Viva Cipro!
Il parlamento cipriota ha
votato contro il prelievo forzoso sui conti correnti, chiesto dall’Unione
Europea per il rientro dal debito.
Non sappiamo come
evolverà la situazione, ma certamente il voto merita i più
fragorosi applausi.
I media stanno dicendo che
sarebbe il primo caso del genere: non è così, i meno giovani
ricordano che in Italia, parecchi anni fa, il governo Amato effettuò
un prelievo del 6 per mille sui conti correnti. Ovviamente, la manovra fece
indignare i correntisti ma, in confronto alla misura prevista a Cipro (fino
al 15% di prelievo), Amato era un benefattore.
La verità è
che il provvedimento, per adesso stoppato, non è solo iniquo, è
anche e soprattutto stupido: toglie la fiducia dei cittadini nello stato e
nell’Europa, provoca la corsa ai prelievi nelle banche con conseguente
collasso del sistema creditizio, rischia un effetto domino negli altri paesi
europei, scoraggia gli investitori esteri.
A quando un barlume di
lucidità a Bruxelles?
Luciano Giuliani
20-3-2013
Smemoranda
Vari anni fa esisteva, e non so se esista ancora, un’agenda (cartacea) chiamata
Smemoranda, molto diffusa tra gli alunni delle scuole medie e superiori.
Pare comunque che, in questa campagna elettorale in cui tutti i partiti
hanno una loro agenda (la parola programma deve essere considerata desueta), la
vecchia Smemoranda sia tornata di moda.
Infatti, abbiamo quello che non
ricorda chi ha messo l’IMU, quell’altro che non riesce a ricordare chi
ha inventato il redditometro, l’altro ancora che proprio non riesce a
rammentare chi ha fatto le c.d. liberalizzazioni, per non dire di quello che
non ricorda chi ha aumentato le tasse. Non parliamo poi di chi ha modificato
il titolo V della Costituzione, questo si perde nella notte dei tempi e
sarebbe uno sforzo di memoria troppo grande per chiunque.
Ma se questi signori sono così smemorati (e si può capire
perché ormai sono tutti un po’ anzianotti), perché un’agenda vera non se la
comprano? Se poi con i miseri finanziamenti (pardon, rimborsi) pubblici ai
partiti non se la possono permettere, non si preoccupino, basta chiedere:
gliela compriamo noi, con il prossimo aumento dell’Iva.
Luciano Giuliani
Beagles
Grande notizia: Green
Hill, il sito nel quale si allevavano cani destinati alla vivisezione,
è stato posto sotto sequestro.
Ricordo che già
quando ero adolescente (metà anni ‘60) il settimanale Epoca
lanciò, antesignano degli odierni benemeriti animalisti che hanno
ottenuto questo risultato, una campagna antivivisezionista, soprattutto
attraverso una grande firma, forse troppo presto dimenticata, Ricciardetto: a
lui giungano oggi i bau bau festosi dei cuccioli
liberati.
Il beagle: per i pochi che
non lo sanno, cane furbo e simpaticissimo. Grande figlio di mignotta, ti fa
muovere a compassione con i suoi occhioni lacrimevoli e poi fa quello che gli
pare.
Sì, lo so,
confessiamolo: vi piacerebbe e ci piacerebbe che i responsabili delle torture
che questi poveri animali hanno dovuto subire fossero sottoposti allo stesso
trattamento.
Ma su, siamo superiori:
accontentiamoci di sentirli latrare nel profondo della loro
meschinità.
Luciano Giuliani
19 luglio 2012
Forma e sostanza
Alzi la mano chi non
è curioso di sapere che cosa si sono detti il Presidente della
Repubblica Napolitano e l’ex Presidente del Senato Mancino nell’ormai famosa
telefonata oggetto di intercettazione e sulla quale è nato un
conflitto istituzionale.
In effetti, la discussione
nata tra fautori dell’azione del Capo dello Stato, che ha sollevato un
conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale, e la Procura di
Palermo ha un qualcosa di surreale: si discetta su chi abbia ragione, senza
conoscere il contenuto della conversazione.
Nella maggior parte dei
paesi esteri occidentali questa situazione non sarebbe possibile: una
discussione in merito non potrebbe prescindere dai contenuti della
telefonata; solo in un paese affetto da inguaribile formalismo come il nostro
è possibile accendere una disputa su qualcosa che non si conosce.
Dal che discende l’amara
considerazione che lo spread (che
nel linguaggio finanziario significa letteralmente “scarto”, come da
dizionario inglese - italiano Ragazzini, edizioni Zanichelli), finché nel
nostro Paese si continuerà con formalismi, bizantinismi e via
sofisticando, non è da riferirsi solo ai titoli di stato, ma purtroppo
anche ad altri aspetti della nostra società, come quello giuridico,
sociale, politico e istituzionale.
Luciano Giuliani
18 luglio 2012
L’italiano,
questo sconosciuto
Mi è capitato, in
questi giorni, di collegarmi ad un sito internet corso (quindi francese) per
effettuare una prenotazione.
Ebbene, sapete qual’è in quel sito (e in tutta la Francia)
l’espressione usata al posto di password?
Mot de passe.
D’altra parte in Francia,
per dire computer, dicono ordinateur
Ma i francesi, si sa, sono
sciovinisti e nazionalisti.
Noi invece siamo
internazionali.
I massimi vertici istituzionali
italiani, per parlare di revisione della spesa (meglio sarebbe
“contenimento”) dicono spending review: i
più anglofoni con l’accento sulla prima “e” di review, i più
vecchiotti, che a scuola hanno studiato solo il francese, con l’accento sulla
“w”.
L’Autorità Portuale
è diventata da tempo Port
Authority, lo spread impazza (a
proposito, non date retta ai media - plurale di medium, latino, che adesso
però si pronuncia “midia” - i quali ora
fanno finta che il termine faccia parte del loro lessico ma prima che
rimbalzasse da Bruxelles non l’avevano mai sentito dire, quando spiegano che
è la differenza tra titoli di stato tedeschi e italiani, in finanza si
usa per definire lo scarto tra due titoli, grandezze economiche o finanziarie
qualsiasi), i sindacalisti sono costretti a discutere di job sharing, gli addetti alla finanza
di golden share ed i presidenti delle
società di calcio di fair play
finanziario.
Poi, ci si meraviglia se
uno dei libri più famosi degli ultimi decenni in Italia si intitola “Io,
speriamo che me la cavo”.
Luciano Giuliani
18 luglio 2012
Gente comune
Chi non ha notato che,
ogni volta che si assiste al matrimonio di qualche vip, o al funerale di un
personaggio noto, i commentatori televisivi puntualmente ci informano che
c’era Tizio, c’era Caio, c’era Sempronio, e poi c’era molta “gente comune”?
Vale la pena di riflettere
su questa frase. Secondo questi commentatori, evidentemente, il mondo si
divide in due categorie: da una parte i personaggi famosi, o comunque noti, o
comunque ancora - secondo i loro parametri - importanti, dall’altra, appunto,
la gente comune.
Non importa se poi questa
gente comune, composta da artigiani, operai, professionisti, imprenditori,
commercianti, è quella che tira avanti il paese e la società,
magari spesso occupando posizioni di rilievo, anche se di scarso interesse
per i media.
La democrazia dovrebbe
cominciare da qui: mettendo da parte la piaggeria e la presunzione, e tributando
a tutti indistintamente lo stesso rispetto in quanto persone. Una domanda:
chissà quei commentatori a quale delle due categorie ritengono di
appartenere?
Luciano Giuliani
Grilleide e dintorni
Quando ho fatto notare ad
alcuni amici che Beppe Grillo, parlando della mafia, aveva detto che “non strangòla” (con l’accento acuto sulla o) i suoi
clienti, qualcuno mi ha detto: “Ma vedrai che l’ha detto apposta, figurati se
non sa che si dice “strangola” (con l’accento sulla a).
Giorni fa, però,
parlando via rete dei risultati elettorali delle amministrative, Grillo ha
detto che la politica si sta “liquefando”, proprio
così, “liquefando”, ripetendolo due volte
(lasciamo perdere il seguito della frase, peraltro ampiamente ripresa dai
media, poco edificante e dal contenuto altamente scatologico).
Eh no, stavolta siamo
certi che non l’ha fatto apposta; infatti, l’errore è stato
sottolineato anche da qualche quotidiano a tiratura nazionale.
Allora, forse, non l’ha
fatto apposta neanche la volta precedente.
Che le barriere della
lingua italiana siano più alte di quelle elettorali?
***
Commentando a caldo
l’attentato subito dall’Amministratore Delegato di Ansaldo Nucleare, il (la)
Ministro(a) dell’Interno Cancellieri non ha trovato di meglio che dire:”E’ una cosa che preoccupa”.
Eh no, Signor(a)
Ministro(a): “è una cosa che preoccupa” lo diciamo noi, comuni
cittadini, che la preoccupazione ce
l’abbiamo già da soli senza bisogno di quella di chi ci dovrebbe
rassicurare.
Da Lei, con tutto il
rispetto dovuto alla carica ed alla persona, ci si aspetta ben altro, e
cioè: “stiamo facendo questo per prevenire, quest’altro per reprimere,
quest’altro ancora perché non si ripeta più ecc.”
Il Presidente della
Repubblica, politico di lungo corso e di vecchia scuola, se ne deve essere
accorto, se è vero come è vero che il giorno dopo ha sentito,
opportunamente, il bisogno di dichiarare a proposito dell’attentato che
“certi atti non si ripeteranno, che coloro che li compiono sono dei perdenti”
ed altri concetti del genere.
La comunicazione è
un’arte difficile: forse almeno in questo i politici (con tutti i difetti che
vengono loro, a torto o a ragione, attribuiti) qualche punto ai tecnici lo
possono ancora dare.
Luciano Giuliani
Antipolitica e italiano
Di
Luciano Giuliani 30-4-2012
Beppe Grillo, nella foga
di stupire, dice che la mafia, a differenza del “sistema”, non strangola i
suoi clienti, semmai chiede loro il 10 %. Ovviamente, tutti si sono
scandalizzati per queste dichiarazioni; a ben guardare, però, Grillo
ha ragione: per quanto è dato sapere, la mafia non strangola i propri
clienti, al massimo li scioglie nell’acido, li interra nei piloni dei ponti o
li ammazza con la lupara.
A noi, però, la
boutade di Grillo scandalizza per un altro motivo: lui ha detto “la mafia non
strangòla”, proprio così, con
l’accento acuto sulla o (scusate ma la tastiera del pc la “o” con l’accento
acuto non ce l’ha).
Come fai a prendere per il
c…o tutti (scusate il gergo grillesco, ma è
per rendere l’idea) se poi dimostri di non sapere l’italiano?
Caro Beppe, la
credibilità è un traguardo difficile, e passa anche attraverso
le forche caudine della grammatica; sempre che tu non sostenga che l’hai
detto apposta o, secondo moda, a tua insaputa.
30 aprile 2012
Luciano Giuliani
Di
Luciano Giuliani 3-2-2012
Il nostro Presidente del Consiglio è - finalmente - scivolato su
una buccia di banana: ha detto che il posto fisso è monotono,
suscitando ire, critiche e quant’altro.
La battuta, certamente infelice, lo ha però umanizzato: da robot
che parla con voce uniforme (quella sì, monotona) e con cadenze lente,
scandendo le parole una per una per dare il tempo di capirle ai traduttori
simultanei nei consessi internazionali, a persona che può sbagliare,
ricordando molto da vicino la memorabile gaffe sui bamboccioni di Padoa Schioppa.
Proprio perché umano, però, possiamo permetterci di commentarlo
(non di criticarlo, per carità, perché di questi tempi non è
cosa).
E allora, vediamo che cosa sarebbe monotono.
Monotono è …:
lavorare sempre per lo stesso datore di lavoro;
ricevere tutti i mesi una busta paga;
ricevere tutti i mesi l’accredito dello stipendio;
andare tutte le mattine nello stesso posto di lavoro;
vedere sempre le facce degli stessi colleghi,
e via annoiandosi.
Noi, però, avendo la fortuna di conoscere qualcuno di quei
pochissimi che non vivono questa noiosissima vita ma che, orgogliosamente, si
definiscono “precari”, siamo in grado di dare alcuni consigli per provare la
scarica di adrenalina che dà, appunto, la precarietà.
E allora, specie se avete avuto la sfortuna di trovare un posto fisso,
cercate affannosamente un lavoro a termine o un lavoro a progetto (non
parliamo di un job sharing o di un co.co.co.,
potrebbero darvi alla testa): proverete l’inebriante emozione che dà
l’esplorazione dell’ignoto. Infatti non saprete:
se il mese prossimo avrete ancora uno stipendio;
se nei prossimi giorni, o settimane o, peggio, mesi, rivedrete ancora le
facce noiose dei vostri colleghi o magari riuscirete, invece, a fare
interessanti conoscenze con i frequentatori del parco più vicino;
se la vostra banca vi concederà il mutuo per la prima casa;
se riuscirete a pagare la rata della macchina o dovrete venderla e andare
finalmente a piedi, in un improvviso empito ecologista;
se i contributi vi daranno una pensione sufficiente per i bruscolini.
Attenzione: se amate la vita noiosa del posto fisso, siete out; se invece
amate gli eccitanti stimoli della precarietà, siete in. Regolatevi.
Luciano Giuliani
3 febbraio 2012
Annosa questione: la classe politica italiana è lo specchio
fedele, nel bene e nel male, della società italiana?
Oppure i cittadini sono migliori e meriterebbero una classe politica
più onesta?
Il problema è tuttora irrisolto e non abbiamo certo la pretesa di
risolverlo noi.
Proviamo quindi a ricordare insieme qualche episodio di cronaca recente,
in modo che ognuno possa trarre le sue conclusioni.
Esaminiamo per primi alcuni fatti di cronaca che riguardano i politici;
evitiamo di fare nomi, primo perché qui non interessano i singoli (le cui
responsabilità, tra l’altro, in molti casi sono ancora tutte da
accertare), ma i politici come categoria; secondo, perché tanto tutti sanno
di chi si parla.
Uno compra una casa e dice che gliela pagano a sua insaputa; un altro
compra un complesso immobiliare a 26 milioni di euro e dopo un’ora la rivende
a 44 milioni; un altro ancora, accusato di aver sottratto 13 milioni alle
casse del partito di cui è tesoriere (invece di investirli, magari in
Tanzania secondo l’ultima moda), propone di restituirne 5; Tizio è
accusato di essere referente del clan tal dei tali, Caio del clan talaltro:
il primo se ne va in giro tranquillamente, l’altro ha fatto una breve visita
alle patrie galere, non ha gradito e adesso va in giro tranquillamente anche
lui; c’è anche chi, a quanto si dice, avrebbe comprato autostrade a
peso d’oro, per non dire di quelli meno originali che - sempre a quanto si
dice - barattano voti con lavori o con favori (in enigmistica si chiama
cambio di iniziale).
Veniamo ai cittadini: il confronto è serrato, perché ce ne sono di
quelli che a questi politici, pur così ingegnosi, danno veramente del
filo da torcere.
Così, abbiamo il luminare medico che, dietro il pagamento di una
modica somma, ti fa scalare un po’ di posti (e di mesi) nella graduatoria
delle visite o degli interventi; il cieco con la passione della guida, che si
permette l’auto grazie alla pensione di invalidità; l’orfano che, non
volendo rassegnarsi alla scomparsa della cara madre, rimuove il fenomeno e
continua a riscuotere la pensione; e che dire di quei fedeli militari
(appartenenti ad un corpo che dovrebbe far pagare le tasse) che tenevano
bordone a chi svuotava i video poker e le slot machine, in modo da farle
trovare vuote ai controlli e da evitare ai gestori l’incomodo di pagare le
tasse?
E’ una bella gara. Comunque, Prof. Monti, non si preoccupi: se quelli che
abbiamo citato, e tutti quelli come loro, non pagano, stia pure tranquillo:
per pagare ci siamo noi.
Luciano Giuliani 1 febbraio 2012
Ca...te
Di Luciano
Giuliani 17-1-2012
Chi ci conosce sa che non amiamo il turpiloquio né le c.d. parolacce,
quanto meno in pubblico.
Ma certi aspetti di cronaca e di costume impongono di approfondire un
tema che non puo' che definirsi (e ce ne scusiamo
fin d’ora) con il termine "cazzate".
Intendiamo dire che un sacco di gente, ormai, compie con sempre maggior
frequenza atti, gesti, azioni che non possono che definirsi con questo
termine.
Ma questo potrebbe anche essere accettato come un segno del progressivo
elevarsi della soglia della maturità, che magari per certuni
può anche non arrivare mai, se non fosse che questi atti (appunto, le
cazzate) vengono compiuti nel bel mezzo di attività serie, importanti
e spesso rischiose.
Alcuni esempi: chi non ricorda il video di quel tizio che si era filmato
alla guida della propria auto, con lo stereo a palla e contorcendosi
freneticamente al volante a tempo di musica? Dopo un po' di tempo,
provocò un incidente mortale.
E. quei medici del reparto malati terminali di un ospedale toscano (per
carità di patria non lo cito) che hanno messo in rete un video in cui
cazzeggiano allegramente per le corsie? Intorno, poveri cristi ricoverati
più di qua che di là.
Non risulta che cotanti sanitari abbiano provocato danni alla salute dei
pazienti, ma vi fidereste ad essere curati da gente così?
Ricordate poi quei piloti americani che per gioco, volendo passare tra i
piloni di una cabinovia sulle Alpi ed avendo sbagliato mira, causarono la
morte di una ventina di persone? Tra l’altro, furono rimpatriati in tutta
fretta lasciando il nostro paese dove erano di stanza, e non risulta che
abbiano ricevuto in patria la giusta punizione.
E infine, veniamo ai fatti più recenti. Fermo restando che, per
accertare le responsabilità, occorre attendere l'esito delle inchieste
in corso, pare che all'origine del naufragio della Costa Concordia ci sia
comunque il vezzo di salutare qualcuno sull'Isola del Giglio: una cazzata
bella e buona. Decine di volte e' andata bene,
stavolta e' andata male.
Ma da che cosa nasce questa passione per le cazzate? Difficile dirlo; a
voler essere sintetici, si potrebbe dire che, in un mondo in cui l'ordinario,
per quanto importante e ben fatto, non dà visibilità, ma
siccome oggi la visibilità è tutto, uno - basta che sia un po’
labile di comprendonio e di personalità - può essere portato a
cercare di conquistarsi un po' di visibilità facendo qualcosa, secondo
lui, di straordinario. E se uno e' mediocre, la
dimensione del suo straordinario è, appunto, la cazzata.
Il rimedio? A livello sociale e' molto
complicato: bisognerebbe tirare in ballo i media, il linguaggio, la politica
ecc.
A livello individuale e' un po' più
facile: basta avere un po' di cervello e, possibilmente, farlo funzionare.
Luciano Giuliani 17 gennaio 2012
Di Luciano
Giuliani 14-1-2012
Allora, dopo la fase 1, in pieno annuncio della fase 2 e, ciononostante,
dopo il doppio declassamento di S & P a danno dell’Italia (che pure
è in ottima e numerosa compagnia nel subire gli strali dell’agenzia di
rating), proviamo a fare un punto della situazione.
Quando gli sforzi sono molti, ed i risultati scarsi, forse è il
caso di chiedersi se si sta intervenendo sulle priorità.
Dando per un attimo per scontato che le misure che hanno contraddistinto
la fase 1 fossero urgenti ed inevitabili, a prescindere dalla loro indubbia
ed incontestata portata recessiva, proviamo a disegnare quello che, secondo
noi, è allo stato attuale il quadro delle priorità dell’Italia
in materia economica, distinguendo nettamente, però, tra interventi di
contrasto a ciò che è illegale (priorità 1) ed
interventi di regolazione di attività lecite e lecitamente svolte
(priorità 2):
E quindi:
A. Interventi a priorità 1:
A.1. Contrasto delle attività economiche illegali
A. 2. Contrasto dell’evasione fiscale
A.3. Contrasto dell’evasione contributiva
B. Interventi a priorità 2:
B.1. Riduzione costi della politica a livello generale
B.2. Mercato del lavoro
B.3. Liberalizzazione grandi attività (energia, trasporti ecc.)
B.4. Liberalizzazione altre attività (professioni, farmacie, taxi
e via enumerando).
Esaminiamo ora un po’ più da vicino questo quadro, cercando di
spiegarlo.
Anzitutto, non si vede come qualunque governo (tecnico, politico o di
altra categoria ancora da inventare) possa pretendere con un minimo di decenza
sacrifici dai cittadini che rispettano la legge (benestanti o meno che siano)
se non dando prova, un attimo prima o almeno contemporaneamente, di
intervenire con pari efficacia (e cioè, visto che si parla di soldi,
con pari risultato economico), sulle attività di tipo illegale (quelle
sopra indicate sub A). Per spiegarsi meglio: non vorremmo più sentir
parlare di sequestro di beni alla criminalità organizzata per decine
di milioni, ma per decine di miliardi. E’ di questi giorni la notizia che la
Mafia S.p.A. è l’azienda italiana con il maggio fatturato: allora?
Comprendiamo che sia più facile aumentare le accise sulla benzina e
tagliare le pensioni oltre che (lo diciamo per non apparire populisti)
tassare i suv e le barche: ma chi viaggia in auto,
prende una pensione o acquista un bene di lusso compie (fino a prova
contraria) attività legali. Perché non colpire prima, o almeno in
contemporanea e con pari determinazione, chi compie attività illegali?
Sinceramente, non si ha la sensazione che ciò stia avvenendo.
Lo stesso si dica per l’evasione fiscale: alla caccia allo scontrino
fuori dalla panetteria (frustrante per chi la subisce e, immaginiamo, per chi
la fa), occorre affiancare, con risorse proporzionali, il capillare
smascheramento dei grandi evasori abituali, noti a tutti meno che, pare, a
chi dovrebbe rilevarli. Al di là delle operazioni di immagine di
Cortina piuttosto che di Via Condotti (che magari avranno anche un’efficacia
educativa ma si risolvono in pochi spiccioli), benedetti signori, avete tutti
i dati comodamente sui vostri computer, volete decidervi ad usarli?
E che dire dell’evasione contributiva? Un esempio per tutti (tanti e
notori): nei periodi di raccolta dei vari prodotti agricoli, i campi sono
pieni di poveri cristi di colore scuro, visibili a migliaia di automobilisti
che lungo questi campi sfrecciano, senza che nessuno tra coloro che
dovrebbero farlo si preoccupi di andare a vedere se sono assunti
regolarmente: viene il sospetto che sia molto più semplice andare a
fare ispezioni presso grandi aziende, che però di solito assumono ed
assicurano in maniera regolare i propri dipendenti.
Sperando di essere stati esaustivi sulle priorità1, passiamo alle
priorità 2.
A furia di sentir parlare degli stipendi di deputati e senatori, si rischia
addirittura di provare un moto di solidarietà per questi signori che,
coscienti non tanto di prendere troppo ma di produrre poco, non hanno il
coraggio di replicare. E allora ci permettiamo di farlo noi per loro: abbiamo
idea di quanti sono i consiglieri e gli assessori regionali, oltre che
provinciali e comunali? E quanto si potrebbe risparmiare intervenendo qui,
oltre che sui parlamentari? E che dire del fenomeno di “irizzazione”
diffusa (cioè costituzione di infiniti piccoli IRI - abolito da tempo
a livello nazionale – a livello locale per la gestione di attività
collegate ad enti pubblici locali), con tanto di migliaia di consigli e
consiglieri di amministrazione con relativi gettoni, amministratori con
relativi compensi, quasi sempre coincidenti con politici o ex politici? Di
questo non parla nessuno (ci ha provato qualche mese fa il leader della CISL Bonanni, ma qualcuno gli deve aver detto che non è
il caso, perché non l’ha più ripetuto), eppure sarebbe una fonte di
risparmio esponenziale rispetto al pur giusto contenimento del costo dei
parlamentari.
Mercato del lavoro. Una sola osservazione: è possibile lanciare
un’indagine su un campione significativo di quei milioni di giovani precari
che affollano il mondo del lavoro attuale, e chiedere loro se preferiscono
prendere cinquecento euro al mese, senza diritti e tutele, con una
contribuzione irrisoria e la disoccupazione dietro l’angolo tra pochi mesi, o
essere assunti a tempo indeterminato, avere uno stipendio a livello quanto
meno di minimo contrattuale, riconoscimento di ferie, malattia ed una
contribuzione al 32%, ma senza la tutela dell’art. 18 dello statuto dei
lavoratori? Facciamo un gran parlare dei sacrifici di questa generazione in
nome di quelle future, ma quando si tratta di mollare qualcosa il discorso
cambia.
Infine, le liberalizzazioni. Ben vengano, ma a due condizioni. La prima,
che si cominci dalle attività economicamente più rilevanti, e
quindi in grado di liberare maggiori risorse. La seconda che, passando poi
alle altre attività, ci si renda conto di che cosa si parla e si
proceda con gradualità, traguardando il futuro e senza bisogno di
mandare in rovina chi si è costruito la propria esistenza a prezzo di
sacrifici e, senza sua colpa, agendo legittimamente in base alle regole preesistenti.
Attenzione, si tratta di soggetti che hanno agito nella legalità, e
non meritano di essere trattati come dovrebbero essere trattati (e ancora,
invece, non sono) come quelli di cui sopra elencati sotto la lettera A.
Luciano Giuliani 14 gennaio 2012
Di
Luciano Giuliani 5-12-2011
Il quotidiano La Repubblica, non ritenendo ancora (e forse, al momento, ciò
può essere anche comprensibile) criticare apertamente la manovra del
neonato governo Monti, affida pudicamente, nel numero di domenica 4 dicembre,
una velata critica alla penna del noto e quotato commentatore economico del
New York Times, Paul Krugman, ospitandone un
articolo; Krugman in estrema sintesi, in
controtendenza con le politiche economiche, tutte nel senso
dell’austerità, delle istituzioni europee e statunitensi, bolla dette
politiche come recessive, ed afferma che costituiscono un rimedio peggiore
del male avendo in sé tutte le potenzialità per condurre
definitivamente alla rovina le economie occidentali, al di qua e al di
là dell’Atlantico.
L’articolista non è il solo, tra gli economisti mondiali, a
propugnare detta tesi.
Peraltro, molto più modestamente, da tempo noi sosteniamo che non
è “togliendo i soldi di tasca alla gente”, e cioè riducendone
la capacità di spesa, tagliandone drasticamente i consumi, e
conseguentemente riducendo gli scambi, abbattendo la produzione proporzionalmente
alla caduta della domanda, riducendo di conseguenza la produzione e, quindi,
l’occupazione: innescando cioè un procedimento perverso, un loop recessivo e depressivo, che si risollevano le sorti
economiche dell’Italia e dell’Europa (non abbiamo la presunzione di parlare
del mondo, ma abbiamo visto che altri molto più autorevoli di noi ne
parlano negli stessi termini).
E’ grazie alle politiche di austerità che la crisi Lehman si
è velenosamente estesa a tutto il pianeta; che la crisi greca (secondo
Krugman l’economia della Grecia sta a quella
europea come quella di Miami sta a quella degli Stati Uniti) è stata
amplificata fino a rischiare di travolgere l’Europa e la sua moneta; forse,
si può evitare il tracollo definitivo correggendo in corsa la manovra
italiana e, più in generale, le politiche europee votate
all’austerità più spinta (e, in quanto tale, suicida),
limitandone la severità ed introducendo vere misure espansive, che al
contempo scoraggino da un lato l’esportazione di capitali all’estero (la
Svizzera sta ringraziando a profusione) e il ritiro del denaro dalle banche
(aggravandone la pesante mancanza di liquidità), dall’altro
favoriscano la ripresa della domanda, della produzione e dell’occupazione,
con il conseguente aumento della base imponibile.
Per concludere (notazione tutta nostra, dato che il fenomeno
dell’evasione fiscale è squisitamente italiano): possibile che si
pensi veramente che abbassando la soglia delle transazioni in contanti si
faccia emergere il c.d. “nero”? O non si ritiene invece che con una seria
politica di indagine (che non si limiti a chiedere lo scontrino alla
casalinga che esce dalla panetteria ma si rivolga a quei soggetti spesso noti
ma altrettanto indisturbati) e, soprattutto, attivando finalmente quel
conflitto virtuoso di cui da anni si parla a vuoto che consenta di detrarre
buone parte delle spese sostenute dai cittadini, si ottengano migliori
risultati?
Luciano Giuliani
9-12-2011
|