PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro
Novelli
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Enchiridion
Il manuale di Epitteto
traduzione di Giacomo Leopardi
Non
poche sentenze verissime, diverse considerazioni sottili, molti precetti e
ricordi sommamente utili, oltre una grata semplicità e dimestichezza del
dire, fanno assai prezioso e caro questo libricciuolo. Io per verità
sono di opinione che la pratica filosofica che qui s'insegna, sia, se non sola
tra le altre, almeno più delle altre profittevole nell'uso della vita
umana, più accomodata all'uomo, e specialmente agli animi di natura o
d'abito non eroici, né molto forti, ma temperati e forniti di mediocre
fortezza, o vero eziandio deboli, e però agli uomini moderni ancora
più che agli antichi.
So
bene che a questo mio giudizio è contraria la estimazione universale,
reputandosi comunemente che l'esercizio della filosofia stoica non si
confaccia, e non sia pure eziandio possibile, se non solamente agli spiriti
virili e gagliardi oltre misura. Laddove in sostanza a me pare che il principio
e la ragione di tale filosofia, e particolarmente di quella di Epitteto, non
istieno già, come si dice, nella considerazione della forza, ma
sì bene della debolezza dell'uomo; e similmente che l'uso e la
utilità di detta filosofia si appartengano più propriamente a
questa che a quella qualità umana.
Perocché
non altro è quella tranquillità dell'animo voluta da Epitteto
sopra ogni cosa, e quello stato libero da passione, e quel non darsi pensiero
delle cose esterne, se non ciò che noi chiamiamo freddezza d'animo, e
noncuranza, o vogliasi indifferenza. Ora la utilità di questa
disposizione, e della pratica di essa nell'uso del vivere, nasce solo da
questo, che l'uomo non può nella sua vita per modo alcuno né conseguir
la beatitudine né schivare una continua infelicità. Che se a lui fosse
possibile di pervenire a questi fini, certo non sarebbe utile, né anco
ragionevole, di astenersi dal procacciarli. Ora non potendogli ottenere,
è proprio degli spiriti grandi e forti l'ostinarsi nientedimeno in
desiderarli e cercarli ansiosamente, il contrastare, almeno dentro se medesimi,
alla necessità, e far guerra feroce e mortale al destino, come i sette a
Tebe di Eschilo, e come gli altri magnanimi degli antichi tempi.
Proprio
degli spiriti deboli di natura, o debilitati dall'uso dei mali e dalla
cognizione della imbecillità naturale e irreparabile dei viventi, si
è il cedere e conformarsi alla fortuna e al fato, il ridursi a
desiderare solamente poco, e questo poco ancora rimessamente; anzi, per
così dire, il perdere quasi del tutto l'abito e la facoltà, siccome
di sperare, così di desiderare. E dove che quello stato di nimicizia e
di guerra con un potere incomparabilmente maggior dell'umano e non mai
vincibile, dall'un lato non può avere alcun frutto, e dall'altro lato
è pieno di perturbazione, di travaglio, d'angoscia e di miseria
gravissima e continua; per lo contrario questo altro stato di pace, e quasi di
soggezione dell'animo, e di servitù tranquilla, quantunque niente abbia
di generoso, è pur conforme a ragione, conveniente alla natura mortale,
e libero da una grandissima parte delle molestie, degli affanni e dei dolori di
che la vita nostra suole essere tribolata.
Imperocché
veramente a ottenere quella miglior condizione di vita e quella sola
felicità che si può ritrovare al mondo, non hanno gli uomini
finalmente altra via se non questa una, di rinunciare, per così dir, la
felicità, ed astenersi quanto è possibile dalla fuga del suo
contrario. Ora la noncuranza delle cose di fuori, ingiunta da Epitteto e dagli
altri Stoici, viene a dir questo appunto, cioè non curarsi di essere
beato né fuggire di essere infelice. Il quale insegnamento, che è come
dire di dovere amar se medesimo con quanto si possa manco di ardore e di
tenerezza, si è in verità la cima e la somma, sì della
filosofia di Epitteto, e si ancora di tutta la sapienza umana, in quanto ella
appartiene al ben essere dello spirito di ciascuno in particolare. Ed io, che
dopo molti travagli dell'animo e molte angosce, ridotto quasi mal mio grado a
praticare per abito il predetto insegnamento, ho riportato di così fatta
pratica e tuttavia riporto una utilità incredibile, desidero e prego
caldamente a tutti quelli che leggeranno queste carte, la facoltà di
porlo medesimamente ad esecuzione.
Le cose sono di due
maniere; alcune in potere nostro, altre no. Sono in potere nostro l' opinione,
il movimento dell'animo, l'appetizione, l'aversione, in breve tutte quelle cose
che sono nostri propri atti. Non sono in poter nostro il corpo, gli averi, la
riputazione, i magistrati, e in breve quelle cose che non sono nostri atti.
Le cose poste in nostro
potere sono di natura libere, non possono essere impedite nè
attraversate. Quelle altre sono deboli, schiave, sottoposte a ricevere
impedimento, e per ultimo sono cose altrui.
Ricòrdati adunque che
se tu reputerai per libere quelle cose che sono di natura schiave, e per
proprie quelle che sono altrui, t'interverrà di trovare quando un
ostacolo, quando un altro, essere afflitto, turbato, dolerti degli uomini e
degli Dei. Per lo contrario se tu non istimerai proprio tuo se non quello che
è tuo veramente, e se terrai che sia d'altri quello che è
veramente d'altri, nessuno mai ti potrà sforzare, nessuno impedire, tu
non ti dorrai di niuno, non incolperai chicchessia, non avrai nessuno inimico,
niuno ti nocerà, essendo che in effetto tu non riceverai nocumento
veruno.
Ora se tu sei desideroso di
pervenire a questo sì felice stato, sappi che a ciò si richiede
sforzo e concitazione d'animo non mediocre, e che di certe delle cose di fuori
tu dèi lasciare il pensiero al tutto, di certe riservarlo per un altro
tempo, e attendere alla cura di te medesimo sopra ogni cosa. Che se tu vorrai
ad un'ora procacciare i predetti beni ed anco dignità e ricchezze, forse
che tu non otterrai né pure queste, per lo studio che tu porrai dietro a
quelli, ma di quelli, senza alcun dubbio tu sarai privo, i quali sono pur
così fatti, che solo per virtù di essi si può goder
beatitudine e libertà.
Per tanto, a ciascuna
apparenza che ti occorrerà nella vita, innanzi ad ogni altra cosa
avvézzati a dire: questa è un'apparenza, e non è punto quello che
mostra di essere. Di poi togli ad esaminarla e farne saggio con quegli
espedienti che tu sai, e prima e massimamente con vedere se ella appartiene
alle cose che sono in nostra facoltà o vero a quelle che non sono. Ed
appartenendo a quelle che non sono, abbi apparecchiata in tuo cuore questa
sentenza: ciò a me non rileva nulla.
Sovvengati che l'intento
dell'appetizione si è il conseguire ciò che ella appetisce, e
l'intento dell'aversione il non incorrere in ciò che ella fugge. E colui
che non ottiene quel che appetisce, è senza fortuna; colui che incorre
in quel che egli schiva, ha cattiva fortuna. Ora se l'animo tuo non
ischiverà se non solamente, delle cose che sono in nostro potere, quelle
tali che saranno contro natura, non ti avverrà d'incorrere in cosa
alcuna alla quale tu abbi contrarietà. Ma se egli sarà volto a
schivare i morbi, la povertà, la morte, tu avrai cattiva fortuna.
Astienti dunque
dall'avversione rispetto a qual si sia cosa di quelle che sono in nostro
potere, e in quella vece fa' di usarla rispetto alle cose che, nel numero di
quelle che sono in tua facoltà, si troveranno essere contro natura.
Dall'appetizione tu ti asterrai per ora in tutto. Perciocché se tu appetirai
qualcuna di quelle cose che non dipendono da noi, tu non potrai fare di non
essere sfortunato; e delle cose che sono in potestà dell'uomo, non ti si
appartiene per ancora alcuna di quelle che sarebbono degne da desiderare. Per
tanto tu non consentirai a te medesimo se non se i primi movimenti e le prime
inclinazioni dell'animo ad appetire o schivare, con questo però che elle
sieno lievi, condizionali e senza veruno impeto.
Abbi cura di ricordare a te
medesimo il vero essere di ciascheduna cosa che ti diletta o che tu ami o che
ti serve ad alcuno uso, incominciando dalle più picciole. Se tu ami una
pentola, di' a te stesso: io amo una pentola; perciocché se ella si
spezzerà, tu non avrai però l'animo alterato. Se tu bacerai per
avventura un tuo figliuolino o la moglie, dirai teco stesso: io bacio un
mortale; acciocché morendoti quella donna o quel fanciullino, tu non abbi
perciò a turbarti.
Qualora tu pigli a far che
che sia, rècati a mente la qualità di quella cotale operazione.
Se tu vai, ponghiamo caso, al bagno a lavarti, récati al pensiero le cose che
accaggiono nel bagno: la gente che ti spruzza, che ti sospinge, che ti
rampogna, che ti ruba. E per metterti a quell'atto più sicuramente, tu
dirai fra te stesso: io voglio ora lavarmi, e oltre di ciò mantenere la
disposizione dell'animo mio in istato conforme a natura. E il simile per
qualunque faccenda. Così se per avventura al lavarti ti sarà
occorso alcuno impaccio, tu avrai pronto il modo di consolarti dicendo: io non
voleva fare solamente questo, ma eziandio mantenere la disposizione dell'animo
mio in grado conforme a natura. Ma io non la manterrò in tale stato, se
io mi cruccerò di questo che ora m'interviene.
Gli uomini sono agitati e
turbati, non dalle cose, ma dalle opinioni ch' eglino hanno delle cose. Per
modo di esempio, la morte non è punto amara; altrimenti ella sarebbe
riuscita tale anche a Socrate; ma la opinione che si ha della morte, quello
è l'amaro. Per tanto, quando noi siamo attraversati o turbati o
afflitti, non dobbiamo però accagionare gli altri, ma sì
veramente noi medesimi, cioè le nostre opinioni. Egli è da uomo
non addottrinato nella filosofia l'addossare agli altri la colpa dei travagli
suoi propri, da mezzo addottrinato l'addossarla a se stesso, da addottrinato il
non darla né a se stesso né agli altri.
Guarda di non insuperbire
di alcuna eccellenza o di alcun pregio altrui. Se un cavallo montando in
superbia dicesse; io son bello; ciò sarebbe per avventura da comportare.
Ma quando tu ti levi in superbia dicendo: io ho un bel cavallo, avverti che tu
insuperbisci di un pregio che è del cavallo. Sai tu quello che è
tuo? l'uso che tu fai delle apparenze delle cose. Sicché quando nell'usare di
queste apparenze tu ti reggerai conforme a quello che la natura richiede,
allora tu piglierai compiacenza di te medesimo a buona ragione: imperocché
quello sarà un pregio tuo proprio.
Siccome in una navigazione,
poichè il legno ha dato in terra a qualche porto, se tu esci del legno
per fare acqua, tu puoi bene ancora venir cogliendo per via qua una chiocciolina,
là una radicetta, ma egli ti conviene però aver sempre il
pensiero alla nave, e voltarti spesso, per intendere se il piloto ti chiama, e
chiamandoti, lasciare tutte quelle cose, per non avere a esser cacciato dentro
legato come si fa delle pecore; così nella vita, se in cambio di
radicette o di chioccioline ti si porgerà una donnicciuola o un putto,
niente vieta che tu non lo debba pigliare e godertelo. Ma se il piloto ti
chiama, corri tosto alla nave senza voltarti, lasciata stare ogni cosa. E se tu
sarai vecchio, non ti dilungherai dal legno gran tratto, per non avere a
mancare quando il piloto ti chiami.
Tu non déi cercare che le
cose procedano a modo tuo, ma voler che elle vadano così come fanno, e
bene starà.
La malattia si è un
impaccio del corpo, ma non della disposizione dell'animo, solo che esso non
voglia. L'esser zoppo si è impaccio della gamba, ma non della
disposizione dell'animo. Il simile dirai per ogni accidente che ti sopravvenga.
Imperciocché troverai che esso sarà di natura da fare impaccio a qualche
altra cosa, ma non a te proprio.
A ciascuna cosa esteriore
che ti occorra, rivolgiti sopra te stesso e cerca quale delle facoltà
che tu hai, si possa adoperare verso di quella. Se tu avrai veduto un bel
garzone o una bella donna, troverai che da poter usare verso di queste cose, tu
hai la facoltà della continenza. Se ti occorrerà una fatica da
sostenere, troverai la facoltà della tolleranza. Se una villania, la
pazienza. E così accostumandoti, tu non ti lascerai trasportare dalle
apparenze delle cose.
Non dire mai di cosa
veruna: io l'ho perduta; ma bene: io l'ho restituita. Ti è morto per
avventura un figliuolo? tu l'hai renduto. Morta la tua donna? tu l'hai renduta.
Ti è stato tolto un podere? or non è egli renduto anche questo?
Ma colui che me ne ha spogliato è un ribaldo. Che fa egli a te che
quegli che ti aveva dato il podere te lo abbia richiesto per via di tale o di
tale altra persona? Fino a tanto poi che egli ti lascia tenere o il terreno o
che che altro si sia, pigliane quel pensiero che tu prenderesti di una cosa che
fosse d'altri, come fanno dell'albergo i viandanti.
Se tu vuoi far progresso
nella sapienza, lascia da parte questi cotali discorsi; se io non avrò
cura della mia roba non avrò di che vivere; se io non gastigherò
il mio schiavo, egli sarà pure un furfante. Meglio è morirsi di
fame dopo una vita libera da travagli e timori, che vivere inquieto in grande
abbondanza di ogni cosa. Meglio è che il tuo schiavo sia tristo che non
tu infelice.
Tu incomincerai dunque
dalle cose picciole. Ti si versa un poco di olio? ti è rubato un poco di
vino? tu dirai: a tanto si vende la tranquillità dell'animo, la
costanza: niente si può avere a gratis. Quando chiami il tuo fante,
pensa ch'egli può accadere che colui non t'oda, e che ancora udendoti,
non faccia però nulla di quel che tu vuoi. Ora tu non voler tanto
concedere al tuo fante, che egli abbia in sua mano di poterti turbare la quiete
dell'animo.
Se tu vuoi fare profitto,
comporta pazientemente di esser tenuto pazzo e stolido per cagione delle cose
di fuori. Anzi se egli ci avrà di quelli che ti stimino uomo da qualche
cosa, diffidati di te medesimo. Perché tu déi sapere che egli non si può
in un medesimo tempo conservare l'animo tuo disposto e ordinato secondo natura,
e provvedere alle cose esterne; ma colui che ha cura dell'una di queste parti,
di necessità dee trascurare l'altra.
Se tu vuoi che la moglie, i
figliuoli e gli amici tuoi vivano sempre, tu sei pazzo. Perocchè tu vuoi
che dipenda da te quello che non è in tuo potere, e che quello che
è d'altri sia tuo. Parimente se tu vuoi che il tuo servo non commetta
errore, tu sei sciocco. Perché questo è un volere che la malizia non sia
malizia ma qualcos'altro. Ma se tu vuoi non desiderare cosa che poi non ti
venga ottenuta, questo sì che lo puoi. Per tanto indùstriati di
ottenere questo che tu puoi.
Colui che ha in sua
facoltà di dare o tòrre a una persona quel che essa vuole o non
vuole, è padrone di quella cotal persona. Però chiunque ha
volontà di essere libero, faccia di non appetire né fuggire mai cosa
alcuna di quelle che sono in potestà d'altri; o che altrimenti gli
bisognerà in ogni modo essere schiavo.
Tieni a mente che tu ti déi
governare in tutta la vita come a un banchetto. Portasi attorno una vivanda. Ti
si ferma ella innanzi? stendi la mano, e pigliane costumatamente. Passa oltre?
non la ritenere. Ancora non viene? non ti scagliar però in là
collo appetito: aspetta che ella venga. Il simile in ciò che appartiene
ai figliuoli, alla moglie, alla roba, alle dignità; e tu sarai degno di
sedere una volta a mensa cogli Dei. Che se tu non toccherai pur quello che ti
sarà posto innanzi, e non ne farai conto; allora tu sarai degno non solo
di sedere cogli Dei a mensa, ma eziandio di regnare con esso loro. Per
sì fatta guisa operando Diogene, Eraclito e gli altri simili, venivano
chiamati divini, e tali erano veramente.
Quando tu vedi alcuno che
pianga o per morte di alcun suo congiunto o per lontananza di un figliuolo o
perdita della roba, guarda che l'apparenza non ti trasporti in guisa che tu
pensi che questo tale, a cagione delle cose estrinseche, patisca alcun male
vero. Ma tu distinguerai teco stesso subitamente e dirai: questi è
tribolato e afflitto, non dall'accaduto, poiché questo medesimo non dà
niuna tribolazione a un altro, ma dal concetto che egli ha dell'accaduto.
Ciò non ostante tu non farai difficoltà di secondare il suo
dolore in parole, ed anco, se occorre, di sospirare insieme seco; ma guarda che
tu non sospirassi però di cuore.
Sovvengati che tu non sei
qui altro che attore di un dramma, il quale sarà o breve o lungo,
secondo la volontà del poeta. E se a costui piace che tu rappresenti la
persona di un mendico, studia di rappresentarla acconciamente. Il simile se ti
è assegnata la persona di un zoppo, di un magistrato, di un uomo comune.
Atteso che a te si aspetta solamente di rappresentare bene quella qual si sia
persona che ti è destinata: lo eleggerla si appartiene a un altro.
Quando un corvo gracchiando
porge cattivo augurio, non ti lasciar muovere da sì fatta apparenza, ma
subito distingui teco medesimo e dì: questo animale non prenuncia niuna
disavventura a me proprio, ma forse a questo mio corpicino, o forse alla mia
robicciuola, alla riputazioncella, ai figliuoli, alla moglie. Quanto si
è a me, questo, se io voglio, è augurio buono, anzi ottimo.
Imperocché io ricaverò utile dal successo, qual ch'egli sia per essere,
solo che io voglia.
Tu puoi essere invitto, e
ciò è se tu non ti metterai a nessun arringo dal quale tu non
abbia in tua facoltà di riuscire colla vittoria.
Guarda che quando tu vedi
uomini onorati o potenti o come che sia riputati e osservati, I'apparenza non
ti faccia forza in maniera che tu li creda avventurosi e felici. Perciocché se
la essenza del bene sta nelle cose che sono in nostra facoltà, non deono
aver luogo né invidia né gelosia. E tu per la tua parte non vorrai essere né
capitano di esercito, né presidente del consiglio, né console, ma libero: e a
questo ci ha una sola via, che è non curarsi delle cose che non sono in
nostro potere.
Ricòrdati che colui
che rampogna o percuote, non offende esso, ma l' opinione che si ha che questi
cotali offendano. Sicché quando tu ti senti montar la collera contro uno, pensa
che la tua propria immaginazione è quella che ti sprona all'ira, e non
altri. Per tanto sforzati d'impedire che l'apparenza non ti trasporti in sul
primo; che se tu otterrai un poco di tempo e d'indugio, più agevolmente
ti verrà fatto di vincerti e di contenerti.
Abbi tutto giorno dinanzi
agli occhi la morte, l'esilio e tutte quelle altre cose che appaiono le
più spaventevoli e da fuggire, e la morte massimamente; e mai non ti
cadrà nell'animo un pensier vile, né ti nasceranno desiderii troppo
accesi.
Vuoi tu darti a filosofare?
Apparecchiati insino da ora a dovere essere schernito e deriso da molti;
aspèttati che la gente dica: oh, egli ci si è tramutato in
filosofo a un tratto, e: che vogliono dire quelle sopracciglia aggrottate? Ora
tu non aggrottare le sopracciglia, ma non lasciar però di attenerti a
quello che tu estimi il migliore, perseverando, come a dire, in una ordinanza
nella quale tu sii stato collocato da Dio. E sappi che se tu durerai nel tenor
di vita incominciato, quei medesimi che a principio si avranno preso giuoco di
te, in progresso di tempo cangiati ti ammireranno; laddove se per li motteggi
ti perderai d'animo, tu ne guadagnerai le beffe e le risa doppie.
Se mai per volere
acquistare la buona estimazione di alcuno, ti sarà intervenuto di
versarti, per dire così, fuori di te medesimo, sappi che tu avrai rotto
l'abito, e sarai uscito dei termini del tuo instituto di vita. Però non
cercare altro mai che di essere filosofo, e sii contento e soddisfatto di
questo in ogni cosa. Che se oltre ad essere, tu volessi eziandio parere, fa'
che tu paia filosofo a te medesimo, e tanto ti basti. .
Non istare a darti pena e
sconforto dicendo fra te medesimo: io menerò una vita ignobile; e: io
non sarò nulla. Perocché se la ignobilità è un male, non
puoi tu patire alcun male per cagione d'altri, più di quello che
incorrere in alcuna vergogna. Ora dimmi, il pervenire a un ufficio pubblico e
l'esser chiamato a un convito, forse che sta in tuo potere? or come
dovrà egli essere ignobile o ignominioso che tu non abbi parte in questo
convito o che non pervenghi a questo ufficio? E come di' che tu non sarai
nulla, quando a te non si conviene essere qualche cosa se non solamente in
quello che è in tua facoltà, dove tu puoi bene essere
d'assaissimo? Ma gli amici non avranno da me aiuto né benefizio alcuno? Di che
benefizj e di che aiuti vuoi tu intendere? Non avranno da te oro e, in quanto a
te, non saranno fatti cittadini romani. Ora chi ti ha detto che queste sono
cose di quelle che dipendono dal nostro arbitrio, e non cose poste in potere altrui?
Chi non può dare a un altro ciò che non ha egli? E tu fa' di
acquistare, dirà qualcuno, per poter dare a noi. Se io posso acquistare,
salva in me la verecondia, la fede, e l'altezza dell'animo, mostratemi come si
faccia, e io non mancherò. Ma se voi volete che io perda i miei propri
beni perché voi dobbiate ottener cose che non sono beni, vedete che poca
equità e che indiscrezione è la vostra. Oltre che, qual vi
eleggereste voi prima, tra danari e un amico fedele e ben costumato? Che non mi
aiutate voi dunque piuttosto a esser tale, in cambio di volere che io faccia
cose per le quali mi convenga perdere queste virtù? Ma la patria non
avrà da me alcun servigio. Ancora, di che servigi vuoi tu intendere? Non
avrà per opera tua né bagni né portici. Oh, che maraviglia? Né anco ha
calzari dal fabbro, né armi dal calzolaio. Egli basta bene che ciascheduno
adempia l'ufficio suo. Dimmi, se tu instituissi e informassi alla tua patria un
altro cittadino modesto e leale, non le faresti tu alcun benefizio? Certo che
sì. Or come le sarai dunque inutile tu medesimo, essendo tale? Ma che
luogo terrò io nella patria? quello che tu potrai, salva la modestia e
la fede. Che se per voler giovare alla patria, tu perderai la fede e il pudore,
che profitto le farai tu, divenuto che sarai sleale e impudente? .
Ti è egli stato
anteposto di onore il tale o il tale a un banchetto, o pur nel saluto, o
nell'essere cerco di consiglio? se questi cotali onori sono beni, egli ti debbe
esser caro che colui gli abbia avuti; se mali, non ti dee dispiacere che non
sieno toccati a te. Poi considera che non facendo tu per amore delle cose
esterne quel medesimo che gli altri fanno, tu non puoi nel conseguimento di
quelle andare al paro cogli altri. Come può, per modo d' esempio, colui che
non frequenta le soglie de' grandi, che non gli accompagna, che non gli loda,
andar del pari a coloro che fanno tutte queste cose? Egli sarebbe ingiustizia e
ingordigia che non pagando tu quel prezzo a che si comperano i favori e i
benefizj de' potenti e de' ricchi, tu gli volessi avere gratis. A quanto si
vendono le lattughe oggi? Ponghiamo caso, a un obolo. Ora facciamo che uno
spendendo un obolo abbia tolto delle lattughe, e tu, non ispendendo, non ne
abbia tolto: tu non déi però pensare di aver punto meno che si abbia
colui. Perocché se egli avrà le lattughe, e tu avrai l'obolo che non
avrai speso. Il simile nel caso nostro. Tu non sei stato invitato a cena dal
tale. Ma né anche hai dato a lui quello a che egli vende la sua cena. Ora egli
la vende a prezzo di lodi, di osservanza, di ossequi. Paga dunque il prezzo se
la mercanzia fa per te. Ma se tu vuoi non pagare il prezzo e avere la merce,
questa si è ingordigia e furfanteria. Forse che in cambio della cena tu
non hai nulla? Sì che tu hai ben questo, che tu non hai lodato chi non
volevi, che non sei stato ad aspettarlo in sull'uscio.
L' intenzione della natura
si conosce da quelle cose dove noi non abbiamo interesse. Se il fante del
vicino avrà spezzato un bicchiero o cosa tale, subito ti correrà
in sulla lingua: elle sono cose che accaggiono. Ora sappi che chi spezzasse il
tuo bicchiere, tu la déi pigliare in quella medesima guisa che tu piglierai che
si spezzi quello del tuo vicino. Così delle cose di maggior momento.
Muore a un altro il figliuolo o la moglie? sono casi umani. Muore il figliuolo
o la moglie propria? tosto gli oimè, gli ahi ahi. Ma egli si converrebbe
avere a memoria quello che c'interviene quando il medesimo caso ci è
riferito di un altro.
Come non si mette un
bersaglio acciocchè l'uomo non lo colga, così non si genera e non
si ritrova al mondo la natura del male.
Se uno desse il tuo corpo
in potestà di qualunque che gli venisse alle mani, tu te ne sdegneresti:
e dando tu la tua mente in potere di chicchessia, per modo che se egli ti
dirà una mala parola, quella si turbi e confonda, non ti vergogni
però punto?
Innanzi di metterti a
qualsivoglia operazione, divisane teco stesso le antecedenze e le conseguenze.
Altrimenti tu intraprenderai con grande animo, non pensando punto alle cose che
hanno a venire, ma in progresso, nascendoti qualche difficoltà e qualche
vitupero, tu ti vergognerai. Desideri tu diventar vincitore olimpico? E io non
meno di te, per Dio; ché ella è una qualità che fa onore. Ma
considera prima le antecedenze e le conseguenze, e poi mettiti all'impresa.
Egli ti conviene sottoporti a una disciplina e osservare una regola; mangiare
sforzatamente; astenerti dalle confetture e cotali piacevolezze; esercitare il
corpo per forza a certe ore assegnate, sì al caldo come al freddo; non usare
bevande fresche né vino a tuo piacimento; in fine darti tutto in mano al
maestro, né più né meno come a un medico. Di poi scendere nell'arringo;
a un bisogno guastarti una mano, smuoverti un tallone; ingoiare di buoni tratti
di polvere; a un bisogno anche toccare delle sferzate, e poi per ultimo esser
vinto. Considerato che avrai tutte queste cose, se tu persevererai nel concetto
di prima, datti agli esercizj dei giuochi. Ma se tu non considererai cosa
alcuna innanzi, tu ti aggirerai come i bamboli, che ora fanno i lottatori, e
quando gli atleti, e quando gli schermitori, poi strombazzano, poi contraffanno
le tragedie. Così ancora tu: oggi schermitore, domani atleta, e quando
oratore, poi filosofo, e nulla mai veramente, e con tutto l'animo, ma in guisa
delle scimmie tu contraffai tutto quello che tu vedi, e muti voglia a ogni
tratto. Perocché tu non imprendi mai cosa alcuna consideratamente, e spiatala
prima bene da ogni banda, ma così a caso e per qualche fantasia leggera.
Egli ci ha di quelli che veduto per avventura un filosofo, o udito dire a
questo o a quello; oh, Socrate dice pur bene, e: chi è che possa
favellare come Socrate? si mettono per voler filosofare ancor essi.
O uomo, considera prima
sottilmente questo fatto del filosofare, di che sorta egli sia, e quindi fa di
conoscere la tua natura, a vedere se tu sei buono da comportarlo. Vuoi tu
pigliare la professione di fare alla lotta o vero ai cinque giuochi? tu hai da
por mente alle tue braccia, alle cosce, ai lombi, perchè una complessione
è acconcia a una cosa e una a un'altra. Pensi tu di potere filosofando
mangiare e bere e fare lo schifo e il dilicato come al presente? Egli ti
bisogna vegliare, faticare, separarti da' tuoi, essere vilipeso da un
fanticello, in tutto essere inferiore agli altri, negli onori, ne' magistrati,
ne' giudizj, in ogni coserella. Considera bene queste difficoltà e
questi incomodi, e vedi se egli ti pare espediente di sostenerli per avere in
compenso di quelli la libertà, lo stato dell'animo senza perturbazioni,
senza passioni; e non voler fare come i fanciulli, oggi filosofo, poi
gabelliere, appresso oratore, indi procuratore di Cesare. Queste qualità
non si accordano insieme. Egli si vuole essere una persona sola, o valente o da
poco; adoperarsi intorno alla parte principale di noi medesimi, o intorno alle
cose di fuori; aver cura dell'intrinseco o dell'estrinseco; che è quanto
dire essere filosofo o pure uomo comune.
I doveri e gli officj si
misurano generalmente dalle relazioni. Il tale ti è padre? appartientisi
aver cura di lui; cedergli in ogni cosa; se ti rampogna, se ti batte,
portartelo pazientemente. Ma egli è un cattivo padre. Forse che la
natura ti obbliga al padre buono? non già, ma semplicemente al padre. Il
fratello ti fa egli torto? tu non mancare però seco dell'ufficio tuo di
fratello, e non guardare quello che ti faccia egli, ma quello che abbi a far tu
per procedere secondo natura. Perocché già un altro non ti può
far nocumento se tu non vuoi; ben sarai tu offeso se tu stimerai che altri ti
offenda. Or dunque nel predetto modo, se tu ti accostumerai di por mente alle
relazioni, troverai gli officj e i doveri che ti si appartengono rispetto al
vicino, al cittadino, al capitano e a qualsivoglia altro.
La pietà verso gli
Dei consiste massimamente in avere sane e rette opinioni intorno a quelli;
cioè in credere che egli ci ha veramente Iddii, e che questi Iddii
governano ogni cosa bene e con giustizia; e in assegnare a te medesimo questo
ufficio e questa parte, di dovere ubbidire agl'Iddii, e cedere in ogni cosa
agli avvenimenti e acconciarviti di buon grado, come quelli che sono condotti
dal migliore consiglio e dalla migliore volontà del mondo. Imperocché,
avendo queste opinioni, tu non vorrai per cosa alcuna dolerti degli Dei, né
imputarli che non ti abbiano cura. Or tutto questo non può altrimenti
essere che se tu ti distaccherai dalle cose esterne, riponendo il bene e il
male in quelle cose solamente che sono in tua potestà. Imperciocché se
tu reputerai pure che alcune delle cose estrinseche sieno beni o mali, tu non
potrai fare, quando tu non venghi a capo di ottenere quello che avevi
desiderato, o che tu incorra in quello che tu fuggivi, di non querelarti degli
autori di questo effetto e di non pigliarli in odio; essendo che tutti gli
animali per natura fuggono e odiano quelle cose che paiono loro nocive e le
cagioni di esse, siccome per lo contrario le cose riputate utili e le cagioni
di quelle seguono e pregiano. Laonde egli è impossibile che uno il quale
si creda ricevere nocumento, ami quella tal cosa la quale egli si
penserà che gli noccia, così come è impossibile che uno
ami il nocumento medesimo. Di qui è che il figliuolo trascorre alle male
parole contro il padre, quando costui non gli fa parte di quelli che la gente
estima essere beni; e Polinice ed Eteocle per questo vennero fra loro in
discordia, perocché essi reputarono essere un bene il principato. Perciò
l'agricoltore, perciò il navigatore e il mercatante bestemmiano gli Dei,
e quelli che hanno perduto i figliuoli e le mogli bestemmiano gli Dei; essendo
che la pietà segue sempre l'utile. Di modo che ciascheduno che procaccia
di desiderare e fuggire solamente quello che è da essere desiderato e
fuggito, procaccia al tempo medesimo di essere pio. Quanto si è alle
libazioni, ai sacrificj, all'offerire delle primizie, queste cose si debbono
fare da ciascuno, e ciò secondo le osservanze della propria terra, con
purità e mondizia, e non trascuratamente né in fretta né con soverchia
strettezza né sopra quello che comportano le facoltà.
Quando tu andrai per
consultare qualche indovino, ricòrdati che tu non sai per verità
il come sia per succedere il fatto, e vai per chiederne all'indovino, ma ben
sai da altro canto la qualità del successo, se tu sei filosofo; perocché
se esso è del numero di quelle cose che non dipendono dal nostro
arbitrio, perciò solamente è manifesto che il medesimo non
sarà né bene né male. Fa' dunque, andando all'indovino, di non recare
teco né desiderio né avversione, e non ti accostare a quello tremando, anzi risoluto
che qual sia per essere il successo, è cosa, verso di te, indifferente e
che non ti fa nulla, poiché in tutti i modi tu avrai facoltà di volgerlo
in tuo profitto, e ciò non ti potrà essere vietato da
chicchessia. Però con animo franco e sicuro va', come dire, a consigliarti
cogli Dei: e fatto questo, avuto qualche consiglio, ricòrdati che
consigliatori sono stati i tuoi, e chi sono coloro ai quali tu mancherai di
prestare orecchie se tu ti dipartirai dall'avviso che ti è stato porto.
Egli si vuol poi, conforme ordinava Socrate, cercare il consiglio degl'indovini
in quelle occorrenze nelle quali il bene o male deliberare si riferisce
totalmente alla riuscita, e dove né per ragione né per alcuna arte si hanno
espedienti da conoscere il partito che si debba prendere. Di modo che se egli
ti si darà occasione di doverti porre a qualche pericolo per la patria o
per uno amico, tu non andrai per chiedere all'indovino se tu debba sottentrare
a questo pericolo; perciocché quando pure ti fosse detto dall'indovino i segni
delle vittime essere di mala qualità, manifesto è che per questa
cosa ti sarebbe significata o la morte o il troncamento ovvero lo storpiamento
di qualche parte del corpo, o forse l'esilio; ma ragione ti mostra che ancora
con tutto questo egli si vorrebbe assistere all'amico e mettersi al pericolo
per la patria; e per tanto tu obbedirai ad un maggiore indovino, io voglio dire
ad Apollo Pizio, il quale scacciò dal tempio colui che era mancato di
soccorso all'amico in quella che egli era messo a morte.
Stabilisci a te stesso,
come a dire, un carattere e una figura la quale tu abbi a mantenere da quindi
innanzi sì praticando teco stesso e sì comunicando colle persone.
Facciasi il più del
tempo, o dicasi quel tanto che la necessità richiede, con
brevità. Solo qualche rara volta, confortandovici il tempo e il luogo,
discendasi a favellare distesamente; ma non di cotali materie trite e
ordinarie, non di gladiatori o di corse di cavalli, non di atleti, non di cibi
nè di bevande, né di sì fatti altri particolari di che si ode a favellar
tutto il dì, e sopra ogni cosa, non di persona alcuna lodando o
vituperando o facendo comparazioni.
Fa', se tu puoi, di
raddirizzare e ridurre al cònvenevole i ragionamenti dei compagni. Se tu
ti ritroverai solo tra persone aliene dalla filosofia, tienti senza far motto.
Poche risa, e non grandi, e non di molte materie. Non prendere mai giuramento,
se tu potrai; se no, il più di rado che tu possa.
Schiva di trovarti a
conviti di persone comunali e rimote dalla filosofia; e se ciò per
alcuna occasione talvolta non si potrà schivare, ricòrdiati di
stare desto e attento più del consueto, che tu non trascorressi nei modi
e costumi della comune gente. Imperocché sappi che di necessità, se il
compagno sarà lordo, e che tu gli praticherai dattorno, tu ti lorderai,
ponghiamo che ora sii netto.
Le cose appartenenti al
corpo, come dire il mangiare, il bere, il vestito, il tetto, la servitù,
adoprinsi non più oltre che in quanto elle servono al puro uso. Tutto
quello che è ad ostentazione o a delizia, taglisi via.
Innanzi alle nozze egli si
vuole astenersi dai diletti carnali quanto si può, e usandogli pure
alcuna volta, non si discostare in ciò dalle leggi. Ma tu non vorrai
perciò riprendere e noiare con parole coloro che gli sogliono usare, e
non istarai ad ogni poco a mettere in campo che tu non usi di così fatte
voluttà.
Chi ti riportasse che il
tale o il tal altro dicesse male di te, non pigliare a scusarti e difenderti,
ma rispondi che egli si vede bene che questi non ha contezza degli altri
difetti che io ho, perocché, sapendogli, ei non avrebbe tocco solamente questi.
Ai teatri non accade usar
molto. Ma quando ti sarà data occasione di trovarti in cotali luoghi,
non dimostrare sollecitudine o pensiero di qualsivoglia altro che di te stesso,
cioè non voler che avvenga se non quel medesimo che avverrà, né
che vinca altri che quegli a cui toccherà la vittoria; perocché in tal
modo non t'interverrà che il tuo desiderio abbia impedimento. Dal
gridare, dal soverchio ridere sopra alcuna qual si sia persona o cosa, dal
molto dimenarti e contorcerti, convienti astenere al tutto. E uscito che tu
sarai di là, non andare troppo ragionando cogli altri dell'accaduto, se
già non fosse di cose che potessero conferire a farti migliore. Perocché
tu faresti segno che lo spettacolo ti fosse oltre modo piaciuto.
Non andare all' udienza di
certi dicitori, anzi schiva di trovarviti in ogni modo. Che se per ventura vi
ti troverai, fa' di serbare una contenenza grave e soda, e non però
spiacevole nè superba.
Accadendoti di dover venire
a qualche ragionamento o pratica con chicchessia, e specialmente con alcuni di
quelli che sono reputati soprastare agli altri, proponti dinanzi agli occhi
quello che avrebbe fatto in tale occorrenza o Socrate o Zenone; e tu non sei
per mancare del modo di portarti convenientemente in ogni caso.
Andando a trovare alcuno
dei potenti, mettiti nell'animo che tu non sei per trovarlo a casa, ch'egli si
sarà serrato dentro, che non ti sarà voluto aprire l'uscio, che
colui non ti darà mente. E se con tutto questo, per non mancar
dell'ufficio tuo, ti conviene andare, pòrtati in pace ogni cosa che
t'intervenga, e non dire mai fra te stesso: egli non portava il pregio; che
è un parlare da uomo ordinario e dato tutto quanto alle cose esterne.
Guarda bene nei cerchj e nelle
compagnie, che tu non istessi a far troppe parole intorno ad azioni fatte o a
pericoli sostenuti da te medesimo. Perciocchè non siccome egli piace a
ciascuno di raccontare i propri pericoli, così riesce dilettevole alle
persone l'udire le avventure di chi favella.
Non istare anco a studiarti
di muovere il riso; perché ciò facendo, si porta pericolo di trascorrere
ai modi e all' usanza dei più; oltre che di leggieri avverrebbe che i
circostanti rimetterebbero più o manco della loro riverenza verso di te.
Egli è medesimamente
pericoloso lo entrare in ragionamenti di cose oscene: e per tanto ove
ciò intervenga, se egli ci avrà luogo, tu sgriderai quel tale che
sarà entrato in così fatta materia; se no, col porti a stare in
silenzio e collo arrossire e fare il viso brusco, tu darai ad intendere che
quel cotal favellare ti spiaccia.
Se tu avrai concetta la
immaginazione di alcuna voluttà, guarda che cotale impressione non ti
trasporti, ma fa, per modo di dire, che la cosa aspetti, e impetra da te
medesimo un poco d'indugio. Poi mettiti davanti agli occhi l'uno e l'altro
tempo; quando tu ti godrai questa voluttà, e quando, goduta che tu
l'abbi, tu te ne pentirai e rampognerai teco medesimo, e a rincontro metti il
piacere che sei per provare se tu te ne sarai astenuto, e le lodi che ne
riceverai da te stesso. E se egli ti parrà tempo opportuno da venire a
quel cotale fatto, poni cura di non lasciarti vincere da quella piacevolezza e
da quelle lusinghe e da quel dolce della cosa, e metti a rincontro quanto ei ti
saprà meglio se tu sarai consapevole a te medesimo di aver vinto tu
questa così fatta vittoria.
Quando farai cosa che tu
abbi considerato e giudicato di dover fare, non volerti nascondere che gli
altri non ti veggano a farla, se bene il più delle persone fossero per
interpretare il fatto sinistramente. Perciocché o tu fai male, ed egli si vuole
anzi fuggire il fatto medesimo; o fai bene, e che timore hai tu di quelli che
ti riprenderanno a torto?
Siccome il dire: o egli
è dì o vero è notte, quanto al senso disgiuntivo, afferma
e a gran forza, ma pigliato congiuntamente, tutto al contrario; per simile il
prendersi la maggior porzione della vivanda, quanto al proprio corpo, sta bene
ed è molto acconcio, ma quanto a quella comunione che vuolsi osservare
nei conviti, sconviene e non è a proposito. Per tanto quando tu sarai a
mangiare con qualche altro, ricordati di non guardare solo a quella convenienza
che avranno le vivande coll' utilità e col piacere del tuo corpo, ma
eziandio a quella che debbe osservarsi rispetto al convitatore.
Se tu prenderai a fare una
persona da più che non comportano le tue forze, primieramente tu
riuscirai con poco onore in questa figura, poi tu avrai lasciato indietro
quella che avresti potuto sostenere compiutamente.
Siccome, andando per le
vie, tu hai l'occhio a non calpestare un chiodo e a non ti storcere un piede,
così abbi cura di non fare pregiudizio alla parte principale di te
medesimo. E se altrettanto osserveremo in ciascuno atto, noi faremo ogni cosa più
sicuramente.
Misura dello avere si
è a ciascheduno il proprio corpo, siccome della scarpa il piede. Per
tanto se tu ti conterrai dentro ai termini di quel che è richiesto alla
tua persona, tu serberai la misura; ma se tu gli passerai, di necessità
da quell'ora innanzi andrai senza fine precipitando come per un dirupato. Non
altrimenti che nella scarpa, se tu passi più avanti di quello che si
appartiene all'uso del piede, la scarpa ti diventa prima dorata, appresso di
porpora, poi ricamata, gioiellata. Perocché di là dalla misura non ci ha
limite alcuno.
Le donne insino dall'
età di quattordici anni incominciano a esser chiamate dagli uomini con
titolo di signore. Sicchè vedendo che esse niun altro pregio hanno, ma
solo sono pregiate rispetto all'usar cogli uomini carnalmente, dànnosi
ad acconciarsi e ornarsi, e a riporre ogni loro speranza in cotale studio. Per
tanto vuolsi por cura di far ch' elle si avveggano di non essere avute in
pregio se non se in quanto si dimostrino costumate, vereconde e caste.
L'essere lungamente
occupato dintorno ai servigi del corpo, come dire agli esercizj della persona,
al mangiare, al bere, alle necessità naturali, alle carnalità,
è segno di piccola indole. Queste cose si deono fare come per transito,
e tutto lo studio si dee porre intorno alla mente.
Qualora alcuno o con parole
o con fatti ti offende, sovvengati che egli opera ovvero parla in quel cotal
modo, stimando che di così fare ovvero parlare gli appartenga e stia
bene. Ora è di necessità che egli si governi, non conforme a quello
che pare a te, ma secondo che pare a lui. Sicché se a lui pare il falso, esso
si ha il danno e non altri, cioè a dire, il danno è di colui che
s'inganna. Pigliamo una verità di quelle che chiamano connesse: se uno
la si crederà falsa, non la verità, ma questo tale, ingannandosi,
porterà il danno. Per sì fatta guisa discorrendo, tu comporterai
mansuetamente colui che ti oltraggerà; perocché ogni volta tu hai da
dire: così gli è paruto che convenisse.
Ogni cosa ha, per maniera
di dire, due manichi: a pigliarla dall'uno, ella si sopporta, dall'altro no. Se
il fratello ti farà ingiuria, non pigliare la cosa per modo che tu dica:
egli mi fa ingiuria, perchè questo è quel manico dal quale de tu
la prendi, ella non si porta; ma pigliala da quest' altra banda, e di': mio
fratello, nutrito e cresciuto meco insieme; e tu la piglierai da quel lato dal
quale ella si può portare.
Queste cotali
argomentazioni non reggono: io sono più ricco di te, dunque io sono da
più di te; io più letterato di te, dunque io sono da più.
Queste altre reggerebbero bene: io sono più ricco di te, dunque la mia
roba è da più che la tua; io più letterato di te, dunque
la mia dicitura val più che la tua. Ma tu non sei né roba né dicitura.
Uno si laverà in
fretta. Non dire: ei si lava male; ma: egli si lava in fretta. Un altro
berrà molto vino. Non dire: egli bee male; ma sì: egli bee molto
vino. Perciocchè come puoi tu sapere se quelli fanno male, innanzi che
tu abbi considerata e stabilita la opinione che tu piglierai? Per tal modo non
t'interverrà di ricevere una impressione, e giudicare secondo un'altra.
Non darti mai titolo di
filosofo, e tra gente comunale non volere, se non fosse alcune poche volte,
entrare in ragionamenti di dottrina speculativa, ma in quella vece opera
secondo cotal dottrina. A cagion di esempio, in un convito non istare a
discorrere come si debba mangiare, ma sì bene mangia come si dee. Né t'
esca di mente che in si fatto modo anche Socrate rimosse da sé ogni
ostentazione. Venivano a lui quando uno e quando un altro, chiedendo ch' ei li
dovesse introdurre ora a questo ora a quel maestro di filosofia, ed esso
menavagli dove volevano. Tanto ben sopportava di essere non curato e lasciato
indietro.
Adunque, ponghiamo eziandio
che tra uomini comunali il favellare cadesse per avventura sopra qualche
articolo di materia speculativa, tu ti conterrai per lo più in silenzio.
Perciocchè altrimenti tu correresti gran rischio di gittar fuori quello
che tu non avessi ancor smaltito. E quando alcuno ti dirà che tu non sai
nulla, e tu per udire questo non ti sentirai pungere, allora sappi che tu
cominci a fare frutto. Vedi tu che le pecore non portano al pastore erba per
dare a vedere la quantità ch'elle hanno mangiato, ma smaltita la pastura
dentro, danno di fuori la lana e il latte? e tu similmente non isciorinare in
sugli occhi dei non filosofi le dottrine speculative, ma da quelle ben digerite
dentro, forma estrinsecamente e dimostra a coloro le operazioni.
Quando tu sarai perfetto
quanto all'uso e al reggimento del corpo, non volere però pavoneggiarti
e far mostra di questa cosa; e se tu berrai acqua, tu non dirai ad ogni
occasione: io non beo che acqua. E se alcuna volta ti vorrai esercitare alla
sofferenza per l'amore di te stesso e non delle cose estrinseche, tu non andrai
ad abbracciare le statue, ma talora che tu arderai della sete, piglia una
boccata d'acqua fresca e sputala, e di ciò non far motto.
Stato e contrassegno
dell'uomo comune si è, né beneficio, né danno aspettarsi mai da se
stesso, ma sì dalle cose di fuori. Stato e contrassegno del filosofo,
ogni qualsivoglia utilità o nocumento sperare o temere da se medesimo.
Segni che uno fa pro nella
filosofia sono non parlare male di alcuno; non lodare chicchessia; di niuno
lamentarsi; niuno incolpare; non favellare cosa alcuna di sé come di persona di
qualche peso o che s'intenda di che che sia; provando impedimento o disturbo in
qualche sua intenzione, imputare la colpa a se stesso; lodato, ridere
interiormente del lodare; biasimato, non si difendere; andare attorno a guisa
che fanno i convalescenti, guardando di non muovere qualche parte racconcia di
fresco, prima ch'ella sia bene assodata; aver posto giù ogni appetito;
ridotta l'avversione a quel tanto che nelle cose che dipendono dal nostro
arbitrio è contrario a natura; non dare luogo a prime inclinazioni e
primi moti dell'animo se non riposati e placidi; se sarà tenuto sciocco
o ignorante, non se ne curare; in breve, stare all'erta con se medesimo non
altrimenti che con uno inimico o uno insidiatore.
Quando alcuno si
vanterà o si terrà d'assai per sapere intendere o poter
dichiarare i libri di Crisippo, di' teco stesso: se Crisippo non avesse scritto
oscuro, costui non avrebbe di che gloriarsi. Ma che è poi veramente quel
che io desidero? intender la natura e seguirla. Cerco dunque chi sia quello che
me la interpreti. E sentendo essere Crisippo, vo a lui. Ma non intendo il suo
scrivere. Cerco dunque uno che me lo esponga. E fin qui non ci ha materia
veruna di gloriarsi. Trovato lo spositore di Crisippo, resta ch' io metta in pratica
gli ammaestramenti ch'io ricevo. E in ciò solo consiste quel che fa
onore. Ma se io invaghirò della facoltà medesima della
interpretazione, che altro mi verrà fatto se non che io diverrò
un grammatico anzi che un filosofo? salvo che invece di Omero chioserò
Crisippo. Piuttosto dunque, se uno mi dirà: leggimi Crisippo: egli mi
conviene arrossire, quando io non possa mostrare i fatti concordi e
somiglievoli alle parole.
Ciascun proponimento che tu
farai vuolsi osservare e mantenere come fosse una legge e un punto di
religione. Che che poi si dica di te il mondo, non vi por mente, poichè
questa parte non è in tuo potere.
In che tempo dunque ti
riserbi tu ad aspirare ai maggiori beni dell'uomo, e ad osservare in che che
sia la regola che distingue le cose nostre e le esterne? Tu hai pur avuti i
documenti che erano da meditare e quasi da conversar con essi; tu gli hai
meditati e usato con esso loro: che maestro aspetti tu anco, sotto la cui
disciplina tu intenda di voler dare effetto alla riforma di te stesso? Tu non
sei più mica un fanciullo, ma uomo fatto. Se tu ti starai così
neghittoso e a bada senza pensare, accumulando ogni giorno indugi con indugi,
moltiplicando in propositi, destinando ora un termine e fra poco un altro, in
capo al quale incominciare ad attendere a te medesimo; tu non te ne avvedrai
che senza aver fatto un progresso al mondo, sarai pur vissuto e morto uomo del
volgo. Incomincia adunque insino da ora a studiare di vivere da uomo perfetto e
che cresce in virtù; e tutto quello che ti parrà essere il
migliore, siati in luogo di legge inviolabile. E come prima ti si farà
incontro alcuna cosa dura e spiacevole o pur dilettosa e dolce, alcuna che
porti seco la estimazione o la lode o vero il dispregio o il biasimo delle
genti, fa' ragione ch'egli sarà venuto il tempo dell' arringo, essere
l'ora della solennità olimpica, e non ci aver luogo indugio; e che
secondo che tu sarai per durare ovvero per cedere in una battaglia, tu perderai
ovvero conserverai l' avanzamento tuo nel bene. Socrate in così fatta
guisa diventò perfetto, a niente altro avendo riguardo in ciascheduna
cosa che gl'incontrava, se non solamente alla ragione. Che se bene tu non sei
per ancora un Socrate, tu déi però vivere come uno il quale desideri di
esser tale.
Il primo e più necessario
luogo nella filosofia si è quello delle proposizioni morali pratiche,
come sarebbe, per modo di esempio, questa: che egli non si dee mentire. Il
secondo è quello delle dimostrazioni; come, per esempio, provare con
argomenti che non si dee mentire. Il terzo serve a confermazione e distinzione
delle stesse cose, e vi si tratta, ponghiamo, donde è che questa tale
è dimostrazione, e che cosa è dimostrazione, che cosa sono
conseguenza e repugnanza, verità e falsità. Di modo che il terzo
luogo è necessario a rispetto del secondo, il secondo a rispetto del
primo; ma il più necessario di tutti, e dove si dee restare, si è
il primo. Ora noi facciamo al contrario; che noi soprastiamo nel terzo luogo, e
in quello poniamo tutto lo studio e la industria; e del primo non abbiamo un
pensiero al mondo. Sicché avviene che egli si ménte ogni dì, ma il come
provare che egli non si dee mentire, questo si ha in su le dita.
Abbiansi ad ogni occasione
apparecchiate queste parole: menami, o Giove, e con Giove tu o Destino, in
quella qual si sia parte a che mi avete destinato; e io vi seguirò di
buon cuore. Che se io non volessi, io mi renderei un tristo e un da poco, e
niente meno a ogni modo vi seguirei.
Ancora: chiunque sa bene
accomodarsi alla necessità, tiene appresso noi grado di saggio, ed esso
ha il conoscimento delle cose divine.
Ancora in terzo luogo: o
Critone, se così piace agli Dei, così sia. Anito e Melito mi
possono bene uccidere, ma non già offendere.