P A G I N E     L I B E R E

Di Federico Fedenovus Novelli

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E L A B O R A T I

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RIFORMA DELLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE.

PICCOLO DOSSIER

A CURA DI FECERICO NOVELLI (2006-2008)

 


Sommario

 

·        PENSIONI: LE “SCELTE OBBLIGATE”  DEL TFR . PICCOLA GUIDA PER DISTRICARSI. I CONSIGLI. 1

DI FEDERCO NOVELLI PER CONTO DI ADUSBEF.  27-12-2006. 1

·        TFR. CRISI E ANDAMENTO DEI FONDI PENSIONE.  L’INDAGINE DELLA COVIP. 1

·        COVIP - COMMISSIONE DI VIGILANZA SUI FONDI PENSIONE. 1

·        L’IMPATTO DELLA CRISI  DEI MERCATI SUI FONDI PENSIONE: 1

·        INIZIATIVE DELLA COVIP A TUTELA DEGLI ISCRITTI E IN MATERIA DI DIFFUSIONE DEI DATI 1

·        Il Sole 24 Ore 18-9-2007     Tfr, la cronaca di un fallimento.. 1.di Tito Boeri e Luigi Zingales. 1

·        Da www.pane-rose.it 1. 15-9-2007. 1 Bilancio della campagna contro lo scippo del TFR.

·        Dal Corriere della Sera  29-1-2007. 1. Fondi o Tfr? Sei clausole in cerca d’autore Massimo Fracaro, Paolo Golinucci 1

 


 

PENSIONI: LE “SCELTE OBBLIGATE”  DEL TFR . PICCOLA GUIDA PER DISTRICARSI. I CONSIGLI.

DI FEDERCO NOVELLI PER CONTO DI ADUSBEF.  27-12-2006

 

 


 

1. Introduzione

 

L’ attuale Governo ha deciso di anticipare l’ entrata in vigore del nuovo sistema previdenziale al 1° gennaio 2007. La riforma è quella prevista dal decreto legislativo n. 252 del 5 dicembre 2005 (decreto Maroni). La normativa in questione sarebbe dovuta entrare in vigore il 1° gennaio 2008. Ora che il Governo Prodi ha stabilito che il decreto entrerà in vigore già dall’ inizio del prossimo anno, le imprese ed i lavoratori dovranno, entro il 30 giugno 2007 (originariamente entro il 30 giugno 2008), prendere decisioni importanti. Vediamo quali sono le novità più significative introdotte dalla riforma1.

Sono interessati alla riforma della previdenza complementare i lavoratori dipendenti del settore privato. Tuttavia, la disciplina specifica sul conferimento del TFR alle forme previdenziali complementari si applica solo ai lavoratori dipendenti. Le impostazioni illustrate di seguito dovranno passare al vaglio del legislatore e sono pertanto passibili di modifica.

 

2. Le forme di previdenza complementare

 

Le forme pensionistiche complementari sono forme di previdenza finalizzate alla costituzione di una prestazione pensionistica integrativa, autorizzate e sottoposte alla vigilanza della Covip.

Le varie forme complementari si distinguono in:

Fondi negoziali (o chiusi), ossia fondi complementari stabiliti per categoria di lavoratore o istituiti presso le imprese sulla base dei contratti collettivi; Il fondo pensione negoziale è un soggetto giuridico autonomo, la cui attività consiste prevalentemente nella raccolta delle adesioni e dei contributi e nell’individuazione della politica di investimento delle risorse, che vengono affidate in gestione a soggetti esterni specializzati nella gestione finanziaria.

Fondi aperti, ossia fondi istituiti direttamente da banche ed assicurazioni e società di gestione del risparmio. Costituiscono un patrimonio separato ed autonomo finalizzato esclusivamente all’erogazione delle prestazioni previdenziali.

Esistono poi i contratti di assicurazione con finalità previdenziali. Le risorse finanziarie accumulate mediante tali contratti costituiscono patrimonio autonomo e separato.

Infine menzioniamo i fondi pensione preesistenti sono forme pensionistiche complementari già istituite alla data del 15 novembre 1992. L’adesione a questa tipologia di fondo è su base collettiva e l’ambito dei destinatari è individuato dagli accordi aziendali o interaziendali. Tali fondi presentano caratteristiche peculiari rispetto ai fondi istituiti successivamente.

Queste sono le più importanti forme di previdenza complementare oggi esistenti in Italia. Con queste, i lavoratori dovranno prendere confidenza al fine di operare una scelta consapevole. Tale scelta non dovrà avvenire necessariamente in favore della previdenza integrativa in quanto, come vedremo, i lavoratori potranno anche decidere di tenere il TFR presso il proprio datore di lavoro (o presso l’ INPS nel caso in cui siano occupati in aziende con più di 50 dipendenti). Tuttavia, anche per essere in grado di optare per tale ultima preferenza, è indispensabile conoscere bene il sistema dei fondi pensionistici complementari.

 

3. Le modalità di destinazione del TFR

 

In base a quanto previsto dal disegno di legge finanziaria, dal 1° gennaio 2007 ciascun lavoratore dipendente può scegliere di destinare il proprio Trattamento di Fine Rapporto (TFR) maturando (futuro) alle forme pensionistiche complementari o mantenere il TFR presso il datore di lavoro. In relazione all’anzianità contributiva maturata presso gli enti di previdenza obbligatoria si aprono diverse possibilità di scelta per i lavoratori.

Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti iscritti ad un ente di previdenza obbligatoria dal 29 aprile 1993, la scelta sulla destinazione del TFR riguarda l’intero TFR maturando e può essere manifestata in modo esplicito (dichiarazione espressa) o tacito (silenzio-assenso all’adesione).

 

Modalità Esplicite

Entro il 30 giugno 2007 per i lavoratori in servizio al 1° gennaio 2007, o entro 6 mesi dalla data di assunzione, se avvenuta successivamente al 1° gennaio 2007, il lavoratore dipendente può scegliere di:

• destinare il TFR futuro ad una forma pensionistica complementare;

• mantenere il TFR futuro presso il datore di lavoro.

In tal caso, per i lavoratori di aziende con più di 50 dipendenti, l’intero TFR è trasferito dal datore di lavoro al Fondo per l’erogazione del TFR ai dipendenti del settore privato, gestito, per conto dello Stato, dall’INPS (in attesa di approvazione la proposta di destinare solo il 50 per cento del TFR).

La scelta di destinazione del TFR futuro ad una forma pensionistica complementare deve essere espressa dal lavoratore attraverso una dichiarazione scritta indirizzata al proprio datore di lavoro con l’indicazione della forma di previdenza complementare prescelta.

La dichiarazione scritta è necessaria anche nel caso in cui si scelga di mantenere il TFR futuro presso il proprio datore di lavoro.

 

Modalità Tacite (Silenzio - Assenso)

Se entro il 30 giugno 2007 per chi è in servizio al 1° gennaio 2007, o entro 6 mesi dall’assunzione, se avvenuta successivamente al 1° gennaio 2007, il lavoratore non esprime alcuna indicazione relativa alla destinazione del TFR, il datore di lavoro trasferisce il TFR futuro alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi, anche territoriali, o ad altra forma collettiva individuata con un diverso accordo aziendale, se previsto. Tale diverso accordo deve essere notificato dal datore di lavoro al lavoratore in modo diretto e personale. In presenza di più forme pensionistiche collettive, il datore di lavoro trasferisce il TFR futuro: alla forma individuata con accordo aziendale; in assenza di specifico accordo, alla forma alla quale abbia aderito il maggior numero di lavoratori dell’azienda. In assenza di una forma pensionistica collettiva individuabile sulla base di questi criteri, il datore di lavoro trasferisce il TFR futuro ad un’apposita forma pensionistica complementare istituita presso l’INPS, alla quale si applicano le

stesse regole di funzionamento delle altre forme di previdenza complementare. Trenta giorni prima della scadenza dei 6 mesi utili per effettuare la scelta, il datore di lavoro deve comunicare al lavoratore che ancora non abbia presentato alcuna dichiarazione le necessarie informazioni sulla forma pensionistica collettiva alla quale sarà trasferito il TFR futuro in caso di silenzio del lavoratore.

La destinazione del TFR futuro ad una forma pensionistica complementare, sia con modalità esplicite che tacite:

• riguarda esclusivamente il TFR futuro. Il TFR maturato fino alla data di esercizio dell’opzione resta accantonato presso il datore di lavoro e sarà liquidato alla fine del rapporto di lavoro con le rivalutazioni di legge;

• determina l’automatica iscrizione del lavoratore alla forma prescelta. Il lavoratore iscritto godrà quindi dei diritti di informazione e partecipazione alla forma di previdenza complementare cui ha aderito;

• non può essere revocata, mentre la scelta di mantenere il TFR futuro presso il datore di lavoro può in ogni momento essere revocata per aderire ad una forma pensionistica complementare.

Per quanto concerne invece i lavoratori dipendenti iscritti ad un Istituto di previdenza obbligatoria in data antecedente al 29 aprile 1993 ci sono possibilità di scelta differenti.

In particolare, tali lavoratori possono:

• se già iscritti ad una forma pensionistica complementare al 1° gennaio 2007, scegliere, con dichiarazione scritta indirizzata al datore di lavoro (modalità esplicita), di contribuire al fondo con la stessa quota versata in precedenza mantenendo presso il datore di lavoro la quota residua di TFR;

• se non iscritti ad una forma pensionistica complementare al 1° gennaio 2007, scegliere con dichiarazione scritta diretta al datore di lavoro (modalità esplicita) di trasferire il TFR futuro a una forma pensionistica complementare, nella misura fissata dagli accordi collettivi o, in assenza di accordi in merito, in misura non inferiore al 50%.

In entrambi i casi resta ferma la possibilità di incrementare la quota di TFR maturando da versare alla forma pensionistica complementare. Se i lavoratori iscritti alla previdenza obbligatoria prima del 29 aprile 1993 non esprimono alcuna scelta sul TFR, si verifica il silenzio-assenso all’adesione e il datore di lavoro trasferisce integralmente il TFR futuro alla forma pensionistica complementare individuata, secondo quanto illustrato in ‘Modalità Tacite’ (v.sopra).

 

4. La spesa previdenziale diventerà davvero insostenibile ?

 

I fautori della “riforma delle pensioni” puntano – spesso con toni drammatici – sul fatto che la previdenza complementare è assolutamente necessaria in quanto la spesa previdenziale diventerà insostenibile nei prossimi decenni e ciò renderà impossibile per i lavoratori avere una pensione dignitosa.

In realtà bisogna porre bene in evidenza che questo ragionamento è specioso e falso perché distorto dal nostro sistema previdenziale, che finanzia oltre la previdenza anche l’assistenza ed altre “provvidenze”.

Insomma, l’Italia addossa all’INPS ogni forma di provvidenza: dalla cassa integrazione, agli assegni familiari, alle cosiddette pensioni sociali. Paga lo Stato, ma la colpa viene addossata al sistema pensionistico. Se non si separa chiaramente la previdenza dall’ assistenza è ovvio che i fondi pensione complementari diventeranno una necessità e un grande affare per chi li gestisce.

 

5. I consigli

 

1) Come scelta iniziale: mantenere il proprio TFR presso il proprio datore di lavoro; sarà infatti possibile, in qualsiasi momento cambiare scelta destinando il TFR ad un fondo complementare. Infatti, se decidessimo diversamente, la scelta sarà definitiva e non potremo più cambiare destinazione al TFR. Nel momento in cui saremo in grado di valutare meglio gli strumenti a disposizione e di poterne verificare la qualità (gestione, rendimenti, trasparenza, chiarezza nei costi ecc.) potremo destinare decidere per una destinazione diversa ed a ragion veduta.

 

2) Attenzione all’esca dei rendimenti. I fondi aperti rendono di più, ma hanno costi maggiori: per adescare gli interessati, banche e assicurazioni sbandiereranno i rendimenti spuntati e sorvoleranno sui costi. Non è opportuno decidere in funzione dei tassi di rendimento passati: non è detto che verranno ripetuti.

 

3) Capitale subito o rendita?. Conclusa la vita lavorativa, chi avrà optato per lasciare il TFR in azienda o all’INPS, otterrà la liquidazione in unica soluzione; chi avrà optato diversamente potrà ottenere solo il 50 per cento del capitale risultante in unica soluzione immediata. Il restante 50 per cento dovrà essere riscosso a rate. Chi ritiene pertanto più conveniente entrare subito in possesso di tutto il capitale (da gestire e/o investire come ritiene più opportuno) dovrà quindi non optare per i fondi: con la scelta aziendale, la liquidazione avverrà esattamente come è avvenuta fino ad ora.

 

4) Per il governo: sarebbe opportuno emettere titoli di Stato “dedicati” all’ investimento individuale ed automatico del TFR, senza soggiacere ai gestori (banche e assicurazioni): si potrebbe pensare a titoli con rendimento pari a quelli dei CCT, non liquidabili se non per i motivi già di legge (acquisto prima casa per sé o per familiari stretti, grave malattia), di durata dai 5 ai 35 anni, con reinvestimento automatico della cedola annuale in titoli della stessa qualità. La loro liquidazione ( o il loro mantenimento) dovrebbe avvenire solo a conclusione della vita lavorativa. Potrebbero essere di concorrenza ai gestori privati.

 

 

 


 


 

TFR. CRISI E ANDAMENTO DEI FONDI PENSIONE.  L’INDAGINE DELLA COVIP.

 

Di Federico Novelli   27-11-2008

 

Secondo un’ indagine della COVIP, organismo di vigilanza sulla previdenza complementare, nell’ ultimo periodo di tempo l’ andamento dei fondi-pensione complementari ha fatto registrare rendimenti negativi; in particolare, i fondi negoziali e quelli aperti, al 31 ottobre 2008 e dall’ inizio dell’anno registravano un rendimento complessivo medio del -8%. I PIP con gestione unit linked hanno fatto registrare addirittura un rendimento pari al -21%, con punte del -  31%  per quanto riguarda l’ andamento delle linee azionarie. La COVIP sottolinea che, per la prima volta dalla crisi del 2002, il rendimento dei fondi pensione complementari è stato nettamente inferiore a quello assicurato dalla rivalutazione del TFR.

D’ altro canto la COVIP cerca di rassicurare i lavoratori che aderiscono a fondi pensione complementari sostenendo che la previdenza complementare deve essere valutata in un’ ottica di lungo periodo; inoltre, secondo la COVIP, nel periodo compreso tra il 2003 e la fine di ottobre del 2008, il rendimento medio risulta nel complesso positivo è pari al 15%. Esistono poi vantaggi di tipo fiscale e, ove previsto, il contributo del datore di lavoro.

La COVIP, in concomitanza con la grave crisi che sta colpendo l’ economia mondiale, moltiplica gli interventi per tamponarne gli effetti negativi. Le iniziative più importanti sono le seguenti:

la Commissione ha ribadito il principio della diversificazione, già sancito nella normativa di settore (D.M. 703/96). Tale principio ha consentito di limitare l’ impatto negativo delle crisi sui patrimoni dei fondi.

Al fine di realizzare una maggiore flessibilità negli investimenti, la Commissione ha autorizzato il superamento del limite di detenzione di liquidità.

Sono stati avviati interventi specifici di vigilanza.

Particolarmente degna di nota è una proposta ora all’ esame del Ministero del Lavoro, di istituzione di un meccanismo di garanzia che salvaguardi la posizione di coloro che escono o sono usciti dal mondo del lavoro per pensionamento o per riscatto dovuto a prolungata cessazione dell’ attività lavorativa dopo il 31 agosto 2008. Tale meccanismo dovrebbe essere attivo per un arco di tempo determinato.

Infine, la COVIP ha anche avviato una nuova politica di diffusione dei dati che avrà uno dei punti di forza nella rete internet. Sul sito www.covip.it dall’ inizio del 2009 si avrà una diffusione dei dati con regolare cadenza trimestrale.

Da quanto detto finora, sembra proprio che la previdenza complementare non sia conveniente. Ciò è anche confermato dai dati del sondaggio condotto da Eurisko per conto di AnimaFinLab nel luglio 2007 e pubblicato sul “Sole 24 Ore” del 18 settembre 2007. Il sondaggio ha coinvolto un campione rappresentativo dei lavoratori dipendenti del settore privato. Da esso risulta che solo un lavoratore su 4 ha aderito ad un fondo complementare. Tra i giovani tra i 22 e i 30 anni vi è una percentuale al di sotto del 20% che ha aderito ai fondi.

Per quanto riguarda le imprese più piccole, 3 lavoratori su 4 hanno deciso di lasciare il TFR in azienda e meno di 1 su 10 ha espressamente aderito alla previdenza complementare. Nelle aziende più grandi, invece, la percentuale di coloro che hanno deciso di lasciare il TFR presso il datore di lavoro risulta poco più bassa del 50%, mentre 4 lavoratori su 10 hanno optato per la previdenza integrativa, scegliendo soprattutto fondi ad adesione collettiva. Si potrebbe credere, soprattutto con riferimento alle imprese più piccole, che l’ elevata percentuale di lavoratori che hanno deciso di lasciare il TFR in azienda possa essere dovuta a pressioni del datore di lavoro, il quale a tutto l’ interesse a mantenere il TFR dei lavoratori in azienda. Ma non è così; infatti, nel caso delle imprese grandi la percentuale di persone che ha dichiarato di aver deciso in seguito a pressioni o alla paura di essere  ammonta solo all’ 1,8%, mentre per quanto concerne le imprese piccole tale percentuale ammonta al 2,6%.

Dal sondaggio Eurisko emerge anche che i lavoratori sono più propensi a lasciare il loro TFR in azienda in quanto desiderano avere, al termine del rapporto con il datore di lavoro, una somma di denaro in contanti piuttosto che un vitalizio. Infatti questa è la prima motivazione addotta dagli intervistati (più del 20%).

Al secondo posto (17% delle risposte) c’ è la sfiducia negli investimenti finanziari. Al terzo posto c’ è la convinzione che il TFR in azienda garantisca un rendimento più sicuro rispetto ai fondi. Inoltre, si consideri che solo il 3% dei lavoratori ha totale fiducia nei fondi, mentre il 31% di essi ha totale fiducia nell’ impresa per la quale lavora.

Da questi dati emerge chiaramente che, in questo primo periodo di attività della previdenza complementare, non c’ è fiducia da parte dei lavoratori; soprattutto in un momento di crisi come quello attuale.

Si riportano, nelle seguenti tabelle, i dati statistici provvisori riferiti al 31 ottobre 2008 forniti dalla COVIP:

 

 

 

 

 

 

      


 


 

COVIP - COMMISSIONE DI VIGILANZA SUI FONDI PENSIONE

 

L’IMPATTO DELLA CRISI  DEI MERCATI SUI FONDI PENSIONE:

INIZIATIVE DELLA COVIP A TUTELA DEGLI ISCRITTI E IN MATERIA DI DIFFUSIONE DEI DATI

 


1) Comunicato stampa 21-11-2008

2) La previdenza complementare e la crisi finanziaria: proposte e interventi di vigilanza della COVIP; l’andamento dei rendimenti dei fondi pensione; una nuova politica di diffusione dei dati e di attività divulgative sulla previdenza complementare.

3) TFR. Principali dati statistici

 


 

COMUNICATO STAMPA COVIP

Roma,  21 novembre 2008

La COVIP – Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione – ha intrapreso una serie di azioni volte a fronteggiare gli effetti negativi che l’attuale crisi finanziaria sta determinando sulle posizioni previdenziali degli iscritti alla previdenza complementare e a standardizzare la diffusione dei dati relativi  all’andamento del settore.

Iniziative COVIP – La COVIP ha recentemente ribadito che i lavoratori che abbiano maturato i requisiti per il pensionamento o abbiano anche iniziato a percepire la pensione obbligatoria possono restare iscritti al fondo pensione - anche senza versare ulteriori contributi -e rimandare quindi ad altro momento l’uscita dal sistema di previdenza complementare. La Commissione ha invitato i fondi pensione a rendere noto agli interessati che possono avvalersi di tale facoltà (v. Orientamenti COVIP del 14 novembre 2008).

La Commissione, al fine di valutare con maggiore efficacia gli effetti che l’attuale situazione sta determinando sulle scelte effettuate dai fondi pensione, ha avviato una serie di azioni di vigilanza anche mediante incontri con esponenti delle  forme pensionistiche complementari di maggior rilievo. Oggetto della valutazione sono le politiche di investimento, le modalità gestionali concretamente sperimentate dai singoli fondi pensione, anche con riguardo alla gestione e al monitoraggio del rischio, e le politiche di costo.

La COVIP si è fatta inoltre promotrice di una proposta normativa – ora al vaglio del Ministero del Lavoro - che prevede l’istituzione di un meccanismo di garanzia destinato a salvaguardare la posizione accumulata, con riferimento alla porzione di quote riferite al TFR, di coloro che escono dal sistema, o che già ne siano usciti, successivamente al 31 agosto 2008. L’intervento avrebbe un orizzonte temporale limitato ad un anno e riguarderebbe tra i 10 e i 20 mila lavoratori iscritti.

Rendimenti dei fondi pensione – I rendimenti dei fondi pensione al 31 ottobre 2008 risentono della gravissima crisi che il sistema finanziario sta attraversando: dall’inizio dell’anno i fondi pensione negoziali e aperti hanno fatto registrare un rendimento medio complessivo pari a circa – 8 per cento.

Gli andamenti negativi sono più evidenti nei comparti azionari ai quali aderisce poco più dell’1 per cento degli iscritti ai fondi negoziali e il 30 per cento degli iscritti ai fondi aperti.

Nell’ambito delle altre categorie di comparti, soltanto quelle con profili di investimento particolarmente prudenziali, hanno fatto registrare risultati, in aggregato, di segno positivo.

Se si considera come orizzonte temporale di riferimento il periodo compreso tra il 2003 e la fine del mese di ottobre 2008, il rendimento medio risulta pari, nel complesso, al 15 per cento. Peraltro, tale valore si colloca, per la prima volta dalla crisi del 2002, significativamente al di sotto della rivalutazione del TFR.

Per quanto riguarda i PIP, le gestioni di tipo unit linked, che rappresentano il 40 per cento del volume delle risorse del comparto, hanno fatto registrare nel complesso nei primi 10 mesi dell’anno un rendimento pari a –21 per cento. In tale ambito l’andamento delle linee azionarie è stato particolarmente negativo, con un risultato pari a -31 per cento. Da sottolineare che poiché la maggior parte dei PIP conformi al D.lgs. 252/2005 è di recente istituzione, alle linee azionarie fa riferimento un numero di iscritti e, soprattutto, un ammontare di risorse ancora limitato. 

Considerando tutte le forme pensionistiche complementari di nuova istituzione, emerge che, a fronte di quasi 20 miliardi di euro di patrimonio alla fine del mese di ottobre, il 10 per cento fa riferimento a linee azionarie; il 40 per cento fa riferimento a linee bilanciate, mentre il restante 50 per cento è investito in linee obbligazionarie o garantite.

Il quadro generale non è certamente soddisfacente e proprio per questo la COVIP si è fatta carico dell’iniziativa legislativa rivolta agli iscritti in uscita dal sistema nella presente congiuntura cui si è fatto cenno in precedenza.

Diffusione dei dati - Riguardo alla diffusione dei dati relativi ai principali aspetti quantitativi del sistema, la COVIP intende continuare a svolgere tale attività seguendo, a partire dal prossimo anno, una cadenza trimestrale. L’attuale congiuntura finanziaria ha comprensibilmente generato un’attenzione accentuata da parte degli organi di stampa e dell’opinione pubblica sulla redditività dei fondi pensione; tuttavia, una eccessiva focalizzazione sugli andamenti di breve termine mal si concilia con la finalità di lungo periodo che invece caratterizza il risparmio previdenziale; finalità che è sempre necessario sottolineare a tutela dei risparmiatori che devono effettuare scelte il più possibile razionali e al riparo da pur comprensibili ondate di panico.

 

 

La previdenza complementare e la crisi finanziaria: proposte e interventi di vigilanza della COVIP; l’andamento dei rendimenti dei fondi pensione; una nuova politica di diffusione dei dati e di attività divulgative sulla previdenza complementare.

 

Premessa

La crisi del sistema finanziario internazionale ha avuto evidenti ripercussioni sui rendimenti dei fondi pensione italiani. Dai dati che pubblichiamo, riferiti al mese di ottobre 2008, emerge che, per la prima volta dalla crisi del 2002, i rendimenti dei fondi sono significativamente inferiori alla rivalutazione del TFR. Per tale ragione la COVIP, nei giorni scorsi, si è fatta portatrice di una proposta di intervento a tutela di quegli iscritti che si trovino a maturare i requisiti per l’uscita dal sistema proprio nella presente congiuntura. 

In tale contesto, si ritiene inoltre opportuno dare rinnovata evidenza agli elementi tipici della previdenza complementare per poter fondare una più stabile convinzione circa l’opportunità della scelta di partecipazione indipendentemente dalle fasi alterne dei mercati. 

Occorre, innanzitutto, ricordare che l’andamento delle forme pensionistiche complementari, per la loro stessa natura, deve essere osservato in un orizzonte temporale di lungo termine, nel quale momenti di turbolenza dei mercati possono considerarsi come inevitabili.

E’, pure, necessario mettere in rilievo come il vantaggio derivante dalla partecipazione alla previdenza complementare sia rappresentato per l’aderente da un insieme di fattori, per cui al rendimento conseguito dal fondo pensione occorre sommare il vantaggio fiscale derivante da tale partecipazione e il contributo del datore di lavoro, che, laddove previsto, rappresenta un rilevante incremento del flusso contributivo.

Sotto il profilo della salvaguardia del patrimonio del fondo pensione, è  importante ricordare che i fondi pensione restano titolari delle risorse e dei valori anche quando sono conferiti in gestione, come nel caso dei fondi negoziali. Nei fondi aperti e nei PIP sussiste l’obbligo di distinzione patrimoniale delle risorse e dei valori afferenti al fondo pensione da quelli della società istitutrice; in tutti i casi, i valori e le risorse del fondo pensione non possono essere distratti dal fine al quale sono stati destinati e, pertanto non possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori del soggetto istitutore o del gestore anche in caso di procedura fallimentare.

E’, infine, oltremodo importante sottolineare che la normativa cui sono assoggettati gli investimenti dei fondi pensione, estremamente rigorosa, ha contribuito efficacemente a prevenire le ricadute negative sui portafogli dei fondi pensione che avrebbero potuto essere

generate da investimenti in strumenti finanziari alternativi la cui gestione del rischio è particolarmente complessa. 

La COVIP è ben consapevole delle attese e delle preoccupazioni degli iscritti alle forme di previdenza complementare da essa vigilate e con questo documento si propone di informarli delle attività che sta svolgendo in queste settimane a salvaguardia dei loro interessi, fornendo al contempo un’adeguata comunicazione istituzionale all’intera pubblica opinione sull’andamento del sistema. 

 

1. Proposte e interventi di vigilanza

In relazione al quadro particolarmente complesso che si è determinato, la COVIP ha posto in essere una serie di iniziative volte a fronteggiare gli effetti negativi che l’attuale turbolenza può determinare sulle posizioni previdenziali degli aderenti.

All’indomani della notizia del fallimento della banca d’affari “Lehman Brothers”, la COVIP ha condotto una ricognizione dalla quale, così come a suo tempo avvenuto a seguito della rilevazione effettuata sull’eventuale esposizione dei fondi pensione italiani ai titoli legati al mercato dei cosiddetti subprime mortgages, è emersa una scarsa diffusione di tali strumenti nel sistema della previdenza complementare.

Tra la fine di settembre e l’inizio del mese di ottobre di quest’anno, la Commissione ha ritenuto opportuno ribadire l’estrema importanza che tutti i fondi pensione rispettino il principio della diversificazione, sancito dalla normativa di settore sugli investimenti (D.M. 703/96), che ha consentito e consente di limitare gli impatti negativi sui patrimoni dei fondi stessi dovuti a crisi di singole entità o di specifici settori economici. 

In coincidenza con l’aggravamento della crisi nel mese di settembre, al fine di consentire ai fondi pensione una maggiore flessibilità nell’articolazione degli investimenti, la Commissione ha disposto una generale autorizzazione a superare il limite di detenzione di liquidità, di regola fissato nella misura del 20 per cento del patrimonio.

Proseguendo nell’analisi dell’impatto degli andamenti negativi dei mercati sulle scelte operate dai fondi pensione, nell’immediato e oltre tale orizzonte, la COVIP ha avviato interventi specifici di vigilanza anche mediante incontri con esponenti delle forme pensionistiche complementari di maggiore rilievo, concentrando l’attenzione sugli effetti che l’attuale situazione sta determinando sull’impostazione delle politiche di investimento, sulle modalità gestionali concretamente sperimentate, anche con riguardo alle valutazioni circa il sistema di gestione del rischio, e sulle politiche di costo.

L’iniziativa, oltre che ispirata da contingenti finalità di vigilanza, è altresì funzionale alla individuazione di un metodo di indagine e approfondimento che sia idoneo a far emergere eventuali situazioni di particolare criticità presenti nel sistema e consenta comunque di avviare in questo frangente una organica politica di intervento. 

Sotto altro aspetto, la Commissione riserva altresì attenzione, alle strategie di comunicazione che gli operatori stanno ponendo in essere in questi mesi nella gestione dei rapporti con gli iscritti e alle eventuali iniziative adottate al fine di accrescere la consapevolezza di questi ultimi sull’impatto della crisi e le contromisure adottate.

E’ stato ritenuto utile emanare specifici orientamenti interpretativi indirizzati alla situazione di coloro che si trovano oggi nelle condizioni di poter esercitare il diritto alla prestazione pensionistica complementare.

La COVIP, a tal proposito, ha ribadito che nel nostro ordinamento di previdenza complementare è consentito ai lavoratori che abbiano maturato i requisiti per il pensionamento e abbiano anche iniziato a percepire le prestazioni nel regime di base, di procrastinare il momento di avvio dell’erogazione delle prestazioni pensionistiche complementari, mantenendo nel frattempo la posizione individuale presso la forma pensionistica e conservando, anche senza necessità di prosecuzione nella contribuzione, la qualifica di iscritto attivo alla forma stessa.

Considerata la rilevanza della tematica, la Commissione ha chiesto a tutte le forme pensionistiche complementari di diffondere i contenuti di tali orientamenti e di curare con particolare attenzione, mediante apposite comunicazioni, l’informativa agli iscritti che risultano prossimi al pensionamento.

La Commissione si è fatta promotrice di un’ulteriore iniziativa, avuto riguardo alle proprie competenze istituzionali che contemplano la possibilità di formulare al Ministro del Lavoro proposte di modifiche legislative.

La proposta, ora al vaglio del Ministero del Lavoro, prevede, in un ambito di eccezionalità qual è quello prefigurato dall’attuale situazione, la possibilità di istituire un meccanismo di garanzia, destinato ad operare per un arco di tempo determinato, per la salvaguardia della posizione accumulata da coloro che siano usciti o escano dal sistema per pensionamento o per riscatto per prolungata cessazione dell’attività lavorativa successivamente al 31 agosto 2008. 

L’intervento avrebbe dichiaratamente un obiettivo temporale limitato (un anno) e assolverebbe all’esigenza di far sì che coloro che accedono alle predette prestazioni in tale arco di tempo siano tenuti indenni delle perdite determinatesi in questi mesi di crisi finanziaria, con riguardo alla porzione di posizione riferibile alle quote di TFR.

Si tratterebbe di una misura che, secondo le stime elaborate, potrebbe riguardare tra i 10 e i 20 mila lavoratori.

 

2. Gli effetti della crisi sui rendimenti dei fondi pensione

L’aggiornamento statistico, riferito alla fine di ottobre dell’anno in corso, offre una sintetica illustrazione dei principali aspetti quantitativi relativi alle forme di previdenza complementare, ed evidenzia che i risultati di gestione ottenuti riflettono la gravità della crisi che ha colpito i mercati finanziari: dall’inizio dell’anno il rendimento dei fondi pensione negoziali e aperti è stato pari, nel complesso, a circa il –8 per cento. 

L’incidenza di tali andamenti negativi risulta ancora più evidente nei comparti azionari, che hanno fatto registrare cadute di circa il 22 per cento per i fondi pensione negoziali e del 24 per cento per i fondi pensione aperti. 

Tuttavia occorre considerare che ai comparti azionari aderivano, alla fine dell’anno passato, poco più dell’uno per cento degli iscritti ai fondi pensione negoziali e il 30 per cento degli iscritti ai fondi pensione aperti.

Meno penalizzate sono state le altre categorie di comparti, anche se soltanto per quelle con profili di investimento particolarmente prudenziali si sono registrati risultati, in aggregato, di segno positivo. 

Considerando come orizzonte temporale di riferimento il periodo compreso tra il 2003 e la fine del mese di ottobre 2008, il rendimento medio risulta tuttavia ancora positivo e pari, nel complesso, al 15 per cento.

Per quanto concerne i PIP (piani individuali pensionistici di tipo assicurativo istituiti ai sensi del D.lgs. 252/2005), nel valutare i rendimenti raggiunti è opportuno ricordare che tali forme, con riguardo agli investimenti, restano assoggettate alla disciplina assicurativa e possono essere attuate mediante gestioni sia di ramo I sia di ramo III. 

Le gestioni di ramo I presentano una connotazione tipicamente prudenziale, anche perché sono assistite da una garanzia di risultato prestata dall’impresa di assicurazione.

Le gestioni di ramo III sono attuate tramite contratti di tipo unit linked il cui rendimento è collegato a fondi interni ovvero a OICR (non è invece consentito il ricorso a contratti di tipo index linked).

Alla fine del 2007, il 54 per cento degli iscritti a tali forme previdenziali aveva scelto una gestione separata di ramo I e il restante 46 per cento era ricorso a linee di tipo unit linked.

Nel complesso le gestioni di tipo unit linked dei PIP hanno fatto registrare nei primi 10 mesi dell’anno in corso un rendimento pari a –21 per cento. L’andamento delle linee azionarie è stato particolarmente negativo, con un risultato pari a -31 per cento. Tuttavia, poiché la maggior parte dei PIP conformi al D.lgs. 252/2005 è di recente istituzione, a tali linee fa riferimento un ammontare di risorse ancora limitato.

L’incidenza degli andamenti negativi registrati nel corso dell’anno risulta, quindi, in parte attenuata dalla ripartizione delle risorse tra i diversi comparti.

Considerando tutte le forme pensionistiche complementari di nuova istituzione, emerge che, a fronte di quasi 20 miliardi di euro di patrimonio alla fine del mese di ottobre, il 10 per cento fa riferimento a linee azionarie; il 40 per cento fa riferimento a linee bilanciate, mentre il restante 50 per cento è investito in linee obbligazionarie o garantite.

 

3. Nuova politica di diffusione dei dati e delle notizie sulla previdenza complementare

La COVIP, in coerenza col proprio mandato istituzionale, ha costantemente operato avendo presente che la diffusione delle informazioni sulla previdenza complementare costituisce un elemento essenziale per gli operatori, per gli aderenti, o potenziali aderenti, alle forme pensionistiche complementari nonché per i soggetti a vario titolo interessati ad ottenere una informazione esauriente ed attendibile al riguardo (centri di ricerca, istituzioni universitarie, organi di informazione). 

Con l’avvio della riforma della previdenza complementare, introdotta con il decreto legislativo 252/2005, la COVIP ha condotto un monitoraggio costante dell’andamento delle adesioni al quale si è logicamente accompagnata una frequente diffusione delle principali informazioni riferite al sistema.

Tale fase iniziale di implementazione della riforma è da ritenersi conclusa e il sistema della previdenza complementare può ora essere osservato seguendo una impostazione più coerente con la finalità di medio – lungo periodo propria degli strumenti previdenziali e quindi idonea a porre maggiormente in luce altri elementi utili alla comprensione delle dinamiche che lo caratterizzano. 

L’attuale congiuntura finanziaria ha comprensibilmente generato un’attenzione particolarmente accentuata degli organi di stampa e dell’opinione pubblica sulla redditività delle forme di previdenza complementare. Tuttavia, porre il “focus” sugli andamenti di breve termine mal si concilia con la menzionata finalità di lungo periodo del risparmio a fini previdenziali. Una finalità che occorre sia sempre sottolineata e che, in particolar modo

nelle fasi caratterizzate da una maggiore volatilità dei mercati, è opportuno costituisca il riferimento per ogni intervento diretto a rafforzare le capacità di scelta dei risparmiatori.

In tale prospettiva, la Commissione reputa opportuno, nel quadro di trasparenza e obiettività che caratterizza la propria strategia di comunicazione dei dati, continuare nella diffusione delle principali informazioni quantitative sul sistema della previdenza complementare seguendo una cadenza di pubblicazione regolare e secondo uno standard predefinito. In tal modo, si intende rispondere alla generale aspettativa di un’informazione adeguata e operare nel solco delle prassi più evolute tra quelle adottate nel contesto internazionale.

Con l’inizio del prossimo anno, pertanto, la diffusione dei dati sul sito internet (www.covip.it) avrà regolare cadenza trimestrale e, in tal modo, si andrà ad aggiungere alla Relazione annuale, documento nel quale, come è noto, sono svolti gli approfondimenti circa i fenomeni più significativi registrati nel corso dell’anno di riferimento.

Internet rappresenta certamente uno strumento molto efficace per facilitare all’utente/risparmiatore la conoscenza del settore di riferimento (banche, assicurazioni, mercato finanziario, previdenza di base, previdenza complementare ecc.) e consentire l’accesso guidato alle informazioni utili per orientare nella maniera migliore le scelte dei singoli individui.

E’ per tale motivo che è in corso di realizzazione la revisione del sito web istituzionale, allo scopo di ampliarne l’ambito informativo e di far sì che esso non sia indirizzato solamente agli addetti ai lavori, ma anche alla vasta platea degli utenti del mercato dei fondi pensione, ivi compresi quelli che per la prima volta si affacciano nel mondo della previdenza complementare. 

L’obiettivo che si intende in tal modo perseguire, facendo ovviamente tesoro anche delle iniziative assunte da altri organismi italiani ed esteri, è quello di creare un vero e proprio “portale” della previdenza complementare.

 

 TFR. Principali dati statistici Covip

 

 


 

 
Il Sole 24 Ore 18-9-2007     Tfr, la cronaca di un fallimento

 

di Tito Boeri e Luigi Zingales

 

 Il sondaggio Eurisko La riforma del trattamento di fine rapporto (Tfr) è stata giustamente presentata come un'occasione unica per aumentare la partecipazione degli italiani ai mercati finanziari e per incoraggiare, soprattutto i giovani, a costruirsi una previdenza integrativa con cui rimpinguare pensioni pubbliche inevitabilmente destinate a diventare meno generose. Purtroppo i dati di un sondaggio condotto a luglio da Eurisko per conto di AnimaFinLab su di un campione rappresentativo di lavoratori dipendenti del settore privato ci dicono che entrambi questi obiettivi sono falliti. In media solo un lavoratore su quattro ha espressamente optato per un fondo pensione, contro un obiettivo minimo dell'Esecutivo del 40% (che non verrà raggiunto neanche contando le adesioni tacite). Tra i giovanissimi (tra i 22 e i 30 anni) la percentuale di adesioni esplicite è al di sotto del 20 per cento. Prime anticipazioni da una ricerca in corso sui risultati di questo sondaggio possono anche aiutarci a capire il perché di questo fallimento. Contrariamente alle aspettative, il fallimento non sembra essere dovuto alla mancanza di consapevolezza sulle scelte. Il 90% dei lavoratori ha fatto una scelta e il 90% di questi è stato in grado di motivarla. Lungi dal non aver capito la riforma, nonostante le sue complessità, i lavoratori sembrano averla capita fin troppo bene. Altrimenti si farebbe fatica a spiegare l'enorme differenza di comportamento tra lavoratori di imprese con meno di 50 addetti e quelli di imprese con più di 50 addetti. Come si evince dai dati riportati nel grafico qui sopra, elaborato a partire dal sondaggio, circa tre lavoratori su quattro nelle imprese più piccole hanno scelto di lasciare il Tfr in azienda e meno di uno su dieci ha scelto espressamente di destinarlo ai fondi pensione. Nelle imprese più grandi, invece, la percentuale di chi ha scelto di lasciare il Tfr in azienda è di poco inferiore al 50% mentre quattro lavoratori su dieci hanno espressamente optato per un fondo pensione (soprattutto per quelli ad adesione collettiva). Come si ricorderà, le opzioni offerte erano molto diverse nei due casi. La Finanziaria 2007 prevede che i flussi di Tfr "rimasti" in aziende con più di 50 addetti siano destinati a un conto di tesoreria istituito presso l'Inps. Nelle imprese più piccole, invece, questi fondi rimangono effettivamente in azienda.Dato l'interesse del datore di lavoro per la permanenza dei fondi in azienda, ci si potrebbe aspettare che questa differenza sia dovuta a pressioni esplicite o implicite dei datori di lavoro sui dipendenti. Se crediamo alle risposte fornite dai lavoratori stessi, però, non c'è evidenza di pressioni esplicite. Le risposte per "spinte o pressioni " o per "paura di essere licenziato" rappresentano solo il 2,6% nelle piccole imprese contro l' 1,8%nelle grandi.C'è invece differenza nella frequenza della motivazione "Per agevolare l'azienda/per non far gravare sull'azienda la perdita del Tfr " nelle risposte dei dipendenti di imprese piccole (5,2%) e medio-grandi (3,1%). Questo può essere un segno di pressioni implicite o di una maggiore identificazione del lavoratore con l'impresa in aziende di piccole dimensioni. Le principali motivazioni addotte dai lavoratori che hanno scelto di tenere il Tfr in azienda hanno, invece, a che fare con la fiducia. La prima motivazione (con più del 20% delle risposte) è la possibilità di avere una liquidazione in contanti al momento della pensione invece che sotto la forma di vitalizio, un indice di sfiducia nel valore di una pensione privata. Al secondo posto, con il 17% delle risposte, c'è la mancanza di fiducia negli investimenti finanziari. Al terzo posto c'è la convinzione che il Tfr in azienda garantisca un rendimento più sicuro di un investimento nei fondi. Apparentemente, questo sembra un paradosso, visto che un lavoratore che investe nei fondi può facilmente assicurarsi un rendimento uguale a quello del Tfr investendo tutti i contributi in un fondo monetario. O i lavoratori non erano consapevoli di questa opzione, oppure attribuivano un ulteriore rischio all'investimento nei fondi, associato alla possibilità di default del fondo stesso. Questa seconda ipotesi è supportata dal fatto che solo il 3% dei lavoratori ha totale fiducia nei fondi, contro il 31% che ha totale fiducia per l'impresa in cui lavora. Questo differenziale di sfiducia contribuisce anch'esso a spiegare il diverso comportamento dei lavoratori nelle imprese con meno di 50 addetti e in quelle con più di 50 addetti. I lavoratori delle piccole imprese avevano di fronte a loro un'offerta più limitata di schemi previdenziali alternativi al Tfr. Un milione e mezzo di loro non poteva accedere ad alcun fondo contrattuale. In altri casi, pur potendo accedere a un fondo ad adesione collettiva, i lavoratori dell'impresa minore non potevano beneficiare del contributo addizionale del datore di lavoro previsto in molte grandi imprese mentre il fondo collettivo disponibile era troppo piccolo, come platea di effettivi o potenziali beneficiari, per poter conseguire significative economie di scala, dunque per offrire rendimenti netti più elevati. Inoltre, nelle imprese con meno di 50 addetti, l'alternativa a un investimento nei fondi era il mantenimento dei contributi in azienda, mentre nelle grandi imprese significava il versamento del Tfr all'Inps. E se l'azienda ha la totale fiducia del 31% dei dipendenti e molta fiducia da un altro 55%, l'Inps suscita la totale fiducia di solo l'8% dei lavoratori e "molta fiducia" per il 37 per cento. Paradossalmente, il trucco inventato dalla Finanziaria 2007 per rimpinguare le casse dello Stato ha avuto come inaspettata conseguenza quella di favorire un maggior flusso di contributi nei fondi. Non per fiducia dei fondi, ma per sfiducia nell'Inps. Ma se vogliamo che i fondi, e il mercato finanziario in generale, si affermino tra i lavoratori per meriti propri invece che per demeriti altrui, dobbiamo colmare questo gap di fiducia negli strumenti d'investimento e aprire i fondi contrattuali ai lavoratori delle piccole imprese. Le più importanti news in materia fiscale FISCO al 48224.


 


 

Da www.pane-rose.it  

Bilancio della campagna contro lo scippo del TFR. 15-9-2007

 

Cominciamo dai dati.

Alla fine del 2006 i lavoratori che aderivano ai Fondi Pensione Integrativi (FPI) erano il 14,9%.
Al 30 giugno 2007, ovvero dopo i 6 mesi previsti dalla legge, erano il 19,8%.
Questo significa che del 100% dei lavoratori che hanno il TFR (e che venivano quindi chiamati ad esprimersi in merito al suo conferimento ai FPI) solo il 3.9% lo ha fatto volontariamente.

Si valuta che circa un 10% sia stato truffato attraverso il meccanismo del silenzio-assenso (creato “ad hoc” per superare la diffidenza dei lavoratori, giocando sulla mancanza di informazione che dilaga, purtroppo, nel mondo del lavoro) e si arriva a meno del 30%.
Si può ipotizzare che una larghissima parte di questi lavoratori sia stata truffata (e non che abbia consapevolmente lasciato che il TFR andasse ai FPI) da una semplice considerazione: se i lavoratori fossero stati convinti dell’utilità del conferimento del proprio TFR ai FPI perché lasciar passare i 6 mesi e non farlo subito ? Quando una cosa è buona la si vuole subito. O no ?
Non è un caso che l’adesione sia irreversibile (una pretesa veramente mostruosa che solo dei mascalzoni come quelli che governano oggi e governavano prima - ovvero tutti i partiti da “sinistra” a destra – potevano imporci).

I 10 punti sotto le previsioni del ministro (ex-Fiom ed ex presidente di Cometa) Cesare Damiano - che contava su una adesione di almeno il 40% - costituiscono una risposta, a dir poco, deludente per gli sponsor dei FPI. I lavoratori hanno dunque posto oggettivamente un freno ad una operazione pericolosissima su ogni piano: economico, politico, sociale... E questo è un risultato oggettivamente positivo.

Scomponendo i dati si osserva che l’adesione è notevolmente maggiore nelle imprese medio-grandi rispetto a quelle medio-piccole. Qual’è la spiegazione ? Da un lato, i “piccoli padroni” hanno incentivato i lavoratori a mantenere il TFR in azienda (per poterlo usare loro come fonte di auto-finanziamento “a tasso zero” invece che i gestori dei FPI); dall’altro, i lavoratori delle piccole imprese, sottoposti ad un livello di ricatto occupazionale - e quindi a condizioni salariali - notevolmente peggiori, hanno ritenuto, intelligentemente, che non fosse il caso di rischiare in borsa il proprio TFR, utile invece nei momenti di perdita del posto di lavoro, tanto più frequenti con le loro condizioni contrattuali.
Spiegare la non adesione nelle piccole imprese è dunque abbastanza semplice.
Ma come spiegare la maggiore adesione in quelle grandi ? Da un lato, certamente, gioca la forza di pressione del sindacato che nelle piccole e piccolissime imprese artigiane ha una influenza molto inferiore. Insomma, la relativamente ampia adesione (si dice circa 51%) dei lavoratori “garantiti” della grande impresa è anche un indice della loro subalternità al sindacato confederale che si erge di fronte a loro come una vera e propria istituzione mafiosa la cui offerta “non si può rifiutare”.
Dall’altro, il tentativo da parte dei lavoratori di integrare l’assegno previdenziale futuro anche con investimenti finanziari (così come molto spesso integrano il bilancio corrente con il ricorso a piccoli e medi prestiti) ipotizzando di poterselo permettere grazie alla relativa stabilità del proprio posto di lavoro.
Sui rischi politico-culturali di questa situazione abbiamo scritto un intero articolo in PM 10.
Sui rischi materiali basterebbe conoscere il funzionamento delle borse per capire che affidare ad esse il proprio più lontano futuro significa affidarsi più che altro al destino che, come si sa, è spesso “cinico e baro”.

Abbiamo detto che le aspettative del governo, dei sindacati e delle banche/assicurazioni/imprese sono andate in larga parte deluse. Possiamo cantare vittoria ? No di certo, perché ogni volta che verremo assunti in una nuova azienda scatterà il silenzio-assenso e in caso di mancata consegna del rifiuto esplicito, il TFR verrà destinato ai FPI.
Cosa significhi questo, all’atto dell’assunzione nelle grandi imprese (dove è altissimo il livello di clientelismo mafioso-politico-sindacale all’atto dell’assunzione, specialmente dopo l’abolizione del collocamento pubblico avviata dal Pacchetto Treu) è evidente. Chi non firma per il sì non viene assunto o finisce immediatamente nella “lista nera” di “quelli che vogliono fare di testa propria” (caratteristica non certo amata dai padroni, anche aldilà della questione della destinazione del TFR).

Grazie alla contraddizione interna tra grandi e piccoli capitalisti fino ad oggi i “piccoli” hanno in larga parte “remato contro” il trasferimento del TFR ai FPI. Se il governo riuscirà a compensare adeguatamente la loro disponibilità (ad esempio facendo arrivare loro gli effetti della riduzione del cuneo fiscale e predisponendo le condizioni per una riduzione significativa del costo del denaro per le piccole e piccolissime imprese) allora forse, con il tempo, questi piccoli padroncini si convinceranno a collaborare.

Riassumendo. La battaglia contro lo scippo del TFR e per la difesa della previdenza pubblica non è finita il 30 giugno. E’ ancora in corso e lo sarà in modo permanente anche in futuro. Non dobbiamo abbassare la guardia.
Possiamo però valutare positivamente il fatto che una grande parte dei lavoratori si sia dimostrata assai più indipendente di quanto politici, sindacalisti di regime e padroni ritenessero. E questo, aldilà della lotta specifica sul TFR è il risultato più interessante.
I FPI continuano, per il momento, a non decollare e questo risultato è stato ottenuto, oltre che per effetto delle contraddizioni interne ai vari segmenti del capitalismo italiano, anche grazie all’istinto dei lavoratori e, aggiungiamo, anche grazie a quel poco (poco, a causa delle forze disponibili) che hanno messo in campo le realtà politiche e sindacali che hanno sviluppato la campagna per il no.

Da questo piccolo passo si può andare avanti comprendendo che per vincere quella che è una vera e propria “guerra di lunga durata” è indispensabile avere ben chiari gli obbiettivi che si vogliono raggiungere e che non possono essere il “tamponare le falle” quando si aprono, ma costruire una visione del mondo alternativa a quella capitalistica. Con le “regole” di funzionamento del capitalismo i lavoratori non vinceranno mai perché queste regole sono truccate (ovviamente, a vantaggio dei capitalisti). I lavoratori potranno, di tanto in tanto, ottenere qualche risultato parziale ma le cose, complessivamente, continueranno a peggiorare giorno dopo giorno: pensioni, salario, diritti, ambiente, sicurezza... una erosione continua.
Ma dalla storia ricaviamo sempre questo piccolo insegnamento: non è con il riformismo che si ottengono le riforme a favore dei lavoratori (specialmente quando “riformistiche” vengono definite leggi come il “pacchetto Treu” o la “Legge Biagi”, tanto per fare solo due esempi di “riforme” killer per i diritti e gli interessi dei lavoratori). Solo quando i lavoratori hanno fatto davvero tremare le gambe ai padroni minacciandoli concretamente di rovesciarli questi si sono resi disponibili a cedere qualcosa per non dover cedere tutto. E’ sempre così e non può essere che così. Se ai padroni chiediamo l’elemosina, quando va bene, otteniamo l’elemosina.
Ecco, noi dobbiamo tornare a “volere tutto” e se va male, avremo solo qualcosa. Se continueremo a “tirare a campare”, a chinare la testa, a sperare in San Gennaro... verrà il giorno che davvero non ce la faremo più nemmeno a campare. E già oggi non lavoriamo forse solo per sopravvivere ? Che vita è quella dei lavoratori e specialmente di quelli più giovani, senza presente e - soprattutto - senza futuro ? Quando non ce la faremo più cosa faremo ? Ce la prenderemo con gli immigrati “che ci tolgono il lavoro” ? Italiani contro “stranieri” ? Nord contro sud ? Città contro campagna ? Centro storico contro periferia ? Primo contro secondo piano ? Una stanza contro l’altra ?
Non è meglio capire subito che i nemici dei lavoratori non sono altri lavoratori ma i padroni, lo Stato, il capitalismo e che gli immigrati non sono qualcuno da combattere, ma qualcuno con cui combattere contro i padroni e i loro servi politici e sindacali ? Sì, è meglio.


 


Dal Corriere della Sera  29-1-2007

 Fondi o Tfr? Sei clausole in cerca d’autore Massimo Fracaro, Paolo Golinucci

 

Tra i vantaggi della liquidazione il rendimento garantito e la flessibilità. A favore della complementare il contributo aziendale e gli sconti fiscali

I principali punti che possono frenare l’adesione alla previdenza integrativa. Qualcosa si può migliorare, ma...

 

Sono sei i principali ostacoli, spesso di carattere psicologico, che frenano la destinazione del Tfr alla previdenza complementare. Dubbi e remore comprensibili, e in qualche caso fondati. Che nascono, forse da un peccato originario. L’uso del Tfr, parte della retribuzione, per integrare la pensione. Probabilmente non c’era altra strada da percorrere. Ma il Tfr rappresenta, da sempre, un paracadute a cui è difficile rinunciare e sul quale si scaricano aspettative anche esagerate. L’adesione ai fondi comporta, però alcuni vantaggi spesso sottovalutati. Come il contributo del datore di lavoro che va ad aumentare il capitale finale. E quindi la rendita. Ecco un esame di questi sei punti sui quali sarà necessaria un’ulteriore riflessione per convincere gli scettici. Pur restando la scelta dei fondi assolutamente consigliabile se non si vuole rischiare una vecchiaia di ristrettezze. Destino inesorabile che, purtroppo, attende i giovani di oggi. 1 Il sistema è troppo rigido. Una volta entrati è impossibile uscire prima della pensione. La scelta di destinare il Tfr alla previdenza complementare è irreversibile. Prima di dire sì, quindi, è opportuno fare uno scrupoloso esame della propria situazione familiare, finanziaria, previdenziale e anche dei propri progetti di vita. Perché dai fondi si uscirà solo all’età della pensione, o al verificarsi di eventi particolarmente gravi. La norma sembra corretta in questa fase di avvio, perché se i riscatti fossero liberi, i fondi avrebbero maggiori oneri amministrativi e minori risorse investibili. E’ auspicabile, però, che una volta raggiunta una certa massa critica, si introduca qualche correttivo. Troppo lungo in assenza di ammortizzatori sociali, ad esempio, il termine di 48 mesi di disoccupazione per poter ottenere il 100% del capitale (il 50% viene dato nei primi 12 mesi, ma con penalizzazione fiscale). Altro esempio: una donna che si ritiri per curare figli o nipoti, deve aspettare 4 anni per rivedere tutti i suoi soldi. 2 Non c’è una garanzia di rendimento minimo. E quando è prevista i costi sono alti. Il Tfr offre un rendimento garantito: il 75% dell’inflazione più un punto e mezzo. In pratica offre un rendimento positivo fino a un’inflazione del 6%.

 

Con i fondi pensione nulla è garantito. I rendimenti dipenderanno dall’andamento dei mercati finanziari, dalle capacità dei gestori e dai costi. I fondi devono avere una sorta di linea garantita, ma aderendovi si deve rinunciare a quell’extra rendimento che è necessario perché diventi conveniente rinunciare al Tfr. Si investe la liquidazione sperando di avere qualcosa di più di quanto renda in azienda, non lo stesso risultato. Si potrebbero, però, prevedere linee che, pur non dando una garanzia completa, riducano al minimo la possibilità di andare incontro a rendimenti negativi. Tra le ipotesi anche la creazione di un fondo di garanzia costituito dagli intermediari. Ogni forma di tutela, però deve essere ben calibrata per evitare che poi i gestori, forti di questa garanzia, aumentino gli investimenti a rischio. Tanto l’aderente non ci perde. 3 Le disposizioni sugli acconti sono favorevoli, ma sui termini serve una interpretazione più elastica. A derendo a un fondo pensione si può incassare in ogni momento il 75% del capitale per gravi problemi di salute. Per l’acquisto della prima casa servono otto anni (come oggi per il Tfr). Termine che si calcola dall’adesione ai fondi. Una penalizzazione per i giovani. Ad esempio chi ha iniziato a lavorare nel 2000 e adesso aderisce a un fondo avrà l’anticipo solo nel 2014. I sei anni in azienda non contano. Basterebbe prevedere che l’acconto possa essere chiesto, pro quota, al datore di lavoro e al fondo a condizione che l’anzianità totale sia di 8 anni. 4 Quando si iniziano i versamenti non si conosce come verrà determinata la rendita. Solo quattro dei 31 fondi chiusi attualmente operativi hanno stabilito in base a quali parametri il capitale accumulato verrà convertito in rendita (vedi articoli qui sotto). I parametri dipendono dalle speranze di vita degli aderenti: gli attuali coefficienti di conversione hanno, quindi, una validità limitata. È corretto che i fondi non si assumano il rischio di definire oggi come trattare i pensionati di domani — se sbagliano i conti, rischiano il dissesto — ma l’incertezza non favorisce certo le adesioni. 5 Il trattamento fiscale è molto favorevole. Ma durerà? Uno dei principali vantaggi dell’adesione ai fondi è il trattamento fiscale molto favorevole.

 

La leva tributaria è lo strumento più efficace per favorire il loro decollo.

 Sembra, però, che nell’attuale maggioranza si stia pensando a una revisione di un regime considerato troppo favorevole rispetto a quello delle pensioni pubbliche. C’è da augurarsi che questo non accada. Non si possono spingere i dipendenti ad aderire alla previdenza complementare, spesso attirati dai vantaggi fiscali, e poi cambiare le regole del gioco. Serve un impegno serio a mantenere un regime favorevole, sia pure con qualche piccola correzione, per un lungo periodo di tempo. 6 Il meccanismo delle rendite non sembra essere sufficientemente protettivo in caso di decesso. Per tutelare i propri cari una volta raggiunta l’età pensionabile sarà necessario scegliere la rendita reversibile, perché in caso contrario dopo il decesso il capitale verrà incamerato dal fondo. La reversibile, però, è più bassa anche del 30% se il coniuge ha cinque anni di meno (vedi qui sotto). E il gap aumenta se la differenza di età è maggiore. Quindi i sacrifici fatti per avere una pensione di scorta possono portare ad avere una rendita inferiore alle aspettative. In caso di decesso, il capitale residuo dovrebbe, invece, essere interamente restituito agli eredi. Oggi, invece, i fondi hanno solo la facoltà di inserire questa opzione. Il meccanismo della reversibilità è corretto in campo assicurativo, ma stona quando la maggior parte del capitale è costituita dalla retribuzione. In caso di decesso il Tfr spetta sempre e comunque. Non si può perderlo solo perché viene trasformato, con un’alchimia finanziaria, in rendita.

 

29 gennaio 2007