P A G I N E L I B E R E Di Federico Fedenovus Novelli
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Scuola.
Trasmissione di saperi e di esperienze.
Luoghi e strumenti. Da Omero,
alle scholae, allo smartphone.
Di Mauro e Federico Novelli 30-5-2021 Scuola. Trasmissione di
saperi ed esperienze ·
1) Primo innesto tecnologico:
la scrittura. ·
1.1) Le abbazie benedettine:
la conservazione dei saperi. ·
2) Secondo innesto
tecnologico: la stampa a caratteri mobili. ·
3) Terzo innesto tecnologico:
l’informatica. size=2 width="100%" align=center> Riteniamo che
l’invenzione umana più utile e fruttuosa degli ultimi 5mila anni sia stata la
pianificazione e la realizzazione dei luoghi e degli strumenti per trasmettere
in modo organico alle nuove generazioni le informazioni, le esperienze e le
soluzioni accumulate dalle generazioni precedenti. E’ evidente che luoghi e strumenti si condizionavano a
vicenda. In
Egitto, dove la classe di appartenenza non era ereditata dalla famiglia
d’origine ma dal lavoro svolto, già verso
il 2500 a.C si andava a scuola per
diventare scribi, medici, agrimensori, costruttori. Le scuole erano situate,
in genere nelle vicinanze dei palazzi del faraone (per inciso, tutti i
faraoni sapevano leggere e scrivere avendo tutti avuto precettori privati) e
gli allievi erano dotati di inchiostro
nero e rosso, di sottili stili di papiro, di fogli di carta ricavati dalla
stessa pianta. Gli scribi egiziani imparavano sia l’alfabeto geroglifico (la
scrittura sacra) composta da ideogrammi, sia il demodico (la
scrittura corsiva) di uso sociale. Per il mestiere servivano entrambe. 1) Primo innesto tecnologico:
la scrittura.
In
Europa la scrittura arriva nel secondo millennio a.C.. L’alfabeto
minoico, adottato dai Micenei, era molto
vicino a quello egiziano con oltre 200 segni. Non unico, il minoico: secondo
il prof. Giuseppe Crispi (Università di
Palermo, prima metà del 1800) in Albania era contemporaneamente utilizzato un
alfabeto sillabico. Con il crollo della civiltà micenea,
attorno al 1000 a.C., andò perso l’uso della scrittura. Seguirono quattro
secoli oscuri definiti come il MedioEvo greco. Occorrerà
attendere fino al VI secolo a.C. per riscoprire la scrittura. Si trattò
dell’acquisizione da parte dei Greci di un alfabeto che i Fenici, da bravi
commercianti/navigatori/mercanti, costretti quindi ad andare per le spicce,
avevano fortemente semplificato rispetto a quello egizio, fino a
renderlo praticamente fonetico: ogni segno era la base di un suono
e non di un concetto, come per gli
ideogrammi del geroglifico. Prima
dell’introduzione/reintroduzione della scrittura, saperi e informazioni erano
trasmessi oralmente. Tutto era basato sulla memoria, dai grandi avvenimenti
alla “narrazione” delle vicende umane
classiche e generalizzabili sotto forma di miti. Il
sapere era trasmesso attraverso la recitazione delle
narrazioni imparate a memoria. Ma come facevano? Chi ha più di 60 anni
ricorderà che alle scuole elementari e in parte alle medie si mandavano a
memoria molti brani famosi, tutti in forma poetica, nessuno in
prosa. Da scolari scoprimmo, infatti, che se era abbastanza facile
imparare una poesia, non lo era altrettanto imparare a memoria
un brano in prosa. Prima dell’introduzione della scrittura, in Grecia le
grandi vicende storiche, quelle mitologiche e quelle riguardanti la vita –
quasi sempre tragica - dell’uomo erano strutturate in versi quindi in lunghi
ed articolati poemi. Venivano imparati a memoria da personaggi semi girovaghi
(aedi e rapsodi) che passavano da una città all’altra, da una corte all’altra
recitando i i versi della guerra di
Troia. Il poema non si limitava a narrare eventi, ma istruiva il
“pubblico” circa le condotte e
i comportamenti degli eroi delle loro gesta, delle loro ire, delle loro armi;
del buon governo curato dal buon re, delle ansie delle donne, dei
comportamenti familiari. Oppure raccontavano le peripezie e gli assilli di
Ulisse, condannato ad esplorare un mare senza fine dalla sua fame di scoprire
cose nuove. I
limiti di questo modo di trasmettere saperi è evidente: occorre essere
presenti mentre l’aedo recita i versi e, soprattutto, quei versi non potevano
essere modificati, integrati, rielaborati o cambiati: sarebbe saltato tutto
il meccanismo di trasmissione. Quindi non potevano essere approfonditi concetti astratti se non in
maniera del tutto personale, non trasmissibile ad altri perché li
elaborassero e/o li superassero. Con
la scrittura, questa attività intellettuale viene permessa ed esaltata:
si può arrivare all’essenza di cose, concetti, comportamenti; si possono
trasmettere e/o superare quei concetti attraverso la critica di altri
pensatori che hanno avuto la possibilità di leggerli. Si dice che la
scrittura abbia permesso di passare dal verbo “stare” descrittivo e
immutabile al verbo “essere” concettuale e passibile di mutazioni. Si passa
quindi dalla immutabile descrizione dei comportamenti adottati dal buon
re Priamo per ben governare, alla mutevole e intellettualmente
stimolante definizione del buon governo, sottoposta a critica e revisione
da parte di altri, stavolta
non semplici e solo ricettivi spettatori, ma di riflessivi lettori
pronti ad annotare critiche, stroncature, superamenti. E’ strabiliante come l’innesto di questa nuova tecnologia
abbia permesso, nei soli tre o quattro secoli successivi al Medio Evo greco -
definiti come l’Illuminismo dei Greci – l’avvicendarsi, anzi,
l’affollarsi di personaggi che hanno posto le basi della cultura occidentale.
Ancor più strabiliante il fatto che in questi tre o quattro secoli la
cultura sia esplosa pur potendo contare su un vivaio
ristrettissimo. Quanti Greci si saranno avvicendati in quattrocento anni?
Forse non più di 15 o 20 milioni. In
conclusione, se Platone non avesse riportato per iscritto i dialoghi di
Socrate, illustrandone il metodo maieutico, di Socrate non avremmo
saputo praticamente nulla. 1.1) Le abbazie benedettine:
la conservazione dei saperi.
Nei
mille anni che vanno dal 500
a.C. al 500 d.C., si perfezionano i luoghi ed i sistemi di trasmissione di
saperi ed esperienze, soprattutto ad opera dei Romani. Ma dal punto di vista
tecnologico le scholae non possono
approfittare di vantaggi da innovazioni essendo queste del tutto assenti.
Anzi, con la devastazione dell’impero causato dalle invasioni barbariche,
l’Occidente ha rischiato perfino il disuso e l’abbandono dei punti di
accumulazione e dei luoghi di comunicazione/diffusione del sapere. L’abbazia
benedettina fu la soluzione geniale in grado di rispondere alla
disarticolazione socio-economica dell’Alto Medioevo, con una impostazione ed una attività
superorganizzate. La vita interna era
minuziosamente organizzata e la giornata dei monaci scandita alla luce del
monito “Ora et labora et lege”. San Benedetto pensò, quindi, di
superare i pericoli e la insicurezza generati dalla decadenza della società,
attraverso la costituzione di luoghi - che potremmo definire fortificati – in
grado di accogliere, proteggere e acculturare uomini in
grado di difendersi e abitanti del circondario. Infatti, le prime
abbazie erano altrettante case ben munite e i monaci ricevevano in dotazione
dall’abate anche un coltello. [Inciso.
Quando si informa della questione del coltello benedettino, gli interlocutori
restano sempre molto perplessi, almeno finché non viene indicata la fonte di
questa informazione. E la fonte è primaria, essendo costituita dal testo
stesso della Regola di S. Benedetto: Capitolo XXII, Punti 4 e 5: “4) Nel
dormitorio rimanga sempre accesa una lampada fino al mattino. 5) Dormano
vestiti, con ai fianchi semplici cinture o corde, senza portare coltelli
appesi al lato mentre riposano, per non ferirsi nel sonno”. Capitolo LV,
Punti 18 e 19: “18) Ma, per strappare fin dalle radici questo vizio della
proprietà personale, l'abate distribuisca tutto il necessario. 19) e cioè:
cocolla, tonaca, calze, scarpe, cintura, coltello, ago,
fazzoletti e il necessario per scrivere, in modo da togliere ogni pretesto di
bisogno.”] Con
l’invenzione delle abbazie, l’Occidente aveva creato un ambiente per
quanto possibile protetto e in
grado di conservare parte della produzione culturale del sapere greco e
romano, quella non andata distrutta e, contemporaneamente, un sistema di
istruzione dei monaci. Oltretutto, al fine di fornire testi degli antichi
autori alle abbazie consorelle, i nuclei più dotati procedettero a copiare
i volumi di cui erano in
possesso, di certo trascurando quelli (molti) considerati ai limiti
della blasfemia. Questa
catena globalizzata di biblioteche è forse il lascito più prezioso che l’Alto
Medioevo offrì in eredità all’Occidente. 2) Secondo innesto
tecnologico: la stampa a caratteri mobili.
Nel 1200 avere a
disposizione 50 o 60 manoscritti significava poter disporre di una grande
biblioteca. A saper leggere e scrivere erano esclusivamente gli uomini di
chiesa, i professionisti, i mercanti, i banchieri e, derivati da queste
categorie, i notabili e i politici. Queste erano le classi in
grado di poter pagare, per la copiatura di un testo, un costoso amanuense:
il copyright era appannaggio
esclusivo di quest’ultimo; l’autore, sempre di estrazione medio alta, viveva
di altro, non del riconoscimento dell’opera come prodotto del suo ingegno. L’insegnamento, gestito da prelati e rivolto a futuri prelati,
si consolidò, anzitutto, nelle abbazie e nelle cattedrali cittadine.
Trattandosi dell’unica fonte di insegnamento non privata di un certo livello, cominciò ad
accogliere anche studenti laici. Queste scuole furono nel tempo sostituite da
organizzazioni laiche gestite congiuntamente da studenti e da docenti, una
sorta di cooperative dell’insegnamento. Stavano nascendo le università, la
prima a Bologna nel 1088 specializzata negli studi giuridici; quindi a
Salerno e Montpellier per la medicina; a Parigi e a Oxford per la filosofia e
la teologia. Il laicizzarsi degli insegnamenti superiori spostò lentamente
il centro delle attenzioni culturali: si cominciò a mettere al centro
dell’interesse culturale l’”Uomo”, scalzando Dio dalla centralità. Dopo la
grande pestilenza della metà del
‘300, che aveva falciato circa 20 milioni di Europei (il 30% della
popolazione), si assiste ad un risveglio sia culturale che
economico. Non più quindi lo studio esclusivo dei sacri testi, ma la
riscoperta degli antichi autori. L’Uomo e non più (solo) Dio
operava nel creato e, soprattutto, in campo sociale e politico, “alla maniera
degli antichi”. Nel ‘400 era ormai affermato l’Umanesimo. Su questa cultura
effervescente (anche se sempre su base ristretta, si innesta
una seconda tecnologia, tanto semplice come sistema innovativo
quanto imponente nei suoi effetti socio culturali e di civiltà. A metà del secolo, Gutemberg, orafo, reinventa un sistema
già usato dai Cinesi per stampare i loro ideogrammi: la stampa a caratteri
mobili. Via gli amanuensi, inizia l’era degli editori. Il costo (ormai quasi
industriale) delle pubblicazioni si ridimensiona notevolmente e con esso il
prezzo di vendita. Il copyright diventa appannaggio dello stampatore. Solo
molti anni dopo l’invenzione di Gutemberg, un
editore di Venezia riconobbe
all’autore del testo un appannaggio monetario. Con l’Umanesimo e l’invenzione
della stampa l’Europa si lascia alle spalle il Medio Evo. La cultura del vecchio continente esplode, complice la
diffusione dei libri. Basti considerare l’evoluzione subita dai
Cenacoli umanistici, rarefatti e dalla trasmissione culturale lenta perché
ancora basata sullo studio di manoscritti: si sviluppano, soprattutto in
Italia, le Accademie luoghi dinamici di incontri/scontri culturali, i cui
membri avevano a disposizione biblioteche ben fornite, in grado di procedere
a specializzazioni ed approfondimenti nel campo dello scibile umano. Tra il
‘500 e il ‘600 si calcolano in numero di oltre 2.000 le Accademie operanti in
Italia, alcune ancora oggi brillantemente operative. Ne ricordiamo solo due:
l’Accademia della Crusca (per lo studio della lingua italiana) e quella dei
Lincei (per lo studio della nuova scienza). E’ vero che le classi
interessate erano sempre le stesse (clero, professionisti ecc.) ma il
dinamismo degli studi, delle elaborazioni, degli scambi tra intellettuali si
era moltiplicato, organizzato, reso altamente produttivo. Stiamo parlando del
Rinascimento, forse il periodo più esaltante della storia europea del passato
millennio. 3) Terzo innesto tecnologico:
l’informatica.
Occorrerà attendere l’Illuminismo e l’affermazione dei
principi e dei valori da esso propugnati perché in Europa si cominci a
parlare dell’esigenza della diffusione della scolarità attraverso iniziative
ed investimenti pubblici. L’importanza di una scuola pubblica si concretizza
in iniziative statali solo nella seconda metà del ‘700 (in Austria), anche
attraverso la fondazione di biblioteche pubbliche aperte a tutti i cittadini. La base discente si amplia ma l’andare a scuola rimane sempre
appannaggio delle classi dominanti. Per avere un termine di paragone, si
consideri che il Primo Censimento del neonato stato italiano forniva, per
l’anno 1861, questo dato sul livello di istruzione della popolazione: su 23
milioni di Italiani, 17 milioni erano analfabeti. Con il ‘900, la scolarizzazione comincia ad essere considerata
come elemento di progresso per l’intera società e non più come miglioramento
individuale per motivi professionali e familiari. Si amplia la base degli
studenti e si rende obbligatoria la frequenza per un numero minimo di anni.
Lo scopo è duplice, non molto valorizzato il primo, quello di formare un
cittadino consapevole e sufficientemente critico, in grado di contribuire
allo sviluppo complessivo della società. Più pratico il secondo, quello cioè
di preparare lo studente perché si possa inserire adeguatamente
nel mondo del lavoro, avendo acquisito gli elementi necessari per farlo. Gli ultimi decenni del secolo scorso vedono il dilagare di
nuove tecnologie messe a disposizione dall’informatica in ogni campo sociale
e, quindi, anche in ambito scolastico. Il terzo millennio inizia con un
continuo assestamento sociale in funzione dell’utilizzo dei nuovi strumenti,
obbligando ogni settore ad accomodamenti successivi continui. Chi avrebbe
pensato solo trenta anni fa che ciascuno di noi sarebbe stato in grado di
comunicare con gli altri abitanti del pianeta in tempo reale e a costi
praticamente prossimi allo zero, indipendentemente dalla collocazione
geografica dell’interlocutore? Chi avrebbe pensato di poter
avere a disposizione le preziosità dei più grandi musei del mondo o i testi
dei classici in una biblioteca immensa? Chi avrebbe pensato di poter seguire
lezioni scolastiche da casa? 4) Risultati?
I tre innesti tecnologici nella vita culturale dell’uomo hanno
inciso inizialmente sulle facoltà mnemoniche, liberando il nostro cervello
dalla necessità di destinare memoria interna per procedere
nello sviluppo intellettuale. Sembrerebbero quindi solo vantaggi
quantitativi. C’è da osservare però, che mentre i primi due (scrittura
e stampa) hanno permesso
una successiva evoluzione del pensiero umano, generata dall’aver
potuto affidare a strumenti esterni parte delle facoltà che eravamo obbligati
ad esercitare mentalmente, il terzo (informatizzazione) ancora non ha dato
luogo alla liberazione di energie mentali causate dalla liberazione di
ulteriori partizioni del nostro cervello. Infatti, con l’introduzione della scrittura siamo stati in
grado di elaborare pensieri astratti fruibili da altri uomini anche in luoghi
e tempi diversi dai nostri; con la disponibilità generalizzata di testi
stampati e a basso prezzo siamo stati in grado di fornire ad altri – e
ricevere a nostra volta - valutazioni, osservazioni, critiche generando una
accelerazione nei processi del pensiero umano senza dover richiamare in maniera
complicata, lenta e non adeguata i termini concettuali contenuti
nell’unico manoscritto a disposizione di uno dei pochi corrispondenti;
l’informatizzazione della società ancora non mostra una produzione
originale di strumenti intellettuali nuovi e più potenti di quelli
finora a disposizione. Se, infatti, da una parte è chiara la possibilità di
superare, escludendoli, tutti i “mediatori” e gli “intermediari” (dai
giornalisti alle banche, dai negozi su strada agli esperti nel calcolo del
calcestruzzo e via escludendo) non è chiaro il vantaggio che deriverà al
pensiero dell’uomo. In altri termini, mentre i primi due innesti avevano trovato
già pronti utilizzatori all’altezza del compito, quello delle tecnologie
informatiche, per definizione, non ha una categoria pronta ad utilizzarle,
avendo come utilizzatori finali tutti coloro in grado di “collegarsi”.
Pertanto, tutti utilizzatori, ma pochi all’altezza del compito, quindi
ridotti ad utilizzare le innovazioni come un semplice strumento facilitatore
delle ricerche. Non è un caso che la terza tecnologia, in grado - come si
diceva - di rendere inutili gli intermediari, ha creato oligopoli di super intermediari
soprattutto nel campo della sua utilizzazione (da Google a Instagram,
da Facebook a Twitter); in grado di superare i mediatori tra
fatti e lettore finale, ha creato le più pericolose fake in giro per il pianeta. Abbiamo
scoperto nel frattempo che coloro che hanno una istruzione/cultura oldstyle sono in grado di
approfittare meglio delle nuove possibilità. Gli incolti si limitano ad usare
le funzioni semplici: chat e giochi. Nè, in
piena pandemia, possiamo considerare un grande risultato
positivo delle nuove tecnologie la possibilità di poter seguire le lezioni a
distanza da parte dei ragazzi. La scuola, infatti, oltre a trasmettere
nozioni e metodi, è un microcosmo della società che accoglierà i giovani quali
membri responsabili una volta terminato il ciclo scolastico. Soprattutto “a
scuola” si impara ad esercitare la difficile arte dello stare con gli altri.
A tal proposito, si scriveva 10 anni fa nel sito del Cenacolo dei Cogitanti: “Proprio
a scuola, il giovane che comincia a mettere il naso al di fuori delle
ovattate protezioni familiari, “prova” ad ampliare il proprio orizzonte,
viene allenato a riconoscere le grandi architetture in cui è strutturata la
società (autorità, ruoli, doveri, diritti, valori); si esercita ad assumere
impegni nuovi, ad operare insieme ad altri, a capire le dinamiche
comportamentali, oltre alle positive, anche quelle negative a cui
impara (dovrebbe imparare) a far fronte: l’ostilità di altri, l’ingiustizia,
i tentativi di sopraffazione, il bullismo. Impara a prendere quelle dinamiche
come metro di misura del proprio agire, a misurare i personali progressi
nell’apprendimento e nel vivere civile, a giudicare gli altri e se stesso, a
pretendere il giusto da se stesso e dagli altri. Insomma ad inserirsi in una
polis da cittadini consapevoli e non da semplici
gregari.” Come le nuove tecnologie possono essere innestate in
ambito scolastico perché quegli
obbiettivi possano comunque essere raggiunti? In attesa di maturazione dei tempi e degli uomini, possiamo
contare su un successo involontario: se non avessimo avuto queste tecnologie
a disposizione, la pandemia da coronavirus avrebbe disarticolato l’intera
organizzazione del pianeta. Annaspiamo un po’, ma grazie a
internet con la testa fuori dall’acqua. |