono addentrato in questa
avventura! ho sempre veduto chiara la mia situazione eppure ho agito come un
fanciullo: e ancora oggi vedo chiaro, eppure non c'è nessuna apparenza
di miglioramento.
10 agosto.
Potrei vivere completamente felice, se
non fossi un pazzo. Raramente un insieme di circostanze favorevoli come quelle
in cui io mi trovo, contribuiscono a rallegrare l'anima di un uomo! Esser
membro di un'amabilissima famiglia, ed essere amato dal vecchio come un figlio,
dai bambini come un padre... e da Carlotta!... Inoltre quel bravo Alberto che
non turba la mia gioia con nessun atteggiamento di cattivo umore, che mi
circonda di affettuosa amicizia e per il quale, dopo Carlotta, sono la persona
più cara al mondo. Guglielmo, è una gioia udirci quando
passeggiamo insieme e ci intratteniamo di lei: non si potrebbe forse trovare
una situazione più ridicola, eppure, spesso, pensandoci, mi vengono le
lacrime agli occhi. A volte egli mi racconta della virtuosa madre di Carlotta:
mi dice che al letto di morte raccomandò alla figlia la sua casa e i
suoi bambini, che da allora Carlotta fu animata da un nuovo spirito e divenne
una vera madre nella serietà acquistata e nella cura della casa, che
ogni istante della sua vita fu dedicato al costante, amorevole lavoro, senza
che per questo la sua vivace serenità l'avesse
Non so se ti ho scritto che Alberto si
stabilisce qui e avrà a corte, dove è molto ben visto, un posto
ben retribuito. Ho visto pochi che lo uguaglino per l'ordine e
l'attività negli affari.
12 agosto.
Alberto è certamente il miglior
uomo che esista sotto la volta celeste. Ieri ho avuto con lui una discussione
che non dimenticherò. Andai a casa sua per prendere congedo, giacch‚ mi
è venuta la fantasia di andare cavalcando per le montagne dalle quali
ora ti scrivo: andando su e giù per la camera, mi caddero sotto gli
occhi alcune pistole: "Prestamele per il viaggio", gli dissi.
"Volentieri, mi rispose, se vuoi prender la pena di caricarle: io le tengo
lì appese solo PRO FORMA".
Ne scelsi una, ed egli continuò:
"da quando la mia previdenza mi ha giocato un brutto tiro, non voglio
più avere a che fare con quegli strumenti".
Ero molto curioso di sapere la storia,
ed egli raccontò: "Passavo la quarta parte dell'anno presso un
amico, in campagna: avevo due pistole scariche e dormivo tranquillo. Una volta,
durante un piovoso pomeriggio nel quale sedevo oziando, non so come, pensai che
potevamo essere assaliti, che le pistole potessero esserci necessarie e che...
basta, tu sai come vanno queste cose. Dò le armi al servitore perché‚ le
ripulisca e le carichi: egli si mette a scherzare con le ragazze, vuole
spaventarle e, Dio sa come, il colpo parte: la bacchetta che era ancora nella
canna colpisce una povera ragazza ai muscoli della mano destra e le spezza il
pollice. Ho dovuto ascoltare i lamenti e pagare la cura, e da allora lascio le
pistole scariche.
- Mio caro amico, a che cosa serve la
previdenza? Il pericolo non si lascia mai vedere per intero! Eppure...".
Ora tu sai che io amo molto Alberto,
finch‚ non arriva ai suoi EPPURE: non è cosa di per se stessa evidente
che ogni regola ha le sue eccezioni? Ma quell'uomo è così
scrupoloso che quando crede di aver detto qualcosa di troppo azzardato o
generico, e non completamente vero, non la finisce più di limitare,
modificare, di aggiungere o di sopprimere, finch‚ di quanto ha detto non rimane
più niente. E in questo caso si sprofondò proprio nel TESTO... io
finii col non ascoltarlo più, mi misi a fantasticare, e con gesto rapido
mi appoggiai alla fronte la canna della pistola, al di sopra dell'occhio
destro. "Ebbene, che significa ciò?", esclamò Alberto
strappandomi l'arma di mano. "è scarica", risposi. "E se
pure è scarica, che vuol dire questo?" riprese impaziente, "io
non posso ammettere che un uomo sia così pazzo da uccidersi: il solo
pensiero mi rivolta..."
"Ma voi uomini, esclamai, quando
parlate di qualche cosa, dovete sempre dire: è pazza, è savia,
è buona, è cattiva! e questo che significa? Avete voi, che dite
così, indagato i moventi interni di un'azione? Sapete scoprirne con
certezza le cause, e capire perché‚ è avvenuta e perché‚ doveva
avvenire? Se l'aveste fatto, non sareste così pronti a giudicare".
"Mi concederai, disse Alberto, che
alcune azioni rimangano degne di biasimo, da qualunque motivo siano
determinate".
Glielo concessi, scrollando le spalle.
Pure continuai: "Vi sono sempre dei casi eccezionali. E' vero che il furto
è un delitto. Ma l'uomo che ruba per salvare s‚ e i suoi che stanno per
morire di fame, merita pietà o castigo? Chi scaglierà la prima
pietra contro il marito che nella sua giusta collera immola la sua donna
infedele e l'indegno seduttore? contro la fanciulla che in un'ora di
voluttà si perde nelle indicibili gioie dell'amore? Le stesse nostre leggi,
fredde e pedanti, si lasciano commuovere e sospendono la loro punizione!"
"Questo non c'entra,
replicò Alberto, perché‚ un uomo che è in balìa delle
passioni perde ogni forza di ragione, ed è considerato come in preda
all'ebbrezza o al delirio".
"Oh le persone ragionevoli!,
esclamai sorridendo. Passione! Ebbrezza! Delirio! Voi siete così
impassibili, così estranei a tutto questo, voi uomini per bene!
Rimproverate il bevitore, condannate l'insensato, passate dinanzi a loro come
il sacrificatore e ringraziate Dio, come il fariseo, perché‚ non vi ha fatto
simili a loro! Più di una volta io sono stato ebbro, le mie passioni non
sono lontane dal delirio, e di queste due cose io non mi pento perché‚ ho
imparato a capire che tutti gli uomini straordinari che hanno compiuto qualcosa
di grande, e che pareva impossibile, sono stati in ogni tempo ritenuti ebbri o
pazzi.
Ma anche nella vita comune, è
insopportabile sentir dire ogni volta che qualcuno sta per compiere un'azione
libera, nobile, inattesa: quell'uomo è ubriaco, è pazzo!
Vergognatevi, uomini sobri e savi!"
"Ecco le tue solite fantasie,
disse Alberto, tu esageri tutto, e in questo caso hai per lo meno il torto di
paragonare il suicidio di cui ora è questione, con delle grandi gesta,
mentre esso non può esser considerato che come una debolezza. poiché‚
certo è più facile morire che sopportare con fermezza una vita
dolorosa".
Ero sul punto di interrompere il
discorso, perché‚ niente mi mette così fuori dei gangheri come vedere
qualcuno armato di insignificanti luoghi comuni mentre io parlo con tutto il
cuore. Pure mi contenni, perché‚ molte volte ho sentito addurre quell'argomento
e me ne sono indignato: risposi dunque alquanto vivamente: "Tu lo chiami
una debolezza? Ti prego, non lasciarti ingannare dall'apparenza. Puoi chiamare
debole un popolo che geme sotto il giogo di un tiranno se infine, fremendo,
spezza le sue catene? Un uomo che nel terrore di vedere la sua casa in preda
alle fiamme sente le sue forze centuplicate, e solleva facilmente dei pesi che
a mente calma potrebbe appena muovere? e uno che nel calore dell'offesa ne
affronta sei, e li vince, tu lo chiami debole? E, mio caro, se lo SFORZO
costituisce la forza, perché‚ lo sforzo supremo dovrebbe essere il
contrario?".
Alberto mi guardò e disse:
"Non te ne avere a male, ma gli esempi che tu porti non hanno nulla a
vedere col nostro discorso". "Può darsi, risposi, già
più volte mi hanno detto che il mio modo di ragionare è spesso
privo di logica. Vediamo se possiamo in altro modo figurarci quale coraggio
deve avere un uomo che si decide a gettare il fardello della vita, che è
generalmente gradito. perché‚ solo in quanto noi sentiamo una cosa, possiamo
parlarne con giusto criterio.
La natura umana, continuai dunque, ha i
suoi limiti: essa può sopportare la gioia, la sofferenza, il dolore fino
a un certo punto, e soccombe se questo è oltrepassato. Non è
questione di stabilire se un uomo è debole o forte, ma di vedere se egli
può sopportare la sofferenza che gli è imposta, sia morale che
fisica; e a me pare tanto strano dire che un uomo è vile perché‚ si
toglie la vita, come troverei assurdo dire che è tale perché‚ muore di
febbre maligna".
"Che paradosso!"
esclamò Alberto.
"Non tanto quanto tu pensi,
ribattei. Ammetterai che noi chiamiamo mortale una malattia la quale assale la
nostra costituzione naturale in modo che le sue forze sono in parte distrutte e
in parte sminuite nella loro attività: sicch‚ essa non può in
alcun modo aiutarci n‚ riattivare, per mezzo di alcuna risoluzione, il corso
della vita. Ebbene, amico mio, applichiamo questo allo spirito. Vedi quante
impressioni agiscono sull'uomo nella sua limitata sfera, quante idee penetrano
in lui, finch‚ una crescente passione non gli toglie ogni serena forza di
pensiero e lo trascina alla sua perdita. Invano l'uomo libero da ogni cura e in
possesso della sua ragione lo guarda con pietà, invano cerca di
convincerlo con
Ma per Alberto queste erano idee troppo
generali. Gli raccontai allora di una fanciulla che da poco tempo era stata
trovata morta annegata, e ripetei la sua storia. Era una buona giovane
creatura, cresciuta nell'angusta cerchia delle occupazioni casalinghe, nel
lavoro di tutta la settimana, e che non aveva altra prospettiva ed altro
piacere oltre quello di andare a volte la domenica, con le sue compagne, a
passeggiare intorno alla città, abbellita da qualche ornamento messo
insieme a poco a poco; di ballare forse una volta nelle feste solenni e di
chiacchierare qualche ora da una vicina con vivacità ed interesse a
proposito di una disputa o di una maldicenza. L'ardore della sua giovinezza le
fa provare infine degli intimi desideri accesi dalle lunsinghe degli uomini. Le
sue antiche gioie le sembrano sempre più insipide, e infine incontra un
uomo verso il quale è irresistibilmente spinta da un sentimento
sconosciuto e su cui posano tutte le sue speranze; dimentica il mondo intero,
non ode, non vede, non sente che lui, non aspira che a lui, l'Unico. E poiché‚
non è corrotta dai vuoti piaceri di un'incostante vanità, il suo
desiderio va dritto allo scopo, vuole essere di lui, vuole in un eterno legame
raggiungere tutta la felicità che le manca e godere tutte le gioie alle
quali aspira. Ripetute promesse, che coronano tutte le sue speranze, ardite
carezze che accendono il suo desiderio, dominano tutta la sua anima; lei
è in preda a un oscuro sentimento che le fa pregustare ogni gioia, si
esalta al massimo grado, stende infine le braccia per cingere l'oggetto dei
suoi desideri... e il suo amato
Guai a colui che potrà dire,
vedendo un simile evento: che pazza! se avesse aspettato, se avesse lasciato
agire il tempo, la sua disperazione si sarebbe placata, qualche altro si
sarebbe trovato per consolarla! Sarebbe lo stesso che dire: quel pazzo,
è morto di febbre! se avesse aspettato finch‚ le forze gli fossero
ritornate, i succhi vitali purificati, e calmato il tumulto del suo sangue!
Egli vivrebbe ancora oggi e tutto sarebbe andato bene!".
Alberto, a cui il paragone non pareva
appropriato, mosse ancora qualche obiezione; e fra l'altro disse che io avevo
parlato di una semplice giovinetta, ma che egli non capiva come si sarebbe
potuto scusare un uomo di criterio, di mente non così limitata, e che sa
cogliere un maggior numero di rapporti.
"Amico mio, esclamai, l'uomo
è uomo, e quel poco d'intellligenza che egli può avere serve poco
o niente quando arde la passione e l'essere umano è spinto verso i
confini della sua forza. Tanto più... Ma ne parleremo un'altra
volta" dissi, e presi il cappello... Il mio cuore era gonfio e ci
lasciammo senza esserci compresi. Ma del resto in questo mondo è
difficile che gli uomini si comprendano.
15 agosto.
E' certo che al mondo nulla è
necessario agli uomini quanto l'amore. Sento che Carlotta sarebbe dolente di
perdermi, e i bambini pensano che io debba sempre ritornare l'indomani. Oggi
ero andato da Carlotta per accordare il suo pianoforte, ma non è stato
possibile perché‚ i bambini mi hanno perseguitato per farsi raccontare una
favola, e Carlotta ha detto che dovevo soddisfare la loro volontà. Ho
tagliato loro il pane della merenda che ora essi accettano volentieri da me
come da Carlotta, e ho raccontato la storia della principessa che è
servita da mani incantate. Ti assicuro che così imparo molte cose, e
sono meravigliato dell'impressione che produco. poiché‚ qualche volta devo
inventare un particolare, lo dimentico poi ripetendo il racconto, ed essi
subito osservano che l'altra volta la cosa era andata diversamente, così
che io ho imparato a recitare il mio rosario con un'invariata cantilena. E ho
anche imparato che quando un autore fa di una sua storia una seconda edizione
modificata, anche migliore dal punto di vista poetico, deve necessariamente
danneggiare il suo libro. La prima impressione ci trova docili e l'uomo
è fatto in modo che lo si può persuadere delle più strane
avventure, ma esse s'imprimono subito fortemente negli spiriti, e guai a colui
che vuole sradicarle e distruggerle.
18 agosto.
Doveva proprio avvenire che ciò
che forma la felicità dell'uomo fosse anche la fonte della sua miseria?
Il pieno, caldo sentimento che prova il mio cuore per la viva natura mi dava
tanta gioia, trasformava in un paradiso il mondo intorno a me, e deve ora
trasformarsi in un insopportabile strumento di pena, in uno spirito
tormentatore che mi segue dappertutto? Quando io contemplavo una volta dalla
roccia che sporge sul fiume la fertile vallata, e vedevo ogni cosa intorno a me
germogliare e sgorgare; quando vedevo quei monti rivestiti di folti alberi
dalla base alla cima, quelle valli dagli svariati contorni che amate foreste
ombreggiavano, e il mite ruscello che scorreva tra canneti mormoranti e
rispecchiava le graziose nuvole che il mite vento della sera cullava nel cielo;
quando sentivo gli uccelli animare intorno a me la foresta e vedevo milioni
d'insetti danzare allegramente nell'ultimo ardente raggio di sole, e il suo
ultimo cadente sguardo liberare dal verde involucro il ronzante scarabeo, e il
brulicare della vita mi faceva attento al suolo; e il muschio, che trae dalla
dura roccia il nutrimento, e la ginestra che cresce sulle aride colline
sabbiose, mi rivelavano l'intima, fiorente, sacra vita della natura: tutte
queste cose io abbracciavo col mio cuore ardente, mi sentivo come divinizzato
in quella copia di cose belle, e le splendide forme del mondo sconfinato si
muovevano ravvivando ogni cosa nel mio animo. Monti enormi mi circondavano,
abissi mi stavano dinanzi, torrenti tempestosi precipitavano, fiumi scorrevano
ai miei piedi, la foresta e la montagna risuonavano; io vedevo tutte queste
forze misteriose agire e creare all'unisono nelle profondità della
terra, e poi sulla terra e sotto il cielo brulicare le razze delle svariate
creature.
Tutto, tutto si popola di mille forme
diverse; e gli uomini si rinchiudono sicuri nelle loro casette e immaginano di
essere signori del mondo. Povero pazzo che giudichi ogni cosa ristretta perché‚
sei così piccolo! Dalla montagna inaccessibile al deserto che nessun
piede ha calcato, all'estremo dell'ignoto oceano, alita lo spirito dell'eterno
creatore e si rallegra di ogni grano di polvere che lo comprende e vive! Oh
quante volte avrei voluto allora sulle ali della gru che volava sul mio capo,
essere trasportato alla riva del mare sconfinato, bere alla coppa spumante
dell'infinito l'ardente gioia di vivere, e solo per un istante far penetrare
nel mio seno ristretto una stilla della beatitudine che prova l'essere il quale
tutto crea in s‚ e per s‚.
Fratello, il solo ricordo di quelle ore
mi fa bene. Lo stesso sforzo che io faccio per risvegliare in me quei
sentimenti ineffabili, per esprimerli ancora eleva l'animo mio, e mi fa
doppiamente sentire l'angoscia dell'ora presente.
Mi sembra che dinanzi alla mia anima
sia stato tirato un sipario e lo spettacolo della vita sconfinata si cambia
davanti a me nell'abisso della tomba eternamente aperta. Tu puoi dire: questo
esiste! quando tutto passa, quando ogni cosa scompare con la velocità
del fulmine, e così raramente conserva l'integrità del suo essere,
ed è travolta nel torrente e annientata contro le rocce? Non passa un
istante che non distrugga te e i tuoi, non uno in cui tu non sia, non debba
essere un distruttore; la più innocente passeggiata costa la vita a
mille poveri insetti, un passo distrugge gli edifici delle formiche
faticosamente costruiti, e seppellisce in una tomba ingloriosa tutto un piccolo
mondo. Ah non le grandi rare catastrofi del mondo mi commuovono, non le
inondazioni che inghiottiscono i vostri villaggi, non i terremoti che distruggono
le vostre città; mi atterrisce la forza annientarice che è
nascosta nell'essenza della natura; la quale non produce nessuna cosa che non
sia distrutta dalla sua vicina, o che da se stessa non si distrugga.
Così io vado barcollante e tormentato fra il cielo e la terra e le forze
creatrici che mi circondano: e vedo soltanto un essere mostruoso che
eternamente divora e rumina.
21 agosto.
Invano io le tendo le braccia al
mattino, quando mi sveglio da sogni penosi, invano la cerco la notte sul mio
letto quando un dolce, puro sogno mi fa credere di sedere vicino a lei sul
prato e di tenere la sua mano, e di coprirla di baci. Ah, quando sono ancora
quasi immerso nell'ebbrezza del sonno, e la cerco... e poi mi sveglio, un
torrente di lacrime irrompe dal mio cuore oppresso, e io piango sconsolatamente
nella prospettiva di un cupo avvenire.
22 agosto.
E' una disgrazia, Guglielmo, le mie
forze attive si consumano in una irrequieta indolenza, non posso restare in
ozio e neppure posso far nulla. Non ho forza d'immaginazione, non ho sentimento
di natura e i libri mi disgustano: e quando noi manchiamo a noi stessi, tutto
ci manca. Io te lo giuro, vorrei talvolta essere un operaio che lavora a
giornata per avere la mattina al risveglio la prospettiva del giorno che viene,
per avere un impulso, una speranza. Spesso invidio Alberto che vedo sepolto
nelle carte fino agli occhi, e immagino che sarei contento se fossi al suo
posto. E già qualche volta sono stato sul punto di scrivere a te e al
ministro per sollecitare quel posto all'ambasciata che, a quanto tu mi dici,
non mi verrebbe rifiutato. E del resto lo credo anch'io: il ministro mi vuol
bene da molto tempo e mi ha detto più volte che dovrei dedicarmi a
qualche occupazione; e per un'ora penso anch'io che questo sarebbe bene. Ma
quando poi rifletto mi viene in mente la favola del cavallo che, insofferente
della sua libertà, si fece mettere sella e briglia, e fu
ignominiosamente cavalcato... e non so che cosa devo fare. E del resto, amico
mio, questo impulso che mi spinge a cambiare di condizione non è forse
un'intima, morbosa impazienza che dovunque mi perseguiterà?
28 agosto.
Certo, se il mio male potesse guarire,
questa brava gente lo guarirebbe. Oggi è stato il giorno del mio
compleanno, e stamattina all'alba ho ricevuto un pacchettino di Alberto.
Aprendolo, ciò che prima d'ogni altra cosa colpì il mio sguardo
fu uno dei nastri rosa pallido che Carlotta portava quando io la conobbi, e che
da allora parecchie volte le avevo chiesto. C'erano anche due libretti in
dodicesimo: il piccolo Om‚ro di Wetstein, un'edizione che avevo spesso
desiderato per non dovermi trascinar dietro, passeggiando, quella dell'Ernesti.
Vedi come esse prevengono i miei desideri, e come cercano di farmi tutti i
piccoli piaceri suggeriti dall'amicizia che valgono mille volte di più
di splendidi doni con i quali la vanità del donatore ci umilia. Io bacio
quel nastro mille volte, e ad ogni mio respiro rivive in me il ricordo della
beatitudine che mi diedero quei pochi giorni felici, che più non
ritorneranno. E' così Guglielmo, e io non mormoro. I fiori della vita
non sono che apparizioni. Quanti passano senza lasciar traccia, quanti pochi
danno frutti e quanti pochi di questi frutti diventano maturi! Eppure, fratello
mio, possiamo noi trascurare, disprezzare i frutti maturi, e lasciarli marcire
inutilizzati?
Addio! è una magnifica estate;
spesso salgo sugli alberi da frutta nel giardino di Carlotta, con una lunga
pertica, e raggiungo le pere sulla cima. Lei sta sotto l'albero e prende i
frutti che io lascio cadere giù.
30 agosto.
Infelice! Non sei pazzo? non inganni te
stesso? Che diverrà questa passione furiosa e senza fine? Io non prego
più che per lei; alla mia immaginazione non si presenta altra immagine
che la sua, e tutto quello che mi circonda nel mondo lo considero soltanto in
quanto ha rapporto con lei. E passo così ore felicissime, finch‚ devo
strapparmi questa immagine. Ah, Guglielmo, fin dove mi trascinerà il mio
cuore? Quando sono stato seduto due o tre ore vicino a lei e mi sazio del suo
aspetto, dei suoi gesti, delle sue celesti espressioni, a poco a poco tutti i
miei sensi si esaltano, un'ombra si stende dinanzi ai miei occhi, sento appena,
mi pare d'essere afferrato alla gola da una mano omicida, e poi il mio cuore,
nei suoi battiti precipitosi, cerca sollievo per i miei sensi oppressi e non fa
che aumentare il loro turbamento... Guglielmo, spesso non so se vivo! E se
qualche volta la tristezza mi vince e Carlotta non mi concede l'estrema
consolazione di bagnar di lacrime la sua mano, devo andarmene, fuggire,
perdermi lontano nei campi; allora la mia gioia è di arrampicarmi su di
un monte scosceso, di aprirmi un sentiero attraverso una foresta impraticabile,
attraverso i cespugli che mi feriscono, attraverso le spine che mi lacerano.
Allora mi sento un poco meglio, un poco! E se talvolta oppresso dalla
stanchezza e dalla sete io soccombo lungo il cammino; se qualche volta nella
notte profonda, quando la luna piena brilla sul mio capo, nella foresta
solitaria, io mi siedo sul tronco ricurvo di un albero per dare ristoro ai miei
piedi feriti, nel chiarore crepuscolare, io mi addormento di un sonno faticoso.
Oh Guglielmo, la solitaria dimora di una cella, il saio di crini e il cilicio
sarebbero un sollievo al quale la mia anima aspira. Addio! Io non vedo a questa
sofferenza altro limite che la tomba.
3 settembre.
Devo partire! Ti ringrazio, Guglielmo,
di avere reso salda la mia risoluzione oscillante. Già da quindici
giorni penso che
10 settembre.
Che notte, Guglielmo! ora io posso
sopportare qualunque cosa. Non la vedrò più! Oh potessi volare
fra le tue braccia, ed esprimerti, caro amico, con le mie lacrime e i miei
slanci tutti i sentimenti che agitano il mio cuore. Ora siedo qui, anelante,
cerco di calmarmi, aspetto il mattino, e col sorger del sole i cavalli saranno
pronti.
Lei dorme tranquilla, e non pensa che
non mi vedrà più. Mi sono strappato da lei, sono stato forte abbastanza
per non tradire il mio segreto in un colloquio di due ore. E, mio Dio, quale
conversazione!
Alberto mi aveva promesso di trovarsi
in giardino con Carlotta subito dopo cena. Ero in terrazza, sotto i grandi
castagni, e guardavo il sole che per l'ultima volta vedevo tramontare di
là della valle amata, di là del mite ruscello. Tanto spesso ero
stato lì con lei a contemplare il magnifico spettacolo... E ora! Andavo
su e giù per quel viale che mi era caro: una segreta, simpatica
attrattiva mi aveva trattenuto in quel luogo prima che io conoscessi Carlotta;
e qual piacere era stato per noi, al principio della nostra relazione, scoprire
reciprocamente la nostra preferenza per quel luogo, uno dei più
romantici creati dall'arte!
Prima di tutto, fra i castagni, si gode
di una bella vista... ma mi ricordo di averti molte volte scritto di queste
alte pareti di faggi, che limitano il viale che diventa sempre più cupo
a causa di un boschetto vicino, finch‚ tutto finisce in una piazzetta chiusa
intorno a cui sembrano alitare tutti i fremiti della solitudine. Io sento
ancora il fascino segreto che provai la prima volta che vi entrai, mentre
splendeva alto il sole di mezzogiorno; presentivo che esso doveva esser per me
teatro di beatitudine e di dolore.
Avevo già trascorso una mezz'ora
immerso nei tristi e dolci pensieri della separazione e del rivedersi, quando
li sentii salire sulla terrazza. Corsi loro incontro e, con un brivido, presi
la mano di lei e
- Carlotta - dissi, e le tesi la mano
mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime - ci rivedremo; qui e
lassù, noi ci rivedremo. - Non potei dire altro. Guglielmo, doveva lei
farmi questa domanda mentre io avevo in cuore l'angoscia dell'addio?
Lei continuò ancora: e i nostri
cari assenti sanno, sentono che quando noi siamo felici li ricordiamo con caldo
affetto? L'immagine di mia madre mi sta sempre dinanzi quando, nella serata
tranquilla, i suoi bambini, i miei bambini, sono rimasti intorno a me come
erano riuniti intorno a lei. Allora io guardo il cielo con nostalgiche lacrime,
e desidero che lei possa vedere almeno un istante come mantengo la parola che
le ho dato all'ora della morte, quando le giurai di essere la madre dei suoi
bambini. Con profondo sentimento io esclamo: perdonami, se non sono per loro
quello che tu stessa saresti stata. Pure io faccio tutto ciò che posso;
essi sono almeno vestiti, nutriti e, quel che più importa, curati e
amati. Se tu potessi vedere la nostra unione, benediresti con la più
calda riconoscenza quel Dio a cui con le supreme amarissime lacrime chiedesti
la felicità dei tuoi figli...
Così diceva Carlotta... o
Guglielmo, chi può ripetere quello che diceva? Come può una
lettera fredda e morta dare un'idea della celeste essenza del suo spirito?
Alberto l'interruppe dolcemente: vi commuovete troppo, Carlotta. So quanto questi
pensieri vi sono cari, ma vi prego... Oh Alberto, disse lei, io so che tu non
hai dimenticato le sere che passavamo seduti intorno al tavolino rotondo,
quando il babbo era in viaggio, e avevamo mandato a letto i bambini. Tu avevi
spesso un buon libro, e qualche volta venivi a leggerci qualcosa. Lo scambio di
idee con quell'anima sublime non superava ogni dolcezza? Dio vede le lacrime
che verso nel mio letto quando gli domando di farmi somigliare a mia madre!
Carlotta, esclamai, mentre mi gettavo
ai suoi piedi e le prendevo la mano inondandola di pianto, Carlotta, la
benedizione di Dio e lo spirito di tua madre stanno su di te! - Se l'aveste
conosciuta, disse lei stringendomi la mano, era degna di esser conosciuta da
voi. - Credetti venir meno: mai una così grande, alta parola mi era
stata rivolta.
Carlotta disse ancora: quella donna
doveva morire nel fiore degli anni, quando il suo bimbo più piccolo non
aveva ancora sei mesi! La malattia fu breve, lei era tranquilla, rassegnata;
solo i suoi figli le facevano pena, specialmente il più piccolo. Quando
sentì avvicinarsi la fine, e mi disse: falli venir su; ed io feci
entrare i più piccoli ignari, i più grandi fuori di s‚
dall'angoscia, quando furono attorno al letto, e giunse le mani e pregò
per loro, poi li baciò uno dopo l'altro, e li mandò via, mi
disse: "Sii la loro mamma", io le diedi la mano, in segno di
promessa. "Tu prometti molto, figlia mia - mi disse - il cuore di una
madre, l'occhio di una madre! Ho visto spesso, dalle tue lacrime riconoscenti,
che tu comprendi quello che valgono. Li avrai per i tuoi fratelli, e abbi per
tuo padre la fedeltà e l'obbedienza di una sposa. Tu li
consolerai".
Domandò di vederlo: egli era
uscito per nasconderci il dolore che provava: era disfatto... Tu eri nella
camera, Alberto. Lei sentì camminare qualcuno, domandò chi era, e
posò su noi due uno sguardo tranquillo e consolato, pensando che saremmo
stati felici insieme... Alberto le gettò le braccia al collo, e la
baciò esclamando: lo siamo, lo saremo! Werther - disse Carlotta - quella
donna doveva morire! Dio, quando penso che ci lasciamo portar via così
quelli che sono più cari al nostro cuore; e nessuno lo sente così
fortemente come i bambini, i quali a lungo si lamentarono perché‚ gli uomini
neri avevano portato via la mamma.
Si alzò; io ero rientrato in me
stesso, e tremavo; rimasi seduto, e tenni stretta la sua mano. "Bisogna
rientrare, disse Carlotta, è l'ora" e volle liberare la sua mano,
ma io la trattenni con più forza. "Ci rivedremo, gridai, ci
ritroveremo, e FRA TUTTI ci riconosceremo. Vado via, continuai, vado via
volontariamente..."; pure, se avessi dovuto dire PER SEMPRE, non avrei
potuto.
"Addio Carlotta! Addio Alberto! Ci
rivedremo". "Domani, penso", disse lei scherzando. Sentii questo
DOMANI. Ah, lei non sapeva, quando ritirò la sua mano dalla mia... Si
allontanarono lungo il viale; io rimasi fermo; li seguii con lo sguardo nel
chiarore della luna, mi gettai a terra, piansi, e mi rialzai improvvisamente;
corsi sulla terrazza e vidi ancora da lontano, all'ombra dei grandi tigli, il
suo abito bianco luccicare presso la porta del giardino; tesi le braccia; lei
sparì.
LIBRO SECONDO
20 ottobre 1771.
Siamo arrivati ieri. L'ambasciatore
è indisposto e rimarrà in casa per qualche giorno. Se non fosse
così poco gentile, tutto andrebbe bene. Io osservo, osservo che il
destino mi ha riservato delle dure prove. Ma coraggio! Uno spirito leggero
sopporta tutto! Uno spirito leggero? rido, vedendo che questa parola mi corre
alla penna. Oh, un carattere un pò più leggero mi renderebbe il
più felice fra gli uomini. Come? mentre altri con le loro poche forze,
col loro poco talento si pavoneggiano soddisfatti davanti a me, io dubito della
mia forza, dei miei doni naturali? Buon Dio, tu che me li hai tutti elargiti,
perché‚ non ne riprenderesti la metà, dandomi in cambio la fiducia in me
stesso e la gioia di quello che possiedo? Pazienza! Pazienza! le cose andranno
meglio. perché‚, devo dirtelo, amico mio, tu hai ragione: da quando ogni giorno
sono circondato dalla folla e vedo quello che fanno gli altri e come si
comportano, sono molto più contento di me. Certo poiché‚ noi siamo fatti
in modo che paragoniamo tutti a noi stessi, e noi stessi a tutti, la
felicità o il dolore dipendono da coloro con i quali stiamo a contatto,
e nulla è più pericoloso della solitudine. La nostra
immaginazione, che è naturalmente portata ad elevarsi, alimentata dalle
fantastiche immagini della poesia, si crea una schiera di esseri fra i quali
noi occupiamo l'ultimo posto; e all'infuori di noi tutto ci sembra splendido e
ogni persona perfetta. E questo è naturalissimo. Spesso sentiamo che ci
manca qualche cosa, e proprio quel che ci manca ci sembra di trovarlo in
un'altra persona alla quale attribuiamo tutto ciò che noi pure abbiamo,
e inoltre una grazia ideale. Così immaginiamo l'uomo felice. Ed esso
è una creatura della nostra fantasia.
Quando invece nonostante tutto la
nostra debolezza e lo sforzo che dobbiamo compiere, proseguiamo la nostra
opera, spesso osserviamo che pur andando lentamente e perdendo tempo avanziamo
più di altri che vanno a forza di vele e di remi... ed è allora
che si è veramente consci di se stessi; quando si va alla pari con gli
altri, ed anzi si sorpassano.
26 novembre.
Tutto sommato comincio a trovarmi
discretamente qui. Per fortuna c'è molto da fare; inoltre gli uomini di
ogni specie, e le nuove, varie figure che mi sfilano dinanzi formano uno
spettacolo svariato. Ho conosciuto il conte C., un uomo che ogni giorno imparo
a rispettare di più: ha una mente larga, e non è freddo perché‚
sa vedere le cose fino in fondo; la sua conversazione rivela molta
sensibilità all'amicizia e all'affetto. Egli ha preso interesse a me da
quando ho trattato un affare con lui, e fin dalle prime parole ho osservato che
c'intendevamo e che egli poteva parlare con me come con nessun altro. E io non
posso lodare abbastanza la sua lealtà verso di me. Non vi è al
mondo gioia pura e calda come quella di vedere una grande anima che si apre a
noi.
24 dicembre.
L'ambasciatore mi dà molte noie,
e io l'avevo previsto. E' il pazzo più puntuale che esista, è
esatto e minuzioso come una vecchia zitella; un uomo che non è mai
contento di s‚ e dinanzi al quale, per conseguenza, nessuno può trovare
grazia. A me piace lavorare correntemente, e quello che è scritto
è scritto; egli è capace di rendermi una memoria
Avrei voglia, allora, di sbattere la
testa nel muro. Non deve mancare un E, n‚ una congiunzione, ed egli è
nemico mortale di tutte le inversioni che talvolta mi sfuggono; quando il
pericolo non è modulato sopra un ritmo tradizionale, egli non capisce
niente: è una sofferenza avere a che fare con simili uomini.
La fiducia del conte C. è la
sola cosa che mi ricompensi. Ultimamente egli mi diceva, con tutta franchezza,
com'è scontento della lentezza e della minuziosità del mio
ambasciatore. Queste persone rendono tutto più difficile per loro stessi
e per gli altri: bisogna rassegnarvisi come un viaggiatore che deve valicare
una montagna: se il monte non ci fosse, la via sarebbe più corta e
più comoda; ma poiché‚ c'è, bisogna oltrepassarlo!
Il mio vecchio si accorge della
preferenza che il Conte ha per me; questo gli dispiace e cerca tutte le
occasioni per dir male del conte in mia presenza; naturalmente io ribatto, e la
discussione si fa aspra. Ieri egli mi mise fuori dai gangheri dicendo: "Il
Conte s'intende benissimo degli affari di questo mondo; lavora con
facilità e scrive bene, ma manca di conoscenze solide come tutti i begli
spiriti".
E a questo punto egli fece un gesto
come per dire: senti la stoccata? Ma non produsse su di me alcun effetto; solo
disprezzai l'uomo che poteva pensare e agire così. Resistetti e lottai
abbastanza vivacemente. Dissi che il Conte era un uomo degno di stima per il
suo carattere e per la sua cultura. Non ho mai visto nessuno, dissi, che sia
riuscito a svolgere il suo spirito, a estenderlo su innumerevoli argomenti, e a
conservare nello stesso tempo una tale attività per la vita pratica. Ma
per il suo cervello questo era arabo, e io mi allontanai per non prendere una
bile sentendolo sragionare ancor di più. Di tutto questo è vostra
la colpa, di voi tutti che mi avete messo sotto il giogo e mi avete decantato
l'attività. Attività! Se non fa più di me colui che pianta
patate e che va a vendere grano in città, voglio ancora lavorare dieci
anni sulla galera dove sono ora incatenato. E quale miseria dissimulata, quale
noia regna fra il popolo sciocco che si vede qui accalcato! Quale mania di
primeggiare per cui osservano, spiano il modo di guadagnare un passo gli uni
sugli altri! frivole, miserabili passioni che si mostrano a nudo. C'è
una donna, per esempio, che parla a tutti della sua nobiltà e delle sue
terre, in modo che ogni forestiero penserà: è una pazza a cui un
po' di nobiltà e la fama delle sue terre hanno fatto girare la testa! Ma
c'è di peggio: questa donna è la figlia di uno scritturale del
vicinato! Io non posso concepire come l'umanità abbia tanto poco senno
da prostituirsi in questo modo!
Invece io osservo ogni giorno che si ha
torto di giudicare gli altri da se stessi. E poiché‚ ho tanto da fare nel
pensare a me stesso e questo mio cuore è così turbinoso, lascio
volentieri che gli altri seguano la loro strada purch‚ mi lascino seguire la
mia.
Quello che più mi importuna sono
le ineluttabili distinzioni sociali. So benissimo quanto è necessaria la
differenza di classe, e quanti vantaggi ne ritraggo io stesso: ma vorrei che
non venisse a sbarrarmi la strada proprio quando potrei godere quaggiù
un po' di gioia, un'illusione di felicità. Ho conosciuto recentemente,
alla passeggiata,
8 gennaio 1772.
Che razza d'uomini sono quelli di cui
l'anima è tutta assorta dal cerimoniale, di cui ogni pensiero ed ogni
sforzo tende a sedersi a tavola, arrampicandosi su di una sedia più
elevata! E non si può dire che non abbiano occupazioni; al contrario, i
lavori si accumulano per loro, perché‚ questi piccoli traffici impediscono il
disbrigo degli affari importanti. La settimana scorsa vi furono delle
difficoltà nella disposizione delle corse in slitta, e il nostro piacere
fu guastato.
Pazzi sono coloro i quali non vedono
che il posto non significa niente, e che colui che ha il primo posto raramente
ha l'ufficio più importante! Quanti re sono governati dai loro ministri,
quanti ministri dai segretari. Qual è dunque il primo? secondo me colui
che domina gli altri, che ha sufficiente potere o astuzia per far servire le
loro passioni all'esecuzione dei suoi piani.
20 gennaio.
Devo scrivervi, cara Carlotta, qui
nella stanza di un povero albergo di villaggio, dove mi sono riparato dal
cattivo tempo. Finch‚ sono stato nel triste nido di D... dove mi aggiro tra una
folla del tutto straniera al mio cuore, non un istante è trascorso nel
quale un impulso non mi abbia detto di scrivervi; e ora in questa capanna, in
questa solitudine, in questa prigione, mentre la neve e la grandine turbinano
contro la mia finestra, il mio primo pensiero è stato per voi. Appena
sono entrato qui, la vostra immagine, il vostro ricordo mi hanno penetrato in
modo così sacro e ardente! Mio Dio, è questo il primo momento
felice che io ritrovo! Se mi vedeste, cara, immerso in questo torrente di
distrazioni! come sono inariditi i miei sentimenti: non un istante il mio cuore
è soddisfatto, non ho un'ora di beatitudine! Nulla, nulla: sto come
davanti a una cassetta di curiosità: vedo piccoli uomini e piccoli
cavalli che corrono dinanzi a me, e spesso mi domando se non è
un'illusione ottica. Mi diverto, o meglio essi si divertono con me come con una
marionetta, e talvolta io stringo al mio vicino la sua mano di legno, e
rabbrividisco. La sera mi propongo di godere il levar del sole e il mattino
seguente non mi muovo dal letto; il giorno mi riprometto lo spettacolo del
chiaro di luna e poi rimango nella mia camera. Non so precisamente perché‚ mi
alzo, perché‚ vado a letto. Mi manca il lievito che teneva in fermento la mia
vita; è svanito il fascino che mi teneva desto nelle profonde notti,
l'incanto che la mattina mi destava dal sonno è fuggito. Non ho trovato
qui che una donna,
Oh se fossi seduto ai vostri piedi,
nella piccola stanza tranquilla, e i nostri cari piccini giocassero intorno a
me, e io potessi, quando il loro chiasso vi dà noia, raccogliermeli
intorno tranquilli e avvincerli con una storia terribile!
Il sole tramonta superbamente sulle
valli risplendenti di neve, la tempesta è passata e io... devo rientrare
nella mia gabbia! Addio! Alberto è con voi? E come...? Dio mi perdoni
questa domanda!
8 febbraio.
Da otto giorni abbiamo un tempo
orribile, e io me ne rallegro. poiché‚ da quando sono qui, non è mai
apparso nel cielo un bel giorno senza che qualcosa non me l'abbia guastato o
distrutto. Almeno quando piove e nevica e gela e disgela... io penso che non si
può star peggio in casa che fuori o viceversa, e così va bene.
Quando invece la mattina il sole sorge e promette una bella giornata, non manco
mai di esclamare: ecco un bene divino che gli uomini possono rapirsi gli uni
agli altri. Non c'è niente che essi non si rapiscano reciprocamente:
salute, buon nome, gioia, riposo e, il più delle volte, per
ingenuità, ignoranza, ristrettezza di mente e, a sentir loro, con le
migliori intenzioni! Vorrei talvolta pregarli in ginocchio di non sbranarsi a
vicenda con tanto furore.
17 febbraio.
Ho paura che il mio ambasciatore e io
non potremo durare a lungo insieme. Quell'uomo è assolutamente
insopportabile! Il suo modo di lavorare e di trattare gli affari è
così ridicolo che io non posso trattenermi dal criticarlo, dall'agire
spesso secondo il mio criterio e il mio modo di vedere e, naturalmente, quello
che io faccio non va
20 febbraio.
Dio vi benedica, amici miei cari, e vi
dia i bei giorni che a me sono negati!
Io ti ringrazio, Alberto, di avermi
ingannato; aspettavo di apprendere quando avrebbe avuto luogo il vostro
matrimonio, e avevo deciso che quel giorno avrei solennemente staccato dalla
parete la SILHOUETTE di Carlotta, e l'avrei sepolta fra le altre carte. Ora voi
siete sposi, e la sua immagine è sempre lì. Che vi resti! perché‚
non dovrebbe rimanervi? Io so che sono vicino a voi, che, senza farti torto,
sono nel cuore di Carlotta; in esso occupo il secondo posto, e voglio e devo
conservarlo. Diventerei pazzo se lei potesse dimenticare. Alberto, c'è
un inferno in questo pensiero. Addio, Alberto! Addio, angelo del cielo!
Carlotta, addio!
15 marzo.
Ho dovuto sopportare una mortificazione
che mi caccerà di qui. Mi mordo la lingua: diavolo! la cosa non
potrà accomodarsi, e la colpa sarà vostra, perché‚ voi mi avete
spronato, tormentato, incitato ad assumere un posto che non corrispondeva alle
mie inclinazioni. E ora ecco quello che mi capita! E perché‚ tu non dica che le
mie idee esaltate sono causa di tutto, ti farò, mio signore, un racconto
chiaro e semplice quale potrebbe tracciarlo un cronista.
Il conte C. mi vuol bene e mi tiene in
conto, questo ormai è risaputo e te l'ho detto cento volte. Ieri ero a
pranzo da lui, ed era appunto il giorno in cui una nobile società di
signore e gentiluomini si riunisce in casa sua per trascorrere la serata; non
ci avevo affatto pensato e non mi era passato per la mente, che noi subalterni
non siamo al nostro posto in queste riunioni. Dunque, pranzo dal Conte; dopo
pranzo passeggiamo in lungo e in largo nella gran sala, io parlo con lui e col
colonnello B... che era sopraggiunto, ed arriva così l'ora della
riunione. Dio mi è testimone che non pensavo a nulla. Arriva la
nobilissima signora S. con il suo egregio consorte e con quell'ochetta di
figlia dal seno appiattito e dal grazioso abbigliamento; essi prendono EN
PASSANT un'aria sdegnosa e, poiché‚ io ho per questa gente una cordiale
antipatia, volevo congedarmi e aspettavo soltanto che il Conte fosse libero
dalle loro chiacchiere, quando la mia signorina B. entrò. poiché‚ il
cuore mi batte sempre un poco quando la vedo, rimasi in piedi dietro la sua
seggiola, e osservai soltanto dopo qualche tempo che lei mi parlava con meno
franchezza del solito, ed era un po' confusa. Rimasi sorpreso.
E' anche lei simile a tutta questa
gente, pensavo, ed ero urtato, e volevo andarmene, pure restavo perché‚ avrei
voluto scusarla, e non potevo pensar male di lei, e speravo ancora che mi
avrebbe rivolto qualche parola gentile... e... che vidi? Intanto la compagnia
fu al completo. Il barone F... con tutto il guardaroba del tempo in cui fu
incoronato l'aulico consigliere R..., che qui si faceva annunciare in
qualità di signor R. con la sua sorda signora; e non bisogna dimenticare
il signor J. mal vestito, che colma le lacune del suo antico gotico guardaroba
con dei moderni stracci: insomma c'era una folla, e io parlai con alcune
persone di mia conoscenza, tutte molto laconiche, non pensavo e non badavo che
alla mia signorina B., e non avevo osservato che in fondo alla sala le donne si
parlavano all'orecchio, che fra gli uomini avveniva qualche cosa, che
La sera ritornai all'ora di pranzo;
c'erano ancora pochi ospiti nella sala: giocavano a dadi in un angolo, ed
avevano rialzato
Allora finalmente cominciai ad essere
annoiato sul serio. Tutti quelli che venivano a tavola mi guardavano, io
pensavo che era per quello, e il sangue mi andava alla testa.
Oggi ancora, dovunque io vado mi si
compiange; sento che gli invidiosi trionfano e dicono che si vede quel che
succede ai presuntuosi che si prevalgono di un po' di spirito e si credono
autorizzati a passar sopra a tutte le convenienze... Ci sarebbe da piantarsi un
coltello nel cuore. Si vanti infatti finch‚ si vuole l'indipendenza di
carattere: vorrei proprio vedere chi potrebbe sopportare che dei facchini
parlassero di lui quando possono trovare un pretesto: quando le chiacchiere
sono senza base, allora è più facile tollerarle!
16 marzo.
Tutto mi provoca e urta la mia
suscettibilità. Oggi nel viale ho incontrato
- O, Werther, mi ha detto con voce
commossa, come poteste interpretare male il mio turbamento, voi che conoscete
il mio cuore? Che cosa non ho sofferto per voi dal momento in cui sono entrata
nella sala! Prevedevo ogni cosa, e cento volte fui sul punto di parlarvi.
Sapevo che le signore S. e T. si sarebbero allontanate coi loro mariti
piuttosto che restare in vostra compagnia: sapevo che il Conte non poteva
rompere con loro... e ora tutto questo chiasso...
- Come, signorina, dissi, nascondendo
la mia angoscia mentre tutto quello che mi aveva detto Adelin l'altro giorno mi
correva in quel momento nelle vene come acqua bollente... - Che cosa mi siete
già costato! - aggiunse la dolce creatura mentre gli occhi le si
riempivano di lacrime. Io non ero più padrone di me stesso, e stavo per
gettarmi ai suoi piedi.
- Spiegatevi - le dissi. Le lacrime le
rigarono le guance; ero fuori di me. Lei asciugò i suoi pianti, senza
cercare di nasconderli. - Voi conoscete mia zia, cominciò; lei era
presente alla scena, e potete immaginare con quali occhi l'ha vista. Werther,
ieri sera e stamane ho dovuto ascoltare una predica sulla mia relazione con
voi: ho dovuto sentirvi abbassare, demolire, senza potere, senza osare
difendervi che a metà.-
Ogni parola che lei pronunciava mi
penetrava nel cuore come una spada. Lei non sentiva come sarebbe stato
più caritatevole di tacermi tutto questo e continuò a parlare di
tutte le chiacchiere che si sarebbero fatte e di quale specie di persone
avrebbe trionfato. E mi disse che si sarebbe goduto di veder punito il mio
orgoglio e il mio disprezzo per gli altri che mi si rimprovera da tanto tempo.
Sentir da lei tutto questo, Guglielmo, e con l'accento della più viva
simpatia. Ero annientato, e mi sento ancora ribollire il cuore! Avrei voluto
che qualcuno osasse parlarmi di fronte per poterlo trapassare con la mia spada;
starei meglio se vedessi del sangue! E cento volte ho preso in mano un coltello
nel desiderio di dare aria al mio cuore oppresso. Si parla di una nobile razza
di cavalli i quali quando sono troppo accaldati e affaticati si spezzano
istintivamente una vena, per respirare più liberamente. Spesso io vorrei
aprirmi una vena che mi desse l'eterna libertà.
24 marzo.
Ho dato a corte le mie dimissioni, e
spero che saranno accettate, e voi mi perdonerete di non aver prima chiesto il
vostro permesso. Devo ormai partire, e so tutto quello che mi direste per
indurmi a restare. Dunque... Fate che mia madre prenda bene la cosa: non riesco
a contentare me stesso, e lei deve avere pazienza se non posso contentare anche
lei. Certo sarà dispiaciuta. La bella corsa che suo figlio aveva
intrapreso verso gli alti gradi del Consiglio segreto e dell'ambasciata
è interrotta ad un tratto, ed eccolo ricaduto nel branco dei comuni
mortali! Giudicate pure la cosa come credete, ed immaginate tutte le possibili
combinazioni con le quali avrei dovuto e potuto restare; è inutile, io
parto. E perché‚ sappiate dove vado, vi dirò che c'è qui il
Principe xxx, che trova molto piacere nella mia compagnia e che, appena ha
conosciuto le mie decisioni, mi ha pregato di andar con lui nelle sue terre e
di passarvi la bella primavera. Mi ha promesso di lasciarmi perfettamente
libero e poiché‚ fino a un certo punto c'intendiamo, voglio tentare la fortuna
e partire con lui.
Poscritto.
19 aprile.
Grazie per le tue due lettere. Non ti
ho risposto perché‚ ho aspettato, per spedire questa mia, che le mie dimissioni
fossero accettate dalla corte; temevo che mia madre potesse rivolgersi al
ministro e ostacolasse i miei disegni. Ma ormai è finita e ho il mio
congedo. Non posso dirvi con quanto rimpianto me lo hanno dato, e quello che mi
ha scritto il ministro: prorompereste in nuovi lamenti. Il principe ereditario
mi ha mandato una gratificazione di venticinque ducati, accompagnata da parole
che mi hanno commosso fino alle lacrime; non ho dunque bisogno del denaro di
cui recentemente scrissi a mia madre.
5 maggio.
Domani parto da qui e poiché‚ il mio
paese nativo non è che a sei miglia dalla via che dobbiamo percorrere,
voglio rivederlo, voglio rivivere gli antichi giorni felici, trascorsi come in
sogno. Voglio entrare proprio per quella porta per la quale uscii con mia madre
quando, dopo la morte di mio padre, lei abbandonò quel luogo tranquillo
e caro per andarsi a rinchiudere nella sua città natale. Addio,
Guglielmo, avrai notizie del mio viaggio.
9 maggio.
Mi sono recato alla mia patria con
l'animo di chi compie un pellegrinaggio, e sono stato invaso da sentimenti
inattesi. Giunto al gran tiglio che si trova presso S. a un quarto d'ora dalla
città, feci fermare la carrozza, discesi e mandai avanti il postiglione
per assaporare a mio agio, con tutto il cuore, ogni ricordo nella sua vivacità
e novità.
Mi fermai sotto il tiglio che, quando
ero bimbo, era stato m‚ta e confine delle mie passeggiate. Come tutto era
mutato! Allora, in una felice ignoranza io aspiravo a slanciarmi nel mondo
ignoto, dove credevo di trovare per il mio cuore un tal pascolo e un tal
godimento, da poter soddisfare e colmare il mio ardente, nostalgico desiderio.
Ora io ritorno dal lontano mondo... ahim‚, amico mio, con quante speranze
deluse, con quanti piani distrutti! Ecco sorgere dinanzi a me i monti che mille
volte erano stati m‚ta dei miei desideri. Potevo restare delle ore seduto
aspirando a valicare le cime, perdendomi con la fantasia nelle valli e nelle
foreste che apparivano al mio sguardo in una dolce luce crepuscolare; e quando
all'ora fissata dovevo ritornarmene, con quale rincrescimento abbandonavo il
mio posto favorito! Mi avvicinai alla città; e salutai amichevolmente le
antiche casette a me note; le nuove mi diedero noia, come tutti i cambiamenti
che erano stati fatti. Varcai la porta della mia città e mi orientai
subito e completamente. Ma non voglio entrare in particolari; per me erano
pieni di fascino, ma diventerebbero monotoni nella narrazione. Avevo deciso di
prendere alloggio nella piazza, vicino alla nostra antica casa. Osservai
passando che la scuola dove una buona vecchia rinchiudeva e ammucchiava noi
ragazzi, era stata trasformata in una bottega di vendita al minuto; ricordai
allora l'irrequietezza, le lacrime, lo smarrimento, l'angoscia; tutto
ciò che avevo sopportato in quel buco. Non potevo fare un passo senza
trovare qualcosa di notevole. Un pellegrino in Terra Santa non trova certo
tanti luoghi consacrati da ricordi religiosi, e difficilmente la sua anima
può esser così piena di profonda commozione. Ancora un esempio,
fra mille: scesi lungo il fiume fino a una certa fattoria: quella via mi era
consueta un tempo, ed era quello il luogo in cui noi ragazzi ci esercitavamo a
chi faceva più volte rimbalzare nell'acqua le pietre piatte: ebbi vivo
il ricordo di quando mi fermavo talvolta a contemplare il fiume, a seguirne il
corso con meravigliosi presagi, a immaginare strani paesi per i quali esso
sarebbe passato; ben presto la mia fantasia trovava i suoi confini, pure io mi
sentivo trascinato lontano, sempre più lontano, finch‚ mi perdevo nella
contemplazione di una vaga lontananza. Così, amico mio, erano gli
antichi nostri padri: rinserrati in angusti confini, eppure felici! così
infantili erano il loro sentimento e la loro poesia. Quando Ulisse parla del
mare immenso, della terra sconfinata, egli è umano, vero, profondo,
affascinante e misterioso. Che m'importa di poter ripetere ora con ogni
scolaretto che la terra è rotonda? Poche zolle sono sufficienti all'uomo
per vivere e godere, ancor meno per riposarvi di sotto.
Mi trovo ora nella casa di caccia del
principe; ed è molto piacevole vivere con lui che è sincero e
semplice: è circondato da strani uomini che non riesco a comprendere.
Non sembrano birbanti, eppure non hanno l'aspetto di persone perbene: talvolta
mi sembrano degni di rispetto, eppure non posso confidarmi con loro. Una cosa
che pure mi dispiace è che il principe parla spesso di cose che conosce
solo attraverso letture o conversazioni, e ne parla sempre dal punto di vista
sotto il quale gli altri gliele hanno presentate.
Inoltre egli apprezza la mia intelligenza
e i miei talenti più del mio cuore, la sola cosa di cui sono orgoglioso,
che è sorgente di ogni forza, di ogni gioia, di ogni dolore. Tutti
possono sapere quello che io so... ma il mio cuore, lo possiedo io solo.
25 maggio.
Avevo in mente qualcosa di cui non
volevo parlarvi finch‚ non fosse un fatto compiuto; poiché‚ invece la cosa non
ha avuto seguito, posso egualmente spiegarmi. Volevo entrare in servizio
militare; ci ho pensato a lungo e, specialmente per questo, ho seguito qui il
principe che è generale agli ordini di... Durante una passeggiata gli
esposi la mia idea, ma egli mi dissuase e, per non dare ascolto alle sue
ragioni, avrei dovuto esser guidato dalla passione piuttosto che dal capriccio.
11 giugno.
Dì quello che vuoi, non posso
restare qui più a lungo. Che cosa dovrei fare? il tempo non passa mai;
il principe mi tratta nel miglior modo possibile, eppure non mi sento a mio
agio: in fondo non abbiamo niente in comune l'uno con l'altro. Egli è un
uomo di criterio, ma di un criterio molto comune: la sua conversazione non
m'interessa più di quel che m'interesserebbe un libro ben scritto.
Resterò ancora otto giorni e poi riprenderò le mie
peregrinazioni: quel che ho fatto di meglio qui è stato il disegnare. Il
principe sente l'arte, e la sentirebbe ancor di più se la sua mente non
fosse ristretta in noiose formule scientifiche e in una rigida terminologia.
Talvolta mi mordo le labbra, quando percorro con l'immaginazione i vasti campi
della natura e dell'arte, ed egli pensa di stupirmi lanciando nel discorso
qualche termine tecnico.
16 giugno.
Sì, io sono soltanto un
viandante, un pellegrino sulla terra. E voi siete qualcosa di più?
18 giugno.
Dove penso di andare? te lo dirò
in confidenza. Resterò qui ancora quindici giorni dopo i quali ho detto
che desidero visitare le miniere di...; in fondo non c'è nulla di vero;
voglio avvicinarmi a Carlotta, e questo è tutto. Rido del mio cuore...
ma finisco col far sempre la sua volontà.
29 luglio.
No, va bene, va tutto bene! Io, il suo
sposo! Dio, che mi hai creato, se tu mi avessi concesso questa beatitudine
avrei passato la mia vita ad adorarti. Non voglio penetrare i tuoi decreti, e
Tu perdonami queste lacrime, perdonami questi vani desideri! Lei, mia sposa! se
avessi potuto stringere tra le mie braccia la più amabile creatura... Un
brivido mi scuote, Guglielmo, quando Alberto cinge la sua figurina ben fatta!
E, devo dirlo? perché‚ no, Guglielmo?
Lei sarebbe stata più felice con me che con lui: egli non è
l'uomo che possa colmare i desideri del suo cuore. Un difetto di
sensibilità, un difetto... chiamalo come vuoi... ma io non vedo il suo
cuore battere all'unisono con quello di lei a qualche passaggio di un libro
amato durante il quale il mio cuore e quello di Carlotta si sarebbero incontrati;
e in cento altri casi quando ci avviene di esprimere i nostri sentimenti sulle
azioni di altri. Caro Guglielmo! Invero egli l'ama con tutta l'anima, e che
cosa non merita un simile amore!
Un uomo insopportabile è venuto
ad interrompermi: le mie lacrime si sono disseccate; io mi sono distratto.
Addio.
4 agosto.
Non sono solo io: tutti gli uomini sono
delusi nelle loro speranze, ingannati nella loro attesa. Sono andato in cerca
della mia buona donna, sotto il tiglio. Il bambino più grande mi
è venuto incontro, e le sue grida di gioia hanno fatto accorrere la
madre, che mi è parsa molto abbattuta. La sua prima parola fu: -
Signore, il mio Gianni è morto! Era il bimbo più piccolo. E mio
marito, aggiunse, è ritornato dalla Svizzera e non ha portato nulla:
senza l'aiuto di persone buone avrebbe dovuto mendicare: gli è venuta la
febbre lungo la via. -
Non potei dir nulla; regalai qualcosa
al bambino, e lei mi pregò di accettare qualche mela, ciò che io
feci, lasciando quel luogo pieno di tristi ricordi.
21 agosto.
Talvolta, come per un colpo di mano,
tutto cambia per me, e la vita si illumina di un giocondo sorriso, ahi, solo
per un istante! Quando mi perdo così nei sogni, non posso impedirmi di
pensare: e, se Alberto morisse! Tu saresti..., sì, lei sarebbe... e
proseguo in questa visione finch‚ essa mi porta sull'orlo di abissi davanti ai
quali mi ritraggo con orrore.
Quando esco dalla porta di
città, e percorro la via per la quale andai la prima volta a prendere
Carlotta per condurla al ballo come tutto mi sembra mutato! Tutto, tutto
è finito! Nessuna traccia di quel mondo svanito, nessun battito di cuore
che risponda ai miei sentimenti passati. Sono come un fantasma che ritornando,
vedesse arso e distrutto il castello che un tempo, egli, principe fiorente,
aveva fabbricato ornandolo di ogni splendore, e che morendo aveva lasciato,
pieno di speranze, al diletto figlio.
3 settembre.
Talvolta non posso concepire che un
altro possa, osi amarla, mentre io l'amo così unicamente, profondamente,
compiutamente, e non conosco, non so, non ho che lei al mondo!
4 settembre.
Sì, è così. Come
la natura volge verso l'autunno, così l'autunno si fa in me e intorno a
me. Ingialliscono le mie foglie, e già le foglie degli alberi vicini
sono cadute. Ti parlai una volta di un contadino, appena venni qui? Ora ho
chiesto sue notizie a Wahlheim; mi dissero che era stato licenziato dal suo
servizio, e nessuno sapeva altro sul suo conto. Ieri l'ho incontrato per caso,
sulla strada di un altro villaggio, gli ho rivolto la parola, e mi ha
raccontato la sua storia che mi ha profondamente commosso, come facilmente
comprenderai quando a mia volta te l'avrò narrata. Ma perché‚ tutto
questo? perché‚ non tengo per me ciò che mi angoscia e mi addolora?
perché‚ vengo a turbare anche te, e ti porgo sempre motivo di compiangermi e
biasimarmi? forse pure questo vorrà il mio destino.
Il giovane rispose alle mie prime
domande con una cupa tristezza nella quale mi parve di riscontrare un po' di
confusione, ma poi, come se ad un tratto avesse riconosciuto se stesso e me,
confessò le sue colpe e lamentò le sue sventure. Se potessi,
amico mio, ripeterti tutte le sue parole! egli confessava e raccontava,
provando a questo ricordo soddisfazione
Rileggendo la mia lettera mi accorgo
che ho dimenticato di raccontarti la fine della storia, che del resto s'indovina
facilmente. La donna si difese: sopravvenne il fratello che da lungo tempo
odiava il servo, da lungo tempo desiderava vederlo uscire dalla casa perché‚
temeva che un nuovo matrimonio della sorella privasse dell'eredità i
suoi figli, che avevano concepito delle belle speranze essendo la vedova senza
figlioli. Questo fratello l'aveva immediatamente scacciato e aveva dato alla
cosa tanta pubblicità che la donna, anche se avesse voluto, non avrebbe
osato riprenderlo in casa. Ora aveva preso un altro servitore e si diceva che
anche a causa di questo lei era in discordia con il fratello: si assicurava
anzi che lo avrebbe sposato, ma il giovane era deciso a non sopportare una cosa
simile.
La storia che ti narro non è
esagerata, n‚ imbellita; posso dire anzi di averla raccontata debolmente, e di
averle fatto perdere la sua forza perché‚ ho usato parole usuali e corrette.
Questo amore, questa fedeltà,
questa passione non è dunque una finzione poetica: essa esiste, vive
splendidamente pura in quella classe di uomini che noi chiamiamo rozzi e
incolti, noi, gente così raffinata da diventare ineducata. Ti prego di
leggere questa storia con raccoglimento. Io sono calmo oggi scrivendoti, e tu
vedrai dalla mia calligrafia che non sono affrettato e agitato come al solito:
leggi, mio caro, e pensa che questa è pure la storia del tuo amico.
Sì, ecco quel che mi è successo, e che mi succederà: e io
non ho la metà della forza e del coraggio che possiede quel povero
infelice al quale non oso quasi paragonarmi.
5 settembre.
Lei aveva scritto un bigliettino a suo
marito che alcuni affari trattenevano in campagna. Cominciava così:
caro, carissimo, vieni il più presto che puoi, io ti aspetto con grande
gioia. Un amico sopraggiunto annunciò che Alberto, per alcune
circostanze, non sarebbe ritornato tanto presto. Il biglietto rimase sul
tavolo, e la sera mi capitò fra le mani. Lessi, e sorrisi: lei mi
domandò perché‚...
- L'immaginazione è un dono
divino, risposi: ho potuto pensare un istante che quelle righe fossero scritte
per me... - Lei non continuò il discorso che parve dispiacerle, e io
tacqui.
6 settembre.
Mi è costata cara la decisione
finalmente presa di buttar via il vestito BLEU che portavo il primo giorno che
danzai con Carlotta, ma era diventato assolutamente insopportabile. Ne ho
ordinato uno proprio uguale con il colletto e la guarnizione e che ha pure i
pantaloni e il panciotto gialli.
Certo non farà lo stesso
effetto. Non so... ma col tempo penso che anche questo mi diventerà
più caro.
12 settembre.
Carlotta è stata qualche giorno
assente; era andata a prendere Alberto. Oggi sono entrato nella sua stanza, mi
è venuta incontro, e con gran gioia le ho baciato la mano.
Un canarino è volato dallo
specchio sulla sua spalla.
- Ecco un nuovo amico, - ha detto
prendendolo in mano - è destinato ai miei piccoli. Guardate com'è
carino: se gli dò del pane, batte l'ala e becca con grazia; mi bacia
anche, vedete! -
E quando avvicinò l'animaletto
alla sua bocca esso premette amorosamente le dolci labbra come se avesse potuto
apprezzare la beatitudine di cui godeva. - Deve baciare anche voi - disse, e
spinse l'uccellino verso di me: il beccuccio passò dalla sua bocca alla
mia, e le beccate erano come un soffio, un presagio di godimento d'amore. Dissi
allora: il suo bacio è interessato: cerca nutrimento, e rimane scontento
dopo una vana carezza. Mi mangia anche sulla bocca, aggiunse Carlotta. E gli
offrì qualche briciola di pane con le labbra sulle quali sorridevano
gioconde le gioie di un innocente amore.
Io volsi il viso altrove. Lei non
doveva far questo; non doveva infiammare la mia immaginazione con queste
visioni di celeste innocenza e di gioia; non doveva risvegliare il mio cuore
dal sonno nel quale talvolta lo culla l'indifferenza della vita!
E perché‚ no? Lei ha fiducia in me! sa
come io l'amo.
15 settembre.
C'è da diventar furiosi,
Guglielmo, vedendo che ci sono degli uomini incapaci di comprendere e di
sentire il poco che c'è ancora di buono sulla terra. Ricorderai gli
alberi di noce sotto i quali mi sedetti con Carlotta nel cortile del buon
parroco a San...; splendidi alberi che, Dio lo sa, mi riempivano di una grande
gioia spirituale. Quale pace, quale ombra fresca essi diffondevano sul
presbiterio!
Com'erano splendidi i loro rami, e
sacro il ricordo dei venerandi sacerdoti che li avevano piantati da tanti anni!
Il maestro spesso ricordava il nome di uno di loro che aveva appreso dal suo
avo: fu senza dubbio un uomo virtuoso e sotto quegli alberi mi fu sempre sacra
la sua memoria. Ebbene, il maestro aveva le lacrime agli occhi, ti assicuro,
dicendomi ieri che li hanno abbattuti. Abbattuti! Mi sento impazzire, e sarei
pronto a uccidere quel cane che ha vibrato il primo colpo di scure. Io che
sarei capace di prendere il lutto se avessi nel mio giardino una coppia d'alberi
simili a quelli, e uno dovesse morire di vecchiaia, io devo vedere una cosa
simile. Pure, caro Guglielmo, c'è un compenso; vedi che cos'è il
sentimento umano: tutto il villaggio è indignato, e io spero che la
moglie del pastore si accorgerà dal burro, dalle uova e dagli altri
segni di amicizia che di solito riceve, di aver ferito la sua parrocchia.
perché‚ è stata lei, la moglie del nuovo pastore (il nostro vecchio
è morto), una donna magra e malaticcia che ha molte ragioni di non
prendere interesse a nessuno al mondo, perchéŠ nessuno ne prende per lei. E'
una pazza che si picca di essere sapiente, che si dedica allo studio del canone
e lavora enormemente alla nuova riforma morale e critica del cristianesimo; si
stringe nelle spalle alle fantasticherie di Lavater, la sua salute è
scossa, e di conseguenza non gusta alcuna gioia su questa terra. Soltanto una
creatura simile poteva esser capace di abbattere i miei alberi: vedi, non me ne
posso capacitare! Figurati che le foglie cadute le insudiciavano e rendevano
umido il cortile, gli alberi le toglievano la luce, e quando le noci eran
mature i fanciulli vi gettavano contro delle pietre... e tutto questo le dava
ai nervi, la turbava nelle profonde meditazioni durante le quali pesa e
confronta Kennicot, Semler e Michaelis. Quando ho visto tutti scontenti nel
villaggio, e specialmente i vecchi, ho detto loro: perché‚ avete sopportato
questo? - Se il borgomastro vuol qualche cosa, mi hanno detto, che possiamo
fare noi, qui in campagna? Ma almeno qualcosa di bene è avvenuto: il
borgomastro e il pastore (il quale sapeva questa volta di trar profitto dai
capricci di sua moglie che di solito non rendono il suo pranzo più
lauto), avevano pensato di dividersi a mezzo il guadagno; ma è
intervenuto il fisco che ha detto: è roba mia, perché‚ aveva antichi
diritti sulla parte del presbiterio dove erano gli alberi, e li ha venduti
all'incanto. Essi giacciono abbattutti! Oh se fossi stato principe, la moglie
del pastore, il borgomastro e il fisco vedrebbero... Principe! Già, se fossi
principe che m'importerebbe degli alberi del mio paese?
10 ottobre.
Mi basta vedere i suoi occhi neri per
essere felice! Vedi, quello che mi cruccia è che Alberto non sembra
essere così felice come... sperava, come sarei io se... Non mi piacciono
i puntini sospensivi, ma questa volta non posso esprimermi altrimenti, e mi
sembra di essere abbastanza chiaro.
12 ottobre.
Ossian ha preso il posto di Omero nel
mio cuore. In quale splendido mondo egli mi conduce! a errare sulla brughiera
al mormorìo del vento tempestoso che nella nebbia vaporosa fa apparire i
fantasmi degli avi nella pallida luce lunare; a udire dai monti attraverso il
mugghiare dei torrenti nelle foreste i gemiti mezzo soffocati che gli spiriti
esalano nelle loro caverne, e i lamenti della fanciulla che sospira il suo
dolore intorno alle quattro pietre coperte d'erba e di muschio che formano la
tomba dell'eroe che amava. Quando io incontro allora il grigio bardo errante
che cerca nella landa le orme dei suoi padri, e non trova che le loro tombe, e
piangendo si volge all'amata stella della sera che si nasconde nel mare
tempestoso, e i tempi del passato rivivono nell'anima dell'eroe, e ancora un
raggio amichevole illumina il pericolo ai coraggiosi e la luna rischiara il
battello che ritorna vittorioso; quando io leggo sulla sua fronte il tormento
profondo, quando vedo l'ultimo fulgido eroe andare stanco e vacillante verso la
tomba e attingere sempre nuove gioie, dolorose e ardenti, nella debole presenza
delle ombre dei suoi morti, e abbassare gli occhi verso la terra fredda sulle
alte erbe fluttuanti, ed esclamare: verrà, verrà il viandante che
mi ha conosciuto nella mia bellezza e chiederà: dov'è il cantore,
il nobile figlio di Fingal? Il suo passo sfiorerà la mia tomba, e invano
egli mi cercherà sulla terra. O amico! volentieri allora io trarrei la
spada come un nobile scudiero, per liberare ad un tratto il mio principe dal
lacerante tormento di una vita che lentamente si spegne, per mandare la mia
anima a raggiungere il semidìo liberato.
19 ottobre.
Ah qual vuoto, quale orribile vuoto
sento nel mio cuore! Spesso io penso: se tu potessi una, una sola volta
stringerla al petto, tutto il vuoto sarebbe colmato.
26 ottobre.
Mi convinco sempre più, mio
caro, che l'esistenza di una creatura è assai poca cosa. Venne un'amica
a trovare Carlotta e io mi ritirai nella stanza vicina e presi un libro, ma non
potei leggere; allora presi una penna per tentar di scrivere. Le sentivo
parlare piano; si raccontavano cose insignificanti, novità del paese,
che una si sposava, e che un'altra era malata, molto malata: aveva una tosse
secca, il viso scarno, e aveva degli svenimenti: non scommetterei un soldo
sulla sua vita, disse l'una. Anche il signor N. N. sta molto male, disse
Carlotta. E' già tutto gonfio, aggiunse l'amica. E la mia vivace
fantasia mi trasportava al letto di questi infermi; vedevo con quale rimpianto
si sentivano mancar la vita, Guglielmo, e le fanciulle parlavano di loro come
si parla d'un estraneo che muore! E quando io volgo intorno lo sguardo e vedo
questa camera, e gli abiti di Carlotta e le carte di Alberto, e i mobili che mi
sono familiari, e perfino il calamaio, penso: tu immagini di esser tutto per
questa casa! i tuoi amici ti apprezzano; spesso tu procuri loro la gioia e
pensi che non potresti vivere senza di loro, eppure se tu te ne andassi, se tu
scomparissi dalla loro cerchia? sentirebbero, e per quanto tempo sentirebbero
il vuoto che la tua perdita lascerebbe nella loro esistenza? Per quanto tempo?
L'uomo è così effimero che anche lì dove più sicura
è la sua esistenza, dove egli imprime l'unica vera traccia della sua
presenza e cioŠ nel ricordo, nell'anima dei suoi amici, anche lì deve
annientarsi e sparire, prontamente sparire!
27 ottobre.
Mi prende il desiderio di lacerarmi il
petto e di battere la testa contro il muro quando vedo quanto poco noi possiamo
gli uni per gli altri. Oh, nessuno potrebbe darmi l'amore, la gioia, il calore,
la voluttà che io non porto in me!, e io non potrei, se pure avessi il
cuore pieno di beatitudine, render felice colui che sta dinanzi a me senza
forza e senza ardore.
Di sera.
Ho tante sensazioni in me e il pensiero
di lei le assorbe tutte; ho tante cose, e senza di lei tutto è nulla per
me.
30 ottobre.
Almeno cento volte sono stato sul punto
di gettarmi al suo collo! Sa il Dio onnipotente che cosa significa vedersi
passare dinanzi una creatura affascinante e non poterla toccare; eppure toccare
è istinto naturale per gli uomini. Non tendono i bimbi le loro manine
verso tutto quello che cade sotto i loro sensi? E io?
3 novembre.
Dio sa quante volte io vado a letto,
anzi con la speranza di non risvegliarmi più: e la mattina apro gli
occhi, rivedo il sole... e sono infelice. Oh, se io fossi capriccioso, se
potessi prendermela col tempo, dar la colpa a una terza persona, a un'impresa
fallita, non sentirei che a metà il peso del mio malumore. Ma ahim‚, son
troppo convinto che la colpa è soltanto mia... cioŠ, non
Ma ahim‚! Dio non ci dà la
pioggia e il bel tempo secondo le nostre impazienti preghiere, e i giorni di
cui mi tormenta il ricordo, perché‚ erano così felici? perché‚ io
attendevo con pazienza che si manifestasse la volontà divina e accettavo
con cuore riconoscente i benefici di cui mi colmava.
8 novembre.
Lei mi ha rimproverato i miei eccessi,
ma con quanta grazia! I miei eccessi perché‚ talvolta, da un bicchiere
all'altro di vino, arrivo a bere una bottiglia. - Non fate così, mi
disse, pensate a Carlotta! - Pensare!, dissi io, avete bisogno di dirmelo? Che
io pensi o non pensi, voi siete sempre presente nel mio spirito. Oggi ero
seduto in quel luogo dove voi recentemente scendeste in carrozza... -
Lei parlò d'altro e non mi
lasciò continuare il discorso. Caro mio, sono un uomo finito: Lei
può fare di me ciò che vuole.
15 novembre.
Ti ringrazio, Guglielmo, del tuo
amichevole interessamento, dei tuoi buoni consigli, e ti prego di stare
tranquillo. Lasciami sopportare ancora; nonostante la mia pena ho forza sufficiente
per arrivare alla fine. Tu sai che io onoro la religione; sento che essa
è sostegno per molti affaticati, ristoro per molti abbattuti: ma
può e deve esserlo per tutti? Se tu guardi il vasto mondo, vedrai
migliaia di persone per le quali la religione non è stata un conforto,
siano esse state educate o no ai suoi princìpi, e che sarà per
me? Lo stesso figlio di Dio non dice forse che attorno a lui staranno coloro
che il Padre gli ha dato? E se io non gli fossi stato dato? se il Padre volesse
tenermi per s‚, come mi dice il cuore? Ti prego di non interpretare male quanto
ti dico: non vedere irriverenza in queste innocenti parole: è tutta la
mia anima che ti apro; se tu non mi comprendi preferirei aver taciuto: perché‚
non amo spendere vane parole su un argomento che ciascuno intende poco quanto
me. Non è il destino degli uomini sopportare quanto possono e vuotare
fino in fondo la coppa della vita? E se il Dio del cielo trovò il calice
troppo amaro per le sue labbra umane, perché‚ io dovrei mostrarmi forte
21 novembre.
Lei non vede, non sente che prepara un
veleno che trascinerà me e lei nell'abisso; e io con piena
voluttà bevo fino in fondo la coppa che mi porge per annientarmi. Che
significa il dolce sguardo che spesso... spesso? no, non spesso, ma qualche
volta, mi rivolge? La benevolenza con la quale accoglie un'involontaria
espressione del mio sentimento, la compassione per la mia sofferenza che si
dipinge sulla sua fronte?
Ieri, quando me ne andai, mi porse la
mano, e disse: - Addio, caro Werther - Caro Werther! Era la prima volta che mi
chiamava CARO e questa parola mi penetrò fino al midollo delle ossa.
Cento volte me la sono ripetuta, e ieri sera, mentre andavo a letto, e
mormoravo mille cose piano, ho detto: Buona notte, caro Werther!, e ho dovuto
ridere di me stesso.
22 novembre.
Non posso pregare: Dio mio, lasciamela!
Eppure spesso mi pare che sia mia; non posso neppure pregare: concedimela!
perché‚ è di un altro? Sottilizzo quindi con i miei dolori e, se me lo
permettessi, potrei fare una litania di antitesi.
24 novembre.
Lei sente ciò che io soffro:
oggi il suo sguardo mi è arrivato fino al cuore. L'ho trovata sola; non
ho detto niente, e lei mi ha guardato. E in lei non ho più visto
l'affascinante bellezza, la luce del nobile intelletto: tutto era scomparso ai
miei occhi: un più splendido sguardo agiva su di me, esprimendo tenero
interesse, dolce compassione. perché‚ non ho osato gettarmi ai suoi piedi?
perché‚ non ho osato gettarmi al suo collo e coprirla di baci? Lei è
fuggita al pianoforte, e con voce dolce e leggera accompagnava le note col suo
canto armonioso. Non ho mai visto così seducenti le sue labbra; pareva
che si aprissero ardenti per bere i dolci suoni che sgorgavano dallo strumento,
e ai quali la sua bocca pura rispondeva soltanto come un'eco divina. Ah, se
potessi esprimermi... Non resistetti più a lungo; m'inchinai e giurai:
mai oserò imprimere su di voi un bacio, labbra sulle quali aleggiano
spiriti celesti. Eppure, io voglio... Vedi, dinanzi alla mia anima sta come un
muro di separazione. Questa felicità... e poi morire per espiare questo
peccato... è un peccato?
26 novembre.
Qualche volta mi dico: "il tuo
destino è unico: pensa che gli altri sono felici, che mai nessuno
è stato tormentato come te". Poi leggo un poeta del tempo antico, e
mi pare di leggere nel mio proprio cuore. Ho ancora tanto da soffrire! Ci sono
stati prima di me degli uomini altrettanto infelici?
30 novembre.
Non devo, non devo mai rientrare in me
stesso! Dovunque vado un'apparizione mi segue e mi fa perdere il senno. Oggi!
Quale destino! Povera umanità.
Ero andato alla fontana verso
mezzogiorno; non avevo nessuna voglia di mangiare. Tutto era deserto, un vento
di ponente umido e freddo soffiava dai monti e grige nuvole di pioggia venivano
dalla valle. Da lontano vidi un uomo, in un povero abito verde, che si
arrampicava fra le rocce e sembrava cercare delle erbe. Quando giunsi vicino a
lui, ed egli volse la testa al rumore che io feci, vidi un'interessante
fisionomia di cui una tranquilla tristezza formava il carattere principale, e
che esprimeva soltanto un sentimento buono; i suoi capelli neri erano fermati
in due rotoli con delle forcelle; gli altri erano riuniti in una grossa treccia
che gli cadeva sulle spalle. poiché‚ il suo abbigliamento sembrava rivelarlo di
una classe inferiore, pensai che non si sarebbe offeso vedendomi attento al suo
lavoro, e gli chiesi che cosa cercasse.
Mi rispose con un profondo sospiro:
"cerco dei fiori, e non ne trovo alcuno. Veramente non è la
stagione, dissi sorridendo. Ci sono tanti fiori, egli continuò,
discendendo fino a me. Nel mio giardino ci sono delle rose e due specie di
caprifogli: uno me l'ha dato mio padre; e crescono come le male erbe; da due
giorni li cerco e non posso trovarli. Anche là fuori ci sono sempre
fiori: gialli, azzurri, rossi e la centaura ha dei bei fiori. Non posso
trovarne".
Osservai qualcosa d'inquieto nel suo
viso e gli chiesi, cercando di deviare il discorso, che cosa voleva fare con
quei fiori. Uno strano sorriso lo rischiarò. Non mi tradirete, disse
mettendosi un dito sulla bocca: ho promesso un mazzo di fiori alla mia fidanzata.
- Va benissimo, dissi. - Egli aggiunse: ha tante altre cose, è ricca. -
Eppure fa conto del vostro mazzo. - Sì, continuò, lei ha tanti
gioielli e una corona. - Come si chiama? - Se gli Stati Generali mi pagassero
io sarei un altro uomo. C'era un tempo in cui tutto mi andava bene. Ora
è finita! ora sono... E levò al cielo un umido sguardo
espressivo. - Eravate dunque felice? domandai. - Oh, vorrei essere com'ero
allora. Mi sentivo così bene, così allegro, mi trovavo nel mio
elemento come un pesce nell'acqua. -
Enrico! gridò una vecchia che si
avvicinava per il sentiero. Enrico, dove ti eri nascosto? Ti abbiamo cercato
dappertutto. Vieni a tavola! - E' vostro figlio? le chiesi avvicinandomi a lei.
- Sì, è il mio povero figlio, rispose. Dio mi ha dato una croce
pesante da portare. - Da quanto tempo è così? domandai. -
Così tranquillo, lei disse, saranno appena sei mesi; e ringrazio il
Signore che almeno sia arrivato a questo; prima è stato per un anno
intero furioso, e l'hanno tenuto alla catena in manicomio. Ora non fa nulla di
male a nessuno: solo ha sempre da fare con imperatori e re. Era così
buono, tranquillo, mi aiutava a vivere; aveva una bella scrittura. A un tratto
è diventato pensieroso, è caduto in uno stato febbrile, poi nel
delirio: ora è come voi lo vedete. Se potessi narrarvi, signore... -
Interruppi quel torrente di parole e
domandai: - Qual è dunque il tempo che egli rammenta e nel quale dice di
esser stato così felice, così contento? - Poveretto, disse con un
sorriso di pietà: vuol parlare del tempo in cui era fuori di s‚: ricorda
sempre di quando era in manicomio e non aveva coscienza di se stesso. - Fui
colpito come da un fulmine; misi del denaro nelle mani della donna, e fuggii in
fretta.
Allora eri felice - esclamavo mentre
rapidamente mi avviavo alla città; - allora eri come un pesce
nell'acqua! Dio del cielo: questo è il destino che hai dato agli uomini:
di esser felici soltanto prima di acquistare la ragione, e dopo averla perduta!
Disgraziato! eppure io invidio il tuo turbamento, lo smarrirsi dei sensi nel
quale tu langui. Tu esci pieno di speranza a raccogliere fiori per la tua
regina, d'inverno, e ti rattristi e non puoi comprendere perché‚ non ne trovi.
E io... io esco senza speranza, senza scopo, e ritorno come sono uscito. Tu
immagini quale uomo saresti se gli Stati Generali ti pagassero. Felice creatura
che puoi attribuire a un ostacolo terreno la tua mancanza di felicità.
Tu non senti che la tua miseria dipende dal tuo cuore distrutto, dal tuo
cervello turbato, e che tutti i re della terra non possono aiutarti.
Deve morire disperato colui che deride
un malato che viaggia verso lontane fonti che aumenteranno la sua malattia e
renderanno più dolorosa la sua fine; colui che insulta un cuore oppresso
che per liberarsi dai suoi rimorsi e metter fine ai dolori dell'anima
intraprende un pellegrinaggio al santo sepolcro. Ogni passo che gli lacera i
piedi per i sentieri non segnati, è una goccia di balsamo per il suo
animo oppresso; ad ogni giornata di cammino il suo cuore si riposa, alleviato
da molte afflizioni. E voi osate chiamare questa follia, voi, mercanti di
parole adagiati sui vostri guanciali? Follia! Dio, tu vedi le mie lacrime!
Dovevi tu, dopo aver creato misero l'uomo, dargli anche dei fratelli che gli
rapissero il poco che possiede, e il poco di fiducia che egli ha in te, Dio
d'amore! poiché‚ la fiducia in una pianta salutare, nel succo della vigna non
è altra cosa che la fiducia in te, la persuasione che tu hai comunicato
a tutto quanto ci circonda una forza che guarisce o che consola e di cui
possiamo aver bisogno ad ogni istante. Padre, che io non conosco! Padre che
prima riempivi la mia anima, e che ora hai distolto da me il tuo viso! chiamami
a te! non rimanere più a lungo silenzioso! Il tuo silenzio non
potrà trattenere quest'anima assetata! Un uomo, un padre, potrebbe forse
adirarsi quando il figlio ritornando all'improvviso gli si gettasse al collo
esclamando: sono tornato, padre mio! Non ti irritare se abbrevio il
pellegrinaggio che secondo il tuo volere avrei dovuto ancora proseguire. Il
mondo è uguale dappertutto: nella fatica e nel dolore, nella ricompensa
e nella gioia: ma che m'importa? Io sto bene dove tu sei, e vicino a te voglio
godere e soffrire. E tu, amato padre divino, respingeresti da te questo figlio?
Primo dicembre.
Guglielmo, l'uomo di cui ti ho parlato,
lo sfortunato felice, era scrivano presso il padre di Carlotta, e una passione
che egli ebbe per lei, che tenne nascosta e che poi rivelò, per la quale
fu esonerato dal servizio, lo ha reso folle. Cerca di sentire, attraverso
queste aride parole, in quale turbamento mi ha messo questa storia quando
Alberto me l'ha raccontata tanto freddamente quanto tu forse la leggerai.
4 dicembre.
Ti prego... Vedi, per me è
finita; non posso resistere più a lungo. Oggi ero seduto vicino a lei,
ero seduto e lei suonava al piano varie melodìe, sempre con grande
espressione... Che devo dire? La sorellina vestiva la sua bambola sulle mie
ginocchia. Mi sono venute le lacrime agli occhi; mi sono chinato, e il suo
anello nuziale ha colpito il mio sguardo, e ho pianto. In quella, Carlotta ha
cominciato l'antica, dolce melodìa... in fondo all'animo mi si sono
ridestati deliziosi sentimenti e un ricordo del passato di altri tempi in cui
avevo inteso la melodìa, di tristi giorni sopravvenuti, di dolore, di
speranze deluse, e poi... andavo su e giù per la stanza; il mio cuore si
spezzava dall'emozione.
- In nome di Dio, proruppi infine,
andando bruscamente verso di lei, in nome di Dio, finitela! - Si fermò,
e mi guardò fissamente. - Siete molto ammalato, Werther, mi disse con un
sorriso che mi penetrò l'anima; i vostri cibi favoriti vi ripugnano.
Andate, via, calmatevi, vi prego. - Mi sono strappato da lei e... Dio, tu vedi
la mia miseria e vi porrai fine.
6 dicembre.
Come mi perseguita quell'immagine! Che
io vegli o sogni, essa riempie tutta la mia anima! Qui, se io chiudo gli occhi,
qui nella mia fronte dove si concentra l'interiore forza visiva, stanno i suoi
occhi neri. Qui! io non posso esprimerti questo. Se chiudo gli occhi essi sono
là, come un mare, come un abisso essi stanno davanti a me, dentro di me,
dominano i miei pensieri.
Che cos'è mai l'uomo, questo
semidìo tanto apprezzato? Non gli mancano le forze proprio quando gli
sarebbero più necessarie? E che egli prenda lo slancio nella gioia o si
sprofondi nel dolore, non è forse in entrambi i casi arrestato,
ricondotto al cupo, freddo sentimento di se stesso, mentre aspirava a perdersi
nell'oceano dell'infinito?
L'EDITORE AL LETTORE.
Molto avrei desiderato che sugli ultimi
giorni del nostro amico, pieni di interesse per noi, ci fossero rimaste
sufficienti testimonianze di sua mano, così da non dover interrompere
con un racconto il seguito delle lettere che egli ci ha lasciato.
Ho cercato con cura di raccogliere
notizie esatte dalla bocca di persone che potevano essere ben informate sulla
sua storia; essa è molto semplice. Tutte le relazioni concordano fra di
loro salvo in qualche piccolo particolare: soltanto riguardo al carattere dei
personaggi le opinioni differiscono e i giudizi sono disparati.
Lo scoraggiamento e la tristezza
avevano messo sempre più profonde radici nell'anima di Werther, si erano
profondamente congiunti e si erano impadroniti a poco a poco di tutto il suo
essere. L'equilibrio del suo spirito era completamente distrutto: un ardore,
una violenza segreta che agivano su tutte le sue forze naturali, produssero gli
effetti più tristi, e lo lasciarono infine in preda a un abbattimento al
quale egli non poteva ormai reagire che con sofferenze più penose di
tutti i mali fino allora sopportati. L'angoscia del cuore logorò le
ultime forze del suo spirito, la sua vivacità, la sua penetrazione.
Divenne triste, sempre più infelice, e più ingiusto man mano che
diveniva più infelice. Questo almeno dicono gli amici di Alberto; essi
sostengono che Werther non aveva potuto apprezzare quell'uomo puro e tranquillo
che era arrivato a godere una felicità lungamente desiderata, n‚ la sua
condotta per assicurarsi questa felicità nell'avvenire, egli che ogni
giorno dissipava tutto il suo bene per assaporare la sera la sofferenza e
Il padre di Carlotta era stato preso da
un'indisposizione che l'obbligava a rimanere in casa; mandò dunque la
carrozza alla figlia che si recò da lui. Era una bella giornata
d'inverno: la prima neve era caduta abbondante e ricopriva tutto il paesaggio.
Werther la raggiunse il giorno seguente per ricondurla a casa se Alberto non
fosse venuto a prenderla.
La bella giornata ebbe poco effetto sul
suo umore cupo, una squallida tristezza gli gravava sull'animo; nere visioni si
erano impadronite di lui, e il suo spirito non poteva che passare da uno
all'altro pensiero doloroso. poiché‚ viveva in continuo malumore, anche le
condizioni degli altri gli sembravano più critiche e più torbide;
egli credeva di aver turbato il buon accordo fra Alberto e sua moglie, si
faceva dei rimproveri ai quali univa un segreto dispetto contro il marito. Su
questo si aggiravano i suoi pensieri durante il cammino. Sì, sì,
diceva tra s‚, con sorda collera; ecco quest'unione intima, amichevole, tenera,
reciproca; ecco la durevole e sicura fedeltà: è sazietà e
indifferenza. L'affare più insignificante non lo occupa più di
questa donna preziosa? sa egli apprezzare la sua felicità? sa stimare
Carlotta come essa merita? Lei è sua, benissimo, è sua. Lo so,
come so molte altre cose; credo di essermi abituato a questo pensiero, ma esso
mi farà impazzire e morire. E la sua amicizia per me dura ancora? Non
vede già nel mio attaccamento a Carlotta qualcosa che lede i suoi
diritti? Nelle mie premure per lei un segreto rimprovero? Lo so, lo sento, egli
non mi può soffrire, desidera che mi allontani, la mia presenza gli
pesa.
Spesso egli rallentava il suo passo
rapido, spesso si fermava e sembrava voler tornare indietro, ma proseguiva il
suo cammino, e tra questi pensieri e monologhi era infine arrivato, quasi
contro la sua volontà, alla casa di caccia.
Entrò, domandò notizie
del vecchio e di Carlotta; trovò la casa un po' sottosopra. Il ragazzo
più grande gli disse che era successa una disgrazia a Wahlheim; un
contadino era stato assassinato. Ciò non gli fece una grande
impressione; entrò nella camera e trovò Carlotta occupata a
dissuadere il vecchio che nonostante la sua infermità voleva andare sul
luogo del delitto per fare un'inchiesta. L'assassino era ancora sconosciuto: la
vittima era stata trovata la mattina davanti alla porta di casa e si formavano
congetture; il morto era al servizio di una vedova la quale aveva avuto prima
un altro domestico che aveva lasciato la casa non in buoni termini.
A questa notizia Werther rimase
vivamente colpito: - Possibile!, esclamò, devo andare a vedere, non
posso tardare un istante. E corse a Wahlheim. Tutti i suoi ricordi si
risvegliarono, e non un istante egli dubitò che il colpevole non fosse
quel giovane al quale aveva talvolta parlato, e che gli era diventato caro.
Mentre passava sotto i tigli per
recarsi all'osteria dove il corpo era stato deposto, fu preso da orrore alla
vista del luogo a lui caro. La soglia dove i bambini del vicino avevano tanto
giocato era lorda di sangue. Amore e fedeltà, i più bei
sentimenti dell'uomo, erano convertiti in violenza e delitto. I grandi lauri
erano senza foglie e ghiacciati; le belle siepi che s'inarcavano al di sopra
dei muretti del cimitero erano spoglie, e attraverso gli arbusti nudi si vedevano
le pietre tombali coperte di neve.
Quando egli si avvicinò
all'osteria davanti alla quale era riunito tutto il villaggio, si levò
improvviso un grido. Si vide da lontano un gruppo di uomini armati, e ciascuno
disse che si conduceva l'assassino. Werther lo guardò, e non rimase in
dubbio a lungo. Sì, era proprio il servo che qualche tempo prima aveva
incontrato errante in preda a cupo furore, a segreta disperazione.
Che hai fatto, disgraziato!
esclamò Werther avvicinandosi al prigioniero. Questi lo guardò
tranquillo, rimase un momento in silenzio, poi rispose senza commuoversi:
"Nessuno l'avrà, lei non avrà nessuno".
Il prigioniero fu condotto nell'osteria
e Werther scappò via. La spaventosa, violenta emozione aveva prodotto
una scossa in tutto il suo essere. Per un istante egli fu strappato alla sua
tristezza, al suo scoraggiamento, alla sua apatica rassegnazione; la
pietà lo penetrò potentemente, ed egli fu preso da un
irresistibile desiderio di salvare quell'uomo. Lo indovinava così
infelice, lo sentiva così scusabile anche nel delitto, si metteva
così bene al suo posto che credeva fermamente di persuadere anche gli
altri. Già desiderava poter parlare in suo favore, già la difesa
più efficace correva alle sue labbra e si affrettava alla casa di caccia
e, cammin facendo, non poteva trattenersi dal dire a mezza voce quel che
avrebbe voluto esporre al borgomastro.
Quando entrò nella stanza, si
trovò in presenza di Alberto. Questo lo sconcertò un momento, ma
ben presto si riprese ed espose con calore i suoi sentimenti al borgomastro.
Questi di tanto in tanto scuoteva la testa e, bench‚ Werther esprimesse con la
massima vivacità, passione, sincerità quanto un uomo può
dire per difendere un altro uomo, pure, come facilmente si può immaginare,
il vecchio non fu affatto scosso. Non lasciò neppure che il nostro amico
arrivasse fino in fondo, lo contraddisse e lo biasimò perché‚ proteggeva
un assassino; gli mostrò che in questo modo ogni legge sarebbe violata,
la sicurezza sociale sarebbe sconvolta dalle basi; aggiunse poi che in un
simile caso non poteva far nulla senza assumere una responsabilità
troppo grande, e che la cosa doveva andare secondo l'ordine e le regole
prestabilite.
Werther non si arrese ancora, soltanto
pregò il borgomastro di chiudere gli occhi se fosse stato possibile
aiutare il giovane a fuggire, ma il borgomastro rifiutò ancora. Alberto
finalmente prese parte al discorso, e si mise dalla parte del vecchio; Werther
fu sopraffatto e soffrendo orribilmente si rimise in cammino dopo che il borgomastro
gli ebbe detto ancora una volta: no, non può essere salvato.
Queste parole dovettero colpirlo
profondamente, come possiamo vedere da un biglietto trovato fra le sue carte, e
che senza dubbio fu scritto in quello stesso giorno.
"Tu non puoi esser salvato,
infelice! Vedo bene che non può esserci salvezza per noi".
Quello che Alberto aveva infine detto
del prigioniero alla presenza del borgomastro, aveva profondamente irritato
Werther: egli aveva creduto di scorgere dell'animosità contro di lui, e
bench‚ dopo più mature riflessioni al suo spirito penetrante non
sfuggisse che i due uomini potevano avere ragione, pure gli parve di non
poterne convenire senza venir meno ai suoi più intimi sentimenti.
A questo proposito troviamo fra le sue
carte un foglietto che forse esprime il suo pensiero riguardo ad Alberto.
"Che serve che io dica e ripeta:
è bravo, è buono? Il mio cuore è lacerato: non posso
essere giusto".
La serata era dolce, il tempo volgeva
al disgelo e Carlotta ritornò a piedi con Alberto. Cammin facendo si
guardava ogni tanto intorno come se la compagnia di Werther le fosse mancata.
Alberto cominciò allora a parlare di lui, e a biasimarlo mentre nello
stesso tempo lo giustificava. Parlò della sua infelice passione,
desiderando che gli riuscisse di vincerla. - Lo desidero anche per noi, disse,
e ti prego di cercare di modificare la sua condotta verso di te, di fargli
diradare le sue visite troppo frequenti. La gente comincia ad osservarle, e so
che se ne parla di qua e di là. - Carlotta tacque, e Alberto parve aver
compreso il suo silenzio; da quel momento almeno non parlò più di
Werther davanti a lei, e quando era lei che ne parlava egli lasciava cadere il
discorso e lo portava su un altro argomento.
L'inutile tentativo di Werther per
salvare quel povero infelice, fu l'ultimo guizzo di una luce che si spegne; da
allora egli ricadde più profondamente nel dolore e nell'apatìa;
fu poi quasi fuori di s‚ quando udì che forse sarebbe stato chiamato
come testimone contro il giovane, che aveva adottato il sistema di negare.
Tutto ciò che gli era accaduto
di spiacevole nella sua vita attiva, le noie all'ambasciata, le cose non
riuscite, i dispiaceri avuti, tutto gli ritornava continuamente allo spirito.
Il suo stato d'animo giustificava quasi il suo restare inattivo, si sentiva
privo di ogni prospettiva avvenire, era incapace di prendere una qualunque
decisione necessaria alle occupazioni quotidiane della vita. Era così
abbandonato interamente ai suoi sentimenti, ai suoi pensieri strani, a una
sconfinata passione, nell'eterna monotonìa di una triste relazione con
una donna amata e cara, di cui egli turbava il riposo, lottando contro le sue
stesse forze, consumandole senza scopo e senza direttiva, che la sua triste
fine si avvicinava sempre più.
Il suo turbamento, la sua passione, i
suoi sforzi e le sue lotte, la sua stanchezza di vivere infine, sono fortemente
espressi in alcune lettere che egli ha lasciato e che vogliamo riportare qui.
12 dicembre.
Caro Guglielmo, io mi trovo nella
condizione in cui si sono dovuti trovare coloro che si credevano posseduti da
uno spirito maligno. Non so che cosa mi prende talvolta: non è angoscia,
non è desiderio, è un interno, ignoto tumulto che minaccia di
lacerarmi il petto, che mi stringe
Ieri sera ho dovuto uscire. Era appunto
cominciato il disgelo, e avevo sentito dire che il fiume era straripato, che
tutti i ruscelli erano gonfi e che da Wahlheim la mia amata valle era inondata.
Vi corsi tra le undici e mezzanotte. Era uno spaventoso spettacolo vedere dalla
roccia le onde agitate che turbinavano al chiarore della luna sui campi, i
prati e le siepi, e veder tutta la valle trasformata in un mare tempestoso al
soffio del vento. Quando la luna di nuovo apparve posandosi sulle nuvole oscure
e dinanzi a me e i flutti con un terribile, magnifico riflesso si svolsero e
risonarono, ero preso da un fremito e poi da un desiderio: con le braccia
aperte mi sporgevo sul baratro, e aspiravo all'abisso fondo e mi smarrivo nella
gioia di sommergere in quella tempesta i miei tormenti, il mio dolore, di
rotolare laggiù rumoreggiando come le onde. Eppure non potevo staccare
il piede dal suolo e metter fine a tutti i tormenti! Compresi che la mia ora
non era ancora venuta. Ah Guglielmo, come avrei dato volentieri la vita per
attraversare le nubi e sollevare i flutti insieme con quel vento tempestoso!
Ah, questa gioia, non sarà forse concessa un giorno al povero
prigioniero?
Con quanto dolore abbassai lo sguardo
verso un posticino dove mi ero riposato con Carlotta, all'ombra di un salice,
durante una calda passeggiata estiva! Il posto era anche sommerso e riconobbi
appena il salice, Guglielmo! E pensavo ai suoi prati, alla campagna che circondava
la casa di caccia, al nostro pergolato distrutto dal torrente devastatore. E il
raggio di sole del passato brillò al mio pensiero, come un sogno di
pascoli e prati o di onori e di gloria sorride al prigioniero! Ero lì...
e non mi accuso perché‚ ho il coraggio di morire... Io avrei... Ora siedo qui
come una vecchia che raccoglie la sua legna fusto a fusto per prolungare e
alleviare ancora un istante la sua vita languente e priva di gioie.
14 dicembre.
Che cosa provo amico mio? Ho paura di
me stesso. Il mio amore per lei non è forse il più santo, il
più puro, il più fraterno amore? Ho mai sentito nell'anima un
desiderio colpevole? Non voglio giurare... E ora... sogni... Avevano proprio
ragione gli uomini che attribuivano a potenze estranee alcune manifestazioni
contraddittorie! Stanotte, tremo nel dirlo, io la tenevo tra le braccia, la
stringevo al petto, coprivo di innumerevoli baci la sua bocca che mormorava
amore; il mio sguardo nuotava nell'ebbrezza del suo! Mio Dio! sono colpevole se
provo ancora adesso un sentimento di beatitudine rievocando interiormente
questa ardente voluttà? Carlotta, Carlotta! è finita per me: i
miei sensi si smarriscono, da otto giorni non ho più la forza di
pensare, e i miei occhi sono pieni di lacrime. Sto male dappertutto. Non
desidero nulla. Sarebbe meglio per me, se me ne andassi.
In questo periodo di tempo e in tali
circostanze la decisione di abbandonare la vita si era radicata con maggior
forza nell'animo di Werther. Dopo esser ritornato presso Carlotta, questa era
sempre stata la sua prospettiva, la sua speranza suprema; ma aveva detto a se
stesso che voleva agire senza fretta n‚ precipitazione, e che voleva compiere
questo passo dopo essersi profondamente convinto e deciso con calma.
I suoi dubbi, la sua lotta interiore si
rivelano in un biglietto che sembra essere il principio di una lettera a
Guglielmo, e che è stato trovato fra le sue carte, senza data.
"La sua presenza, il suo destino,
l'interesse che lei prende al mio, fanno sgorgare le ultime lacrime dal mio
cervello disseccato.
Alzare il sipario, e passarvi dietro:
questo è tutto! e perché‚ temere, ed essere indecisi? Forse perché‚ non
si sa che cosa avviene di là? o perché‚ non si ritorna? E perché‚
è innato al nostro spirito l'immaginare tenebre e confusione nei luoghi
di cui non sappiamo nulla di certo?"
Infine, egli si familiarizzò
sempre più con quel triste pensiero, e una prova della sua ferma,
irrevocabile decisione, si trova nella seguente, ambigua lettera che egli
scrisse all'amico.
20 dicembre.
"Rendo grazie alla tua amicizia,
Guglielmo, che ti ha fatto interpretare così la mia parola. Hai ragione,
per me la miglior cosa sarebbe di partire. La proposta che mi fai di ritornare
fra voi non mi piace completamente; vorrei almeno fare ancora una deviazione,
tanto più che possiamo sperare di avere un ghiaccio solido e buone
strade. Mi fa anche molto piacere che tu pensi di venirmi a prendere: lascia
però passare una quindicina di giorni e aspetta da me un'altra lettera
con ulteriori avvisi. E' necessario non raccogliere alcun frutto prima che sia
maturo. E quindici giorni di più o di meno contano molto. Dirai a mia
madre di pregare per suo figlio, e le dirai che le domando perdono di tutti i
dispiaceri che le ho dato. Era mio destino di turbare coloro che avrei dovuto
rendere felici. Addio, mio carissimo! Che il cielo ti benedica. Addio!"
Che cosa passava in quel periodo
nell'animo di Carlotta, quali erano i suoi sentimenti verso il marito, verso
l'amico infelice, possiamo appena tentare di esprimerlo, sebbene, conoscendo il
suo carattere, possiamo farcene un'idea, e ogni bell'anima femminile possa
penetrare in quella di Carlotta e SENTIRE con lei.
Senza alcun dubbio lei era decisa a
tentare ogni mezzo per allontanare Werther, ed esitava a causa di un tenero
amichevole sentimento, sapendo quanto una cosa che gli pareva quasi impossibile
lo avrebbe fatto soffrire. Pure in quel momento si sentiva più che mai
spinta ad agire seriamente; suo marito serbava su quest'amicizia l'assoluto
silenzio che lei stessa aveva sempre serbato, e Carlotta voleva mostrargli con
i fatti che aveva sentimenti degni dei suoi.
Lo stesso giorno in cui Werther aveva
scritto al suo amico l'ultima lettera qui riferita, era la domenica prima di
Natale; andò la sera da Carlotta, e la trovò sola. Era occupata a
mettere in ordine dei giocattoli che aveva destinato ai fratellini come doni di
Natale. Egli parlò del piacere che avrebbero goduto i bambini, e del
momento in cui all'inaspettata apertura di una porta sarebbe apparso l'alloro
illuminato, ornato di dolci e di mele, facendo provare ai fanciulli gioie
paradisìache.
"Anche voi, disse Carlotta,
cercando di nascondere la sua confusione con un dolce sorriso, anche voi avrete
il vostro regaluccio se sarete buono, una candela di cera, e qualche altra cosa
ancora!" - "E che cosa significa per voi esser buono, egli
esclamò, come devo essere, che cosa posso fare, cara Carlotta?" -
"Giovedì sera, disse lei, è la vigilia di Natale; i bambini
verranno, mio padre verrà, ognuno avrà il suo regalo; venite
anche voi... ma non prima". -
Werther tacque stupefatto. "Vi
prego, continuò Carlotta, deve essere così; ve ne prego per la
mia pace; non è possibile continuare in questo modo". E non lo
guardava, e andava su e giù per la stanza dicendo piano: così non
si può continuare! Comprendendo poi in quale orribile stato queste
parole mettevano il giovane, lei cercava di deviare con altri argomenti i suoi
pensieri, ma invano. "No, Carlotta, esclamava lui, non vi vedrò
più!". - "Ma, perché‚? replicava lei, Werther, voi potete, voi
dovete rivedermi, soltanto, moderatevi. Ah perché‚ siete nato con questa
violenza, questa passione irresistibile, ostinata che vi prende per tutto
ciò a cui vi avvicinate? Vi prego, disse ancora stringendogli la mano;
vi prego, moderatevi. Pensate a tutti i godimenti che possono procurarvi il
vostro spirito, la vostra istruzione, i vostri talenti: siate un uomo!
rinunciate a questo infelice amore per una creatura che può soltanto
compiangervi!".
Egli stringeva i denti, e la guardava
cupo. Ma la donna gli teneva sempre la mano, dicendo: "Per un momento,
ascoltatemi a mente calma, Werther, non sentite che vi sbagliate, e che andate
volontariamente verso l'abisso? perché‚, Werther, amare proprio me che
appartengo a un altro? proprio me? Io temo, io temo che l'impossibilità
di possedermi sia quella che eccita il vostro desiderio".
Egli svincolò la sua mano da
quella di lei e l'avvolse in uno sguardo stupito e corrucciato. "Bene,
disse, molto bene! è forse di Alberto questa osservazione? In verità
è abile, veramente abile!" - "Ognuno potrebbe fare una simile
riflessione, replicò lei. Non si può trovare nel mondo una
fanciulla che possa soddisfare i desideri del vostro cuore? Pensate a questo,
cercate, e, ve lo prometto, troverete. Un viaggio senza dubbio potrà
distrarvi. Cercate, e troverete una creatura degna del vostro amore; poi
ritornate e godremo insieme la dolcezza di una sincera amicizia".
Con un freddo sorriso egli disse:
"Il vostro discorso si potrebbe stampare e raccomandare a coloro che
governano i popoli! Mia cara Carlotta, lasciatemi riposare un poco, poi tutto
si accomoderà!" - "Soltanto, Werther, non venite prima della
vigilia di natale!".
Egli voleva rispondere, quando Alberto
entrò nella stanza. Si diedero freddamente la buonasera e passeggiarono
su e giù nella camera imbarazzati. Werther cominciò un discorso
insignificante, che ben presto cadde. Alberto fece lo stesso, poi
domandò a sua moglie di alcune commissioni e, sentendo che non erano
state eseguite, pronunciò parole che a Werther parvero fredde e anche
aspre. Voleva andarsene, e non poteva, e aspettò fino alle otto, mentre
il suo dispetto e il suo malumore aumentavano, aspettò fino a che la
tavola fu apparecchiata, e prese infine il cappello e il bastone. Alberto lo
invitò a restare, ma a lui parve vedere in quelle parole un complimento
convenzionale, per cui ringraziò freddamente e se ne andò.
Giunse a casa, prese il lume dalle mani
del domestico che voleva fargli luce, andò solo nella sua stanza. Pianse
forte, parlò da s‚ con violenza, passeggiò agitato su e
giù per la camera, infine si gettò vestito sul letto. Lì
lo trovò il domestico quando verso le undici osò entrare e
domandare se il signore voleva farsi togliere gli stivali. Egli lasciò
fare, e poi ordinò al servo di non entrare la mattina seguente senza
esser chiamato.
Il lunedì mattina, ventuno
dicembre, scrisse la seguente lettera che, dopo la sua morte, fu trovata
suggellata sulla sua scrivania e che fu consegnata a Carlotta. La riporto qui
in frammenti come probabilmente fu scritta, date le circostanze.
"E' deciso, Carlotta, voglio
morire, e te lo scrivo senza esaltazione romantica, rassegnato, il mattino
dell'ultimo giorno in cui ti vedrò. Quando tu, cara, leggerai questa
lettera, la fredda tomba chiuderà i resti mortali dell'uomo irrequieto,
infelice, che negli ultimi momenti della sua vita non conosce dolcezza
più grande di quella di intrattenersi con te. Ho trascorso un'orribile,
ma pur benefica notte: essa ha fortificato, determinato la mia risoluzione: voglio
morire! Quando ieri mi sono strappato da te in una spaventosa esaltazione dei
miei sensi il cui tumulto mi opprimeva il cuore, e triste, disperato vicino a
te, mi sentivo avvolgere da un brivido orribile e freddo, potei appena
raggiungere la mia stanza, caddi in ginocchio e Tu, o Dio, mi concedesti il
sollievo di versare le più amare lacrime! Mille idee, mille diversi
pensieri tumultuarono nel mio animo, e uno infine, ultimo, unico, rimase fermo
e incrollabile: morire! Mi sono coricato, e stamattina nella calma del
risveglio quel pensiero è ancora calmo nel mio cuore: voglio morire! Non
è disperazione; è la certezza di aver terminato il mio compito, e
di sacrificarmi per te. Sì, Carlotta, perché‚ dovrei tacerlo? Uno di noi
tre deve sparire, e io sarò quello! Amica mia, nel mio cuore lacerato
spesso si è insinuata l'insana idea... di uccidere... tuo marito! te!
me! Così sia. Quando in una bella sera d'estate tu salirai sulla
collina, ricordati di me: ricorda quante volte ho attraversato la valle, poi
volgi il tuo sguardo verso il cimitero, verso la mia tomba; guarda il vento che
fa ondeggiare l'erba alta nello splendore del sole che tramonta... Ero
tranquillo quando ho cominciato a scrivere, e ora... ora piango come un bambino
pensando a tutto questo rigoglio di vita intorno a me".
Verso le dieci Werther chiamò il
suo domestico, e mentre si faceva aiutare a vestirsi gli disse che avrebbe
fatto un viaggio di alcuni giorni; che bisognava mettere in ordine gli abiti, e
preparare ogni cosa per i bagagli; gli diede anche l'ordine di richiedere tutti
i conti da saldare, di farsi rendere alcuni libri prestati, e di dare due mesi
anticipati ad alcuni poveri cui egli soleva fare settimanalmente un'elemosina.
Si fece portare il pranzo in camera e
poi andò a cavallo dal borgomastro, che non trovò a casa.
Passeggiò pensieroso per il giardino, come se avesse voluto ancora una
volta raccogliere e assaporare tutta la malinconìa dei ricordi.
I bambini non lo lasciarono a lungo
tranquillo; lo rincorsero, gli saltarono addosso e gli dissero che trascorso il
domani, e il giorno seguente e un altro ancora, sarebbero andati da Carlotta a
ricevere i doni di Natale e gli narrarono le meraviglie che sognavano con la
loro immaginazione infantile. Domani, egli esclamò, dopodomàni e
un altro giorno ancora... Li baciò tutti con affetto e voleva lasciarli
quando il più piccolo volle dirgli una cosa all'orecchio. E gli
raccontò che i fratelli grandi avevano scritto belle lettere di augurio,
tanto lunghe, e che ce n'era una per il babbo, una per Alberto e Carlotta, e
anche una per il signor Werther: le avrebbero mostrate il giorno di capodanno!
Werther fu sopraffatto dalla commozione, regalò qualcosa a ciascuno dei
bimbi, montò a cavallo, lasciò i saluti per il padre, e partì
con le lacrime agli occhi.
Ritornò a casa verso le cinque e
ordinò alla donna di sorvegliare il fuoco e di mantenerlo acceso fino
alla notte. Al servo disse di mettere in fondo al baule i libri e la
biancheria, e di preparare gli abiti. Probabilmente allora scrisse il seguente periodo
della sua ultima lettera a Carlotta.
"Tu non mi attendi! tu pensi che
io ti ubbidirò e ti rivedrò soltanto la sera della vigilia di
Natale. Oh Carlotta, oggi o mai più! La vigilia di Natale tu terrai
questa carta fra le mani, tremerai e la bagnerai con le tue lacrime. Io voglio!
Io devo! Come mi sento soddisfatto di essermi deciso!"
Carlotta intanto si trovava in una
strana situazione. Dopo la sua ultima conversazione con Werther aveva compreso
quanto le sarebbe stato doloroso separarsi da lui, quanto egli avrebbe sofferto
se si fosse dovuto allontanare da lei.
In presenza di Alberto era stato detto,
come incidentalmente, che Werther non sarebbe ritornato prima della vigilia di
Natale, e Alberto si era recato a cavallo da un funzionario col quale aveva
degli affari da definire e in casa di cui avrebbe trascorso la notte.
Carlotta era dunque sola; nessuno dei
fratelli le era vicino, e lei si abbandonava ai suoi pensieri, esaminando con
calma il suo stato d'animo. Si vedeva unita per la vita a un uomo di cui
conosceva l'amore e la fedeltà, al quale si era data con tutto il cuore,
e che sembrava essere stato creato apposta dal cielo, così tranquillo e
sicuro, per formare la felicità di una donna onesta; sentiva che cosa
sarebbe sempre stato per lei o per i suoi figli. D'altra parte Werther le era
divenuto molto caro: dal primo momento in cui si erano conosciuti,
l'affinità dei loro caratteri si era rivelata: la loro lunga relazione,
e alcuni speciali momenti che avevano vissuto insieme le avevano lasciato in
cuore un'impressione indelebile. Era abituata a farlo partecipare a tutto
quanto interessava il suo pensiero e il suo cuore; la partenza di lui
minacciava la sua esistenza di un vuoto che non avrebbe potuto esser colmato.
Oh se avesse potuto in quel momento cambiarlo in un fratello, come sarebbe
stata felice! Se avesse osato fargli sposare una delle sue amiche avrebbe
potuto sperare di rimetterlo in buoni rapporti con Alberto!
Aveva passato in rivista tutte le sue
amiche; a ognuna trovava qualche difetto, e a nessuna avrebbe volentieri dato
Werther. E così pensando finì col sentire profondamente pur senza
formulare chiaramente il suo pensiero, che il suo segreto desiderio era quello
di tenerselo per s‚, mentre invece non poteva e non doveva tenerselo. La sua
anima bella e pura, che era stata fino allora libera e coraggiosa, sentì
in quel momento il peso di una malinconìa che le precludeva ogni
speranza di gioia. Il suo cuore era oppresso, i suoi occhi offuscati da una
nube oscura.
Erano le sei e mezzo quando
sentì Werther che saliva la scala, e ben presto riconobbe il suo passo,
la sua voce che chiedeva di lei. Per la prima volta, possiamo quasi dire, il
cuore le batt‚ forte all'arrivo di lui. Avrebbe voluto non riceverlo, e quando
entrò gli disse con un appassionato turbamento: "Non avete tenuto
la vostra parola!" - "Non ho promesso nulla", fu la risposta. -
"Avreste almeno dovuto aver riguardo alla mia preghiera, replicò
lei: ve lo domandavo per la pace mia e vostra".
Lei non sapeva bene quel che diceva, e
neppure quel che faceva quando mandò a chiamare qualche amica per non
rimanere sola con Werther. Egli posò sulla tavola dei libri che aveva
portato, ne chiese altri, mentre Carlotta ora desiderava ora temeva che le
amiche venissero. La cameriera tornò e disse che le due amiche
chiedevano scusa di non poter venire.
Lei pensò allora di far rimanere
la donna con il suo lavoro nella stanza vicina, ma poi cambiò idea.
Werther andava su e giù per la stanza, lei si avvicinò al piano,
e cominciò un minuetto, che però non gli riusciva. Si
calmò intanto, e pot‚ tranquillamente sedere vicino a Werther nel solito
posto sul divano.
"Non avete niente da
leggere?" chiese. Werther non aveva nulla. "Là, nel mio
cassetto, riprese Carlotta, c'è la vostra traduzione di alcuni canti di
Ossian: non li ho ancora letti, perché‚ speravo sempre di udirli da voi, ma da
allora non è mai stato possibile".
Egli sorrise, prese il poema, e un
brivido lo scosse quando lo ebbe fra le mani, e gli occhi gli si riempirono di
lacrime quando li posò sullo scritto. Sedette, e cominciò a
leggere:
"Stella della notte crepuscolare,
tu risplendi fulgida all'occidente, tu alzi dal seno della tua nuvola la testa
raggiante, e maestosamente avanzi sulla tua collina. Che cosa guardi nella
brughiera? I venti tempestosi si sono calmati, da lontano giunge il
mormorìo del torrente; onde sussurranti si frangono contro la roccia
lontana; nei campi si diffonde il ronzìo degli insetti della sera. Che
cosa guardi, bella luce? Ma tu sorridi, e passi, e ti circondano i flutti che
bagnano la tua chioma graziosa. Addio, raggio tranquillo. Risplendi tu,
splendida luce dell'anima ossianica!
"Ed essa appare in tutto il suo
splendore. Vedo i miei amici che non sono più, essi si raccolgono su
Lora, come nei giorni passati. Fingal avanza come un'umida colonna di nebbia,
intorno gli stanno i suoi eroi, ed ecco i bardi del canto! Ullino, dalle grige
chiome, Ryno maestoso, e Alpin, il dolce cantore, e tu, Minona, che con
dolcezza ti lamenti! Come siete cambiati, amici miei, dai giorni festosi di
Selma in cui noi ci disputavamo il premio del canto, come i venti primaverili
che sfiorando alterni la collina fanno piegare la flessibile erba mormorante!
"Allora Minona avanzò
bella, con lo sguardo abbassato e gli occhi pieni di lacrime: i suoi folti
capelli erano agitati dal vento che soffiava dalla collina... Una cupa
tristezza oscurò l'anima degli eroi quando la dolce voce si levò;
perché‚ spesso essi avevano visto la tomba di Salgar, spesso la tenebrosa
dimora della bianca Colma. Colma, abbandonata sulla collina, con la sua voce
armoniosa. Salgar aveva promesso di venire, ma scendeva intorno
COLMA: "E' notte! Io sono sola,
perduta sulla collina tempestosa. Il vento soffia nelle montagne; il fiume
precipita giù dalla roccia. Nessuna capanna mi ripara dalla pioggia;
sono abbandonata sulla collina tempestosa.
"Esci dalle nubi, o Luna!
Risplendete, stelle della notte! Un raggio mi guidi al luogo dove il mio cuore
riposa dopo le fatiche della caccia, avendo vicino l'arco disteso e i cani
ansanti.
"perché‚ indugia il mio Salgar? Ha
forse dimenticato la sua promessa? Qui è la roccia, e l'albero e il
torrente mormorante, ed egli aveva promesso di trovarsi qui al cader della
notte; oh dove si sarà smarrito il mio Salgar? Io volevo fuggire con te,
abbandonare il padre e i fratelli orgogliosi! Da lungo tempo sono nemiche le
nostre stirpi, ma noi non siamo nemici, o Salgar!
"Taci un istante, o vento! Calmati
un breve attimo, o torrente, affinch‚ la mia voce possa risonare attraverso la
valle, e il mio viandante mi oda. Salgar, sono io che ti chiamo. Qui c'è
l'albero e la roccia! Salgar, mio amato, sono qui; perché‚ tardi a venire?
"Vedi, la luna risplende, il fiume
riluce nella valle, le rocce grige si ergono sulla collina: ma io non vedo lui
sulle alture; i suoi cani dinanzi a lui non annunciano la sua venuta. Devo
sedere qui sola.
"Ma chi sono coloro che io vedo
sdraiati laggiù sulla brughiera? Il mio amato? mio fratello? Parlate,
miei cari. Essi non rispondono. Quanta angoscia nell'animo mio! Ah, essi sono
morti. Le loro spade sono tinte di sangue! Fratello, fratello, perché‚ hai
ucciso il mio Salgar? O mio Salgar, perché‚ hai ucciso mio fratello? Mi eravate
tutti e due tanto cari! Tu eri bello tra mille, sulla collina. Egli era
terribile nel combattimento. Rispondetemi! Udite la mia voce, miei cari! Ahim‚
sono muti, muti per sempre! Il loro petto è freddo come la terra!
"Dalle rocce del colle, dalla cima
dei monti tempestosi, parlate, spiriti dei morti! parlate! Io non avrò
paura! Dove siete andati a cercare riposo? in quale caverna delle montagne vi
ritroverò? Non colgo neppure una debole voce nel vento, nessuna risposta
spirante nella tempesta della collina.
"Rimango qui nella mia
desolazione, aspetto piangendo il mattino. Scavate la tomba, amici dei morti,
ma non chiudetela finch‚ io non venga. La mia vita svanisce come un sogno; come
potrei restare ancora? Voglio abitare con i miei amici presso il torrente della
roccia fragorosa... Quando farà notte sui monti e soffierà il
vento nella landa, la mia ombra si fermerà nel vento e piangerà
la morte dei miei amici. Il cacciatore mi sentirà dal suo pergolato,
temerà la mia voce, e poi l'amerà: perchéŠ sarà dolce la
mia voce nel piangere i miei amici: mi erano entrambi assai cari!
"Questo era il tuo canto, o
Minona, figlia di Torman, dalle rosee guance. Piangemmo amare lacrime per
Colma, e la nostra anima era cupa.
"Ullino partì con la sua
arpa e accompagnò il canto di Alpin... La voce di Alpin era dolce,
l'anima di Ryno era un raggio ardente. Ma già essi riposavano nella
stretta casa, e la loro voce non si udiva più a Selma. Un giorno Ullino
al ritorno dalla caccia, prima che gli eroi fossero caduti, sentì la
loro gara di canti sulla collina. Il loro canto era dolce, ma triste; essi
piangevano la morte di Morar, il primo degli eroi. La sua anima era come
l'anima di Fingal; la sua spada come la spada di Oscar. Ma egli cadde, e il
padre pianse, e gli occhi della sorella furono pieni di lacrime, si riempirono
di lacrime gli occhi di Minona, sorella dello splendido Morar. Ella
indietreggiò dinanzi al canto di Ullino, come la luna al tramonto quando
prevede la tempesta, e nasconde in una nuvola la sua bella testa. Io accompagno
sull'arpa con Ullino il canto del dolore".
RYNO: "Il vento e la pioggia sono
cessati, il mezzogiorno è sereno, le nuvole si aprono. Il sole
incostante illumina fuggevolmente
ALPIN: "Le mie lacrime, Ryno, sono
per i morti, la mia voce per gli abitatori della tomba. Tu sei alto sulla
collina, e bello tra i tigli della pianura. Ma tu cadrai come Morar, e sulla
tomba verrà un afflitto a piangere. I colli ti dimenticheranno; il tuo
arco disteso poserà in un'alta sala.
"Tu eri rapido, Morar, come un
capriolo sulla roccia, terribile come una fiamma notturna nel cielo. La tua
collera era una tempesta, la tua spada nella battaglia, un lampo sulla landa.
La tua voce sembrava il torrente dopo la pioggia, il tuono grondante tra le
montagne. Molti caddero sotto il tuo braccio, la fiamma della sua ira li
consumò. Ma quando tu ritornavi dal combattimento, com'era calma la tua
fronte! Il tuo viso era come il sole dopo la tempesta, come la luna nella notte
silenziosa; il tuo seno era tranquillo come il lago quando è cessato il
rumore del vento.
"Ormai è angusta e oscura
la tua dimora! Con tre passi misura la tua tomba... e prima tu eri così
grande! Quattro pietre coperte di muschio sono il tuo solo monumento; un albero
spoglio, lunghe erbe mormoranti al vento indicano al cacciatore la tomba del
possente Morar. Non hai la madre che ti pianga, non una fanciulla che ti dia le
lacrime dell'amore. Morta è colei che ti ha generato, caduta è la
figlia di Morglan.
"Chi è quell'uomo che
avanza appoggiato al bastone? e il suo capo è bianco per la vecchiaia, i
suoi occhi arrossiti dal pianto? E' tuo padre, Morar, tuo padre che non ebbe
altri figli che te. Egli udì la tua voce nella battaglia, sentì
che i nemici erano stati distrutti: seppe la gloria di Morar! Ah! e non seppe
nulla, forse, della sua ferita? Piangi, padre di Morar, piangi! Ma non ti ode
tuo figlio! Profondo è il sonno dei morti, profondo il loro cuscino di
polvere. Mai egli sentirà la tua voce, mai sarà risvegliato al
tuo appello. Ah quando si farà luce nella tomba, e sarà detto a
colui che dorme: risvegliati!
"Addio, nobilissimo fra gli
uomini, invincibile sul campo di battaglia! Ma il campo non ti vedrà
più, la cupa foresta non risplenderà più al bagliore del
tuo brando. Tu non lasci alcun figlio, ma il canto del bardo farà
risonare il tuo nome, e i tempi futuri sentiranno parlare di te, sapranno del
caduto Morar.
"Alti si leveranno i pianti degli
eroi, più alti di tutti i sospiri di Armin, oppresso dal dolore. Questo
canto gli rammentava la morte del figlio caduto nel fiore della giovinezza.
Carmor era seduto presso l'eroe, Carmor il principe di Galmal dall'eco sonora.
perché‚, diss'egli, risuona il gemito di Armin? perché‚ piangere qui? Il canto
e la musica non echeggiano forse per mitigare e alleviare il dolore dell'animo?
Essi sono come una nebbia leggera che salendo dal lago si diffonde sulla valle
e bagna di rugiada i fiori sboccianti; ma il sole ritorna con tutta la sua
forza, e la nebbia è dispersa. perché‚ sei così pieno di dolore,
Armin, signore di Gorma circondata dai flutti?
"Addolorato! A ragione io lo sono
e non è lieve la causa del mio dolore. Carmor, tu non hai perduto nessun
figlio, non hai perduto nessuna figlia fiorente; vive il valoroso Colgar, vive
Annira la più bella tra le fanciulle. I rami del tuo tronco fioriscono,
Carmor, ma Armin è l'ultimo della sua razza. Buio è il tuo letto,
Daura; profondo è il tuo sonno nella tomba. Quando ti risveglierai con i
tuoi canti, con la tua voce melodiosa? Levatevi, venti d'autunno, turbinate
sull'oscura brughiera! Rumoreggiate, torrenti nella foresta! muggite, tempeste
sulle cime delle querce! Passa, o Luna, attraverso le nuvole infrante, e mostra
a tratti il tuo pallido viso. Ricordami la notte orribile in cui perirono i
miei figli, in cui cadde il potente Arindal e sparì
"Daura, figlia mia, eri bella!
bella come la luna sulle colline di Fura, bianca come la neve appena caduta,
dolce come il soffio dell'aria. Arindal, il tuo arco era forte, la tua lancia
rapida sul campo, il tuo sguardo come nebbia sull'onda, il tuo scudo una nuvola
di fuoco nella tempesta!
"Armar, famoso guerriero, venne, e
desiderò l'amore di Daura; ella non gli resist‚ a lungo; belle erano le
speranze degi amici di lei.
"Ma Erath, figlio di Odgal,
fremeva di rabbia perché‚ suo fratello era stato ucciso da Armar. Egli venne,
travestito da marinaio. Bella era la sua barca sull'onda; i suoi capelli erano
bianchi per la vecchiaia, calmo il suo viso austero. Egli disse: bella
fanciulla, amata figlia di Armin, là sulla roccia, non lontano, nel
lago, dove i rossi frutti occhieggiano dall'albero, là Armar attende
Daura; io vengo per portare a lui la sua amata sui mobili flutti.
"Ella lo seguì, e
chiamò Armar; le rispose soltanto la voce della roccia. Armar! mio
amato! perché‚ mi tormenti così? Ascolta, figlio di Arnath! ascolta,
è Daura che ti chiama!
"Erath, il traditore, fuggì
ridendo verso
"La sua voce giunse di là
dal mare. Arindal, il figlio mio, scendeva dalla collina, carico del bottino di
caccia; le frecce gli tintinnavano al fianco, aveva l'arco in mano, cinque cani
neri gli erano intorno. Egli vide l'ardito Erath sulla riva, lo prese, lo
legò a una quercia, gli cinse i fianchi di solidi lacci, e il
prigioniero riempiva l'aria dei suoi lamenti.
"Arindal affronta le onde sul suo
battello per andare a liberare Daura. Giunse Armac in furore, fece partire la
freccia dalle piume grigie, e ti colpì al cuore, Arindal, figlio mio; tu
fosti colpito invece di Erath il traditore; la barca raggiunse la roccia;
Arindal cadde e morì. Ai suoi piedi scorse il sangue di tuo fratello;
quale dolore, o Daura!
"Le onde distrussero
"Io sentivo il lamento di mia
figlia, sola sulla roccia battuta dalle onde. Ripetute e forti erano le sue
grida, e io, suo padre, non potevo salvarla. Tutta la notte restai sulla riva;
la vedevo ai deboli raggi lunari; tutta la notte sentii i suoi lamenti; forte
era il vento, e la pioggia batteva impetuosa i fianchi della montagna. La sua
voce diventava più debole, e prima che spuntasse il giorno ella
esalò il suo ultimo respiro, come il vento della sera fra l'erba della
roccia. Morì oppressa dal dolore, e lasciò solo Armin. Non
c'è più colui che era la mia forza in guerra, non c'è
più quella che era il mio orgoglio fra le fanciulle.
"Quando vengono le tempeste dai
monti, quando la tramontana gonfia le onde, io siedo sulla riva sonora e guardo
la terribile roccia. E spesso nella cadente luce lunare, io vedo gli spiriti
dei miei figli, che illuminati da una luce crepuscolare, passano insieme,
tristemente riuniti".
Un torrente di lacrime, che cadde dagli
occhi di Carlotta alleviando il suo cuore oppresso, interruppe la lettura di
Werther. Egli gettò via le carte, prese la mano di lei, e versò
lacrime amare. Carlotta posava la testa sull'altra mano e si copriva gli occhi
con il fazzoletto. La commozione di entrambi era spaventosa. Essi sentivano la
loreo triste sorte nel destino di quegli eroi; la sentivano insieme, e le loro
lacrime si confondevano. Le labbra e gli occhi di Werther bruciavano il braccio
di Carlotta; un brivido la prese; si volle allontanare, ma il dolore e la
pietà la tenevano come incatenata. Sospirò, cercò di
riprendersi e, singhiozzando, pregò Werther di continuare la lettura; lo
pregò con voce divina. Werther tremò, e gli parve che il suo
cuore si spezzasse; riprese i fogli e lesse con voce interrotta:
"perché‚ mi svegli, soffio di
primavera? Tu mi carezzi, e dici: io bagno la terra con la rugiada del cielo!
Ma il tempo del mio declino è prossimo, prossima è la tempesta
che strapperà le mie foglie. Domani verrà il viandante,
verrà colui che vide la mia bellezza, e volgerà gli occhi intorno
nei campi cercandomi, e non mi troverà...".
La potenza di queste parole
colpì l'infelice. Egli si gettò ai piedi di Carlotta, al colmo
della disperazione, le prese le mani, se le premette sugli occhi, sulla fronte;
e come un presentimento del suo orrendo proposito passò attraverso
l'anima di lei. I suoi sensi si smarrirono, prese le mani di Werther, se le
strinse al seno, s'inchinò verso di lui in preda a una dolorosa
commozione, e le loro guance ardenti si toccarono. Il mondo era sparito per
loro. Egli la circondò con le sue braccia, la strinse al seno e
coprì di caldi baci le sue pallide, tremanti labbra.
- Werther! esclamò lei
svincolandosi, con voce soffocata, Werther! - E debolmente con una mano lo
allontanò dal suo seno. - Werther - disse ancora con voce esprimente il
più nobile sentimento. Egli non resistette, se la lasciò sfuggire
dalle braccia, e cadde davanti a lei, smarrito. Lei si alzò
violentemente e in un doloroso turbamento, tremando d'amore e di collera,
disse: - E' l'ultima volta, Werther! Non mi vedrete mai più. - E
guardando ancora amorosamente l'infelice corse nella stanza vicina e chiuse
Arrivò alla porta della
città. Le guardie, che lo conoscevano, lo lasciarono passare senza dir
nulla. La neve cadeva, mista a pioggia, ed egli bussò alla porta di casa
sua soltanto verso le undici. Il domestico osservò, quando egli
ritornò, che al signore mancava il cappello. Non osò dire nulla,
lo spogliò, e tutti i suoi vestiti erano inzuppati di pioggia.
Si trovò poi il cappello su una
roccia che dalla collina sporge sulla valle, ed è cosa inconcepibile che
in quella notte piovosa e oscura egli sia salito su quella roccia senza
precipitare.
Si mise a letto, e dormì a
lungo. Il servo lo trovò che scriveva quando il mattino seguente gli
portò il caffè. Egli aggiunse quanto segue alla lettera per
Carlotta.
"Per l'ultima volta, per l'ultima
volta dunque io apro gli occhi. Ed essi non devono più vedere il sole
perché‚ una giornata triste e nebbiosa lo tiene coperto. Prendi dunque il
lutto, o natura! Tuo figlio, il tuo amico, il tuo amante si approssima alla sua
fine. Carlotta, è un sentimento ineffabile, che somiglia a un confuso,
torbido sogno, dire a se stessi: questo è l'ultimo giorno! L'ultimo!
Carlotta, non ha senso per me la parola ultimo. Io mi sento oggi nel pieno
delle mie forze, e domani sarò giacente senza forze a terra. Morire! Che
cosa significa? Vedi, noi sognamo quando parliamo di morte. Io ho visto
più volte morire, ma i limiti dell'umanità sono così
angusti che per essa non hanno senso il principio e la fine dell'esistenza.
Oggi sono ancora in possesso di me stesso... sono ancora tuo, tuo o mia amata.
E fra un istante separato, passato, per sempre forse? No, Carlotta, no. Come
posso io morire? come puoi tu morire? Noi esistiamo! Morire! che cosa
significa? Questa è una parola, un suono vano, che non ha senso per il
mio cuore. Morto, Carlotta, sepolto nella terra fredda, in un luogo stretto,
oscuro!... Io avevo un'amica che era stata tutto per me nella mia solitaria
giovinezza; morì, e io seguii i suoi funerali, e stetti vicino alla
fossa nel momento in cui vi calavano la bara e le corde stridendo discesero e
risalirono; poi la prima palata di terra cadde nella fossa e la bara diede un
suono sordo, cupo, sempre più cupo e infine fu coperta. Io caddi presso
la fossa, colpito, scosso, angosciato, lacerato nel mio intimo, ma senza sapere
che cosa mi era accaduto, che cosa mi sarebbe accaduto. Morire! Tomba! io non
capisco questa parola!
Perdonami, perdonami! Ieri... avrebbe
dovuto essere l'ultimo istante della mia vita. Mio angelo! per la prima volta.
Per la prima volta questo sentimento pieno di voluttà mi ha penetrato:
lei mi ama! mi ama! Brucia ancora sulle mie labbra il sacro fuoco che colava a
torrenti dalle tue: un nuovo ardore è nel mio cuore. Perdonami!
Ah, io sapevo bene che tu mi amavi, lo
sapevo dai primi sguardi dai quali traspariva la tua anima, dalla tua prima
stretta di mano, eppure, quando ti lasciavo, quando vedevo Alberto vicino a te,
ricadevo nei miei dubbi febbrili.
Ricordi tu i fiori che mi mandasti in
quella fatale riunione nella quale non potesti dirmi una parola n‚ porgermi la
mano? Ho passato metà della notte inginocchiato dinanzi ad essi, ed essi
per me suggellavano il tuo amore. Ma ahim‚, queste impressioni passavano come
nell'anima del credente passa il sentimento della grazia divina che pure egli
ha ricevuto da Dio con segni sacri e visibili.
Tutto questo è passeggero, ma
l'eternità stessa non potrebbe spegnere la fiamma di vita che ho
raccolto ieri dalle tue labbra e che sento in me! Lei mi ama! Questo braccio
l'ha circondata, queste labbra hanno tremato sulle sue labbra, questa bocca ha
balbettato sulla sua. E' mia, tu sei mia, Carlotta, per sempre!
Che importa se Alberto è tuo
marito? Marito? Questo serve per il mondo, e per il mondo è un peccato
il mio di amarti, e di volerti strappare alle sue braccia. Un peccato? bene, io
me ne punisco, ma l'ho assaporato in tutta la sua celeste voluttà, il
mio cuore ha attinto in esso balsamo e forza di vita. Tu sei mia da questo
momento, mia, o Carlotta. Io ti precedo, vado da mio padre, da tuo padre. Con
lui mi lamenterò ed egli mi consolerà finch‚ tu verrai; io ti
verrò incontro a volo, ti prenderò, e resterò vicino a te,
al cospetto dell'infinito in un eterno abbraccio.
Non sogno, non deliro. Vicino alla
tomba, vedo più chiaro. Noi esisteremo, ci rivedremo, vedremo tua madre!
Io la vedrò, la troverò, aprirò il mio cuore davanti a
lei. Tua madre, la tua perfetta immagine!".
Verso le undici Werther domandò
al suo domestico se Alberto era ritornato. Il servo disse: sì, ho
sentito condurre nella stalla il suo cavallo. Allora Werther gli diede un
biglietto aperto, su cui aveva scritto:
"Volete essere così gentile
da prestarmi le vostre pistole per un viaggio che penso di fare? Addio, state
bene".
Tutte queste cose la riempivano di
preoccupazione e di perplessità; e sempre il suo pensiero tornava a
Werther che era perduto per lei, che lei non poteva lasciare, che doveva,
ahim‚, lasciare a se stesso e al quale non sarebbe rimasto più nulla
dopo averla perduta.
Quanto gli era stata dolorosa, bench‚
allora non fosse riuscita a spiegarsela, la freddezza sopravvenuta tra Werther
e Alberto! Due uomini intelligenti e buoni, per alcuni segreti dissensi avevano
cominciato col serbare il silenzio l'uno verso l'altro; ognuno pensava alle sue
ragioni e ai torti dell'altro, i loro rapporti si erano turbati e inaspriti, ed
era diventato impossibile sciogliere il nodo nel momento critico da cui tutto
dipendeva. Se una dolce intimità li avesse presto avvicinati, se il loro
affetto e la loro indulgenza reciproca si fossero ravvivati ed avessero aperto
i loro cuori, forse il nostro amico avrebbe potuto ancora essere salvato.
Aggiungiamo a tutto questo un'altra
circostanza singolare. Werther, come noi sappiamo dalle sue lettere, non aveva
fatto un mistero del desiderio che egli aveva di lasciare questa vita. Alberto
l'aveva sempre combattuto, e qualche volta Carlotta e il marito avevano parlato
di questo. Alberto, che sentiva per il suicidio una forte avversione, aveva
spesso, con vivacità assai strana per il suo carattere, espresso i suoi
dubbi sulla sincerità di un simile proposito, e aveva comunicato a
Carlotta la sua incredulità. Lei si tranquillizzava dunque quando al suo
pensiero si presentava questa triste preoccupazione, ma d'altra parte le pareva
che ciò le impedisse di comunicare al marito le ansie che la
tormentavano in quel momento.
Alberto ritornò, e Carlotta gli
andò incontro con una vivacità un poco imbarazzata; egli non era
allegro, non aveva potuto concludere il suo affare, trovando nel vicino borgomastro
un uomo inflessibile e minuzioso. Le cattive strade avevano aumentato il suo
malumore.
Chiese se era successo nulla di nuovo,
e lei gli rispose precipitosamente che Werther era venuto la sera prima.
Alberto domandò poi se erano giunte lettere, e seppe che una lettera e
dei pacchi si trovavano nella sua stanza; vi andò e Carlotta rimase
sola. La presenza del marito che amava e stimava le aveva prodotto in cuore una
nuova impressione; il ricordo della sua nobiltà d'animo, del suo amore e
della sua bontà l'avevano calmata, e sentiva un segreto desiderio di
seguirlo; prese il suo lavoro e andò nella stanza di lui come soleva
fare. Lo trovò occupato ad aprire i pacchi e a leggere: alcuni
sembravano avergli portato notizie poco piacevoli. Lei gli fece qualche domanda
alla quale Alberto rispose brevemente, mettendosi a scrivere al suo tavolino.
Passarono così un'ora l'uno
vicino all'altra, e l'animo di Carlotta diventava sempre più cupo. Lei
sentiva come le sarebbe stato difficile dire al marito ciò che le pesava
sul cuore anche se egli si fosse trovato nelle migliori disposizioni, e cadde
in una malinconìa tanto più dolorosa in quanto si sforzava di
nasconderla e di inghiottire le lacrime.
L'apparizione del domestico di Werther
la gettò in una grande ansia; questi porse il biglietto ad Alberto che
si volse tranquillamente alla moglie, e le disse: "Dagli le pistole",
e al ragazzo disse: "Augurategli buon viaggio da parte mia".
Carlotta fu colpita come dal fulmine,
si alzò vacillando, senza sapere che cosa le accadesse. Lentamente si
avvicinò alla parete, prese l'arma, ne tolse la polvere, esitò e
avrebbe indugiato ancora a lungo se Alberto non l'avesse scossa con uno sguardo
interrogativo. Diede al domestico il funesto ordigno senza poter articolare
parola, e appena egli fu uscito, piegò il lavoro e andò nella sua
stanza in preda a un'incertezza senza fine. Il suo cuore le faceva presagire
tutti gli orrori. Talvolta era sul punto di gettarsi ai piedi del marito e di
rivelargli tutto: la storia della sera precedente, la sua colpa e i suoi
presentimenti. Ma poi pensava che un simile passo non avrebbe avuto alcun
risultato, e che mai lei poteva sperare di indurre il marito a recarsi da
Werther. La tavola era già preparata e una buona amica che era venuta
soltanto per chiedere qualcosa, che voleva andar via subito... e che
restò, rese sopportabile la conversazione durante il pranzo: i
commensali si fecero forza, parlarono, raccontarono e si distrassero.
Il servitore tornò con le
pistole da Werther che gliele prese di mano con entusiasmo quando sentì
che Carlotta stessa gliele aveva date. Si fece portare pane e vino, disse al
domestico di andare a tavola, e si sedette per scrivere.
"Esse sono passate per le tue
mani, tu le hai pulite dalla polvere, io le bacio mille volte: tu le hai
toccate; e tu, spirito del cielo, favorisci la mia risoluzione! Tu, Carlotta,
mi porgi l'arma, tu, dalle cui mani io desideravo ricevere la morte,
Dopo il pasto, egli ordinò al
domestico di finire i bagagli, strappò molte carte, uscì e
saldò qualche piccolo debito. Ritornò a casa, poi andò di
nuovo fuori città e, nonostante la pioggia, si recò nel giardino
del conte, passeggiò per la campagna, ritornò al cader della
notte e scrisse.
"Guglielmo, per l'ultima volta ho
visto i campi e la foresta e il cielo. A te pure il mio addio! Mia cara mamma,
perdonatemi! Consolala, Guglielmo! Dio vi benedica! Tutte le mie cose sono in
ordine. Addio! ci rivedremo, e saremo più felici".
"Perdonami, Alberto, io ti ho male
ricompensato. Ho turbato la pace della tua casa, ho fatto nascere la diffidenza
tra voi. Addio! voglio metter fine a questo stato di cose. Che la mia morte
possa rendervi felici! Alberto, Alberto! rendi felice quell'angelo, e la
benedizione divina ti accompagnerà!".
Passò ancora gran parte della
serata frugando fra le sue carte, ne strappò molte e le gettò nel
fuoco; suggellò alcuni pacchi diretti a Guglielmo. Essi contenevano
piccole composizioni, pensieri staccati, parecchi dei quali ho visto; verso le
dieci, dopo aver ordinato che fosse riattizzato il fuoco e che gli si portasse
una bottiglia di vino, mandò a letto il servitore di cui la stanza, come
tutte quelle degli altri domestici, era molto lontana, sul di dietro della
casa. Egli andò a letto vestito per esser pronto molto presto perché‚ il
signore gli aveva detto che i cavalli sarebbero stati davanti alla porta prima
delle sei.
Dopo le undici.
"Tutto è silenzio intorno a
me, e la mia anima è tranquilla. Ti ringrazio, mio Dio, di concedere ai
miei ultimi istanti questo calore, questa forza.
Vado alla finestra, mia cara, e vedo,
vedo attraverso le nuvole agitate dal vento, alcune stelle del cielo eterno.
No, voi non cadrete! Iddio vi porta nel suo cuore, come porta pure me. Vedo le
prime stelle del Carro, la più cara fra tutte le costellazioni. Essa
stava dinanzi a me, in alto, quando la notte uscivo dalla tua casa e varcavo la
soglia della tua porta. Con quale ebbrezza la guardavo! Quante volte, alzando
la mano l'ho presa come segno, come sacro simbolo della mia felicità
presente... e ora... O, Carlotta, tutto mi ricorda te: non ti sento, forse,
intorno a me? e non ho conservato avidamente, come un fanciullo, mille piccole
cose che tu avevi toccato?
E la tua cara SILHOUETTE! Te
Ho scritto a tuo padre un biglietto
pregandolo di proteggere il mio corpo. Vi sono due tigli nel cimitero, dietro,
nell'angolo che dà sulla campagna: là desidero riposare; tuo
padre può, e farà questo per il suo amico: pregalo anche tu. Non
voglio costringere i pii cristiani a posare il loro corpo presso quello di un
povero infelice. Vorrei che mi seppelliste sulla strada, o nella valle
solitaria, che il Prete e il Levita passando si facessero il segno della croce,
e il Samaritano versasse una lacrima.
Mi fermo qui Carlotta. Non fremo prendendo
in mano il freddo, orrendo calice nel quale berrò l'ebbrezza della
morte. Tu me l'hai dato, e io non esito. Così si compiono tutti i
desideri e le speranze della mia vita; così batto, freddo e rigido, alla
bronzea porta della morte.
Avessi avuto almeno la gioia di morire
per te! Di sacrificare la mia vita per te! Morirei con coraggio, con gioia, se
sapessi di procurarti la pace, la felicità della vita. Ma a pochi eletti
è concesso di versare il loro sangue per coloro che amano e di procurare
con la morte una vita nuova e feconda ai loro cari.
Voglio esser sepolto con questi abiti,
Carlotta, tu li hai toccati e consacrati: anche di questo ho pregato tuo padre.
La mia anima si librerà sulla mia tomba. Non mi si devono frugare le
tasche. Il nastro rosa pallido che avevi in petto quando ti vidi per la prima
volta fra i tuoi bambini... o, baciameli tanto, e racconta loro la storia
dell'infelice amico. Cari! essi si affollano intorno a me. Ah, come mi legai a
te, fin da quel primo istante non potevo più lasciarti! Quel nastro deve
essere sepolto con me: tu me lo regalasti il giorno del mio compleanno, e come
mi fu caro! Ah non immaginavo dove mi avrebbe condotto la via che seguivo! Sii
calma, ti prego, sii calma!
Sono cariche. Battono le dodici! Il mio
destino si compia! Carlotta, Carlotta, addio! addio!".
Un vicino vide il lampo e sentì
il colpo; ma poiché‚ dopo tutto rimase tranquillo, non ci pensò
più.
La mattina alle sei il domestico
entrò col lume. Trovò il suo signore a terra, vide le pistole e
il sangue. Chiamò, lo scosse: nessuna risposta. Corse dal medico, da
Alberto. Carlotta udì suonare il campanello e un tremito la scosse in
tutte le membra. Svegliò il marito, si alzarono e il servo diede loro la
notizia tremando e piangendo: Carlotta cadde svenuta ai piedi di Alberto.
Quando il medico giunse presso
l'infelice, lo trovò in uno stato disperato; il polso batteva, le membra
erano tutte paralizzate. Egli si era colpito alla testa, sull'occhio destro, il
cervello era saltato. Per precauzione gli fu aperta una vena al braccio: il
sangue uscì: respirava ancora.
Dal sangue che era sulla spalliera
della poltrona si poté comprendere che egli si era colpito stando seduto alla
scrivania; poi era caduto e si era rotolato convulsamente intorno alla
poltrona. Giaceva supino presso la finestra, svenuto; era completamente
vestito, in giacca blù e in panciotto giallo.
La casa, il vicinato, la città
si commossero. Giunse Alberto. Werther era stato adagiato sul letto, con la
fronte bendata; il viso era di un mortale pallore e non faceva alcun movimento.
Il rantolo era ancora spaventoso, ora debole, ora più forte: si
attendeva la fine.
Aveva bevuto soltanto un bicchiere di
vino. Il dramma di Emilia Galotti era aperto sulla sua scrivanìa.
La commozione di Alberto, il dolore di
Carlotta sono inesprimibili.
Il vecchio borgomastro accorso a
cavallo, alla notizia, con calde lacrime baciò il morente. I figli
più grandi giunsero subito dopo di lui a piedi, s'inchinarono presso il
letto esprimendo acerbo dolore, gli baciarono le mani e la bocca, e il maggiore
che egli aveva sempre prediletto, non si staccò dalle sue labbra fino
all'ultimo respiro, e bisognò con la forza strapparlo di lì.
A mezzogiorno Werther morì. La
presenza del borgomastro e gli ordini che diede calmarono l'agitazione della
folla. La sera, verso le undici, egli fu sepolto nel luogo da lui designato. Il
vecchio e i figli seguirono il feretro; Alberto non ne ebbe la forza: si temeva
per la vita di Carlotta. Alcuni artigiani lo trasportarono, e nessun sacerdote
lo accompagnò.