P A G I N E L I B E R E Di Federico Fedenovus Novelli
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LO STATO SOCIALE IN ITALIA E IN EUROPA Di Federico Novelli
11-2-2009 Sommario 1.
INTRODUZIONE: FORME DI STATO ED INTERVENTI SOCIALI IN EUROPA 2.
PROBLEMI SOCIALI E SOLUZIONI IN EUROPA DAL MEDIO EVO AD OGGI 3.
I SISTEMI DI WELFARE NELL’ ETA’
CONTEMPORANEA 3.1
IL WELFARE STATE IN GRAN BRETAGNA 3.2
IL SISTEMA DI WELFARE NEI PAESI SCANDINAVI 3.3
IL SISTEMA DI WELFARE IN ITALIA.. 1. INTRODUZIONE: FORME DI STATO ED
INTERVENTI SOCIALI IN EUROPA Per
analizzare e comprendere la tematica dello stato sociale occorre partire da
un breve excursus sull’ evoluzione
delle forme di stato nel continente europeo. Nel Medio
Evo la forma di stato[1]
che caratterizza l’ Europa è quella del sistema di dominio feudale, o dello
“stato patrimoniale”. Non sarebbe pienamente corretto parlare di forma di
stato in quanto nel Medio Evo le istituzioni presenti sul territorio non perseguono
fini generali, bensì esercitano il dominio come su una proprietà privata (da
cui la definizione di stato patrimoniale). Solo nell’
età moderna, con l’ avvento dello “stato di polizia”, le istituzioni iniziano
a perseguire fini generali e possono essere definite “stato”. Nello stato di
polizia si perseguono fini pubblici (i quali sono tuttavia stabiliti in
maniera paternalistica dal sovrano), ma manca la libertà per i cittadini, che
si trovano completamente assoggettati allo stato, similmente a quanto
avveniva nella polis greca[2]. Come
reazione alla mancanza di libertà, ma anche come conseguenza di fattori
economici lo stato assoluto (compreso, ovviamente, quello di polizia) entra
in crisi. Si impone, con le rivoluzioni inglesi del 1649 e del 1688 e
soprattutto con la rivoluzione francese del 1789, lo stato liberale. Tale forma
di stato è caratterizzata dall’ intervento minimo delle istituzioni nella
vita dei cittadini, i quali si vedono riconosciuta e garantita la libertà
individuale. Lo stato
liberale si caratterizza anche per essere stato costituzionale, in quanto il potere del sovrano non è più
assoluto, ma limitato da una costituzione,
documento fondamentale il più delle volte scritto (se si eccettua il caso
inglese) nel quale vengono solennemente consacrati sia i diritti fondamentali
di libertà, sia l’ organizzazione dei vari poteri, sia le limitazioni ai
poteri del sovrano. Il
progresso umano, però, porta ad un ulteriore salto di qualità nella storia
delle istituzioni politiche. Vari fattori, tra i quali il progressivo
allargamento del suffragio[3],
trasformano lo stato liberale in stato democratico. Tra l’
‘800 e il ‘900, di pari passo con l’ evoluzione dello stato in senso
democratico, si iniziano a sviluppare i sistemi di welfare state. Lo stato diventa così democratico e sociale. Ciò
significa che esso si prende cura dei bisogni e del benessere dei suoi
cittadini. 2. PROBLEMI SOCIALI E SOLUZIONI IN
EUROPA DAL MEDIO EVO AD OGGI Anche se
la nascita dei moderni sistemi di welfare
state si fa risalire al periodo tra 19° e 20° secolo, occorre tenere
presente che già nell’ epoca medievale si cerca di trovare soluzioni ai
problemi sociali, primo fra tutti la povertà. Nella
società del Medio Evo i ricchi cercano di aiutare i poveri in quanto questi
sono considerati vicini allo spirito del Vangelo. Il loro ruolo è, perciò,
molto importante. Tuttavia, a partire dal ‘500 si registra un aumento
notevole dei poveri, dovuto soprattutto a fattori economici e demografici;
così la popolazione indigente diviene un problema di grande portata per l’
Europa. Nei vari
paesi si tenta di arginare il problema della povertà attraverso vari
strumenti: provvedimenti giuridici, imposte, creazione di strutture adeguate,
lavoro. In
Inghilterra, nel 1572, viene varata In
Francia, nel 1657 e nel 1662, due editti di Luigi 14° istituiscono l’ Hôpital général, luogo nel quale i
poveri trovano alloggio e danno, in cambio, manodopera. In Austria,
nel 1784, Giuseppe 2° crea gli Armeninstituten
per dare accoglienza ai poveri disoccupati. In Italia,
a Milano, nel 1758 viene creato un Albergo dei poveri, casa di lavoro coatto
per i poveri disoccupati. Questi
interventi mostrano come la povertà sia vissuta in Europa soprattutto come un
problema di ordine pubblico: si interviene a favore dei bisognosi non tanto
per filantropia o per spirito di carità evangelica, bensì per tamponare un
grave problema di ordine pubblico. Tuttavia
in Francia, con l’ avvento dell’ Illuminismo, si cerca di risolvere il dramma
dell’ indigenza non più soltanto attraverso misure palliative, ma tentando di
estirparne le cause di fondo. Lo strumento più adeguato a ciò è il lavoro,
che viene incentivato attraverso la creazione dei Fonds de travaux de charité. Nel 1775 sono istituiti gli Atelier de charité. Un salto
di qualità si ha nel 1793, allorquando viene adottata la seconda Costituzione
rivoluzionaria, la più radicale di tutte, la quale non viene, però, messa in
pratica. In essa è sancito che la società deve garantire “il sostentamento ai
cittadini infelici, sia procurando loro il lavoro, sia assicurando i mezzi
per l’ esistenza a quelli che sono nell’ impossibilità di lavorare”. Inizia,
così, a cambiare il modo di porsi delle istituzioni di fronte all’ emergenza
povertà. Tra i
paesi che maggiormente hanno contribuito alla nascita del moderno welfare state c’ è sicuramente l’
Inghilterra. Ci soffermeremo, dunque, soprattutto sull’ analisi del sistema
dei sussidi in esso vigente. Come
abbiamo già notato, questa nazione si dota di una legislazione contro la
povertà già a partire dal ‘500. Il provvedimento più importante ( Nel 1795,
al fine di favorire la circolazione dei lavoratori e la conseguente
formazione di un mercato del lavoro più dinamico, vengono modificati i
contenuti della legislazione contro la povertà vigente dal ‘600. In
particolare viene reso meno rigido il domicilio coatto per coloro che
ricevono sussidi. In sostanza si cerca, attraverso il lavoro, di combattere
il bisogno e di far sì che le persone indigenti non si limitino a ricevere i
sussidi, ma si guadagnino da vivere lavorando. Sempre nel 1795, tuttavia,
viene varata la “Speenhamland law”,
un provvedimento che stabilisce che i sussidi sono erogati sulla base dell’
andamento del prezzo del pane: in tal modo è assicurato ai bisognosi un
reddito minimo indipendentemente dal loro guadagno e, dunque, dal loro
lavoro. Viene
sancito il diritto alla sussistenza: nessuno deve temere la povertà in quanto
il sussidio è garantito. Tutto ciò,
lungi dal combattere l’ ozio, lo incentiva e va contro l’ altro provvedimento
del quale si parlava prima, il quale cerca, invece, di combattere la miseria
con il lavoro. I
provvedimenti del 1795, dunque, portano forse ad una eccessiva “generosità”
del sistema dei sussidi. Infatti nel 1834 viene sancita la fine del sistema Speenhamland. La legge sui poveri (New Poor Law) è inasprita e l’
erogazione dei sussidi viene resa più rigida. A partire da questo periodo si
verifica un progressivo disimpegno dello stato in materia di povertà. Successivamente,
nel corso del secolo 19° e soprattutto nel 20°, iniziano a strutturarsi
sistemi di welfare più organici e
le riforme sociali conoscono una fase di espansione; dopo la fase dello Stato
liberale e la parentesi dello Stato totalitario, si impone lo Stato
socialdemocratico, nel quale si prendono maggiormente in considerazione i
diritti sociali dei cittadini.
3. I SISTEMI DI WELFARE NELL’ ETA’ CONTEMPORANEA Proseguiamo
il nostro studio con l’ analisi dei sistemi di stato sociale contemporanei e
soffermiamoci ancora sull’ Inghilterra. Non si può
non considerare fondamentale, nella storia del sistema di welfare britannico, l’ opera di
William Beveridge, economista e sociologo. Nel dicembre 1942 egli pubblica un
rapporto intitolato Social Insurance
and Allied Services. In esso Beveridge sostiene che deve essere
assicurata un’ entrata o, meglio, un sussidio nel caso in cui vengano a
mancare i guadagni a causa di diversi fattori: disoccupazione, malattia,
incidenti. In pratica Beveridge propone un sistema basato sul concetto di social security. La social security è un sistema di
protezione sociale destinato a tutti quei soggetti deboli della società ed
interviene nei casi di accertata necessità causata da povertà, vecchiaia,
disabilità, disoccupazione e altro. Il piano
di Beveridge è universale; ciò significa che esso non è rivolto solamente ai
lavoratori, bensì a tutti i cittadini, su base contributiva. Il piano
proposto da Beveridge nel Emerge
così, tra gli anni 30 e gli anni 40 e soprattutto dopo la seconda guerra
mondiale, la tendenza a realizzare sistemi di welfare di tipo socialdemocratico. Nei primi
anni del dopoguerra si sviluppa il vero e proprio welfare state, ossia “lo stato del benessere”, il quale mira,
attraverso un sistema assicurativo nazionale a carattere universale ed una
rete di servizi pubblici, alla realizzazione della sicurezza sociale. 3.1 IL WELFARE STATE IN GRAN
BRETAGNA Il sistema
di welfare britannico contemporaneo
si realizza sulla base del rapporto di Beveridge del dicembre 1942 tra il
1946 e gli anni 50. Nel 1945
il partito laburista si afferma nelle elezioni e sostituisce al governo il
partito conservatore di Churchill. Il nuovo governo guidato da Clement Attlee
mira e realizzare, in materia di politica sociale, il piano proposto da
Beveridge. Nel 1946
vengono varati i provvedimenti sulle assicurazioni obbligatorie e su quelle
sociali (National Insurance Act) ed
i provvedimenti riguardanti gli infortuni sul lavoro. Viene poi
creato un Sistema Sanitario Nazionale finanziato con il prelievo fiscale (National Health Service Act),
caratterizzato dalla gratuità delle prestazioni ed esteso a tutti i cittadini. Il Sistema
Sanitario è strutturato su 3 livelli: il primo è quello delle prestazioni di
base, prestate dai medici generici; il secondo è costituito dalle strutture
ospedaliere che forniscono prestazioni mediche specialistiche; il terzo è
costituito da organismi locali che agiscono sul territorio coordinando i
servizi sanitari con l’ assistenza sociale (Local Authority Health and Welfare Services). Altri
provvedimenti adottati in questo periodo riguardano: i costi degli affitti e
dei terreni e i programmi di ricostruzione edilizia; i sussidi destinati ai
cittadini che provano di essere bisognosi (National Assistance). Un
ulteriore progresso nella politica di Welfare
in Gran Bretagna è costituito dal cambio di governo; infatti nel 1964 il Labour torna al potere con il premier
Harold Wilson e cerca di portare avanti un programma sociale molto ambizioso.
La crisi economica degli anni 60 non permette, però, la piena realizzazione
di questo piano. Tuttavia
occorre tenere presenti i principali provvedimenti su cui esso si basa. Nel
1964 vengono introdotti l’ adeguamento delle pensioni e degli altri sussidi
della sicurezza sociale ai salari e l’ abolizione del pagamento di alcuni
servizi del Sistema Sanitario Nazionale che i conservatori hanno in
precedenza imposto. Per quanto
riguarda il problema della casa si segnalano: l’
annuncio, sempre nel 1964, di un piano per la costruzione, nell’ arco di 2
anni, di 250.000 abitazioni popolari e l’ introduzione dell’ equo canone (fair rent) attraverso l’ House Act. Con
riferimento alla scuola si segnalano: l’
annuncio del Ministro dell’ Istruzione Michael Stewart di voler elevare l’
obbligo di istruzione fino ai 16 anni di età e la volontà di rendere
maggiormente omogenei i programmi per le scuole secondarie avvicinando i
programmi degli insegnamenti tecnici con quelli delle scuole più
“umanistiche”. Nel 1966
si procede ad una riforma previdenziale che tuttavia, a causa della crisi
economica, non riesce a cambiare il sistema predisposto dai conservatori
negli anni 50. Infatti le prestazioni restano legate al livello retributivo e
non eliminano, così, le disparità tra chi percepisce un reddito alto e chi,
invece, percepisce un reddito basso. Per quanto
concerne l’ assistenza, viene mutato il sistema di accertamento dello stato
di bisogno e vengono introdotti i supplementary
benefits, ossia erogazioni volte a garantire un reddito minimo finanziate
con fondi pubblici. Questo
programma sociale avanzato, proposto dai laburisti negli anni 60, si scontra
con la crisi economica che caratterizza quegli anni. Pertanto il governo
britannico, dovendo conciliare una politica sociale innovativa ed evoluta con
le esigenze di contenimento della spesa si trova spesso costretto ad
inasprire il prelievo fiscale. Nel corso
degli anni 70, un periodo di crisi economica mette in crisi la politica
“welfarista”. Nel 1974 i laburisti britannici tornano al Governo con un
programma sociale molto avanzato che prevede: aumento delle pensioni,
controllo dei prezzi, redistribuzione della ricchezza, riforma ed espansione
del National Health Service. Nello
stesso 1974 si vedono i primi provvedimenti concreti: le imposte dirette
vengono abbassate, viene istituita Nel 1978
si procede ad una riforma del sistema pensionistico e previdenziale con l’
introduzione di uno “Schema pensionistico commisurato alle retribuzioni”. La
riforma prevede che, ad un modello di base uguale per tutti, se ne aggiunga
uno basato sui contributi correlati alla retribuzione. Se la riforma
previdenziale ha buoni esiti, non altrettanto può dirsi per la
ristrutturazione del N.H.S. Nel 1978
le gravi difficoltà economiche portano i laburisti ad assumere posizioni più
conservatrici in materia di contenimento della spesa; ciò crea un’ ondata di
malcontento che provoca la caduta del governo laburista di Callaghan, al
quale succede lungo periodo di dominio dei conservatori. Infatti
nel 1979, con la vittoria elettorale del partito conservatore di Margaret
Thatcher, si ha una svolta nel sistema di sicurezza sociale britannico.
Questo evento politico segna una netta inversione di tendenza rispetto agli
anni 60 e 70. La signora
Thatcher porta avanti una politica nettamente avversa ad ogni intervento
sociale e improntata, invece, alla realizzazione piena di una economia di
mercato. Un primo elemento che caratterizza questa politica è lo scontro
frontale con le trade unions, in
particolare il sindacato dei minatori, il quale viene sconfitto nel braccio
di ferro di una dura vertenza protrattasi dal marzo 1984 al marzo 1985. Altri
provvedimenti significativi sono la vendita delle case popolari e la
liberalizzazione degli affitti. Per quanto
riguarda il sistema pensionistico si cerca di favorire le forme
pensionistiche private e, nel 1980 viene abolito il sistema che adegua
automaticamente le prestazioni erogate dalla National Insurance ai salari. Nel 1986
viene varato il Social Security Act.
Esso interviene sullo schema pensionistico commisurato alle retribuzioni,
istituito negli anni 70 diminuendo l’ erogazione degli importi e incentivando
l’ uscita dei lavoratori dallo schema stesso (formula del contracting out) attraverso il ricorso
a forme previdenziali private (come ad esempio le polizze assicurative sulla
vita). Nel 1988
si istituiscono criteri più restrittivi per la concessione di sussidi per le
abitazioni e si incentiva ulteriormente il ricorso a forme pensionistiche
private attraverso la creazione delle Appropriate
personal pensions. In sostanza si tratta di un apparato che permette ai
lavoratori di sottoscrivere una pensione presso operatori finanziari privati. Ovviamente
la “cura” thatcheriana non risparmia la sanità; in questa materia i
provvedimenti più significativi presi negli anni 80 mirano a migliorare i
servizi sostituendo, alla burocratizzata e scadente gestione statale, una
gestione privata, ritenuta in grado di rendere più efficiente l’ intero
sistema. A conclusione dell’ esperienza thatcheriana, tuttavia, questo
miglioramento nell’ efficienza non si è verificato. La
politica conservatrice viene portata avanti anche dal primo ministro John Major,
che governa dal 1990 al 1997; egli, in particolare, ha proseguito sull’
incentivo alle forme pensionistiche private. Punto
focale per il welfare britannico è
il 1997; in questo anno va al governo della Gran Bretagna il partito
laburista, dopo quasi 20 di ininterrotto governo conservatore. Tony Blair, il
nuovo premier, intende riformare il
laburismo britannico e renderlo diverso sia dalla sinistra assistenzialista,
sia dal capitalismo e dal liberismo della destra: è la cosiddetta “terza
via”, attraverso la quale Blair si propone di rinnovare la sinistra
britannica. Tradotta
in campo sociale, questa politica dovrebbe mirare, come sostiene Alan Deacon[4],
all’ adattamento della democrazia sociale alle contemporanee condizioni
economiche e sociali. E’ lo stesso Blair, nel Altro
elemento fondamentale della terza via è la necessità di creare un nuovo
equilibrio tra diritti e responsabilità dei cittadini; ciò che si intende
realizzare è un modello nel quale i diritti non siano disgiunti dalle
responsabilità dei singoli. Quella
portata avanti da Blair in Gran Bretagna è una politica riformista, che
rifugge da ogni impostazione ideologica dei problemi. Il suo governo
coincide, in parte, con l’ inizio degli anni 2000 e del nuovo secolo e sembra
non discostarsi, per certi aspetti, dall’ impostazione conservatrice: infatti
anche Blair prosegue con l’ incentivo alle forme pensionistiche private; a
questo proposito ricordiamo un importante provvedimento del 1999 il Welfare Reform and Pensions Act, il
quale basa l’ intero sistema previdenziale su un insieme di forme di
previdenza statali (dunque pubbliche) forme private. Per quanto
concerne l’ assistenza sociale, caratteristica fondamentale del sistema
britannico negli anni 2000 è la presenza di Child Benefits e di In-work
Benefits. I primi sono assegni familiari concessi alle famiglie o,
comunque, a chiunque sia responsabile del mantenimento di un bambino: il
sussidio è universale, non soggetto a tassazione ed indipendente dal reddito
familiare e dall’ età dei figli. Per quanto
riguarda gli In-work Benefits, si
tratta di sussidi erogati per facilitare la transizione dallo stato di
disoccupazione a quello di occupazione ed incentiva anche l’ accettazione di
lavori temporanei o a tempo parziale. Grande
importanza rivestono oggi in Gran Bretagna anche i programmi di supporto
finanziario alle famiglie. A questo proposito si ricorda il Tax Credit Act varato nel 2002 che unifica
i vari programmi di supporto finanziario alle responsabilità familiari in un
unico programma, l’ Integrated Child
Credit: esso prevede l’ erogazione del sussidio a tutte le famiglie con
figli, indipendentemente dall’ attività lavorativa dei genitori; il sussidio
comprende una quota fissa ed una aggiuntiva per ogni figlio. Le prestazioni
diminuiscono all’ aumentare del reddito percepito e si possono cumulare con
il Child Benefit. Lo scopo
di queste misure è quello di abbattere la povertà delle giovani generazioni,
in modo da costruire una società finalmente libera dalla povertà. Ma il
governo Blair interviene anche contro la povertà dei pensionati introducendo,
nel 2003, un nuovo pensions credit.
La terza
via intrapresa dal new labour di
Tony Blair si propone così di realizzare una razionalizzazione della politica
di welfare venendo incontro ai
bisogni della società, ma nel contempo responsabilizzando i destinatari degli
aiuti, attraverso il tentativo di eliminare quegli elementi di “eccessiva
generosità” che caratterizzano il sistema sociale britannico nei secoli
precedenti (come, ad esempio, il menzionato sistema Speenhamland del ‘700) ed anche favorendo un’ impostazione più
liberale e orientata al mercato. 3.2 IL SISTEMA DI WELFARE NEI
PAESI SCANDINAVI I paesi
scandinavi, Svezia, Norvegia e Danimarca, hanno una indiscussa posizione di leadership per quanto riguarda le
politiche di welfare. Durante gli
anni 60 esse mantengono la loro connotazione universalistica. Tra i
paesi scandinavi emerge In questa
nazione ci si preoccupa di andare incontro, prima di tutto, alle famiglie e
alle donne. Poi si
interviene sull’ istruzione realizzando una scuola di base statale
obbligatoria, uguale per tutti della durata di 9 anni. Si potenziano anche le
borse e i sussidi per i soggetti meritevoli provenienti da famiglie a basso
reddito. Le riforme
interessano anche il campo della Sanità pubblica, riorganizzata negli anni 60
al fine di rendere più efficiente e decentrato il servizio. Per quanto
concerne la questione abitativa, in Svezia si dà inizio ad un vasto piano per
la costruzione di alloggi popolari. L’ esempio
svedese è seguito anche dalla Norvegia. Qui si portano avanti riforme
scolastiche improntate su quelle svedesi; lo stesso avviene per quanto
riguarda la famiglia. In
Norvegia (come anche in Danimarca) si procede ad una riforma pensionistica. Gli anni
80 anche in Scandinavia si caratterizzano per una battuta d’ arresto delle
riforme in ambito sociale. Infatti, anche se in Svezia nel 1982 tornano al
potere i socialdemocratici, la politica che viene portata avanti è una
politica fiscale di austerità. I socialdemocratici introducono elementi di
mercato e competitività in settori tradizionalmente di pertinenza pubblica. Nel
complesso, però, il sistema di welfare
non viene intaccato molto. Nel corso
degli anni 90, come del resto anche gli altri paesi europei, 3.3 IL SISTEMA DI WELFARE IN
ITALIA Come negli
altri paesi che abbiamo considerato, anche in Italia sono gli anni Durante
gli anni La
stagione del centro-sinistra ha costituito un’ importante occasione per le
riforme sociali la quale, però, purtroppo, non è stata sfruttata pienamente,
soprattutto a causa delle frammentazioni nella squadra di governo. I
principali campi d’ azione dei governi di centro-sinistra sono: l’
istruzione, il sistema pensionistico e previdenziale, la questione della
casa, la sanità. Per quanto
riguarda l’ istruzione, il 24 luglio 1962 è approvata la legge per lo
sviluppo della scuola nel triennio 1962-65, la quale stanzia 370 miliardi di
lire per migliorare le strutture scolastiche; il 31 dicembre 1962 è la volta
della legge che introduce la scuola media unica e innalza l’ obbligo
scolastico a 14 anni di età. Successivamente viene introdotto l’ assegno di
studio per gli studenti universitari le cui famiglie percepiscono redditi
bassi. Per quanto
concerne il sistema previdenziale e pensionistico si segnalano l’ incremento
del 30% delle pensioni contributive, l’ aumento fino a 15.000 lire al mese
delle pensioni minime di invalidità e vecchiaia per gli
ultrasessantaciquenni. Segue poi l’ assegnazione della tredicesima mensilità
anche ai pensionati. Nel 1965
si adotta un Testo Unico delle leggi sugli infortuni e sulle malattie
professionali (T.U. 30 giugno 1965, n. 1124). Degno di
nota è poi il fatto che si cerca di realizzare un sistema pensionistico
universalistico. Passo importante in questa direzione è l’ introduzione
presso l’ INPS, di un fondo sociale destinato a fornire la pensione sociale
uguale per tutti e dunque svincolata dal versamento di contributi (legge 21
luglio 1965, n. 903). Nel 1967 è riconosciuto ai mezzadri, ai coloni e ai
coltivatori diretti il diritto a percepire gli assegni familiari.
Particolarmente significativa è poi la legge 6 agosto 1966, n. 625, che prevede
un assegno mensile per i mutilati e gli invalidi civili inabili al lavoro e
che non percepiscono rendite o assegni. Sul
versante della questione abitativa degni di nota sono la costituzione, nel
1963 della GESCAL, l’ ente di gestione della casa per i lavoratori italiani;
l’ ente ha la finalità di far sì che i lavoratori possano comprarsi una casa a
prezzi bassi attraverso agevolazioni creditizie e finanziamenti. Sempre nel 1963 viene imposto il blocco
degli affitti, onde evitare l’ eccessivo aumento dei prezzi delle locazioni. Nel
1967 vengono concessi sgravi alle imprese per la costruzione di nuovi alloggi
con il fine di aumentare l’ offerta abitativa. Nel campo
della sanità non si riesce a realizzare il sistema sanitario nazionale (per
questo occorrerà attendere il 1978). Si realizzano, tuttavia, alcuni
interventi significativi, quali il già menzionato Testo Unico delle leggi
sugli infortuni e sulle malattie professionali (30 giugno 1965) e l’
introduzione dell’ assistenza sanitaria per i commercianti, i coltivatori
diretti e i disoccupati beneficiari di prestazioni previdenziali. Un’
ulteriore spinta verso le riforme in campo sociale è data dagli eventi e dai
movimenti del 1968-69. C’ è spazio, in questi anni, per la riforma
ospedaliera: con essa l’ ospedale diviene struttura per l’ assistenza
sanitaria pubblica garantita a tutti i cittadini. Ma l’
ambito più “caldo” per l’azione riformatrice a partire dal 1968, è tuttavia
quello dell’ istruzione e dell’ Università. Il 10 marzo 1968 è approvata la
legge n. 444, che istituisce la scuola materna statale. Nel febbraio 1969 si
procede, mediante decreto-legge, alla modifica dell’ esame di maturità. Guardando
più specificamente all’ istruzione universitaria, lo scontro tra le forze
politiche ed il movimento studentesco è molto più violento e a nulla vale il
tentativo di operare una riforma in quanto la contestazione giovanile chiede
in questi anni progetti di riforma ben più radicali di quelli che le forze
politiche tentano di mettere in atto. Negli altri
settori dello stato sociale segnaliamo: la legge
n. 1115 del 1965 che istituisce i cosiddetti ammortizzatori sociali per
combattere a disoccupazione; la riforma
delle pensioni portata avanti su impulso del ministro Brodolini ed approvata
il 30 aprile 1969. E’ opportuno soffermarsi sui punti più importanti di
questa riforma, che sono: -
pensione
sociale per tutti i cittadini indigenti finanziata con la fiscalità generale; -
pensione di
base in parte finanziata con i contributi, in parte con la tassazione; -
pensione
integrativa di importo che varia a seconda dell’ anzianità contributiva e del
livello retributivo. Questa riforma costituisce un passo significativo verso l’
universalità del sistema previdenziale; inoltre il sistema di finanziamento a
ripartizione prende il posto di quello a capitalizzazione. Ricordiamo ancora che nel settembre 1969 si stabilisce, per
quanto riguarda il problema della casa, un blocco degli affitti che agisce
con modalità diverse a seconda della città, del tipo di abitazione e del reddito. Gli anni 70 si aprono con l’ approvazione, proprio nel
1970, dello “Statuto dei lavoratori” (legge 20 maggio 1970, n. 300). Ancora oggi questa legge, pur modificata, costituisce il
principale strumento normativo per la regolamentazione del lavoro in Italia
e, dunque, è opportuno soffermarsi sulle più importanti norme in essa
contenute. La legge dà grande importanza alla tutela della dignità e della
libertà del lavoratore. L’ art. 1 sancisce, infatti, la libertà di opinione del
lavoratore. L’ art. 8 specifica che è vietato, da parte del datore di
lavoro, condurre indagini sulle opinioni del lavoratore. L’ art. 9 stabilisce una norma a tutela della salute e
dell’ integrità fisica del lavoratore, sancendo che lo stesso può, mediante
le sue rappresentanze, controllare l’ applicazione delle norme per la
prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e promuovere la
ricerca, l’ elaborazione e l’ attuazione di tutte le misure idonee a
proteggere la salute e l’ integrità fisica. Lo statuto dei lavoratori pensa anche ai lavoratori
studenti: l’ art. 10 sancisce, infatti, che coloro che lavorano e studiano
hanno diritto ad agevolazioni che assicurino la regolare frequenza dei corsi
e la possibilità di sostenere gli esami: turni di lavoro agevolati, non
obbligo di prestazioni straordinarie o durante i riposi settimanali, permessi
giornalieri retribuiti per sostenere gli esami. L’ art. 14 stabilisce il diritto di associazione ed
attività sindacale. L’ art. 18 prevede che il giudice stabilisca con sentenza
la reintegrazione da parte del datore di lavoro che occupa più di 15
dipendenti (o più di 5 se si tratta di imprenditore agricolo), del lavoratore
licenziato senza giusta causa o giustificato motivo[5].
L’ art. 19 prevede la possibilità, per le organizzazioni
sindacali, di costituire proprie rappresentanze nelle unità produttive su
iniziativa dei lavoratori. L’ art. 20 sancisce, per gli stessi, il diritto di unirsi
in assemblea nelle unità produttive. Di rilievo è anche la disposizione dell’ art. 28, che
stabilisce la repressione della condotta antisindacale: infatti, qualora il
datore di lavoro impedisca l’ attività sindacale o il diritto di sciopero, gli
organismi locali delle associazioni sindacali che hanno interesse possono
ricorrere al tribunale in composizione monocratica. Detto tribunale, nel caso
in cui ravvisi l’ effettività di tali comportamenti del datore di lavoro
ordina, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione dei
comportamenti. Importante traguardo per lo stato sociale italiano è
raggiunto nel 1978, con la tanto sospirata istituzione del Sistema Sanitario
Nazionale (SSN). Il SSN è connotato da una ispirazione universalistica,
sebbene il sistema previdenziale sia ancora sostanzialmente occupazionale. La spesa per la sanità così aumenta e con essa quella per
le pensioni: nel 1980 queste due voci di spesa ammontano, rispettivamente, al
31% ed al 49% dell’ intera spesa sociale. Si deve, perciò, cercare di
realizzare obiettivi di contenimento: è quanto cercano di fare i governi
cosiddetti di pentapartito, introducendo, nel campo della salute, i ticket sugli accertamenti diagnostici e
sulle prescrizioni mediche ed aumentando quelli sui farmaci. Viene poi
bloccato il turn-over del personale
nelle strutture sanitarie. Nel campo previdenziale si prendono le prime misure per
eliminare le cosiddette pensioni baby,
si adottano provvedimenti restrittivi in materia di assegni familiari e
pensioni d’ invalidità; si introducono i controlli sulle assenze per
malattia. Nell’ ambito dell’ istruzione viene bloccato il turn-over del personale e vengono
aumentate le tasse scolastiche ed universitarie. Nel 1984, per combattere l’ inflazione, che nel 1980
raggiunge una punta del 20,7%, viene ritoccata verso il basso la scala
mobile, il meccanismo di adeguamento automatico dei salari all’ inflazione.
Il referendum abrogativo proposto
dalla CGIL e dal PCI per abolire il provvedimento restrittivo sulla scala
mobile (legge 12 giugno 1984, n. 219) non ha gli esiti sperati, non
raggiungendo la maggioranza dei voti validi. Infine, per concludere la rassegna di misure di
contenimento prese negli anni 80, menzioniamo la riforma del SSN varata nel
1985 con l’ obiettivo di ridurre le spese di funzionamento delle USL. Nonostante tutti i tentativi degli anni 80 per ridefinire
l’ assetto delle politiche sociali in Italia, gli effetti sono scarsi sia a
causa della gestione clientelare delle politiche sociali, sia a causa del
decentramento regionale: infatti, se da una parte si può realizzare un contenimento
della spesa statale, dall’ altra molto spesso proprio il fatto che molti
servizi non sono più offerti dallo stato determina un aumento di spesa degli
enti locali. Gli anni 90 (almeno i primi) si caratterizzano per essere
anni di crisi e di difficoltà: occorre, perciò, proseguire nella politica di
rigore e di contenimento della spesa, soprattutto perché il settore del welfare e soprattutto la sua parte
previdenziale assorbono molte risorse finanziarie. Dopo un primo tentativo
realizzato dal governo Amato nel 1992, nel 1995 si ha una riforma organica
del sistema pensionistico: si tratta della cosiddetta legge Dini (legge 8
agosto 1995, n. 335). La riforma Dini tenta di conciliare i principi sanciti
nella Costituzione con l’ esigenza di contenere le spese. Il punto
fondamentale della legge è il parziale abbandono del criterio retributivo e
l’ adozione, invece, del criterio contributivo, che basa l’ammontare della
pensione sui contributi effettivamente versati. Altro elemento significativo
della riforma è il principio della flessibilità, che permette, ad esempio, di
cumulare il reddito da lavoro con la pensione e incentivi per posticipare il
termine dell’ attività lavorativa. La legge Dini è superata, nel 2004, dalla legge 23 agosto
2004, n. 243. I punti fondamentali della riforma sono i seguenti: · dal 1° gennaio 2008 si può andare in pensione a 60
anni (61 per i lavoratori autonomi), più di 35 anni di contributi o,
alternativamente, con 40 anni di contributi versati a prescindere dall’ età
anagrafica; · dal 2010 l’ età anagrafica per andare in pensione
sarà portata a 61 anni (62 per gli autonomi); · le donne, anche dopo il 2008 potranno andare in
pensione a 57 anni con più di 35 anni di contributi, ma con una
penalizzazione costituita dal calcolo interamente contributivo dell’
ammontare della pensione; · viene incentivata la continuazione dell’ attività
lavorativa: infatti, chi entro il 31 dicembre 2007 raggiunge i requisiti per
conseguire una pensione di anzianità, ma decide di restare al lavoro versa in
busta paga ed esentasse i contributi previdenziali destinati all’ INPS; · si incentivano, inoltre, le forme pensionistiche
complementari. BIBLIOGRAFIACOLARIZI
(S.), Storia del novecento italiano,
Rizzoli, Milano, 2000; CONTI (F.),
SILEI (G.), Breve storia dello stato
sociale, Carocci, Roma, 2005; DEACON (A.), Social
Security Policy, in Development in
british social policy 2, ed. by Nick Ellison and Chris Pierson, 2003; MORTATI
(C.), Le forme di governo, CEDAM,
Padova, 1973; OLEARI
(F.), PATACCHIA (L.), SPIZZICHINO (L.), Il
welfare in Europa, elementi per un confronto, 2001, dal
sito internet www.fondazionezancan.it; SCOPPOLA
(P.), ZOLI (M.),
I sistemi di welfare state nei paesi dell’ Unione Europea, 2004,
dal sito internet www.luiss.it. SITI
INTERNET
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[1]
In realtà non è pienamente corretto, con riferimento al Medio Evo, parlare di
stato, in quanto non esiste in questo periodo storico un’ istituzione che
persegue fini generali, quale è lo stato.
[2]
In realtà non si deve pensare che nella polis greca non ci fosse
libertà; questa era, invece, concepita in modo differente, ossia come libertà
di prendere parte alla politica ed essere partecipi della vita dello stato e
non come libertà individuale.
[3]
Tra l’ ‘800 ed il ‘900 si conquista il suffragio universale in molti paesi; ad
esempio in Inghilterra si arriva a questo traguardo nel 1918; in Francia, dopo
la breve parentesi rivoluzionaria, nel
[4] A. Deacon, Social Security
Policy, in Development in british social policy 2, edited by Nick
Ellison and Chris Pierson, 2003.
[5] Su questo articolo dello Statuto dei
lavoratori, nel 2002, si porterà avanti un dibattito molto polemico tra il
Governo di centro-destra e le organizzazioni sindacali.