HOME PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro
Novelli
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CARLO DARWIN
L’ORIGINE DELL’UOMO
E LA SCELTA IN RAPPORTO
COL SESSO
Traduzione di
Michele Lessona
A. BARION –
Editore
Sesto San
Giovanni – Milano
Un gentiluomo napoletano, dicesi, ebbe
quattordici duelli per sostenere la preminenza del Tasso sull’Ariosto. Al
quattordicesimo duello, ferito a morte, esclamò: - E dire che non ho mai
letto nè l’Ariosto nè il Tasso! –
Questa è un po’ la storia degli
italiani rispetto a Darwin: molti che ne dicono male, ed anche taluni che ne
dicono bene, non lo hanno mai letto.
Ed è certo che, ove lo
leggessero, i suoi lodatori lo loderebbero più nobilmente, ed i
detrattori, a quello amore purissimo del vero che spira in ogni parola del
sommo filosofo, forse si darebbero al meditare in luogo dell’inveire,
ciò che sarebbe un gran bene.
In questa traduzione ho tutto
sacrificato alla fedeltà, studiandomi soprattutto di dire chiaramente
quello che l’autore ha detto. Darwin esprime limpidamente i suoi concetti: ma
questi sovente sono alti e nuovi, e bisogna meditare.
Io ringrazio qui l’autore del consenso
suo per questa traduzione, e mi auguro pel bene della mia patria che essa sia
per avere molti ed attenti lettori.
Michele Lessona
Gioverà a far meglio comprendere
l’indole del presente libro un breve ragguaglio intorno al modo nel quale esso
fu scritto. – Io venni raccogliendo per molti anni appunti intorno all’origine
o provenienza dell’uomo, senza avere affatto l’intenzione di scrivere su questo
argomento, anzi piuttosto col proposito di non scrivere nulla perchè
credevo che non avrei fatto altro se non che afforzare i pregiudizi contro il
mio modo di vedere. Mi sembrava sufficiente indicare nella prima edizione della
mia Origine delle specie, che quel libro avrebbe sparso luce intorno
all’origine dell’uomo ed alla sua storia, venendo così a dire che
l’uomo vuol essere compreso insieme cogli altri esseri organici in ogni
conclusione generale riguardo al modo del suo apparire su questa terra. Ora la
cosa è ben diversa. Quando un naturalista come Carlo Vogt si è
spinto a dire nel suo discorso quale Presidente dell’Istituto nazionale di
Ginevra (1869): Personne, en Europe au moins, n’ose plus soutenir la
creation indépendante et de toutes pièces des espèces, egli
è ben chiaro che un gran numero per lo meno di naturalisti deve
ammettere che le specie sono discendenti modificati di altre specie e questo
concetto piglia campo principalmente fra i giovani e crescenti naturalisti. Il
maggior numero accetta l’azione della scelta naturale sebbene alcuni
asseriscano istantemente, con quanta ragione deciderà l’avvenire, che io
ne ho grandemente esagerata l’importanza. Molti fra i più anziani e
venerati maestri nelle scienze naturali, disavventuratamente, si oppongono
ancora all’evoluzione in qualsiasi forma.
Ora, pel modo di vedere adottato da
molti naturalisti, e che alla perfine, siccome sempre segue, avrà per
sè il pubblico, io mi sono indotto a mettere insieme i miei appunti,
affine di vedere fin dove quelle conclusioni generali, cui io son giunto nelle
mie opere precedenti, siano applicabili all’uomo. Tanto più appare
ciò desiderabile, che io non ho mai applicato di proposito questi
concetti ad una specie presa isolatamente. Quando noi confiniamo la nostra
attenzione intorno ad una sola forma qualsiasi, restiamo privi degli argomenti
poderosi i quali derivano dalla natura delle affinità che collegano
insieme tutti gli scompartimenti degli organismi, dalla loro distribuzione
geografica nei tempi passati e nei presenti, e dalla loro successione
geologica. Consideriamo in tal caso la struttura omologica, lo sviluppo
embriogenico, e gli organi rudimentali di una specie, sia pure quella dell’uomo
o di qualsiasi altro animale; ma siccome a me sembra, queste grandi classi di
fatti danno un’ampia e concludente evidenza in favore del principio
dell’evoluzione graduale. Ci starà tuttavia sempre davanti alla mente il
grande appoggio che danno gli altri argomenti.
Scopo unico di quest’opera è il
considerare primieramente se l’uomo, come tutte le altre specie, sia disceso da
qualche forma preesistente; secondariamente, il modo del suo sviluppo; ed in
terzo luogo il valore delle differenze fra le cosidette razze umane.
Limitandomi a questi punti, non avrò bisogno di descrivere
particolareggiatamente le differenze fra le varie razze, argomento estesissimo,
che è stato pienamente trattato in molte autorevoli opere. L’altissima
antichità dell’uomo è stata recentemente posta in evidenza dai
lavori di una schiera d’uomini insigni, incominciando dal signor Boucher de
Perthes e questa è la base necessaria per comprenderne l’origine. Io
accoglierò quindi questa conclusione siccome ammessa, e rimanderò
i miei lettori alle ammirabili opere di Carlo Lyell, John Lubbock, ed altri.
Nè avrò altro da fare se non che accennare al complesso delle
differenze fra l’uomo e le scimmie antropomorfe; perchè, secondo il
parere dei giudici più autorevoli, il prof. Huxley ha dimostrato concludentemente
che in ciascuno dei caratteri visibili l’uomo differisce meno dalle scimmie
più elevate di quello che queste differiscano dalle specie più
basse dello stesso ordine dei primati.
Quest’opera contiene pochi fatti
originali rispetto all’uomo ma, siccome le conclusioni alle quali io sono
arrivato dopo di avere abbozzato il mio piano mi sembrano interessanti, io
credo che riesciranno pure interessanti agli altri. Si è spesso e
fidentemente asserito che l’origine dell’uomo non può essere conosciuta:
ma l’ignoranza più frequentemente ingenera fiducia che non il sapere:
son quelli che sanno poco, e non quelli che sanno molto, i quali affermano
positivamente che questo o quel problema non sarà mai risolto dalla
scienza. Non è nuova per nulla la conclusione che l’uomo, insieme con altre
specie, discenda da qualche forma antica inferiore, ed oggi estinta. Da molto
tempo Lamarck è venuto in questa conclusione, la quale ultimamente fu
sostenuta da parecchi eminenti naturalisti e filosofi, come Wallace, Huxley,
Lyell, Vogt, Lubbock, Büchner,
Rolle, etc.; e specialmente Häckel:
oltre alla sua grande opera Generelle Morphologie (1866), egli ha
recentemente (1868, con una 2ª
edizione nel 1870) pubblicato l’opera sua Naturliche Schöpfungsgeschichte, in cui discute a
fondo la genealogia dell’uomo. Se quest’opera fosse venuta in luce prima che il
mio lavoro fosse stato scritto, probabilmente io non l’avrei portato a
compimento. Questo naturalista conferma quasi tutte le conclusioni alle quali
io sono venuto, e le sue cognizioni per molti rispetti sono più estese
delle mie. Ogniqualvolta io ho aggiunto un qualche fatto od un qualche concetto
preso dagli scritti del prof. Häckel,
ne riferisco l’autorità nel testo; altre affermazioni lascio come stanno
originalmente nel mio manoscritto.
Per molti anni ho creduto cosa
probabilissima che la scelta sessuale abbia avuto una parte importante nel
produrre le differenze fra le razze umane; ma nella mia Origine delle specie
(1ª edizione inglese, p.
199) mi sono tenuto pago di una semplice allusione a questa mia credenza.
Quando venni ad applicare questo concetto all’uomo, ho trovato necessario di
trattare l’intero argomento pienamente in ogni suo particolare. Quindi la
seconda parte del presente libro, che tratta della scelta sessuale, è
venuta ad una sproporzionata lunghezza rispetto alla prima parte; ma ciò
non si poteva scansare.
Io avevo in animo di aggiungere a
questa mia opera uno studio intorno al modo di esprimere le varie emozioni
dell’uomo e degli animali ad esso inferiori. La mia attenzione fu chiamata su
ciò parecchi anni or sono dall’ammirabile lavoro di Carlo Bell. Questo
illustre anatomico sostiene che l’uomo è fornito di certi muscoli col
solo scopo di esprimere le sue emozioni. Siccome questo modo di vedere
contrasta palesemente alla credenza che l’uomo discenda da qualche altra forma
inferiore, io lo dovevo necessariamente considerare. Così pure io
desideravo di mettere in chiaro fin a qual punto le emozioni siano espresse
nello stesso modo dalle varie razze umane. Ma ponendo mente alla lunghezza del
presente volume, io ho giudicato meglio di tenere in serbo il mio studio, che
in parte è compiuto, per una separata pubblicazione.
EVIDENZA DELLA ORIGINE DELL’UOMO
DA QUALCHE FORMA INFERIORE.
Natura
dell’evidenza rispetto all’origine dell’uomo – Strutture omologhe nell’uomo e
negli animali più bassi – Punti misti di corrispondenza – Sviluppo –
Strutture rudimentali, muscoli, organi dei sensi, peli, ossa, organi
riproduttori, ecc. – Rapporti di queste tre grandi classi di fatti
coll’origine dell’uomo.
Chi desidera riconoscere se l’uomo sia
un discendente modificato di qualche forma preesistente, dovrà
probabilmente ricercare dapprima se l’uomo varii, anche in legger grado, nella
struttura del corpo e nella facoltà della mente; e quando ciò
sia, deve ricercare se queste variazioni si trasmettano alla progenie, secondo
le leggi che governano gli animali all’uomo inferiori, e secondo la legge della
trasmissione dei caratteri alla stessa età od al sesso. E poi, queste
variazioni sono esse, per quanto la nostra ignoranza ci permette di giudicare,
l’effetto delle stesse cause generali, e sono esse governate dalle stesse leggi
generali come negli altri organismi; per esempio, dalla correlazione, dagli
effetti dipendenti, dall’esercizio o dal difetto di questo, ecc.? È
forse l’uomo soggetto agli stessi vizi di conformazione, risultanti da un
arresto di sviluppo, o da un raddoppiamento di parti, ecc., e dimostra egli in
ognuna di queste anomalie un ritorno ad un qualche primiero antico tipo di
struttura? Si può naturalmente ricercare anche, se l’uomo, alla maniera
di tanti altri animali, abbia dato origine a varietà e sotto-razze,
appena leggermente diversificanti l’una dall’altra, oppure a razze abbastanza
diverse per poter essere considerate siccome specie dubbiose: in qual modo
queste razze siano distribuite sulla terra ed in qual modo, quando si sono
incrociate, abbiano esse agito l’una sull’altra, tanto nelle prime come nelle
susseguenti generazioni. E così per molti altri argomenti.
Lo studioso verrà quindi a
questo importante quesito, se l’uomo tenda a moltiplicarsi così
rapidamente che ne debbano nascere gravi lotte per la vita, in conseguenza delle
quali i mutamenti benefici tanto nel corpo quanto nella mente sarebbero
conservati e quelli nocevoli sarebbero eliminati. Le specie e le razze umane
(si può adoperare l’uno o l’altro vocabolo) si. invaderanno esse e si
sostituiranno l’una all’altra per modo che alla perfine alcune si vengano ad
estinguere? Noi vedremo che tutte queste questioni, siccome per alcune di esse
la cosa è evidentissima, si possono risolvere affermativamente, come pei
sottostanti animali.
Ma le varie considerazioni qui
riferite possono per ora senza inconveniente, essere lasciate in disparte; e
prima di tutto noi dobbiamo vedere fino a qual punto la struttura del corpo
umano lasci vedere tracce, più o meno evidenti, della sua provenienza da
qualche forma inferiore. Nei due capitoli seguenti considereremo le
potenze mentali dell’uomo in comparazione con quelle dei sottostanti animali.
Struttura corporea dell’uomo. – È cosa
nota che l’uomo è foggiato sullo stesso stampo o tipo generale degli altri
mammiferi. Tutte le ossa del suo scheletro possono essere comparate con ossa
corrispondenti in una scimmia, un pipistrello, od una foca, La stessa cosa
è pei suoi muscoli, i suoi nervi, i vasi sanguigni e gli interni
visceri. Il cervello, il più importante di tutti gli organi, segue la
stessa legge, siccome fu dimostrato da Huxley e da altri anatomici. Bischoff,
che è un’autorità contraria, ammette che ogni solco ed ogni
ripiegatura del cervello umano hanno il loro analogo in quello dell’urango; ma
egli aggiunge che in nessun periodo di sviluppo i due cervelli s’accordano
perfettamente; ma non bisognava aspettarsi a questo, perchè altrimenti
le loro potenze mentali sarebbero state le stesse. Vulpian nota: Les différences réelles qui existent entre l’encéphale de
l’homme et celui des singes supérieurs, sont bien minimes. Il ne faut pas se
faire d’illusions à cet égard. L’homme est bien plus près des
singes anthropomorphes par les caractères anatomiques de son cerveau que
ceux-ci ne le sont non seulement des autres mammifères, mais mêmes de certains quadrumanes, des
guénons et des macaques. Ma sarebbe superfluo aggiungere qui altri
particolari intorno alla corrispondenza fra l’uomo e i mammiferi più
elevati nella struttura del cervello e di tutte le altre parti del corpo.
Può tuttavia valer la spesa di
specificare alcuni pochi punti, non direttamente o vistosamente collegati colla
struttura, per mezzo dei quali si dimostra questa corrispondenza o questo
rapporto.
L’uomo può ricevere dai
sottostanti animali e comunicare loro certe malattie, come l’idrofobia, il
vaiolo, la morva, ecc.; questo fatto prova l’affinità dei tessuti loro e
del sangue tanto nella minuta struttura come nella composizione, assai meglio
che non faccia la comparazione di essi col miglior microscopio, od il sussidio
dell’analisi chimica più accurata. Le scimmie vanno soggette a molte
malattie non contagiose, come quelle che affliggono noi; così Rengger,
il quale ha osservato accuratamente per lungo tempo il Cebus Azarae nel
suo paese nativo, trovò che esso è soggetto al. catarro polmonare
coi suoi sintomi consueti, e che, quando si ripete sovente, mena alla
consunzione. Queste scimmie soffrono anche l’apoplessia, l’infiammazione
intestinale, e la cataratta nell’occhio. Alcuni giovani muoiono spesso di
febbre nello spuntare i denti del latte. I medicamenti producono in esse gli
stessi effetti come in noi. Molte specie di scimmie hanno un grande gusto pel
thè, pel caffè, e pei liquori spiritosi; mostrano pure, siccome
io stesso ho veduto, gusto a fumare tabacco. Brehm asserisce che gl’indigeni
del nord-est dell’Africa s’impadroniscono dei babbuini selvatici esponendo
fuori recipienti con birra forte, della quale i babbuini si ubriacano. Egli ha
veduto ubriachi alcuni di questi animali che teneva in schiavitù, e ci
dà un lepido ragguaglio del loro fare in tale stato, e delle strane loro
smorfie. Il mattino dopo essi erano molto di mal umore e ingrugnati;
sostenevano il capo addolentato con ambe le mani e con piglio miserevole
torcevano la faccia con disgusto se si offriva loro birra o vino, ma si
mostravano avidi del sugo dei limoni. Una scimmia americana, un Atele,
ubriacatasi con acquavite, non volle mai più gustarne, mostrando in
ciò maggior saviezza di molti uomini. Questi fatterelli dimostrano quanta
somiglianza ci sia fra i nervi del gusto dell’uomo e quelli della scimmia, e
come somigliantemente sia impressionato tutto il loro sistema nervoso.
L’uomo è infestato da parassiti
interni, che qualche volta portano conseguenze letali, ed è tormentato
da parassiti esterni, che tutti appartengono agli stessi generi od alle stesse
famiglie di quelli che infestano gli altri animali. L’uomo è soggetto,
come gli altri mammiferi, gli uccelli ed anche gl’insetti, a quella legge
misteriosa la quale fa che certi processi normali, come le gestazioni e
così pure lo sviluppo e la durata di varie malattie, seguano i periodi
lunari. Le sue ferite si rimarginano collo stesso processo di cicatrizzazione;
e i monconi che rimangono dopo l’amputazione delle sue membra hanno talora,
specialmente durante un primiero periodo embriogenico, qualche potenza di
rigenerazione, come negli animali più bassi.
L’intero processo di quella
importantissima funzione che è la riproduzione della specie, è
evidentemente lo stesso in tutti i mammiferi, dal primo corteggiamento del
maschio al nascimento ed all’allevamento del piccolo. Le scimmie nascono quasi
nella stessa condizione d’impotenza dei nostri bambini; ed in alcuni generi i
piccoli differiscono tanto nel loro aspetto dagli adulti, quanto i nostri
bambini dai loro genitori. Alcuni scrittori hanno insistito, siccome sopra una
distinzione importante, su ciò, che nell’uomo i piccoli non acquistano
il loro pieno sviluppo se non che in un’età molto più inoltrata
che non in qualsiasi altro animale: ma se noi poniam mente a quelle razze umane
che vivono nelle regioni tropicali, la differenza non riesce più grande,
perchè l’urango, secondochè si crede, non diventa adulto fino
all’età di dieci o quindici anni. L’uomo differisce dalla donna in mole,
vigore corporeo, pelosità, ecc., come pure nella mente, nella stessa
maniera in cui la cosa segue fra i due sessi in molti mammiferi. Insomma,
è appena possibile dire troppo intorno alla piena corrispondenza nella
struttura generale, nella minuta struttura dei tessuti, nella composizione
chimica e nella costituzione, fra l’uomo e gli animali più elevati,
specialmente le scimmie antropomorfe.
Sviluppo embrionale. – L’uomo si
sviluppa da un ovulo il quale ha circa la 125ª parte di un pollice in diametro (il poll. vale 25 mill.), e
non differisce punto dagli ovuli degli altri animali. Lo stesso embrione, nel
suo periodo affatto iniziale, malagevolmente si può distinguere da
quello di altre specie dello scompartimento dei vertebrati. In questo periodo
le arterie scorrono in rami a mo’ di arco, come se fossero per portare il
sangue alle branchie che non si trovano nei vertebrati superiori, quantunque
rimangono ancora le fessure ai lati del collo ad indicare la loro primiera
posizione. In un periodo alquanto più inoltrato, quando le
estremità sono sviluppate, “i piedi delle lucertole e dei mammiferi
(siccome nota l’illustre Von Baer) le ali ed i piedi degli uccelli, non meno
che le mani ed i piedi dell’uomo, derivano tutti dalla stessa forma fondamentale”.
È, dice il professore Huxley, al tutto negli ultimi stadi dello sviluppo
che il giovane essere umano presenta evidenti differenze dalla giovane scimmia,
mentre quest’ultima si distacca nei suoi sviluppi dal cane quanto l’uomo. Per
quanto straordinaria possa parere quest’ultima asserzione, si può
dimostrare vera.
Dopo le asserzioni di così
eminenti autorità, io farei cosa superflua se riferissi ancora altri
particolari dimostranti che l’embrione umano somiglia strettamente a quello
degli altri mammiferi. Si può aggiungere tuttavia che parimente
l’embrione umano rassomiglia per molti tratti della sua struttura a certe forme
inferiori adulte. Per esempio, il cuore esiste dapprima come un semplice vaso
pulsante, gli escrementi sono evacuati in un condotto a mo’ di cloaca, e
l’osso coccige sporge come una vera coda “protendendosi considerevolmente oltre
i piedi rudimentali”. Negli embrioni di tutti i vertebrati respiranti
l’aria atmosferica, certe ghiandole, chiamate corpi di Wolff, corrispondono ed
operano come i reni dei pesci adulti. Anche fino all’estremo periodo embrionale
si possono osservare talune vistose rassomiglianze fra l’uomo e i sottostanti
animali. Bischoff dice che le circonvoluzioni del cervello nel feto umano alla
fine del settimo mese sono a un dipresso allo stesso punto in cui è lo
sviluppo del babbuino adulto. Il pollice del piede, siccome nota il professore
Owen “che forma il fulcro nella stazione eretta e nel camminare, è forse
il tratto più caratteristico della struttura umana”; ma in un embrione
di circa un pollice (25 mill.) di lunghezza il prof. Wyman ha trovato “ che il
pollice del piede era più corto degli altri, e invece di essere
parallelo con quelli, faceva un angolo sul lato del piede, corrispondendo
così a quella condizione che è permanente in questa parte nei
quadrumani”. Io voglio conchiudere con una citazione di Huxley, il quale, fatta
la domanda se l’uomo si origini in un modo differente da un cane, un uccello,
una rana od un pesce, dice, “la risposta non è oggi dubbiosa; incontestabilmente
il modo di origine e gli stadi primieri dello sviluppo dell’uomo son identici
con quelli degli animali che gli stanno immediatamente sotto nella scala;
incontestabilmente per questi riguardi egli è assai più vicino
alle scimmie che non siano le scimmie al cane”.
Rudimenti. – Questo
argomento, sebbene intrinsecamente non più importante dei due
precedenti, vuol essere qui trattato con maggior ampiezza. Non si trova neppur
uno fra gli animali superiori, il quale non abbia qualche sua parte in istato rudimentale;
e l’uomo non fa eccezione a questa regola. Gli organi rudimentali debbono esser
distinti da quelli che sono nascenti, sebbene in qualche caso questa
distinzione non torni agevole. I. primi, o sono assolutamente senza uso, come
le mammelle nei maschi dei mammiferi od i denti incisivi dei ruminanti che non
forano mai la gengiva, oppure rendono un così scarso servizio ai loro
possessori attuali, che non possiamo supporre che essi si siano sviluppati
nelle attuali condizioni. Gli organi in quest’ultimo stato non sono
strettamente rudimentali, ma tendono a quello. D’altra parte gli organi
nascenti, sebbene non pienamente sviluppati, servono grandemente ai loro
possessori, e sono suscettivi di ulteriore sviluppo. Gli organi rudimentali
sono eminentemente variabili; e ciò s’intende in parte, perchè
sono senza uso o quasi senza uso, e quindi non ulteriormente soggetti alla
scelta naturale. Spesso si sopprimono totalmente. Quando ciò segue, non
sono più soggetti a ricomparire talora per ritorno, o regresso, o
reversione; e questa è cosa degnissima di attenzione.
Il difetto d’esercizio in quel periodo
della vita, in cui un organo è principalmente adoperato, ciò che
segue generalmente nello stato adulto; insieme colla eredità ad un
corrispondente periodo della vita, sembrano essere stati gli agenti principali
che hanno fatto sì che certi organi siano rimasti rudimentali.
L’espressione difetto d’esercizio non si deve riferire solamente ad una
diminuita azione dei muscoli, ma comprende una diminuzione dell’afflusso del
sangue ad una parte o ad un organo, per essere soggetto a minori alternative di
pressione, o per essere divenuto per qualsiasi via meno abitualmente attivo.
Possono trovarsi in uno dei due sessi rudimenti di parti che sono sviluppate
normalmente nell’altro sesso; e questi rudimenti, siccome noi vedremo
più tardi, spesso si originano in una maniera distinta. In alcuni casi
certi organi sono stati ridotti per mezzo della scelta naturale, perchè
divenuti nocevoli alla specie, mutate le condizioni della vita. Il processo di
riduzione è probabilmente agevolato spesso dai due principi di
compensazione e di economia dell’accrescimento; ma sono difficili da
comprendere gli ultimi stadi del riducimento, dopochè il difetto di
esercizio ha fatto tutto quello che gli si può attribuire, e quando la
conservazione da compiere per mezzo dell’economia dell’accrescimento è
molto scarsa. La compiuta e finale soppressione di una parte già fuori
di esercizio è molto ridotta in volume, nel qual caso non possono
operare nè compensazione nè economia, si può forse
intendere colla ipotesi della pangenesi, e, secondochè appare, in nessun
altro modo. Ma siccome l’intero argomento degli organi rudimentali è
stato pienamente discusso ed illustrato nelle mie opere precedenti, io non
dirò nulla di più qui in proposito.
Si sono osservati rudimenti di vari
muscoli, che si trovano in molte parti del corpo umano e non pochi muscoli, che
si trovano regolarmente negli animali sottostanti, si possono scoprire
accidentalmente nell’uomo in condizioni di sommo riducimento. Ognuno può
avere osservato come molti animali, specialmente i cavalli, possono muovere e
raggrinzare la pelle; ciò si compie per mezzo del pannicolo carnoso. In
varie parti del nostro corpo si trovano residui di questi muscoli operanti; per
esempio nella fronte, servendo essi a sollevare le sopracciglia. Il platysma
myodes, che è molto sviluppato nel collo, appartiene a questo
sistema. Il professore Turner, di Edimburgo, ha per avventura scoperto, secondo
il ragguaglio che me ne dà, fascetti muscolari in cinque luoghi
differenti, segnatamente nelle ascelle, presso le scapole, ecc., ognuno dei
quali si può riferire al sistema del pannicolo. Egli ha pure dimostrato
che il musculus sternalis, o sternalis brutorum, che non è
un prolungamento del rectus abdominalis, ma è in stretto rapporto
col pannicolo, s’incontrò nella proporzione di circa il tre per cento in
più di 600 corpi: egli aggiunge che questo muscolo arreca “una
eccellente illustrazione del fatto che quelle parti, le quali si trovano in
istato rudimentale ed accidentalmente, sono in special modo soggette a variare
nella loro disposizione”. Son pochi quelli che possono contrarre i muscoli
superficiali della pelle del capo; e questi muscoli sono in condizione
variabile e parzialmente rudimentale. Il signor A. De Candolle mi
comunicò un caso ben curioso di lunga e continuata persistenza o
eredità di questa facoltà, come pure del suo insolito
sviluppo. Egli conosce una famiglia, un membro della quale, ora capo di casa,
poteva, quando era giovane, far cadere parecchi grossi libri dal capo, pel solo
movimento della pelle del capo stesso; e vinse in tal modo parecchie scommesse.
Suo padre, suo zio, suo nonno e i suoi tre figliuoli posseggono tutti la
medesima facoltà nello stesso insolito grado. Otto generazioni or sono,
quella famiglia si divise in due rami, per cui il capo del ramo summenzionato
è cugino in settimo grado del capo dell’altro ramo. Questo lontano
cugino dimora in un’altra parte della Francia, ed essendogli stato domandato se
egli pure fosse fornito di quella facoltà, ne fece subito mostra. Questo
caso ci offre un esempio evidente della grande persistenza con cui può
venir trasmessa una facoltà al tutto inutile.
I muscoli esteriori che servono a far
muovere tutto l’orecchio esterno, ed i muscoli interni che ne muovono le
varie parti, i quali appartengono tutti al sistema del pannicolo, sono
nell’uomo in condizione rudimentale; variano pure nello sviluppo, od almeno nel
funzionare. Ho veduto un uomo che poteva far venire avanti le sue orecchie, ed
un altro che le faceva andare indietro; e da quello che mi disse uno di essi,
è probabile che molti di noi toccandoci spesso le orecchie e ponendovi
studio, potremmo con ripetuti tentativi riacquistare una certa facoltà
di movimento. La facoltà di drizzare le orecchie e di dirigerle per ogni
verso è indubbiamente giovevolissima a molti animali, perchè
possano così riconoscere da qual parte venga il pericolo; ma non ho mai
inteso che un uomo possegga la menoma facoltà di drizzare le orecchie,
unico movimento che potrebbe essergli di qualche servizio. Tutta la esterna
conca o padiglione dell’orecchio può essere considerata come
rudimentale, insieme colle varie ripiegature e sporgenze (elice ed antelice,
trago ed antitrago, ecc.) che negli animali sottostanti sostengono e rinforzano
l’orecchio mentre è drizzato, senza accrescerne molto il peso. Tuttavia,
alcuni autori suppongono che la cartilagine del padiglione serva a trasmettere
le vibrazioni al nervo acustico; ma il signor Toynbee dopo aver raccolto tutti
i fatti conosciuti in proposito, conchiude che il padiglione esterno non ha un
uffizio distinto. Le orecchie dello scimpanzè e dell’urango
rassomigliano straordinariamente a quelle dell’uomo, ed i guardiani del
Giardino zoologico di Londra mi hanno assicurato che questi animali non le
muovono nè le drizzano mai; per cui sono in una condizione puramente
rudimentale, almeno per questa funzione, come nell’uomo. Non possiamo dire
perchè questi animali, come i progenitori dell’uomo, abbiano perduto la
facoltà di drizzare le loro orecchie. Può essere, sebbene questo
modo di vedere non mi soddisfi, che mercè la loro vita arboreale e la
loro grande forza, non fossero molto esposti a pericoli, e quindi per un
lunghissimo periodo di tempo movessero poco le orecchie, e così siamo
andati man mano perdendo la facoltà di muoverle. Questo sarebbe un fatto
analogo a quello di quei grossi e pesanti uccelli che abitando le isole
oceaniche non sono stati esposti alle aggressioni degli animali da preda, e
quindi hanno perduto la facoltà di adoperare le ali pel volo.
Il signor Woolner, celebre scultore, mi
ha partecipato una sua osservazione intorno ad una lieve particolarità
dell’orecchio esterno, che egli ha notato spesso tanto negli uomini che nelle
donne, e di cui comprese tutto il significato. La sua attenzione intorno a
ciò venne per la prima volta svegliata mentre stava lavorando la sua
statua di Puck, a cui aveva dato orecchie a punta. In tal modo s’indusse ad
esaminare le orecchie di molte scimmie, e susseguentemente con maggior
diligenza anche quelle dell’uomo. La particolarità consiste in un
punticino ottuso, che sporge dal margine ripiegato internamente, od elice. Il
signor Woolner fece un modello preciso di una cosiffatta disposizione. Questi punti
sporgono non solo in dentro, ma spesso anche un po’ in fuori, per cui sono
visibili quando il capo si guarda direttamente di prospetto o di dietro.
Variano di mole e talora di posizione, stando qualche volta un po’ più
in su o un po’ più in basso; e alle volte presentandosi in un orecchio e
non nell’altro. Ora il significato di queste prominenze non mi sembra dubbio;
ma si può dire che esse presentano un carattere tanto insignificante da
non essere degno di menzione. Tuttavia ciò sarebbe tanto falso quanto
appar naturale. Ogni carattere, per quanto leggero sia, deve essere l’effetto
di qualche causa definita; e se si presenta in molti individui merita d’esser
preso in considerazione. Evidentemente l’elice si compone del margine estremo
dell’orecchio ripiegato in dentro: e questa ripiegatura sembra avere in certo
modo relazione col fatto che l’orecchio esterno viene permanentemente spinto
indietro. In molte scimmie collocate non tanto in alto nell’ordine, come i
babbuini ed alcune specie di macachi, la parte superiore dell’orecchio è
lievemente puntuta, ed il margine non è punto ripiegato in dentro; ma se
questo margine fosse ripiegato in tal modo, si vedrebbe senza dubbio sporgere
in dentro o forse un po’ in fuori un leggero punto. Questo si può vedere
attualmente sopra un esemplare dell’Atele Belzebù nel
Giardino Zoologico di Londra; e possiamo trarne la sicura conseguenza che
questa è una struttura similare, vestigio di orecchie primieramente
puntute, che ricompare accidentalmente nell’uomo.
La membrana nictitante o terza
palpebra, coi suoi muscoli accessori e le altre parti, è particolarmente
bene sviluppata negli uccelli, ed ha in essi una importantissima funzione,
perchè può essere rapidamente distesa sopra tutto il globo
dell’occhio. S’incontra in alcuni rettili ed anfibi, ed in certi pesci, come
gli squali. È sviluppata
benissimo nelle due divisioni più in basso dei mammiferi, cioè
nei monotremi, e nei marsupiali, ed anche in qualche mammifero più
elevato, come nei trichechi. Ma nell’uomo, nei quadrumani. ed in molti altri
mammiferi quella membrana esiste, come è riconosciuto da tutti gli
anatomici, allo stato di semplice rudimento, e vien detta piega semilunare.
Nella maggior parte degli animali il
senso dell’odorato è della più alta importanza: ad alcuni, come i
ruminanti, serve a farli accorti del pericolo; ad altri, come i carnivori, a
far loro trovare la preda; ad altri, come i cinghiali, pei due scopi insieme.
Ma il senso dell’odorato rende all’uomo solo lievissimo servigio, se pure ne
rende, anche ai selvaggi nei quali è molto più sviluppato che non
nelle razze incivilite. Non li avverte del pericolo, nè li guida a
trovarsi il nutrimento; nè impedisce agli Esquimali di dormire nell’aria
più fetida, nè a molti selvaggi di mangiare carni semiputrefatte.
Coloro i quali credono nel principio di una graduale evoluzione, non
ammetteranno facilmente che questo senso nel suo stato presente sia stato in
origine acquistato dall’uomo come esiste ora. Non v’ha dubbio che egli abbia
ereditato questa facoltà in uno stato così indebolito e
rudimentale da qualche antico progenitore, a cui questo senso era grandemente
utile e che l’adoperava di continuo. In tal modo noi possiamo forse comprendere
questo fatto che, come ha notato con molta verità il D.re Maudsley, il
senso dell’odorato nell’uomo “ha la singolare particolarità di presentar
vive nella mente le idee e le immagini di scene e di luoghi dimenticati”;
perchè vediamo in quegli animali, che hanno questo senso molto
sviluppato, come i cani ed i cavalli, che le antiche rimembranze delle persone
e dei luoghi si associano fortemente al loro odore.
L’uomo differisce moltissimo da tutti
gli altri Primati per essere quasi nudo. Ma alcuni peli corti e rari si trovano
sulla più gran parte del corpo nel sesso mascolino, ed una fina peluria
nel sesso femminile. Negli individui appartenenti alla medesima razza questi
peli variano grandemente, non solo nella copia, ma anche nella posizione;
così le spalle di alcuni europei sono al tutto nude, mentre in altri
sono coperte di. fitti ciuffi dì peli. Non vi può essere il
menomo dubbio che questi peli, sparsi qua e là sul corpo, non siano i
rudimenti dell’integumento uniformemente peloso degli animali sottostanti.
Ciò divien tanto più probabile, da che si sa che i peli fini
corti e di colore sbiadito che stanno sulle membra e sopra altre parti del
corpo accidentalmente si sviluppano in peli “fitti, lunghi e piuttosto grossi e
scuri” quando vengono anormalmente nudriti vicino a superfici lungamente
infiammate.
Il signor Paget mi ha detto che persone
appartenenti ad una stessa famiglia hanno sovente alcuni peli delle
sopracciglia molto più lunghi degli altri; cosicchè questa lieve
particolarità pare essere ereditata. Questi peli rappresentano
apparentemente le vibrisse, che vengono adoperate come organi del tatto da
molti degli animali sottostanti. Ho osservato in un giovane scimpanzè
alcuni peli dritti, piuttosto lunghi, che gli sporgevano sugli occhi, al posto
delle vere sopracciglia, qualora queste ci fossero state.
Il pelo sottilissimo e lanoso, o la
così detta lanuggine, che ricopre fittamente il feto umano nel sesto
mese, offre un esempio ancora più curioso. Si comincia a sviluppare nel
quinto mese, sulle sopracciglia e sul viso, e soprattutto intorno alla bocca, ove
è molto più lungo che non sul capo. Eschricht
osservò questa sorta di mustacchi in un feto femmina; ma ciò non
deve recare tanta sorpresa come si potrebbe credere in sulle prime,
perchè in generale i due sessi hanno tra loro molta rassomiglianza di
tutti i caratteri esterni durante un primiero periodo di accrescimento. La
direzione e la disposizione dei peli in tutte le parti del corpo del feto sono
le stesse come nell’adulto, ma vanno soggette a molto variare. Tutta la
superficie, compreso la fronte e le orecchie, è in tal modo fittamente
ricoperta; ma è un fatto significante quello che le palme delle mani e
le piante dei piedi siano al tutto nude, come la superficie di tutte le quattro
estremità nella maggior parte degli animali sottostanti. Siccome questa
non può guari essere una coincidenza accidentale, noi dobbiamo
considerare l’invoglio villoso del feto come il rappresentante rudimentale del
primitivo pelame permanente che si vede in quei mammiferi che sono nati pelosi.
Questa rappresentanza è più compiuta, secondo la legge consueta
dello sviluppo embriogenico, che non quella che presentano i peli sparsi qua e
là sul corpo dell’adulto.
Sembra che i denti molari posteriori, o
denti del giudizio abbiano una tendenza a divenire rudimentali nelle razze
umane più incivilite. Questi denti sono alquanto più piccoli
degli altri molari, come pure è il caso nello scimpanzè e
nell’urango: ed hanno due sole radici separate. Non spuntano fin verso il
diciassettesimo anno, e mi è stato assicurato che si guastano e cadono
molto prima degli altri denti ma questo asserto vien negato da alcuni dentisti.
Sono anche soggetti a variare nella struttura e nel periodo dello sviluppo
più che non gli altri denti. Inoltre nelle razze Melaniche i denti del
giudizio sono per solito forniti di tre radici separate, e sono in generale
forti e sani; ed anche differiscono meno nella mole dagli altri molari che non
nelle razze Caucasiche. Il prof. Schaaffhausen attribuisce questa
differenza tra le due razze a ciò, che “la porzione dentale posteriore
della mascella è sempre più corta” in quelle che sono incivilite,
e questo raccorciamento può, io credo, venire francamente attribuito a
ciò che gli uomini inciviliti vogliono abitualmente nutrirsi di cibo
molle e cotto, e adoperano meno le loro mascelle. Il signor Brace mi ha
informato essere divenuta comune negli Stati Uniti la pratica di svellere ai
bambini alcuni denti molari, perchè la mascella non cresce abbastanza
pel compiuto sviluppo del numero normale dei denti.
Per quello che riguarda il canale alimentare
ho incontrato soltanto un unico caso di rudimento, cioè l’appendice
vermiforme del cieco. Il cieco è una diramazione o diverticolo dell’intestino,
che termina in fondo cieco, ed è lunghissimo in molti dei
più bassi mammiferi erbivori. Nel koala, marsupiale, è
attualmente lungo tre volte quanto il corpo. Talora si protende in un punto
lungo e gradualmente conico, e talora parzialmente ristretto. Sembra che, in
conseguenza del mutamento di cibo o di costumi, il cieco siasi in vari animali
molto raccorciato, e l’appendice vermiforme è rimasta come un rudimento
della parte rimpicciolita.
Che questa appendice sia un rudimento
lo possiamo dedurre dalla sua piccola mole e dal fatto, che il professore
Canestrini ha raccolto, del suo variare nell’uomo. Alle volte manca al tutto,
oppure è molto sviluppata. Talora il passaggio è interamente
chiuso per la metà o i due terzi della sua lunghezza, e la parte
terminale non è che una espansione piatta e solida. Nell’urango questa
appendice è lunga e avvolta; nell’uomo sporge dalla terminazione
del corto cieco, ed è per solito lunga quattro o cinque pollici (da
In alcuni quadrumani, nei lumeri, e
specialmente nei carnivori, havvi un foro accanto al capo inferiore dell’omero,
detto foro sopra-condiloideo, pel quale passa il grande nervo del membro
anteriore, e sovente anche la grande arteria. Ora nell’omero dell’uomo, come
hanno dimostrato il dottor Struthers ed altri, in generale si scorge traccia di
questo passaggio, e talora è benissimo sviluppato, essendo fatto da un
processo dell’osso a mo’ di uncino, terminato da una striscia legamentosa.
Quando questo processo esiste, il grande nervo vi passa invariabilmente in
mezzo, e ciò dimostra con molta evidenza che è l’omologo e il
rudimento del forame sopra-condiloideo degli animali sottostanti. Il professore
Turner calcola, come mi ha assicurato, che questo fatto si presenta una volta
per cento negli scheletri recenti. Ma questo caso non ha in sè grande
importanza, dacchè il forame non è regolarmente presente nei
quadrumani superiori. Non è quindi certo, come mi ha fatto osservare il
signor Busk, che la sua presenza accidentale nell’uomo sia l’effetto di un
residuo o di un regresso ad una primitiva struttura.
Vi è nell’omero un altro forame,
che può venir chiamato intercondiloideo. Questo si presenta in varie
scimmie antropoidi ed altre, ma anche in molti animali più bassi, e per
accidente nell’uomo. È
notevole il fatto che questo forame sembra essere stato molto più
frequente nei tempi antichi che non nei presenti. Il signor Busk ha raccolto le
seguenti prove intorno a questo argomento: il prof. Broca “osservò
questo forame in quattro e mezzo per cento delle ossa delle braccia raccolte
nel cimitero del sud, a Parigi; e nella grotta di Orrony di cui il contenuto
è attribuito al periodo del bronzo, erano perforati fino otto omeri
sopra trentadue; ma questa straordinaria proporzione, siccome egli crede,
può essere attribuita a ciò che la caverna era stata una sorta di
tomba di famiglia. Parimente il signor Dupont trovò il 30 per cento di
ossa perforate nelle caverne della valle della Lesse, appartenenti al periodo
della renna; mentre il signor Leguay, in una sorta di dolmen ad
Argenteuil, osservò che il venticinque per cento delle ossa erano
forate; e Pruner-bey ne trovò il ventisei per cento nella stessa
condizione nelle ossa prese da Vauréal. E non si può lasciare senza menzione
il fatto che Pruner-bey afferma che questa condizione è comune negli
scheletri dei Guanchi”. È
interessante il fatto che le razze antiche, in questo ed in molti altri casi,
presentano più frequentemente strutture che somigliano più a
quelle degli animali sottostanti, che non le razze moderne. Sembra che la
ragione principale di ciò sia che le razze antiche erano in certo modo
più vicine che non le moderne nella lunga linea genealogica ai loro
remoti progenitori simili agli animali.
Nell’uomo l’osso coccige, sebbene non
faccia ufficio di coda, rappresenta evidentemente questa parte degli altri
animali vertebrati. In un primitivo periodo embriogenico è libero, e,
come abbiamo veduto, sporge oltre le estremità inferiori. È stato
riconosciuto, secondo Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire ed altri, che incerti rari
casi di anomalia esso forma un piccolo rudimento esterno, od una coda. L’osso
coccige è breve, e contiene per solito solo quattro vertebre; e queste
si trovano in condizione rudimentale, perchè son fatte, tranne quella,
della base, del solo centro. Son provviste di alcuni piccoli muscoli; uno dl
questi, come ml disse il prof. Turner, è stato appositamente descritto
da Theile come una rudimentale ripetizione dell’estensore della coda, che è
tanto grandemente sviluppato in molti animali.
Il midollo spinale scende nell’uomo
soltanto fino all’ultima vertebra dorsale o alla prima lombare; ma un’appendice
filiforme (il filum terminale) scende lungo l’asse della parte sacrale
del canale spinale, ed anche lungo la parte posteriore delle ossa coccigee. La
parte superiore di questo filamento, come mi ha detto il prof. Turner, è
senza dubbio omologa col midollo spinale; ma la parte inferiore sembra essere
composta solo della pia madre, o membrana vascolare avvolgente. Anche in
questo caso si può dire che l’osso coccige possiede una traccia di
quell’importante parte che è il midollo spinale; sebbene non sia
più racchiusa in un canale osseo. Il fatto seguente, del quale vado pure
debitore al prof. Turner, dimostra quanta stretta analogia siavi fra l’osso
coccige e la coda negli animali sottostanti. Luschka ha testè scoperto
all’estremità delle ossa coccigee un corpo circonvoluto
particolarissimo, che è continuo coll’arteria mediana sacrale; e questa
scoperta indusse Krause e Meyer ad esaminare la coda di una scimmia (Macacus) e
di un gatto, in ognuno dei quali trovarono, sebbene non all’estremità,
un corpo similmente circonvoluto.
Il sistema riproduttore offre varie
parti rudimentali; ma queste differiscono dai casi precedenti per un importante
rispetto. Qui non si tratta di un vestigio di una parte che non appartiene alla
specie in uno stato efficiente; ma di una parte che è sempre presente ed
efficiente in un sesso, mentre nell’altro è rappresentata da un semplice
rudimento. Nondimeno la presenza di questi rudimenti è tanto difficile
da spiegare colla teoria della creazione separata di ogni specie, quanto nei
casi sopra riferiti. Avrò in seguito da ritornare su questi rudimenti, e
mostrerò che la loro presenza in generale dipende soltanto
dall’eredità; vale a dire, di parti acquistate da un sesso e che sono
state parzialmente trasmesse all’altro. Darò qui solo pochi esempi di
così fatti rudimenti. È cosa
ben nota che nei maschi di tutti i mammiferi, l’uomo compreso, esistono
mammelle rudimentali. In parecchi casi queste mammelle si sono sviluppate, ed
hanno prodotto copia di latte. La loro essenziale identità nel due sessi
è pure dimostrata dacchè accidentalmente si accrescono in
entrambi sotto l’azione della rosolia. La vescicula prostatica, che
è stata osservata in molti mammiferi maschi, è ora riconosciuta
essere omologa all’utero femminile, unitamente coll’annesso canale. Non
è possibile leggere la bella descrizione che Leuckart fa di questo
organo, e il suo ragionamento, senza ammettere la giustezza della sua
conclusione. Questo fatto è soprattutto evidente nel caso di quei
mammiferi in cui l’utero genuino femminile si biforca, perchè nei maschi
di quelli la vescicula si biforca del pari. Si potrebbero qui menzionare altre
parti rudimentali che appartengono al sistema riproduttore.
Non è possibile non comprendere
l’importanza delle tre grandi classi di fatti ora riferite. Ma sarebbe qui al
tutto superfluo ricapitolare la serie di argomenti arrecati
particolareggiatamente nella mia Origine delle specie. La struttura
omologica dell’intera forma nei membri della stessa classe si comprende, se noi
ammettiamo la loro discendenza da un progenitore comune, e i loro susseguenti
adattamenti alle mutate condizioni. Con un altro modo di vedere non si
può affatto spiegare la similarità di forma tra la mano dell’uomo
o della scimmia col piede del cavallo, la pinna di una foca, l’ala di un
pipistrello, ecc. Non è una spiegazione scientifica il dire che sono
state tutte formate secondo uno stesso stampo ideale. Rispetto allo sviluppo,
possiamo comprendere chiaramente, secondo il principio delle variazioni che
sopravvengono in un ulteriore e più tardo periodo embriogenico, e colla
eredità in un corrispondente periodo, come vada che embrioni di forme
tanto straordinariamente differenti ritengano ancora, più o meno
perfettamente, la struttura del loro comune progenitore. Non si è mai
data altra spiegazione del fatto meraviglioso che l’embrione dell’uomo, del
cane, della foca, del pipistrello, del rettile, ecc., non si possano
dapprincipio quasi distinguere fra loro. Onde comprendere la presenza di organi
rudimentali, abbiamo solo da supporre che un primiero progenitore possedesse le
parti in questione in stato perfetto, e che mercè il mutamento nel modo
di vivere queste parti siano venute molto riducendosi, sia pel solo difetto di
esercizio, oppure per la scelta naturale di quegli individui, i quali erano
meno provvisti di una parte superflua, concorrendo gli altri mezzi indicati
precedentemente.
Così noi possiamo comprendere
come sia avvenuto che l’uomo e tutti gli altri animali vertebrati siano stati
costrutti sopra un solo modello, perchè passino per alcuni primieri
stadi di sviluppo, e perchè conservino certi rudimenti in comune. In
conseguenza noi dobbiamo francamente riconoscere la loro comune origine;
pensando diversamente, bisognerebbe ammettere che la nostra propria struttura e
quella di tutti gli animali che ci circondano non sia altro che un tranello per
ingannare il nostro giudizio. Questa conclusione acquista molta forza, se
guardiamo i membri di tutte le serie animali, e consideriamo l’evidenza che
deriva dalle loro affinità o classificazioni, dalla loro distribuzione
geografica e dalla loro successione geologica. È solo un nostro pregiudizio naturale, e quella superbia
dei nostri antenati che li fece dichiararsi discendenti da semidei, che
c’induce a dubitare di questa conclusione. Ma non è lontano il giorno in
cui parrà strano che naturalisti buoni conoscitori della struttura
comparata e dello sviluppo dell’uomo e degli altri mammiferi, abbiano potuto
credere che ognuno di essi fosse l’opera di un atto separato di creazione.
COMPARAZIONE FRA LA POTENZA MENTALE DELL’UOMO
E QUELLA DEGLI ANIMALI SOTTOSTANTI.
La differenza
fra le facoltà inferiori della scimmia più elevata e del
selvaggio più digradato è immensa – Alcuni istinti sono comuni –
Emozioni – Curiosità – Imitazione – Attenzione – Memoria –
Immaginazione – Ragione – Miglioramento progressivo – Utensili ed armi
adoperati dagli animali – Linguaggio – Consapevolezza di sè – Senso del
bello – Credenza in Dio, in agenti spirituali, superstizioni.
Nel precedente capitolo abbiamo veduto
che nella struttura del suo corpo l’uomo porta tracce evidenti della sua
origine da qualche forma più bassa; ma si potrebbe soggiungere tuttavia
che siccome l’uomo differisce tanto grandemente nella sua potenza mentale da
tutti gli altri animali, possa essere erronea questa conclusione. Senza dubbio
la differenza per questo riguardo è enorme, anche se compariamo
l’intelligenza del selvaggio più digradato, quello che non ha vocaboli
per esprimere un numero superiore a quattro, non adopera termini astratti per
indicare gli oggetti o gli affetti più comuni con quello della
scimmia più elevata nella sua organizzazione. Certo la differenza
sarebbe ancora immensa qualora si trattasse di una scimmia migliorata e
incivilita quanto lo è il cane rispetto al suo antenato il lupo o lo
sciacallo. Gli abitatori della Terra del fuoco sono collocati fra i selvaggi
più bassi; ma fu per me sempre una continua meraviglia vedere come i tre
indigeni di quel paese, portati a bordo della nave inglese Beagle, dopo
aver vissuto alcuni anni in Inghilterra, ove avevano imparato a parlare un po’
d’inglese, rassomigliassero a noi nelle attitudini e in molte delle nostre
facoltà mentali. Se nessun essere organico, tranne l’uomo, fosse stato
dotato di potenza mentale, oppure se questa potenza dell’uomo fosse di natura
al tutto diversa da quella degli animali sottostanti, noi non avremmo mai
potuto convincerci che le nostre alte facoltà siano andate man mano
sviluppandosi. Ma si può dimostrare con molta evidenza che non v’ha
nessuna fondamentale differenza di questa sorta. Dobbiamo pure ammettere che vi
è una distanza molto maggiore fra la potenza mentale di uno degli infimi
pesci, come una lampreda od un Amphioxus lanceolatus, ed una delle
scimmie più perfette, che non fra una scimmia e l’uomo; tuttavia questo
immenso intervallo è colmato mercè innumerevoli gradazioni.
Non è lieve neppure la
differenza nelle disposizioni morali fra un barbaro, come quello descritto
dall’antico navigante Byron, il quale schiacciò contro gli scogli un suo
figliuolo perchè aveva lasciato cadere un panierino di ricci di mare, ed
un Howard od un Clarkson; e nell’intelletto, fra un selvaggio che non fa uso di
vocaboli astratti, e Newton e Shakespeare. Questa sorta di differenze fra gli
uomini superiori delle razze più elevate ed i selvaggi più
degradati si rannodano con lievissime gradazioni. Quindi è possibile che
possano scomparire e svilupparsi le une nelle altre.
Mi propongo in questo capitolo di
dimostrare soltanto che non v’ha differenza fondamentale fra l’uomo ed i
mammiferi più elevati per ciò che riguarda le loro facoltà
mentali. Ogni divisione di questo argomento può venire svolta in un
lavoro separato, ma qui deve essere trattato brevemente. Siccome non è
stata accettata universalmente nessuna classificazione delle potenze mentali,
io disporrò le mie osservazioni nell’ordine più conveniente al
mio scopo; e sceglierò quei fatti che mi hanno maggiormente colpito,
sperando che possano produrre lo stesso effetto sul lettore.
Per ciò che riguarda gli animali
che stanno molto in basso nella scala, avrò da aggiungere alcuni fatti
addizionali nel capitolo della Scelta sessuale, per dimostrare che le
loro potenze mentali sono assai più elevate di quello che si sarebbe
potuto supporre. La variabilità di queste facoltà fra individui
della medesima specie è per noi un punto importantissimo, e ne
darò qui alcuni esempi. Ma sarebbe superfluo entrare in troppi
particolari su questo argomento, mentre io mi sono assicurato, dopo aver preso
molte informazioni, che tutti quelli che hanno avuto che fare per lungo tempo
con animali di molte sorta, compresi gli uccelli, sono unanimemente di opinione
che esiste fra i vari individui una grande diversità in ogni
caratteristica mentale. In qual modo siansi sviluppate dapprima le potenze
della mente negli organismi inferiori, è una ricerca senza speranza, al
par di quella intorno al modo in cui siasi sviluppata la vita. Questi
sono problemi serbati per un lontano avvenire, se pure l’uomo riuscirà
mai a scioglierli.
Siccome l’uomo è fornito degli
stessi sensi come gli animali sottostanti, le sue intuizioni fondamentali
debbono essere le stesse. L’uomo ha pure comuni con essi alcuni istinti, come
quello della propria conservazione, l’amore sessuale, quello della madre pel
suo nato, la facoltà di quest’ultimo di poppare, e così via
dicendo.
Ma l’uomo, forse, ha un minor numero
d’istinti di quello che abbiano gli animali che lo seguono immediatamente nella
serie degli esseri. L’urango delle isole orientali, e lo scimpanzè
dell’Africa, si costruiscono piattaforme per dormire; e siccome queste due
specie hanno lo stesso costume, si potrebbe asserire che ciò è
prodotto dall’istinto: ma non possiamo essere ben certi che questo fatto non
sia invece l’effetto di una somiglianza di bisogni e di potenza di ragionamento
pari in entrambi questi animali. Per quanto possiamo riconoscere, queste
scimmie sanno distinguere e scansare molti frutti velenosi dei tropici, e
l’uomo non possiede questa cognizione; ma siccome i nostri animali domestici
quando vengono portati in paesi forestieri e condotti al pascolo in primavera
mangiano spesso erbe velenose, che in seguito imparano a scansare, così
noi non possiamo esser certi che le scimmie non abbiano imparato per
l’esperienza propria o quella dei loro genitori a scegliere i frutti. È
tuttavia cosa certa, come vedremo ora, che le scimmie hanno un terrore
istintivo dei serpenti, e probabilmente anche di altri animali pericolosi.
È notevole il piccolo numero e
la comparativa semplicità degli istinti negli animali superiori in
riscontro a quelli degli animali inferiori. Cuvier asseriva che l’istinto e
l’intelligenza stanno in ragione inversa l’uno dell’altra; ed alcuni hanno
creduto che le facoltà intellettuali degli animali superiori siansi
gradatamente sviluppate dai loro istinti. Ma Pouchet, in un interessante lavoro
ha dimostrato che non esiste in realtà una cosiffatta ragione inversa.
Quegli insetti i quali sono dotati di più meravigliosi istinti sono
certamente i più intelligenti. Nella serie dei vertebrati, i meno
intelligenti come i pesci e gli anfibi, non sono forniti di istinti complessi;
e fra i mammiferi l’animale più notevole pei suoi istinti, cioè
il castoro è intelligentissimo, come potranno persuadersene coloro che
abbiano letto l’eccellente lavoro del signor Morgan intorno a questo animale.
Quantunque i primi barlumi
dell’intelligenza, secondo il signor Herbert Spencer, siansi sviluppati
mercè il moltiplicarsi e il coordinarsi delle azioni riflesse, e
quantunque molti fra i più semplici istinti siansi gradatamente mutati
in azioni di questa sorta, e possano appena distinguersene, come nel caso del
poppare dei giovani animali, nondimeno gli istinti più complessi
sembrano essere stati originati indipendentemente dalla intelligenza. Tuttavia
sono ben lontano dal voler negare che le azioni istintive possano perdere il
loro carattere costante ed indelebile, ed essere sostituite da altre compiute
mercè l’aiuto della libera volontà. D’altra parte alcune azioni
intelligenti, come quando gli uccelli delle isole oceaniche imparano a sfuggire
l’uomo per la prima volta, compiute per lo spazio di molte generazioni, si
convertono in istinti e divengono ereditarie: allora si possono considerare
come scadute di carattere, perchè non si compiono più per opera
della ragione o dell’esperienza. Ma il maggior numero degli istinti più
complessi sembra essere venuto in un modo al tutto diverso, cioè per
mezzo della scelta naturale delle variazioni di più semplici azioni istintive.
Cosiffatte variazioni sembrano essere originate dalle stesse cause ignote che
agiscono sulla organizzazione del cervello, che inducono lievi variazioni o
differenze individuali in altre parti del corpo; e queste variazioni, a cagione
della nostra ignoranza, vengono sovente dette originate spontaneamente. Credo
che non possiamo giungere ad altra conclusione per ciò che riguarda
l’origine degli istinti più complessi, se pensiamo al meraviglioso
istinto delle operaie sterili delle formiche e delle api, che non lasciano
prole cui trasmettere colla eredità gli effetti della esperienza e della
modificazione nei costumi.
Quantunque un grado elevato di
intelligenza sia certamente compatibile colla esistenza di istinti complessi,
come vediamo negli insetti testè menzionati e nel castoro, non è
improbabile che possano fino a un certo punto incepparsi reciprocamente nel
loro sviluppo. Poco si sa intorno alle funzioni del cervello, ma possiamo
scorgere che quanto più le forze della intelligenza sono sviluppate,
tanto più le varie parti del cervello debbono essere collegate fra loro
per via dell’intreccio dei più intricati canali e in conseguenza ogni
parte separata avrà forse una tendenza a divenire meno acconcia a
rispondere in un modo definito ed uniforme, cioè istintivo, alle
particolari sensazioni o associazioni.
Ho creduto utile fare questa
digressione, perchè possiamo agevolmente tenere in minor conto le forze
mentali degli animali superiori, e specialmente dell’uomo, quando compariamo le
loro azioni fondate sulla memoria di passati avvenimenti, sulla previdenza,
sulla ragione e sull’immaginazione, con azioni esattamente simili compiute per
istinto dagli animali inferiori; essendo in quest’ultimo caso la attitudine a
compiere cosiffatte azioni stata acquistata passo a passo per mezzo della variabilità
degli organi della mente e della scelta naturale, senza nessuna intelligenza
consapevole per parte dell’animale durante ogni successiva generazione. Non
v’ha dubbio che, come ha dimostrato il signor Wallace, una gran parte delle
opere intelligenti fatte dall’uomo son dovute all’imitazione e non al
ragionamento: ma vi è questa grande differenza fra le sue azioni e
quelle degli animali più bassi, che l’uomo può nella sua prima
prova fare una accetta di pietra o uno schifo colla sua facoltà imitatrice.
Egli deve imparare colla pratica a compiere la sua opera; invece un castoro
può fare la sua diga o il suo canale, ed un uccello il suo nido, tanto o
quasi tanto bene la prima volta che lo imprende, quanto se fosse vecchio e
pieno di esperienza.
Ma torniamo al nostro principale
argomento: gli animali sottostanti sentono evidentemente come l’uomo il piacere
e il dolore, la felicità e la infelicità. La felicità
è molto chiaramente espressa dai giovani animali, come i cagnolini, i
gattini, gli agnelli, ecc., quando si trastullano fra loro come i nostri propri
bambini. Anche gli insetti si divertono insieme, come ha descritto
quell’eccellente osservatore che è P. Huber, che vide le formiche
corrersi dietro cercando di mordersi per giuoco come fanno i cagnolini.
Il fatto che gli animali a noi
sottostanti risentano le medesime emozioni che risentiamo noi stessi è
tanto evidentemente fermato, che non è necessario tediare il lettore
riferendo molti particolari. Il terrore ha la stessa azione sopra di essi come
sopra di noi, facendone tremare i muscoli, battere il cuore, rilasciare gli
sfinteri, e drizzar i peli. Il sospetto, generato dal timore, è
eminentemente caratteristico della maggior parte degli animali selvatici. Il
coraggio e la timidezza sono facoltà che variano sommamente negli
individui della medesima specie, come si vede chiaramente nei nostri cani.
Certi cani e certi cavalli hanno indole cattiva e s’imbronciano facilmente;
altri posseggono un buon carattere; e queste facoltà sono certamente ereditarie.
Ognuno sa quanto siano gli animali inclinati alla collera furiosa e quanto
chiaramente la dimostrino. Si sono pubblicati molti aneddoti, probabilmente
veri, intorno alla lungamente celata ed artificiosa vendetta di vari animali. I
diligenti osservatori Rengger e Brehm affermano che le scimmie americane ed
africane che avevano in domesticità, certamente si vendicavano. È noto l’amore del cane pel suo
padrone; e tutti sanno che nell’agonia della morte egli accarezza il padrone; e
ognuno può aver sentito dire che il cane che soffre mentre viene
sottoposto a qualche vivisezione lecca la mano dell’operatore; quest’uomo, a
meno di avere un cuore di sasso, deve provare rimorso fino all’ultima ora della
sua vita. Come ha osservato Whewel, “Colui il quale legge gli esempi commoventi
dell’amor materno, riferiti tanto spesso, delle donne di ogni nazione e delle
femmine di tutti gli animali, può egli mettere in dubbio che il
principio dell’azione non sia lo stesso in ambi i casi?”.
Noi vediamo l’amore materno dimostrato
fino nei più minuti particolari; così Rengger osservò una
scimmia americana (un cebo) che stava scacciando diligentemente le mosche
che tormentavano il suo piccolo; e Duvaucel vide un ilobate che lavava il viso
del suo piccolo ad un ruscello. Il dolore della perdita dei loro nati è
così potente nelle scimmie femmine, che fu causa certa della morte di
alcune specie tenute prigioniere da Brehm nel nord dell’Africa. Le scimmie
orfane venivano sempre adottate e custodite con gran cura da altre scimmie,
tanto maschi che femmine. Un babbuino femmina era di tanto cuore che non solo
adottava le giovani scimmie di altre specie, ma rubava cagnolini e gattini, che
si portavano continuamente in giro. Tuttavia la sua amorevolezza non giungeva
al punto di dare alla famigliuola adottiva una parte del suo cibo, ciò
che sorprendeva Brehm, perchè le sue scimmie dividevano ogni cosa di
buon grado coi loro propri piccini. Un gattino adottato in tal modo
graffiò un giorno il suddetto amorevole babbuino, il quale certo era
dotato di molto ingegno, perchè rimase al tutto attonito vedendosi
graffiato, ed osservò subito le zampe del gattino, e senza esitare gli
strappò via coi denti le unghie. Ho inteso dire da un custode del
Giardino zoologico di Londra che un vecchio babbuino (C. chacma) aveva
adottato una scimmia Rhesus; ma quando vennero messi nella sua gabbia un
giovane drillo e un mandrillo, egli sembrò accorgersi che quelle
scimmie, sebbene fossero specie distinte, gli erano parenti più
prossimi, perchè respinse il Rhesus e adottò gli altri
due. Il giovane Rhesus, come potei vedere, fu molto indispettito di
quell’abbandono, e, come un ragazzo stizzoso, cercava di annoiare e stuzzicare
il giovane drillo ed il mandrillo, ogniqualvolta poteva farlo senza pericolo:
questa condotta eccitava molto risentimento nel vecchio babbuino. Le scimmie
pure, secondo Brehm, sanno difendere il padrone quando venga aggredito
da qualcheduno, quanto possono farlo i cani affezionati contro le aggressioni
di altri cani. Ma qui siamo entrati nel terreno della simpatia, ove ritorneremo
poi. Alcune delle scimmie di Brehm si dilettavano a tormentare un certo vecchio
cane che era loro antipatico, come pure altri animali.
Una gran parte delle emozioni
più complesse sono comuni agli animali più elevati ed a noi.
Ognuno può aver veduto quanta gelosia dimostri il cane se il padrone
prodiga il suo affetto ad un’altra creatura, ed io ho osservato lo stesso fatto
nelle scimmie. Ciò dimostra che non solo gli animali amano, ma sentono
il desiderio di essere amati. È
chiaro che gli animali sono sensibili alla emulazione. Amano l’approvazione e
la lode; ed un cane che porta in bocca il panierino del padrone mostra in sommo
grado la sua soddisfazione o il suo orgoglio. Credo che non si possa mettere in
dubbio che il cane senta la vergogna ben diversa dal timore, e un non so che
come di modestia quando troppo spesso viene a chiedere il cibo. Un cane grosso
non bada punto ai deboli latrati di un cane piccolo; ciò può
essere considerato come magnanimità. Parecchi osservatori hanno
affermato come cosa sicura che le scimmie si offendono quando vengono burlate,
e talora credono ad offese immaginarie. Io vidi nel Giardino zoologico di
Londra un babbuino andare su tutte le furie quando il suo custode traeva di
tasca una lettera od un libro e glie lo leggeva ad alta voce e la sua rabbia
era così grande, che una volta lo vidi mordersi una gamba fino a farla
sanguinare.
Noi ora ci rivolgeremo alle emozioni e
facoltà più intellettuali, che sono importantissime perchè
formano la base dello sviluppo delle forze mentali più elevate. Gli
animali godono evidentemente nell’eccitamento e soffrono la noia, come si può
vedere nel cani, e secondo Rengger, nelle scimmie. Tutti gli animali sentono la
meraviglia, e molti mostrano curiosità. Talvolta quest’ultima
facoltà reca loro danno, come quando il cacciatore si atteggia
buffamente e li attira in tal modo; io ho osservato questo coi cervi, e segue
lo stesso con vari camosci e con alcune specie di anatre selvatiche. Brehm
riferisce alcuni curiosi ragguagli intorno al terrore istintivo che
dimostravano le scimmie pei serpenti; ma la loro curiosità era
così grande che non potevano a meno di soddisfare, quando ne avevano il
destro, il loro orrore in un modo quasi umano, alzando il coperchio della
scatola ove stavano racchiusi i serpenti. Rimasi tanto sorpreso da questo
ragguaglio, che presi un serpente impagliato e lo portai nella gabbia delle
scimmie del Giardino zoologico di Londra, e l’eccitamento che quella vista
cagionò là dentro fu uno degli spettacoli più curiosi cui
io abbia mai assistito. Fra i più spaventati v’erano tre specie di
cercopiteci: essi balzavano qua e là per la gabbia mandando gridi
particolari di allarme, che erano compresi dalle altre scimmie. Solo alcune giovani
scimmie ed un vecchio babbuino Anubis non badarono al serpente. Allora posi il
mio esemplare impagliato sul pavimento di uno degli scompartimenti più
larghi. Dopo un certo tempo tutte le scimmie si raccolsero intorno formando un
largo cerchio, e cogli sguardi intenti presentavano un aspetto sommamente
ridicolo. Divennero tutte molto eccitate; cosicchè quando una palla di
legno che serviva loro giornalmente di trastullo venne per caso mossa nella
paglia ov’era quasi nascosta, fuggirono via all’istante tutte sgomente. Queste
scimmie si comportavano diversamente quando nelle loro gabbie si metteva un
pesce morto, un topo, o qualche altro insolito oggetto; perchè sebbene a
prima vista fossero spaventate, si accostavano in breve e li prendevano in mano
per esaminarli. Posi allora un serpente vivo in un sacco di carta, colla bocca
ben chiusa, in uno dei più vasti scompartimenti. Una scimmia si
accostò subito, aperse con precauzione un tantino il sacchetto, vi
guardò dentro e subito fuggì via. Allora fui testimonio di
ciò che ha descritto Brehm; cioè le scimmie, una dopo l’altra,
col capo sollevato e rivolto da un lato, non poterono resistere alla
curiosità che le spingeva a dare un’occhiatina nel sacco per vedere lo
spaventoso oggetto che se ne stava tranquillamente al fondo. Sembrerebbe anche
che le scimmie abbiano una certa nozione delle affinità zoologiche,
perchè quelle tenute da Brehm mostrano uno strano, sebbene erroneo,
istintivo terrore delle innocue lucertole e delle rane. Si è veduto
anche un urango rimanere spaventato al vedere per la prima volta una
testuggine.
Il principio dell’Imitazione è
forte nell’uomo, e specialmente nell’uomo in stato di barbarie. Desor ha notato
che nessun animale imita volontariamente un’azione compiuta dall’uomo
finchè risalendo nella scala animale non si giunga alle scimmie, che,
come tutti sanno, sono ridicole imitatrici. Tuttavia, gli animali imitano
talora le loro reciproche azioni; così due specie di lupi che erano
stati allevati da cani impararono ad abbaiare, come fa qualche volta lo sciacallo:
ma se ciò possa venir detto imitazione volontaria, è altra
questione. Da una relazione che ho letta, vi è ogni ragione per credere
che i cagnolini nutriti dai gatti imparano talvolta a leccarsi i piedi e
pulirsi in tal modo il muso: è almeno cosa certa, che ho udita da
persona degna di fede, che alcuni cani si comportano in tal modo. Gli uccelli
imitano il gorgheggio dei loro genitori, e spesso quello di altri uccelli e i
pappagalli sono noti per la facoltà che hanno d’imitare ogni suono che
sentono.
Non v’ha forse facoltà
più importante pel progresso intellettuale dell’uomo quanto la potenza
dell’Attenzione. Gli animali dimostrano chiaramente di essere dotati di
questa facoltà, e ciò si osserva quando un gatto sta attento
spiando da un buco per esser pronto a balzare sulla preda. Gli animali
selvatici sono talvolta tanto assorti in quella aspettazione, che si lasciano
accostare agevolmente. Il sig. Bartlett mi ha fornito una prova curiosa del
come sia variabile questa facoltà nelle scimmie. Un uomo che ammaestrava
scimmie per farle operare, soleva comprare dal Giardino zoologico di Londra le
specie più comuni pagandole circa 125 franchi l’una; egli però
offerse di raddoppiare il prezzo se glie ne avessero lasciate tre o quattro per
pochi giorni onde scegliersene una. Essendogli stato domandato come poteva
sapere in un tempo così breve se una data scimmia sarebbe riuscita una
buona attrice, egli rispose che tutto ciò dipendeva dalla loro potenza
di attenzione. Se mentre egli parlava e spiegava ogni cosa ad una scimmia,
questa invece di stare attenta si distraeva facilmente per una mosca che
volasse sul muro, o per qualche altro oggetto, il caso era disperato. Se coi
castighi cercava di far agire una scimmia disattenta, diveniva dispettosa e
cattiva. Invece una scimmia che stesse bene attenta a lui, poteva venire
benissimo ammaestrata. È quasi superfluo dire che gli animali hanno una
eccellente Memoria delle persone e dei luoghi. Mi è stato detto
da sir Andrea Smith che un babbuino al Capo di Buona Speranza lo riconobbe e si
mostrò allegro rivedendolo dopo un’assenza di nove mesi. Io aveva un
cane che era rustico e scontroso con tutti gli estranei, e volli appunto far
prova della sua memoria dopo un’assenza di cinque anni e due giorni. Mi
accostai alla scuderia ove soleva rimanere, lo chiamai nel mio modo antico; non
mostrò gioia, ma mi venne dietro sul momento, obbedendomi proprio come
se lo avessi lasciato solo una mezz’ora prima. Una serie di vecchie
rimembranze, che per cinque anni erano rimaste sopite, si svegliarono
così repentinamente nella sua mente. Anche le formiche, come ha
dimostrato con tanta evidenza P. Huber, riconobbero le loro compagne che
appartenevano allo stesso formicaio dopo una separazione di quattro mesi. Gli
animali possono certamente in qualche modo giudicare degli intervalli di tempo
passato fra gli avvenimenti seguiti.
L’Immaginazione è una
delle più elevate prerogative dell’uomo. Egli con questa facoltà
unisce, indipendentemente dalla volontà, antiche immagini ed idee, e
crea così brillanti e nuovi effetti. “Un poeta, siccome osserva Giovan
Paolo Richter, il quale deve riflettere se farà dire di sì o di
no ad un suo personaggio, il diavolo se lo porti, non è che salma
inerte”. I sogni ci dànno la miglior nozione di questa nostra potenza;
come dice lo stesso Giovan Paolo: “Il sogno è un’arte poetica
involontaria”. Naturalmente il valore dei prodotti della nostra immaginazione
dipende dal numero, dalla accuratezza e dalla chiarezza delle nostre
impressioni; dal nostro giudizio e dal gusto nello scegliere e respingere
le involontarie combinazioni, e fino a un certo punto dalla nostra potenza a
combinarle volontariamente. Siccome i cani, i gatti, i cavalli e probabilmente
tutti gli animali superiori ed anche gli uccelli, come è affermato da buone
testimonianze, hanno sogni vivaci, e ciò dimostrano coi movimenti e
colla voce, dobbiamo ammettere che posseggano una certa potenza
d’immaginazione.
Fra tutte le facoltà, della
mente umana, si riconoscerà, credo, che la Ragione è la
più elevata. Sono pochi quelli che vorranno negare che gli animali non
siano forniti di un certo potere di ragionare. Si possono vedere costantemente
animali che si fermano, deliberano e risolvono. È un fatto significante che quanto più un
naturalista studia i costumi di un dato animale, tanto più fa larga la
parte alla ragione e minore al semplice istinto. Nei capitoli seguenti vedremo
che alcuni animali affatto al basso della scala danno apparenti prove di un
certo grado di ragione. Senza dubbio spesso è difficile distinguere fra
la potenza della ragione e quella dell’istinto. Così il dottor Hayes
nella sua opera The Open Polar Sea, osservò ripetutamente che i
suoi cani invece di continuare a tirare le slitte riuniti in una massa compatta
si discostavano e si sparpagliavano quando giungevano sul ghiaccio più
sottile, onde il loro peso fosse più equamente distribuito. Sovente
questo era il primo avvertimento che ricevevano i viaggiatori dello
assottigliarsi del ghiaccio e del suo diventare pericoloso. Ora quei cani
agivano essi per l’esperienza di ciaschedun individuo, o per l’esempio di cani
più vecchi e più esperti, o per costumanza ereditaria,
vale a dire per istinto? È
possibile che questo istinto sia derivato da tempi molto antichi, quando i cani
vennero primamente adoperati dagli indigeni a tirare le slitte; ovvero i lupi
artici, primo stipite del cane esquimale, possono avere acquistato
quell’istinto, che li conduceva a non aggredire la preda in brigate compatte
quando erano sopra uno strato sottile di ghiaccio. Questa sorta di questioni
sono molte ardue da sciogliere.
Sono stati riferiti tanti fatti
in varie opere per dimostrare che gli animali sono forniti di un certo grado di
ragione, che non farò qui menzione se non di due o tre esempi, accertati
da Rengger, e ove trattasi di scimmie americane che sono le più basse
del loro ordine. Egli afferma che la prima volta che diede uova alle sue
scimmie, esse le schiacciarono, e in tal modo perdettero buona parte del
contenuto; ma poi ruppero con grazia contro qualche corpo duro un poco del
guscio, e colle dita tolsero i pezzetti di esso. Quando si erano ferite una
volta con qualche oggetto tagliente non lo toccavano più, ovvero lo
prendevano in mano con ogni sorta di precauzioni. Sovente venivano loro dati
pezzetti di zucchero ravvolti nella carta, e talvolta Rengger poneva una vespa
viva dentro la carta, cosicchè quando aprivano in fretta l’involtino
esse venivano punte; ma dopo che ciò fu fatto una volta esse sempre
accostavano l’involtino all’orecchio prima di svolgerlo, per assicurarsi che
non v’era dentro nulla che si movesse. Chiunque non rimanga convinto da fatti
di questa sorta, e da ciò che possiamo osservare nei nostri cani, che
gli animali possono ragionare, non se ne convincerà checchè possa
io aggiungere. Nondimeno voglio citare ancora un fatto che riguarda i cani,
perchè è appoggiato da due distinti osservatori, e può
essere attribuito alla modificazione di un qualche istinto.
Il signor Colquhoun colpì due
anatre selvatiche che caddero sulla riva opposta del fiume: il suo cane
cercò di portarle entrambe insieme, ma non gli fu possibile; allora,
sebbene sino a quel punto non avesse mai strappato una penna ad un uccello,
deliberò di ucciderne una, portò la prima, poi tornò
indietro a prendere la morta. Il colonnello Hutchinson racconta che avendo egli
colpito una volta due pernici ad un tempo, una rimase uccisa e l’altra ferita;
questa corse via e venne raggiunta e presa dal cane, il quale tornando si
imbattè nell’uccello morto: si fermò, evidentemente molto
imbarazzato, e dopo uno o due tentativi, vedendo che non poteva abboccarlo
senza lasciar sfuggire l’uccello ferito, dopo averci riflettuto un momento,
uccise questo deliberatamente dandogli una forte stretta coi denti, poi li
portò tutti e due insieme. Quella fu l’unica volta in cui il cane abbia
fatto volontariamente male ad un capo di selvaggina. Qui dunque v’ha
raziocinio, sebbene non al tutto perfetto, perchè il cane avrebbe potuto
portare prima l’uccello ferito e andare poi a prendere quello morto, come nel
caso delle anatre selvatiche.
I mulattieri del sud America dicono:
“Non vi darò la mula che ha il passo più dolce, ma la mas
racional, quella che ragiona meglio”; e Humboldt aggiunge “questa
espressione popolare, dettata da una lunga esperienza, combatte il sistema di
macchine animate, meglio forse che non tutti gli argomenti della filosofia
speculativa”.
Abbiamo, credo, dimostrato ora che
l’uomo e gli animali superiori, specialmente i primati, hanno in comune alcuni
pochi istinti. Tutti hanno gli stessi sensi, le stesse intuizioni e sensazioni,
– passioni, affetti ed emozioni simili, anche le più complesse; sentono
la meraviglia e la curiosità; posseggono le stesse facoltà di
imitazione, attenzione, memoria, immaginazione e raziocinio, sebbene in gradi
molto differenti. Nondimeno molti autori hanno asserito con insistenza che
l’uomo per le sue facoltà mentali è separato da tutti quanti gli
animali più bassi da una insuperabile barriera. Molto tempo fa io avevo
raccolto un buon numero di cosiffatti aforismi, ma non valgon la pena di essere
riferiti, perchè la loro grande differenza ed il loro numero dimostrano
la difficoltà, se non l’impossibilità, del tentativo. È stato asserito che l’uomo solo
è capace di progressivo miglioramento, che egli solo adopera strumenti o
fa fuoco, addomestica gli altri animali, possiede proprietà, fa uso di
un linguaggio; che nessun altro animale ha la coscienza di se stesso, si
conosce, ha la forza di astrazione o possiede idee generali; che l’uomo solo ha
il senso del bello, è soggetto a capricci, ha sensi di gratitudine, di
mistero, ecc.; crede in Dio, o è fornito di una coscienza. Mi
arrischierò a fare alcune osservazioni intorno ai punti più
importanti ed interessanti fra questi.
L’arcivescovo Sumner asseriva
già che l’uomo solo è capace di un progressivo miglioramento. Per
ciò che riguarda gli animali, osservando solo l’individuo, ognuno che
abbia avuto qualche pratica del tendere trappole sa che gli animali giovani si
prendono con maggiore facilità dei vecchi; e si lasciano avvicinare dal
nemico molto agevolmente. In quanto agli animali vecchi, è impossibile
prenderne molti nello stesso luogo e collo stesso agguato, o distruggerli colla
stessa qualità di veleno; tuttavia non è probabile che tutti
abbiano assaggiato il veleno, ed è impossibile che tutti siano stati
colti al laccio. Essi debbono imparare ad esser cauti vedendo i loro compagni
presi o avvelenati. Nell’America del nord, ove gli animali dalle pellicce sono
stati lungamente perseguitati, essi mostrano secondo le asserzioni unanimi
di tutti gli osservatori, una dose quasi incredibile di sagacia, di cautela e
di malizia: ma gli agguati sono stati adoperati tanto lungamente che è
possibile che l’eredità sia venuta in giuoco.
Se osserviamo le successive
generazioni, o la razza, non v’ha dubbio che gli uccelli ed altri animali
vadano acquistando e perdendo gradatamente la cautela in rapporto coll’uomo o
cogli altri loro nemici; e questa cautela è in gran parte dovuta
all’eredità od istinto, ma in parte è frutto di esperienza individuale.
Un buon osservatore, Leroy, asserisce in quelle parti ove si dà molto la
caccia alle volpi, i giovani quando cominciano a lasciare le loro tane
sono incontestabilmente molto più guardinghi che non i vecchi in quelle
parti ove non sono molto disturbati.
I nostri cani domestici discendono dai
lupi e dagli sciacalli e sebbene non abbiano progredito in malizia, e possano
aver perduto un certo grado di diffidenza e di sospetto, tuttavia han
progredito in certe qualità morali, come in amorevolezza, confidenza,
carattere, e probabilmente nella intelligenza in generale. Il topo delle
chiaviche, o surmulotto, ha conquistato e vinto parecchie altre specie di topi
in tutta Europa, in alcune parti dell’America del nord, nella Nuova
Zelanda, e recentemente in Formosa, come pure nel continente della Cina. Il
signor Swinhoe, che descrive questi ultimi fatti, attribuisce la vittoria del
topo comune sul grosso Mus coninga alla sua maggiore malizia, e
quest’ultima qualità può essere attribuita all’esercizio abituale
di tutte le sue facoltà per sfuggire alla distruzione che ne fa l’uomo,
tanto che quasi tutti i topi meno maliziosi o meno intelligenti sono stati
successivamente distrutti da lui. Lo asserire, senza nessuna prova diretta che
nessun animale nel corso dei secoli abbia progredito nell’intelligenza o
in altre facoltà mentali, è chiamare in campo la questione della
evoluzione della specie. Vedremo in seguito che, secondo Lartet certi mammiferi
viventi che appartengono a parecchi ordini hanno il cervello più grande
di quello dei loro antichi prototipi dell’epoca terziaria.
Si è detto molto sovente che
nessun animale adopera utensili di sorta; ma lo scimpanzè in stato di
natura schiaccia un frutto indigeno, una sorte di noce, con un sasso. Rengger
insegnò molto facilmente ad una scimmia americana a spaccare così
le noci di cocco, ed in seguito l’animale adoperò quel sistema a rompere
ogni sorta di noci, come pure le scatole. Essa toglieva parimenti la pellicola
del frutto, che ha sgradevole sapore. Un’altra scimmia aveva imparato a
sollevare il coperchio di una scatola con un bastoncino, e poi adoperava il
bastoncino come leva a muovere corpi pesanti; ed io medesimo ho veduto
un giovane urango mettere una verghetta in una fessura, far scorrere la mano
dal capo opposto e adoperarla appunto come una leva. Nei casi testè
menzionati i sassi e i bastoncini erano usati come utensili: ma sono pure
adoperati come armi. Brehm asserisce sull’autorità del notissimo
viaggiatore Schimper, che in Abissinia quando i babbuini che appartengono ad
una specie (C. gelada) scendono in schiere dai monti per saccheggiare i
campi, incontrano spesso schiere di un’altra specie (C. hamadryas), e
allora segue un combattimento. I gelada fanno rotolare giù grosse
pietre, che le amadriadi cercano di scansare, e le due schiere, mandando
altissime grida, si slanciano furiosamente l’una contro l’altra. Brehm, quando
accompagnava il duca di Coburgo Gotha, prese parte ad una battaglia con armi da
fuoco contro un esercito di babbuini nel passo di Mensa in Abissinia. I
babbuini per difendersi rotolarono giù dai monti un numero cosiffatto di
sassi, alcuni dei quali grossi come il capo di un uomo, che gli aggressori
dovettero in fretta battere in ritirata; e il passaggio fu allora per un certo
tempo impedito alla carovana. Merita menzione il fatto che quei babbuini
operavano di comune concerto. Il signor Wallace vide in tre occasioni le
femmine degli uranghi, accompagnate dai loro piccoli, “rompere i rami e
staccare grossi frutti spinosi dall’albero Durien, con segni evidenti di
collera, e scagliarli per modo da fare una pioggia di proiettili tale da
impedir loro di avvicinarsi troppo all’albero.
Nel Giardino zoologico di Londra una
scimmia che aveva i denti deboli soleva rompere le noci con un sasso, e i
custodi mi hanno assicurato che dopo averlo adoperato lo nascondeva nella
paglia, e non lo lasciava toccare da nessun’altra scimmia. Così noi
vediamo qui l’idea della proprietà, cosa del resto comunissima in ogni
cane che ha un osso, e in moltissimi, se non in tutti, gli uccelli pel loro
nido.
Il duca di Argyll osserva che il
fabbricare un ordegno per un uso speciale è opera al tutto particolare
all’uomo; e considera che ciò formi un insuperabile abisso fra esso ed
i bruti. Senza dubbio questa è una distinzione importante; ma secondo me
vi è maggior verità nella asserzione del signor Lubbock, che
quando l’uomo primitivo incominciò ad adoperare le selci per qualche suo
uso particolare, le avrà spezzate per caso, o si sarà servito dei
frammenti più taglienti. Da questo primo passo la strada è breve
per giungere a romperle di proposito, e non è troppo lunga per giungere
a foggiarle grossolanamente. Tuttavia questo ultimo progresso, deve aver preso
molti secoli, se giudichiamo dall’immenso intervallo di tempo che è
passato prima che gli, uomini dell’epoca neolitica cominciassero ad arrotare e
levigare i loro utensili di pietra. Spaccando le selci, osserva pure J.
Lubbock, saranno uscite scintille, e arrotandole si sarà svolto calore:
“così possono essere stati originati i due più comuni metodi per
ottenere il fuoco”. La. natura del fuoco doveva essere stata nota nelle tante
regioni vulcaniche ove alle volte la lava scorre in mezzo alle foreste. Le
scimmie antropomorfe, guidate probabilmente dall’istinto, si costruiscono
temporanee piattaforme; ma siccome molti istinti sono grandemente controllati
dalla ragione, i più semplici, come quello di costruirsi una
piattaforma, si possono agevolmente convertire in un atto volontario e consapevole.
Si sa che l’urango si copre di notte colle foglie del pandano; e Brehm
asserisce che uno dei suoi babbuini soleva ripararsi dal calore del sole
ponendosi una stuoia sul capo. In queste ultime abitudini vediamo forse i primi
passi verso alcuna fra le più semplici arti; cioè la grossolana
architettura ed il vestiario, come ebbero origine presso i primi progenitori
dell’uomo.
Linguaggio. – Questa
facoltà è stata con molta ragione considerata come una delle
principali distinzioni fra l’uomo e gli animali ad esso inferiori. Ma l’uomo,
come osserva un giudice molto competente, l’arcivescovo Whately, “non è
il solo animale che possa far uso del linguaggio per esprimere quello che gli
passa per la mente, e comprendere, più o meno, ciò che viene in
tal modo espresso da un altro”. Nel Paraguay il Cebus azarae quando
è eccitato manda almeno sei suoni distinti, che destano una somigliante
emozione in altre scimmie. Noi comprendiamo i movimenti della fisonomia ed i
gesti delle scimmie, come esse in parte comprendono i nostri, secondochè
asseriscono Rengger ed altri. È anche un fatto notevole che il cane
dacchè è divenuto domestico, ha imparato ad abbaiare almeno in
tre o quattro modi diversi. Sebbene l’abbaiare sia un’arte nuova, senza dubbio
le specie selvatiche, gli antenati del cane, esprimevano i loro sentimenti con
varie sorta di gridi. Nel cane addomesticato noi abbiamo il latrato smanioso,
come nella caccia; quello della collera; il grido o l’ululo della disperazione,
quando viene chiuso; quello della gioia quando si avvia a passeggio col
padrone; e quello ben distinto di domanda supplichevole quando desidera che gli
si apra una porta o una finestra.
Tuttavia il linguaggio articolato
è particolare all’uomo; ma questo adopera in comune cogli animali a lui
inferiori grida inarticolate per esprimere il suo desiderio aiutandosi coi
gesti e coi movimenti dei muscoli del volto. Ciò specialmente segue pei
sentimenti più semplici e vivaci, che hanno scarso rapporto colla nostra
più alta intelligenza. Le nostre grida di dolore, di timore, di
sorpresa, di rabbia, unitamente alle azioni appropriate, e il mormorio di una
madre al suo diletto bambino, son più espressivi che qualunque parola.
Non è il solo potere di articolare che distingue l’uomo dagli altri
animali, perchè come tutti sanno, i pappagalli riescono a parlare; ma
è la sua grande facoltà di poter riunire suoni definiti con
definite idee; e questo ovviamente dipende dallo sviluppo delle facoltà
mentali.
Come osserva Horne Tooke, uno dei
fondatori di quella nobile scienza che è la filologia, il linguaggio
è un’arte come fare il pane o far la birra; ma lo scrivere sarebbe stato
un paragone molto più acconcio. Non è certamente un vero istinto
perchè ogni lingua deve essere imparata. Tuttavia differisce moltissimo
da tutte le arti ordinarie, perchè l’uomo ha una tendenza istintiva a
parlare, come vediamo nel balbettare dei nostri bambini; mentre nessun bimbo ha
mai una tendenza istintiva a fare il pane, la birra o scrivere. Inoltre, oggi
nessun filologo suppone che ogni linguaggio sia stato inventato a bella posta;
ognuno si è svolto lentamente e inconsciamente mercè molti passi.
I suoni prodotti dagli uccelli offrono in parecchi casi la più stretta
analogia col linguaggio, perchè tutti i membri della stessa specie mandano
gli stessi istintivi gridi che esprimono le loro emozioni, e tutte le specie
dotate del dono del canto esercitano questa facoltà istintivamente: ma
il canto attuale, e anche le note di richiamo sono imparate dai genitori o da
altri parenti. Questi suoni, come ha dimostrato Daines Barrington “non sono
più innati di quello che sia il linguaggio nell’uomo. I primi tentativi
a cantare si possono paragonare al tentativo imperfetto di un bambino che
balbetta”. I giovani maschi continuano a far pratica, o, come dicono gli
uccellatori, a ricordarsi, per dieci o undici mesi. I loro primi tentativi
dimostrano appena un rudimento del canto futuro; ma a misura che vanno
avanti nell’età possiamo accorgerci che vi riescono, ed alfine si dice
che “compiono la loro canzone”. I nidiacei che hanno imparato il canto di una
specie distinta, come quello dei canarini allevati in Tirolo, insegnano e
trasmettono il nuovo canto alla loro prole. Le lievi differenze naturali del
canto nella medesima specie che abiti diversi distretti possono essere
comparate, appunto come osserva Barrington, ai dialetti delle varie provincie,
e i canti di specie affini ma distinte possono essere paragonati alle lingue
delle diverse razze umane. Ho dato questi particolari per dimostrare che
l’istintiva tendenza ad imparare un’arte non è una facoltà
esclusiva all’uomo.
Per ciò che riguarda poi
l’origine del linguaggio articolato, dopo aver letto per una parte le
interessantissime opere del signor Hensleigh Wedgwood, del rev. F. Farrar, e
del prof. Schleicher, e dall’altra le celebri letture del professore Max Müller, non posso mettere in dubbio che il
linguaggio deve la sua origine alla imitazione e modificazione aiutata dai
segni e dai gesti dei vari suoni naturali, delle voci degli altri animali, e delle
grida istintive dell’uomo. Quando parleremo della scelta sessuale vedremo che
l’uomo primitivo, o meglio alcuni dei primi progenitori di esso, adoperavano
grandemente la loro voce come fanno oggi le scimmie ilobati, producendo cadenze
musicali, cioè cantando: potremo quindi conchiudere da una estesa
analogia, che questa attitudine si sarà esercitata particolarmente
durante gli amori dei sessi, servendo ad esprimere varie emozioni, come
l’amore, la gelosia, il trionfo, e venendo anche adoperata per sfidare i
rivali.
L’imitazione di grida musicali fatta
con suoni articolati deve avere dato origine a vocaboli esprimenti svariate e
complesse emozioni. Quanto poi all’argomento dell’imitazione, esiste una grande
tendenza nelle nostre prossime affini, le scimmie, negli idioti microcefali e
nelle razze umane barbare ad imitare tutto ciò di cui l’orecchio
dà loro contezza. Siccome le scimmie intendono certamente molta
parte di ciò che l’uomo dice loro, e siccome nello stato di natura
mandano grida di allarme per avvertire le compagne, non sembra al tutto
incredibile che qualche animale come la scimmia insolitamente dotato di ingegno
superiore abbia cercato d’imitare il ruggito di una belva tanto per indicare
alle scimmie sue compagne la qualità del pericolo che le minacciava. E
questo sarebbe stato il primo passo nella formazione di un linguaggio.
Mentre la voce si andava sempre
più adoperando, gli organi vocali debbono essersi man mano rinforzati e
perfezionati pel principio degli effetti ereditari dell’esercizio, e ciò
può avere reagito sulla facoltà di parlare. Ma la relazione tra
l’uso continuato del linguaggio e lo sviluppo del cervello deve essere stata
indubbiamente molto più importante. Le potenze mentali di alcuni fra i
primi progenitori dell’uomo debbono essere state molto più sviluppate di
quello che siano in nessuna scimmia esistente oggi; prima anche che fosse
adoperata qualunque, per quanto imperfetta forma di linguaggio; ma possiamo
credere con piena fede che l’uso continuato e il progresso di questa potenza
deve aver reagito sulla mente rendendola atta sempre meglio a formare una lunga
catena di pensieri. Una lunga e complessa serie di pensieri non può
formarsi senza l’aiuto delle parole, siano esse pronunciate, o taciute come non
si può fare un lungo calcolo senza adoperare le figure dell’algebra.
Sembra anche che qualunque ordinaria serie di pensieri abbia bisogno di qualche
forma di linguaggio, perchè una fanciulla sorda, muta e cieca, per nome
Laura Bridgman fu veduta muovere le dita mentre sognava. Nondimeno una lunga
successione di idee vivaci e ben coordinate può passare per la mente
senza l’aiuto di nessuna forma di linguaggio, come vediamo nei sogni prolungati
dei cani. Abbiamo anche veduto che i cani da caccia possono fino a un certo punto
ragionare: e ciò fanno evidentemente senza l’aiuto di un linguaggio.
L’intimo legame che esiste fra il cervello come è oggi sviluppato in noi
e la facoltà di parlare è benissimo dimostrato in quelle curiose
malattie del cervello nelle quali vien lesa particolarmente la parola, come per
esempio quando si perde la memoria dei sostantivi, mentre le altre parole si
pronunciano correttamente. Non vi è maggior improbabilità a
ciò che gli effetti dell’uso continuo degli organi della voce e della
mente siano ereditati, di quello che lo sia la scrittura, che dipende in parte
dalla conformazione della mano, e in parte dalla disposizione della mente; ed
è certo che la facoltà calligrafica si eredita.
Non è difficile vedere la
ragione per cui gli organi ora adoperati per parlare si siano in origine
perfezionati all’uopo, a preferenza di qualunque altro organo: le formiche
hanno nelle loro antenne mezzi notevolissimi per comunicarsi le loro idee;
ciò è dimostrato da Huber, il quale ha speso un intero capitolo
intorno al loro linguaggio. Noi avremmo potuto adoperare le dita come strumenti
efficaci, perchè una persona che sia pratica può riferire ad un
sordo ogni parola di un discorso rapidamente pronunziato in una pubblica
riunione; ma la perdita dell’uso delle nostre mani mentre fossero occupate in
quell’esercizio, sarebbe stato un grande inconveniente. Siccome tutti i
mammiferi più elevati sono forniti di organi costrutti secondo lo stesso
stampo generale dei nostri, e sono adoperati come mezzi di comunicazione, era molto
probabile che, se la facoltà di comunicazione doveva venir migliorata,
quegli stessi organi dovessero sempre più svilupparsi; e ciò si
è compiuto coll’aiuto di nuove e ben acconce parti, cioè la
lingua e le labbra.
Il fatto che le scimmie più elevate
non adoperano i loro organi vocali per parlare dipende senza dubbio
dacchè la loro intelligenza non ha sufficientemente progredito. Il
possesso per parte loro di organi che con una lunga e continua pratica
avrebbero potuto acconciarsi all’uso della parola, sebbene non mai adoperati a
questo scopo, può esser messo a paro col fatto di tanti uccelli che
posseggono gli organi propri del canto, eppure non cantano mai. Così
l’usignuolo ed il corvo hanno organi vocali somigliantemente costrutti, il
primo li adopera in varie fogge di gorgheggi, e l’altro solo a gracchiare.
La formazione di linguaggi differenti e
di specie distinte, e le prove che gli uni e le altre si sono andati
sviluppando con un graduato processo sono in singolar modo le stesse. Ma
possiamo segnare l’origine di molti vocaboli molto più indietro di
quello che non sia pel caso delle specie, perchè possiamo vedere come
siano veramente derivati dall’imitazione di certi suoni. Noi trovammo in
linguaggi distinti notevoli omologie dovute alla comunanza di origine, ed
analogie dovute ad un somigliante processo di formazione. Il modo in cui certe
lettere o suoni mutano quando altri mutano è veramente come un
accrescimento correlativo. In ambi i casi noi abbiamo il raddoppiamento di
parti, gli effetti di una lunga e continua abitudine, e così avanti. La
frequente presenza di rudimenti, tanto nelle lingue quanto nelle specie,
è ancor più notevole. Nella lingua inglese la lettera m
nel vocabolo am significa Io; cosicchè nell’espressione I
am (io sono) si è conservato un rudimento superfluo e inutile.
Parimente nel sillabare le parole sovente rimangono certe lettere come
rudimenti di antiche forme di pronunzia. Le lingue, come gli esseri organici,
possono venire classificate in gruppi e sotto gruppi; e si possono anche
classificare naturalmente secondo l’origine ed artificialmente per altri
caratteri. Le lingue e i dialetti dominanti si sparsero largamente e furono
causa della graduata estensione di altre lingue. Una lingua, come una specie,
osserva sir C. Lyell, una volta estinta non ricompare più.
La stessa lingua non ha due patrie.
Linguaggi distinti possono incrociarsi e confondersi insieme. Noi osserviamo
che ogni lingua varia sempre, e nuovi vocaboli si formano continuamente; ma
siccome vi è un limite alla potenza della memoria, certi vocaboli
isolati, come certi linguaggi interi, vanno gradatamente estinguendosi. Come
osserva con molta ragione Max Muller: “Ferve una continua lotta per la vita fra
i vocaboli di tutte le lingue. Le forme migliori più brevi, più
facili, acquistano sempre maggior credito, e vanno debitrici del loro successo
alla loro propria inerente virtù”. A queste cause più importanti
della prevalenza di certi vocaboli si potrebbe anche aggiungere la
novità; perchè nella mente dell’uomo v’ha un amore potente per
mutare tutte le cose. Il sopravvivere o il conservarsi di certi vocaboli
fortunati nella lotta per l’esistenza è scelta naturale.
La costruzione perfettamente regolare e
meravigliosamente complessa delle lingue di molte nazioni barbare è
stata sovente addotta come prova, o dell’origine divina di quelle lingue, o
dell’arte elevata e della primitiva civiltà dei loro fondatori.
Così F. di Schlegel scrive: “In quelle lingue che sembrano essere
nell’infimo grado di coltura intellettuale, noi osserviamo frequentemente un
altissimo ed elaborato grado di arte nella loro struttura grammaticale. Questo
è specialmente il caso coi Baschi ed i Lapponi, e molti dei linguaggi
americani”. Ma è certamente un errore considerare qualunque linguaggio
come un’arte nel senso che sia stato elaborato e metodicamente formato. Ora i
filologi ammettono che le coniugazioni, le declinazioni, ecc. esistevano in
origine come distinti vocaboli, e che poi furono riunite assieme;
e siccome cosiffatti vocaboli esprimevano le più ovvie relazioni fra gli
oggetti e le persone, non dobbiamo meravigliarci che siano stati
adoperati dagli uomini di moltissime razze durante i primi secoli. Riguardo poi
alla perfezione, il seguente esempio servirà a dimostrare quanto
facilmente possiamo errare: un crinoide talvolta è fatto di non meno di
150.000 pezzi di conchiglia, tutti disposti con perfetta simmetria in linee
raggiate; ma un naturalista non considera come più perfetto questo
animale di uno bilaterale fornito di un numero comparativamente minore di
parti, e neppure se ne manca affatto tranne che sui lati opposti del
corpo. Egli considera giustamente il differenziarsi e lo specializzarsi degli
organi come una prova di perfezione. Così è pei linguaggi; i
più simmetrici e i più complessi non debbono essere messi al di
sopra di quelli irregolari, abbreviati ed imbastarditi, che hanno preso ad
imprestito vocaboli espressivi ed utili forme di costruzione dalle varie razze
conquistatrici, o conquistate, od immigranti.
Da queste poche ed imperfette
osservazioni concludo che la costruzione regolare e sommamente complessa di
molte lingue barbare non è una prova che esse siano state originate da
un atto speciale di creazione. Neppure, come abbiamo veduto, la
facoltà di articolare la parola non offre in se stessa una obiezione
insuperabile alla credenza che l’uomo siasi sviluppato da qualche forma
inferiore.
Coscienza di sè,
individualità, astrazione, idee generali, ecc. – Sarebbe
inutile tentare di discutere queste altissime facoltà, le quali, secondo
parecchi recenti scrittori, costituiscono la sola e compiuta differenza tra
l’uomo e i bruti, perchè appena due soli scrittori sono d’accordo nelle
loro definizioni. Cosiffatte facoltà non possono essere pienamente sviluppate
nell’uomo se non quando le sue potenze mentali abbiano raggiunto un livello
molto elevato, e ciò implica l’uso di un perfetto linguaggio. Nessuno
può supporre che un animale sottostante all’uomo mentre va e viene
faccia riflessioni intorno alla vita e alla morte e simili. Ma possiamo noi
essere certi che un vecchio cane, dotato di eccellente memoria e di qualche
potenza d’immaginazione, come lo dimostra nei suoi sogni, non rifletta mai alle
antiche cacce ed ai piaceri che gli hanno procurato? E questa sarebbe una forma
di coscienza di se stesso. Inoltre, come osserva Büchner, la moglie di un
selvaggio dell’Australia degradata e dedita a opere manuali, che non adopera
quasi vocaboli astratti e non sa contare oltre quattro, non può
esercitare molto queste facoltà, o riflettere intorno al problema della
propria esistenza.
È fuor di questione che gli
animali ritengono la loro mentale individualità. Quando la mia voce
svegliava una serie di antiche associazioni nella mente del cane sopra
menzionato, egli doveva aver conservata la sua individualità mentale,
sebbene ogni atomo del suo cervello abbia sopportato probabilmente più
di un mutamento nell’intervallo di cinque anni. Questo cane può avere
afforzato l’argomento addotto ultimamente per schiacciare tutti gli evoluzionisti,
ed essersi detto: “Io rimango in mezzo a tutte le modificazioni mentali ed i
mutamenti materiali.... La teoria che gli atomi lasciano le loro impressioni,
come un legato agli atomi che prendono il posto lasciato vacante dai primi,
è contraria alla manifestazione della consapevolezza di sè, e
quindi è falsa; ma è la teoria necessaria all’evoluzionismo, in
conseguenza l’ipotesi è falsa”.
Sentimento del bello. – Questo
sentimento è stato dichiarato particolare all’uomo. Ma quando noi
vediamo i maschi degli uccelli sfoggiare pomposamente le loro piume e gli
splendidi colori agli occhi delle femmine, mentre altri uccelli meno bene
adorni non la sfoggiano così, non è possibile mettere in dubbio
che le femmine non ammirino la bellezza dei maschi loro compagni. Siccome in
ogni paese le donne sogliono adornarsi con quelle piume, non può esser
negata la bellezza di cosiffatti ornamenti. Le clamidere, adornando con ottimo
gusto con oggetti colorati i luoghi ove sogliono trastullarsi, come pure certi
uccelli mosca i loro nidi, mostrano con piena evidenza che posseggono il
sentimento del bello. Così pure, per ciò che riguarda il canto
degli uccelli, è certo che i dolci gorgheggi modulati dai maschi durante
la stagione degli amori sono ammirati dalle femmine; e di questo fatto daremo in
seguito alcune prove. Se le femmine degli uccelli fossero state incapaci di
apprezzare la bellezza dei colori, degli ornamenti e della voce dei loro
compagni maschi, tutte le fatiche e le cure di cui questi danno prova nel far
pompa delle loro grazie agli occhi delle femmine sarebbero state spese invano,
e questo non si può assolutamente ammettere. Io credo che non si possa
spiegare perchè certi colori brillanti e certi suoni facciano piacere,
quando sono armoniosi, più di quello che si spieghi la ragione per cui
certi sapori ed odori sono gradevoli; ma è positivo che gli stessi
colori e gli stessi suoni sono ammirati da noi e da molti altri animali
sottostanti.
Il gusto del bello, almeno per
ciò che riguarda la bellezza femminile, non è, nella mente umana,
di una natura speciale; perchè differisce notevolmente nelle diverse
razze di uomini, come vedremo in seguito, e non è al tutto lo
stesso nelle differenti nazioni di una medesima razza. Giudicando dagli orridi
ornamenti e dalla orrida musica che si ammirano da moltissimi selvaggi,
potremmo dire che le loro facoltà estetiche non sono tanto sviluppate
come in certi animali, per esempio negli uccelli. Certamente nessun animale
può esser capace di ammirare certe scene, come il cielo, la
notte, un bel paesaggio od una musica lavorata; ma questi gusti elevati, che
dipendono solo dalla coltura e da associazioni complesse, non sono assaporati
dalle persone barbare od ineducate.
Molte delle facoltà che sono
state d’inestimabile aiuto all’uomo pel suo progressivo avanzamento, come le
potenze dell’immaginazione, della meraviglia, della curiosità, un senso
indefinito del bello, una tendenza all’imitazione, e l’amore dell’eccitamento o
della novità, non possono a meno di aver prodotto i più capricciosi
mutamenti di costumi e di mode. Ho voluto far cenno di questo, perchè
uno scrittore recente ha stranamente insistito sul capriccio, “come una delle
più notevoli differenze tipiche fra i selvaggi e i bruti”. Ma non solo
noi scorgiamo che l’uomo è capriccioso, ma che, siccome vedremo poi,
anche gli animali sottostanti sono capricciosi nelle loro affezioni, nelle
avversioni e nel senso del bello. Vi sono anche buone ragioni per sospettare
che amino la novità per se stessa.
Credenza in Dio – Religione.
– Non vi è nessuna prova che l’uomo in origine sia stato fornito del
nobile sentimento dell’esistenza di un Dio onnipotente. Al contrario vi
è ampia evidenza, derivata non da viaggiatori di passaggio ma da uomini
che hanno vissuto lungamente presso i selvaggi, che hanno esistito e che
esistono ancora numerose razze di uomini che non hanno idea di una o di
più divinità, e non hanno nella loro lingua vocaboli per
esprimere quest’idea. Naturalmente la questione è al tutto distinta da
quella più alta, se esista un Creatore e Regolatore dell’universo; ed a
ciò e stato risposto affermativamente dai più alti intelletti che
siano mai vissuti.
Se, tuttavia, noi comprendiamo col
vocabolo religione la fede in agenti invisibili e spirituali, il caso
è al tutto diverso, perchè questa credenza sembra essere quasi
universale nelle razze meno incivilite. E non vi è grande
difficoltà a comprendere d’onde tal fede abbia avuto origine. Appena si
furono sviluppate in parte le importanti facoltà dell’immaginazione,
della meraviglia e della curiosità, insieme colla potenza, l’uomo
naturalmente avrà anelato a comprendere ciò che seguiva intorno
a sè, ed avrà indefinitamente speculato sulla propria
esistenza. Come ha osservato il signor M’Lennan: “L’uomo deve essersi inventata
qualche spiegazione dei fenomeni della vita; e giudicando
dall’universalità di essa, sembra che la più semplice ipotesi e
la prima che siasi presentata all’uomo sia stata questa, che fenomeni naturali
si debbano riferire alla presenza negli animali, nelle piante, nelle cose, e in
tutte le forze della natura di certi spiriti pronti ad agire, come l’uomo sente
di avere in sè” È probabile che, come ha dimostrato con molta
chiarezza il signor Tylor, i sogni abbiano dato primamente origine all’idea di
spiriti; perchè i selvaggi non distinguono prontamente fra le
impressioni soggettive e le obbiettive. Quando un selvaggio sogna, crede che le
figure che gli appaiono alla mente siano venute da lontano per fermarglisi
dinanzi; “ovvero l’anima del sognatore va in giro, e torna a casa colla rimembranza
di ciò che ha veduto”. Ma finchè le summenzionate facoltà
dell’immaginazione, curiosità, ragione, ecc., non si sono bene
sviluppate nella mente dell’uomo, i suoi sogni non possono averlo indotto a
credere negli spiriti, più di quello che sia pel cane.
La tendenza che hanno i selvaggi ad
immaginare che gli oggetti e gli agenti naturali siano animati da essenze
spirituali o vitali, ha forse un esempio in un fatterello che potei osservare
una volta: il mio cane, animale bene sviluppato e molto sensitivo, stava
sdraiato sul terreno durante una calda e tranquilla giornata; ma poco lungi da
esso una brezzolina faceva muovere un ombrello aperto, al quale il cane non
avrebbe certo badato, se qualcuno fosse stato vicino a quell’ombrello. Intanto
ogni volta questo lentamente si muoveva, il cane brontolava ed abbaiava
fieramente. Egli doveva, credo, aver fatto il ragionamento fra sè in
modo rapido e inconsapevole, che il movimento senza nessuna causa
apparente indicava la presenza di qualche estraneo agente vivo, e che nessun
estraneo aveva il diritto di stare sul suo territorio.
La credenza in agenti spirituali fa
passaggio agevolmente alla credenza nell’esistenza di uno o più Dei:
perchè i selvaggi attribuiranno naturalmente agli spiriti le stesse loro
passioni, lo stesso amore della vendetta o la più semplice forma di
giustizia, e le stesse affezioni che provano essi medesimi. Gli indigeni della
Terra del fuoco sembrano essere per questo riguardo in una condizione
intermedia, perchè quando il chirurgo della nave Beagle sparò
il fucile ed uccise alcune giovani anatre per servirsene come esemplari, York
Minster gli disse con piglio solenne: “Oh! signor Bynoe, molta pioggia, molta
neve, molto vento”; e ciò era evidentemente una punizione per lo
sciupare che egli faceva il nutrimento dell’uomo. Così di nuovo egli
narrò, che quando suo fratello uccise un uomo selvaggio, vennero
terribili uragani e cadde molta pioggia e molta neve. Tuttavia non abbiamo mai
potuto accorgerci che gli indigeni della Terra del fuoco credano in ciò
che noi chiamiamo Dio, o pratichino riti religiosi e Jemmy Button, con giusto
orgoglio, asseriva baldanzoso che nel suo paese non vi era nessun demonio.
Quest’ultima asserzione è la più notevole, perchè è
più comune nei selvaggi la credenza negli spiriti cattivi che non nei
buoni.
Il sentimento di divozione religiosa
è sommamente complesso perchè consta di amore, di compiuta
sommissione ad un essere superiore elevato e misterioso, di un forte sentimento
di dipendenza, di timore, di riverenza, di gratitudine, di speranza
nell’avvenire, e forse di altri elementi. Nessuna creatura potrebbe provare
un’emozione tanto complessa, senza che le sue facoltà morali e
intellettuali abbiano raggiunto un certo grado di elevatezza. Nondimeno noi
vediamo qualche lontano barlume di questo stato della mente nel profondo amore
del cane pel suo padrone, unito ad una piena sommissione, un po’ di timore e
forse altri sentimenti. Il contegno di un cane quando ritorna al suo padrone
dopo un’assenza, e, posso anche aggiungere, quello di una scimmia verso il suo
diletto custode, è molto differente da quello che mostrano al loro
simile. In quest’ultimo caso le dimostrazioni di gioia sono meno intense, ed
ogni azione dimostra il sentimento della uguaglianza. Il professore Braubach giunge
al punto di asserire che il cane considera il suo padrone come un dio.
Le medesime alte facoltà mentali
che hanno primamente indotto l’uomo a credere ad agenti spirituali invisibili,
poi al feticismo, al politeismo ed infine al monoteismo, dovevano infallibilmente
condurlo, finchè la sua potenza del ragionare era ancor poco sviluppata,
a varie strane superstizioni e strani costumi. Molti di questi fanno orrore a
pensarvi – il sacrifizio di esseri umani ad un dio assetato di sangue; le prove
col veleno o col fuoco su persone innocenti, per stregonerie, ecc. – tuttavia
è utile riflettere talora a queste superstizioni, perchè ci
dimostrano quale immenso debito di gratitudine noi dobbiamo avere pel
miglioramento della nostra ragione alla scienza ed allo accumulamento delle
nostre cognizioni. Come ha osservato molto bene sir J. Lubbock, “non si
può abbastanza deplorare l’orribile terrore d’ignoti mali che come una
fitta nube gravano la mente del selvaggio, e gli amareggiano ogni godimento”.
Queste miserabili ed indirette conseguenze delle nostre facoltà
più elevate possono essere comparate cogli errori incidentali ed
occasionali degli istinti degli animali sottostanti.
PARAGONE FRA LE FACOLTÀ MENTALI DELL’UOMO
E QUELLE DEI SOTTOSTANTI ANIMALI.
Senso morale –
Proposizione fondamentale – Qualità degli animali sociali – Origine
della socievolezza – Lotta fra istinti opposti – L’uomo animale sociale – Gli istinti
sociali più tenaci vincono quelli meno persistenti – Virtù
sociali unicamente apprezzate dai selvaggi – Virtù particolari
acquistate in un ulteriore periodo di sviluppo – Importanza del giudizio dei
membri della stessa comunità sulla condotta – Trasmissione delle
tendenze morali – Riassunto.
Io mi unisco pienamente al giudizio di
quegli scrittori i quali asseriscono che di tutte le differenze che esistono
fra l’uomo e gli animali inferiori, la più importante è il senso
morale o la coscienza. Questo senso, come dice Mackintosh, “ha una giusta supremazia
sopra ogni altro principio di azione umana”; e si riassume in quel breve ma
imperioso vocabolo dovere, tanto pieno di alto significato. È il
più nobile di tutti gli attributi dell’uomo, quello che lo spinge senza
esitare un momento a porre in pericolo la sua vita per salvare quella del suo
simile; oppure, dopo debita deliberazione, a sacrificarla a qualche grande
causa, spinto solamente da quel profondo sentimento del giusto o del dovere.
Emmanuele Kant esclama: “Dovere! Meraviglioso pensiero, che non operi nè
per amorevole insinuazione, nè per lusinga, nè per minaccia, ma
solo per mantenere alta nell’anima la tua legge, acquistandoti così
ognora il rispetto, se non sempre l’obbedienza; innanzi a te tutti gli appetiti
rimangono muti, sebbene segretamente ribelli; d’onde la tua origine?”.
Questa grande questione è stata
discussa da molti scrittori di provata abilità; e la mia unica scusa nel
parlarne è l’impossibilità di lasciarla in disparte, e il fatto
che, per quanto mi sappia, nessuno l’ha toccata esclusivamente dal lato della
storia naturale. Inoltre questa investigazione ha in sè qualche
interesse indipendente; è un tentativo per vedere fin dove lo studio dei
sottostanti animali possa spander luce sopra una delle più alte
facoltà dell’uomo.
A me sembra un fatto probabilissimo
questo asserto, che ogni animale fornito d’istinti sociali molto spiccati debba
inevitabilmente acquistare un senso morale o coscienza, appena le sue
facoltà intellettuali siansi sviluppate tanto o almeno
approssimativamente quanto nell’uomo. Perchè in primo luogo, gli
istinti sociali fanno sì che un animale prova piacere nella compagnia
del suo simile, sente un certo grado di simpatia per esso, e fa per lui qualche
servizio. Questi servizi possono essere di una natura definita ed evidentemente
istintiva; o vi può essere solo un desiderio e una premura, come nella
maggior parte degli animali superiori, ad aiutare i propri compagni in certi
modi generali. Ma questi sentimenti e questi servigi non si estendono
menomamente a tutti gli individui della medesima specie, ma solo a quelli della
stessa associazione. In secondo luogo, appena le facoltà mentali
si saranno molto sviluppate, le immagini di tutte le azioni e i movimenti
passati attraverseranno incessantemente il cervello di ogni individuo: e quel
sentimento di scontento che risulta invariabilmente, come vedremo in seguito,
da ogni istinto insoddisfatto, verrà in campo ogniqualvolta
apparirà che l’istinto sociale persistente e sempre presente abbia
voluto cedere il posto a qualche altro istinto, attualmente più forte,
ma non tenace nella sua natura, e non tale da lasciare dietro a sè
nessuna impressione molto vivace. È bene evidente che molti desiderî
istintivi, come la fame, sono per loro stessi di breve durata; e, dopo essere
stati soddisfatti, non lasciano vive e pronte rimembranze. In terzo luogo, dopo
che è stata acquistata la facoltà del linguaggio ed i membri di
una stessa società hanno potuto comunicarsi distintamente i loro
desiderî, deve essersi naturalmente estesa l’opinione che ogni membro doveva
avere per scopo delle sue azioni il pubblico bene. Ma gli istinti sociali
saranno ancora per dare l’impulso all’operare pel bene della comunità,
quando questo impulso venga rinforzato, diretto, e talora anche deviato dalla
pubblica opinione, la forza della quale riposa, come vedremo ora, sulla
istintiva simpatia. Infine, l’abitudine nell’individuo avrà in
ultimo luogo una parte importantissima nella condotta di ogni membro;
perchè gli istinti e gli impulsi sociali, come ogni altro istinto,
acquisteranno grande forza dall’abitudine, come sarebbe l’obbedienza ai
desiderî ed ai giudizi della comunità. Ora dobbiamo discutere intorno a
queste varie proposizioni subordinate, e intorno ad alcune anche con una certa
estensione.
Prima di tutto sarà bene premettere
che non voglio asserire che qualunque animale puramente sociale, qualora
le sue facoltà morali fossero per divenire attive ed elevate quanto
quelle dell’uomo, potrebbe acquistare esattamente lo stesso senso morale che
possediamo noi. Nello stesso modo che vari animali hanno un certo sentimento
della bellezza, sebbene ammirino in complesso oggetti differenti, così
possono avere un sentimento del bene e del male, sebbene li conduca poi a
seguire una linea di condotta grandemente diversa. Se, per esempio, per
prendere un caso estremo, gli uomini fossero allevati precisamente nelle stesse
condizioni di un alveare di api, non c’è guari dubbio che le nostre
femmine nubili crederebbero essere loro sacro dovere, come le api operaie,
quello di uccidere i loro fratelli, e le madri tenterebbero di trucidare le
loro figliuole feconde; e nessuno penserebbe ad opporvisi. Nondimeno l’ape, o
qualunque altro animale sociale acquisterebbe, a me pare, nel nostro supposto
caso, un certo senso del bene e del male, ossia una coscienza. Perchè
ogni individuo avrebbe un senso intimo di possedere certi istinti più
forti o più tenaci, ed altri meno forti o meno tenaci; cosicchè
vi sarebbe sempre una lotta cui terrebbe dietro l’impulso; e si proverebbe
soddisfazione o scontento, quando le impressioni del passato fossero messe in
confronto durante il loro continuo passaggio attraverso la mente. In questo
caso un interno ammonimento direbbe all’animale che sarebbe stato meglio
seguire quell’impulso invece di quell’altro. Una linea di condotta doveva
venire seguita; l’una sarebbe stata la buona, l’altra la cattiva: ma
avrò da tornare su questo.
Socievolezza. – Molte sorta
di animali sono sociali; troviamo anzi specie diverse che vivono insieme, come
per esempio alcune scimmie americane con branchi di cornacchie, di gracchi, di
storni. Anche l’uomo mostra lo stesso sentimento nel forte amore che nutre pel
cane, amore che il cane gli rende con usura. Ognuno può aver notato
quanto sono dolenti i cavalli, i cani, le pecore, ecc., allorchè vengono
separati dai loro compagni; e quanto affetto, almeno i due primi generi,
dimostrino quando sono nuovamente insieme. È curioso meditare intorno ai
sentimenti di un cane, il quale per lunghe ore rimane tranquillo in una stanza
col suo padrone o con qualcuno della famiglia, senza che nessuno ci badi; ma
che quando vien poi lasciato solo per breve tempo si mette ad abbaiare od
urlare desolatamente. Ci limiteremo ad osservare gli animali sociali più
elevati, lasciando in disparte gli insetti, sebbene questi si aiutino
scambievolmente in molti e importanti modi. Il servizio più comune che
gli animali superiori si rendono fra loro è quello di avvertirsi
scambievolmente del pericolo mercè i sensi riuniti di tutti. Tutti i
cacciatori sanno, come osserva il dott. Jaeger, quanto sia difficile
l’accostarsi agli animali che stanno in branchi o in strupi. Non credo che i
cavalli o il bestiame selvatico faccian segnali di pericoli, ma l’atteggiamento
di un individuo qualunque del branco che scopre pel primo un nemico, avverte
gli altri. I conigli battono fortemente colle zampe posteriori la terra, a mo’
di segnale: le pecore ed i camosci fanno lo stesso, ma coi piedi anteriori, e
mandano contemporaneamente un fischio. Molti uccelli e parecchi mammiferi
postano sentinelle, le quali nelle foche si dice siano femmine. Il duce di un
branco di scimmie fa ufficio di sentinella e manda gridi che esprimono il
pericolo o la sicurezza. Gli animali sociali si rendono fra loro scambievoli
servigi: i cavalli si morsecchiano, e le vacche si leccano le une le altre in
ogni punto ove sentono prurito o pizzicore: le scimmie si liberano
scambievolmente dagli esterni parassiti; e Brehm asserisce che dopo che uno
strupo di Cercopithecus griseoviridis era sbucato fuori da una macchia
piena di spine, ogni scimmia si stendeva sopra un ramo, mentre un’altra scimmia
sedutaglisi accanto le esaminava coscienziosamente il pelo e le toglieva
via ogni spina ed ogni stecco.
Gli animali si rendono anche fra loro
servigi più importanti: così i lupi ed altre fiere fanno la
caccia riuniti in branchi, e si aiutano a vicenda nell’aggredire le loro
vittime. I pellicani pescano d’accordo, i babbuini rovesciano i sassi per
cercare insetti, ecc.; e quando trovano un sasso molto grosso, per cui ci si
possano mettere molti intorno, lo rovesciano insieme e si spartono la preda.
Gli animali sociali si difendono l’un l’altro. I maschi di alcuni ruminanti
vanno ad allogarsi in fronte della mandra quando vi è pericolo e la
difendono colle loro corna. In un altro capitolo narrerò pure i casi di
due giovani buoi selvatici che ne aggredivano di concerto uno vecchio, e di due
stalloni che insieme cercavano di cacciar via da una mandra di cavalle un terzo
stallone. Brehm incontrò in Abissinia un grande strupo di babbuini che
stavano attraversando una valle: alcuni erano già saliti sul monte
opposto, ed alcuni erano ancora nella valle: questi ultimi furono aggrediti dai
cani, ma i vecchi maschi scesero immediatamente in tutta furia dalle rocce, e
colla bocca spalancata mandavano urli così spaventosi, che i cani fecero
una precipitosa ritirata. Questi furono nuovamente incoraggiati a ripetere
l’attacco; ma in quel frattempo tutti i babbuini erano risaliti sulle alture,
tranne un piccino di circa sei mesi, il quale, chiamando aiuto ad alta voce,
era salito sopra una prominenza rocciosa, ove venne in breve circondato. Allora
uno dei maschi più robusti, un vero eroe, discese di nuovo dal monte,
andò lentamente verso il giovine, lo accarezzò, e lo portò
via seco in trionfo, essendo i cani rimasti tanto meravigliati che non
pensarono di rinnovare l’aggressione. Non posso resistere al desiderio di
riferire un’altra scena di cui fu testimonio lo stesso naturalista; un’aquila
aveva abbrancato un giovane cercopiteco, il quale tenendosi stretto ad un ramo
non potè esser portato via subito; intanto egli colle grida pareva
chiamasse aiuto, ed infatti altri membri del branco corsero con gran rumore alla
riscossa, circondarono l’aquila e le strapparono tante penne che non
pensò più alla preda, ma solo a mettersi in salvo. Quell’aquila,
dice Brehm, non avrà certo mai più aggredito una scimmia in un
branco.
È certo che gli animali che
vivono in società hanno un sentimento di scambievole amore che non
provano gli animali non socievoli. È molto dubbio il grado fino al quale
possa in molti casi spingersi la simpatia degli animali pei dolori l’uno
dell’altro, e pei piaceri; segnatamente ciò riguardo a questi ultimi. Il
signor Buxton, tuttavia, il quale aveva eccellenti mezzi per osservare,
asserisce che certi suoi grossi pappagalli del genere Ara, i quali vivevano
liberi in Norfolk, s’erano presi d’uno “strano interessamento” per una coppia
di essi col nido, ed ogni volta che la femmina lasciava questo era circondata
da un branco che “mandava strillanti acclamazioni in suo onore”. È
spesso difficile giudicare se gli animali sentono dolore per le sofferenze dei
loro compagni. Chi può dire che cosa pensano le vacche quando stanno
intorno guardando fissamente una morta o morente compagna? È certo che
talora gli animali son ben lontani dal provare simpatia di sorta; perchè
mandan via dal loro branco un animale ferito, o lo tormentano tanto che finiscono
per farlo morire. Questo fatto è quasi il più brutto che esista
nella storia naturale, a meno che sia vera la spiegazione che ne fu data,
cioè, che il loro istinto o la loro ragione non li induca ad espellere
un compagno ferito onde gli animali rapaci, compreso l’uomo, non siano tentati
a seguire il branco. In tal caso il loro modo di agire non è
peggiore di quello degli Indiani del nord d’America, che lasciano morire i loro
compagni deboli nelle pianure; o degli indigeni della Terra del Fuoco, i quali,
quando i loro genitori divengono vecchi o si ammalano, li seppelliscono vivi.
Tuttavia è cosa certa che molti
animali sentono simpatia pel pericolo o pel male del loro simile. Questo fatto
si osserva anche negli uccelli; il capitano Stansbury trovò in un lago
salato dell’Utah un pellicano vecchio e al tutto cieco, il quale era
grassissimo, per cui doveva essere stato lungamente e abbondantemente nutrito
dai suoi compagni. Il signor Blyth mi disse di aver veduto corvi indiani dar da
mangiare a due o tre dei loro compagni ciechi; ed io ho udito parlare di un
caso analogo in un gallo domestico. Possiamo, se così ci piace, dire che
queste azioni sono istintive; ma fatti di questa sorta sono troppo rari per
aver sviluppato un istinto speciale qualunque. Io stesso ho veduto un cane, il
quale non passava mai innanzi a un gatto suo intimo amico che giaceva ammalato
in un cestino senza lambirlo colla lingua, segno certissimo della benevolenza
di un cane.
Deve chiamarsi simpatia quella che
spinge un cane coraggioso ad avventarsi contro chi colpisce il suo padrone,
perchè è certo un atto della sua volontà. Io vidi una
persona che faceva le viste di percuotere una signora che aveva in grembo un
cagnolino timidissimo, e quella prova non era mai stata tentata. Il piccolo
animale balzò sul momento in piedi, e quando le finte percosse furono
terminate, era commovente vedere con quanta perseveranza egli leccava il volto
della sua padrona come se volesse confortarla. Brehm asserisce che quando un
babbuino in schiavitù veniva inseguito per essere punito, gli altri
cercavano di proteggerlo. Nei casi narrati più sopra, doveva essere la
simpatia quella che spingeva i babbuini ed i cercopiteci a difendere i loro
giovani compagni dai cani e dall’aquila. Riferirò solo un altro esempio
della condotta eroica e piena di simpatia di una piccola scimmia americana.
Parecchi anni or sono uno dei custodi del Giardino zoologico di Londra mi
mostrò alcune ferite profonde e appena cicatrizzate che aveva sul collo,
fattegli da un terribile babbuino mentre stava inginocchiato sul pavimento. La
piccola scimmia americana, che amava molto il suo custode, viveva nello stesso
vasto scompartimento, ed aveva un grande terrore di quel grosso babbuino.
Nondimeno, appena vide in pericolo il custode suo amico, si slanciò alla
riscossa, e a furia di urli e di morsicature distolse per un momento il
babbuino, per cui l’uomo potè sfuggire, dopo aver corso grave pericolo
della vita, come gli disse il chirurgo che lo ha curato.
Oltre l’amore e la simpatia, gli
animali danno prova di altre qualità che in noi si chiamerebbero morali;
ed io sono d’accordo con Agassiz che i cani posseggono qualche cosa che
rassomiglia molto alla coscienza. Certamente son forniti di una certa
padronanza di se stessi che non può essere tutta attribuita al timore.
Come osserva Braubach, un cane si asterrà dal rubare il cibo mentre il
padrone è assente. In ogni tempo i cani sono stati considerati come il
tipo della fedeltà e dell’obbedienza. Tutti gli animali che vivono in
comune, che si difendono scambievolmente ed aggrediscono insieme il loro
nemico, debbono essere, fino ad un certo punto, fedeli l’uno all’altro; e
quelli che seguono un capo debbono avere un certo grado di obbedienza. Quando
in Abissinia i babbuini vanno a saccheggiare un giardino, essi tengon dietro in
silenzio al loro duce, e se un imprudente giovane fa un po’ di rumore, gli
altri gli danno uno scappellotto per insegnargli il silenzio e l’obbedienza; ma
appena hanno certezza che non v’ha pericolo di sorta, tutti mostrano
clamorosamente la loro gioia.
Riguardo poi all’impulso che conduce
certi animali ad associarsi insieme, e prestarsi in vario modo vicendevole
aiuto, possiamo supporre che in moltissimi casi sono a ciò spinti dallo
stesso senso di soddisfazione o di piacere che provano quando compiono altre
azioni istintive; oppure dallo stesso senso di scontentezza che provano in
altri casi di atti istintivi impediti. Noi vediamo questo in un numero
sterminato di esempi, ed è dimostrato in modo evidentissimo dagli
istinti acquistati dai nostri animali domestici; così un giovane cane da
pastore si compiace nel correre intorno ad una greggia di pecore per tenerla
raccolta, ma senza tormentarla; un cane da volpe ama dar la caccia alla volpe,
mentre ho veduto alcune altre specie di cani non badare affatto alle volpi.
Deve essere un sentimento ben forte di intima soddisfazione quello che induce
un uccello, per solito tanto attivo, a rimanere immobile per tanti giorni sulle
sue uova. Gli uccelli migratori sono dolentissimi quando s’impedisce loro di migrare,
e forse godono il piacere di viaggiare nel lungo loro volo. Sono pochi gli
istinti determinati solamente da sentimenti penosi, come dal timore, il quale
conduce alla propria conservazione, od è specialmente diretto contro
certi nemici. Non credo che nessuno possa analizzare le sensazioni del piacere
o del dolore. Tuttavia in molti casi è probabile che gli istinti
provengano persistentemente dal semplice potere della eredità, senza lo
stimolo del piacere o del dolore. Un pointer giovane, quando fiuta per
la prima volta la selvaggina, pare che non possa trattenersi dal puntare. Non
si può dire che uno scoiattolo chiuso in una gabbia, quando rompe le
noci che non può mangiare come se volesse nasconderle sotterra, faccia
così per piacere o per timore. Quindi l’asserzione comune che
l’uomo in ogni sua azione sia spinto dal piacere o dal dolore, potrebbe essere
erronea. Sebbene si possa seguire un’abitudine ciecamente ed implicitamente,
senza che in quel momento si provi un senso di piacere o di dolore, tuttavia
quando venga interrotta per forza e repentinamente, si prova in generale un
senso indefinito di scontento; e ciò è particolarmente vero nel
caso di persone dotate di debole intelletto.
Si è sovente asserito che gli
animali furono in principio fatti per vivere in società e che in
conseguenza di ciò si sentono scontenti quando vengon separati, e
contenti se sono insieme; ma è molto più probabile che queste
sensazioni siansi primieramente sviluppate acciocchè quegli animali cui
sarebbe stato vantaggioso vivere in società, s’inducessero a vivere
insieme: nel modo stesso in cui il senso della fame ed il piacere di mangiare
vennero, certamente, acquistati per i primi onde indurre gli animali a
mangiare. Il sentimento del piacere derivante dalla società è probabilmente
una estensione dell’affetto paterno e filiale; e questa estensione può
venire attribuita in gran parte alla scelta naturale, ma forse in parte alla
semplice abitudine. Perchè in quegli animali che godevano del benefizio
nella vita sociale, gli individui che in società provavano maggior
piacere potevano sfuggire meglio ai vari pericoli; mentre quelli che non si
curavano gran fatto dei loro compagni e vivevano solitari doveano perire in
numero maggiore. Riguardo poi all’origine dell’affetto paterno e filiale, che
per quanto pare sta alla base degli affetti sociali, non vi è speranza
di rintracciarla; ma possiamo dedurre che provennero in gran parte dalla scelta
naturale. Siccome quasi fuori d’ogni dubbio è avvenuto per ciò che
riguarda il sentimento insolito ed opposto di odio fra i più prossimi
parenti, come nel caso delle api operaie che uccidono i maschi loro
fratelli, e delle regine delle api che uccidono le loro figlie regine, qui il
desiderio di distruggere invece di amare i loro più stretti parenti
è stato pel bene della comunità.
L’importantissima emozione della
simpatia è distinta da quella dell’amore. Una madre ama con passione il
suo passivo ed inerte bambino, ma allora non si può dire che senta
simpatia per esso. L’amore dell’uomo pel suo cane è distinto dalla
simpatia, e tale pure è quello del cane pel suo padrone. Adamo
Smith asseriva anticamente, ed oggi ciò conferma il sig. Bain, che la
base della simpatia sta nella nostra forte rimembranza di precedenti stati di
dolore o di piacere. Quindi “la vista di un’altra persona che soffre la fame,
il freddo, la stanchezza, risveglia in noi qualche ricordo di quei momenti, che
sono dolorosi anche in idea”. In tal modo noi siamo indotti ad alleviare le
pene altrui onde mitigare contemporaneamente anche i nostri dolorosi
sentimenti. Nello stesso modo noi partecipiamo ai piaceri degli altri. Ma non
mi riesce di comprendere come questo modo di vedere possa spiegare il fatto,
che la simpatia è in grado immensamente più forte eccitata da una
persona amata che non da una indifferente. La sola vista del soffrire,
indipendentemente dall’amore, basterebbe a svegliare in noi vivaci rimembranze
e associazioni. È possibile che la simpatia sia stata primamente
originata nel modo sopra esposto; ma sembra essere ora divenuta un
istinto, che si svolge in modo speciale verso gli oggetti amati, come il timore
si dirige particolarmente contro certi nemici. Siccome la simpatia riceve
così una direzione, l’amore scambievole dei membri della stessa comunità
estenderà i suoi confini. Senza dubbio una tigre o un leone avranno
simpatia per le sofferenze dei loro piccoli, ma questo sentimento non si
estenderà agli altri animali. Come tutti sappiamo, questo sentimento
negli animali strettamente sociali si deve estendere più o meno a tutti
i membri della società. Nel genere umano è probabile che
l’egoismo, l’esperienza e l’imitazione accrescano forza, come ha dimostrato il
sig. Bain, alla simpatia; perchè la speranza di ricevere un ricambio di
buoni uffici ci induce a compiere verso gli altri atti di simpatia e di
benevolenza; e non v’ha ombra di dubbio che questo sentimento di simpatia
acquista molta forza dall’abitudine. Ma qualunque sia stata l’origine complessa
di questo sentimento, siccome esso è della più alta importanza per
tutti quegli animali che si prestano vicendevole aiuto e difesa, deve essere
stato accresciuto mercè la scelta naturale; perchè quelle
società ove il numero dei membri stretti da scambievole simpatia
sarà stato maggiore avranno meglio prosperato, ed avranno allevato un
numero più grande di prole.
È cosa impossibile, in alcuni
casi, decidere se certi istinti sociali siano stati acquistati per via della
scelta naturale, oppure siano l’indiretto risultamento di altri istinti e di
altre facoltà, come la simpatia, la ragione, l’esperienza e la tendenza
all’imitazione, o anche, se non sono altro che il frutto di una lunga e
continua abitudine. Non si può quasi credere che un istinto tanto
notevole quanto quello di porre sentinelle onde avvertire la comunità di
un pericolo sia il risultamento indiretto di qualunque altra facoltà;
quindi deve essere stato acquistato direttamente. Inoltre, l’uso che hanno
molti maschi di certi animali sociali di difendere la comunità e di
aggredire il nemico o la preda tutti insieme, può essere stato, forse,
originato da reciproca simpatia; ma il coraggio, e in molti casi la forza,
debbono essere venuti precedentemente, forse mercè la scelta naturale.
Fra i vari istinti e le varie
abitudini, alcuni sono molto più forti degli altri, cioè, alcuni
procurano maggior piacere nel loro compimento o maggior dolore per la loro
privazione che non altri; oppure, ciò che probabilmente è in pari
modo importante, essi sono, per via dell’eredità, seguiti con maggiore
persistenza senza che sveglino un sentimento particolare di piacere o di
dolore. Noi stessi sappiamo che vi sono alcune abitudini più difficili
da correggere o da mutare che non altre. Quindi spesso si può osservare
in un animale la lotta che segue fra i differenti istinti, o fra un istinto ed
una abitudine; come per esempio quando un cane si slancia dietro una lepre,
viene sgridato, si ferma, esita, poi ricomincia ad inseguire l’animale o torna
tutto vergognoso al suo padrone; ovvero fra l’amore di una cagna pei suoi
piccoli e pel suo padrone, perchè si vede spesso che se la svigna per
andare a trovare i primi, come se provasse vergogna di non accompagnare il
padrone. Ma il fatto più curioso che io mi conosca di un istinto che la
vince sull’altro, è l’istinto migratore che supera l’istinto materno. Il
primo è prodigiosamente potente; un uccello chiuso in gabbia nella
stagione opportuna al migrare batte col petto nei ferri della sua gabbia,
finchè divien spelato e sanguinolento. Questo istinto fa che i giovani
salmoni saltano fuori dell’acqua dolce, ove potrebbero continuare a vivere,
suicidandosi così senza volerlo. Tutti sanno quanto forte sia l’istinto
materno che induce timidi uccelli ad affrontare un gran pericolo, sebbene con
esitazione e contro l’istinto della propria conservazione. Nondimeno l’istinto
migratore è così potente che nel tardo autunno le rondini e i
balestrucci abbandonano spesso i loro piccoli, lasciandoli perire miseramente
nei loro nidi.
Possiamo bene scorgere che un impulso
istintivo, qualora sia più benefico ad una specie che non qualche altro
od opposto istinto, diverrà più potente mercè la scelta
naturale; perchè quegl’individui in cui esso sarà più
ampiamente sviluppato sopravviveranno in maggior numero. Si può mettere
in dubbio se questo sia il caso per ciò che riguarda l’istinto migratore
in confronto di quello materno. La grande persistenza o l’azione piena di
fermezza del primo in certe date stagioni dell’anno durante tutto il giorno,
può dargli temporaneamente una forza insuperabile.
L’uomo animale sociale. – La maggior
parte delle persone ammettono che l’uomo è un essere sociale. Noi
vediamo ciò nella sua ripugnanza per la solitudine e nel desiderio che
ha della società al di fuori della sua stessa famiglia. La carcere
solitaria è una delle più terribili punizioni che si possano
applicare. Suppongono alcuni autori che l’uomo in principio abbia vissuto in
famiglie isolate; ma oggi, sebbene famiglie isolate, o riunione di due o tre
insieme, scorrano le solitudini di certe contrade selvagge, esse sono sempre,
per quanto mi sappia, in relazione amichevole con altre famiglie che vivono
nello stesso distretto. Quelle famiglie si raccolgono occasionalmente in
consiglio, e si uniscono per la difesa comune. Non è ragionevole dire
che l’uomo selvaggio non è un animale sociale, perchè le
tribù che abitano località adiacenti son quasi sempre in guerra
fra loro; perchè gl’istinti sociali non si estendono mai a tutti
gl’individui di una medesima specie. Giudicando dall’analogia che ci presentano
il maggior numero dei quadrumani, è molto probabile che gli antichissimi
antenati dell’uomo somiglianti alle scimmie fossero pur essi sociali; ma
ciò non ha per noi grande importanza. Quantunque l’uomo come è al
presente, abbia pochi istinti speciali, avendo perduto quelli che potevano avere
i suoi primi progenitori, non è una ragione perchè non abbia
potuto conservare da un periodo sommamente remoto un certo grado di amore
istintivo e di simpatia pel suo simile. Invero siamo tutti ben consci di
possedere cosiffatti sensi di simpatia; ma non siamo consapevoli se siano
istintivi, ed abbiano avuto origine molto tempo addietro nel modo stesso in cui
si sono originati negli animali a noi inferiori, o se ognuno di noi li ha
acquistati durante i nostri primi anni. Siccome l’uomo è un animale sociale
è anche probabile che egli abbia ereditato la tendenza ad essere fedele
a’ suoi compagni, perchè questa qualità è comune alla
maggior parte degli animali sociali. In tal modo egli potrebbe avere una
qualche facoltà di padroneggiarsi, e forse di obbedienza al capo della
comunità. Mercè una tendenza ereditaria, egli sarebbe sempre
volonteroso a difendere, unitamente agli altri, i suoi confratelli, e li
aiuterebbe in ogni modo che non compromettesse troppo il proprio buon essere o
i suoi più forti desiderii.
Istinti speciali guidano quasi
esclusivamente gli animali sociali, che stanno in fondo alla scala, ad aiutare
i membri della stessa comunità, mentre gli animali collocati più
in alto sono ancora da quegli istinti largamente guidati; ma essi sono pure in
parte spinti a ciò fare dall’amore reciproco e dalla simpatia, aiutati
apparentemente da una certa dose di ragione. Sebbene l’uomo, come abbiamo
testè notato, non abbia istinti speciali che gli indichino il modo di
aiutare il suo simile, egli ha tuttavia l’impulso, e colle sue qualità
intellettuali più perfette sarà naturalmente guidato, per questo
riguardo, dalla ragione e dall’esperienza. Parimente la simpatia istintiva gli
farà tenere in gran pregio l’approvazione de’ suoi confratelli;
perchè, come spiega chiaramente il signor Bain, “l’amore della lode, e
il forte sentimento della gloria, e l’orrore ancor più forte del
disprezzo e dell’infamia, sono opera della simpatia”. Quindi nell’uomo i
desiderii, l’approvazione, il biasimo de’ suoi confratelli, dimostrati coi
gesti o colle parole, avranno sopra di esso una potente azione. Così
gl’istinti sociali, che debbono essere stati acquistati dall’uomo quando era in
uno stato molto rozzo, o forse anche da’ suoi primi progenitori simili alle
scimmie, lo spingono a compiere le sue migliori azioni; ma le sue azioni
sono grandemente determinate dai desideri e dai giudizi espressi da’ suoi
simili, e disgraziatamente anche più spesso dai suoi forti ed egoistici
desiderî. Ma siccome l’abitudine rinvigorisce i sensi d’amore e di simpatia e
il potere di padroneggiarsi, e siccome la forza della ragione diviene
più chiara per modo che l’uomo può apprezzare quanto
giusti siano i giudizi de’ suoi confratelli, egli sarà indotto a seguire
una data linea di condotta indipendentemente da ogni piacere o dolore che
potrebbe provare in quel momento. Egli allora può dire: sono il giudice
supremo della mia condotta, e colle parole di Kant: io non voglio violare nella
mia persona la dignità del genere umano.
Gl’istinti sociali più durevoli
vincono i meno persistenti. – Abbiamo tuttavia da considerare
ancora il punto principale che è il pernio sul quale riposa tutta la
questione del senso morale. Perchè un uomo si sente spinto ad obbedire
ad un desiderio istintivo piuttosto che ad un altro? Perchè sente egli
un amaro rincrescimento per aver ceduto al forte senso della propria
conservazione, invece di arrischiare la vita per salvare quella di un suo
simile, o perchè gli rincresce di aver rubato qualche alimento spinto da
una fame crudele?
In primo luogo è evidente che
gl’impulsi istintivi hanno nel genere umano differenti gradi di forza; una
giovane e timida madre, spinta dall’istinto materno, si getterà senza la
menoma esitazione, incontro al maggior pericolo per amore del suo nato, ma non
per salvare un suo simile. Molte volte un uomo, od anche un ragazzo, che non si
erano mai esposti a perdere la vita per altri, ma nei quali erano bene
sviluppati il coraggio e la simpatia, si sono slanciati, contro l’istinto della
propria conservazione, di colpo in un torrente, per salvare un loro simile
prossimo a perire annegato. In questo caso l’uomo è spinto dallo stesso
istintivo movente che fece sì che quella eroica scimmietta americana, di
cui abbiamo parlato sopra, aggredisse il temuto babbuino per salvare il suo
custode. Azioni come quelle da noi menzionate sembrano essere il semplice
effetto della maggior potenza degli istinti sociali e materno sopra qualunque
altro istinto o movente; perchè vengono compiute troppo istantaneamente
per essere opera della riflessione, o della sensazione di piacere o di pena;
sebbene, qualora non fossero state compiute, sarebbero causa di dolore.
So benissimo che alcuni affermano che
quelle azioni che si compiono per impulso, come nei casi sopra menzionati, non
cadono sotto il dominio del senso morale, e non si possono dire morali. Essi
limitano questo nome alle azioni fatte deliberatamente dopo una vittoria sopra
opposti desideri, o alle azioni suggerite da qualche movente elevato. Ma sembra
difficilissimo segnare una linea ben distinta in questo genere, sebbene possa
la distinzione esser vera. Per ciò che riguarda i moventi elevati, si
sono riferiti esempi di barbari, privi di qualunque sentimento di amore per
l’umanità, e non diretti da nessun movente religioso, i quali,
prigionieri, hanno deliberatamente sacrificata la propria vita anzichè
tradire i loro compagni; e certo la loro condotta deve essere considerata come
morale. Per quello che riguarda poi la deliberazione e la vittoria sopra
opposti moventi, possiamo vedere negli animali una certa esitazione fra gli
istinti opposti, mentre stanno per correre a salvare la loro prole o i loro
compagni; tuttavia le loro azioni, quantunque operate pel bene altrui, non sono
chiamate morali. Inoltre un’azione compiuta da noi ripetutamente finirà
per esser fatta senza deliberazione o esitanza, ed allora si distinguerà
appena da un istinto; tuttavia nessuno certamente pretenderà che
un’azione compiuta per quel modo abbia cessato d’esser morale. Anzi noi tutti
crediamo che un’azione non possa esser considerata come perfetta o fatta nel
più nobile modo quando non si compia per impulso, senza deliberazione o
sforzo, nello stesso modo come da un uomo in cui le qualità richieste
sono innate. Tuttavia colui che deve vincere il suo timore o la mancanza di
simpatia prima di agire merita in certo modo maggior lode dell’uomo di cui
l’innata disposizione lo induce ad una buona azione senza il menomo sforzo.
Siccome noi non possiamo distinguere
fra i moventi, abbiamo dato il nome di morali a tutte le azioni di una certa
classe, quando siano compiute da un essere morale. Un essere morale è
quello che può comparare le sue azioni o i suoi moventi passati e
futuri, e approvarli o disapprovarli. Non abbiamo nessuna ragione di supporre
che qualche animale sottostante all’uomo abbia questa capacità; quindi
allorchè una scimmia affronta un pericolo per soccorrere un compagno, o
adotta una scimmia orfana, noi non diciamo che quella condotta è morale.
Ma nel caso dell’uomo, che solo può essere con sicurezza considerato
come un essere morale, una certa classe di azioni vengono chiamate morali, sia
che si compiano con proposito deliberato dopo una lotta fra opposti sentimenti,
o derivino dall’effetto di un’abitudine acquistata lentamente, oppure impulsivamente
per opera dell’istinto.
Ma. torniamo al nostro preciso
argomento; quantunque alcuni istinti siano più preponderanti di altri,
producendo così azioni corrispondenti, pure non si può sostenere
che gli istinti sociali siano per solito più forti nell’uomo, o siano
divenuti più forti mercè una lunga e continua abitudine, che non
gli istinti, per esempio, della propria conservazione, della fame, della
concupiscenza, della vendetta, ecc. Perchè dunque l’uomo sente egli
rincrescimento, anche se cerca di bandire ogni cosiffatto rincrescimento, per
aver seguito un dato impulso naturale, anzichè un altro; e perchè
sente ancora che deve provare rincrescimento per la sua condotta? Per questo
riguardo l’uomo differisce grandemente dai sottostanti animali. Nondimeno noi
possiamo, credo, scorgere con una certa chiarezza la ragione di questa
differenza.
Per l’attività delle sue
facoltà mentali l’uomo non può a meno di riflettere: le
impressioni e le immagini del passato attraversano di continuo e distintamente
la sua mente. Ora in quegli animali che vivono sempre in società gli
istinti sociali sono sempre presenti e durevoli. Questi animali son pronti
ognora a dare il segnale del pericolo, a difendere la comunità, e ad
aiutare i loro compagni secondo i loro costumi; provano in ogni tempo, senza
essere a ciò spinti da una passione o da un desiderio speciale, un certo
grado di amore o di simpatia per essi; sono infelici di essere da loro
separati, e sempre lieti della loro compagnia. Ciò segue anche in noi.
Un uomo che fosse privo di cosiffatti sentimenti sarebbe un mostro snaturato.
Inoltre, il desiderio dì saziare la fame o qualche altra passione, come
sarebbe la vendetta, è per sua natura temporaneo, e per un certo tempo
può essere al tutto soddisfatto. E non è neppure cosa agevole,
per non dire impossibile, svegliare in sè un sentimento vivace, come
sarebbe quello della fame; e invero nemmeno, come è stato spesso notato,
di nessun’altra sofferenza. L’istinto della propria conservazione non si prova
che in faccia al pericolo; e più di un codardo si è creduto pieno
di coraggio finchè non si è trovato al cospetto dell’inimico. Il
desiderio di possedere la roba d’altri è forse uno fra i desiderî
più persistenti che si possono menzionare; ma anche in questo caso la
soddisfazione della possessione attuale è in generale un sentimento
più debole che non il desiderio; molti ladri, quando non siano
già rotti al mestiere, dopo il successo, si meravigliano e non sanno
darsi ragione dell’aver rubato quell’oggetto.
Così, mentre l’uomo non
può impedire che le antiche impressioni gli attraversino di continuo la
mente, sarà spinto a comparare le impressioni affievolite, per esempio,
della fame passata, o della vendetta soddisfatta, o del pericolo sfuggito alle
spese di altri uomini, coll’istinto della simpatia e della benevolenza pel suo
simile, che è sempre presente e sempre, fino a un certo punto, attivo
nella sua mente. Allora egli sentirà nella sua immaginazione che un
istinto più forte ha ceduto ad un altro che sembra ora comparativamente
debole; e quindi proverà inevitabilmente quel senso di scontento di cui
l’uomo è fornito, come ogni altro animale, acciò possa essere
obbedito ogni suo istinto. Il caso menzionato sopra della rondine ci dà
un esempio, sebbene di natura contraria, di un istinto temporaneo, quantunque
in un dato tempo molto persistente, che vince un altro istinto che per solito
domina tutti gli altri. Nella stagione opportuna questi uccelli sembrano essere
tutto il giorno in preda al desiderio di migrare; il loro modo di vivere
cambia; divengono inquieti, rumorosi, e si uniscono in stormi. Mentre la
femmina sta sul suo nido cibando o covando i suoi piccoli, l’istinto materno
è forse più potente di quello della migrazione; ma vince
l’istinto più persistente, ed alla fine, nel momento che non vede
più i suoi nati, prende il volo e li abbandona. Giunto che sia al
termine del suo lungo viaggio, e cessata l’azione dell’istinto migratore, quale
angoscioso rimorso sentirà ogni uccello, se, essendo come è
dotato di grande attività mentale, non potrà impedire che
l’immagine dei suoi piccoli, morenti dal freddo e dalla fame nel pallido
Settentrione, non gli attraversi la mente!
L’uomo, nel momento dell’azione,
sarà certamente spinto a seguire l’impulso più forte; e sebbene
questo possa occasionalmente suggerirgli nobili gesta, tuttavia lo
condurrà più comunemente a soddisfare i suoi propri desideri alle
spese di altri uomini. Ma dopo averli soddisfatti, quando le impressioni
passate ed affievolite saranno in contrasto cogli istinti sociali sempre
persistenti, verrà certamente un ritorno su se stesso. Allora l’uomo si
sentirà scontento di se, e prenderà la risoluzione di operare in
avvenire in modo differente. Questa è la coscienza; perchè la
coscienza guarda alle azioni passate e le giudica, producendo quella sorta di
scontento, al quale se è debole diamo il nome di rammarico, e se
è più forte, di rimorso.
Queste sensazioni sono, indubbiamente,
differenti da quelle che si provano allorchè altri istinti o altri
desiderî rimangono insoddisfatti; ma ogni istinto insoddisfatto ha la sua
propria sensazione, come vediamo colla lame, la sete, ecc. L’uomo così
ammonito acquisterà da una lunga abitudine la piena padronanza di
sè, per cui i suoi desiderî e le sue passioni finiranno per cedere sul
momento alle sue simpatie sociali, e allora non vi sarà più lotta
fra loro. L’uomo ancora affamato, o ancora vendicativo, non penserà
più a rubare il suo nutrimento o a compiere la sua vendetta. È
possibile, o anche, come vedremo in seguito, probabile, che l’abito del
padroneggiar se stesso possa, come altre abitudini, essere ereditato.
Così alla fine l’uomo viene a sentire, mercè l’abitudine acquistata
o forse ereditata, che il suo meglio è di obbedire ai suoi istinti
più persistenti. L’imperiosa parola dovere sembra puramente
rinchiudere in sè l’interna consapevolezza della esistenza di un istinto
persistente, sia esso innato o acquisito in parte, che gli serve di guida,
quantunque possa essere disobbedito. Noi usiamo appena il vocabolo dovere in
un senso metaforico, dicendo che il cane da fermo posta, il pointer punta
e il cercatore cerca la selvaggina. Se mancano in ciò, mancano al
loro dovere ed agiscono male.
Se un desiderio o un istinto qualunque,
che mena ad un’azione contraria al bene altrui, si affaccia tuttavia all’uomo,
ed egli lo tiene nella sua mente, o tanto forte, o più forte del suo
istinto sociale, egli non sentirà un acuto rammarico di averlo seguito;
ma sa benissimo che qualora la sua condotta fosse conosciuta dai suoi
confratelli, sarebbe da essi disapprovata; e son pochi coloro tanto privi di
simpatia da non sentire sconforto quando ciò segue. Se egli non sente
questa simpatia, e se i suoi desiderî che lo inducono a commettere cattive
azioni sono nel tempo stesso potenti, e quando richiamati alla mente non sono
soggiogati dal persistente istinto sociale, allora quell’uomo è
essenzialmente cattivo; e l’unico motivo che lo trattiene è il timore
del castigo e la convinzione che a lungo andare sarà più
vantaggioso ai suoi egoistici interessi considerare il bene degli altri
anzichè il proprio.
È chiaro che chiunque non abbia
difficile la coscienza può soddisfare i propri desiderî, se non si
mettono di mezzo coi suoi istinti sociali, cioè col bene degli altri; ma
per poter essere al tutto esente dalla propria disapprovazione, o almeno da
inquietudine, è quasi necessario che egli eviti ogni disapprovazione,
ragionevole o no, de’ suoi confratelli. Nè deve egli rompere
colle abitudini più forti della sua vita, specialmente se sono sostenute
dalla ragione; perchè ciò facendo sentirà certo scontento.
Deve inoltre evitare la disapprovazione di un Dio o degli Dei, nei quali secondo
la sua fede o la sua superstizione egli possa credere; ma in questo caso il
timore addizionale della punizione divina si aggiunge sovente.
Le virtù strettamente sociali
primitivamente sole considerate. – Le considerazioni suddette intorno
alla prima origine e natura del senso morale, che ci dice ciò che
dobbiamo fare, e la coscienza che ci rimprovera quando disobbediamo ad esso,
concordano bene con quello che vediamo nella primiera e non ancora sviluppata
condizione di questa facoltà del genere umano. Le virtù che
debbono essere praticate, almeno in generale, dagli uomini rozzi, acciò
possano formare una corporazione, sono quelle che vengono sempre considerate
come le più importanti. Ma esse sono praticate quasi esclusivamente in
relazione agli uomini della stessa tribù; e i loro opposti non sono
considerati come delitti in rapporto agli uomini di altre tribù. Nessuna
tribù può star riunita se vi sono comuni l’assassinio, il furto,
il tradimento, ecc. In conseguenza entro i limiti di ogni tribù questi
delitti sono coperti di eterna infamia, ma fuori di quei limiti non
svegliano cosiffatti sentimenti. Un indigeno del nord America è contento
di sè, ed è onorato dagli altri, quando strappa la pelle del capo
ad un uomo di un’altra tribù, ed un Dyak mozza il capo di una persona innocua
e lo fa seccare per tenerselo come trofeo. L’uccisione dei bambini è
stata praticata in grande in tutto il mondo, senza svegliare rimprovero; ma
l’infanticidio, specialmente di femmine, è stato considerato come
vantaggioso per una tribù, o almeno non certo dannoso. Nei tempi antichi
il suicidio non era in generale tenuto in conto di delitto, ma anzi come un
atto onorevole pel coraggio che dimostrava; e presso certe nazioni semi-civili
è ancora grandemente praticato senza svegliare rimprovero, perchè
non si sente in una nazione la perdita di un individuo; qualunque sia la
spiegazione che se ne possa dare, il suicidio è raro presso i barbari;
tuttavia i neri della costa occidentale dell’Africa offrono, come ho udito dire
dal signor Reade, una eccezione per questo riguardo. È stato riferito
che un Thug indiano sentiva un coscienzioso rammarico di non aver strangolato e
derubato tanti viaggiatori come aveva fatto suo padre. In uno stato di rozza
civiltà derubare i forestieri è, invero, considerato generalmente
come cosa onorevole.
II grande delitto della
schiavitù è stato quasi universale, e gli schiavi sono spesso
stati trattati in modo infame. Siccome i barbari non tengon conto dell’opinione
delle loro donne, così le mogli sono comunemente trattate come schiave.
La maggior parte dei selvaggi vedono con indifferenza i patimenti degli
stranieri, o anche ne provano piacere. È cosa nota come le donne e i
bimbi degli indigeni del nord-America aiutassero a torturare i loro nemici.
Alcuni selvaggi si prendono il barbaro piacere d’incrudelire contro gli
animali, e in essi l’umanità è una virtù ignota. Nondimeno
sono comuni i sentimenti di simpatia e di benevolenza, specialmente nel
caso di malattia, fra i membri di una stessa tribù, e talora si
estendono anche oltre i confini di essa. È generalmente noto il
commovente racconto che fa Mungo Park della benevolenza dimostratagli dalle
donne nere dell’interno dell’Africa. Vi sono molti esempi della nobile
fedeltà dei selvaggi fra loro stessi, ma non verso gli estranei; la
più comune esperienza mostra la giustezza di quella massima degli
spagnuoli: “Non ti fidar mai di un Indiano”. Non vi può esser
fedeltà senza la verità; e questa virtù fondamentale non
è rara fra i membri di una medesima tribù: così Mungo Park
ha sentito le donne nere insegnare ai loro bambini ad amare la verità.
Inoltre, questa è una di quelle virtù che mette così
profonde radici nella mente, che talora viene messa in pratica dai selvaggi
anche con proprio danno verso gli stranieri; ma il mentire al vostro inimico
è stato raramente considerato come un male, come del resto dimostra
troppo chiaramente la moderna diplomazia. Appena una tribù ha
riconosciuto un capo, la disobbedienza diviene un delitto, ed anche la
più abbietta sommissione è considerata come una virtù
sacra. Siccome nei tempi più rozzi nessun uomo può rendersi utile
ed esser fedele alla propria tribù, se manca di coraggio, così
questa qualità è stata universalmente messa al più alto posto;
e quantunque nei paesi civili un uomo buono, ma timido, possa rendere maggiori
servigi alla comunità che non un valoroso, non possiamo a meno di
onorare istintivamente quest’ultimo più di quello senza coraggio, per
quanto sia buono. Inoltre, la prudenza, la quale non ha che fare colla prosperità
degli altri, per quanto sia una virtù utile, non è mai stata
molto apprezzata. Siccome nessun uomo può, senza sagrifizio, padronanza
di sè e forza nel sopportare, mettere in pratica le virtù
necessarie al bene della sua tribù, queste qualità sono state in
ogni tempo tenute molto giustamente in altissimo concetto. Il selvaggio
Americano si sottomette senza un lamento alle più orribili torture per
dimostrare ed afforzare la sua fortezza ed il suo coraggio; e noi non possiamo
a meno di ammirarlo, come anche un Fakiro indiano, il quale per un assurdo
principio religioso si dondola sospeso ad un gancio infilzato nelle sue carni.
Le altre virtù riguardanti
gl’individui che non hanno un effetto evidente sebbene possano talora avere un
effetto reale sulla prosperità di una tribù, non furono mai
tenute in gran conto dai selvaggi, quantunque ora presso le nazioni civili
siano altamente apprezzate. Presso i selvaggi, la più grande
intemperanza non è cosa riprovevole. La loro sfrenata dissolutezza, per
non parlare dei delitti snaturati, è qualche cosa che fa trasecolare.
Tuttavia, appena il matrimonio diventa comune, sia esso poligamo o monogamo, la
gelosia trarrà con sè l’inculcare la virtù femminile; e
questa virtù essendo onorata, tenderà ad estendersi in tutte le
donne nubili. Quando lentamente questa virtù vada estendendosi nel sesso
maschile vediamo ai nostri giorni. La castità richiede in sommo grado il
dominio di sè; perciò è stata onorata fino dal più
antico periodo della storia morale dell’uomo civile. In conseguenza di
ciò la sragionevole pratica del celibato e stata considerata fino da
tempi antichissimi come una virtù. L’odio per l’indecenza, il quale ci
sembra tanto naturale da considerarsi come cosa innata, e che è un
così valido sostegno della castità, è una virtù
moderna, che appartiene esclusivamente, come osserva sir G. Staunton, alla vita
civile. Ciò è dimostrato dagli antichi riti religiosi delle varie
nazioni che si osservano nei dipinti di Pompei, e dalle pratiche di molti
selvaggi.
Abbiamo ora veduto che i selvaggi
tengono per buone o cattive, e questo probabilmente era il modo di vedere
dell’uomo primitivo, soltanto quelle azioni che non sono nocevoli
ostensibilmente al buonessere delle tribù – non quello della specie, e
neppure quello dell’uomo come membro individuale della tribù. Questa
conclusione concorda bene colla prudenza che il così detto senso morale
deriva originariamente dagli istinti sociali, perchè entrambi si
riferiscono dapprima esclusivamente alla comunità. Dal nostro punto di
vista, le principali cagioni della poca moralità dei selvaggi sono
principalmente la simpatia limitata alla stessa tribù. In secondo luogo
la insufficiente potenza di ragionamento, per cui non si può riconoscere
la parte che hanno molte virtù, specialmente le virtù
riguardanti l’individuo, al buonessere della tribù. Per esempio i
selvaggi non sanno comprendere i molti mali che derivano dalla mancanza di
temperanza, di castità, ecc. E, in terzo luogo, la scarsa potenza del
padroneggiarsi; perchè questa potenza non si è accresciuta per
lunga e continua e forse ereditata abitudine, per l’istruzione e per la
religione.
Mi sono esteso un tantino intorno alla
immoralità dei selvaggi, perchè certi autori si son fatti
recentemente un alto concetto della loro natura morale, o hanno attribuito la
maggior parte dei loro delitti ad una mal compresa benevolenza. Questi autori
sembrano appoggiare la loro conclusione a ciò che i selvaggi posseggono,
cosa del resto certissima, e spesso in alto grado, quelle virtù che sono
vantaggiose, o anche necessarie per l’esistenza di una comunità.
Osservazioni conclusive. – I filosofi
della scuola derivativa di morale sostenevano dapprima che la base della
moralità consiste in una forma di egoismo; ma più recentemente
nel gran principio della massima felicità. Secondo il modo di
vedere summenzionato, il senso morale è fondamentalmente identico agli
istinti sociali; e per ciò che riguarda gli animali sottostanti sarebbe
assurdo considerare questi istinti come derivanti da egoismo, o dalla felicità
della colonia. Tuttavia, sono certamente stati sviluppati dal bene generale
della comunità. Questo modo di dire, bene generale, può venire
definito siccome il mezzo per cui il maggior numero possibile di individui
possono essere venuti su sani e vigorosi, con tutte le loro facoltà bene
sviluppate nelle condizioni in cui si trovano. Siccome gli istinti sociali
tanto dell’uomo come degli animali a lui inferiori sono stati senza dubbio
sviluppati colla stessa gradazione, sarebbe convenevole, se fosse
praticabile, adoperare in ambi i casi la stessa definizione, e prendere per
prova di moralità il bene e la prosperità della comunità,
piuttostochè la generale felicità; ma questa definizione
richiederebbe forse qualche restrizione a cagione della morale politica.
Quando un uomo mette a repentaglio la
propria vita per salvare quella di un suo simile, sembra più giusto dire
che opera pel bene o per la prosperità generale, piuttostochè per
la felicità generale di tutto il genere umano. Non v’ha dubbio che la
prosperità e la felicità individuale consuetamente si collegano;
ed una tribù contenta e felice sarà più prospera che non
quella che è scontenta ed infelice. Abbiamo veduto che nei primi periodi
della storia dell’uomo, i desideri evidenti della comunità hanno dovuto
avere naturalmente molta azione sulla condotta di ogni membro; e siccome tutti
desiderano la felicità, il principio della più grande
felicità doveva divenire una importantissima secondaria guida e
scopo; gl’istinti sociali, includendo simpatia, fanno sempre opera di
principali impulsi e di guida. Così vien tolto il rimprovero di dar
fondamento alla più nobile parte della nostra natura sul basso principio
dell’egoismo; a meno che, invero, si possano chiamare egoismo la soddisfazione
che ogni animale sente nel seguire i propri istinti, e lo scontento che
prova quando non sono soddisfatti.
L’espressione dei desiderî e quello dei
giudizi dei membri della medesima comunità, dapprima col linguaggio
orale e poi collo scritto, serve, come fu giustamente osservato, di importantissima
secondaria guida di condotta in appoggio degli istinti sociali, ma talora si
oppone ad essi. Quest’ultimo fatto vien bene dimostrato dalla Legge
dell’Onore, che è la legge dell’opinione dei nostri uguali, e non
quella di tutti i nostri compatriotti. La violazione di questa legge, anche
quando è riconosciuto che questa violazione non intacca per nulla la
vera moralità, ha cagionato a molti uomini maggiori angosce che non un
vero delitto. Noi riconosciamo la stessa azione nel vivo senso di vergogna che
la maggior parte di noi abbiamo risentito anche dopo un intervallo di parecchi
anni, quando ci si presentava alla mente alcuna accidentale violazione di
qualche futile ma salda regola di etichetta. Il giudizio della comunità,
in generale, avrà per guida qualche rozza esperienza di ciò che a
lungo andare è il meglio per tutti i membri; ma questo giudizio non di
rado sbaglierà per l’ignoranza e per la poca forza di ragionamento.
Quindi, gli usi più strani e le superstizioni più singolari, che
sono al tutto opposte alla vera prosperità e felicità del genere
umano, sono divenuti onnipotenti per tutto il mondo. Ciò noi vediamo
nell’orrore che prova l’Indiano che viola le leggi della sua casta, nella
vergogna della donna musulmana che mostra scoperto il suo volto, ed un numero
infinito di altri ceti. Sarebbe difficile fare la distinzione fra il rimorso
che prova un Indiano che ha mangiato cibo immondo, da quello che sente dopo
aver rubato; ma è probabile che il primo sia più forte.
Non sappiamo quale origine abbiano
avute certe assurde regole di condotta, e certe sciocche credenze religiose;
nè in qual modo abbiano posto, in tutte le parti del mondo sì
salde radici nella mente degli uomini; ma è cosa degna di nota che una
credenza inculcata costantemente durante i primi anni della vita, quando il
cervello è più impressionabile, sembra acquistare quasi la natura
di un istinto; e la vera essenza di un istinto è che vien seguito
indipendentemente dalla ragione. E neppure possiamo dare la ragione del fatto
che alcune mirabili virtù, come l’amor della verità siano
apprezzate molto di più da certe tribù selvagge che non da altre;
e neppure perchè così fatte differenze prevalgano anche presso
nazioni civili. Sapendo noi quanto inveterate siano divenute molte strane leggi
e superstizioni, noi dobbiamo sorprenderci che le virtù particolari ci
debbano ora sembrare così naturali, mentre sono rette dalla ragione,
tanto da sembrare innate, quantunque l’uomo nella sua primiera condizione non
ne tenesse conto.
L’uomo, malgrado molte cause di dubbio,
può in generale e prontamente fare la distinzione fra le più
elevate e le più basse regole morali. Le più alte si appoggiano
agli istinti sociali, ed hanno relazione colla prosperità degli altri.
Sono sostenute dalla approvazione del nostro simile e dalla ragione. Le
più basse, sebbene alcune di esse, esigendo il sacrificio personale, non
possano più meritare quel nome di basse, si riferiscono principalmente
all’individuo, e debbono la loro origine alla opinione pubblica, quando sia
divenuta matura per la esperienza e per l’educazione; perchè esse non
sono praticate da tribù rozze.
Man mano che l’uomo progredisce nello
incivilimento, e le tribù poco numerose si uniscono per formare
comunità più grandi, la più semplice ragione
insegnerà ad ogni individuo che egli deve estendere i suoi istinti
sociali e le sue simpatie a tutti i membri della medesima nazione, sebbene non
li conosca personalmente. Giunto una volta a questo punto, non vi è
più che un ostacolo artificiale a ciò che le sue simpatie non si
estendano agli uomini di tutte te nazioni e di tutte le razze. Invero, se siamo
separati da questi uomini da grandi differenze nell’aspetto e nei costumi,
l’esperienza dimostra sfortunatamente quanto tempo ci vuole perchè
possiamo venire a considerarli come nostri simili. La simpatia, oltre i confini
umani, che vuol dire l’umanità verso le bestie, sembra essere fra gli
acquisti morali più tardivi. Non sembra che i selvaggi la provino tranne
che per quegli animali che prediligono. Le orribili lotte di gladiatori ci
dimostrano quanto poco gli antichi Romani conoscessero questa facoltà
morale. L’idea stessa dell’umanità, per quanto ho potuto osservare, era
nuova per la maggior parte del Gauchos delle Pampas. Questa virtù, una delle
più nobili di cui l’uomo sia fornito, sembra derivare per incidente da
ciò che le nostre simpatie facendosi più tenere e più
espansive e diffuse, vengono a riversarsi su tutti gli esseri senzienti. Appena
questa virtù viene onorata e praticata da alcuni uomini, si diffonde mercè
l’istruzione e l’esempio ai giovani, ed eventualmente tende a radicarsi nella
pubblica opinione.
Il punto più alto cui possiamo
giungere nella coltura morale, è quello di poter riconoscere che dobbiamo
dominare i nostri pensieri, e “non ripensare neppure nel più interno
della mente ai peccati che ci resero piacevole il passato”. Chiunque rende
familiare il suo pensiero con una cattiva azione, ne agevola di molto il
compimento. Siccome disse anticamente Marco Aurelio: “come sono i tuoi abituali
pensieri, così sarà l’indole della tua mente; perchè
l’anima prende le impressioni del pensiero”.
Il nostro grande filosofo, Erberto
Spencer, ha recentemente espresso il suo modo di vedere intorno al senso
morale. Egli dice: “Io credo che gli esperimenti di utilità organizzati
e consolidati lungo le passate generazioni della razza umana siano andati
producendo corrispondenti modificazioni, le quali venendo di continuo trasmesse
ed accumulate, sono divenute in noi certe facoltà di intuizione morale,
certe emozioni corrispondenti alla retta ed alla cattiva condotta, che non
hanno base apparente nelle individuali esperienze di utilità”. A me non
pare che possa esservi la minima improbabilità inerente,
acciocchè le tendenze virtuose siano più o meno fortemente
ereditate; perchè senza parlare delle varie disposizioni ed abitudini
che si vanno trasmettendo in molti dei nostri animali domestici, ho sentito
dire dei casi in cui la voglia di rubare e la tendenza al mentire sembravano
trasmettersi in certe famiglie agiatissime; e siccome il rubare è un
delitto rarissimo nelle classi ricche, noi non possiamo guari attribuire a mero
caso tendenze che si manifestano in due o tre membri della stessa famiglia. Se
si possono trasmettere le cattive tendenze, è possibile che anche le buone
siano trasmessibili. Togliendo il principio della trasmissione delle tendenze
morali non possiamo darci ragione delle differenze che esistono per questo
riguardo fra le varie razze del genere umano. Tuttavia fino ad oggi non abbiamo
guari sufficienti prove in proposito.
Anche la trasmissione parziale delle
tendenze virtuose deve essere di un immenso aiuto ai principali impulsi che
derivano direttamente dagli istinti sociali, e indirettamente dalla
approvazione del nostro simile. Ammettiamo pel momento che si ereditino le
tendenze virtuose, sembra probabile, almeno nei casi come della castità,
della temperanza, della umanità verso gli animali, ecc., che vengano
impresse nella mente mercè l’abitudine, l’istruzione e l’esempio, continuate
per parecchie generazioni nella stessa famiglia, e in un grado molto
subordinato, o nullo, da individui forniti di quelle virtù, che sono
meglio riusciti nella lotta per la vita. La principale sorgente di dubbio che
io abbia intorno ad ogni cosiffatto retaggio viene da quegli usi insensati, da
quelle superstizioni e da quei gusti, come sarebbe l’orrore dell’Indo pel cibo
immondo, dovuto allo stesso principio della trasmissione. Quantunque ciò
per se stesso forse non sia meno probabile che non quello che alcuni animali
ereditino un gusto particolare per certe sorta di cibo, o il timore per certi
nemici, non ho mai incontrato nessun esempio per sostenere la trasmissione di
usi superstiziosi o di sciocche abitudini.
Infine, gli istinti sociali, i quali
certamente furono acquistati dall’uomo e dagli animali sottostanti pel bene
della comunità, debbono avergli dato dal principio un certo desiderio di
imitare i suoi compagni, e un certo senso di simpatia. Cotali impulsi saranno
stati per lui, in un periodo molto primitivo, come una rozza guida per
discernere il giusto dall’ingiusto. Ma mentre l’uomo andava progredendo man
mano in potenza intellettuale e poteva riconoscere le più remote
conseguenze delle sue azioni; mentre acquistava sufficienti cognizioni per
respingere da sè le superstizioni e gli usi nocevoli; mentre considerava
e cercava sempre più non solo la prosperità ma la felicità
del suo simile; mentre le sue simpatie, mercè l’abitudine, la benefica
esperienza, l’istruzione e l’esempio, si facevano sempre maggiori e più
diffuse, tanto da estendersi agli uomini di tutte le razze, agli idioti, agli
storpi ed agli altri membri inutili della società, e finalmente agli
animali sottostanti, in tal modo si andava sempre più e più
elevando il livello della sua moralità. E tutti i moralisti della scuola
derivativa ed alcuni intuizionisti ammettono che il livello della
moralità è andato crescendo da un antichissimo periodo della
storia dell’uomo.
Siccome possiamo talvolta osservare la
lotta che in alcuni animali a noi inferiori segue fra i loro vari istinti,
così non vi sarebbe da far le meraviglie che vi fosse pure una lotta
nell’uomo fra i suoi istinti sociali, le virtù che da quelli derivano, e
i suoi più bassi sebbene momentaneamente più potenti impulsi o
desiderî. Ciò, come osserva il signor Galton, è tanto meno
sorprendente, in quanto che l’uomo è uscito da uno stato di barbarie da
un tempo comparativamente recente. Dopo aver ceduto a qualche tentazione noi
sentiamo un certo senso di scontento, analogo a quello che fanno provare gli
istinti insoddisfatti, e allora si chiama coscienza; perchè non possiamo
impedire alle immagini ed impressioni del passato di attraversare continuamente
la nostra mente, e noi la compariamo, affievolite come sono, cogli istinti
sociali sempre presenti, o colle abitudini che abbiamo contratto nella prima
giovinezza e che son divenute più forti col progredire degli anni, e
forse anche per via dell’eredità, per cui si son fatte alla fine quasi
tanto potenti quanto gli istinti. Pensando alle future generazioni, non
v’è ragione per temere che gl’istinti sociali si vadan facendo
più deboli, e possiamo prevedere che gli abiti virtuosi si faranno
più forti, e mercè l’eredità forse diverranno stabili. In
questo caso la lotta fra i nostri migliori impulsi contro i cattivi
sarà meno forte e la virtù finirà per trionfare.
Sommario dei due ultimi capitoli. – Non vi
può essere ombra di dubbio che fra l’intelligenza dell’uomo più
basso e quella dell’animale più perfetto siavi una immensa differenza.
Se una scimmia antropomorfa potesse dare un giudizio spassionato del suo
proprio caso, dovrebbe riconoscere che, quantunque possa fare un progetto
artifizioso per depredare un giardino, sebbene possa adoperare i sassi per
difendersi o per rompere le noci, tuttavia il pensiero dl foggiare un sasso per
modo da farne un utensile è al tutto superiore ai suoi mezzi. E tanto
meno poi, come dovrebbe pure riconoscere, potrebbe tener dietro ad un
ragionamento metafisico, o risolvere un problema di matematica o riflettere
sulla esistenza di Dio, o ammirare una scena naturale. Tuttavia alcune scimmie
probabilmente dichiarerebbero di esser sensibili alla bellezza della pelle
colorita e della pelliccia dei loro sposi. Riconoscerebbero che sebbene possano
far comprendere coi loro gridi ad altre scimmie alcune delle loro percezioni, o
anche dei loro più semplici bisogni, la nozione dell’esprimere idee
definite con suoni definiti non è mai passata loro per la mente.
Potrebbero insistere sul loro essere sempre pronte a correre ad aiutare in vari
modi le scimmie loro compagne della stessa schiera, a porre a repentaglio la
propria vita per esse, a prender cura degli orfani; ma dovrebbero per forza
riconoscere che l’amore disinteressato per tutte le creature viventi, che
è il più bell’attributo dell’uomo, è loro affatto
incomprensibile.
Nondimeno, per quanto grande sia la
differenza che passa fra la mente dell’uomo e quella degli animali più
elevati, è differenza solo di grado e non di qualità. Abbiamo
veduto che i sensi e le intuizioni, le varie emozioni e facoltà, come
l’amore, la memoria, l’attenzione, la curiosità, l’imitazione, la
ragione, ecc., di cui l’uomo va altero, si possono trovare in una condizione
incipiente, o talora anche bene sviluppata negli animali sottostanti.
Inoltre essi sono anche soggetti ad un miglioramento ereditario, come vediamo
nel caso del cane domestico comparato col lupo o collo sciacallo. Se si
può affermare che certe potenze, come la consapevolezza di sè,
l’astrazione, ecc., sono particolari all’uomo, può benissimo essere che
questi non siano altro che effetti incidentali di altre facoltà
intellettuali molto inoltrate; e queste di nuovo non siano altro che l’effetto
dell’uso continuo di un linguaggio altamente sviluppato. In quale età il
bambino comincia a possedere la potenza di astrazione o divenire conscio di
sè e riflettere sulla propria esistenza? Non possiamo rispondere,
nè possiamo neppure rispondere per ciò che riguarda la scala
organica ascendente. La semi-arte ed il semi-istinto del linguaggio conservano
ancora l’impronta della loro graduata evoluzione. Il nobile sentimento della
fede in Dio non è universale nell’uomo; e la credenza negli agenti
spirituali attivi viene naturalmente dalle altre sue potenze mentali. Il senso
morale forse fornisce la migliore e la più grande distinzione fra l’uomo
e gli animali sottostanti; ma non fa d’uopo dire altro su questo particolare,
avendo io più sopra cercato di dimostrare che gl’istinti sociali,
principio primo della costituzione morale dell’uomo, aiutati dalle forze attive
intellettuali e dagli effetti dell’abitudine, conducono naturalmente a quella
legge aurea: Fa agli altri quello che tu vorresti fatto a te; e questo
sta alla base della morale.
In un capitolo avvenire farò
poche osservazioni intorno al probabile andamento ed ai mezzi per cui parecchie
facoltà mentali e morali dell’uomo sono venute grandemente svolgendosi.
Che questo almeno sia possibile non deve essere negato, quando noi ne vediamo
giornalmente lo sviluppo in ogni bambino; e quando possiamo segnare una perfetta
graduazione tra la mente di un uomo al tutto idiota, più basso
dell’animale più basso, e la mente di Newton.
DEL MODO DI SVILUPPO DELL’UOMO
DA QUALCHE FORMA INFERIORE.
Variabilità
del corpo e della mente nell’uomo – Eredità – Cause della
variabilità – Leggi di variazione uguali nell’uomo come negli animali
sottostanti – Azione diretta delle condizioni della vita –
Effetti del maggiore esercizio o del difetto di esercizio delle parti – Arresto
di sviluppo – Reversione o regresso – Variazione correlativa – Proporzione
dell’accrescimento – Freno all’accrescimento – Scelta naturale – L’uomo,
l’animale più dominatore del mondo – Importanza della sua struttura
corporea – Cagioni che hanno prodotto il suo portamento eretto – Mutamenti di
struttura che ne sono derivati – Diminuzione nella mole dei denti canini –
Forma e mole del cranio accresciuta ed alterata – Nudità – Mancanza di
coda – Condizione inerme dell’uomo.
Nel primo capitolo abbiamo veduto che
la struttura omologica dell’uomo, il suo sviluppo embriologico ed i rudimenti
che conserva ancora, tutto dimostra colla maggiore evidenza che egli ebbe
origine da qualche forma inferiore. A questa conclusione, l’essere egli fornito
di alte facoltà mentali non è obiezione insuperabile. Onde un
essere somigliante alle scimmie potesse venir trasformato in uomo, è
necessario che questa primitiva forma, come pure molte successive forme
intermedie, abbiano tutte sopportato mutamenti nella mente e nel corpo.
È impossibile avere prove evidenti intorno a questo particolare; ma se
si può dimostrare che l’uomo varia oggi, che i suoi mutamenti sono
indotti dalle stesse cause generali, ed obbedisce alle stesse leggi generali
come nel caso degli animali sottostanti, non vi è guari dubbio che gli
anelli intermedi precedenti non abbiano sopportato consimili mutamenti. Le
variazioni debbono essere state parimente, in ogni successivo stadio di
provenienza, in qualche modo accumulate e determinate.
I fatti e le conclusioni che esporremo
in questo capitolo si riferiscono quasi interamente ai mezzi probabili coi
quali si è compiuta la trasformazione dell’uomo, almeno per ciò
che riguarda la struttura del suo corpo. Il capitolo seguente sarà consacrato
allo sviluppo delle sue facoltà intellettuali e morali. Ma la
discussione presente si riferisce pure all’origine delle varie razze o specie
del genere umano, qualunque possa essere il vocabolo che si preferisce.
Evidentemente è cosa manifesta
che oggi l’uomo è soggetto a molto variare. Non si trovano due individui
della medesima razza che siano perfettamente uguali. Possiamo prendere milioni
di facce e compararle fra loro, ed ognuna sarà distinta. Parimente vi
è una grandissima diversità nelle proporzioni e nelle dimensioni
delle varie parti del corpo; la lunghezza delle gambe è uno dei punti
più variabili. Sebbene in certe parti del mondo predomini il cranio
allungato e in altre parti prevalga il cranio corto, pure havvi una gran diversità
di forma anche entro i confini di una stessa razza, come negli indigeni
dell’America e dell’Australia del Sud, quest’ultima razza essendo
“probabilmente tanto pura ed omogenea nella genealogia, nei costumi e nel
linguaggio, quanto qualunque altra che esista”; ed anche come negli abitanti
delle isole Sandwich che hanno un’area tanto limitata. Un distinto dentista mi
ha assicurato che vi è quasi tanta diversità nei denti quanta ve
n’è nelle fattezze. Le arterie principali scorrono così spesso
anormalmente, che è stato giudicato utile per la chirurgia calcolare
sopra 12000 corpi quanto sovente s’incontri una data disposizione. I muscoli
variano eminentemente: per esempio, nel caso dei muscoli del piede, il
professore Turner ha trovato che sopra cinquanta corpi non ve ne erano due ove
quei muscoli fossero perfettamente uguali; ed in alcuni le deviazioni erano
notevoli. Il professor Turner aggiunge che la facoltà di compiere gli
acconci movimenti deve essersi modificata in rapporto con parecchie deviazioni.
Il signor J. Wood ha riferito il caso di 295 variazioni muscolari sopra
trentasei soggetti, e in una serie dello stesso numero non meno di 558
variazioni, calcolando i due lati del corpo come uno. Nell’ultima serie non un
corpo dei trentasei “che non si dipartisse al tutto dalle regole descritte del
sistema muscolare che si trovano in tutti i trattati di anatomia”. Un solo
corpo presentava lo straordinario numero di venticinque distinte anomalie.
Talora lo stesso muscolo varia in molti modi: così il professore Macalister
descrive non meno di venti distinte variazioni nel palmaris accessorius.
Wolff, famoso e antico anatomico,
afferma che i visceri interni sono più variabili che non le parti
esterne: Nulla particula est quaæ non aliter et aliter in aliis se
habeat hominibus. Egli ha inoltre scritto un trattato sulla scelta degli
esemplari tipici dei visceri per dimostrazione. Suona stranamente al nostro
orecchio una discussione intorno alla bellezza ideale del fegato, dei polmoni,
dei reni, ecc., come della faccia divina dell’uomo.
La variabilità o la
diversità delle facoltà mentali fra gli uomini della stessa
razza, per non parlare delle maggiori differenze che esistono fra gli uomini di
razze distinte, è tanto nota che non vale la pena spenderci intorno
ulteriori parole. Ciò segue pure negli animali sottostanti, come
è stato dimostrato con alcuni esempi nel precedente capitolo. Tutti
quelli che hanno avuto cura di animali racchiusi nei serragli ammettono questo
fatto, e noi lo vediamo evidentemente nei nostri cani ed in altri animali
domestici. Brehm in particolare afferma che ogni individuo delle scimmie che
egli teneva in schiavitù in Africa aveva una propria particolare tempra
e disposizione: egli fa menzione di un babbuino dotato di grande intelligenza;
ed i custodi del Giardino zoologico di Londra mi mostrarono una scimmia
appartenente alla divisione di quelle del continente nuovo, pure notevolissima
per la sua intelligenza. Anche Rengger insiste sulla diversità dei vari
caratteri della mente delle scimmie della medesima specie che egli teneva
presso di sè al Paraguay; e questa diversità, aggiunge egli,
è in parte innata, in parte l’effetto del modo con cui sono state
trattate o educate.
Ho già pienamente discusso
altrove l’argomento della eredità, per cui non credo di aggiungere qui
altri particolari. Sono stati raccolti un numero maggiore di fatti intorno alla
trasmissione tanto dei lievi come dei più importanti caratteri dell’uomo
che non in qualsiasi degli animali sottostanti; sebbene intorno a questi ultimi
i fatti siano pure numerosi. Così nei nostri cani, nei nostri cavalli ed
altri animali domestici, la trasmissione per ciò che riguarda le
facoltà mentali è evidente. Inoltre certi particolari gusti e
costumi, l’intelligenza generale, il coraggio, l’indole buona o cattiva, ecc.,
si trasmettono certamente. Codesti simili fatti noi vediamo nell’uomo in quasi
tutte le famiglie; ed oggi dai bellissimi lavori del signor Galton sappiamo che
il genio, che richiede un così meraviglioso complesso di alte facoltà,
tende ad essere ereditato; e, inoltre, è pur troppo certo che la pazzia
ed il deterioramento delle facoltà mentali si trasmettono parimente
nelle stesse famiglie.
Intorno alle cagioni della
variabilità noi siamo in tutti i casi affatto all’oscuro; ma possiamo
vedere che tanto nell’uomo quanto negli animali sottostanti sono in relazione
colle condizioni a cui ogni specie è stata sottoposta pel corso di
parecchie generazioni. Gli animali domestici variano più di quelli che
sono allo stato di natura; e ciò sembra dover essere attribuito al fatto
che il complesso delle loro condizioni è stato modificato o mutato. Le
varie razze umane somigliano, per questo riguardo, agli animali domestici, e
così pure segue negli individui di una stessa razza che vivono in una
vastissima area, come sarebbe l’America. Questa azione delle condizioni
diversificate la vediamo nelle nazioni più civili, i membri delle quali
appartenendo a differenti classi sociali, seguono occupazioni diverse, e
presentano quindi maggiori varietà di caratteri che non i membri delle
nazioni barbare. Ma l’uniformità dei selvaggi è stata sovente
esagerata, ed in alcuni casi si può dire appena che esista. Nondimeno
è un errore parlare dell’uomo, anche guardandolo solo alle condizioni a
cui è stato assoggettato, come di un essere “molto più
addomesticato” che non qualunque altro animale. Alcune razze selvagge, come gli
indigeni dell’Australia, non sono più esposti a condizioni diverse che
non molte altre specie che hanno cerchie molto spaziose. Inoltre l’uomo, per un
altro e importantissimo riguardo, differisce grandemente da qualunque animale
strettamente addomesticato; perchè il suo allevamento non è stato
governato da una scelta metodica od inconsapevole. Nessuna razza o corporazione
di uomini è mai stata tanto compiutamente soggiogata da altri uomini,
che certi individui siano stati conservati e in tal modo scelti senza volere,
da essere poi per qualche verso utili ai loro padroni. E neppure sono stati
scelti ed accoppiati a bella posta certi maschi e certe femmine, tranne il caso
ben noto dei granatieri prussiani; e in questo caso l’uomo ha obbedito, come si
poteva bene aspettarselo, alla legge della scelta metodica; perchè si
asserisce che molti uomini di alta statura erano stati allevati nei villaggi
abitati dai granatieri e dalle loro alte mogli.
Se consideriamo tutte le razze umane
come formanti una sola specie, la cerchia di questa è enorme; ma alcune
razze umane separate, come gli Americani e quelli della Polinesia, hanno una
cerchia molto vasta. È una legge bene riconosciuta questa che le specie
che hanno una vasta cerchia sono molto più variabili che non le specie
che l’hanno più ristretta; e la variabilità dell’uomo può
venire, con molta maggior verità, comparata con quella delle specie che
hanno una vasta cerchia, che non con quella degli animali addomesticati.
Non solo la variabilità sembra
prodursi nell’uomo e nei sottostanti animali mercè le stesse cause
generali, ma negli altri si vedono modificati gli stessi caratteri in un modo
strettamente analogo. Godron e Quatrefages hanno dimostrato questo con
grande evidenza, per cui non ho bisogno qui che di riferirmi alle loro opere.
Certe mostruosità che vanno gradatamente mutandosi in leggere variazioni
sono parimente tanto simili nell’uomo e negli animali sottostanti, che si
adoperano nei due casi la stessa classificazione e gli stessi nomi, come si
può vedere nel grande lavoro di Isidoro Geoffroy St-Hilaire. Questa
è una conseguenza necessaria di ciò che le stesse leggi di
mutamento prevalgono per tutto il regno animale. Nella mia opera intorno alla
variabilità degli animali domestici ho cercato disporre alla meglio le
leggi di variazioni nei seguenti modi: – L’azione diretta e definita del
mutamento di condizioni, come è dimostrato da tutti o quasi tutti gli
individui delle medesime specie che variano nello stesso modo, nelle stesse
circostanze. Gli effetti del lungo e continuo esercizio di certe parti, o del
difetto di esercizio di queste. La coesione di parti omologhe. La
variabilità di parti multiple. Compenso di accrescimento; ma di questa
legge non ha trovato esempi efficaci nel caso dell’uomo. Gli effetti della
pressione meccanica di una parte sull’altra; come della pelvi sul cranio del
feto nell’utero. Arresto di sviluppo, producente il rimpicciolimento o la soppressione
delle parti. Il ritorno di caratteri da lungo tempo scomparsi mercè un
regresso o reversione. E finalmente la variazione correlativa. – Tutte queste
così dette leggi si applicano ugualmente all’uomo ed agli animali
sottostanti; e la maggior parte di esse anche alle piante. Sarebbe superfluo
discuterle qui tutte; ma parecchie hanno per noi tanta importanza, che debbono
essere trattate alquanto distesamente.
Azione diretta e definita delle mutate
condizioni. – Questo è un argomento molto incerto. Non si può
negare che il mutamento di condizioni non produca qualche effetto, e certe
volte anche un effetto notevole sopra ogni sorta di organismi; e a prima vista
pare probabile che, dato un tempo sufficiente, questo effetto non possa a meno
di seguire. Ma non ho potuto ottenere fatti abbastanza evidenti in favore di
questa conclusione; e si possono trovare buone ragioni d’altra parte, almeno
per quel che riguarda innumerevoli strutture, le quali sono adattate a fini
speciali. Tuttavia, non vi può essere dubbio che il mutamento di
condizioni non induca una somma quasi indefinita di variabilità
fluttuante, per cui tutto il complesso dell’organizzazione diviene in certo
modo plastico.
Negli Stati Uniti oltre 1,000,000 di
soldati che servivano nell’ultima guerra vennero misurati e si notarono gli
Stati ove erano nati e cresciuti. Quella sterminata raccolta di osservazioni
dimostra che certe sorta di azioni locali operano direttamente sulla struttura;
e sappiamo inoltre che “lo Stato ove si è compiuto più ampiamente
l’accrescimento fisico, e lo Stato dove si ebbe il nascimento, che indica gli
antenati, sembrano avere una evidente azione sulla statura”. Per esempio
è riconosciuto “che la residenza negli Stati dell’ovest durante gli anni
dell’accrescimento tende a produrre un aumento di statura”. D’altra parte
è certo che nel caso dei naviganti, il loro modo di vivere ritarda
l’accrescimento, come è dimostrato “dalla grande differenza fra la
statura dei soldati e dei marinai all’età di 17 e 18 anni”. Il signor B.
A. Gould ha cercato di riconoscere la natura delle azioni che operano in tal
modo sulla statura; ma non ha potuto ottenere che risultati negativi,
cioè che non hanno relazione nè col clima, nè coll’altezza
dal livello del mare, nè col suolo, e neppure “in un grado
riconoscibile”, coll’abbondanza o colla mancanza dei comodi della vita.
Quest’ultima conclusione è al tutto opposta a quella ottenuta da
Villermè colle statistiche della statura dei coscritti nelle differenti
parti della Francia. Se poi paragoniamo le differenze della statura tra i capi
della Polinesia e gli ordini inferiori del popolo delle stesse isole; le
differenze fra gli abitanti delle isole fertili, vulcaniche, e quelli delle
nude e basse isole coralline dello stesso Oceano; oppure anche le differenze
fra gli abitatori della Terra del Fuoco; delle spiagge orientali ed occidentali
dello stesso paese, ove i mezzi di sussistenza sono molto differenti, non si
può non riconoscere, che il miglior nutrimento ed i maggiori comodi
hanno azione sulla statura. Ma i fatti fermati sopra dimostrano quanto sia
difficile giungere ad un preciso risultato. Il dottor Beddoe ha
ultimamente dimostrato che per gli abitanti dell’Inghilterra, la residenza
nelle città e certe occupazioni hanno un’azione deteriorante sulla
statura; e ne deduce che quest’effetto è fino a un certo punto
ereditato, come è pure nel caso degli Stati Uniti. Il dottor Beddoe
crede inoltre che ogni luogo ove una “razza raggiunge il massimo del suo
sviluppo fisico, aumenta di molto in energia e vigore morale”.
Non si conosce se le condizioni esterne
producano qualche altro effetto diretto sull’uomo. Si sarebbe potuto credere
che le differenze di clima fossero per avere un’azione ben distinta,
perchè i polmoni ed i reni sono resi molto più attivi da una
bassa temperatura, e il fegato e la pelle da una temperatura elevata. Si
credeva dapprima che il colore[2] della pelle ed il
carattere dei capelli fosse determinato dalla luce e dal calore; e quantunque
non si possa guari negare che un certo effetto venga da ciò prodotto,
nondimeno quasi tutti gli osservatori sono d’accordo ora per dire che
quest’effetto è stato ben piccolo anche da molti secoli. Ma discuteremo
più ampiamente quest’argomento quando parleremo delle differenti razze
umane. Per quello che riguarda i nostri animali domestici, vi è ogni
ragione per credere che il freddo e l’umidità operino direttamente
sull’accrescimento dei peli; ma non ho mai trovato intorno a ciò nessuna
prova per quello che concerne l’uomo.
Effetti dell’aumentato esercizio delle
parti, o del difetto di esercizio di esse. – È cosa notissima che
l’esercizio accresce nell’individuo la robustezza dei muscoli, e l’assoluto
difetto di esercizio, o la distruzione del nervo proprio, fa l’effetto opposto.
Quando l’occhio è distrutto il nervo ottico si atrofizza. Quando
un’arteria è tagliata, i vasi laterali crescono non solo in diametro, ma
in spessezza e robustezza di pareti. Quando un rene cessa di funzionare per
malattia, l’altro cresce di mole e fa doppio ufficio. Col portare grandi pesi
le ossa crescono non solo in spessezza, ma anche in lunghezza. Le varie
occupazioni abitualmente proseguite producono un mutamento nelle proporzioni
delle differenti parti del corpo. Così venne riconosciuto con certezza
dalla Commissione degli Stati Uniti che le gambe dei marinai che hanno servito
nell’ultima guerra, erano più lunghe della 0,217 parte di un pollice (
Non sappiamo se le varie modificazioni
sopraindicate diverrebbero ereditarie qualora lo stesso genere di vita fosse
continuato per molte generazioni, ma ciò è probabile. Rengger
attribuisce la sottigliezza delle gambe e la grossezza delle braccia degli Indiani
Payaguas a ciò che successive generazioni hanno passato tutta la loro
vita entro barche, tenendo quasi immobili le estremità inferiori. Altri
scrittori sono venuti alla stessa conclusione in altri casi analoghi. Secondo
Cranz, che ha vissuto molto presso gli Esquimali, “gli indigeni credono che
l’ingegno e la destrezza necessari per impadronirsi delle foche (loro
più grande arte e valore) siano ereditari; in ciò havvi realmente
alcunchè di vero, perchè il figlio di un celebre pescatore di
foche era divenuto abilissimo, sebbene avesse perduto il padre mentre era
ancora bambino”. Ma in questo caso sembra essere l’attitudine mentale, tanto
quanto la struttura corporale, quella che viene ereditata. Si asserisce che i
contadini inglesi hanno, nascendo, le mani più grosse di quelle dei
signori. Per la relazione che esiste, almeno in alcuni casi, fra lo sviluppo
delle estremità e quello delle mascelle, è passibile che in
quelle classi che non lavorano molto colle mani nè coi piedi la mole
delle mascelle sia minore per questo motivo. È certo che in generale
sono più piccole negli uomini più raffinati e civili che non
negli uomini rotti al lavoro o selvaggi. Ma per ciò che riguarda i
selvaggi, come ha fatto notare il signor Erberto Spencer, il maggior esercizio
delle mascelle nel masticare cibo grossolano e crudo dovrebbe operare in modo
diretto sui muscoli masticatori e sulle ossa alle quali essi s’inseriscono. Nei
bambini prima di nascere la pelle della pianta del piede è più
spessa che non in qualunque altra parte del corpo; e non si può dubitare
che ciò non derivi dagli effetti ereditati della pressione per una lunga
serie di generazioni.
È cosa familiare a tutti il
fatto che gli orologiai e gli incisori sono soggetti ad aver la vista corta,
mentre gli uomini che vivono molto all’aperto, e specialmente i selvaggi, sono
in generale forniti di acutissima vista. Certamente la vista corta e la vista
lunga tendono ad ereditarsi. L’inferiorità degli europei, in confronto
dei selvaggi, nella vista ed in altri sensi, è senza dubbio l’effetto
del minore esercizio accumulato e trasmesso per lo spazio di molte generazioni;
perchè Rengger asserisce di aver ripetutamente osservato alcuni europei
che erano cresciuti ed avevano passata tutta la loro vita fra gli indiani
selvaggi, essere nondimeno inferiori a questi nella finezza dei sensi. Osserva
lo stesso naturalista che quelle cavità nel cranio le quali accolgono
parecchi organi dei sensi sono più larghe negl’indigeni d’America che
non negli europei: e senza dubbio questo indica una corrispondente differenza
nelle dimensioni degli organi stessi.
Blumenbach ha pure osservato la grande
dimensione delle cavità nasali nei cranii degl’indigeni Americani, e fa
coincidere questo fatto colla notevolissima acutezza del loro odorato. I Mongoli
della pianura dell’Asia settentrionale hanno, secondo Pallas, sensi
meravigliosamente perfetti; e Prichard crede che la maggior larghezza che si
osserva nei loro crani fra gli zigomi provenga dallo straordinario sviluppo
degli organi dei sensi.
Gli indiani Guechua abitano gli
altipiani elevati del Perù, e Alcide d’Orbigny asserisce che per cagione
della necessità di respirare un’atmosfera rarefattissima essi hanno
acquistato petto e polmoni di straordinarie dimensioni. Anche le cellule dei
polmoni sono più larghe e più numerose che non negli europei. Si
sono messe in dubbio queste osservazioni; ma il dottor D. Forbes ha
accuratamente misurato molti Aymari, razza affine, che vive all’altezza di
dieci a quindici mila piedi (da
Quegli uomini si sono tanto bene
acclimati alla loro fredda ed alta dimora, che quando vennero dapprima portati
dagli Spagnuoli nelle basse pianure orientali, e quando poi vi tornarono spontaneamente
attirati dai forti salari pei lavori della produzione dell’oro, ebbero
da soffrire una mortalità ben grave. Nondimeno il signor Forbes ne
trovò alcune poche famiglie che sole erano sopravvissute per due
generazioni; ed egli osservò che conservavano ancora ereditariamente i
loro particolari caratteri. Ma era ben evidente, anche senza misurare, che quei
caratteri erano tutti andati scemando; e quando li ebbe misurati egli
trovò che il loro corpo non era più tanto allungato quanto quello
degli uomini dell’alto altipiano; mentre i femori erano divenuti in certo modo
più lunghi come anche le tibie, ma in un grado minore. Si possono
consultare nella memoria del signor Forbes le attuali misure. Dopo queste
notevoli osservazioni non vi può essere più dubbio, credo che la
dimora per lo spazio di molte generazioni a grandi altezze tende tanto
direttamente che indirettamente a produrre modificazioni ereditarie nelle
proporzioni del corpo.
Sebbene l’uomo possa non essersi
modificato molto nell’ultimo periodo della sua esistenza mercè il
maggiore esercizio o il difetto di esercizio delle parti, i fatti più
sopra riferiti mostrano che per questo riguardo non ha perduto la sua
suscettività; e sappiamo con certezza che la medesima legge vige ancora
per gli animali sottostanti. In conseguenza possiamo da ciò dedurre, che
quando in un’epoca remota i progenitori dell’uomo si trovavano in uno stato di
transizione, e stavano mutandosi di quadrupedi in bipedi, è probabile
che la scelta naturale sia stata grandemente aiutata dagli effetti trasmessi
per l’eredità del maggiore esercizio o del difetto di esso nelle varie
parti del corpo.
Arresti di sviluppo. – L’arresto
dello sviluppo è cosa diversa dallo arrestarsi dell’accrescimento,
perchè le parti nel primo caso continuano a crescere mentre conservano
ancora la loro primiera condizione. Varie mostruosità si presentano per
questo caso, e si sa che alcune di esse provengono da uno casuale
eredità, come il palato fesso. Pel nostro argomento basterà riferire
l’arresto di sviluppo del cervello negli idioti microcefali, come è
descritto nella grande memoria di Vogt. Il loro cranio è più
piccolo, e le circonvoluzioni del cervello sono meno complesse che non
nell’uomo normale. La sinuosità frontale, o la sporgenza sopra le
ciglia, è molto sviluppata, e le mascelle sono prognate in un grado effrayant;
cosicchè questi idioti rassomigliano in certo modo ai tipi
più bassi dell’umanità. La loro intelligenza e le loro
facoltà mentali sono debolissime. Non possono acquistare la
facoltà di parlare e sono al tutto inetti ad una prolungata attenzione,
ma sono più propensi allo imitare. Sono forti e notevolmente attivi,
saltano e sgambettano di continuo tutto intorno facendo smorfie. Salgono spesso
le scale a quattro gambe, ed hanno un gusto particolare per arrampicarsi sui
mobili o sugli alberi. Questo ci fa tornare alla mente il piacere che quasi
tutti i fanciulli mostrano dello arrampicarsi sugli alberi; e ciò di
nuovo ci ricorda quanto piacere provano gli agnelli ed i capretti, in origine
animali alpini, a salterellare sopra ogni eminenza per piccola che sia.
Reversione o Regresso. –
Molti dei casi che stiamo ora per riferire avrebbero potuto esser messi
nell’ultima intestazione. Ogniqualvolta una struttura viene arrestata nel suo
sviluppo, ma continua a crescere finchè rassomiglia ad una
corrispondente struttura di qualche membro più basso ed adulto dello
stesso gruppo, possiamo considerare questo fatto in un certo senso come un caso
di reversione o regresso. I membri più bassi di un gruppo ci danno una
qualche idea del modo in cui era probabilmente costrutto il progenitore comune
del gruppo stesso; e non si può quasi supporre che una parte arrestata
in una primitiva fase di sviluppo embrionale avrebbe potuto continuare a
crescere tanto da compiere in fine la sua propria funzione, a meno di
avere acquistato questo potere di continuo accrescimento durante un qualche
primiero stato di esistenza, quando la struttura attualmente eccezionale od
arrestata era normale. Il cervello semplice di un idiota microcefalo, per
ciò che rassomiglia a quello di una scimmia, può essere, in
questo senso, chiamato un caso di regresso. Sonovi altri casi che molto
più strettamente possono considerarsi come casi di regresso. Certe
strutture, che compaiono regolarmente nei membri più bassi dello
scompartimento cui l’uomo appartiene, si mostrano occasionalmente in lui,
sebbene non si trovino nell’embrione umano normale; oppure se appaiono
nell’embrione umano normale si sviluppano in modo anormale, quantunque questo
modo di sviluppo sia proprio ai membri più bassi dello stesso gruppo.
Queste osservazioni si comprenderanno più chiaramente coi seguenti
esempi.
In vari mammiferi l’utero va
gradatamente trasformandosi da un organo doppio munito di due distinti orifizi
e due passaggi, come nei marsupiali, in un organo unico, che non dà
segno di essere doppio tranne che per una lieve ripiegatura interna come nel
caso delle scimmie più elevate e dell’uomo. I rosicanti presentano una
serie perfetta di graduazioni fra questi due stati estremi. In tutti i
mammiferi l’utero è sviluppato da due semplici tubi primitivi, le parti
inferiori dei quali formano le corna; e per ripetere le parole del dott. Farre,
“si è per la coalescenza delle due corna nelle loro estremità
inferiori che si forma nell’uomo il corpo dell’utero, mentre in quegli animali
ove non esiste la parte mezzana o corpo, le corna rimangono disunite. Mentre
procede lo sviluppo dell’utero, le due corna vanno divenendo gradatamente
più corte; finchè alla fine si perdono, o, per così dire,
vengono assorbite nel corpo dell’utero. Gli angoli dell’utero si allungano
ancora in corna in animali elevati nella serie, come sono le scimmie più
basse ed i loro affini i lemuri.
Ora non sono tanto rari nelle donne
casi di anomalie, nelle quali l’utero perfettamente sviluppato è fornito
di corna, oppure è parzialmente diviso in due organi; e cosiffatti casi,
secondo Owen, ripetono un grado di sviluppo concentrativo, raggiunto da certi
rosicanti. Forse qui abbiamo un caso di semplice arresto di sviluppo embrionale
con susseguente accrescimento e sviluppo perfetto funzionale, perchè
ogni lato dell’utero parzialmente doppio è atto a compiere il proprio
ufficio di gestazione. In altri casi pii, rari si formano due cavità uterine
distinte, ognuna delle quali ha il suo proprio orificio e passaggio. Durante lo
sviluppo ordinario dell’embrione non si attraversa mai un cosiffatto stadio, ed
è difficile, sebbene forse non impossibile supporre, che i due tubi
primitivi, semplici, minuti, possano sapere in qual modo (se si può
adoperare questa maniera di dire) crescere in due distinti uteri, ognuno del
quali fornito di un orifizio e passaggio bene costrutto di numerosi muscoli, di
nervi, di ghiandole e di vene, se non avessero primieramente attraversato un simile
corso di sviluppo, come nel caso dei marsupiali che esistono oggi. Nessuno
pretenderà che una struttura tanto perfetta come l’utero doppio anormale
della donna sia l’effetto del semplice caso. Ma il principio di regresso,
mercè il quale strutture da lungo tempo sopite sono richiamate a nuova
vita, può servir di guida pel pieno sviluppo dell’organo, anche dopo un
grandissimo intervallo di tempo.
Il professore Canestrini, dopo aver
discorso il caso su riferito ed altri analoghi, viene alla stessa conclusione
data qui sopra. Come altro esempio, egli cita l’osso malare, il quale in alcuni
quadrumani ed altri mammiferi normalmente è fatto di due parti. Questa
è la sua condizione nel feto umano di due mesi di età; e talora
rimane anche così per arresto di sviluppo nell’uomo adulto, e più
particolarmente nelle razze propugnate più basse. Quindi Canestrini
deduce da ciò che qualche antico progenitore dell’uomo deve avere avuto
normalmente quest’osso diviso in due parti, che in seguito si fusero insieme.
L’osso frontale è nell’uomo fatto di un pezzo solo, ma nell’embrione e
nel bambino, e in quasi tutti i mammiferi inferiori, è fatto di due
pezzi, separati da una distinta sutura. Questa sutura persiste accidentalmente
più o meno distinta anche nell’uomo adulto, e più frequentemente
nei crani antichi che non nei recenti, in particolare, come ha osservato
Canestrini, in quelli scavati nella terramara di Gorzano e che appartengono al
tipo brachicefalo. Egli qui trae la stessa conseguenza come nel caso analogo
delle ossa malari. In questo come in altri esempi dati testè, sembra che
la cagione per cui le razze antiche si avvicinano più di frequente agli
animali sottostanti che non le razze moderne venga da che queste ultime sono a
qualche maggior distanza mercè una lunga serie di generazioni dai loro
primieri semi-umani progenitori.
Varie altre anomalie nell’uomo,
più o meno analoghe alle precedenti, sono state riferite da differenti
autori, come casi di regresso; ma questi non presentano ombra di dubbio,
perchè dobbiamo scendere molto basso nella serie dei mammiferi prima di
trovare cosiffatte strutture normalmente presenti.
I denti canini sono nell’uomo
strumenti perfettamente efficaci per la masticazione. Ma il loro vero carattere
canino, come osserva Owen “è indicato dalla forma conica della corona,
che terminando in una punta ottusa è convessa di fuori e piatta e
semi-concava internamente, ed alla base della quale v’ha una lieve sporgenza.
La forma conica è più evidente nelle razze melaniche, soprattutto
le australiane. I canini sono più profondamente piantati ed hanno una
radice più forte che non gli incisivi”. Nondimeno questo dente non serve
più all’uomo come arma speciale per dilaniare i nemici o la preda,
quindi può essere, per ciò che riguarda la sua propria funzione,
considerato come rudimentale. In ogni ricca collezione di crani umani se ne
possono trovare alcuni, come osserva Häckel, coi denti canini che sporgono
notevolmente oltre gli altri nel modo stesso, ma in minor grado, di quelli che
vediamo nelle scimmie antropomorfe. In questi casi si osservano spazi vuoti fra
i denti di una mascella per ricevere i denti canini della mascella opposta. Uno
spazio di questa sorta, in un cranio di Kaffir disegnato da Wagner, è
sorprendentemente largo. Considerando quanto pochi siano i crani antichi
esaminati in confronto dei crani recenti, è un fatto interessante che
almeno in tre casi i denti canini sporgono grandemente; e nella mascella di
Naulette si dice che siano enormi.
I maschi soli delle scimmie
antropomorfe hanno i denti canini molto sviluppati; ma nella femmina del
gorilla, ed in grado minore in quella dell’urango, questi denti sporgono
notevolmente oltre gli altri; perciò il fatto che certe donne hanno
talora, come mi fu assicurato, i denti canini molto sporgenti, non è una
grave obiezione alla opinione che l’occasionale loro grande sviluppo nell’uomo
sia un caso di regresso verso un progenitore semi-scimmia. Colui che respinge
con disprezzo l’opinione che la forma dei suoi denti canini, e l’accidentale loro
grande sviluppo in altri uomini, provenga dacchè i nostri primi
progenitori siano stati forniti di quelle armi formidabili, svelerà
forse con quel suo sogghigno la linea d’onde scende. Perchè sebbene egli
non abbia più la volontà nè il potere di adoperare quei denti
come armi, senza saperlo “farà contrarre i suoi muscoli ringhianti”
(così chiamati da sir C. Bell) mostrandoli pronti all’azione, come un
cane che si prepara per la battaglia.
Molti muscoli sono sviluppati
accidentalmente nell’uomo, che sono propri dei quadrumani o di altri mammiferi.
Il professore Vlacovich esaminò quaranta soggetti maschi, e trovò
in diciannove un muscolo, chiamato da lui ischiopubico; in altri tre quel
muscolo era rappresentato da un legamento; e negli altri diciotto non ve n’era
traccia. Sopra trenta soggetti femmine, soltanto in due quel muscolo era
sviluppato d’ambo i lati, ma in altri tre il legamento rudimentale era
presente. Quindi sembra che questo muscolo sia molto più comune nel
sesso maschile che non nel femminile; e col principio dell’origine dell’uomo da
qualche forma inferiore si può comprendere la sua presenza;
perchè è stato ritrovato in parecchi animali inferiori, ed in
tutti questi serve esclusivamente ad aiutare il maschio nell’atto della riproduzione.
Il signor J. Wood, nella pregevole
serie dei suoi scritti, ha descritto minutamente un gran numero di variazioni
muscolari nell’uomo che rassomigliano alle strutture normali degli animali
sottostanti: guardando solo ai muscoli che rassomigliano strettamente a quelli che
sono regolarmente presenti, negli animali a noi più affini, i
quadrumani, esse sono troppo numerose per essere anche soltanto specificate. In
un solo individuo maschio, fornito di forte impalcatura corporea e di un cranio
ben conformato, si osservarono non meno di sette variazioni muscolari, le quali
tutte rappresentavano chiaramente muscoli propri a varie specie di scimmie. Per
esempio, quell’uomo aveva ai due lati del collo un forte e vero levator
claviculae, come s’incontra in ogni sorta di scimmie, e che vien detto
incontrarsi in ogni sessanta soggetti umani. Inoltre quell’uomo aveva un
adduttore speciale dell’osso metatarseo del quinto dito, uguale, come hanno
dimostrato il professor Huxley ed il signor Flower, “a quello che esiste
uniformemente nelle scimmie più elevate e nelle più basse”. Le
mani e le braccia dell’uomo hanno conformazione eminentemente caratteristica,
ma i loro muscoli van soggetti a moltissime variazioni, tanto da rassomigliare
ai muscoli corrispondenti dei sottostanti animali. Cosiffatte rassomiglianze
sono talora compiute e perfette, oppure imperfette; tuttavia in quest’ultimo
caso sono evidentemente di natura transitoria. Certe variazioni son più
comuni nell’uomo, e certe altre nella donna, senza che se ne possa dare la ragione.
Il signor Wood, dopo aver descritto un gran numero di casi, fa la seguente
grave osservazione: “Alcune notevoli deviazioni dal tipo ordinario delle
strutture muscolari corrono per certi solchi o direzioni che possono essere
considerate come indicanti un qualche ignoto fattore di molta importanza per un
comprensivo conoscimento dell’anatomia generale e scientifica”.
Si può ammettere come
probabilissimo che questo ignoto fattore sia il ritorno o regresso ad un
primiero stato di esistenza. È al tutto incredibile che un uomo pel
fatto del semplice caso possa rassomigliare in non meno di sette muscoli a
certe scimmie, se non vi fosse stata qualche connessione genetica fra loro.
D’altra parte se l’uomo è disceso da qualche creatura somigliante alle
scimmie, non vi può essere nessuna buona ragione perchè certi
muscoli non ricompaiano ad un tratto dopo un intervallo di molte migliaia di
generazioni, nello stesso modo come si veggono nei cavalli, negli asini e nei
muli ricomparire ad un tratto le strisce di colore oscuro sulle gambe e sulle
spalle, dopo un intervallo di centinaia o più probabilmente migliaia di
generazioni.
Questi vari casi di regresso hanno
tanta relazione con quelli degli organi rudimentali riferiti nel primo
capitolo, che molti di essi avrebbero potuto essere stati introdotti
indifferentemente in quello od in questo. Così un utero umano fornito di
corna si può dire che rappresenti, in istato rudimentale, lo stesso
organo nel suo stato normale in certi mammiferi. Alcune parti che sono nell’uomo
rudimentali, come l’osso coccige in ambo i sessi e le mammelle nel sesso
mascolino, sono sempre presenti; mentre altre, come il forame sopracondiloideo,
appaiono solo occasionalmente, e perciò possono essere messe sul conto
del regresso. Queste varie strutture di regresso, come pure quelle puramente
rudimentali, dimostrano in modo indiscutibile essere l’uomo originato da una
qualche forma inferiore.
Variazione correlativa. – Molte
strutture hanno, nell’uomo come negli animali sottostanti, tanto intima
correlazione, che quando varia una parte così segue nell’altra, senza
che noi possiamo, in molti casi, darne una ragione. Non possiam dire se una
parte governi l’altra, o se entrambe siano governate da qualche parte
primitivamente sviluppata. Varie mostruosità, come asserisce
ripetutamente J. Geoffroy, sono per tal modo intimamente connesse. Le strutture
analoghe van soggette particolarmente a mutare insieme, come vediamo nei lati
opposti del corpo, e nelle estremità superiori ed inferiori. Da molto
tempo Mekel faceva notare che quando i muscoli del braccio si discostano dal
loro proprio tipo, quasi sempre imitano quelli della gamba, e così
all’incontro segue nei muscoli delle gambe. Gli organi della vista e
dell’udito, i denti e i capelli, il colore della pelle e dei capelli, il
colorito e la costituzione, hanno più o meno relazione fra loro. Il
professor Schaaffausen fermò pel primo l’attenzione sulla relazione che
apparentemente esiste fra una forma muscolare e le prominenze
sopraorbitali fortemente pronunciate, che sono caratteristiche delle razze
umane inferiori.
Oltre alle variazioni che possono
venire collocate con maggiore o minore probabilità nelle intestazioni
precedenti, vi è una grandissima classe di variazioni che
provvisoriamente possono essere chiamate spontanee, perchè appaiono, per
colpa della nostra ignoranza, venire senza una qualche cagione. Tuttavia si
può dimostrare che tali variazioni, sia che consistano soltanto
di lievi differenze individuali, o di repentine e fortemente spiccate
deviazioni di struttura, dipendono molto più dalla costituzione
dell’organismo che non dalla natura delle condizioni cui è stato
sottoposto.
Proporzione dell’accrescimento. – È
stato riconosciuto che i popoli civili quando sono in condizioni favorevoli,
come negli Stati Uniti, raddoppiano il loro numero in venticinque anni; e
secondo un calcolo di Euler questo può seguire anche in poco più
di dodici anni. Col primo calcolo la popolazione presente degli Stati Uniti,
cioè trenta milioni, in 657 anni coprirebbe tutto il globo terracqueo
così fittamente che sopra ogni metro quadrato dovrebbero stare ritti
quattro uomini. L’ostacolo principale o fondamentale del continuo aumento
dell’uomo è la difficoltà di guadagnarsi la sussistenza e di
vivere un po’ comodamente. Che questa ne sia la ragione lo possiamo dedurre da
ciò che vediamo, per esempio, negli Stati Uniti, ove la sussistenza
è facile e lo spazio è grande. Se in Inghilterra questi mezzi
fossero raddoppiati, il numero degli abitanti raddoppierebbe in poco tempo.
Presso i popoli civili l’impedimento principale sopra menzionato opera
soprattutto diminuendo i matrimoni. Il numero più grande dei bambini che
muoiono nelle classi povere è pure importantissimo; come anche il
maggior numero delle morti ad ogni età, e per varie malattie, negli
abitatori di case ristrette e miserabili. Gli effetti delle gravi epidemie e
delle guerre sono, nelle nazioni in favorevole condizioni, ben presto
compensati e più che compensati. Anche l’emigrazione produce un
temporaneo arresto, ma nelle classi poverissime questo arresto non è mai
molto importante.
Vi è qualche ragione per
supporre, come hai osservato Malthus, che la facoltà riproduttrice
è ora minore nelle classi barbare che non nelle incivilite. Intorno a
ciò non sappiamo nulla di bene esatto, perchè non è mai
stato fatto un censimento dei selvaggi; ma dalla testimonianza concorde dei
missionari e di altri che hanno dimorato lungamente presso quei popoli, sembra
che le loro famiglie siano poco numerose, e rare quelle che hanno molti figli.
Questo fatto può essere in parte attribuito a ciò che le donne
allattano i loro piccoli per lungo tempo; ma è anche molto probabile che
i selvaggi, i quali spesso menano una vita dura e non si nutrono tanto bene
quanto gli uomini inciviliti, siano ora meno prolifici. In un precedente lavoro
ho dimostrato che tutti i nostri quadrupedi ed uccelli domestici, e tutte le
nostre piante coltivate, superano in fecondità le specie corrispondenti
allo stato di natura. Non è una valida obiezione contro questo asserto
quella che gli animali che sono stati ad un tratto troppo copiosamente nutriti
o si sono molto impinguati, e la maggior parte delle piante che vengono
repentinamente trapiantate da un terreno magro in uno ben concimato, divengono
più o meno sterili. Perciò possiamo aspettarci che gli uomini
civili, che in un senso sono grandemente addomesticati, saranno più
prolifici degli uomini selvaggi. È anche probabile che la maggior
fecondità delle nazioni civili sia divenuta, come nel caso dei nostri
animali domestici, un carattere ereditario: almeno si sa che havvi in certe
famiglie umane una tendenza a produrre gemelli.
Tuttavia, malgrado che i selvaggi
sembrino essere meno prolifici dei popoli inciviliti, essi crescerebbero senza
dubbio rapidamente se non fossero in qualche modo tenuti strettamente indietro.
I Santali, tribù dei paesi montuosi dell’India, hanno recentemente dato
un buon esempio di questo fatto; perchè, come dimostra il signor Hunter,
il loro numero si è straordinariamente accresciuto dacchè
è stato introdotto il vaccino, dacchè si sono mitigate altre
pestilenze, e la guerra è stata repressa. Tuttavia questo accrescimento
non sarebbe stato possibile se quel popolo rozzo non si fosse esteso nel paese
vicino e non avesse lavorato per mercede. I selvaggi si sposano quasi sempre;
tuttavia havvi a ciò un certo limite prudenziale, perchè,
comunemente, non si sposano mai molto presto. Sovente i giovani debbono
dimostrare che possono mantenere una moglie, e per lo più hanno da
guadagnarsi prima il prezzo che ci vuole per comperare la sposa dai suoi
genitori. La difficoltà che hanno i selvaggi di procurarsi la
sussistenza pone accidentalmente un argine al loro accrescimento maggiore di
quello che può accadere nei popoli civili, perchè tutte le
tribù vanno periodicamente soggette a grandi carestie. Allora i selvaggi
sono obbligati a nutrirsi male, e ciò non può a meno di cagionar
danno alla loro salute. Sono stati pubblicati molti ragguagli intorno allo
sporgere del loro stomaco ed alla emaciazione delle loro membra dopo e durante
le carestie. Inoltre sono anche obbligati ad andare molto vagando qua e
là, e un gran numero dei loro bambini, come mi fu assicurato in
Australia, periscono in quei casi. Siccome le carestie sono periodiche,
perchè dipendono principalmente dalle stagioni estreme, tutte quelle
tribù devono oscillare nel loro numero. Non possono crescere
continuamente e con regolarità, non essendovi aumento artificiale nella
provvista del nutrimento. Quando i selvaggi sono un po’ allo stretto invadono
reciprocamente i loro territori, e allora ne viene la guerra; ma invero essi
sono quasi sempre in guerra coi loro vicini. Van soggetti a vari accidenti in
terra e sull’acqua quando sono in cerca di cibo; ed in alcuni paesi soffrono
molto dalle maggiori belve. Anche nell’India, intere contrade sono state
spopolate dalle tigri.
Malthus ha discusso queste varie cause
di arresto nell’aumento delle popolazioni, ma non ha dato molta importanza a
quella che è forse la più grave di tutte, l’infanticidio,
specialmente delle femmine, e l’uso di procurare gli aborti. Queste pratiche
vengono seguite oggi in molte parti del mondo, e il signor M’Lennan ha
dimostrato che vi è ogni ragione di credere che l’infanticidio sia stato
nei tempi passati praticato anche più estesamente. Sembra che l’origine
di queste pratiche sia derivata nei selvaggi dalla difficoltà, o meglio
l’impossibilità, che trovavano nel mantenere tutti i bambini che
nascevano. Alle sopraddette cause di arresto si può anche aggiungere la
licenziosità; ma questa non è dovuta per la mancanza dei mezzi di
sussistenza; sebbene vi sia ragione per credere che in alcuni casi (come al
Giappone) sia stata incoraggiata a bella posta come un mezzo per frenare
l’aumento della popolazione. Se guardiamo indietro ad un’epoca remotissima,
prima che l’uomo avesse acquistata la dignità umana, egli deve essere
stato guidato molto più dall’istinto e molto meno dalla ragione che non
i selvaggi dei nostri tempi. I nostri primieri progenitori semiumani non
avranno praticato l’infanticidio, perchè gl’istinti degli animali
sottostanti non sono mai tanto pervertiti da indurli a distruggere regolarmente
la loro prole. Non vi sarà stato freno prudenziale al matrimonio, e i
sessi si saranno liberamente uniti in età giovanile. Quindi i
progenitori dell’uomo avranno avuto molta tendenza a moltiplicarsi rapidamente,
ma ostacoli di qualche sorta o periodici o costanti debbono averne limitato il
numero anche molto di più che non sia per gli attuali selvaggi. Non
possiamo dire quale sia stata la precisa natura di questi ostacoli, non
più di quello che possiamo fare per molti altri animali. Sappiamo che i
cavalli e le bovine, che non sono animali soverchiamente prolifici, quando
furono dapprima lasciati liberi nel Sud America, si moltiplicarono enormemente.
Il produttore più lento di tutti gli animali conosciuti, l’elefante,
potrebbe in poche migliaia d’anni ricoprire tutta la terra. La moltiplicazione
soverchia di ogni specie di scimmie deve essere impedita da qualche ostacolo,
ma non già, come osserva Brehm, dalle aggressioni degli animali da
preda. Nessuno vorrà affermare che l’attuale potenza riproduttiva dei
cavalli selvatici e delle bovine selvatiche dell’America fosse dapprima
maggiore in grado sensibile; o che, quando ogni distretto fu al tutto popolato,
quella stessa potenza sia diminuita. Senza dubbio, in questo e in tutti gli
altri casi concorrono molte cause di arresto, e differenti cause secondo le
differenti circostanze; è molto probabile che la scarsità
periodica di nutrimento, per causa delle stagioni sfavorevoli, sia la
più importante di tutte. Così sarà stato anche per
ciò che riguarda i primieri progenitori dell’uomo.
Scelta naturale. – Abbiamo
testè veduto che l’uomo è variabile tanto nel corpo come nella
mente; e che le sue variazioni sono prodotte, direttamente o indirettamente,
dalle stesse leggi generali, come degli animali sottostanti. L’uomo si è
sparso ampiamente sulla faccia della terra, e durante le sue continue
migrazioni, deve essere stato esposto alle condizioni più svariate. Gli
abitanti della Terra del Fuoco, del Capo di Buona Speranza e della Tasmania in
un emisfero, e quelli delle regioni Artiche nell’altro, debbono avere
attraversato molti climi e mutato molte volte il loro genere di vita, prima di
giungere alla loro presente dimora. I primi progenitori dell’uomo debbono, come
tutti gli altri animali, avere avuto una forte tendenza a moltiplicarsi molto
al di là dei loro mezzi di sussistenza, perciò debbono essere
stati occasionalmente esposti alla lotta per l’esistenza, e quindi a seguire la
rigida legge della scelta naturale. In tal guisa si devono essere conservate le
variazioni benefiche di tutte le sorta, sia abitualmente come occasionalmente,
e devono essere state eliminate quelle nocevoli. Non voglio parlare delle
grandi e spiccate deviazioni di forma, che seguono solo a lunghi intervalli di
tempo, ma di semplici differenze individuali. Sappiamo, per esempio, che i
muscoli delle nostre mani e dei nostri piedi che promuovono i nostri movimenti,
van soggetti, come quelli degli animali sottostanti, ad incessanti variazioni.
Quindi se i progenitori dell’uomo somiglianti alle scimmie che abitavano una
data contrada, e specialmente una che portasse qualche mutamento nelle loro
condizioni, si fossero divisi in due parti uguali, una delle quali avesse
racchiuso in sè tutti gl’individui meglio acconci, per le loro
facoltà di movimento, a guadagnarsi la sussistenza e a meglio
difendersi, quella parte a conti fatti avrebbe conservato maggior numero d’individui
e avrebbe procreato maggior prole che non l’altra parte meno bene dotata.
L’uomo anche allo stato più
rozzo in cui si trovi presentemente è l’animale più dominatore
che sia mai comparso sulla terra. Egli si è sparso molto più
estesamente di qualunque altra forma di elevata struttura; e, tutti gli altri
hanno dovuto cedergli il campo. Evidentemente, egli va debitore di questa
immensa superiorità alle sue facoltà intellettuali, ai suoi
costumi socievoli che lo inducono ad aiutare e difendere i suoi compagni, ed
alla struttura del suo corpo. L’importanza suprema di questi caratteri è
stata dimostrata dall’arbitrato finale della lotta per la esistenza.
Mercè le potenze del suo intelletto, si è sviluppato il
linguaggio articolato, ed è stata soprattutto questa la causa principale
del suo meraviglioso progresso. Egli ha inventato e sa adoperare varie armi,
ordigni, trappole, ecc., con cui si difende, uccide e s’impadronisce della
preda, o si procura altrimenti il nutrimento. Egli ha costrutto zattere o
barchette sulle quali pesca o attraversa bracci di acqua per andare sopra le
fertili isole vicine. Ha scoperto l’arte di far accendere il fuoco, per cui le
dure e fibrose radici possono divenire digeribili, e le erbe e le radici
velenose sono rese innocue. Quest’ultimo trovato, forse il più grande,
dopo la parola, che l’uomo abbia mai fatto, data fino dal primo albore della
storia. Queste varie invenzioni, per cui l’uomo nello stato più rozzo
è divenuto così eminente, sono il diretto risultato dello
sviluppo delle sue facoltà di osservazione, di memoria, di
curiosità, di immaginazione e di ragione. Io non posso quindi
comprendere come vada che il signor Wallace asserisca, che “la scelta naturale
non avrebbe dato al selvaggio che un cervello poco superiore a quello di una
scimmia”.
Quantunque le facoltà
intellettuali ed i costumi socievoli abbiano per l’uomo una suprema importanza,
non dobbiamo diminuire la importanza della sua struttura corporea, a cui
dedicheremo il resto del presente capitolo. Nel seguente capitolo discuteremo
lo sviluppo delle sue facoltà intellettuali, sociali e morali.
Non è agevole cosa adoperare a
dovere anche solo il martello, e ciò riconoscerà chiunque abbia
provato ad imparar l’arte del legnaiuolo. Scagliare un sasso con precisione
come può fare un abitante della Terra del Fuoco per difendersi od
uccidere un uccello, richiede la più consumata perfezione nell’azione
concorde dei muscoli della mano, del braccio e della spalla, senza parlare di
un finissimo senso del tatto. Un uomo, quando scaglia un sasso o scocca una
freccia, o compie molte altre azioni, deve essere ben saldo in piedi, e
ciò richiede pure un perfetto accordo fra i numerosi muscoli. Foggiare
una selce a mo’ di rozzo utensile, o fare con un osso una freccia dentata o un
gancio, richiede l’uso di una mano perfetta; perchè, come osserva il
signor Schoolcraft, giudice competentissimo, i frammenti di pietra che hanno
forma di coltelli, di lame, o di punte di frecce, mostrano “una abilità
straordinaria ed una lunga pratica”. Abbiamo la prova di questo fatto in
ciò che gli uomini primitivi solevano praticare la divisione del lavoro;
ogni uomo non si fabbricava i propri utensili di selce o le proprie rozze
stoviglie; ma sembra che certi individui siansi applicati a cosiffatti lavori,
ricevendo senza dubbio in ricambio il prodotto della caccia. Gli archeologi
sono convinti che deve essere passato un enorme intervallo di tempo prima che i
nostri antenati abbiano pensato a foggiare utensili levigati colle schegge
delle selci. Un animale somigliante all’uomo, fornito di una mano e di un
braccio tanto perfetti da permettergli di scagliare un sasso con precisione o
di foggiare con una selce un grossolano utensile, potrebbe fare, senza dubbio,
con una pratica sufficiente, quasi ogni cosa, per quello che riguarda la
abilità meccanica che può fare un uomo incivilito. La struttura
della mano può essere per questo riguardo comparata a quella degli
organi vocali, che nelle scimmie sono adoperati per mandar fuori varie grida di
segnali, e, in una specie, cadenze musicali; ma nell’uomo organi vocali
strettamente simili sono divenuti atti per via degli effetti dell’uso
ereditario a[3]
far udire un linguaggio articolato.
Venendo ora ai più prossimi
affini dell’uomo, e quindi ai migliori rappresentanti dei nostri primieri
progenitori, troviamo che le mani dei quadrumani sono costrutte sullo stesso
stampo generale come le nostre, ma sono molto meno perfettamente acconce pei
vari uffici. Le loro mani non servono tanto bene come i piedi del cane per la
locomozione; come si può vedere in quelle scimmie che camminano sui
margini esterni della palma, o sulla parte inferiore delle loro dita ripiegate,
come lo scimpanzè e l’urango. Tuttavia le loro mani sono
meravigliosamente costrutte per arrampicarsi sugli alberi. Le scimmie afferrano
rami sottili o corde, col pollice da un lato e le dita e la palma dall’altro
lato, nel modo stesso come facciamo noi. Possono anche portarsi alla bocca
oggetti più grossi, come il collo di una bottiglia. I babbuini rivoltano
le pietre, e sradicano le radici colle mani. S’impadroniscono di noci, insetti,
o di altri piccoli oggetti col pollice opposto alle altre dita, e senza dubbio
estraggono dai nidi uova ed uccellini. Le scimmie americane battono gli aranci
selvatici sopra i rami affinchè la scorza si spacchi, poi li sbucciano
colle dita delle due mani. Colle dita si tolgono via le spine e gli stecchi, e
si liberano reciprocamente dei parassiti. In stato di natura spaccano colle
pietre le frutta molto dure. Fanno rotolare sassi sui propri nemici per
difendersi; nondimeno, compiono tutte queste varie azioni goffamente, e sono al
tutto incapaci, come ho veduto io stesso, di scagliare con precisione un sasso.
Mi sembra molto lungi dal vero quella
obiezione che poichè le scimmie “afferrano goffamente gli oggetti, un
organo di preensione molto meno speciale di quello che hanno ora avrebbe fatto
ad esse lo stesso ufficio come le loro mani attuali”. Al contrario, non veggo
ragione per dubitare che una mano più perfettamente costrutta sarebbe
stata loro molto vantaggiosa, purchè, e ciò è molto
importante da notare, le loro mani non fossero per divenire così meno
atte all’arrampicarsi sugli alberi. Possiamo benissimo supporre che una mano od
un piede perfetti sarebbero stati meno adatti all’arrampicare; perchè le
scimmie più arboree del mondo, gli ateli dell’America e gli ilobati
dell’Asia, hanno talora il pollice molto rimpicciolito ed anche rudimentale, e
talora le dita parzialmente saldate, cosicchè le loro mani non sono
più che ganci buoni per abbrancare.
Quando qualche antico membro della
grande serie dei primati venne indotto, pel mutamento nel modo di procurarsi la
sussistenza, o per le mutate condizioni del suo paese natio, a vivere un po’
meno sugli alberi e un po’ più sul terreno, deve essersi modificato il
suo modo di camminare; e in questo caso deve esser divenuto molto più
particolarmente quadrupede o bipede. I babbuini frequentano i luoghi montuosi e
rocciosi, e solo per necessità si arrampicano sugli alberi ed essi hanno
ora acquistato l’andatura quasi di un cane. L’uomo solo è divenuto
bipede; e noi possiamo, credo, riconoscere in parte come sia giunto ad
acquistare il suo portamento eretto, che è una delle più cospicue
differenze che lo distinguono dai suoi più stretti affini. L’uomo non
avrebbe mai potuto acquistare la sua attuale posizione di dominatore del mondo
senza l’uso delle sue mani che sono così meravigliosamente acconce ad
operare obbedendo alla sua volontà. Come asserisce con insistenza sir C.
Bell, “la mano supplisce tutti gli strumenti, e colla sua corrispondenza,
coll’intelletto gli dà il dominio universale”. Ma le mani e le braccia
non possono guari essere divenute tanto perfette da costrurre armi, o da scagliare
sassi e giavellotti ad una data mira, finchè furono adoperate
abitualmente per uso di locomozione e per sopportare tutto il peso del corpo, o
finchè erano specialmente acconce, come abbiamo osservato prima,
all’arrampicarsi sugli alberi. Un modo di vivere così rozzo avrebbe
anche spento il senso del tatto, dal quale dipende principalmente il loro uso
delicato. Per queste sole ragioni doveva essere un vantaggio per l’uomo
divenire bipede; ma per molte azioni è quasi necessario che le braccia e
tutta la parte superiore del corpo siano liberi; e perciò egli deve star
ritto sui piedi. Ad ottenere questo grande vantaggio, i piedi sono divenuti
piatti, e il dito pollice si è particolarmente modificato, sebbene
ciò abbia avuto per conseguenza la perdita della facoltà di
preensione. Ciò concorda col principio della divisione del lavoro
fisiologico, prevalente in tutto il regno animale, che mentre le mani divengono
perfette per la presa, i piedi si perfezionano e divengono più acconci
per sostenere il corpo e per camminare. Tuttavia, in certi selvaggi il piede
non ha al tutto perduto la facoltà di preensione, come dimostrano il
modo in cui si arrampicano sugli alberi e lo adoperano in altri vari usi.
Se lo stare saldamente ritto sui piedi
ed avere le mani e le braccia libere è un vantaggio per l’uomo, cosa di
cui non si può affatto dubitare vedendo la sua splendida vittoria nella
battaglia per la vita, non veggo ragione perchè non sarebbe stato utile
pei progenitori dell’uomo di venire sempre più ad acquistare un
portamento eretto, o divenire bipedi. In tal modo avrebbero potuto meglio
riuscire a difendersi con sassi o clave, o ad aggredire la preda, in altre
parole a procurarsi il nutrimento. Se il gorilla ed alcune poche forme affini
si fossero spente, si sarebbe potuto sostenere con molti buoni argomenti e con
una certa apparenza di verità che un animale non poteva convertirsi
gradatamente da quadrupede in bipede; perchè tutti gli individui posti
in condizione intermedia sarebbero stati molto poveramente fatti per l’incesso.
Ma sappiamo (e ciò merita grandemente di essere notato) che parecchie
sorta di scimmie si trovano ora in questa condizione intermedia; e nessuno
mette in dubbio che non siano nel complesso bene adattate alle loro condizioni
di vita. Così il gorilla va con andatura obliqua e goffa, ma per lo
più cammina appoggiandosi sulle mani ripiegate. Le scimmie dalle lunghe
braccia sogliono comunemente adoperar queste a mo’ di grucce, movendo il corpo
in mezzo di esse, e certe specie di ilobati, senza che ciò sia stato
loro mai insegnato, possono camminare e correre ritte con sufficiente
sveltezza; tuttavia hanno un’andatura sgarbata, e molto meno sicura che non
l’uomo. Infine, noi vediamo nelle scimmie oggi esistenti certe gradazioni fra
un modo di incesso simili al tutto a quello di un quadrupede e a quello di un
bipede od uomo.
Mentre i progenitori dell’uomo andavano
man mano acquistando una posizione sempre più eretta, e le mani e le
braccia loro si modificavano per modo da divenire acconci allo afferrare e ad
altri usi, e i piedi e le gambe sopportavano nello stesso tempo i mutamenti
necessari per essere più forti sostegni e migliori mezzi per l’incesso,
si facevano necessari un numero infinito di altri mutamenti di forma. La pelvi
doveva divenire più larga, la spina incurvarsi in special modo, ed il
capo mettersi in altra posizione, e tutti questi mutamenti l’uomo li ha
raggiunti. Il professore Schaaffhausen asserisce che, “i forti processi
mastoidei del cranio umano sono l’effetto della posizione eretta”; e questi
processi mancano nell’urango, nello scimpanzè, ecc., e nel gorilla sono
più piccoli che non nell’uomo. Si potrebbero qui citare parecchie altre
strutture che sembrano aver relazione colla posizione eretta dell’uomo.
È difficilissimo decidere fino a qual punto queste relative
modificazioni siano l’effetto della scelta naturale, oppure degli effetti
ereditati pel maggiore esercizio di certe parti, o dell’azione di una parte
sopra un’altra. Senza dubbio questi mezzi di mutamento agiscono e reagiscono
fra loro, quindi quando certi muscoli, o le prominenze ossee cui s’inseriscono,
divengono più grandi per ragione dell’esercizio usuale, ciò
dimostra che certe azioni si compiono abitualmente e debbono essere utili. In
conseguenza quegli individui che le compievano meglio dovevano essere in
migliori condizioni e dovevano sopravvivere in numero maggiore.
L’uso libero delle mani e delle
braccia, causa ed effetto della posizione eretta dell’uomo, sembrano aver
dovuto produrre, indirettamente, altre modificazioni di struttura. È
molto probabile che i primi progenitori maschi dell’uomo fossero forniti, come
abbiamo detto più sopra, di grandi denti canini; ma per l’abito
gradatamente acquistato di adoperare sassi, clave o altre armi per combattere i
loro nemici, essi debbono aver sempre meno adoperato le mascelle ed i denti. In
tal caso le mascelle e i denti si saranno diminuiti di volume, come ce
ne danno certezza molti altri casi analoghi. Vedremo in un altro capitolo un
caso strettamente consimile nella riduzione o assoluta scomparsa dei denti
canini nei maschi dei ruminanti apparentemente in relazione collo sviluppo
delle corna, e nei cavalli in relazione coll’uso che hanno di combattere coi
denti incisivi e colle zampe.
Nei maschi adulti delle scimmie antropomorfe,
come Rütimeyer ed altri asseriscono, è precisamente l’effetto che
è stato prodotto sul cranio dall’enorme sviluppo dei muscoli mascellari,
il quale è la causa che questo cranio differisce tanto per molti
riguardi da quello dell’uomo, e dà loro “una fisonomia invero
spaventevole”. Perciò mentre le mascelle e i denti dei progenitori
dell’uomo sono andati man mano riducendosi in volume, il cranio dell’adulto
deve avere presentato quasi gli stessi caratteri che offre quello delle scimmie
antropomorfe giovani, e quindi esser venuto a rassomigliare sempre più a
quello dell’uomo attuale. Una grande riduzione nella mole dei denti canini deve
quasi certamente avere alterato, come vedremo in seguito, per via della
eredità, anche i denti delle femmine.
Mentre le varie facoltà
intellettuali si sono andate sviluppando a gradi a gradi, è quasi certo
che il cervello deve esser divenuto più grande. Non credo che nessuno
possa dubitare che la grande mole del cervello dell’uomo, relativamente al suo
corpo, in confronto di quello del gorilla o dell’urango, non abbia una intima
relazione colle sue più elevate potenze mentali. Noi vediamo fatti
strettamente analoghi negli insetti, nei quali i gangli cerebrali sono di
dimensioni straordinarie nelle formiche; questi gangli sono in tutti gli
imenotteri parecchie volte più grandi che non negli ordini meno
intelligenti, come gli scarafaggi. D’altra parte nessuno può supporre
che l’intelletto di due dati animali o di due dati uomini possa venire misurato
accuratamente dal contenuto cubico del loro cranio. È certo che
può esservi una straordinaria attività mentale unita ad una
piccolissima massa assoluta di materia nervosa: così, sono notissimi
gl’istinti meravigliosamente vari, le potenze mentali, gli affetti delle
formiche, e tuttavia i loro gangli cerebrali non sono grossi quanto il quarto
della capocchia di una piccola spilla. Da questo punto di vista, il cervello
della formica è uno fra i più meravigliosi atomi di materia del
mondo, forse ancor più meraviglioso del cervello dell’uomo.
La credenza che esista nell’uomo una
intima relazione fra il volume del cervello e lo sviluppo delle facoltà
intellettuali si appoggia sul paragone dei crani delle razze selvagge e delle
incivilite dei popoli antichi e dei moderni e sulla analogia di tutta la serie
dei vertebrati. Il dottor J. Bernardo Davis ha dimostrato, dopo molte accurate
misure, che la capacità interna media del cranio è negli Europei
di
L’accrescimento graduato di peso
del cervello e del cranio dell’uomo deve avere avuto una azione nello sviluppo
della colonna vertebrale che gli serve di sostegno, e più specialmente
mentre stava divenendo eretta. Mentre seguiva questo mutamento di posizione, la
pressione interna del cervello avrà avuto anche una certa azione nella
forma del cranio; perchè molti fatti dimostrano quanto agevolmente il
cranio possa venire in tal modo modificato. Gli etnologi credono che esso si
modifichi anche per la qualità della culla ove dormono i bambini. Certi
spasmi abituali dei muscoli e una cicatrice venuta da una grave scottatura
hanno modificato permanentemente le ossa facciali. In quelle persone giovani
nelle quali il capo, in seguito ad una qualche malattia, è rimasto
piegato lateralmente o all’indietro, uno degli occhi ha mutato posizione, e le
ossa del cranio si sono modificate, e questo è derivato apparentemente
da ciò che il cervello ha fatto pressione in una nuova direzione. Io ho
dimostrato che nei conigli dalle lunghe orecchie basta una lieve cagione, come
il taglio in avanti di un orecchio, per far sporgere da quel lato quasi tutte
le ossa del cranio; per cui le ossa del lato opposto non corrispondono
più per l’appunto. Infine, se un animale qualunque cresce o diminuisce
molto nella mole generale senza che avvenga qualche mutamento nelle sue potenze
mentali, o se le potenze mentali crescono o diminuiscono molto senza qualche
grande mutamento nel volume del corpo, è quasi certo che la forma del
cranio sarà alterata. Io deduco questo dalle mie osservazioni sui
conigli domestici, alcune sorta dei quali sono venuti molto più grandi
che non i selvatici, mentre altre sono rimaste a un dipresso della stessa
grossezza, ma nei due casi il cervello si è molto rimpicciolito rispetto
alla mole del corpo. Ora mi recò dapprima molta sorpresa vedere che in
tutti questi conigli il cranio era divenuto più lungo, o dolicocefalo:
per esempio, di due crani di quasi pari larghezza, uno di un coniglio selvatico
e l’altro di una grossa specie domestica, il primo era lungo solo
Da tutti questi fatti noi possiamo fino
a un certo punto comprendere i modi mercè i quali l’uomo ha acquistato
la maggior mole del suo cranio e la sua forma più o meno allungata; e
questi sono caratteri che lo distinguono eminentemente in comparazione dei
sottostanti animali.
Un’altra molto spiccata differenza fra
l’uomo e gli animali sottostanti è la nudità della pelle. Le
balene e i delfini (Cetacea), i dugunghi (Sirenia) e l’ippopotamo
sono nudi; e ciò può essere loro utile per guizzare nell’acqua;
nè potrebbero per questo soffrire per la perdita del calore,
perchè le specie, che abitano le regioni più fredde sono protette
da un fitto strato di adipe, che serve allo stesso uso come il pelo delle foche
e delle lontre. Gli elefanti ed i rinoceronti sono quasi senza pelo; e siccome
certe specie estinte che vivevano anticamente in un clima artico erano coperte
di lunga lana o pelo, sembrerebbe quasi che le specie dei due generi che
esistono oggi abbiano perduto la loro pelle villosa per essere esposte al
caldo. Questo sembra tanto più probabile dacchè gli elefanti
dell’India che vivono nei paesi freschi ed elevati sono più pelosi che
non quelli che vivono nelle pianure. Dobbiamo noi dedurre, da ciò, che
l’uomo siasi spogliato dei peli per avere dimorato in origine in qualche terra
tropicale? Il fatto che il sesso mascolino ha conservato principalmente sul
petto e sul volto il pelo, ed ambo i sessi lo hanno conservato nel punto di
giunzione dei quattro membri col tronco, appoggia questa deduzione,
aggiungendosi che l’uomo perdette il suo pelo prima che avesse acquistato una
posizione eretta perchè le parti che conservano ora la maggior copia di
pelo erano allora molto protette contro il calore del sole. Tuttavia la parte
superiore del corpo offre una curiosa eccezione, perchè in ogni tempo
deve essere stata una delle parti più esposte, e ciononostante è
fittamente ricoperta di capelli. Per questo rispetto l’uomo somiglia alla
maggior parte dei quadrupedi, che in generale hanno la loro superficie
superiore ed esposta molto più ricoperta che non la inferiore.
Nondimeno, il fatto che altri membri dell’ordine dei Primati, a cui l’uomo
appartiene, quantunque abitino varie regioni calde, sono bene rivestiti di
peli, in generale più fitti alla superficie superiore, si oppone
fortemente alla supposizione che l’uomo sia divenuto nudo merce l’azione del
sole. Sono inclinato a credere, come vedremo nella scelta sessuale, che l’uomo,
o meglio la donna primitiva, sia divenuta priva di pelo per motivo di ornamento;
e secondo questa credenza non è sorprendente che l’uomo differisca tanto
in fatto di pelosità da tutti i suoi più bassi congiunti,
perchè spesso i caratteri acquistati mercè la scelta sessuale
differiscono in un grado straordinario in forme intimamente congiunte.
Secondo il sentimento popolare, la
mancanza di coda è un carattere eminentemente distintivo dell’uomo; ma
siccome quelle scimmie che sono più affini all’uomo mancano di
quest’organo, la sua assenza non ci concerne in modo speciale. Nondimeno
può tornar utile riconoscere che, per quanto io sappia, non è
stata data nessuna spiegazione intorno alla perdita della coda di certe
scimmie e dell’uomo. Tuttavia questa perdita non sorprende, perchè
talvolta in specie dello stesso genere la coda differisce notevolmente nella
lunghezza: così in alcune specie di macachi la coda è più
lunga di tutto il corpo, consiste di ventiquattro vertebre; in altre è
un moncone appena visibile, fatto soltanto di tre o quattro vertebre. In alcune
specie di babbuini ve ne sono venticinque, mentre nel mandrillo vi sono dieci
piccolissime vertebre caudali, molto ridotte, o, secondo Cuvier, talvolta solo
cinque. Questa grande diversità nella lunghezza e nella struttura della
coda in animali che appartengono agli stessi generi, ed hanno quasi lo stesso
modo di vivere, fa pensare che probabilmente la coda non è per essi di
molta importanza; e se ciò è, potevamo aspettarci che sarebbe
divenuta talora più o meno rudimentale, concordemente a ciò che
vediamo di continuo in altre strutture. La coda quasi sempre termina in punta
all’apice, sia essa lunga o corta; e, secondo me, questo dipende dalla atrofia
che, pel difetto di esercizio, segue nei muscoli terminali e nelle loro arterie
e nei nervi, che producono poi l’atrofia delle ossa terminali. Per ciò
che riguarda l’osso coccige, che nell’uomo e nelle scimmie più elevate
evidentemente è fatto dei pochi e appuntati segmenti basali di una coda
ordinaria, ho inteso domandare come abbiano potuto quelle ossa al tutto
incastrarsi nel corpo; ma in ciò non v’ha alcuna difficoltà,
perchè in molte scimmie i segmenti basali della vera coda sono per tal
modo incorporati. Per, esempio, il signor Murie mi ha informato che nello
scheletro di un Macacus inornatus non pienamente adulto egli ha contato
da nove a dieci vertebre caudali, che tutte insieme erano lunghe solo
Io ho finora cercato di dimostrare come
alcuno dei caratteri più spiccati dell’uomo siano stati secondo ogni
probabilità acquistati, sia direttamente o più comunemente in via
indiretta, mercè la scelta naturale. Noi dobbiamo porci in mente che le
modificazioni della struttura o della costituzione, che non sono di nessuna
utilità ad un organismo per renderlo adatto al suo modo di vivere, al
nutrimento che consuma, o passivamente alle condizioni circostanti, non possono
essere state in tal modo acquistate. Tuttavia, noi non dobbiamo con troppa
sicurezza decidere quali modificazioni siano di maggior utilità ad ogni
individuo; dobbiamo rammentarci quanto poco sappiamo intorno all’uso di molte
parti, o quali mutamenti nel sangue o nei tessuti possono servire a rendere
atto un organismo ad un nuovo clima o a qualche nuova sorta di cibo. Nè
dobbiamo noi dimenticare il principio di correlazione, col quale, come ha
dimostrato Isidoro Geoffroy nel caso dell’uomo, molte strane deviazioni di
strutture sono collegate insieme. Indipendentemente dalla correlazione, un
mutamento che segue in una parte produce per via dell’aumentato o scemato
esercizio di altre parti altri mutamenti di natura al tutto inaspettata. Giova
anche riflettere a quei tali fatti, come la meravigliosa crescenza delle galle
sulle piante, cagionate dal veleno di un insetto, e sui notevoli mutamenti di
colore che hanno luogo nelle piume dei pappagalli quando mangiano certi pesci,
e loro s’inocula il veleno dei rospi, perchè possiamo da ciò
scorgere che i fluidi del sistema, se vengono alterati per qualche speciale
proposito, possono indurre altri strani mutamenti. Noi dobbiamo particolarmente
metterci in capo essere cosa molto probabile che le modificazioni acquistate e
continuamente adoperate durante i secoli trascorsi per qualche utile proposito
siano divenute fermamente permanenti, e possano essere alla lunga ereditate.
Così si può con una certa
sicurezza dare una grandissima quantunque indefinita estensione ai risultati
diretti ed indiretti della scelta naturale; ma ora riconosco, dopo aver letto
il saggio di Nägeli sulle piante e le osservazioni di vari autori rispetto agli
animali, e più specialmente quelle fatte di fresco dal prof. Broca, che,
nelle prime edizioni della mia Origine delle specie, ho forse attribuita
una troppo larga azione alla scelta naturale o alla sopravvivenza dei meglio
provveduti. Ho corretto la quinta edizione dell’Origine, limitando le
mie osservazioni ai mutamenti nella disposizione della struttura. Io non avevo
dapprima considerato sufficientemente l’esistenza di molte strutture che non
sembrano essere, per quanto possiamo giudicare, nè benefiche nè
dannose; e questo io credo sia uno dei più grandi errori che io abbia
finora trovato in quel mio lavoro. Mi sia permesso di addurre come scusa che io
aveva due distinti oggetti in vista: primo, dimostrare che le specie non erano
state create separatamente; secondo che la scelta naturale è stata il
principale agente di mutamento, sebbene sia stata efficacemente aiutata dagli
effetti ereditati dell’abitudine, e lievemente dall’azione diretta delle
condizioni circostanti. Nondimeno non mi riuscì di abbattere l’azione
della mia primiera credenza, allora molto prevalente, che ogni specie fosse
stata creata a bella posta; e questo mi condusse tacitamente a ciò, che
ogni particolarità della struttura, tranne i rudimenti, fosse di qualche
speciale sebbene non riconosciuta utilità. Chiunque abbia ciò
nella mente deve naturalmente estendere troppo l’azione della scelta naturale,
sia nei tempi passati come nei presenti. Alcuni di quelli che ammettono il
principio dell’evoluzione, ma respingono la scelta naturale, sembrano
dimenticare, quando criticano il mio libro, che io avevo in vista i due oggetti
sopra menzionati: quindi se ho sbagliato dando alla scelta naturale una
soverchia importanza, che ora son lontano dall’ammettere, o se ne ho esagerata
la potenza, ciò che è in se stesso probabile, almeno ho reso,
spero, un buon servizio, cercando di rovesciare il dogma delle creazioni
separate.
È probabile, per quanto oggi io
posso scorgere, che si osservino in tutti gli esseri organici, compreso l’uomo,
molte modificazioni nella struttura che non sono loro presentemente e non sono
state in passato di qualche utilità. Noi non sappiamo che cosa sia
quello che produce le innumerevoli piccole differenze tra individui della
stessa specie, perchè il regresso non fa che portare il problema qualche
passo indietro; ma ogni particolarità deve avere avuto la sua propria
causa efficiente. Se queste cause, qualunque possano essere, venissero ad
operare con maggiore uniformità ed energia durante un lungo periodo (e
non si può dare una ragione perchè ciò non possa talvolta
accadere), l’effetto non sarebbe probabilmente di semplici differenze
individuali, ma di modificazioni costanti e bene evidenti. Quelle modificazioni
che non sono per nulla benefiche non possono essere state mantenute uniformi
dalla scelta naturale, sebbene tutte quelle che erano nocevoli debbano essere
state così eliminate. Tuttavia dalla assunta uniformità delle
cause eccitanti avrebbe dovuto venire naturalmente l’uniformità di caratteri,
e ciò anche pel libero incrociamento di molti individui. Lo stesso
organismo poteva in tal modo, durante i successivi periodi, acquistare
successive modificazioni, e queste sarebbero state trasmesse in uno stato quasi
uniforme, finchè le cause eccitanti fossero rimaste le stesse e vi fosse
stato libero incrociamento. Per quello che riguarda le cause eccitanti possiamo
solo dire, come quando si parla delle cosidette variazioni spontanee, che hanno
una più stretta relazione colla costituzione dell’organismo variante,
che non colla natura delle condizioni a cui esso è stato soggetto.
Conclusione. – Abbiamo in
questo capitolo veduto che siccome l’uomo oggi è soggetto, come ogni
altro animale, a moltiformi differenze individuali o leggere variazioni, così
senza dubbio erano i primieri progenitori dell’uomo; essendo quelle variazioni
allora come oggi prodotte dalle stesse cause generali, e governate dalle
medesime leggi generali e complesse. Siccome tutti gli animali hanno una
tendenza a moltiplicarsi al di là dei loro mezzi di sussistenza,
così deve essere seguìto nel caso dei progenitori dell’uomo; e
questo avrà inevitabilmente condotto ad una lotta per l’esistenza ed
alla scelta naturale. Quest’ultima sarà stata grandemente aiutata dagli
effetti ereditati del maggiore esercizio delle parti; mentre questi due
processi reagiscono incessantemente l’uno sull’altro. Sembra anche, come
vedremo in seguito, che diversi caratteri poco importanti siano stati
acquistati dall’uomo mercè la scelta sessuale. Bisogna lasciare un
residuo di mutamento inesplicato, e forse anche grande, all’assunta uniforme
azione di quegli ignoti agenti che accidentalmente producono spiccate e
repentine deviazioni di struttura nei nostri prodotti domestici.
Se giudichiamo dai costumi dei selvaggi
e del maggior numero dei quadrupedi, l’uomo primitivo, ed anche i progenitori
dell’uomo somiglianti alle scimmie, dovevano vivere in società. Negli
animali strettamente socievoli la scelta naturale opera talora indirettamente
sull’individuo, mercè la conservazione delle variazioni che sono
benefiche soltanto alla comunità. Una comunità che racchiude un
gran numero d’individui bene dotati cresce di numero, e vince le altre
comunità meno bene dotate; quantunque ogni membro separato non possa
vantaggiarsi sugli altri membri della stessa comunità. Negli insetti
socievoli molte notevoli strutture, che sono poco o nulla utili all’individuo o
alla sua prole, come l’apparato per raccogliere il polline e l’aculeo dell’ape
operaia, e le grandi mascelle delle formiche soldati, sono state in quella
guisa acquistate. Non mi sono mai accorto che negli animali socievoli
più elevati siasi modificata una qualche struttura pel bene solo della
comunità, sebbene alcune abbiano una qualche secondaria importanza per
essa. Per esempio, sembra che le corna dei ruminanti e i grossi denti canini
dei babbuini siano stati acquistati dai maschi come armi per la lotta sessuale,
ma vengono adoperati per la difesa del branco o dello strupo. Il caso,
tuttavia, è al tutto differente per ciò che riguarda certe
facoltà mentali come vedremo nel seguente capitolo; perchè queste
facoltà sono state principalmente, o anche esclusivamente, acquistate
pel benefizio della comunità; mentre gli individui che la componevano
venivano a trarne nel tempo stesso un indiretto benefizio.
Spesso si è mossa al modo di
vedere sopra esposto questa obiezione, che l’uomo è una delle creature
di questo mondo più inermi e senza difesa; che durante la sua primiera e
meno sviluppata condizione egli doveva essere stato ancora più inerme.
Per esempio, il duca di Argyll insiste su ciò che “la forma umana ha
deviato dalla struttura dei bruti nella direzione di una maggiore fisica
inettezza e debolezza. Vale a dire, è una divergenza che fra tutte le
altre è quella che meno si possa attribuire alla pura scelta naturale”.
Egli adduce lo stato del corpo nudo e senza protezione, la mancanza di grossi
denti od artigli per difendersi, la poca forza dell’uomo, la poca sua
abilità a correre, la scarsa facoltà dell’odorato onde scoprire
il cibo o scansare il pericolo. A queste mancanze si potrebbe anche aggiungere
la perdita molto più importante della facoltà di arrampicarsi
speditamente sugli alberi, tanto da sfuggire ai nemici. Quando si scorge che
gli indigeni nudi della Terra del Fuoco possono vivere in quel clima
così crudo, non sembra che la perdita del pelo debba essere stata molto
dannosa per l’uomo primitivo, se abitava un paese caldo. Quando noi compariamo
l’uomo inerme colle scimmie, molte delle quali son provvedute di formidabili
denti canini, dobbiamo ricordarci che i soli maschi li posseggono così
pienamente sviluppati, e vengono principalmente adoperati da essi per battersi
coi rivali; tuttavia le femmine che non ne sono fornite possono campare.
Per ciò che riguarda la mole o
la forza corporea, non sappiamo se l’uomo discenda da qualche specie
comparativamente piccola, come lo scimpanzè, o da una vigorosa come il
gorilla; e perciò non possiamo dire se l’uomo sia divenuto più
grande e più forte, o più piccolo e più debole in
confronto dei suoi progenitori. Dobbiamo tuttavia tener presente alla mente che
un animale dotato di grande mole, forza e ferocia, e che, come il gorilla,
avesse potuto difendersi da tutti i suoi nemici, probabilmente, se non
necessariamente, non sarebbe divenuto socievole; e questo sarebbe stato un
grande impedimento per l’acquisto per parte dell’uomo delle sue più
elevate qualità mentali, come la simpatia e l’amore dei suoi simili.
Quindi potrebbe essere stato un immenso vantaggio per l’uomo l’avere origine da
qualche essere comparativamente debole.
La scarsa forza corporale dell’uomo, la
sua poca speditezza, la mancanza in lui di armi naturali, ecc., sono più
che compensate, primo dalle sue potenze intellettuali, mercè le quali,
mentre ancora si trovava in istato di barbarie, egli si fabbricava armi,
utensili, ecc., secondo, dalle sue qualità socievoli che lo hanno
indotto a prestare aiuto ai suoi simili ed a riceverne il ricambio. Nessun
paese al mondo ha tanta copia di animali pericolosi come l’Africa meridionale;
nessun, paese presenta più spaventose condizioni di clima delle regioni
Artiche; tuttavia una delle più piccole razze, cioè i Bushmen, si
mantengono nell’Africa meridionale, come gli Esquimali, uomini quasi nani,
stanno nelle regioni Artiche. I primieri progenitori dell’uomo erano, non v’ha
dubbio, inferiori nell’intelletto, e probabilmente nella disposizione sociale,
ai selvaggi più bassi dei nostri giorni; ma si comprende benissimo che
essi abbiano potuto esistere, o anche prosperare, se, mentre andavano
gradatamente perdendo le loro potenze brutali, come l’arrampicarsi sugli
alberi, ecc., essi nel tempo stesso progredivano in intelligenza. Ma, dato che
i progenitori dell’uomo fossero ancora più inermi e privi di difesa che
qualunque altro selvaggio esistente, se essi avessero abitato qualche
continente caldo o qualche grande isola, come l’Australia o la Nuova Guinea, o
Borneo (quest’ultima isola è ora abitata dall’urango), essi non
sarebbero stati esposti a nessun pericolo speciale. In una area grande come una
di quelle isole, le gare fra tribù e tribù avrebbero dovuto
bastare, in condizioni favorevoli, a portar su l’uomo, mercè il
sopravvivere dei più acconci, combinato cogli effetti ereditati
dall’abitudine, alla sua presente elevata posizione nella scala organica.
DELLO SVILUPPO DELLE FACOLTÀ INTELLETTUALI
E MORALI DURANTE I TEMPI PRIMITIVI ED I TEMPI INCIVILITI.
Progresso delle
potenze intellettuali mercè la scelta naturale – Importanza della
imitazione – Facoltà sociali e morali – Loro sviluppo entro la cerchia
della stessa tribù – Scelta naturale come operante sulle nazioni
incivilite – Prova che le nazioni incivilite erano un tempo barbare.
Gli argomenti che debbono essere
discussi in questo capitolo sono del più alto interessamento, ma sono
trattati da me in un modo molto imperfetto e a frammenti. Il sig. Wallace, in
uno scritto ammirabile che ho già citato sopra arguisce che l’uomo dopo
aver parzialmente acquistato quelle facoltà morali ed intellettuali che lo
distinguono dagli animali sottostanti, sarebbe stato soltanto poco soggetto ad
avere modificata la sua struttura corporea mercè la scelta naturale o
qualunque altro mezzo. Perchè l’uomo a cagione delle sue facoltà
mentali può “mantenere un corpo immutabile in armonia col mutevole
universo”. Egli ha grande potenza di adattare i suoi costumi alle nuove
condizioni di vita. Egli inventa armi, utensili, e vari stratagemmi coi quali
si procura il nutrimento e si difende. Quando migra in paesi più freddi
adopera vesti e coperte, si fabbrica ripari, e fa fuoco; e mercè il
fuoco si cucina cibo che altrimenti non sarebbe digeribile. Aiuta in vari modi
il suo simile, si anticipa futuri eventi. Anche in un periodo remoto egli
praticava una certa suddivisione di lavoro.
Gli animali sottostanti, d’altra
parte, debbono aver modificata la loro struttura corporea onde sopravvivere in
condizioni grandemente mutate. Debbono esser resi più forti, o
acquistare denti o artigli più robusti, onde difendersi dai loro nemici;
o debbono scemare di mole per non venir scoperti o fuggire al pericolo. Quando
migrano in regioni più fredde debbono venir ricoperti da un pelame
più fitto, od aver alterata la costituzione: se non vengono modificati
cosiffattamente, cessano di esistere.
Tuttavia il caso è grandemente
diverso, come insiste a dire molto giustamente il signor Wallace, riguardo alle
facoltà intellettuali e morali dell’uomo. Queste facoltà sono
variabili; e noi abbiamo ogni ragione per credere che le variazioni tendono ad
essere ereditate. Perciò, se primieramente esse erano di grande
importanza per l’uomo primitivo o pei suoi progenitori simili alle scimmie,
dovevano venir perfezionate mercè la scelta naturale. Non vi può
esser dubbio intorno alla grande importanza delle facoltà intellettuali
dell’uomo, perchè egli deve principalmente ad esse la eminente posizione
che occupa nel mondo. Noi vediamo che, nello stato di società più
rozzo, quegli individui, i quali erano più abili, che inventavano e
facevano uso di armi e di trappole migliori, e sapevano meglio difendersi,
allevavano un maggior numero di figli. Le tribù che contenevano un
numero più grande di uomini cosiffattamente dotati dovevano crescere in
numero e soppiantare le altre tribù. Il numero dipende in primo luogo
dai mezzi di sussistenza, e questa dipende in parte dalla natura fisica del
paese, ma molto più dalle[11] arti che vi sono
praticate. Mentre una tribù cresce ed è vittoriosa, sovente si
accresce ancora dall’assorbimento che fa di altre tribù. La statura e la
forza degli uomini di una tribù sono parimente di grande
importanza per la buona riuscita di esse, e queste dipendono in parte dalla
qualità e dalla quantità del cibo che si può ottenere. In
Europa gli uomini del periodo del bronzo furono sostituiti da una razza
più potente, e per quello che si può giudicare dall’impugnatura
delle loro spade, fornita di mani più grandi; ma è probabile che
il loro successo fosse dovuto in grado molto maggiore alla loro superiorità
nelle arti.
Tutto ciò che sappiamo intorno
ai selvaggi, o possiamo dedurre dalle loro tradizioni e da antichi monumenti,
la storia dei quali è del tutto dimenticata dai presenti abitanti, dimostra
che fino dai tempi più remoti certe tribù più fortunate
hanno soppiantato altre tribù. Si sono scoperti nelle regioni più
civili della terra, nelle selvagge pianure dell’America, nelle isole solitarie
dell’Oceano Pacifico, avanzi di tribù estinte e dimenticate. Oggi le
nazioni incivilite stanno ovunque sostituendosi alle nazioni barbare, tranne
nei luoghi ove nei climi è un ostacolo mortale; e riescono
principalmente, sebbene non esclusivamente, per le arti loro, che sono il
prodotto del loro ingegno. È perciò probabilissimo che le facoltà
intellettuali siano andate, nel genere umano, perfezionandosi gradatamente
mercè la scelta naturale; e questa conclusione basta pel nostro intento.
Non v’ha dubbio che sarebbe stato molto interessante segnare lo sviluppo di
ogni separata facoltà dallo stato in cui si trova negli animali
sottostanti a quello in cui esiste ora nell’uomo; ma non mi permettono di
ciò tentare nè il mio sapere, nè le mie cognizioni.
Merita d’esser notato che appena i
progenitori dell’uomo divennero socievoli (e ciò probabilmente è
seguito in un periodo antichissimo), il progresso delle facoltà
intellettuali deve essere stato aiutato e modificato in modo importante, di cui
non vediamo che le tracce degli animali sottostanti, cioè dal principio
della imitazione, unito alla ragione ed alla esperienza. Le scimmie sono molto
inclinate alla imitazione, come sono pure i selvaggi più bassi; ed il
semplice fatto riferito precedentemente, che dopo una volta non si può
più prendere nessun animale nello stesso luogo e colla medesima sorta di
trappola, dimostra che gli animali imparano dalla esperienza, ed imitano
vicendevolmente le cautele l’uno dell’altro. Ora, se un qualche uomo di una
tribù, più ingegnoso degli altri, inventava un nuovo tranello od
una nuova arma, o altri mezzi di aggressione o di difesa, il più
semplice interesse proprio, senza l’aiuto di molta potenza di ragionamento,
doveva spingere gli altri ad imitarlo; e in tal modo tutti ne traevano
profitto. La pratica consueta di ogni nuova arte deve parimente in qualche
leggero grado rinvigorire l’intelletto. Se la nuova invenzione era importante,
la tribù doveva crescere di numero, allargarsi e soppiantare altre
tribù. In una tribù divenuta in tal modo più numerosa
doveva essere sempre più probabile la nascita di altri membri superiori
ed inventivi. Se uomini di tal sorta lasciavano figli per ereditare la loro
superiorità mentale, la probabilità che nascessero altri membri
ancor più ingegnosi doveva farsi in certo modo maggiore, e in una
tribù piccolissima la cosa doveva seguire ancor meglio. Se anche quei
membri non avessero lasciato figli, nelle tribù esistevano sempre
i loro consanguinei; ed è stato riconosciuto da persone studiose di
agricoltura, che conservando ed allevando individui appartenenti alla famiglia
di un animale che dopo essere stato ammazzato era stato riconosciuto di valore,
si otteneva il carattere desiderato.
Veniamo ora
alle facoltà sociali e morali. Onde gli uomini primitivi, o i
progenitori dell’uomo somiglianti alle scimmie, siano divenuti socievoli, essi
dovevano avere acquistato i medesimi sentimenti istintivi di socievolezza che
spingono altri animali a vivere in comune, e senza dubbio essi dimostravano la
stessa disposizione generale. Dovevano sentirsi scontenti quando venivano
separati dai loro compagni, pei quali dovevano provare una certa amorevolezza;
si saranno avvertiti reciprocamente nel pericolo, e si saranno prestati
scambievole aiuto nella aggressione o nella difesa. Tutto ciò richiede
un certo grado di simpatia, di fedeltà e di coraggio. Cosiffatte
qualità sociali, di cui nessuno contrasta la suprema importanza per gli
animali sottostanti, sono state senza dubbio acquistate dai progenitori
dell’uomo nello stesso modo di essi, cioè, colla scelta naturale,
rinvigorita dall’abito ereditato. Quando due tribù di uomini primitivi,
viventi nella stessa regione, venivano in lotta, se una tribù conteneva
(dato che le altre circostanze fossero uguali) un numero maggiore di membri
coraggiosi, dotati di simpatia e di fedeltà, sempre pronti a proteggersi
scambievolmente contro il pericolo, ad aiutarsi, a difendersi a vicenda, questa
tribù, non v’ha dubbio, doveva riescir vittoriosa e conquistare l’altra.
Bisogna tenere a mente quanto in quelle continue guerre di selvaggi dovessero
essere importantissimi il coraggio e la fedeltà. La supremazia che hanno
i soldati disciplinati sopra le bande indisciplinate deriva principalmente
dacchè ogni uomo ha fiducia nei suoi compagni. L’obbedienza, come ha
molto bene dimostrato il signor Bagehot, è del più gran valore,
perchè è meglio qualunque forma di governo che non nessun
governo. Le genti egoiste e litigiose non si uniscono, e senza unione non si
può compiere nulla. Una tribù fornita in alto grado delle
qualità suddette doveva spargersi e divenir vittoriosa di altre
tribù; ma coll’andar del tempo, secondo quello che possiamo giudicare da
tutte le storie del passato, doveva venire a sua volta sopraffatta da qualche
altra tribù ancor meglio altamente dotata. Così le qualità
sociali e morali tendevano a progredire lentamente e a diffondersi pel mondo.
Ma si potrebbe domandare come
seguisse che dentro la cerchia di una stessa tribù un gran numero
d’individui potesse acquistare quelle qualità morali e sociali, e come
andasse sollevandosi il livello del valore? È sommamente dubbio se i
figli dei genitori meglio forniti di simpatia e di benevolenza, o di quelli che
erano più fedeli ai loro compagni, venissero facendosi più
numerosi dei figli di genitori egoisti e malvagi della stessa tribù.
Quegli che era pronto a sacrificare la propria vita, come molti selvaggi hanno
fatto, piuttosto che tradire i suoi compagni, sovente non lasciava prole che
ereditasse la sua nobile natura. Gli uomini più coraggiosi, quelli
pronti sempre a porsi in prima fila in guerra, a calcolo fatto dovevano morire
in maggior numero che non gli altri uomini. Perciò non sembra quasi
possibile (badiamo che qui non ragioniamo di una tribù vincitrice
sull’altra) che il numero degli uomini dotati di quelle virtù, o che il
livello della loro bontà, potesse venire accresciuto mercè la scelta
naturale, la quale è la sopravvivenza dei migliori.
Quantunque le circostanze che
producevano un aumento nel numero degli uomini cosiffattamente dotati nella
cerchia di una medesima tribù siano troppo complesse perchè
sì possa loro tener dietro con evidenza, possiamo segnarne alcuni dei
più probabili stadi. In primo luogo, mentre si venivano migliorando le
potenze del ragionare e del prevedere negli individui, ogni uomo avrebbe dovuto
imparare dall’esperienza che se egli prestava il suo aiuto ai suoi compagni, ne
avrebbe ricevuto comunemente un ricambio di assistenza. Da questo basso movente
egli poteva acquistare l’abito di soccorrere il suo simile; e l’abito di
compiere opere di benevolenza rinvigorisce certamente quel senso di simpatia,
che dà il primo impulso alle azioni benevoli. Gli abiti, inoltre,
seguiti per molte generazioni, tendono, probabilmente, ad essere ereditati.
Ma havvi un altro e molto più
potente incitamento allo sviluppo delle virtù sociali, ed è la
lode ed il biasimo dei nostri confratelli. L’amore della approvazione e il
timore dell’infamia, come pure il dar lode o biasimo, sono dovuti
primieramente, come abbiamo veduto nel capitolo terzo, all’istinto della
simpatia; e questo istinto venne senza dubbio acquistato in origine, come tutti
gli altri istinti, mercè la scelta naturale. Ben inteso, non possiamo
dire in quale antichissimo periodo i progenitori dell’uomo nel corso del loro
sviluppo siano divenuti capaci di sentire e di essere incitati dalla lode o dal
biasimo dei loro simili. Ma sembra che anche i cani apprezzino
l’incoraggiamento, la lode ed il biasimo. I selvaggi più rozzi sentono
il sentimento della gloria, come lo dimostrano evidentemente i trofei che
conservano delle loro prodezze, l’abito che hanno di tanto vantarsi, ed anche
la somma cura che si prendono del loro aspetto e dei loro ornamenti;
queste abitudini, qualora essi non tenessero conto dell’opinione dei loro
compagni, non avrebbero senso.
Certamente provano vergogna quando
infrangono una delle minori loro regole; ma fino a che punto sentano il
rimorso, questo è molto dubbio. Io dapprima mi meravigliavo di non poter
ricordare qualche esempio di questo sentimento nei selvaggi; e sir J. Lubbock
asserisce che non ne conosce alcuno. Ma se noi ci togliamo dalla mente tutti i
casi riferiti nei romanzi e nelle commedie di confessioni fatte ai preti al
letto di morte, dubito che molti di noi abbiano veduto espresso il rimorso;
sebbene abbiamo spesso veduto vergogna e contrizione per offese più
piccole. Il rimorso è un sentimento profondamente nascosto. È
incredibile che un selvaggio, il quale sacrifica la propria vita anzichè
tradire la sua tribù, o quello che si lascia far prigioniero piuttosto
che mancar di parola, non senta nel fondo dell’anima il rimorso, sebbene possa celarlo,
quando abbia mancato a un dovere che considera sacro.
Noi perciò possiamo conchiudere
che per l’uomo primitivo, in un periodo remotissimo, la lode o il biasimo dei
suoi compagni debbano avere avuto importanza. Evidentemente i membri di una
medesima tribù avrebbero approvata quella condotta che pareva loro fosse
utile al buonessere generale e disapprovata quella che paresse dannosa. Fare il
bene agli altri – fate agli altri ciò che vorreste fatto a voi –
è la pietra fondamentale della moralità. Non è quindi
possibile esagerare l’importanza che ebbero, durante i tempi più rozzi,
l’amore della lode ed il timore del biasimo. Quell’uomo il quale non veniva
spinto da nessun profondo ed istintivo sentimento a sacrificare la sua vita pel
bene del prossimo, veniva tuttavia indotto a compiere cosiffatte azioni da un
senso di gloria, ed il suo esempio doveva svegliare in altri uomini lo stesso
desiderio di gloria, e mercè l’esercizio veniva così rinvigorito
il nobile sentimento dell’ammirazione. Egli in tal modo recava un bene molto
maggiore alla sua tribù che non generando figli dotati di una tendenza
ad ereditare il suo nobile carattere.
L’uomo acquistando maggiore esperienza
e ragione può scorgere le più remote conseguenze delle sue
azioni, e le virtù riguardanti la persona, come la temperanza, la
castità, ecc., le quali durante i periodi primitivi sono state, come
abbiamo già veduto, tenute in poco conto, vengono ad essere grandemente
stimate ed anche considerate come sacre. Perciò non ho bisogno di
ripetere quello che ho detto intorno a questo argomento nel terzo capitolo. In
ultimo ne deriva un sentimento molto complesso, che ha la sua prima origine
negli istinti sociali, è grandemente guidato dalla approvazione dei
nostri confratelli, regolato dalla ragione, dall’interesse proprio, e in tempi
ulteriori da sentimenti religiosi, viene confermato dall’istruzione e
dall’abitudine, e tutte queste cose riunite costituiscono il nostro senso
morale o coscienza.
Non bisogna dimenticare che, sebbene un
alto livello di moralità procuri solo poco od anche nessun vantaggio ad
ogni individuo e ai suoi figli sugli altri membri della stessa tribù,
tuttavia un progresso nel livello della moralità ed un maggior numero di
uomini bene dotati darà certamente una immensa superiorità ad una
tribù sopra un’altra. Non può esservi dubbio che una tribù
che racchiude in sè molti membri i quali, possedendo in alto grado lo
spirito di patriottismo, la fedeltà, l’obbedienza, il coraggio e la
simpatia, fossero sempre pronti ad aiutarsi scambievolmente e sagrificarsi pel
bene comune, sarebbe vincitrice di molte altre tribù; e questa sarebbe
la scelta naturale. In ogni tempo nel mondo certe tribù ne hanno
soppiantate altre; e siccome la moralità è un elemento di riuscita,
il livello della moralità e il numero degli uomini nobilmente dotati
tenderà così ovunque ad innalzarsi e ad estendersi.
Tuttavia è difficilissimo farsi
un retto giudizio del perchè una particolare tribù e non un’altra
sia stata vittoriosa, e siasi elevata nella scala dell’incivilimento. Molti
selvaggi sono ora nelle stesse condizioni in cui erano parecchi secoli addietro
quando furono scoperti. Come ha notato il sig. Bagehot, noi siamo inclinati a
considerare il progresso come la regola normale dell’umana società; ma la
storia ciò confuta. Gli antichi non avevano quest’idea, e neppure oggi
le nazioni orientali l’hanno. Secondo un’altra somma autorità, il signor
Maine, “la maggior parte del genere umano non ha mai dimostrato il
benchè minimo desiderio che le sue istituzioni civili venissero
migliorate”. Il progresso sembra derivare dal concorso di molte condizioni
favorevoli, troppo complesse perchè si possa tener loro dietro. Ma
è stato sovente notato che un clima freddo, creando il bisogno
dell’industria e di varie arti, è stato per quel fine grandemente
favorevole, e anche indispensabile. Gli Esquimali, spinti dalla dura
necessità, sono riusciti in molte ingegnose invenzioni, ma il loro clima
è stato troppo crudo per un continuo progresso. I costumi nomadi, sia nelle
vaste pianure, o in mezzo alle fitte foreste dei tropici, o lungo le spiagge
del mare, sono in ogni caso grandemente dannosi. Mentre io osservavo i barbari
abitatori della Terra del Fuoco, rimasi colpito dal pensiero che il possesso di
qualche proprietà, di una dimora fissa, e l’unione di molte famiglie
sotto di un capo, fossero i requisiti indispensabili per l’incivilimento.
Cosiffatti costumi richiedono quasi necessariamente la coltivazione del suolo;
ed è probabile che i primi passi nella coltivazione siano stati l’effetto,
come ho dimostrato altrove, di un incidente qualunque, come la caduta di alcuni
semi di alberi fruttiferi sopra un mucchio di avanzi, e la nascita, in
conseguenza di ciò, di qualche insolitamente bella varietà.
Tuttavia il problema del primo progredire dei selvaggi verso l’incivilimento
è oggi difficilissimo da sciogliere.
La scelta naturale operante nelle
nazioni incivilite. – Nell’ultimo capitolo e in questo ho considerato il progresso
compiuto dall’uomo da una primitiva condizione semiumana al suo stato presente
di barbarie. Ma giova qui aggiungere alcune osservazioni intorno all’azione
della scelta naturale sulle nazioni incivilite. Questo argomento è stato
discusso dal signor N. R. Greg, e precedentemente dal signor Wallace e dal signor
Galton. La maggior parte delle mie osservazioni sono prese da questi tre
autori. Nei selvaggi i deboli di corpo o di mente sono in breve eliminati; e
quelli che sopravvivono presentano comunemente una fiorente e robusta salute.
D’altra parte noi, uomini inciviliti, cerchiamo ogni mezzo onde porre
ostacoli al processo di eliminazione; fabbrichiamo ricoveri per gli idioti, gli
storpi ed i malati; facciamo leggi pei poveri; e i nostri medici si stillano il
cervello per salvare la vita di ognuno fino all’ultimo momento. Vi è
ragione per credere che il vaccino ha preservato migliaia di
vite, che con una debole costituzione sarebbero prima morte di vaiolo.
Così i membri deboli delle società incivilite si riproducono.
Chiunque abbia avuto che fare coll’allevamento degli animali domestici non
leverà un dubbio che questo fatto non sia altamente dannoso alla razza
umana. Fa meraviglia come la mancanza di cure, e le cure male dirette conducano
alla degenerazione di una razza domestica; ma, eccettuato il caso dell’uomo
stesso, forse nessuno può essere tanto ignorante da far generare i suoi
peggiori animali.
Il sentimento che ci spinge a
soccorrere gl’impotenti è principalmente un effetto incidentale
dell’istinto di simpatia, che fu in origine acquistato come una parte degli istinti
sociali, ma che divenne in seguito nel modo precedentemente indicato più
tenero e più largamente diffuso. E noi non possiamo frenare la nostra
simpatia contro i suggerimenti della dura ragione, senza deteriorare la parte
nobile della nostra natura. Il chirurgo può cercare di indurirsi mentre
compie un’operazione, perchè sa che opera pel bene del suo malato; ma se
noi volontariamente trascuriamo i deboli e gl’impotenti, può derivarne
soltanto un casuale beneficio, con un male grande e presente. Quindi dobbiamo
sopportare senza lagnarci i sicuri cattivi effetti del sopravvivere dei deboli
e del loro propagarsi; ma sembra che vi sia almeno un impedimento che opera
efficacemente; cioè che i membri più deboli ed inferiori della
società non si sposano così facilmente come i più sani, e
questo ostacolo può essere indefinitamente accresciuto, sebbene sia
forse solo una speranza più che non una certezza che i deboli di corpo o
di mente siano per astenersi dal matrimonio.
In tutti i paesi civili l’uomo accumula
proprietà, e le lascia ai suoi figli.
Cosicchè questi figli in uno
stesso paese non possono per nessun modo spingersi molto avanti nella corsa per
la riuscita. Ma questo non è tutto un male; perchè senza
l’accumulamento del capitale le arti non progredirebbero: ed è
principalmente per opera loro che le razze incivilite hanno estesa e vanno
tuttora sempre estendendo la loro cerchia, per modo da prendere il posto delle
razze inferiori. E neppure l’accumulamento moderato delle ricchezze non
impedisce il processo della scelta. Quando un uomo povero divien ricco, i suoi
figli imprendono traffici e professioni, nelle quali v’ha sufficiente lotta,
cosicchè i più abili di corpo e di mente riescono meglio. La
presenza di una corporazione di uomini bene istruiti, i quali non hanno bisogno
di lavorare pel pane quotidiano, è di tanta importanza che non si
può troppo valutare perchè tutto il lavoro intellettuale
più alto è compiuto da essi, e da quel lavoro dipende
principalmente ogni sorta di progresso materiale, senza far menzione di altri e
più elevati vantaggi. Senza dubbio la ricchezza soverchia tende a
convertire gli uomini in inutili infingardi, ma il loro numero non è mai
grande; e segue in quel caso un certo grado di eliminazione, come vediamo ogni
giorno negli uomini ricchi, i quali alle volte sono pazzi e prodighi tanto da
sciupare tutte le loro ricchezze.
La primogenitura colla sostituzione dei
beni immobili è un male più diretto, sebbene possa essere stata
in principio di grande vantaggio creando così una razza dominante; e
qualunque governo è migliore dell’anarchia. I figli primogeniti sebbene
potessero essere deboli di corpo o di mente, in generale si ammogliavano,
mentre i figli minori, anche se per questo rispetto superiori, generalmente non
si ammogliavano. Nè potevano mercè la sostituzione degli immobili
i primogeniti inetti sciupare le loro ricchezze. Ma in questo come in tanti
altri casi, le relazioni della vita civile sono tanto complesse che interviene
qualche ostacolo compensatore. Gli uomini che mercè la
primogenitura sono ricchi possono scegliere di generazione in generazione le
donne più belle e più graziose, e queste, in generale, debbono
essere sane di corpo e attive di mente. Le cattive conseguenze, qualunque esse
possano essere, della continua conservazione della stessa linea di discendenza,
senza alcuna scelta, vengono impedite da quegli uomini alto locati che
desiderano di aumentare sempre più le loro dovizie e la loro potenza; e
ciò fanno sposando ricche fanciulle uniche eredi. Ma le figlie di genitori
che hanno prodotto figli unici van soggette esse medesime come ha dimostrato il
signor Galton, ad essere sterili; e così nelle famiglie nobili la linea
diretta si spegne continuamente, e le loro ricchezze scorrono in qualche canale
laterale; ma per sfortuna questo canale non vien formato da nessuna sorta di
superiorità.
Sebbene l’incivilimento arresti in
molti modi l’opera della scelta naturale, esso favorisce apparentemente,
mercè il miglior nutrimento, e il potersi liberare da fatiche
incidentali, un più grande sviluppo del corpo. Questo si può
dedurre da ciò che gli uomini civili sono sempre stati trovati, quando
vennero comparati, fisicamente più forti che non i selvaggi. Sembrano
pure avere uguale forza di resistenza, come è stato dimostrato in molte
avventurose spedizioni. Anche il gran lusso del ricco non può
essere gran che dannoso; perchè la longevità della nostra
aristocrazia, in tutte le età e nei due sessi, è molto poco
inferiore a quella dei ricchi inglesi nelle classi meno elevate.
Esamineremo ora soltanto le
facoltà intellettuali. Se in ogni livello della società si
dividessero i membri in due schiere uguali, di cui una contenesse quelli che
sono superiori intellettualmente e l’altra quelli che sono inferiori, non vi
può essere guari dubbio che i primi riuscirebbero meglio in ogni
occupazione ed alleverebbero un maggior numero di figli. Anche nelle vie
più umili della vita l’ingegno e la capacità debbono recare un
certo vantaggio, sebbene in molte occupazioni, per la grande divisione del
lavoro, questo vantaggio debba essere di pochissimo momento. Quindi nelle
nazioni incivilite vi sarà una certa tendenza ad un aumento tanto nel
numero come nel livello della capacità intellettuale. Ma non voglio
asserire che questa tendenza non possa essere più che controbilanciata
in altro modo, come per la moltiplicazione degli irrequieti ed imprevidenti; ma
anche a questi l’abilità deve essere vantaggiosa.
È stata fatta sovente
questa obiezione alle vedute sopra esposte, che gli uomini più eminenti che
abbiano vissuta non hanno lasciato figli che ereditassero del loro grande
ingegno. Il Galton dice: “Mi rincresce non saper sciogliere questa semplice
questione se, e fino a che punto, gli uomini e le donne dotati di prodigioso
ingegno siano sterili. Tuttavia ho dimostrato che uomini eminenti non sono
sterili per nulla”. I grandi legislatori, i fondatori di religioni benefiche, i
grandi filosofi e scopritori nella scienza, agevolano il progresso
dell’umanità in un grado molto più alto colle loro opere che non
lasciando numerosa prole. Nel caso delle strutture corporee si è la
scelta degli individui lievemente meglio dotati e non la conservazione di bene
spiccate e vere anomalie, che produce il progresso della specie. Così
seguirà pure le facoltà intellettuali; cioè, gli uomini
dotati in un certo modo un po’ meglio degli altri riusciranno piuttosto che non
quelli meno bene dotati, e quindi cresceranno di numero, se non segue nessun
altro impedimento. Quando in una nazione il livello dell’intelletto si è
elevato ed il numero degli uomini intelligenti è cresciuto, possiamo
aspettarci secondo la legge di deviazione, in media, come dimostra il signor
Galton, che i prodigi di ingegno compariranno in qualche modo più
frequentemente di prima.
Per ciò che riguarda le
qualità morali, una certa eliminazione delle peggiori disposizioni va
sempre progredendo anche nelle nazioni più incivilite. I malfattori sono
giustiziati, o tenuti lungamente prigionieri, cosicchè non possono
trasmettere liberamente le loro cattive qualità. Gl’ipocondriaci e gli
alienati sono racchiusi o si suicidano. I violenti e i litigiosi spesso fanno
una fine sanguinosa. Gli uomini irrequieti che non sanno occuparsi regolarmente
– e questo avanzo di barbarie è un grande ostacolo allo incivilimento –emigrano
in paesi di fresco costituiti, dove divengono utili coloni. L’intemperanza
è tanto nocevole alla salute, che la probabilità della vita di un
intemperante, giunto per esempio all’età di trenta anni, è solo
di 13,8 anni; mentre pei contadini dell’Inghilterra a quell’età è
di 40,59 anni. Le donne dissolute hanno pochi figli, e gli uomini dissoluti di
rado si ammogliano; entrambi van soggetti a malattie. Nell’allevamento degli
animali domestici, l’eliminare quegli individui, sebbene anche in piccol numero,
che sono ben evidentemente inferiori, non è per nulla un elemento di
poca importanza pel buon successo. Questo giova specialmente per quei caratteri
dannosi che tendono a ricomparire pel regresso, come sarebbe il colore nero
nelle pecore; e per ciò che riguarda il genere umano, alcune di quelle
cattive disposizioni che incidentalmente ricompariscono nelle famiglie senza
nessuna causa apparente, possono essere forse regressi verso uno stato
selvaggio, dal quale non siamo separati da molle generazioni. Questa opinione
sembra anche riconosciuta dalla espressione comune che uomini di tal fatta sono
le pecore nere della famiglia.
Nelle nazioni incivilite, per
ciò che riguarda un livello elevato di moralità, ed un maggior
numero di uomini molto bene dotati, la scelta naturale pare essere molto
piccola; sebbene gli istinti sociali fondamentali fossero in origine acquistati
per opera sua. Ma ho già parlato abbastanza a lungo di ciò mentre
trattavo delle razze più basse, delle cause che hanno prodotto un
aumento di moralità, cioè, l’approvazione dei nostri confratelli
– il rinvigorimento delle nostre simpatie mercè l’abitudine – l’esempio
e l’imitazione – la ragione – l’esperienza ed anche il proprio interesse –
l’istruzione durante la giovinezza, e i sentimenti religiosi.
Un ostacolo molto più importante
nei paesi civili all’accrescimento del numero degli uomini di una classe
superiore è stato grandemente dimostrato dai signori Grey e Galton, ed
è il fatto che gli uomini molto poveri ed irrequieti, che spesso sono
degradati dal vizio, quasi invariabilmente si sposano di buon’ora, mentre i
cauti ed i frugali, che in generale sono ben più virtuosi, si sposano
tardi, onde poter mantenere agiatamente se stessi e la loro famiglia. Quelli
che si sposano giovani producono in un dato periodo non solo un numero maggiore
di generazioni, ma, come ha dimostrato il dottor Duncan, anche molto più
figli. I bambini, inoltre, che sono nati da madri nel fiore degli anni sono
più grassi e più grandi e quindi probabilmente più robusti
di quelli nati in altri periodi. Così quei membri della società
che sono irrequieti, degradati, e sovente viziosi, tendono ad aumentarsi molto
più presto che non i membri previdenti e generalmente virtuosi. Ecco
come si esprime il signor Grey: “L’Irlandese incurante, squallido, meschino, si
moltiplica come i conigli; lo Scozzese frugale, previdente, dignitoso,
ambizioso, severo nella sua moralità, spirituale nella sua fede, sagace
e disciplinato nella sua intelligenza, passa i suoi più begli anni nella
lotta e nel celibato, si sposa tardi e non lascia molta prole. Data una terra
popolata dapprima di mille Sassoni e di mille Celti, dopo una dozzina di
generazioni i cinque sesti della popolazione saranno Celti, ma i cinque sesti
della proprietà, della potenza, dell’intelletto saranno di quel sesto di
Sassoni che rimangono. Nella eterna lotta per la vita sarebbe stata la
razza inferiore e meno favorita che avrebbe prevalso, e avrebbe prevalso
non in virtù delle sue buone qualità, ma pei suoi difetti”.
Vi sono tuttavia alcuni ostacoli a
questa tendenza al peggioramento. Abbiamo veduto che gli intemperanti vanno
soggetti ad una grande mortalità, e i dissolutissimi lasciano poca
prole. Le classi più povere si ammucchiano nelle città, ed il dottor
Stark ha dimostrato, secondo le statistiche di dieci anni in Scozia, che in
tutte le età il numero delle morti è maggiore nelle città
che non nei distretti rurali “e durante i primi cinque anni di vita nelle
città il numero delle morti è quasi precisamente il doppio di
quello delle campagne”. Siccome in questi calcoli entrano tanto i ricchi che i
poveri, non v’ha dubbio che più del doppio del numero delle nascite
avrebbero servito a tener alto il numero dei poverissimi abitanti delle
città, relativamente a quelli della campagna. Per le donne, il
matrimonio in età troppo giovanile è dannoso; perchè
è stato osservato in Francia che “muoiono nell’anno un numero doppio di
donne maritate sotto i venti anni, di quello che ne muoia di nubili”. Parimenti
la mortalità degli uomini ammogliati al di sotto di venti anni è
“sommamente elevata”, ma non se ne conosce bene la ragione. Infine, se gli
uomini, i quali aspettano prudentemente finchè abbiano tanto da
mantenere comodamente le loro famiglie, scegliessero, come fanno sovente, la
moglie nel fiore degli anni, la statistica dell’accrescimento delle razze
migliori sarebbe solo lievemente diminuita.
Da una sterminata raccolta di
statistiche prese durante il 1853, era stato riconosciuto che gli uomini
scapoli in Francia, fra i venti e gli ottant’anni, morivano in maggior
proporzione che non gli ammogliati; per esempio, sopra 1000 uomini scapoli
dell’età da venti a trent’anni, 11,3 morivano annualmente, mentre degli
ammogliati ne morivano solo 6,5. Una legge cosiffatta venne osservata prevalere
anche in Scozia negli anni 1863 e
Se i vari ostacoli specificati
nei due ultimi paragrafi, e forse altri ancora ignoti, non impediscono i membri
irrequieti, viziosi od altrimenti inferiori della società dal crescere
in maggior numero che non le classi migliori degli uomini, la nazione
andrà indietro, come è accaduto troppo spesso nella storia del
mondo. Dobbiamo ricordarci che il progresso non è una regola
invariabile. È difficile dire perchè una nazione civile si
innalza, divien più potente che non un’altra; o perchè la stessa
nazione progredisce più in un tempo che non in un altro. Noi
possiamo solo dire che ciò dipende dall’aumento nel numero attuale della
popolazione del numero di uomini forniti di alte facoltà morali ed
intellettuali, come pure dal livello della loro bontà. Sembra che la
struttura corporea, tranne in ciò che la robustezza del corpo produce
vigore di mente, abbia solo una piccola azione.
Parecchi autori hanno detto che,
qualora la potenza elevata intellettuale fosse utile ad una nazione, gli
antichi Greci, i quali erano superiori di qualche grado nell’intelletto a
qualunque razza che abbia mai esistito, avrebbe dovuto elevarsi, se fosse vera
la potenza della scelta naturale, sempre più nella scala, crescer di
numero, e popolare tutta l’Europa. Qui noi abbiamo la tacita asserzione
così sovente addotta rispetto alle strutture corporee, che vi è
una certa innata tendenza al continuo sviluppo della mente e del corpo. Ma ogni
sorta di sviluppo dipende dal concorso di molte circostanze favorevoli. La
scelta, naturale opera soltanto come un tentativo. Gli individui e le razze
possono aver acquistato certi vantaggi incontrastabili, e tuttavia esser periti
per la mancanza di altri caratteri. I Greci possono essere retroceduti per mancanza
di coesione fra i piccoli Stati per la piccola estensione del loro paese, per
la pratica della schiavitù, o per una estrema sensualità:
perchè non soccombettero se non quando furono “snervati e corrotti fino
in fondo all’anima”. Le nazioni occidentali di Europa, che ora superano
smisuratamente i loro primieri progenitori selvaggi e stanno alla cima dello
incivilimento, non debbono che poco o forse nulla della loro superiorità
alla diretta eredità degli antichi Greci; sebbene vadan debitori di
molto alle opere scritte di quel popolo meraviglioso.
Chi può dire con certezza
perchè la nazione Spagnuola, così dominante un tempo, sia rimasta
tanto indietro? Lo svegliarsi delle nazioni d’Europa dai secoli
tenebrosi è ancora un problema molto incerto. In quel periodo primiero,
come osserva il signor Galton, quasi tutti gli uomini dotati di natura gentile,
quelli che si dedicavano alla meditazione o alla coltura della mente, non
avevano altro rifugio che la Chiesa che richiedeva il celibato; e questo non può
a meno di aver avuto un’azione deteriorante sopra ogni successiva generazione.
Durante quello stesso periodo la Santa Inquisizione sceglieva annualmente gli
uomini più liberi e più coraggiosi per bruciarli od
imprigionarli. Nella sola Spagna alcuni degli uomini migliori – quelli che
dubitavano, investigavano, e senza il dubbio non v’ha progresso – furono
eliminati per tre secoli in ragione di mille all’anno. Il male che la Chiesa
Cattolica ha fatto così, sebbene controbilanciato senza dubbio in una
certa e forse grande estensione in altri modi, è incalcolabile;
nondimeno l’Europa ha progredito incomparabilmente.
Il fatto che gl’Inglesi sono, come
colonizzatori, tanto superiori alle altre nazioni europee, ciò che
è bene dimostrato dal confronto fra i Canadesi di razza inglese e quelli
di razza francese, è stato attribuito alla loro “ardimentosa e
persistente energia”; ma chi può dire il modo in cui gli Inglesi
abbiano acquistata la loro energia? Vi è maggiore apparenza di
verità nel credere che il progresso meraviglioso degli Stati Uniti, come
pure il carattere del popolo, siano l’effetto della scelta naturale; mentre gli
uomini più energici, più irrequieti e più coraggiosi, da
tutte le parti d’Europa hanno emigrato durante le ultime dieci o dodici
generazioni verso quel grande paese, e si sono colà bene propagati.
Guardando nel lontano avvenire, non credo che l’idea del rev. sig. Zincke sia
esagerata quando dice: “Ogni altra serie di avvenimenti – come quelli che
seguirono nella coltura della mente in Grecia, e che risultarono nell’impero di
Roma – sembrano avere scopo e valore quando sono osservate in rapporto con, o
piuttosto come sussidiarie a... la grande corrente dell’emigrazione
Anglo-Sassone verso l’Occidente”. Per quanto sia oscuro il problema del
progresso dello incivilimento, possiamo almeno vedere che quella nazione la
quale durante un lungo periodo produce un numero maggiore d’uomini
intelligentissimi, energici, coraggiosi, patriottici e benevoli, avrà
generalmente la prevalenza sopra le nazioni meno bene favorite.
La scelta naturale segue dalla
lotta per la vita; e questa da un rapido grado di accrescimento. Non si
può a meno di rimpiangere amaramente, ma se ciò sia giusto
è un’altra questione, il grado in cui l’uomo tende ad aumentare di numero;
perchè questo nelle nazioni barbare mena all’infanticidio e a molti
altri mali, e nelle nazioni civili alla povertà abbietta, al celibato,
ed ai matrimoni tardivi dei prudenti. Ma siccome l’uomo soffre gli stessi mali
fisici degli animali sottostanti, egli non ha il diritto di credersi esente dai
danni che vengono in conseguenza della lotta per la vita. Se non fosse stato
soggetto alla scelta naturale, certamente non sarebbe mai giunto al posto che
occupa ora di uomo. Quando vediamo in molte parti del mondo immense aree della
terra più fertile appena popolate da pochi erranti selvaggi, ma che
potrebbero bastare al mantenimento di numerose famiglie felici, si può
supporre che la lotta per la vita non è stata sufficientemente seria per
forzare l’uomo ad elevarsi ad un livello ancor più alto. Giudicando da
tutto quello che si sa intorno all’uomo ed agli animali sottostanti, vi
è stata sempre una sufficiente variabilità nelle facoltà
intellettuali e morali, perchè progredissero di continuo mercè la
scelta naturale. Senza dubbio questo progresso richiede il concorso di molte
circostanze favorevoli; ma si può ben dubitare se le più
favorevoli avrebbero bastato, qualora il grado dell’accrescimento di numero non
fosse stato così rapido, e la lotta per la vita che ne derivava non
fosse stata in sommo grado dura.
Intorno all’evidenza del fatto che
tutte le nazioni civili furono un tempo barbare. – Siccome
abbiamo avuto da considerare gli stadi pei quali una qualche creatura semiumana
è andata gradatamente sollevandosi fino a divenire uomo nel suo perfetto
stato, non si può passar sotto silenzio il presente argomento. Ma esso
è stato trattato tanto pienamente e così bene da sir J. Lubbock,
dal sig. Tylor, dal sig. M’Lennan, e da altri, che non ho d’uopo qui che di
dare un breve sunto dei loro risultati. Gli argomenti prodotti di recente dal
duca d’Argyll, e più anticamente dall’arcivescovo Whately, in favore
della credenza che l’uomo sia venuto al mondo come un essere incivilito e che
tutti i selvaggi siano andati d’allora in poi degradandosi, mi sembrano deboli
in confronto con quelli addotti dall’altra parte. Senza dubbio molte nazioni
hanno indietreggiato nell’incivilimento, ed alcune possono essere cadute in una
piena barbarie, sebbene io non abbia mai incontrato prove di quest’ultimo
fatto. Gli indigeni della Terra del Fuoco furono probabilmente obbligati da
altre orde conquistatrici a porre dimora nel loro inospite paese, ed essi in
conseguenza possono essersi andati in certo modo degradando; ma sarebbe molto
difficile dimostrare che essi sono decaduti più basso dei Botocudos che
abitano le più belle parti del Brasile.
La prova che tutte le nazioni civili
discendono da barbari si ha per una parte in ciò che esistono nei
costumi ancora attuali, nelle credenze, nelle lingue, tracce evidenti della
loro inferiore condizione; d’altra parte, da ciò che i selvaggi sono
indipendentemente soggetti ad elevarsi di qualche passo nella scala dello
incivilimento, e si sono attualmente in tal modo elevati. Sul primo fatto
l’evidenza è strettamente curiosa, ma non può esser qui riferita;
farò solo menzione di alcuni casi, come quello, per esempio, dell’arte
della numerazione, che, come dimostra chiaramente il sig. Tylor, colle parole
adoperate ancora in molti luoghi ebbe origine contando sulle dita, prima sopra
una mano, poi su tutte e due, c finalmente sulle dita dei piedi. Abbiamo tracce
di ciò nel nostro stesso sistema decimale, e nei numeri romani, che dopo
di esser giunti al numero V, si mutano in VI, ecc., quando l’altra mano venne senza
dubbio adoperata. Così pure, “quando parliamo di sessanta e dieci,
contiamo col sistema ventesimale, mentre ogni ventina fatta così
idealmente, sta come 20 – per “un uomo”, come metterebbe un Messicano o un
Caribeo”. Secondo una scuola numerosa e sempre crescente di filologi, ogni
linguaggio porta segni della sua lenta e graduata evoluzione. Così segue
nell’arte dello scrivere, siccome le lettere sono rudimenti di dimostrazioni
dipinte. È difficile, leggendo l’opera del signor M’Lennan, non ammettere
che in quasi tutte le nazioni civili rimangono alcune tracce di qualche rozzo
costume, come la forzata prigionia delle mogli. Di quale antica nazione chiede
lo stesso autore, si può dire che fosse in origine monogama? La
primitiva idea di giustizia, come lo dimostra la legge della battaglia ed altri
costumi di cui rimangono ancora alcune tracce, era parimente molto rozza. Molte
superstizioni che esistono ancora, sono gli avanzi di antiche false credenze
religiose. La forma più alta di religione – la grande idea di Dio che
odia il delitto ed ama la rettitudine – era nei tempi primitivi ignota.
Veniamo ora ad un’altra sorta di
evidenza. Sir J. Lubbock ha dimostrato che alcuni selvaggi recentemente hanno
un tantino migliorato le loro semplici arti. Dalla curiosissima relazione che
egli dà delle armi, degli utensili e delle arti adoperate o
praticate dai selvaggi in varie parti del mondo, non si può mettere in
dubbio che queste siano state quasi tutte scoperte indipendenti, tranne forse
l’arte di far fuoco. Il boomerang (sorta di balestra) australiano è una
buona prova di cosiffatte scoperte indipendenti. Gli abitanti di Tahiti quando
vennero visitati per la prima volta erano per molti rispetti più avanti
che non gli abitanti della maggior parte delle isole della Polinesia. Non vi
sono buoni motivi per credere che l’elevata cultura degli indigeni del
Perù e del Messico fosse venuta dal di fuori: molte piante del paese
erano colà coltivate, ed alcuni pochi animali indigeni addomesticati.
Dobbiamo tener presente nella nostra mente che se fosse sbarcata sulle spiagge
d’America una comitiva errante di qualche paese semicivile, non avrebbe, se
giudichiamo dalla piccola influenza della maggior parte dei missionari,
prodotto nessun effetto ben evidente sugli indigeni, a meno che fossero
già divenuti in certo modo avanzati. Guardando ad un periodo remotissimo
della storia del mondo, troviamo, per adoperare i vocaboli ben noti di sir J.
Lubbock, un periodo paleolitico e neolitico; e nessuno pretenderà che
l’arte di lavorare le rozze selci fosse un’Arte presa ad imprestito. In tutte
le parti d’Europa fino alla Grecia, nella Palestina, nell’India, nel Giappone,
nella Nuova Zelanda e nell’Africa, compreso l’Egitto, si sono trovati
abbondantissimi gli strumenti di selci; e gli abitanti che esistono oggi non
hanno nessuna tradizione intorno al loro uso. Vi è pure una indiretta
evidenza del loro uso primiero dai Cinesi e dagli antichi Ebrei. Quindi non vi
può essere dubbio che gli abitanti di tutti quei paesi, che comprendono quasi
tutto il mondo civile, non siansi trovati un tempo in uno stato di barbarie.
Credere che l’uomo fosse aboriginariamente incivilito e che in tante parti sia
stato soggetto ad un così pieno degradamento, è avere una
opinione ben meschina dell’umana natura. Sembra che sia un’idea molto
più vera e più confortante quella di credere che il progresso sia
stato molto più generale che non il regresso; che l’uomo da una bassa
condizione siasi elevato, invero con passi lenti ed interrotti, al più alto
livello finora da esso raggiunto, in sapere, cognizioni, morale e religione.
DELLE AFFINITÀ E DELLA GENEALOGIA DELL’UOMO
Posizione
dell’uomo nella serie animale – Sistema naturale genealogico –
Caratteri di adattamento di lieve importanza – Vari piccoli punti di
rassomiglianza fra l’uomo ed i quadrumani – Posto dell’uomo nel sistema
naturale – Luogo di nascita ed antichità dell’uomo –
Mancanza di anelli di congiunzione fossili – Stadi più bassi
nella genealogia dell’uomo quali si deducono primieramente dalle sue
affinità e secondariamente dalla sua struttura – Primitiva
condizione androgina dei Vertebrati – Conclusione.
Qualora si voglia anche ammettere che
la differenza fra l’uomo e i suoi più stretti affini è tanto
grande nella struttura corporea quanto alcuni naturalisti sostengono, e
quantunque dobbiamo riconoscere che la differenza che passa fra essi è
nella potenza mentale immensa, tuttavia i fatti addotti nei capitoli precedenti
dimostrano, siccome a me sembra, nel modo più evidente, che l’uomo
discende da qualche forma inferiore, malgrado che gli anelli di congiunzione
non siano stati ancora scoperti.
L’uomo è soggetto a moltissime,
leggere, e diverse variazioni, che sono indotte dalle stesse cause generali, e
sono governate e trasmesse mercè le stesse leggi generali come negli
animali sottostanti. L’uomo tende a moltiplicarsi così rapidamente che
la sua figliuolanza è necessariamente esposta alla lotta per la
esistenza, e in conseguenza alla scelta naturale. Egli ha originato molte
razze, alcune delle quali sono così differenti che sovente sono state
classificate dai naturalisti come specie distinte. Il suo corpo è
costrutto sullo stesso disegno omologico degli altri mammiferi,
indipendentemente dagli usi a cui le varie parti possono essere destinate. Egli
passa per le stesse fasi di sviluppo embriologico. Egli conserva molte
strutture rudimentali ed inutili che senza dubbio avevano un tempo un qualche
ufficio. Ricompaiono in lui accidentalmente certi caratteri, che abbiamo ogni
ragione di credere fossero posseduti dai suoi primieri progenitori. Se
l’origine dell’uomo fosse interamente stata diversa da quella di tutti gli
altri animali, queste varie apparenze sarebbero solo vuote illusioni; ma una
cotale ragione non è ammissibile. D’altra parte, queste apparenze si
comprendono, almeno per una larga estensione, se l’uomo[12] discende,
contemporaneamente agli altri mammiferi, da qualche forma ignota ed inferiore.
Alcuni naturalisti, colpiti
profondamente dalle potenze mentali e spirituali dell’uomo, hanno diviso tutto
il mondo organico in tre regni, l’Umano, l’Animale e il Vegetale, dando in tal
modo all’uomo un regno separato. Il naturalista non può comparare o
classificare le forze spirituali; ma può cercare di dimostrare, come ho
fatto io, che le facoltà mentali dell’uomo non differiscono
sostanzialmente da quelle degli animali sottostanti, quantunque differiscano
immensamente in grado. Una differenza di grado, per quanto grande sia, non ci
giustifica di collocare l’uomo in un regno distinto, ciò che sarà
meglio dimostrato forse comparando le forze mentali di due insetti, cioè
un coccus o gallinsetto ed una formica, che senza dubbio appartengono alla
stessa classe. Qui la differenza è maggiore, sebbene in certo modo di
un’altra sorta, che non fra l’uomo ed i mammiferi più elevati. La
femmina del gallinsetto, ancora giovane, si attacca colla proboscide ad una
pianta; sugge la linfa ma non si muove più; divien fecondata e depone le
uova; e questa è tutta la sua storia. D’altra parte la descrizione dei
costumi e delle forze mentali della formica femmina esigerebbe, come ha
dimostrato Pietro Huber, un grosso volume: tuttavia posso brevemente riferire
alcuni punti. Le formiche si danno reciprocamente informazioni e si uniscono
parecchie insieme per far lo stesso lavoro, o per trastullarsi. Riconoscono le
formiche loro compagne dopo una assenza di mesi. Si fabbricano grandi edifizi,
li tengono puliti, chiudono la sera le porte, e collocano le sentinelle. Fanno
strade, e talora anche gallerie sotto i fiumi. Raccolgono il nutrimento per la
comunità, e quando un oggetto che portano nel nido è troppo
grande, allargano la porta e poi tornano a ricostruirla. Vanno alla battaglia
in eserciti regolari, e sacrificano volonterose la loro vita pel bene comune.
Emigrano concordi con un progetto prestabilito. Fanno schiavi. Tengono gli
Afidi come vacche pel latte. Portano le uova dei loro afidi come le proprie e i
propri bozzolini nelle parti calde del nido, onde si schiudano più
presto; e compiono un numero senza fine di fatti consimili che potremmo citare.
In complesso, la differenza fra la potenza mentale di una formica e
quella di un gallinsetto è immensa; tuttavia nessuno ha mai sognato di
collocarli in classi distinte, e molto meno in regni distinti. Senza dubbio
questo intervallo è riempito dalle forze mentali intermedie di molti
altri insetti; e questo non è il caso fra l’uomo e le scimmie più
elevate. Ma abbiamo ogni ragione per credere che le lacune nelle serie non sono
altro che l’effetto della estinzione di molte forme.
Il professore Owen appoggiandosi
principalmente alla struttura del cervello, ha diviso la serie dei mammiferi in
quattro sotto-classi. Una di queste è dedicata all’uomo; in un’altra
mette i marsupiali e i monotremi; cosicchè egli considera l’uomo siccome
distinto da tutti gli altri mammiferi nel modo in cui questi due ultimi gruppi
sono riuniti. Questo modo di vedere non è stato accettato, per quanto mi
sappia, da nessun naturalista capace di formare un giudizio indipendente, e
quindi non giova che esso sia qui ulteriormente considerato.
Possiamo comprendere
perchè una classificazione che si fonda sopra un singolo carattere od
organo, anche quando sia un organo tanto meravigliosamente complesso ed
importante quanto il cervello, o sull’alto[13] sviluppo delle
facoltà mentali non può quasi certamente riuscire soddisfacente.
Questo principio è stato invero provato cogli insetti imenotteri; ma
quando vennero classificati in tal modo pei loro costumi od istinti, si
trovò che la disposizione era al tutto artificiale. Naturalmente le
classificazioni possono venire fondate sopra un carattere qualunque, come sulla
mole, sul colore, o sull’elemento di dimora; ma i naturalisti da lungo tempo
hanno sentito un profondo convincimento che vi è un sistema naturale.
Questo sistema deve essere, come ora generalmente si ammette, per quanto sia
possibile disposto genealogicamente, vale a dire, i condiscendenti della stessa
forma debbono essere tenuti insieme in uno stesso scompartimento, separati dai
condiscendenti di ogni altra forma; ma se i progenitori erano parenti,
così pure saranno i loro discendenti, e i due scompartimenti riuniti
formeranno uno scompartimento più grande. Il complesso della differenza
fra i vari scompartimenti, vale a dire il complesso della modificazione che
ognuno ha sopportato, sarà espresso da vocaboli come generi, famiglie,
ordini e classi. Siccome non abbiamo ricordi di linee di origine, queste linee
non possono essere scoperte se non che osservando i gradi di rassomiglianza che
esistono fra gli esseri che stanno per venir classificati. Perciò sono
di maggiore importanza i numerosi punti di rassomiglianza che non il complesso
della similarità o dissimilarità di alcune poche parti. Se si
trovasse che due linguaggi si rassomigliassero fra loro in un gran numero di
vocaboli e in alcuni modi di costruzione, si riconoscerebbero universalmente
come originati da una sorgente comune, nonostante che differissero grandemente
in alcuni pochi vocaboli o modi dì costruzione. Ma negli esseri organici
i punti di rassomiglianza non consistono nello adattamento a somiglianti modi
di vita: per esempio, due animali possono aver modificata tutta la loro forma
pel vivere nell’acqua, e tuttavia non saranno per questo più vicini fra
loro nel sistema naturale. Quindi possiamo vedere come vada che certe
rassomiglianze di strutture poco importanti, di organi rudimentali ed inutili,
e di parti non ancora pienamente sviluppate o funzionalmente attive, siano
molto più utili per la classificazione; perchè non possono essere
attribuite all’adattamento seguito in un tardo periodo; e così rivelano
le antiche linee di origine o di vera affinità.
Possiamo inoltre vedere
perchè un gran complesso di modificazioni in qualche carattere non debba
indurci a separare largamente due dati organismi. Una parte che differisce
già molto dalla stessa parte in altre forme affini ha già,
secondo la teoria della evoluzione, molto variato; per conseguenza
(finchè l’organismo è rimasto esposto alle stesse condizioni di
eccitamento) ha dovuto essere soggetto ad ulteriori variazioni della stessa
sorta; e queste, qualora fossero benefiche, si sarebbero conservate, e
così continuamente accresciute. In molti casi lo sviluppo continuo di
una parte, per esempio, del becco di un uccello, o dei denti di un mammifero,
non sarebbe vantaggioso alle specie per guadagnarsi il cibo, o per qualunque
altro oggetto; ma nell’uomo non vediamo limite definito, per ciò che
riguarda il vantaggio, al continuo sviluppo del cervello e delle facoltà
mentali. Perciò volendo fermare il posto dell’uomo nel sistema naturale
o genealogico, lo sviluppo estremo del suo cervello, non deve controbilanciare
una moltitudine di rassomiglianze in altri punti meno importanti o non
importanti affatto.
La maggior parte dei naturalisti
che hanno preso in considerazione l’intera struttura dell’uomo, comprese le sue
qualità mentali, hanno seguito Blumenbach e Cuvier, ed hanno collocato
l’uomo in un ordine separato, col nome di bimani, e quindi in equipollenza
cogli ordini dei quadrumani, carnivori, ecc. Recentemente molti fra i nostri
migliori naturalisti sono ritornati alla prima idea di Linneo, tanto mirabile
per la sua sagacia, ed hanno allogato l’uomo nello stesso ordine dei
quadrumani, col titolo di primati. La giustezza di questa conclusione
sarà ammessa se, in primo luogo, teniamo a mente le osservazioni fatte
testè sulla poca importanza comparativamente per la classificazione del
grande sviluppo del cervello dell’uomo, ed anche che le spiccatissime
differenze fra i crani dell’uomo e dei quadrumani (su cui ultimamente hanno
insistito Rischoff, Aeby ed altri) derivano apparentemente da ciò che il
loro cervello è differentemente sviluppato. In secondo luogo, dobbiamo
tener a mente che quasi tutte le altre e più importanti differenze fra
l’uomo e i quadrumani sono evidentemente per adattamento, e si riferiscono
soprattutto alla stazione eretta dell’uomo; come sarebbe la struttura della sua
mano, del piede e della pelvi, l’incurvatura della spina dorsale e la posizione
del capo. La famiglia delle foche offre un buon esempio della poca importanza
di caratteri di adattamento per la classificazione. Questi animali differiscono
da tutti gli altri carnivori nella forma del corpo e nella struttura delle membra
molto più che non le scimmie più elevate differiscono dall’uomo;
tuttavia in ogni sistema, da quello di Cuvier al più recente del signor
Flower, le foche sono collocate come una semplice famiglia dell’ordine dei
carnivori. Se l’uomo non fosse stato il proprio classificatore, non avrebbe mai
pensato a trovare un ordine separato per collocarvisi.
Oltrepasserei i limiti del mio lavoro,
e quelli del mio sapere, anche solo menzionando gli innumerevoli punti di
struttura nei quali l’uomo concorda cogli altri primati. Il nostro grande
anatomico e filosofo prof. Huxley ha pienamente discusso questo argomento, ed
è venuto a concludere che l’uomo in tutte le parti della sua
organizzazione differisce meno dalle scimmie più elevate, “che non
queste dai membri inferiori dello stesso scompartimento. In conseguenza non
è per nulla giustificabile il collocare l’uomo in un ordine distinto”.
Sul principio di questo volume ho
riferito vari fatti che dimostrano quanto intimamente l’uomo concordi nella
costituzione coi mammiferi più elevati; e questo fatto, senza dubbio,
dipende dalla nostra intima similarità nelle minute strutture e nella
composizione chimica. Come esempio dava l’essere noi soggetti alle stesse
malattie, ed alle aggressioni di parassiti affini; i nostri gusti in comune pei
medesimi stimolanti, e gli effetti simili che questi e vari medicamenti
producono, ed altri fatti consimili.
Siccome piccoli e poco importanti punti
di rassomiglianza fra l’uomo e le scimmie più elevate non sono
comunemente notati nelle opere sistematiche, e siccome quando sono numerosi
svelano chiaramente la nostra parentela, io specificherò alcuni di
questi punti. La posizione relativa delle fattezze evidentemente è la
stessa nell’uomo e nei quadrumani; e le varie emozioni sono manifestate con
movimenti dei muscoli della pelle quasi simili, specialmente sopra le
sopracciglia e intorno alla bocca. Infatti, alcune poche espressioni sono quasi
le stesse, come il pianto di certe specie di scimmie, e il rumore che fanno
ridendo certe altre, durante il quale gli angoli della bocca son tratti
indietro, e le palpebre inferiori s’increspano. L’orecchio esterno è
curiosamente simile. Nell’uomo il naso è molto più prominente che
non in molte scimmie; ma possiamo segnare il principio di una incurvatura aquilina
nel naso dell’Ilobate Hoolock; e questo nel Semnopithecus nasica è
portato a un punto ridicolo.
Le facce di molte scimmie sono adorne
di barba e di baffi. In alcune specie di semnopiteci i peli del capo vengono
assai lunghi; e nella scimmia dal berretto (Macacus radiatus) raggiano
da un punto del vertice con una spartizione in mezzo come nell’uomo. Si dice
comunemente che la fronte dà all’uomo il suo aspetto nobile ed
intelligente; ma i fitti peli sul capo della scimmia dal berretto terminano
repentinamente all’indietro, e son seguiti da capelli corti e fini o lanuggine,
per cui a poca distanza la fronte, tranne le sopracciglia, sembra al tutto
nuda. È stato a torto asserito che le sopracciglia non si trovano in
nessuna scimmia. Nelle specie testè nominate il grado di nudità
nella fronte differisce nei vari individui; ed Eschricht asserisce che nei
nostri bambini il limite fra il capillizio e la fronte non è talvolta
bene definito; cosicchè qui sembriamo avere un leggero caso di regresso
verso un progenitore nel quale la fronte non era ancora divenuta al tutto nuda.
Tutti sanno che i peli delle nostre
braccia tendono a convergere dal di sopra e dal di sotto ad un punto medesimo
al gomito. Questa curiosa disposizione, così diversa da quella della
maggior parte dei mammiferi sottostanti, è comune al gorilla, allo
scimpanzè, all’urango, ad alcune specie di ilobati, ed anche ad alcune
poche scimmie americane. Ma nell’Hylobates agilis i peli
dell’antibraccio sono diretti all’ingiù o verso il pugno nel modo ordinario;
nell’H. lar sono quasi diritti, con qualche lieve inclinazione
all’ingiù; cosicchè in quest’ultima specie la direzione del pelo
segna una transizione. Non si può guari mettere in dubbio che in molti
mammiferi la spessezza del pelo e la sua direzione sul dorso è bene
acconcia a lasciar scorrere la pioggia; anche i peli trasversali delle zampe
anteriori del cane possono servire a questo scopo quando si accovaccia per
dormire. Il signor Wallace osserva che la convergenza dei peli verso il gomito
nelle braccia dell’urango (di cui egli ha tanto minutamente studiato i costumi)
serve a lasciar scorrere la pioggia, quando, come è il solito di questo
animale, le braccia sono ripiegate, colle mani abbracciate intorno a un ramo o
sopra il suo capo. Tuttavia noi dobbiamo tenere a mente che l’attitudine di un
animale può forse derivare in parte dalla direzione del pelo; e non la
direzione del pelo dall’attitudine. Se la spiegazione sovraesposta è
giusta nel caso dell’urango, i peli del nostro antibraccio presentano un
curioso ricordo del nostro primiero stato; perchè nessuno suppone che
ora siano di qualche utilità nel lasciar scorrere la pioggia, e nella
nostra attuale condizione eretta non sono per nulla diretti in modo da ottenere
un tale effetto.
Tuttavia sarebbe ardimento soverchio
dar troppa fede al principio dell’adattamento rispetto alla direzione dei peli
nell’uomo o nei suoi primitivi progenitori, perchè è impossibile
studiare i disegni dati da Eschricht della disposizione dei peli del feto umano
(questa è uguale come nell’adulto) e non essere dell’opinione di questo
eccellente osservatore, che altre e più complesse cause sono
intervenute. I punti di convergenza sembrano essere in qualche relazione con
quei punti nell’embrione che sono gli ultimi a riunirsi durante lo sviluppo.
Sembra anche esistere una qualche relazione fra la disposizione dei peli sopra
le estremità e il corso delle arterie midollari.
Non bisogna supporre che le
rassomiglianze fra l’uomo e certe scimmie nei punti sopramenzionati e in molti
altri, come l’avere la fronte nuda, i capelli lunghi sul capo, ecc., siano
tutte necessariamente l’effetto di una non interrotta eredità da un
progenitore comune così caratterizzato, o di un susseguente regresso.
È più probabile che molte di queste rassomiglianze siano dovute
ad una analoga variazione che deriva, come ho già cercato di
dimostrare, da organismi condiscendenti, forniti di una simile costituzione, e
che hanno sopportato l’azione di consimili cause inducenti la
variabilità. Per ciò che riguarda la direzione somigliante dei
peli dell’antibraccio dell’uomo, e di certe scimmie, siccome questo carattere
è comune a quasi tutte le scimmie antropomorfe, può essere
probabilmente attribuito all’eredità; ma non è certamente
così, perchè alcune scimmie americane molto distinte sono per tal
modo caratterizzate. La stessa osservazione può essere applicata al
fatto della mancanza di coda nell’uomo; perchè la coda manca in tutte le
scimmie antropomorfe. Nondimeno questo carattere non può essere con
certezza attribuito all’eredità perchè la coda, sebbene non
assente, è rudimentale in parecchie altre specie dell’antico continente
ed in alcune del nuovo, ed è pure al tutto mancante in parecchie specie
che appartengono al gruppo affine dei lemuri.
Quantunque l’uomo, come abbiamo
testè veduto, non abbia nessun giusto diritto di formare un ordine
separato per sè, egli può forse reclamare un distinto
sotto-ordine od una famiglia. Il prof. Huxley nella sua ultima opera divide i
Primati in tre sotto-ordini, cioè gli Antropidi col solo uomo, i
Scimmiadi contenenti le scimmie di tutte le sorta, ed i Lemuridi coi vari
generi di lemuri. Per tutto ciò che ha rapporto colle differenze di
certi punti importanti di struttura, l’uomo può senza dubbio a buon
diritto reclamare un sotto ordine; e se consideriamo principalmente le sue
facoltà mentali, questo è troppo poco. Nondimeno, da un punto di
vista genealogico, sembra che questo posto sia troppo alto, e che l’uomo
dovrebbe solo formare una famiglia, o possibilmente anche soltanto una
sotto-famiglia. Se noi ci figuriamo tre linee genealogiche che procedano da una
sorgente comune, si comprende benissimo che due di esse possono essere, dopo il
corso dei secoli, tanto poco mutate da rimanere ancora come specie dello stesso
genere, mentre la terza linea può essersi così grandemente
modificata da meritare di essere collocata in una distinta sotto-famiglia od
una famiglia, od anche un ordine. Ma in questo caso è quasi certo che la
terza linea conserverà, mercè l’eredità, moltissimi piccoli
punti di rassomiglianza colle altre due linee. Qui allora si presenterebbe la
difficoltà, oggi insolubile, di sapere quanto peso dovremmo dare nelle
nostre classificazioni alle differenze fortemente spiccate in alcuni punti,
cioè alla somma delle modificazioni sopportate; e quanto all’intima
rassomiglianza in numerosi punti poco importanti, come indicanti le linee di
provenienza o la genealogia. La prima alternativa è la più ovvia,
e forse la più giusta, sebbene l’ultima sembri la più esatta,
siccome fornisce una classificazione veramente naturale.
Per formarci su ciò un giudizio,
noi dobbiamo, per quello che riguarda l’uomo, dare un’occhiata alla
classificazione dei Scimmiadi. Questa famiglia vien divisa da quasi tutti i
naturalisti nello scompartimento delle Catarrine, o scimmie del continente
antico, le quali tutte sono caratterizzate (come lo indica il loro nome) dalla
particolare struttura delle loro narici e dall’avere quattro premolari in ogni
mascella; e nello scompartimento delle Platirrine, o scimmie del nuovo
continente (che comprendono due distintissimi sotto-scompartimenti), le quali
son tutte caratterizzate dalle narici differentemente costrutte, e per avere
sei premolari ad ogni mascella. Ora l’uomo appartiene indubbiamente, pel suo
sistema dentale, per le sue narici, e per alcuni altri riguardi, alla divisione
delle Catarrine o scimmie del continente antico; nè egli rassomiglia
alle Platirrine più strettamente di quel che loro rassomiglino le
Catarrine in nessun carattere, tranne in alcuni di poca o non molta importanza
ed apparentemente di adattamento. Perciò sarebbe contro ogni
probabilità supporre che qualche antica specie del nuovo continente
abbia variato, ed abbia così prodotto una creatura simile all’uomo con
tutti i caratteri propri alla divisione dell’antico continente, perdendo nello
stesso tempo tutti i suoi propri caratteri distintivi. Non vi può essere
quindi dubbio che l’uomo è un germoglio dello stipite delle scimmie del
continente antico: e che dal punto di vista genealogico deve essere collocato
nella divisione delle Catarrine.
Le scimmie antropomorfe, cioè il
gorilla, lo scimpanzè, l’urango egli ilobati, vengono separati in un
distinto sotto-gruppo dalle altre scimmie del continente antico dalla maggior
parte dei naturalisti. So che Gratiolet, appoggiandosi alla struttura del
cervello, non ammette l’esistenza di questo sotto-gruppo, e senza dubbio
è una interruzione; così l’urango, come osserva il sig. St. G.
Mivart, “è una delle forme più particolari ed aberranti che
s’incontrino nell’ordine”. Il resto delle scimmie non antropomorfe del
continente antico viene nuovamente diviso da alcuni naturalisti in due o tre
minori sotto-gruppi; il genere Semnopithecus col suo stomaco particolare a
sacchetti è il tipo di un cosiffatto sotto-gruppo. Ma dalle
notevoli scoperte del signor Gaudry nell’Attica sembra che durante il periodo
miocenico esistesse colà una forma che riuniva i semnopiteci e i
macachi: e questo dimostra probabilmente il modo in cui gli altri gruppi
più elevati erano una volta mescolati insieme.
Se si ammette che le scimmie
antropomorfe formano un sotto-gruppo naturale, allora l’uomo va d’accordo con
esse non solo in tutti quei caratteri che egli possiede in comune con tutto lo
scompartimento Catarrino, ma in altri caratteri particolari, come la mancanza
di coda e di callosità e nell’aspetto generale, e noi possiamo da
ciò dedurre che qualche antico membro del sotto-gruppo antropomorfo
abbia dato nascimento all’uomo. Non è probabile che un membro di uno
degli altri sotto-gruppi inferiori, per la legge di analoghe variazioni, abbia
dato origine ad una creatura simile all’uomo, rassomigliante per tanti riguardi
alle scimmie antropomorfe più elevate. Non v’ha dubbio che l’uomo, in
confronto della maggior parte dei suoi affini, ha sopportato un complesso
straordinario di modificazioni, principalmente in conseguenza del grande
sviluppo del suo cervello e della stazione eretta; nondimeno dobbiamo porci in
mente che egli “non è che una delle varie forme eccezionali dei Primati”.
Ogni naturalista che crede nel
principio della evoluzione riconoscerà che le due principali divisioni
dei Scimmiadi, cioè le scimmie Catarrine e le Platirrine coi loro
sotto-gruppi, sono venute tutte da un qualche antichissimo progenitore. I discendenti
primieri di questo progenitore, prima di essersi allontanati gli uni dagli
altri per una qualche notevole estensione, hanno dovuto formare ancora un solo
gruppo naturale; ma alcune delle specie o generi incipienti hanno dovuto aver
già cominciato ad indicare coi loro caratteri divergenti i futuri segni
distintivi delle divisioni Catarrina e Platirrina. Quindi i membri di questo
supposto antico gruppo non devono essere stati tanto uniformi nel loro sistema
dentale o nella struttura delle loro narici come lo sono da una parte le
scimmie Catarrine esistenti e da un’altra parte le Platirrine; ma hanno dovuto
rassomigliare per questo riguardo agli affini Lemuridi che differiscono
grandemente fra loro nella forma del loro muso, e in un grado straordinario nel
sistema dentale.
Le scimmie Catarrine e Platirrine
s’accordano in un gran numero di caratteri, come è dimostrato dal loro
appartenere indubitatamente ad un solo e medesimo ordine. È difficile
che i numerosi caratteri che posseggono in comune siano stati acquistati indipendentemente
da tante specie distinte; cosicchè questi caratteri debbono essere stati
ereditati. Se un naturalista avesse veduto una forma antica fornita dei
numerosi caratteri comuni alle scimmie Catarrine ed alle Platirrine ed altre in
condizione intermedia, ed alcune poche forse distinte da quelle che
s’incontrano oggi nei due gruppi, egli le avrebbe senza dubbio collocate
tra le scimmie. E siccome l’uomo, dal punto di vista genealogico, appartiene
allo scompartimento dello stipite Catarrino o del continente antico, dobbiamo
concludere, per quanto questa conclusione possa offendere il nostro orgoglio,
che i nostri primieri progenitori sarebbero stati così appunto
classificati. Ma non dobbiamo cadere nell’errore di credere che il
primiero progenitore di tutto lo stipite delle scimmie, compreso l’uomo, fosse
identico, o anche rassomigliasse molto, a qualunque scimmia che esista oggi.
Del luogo di nascimento e
dell’antichità dell’uomo. – Naturalmente siamo condotti a
investigare quale fosse il luogo di nascimento dell’uomo in quel periodo
genealogico in cui i nostri progenitori hanno deviato dallo stipite Catarrino.
Il fatto che essi appartenevano a questo stipite dimostra chiaramente che
abitavano l’antico continente; ma non l’Australia nè nessuna isola
oceanica, siccome possiamo dedurre dalle leggi della distribuzione geografica.
In ogni grande regione del mondo i mammiferi esistenti sono intimamente affini
alle specie estinte della stessa regione. È quindi probabile che
l’Africa fosse abitata primieramente da scimmie estinte strettamente affini al
gorilla ed allo scimpanzè; e siccome queste due specie sono ora i
più prossimi affini dell’uomo, è in certo modo più
probabile che i nostri primi progenitori vivessero nel continente africano che
non altrove. Ma è inutile speculare intorno a ciò, perchè
una scimmia grossa quasi quanto un uomo, cioè il Dryopithecus di Lartet,
che era strettamente affine agli Ilobati antropomorfi, esisteva in Europa
durante il periodo miocenico superiore; e da quel remotissimo periodo la terra
è stata certamente soggetta a molti grandi rivolgimenti, e vi è
stato un lungo spazio dì tempo per compiere amplissimamente le
migrazioni.
In qualunque periodo e in qualunque
luogo, quando e dove ciò possa essere seguìto, è probabile
che l’uomo, allorchè cominciò a perdere la sua veste di peli,
abitasse un paese caldo; e ciò doveva essere stato favorevole ad un
regime frugivoro, del quale, giudicando dall’analogia, egli deve aver vissuto.
Siamo ben lungi dal conoscere quanto tempo sia trascorso dacchè l’uomo
cominciò a divergere dallo scompartimento delle scimmie Catarrine; ma
questo può essere seguito in un’epoca tanto remota quanto il periodo
eocenico, perchè le scimmie più elevate si sono staccate dalle scimmie
più basse fino dal periodo miocenico superiore, come è dimostrato
dall’esistenza del Dryopithecus. Non sappiamo neppure affatto con quanta
rapidità gli organismi alti o elevati nella scala possano, in
circostanze favorevoli, venire modificati: tuttavia sappiamo che alcuni
conservano la stessa forma durante un enorme tratto di tempo. Da quello che
vediamo seguire nell’addomesticamento impariamo che nello stesso periodo alcuni
dei condiscendenti delle stesse specie possono non essere per nulla mutati,
altri alquanto, altri molto più. Così può essere
seguìto anche per l’uomo, che è andato soggetto a grandissime
modificazioni in certi caratteri in confronto delle scimmie più elevate.
La grande spezzatura o lacuna nella
catena organica fra l’uomo e i suoi più prossimi affini, la quale non può
essere riempita da nessuna specie vivente od estinta, è stata spesso
invocata come una grave obiezione alla credenza che l’uomo sia disceso da
qualche forma inferiore; ma questa obiezione non sembra di molto peso a coloro
i quali, convinti da ragioni generali, credono nel principio generale della
evoluzione. Si osservano ad ogni passo lacune in tutte le parti delle serie,
alcune ampie, nette e precise, altre in vario grado minori; come tra l’urango e
i suoi più prossimi affini, tra il tarsio e gli altri lemuridi, fra
l’elefante, e in modo molto più spiccato fra l’ornitorinco e l’echidna,
e gli altri mammiferi. Ma tutte queste lacune dipendono puramente dal numero di
forme affini che si sono estinte. Fra qualche tempo avvenire, non molto lontano
se misurando per secoli, è quasi certo che le razze umane
incivilite stermineranno e si sostituiranno in tutto il mondo alle razze
selvagge. Nello stesso tempo le scimmie antropomorfe, come ha notato il prof.
Schaaffhausen, saranno senza dubbio sterminate. Allora la lacuna sarà
ancora più larga, perchè starà tra l’uomo in uno stato
ancor più civile, speriamo, che non il caucusico, e qualche scimmia
inferiore, come il babbuino, invece di quella che esiste ora fra un nero od un
australiano ed il gorilla.
Per ciò che riguarda la mancanza
di avanzi fossili che possano servire a riunire l’uomo ai suoi progenitori
simili alle scimmie, nessuno darà grande peso a questo fatto dopo aver
letto la discussione di sir C. Lyell, nella quale egli dimostra che in tutte le
classi dei vertebrati la scoperta di avanzi fossili è stato un processo
sommamente lento e fortuito. E non bisogna neppure dimenticare che quelle
regioni le quali più probabilmente possono somministrare avanzi che
riuniscano l’uomo a qualche estinta creatura simile alla scimmia non sono state
esplorate dai geologi.
Stadi più bassi della genealogia
dell’uomo. – Abbiamo veduto che l’uomo sembra aver deviato dalla divisione
delle scimmie catarrine dell’antico continente. Cercheremo ora di tener dietro
alle più remote tracce della sua genealogia, affidandoci in primo luogo
alle mutue affinità fra le varie classi e gli ordini, ed aiutandoci
alquanto mercè i periodi, per quanto sono stati riconosciuti veri, della
loro successiva comparsa sulla terra. I lemuridi stanno sotto e vicino ai
simiadi, e costituiscono la ben distinta famiglia dei primati, o secondo Häckel
un ordine distinto. Questo gruppo è diversificato ed interrotto in sommo
grado, e comprende molte forme aberranti. Perciò è probabile che
abbia sofferto molte estinzioni. La maggior parte dei rimanenti sopravvivono
nelle isole, cioè nel Madagascar e nelle isole dell’arcipelago Malese,
ove non sono stati esposti a quelle aspre lotte che avrebbero incontrato nei
continenti meglio popolati. Questo scompartimento presenta pure molte
graduazioni, che conducono, come osserva Huxley, “insensibilmente dalla corona
e dal vertice della creazione animale a creature dalle quali vi è solo
un passo, siccome appare, al più basso, e più piccolo e meno
intelligente dei mammiferi placentati”. È probabile, secondo queste
varie considerazioni, che i simiadi fossero in origine sviluppati dai
progenitori dei presenti lemuridi, e questi alla loro volta da forme collocate
molto più in basso nella serie dei mammiferi.
I marsupiali sono per molti caratteri
importanti inferiori ai mammiferi placentati. Essi sono apparsi in un periodo
geologico anteriore, e in principio la loro cerchia era molto più estesa
che non ora. Quindi si suppone generalmente che i placentali siano derivati
dagli aplacentali o marsupiali; tuttavia non da forme somigliantissime ai
marsupiali che esistono oggi, ma dai loro primieri progenitori. I monotremi
sono evidentemente affini ai marsupiali; e formano. una terza e ancor
più bassa divisione della grande serie dei mammiferi. Sono oggi
rappresentati soltanto dall’ornitorinco e dall’echidna; e queste due forme
possono essere giustamente considerate come gli avanzi di un gruppo molto
più grande che si è conservato in Australia per qualche concorso
di circostanze favorevoli. I monotremi sono interessantissimi, perchè in
molti punti importanti di struttura conducono alla classe dei rettili.
Tentando di segnare la genealogia dei
mammiferi, e quindi dell’uomo, scendendo sempre in giù nella serie, ci
troviamo circondati da una oscurità ognora più grande. Chi
desideri vedere ciò che possono compiere il sapere e l’ingegno, consulti
le opere del prof. Häckel. Io mi limiterò a poche osservazioni generali.
Ogni evoluzionista ammetterà che le cinque grandi classi di vertebrati,
cioè, mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci, discendono tutte da
un qualche prototipo; perchè hanno molte cose in comune, specialmente
durante il loro stato embrionale. Siccome la classe dei pesci ha una
organizzazione molto più bassa ed è comparsa prima delle altre,
possiamo concludere che tutti i membri del regno dei vertebrati sono derivati
da qualche animale simile al pesce, meno altamente organizzato che non
qualunque altro che sia ancora stato trovato nelle più basse formazioni
finora conosciute. La credenza che animali così distinti come una
scimmia od un elefante ed un uccello mosca, un serpente, una rana, un pesce,
ecc., possano tutti essere venuti dagli stessi genitori sembrerà
mostruosa a coloro che non hanno tenuto dietro ai recenti progressi della
storia naturale. Perchè questa credenza trae con sè la esistenza
preliminare di anelli che strettamente colleghino tutte queste forme, ora tanto
straordinariamente dissomiglianti.
Nondimeno è certo che hanno
esistito, od esistono ancora, scompartimenti di animali che servono a
congiungere più o meno intimamente le diverse grandi classi dei
vertebrati. Abbiamo veduto che l’ornitorinco scende gradatamente verso i
rettili; e il prof. Huxley ha fatto la notevole scoperta, confermata dal sig.
Cope ed altri, che gli antichi dinosauri stanno in mezzo per molti importanti
rispetti fra certi rettili e certi uccelli, e questi ultimi spettanti alle
tribù degli struzzi (la quale essa stessa è evidentemente un
avanzo largamente diffuso di un gruppo più grande) e dell’archeopterige,
quello strano uccello secondario che ha una lunga roda come quella della
lucertola. Parimente, secondo il prof. Owen, gli ittiosauri, grandi lucertole
marine fornite di natatoie, presentano molte affinità coi pesci, o
piuttosto, secondo Huxley, cogli anfibi. Quest’ultima classe (che comprende
nella sua più elevata divisione le rane e i rospi) evidentemente
è affine ai pesci ganoidi. Questi ultimi pesci brulicavano durante i
primi periodi geologici, ed erano fatti secondo quello che si suol chiamare un
tipo elevato e generale, cioè presentavano affinità diversificate
con altri gruppi di organismi. Gli anfibi ed i pesci sono pure tanto
intimamente collegati dai lepidosireni, che i naturalisti hanno lungamente
discusso in quale delle due classi dovessero questi essere collocati. I
lepidosireni ed alcuni pochi pesci ganoidi sono sfuggiti ad una compiuta
distruzione abitando i nostri fiumi, che sono porte di rifugio, e che hanno la
stessa relazione colle vaste acque dell’oceano come le isole coi continenti.
Infine, un solo membro della immensa e varia classe dei pesci, cioè l’Amphioxus
lanceolatus, è tanto differente da tutti gli altri pesci, che Häckel
afferma che deve formare una classe distinta nel regno dei vertebrati. Questo
pesce è notevole per i suoi caratteri negativi; appena si può
dire che abbia un cervello, una colonna vertebrale, o un cuore, ecc.; per cui
era stato messo dagli antichi naturalisti fra i vermi. Molti, anni or sono il
prof. Goodsir si accorse che questo animale presenta qualche affinità
colle ascidie, che sono esseri marini invertebrati, ermafroditi, attaccati
permanentemente ad un sostegno. Non sembrano quasi animali, e son fatti di un
sacco semplice, spesso e compatto, con due piccoli orifizi sporgenti. Appartengono
ai molluscoidi di Huxley, una divisione inferiore del grande regno dei
molluschi; ma recentemente sono stati messi da alcuni naturalisti fra i vermi.
Le loro larve rassomigliano in certo modo nella forma ai girini delle rane, e
possono andar guizzando tutto intorno. Alcune osservazioni fatte ultimamente
dal signor Kowalevski, di poi confermate dal prof. Kuppfer, formeranno una
scoperta di sommo interesse, qualora vengano ancora estese, come ho sentito
dire essere stato testè compiuto dal signor Kowalevski in Napoli. La
scoperta è che le larve delle ascidie sono in rapporto coi vertebrati,
pel loro modo di sviluppo, per la relativa posizione del sistema nervoso, e per
avere una struttura che rassomiglia grandemente alla chorda dorsalis
degli animali vertebrati. Da ciò appare, se possiamo dar retta alla
embriologia, che si è sempre dimostrata essere la guida più
sicura per la classificazione, che abbiamo finalmente un barlume della sorgente
d’onde sono derivati i vertebrati. Sarebbe così giustificata la nostra
credenza che in un periodo sommamente remoto esistesse un gruppo di animali,
per molti riguardi rassomiglianti alle larve delle nostre presenti ascidie, i
quali abbiano divaricato in due grandi rami, l’uno il quale retrocedendo nel
suo sviluppo ha prodotto la classe presente delle ascidie, l’altro che
elevandosi all’apice del regno animale ha dato origine ai vertebrati.
Abbiamo finora cercato di abbozzare la
genealogia dei vertebrati aiutandoci colle loro mutue affinità.
Osserveremo ora l’uomo quale esiste; e potremo, credo, ricostruire parzialmente
durante i successivi periodi, ma non nell’ordine di tempo dovuto, la struttura
dei nostri primitivi progenitori. Questo può compiersi mercè i
rudimenti che l’uomo conserva ancora; i caratteri che incidentalmente ricompaiono
in lui per un regresso, e mercè i principii della morfologia e della
embriologia. I vari fatti ai quali mi riferirò qui sono stati dati nei
precedenti capitoli. I primi progenitori dell’uomo erano senza dubbio coperti
di pelo, i due sessi avevano la barba; le loro orecchie erano aguzze e mobili,
e il corpo era fornito da coda avente muscoli propri. Le membra e il corpo loro
erano mossi da molti muscoli che ora ricompaiono per incidente, ma che sono
normalmente presenti nei quadrumani. La grande arteria ed il nervo dell’omero
scorrevano in un foro sopra-condiloideo. In quel periodo o in un altro ancora
più antico l’intestino dava origine a un intestino cieco molto
più grande di quello che esiste ora, il piede, giudicando dalla condizione
del dito grosso nel feto, era allora prensile; ed i nostri progenitori erano
senza dubbio di costumi erborei, ed abitavano qualche terra calda e coperta di
foreste. I maschi erano forniti di grossi denti canini, che facevano ufficio di
armi formidabili. In un periodo molto più antico l’utero era doppio; gli
escrementi si versavano in una cloaca; e l’occhio era protetto da una terza
palpebra o membrana nittitante. In un periodo ancor più remoto i
progenitori dell’uomo dovevano avere costumi acquatici; perchè la
morfologia ci dimostra chiaramente che i nostri polmoni sono fatti di una
vescica natatoria modificata, che serviva un tempo come organo idrostatico. Le
fessure nel collo in embrione umano dimostrano ove stavano le branchie. Verso
questo periodo i veri reni erano sostituiti dai corpi di Wolf. Il cuore non era
altro che un semplice vaso pulsante; e la corda dorsale teneva il posto della
colonna vertebrale. Questi antichissimi predecessori dell’uomo, veduti
così negli oscuri recessi del tempo, debbono aver avuto una organizzazione
bassa quanto l’Amphioxus lanceolatus, od anche più bassa.
Vi è un altro punto che merita
di essere menzionato. È molto tempo che si sa che nel regno vertebrato
un sesso porta rudimenti di varie parti accessorie appartenenti al sistema
della riproduzione, che propriamente appartengono all’altro sesso; ed è
stato ora riconosciuto con certezza che in un periodo embriogenico molto
primitivo i due sessi hanno vere ghiandole maschili e femminili. Quindi pare
che qualche remotissimo progenitore di tutto il regno vertebrato sia
stato ermafrodito od androgino. Ma qui incontriamo una singolare
difficoltà. Nella classe dei mammiferi i maschi posseggono nelle loro
vescicole prostatiche rudimenti di un utero col condotto adiacente; portano
anche rudimenti di mammelle, ed alcuni maschi dei marsupiali hanno rudimenti di
un sacco marsupiale. Si possono citare altri fatti analoghi. Dobbiamo noi
dunque supporre che qualche antichissimo mammifero possedesse ancora organi
propri ai due sessi, vale a dire continuasse ad essere androgino dopo di avere
acquistato le principali distinzioni della propria classe, e quindi dopo di
aver deviato dalle classi inferiori del regno vertebrato? Ciò sembra
improbabilissimo, perchè se ciò fosse seguìto avremmo
dovuto aspettarci di vedere alcuni pochi membri delle due classi, cioè i
pesci e gli anfibi, rimanere androgini. Al contrario dobbiamo credere che
quando le cinque classi dei vertebrati hanno deviato dal loro comune
progenitore, i sessi erano già divenuti separati. Tuttavia, per
spiegarci il fatto che i maschi dei mammiferi posseggono rudimenti di organi
accessori femminili non abbiamo bisogno di supporre che i loro primieri
progenitori fossero ancora androgini dopo aver assunto i principali caratteri
di mammiferi. È possibilissimo che mentre un sesso andava man mano
acquistando gli organi accessori suoi propri, alcuni stadi successivi o alcune
modificazioni fossero trasmesse al sesso opposto. Quando parleremo della scelta
sessuale incontreremo un numero infinito di casi di questa sorta di
trasmissione, come nel caso degli sproni, delle piume, e dei colori brillanti
acquistati dagli uccelli maschi per battersi o per adornarsi, e trasmessi alle
femmine in condizione imperfetta o rudimentale.
Il possedere i maschi dei mammiferi mammelle
funzionalmente imperfette è un fatto, per alcuni riguardi, sommamente
curioso. I monotremi hanno ghiandole proprie per la secrezione del latte coi
loro orifizi, ma non capezzoli; e siccome questi animali stanno alla vera base
della serie dei mammiferi, è probabile che i progenitori della classe
possedessero similmente le ghiandole per la secrezione del latte, ma non
capezzoli. Questa conclusione è sostenuta da quello che si conosce
intorno al modo del loro sviluppo, perchè il prof. Turner mi informa,
secondo l’autorità di Kölliker e di Langer, che nell’embrione le
ghiandole delle mammelle possono essere distintamente segnate prima che i
capezzoli siano ancora per nulla visibili; e bisogna tenere a mente che lo
sviluppo delle successive parti nell’individuo generalmente sembra
rappresentare ed accordarsi collo sviluppo dei successivi esseri nella stessa
linea di discendenza. I marsupiali differiscono dai monotremi perchè
hanno capezzoli; cosicchè questi organi furono probabilmente acquistati
dapprima dai marsupiali dopo che ebbero deviato e si furono innalzati sopra i
monotremi, e sono stati poi trasmessi ai mammiferi placentali. Nessuno
supporrà che dopo che i marsupiali ebbero acquistato a un dipresso la
loro presente struttura, e quindi in un periodo piuttosto ulteriore di sviluppo
della serie dei mammiferi, taluno dei suoi membri rimanesse ancora androgino.
Sembriamo dunque indotti a tornare alla unione sovraesposta, e concludere che i
capezzoli si svilupparono dapprima nelle femmine di qualche forma primitiva di
marsupiale, e vennero poi, in grazia della legge comune di eredità,
trasmessi in una condizione funzionalmente imperfetta ai maschi.
Nondimeno mi è passato
certe volte per la mente il sospetto che molto tempo dopo che i progenitori
della classe dei mammiferi ebbero perduto il loro stato androgino, i due sessi
abbiano prodotto latte e nudrito così i loro piccoli; e nel caso dei
marsupiali, che i due sessi possano aver portato i loro piccoli entro la borsa
ventrale. Ciò non sembrerà al tutto incredibile se riflettiamo
che i maschi dei pesci aghi (Syngnatus) ricevono le uova delle femmine nelle
loro borsette addominali, le fanno schiudere, e poi, come credono alcuni,
nutrono i loro piccoli; che certi altri pesci maschi fanno schiudere le uova
entro la loro bocca o nelle cavità bronchiali; che certi rospi maschi
prendono dalle femmine i rosari di uova e se li avvolgono alle loro cosce,
tenendoli colà finchè i girini siano nati; che certi uccelli
maschi si assumono tutte le cure dell’incubazione, e che i piccioni maschi,
tanto come le femmine, danno da mangiare ai loro nidacei con una secrezione
delle loro ingluvie. Ma il sospetto di cui ho parlato mi venne in mente
dapprima da ciò che le ghiandole delle mammelle sono nei mammiferi
maschi molto più perfettamente sviluppate che non i rudimenti di quelle
altre parti accessorie riproduttive che si trovano in un sesso sebbene siano
proprie dell’altro. Le ghiandole e i capezzoli delle mammelle, come sono nei
maschi dei mammiferi, non possono guari esser chiamati rudimentali; sono
soltanto non pienamente sviluppati e non funzionalmente attivi. Si alterano
simpaticamente per l’azione di certe malattie, come gli stessi organi nelle
femmine. Alla nascita secernono sovente gocce di latte; e si sa che per incidente
nell’uomo e in altri mammiferi si sono bene sviluppati ed hanno somministrato
buona copia di latte. Ora se supponiamo che durante un primitivo e lungo
periodo i maschi dei mammiferi aiutassero le femmine nell’allevare la loro
prole, e che in seguito per qualche causa, come per essere scemata la
produzione dei piccoli, i maschi abbiano cessato di prestar questo aiuto, il
difetto di esercizio degli organi durante la maturità doveva farli
divenire inattivi; e da due ben noti principii di eredità questo stato d’inerzia
doveva probabilmente venire trasmesso ai maschi nella corrispondente età
matura. Ma in tutte le prime età questi organi dovevano rimanere non
alterati, cosicchè dovevano parimente essere bene sviluppati nei giovani
dei due sessi.
Conclusione. – La migliore
definizione dell’avanzamento o progresso nella scala organica che sia mai stata
è quella di Von Baer, e questa riposa sopra la somma del differenziarsi
e dello specializzarsi delle varie parti dello stesso essere, quando è
giunto, credo bene di aggiungere, all’età adulta. Ora, siccome gli
organismi sono andati lentamente adattandosi mercè la scelta naturale
alle varie sorta di vita, le loro parti saranno divenute, pel vantaggio
ottenuto dalla divisione del lavoro fisiologico, sempre più diverse e
speciali per le varie funzioni. La stessa parte sembra sovente essere stata
dapprima modificata per uno scopo, e poi dopo molto tempo per qualche altro
scopo al tutto distinto; e così tutte le parti sono andate facendosi
sempre più complesse. Ma ogni organismo deve ancora aver conservato il
tipo generale di struttura del progenitore dal quale è derivato in
origine. Secondo questo modo di vedere, sembra, se ci atteniamo all’evidenza
genealogica, che l’organizzazione sia in complesso andata progredendo nel mondo
con lenti ed interrotti passi. Nel grande regno dei vertebrati si è
spinta all’apice nell’uomo. Non bisogna supporre tuttavia che gli
scompartimenti degli esseri organici siano sempre soppiantati da altri e
scompaiano appena hanno dato origine ad altri gruppi più perfetti.
Questi ultimi, sebbene vincitori dei loro predecessori, possono non esser
divenuti meglio acconci per tutti i luoghi nell’economia della natura. Sembra
che alcune antiche forme abbiano sopravvissuto per aver abitato certi luoghi
riparati, ove non sono state esposte a lotte troppo serie; e queste sovente ci
sono di aiuto per ricostruire le nostre genealogie, dandoci un’idea ben chiara
di antiche e perdute popolazioni. Ma non dobbiamo cadere nell’errore di
considerare i membri esistenti in ogni gruppo di bassa organizzazione come
perfetti rappresentanti dei loro antichi predecessori.
I più antichi progenitori nel
regno dei vertebrati, dai quali possiamo ottenere un lieve barlume,
apparentemente consistevano di un gruppo di animali marini, rassomiglianti alle
larve delle attuali Ascidie. Probabilmente questi animali hanno dato origine a
un gruppo di pesci di bassa organizzazione, come l’Amphioxus lanceolatus;
e da questi debbono essersi sviluppati i Ganoidi e gli altri pesci simili ai
Lepidosireni. Da questi pesci un piccolo passo ci conduce agli anfibi. Abbiamo
veduto che gli uccelli ed i rettili furono un tempo strettamente affini; e i
Monotremi ora riuniscono in lieve grado i mammiferi ai rettili. Ma oggi nessuno
può dire per quale linea di provenienza le tre classi più elevate
e più affini, cioè i mammiferi, gli uccelli ed i rettili, siano
derivati da una delle due classi dei vertebrati più basse, cioè
dagli anfibi e dai pesci. Nella classe dei mammiferi non sono difficili da
comprendere gli stadi che conducono dagli antichi Monotremi agli antichi
Marsupiali; e da questi ai primi progenitori dei mammiferi placentali. Possiamo
risalire in tal modo fino ai Lemuridi; e fra questi e i Simiadi l’intervallo
non è grande. I Simiadi allora si sono divisi in due grandi rami, le
scimmie del nuovo e quelle dell’antico continente; e da queste ultime, in un
antichissimo periodo, è derivato l’uomo, meraviglia e gloria
dell’universo.
Così abbiamo dato all’uomo una
genealogia di prodigiosa lunghezza, ma non si può dire di grande
nobiltà. Il mondo, come è stato sovente osservato, sembra essere
andato preparandosi da lungo tempo alla venuta dell’uomo; e ciò in un
senso è strettamente vero, perchè deve la sua origine a una lunga
fila di progenitori. Se un solo anello di questa catena non avesse mai
esistito, l’uomo non sarebbe stato esattamente quello che è ora. A meno
di voler proprio chiudere gli occhi, noi possiamo, mercè le nostre
attuali cognizioni, riconoscere approssimativamente il nostro parentado; e non
dobbiamo arrossirne. Il più umile organismo è qualche cosa di
molto più elevato che non la polvere inorganica che ci sta sotto i
piedi; e nessuno fornito di mente imparziale può studiare una qualche
creatura vivente per quanto umile essa sia, senza rimanere preso da entusiasmo
per la sua meravigliosa struttura e le sue proprietà.
DELLE RAZZE UMANE.
Natura e valore
dei caratteri specifici – Applicazione alle razze umane – Argomenti in favore e
contrari per considerare le così dette razze umane come specie distinte
– Sottospecie – Monogenisti e poligenisti – Convergenza di carattere – Numerosi
punti di rassomiglianza nel corpo e nella mente fra le razze umane più
distinte – Stato dell’uomo quando cominciò ad estendersi sulla terra –
Ogni razza non discende da una sola coppia – Estinzione di razze – Formazione
di razze – Effetti dell’incrociamento – Scarsa influenza dell’azione diretta
delle condizioni della vita – Scarsa e nessuna influenza della scelta naturale
– Scelta sessuale.
Non è mia intenzione
descrivere qui le varie razze umane; ma bensì ricercare quale sia il
valore delle differenze che passano fra loro dal punto di vista della loro
classificazione, e come abbiano avuto origine. I naturalisti, per affermare se
due o molte forme affini debbano essere considerate come specie o
varietà, si regolano praticamente secondo le seguenti considerazioni:
cioè, la somma delle differenze fra loro, e se queste si riferiscano a
pochi o molti punti di struttura; e se abbiano importanza fisiologica; ma
più specialmente se siano costanti. La costanza del carattere è
ciò che agli occhi del naturalista ha maggior valore e si ricerca
maggiormente. Ogniqualvolta si possa dimostrare, o sia reso probabile, che le
forme in questione siano rimaste per un lungo periodo distinte, questo diviene
un argomento di molto peso per poterle considerare come specie. Anche un lieve
grado di sterilità fra due forme quando si vennero dapprima incrociando,
o nella loro prole, viene generalmente considerato come una testimonianza
decisiva della loro speciale distinzione; e la loro continuata persistenza nel
non mescolarsi nella stessa area viene per solito accettata come una
sufficiente evidenza, sia di un certo grado di mutua sterilità, o, nel
caso di animali, come una certa ripugnanza ad un mutuo accoppiamento.
Indipendentemente dal mescolarsi
per via dell’incrociamento, l’assoluta mancanza, in una regione bene esplorata,
di varietà che colleghino assieme due date forme molto affini, è
probabilmente il più importante criterio della loro specifica
distinzione; e questa è una considerazione in certo modo differente
dalla semplice costanza di carattere, perchè due forme possono essere
variabilissime e tuttavia non presentare varietà intermedie. Spesso la
distribuzione geografica vien portata inconsapevolmente e talora
consapevolmente in causa; cosicchè certe forme che vivono in due aree
lontanissime fra loro, nelle quali la maggior parte degli altri abitanti sono
specificamente distinti, sono esse stesse usualmente considerate come distinte;
ma, invero, questo non aiuta a distinguere le razze geografiche dalle cosidette
buone o vere specie.
Ora applichiamo questi principi
generalmente ammessi alle razze umane, e consideriamole collo stesso spirito
come un naturalista considera qualunque altro animale. Rispetto alla somma
delle differenze fra le razze, dobbiamo fare qualche concessione ai nostri
delicati mezzi di distinzione acquistati col lungo abito di osservar noi
stessi. Nell’India, come osserva Elphinstone, sebbene un europeo giunto di
fresco non possa dapprima distinguere le varie razze indigene, pure esse gli
appaiono a bella prima sommamente dissimili; e l’Indù non può
scorgere subito nessuna differenza fra le varie nazioni europee. Anche le razze
umane più distinte, eccettuate certe tribù nere, sono molto
più rassomiglianti fra loro nella forma di quello che si crederebbe a
tutta prima. Ciò è bene dimostrato dalle fotografie francesi
nella Collection Anthropologique du Musèum degli uomini
appartenenti a varie razze, il maggior numero dei quali, come hanno osservato
molte persone a cui le ho mostrate, potrebbero essere creduti europei.
Nondimeno, se quegli uomini fossero veduti vivi, apparirebbero senza alcun
dubbio distintissimi, cosicchè noi evidentemente ci lasciamo molto
guidare nel nostro giudizio dal semplice colore della pelle e dei capelli, da
piccole differenze nelle fattezze e dall’espressione.
Tuttavia non v’ha dubbio che le varie
razze, quando siano accuratamente comparate e misurate, differiscono molto fra
loro – nella tessitura dei loro capelli, nelle relative proporzioni di tutte le
parti del corpo, nella capacità dei polmoni, nella forma e nella
capacità del cranio, ed anche nelle circonvoluzioni del cervello. Ma
sarebbe un còmpito sterminato quello di specificare i numerosi punti di
differenza nella struttura. Le razze differiscono pure nella costituzione,
nella facoltà di acclimarsi e nella facilità a contrarre certe
malattie. Anche i caratteri speciali della mente sono molto distinti; principalmente,
come sembrerebbe, nelle loro facoltà di emozione, ma in parte nelle loro
facoltà intellettuali. Chiunque abbia avuto l’opportunità di far
comparazioni, deve essere rimasto colpito, dal contrasto che passa fra
l’indigeno del sud America taciturno e anche stizzoso, col negro giocondo e
ciarliero. Lo stesso contrasto s’incontra fra i Malesi e i Papuani, che vivono
nelle stesse condizioni fisiche, e non sono separati gli uni dagli altri se non
da uno stretto tratto di mare.
Cominceremo a considerare gli
argomenti che possono essere prodotti in favore della classificazione delle
razze umane come specie distinte, e poi quelli opposti. Se un naturalista che
non avesse mai veduto prima cosiffatte creature avesse da comparare un Nero, un
Ottentoto, un Australiano o un Mongolo, vedrebbe subito che differiscono in
moltissimi caratteri, alcuni di poca, altri di molta importanza. Colla
investigazione troverebbe che furono adattati per vivere in climi al tutto
differenti, e che essi differiscono in certo modo nella struttura corporea e
nelle disposizioni mentali. Se allora gli venisse detto che centinaia di
cosiffatti esemplari potrebbero essere portati dagli stessi paesi, egli certo
dichiarerebbe che essi sono vere specie come qualunque altra cui è solito
assegnare nomi specifici. Questa conclusione acquisterebbe una forza molto
più grande quando fosse certo che quelle forme hanno tutte conservato lo
stesso carattere per lo spazio di molti secoli; e che altri neri,
apparentemente identici ai neri attuali, hanno vissuto almeno 4000 anni or
sono. Egli sentirebbe pure da un eccellente osservatore, il dottor Lund, che i
crani umani trovati nelle caverne del Brasile, sepolti con molti mammiferi
estinti, appartenevano allo stesso tipo che ora prevale in tutto il Continente
americano.
Il nostro naturalista allora si
volgerebbe forse alla distribuzione geografica, e probabilmente dichiarerebbe
che le forme le quali differiscono non solo nell’apparenza, ma che sono acconce
pei paesi caldissimi ed umidissimi o asciuttissimi, come pure per le regioni
artiche, debbono essere specie distinte. Egli potrebbe appoggiarsi al fatto che
nessuna specie del gruppo affine all’uomo, cioè dei quadrumani,
può resistere ad una bassa temperatura e a nessun notevole mutamento di
clima; e che quelle specie che vengono più prossime all’uomo non sono
mai state allevate fino ad essere adulte, anche nel clima temperato di Europa.
Egli sarebbe profondamente colpito dal fatto, notato dapprima da Agassiz, che
le differenti razze umane sono distribuite nel mondo nelle stesse provincie
zoologiche, come quelle che sono abitate da specie e generi di mammiferi
certamente distinti. È evidente che questo è il caso per le razze
umane, Australiane, Mongole e Nere; in un modo meno evidente per gli Ottentoti,
ma chiaramente pei Papuani ed i Malesi, che sono separati, come ha dimostrato
il sig. Wallace, da quasi la stessa linea che divide le grandi provincie
zoologiche malesi ed australiane. Gli indigeni di America si distribuiscono in
tutto il Continente; e ciò a prima vista sembra contrario alla regola
sopra detta, perchè la maggior parte delle produzioni della metà
settentrionale differiscono grandemente; tuttavia alcune poche forme viventi,
come l’Opossum, si distribuiscono dall’una all’altra, ciò che seguiva
anticamente di alcuni giganteschi Sdentati. Gli Esquimali, come gli altri
animali artici, si estendono intorno a tutte le regioni polari. Giova notare
che le forme di mammiferi che abitano parecchie provincie zoologiche non
differiscono fra loro nello stesso grado; cosicchè si può appena
considerare come una anomalia il fatto che il Nero differisca più, e
l’Americano molto meno, dalle altre razze umane, che non i mammiferi degli
stessi Continenti da quelli delle altre provincie. Si può tuttavia soggiungere
che l’uomo non sembra avere in origine abitato nessuna isola oceanica; e per
questo riguardo rassomiglia agli altri membri dello sua classe.
Volendo affermare se le varietà
della stessa specie di animale domestico possano essere collocate in un posto
specificamente distinto, vale a dire, se ognuna di esse discenda da qualche
specie selvatica distinta, ogni naturalista darà molta importanza al
fatto, qualora venga riconosciuto, dell’essere i loro parassiti esterni
specificamente distinti. Si dovrebbe dare a questo fatto la maggiore importanza
possibile, siccome sarebbe un fatto eccezionale, perchè il signor Denny
mi disse che le razze di cani, di pollame e di piccioni più differenti,
sono, in Inghilterra, infestate dalla stessa specie di pediculi o pidocchi. Ora
il signor A. Murray ha accuratamente esaminato i pediculi raccolti nei vari
paesi da uomini di razze differenti ed egli ha trovato che differiscono non
solo nel colore, ma anche nella struttura dei loro uncini e delle membra.
Ogniqualvolta si ottenevano molti esemplari, le differenze erano pure costanti.
Il chirurgo di un bastimento baleniero del Pacifico mi assicurò che
quando i pediculi che brulicavano addosso ad alcuni indigeni delle isole
Sandwich che erano a bordo andarono sul corpo dei marinai inglesi, quei
parassiti in capo a tre o quattro giorni morirono tutti. Quei pediculi erano di
colore più oscuro e sembravano differenti da quelli propri agli indigeni
di Chiloe nel Sud America, di cui mi diede alcuni esemplari. Questi pure sembravano
più grossi e più molli dei pidocchi europei. Il signor Murray si
procurò quattro specie di essi dall’Africa, cioè dai neri delle
coste occidentali ed orientali, dagli Ottentoti e dai Cafri; due specie dagli
indigeni dell’Australia; due dall’America settentrionale, e due dalla
meridionale. In questi ultimi casi è presumibile che i pediculi
venissero da indigeni che abitavano distretti differenti. Negli insetti le
leggere differenze di struttura, quando sono costanti, sono generalmente
stimate di valore specifico; e il fatto che le razze umane sono infestate da
parassiti che sembrano essere specificamente distinti, può bene essere
portato come un argomento che le razze stesse debbano essere classificate come
specie distinte.
Il nostro supposto naturalista
essendosi così inoltrato nelle sue investigazioni, cercherà di
sapere poi se le razze umane, quando s’incrociarono, furono in qualche grado
sterili. Egli potrebbe consultare il libro di un accurato filosofo osservatore,
il prof. Broca: ed in quello egli troverebbe buone testimonianze che alcune
razze erano fra loro al tutto feconde; ma troverebbe pure altre testimonianze
di natura opposta riguardo ad altre razze. Casi è stato asserito che le
donne indigene dell’Australia e della Tasmania di rado producono figli agli
uomini europei; tuttavia l’esempio di questo fatto è stato ora
dimostrato non aver quasi alcun valore. I meticci sono uccisi dai neri puri; ed
è stata ultimamente pubblicata una relazione di undici giovani meticci
uccisi e bruciati nello stesso tempo, gli avanzi dei quali furono trovati dalla
polizia. Parimente è stato detto sovente che quando i mulatti si sposano
fra loro, producono pochi figli; d’altra parte il dott. Buchman di Charlestown
asserisce positamente che egli ha conosciuto famiglie di mulatti che per
parecchie generazioni si sono coniugati fra loro, ed hanno continuato ad essere
tanto fecondi quanto gli schietti bianchi e gli schietti neri. Le ricerche che
furono fatte antecedentemente da sir C. Lyell intorno a questo oggetto lo hanno
condotto, mi disse, alla stessa conclusione. Negli Stati Uniti il censimento
dell’anno 1854 comprendeva, secondo il dott. Buchman, 405.571 mulatti, e questo
numero, considerando tutte le circostanze del fatto, sembra piccolo, ma
può essere in parte attribuito alla condizione degradata ed anomala
della classe, ed alla dissolutezza delle donne. Un certo grado di assorbimento
dei mulatti per parte dei neri deve essere in via; e questo produce una
apparente diminuzione nel numero di essi. In un libro degno di fede si parla
della minore vitalità dei mulatti come di un fenomeno conosciutissimo;
ma questa considerazione è molto diversa da quella della loro minore
fecondità; e non può quasi essere addotta come una prova della
specifica distinzione delle razze dei genitori. Senza dubbio gli ibridi, tanto
animali che vegetali, quando sono prodotti da specie sommamente distinte, van
soggette ad una morte prematura; ma i genitori dei mulatti non possono essere
considerati come specie sommamente distinte. Il mulo comune, tanto noto per la
sua lunga vita e pel suo vigore, e tuttavia sterile, dimostra quanta poca
relazione siavi negli ibridi fra la minore fecondità e la
vitalità: si potrebbero aggiungere altri casi analoghi.
Anche se fosse in seguito
provato che tutte le razze umane sono fra loro perfettamente feconde, quello
che fosse propenso per altre ragioni a considerarle come specie distinte
potrebbe giustamente asserire che la fecondità e la sterilità non
sono sani criteri di specifica distinzione. Sappiamo che queste facoltà
possono venire alterate facilmente dalle mutate condizioni della vita o da una
stretta parentela, e che sono rette da leggi grandemente complesse, per esempio
quella della disuguale fecondità dei reciprochi incrociamenti fra le due
specie medesime. Nelle forme che si debbono collocare fra le specie non dubbie
esiste una serie perfetta da quelle che sono assolutamente sterili quando sono
incrociate, a quelle che sono quasi o al tutto feconde. Il grado di
sterilità non coincide strettamente col grado di differenza nella
struttura esterna o nel modo di vivere. Per molti riguardi l’uomo può
essere comparato con quegli animali che sono da lunga pezza addomesticati, e si
può produrre un gran numero di prove in favore della dottrina di Pallas,
che l’addomesticamento tende ad eliminare la sterilità, che è un
effetto tanto generale dell’incrociamento delle specie allo stato di natura. Da
queste varie considerazioni si può giustamente dedurre che la perfetta
fecondità delle razze umane incrociate, qualora sia ben riconosciuta,
non ci deve assolutamente impedire di collocarle come specie distinte.
Indipendentemente dalla
fecondità, il carattere del prodotto di un incrociamento è stato
talora creduto somministrare la prova se i genitori debbono essere considerati
come specie o varietà; ma dopo avere studiato accuratamente questa
prova, sono venuto a conchiudere che non si può prestar fede a nessuna
regola generale di questa sorta. Così nel genere umano la figliuolanza
di razze distinte rassomiglia per tutti i riguardi alla prole delle vere specie
e delle varietà. Questo è dimostrato, per esempio, dal modo in
cui i caratteri dei due genitori sono mescolati, e da ciò che una forma
assorbe un’altra mercè ripetuti incrociamenti. In quest’ultimo caso la
progenie delle due specie e varietà incrociate conserva per lungo tempo
una tendenza a retrocedere verso i suoi antenati, specialmente verso quello che
è più potente nella trasmissione. Quando qualche carattere
è comparso ad un tratto in una razza o specie come effetto di un semplice
atto di variazione, come si vede generalmente nelle mostruosità, e
questa razza viene incrociata con un’altra non cosiffattamente caratterizzata,
i caratteri in questione non appaiono comunemente in una condizione mista nei
giovani, ma vengono loro trasmessi sia al tutto o per nulla sviluppati. Siccome
raramente, o quasi mai, s’incontrano casi di questa sorta nelle razze umane
incrociate, ciò potrebbe essere portato come un argomento contro le idee
suggerite da alcuni etnologi, cioè che certi caratteri, per esempio, il
colore del nero, sia comparso dapprima come una varietà subitanea o
gioco. Se questo fosse stato il caso, è probabile che i mulatti
sarebbero nati o al tutto neri o al tutto bianchi.
Abbiamo ora veduto che un naturalista
può sentirsi pienamente giustificato nel considerare le razze umane come
specie distinte; perchè egli ha trovato che si distinguono per molte
differenze di struttura e di costituzione, alcune delle quali di una certa
importanza. Queste differenze sono rimaste del pari quasi costanti per
lunghissimi periodi di tempo. Egli sarà stato in un certo modo indotto a
ciò fare per l’enorme cerchia abbracciata dall’uomo, che è una
grande anomalia nella classe dei mammiferi, qualora l’uomo fosse per essere
considerato come una specie sola. Sarà stato colpito dal modo in cui si
distribuiscono le varie così dette razze, in rapporto con altre specie
di mammiferi che sono indubbiamente distinte. Finalmente potrà dedurre
che la mutua fecondità di tutte le razze non è stata ancora
pienamente dimostrata, ed anche dimostrata non sarebbe una prova assoluta della
loro specifica identità.
Guardando la questione dall’altro lato,
se il nostro supposto naturalista volesse vedere se le forme dell’uomo siansi
mantenute distinte come specie ordinarie, quando si sono mescolate in gran
numero in uno stesso paese, egli scorgerebbe immediatamente che questo non
è stato per nulla il caso. Vedrebbe nel Brasile una immensa popolazione
incrociata di Neri e di Portoghesi; al Chilì ed in altre parti
dell’America meridionale troverebbe che tutta la popolazione è composta
di Indiani e Spagnuoli incrociati in vari gradi. In molte parti dello stesso
Continente incontrerebbe gl’incrociamenti più complessi fra Neri
Indiani, ed Europei; e questi triplici incrociamenti somministrano le prove
più convincenti, se vogliamo giudicare dal regno vegetale, della mutua
fecondità dei progenitori. In un’isola del Pacifico troverebbe una
piccola popolazione di sangue inglese misto con quello della Polinesia; e
nell’Arcipelago Viti una popolazione di Polinesi e di Neri incrociati in tutti
i gradi. Si potrebbero aggiungere a questi molti altri casi, per esempio,
nell’America meridionale. Quindi le razze umane non sono sufficientemente
distinte per coesistere senza fusione; e questo è ciò che[14] in tutti i casi ordinari
somministra la prova consueta alla distintività specifica.
Il nostro naturalista sarebbe pure
molto contrariato scorgendo che i caratteri distintivi di ogni razza umana sono
grandemente variabili. Questo colpisce ognuno che osservi per la prima volta
gli schiavi neri del Brasile, i quali sono stati colà portati da tutte
le parti dell’Africa. La stessa osservazione serve pei Polinesi e per molte altre
razze. Si può dubitare se un qualsiasi carattere possa essere
menzionato, il quale sia distintivo di una razza e ad essa costante. I
selvaggi, anche nei limiti della stessa tribù, non sono tanto uniformi
nei caratteri quanto si è sovente asserito. Le donne ottentote
presentano alcune particolarità molto più fortemente spiccate che
non quelle che presenta qualunque altra razza, ma si sa che queste
particolarità non sono costanti. In varie tribù americane il
colore e la capigliatura differiscono notevolmente; ciò si osserva pure
sino a un certo punto nel colore, e molto spiccatamente nella forma delle
fattezze dei Neri dell’Africa. La forma del cranio varia molto in alcune razze;
e ciò segue pure di ogni altro carattere. Ora tutti i naturalisti hanno
imparato, mercè una esperienza caramente acquistata, quanto sia cosa
temeraria definire la specie appoggiandosi a caratteri incostanti.
Ma l’argomento che ha maggior
peso contro l’idea di considerare le razze umane come specie distinte è
questo, che si graduano l’una sull’altra, indipendentemente in molti casi,
almeno da quanto possiamo giudicare, dall’essersi incrociate. L’uomo è
stato studiato con maggior cura che non qualunque altro essere organico, e
tuttavia v’ha la più grande diversità possibile fra i vari
giudici competenti nell’opinione se egli debba essere considerato come una
specie o razza unica, o come due (Virey), come tre (Jacquinot), come quattro
(Kant), cinque (Blumenbach), sei (Buffon), sette (Hunter), otto (Agassiz),
undici (Pickering), quindici (Bory St-Vincent), sedici (Desmoulins), ventidue
(Morton), sessanta (Crawfurd), o sessantatre secondo Burke. Questa
diversità di giudizio non prova che le razze non debbano essere
classificate come specie, ma dimostra che si graduano l’una nell’altra, e che
non è quasi possibile discernere i caratteri chiaramente distinti che le
separano.
Qualunque naturalista che abbia
avuto la disgrazia di imprendere la descrizione dì un gruppo di
organismi grandemente mutevoli, ha incontrato certi casi (parlo per esperienza)
precisamente simili a quelli dell’uomo, e se egli è inclinato ad andar
con cautela, finirà per riunire tutte le forme che si graduano l’una
nell’altra in una sola specie; perchè egli dirà a se stesso che
non ha il diritto di dare nomi ad oggetti che non può definire. Questa
sorta di casi si presentano nell’ordine che comprende l’uomo, cioè in
certi generi di scimmie; mentre in altri generi, come nel Cercopiteco, la
maggior parte delle specie possono essere determinate con certezza. Nel genere
americano Cebus le varie forme sono considerate da alcuni naturalisti come
specie, e da altri come razze puramente geografiche. Ora se si raccogliessero i
numerosi esemplari di Cebi da ogni parte dell’America meridionale, e si
trovasse che quelle forme che ora sembrano essere specificamente distinte vanno
gradatamente fondendosi le une nelle altre con passi vicini, verrebbero
classificate dalla maggior parte dei naturalisti come semplici varietà o
razze; e ciò hanno fatto la maggior parte dei naturalisti rispetto alle
razze umane. Nondimeno bisogna confessare che vi sono forme, almeno nel regno
vegetale, che non possiamo a meno di chiamare specie, ma che sono collegate
assieme, indipendentemente dall’incrociamento, per via di innumerevoli
gradazioni.
Alcuni naturalisti hanno recentemente
adoperato il nome di sotto-specie per indicare forme che posseggono
molti dei caratteri delle vere specie, ma che non meritano un posto così
elevato. Ora, se consideriamo i gravi argomenti addotti per elevare le razze
umane alla dignità di specie, e le difficoltà insuperabili
dall’altro lato per definirle, il vocabolo sotto-specie può qui
essere adoperato molto propriamente. Ma per la lunga abitudine il vocabolo razza
sarà forse sempre adoperato. La scelta dei vocaboli è
importante per ciò solo che sarebbe grandemente da desiderare che si
facesse uso, per quanto fosse possibile, degli stessi termini per ogni grado di
differenza. Per disgrazia ciò è raramente possibile;
perchè dentro la stessa famiglia i generi più grandi comprendono
consuetamente forme intimamente affini, che non si possono distinguere se non
con grande difficoltà, mentre i generi più piccoli comprendono
forme che sono perfettamente distinte; ciononostante debbono essere tutte
classificate come specie. Parimente le specie di un solo grande genere non si
rassomigliano fra loro per nulla nello stesso grado; al contrario, in molti
casi alcune di esse possono essere disposte in piccoli scompartimenti intorno
ad altra specie, come i satelliti intorno ai pianeti.
La questione se il genere umano si
componga di una o di parecchie specie è stata in questi ultimi anni
molto discussa dagli antropologi, i quali si dividono in due scuole,
monogenisti e poligenisti. Coloro i quali non ammettono il principio della
evoluzione, debbono considerare le specie o come creazioni separate, o in certo
modo come entità distinte; e debbono decidere quali forme abbiano da
classificare come specie per la loro analogia con altri esseri organici, che
vengono comunemente così ricevuti. Ma non c’è speranza di
decidere questo argomento con buone ragioni finchè una qualche
definizione del vocabolo specie non sia generalmente accettata; e la
definizione non deve inchiudere un elemento che non possa essere possibilmente
bene accertato, come, per esempio, un atto di creazione. Sarebbe del pari
difficile volere decidere senza una qualche definizione se un certo numero di
case possa essere chiamato villaggio, paese o città. Abbiamo un esempio
pratico di questa difficoltà negli eterni dubbi per sapere se molti mammiferi,
uccelli, insetti e piante, tutti strettamente affini, che si rappresentano fra
loro nell’America settentrionale ed in Europa, possano essere classificati come
specie o come razze geografiche; e ciò segue pure per le produzioni di
molte isole collocate a qualche piccola distanza dal Continente più
vicino.
D’altra parte quei naturalisti
che ammettono il principio della evoluzione, e questo è ora ammesso dal
maggior numero dei nuovi naturalisti, non avranno alcun dubbio a credere che
tutte le razze umane derivino da uno stipite primitivo unico; siano o no
inclinati a considerarle come specie distinte, onde poter così esprimere
le loro varie differenze. Nel caso dei nostri animali domestici in questione
è differente se le varie razze provengano da una o più specie.
Quantunque tutte queste razze, come pure tutte le specie naturali di uno stesso
genere, abbiano avuto senza dubbio origine da uno stesso stipite primiero,
tuttavia è da discutere se, per esempio, tutte le razze domestiche del cane
abbiano acquistato le loro attuali differenze dacchè una qualche specie
venne primamente addomesticata ed allevata dall’uomo; o se vadan debitori dei
loro caratteri all’eredità da qualche specie distinta, stata già
modificata nello stato di natura. Una così fatta questione non
può venire pel genere umano, perchè non si può dire che
esso sia stato addomesticato in nessun periodo particolare.
Quando le razze umane ebbero, in
un’epoca sommamente remota, deviato dal loro comune progenitore, non saravvi
stata fra loro grande differenza, e saranno state poco numerose; in conseguenza
allora non avranno avuto, almeno per ciò che riguarda i caratteri
distintivi, maggiore diritto ad essere classificate come specie distinte, che
non le esistenti sottorazze. Nondimeno quelle razze primitive sarebbero forse
state classificate da alcuni naturalisti come specie distinte, per quanto
arbitrario sia il nome, se le loro differenze, quantunque lievissime, fossero
state più costanti che non ora e non si fossero andate confondendo gradatamente
le une nelle altre.
È nondimeno possibile, sebbene
sia tutt’altro che probabile, che i primi progenitori dell’uomo abbiano potuto
dapprima deviare molto nel carattere, fino a divenire più differenti gli
uni dagli altri che non lo siano nessuna delle razze esistenti; ma in seguito,
come osserva Vogt, si siano riavvicinati nel carattere. Quando l’uomo sceglie
per lo stesso scopo la prole di due specie distinte, egli talvolta ne deduce,
per quello che riguarda l’apparenza generale, un notevole complesso di convergenze.
Questo avviene nel caso, come dimostra Von Nathusius, delle razze migliorate di
maiali che sono derivate da due specie distinte, ed in un modo non tanto
evidente per le razze migliorate del bestiame. Un grande anatomico, Gratiolet,
afferma che le scimmie antropomorfe non formano un sotto-gruppo naturale; ma
che l’urango è un ilobate od un semnopiteco molto sviluppato; lo
scimpanzè un macaco grandemente sviluppato; ed il gorilla un mandrillo
pure grandemente sviluppato. Se questa conclusione, che si appoggia quasi
esclusivamente sui caratteri del cervello, fosse ammessa, avremmo un caso di
convergenza almeno nei caratteri esterni, perchè le scimmie antropomorfe
si rassomigliano certamente in molti punti fra loro più di quello che rassomiglino
alle altre scimmie. Tutte le rassomiglianze analogiche, come quella di una
balena con un pesce, possono invero venir dette casi di convergenza; ma questo
vocabolo non è mai stato applicato a rassomiglianze superficiali e di
adattamento. Sarebbe in moltissimi casi sommamente temerario attribuire alla
convergenza la stretta similarità in molti punti di struttura in esseri
che un tempo sono stati grandemente diversi. La forma di un cristallo è
determinata puramente dalle forze molecolari, e non v’ha da far le meraviglie
che certe sostanze dissimili assumano talora la stessa forma; ma per ciò
che riguarda gli esseri organici dovremmo tenere a mente che la forma di ognuno
dipende da una infinità di relazioni complesse, cioè dalle
variazioni che sono dovute a cause troppo intricate per potersi indagare –
dalla natura delle variazioni che si sono conservate, e queste dipendono dalle
condizioni fisiche circostanti, ed in un grado ancor più elevato dagli
organismi circostanti coi quali ognuno è venuto in lotta, – ed infine
dall’eredità (la quale è in se stessa un elemento mobile) di
innumerevoli progenitori, i quali tutti hanno avuto le loro forme determinate
per via di relazioni parimente complesse. Sembra al tutto incredibile che due
organismi, qualora siano fra loro molto differenti, possano poi convergere
tanto intimamente da accostarsi quasi all’identità in tutta la loro
organizzazione. Nel caso delle razze convergenti di maiali, di cui ho parlato
sopra, rimane ancora evidentemente conservata, secondo Von Nathusius, la prova
della loro origine da due stipiti primitivi, in certe ossa del loro cranio. Se
le razze umane fossero derivate, secondo che credono alcuni naturalisti, da due
o più specie distinte, che si sarebbero tanto discostate fra loro, o
quasi altrettanto, quanto l’urango differisce dal gorilla, non si può
quasi porre indubbio che si sarebbero osservate spiccate differenze nella
struttura di certe ossa anche nell’uomo attuale.
Quantunque le razze umane attuali
differiscano fra loro per molti rispetti, come nel colorito, nei capelli, nella
forma del cranio, nelle proporzioni del corpo, ecc., tuttavia se tutta la loro
organizzazione fosse presa in considerazione, si troverebbe che si
rassomigliano fra loro strettamente in moltissimi punti. Molti di questi punti
hanno così poca importanza, o sono di una natura tanto singolare, che
è sommamente improbabile che essi siano stati acquistati
indipendentemente da specie o razze in origine ben distinte. La stessa
osservazione può essere mantenuta con pari o maggiore ragione riguardo
ai numerosi punti dì rassomiglianze mentali fra le razze umane
più distinte. Gli aborigeni Americani, i Neri e gli Europei differiscono
fra loro nelle facoltà mentali come qualunque delle altre tre razze che
possano venire citate; tuttavia io ero continuamente colpito, mentre vivevo
cogli indigeni della Terra del Fuoco a bordo della Beagle, da molti
piccoli tratti di carattere, che dimostravano quanto le loro menti siano simili
alle nostre; e ciò seguivo pure con un nero puro sangue, col quale ebbi
l’occasione di essere in intimità.
Chi voglia leggere attentamente le
opere interessanti dei signori Tylor e J. Lubbock, non potrà a meno di
essere colpito profondamente dalla stretta rassomiglianza che esiste fra gli
uomini di tutte le razze, nei gusti, nelle disposizioni e nelle abitudini.
Ciò dimostra il piacere che tutti provano nel ballo, nella rozza musica,
nel recitare, nel dipingersi, nell’imprimersi segni sul volto, e in altri modi
per abbellirsi – nel comprendersi a vicenda col linguaggio dei gesti – e, come
potrò dimostrare in un successivo lavoro, per la stessa espressione
delle fattezze del volto, e per certi gridi inarticolati, quando sono eccitati
da varie emozioni. Questa somiglianza, o meglio identità, colpisce
quando si confronta colle diverse espressioni che si possono osservare nelle
scimmie di specie distinte. Vi sono prove evidenti che l’arte di scoccare
l’arco e le frecce non è stata trasmessa da nessun progenitore comune
del genere umano, tuttavia le punte di frecce di selce raccolte in tutte le
parti più lontane del mondo e fatte nei periodi più remoti, sono,
siccome ha dimostrato Nilsson, quasi identiche; e questo fatto non può
essere attribuito se non che all’essere le varie razze dotate delle stesse forze
inventive o mentali. La stessa osservazione è stata fatta dagli
archeologi riguardo a certi ornamenti molto prevalenti, come i ghirigori, ecc.,
e riguardo a varie semplici credenze e vari costumi, come bruciare i morti
sotto costruzioni megalitiche. Mi ricordo di aver osservato nell’America
meridionale che colà, come in molte altre parti del mondo, l’uomo ha
generalmente scelto le cime di alte colline onde ammucchiarvi sopra cumuli di
sassi, sia per ricordare qualche evento notevole, sia per seppellirvi i suoi
morti.
Ora quando certi naturalisti osservano
un’intima concordanza in un gran numero di piccoli particolari di abitudini,
gusti e disposizioni fra due o più razze domestiche, o fra forme
naturali intimamente affini, sogliono considerare questo fatto come un argomento
che tutti discendono da un comune progenitore che era cosiffattamente dotato; e
in conseguenza che tutti debbano essere classificati nelle medesime specie. Lo
stesso argomento può essere applicato con maggior forza alle razze
umane.
Siccome è improbabile che i
numerosi e poco importanti punti di rassomiglianza che esistono fra le varie
razze umane nella struttura corporea e nelle facoltà mentali (non parlo
qui di costumi somiglianti) possano essere stati acquistati indipendentemente,
essi debbono essere stati ereditati da progenitori i quali erano
cosiffattamente caratterizzati. Noi otteniamo così una certa luce
intorno allo stato primiero dell’uomo, prima che sia andato man mano
spargendosi sulla faccia della terra. Lo estendersi dell’uomo in regioni grandemente
separate dal mare ha preceduto senza dubbio ogni notevole somma di divergenze
di carattere nelle varie razze, perchè altrimenti noi incontreremmo alle
volte la stessa razza in continenti distinti; e questo non è mai il
caso. Sir J. Lubbock, dopo aver comparato le arti che si praticano ora dai
selvaggi in tutte le parti del mondo, specifica quelle che l’uomo non
può avere conosciuto quando dapprima si allontanò dal luogo della
sua nascita; perchè una volta che fossero state imparate non le
avrebbero più dimenticate. Egli dimostra così che “la lancia, che
non è altro che lo sviluppo di una punta di coltello, e la clava, che
è solo un lungo martello, sono le uniche cose che rimangono”. Egli
tuttavia ammette che l’arte di far fuoco è stata probabilmente
già scoperta, perchè è comune a tutte le razze che
esistono oggi, ed era nota agli antichi abitanti delle caverne di Europa. Forse
l’arte di costruire rozze barche o zattere era nota del pari; ma siccome l’uomo
ha esistito in un’epoca remota, quando la terra in molti punti era di un
livello molto differente, egli può essere riuscito ad espandersi
grandemente senza l’aiuto di barche. Sir J. Lubbock osserva inoltre quanto sia
improbabile che i nostri primieri antenati abbiano potuto “contare fino a
dieci, mentre tante razze che esistono ora non possono andare più in
là di quattro”. Nondimeno, in quell’antichissimo periodo le
facoltà intellettuali e sociali dell’uomo non possono essere state di
molto inferiori a quelle che posseggono oggi i selvaggi più degradati;
altrimenti l’uomo primitivo non avrebbe potuto rimanere cosiffattamente
vincitore nella lotta per l’esistenza come lo dimostra la sua antica e grande
diffusione.
Dalle differenze fondamentali che
esistono fra certi linguaggi alcuni filologi hanno tratto la conseguenza che
quando l’uomo andò per la prima volta diffondendosi largamente, egli non
aveva la facoltà di parlare; ma si può supporre che qualche
lingua, molto più imperfetta di qualunque che si parli ora, aiutata dai
gesti, potesse venire adoperata, e che non abbia poi lasciato alcuna traccia di
sè nelle lingue susseguenti e meglio sviluppate. Senza l’uso di qualche
linguaggio, per quanto imperfetto fosse, sembra difficile che l’intelletto
umano avrebbe potuto elevarsi fino al livello voluto dalla sua posizione
dominatrice in un periodo primitivo.
Se l’uomo primitivo, quando non
possedeva che poche e rozze arti, e la sua facoltà di parlare era
sommamente imperfetta, meritasse l’appellativo uomo, ciò deve dipendere
dalla definizione che noi adoperiamo. In una serie di forme che si graduano
insensibilmente da qualche creatura simile alle scimmie fino all’uomo come ora
esiste, sarebbe impossibile fermare un qualche punto definitivo in cui si
dovrebbe adoperare il vocabolo uomo. Ma questo non ha grande importanza.
Così pure non merita gran peso se le così dette razze umane siano
indicate così, o siano classificate come specie o sottospecie; ma
l’ultimo nome sembra dover essere il meglio appropriato. Finalmente possiamo
conchiudere che quando i principii di evoluzione siano generalmente accettati,
come certamente saranno fra non molto tempo, la discussione fra i monogenisti
ed i poligenisti morirà di una morte tacita ed inosservata.
V’ha un’altra questione che non si deve
lasciar senza menzione, ed è quella, se, come venne asserito talvolta,
ogni sottospecie o razza umana sia derivata da un unico paio di progenitori.
Nei nostri animali domestici una nuova razza può venire prontamente
formata da una coppia unica munita di qualche nuovo carattere, o quando anche
un solo individuo è così caratterizzato, accoppiando con gran
cura i figli che variano; ma la maggior parte delle nostre razze sono state
formate non a bella posta da una coppia scelta, ma inconsciamente conservando
alcuni individui che hanno ottenuto qualche lieve, utile e desiderata
variazione. Se in un paese si preferiscono meglio abitualmente cavalli forti e
pesanti, ed in un altro cavalli leggeri e di rapido corso, possiamo essere
certi che in un dato tempo si produrranno due distinte sottorazze, senza che
nessuna particolare coppia e nessun individuo siano stati separati e allevati
in uno dei due paesi. Molte razze sono state in tal modo formate, ed il loro
modo di formazione è intimamente analogo con quello delle specie
naturali. Sappiamo pure che i cavalli, i quali sono stati portati alle isole
Falkland, sono divenuti durante le successive generazioni più piccoli e
più deboli, mentre quelli che si sono rinselvatichiti nelle Pampas hanno
acquistato una testa più grossa e tozza; e questi mutamenti sono
derivati evidentemente non già da una coppia unica qualunque, ma da
ciò che tutti gli individui sono stati soggetti alle stesse condizioni,
aiutati forse dal principio di regresso. In nessuno di questi casi le nuove
sottorazze sono venute da una coppia unica, bensì da molti individui che
hanno variato in gradi differenti, ma nello stesso modo generale; e possiamo
concludere che le razze umane si sono prodotte similarmente, e che le loro
modificazioni sono o l’effetto diretto dell’azione[15] di condizioni differenti,
o l’effetto indiretto di una qualche sorta di scelta. Ma su questo ultimo
particolare ritorneremo fra breve.
Della estinzione delle razze umane. – La estinzione
parziale e totale di molte razze e sottorazze umane sono avvenimenti
storicamente conosciuti. Humboldt vide nell’America meridionale un pappagallo
che era l’unico superstite che parlasse ancora la lingua di una tribù
estinta. Monumenti antichi ed utensili di pietra trovati in tutte le parti del
mondo, intorno ai quali non si è conservata alcuna tradizione degli
abitanti attuali, indicano molte estinzioni. Alcune piccole e spezzate
tribù, avanzi di razze primiere, sopravvivono ancora in regioni isolate
e per lo più montuose. In Europa, secondo Schauffausen, le antiche razze
erano tutte “più basse nella scala che non i più rozzi selvaggi
dei nostri giorni”; quindi debbono aver differito, fino a un certo punto, da
ogni razza esistente. Gli avanzi descritti dal prof. Brown, presi da Les
Eyzics, sebbene non sembrino sfortunatamente avere appartenuto ad una famiglia,
indicano una sola razza fornita di una singolarissima combinazione di caratteri
bassi o scimmieschi, ed altri elevati, ed “al tutto differente da qualunque altra
razza, antica o moderna, di cui abbiamo inteso parlare”. Perciò essa
differiva dalla razza quadernaria delle caverne del Belgio.
Le condizioni fisiche sfavorevoli non
sembrano avere avuto un grande effetto sulla estinzione delle razze. L’uomo
è vissuto lungamente nelle regioni estreme del Nord, senza legno con cui
fare le sue barche od altri ordigni, e col solo grasso per bruciare e per
scaldarsi, ma più specialmente per far sciogliere la neve. Nella punta
meridionale dell’America gli abitanti della Terra del Fuoco vivono senza
vestimenti, e senza essere protetti da un qualche abituro degno di tal nome.
Nell’Africa meridionale gl’indigeni vanno erranti per le più aride
pianure, dove abbondano gli animali più pericolosi. L’uomo può sopportare
la mortifera azione del Terai ai piedi dell’Imalaya e le spiagge pestilenziali
dell’Africa dei tropici.
Lo estinguersi di una razza viene
principalmente dalla lotta di una tribù coll’altra, e di una razza con
un’altra. Sonovi sempre in azione vari ostacoli, come abbiamo spiegato in un
precedente capitolo, che concorrono a tenere limitato il numero degli individui
di ogni tribù selvaggia – come le carestie periodiche, il girovagare dei
genitori e quindi la mortalità dei bimbi, l’allattamento prolungato, il
rapimento delle donne, le guerre, gli accidenti, le malattie, il libertinaggio,
specialmente l’infanticidio, e forse la fecondità scemata per via del
cibo meno nutriente, e per le molte fatiche. Se per una ragione qualunque uno
di questi ostacoli viene diminuito, anche lievemente, la tribù in tal
modo favorita tenderà a crescere; e quando una delle due tribù
accresciute diviene più numerosa e più forte dell’altra, la
contesa è subito terminata colla guerra, l’eccidio, il cannibalismo, la
schiavitù e l’assorbimento. Anche quando una tribù più
debole non viene distrutta così repentinamente, tuttavia una volta che
incomincia a scemare va in generale diminuendo man mano finchè si
estingue al tutto.
Quando le nazioni civili vengono in
contatto coi barbari la lotta è breve, tranne ove un clima mortale venga
in aiuto della razza indigena. Fra le cause che fanno vittoriose le nazioni
civili alcune sono evidenti, altre oscurissime. Possiamo vedere che il
coltivare la terra diviene fatale in vario modo ai selvaggi perchè non
possono o non vogliono mutare le loro abitudini. Nuove malattie e i vizi nuovi
sono causa di grande distruzione; e sembra che in ogni nazione una nuova
malattia produce molta mortalità, finchè quelli che sono[16] più suscettivi
alla sua mortale azione non siano stati gradatamente portati via; e questo
può anche seguire pei cattivi effetti dei liquori spiritosi, come pure
per l’invincibile gusto per essi che dimostrano tanti selvaggi. Sembra inoltre
per quanto questo fatto sia misterioso, che il primo incontro di popoli
distinti e separati genera malattie. Il sig. Sproat, che nell’isola Vancouver
si è occupato con molta cura dell’estinzione delle razze, crede che il
mutamento nelle abitudini della vita, che segue sempre la venuta degli europei,
produca molte malattie. Egli dà anche importanza ad una causa piuttosto
frivola, quella cioè che i nativi rimangono “sbalorditi e stupidi per la
nuova vita che li circonda; perdono il movente per operare, e non producono
altri al loro posto”.
Il grado di incivilimento sembra essere
un importantissimo elemento di riuscita delle nazioni che vengono in contesa.
Pochi secoli fa l’Europa temeva le incursioni dei barbari orientali; ora questo
timore sarebbe ridicolo. È un fatto ben curioso quello che i selvaggi
non furono anticamente tanto rovinati, come fa osservare il sig. Bagehot, dalle
nazioni classiche, quanto lo sono ora dalle nazioni civili moderne; se
ciò avesse avuto luogo, gli antichi scrittori avrebbero meditato sopra
un tale avvenimento; ma in nessun scrittore di quel periodo s’incontra un
lamento sulla distruzione dei barbari.
Quantunque la graduata diminuzione e la
finale distruzione delle razze umane sia un problema oscuro, possiamo tuttavia
vedere che dipende da molte cause, che differiscono nei vari luoghi e nei vari
tempi. È lo stesso difficilissimo problema della estinzione di uno degli
animali più elevati – del cavallo fossile, per esempio, che scomparve
dall’America meridionale subito dopo che fu sostituito nelle stesse regioni
dagli innumerevoli branchi di cavalli spagnuoli. Il Nuovo Zelandese sembra
essere conscio di questo parallelismo, perchè compara la sua sorte
futura con quella del topo indigeno, che è quasi distrutto dal topo europeo.
La difficoltà, per quanto paia grande alla nostra immaginazione, ed
è realmente grande se vogliamo riconoscere le cause precise, non deve
essere tale per la nostra ragione, finchè terremo fisso nella mente il
fatto che l’aumento di ogni specie e di ogni razza è sempre frenato da
vari ostacoli; per cui se qualche nuova causa di arresto, o di distruzione, sia
pure essa lievissima, viene ad aggiungersi agli altri, la razza scemerà
certamente in numero; e siccome è stato osservato ovunque che i selvaggi
sono molto restii ad ogni mutamento di abitudine, mercè i quali si
potrebbero controbilanciare gli ostacoli dannosi, il diminuire del numero
condurrà presto o tardi alla estinzione; in molti casi questa fine viene
prontamente determinata dalle incursioni delle tribù in aumento e
conquistatrici.
Della formazione delle razze umane. – Si può
premettere che quando troviamo la stessa razza, sebbene divisa in tribù
lontane, disposte sopra una grande area, come l’America, possiamo attribuire la
loro generale rassomiglianza all’esser derivate tutte da uno stipite comune. In
certi casi l’incrociamento delle razze già distinte ha prodotto la
formazione di razze nuove. Il fatto singolare che gli Europei e gli Indiani i
quali appartengono al medesimo stipite Ariano e parlano una lingua
fondamentalmente uguale siano d’aspetto tanto diverso mentre gli Europei
differiscono tanto poco dagli Ebrei che appartengono allo stipite Semitico e
parlano un linguaggio al tutto differente, è stato attribuito dal Broca
a ciò che i rami della razza Ariana si sono grandemente incrociati
durante la loro immensa diffusione con varie tribù indigene. Quando due
razze che vivono al contatto s’incrociano, il loro primo risultato è un
miscuglio eterogeneo; così il sig. Hunter descrivendo i Santali o
tribù montanine dell’India, dice che si potrebbero tracciare centinaia
di impercettibili gradazioni “dalle tribù nere e basse dei monti agli
alti e olivastri Bramini, colla loro fronte intelligente, cogli occhi sereni e
l’alta ma stretta testa”; cosicchè nei tribunali è necessario
chiedere ai testimoni se sono Santali o Indù. Non si conosce per nessuna
prova evidente se un popolo eterogeneo, come quello degli abitanti di qualche
isola della Polinesia, formato dall’incrociamento di due razze distinte, con
pochi o nessuni individui puri, sarebbe per divenire mai omogeneo. Ma siccome
nei nostri animali domestici una razza incrociata può sicuramente, nel
corso di poche generazioni, farsi colla debita scelta stabile ed uniforme
possiamo dedurre che il libero incrociamento durante molte generazioni di un
miscuglio eterogeneo terrà luogo nella scelta, e vincerà
qualunque tendenza ad un regresso, cosicchè una razza incrociata
finirà per divenire omogenea, sebbene possa non partecipare in uno
stesso grado dei caratteri dei due primi progenitori di razze diverse.
Fra tutte le differenze che esistono
fra le razze umane, il colore della pelle è la più cospicua ed
una delle meglio spiccate. Si è dapprima creduto che questa sorta di
differenza potesse venire attribuita alla lunga esposizione dei vari climi; ma
Pallas dimostrò pel primo che questa opinione non ha alcun fondamento,
ed egli è stato seguìto da quasi tutti gli antropologi. Quella
opinione fu respinta principalmente perchè la distribuzione delle razze
variamente colorate, molte delle quali debbono avere da un pezzo abitato i
paesi ove stanno attualmente, non coincide colle corrispondenti differenze di
clima. Si deve anche dare molto peso a certi casi come quello delle famiglie
olandesi, che, secondo ciò che abbiamo sentito da un testimonio
autorevolissimo, non hanno mutato per nulla colore, dopo di aver dimorato per
tre secoli nell’Africa meridionale. L’aspetto uniforme nelle varie parti del
mondo degli zingari e degli Ebrei, sebbene l’uniformità di questi ultimi
sia stata molto esagerata, è pure un argomento in appoggio. Si è
creduto che un’atmosfera umidissima o asciuttissima possa avere maggiore azione
per modificare il colore della pelle che non il semplice caldo; ma siccome
D’Orbigny nell’America meridionale e Livingstone in Africa hanno dedotto
conclusioni diametralmente opposte riguardo all’umidità o all’asciutto,
si deve considerare come dubbia qualunque conclusione intorno a questo
argomento.
Vari fatti, che ho già citato
altrove, dimostrano che il colore della pelle e dei capelli ha talvolta una
sorprendente correlazione colla compiuta immunità dalla azione di certi
veleni vegetali e dalle aggressioni di certi parassiti. Quindi mi sembra
possibile che i neri e altre razze brune possano avere acquistato il loro bruno
colorito pel fatto che certi individui più scuri hanno, nel corso di una
lunga serie di generazioni, potuto resistere alla azione mortale dei miasmi del
loro paese nativo.
Ho veduto in seguito che la stessa mia
idea si era presentata molto tempo prima al dottor Wells, che i neri, ed anche
i mulatti, vadano quasi al tutto esenti dalla febbre gialla, che fa tante
stragi nell’America tropicale, è cosa nota da lungo tempo. La maggior
parte di essi non soffrono neppure quelle fatali febbri intermittenti che
dominano in una estensione di almeno
Che l’immunità del nero abbia in
un grado qualunque relazione col colore della pelle, è soltanto una
supposizione: può aver relazione con qualche differenza nel sangue, nel
sistema nervoso od altri tessuti. Nondimeno dai fatti sopramenzionati, e da
qualche connessione che sembra esistere fra il colorito e una tendenza alla
consunzione non mi è sembrata improbabile questa congettura. Perciò
ho cercato, ma con poca buona riuscita, di accertarmi fin dove poteva essere
giusta. Il defunto dottor Danniell, che aveva dimorato lungo tempo sulla costa
occidentale dell’Africa, mi disse che egli non credeva ad una cosiffatta
relazione. Egli era straordinariamente biondo e bianco, ed aveva sopportato in
modo meraviglioso quel clima. Quando da bambino era giunto colà, un
vecchio capo nero pieno di esperienza gli aveva predetto, vedendolo, che non
avrebbe sofferto nulla. Il dottor Nicholson, di Antigua, dopo di essersi
occupato di questo argomento, mi scrisse che egli non credeva che gli Europei
dalla pelle bruna sfuggissero meglio alla febbre gialla di quelli che erano di
carnagione chiara. Anche il sig. J. M. Harris nega che gli Europei dai capelli
neri sopportino un clima caldo meglio degli altri uomini; al contrario,
l’esperienza gli ha insegnato che dovendo fare una scelta di uomini pel
servizio delle coste d’Africa, convien scegliere quelli dai capelli rossi.
Tuttavia, per quanto questi lievi indizi possano servire, non sembra esservi
nessun fondamento per la ipotesi, che è stata accettata da parecchi
scrittori, che il colore delle razze nere possa essere venuto da ciò che
gli individui sempre più oscuri siano sopravvissuti in maggior numero
durante il tempo in cui erano esposti alle febbri miasmatiche della loro
patria.
Quantunque colle nostre attuali
cognizioni non possiamo tener conto delle differenze di colore molto spiccate
fra le razze umane, sia per ciò che riguarda la loro relazione colle
particolarità costituzionali, o per l’azione diretta del clima; pure non
dobbiamo al tutto ignorare quest’ultimo agente, perchè vi sono buone
ragioni per credere che venga in tal modo prodotto qualche effetto ereditato.
Nel nostro terzo capitolo abbiamo
veduto che le condizioni della vita, come il cibo abbondante e le
comodità generali hanno un’azione diretta sullo sviluppo della forma del
corpo, e che ne vengono trasmessi gli effetti. In conseguenza dell’azione
combinata del clima e del mutamento nelle abitudini della vita, i residenti
Europei negli Stati Uniti hanno sopportato, come si ammette generalmente, un
lieve ma straordinariamente rapido mutamento di aspetto. Vi sono pure
moltissime prove che dimostrano che negli Stati meridionali gli schiavi
casalinghi della terza generazione presentano un aspetto molto diverso dagli
schiavi dei campi.
Se tuttavia noi osserviamo le
razze umane come sono distribuite sulla terra, dobbiamo dedurre che le loro
differenze caratteristiche non possono essere attribuite all’azione diretta
delle differenti condizioni di vita, anche dopo averle sopportate per un tratto
di tempo enormemente lungo. Gli esquimali vivono esclusivamente di cibo
animale, si vestono d’una pelliccia fitta, e sono soggetti ad un freddo intenso
e ad una lunga oscurità; tuttavia non differiscono grandemente dagli
abitanti della Cina meridionale, che vivono al tutto di cibo vegetale, e sono
esposti quasi nudi ad un clima caldo ed aridissimo. Gli indigeni della Terra
del Fuoco non si nutrono che dei prodotti marini che somministrano le loro
inospite spiagge; i Botocudi del Brasile vanno girovagando per le calde foreste
dell’interno, e vivono principalmente di prodotti vegetali; tuttavia queste
tribù si rassomigliano tanto fra loro che gli indigeni della Terra del Fuoco
a bordo del BEAGLE erano scambiati da qualche Brasiliano per Botocudi.
Parimente i Botocudi, come gli altri abitanti dell’America tropicale, sono al
tutto differenti dai Neri che abitano le sponde opposte dell’Atlantico, che
sono esposti ad un clima a un dipresso simile al loro, e conducono quasi lo
stesso genere di vita.
E neppure si possono attribuire le
differenze che esistono fra le razze umane, tranne in un grado
insignificantissimo, agli effetti ereditati del maggior esercizio delle parti o
al difetto di esercizio di esse. Gli uomini che sogliono vivere nelle barche
possono avere le gambe un po’ più corte; quelli che abitano regioni
elevate hanno il petto più ampio, e quelli che adoperano costantemente
certi organi dei sensi hanno la cavità in cui questi stanno di volume
più grande, e quindi ne deriva una modificazione nelle loro fattezze.
Nelle nazioni civili, lo scemare della mole delle mascelle pel minore
esercizio, il movimento consueto di differenti muscoli che servono ad esprimere
le varie emozioni, e l’aumento nel volume del cervello per la maggiore
attività della mente, hanno tutti insieme prodotto un notevole effetto
sull’aspetto generale di esse in confronto dei selvaggi. È anche
possibile che la statura corporea più grande, senza l’aumento corrispondente
nel volume del cervello, possa aver dato ad alcune razze (giudicando dei casi
menzionati precedentemente nei conigli) un cranio allungato del tipo
dolicocefalo.
Infine, il principio di correlazione
poco compreso sarà certamente venuto in giuoco, come nel caso del grande
sviluppo muscolare e della forte sporgenza delle prominenze sopraorbitali. Non
è improbabile che la tessitura dei capelli, che differisce molto nelle
varie razze, possa avere una qualche relazione colla struttura della pelle;
perchè il colore dei capelli e della pelle hanno certamente una
relazione fra loro, come è nel colore e nella tessitura dei Mandani. Il
colore della pelle e l’odore che manda sono pure in relazione l’un coll’altro.
Nel caso delle razze di pecore, il numero dei peli dentro un dato spazio e il
numero dei pori escretori hanno fra loro una certa relazione. Se possiamo
giudicare dall’analogia dei nostri animali domestici, molte modificazioni della
struttura dell’uomo sono probabilmente sottoposte a questo principio di
accrescimento correlativo.
Abbiamo veduto ora che le
differenze caratteristiche fra le razze umane non possono essere attribuite in
un grado soddisfacente all’azione diretta delle condizioni della vita,
nè agli effetti dell’esercizio continuato delle parti, nè al
principio di correlazione. Siamo quindi indotti a cercare se qualche lieve
differenza individuale, a cui l’uomo è sommamente soggetto, non possa
essere stata conservata ed aumentata durante una lunga serie di generazioni per
via della scelta naturale. Ma qui diamo contro all’obiezione che in questo caso
non si possono conservare se non che le variazioni benefiche; e per quello che
ci è dato giudicare (quantunque sempre soggetti ad errare su questo
argomento), nessuna delle differenze esterne fra le razze umane è di
qualche diretto o speciale servigio per l’uomo. Le facoltà intellettuali
e morali, o sociali, debbono naturalmente essere in questa osservazione
lasciate in disparte; ma le differenze in queste facoltà non possono aver
avuta azione, o almeno piccolissima, sui caratteri esterni. La
variabilità di tutte le differenze caratteristiche fra le razze, cui
abbiamo citato sopra, dimostra del pari che queste differenze non possono
essere di molta importanza; perchè qualora fossero state importanti, sarebbero
da un pezzo conservate e divenute stabili o sarebbero state eliminate. Per
questo riguardo l’uomo rassomiglia a quelle forme che i naturalisti chiamano
proteiche o polimorfe, che sono rimaste variabilissime, dovendo, per quanto
pare, alle loro variazioni l’essere di una natura indifferente, e in
conseguenza aver potuto sottrarsi all’azione della scelta naturale.
Siamo in tal modo stati delusi in tutti
i nostri tentativi per quello che riguarda le differenze fra le razze umane; ma
rimane ancora un potente agente, cioè la scelta in rapporto col sesso,
che sembra aver operato tanto poderosamente sull’uomo, come sopra molti altri
animali. Non intendo asserire che la scelta sessuale sia per dare ragione delle
differenze che esistono fra le razze. Rimarrà ancora un residuo che non
si spiega, intorno al quale, nella nostra ignoranza, possiamo solo dire che
siccome certi individui nascono continuamente, per esempio, con il capo un po’
più rotondo o più stretto, e col naso un po’ più lungo o
più corto, queste lievi differenze possono divenire stabili ed uniformi,
se gli agenti ignoti che le inducono dovessero operare in un modo più
costante, aiutato da un lungo e continuo incrociamento. Cosiffatte
modificazioni si collocano in quello scompartimento provvisorio di cui abbiamo
parlato nel nostro quarto capitolo, che per mancanza di una frase più
esatta sono state dette variazioni spontanee. Nè voglio io pretendere
che gli effetti della scelta sessuale possano essere indicati con precisione
scientifica; ma può essere dimostrato che sarebbe un fatto inesplicabile
qualora l’uomo non fosse stato modificato da questo agente, che ha operato
tanto potentemente su innumerevoli animali, tanto alti che bassi nella scala.
Si può inoltre dimostrare che le differenze che passano fra le razze
umane, come nel colore, nella capigliatura, nelle fattezze, ecc., sono della
natura che si doveva aspettare quando ci avesse operato sopra la scelta
sessuale. Ma onde trattare questo argomento in un modo acconcio ho creduto
necessario passare in rassegna tutto il regno animale, quindi ho dedicato a
questo scopo la seconda parte del mio libro. Nella chiusa tornerò
all’uomo, e dopo aver tentato di dimostrare fin dove egli possa essere stato
modificato della scelta sessuale, darò un breve sunto dei capitoli di
questa prima parte.
PRINCIPII DELLA SCELTA SESSUALE.
Caratteri
sessuali secondari – Scelta sessuale – Modo di azione – Eccesso di maschi –
Poligamia – Il maschio solo viene generalmente modificato mercè la
scelta sessuale – Ardore del maschio – Variabilità del maschio – Scelta
operata dalla femmina – Scelta sessuale comparata colla scelta naturale –
Eredità in periodi corrispondenti di vita, in corrispondenti stagioni
dell’anno, e come venga limitata dal sesso – Relazioni fra le varie forme di
eredità – Cause per cui un sesso e i piccoli non sono modificati dalla
scelta sessuale – Supplemento intorno ai numeri proporzionali dei due sessi per
tutto il regno animale – Della limitazione del numero dei due sessi
mercè la scelta naturale.
Negli animali che hanno sessi separati
i maschi differiscono necessariamente dalle femmine nei loro organi di
riproduzione, e questi somministrano i principali caratteri sessuali. Ma spesso
i sessi differiscono in ciò che Hunter ha chiamato caratteri sessuali
secondari, che non hanno una diretta connessione coll’atto della riproduzione;
per esempio, nell’aver un maschio certi organi dei sensi o di locomozione di
cui la femmina è al tutto sprovveduta, o nell’averli molto più
sviluppati, onde poter meglio trovarla o raggiungerla; oppure anche nell’avere
il maschio organi speciali di preensione onde tener ben ferma la femmina.
Questi ultimi organi sono di infinitamente diverse sorta e gradazioni, e in
alcuni casi possono appena venir distinti da quelli che si sogliono comunemente
collocare fra i primari, come le appendici complesse dell’apice dell’addome
degli insetti maschi. Infatti, se non vogliamo limitare il nome di primari alle
ghiandole riproduttive, non è quasi possibile decidere, per quello
almeno che riguarda gli organi di preensione, quali debbano essere chiamati
primari e quali secondari.
Spesso la femmina differisce dal
maschio per aver organi per nutrire e proteggere i suoi piccoli, come le
ghiandole delle mammelle dei mammiferi, e la borsa ventrale dei marsupiali.
Inoltre il maschio in alcuni pochi casi differisce dalla femmina per possedere
organi analoghi, come i ricettacoli per le uova che i maschi di certi pesci posseggono,
e quelli che si sviluppano temporaneamente in certi ranocchi maschi. Le api
femmine hanno un apparato speciale per raccogliere e trasportare il polline, ed
il loro ovopositore è modificato in un pungiglione per la difesa delle
loro larve e della comunità. Nelle femmine di molti insetti
l’ovopositore si modifica nel modo più complesso pel collocamento sicuro
delle uova. Si possono citare moltissimi casi, ma essi ora qui non hanno che
fare. Vi sono tuttavia altre differenze sessuali al tutto disgiunte dagli
organi primari coi quali abbiamo specialmente che fare, come la mole maggiore,
la forza e l’indole bellicosa del maschio, le sue armi offensive o difensive
contro i rivali, i suoi colori vivaci e i vari ornamenti, la facoltà del
canto ed altri consimili caratteri.
Oltre le suddette differenze sessuali
primarie e secondarie, talvolta il maschio e la femmina differiscono nelle
strutture in rapporto colle varie abitudini della vita, e che non hanno, o
hanno solo indirettamente, relazione colle funzioni riproduttive. Così
le femmine di certe mosche (Culicidae e Tabanidae) succiano il
sangue, mentre i maschi vivono sui fiori e la loro bocca manca di mandibole. I
maschi soli di certe farfalle notturne e di alcuni crostacei (e. g. Tanais)
hanno la bocca imperfetta, chiusa, e non possono nutrirsi. I maschi
complementari di certi cirripedi vivono come piante epifitiche o in forma
femminea od ermafrodita, e mancano di bocca e di membra prensili. In questi
casi è il maschio il quale si è modificato ed ha perduto certi
organi importanti, che posseggono le femmine e gli altri membri dello stesso
gruppo. In altri casi è la femmina che ha perduto quelle parti; per
esempio, la femmina della lucciola manca d’ali, come molte femmine di farfalle
notturne, alcune delle quali non lasciano mai i loro bozzoli. Molte femmine di
crostacei parassiti hanno perduto le loro zampe natatorie. In alcuni punteruoli
(Curculionidae) vi è una grande differenza fra il maschio e la
femmina nella lunghezza del rostro o del becco; ma non si comprende la ragione
di queste e di molte analoghe differenze. In generale le diversità di
struttura fra i due sessi in relazione al differente modo di vivere si limitano
agli animali più bassi; ma in certi pochi uccelli il becco del maschio
differisce da quello della femmina. Senza dubbio in molti, ma non sembra in
tutti i casi, le differenze sono indirettamente collegate colla propagazione
della specie; così una femmina che ha da nutrire un gran numero d’uova
abbisognerà di maggior nutrimento che non il maschio, ed in conseguenza
richiederà mezzi speciali per procurarselo. Un animale maschio che vive
per un tempo brevissimo può perdere pel difetto d’esercizio, senza
soffrirne danno, gli organi per procurarsi il nutrimento; ma conserverà
gli organi della locomozione in uno stato perfetto, cosicchè
potrà raggiungere la femmina. D’altra parte la femmina può
perdere senza danno gli organi per volare, per nuotare, per camminare, se
gradatamente essa abbia acquistato abitudini che rendano così fatte
facoltà inutili.
Tuttavia noi qui abbiamo solo da fare
con quella sorta di scelta che ho chiamata scelta sessuale. Questa dipende dal
vantaggio che certi individui hanno sopra certi altri dello stesso sesso e
della stessa specie in relazione esclusiva colla riproduzione. Quando i due
sessi differiscono nella struttura in rapporto coi differenti modi di vita,
come nei casi sopra menzionati, essi sono stati senza dubbio modificati dalla
scelta naturale, accompagnata dall’eredità limitata ad uno e medesimo
sesso. Così pure gli organi sessuali primari, e quelli per nutrire e
proteggere i piccoli, vengono nella stessa categoria; perchè quegli
individui che generavano e nutrivano meglio la loro prole dovevano lasciare, caeteris
paribus, un numero maggiore ad ereditare la loro superiorità; mentre
quelli che generavano o nutrivano male la loro prole dovevano lasciare soltanto
pochi individui eredi delle loro deboli facoltà. Siccome il maschio deve
cercar la femmina, egli ha d’uopo per questi uffici di organi, di sensi e di
locomozione; ma se questi organi sono necessari agli altri bisogni della vita,
come è generalmente il caso, essi si saranno sviluppati per opera della
scelta naturale. Quando il maschio ha trovato la femmina, egli talora ha
bisogno assolutamente di organi prensili per trattenerla; così il dott.
Wallace mi ha detto che i maschi di certe farfalle notturne non possono
accoppiarsi alle femmine se i loro tarsi o piedi sono rotti. I maschi di molti
crostacei oceanici hanno le zampe e le antenne straordinariamente modificate
per la preensione della femmina; quindi possiamo supporre che siccome questi
animali sono trascinati qua e là dalle onde dell’alto mare, hanno un
assoluto bisogno di questi organi per la propagazione della specie, e quindi il
loro sviluppo sarebbe stato l’effetto della scelta ordinaria e naturale.
Quando i due sessi conducono
esattamente lo stesso genere di vita, e il maschio ha gli organi dei sensi o
della locomozione molto più sviluppati che non la femmina, può
essere che questi nel loro stato perfetto siano indispensabili al maschio per
rintracciare la femmina; ma nel maggior numero dei casi servono solo a dare a
un maschio un vantaggio sopra un altro; perchè se fosse conceduto un
certo tempo ai maschi meno bene dotati, riuscirebbero ad accoppiarsi colle
femmine; e per ogni altro riguardo, giudicando dalla struttura della femmina,
sarebbero ugualmente bene acconci per gli usi comuni della vita. In questo caso
la scelta sessuale sarebbe venuta in giuoco, perchè i maschi hanno
acquistato la loro attuale struttura, non già per essere meglio acconci
per sopravvivere nella lotta per l’esistenza, ma per aver acquistato un
vantaggio sopra altri maschi, e per averlo trasmesso soltanto ai loro figli
maschi. È stata l’importanza di questa distinzione che mi ha indotto a
dare questa foggia di scelta il nome di scelta sessuale. Così pure, se
il servizio principale che rendono al maschio i suoi organi di preensione
è quello d’impedire che la femmina sfugga prima dell’arrivo di altri
maschi, o quando sono aggrediti da essi, questi organi si saranno perfezionati
per la scelta sessuale, vale a dire pel vantaggio acquistato da certi maschi
sopra i loro rivali. Ma in molti casi non è quasi possibile distinguere
fra gli effetti della scelta naturale e quelli della scelta sessuale. Si
potrebbero scrivere interi capitoli coi particolari delle differenze che
esistono fra i sessi nei loro organi di sensività di locomozione e di
presa. Tuttavia, siccome queste strutture non sono più interessanti di
altre acconce per gli usi ordinari della vita, io non mi ci fermerò
sopra, e darò solo pochi esempi per ogni classe.
Vi sono molte altre strutture e molti
istinti che debbono essersi sviluppati per opera della scelta sessuale – come
le armi offensive e i mezzi di difesa posseduti dai maschi per combattere e
respingere i rivali – il coraggio e l’indole bellicosa – molte sorta di
ornamenti – gli organi per produrre musica vocale e strumentale – e le
ghiandole per emettere odori; molte di queste ultime strutture hanno per solo
scopo di attirare od eccitare la femmina. È evidente che questi
caratteri sono l’effetto della scelta sessuale e non della ordinaria,
perchè i maschi senza armi, senza ornamenti o senza attrattive avrebbero
potuto sostenere benissimo la lotta per la vita e lasciare una numerosa prole,
qualora non vi fossero stati altri maschi meglio dotati di loro. Possiamo
credere che questo sarebbe stato il caso, dacchè le femmine che mancano
di armi e di ornamenti possono sopravvivere e perpetuare la loro specie. I
caratteri sessuali secondari della specie menzionati testè verranno
pienamente discussi nei capitoli seguenti, siccome sono per molti riguardi
interessanti, ma più specialmente siccome dipendono dalla
volontà, dalla scelta e dalla rivalità degli individui dei due
sessi. Quando vediamo due maschi che si battono pel possesso di una femmina, o
parecchi uccelli maschi che fanno pompa del loro brillante piumaggio, ed
assumono i più strani atteggiamenti in faccia ad una radunanza di
femmine, non possiamo dubitare che sappiano, sebbene solo istintivamente,
ciò che stanno facendo ed esercitano consapevolmente le loro forze
mentali e corporee.
Nello stesso modo in cui l’uomo
può migliorare la razza dei suoi galli da combattimento scegliendo
quegli individui che riescono vincitori nella tenzone, così sembra che i
maschi più forti e più vigorosi, o quelli sprovvisti[17] delle armi minori,
abbiano prevalso in natura, ed abbiano prodotto il miglioramento delle razze
naturali o specie. Mercè le contese mortali ripetute, un lieve grado di
variabilità, se doveva produrre qualche vantaggio, per quanto fosse
lieve, avrebbe dovuto bastare per l’azione della scelta sessuale; ed è
certo che quei caratteri sessuali secondari sono eminentemente variabili. Nello
stesso modo in cui l’uomo può dare la bellezza, secondo il livello del
suo gusto, al suo pollame maschio – può dare al gallo Bantam di Sebright
un nuovo ed elegante piumaggio, un portamento più diritto e particolare
– così pare che nello stato di natura le femmine degli uccelli, avendo
per lungo tempo scelti i maschi più attraenti, hanno accresciuta la loro
bellezza. Senza dubbio questo implica certe facoltà di scelta e di gusto
per parte della femmina che a prima vista possono parere sommamente
improbabili; ma io spero poter dimostrare più tardi che non è
così la cosa.
Per l’ignoranza in cui siamo intorno a
vari punti, il modo preciso in cui opera la scelta sessuale è per una
certa estensione incerto. Nondimeno se quei naturalisti i quali credono
già alla mutabilità della specie leggeranno i capitoli seguenti,
saranno, spero, d’accordo con me che la scelta sessuale ha avuto una parte
importante nella storia del mondo organico. È certo che in quasi tutti
gli animali v’ha lotta fra i maschi pel possesso della femmina. Questo fatto
è così notorio che sarebbe superfluo citarne degli esempi. Quindi
le femmine, supponendo che la loro capacità mentale fosse sufficiente
per fare una scelta, potevano scegliere uno fra i vari maschi. Ma in molti casi
appare come se fosse stato specialmente disposto che vi dovesse essere una
lotta fra molti maschi. Quindi negli uccelli migratori i maschi in generale
arrivano prima delle femmine al luogo della cova, cosicchè molti maschi
son pronti a contendersi ogni femmina. Gli uccellatori asseriscono che
ciò segue invariabilmente nel caso dell’usignuolo e nella capinera, come
mi ha detto il sig. Jenner Weir, il quale conferma il fatto per ciò che riguarda
queste ultime specie.
Il signor Swaysland di Brighton, il
quale ha avuto l’uso, in questi ultimi quarant’anni, di far prendere i nostri
uccelli migratori appena arrivano, mi scrive che non ha mai veduto le femmine
di nessuna specie arrivare prima dei loro maschi. Durante una primavera egli
uccise trentanove maschi di Cutrettole di Ray (Budytes Raii) prima di
aver preso una sola femmina. Il signor Gould si è assicurato
mercè la dissezione, come mi ha informato, che i beccaccini
maschi arrivano in questo paese prima delle femmine; ma questo non ci riguarda
molto, mentre il beccaccino non cova da noi. Nel caso del pesce, durante il
tempo in cui il salmone risale i nostri fiumi, i numerosissimi maschi sono
già pronti per la riproduzione prima delle femmine. Così sembra
essere il caso per le rane e pei rospi. In tutta la grande classe degli insetti
i maschi quasi sempre escono dalle crisalidi prima dell’altro sesso,
cosicchè in generale brulicano per un tempo prima che si veggano le
femmine. La cagione di questa differenza nel tempo dell’arrivo e della
maturità fra i maschi e le femmine è abbastanza ovvia. Quei
maschi che ogni anno emigrano per primi in un dato paese od in primavera erano
i primi ad essere pronti per la riproduzione, od erano i più premurosi,
hanno dovuto lasciar maggior numero di prole; e questa ha dovuto tendere ad
ereditare istinti e costituzione somigliante. In complesso non vi può
esser dubbio che in quasi tutti gli animali in cui i sessi sono separati vi
è una lotta costantemente rinnovata fra i maschi pel possesso delle
femmine.
La difficoltà per noi per
ciò che riguarda la scelta sessuale sta nel comprendere come vada che i
maschi i quali vincono altri maschi, o quelli che hanno maggiori attrattive per
le femmine, lascino un maggior numero di figli che ereditano le loro
qualità superiori, che non i maschi vinti o meno attraenti. Se questo
effetto non seguisse i caratteri che danno a certi maschi un vantaggio sopra
altri non potrebbero venire perfezionandosi ed aumentandosi mercè la
scelta sessuale. Quando i sessi esistono in numero al tutto eguale, i maschi
peggio dotati troveranno finalmente femmine (tranne ove prevale la poligamia) e
lasceranno un numero uguale di figli, parimente acconci per gli usi generali
della vita, come i maschi meglio dotati. Da vari fatti e da varie
considerazioni io ne dedussi dapprima che in molti animali, in cui i caratteri
sessuali secondari sono bene sviluppati, i maschi siano grandemente superiori
in numero alle femmine; e questo è giusto per alcuni pochi casi. Se i maschi
fossero alle femmine come due ad uno, e come tre a due, e anche in proporzione
ancora minore, la cosa sarebbe semplicissima, perchè i maschi meglio
armati o più attraenti lascerebbero un numero più grande di
figli, ma dopo avere studiato, per quanto è possibile, le proporzioni
numeriche dei sessi non credo che esista comunemente nessuna grande
disuguaglianza di numero. In molti casi la scelta sessuale sembra. avere
operato nel modo seguente.
Prendiamo una specie qualunque, per
esempio un uccello, e dividiamo le femmine che abitano un distretto in due
branchi uguali; uno composto degli individui più vigorosi e meglio
nutriti, e l’altro dei meno robusti e meno sani. Gli individui del primo
branco, senza dubbio, saranno pronti per la riproduzione prima degli altri; e
questa è l’opinione del signor Jenner Weir, il quale ha per molti anni
tenuto dietro accuratamente ai costumi degli uccelli. Non vi può essere
neppure gran dubbio che le femmine più vigorose, più sane e
meglio nutrite sarebbero per riescire a calcolo fatto meglio nell’allevare il
maggior numero di figli. I maschi, come abbiamo veduto, sono generalmente
pronti per la riproduzione prima delle femmine; i maschi più forti ed in
alcune specie i meglio armati discacciano i maschi più deboli, e i primi
si accoppieranno poi colle femmine più robuste e meglio nutrite, siccome
queste sono le prime ad esser pronte per la riproduzione. Queste coppie
vigorose alleveranno certo un numero maggiore di figli che non le femmine
più ritardatarie, che saranno obbligate, supponendo i sessi
numericamente uguali, ad accoppiarsi coi maschi vinti e meno robusti; e questo
è tutto ciò che ci vuole per accrescere, nel corso di successive
generazioni, la mole, la forza ed il coraggio dei maschi, o per migliorarne le
armi.
Ma in moltissimi casi i maschi che
conquistano altri maschi non ottengono il possesso delle femmine
indipendentemente dalla scelta per parte dì queste ultime. Il
corteggiare degli animali non è una cosa tanto semplice e breve quanto
si potrebbe credere. Le femmine rimangono più eccitate, e preferiscono
accoppiarsi coi maschi più adorni, o con quelli che son più abili
cantori, o che fanno atti più buffi; ma è probabilissimo, come si
è osservato in alcuni casi, che nello stesso tempo preferiscano i maschi
più vivaci e più vigorosi. Quindi le femmine più robuste,
che sono quelle che sono prima delle altre pronte alla riproduzione, avranno la
scelta fra molti maschi; e sebbene non sempre possano scegliere i più
forti e i meglio armati, sceglieranno quelli più robusti e bene armati,
e per altri riguardi più attraenti. Queste coppie primaticce avranno lo
stesso vantaggio nell’allevare la prole dal lato della femmina, come abbiamo
detto sopra, e quasi lo stesso vantaggio per parte del maschio. E sembra che
questo abbia bastato durante un lungo corso di generazioni ad aggiungere non
solo forza e facoltà bellicose ai maschi, ma anche ad accrescere i loro
vari ornamenti od altre loro attrattive.
Nel caso opposto e molto più
raro di maschi che scelgono femmine particolari, è chiaro che quelli che
erano più robusti ed avevano vinti gli altri dovevano avere la scelta
liberissima ed è quasi certo che dovevano scegliere le femmine
più robuste e le più belle. Cosiffatte coppie dovevano avere il
vantaggio nell’allevamento della prole, e più specialmente se il maschio
aveva la forza di difendere la femmina durante la stagione della cova, come
segue in molti animali elevati, o nell’aiutarla a provvedere il cibo pei
piccoli. Gli stessi principii si possono applicare se i due sessi preferivano
vicendevolmente e sceglievano certi individui del sesso opposto; supponendo che
scegliessero non solo gli individui più attraenti, ma anche i più
vigorosi.
Proporzione numerica dei due sessi. – Ho
notato che la scelta sessuale sarebbe una cosa semplicissima se il numero dei
maschi fosse di molto superiore a quello delle femmine. Quindi fui condotto a
ricercare, per quanto mi fu dato, le proporzioni fra i due sessi del maggior
numero di animali che mi fu possibile; ma i materiali sono scarsi. Darò
qui solo un breve sunto dei risultati, conservando i particolari per una
discussione supplementare, tanto da non interrompere il filo del mio argomento.
Gli animali domestici soli somministrano i mezzi per accertare il numero
proporzionale delle nascite; ma non sono stati tenuti registri a questo
effetto. Tuttavia ho raccolto indirettamente un buon numero di dati statistici,
dai quali sembra che nella maggior parte dei nostri animali domestici la
nascita degli individui dei due sessi è quasi uguale. Così nei
cavalli da corsa sono state registrate 25,560 nascite nello spazio di
ventun’anni, e i maschi nati stavano alle femmine in ragione di
Ma il nostro scopo presente non
riguarda la proporzione nei sessi alla nascita, ma allo stato adulto, e questo
aggiunge un altro elemento di dubbio; perchè è un fatto bene
certo che nell’uomo i maschi muoiono in una proporzione molto maggiore delle
femmine prima o durante la nascita e durante i primi anni dell’infanzia.
Così pure è quasi certo nel caso degli agnelli, e questo
può essere pure il caso pei maschi di altri animali. I maschi di alcuni
animali si uccidono fra loro combattendo; e lottano fra loro finchè
rimangano grandemente emaciati Debbono inoltre, mentre girano intorno in cerca
delle femmine, essere sovente esposti a vari pericoli. In molte specie di pesci
i maschi sono molto più piccoli che non le femmine, e si crede che
spesso vengano divorati da queste o da altri pesci. In alcuni uccelli le
femmine sembrano morire in più gran proporzione che non i maschi; sono
pure soggette ad essere distrutte nei nidi, mentre covano i loro piccoli. Negli
insetti le larve femmine sono spesso più grosse di quelle dei maschi, ed
in conseguenza hanno maggior probabilità di essere divorate; in alcuni
casi le femmine adulte sono meno attive e meno rapide nei movimenti che non i
maschi, e non sono tanto bene acconce a fuggire il pericolo. Quindi negli
animali allo stato di natura, onde giudicare delle proporzioni dei sessi in
stato adulto, dobbiamo rimetterci ad una semplice stima; e questa, tranne forse
quando la disuguaglianza è fortemente spiccata, merita poca fede.
Nondimeno, per quanto si possa formare un giudizio, possiamo conchiudere dai
fatti dati nel supplemento che i maschi di alcuni pochi mammiferi, di molti
uccelli, e di alcuni pesci ed insetti eccedono notevolmente in numero le
femmine.
La proporzione fra i sessi variava
leggermente durante gli anni susseguenti: così nei cavalli da corsa per
ogni cento femmine che nascevano, i maschi variavano da
Poligamia. – La pratica
della poligamia produce gli stessi effetti come l’attuale disuguaglianza nel
numero dei sessi; perchè se ogni maschio s’impadronisce di due o
più femmine, molti maschi non potranno accoppiarsi; e gli ultimi
certamente saranno gl’individui più deboli o meno attraenti. Molti
mammiferi ed alcuni pochi uccelli sono poligami, ma non ho trovato negli
animali che appartengono a classi inferiori nessuna prova di questo fatto. Le
forze intellettuali di questi animali non sono, forse, sufficienti a condurli a
raccogliere e custodire un harem di femmine. Sembra quasi certo che esiste una
qualche relazione fra la poligamia e lo sviluppo dei caratteri sessuali
secondari; e questo è in appoggio all’opinione che una preponderanza
numerica di maschi sarebbe sommamente favorevole all’azione della scelta
sessuale. Nondimeno molti animali, specialmente uccelli che sono strettamente
monogami, mostrano caratteri sessuali secondari spiccatissimi; mentre alcuni
pochi animali che sono poligami non sono così caratterizzati.
Passeremo una breve rassegna della
classe dei mammiferi e ci volgeremo poi agli uccelli. Sembra che il Gorilla sia
poligamo, e il maschio differisce molto dalla femmina; questo è pure il
caso coi cinocefali che vivono in strupi formati da un numero di femmine adulte
due volte maggiore di quello dei maschi. Nell’America meridionale il Mycetes
caraya presenta differenze sessuali ben distinte nel colore, nella barba e
negli organi vocali, e il maschio vive in generale con due o tre femmine. Il
maschio del Cebus capucinus differisce in certo modo dalla femmina, e
sembra essere poligamo. Non si conosce per questo riguardo gran che intorno a
moltissime altre scimmie, ma alcune specie sono strettamente monogame. I
ruminanti sono poligami in grado eminente, e sono in essi più frequenti
le differenze sessuali che non in quasi ogni altro scompartimento di mammiferi,
specialmente nelle armi, ma anche in altri caratteri. La maggior parte dei
cervi, delle bovine e degli ovini sono poligami; come pure la maggior parte
delle antilopi, sebbene alcune di queste siano monogame. Sir Andrea Smith
parlando delle antilopi dell’Africa meridionale dice che nei branchi di circa
una dozzina d’individui di rado s’incontrava oltre a un maschio adulto.
L’asiatica Antilope saiga sembra essere la specie più
disordinatamente poligama del mondo; perchè Pallas asserisce che il
maschio scaccia tutti i rivali e raccoglie una mandra di circa un centinaio,
composta di femmine e di piccoli; la femmina non ha corna, ed ha il pelo
più morbido, ma non differisce per altro molto dal maschio. Il cavallo
è poligamo, ma tranne nella mole che è maggiore e nelle
proporzioni del corpo, non differisce gran che dalla femmina. Il cinghiale per
alcuni caratteri e per le sue grosse zanne presenta caratteri sessuali ben
distinti; in Europa e nell’India esso conduce vita solitaria, tranne durante la
stagione degli amori; ma in questa stagione si unisce a parecchie femmine, come
crede sir W. Elliot, il quale è peritissimo nell’osservazione di questo
animale; se questo sia il caso anche in Europa è dubbio, ma alcune prove
l’appoggiano. L’elefante maschio adulto nelle Indie passa, come il cinghiale,
gran parte del tempo solitario; ma quando si associa con altri “di rado
s’incontra, dice il dottor Campbell, più di un maschio in mezzo ad un
branco di femmine”. I maschi più grossi scacciano od uccidono i
più piccoli ed i più deboli. Il maschio differisce dalla femmina
nelle sue grossissime zanne e nella mole, nella forza e nella resistenza; la
differenza è tanto notevole per quest’ultimo riguardo, che quando i
maschi vengono presi valgono venti per cento più delle femmine. Negli
altri animali pachidermi la differenza fra i sessi è di lieve momento o
nulla, e non sono, per quanto si sappia, poligami. Appena una sola specie fra i
Chirotteri e gli Sdentati, o nei grandi ordini dei Rosicanti e
degl’Insettivori, presenta differenze sessuali secondarie bene sviluppate; e
non ho potuto trovare alcuna prova dell’essere essi poligami, tranne, forse nel
topo comune, di cui i maschi, secondo che affermano alcuni cacciatori di topi,
vivono con parecchie femmine.
Nell’Africa meridionale il leone vive
talora, secondo ciò che ho udito da sir Andrea Smith, con una femmina
sola, ma in generale con più di una, ed in un caso fu trovato assieme a
cinque femmine, cosicchè è poligamo. Egli è, per quello
che ho potuto sapere, il solo animale poligamo in tutto il gruppo dei carnivori
terrestri, ed esso solo presenta caratteri sessuali molto distinti. Se ci
volgiamo però ai Carnivori marini, il caso è al tutto differente;
perchè molte specie di Foche presentano, come vedremo in seguito,
differenze sessuali straordinarie, e sono eminentemente poligame. Così
l’elefante marino maschio dell’Oceano meridionale possiede sempre, secondo
Péron, varie femmine e si dice che il Leone marino di Forster sia circondato da
venti o trenta femmine. Nel Nord l’orso marino maschio di Steller è
accompagnato da un numero ancor maggiore di femmine.
Riguardo agli uccelli, molte specie, i
sessi delle quali differiscono molto l’uno dall’altro, sono certamente
monogami. In Inghilterra vediamo differenze sessuali ben distinte, per esempio,
fra l’anatra selvatica che si accoppia ad una sola femmina, e il merlo comune e
il ciuffolotto che si dicono appaiarsi per tutta la vita. Così segue,
come mi ha informato il signor Wallace, colle Ampelie dell’America meridionale,
e moltissimi altri uccelli. In diversi scompartimenti non sono stato capace di
scoprire se le specie siano poligame o monogame. Lesson dice che gli uccelli di
paradiso, tanto notevoli per le loro differenze sessuali, sono poligami, ma il
signor Wallace dubita che egli non abbia avuto di ciò prove sufficienti.
Il signor Salvin mi ha detto che è stato indotto a credere che gli
uccelli mosca siano poligami. Il maschio della Vedova, tanto notevole per le
sue penne caudali, sembra certo essere poligamo. Il signor Jenner Weis ed altri
mi hanno assicurato che non di rado si veggono tre stornelli frequentare lo
stesso nido; ma non è stato riconosciuto se questo sia un caso di
poligamia o di poliandria.
I Gallinacei presentano differenze
sessuali quasi tanto distinte quanto gli uccelli di paradiso o gli uccelli
mosca, e molte delle loro specie sono, come è noto, poligame; altre sono
invece strettamente monogame. Quale contrasto presentano i sessi del pavone o
fagiano poligami e la gallina di Guinea o pernice che sono monogame! Si
potrebbero citare molti casi simili, come nella famiglia dei Tetraoni in cui i
maschi del gallo cedrone e del fagiano di monte, poligami, differiscono
moltissimo dalle femmine; mentre i sessi della pernice di monte scozzese e
della pernice di montagna comune differiscono pochissimo. Fra i Cursori uno
scarso numero di specie presenta differenze sessuali molto spiccate, tranne il
tacchino selvatico, la Starda. (Otis tarda), che si dice siano
poligami. Nelle gralle pochissime specie differiscono nei sessi, ma il
Combattente (Machetes pugnax) presenta una grande eccezione, e Montagu
crede che questa specie sia poligama. Quindi sembra che negli uccelli esista
spesso una stretta relazione fra la poligamia e lo sviluppo delle differenze
sessuali molto spiccate. Avendo domandato al signor Bartlett, nel Giardino
zoologico di Londra, il quale ha una lunga pratica degli uccelli, se il
tragopan maschio (uno del Gallinacei) sia poligamo, rimasi colpito dalla sua
risposta: “Non lo so, mi disse, ma lo suppongo dai suoi splendidi
colori”.
Merita di esser notato che l’istinto di
appaiarsi ad una sola femmina si perde agevolmente collo addomesticamento.
L’anatra selvatica è strettamente monogama, la domestica è al
tutto poligama. Il rev. W. D. Fox mi ha informato che per ciò che
riguarda le anatre selvatiche semi-addomesticate, tenute in una grande vasca,
vicina alla sua dimora, vennero uccisi tanti maschi dai cacciatori che ne
rimase uno solo per ogni sette od otto femmine; tuttavia venne allevato un
numero incredibile di piccoli. La gallina di Faraone è strettamente
monogama; ma il signor Fox ha trovato che i suoi piccoli riescono meglio quando
tiene un maschio e due o tre femmine. In istato di natura i canarini vivono in
coppie, ma in Inghilterra gli allevatori riescono meglio mettendo un maschio
con quattro o cinque femmine; nondimeno la prima femmina, siccome
è stata asserito al signor Fox, vien considerata come moglie,
perchè egli nutre essa e i suoi piccoli; le altre son trattate come
concubine. Io ho notato questi casi perchè essi rendono in certo modo
probabile che le specie monogame in istato di natura, possano prontamente
divenire sia temporaneamente o permanentemente poligame.
Rispetto ai rettili ed ai pesci, si
conosce troppo poco dei loro costumi perchè possiamo dire alcun che
intorno alle loro nozze. Tuttavia lo Spinarello (Gasterosteus) dicesi
sia poligamo; e il maschio durante la stagione degli amori differisce
moltissimo dalla femmina.
Riassumiamo i mezzi coi quali,
per quanto possiamo giudicare, la scelta sessuale ha prodotto lo sviluppo dei
caratteri sessuali secondari. È stato dimostrato che il maggior numero
di figli robusti sarà allevato dall’accoppiamento dei maschi più
forti e meglio armati, che hanno soggiogato altri maschi, colle femmine
più robuste o meglio nutrite, che in primavera sono le prime ad esser
pronte per la riproduzione. Se queste femmine scelgono i maschi più
belli e nello stesso tempo più robusti, alleveranno maggior numero di
figli che non le femmine più ritardatarie, che debbono accoppiarsi coi
maschi meno robusti e meno attraenti. Così sarà il caso se i
maschi più robusti sceglieranno le femmine più belle e nello
stesso tempo più sane e vigorose; e questo sarà ancora più
certo se il maschio difende la femmina, e l’aiuta a provvedere il cibo pei
piccoli. Il vantaggio che ottengono così le coppie più vigorose
nell’allevare un numero più grande di figli è stato, da quanto
pare, sufficiente a rendere efficace la scelta sessuale. Ma una preponderanza
più grande nel numero dei maschi sulle femmine sarebbe ancora più
efficace; se la preponderanza fosse solamente occasionale e locale, o
permanente; se fosse occorsa alla nascita, o susseguentemente alla più
grande distruzione delle femmine; o se viene seguita indirettamente dalla
pratica della poligamia.
Il maschio in generale è
più modificato che non le femmine. – In tutto il regno animale,
quando i sessi differiscono fra loro nell’aspetto esterno, si è il
maschio il quale, meno alcune rare eccezioni, è stato principalmente
modificato; perchè la femmina rimane ancora più somigliante ai
giovani della sua specie, e più somigliante agli altri membri dello
stesso gruppo. Sembra che la causa di ciò dipenda dacchè i maschi
di quasi tutti gli animali hanno passioni più forti che non le femmine.
Quindi segue che i maschi si battono fra loro e fanno assiduamente pompa della
loro bellezza innanzi alle femmine; e quelli che sono vittoriosi trasmettono la
loro superiorità ai loro figli maschi. Considereremo in seguito la
ragione per cui i maschi non trasmettono i loro caratteri ai due sessi
indistintamente. È cosa notissima che i maschi di tutti i mammiferi
inseguono attivamente le femmine. Così pure segue per gli uccelli; ma
molti uccelli maschi non inseguono tanto la femmina, quanto fanno pompa del
loro piumaggio, e in sua presenza fanno strani atteggiamenti, e fanno udire il
loro canto. Nei pochi pesci che si sono potuti osservare, sembra che il maschio
sia molto più attivo che non la femmina; e così pure negli
Alligatori, e a quanto pare nei Batraci. In tutta la enorme classe degli
insetti, come osserva Kirby, “la legge è che il maschio vada in traccia
della femmina”. Nei ragni e nei crostacei, come ho inteso da due persone
autorevolissime, il signor Blackwall e il signor C. Spence Bate, i maschi hanno
abiti più attivi, e più girovaghi che non le femmine. Negli
insetti e nei crostacei, quando gli organi dei sensi o la locomozione sono
presenti in un sesso e mancanti in un altro, o quando, come segue di frequente,
sono molto meglio sviluppati in uno che non nell’altro, è quasi
invariabilmente il maschio, per quanto io mi sappia, che conserva quegli
organi, o che li ha più sviluppati; e ciò dimostra che il maschio
è il più attivo membro dei due sessi nel corteggiare.
D’altra parte la femmina, salvo
rarissime eccezioni, è meno attiva del maschio. Come osservò
lungo tempo fa l’illustre Hunter, “essa in generale ha bisogno di essere
corteggiata”; è riservata, e spesso si vede cercare di sfuggire al
maschio per un tempo assai lungo. Chiunque abbia osservato i costumi degli
animali potrà ricordare molti esempi di questa sorta. Giudicando da
molti fatti che citeremo in seguito, e dagli effetti che possono venire con
ragione attribuiti alla scelta sessuale, la femmina, sebbene sia
comparativamente passiva, esercita in generale una qualche scelta ed accetta un
maschio di preferenza agli altri. Ovvero può accettare, come ci fanno
credere talvolta le apparenze, non il maschio che ha per lei maggiori
attrattive, ma quello che e meno sgradevole. L’azione di una qualche scelta per
parte della femmina sembra quasi una legge tanto generale quanto quella dell’ardore
del maschio.
Noi veniamo naturalmente tratti a
cercare perchè il maschio in tante e così distinte classi sia
divenuto molto più ardente della femmina, per cui egli la cerca e fa la
parte più attiva nel corteggiare. Se i due sessi si cercassero a vicenda
non vi sarebbe nessun vantaggio e vi sarebbe una certa perdita di forza; ma
perchè deve essere quasi sempre il maschio il cercatore? Nelle piante
gli ovuli, dopo la fecondazione, debbono essere nutriti per un certo tempo;
quindi il polline viene necessariamente portato agli organi femminili i quali
sono posti nello stimma, mercè l’opera degli insetti o del vento, o dai
movimenti spontanei degli stami; e nelle alghe, ecc., dall’azione locomotrice
degli anterozoidi. Negli animali di organizzazione molto bassa e attaccati
permanentemente allo stesso luogo e provvisti di sesso distinto, l’elemento
maschio vien portato invariabilmente alla femmina; e possiamo vederne la
ragione; perchè l’ovo, anche se vien distaccato prima d’esser fecondato
e senza aver bisogno di una susseguente nutrizione e protezione, sarebbe, per
la sua mole relativamente più grande, meno facile da trasportare che non
l’elemento maschio. Quindi le piante e molti animali inferiori sono, per questo
rispetto, analoghi. I maschi degli animali immobili, avendo dovuto per
ciò emettere l’elemento fecondatore, è naturale che qualcuno dei
loro discendenti, sollevandosi nella scala e divenendo mobile, abbia conservato
la stessa consuetudine, e siasi accostato maggiormente alla femmina, onde
l’elemento fecondatore non corresse pericoli lungo il tragitto in mezzo alle
acque del mare. In alcuni pochi animali inferiori le femmine sole sono prive di
locomozione, e con queste i maschi debbono essere cercatori. Rispetto a quelle
forme di cui i progenitori erano in origine liberi, è difficile
comprendere perchè i maschi abbiano acquistato invariabilmente l’abito
di accostarsi alle femmine, invece di essere accostati da esse. Ma in tutti i
casi, onde i maschi potessero riuscire efficaci cercatori era necessario che
fossero forniti di forti passioni; e l’acquisto di cosiffatte passioni doveva
naturalmente derivare da ciò che i maschi più ardenti dovevano
lasciare un numero più grande di figli che non quelli meno ardenti.
Il grande ardore del maschio ha
prodotto in tal modo indirettamente in esso il maggiore e più frequente
sviluppo dei caratteri sessuali secondari che non nella femmina. Ma lo sviluppo
di cosiffatti caratteri sarà stato molto aiutato, se la conclusione che
ho dedotto dopo aver studiato gli animali domestici è giusta, da
ciò che il maschio è più soggetto a variare che non la
femmina. So molto bene che è difficilissimo verificare una così
fatta conclusione. Tuttavia, una qualche lieve evidenza si può ottenere
comparando i due sessi nel genere umano, siccome l’uomo è stato molto
più accuratamente studiato che non qualunque altro animale. Durante il
viaggio della Novara vennero fatte moltissime misure delle varie parti
del corpo nelle differenti razze, e si trovò che in quasi ogni caso gli
uomini presentavano un grado di variazione maggiore che non le donne; ma in un
altro capitolo tornerò su questo argomento.
Il signor J. Wood, il quale ha
accuratamente tenuto dietro alla variazione dei muscoli nell’uomo, conclude
appunto che “il maggior numero delle anormalità in ogni oggetto si trova
nei maschi”. Egli aveva osservato precedentemente che “in 102 soggetti si
trovò che le varietà in eccesso erano al tutto la metà di
più che non nelle femmine, facendo grande contrasto colla deficienza che
s’incontrava più di frequente nelle femmine sopra descritte”. Anche il
professore Macalister osserva che le variazioni nei muscoli “sono probabilmente
più comuni nei maschi che non nelle femmine”. Certi muscoli che non sono
normalmente presenti nel genere umano s’incontrano più spesso
maggiormente sviluppati nel sesso maschile che non nel femminile, quantunque
dicasi che vi siano eccezioni a questa regola. Il dottore Burt Wilder ha
registrato i casi di 152 individui con dita soprannumerarie, di cui 86 erano
maschi e 39, ossia meno della metà, femmine; gli altri 27 erano di sesso
ignoto. Tuttavia non bisogna dimenticare che le donne cercano di nascondere
più che non gli uomini questa sorta di deformità. Non pretendo
trarre la conseguenza che il numero proporzionale maggiore nelle morti dei
figli maschi dell’uomo, e da quanto pare anche delle pecore, nel nascere o poco
dopo la nascita (Vedi Supplemento) abbia una qualche relazione colla
maggior tendenza negli organi del maschio a variare e divenire per tal modo
anormali nella struttura e nelle funzioni.
S’incontrano in varie classi di
animali alcuni pochi casi eccezionali, nei quali la femmina ha acquistato
invece del maschio caratteri sessuali secondari bene pronunciati, come, per
esempio, colori più vivaci, mole più grande, forza o indole
bellicosa. Negli uccelli, come vedremo in seguito, vi è stata talora una
compiuta trasportazione dei caratteri ordinari propri ad ogni sesso; le femmine
sono divenute più ardenti nel corteggiare, i maschi sono rimasti
comparativamente passivi, ma scegliendo, a quanto pare, le femmine più
belle. Certi uccelli femmine hanno per tal modo acquistati colori più
vaghi, o altre sorta di ornamenti, e sono divenute più forti e
più bellicose che non i maschi; e questi caratteri sono stati trasmessi
soltanto alla prole femmina.
Si può anche dire che in
alcuni casi è venuto in campo un doppio processo di scelta; i maschi
hanno scelto le femmine più belle, e queste i maschi più
attraenti. Tuttavia questo processo, sebbene abbia potuto produrre la modificazione
dei due sessi, non può aver fatto che un sesso differisca dall’altro, a
meno che il gusto del bello fosse in essi differente; ma questa supposizione
è troppo improbabile nel caso di qualunque animale, tranne l’uomo, per
essere degna di venir presa in considerazione. Vi sono tuttavia molti animali
in cui i sessi si rassomigliano fra loro, essendo forniti entrambi degli stessi
ornamenti, l’analogia dei quali ci condurrebbe ad attribuirli all’azione della
scelta sessuale. In questi casi può venir arguito molto plausibilmente
che siavi stato un doppio o vicendevole processo di scelta sessuale; le femmine
più precoci e più robuste avranno scelto i maschi più
belli e più forti, e questi ultimi avranno respinto tutte le femmine non
belle. Ma da quello che sappiamo intorno ai costumi degli animali, questo modo
di vedere non sembra guari probabile, essendo il maschio in generale molto
desideroso di accoppiarsi con qualche femmina. È molto più
probabile che gli ornamenti comuni ai due sessi siano stati acquistati da un
sesso, generalmente dal maschio, e poi siano stati trasmessi alla prole dei due
sessi. Infatti, se durante un lunghissimo periodo i maschi di qualunque specie
erano molto eccedenti in numero alle femmine, e poi durante un altro
lunghissimo periodo in condizioni differenti sia stato il caso contrario,
può essersi agevolmente prodotto un doppio, ma non simultaneo, processo
di scelta sessuale, pel quale i due sessi possono essere divenuti grandemente
differenti.
Vedremo in seguito che esistono molti
animali ove nessuno dei sessi ha colori brillanti o alcun speciale ornamento, e
tuttavia i membri dei due sessi o anche di uno solo sono stati probabilmente
modificati dalla scelta sessuale. La mancanza di colori splendidi o di altri
ornamenti può essere l’effetto del non essere mai occorse variazioni
veraci, o di ciò che gli animali stessi preferivano colori semplici come
il nero o il bianco. I colori oscuri sono stati spesso acquistati per la scelta
naturale onde servire di protezione, e l’acquisto di colori brillanti
mercè la scelta sessuale può essere stato impedito dal pericolo
cui andavano incontro. Ma in altri casi i maschi hanno probabilmente lottato
fra loro per lunghi secoli, colla forza brutale o colla pompa della loro
bellezza, o con entrambi i mezzi riuniti, e tuttavia non si sarà
prodotto altro effetto se non quello che i maschi vincitori avranno lasciato un
maggior numero di figli per ereditare le loro qualità superiori che non
i maschi meno fortunati; e ciò, come abbiamo dimostrato precedentemente,
dipende da varie complesse contingenze.
La scelta sessuale opera in un modo
meno rigoroso che non la scelta naturale. Quest’ultima produce i suoi effetti
colla vita o colla morte in tutte le età degli individui più o
meno vincitori. Infatti, non di rado la morte è una conseguenza delle
lotte fra i maschi rivali. Ma in generale i maschi meno fortunati rimangono
privi di femmina, od ottengono soltanto una femmina meno robusta, e ciò
in stagione avanzata, o, se sono poligami, ottengono minor numero di femmine,
così lasciano minor prole, o meno robusta, o nessuna. Rispetto alle
strutture acquistate mercè la scelta ordinaria o naturale, vi ha nel
maggior numero dei casi, finchè le condizioni della vita rimangono le
stesse, un limite alla somma delle modificazioni benefiche in relazione a
certi fini speciali; ma per ciò che riguarda quelle strutture adattate a
fare un maschio vittorioso di un altro, sia combattendo o allettando la
femmina, non v’ha un limite definito alla somma delle modificazioni vantaggiose,
per cui finchè le acconce variazioni avranno luogo, l’opera della scelta
sessuale procederà sempre. Questa circostanza può spiegare in
parte il numero straordinario e frequente di variabilità che presentano
i caratteri sessuali secondari. Nondimeno la scelta naturale farà in
modo che i maschi vincitori non possano acquistare quella sorta di caratteri,
qualora potessero cagionar loro grave danno, come nel soverchio consumo delle
forze vitali, o nell’esporli ad altro grande pericolo. Lo sviluppo però
di certe strutture – come le corna, per esempio, di certi cervi – è
stato portato a un grado straordinario, ed in qualche caso anche estremo, il
quale fin dove le condizioni generali della vita non sono in giuoco deve essere
di poco danno al maschio. Da questo fatto noi impariamo che i vantaggi che i
maschi più fortunati hanno ottenuto colla vittoria sopra altri maschi in
battaglia o nel corteggiare, e così lasciando una numerosa prole, sono
stati col lungo andar del tempo maggiori che non quelli derivati da un alquanto
più perfetto adattamento alle condizioni esterne della vita. Vedremo in
seguito, e questo non può esser mai stato provveduto, che la
facoltà di piacere alla femmina è stata in alcuni pochi casi
più importante che non la facoltà di vincere altri maschi in battaglia.
LEGGI DI
EREDITA’.
Onde comprendere come la scelta
sessuale abbia operato, e nel corso dei secoli abbia prodotto effetti notevoli
in molti animali di molte classi, è necessario tenere a mente le leggi
di eredità, per quanto si conoscono. Nel vocabolo eredità si
comprendono due distinti elementi, cioè la trasmissione e lo sviluppo
dei caratteri; ma siccome questi generalmente vanno di conserva, la distinzione
viene sovente trascurata. Vediamo questa distinzione in quei caratteri che sono
trasmessi negli anni primieri della vita, ma che si sviluppano solo nella
età adulta o durante la vecchiezza. Vediamo pure la stessa distinzione
più chiaramente nei caratteri sessuali secondari, perchè questi
sono trasmessi per i due sessi, sebbene vengano sviluppati in uno solo. Che
siano presenti nei due sessi, è evidente quando due specie fornite di
caratteri sessuali molto spiccati vengono incrociate, perchè ognuna
trasmette i caratteri propri del suo proprio sesso maschile o femminile alla
prole ibrida dei due sessi. Lo stesso fatto è parimente manifesto quando
certi caratteri propri del maschio vengono a svilupparsi occasionalmente nella
femmina quando invecchia o si ammala; e così segue all’incontro nel caso
del maschio. Parimente compaiono per incidente certi caratteri trasmessi pure
dal maschio alla femmina, quando in certe razze di polli si veggono gli sproni
venire alle femmine giovani e sane; ma invero sono semplicemente sviluppati
nella femmina, perchè in ogni razza ogni particolarità della
struttura dello sprone è trasmessa dalla femmina alla sua prole
maschile. In tutti i casi di regresso certi caratteri vengono trasmessi in due,
tre o più generazioni, e vengono sviluppati in certe favorevoli
condizioni che noi ignoriamo. Questa importante distinzione fra la trasmissione
e lo sviluppo si terrà più facilmente a mente aiutandola colla
ipotesi della pangenesi, sia o no tenuta in conto di vera. Secondo questa
ipotesi ogni unità o cellula del corpo getta fuori gemmule o atomi non
sviluppati, che vengono trasmessi alla prole dei due sessi, e si moltiplicano
dividendosi spontaneamente. Possono rimanere non sviluppati durante i primi
anni della vita o durante susseguenti generazioni; perchè il loro
sviluppo in unità o celle, come quelle da cui sono derivate,
può dipendere dalla loro affinità, o dalla loro unione con altre
unità o cellule precedentemente sviluppate nel dovuto ordine di
accrescimento.
Eredità in periodi
corrispondenti della vita. – Questa tendenza è bene fermata. Se in
gioventù appare un nuovo carattere in un animale, sia che si conservi
tutta la vita o duri per un solo tratto di tempo, in regola generale quel
carattere ricomparirà alla stessa età e nello stesso modo nella
sua prole. D’altra parte se un nuovo carattere compare solo nell’età
adulta, o anche durante la vecchiezza, tende a ricomparire nella prole nella
stessa età avanzata. Quando seguono deviazioni da questa regola, i
caratteri trasmessi più sovente ricompaiono piuttosto prima che non dopo
l’età corrispondente. Siccome ho trattato quest’argomento piuttosto
lungamente in un altro lavoro, darò qui solo due o tre esempi, onde
chiarire alla mente del lettore questo argomento. In varie razze di polli
mentre i pulcini sono coperti di calugine, i giovani uccelli nel loro primo
vero piumaggio e nel loro abito da adulti differiscono molto fra loro, come
pure dal loro progenitore comune, il Gallo bankiva; e questi caratteri
vengono fedelmente trasmessi da ogni razza alla propria prole in un
corrispondente periodo di vita. Per esempio i pulcini degli Hamburgh
macchiettati quando sono coperti di piumino hanno alcune macchie oscure sul
capo e sul groppone, ma non sono rigati longitudinalmente, come in molte altre
razze; nel loro primo vero piumaggio “essi sono vagamente dipinti”, cioè
ogni penna è segnata trasversalmente di numerose righe scure; ma nel
loro secondo piumaggio le penne sono tutte divenute macchiettate o punteggiate
di macchie rotonde oscure. Quindi in questa razza le variazioni hanno avuto
luogo e sono state trasmesse in tre distinti periodi di vita. Il piccione
presenta un caso più notevole, perchè la specie primiera da cui
deriva non sopporta col progredire dell’età nessun mutamento nel
piumaggio, tranne che nell’età adulta il petto diviene più
iridescente; tuttavia vi sono alcune razze che non acquistano i loro colori
caratteristici finchè non abbiano mutato due, tre o quattro volte le
piume, e queste modificazioni nel piumaggio vengono regolarmente trasmesse.
Eredità in certe corrispondenti
stagioni dell’anno. – Negli animali allo stato di natura si osservano numerosissimi
esempi di caratteri che compaiono periodicamente nelle differenti stagioni.
Vediamo questo nelle corna del cervo, e nelle pellicce di animali artici che
d’inverno divengono più folte e bianche. Moltissimi uccelli nella
stagione delle nozze acquistano colori brillanti ed altri ornamenti. Dai fatti
osservati nell’addomesticamento non posso spargere molta luce su questa sola
forma di eredità. Pallas asserisce che in Siberia il bestiame domestico
ed i cavalli acquistano periodicamente durante l’inverno un colore più
chiaro; ed io ho osservato in Inghilterra un somigliante e distinto mutamento
di colore in alcuni poney. Quantunque io non mi sappia che questa
tendenza ad assumere un abito differentemente colorato durante varie stagioni
dell’anno possa venire trasmessa, tuttavia è probabile che la cosa stia
in questi termini, perchè tutte le tinte del colore sono dal cavallo
grandemente ereditate. E questa forma di eredità, limitata dalla
stagione, non è più notevole della eredità che è
limitata dall’età o dal sesso.
Eredità limitata dal sesso. – La uguale
trasmissione di caratteri d’ambo i sessi è la forma più comune di
eredità, almeno in quegli animali che non presentano differenze sessuali
fortemente spiccate, e in vero in molti di questi. Ma non di rado certi
caratteri vengono esclusivamente trasmessi a quel sesso nel quale comparvero
dapprima. Nella mia opera sulla variazione per opera dello addomesticamento ho
riferito prove ben evidenti intorno a ciò; ma qui posso citarne alcune.
Vi sono razze di pecore e di capre nelle quali le corna del maschio
differiscono grandemente nella forma da quelle della femmina; e queste
differenze acquistate mercè l’addomesticamento, sono regolarmente trasmesse
al medesimo sesso. Nei gatti color tartaruga le femmine sole, in regola
generale, sono così colorate, i maschi sono rosso-ruggine. In moltissime
razze di polli i caratteri propri ad ogni sesso sono trasmessi soltanto al
medesimo sesso. Questa forma di trasmissione è così generale, che
è un caso anormale quando vediamo in certe razze variazioni trasmesse
ugualmente in ambo i sessi. Vi sono pure certe sotto-razze di polli in cui i
maschi si possono appena distinguere l’uno dall’altro, mentre le femmine
differiscono grandemente nel colore. Nei piccioni i sessi delle specie
originarie non differiscono in nessun carattere esterno; nondimeno in certe
razze addomesticate il maschio è differentemente colorito dalla femmina.
Nel piccione inglese viaggiatore le caruncole, e l’ingluvie nel Pouter, sono
molto più sviluppate nel maschio che non nella femmina; e quantunque
questi caratteri siano stati acquistati mercè una lunga e continua
scelta operata dall’uomo, la differenza fra i due sessi è al tutto
dovuta alla forma ereditaria che ha prevalso; perchè ha avuto luogo, non
per la volontà dell’allevatore, ma piuttosto in opposizione ai suoi
desiderî.
Moltissime delle nostre razze
domestiche sono state fatte dalla somma di molte leggere variazioni; e siccome
alcuni dei successivi anelli di congiunzione sono stati trasmessi solo ad un
sesso, ed alcuni ai due sessi, noi troviamo nelle diverse razze delle medesime
specie tutte le gradazioni fra la maggiore dissomiglianza sessuale e la
più compiuta somiglianza. Abbiamo già citato esempi di tal sorta
nelle razze di polli e di piccioni; e in natura s’incontrano sovente analoghi
casi. Negli animali soggetti all’addomesticamento, ma se ciò possa
seguire anche in natura non mi arrischio a dire, un sesso può perdere
certi caratteri suoi propri, e così può venire a rassomigliare
fino a un certo punto all’altro sesso; per esempio i maschi di alcune razze di
polli hanno perduto le loro piume e le loro setole mascoline. D’altra parte le
differenze fra i sessi possono crescere coll’addomesticamento, come nelle
pecore merinos, nelle quali le femmine hanno perduto le corna. Parimente certi
caratteri propri di un sesso possono ad un tratto comparire nell’altro sesso;
come in quelle sotto-razze di polli in cui le galline anche giovani mettono gli
speroni; o come in certe sotto-razze Polish, di cui le femmine avevano,
come v’ha ogni ragione di credere, in origine una cresta, che fu in seguito
trasmessa ai maschi. Tutti questi casi divengono intelligibili colla ipotesi della
pangenesi, perchè dipendono dalle gemmule di certe unità del
corpo, le quali, quantunque presenti nei due sessi, rimangono per l’azione
dell’addomesticamento latenti in un sesso; o se dormono naturalmente, si fanno
sviluppate.
Havvi una difficile questione
che sarà conveniente differire ad un altro capitolo, cioè, se un
carattere sviluppatosi dapprima nei due sessi possa venir limitato,
mercè la scelta, nel suo sviluppo ad un solo sesso. Se, per esempio, un
allevatore osservasse che alcuni fra i suoi piccioni (nella quale specie i
caratteri vengono per solito trasmessi ugualmente ai due sessi) variassero in
un turchino pallido, potrebbe egli per una lunga e continua scelta fare una
razza, in cui i maschi soltanto avrebbero quella tinta, mentre le femmine si
conserverebbero come erano prima? Dirò solo qui che questo sarebbe
sommamente difficile, sebbene forse non impossibile, perchè l’effetto
naturale del fare una razza coi maschi turchino-chiaro sarebbe un fare
acquistare allo stipite intero, inclusi i due sessi, quella tinta. Tuttavia se
si vedessero comparire variazioni colla tinta desiderata che dapprima fossero
limitate solo nel loro sviluppo al sesso maschile, non vi sarebbe la più
piccola difficoltà nel fare una razza caratterizzata da ciò che i
due sessi fossero di colore differente, come invero è stato fatto nelle
razze del Belgio, in cui i maschi soli sono rigati di nero. Nello stesso modo
se qualche variazione comparisse in un piccione femmina, che fosse dapprima
limitata sessualmente nel suo sviluppo, sarebbe agevole cosa fare una razza in
cui le femmine sole fossero così caratterizzate; ma se la variazione non
fosse in origine così limitata, il processo sarebbe difficilissimo, se
non impossibile.
Intorno alla relazione fra il periodo
di sviluppo di un carattere e la sua trasmissione ad un sesso o ad
entrambi. – In moltissimi casi non si conosce affatto la ragione per cui
certi caratteri sarebbero ereditati dai due sessi e altri caratteri da un sesso
solo, cioè da quel sesso in cui compariva primieramente il carattere.
Non possiamo neppure comprendere perchè in certe sotto-razze di piccioni
le strisce nere, sebbene trasmesse dalla femmina, si sviluppino solo nel
maschio, mentre ogni altro carattere è trasmesso egualmente ai due sessi.
Parimente perchè nei gatti il colore tartaruga debba svilupparsi, tranne
alcune rare eccezioni, nella femmina sola. I caratteri molto uguali, come la
mancanza o la eccedenza delle dita, l’oscurità del colore, ecc., possono
essere nel genere umano ereditati in una famiglia dai soli maschi e in un’altra
famiglia dalle sole femmine, sebbene nei due casi sia trasmessa dal sesso
opposto come dal medesimo. Per quanto grande sia la nostra ignoranza per questo
riguardo, pure due regole sono sempre giuste, cioè, che quelle variazioni
le quali appaiono dapprima nell’uno o nell’altro dei due sessi in un periodo
più avanzato della vita tendono a svilupparsi solamente nello stesso
sesso; mentre quelle variazioni che cominciano a mostrarsi di buon’ora nella
vita nell’uno o nell’altro dei due sessi, hanno una tendenza a svilupparsi in
entrambi. Con tutto ciò mi guardo bene dall’asserire che questa sia la
sola causa determinante. Siccome non ho discusso in nessun altro lavoro questo
argomento, ed esso è importantissimo per la scelta sessuale, debbo qui
entrare in lunghi ed intricati particolari.
È intrinsecamente
probabile che ogni carattere che fa la sua comparsa nella prima età
debba avere tendenza a propagarsi per via dell’eredità ugualmente ai due
sessi, perchè i sessi non differiscono molto fra loro nella
costituzione, prima che abbiano acquistato la facoltà di riprodursi.
D’altra parte, dopo che questa facoltà è stata acquistata ed i
sessi sono venuti a differire nella costituzione, le gemmule (se mi è lecito
adoperare nuovamente il linguaggio della pangenesi) che sono emesse da ogni
parte variante in un sesso, sarebbero molto più acconce a possedere le
affinità proprie per riunirsi ai tessuti del medesimo sesso, e venire
per tal modo sviluppate, che non con quelle del sesso opposto.
Venni indotto a credere alla esistenza
di una relazione di tal sorta dal fatto che ogniqualvolta ed in qualunque modo
avviene che il maschio adulto differisce dalla femmina adulta, esso differisce
nello stesso modo dai giovani dei due sessi. La generalità di questo
fatto è al tutto notevole: si mantiene in quasi tutti i mammiferi, gli
uccelli, gli anfibi ed i pesci; ed anche in molti crostacei, ragni ed alcuni
pochi insetti, specialmente in certi ortotteri e libellule. In tutti questi
casi le variazioni che accumulandosi hanno dato al maschio i suoi speciali
caratteri maschili, debbono aver avuto luogo in un periodo di vita piuttosto
avanzato; altrimenti i giovani maschi sarebbero stati similmente
caratterizzati; e, conformemente alla nostra regola, si sono trasmessi e
sviluppati soltanto nei maschi adulti. D’altra parte, quando il maschio adulto
rassomiglia strettamente ai giovani dei due sessi (e questi, tranne qualche
rara eccezione, sono simili), esso rassomiglia generalmente alla femmina
adulta; e nel maggior numero di questi casi le variazioni mercè le quali
i giovani ed i vecchi hanno acquistato i loro attuali caratteri hanno,
probabilmente, avuto luogo in conformità colla nostra regola durante la
gioventù. Ma v’ha qui motivo di dubbio, perchè certi caratteri
vengono talora trasmessi alla prole molto prima del tempo in cui sono comparsi
nei genitori, cosicchè questi possono aver variato quando erano
già adulti, ed aver poi trasmesso i loro caratteri alla prole mentre era
ancor giovane. Vi sono, tuttavia, molti animali, nei quali i due sessi si
rassomigliano moltissimo, e nondimeno differiscono entrambi dai loro piccoli;
in questo caso i caratteri degli adulti debbono essere stati acquistati in un
periodo di vita più avanzato; con tutto ciò questi caratteri
contrariamente alla nostra regola, sono trasmessi ai due sessi. Non dobbiamo
tuttavia trascurare la possibilità o anche la probabilità che
successive variazioni della stessa natura possano talora aver luogo, in
condizioni di vita somiglianti, simultaneamente nei due sessi in un periodo
piuttosto avanzato di vita, e in questo caso le variazioni sarebbero trasmesse
esclusivamente al sesso in cui comparvero per la prima volta. Quest’ultima
regola sembra avere in generale maggior valore che non la seconda, cioè
quella che le variazioni che hanno luogo in ogni sesso nel primi periodi della
vita tendono ad essere trasmesse ai due sessi. Siccome evidentemente era
impossibile anche solo valutare in quale grande numero di casi nell’intero
regno animale queste due proporzioni si verifichino, ebbi da studiare certi
casi notevoli o incrocianti, ed appoggiarmi a quel risultato.
La famiglia dei cervi presenta
un eccellente campo per questa investigazione. In tutte le specie, una
eccettuata, le corna si sviluppano nel maschio, sebbene vengano certamente
trasmesse per mezzo della femmina, e possano in certi casi svilupparsi
anormalmente in essa. D’altra parte nella renna la femmina è munita di
corna; cosicchè in questa specie le corna dovrebbero, secondo la nostra
regola, far la loro comparsa di buon’ora nella vita, molto prima che i due
sessi siano adulti, e siano divenuti molto differenti nella costituzione. In
tutte le altre specie di cervi le corna dovrebbero comparire più tardi
nella vita, sviluppandosi solo in quel sesso in cui comparvero per la prima
volta nel progenitore di tutta la famiglia. Ora in sette specie, che
appartengono a distinte divisioni della famiglia ed abitano regioni differenti,
e nelle quali i maschi soli portano corna, ho trovato che le corna del capriolo
cominciano a mostrarsi in periodi varianti dai nove mesi dopo la nascita nel
capriolo, e a dieci o dodici mesi o anche più nei cervi maschi delle
altre sei maggiori specie. Ma nella renna il caso è molto diverso,
perchè ho inteso dal professore Nilsson, che ebbe la bontà di
fare per me studi speciali in Lapponia, che le corna appaiono nei giovani
animali dopo quattro o cinque settimane di età, e si sviluppano nello
stesso tempo nei due sessi. Quindi, noi abbiamo qui una struttura sviluppata in
un periodo di età insolitamente giovanile in una specie della famiglia,
e comune ai due sessi in questa unica specie.
In parecchie sorta di antilopi i maschi
soli hanno corna, mentre nel maggior numero i due sessi sono forniti di corna.
Rispetto al periodo di sviluppo, il signor Blyth mi ha informato che nel
giardino zoologico di Londra vivevano contemporaneamente un giovane Koodoo (Ant.
Strepsciceros), nella cui specie i maschi soli hanno corna, e un giovane di
una specie affinissima, cioè l’Ant. Orcas, in cui i due sessi
sono forniti di corna. Ora nella stretta conformità della nostra regola,
nel giovane maschio Koodoo le corna, sebbene fosse in età di dieci mesi,
erano piccolissime in confronto della mole cui dovevano venire; mentre nel
giovane maschio dell’Antilope Orcas le corna, quantunque non avesse che
soli tre mesi di età, erano già molto più grandi che non
quelle del Koodoo. Giova notare inoltre che nella Antilocapra Americana, nella
cui specie le corna, sebbene presenti nei due sessi, sono quasi rudimentali
nella femmina, non compaiono fino verso l’età di cinque o sei mesi.
Nelle pecore, nelle capre e nelle bovine, ove le corna sono ben sviluppate nei
due sessi sebbene non al tutto di uguale mole, si possono sentire, o anche
vedere appena nati o poco dopo. Tuttavia la nostra regola sbaglia per
ciò che riguarda alcune razze di pecore, per esempio i merinos, in cui
l’ariete solo ha corna; perchè non ho potuto trovare colle mie ricerche
se in questa razza le corna si sviluppino più tardi che non in quelle pecore
comuni in cui i due sessi son forniti di corna. Ma nelle pecore domestiche la
presenza o la mancanza delle corna non è sempre un carattere costante;
una certa proporzione di merinos femmine portano piccole corna, ed alcuni
arieti ne sono sprovvisti; mentre nelle pecore comuni le pecore senza corna si
veggono solo incidentalmente.
In moltissime specie della bellissima
famiglia dei fagiani i maschi differiscono notevolmente dalle femmine, ed
acquistano i loro ornamenti in un periodo di vita piuttosto avanzato. Il
fagiano orecchiuto (Crossoptilon auritum) tuttavia, offre una notevole
eccezione, perchè i due sessi posseggono le belle piume caudali, i
grandi ciuffi alle orecchie e il capo rosso cremisino; e dalle informazioni
ottenute nel Giardino zoologico di Londra ho trovato che tutti questi
caratteri, secondo la nostra regola, compaiono molto di buon’ora. Tuttavia il
maschio adulto può distinguersi dalla femmina adulta per un carattere,
cioè per la presenza degli sproni; e, conforme alla nostra regola, questi
non cominciano a svilupparsi, secondo ciò che mi fu assicurato dal
signor Bartlett, prima di sei mesi di età, ed anche allora si possono
appena distinguere nei due sessi. Il maschio e la femmina del Pavone
differiscono grandemente fra loro in ogni parte del piumaggio, tranne
nell’elegante ciuffo del capo, il quale è comune ai due sessi; e questo
si sviluppa molto di buon’ora, molto prima che non gli altri ornamenti
appartenenti al solo maschio. Un caso analogo lo vediamo nell’anatra selvatica,
perchè le belle macchie verdi brillanti delle ali sono comuni ai due
sessi, sebbene siano meno lucenti e talora più piccole nella femmina, e
quelle macchie si sviluppano di buon’ora, mentre le penne arricciate della coda
e altri ornamenti particolari al maschio si sviluppano più tardi. Fra
certi casi estremi di intima rassomiglianza e grande disparità, come
quella del fagiano orecchiuto, e del pavone, se ne possono osservare molti
intermedi, nei quali i caratteri seguono nel loro ordine di sviluppo le nostre
due regole.
Siccome il maggior numero degl’insetti
escono in condizione adulta dello stato di crisalide, è dubbio se il
periodo di sviluppo determini la trasmissione dei loro caratteri ad un sesso od
a tutti e due. Ma non sappiamo se le squame colorite, per esempio, in due
specie di farfalle, in una delle quali i sessi differiscono nel colore, mentre
nell’altra sono simili, siano sviluppate nella crisalide nello stesso relativo
periodo di età. E non sappiamo nemmeno se tutte le scaglie vengano
sviluppate simultaneamente sulle ali delle stesse specie di farfalle, nelle
quali certe macchie colorite sono speciali ad un sesso, mentre altre macchie
sono comuni ai due sessi. Una differenza di questa sorta nel periodo dello
sviluppo non è tanto improbabile come può parere a prima vista;
perchè negli Ortotteri che assumono lo stato perfetto non con una sola
metamorfosi, ma con successive mute, i maschi giovani di alcune specie
rassomigliano dapprima alle femmine, e acquistano i loro caratteri mascolini
speciali solo durante l’ultima muta. Casi sommamente analoghi hanno luogo nelle
successive mute dei maschi di alcuni crostacei.
Abbiamo finora considerato solo la
trasmissione dei caratteri, relativamente al loro periodo di sviluppo, nelle
specie allo stato naturale; vedremo ora gli animali domestici, occupandoci
dapprima delle mostruosità e delle malattie. La presenza di dita
eccedenti, e la mancanza di certe falangi, deve essere riconosciuta in un
periodo embriogenico primitivo – la tendenza ai colori sanguigni è
almeno congenita, come lo è probabilmente anche quella ai colori oscuri
– tuttavia queste particolarità, ed altre simili, sono spesso limitate
nella loro trasmissione ad un sesso; cosicchè la regola per cui i
caratteri che si sviluppano in un periodo molto primiero tendono a trasmettersi
ai due sessi, qui sbaglia interamente. Ma questa regola, come abbiamo osservato
sopra, non sembra essere tanto generalmente vera come la regola opposta,
cioè, che i caratteri i quali compaiono tardi nella vita in un sesso sono
trasmessi esclusivamente allo stesso sesso. Noi possiamo dedurre dal fatto che
le suddette particolarità anormali divengono proprietà di un
sesso, molto prima che le funzioni sessuali siano attive, che deve esservi una
qualche differenza fra i sessi in una età sommamente precoce. Rispetto
alle malattie limitate ad un sesso, conosciamo troppo poco il periodo in cui
furono originate per trarne qualche conclusione. Tuttavia, sembra che la gotta
possa venir compresa in questa regola; perchè in generale è
cagionata dall’intemperanza dopo la prima giovinezza, e viene trasmessa dal
padre ai suoi figli in un modo molto più evidente che non alle figlie.
Nelle varie razze domestiche di pecore,
di capre e di bovine, i maschi differiscono dalle loro femmine rispettive nella
forma e nello sviluppo delle corna, della fronte, nella criniera, nella
giogaia, nella coda e nelle prominenze delle spalle, e queste
particolarità, in armonia colla nostra regola, non sono pienamente
sviluppate se non piuttosto tardi. Nei cani i sessi non differiscono, tranne in
certe razze; specialmente nei cani scozzesi per la caccia dei cervi il maschio
è molto più grosso e più massiccio che non la femmina; e,
come vedremo in un prossimo capitolo, il maschio va crescendo di mole in un
periodo insolitamente avanzato nella vita, che, secondo la nostra regola,
darebbe ragione del fatto che trasmette alla sola prole maschile la sua
più grande mole. D’altra parte, il colore tartaruga del pelo che
appartiene alle gatte soltanto si distingue benissimo fin dalla nascita, e
questo caso è contro la nostra regola. Vi sono delle razze di piccioni
in cui i maschi soli hanno strisce nere, e quelle strisce si cominciano a
vedere anche nei nidiacei, ma in ogni susseguente muta divengono più
evidenti, cosicchè questo caso in parte è contrario alla regola e
in parte la sostiene. Nel piccione viaggiatore inglese e nel Pouter il
pieno sviluppo della caruncola e del gozzo si osservano piuttosto tardi, e
questi caratteri, secondo la nostra regola, sono trasmessi nella loro piena perfezione
ai soli maschi. I casi seguenti forse appartengono alla classe di cui abbiamo
parlato precedentemente, nella quale i due sessi hanno variato nello stesso
modo in un periodo di vita piuttosto avanzato, ed hanno in conseguenza
trasmesso i loro nuovi caratteri ai due sessi in un periodo corrispondentemente
avanzato; e se ciò è, questi casi non sono contrari alla nostra
regola. Così vi sono sotto-razze del piccione, descritte da Neumeister,
di cui i due sessi cambiano colore dopo due o tre mute, come pure è il
caso nell’Almond Tumbler; non dimeno questi mutamenti, sebbene abbiano
luogo piuttosto tardi, sono comuni ai due sessi. Una varietà dl
Canarini, cioè il London Prize, presenta un caso quasi analogo.
Nelle razze di polli la eredità
dei vari caratteri derivati da un sesso o da entrambi sembra in generale
determinata dal periodo in cui quei così fatti caratteri vengono
sviluppati. Così in tutte quelle numerose razze in cui il maschio adulto
è molto differente nel colore dalla femmina e dal maschio adulto della
specie originaria, esso differisce dal maschio giovane, cosicchè i
caratteri nuovamente acquistati debbono essere comparsi in un periodo di vita
piuttosto avanzato. D’altra parte in moltissime razze in cui i sessi si
rassomigliano, i giovani hanno quasi lo stesso colore dei genitori, e per
questa ragione è probabile che i colori di questi siano comparsi
nell’età primiera. Abbiamo esempi di questo fatto in tutte le razze nere
e bianche, nelle quali i piccoli e gli adulti dei due sessi sono uguali; e
neppure si può asserire che in un piumaggio bianco o nero siavi
alcunchè di particolare che produca la sua trasmissione ai due sessi;
perchè i maschi soli di molte specie naturali sono neri o bianchi,
mentre le femmine sono diversamente colorite. Nei cosidetti Cuckoo, sotto-razza
del pollo nei quali le piume sono dipinte trasversalmente di strisce oscure, i
due sessi ed i pulcini sono coloriti quasi nello stesso modo. Il piumaggio
listato del gallo Bantam di Sebright è lo stesso dei due sessi, ed i
pulcini hanno le piume punteggiate di nero, che si riaccostano un po’ alle
strisce. Tuttavia i Spangled Hamburghs presentano una eccezione
parziale, perchè i due sessi, sebbene non al tutto simili, si
rassomigliano molto più intimamente che non i due sessi della specie
originaria, tuttavia assumono tardi il loro caratteristico piumaggio,
perchè i pulcini sono distintamente disegnati. Veniamo ora ad altri
caratteri oltre il colore: i maschi soli delle specie originarie e di
moltissime razze domestiche posseggono una cresta pienamente sviluppata, ma nei
piccoli dei polli spagnuoli si sviluppa grandemente molto di buon’ora, e a
quanto pare si è questa la ragione del suo insolito sviluppo nelle
femmine adulte. Nei galli da combattimento l’indole battagliera si rivela
meravigliosamente presto; e di ciò si possono citare curiosi esempi; e
questo carattere viene trasmesso ai due sessi, cosicchè le galline per
la loro indole battagliera vengono generalmente mostrate entro stie separate.
Nelle razze dal ciuffo la protuberanza del cranio che sostiene il ciuffo
è in parte sviluppata anche prima che i pulcini siano sgusciati
dall’uovo, e lo stesso ciuffo comincia a crescere sebbene dapprima piuttosto
adagio; e in questa razza gli adulti dei due sessi sono caratterizzati da una
grande protuberanza ossea e da una straordinaria cresta.
Infine, da quello che abbiamo
ora veduto intorno alla relazione che esiste in molte specie naturali e in
molte razze domestiche fra il periodo di sviluppo dei loro caratteri e il modo
di loro trasmissione – per esempio il fatto notevole della comparsa delle corna
della renna nella prima età, a petto della loro venuta piuttosto tarda
nelle altre specie in cui il maschio solo porta corna – noi possiamo
conchiudere che una causa, sebbene non la sola, per cui i caratteri divengono
retaggio esclusivo di un sesso, è il loro svilupparsi in un periodo di
vita avanzata. E in secondo luogo, quella causa, sebbene apparentemente meno
efficace, fa sì che i caratteri che sono ereditati dai due sessi si
sviluppano di buon’ora, mentre i sessi differiscono pochissimo nella
costituzione. Sembra tuttavia che debba esistere una qualche differenza tra i
due sessi anche durante un primitivo periodo embriogenico, perchè i
caratteri sviluppati in questa età, non di rado divengono propri di un
sesso.
Osservazioni sommarie e concludenti. – Dalla
precedente discussione sulle varie leggi di eredità noi impariamo che
certi caratteri spesso o anche generalmente tendono a svilupparsi nel medesimo
sesso, nella medesima età, e periodicamente nella medesima stagione
dell’anno, in cui comparvero dapprima nei genitori. Ma queste leggi, per cause
ignote, van soggette a mutare. Quindi i successivi stadi nella modificazione di
una specie possono venire prontamente trasmessi in vari modi; alcuni di questi
stadi possono venire trasmessi ad un sesso, ed alcuni ad entrambi, alcuni alla
prole in una età, ed alcuni a tutte le età. Non solamente sono le
leggi di eredità moltissimo complesse, ma tali sono pure le cause che inducono
e governano la variabilità. Le variazioni cagionate per tal modo sono
conservate e accumulate mercè la scelta sessuale, la quale è in
se stessa una faccenda estremamente complessa, perchè dipende, come
è dovere, dall’ardore nell’amore, dal coraggio e dalla rivalità
dei maschi, e dalla intelligenza, dal gusto e dalla volontà della
femmina. La scelta sessuale sarà pure dominata dalla scelta naturale per
la prosperità generale della specie. Quindi il modo in cui gl’individui
di un sesso o dei due sessi vengono modificati mercè la scelta sessuale
non può a meno di divenire in altissimo grado complesso.
Quando certe variazioni hanno luogo in
un sesso ad un periodo piuttosto avanzato e sono trasmesse allo stesso sesso
nella medesima età, l’altro sesso e i giovani rimangono necessariamente
senza modificazione. Quando seguono tardi nella vita, ma sono trasmesse ai due
sessi alla stessa età, i giovani soltanto rimangono senza modificazioni.
Tuttavia possono aver luogo certe variazioni in qualunque periodo della vita in
un sesso o in entrambi, ed essere trasmesse ai due sessi in ogni età, e
allora tutti gli individui della specie saranno similmente modificati. Nei
capitoli seguenti vedremo che tutti questi casi seguono frequentemente in
natura.
La scelta sessuale non può mai
operare sopra nessun animale prima che sia giunta l’età della
riproduzione. Mercè il grande ardore del maschio essa ha operato in
generale sopra questo sesso e non sulle femmine. I maschi hanno acquistato in
tal modo armi per combattere i loro rivali, od organi per scoprire e tener
ferma la femmina, o per eccitarla e piacerle. Quando i sessi differiscono per
questi rispetti, è pure, come abbiamo veduto, una legge sommamente
generale che il maschio adulto differisca più o meno dal maschio
giovane; e da questo fatto possiamo concludere che le successive variazioni,
mercè le quali il maschio adulto si è modificato, non hanno avuto
luogo generalmente molto prima dell’età della produzione. Ogniqualvolta
alcuna o parecchie di queste variazioni seguono nella prima età, i maschi.
giovani parteciperanno in un grado minore o maggiore dei caratteri dei maschi
adulti. Si possono osservare differenze di questa sorta fra i maschi vecchi e i
giovani in molti animali, per esempio negli uccelli.
È probabile che i maschi
giovani negli animali abbiano spesso avuto una tendenza a variare in un modo
che non solo sarebbe stato inutile per essi nella prima età, ma che
sarebbe stato loro veramente nocevole – come l’acquisto di colori brillanti che
li avrebbero resi molto appariscenti, e perciò sarebbero stati
più esposti ai loro nemici, o quello di strutture come grosse corna, che
avrebbero richiesto un consumo di forza vitale per svilupparsi. Se questa sorta
di variazione fosse seguita nei maschi giovani, è quasi certo che sarebbero
state eliminate per opera della scelta naturale. D’altra parte nei maschi
adulti ed esperti, il vantaggio che deriva dall’acquisto di cosiffatti
caratteri, nella loro rivalità con altri maschi, avrebbe più che
controbilanciato ogni grado di pericolo che essi avrebbero potuto produrre.
Siccome variazioni analoghe a
quelle che dànno al maschio una superiorità sopra altri maschi
nella lotta, nella ricerca, nel tener ferma e nel piacere alla femmina, non
sarebbero state a questa di nessun beneficio qualora le avesse avute, quindi
non si sono conservate in questo sesso per opera della scelta sessuale. Abbiamo
buoni esempi che dimostrano che negli animali domestici ogni sorta di
variazioni si perdono agevolmente per l’incrociamento e per le morti
incidentali, qualora non si operi una scelta accurata. In conseguenza, le
variazioni del genere suddetto quando per caso seguissero nella femmina,
andrebbero molto soggette a venire perdute, e le femmine non rimarrebbero
modificate in tutto ciò che riguarda quei caratteri eccettuato quelli
ricevuti dai maschi per opera della trasmissione. Senza dubbio, se le femmine
avessero variato e avessero trasmesso i caratteri acquistati di fresco alla
prole dei due sessi, i maschi avrebbero conservato, mercè la scelta
sessuale, quei caratteri che sarebbero stati loro utili, quantunque non
avessero nessuna utilità per le femmine. In questo caso i due sessi si
sarebbero modificati nello stesso modo. Ma avrò da tornare in seguito su
queste intricatissime contingenze.
Le variazioni che seguono in un
periodo di vita più avanzato, e che sono trasmesse ad un sesso solo,
sono andate acquistando incessantemente un vantaggio e si sono accumulate
mercè la scelta sessuale in rapporto alla riproduzione delle specie;
sembra quindi, a prima vista, un fatto inesplicabile che variazioni similari
non siano state frequentemente accumulate per la scelta naturale, in relazione
agli usi consueti della vita. Se questo avesse avuto luogo, i due sessi si
sarebbero differentemente modificati, allo scopo, per esempio, di impadronirsi
della preda o per sfuggire al pericolo. Noi abbiamo già veduto e vedremo
in seguito altri esempi di questa sorta di differenze fra i due sessi,
specialmente negli animali più bassi, ma sono rarissime nelle classi
più elevate. Dobbiamo, tuttavia, tenere a mente che i sessi nelle classi
più elevate conducono generalmente lo stesso modo di vita; e supponendo
che i maschi soli siano per variare in un modo da favorire le loro forze per
ottenere il cibo, ecc., e siano per trasmettere cosiffatte variazioni alla loro
prole mascolina solo, questo acquisterebbe una organizzazione superiore a
quella delle femmine, ma è probabile che le femmine, avendo la stessa
costituzione generale ed essendo esposte alle stesse condizioni, varierebbero
presto o tardi nello stesso modo; ed appena questo fosse seguito, le variazioni
sarebbero state conservate parimente nei due sessi per opera della scelta
naturale, ed infine diverrebbero simili fra loro. Nel caso delle variazioni che
sono andate accumulandosi mercè la scelta sessuale la cosa è
molto differente, perchè i costumi dei due sessi, in relazione colle
funzioni riproduttive non sono gli stessi, e le modificazioni benefiche
trasmesse sessualmente ad un sesso sarebbero state in esso conservate, mentre
modificazioni somiglianti sarebbero state al tutto inutili all’altro sesso, ed
in conseguenza in questo si sarebbero presto perdute.
Nei capitoli seguenti parlerò
dei caratteri sessuali secondari negli animali di tutte le classi, e in ogni
caso cercherò di applicare i principii spiegati nel presente capitolo.
Le classi più basse non ci occuperanno che per un brevissimo tempo, ma
gli animali superiori, specialmente gli uccelli, debbono essere trattati con
una certa estensione. Bisogna tener a mente che, per le ragioni già menzionate,
io ho in animo di dare soltanto qualche esempio delle innumerevoli strutture
mercè le quali il maschio trova la femmina, o, quando l’ha trovata, la
trattiene. D’altra parte, discuteremo ampiamente tutte le strutture e tutti gli
istinti coi quali il maschio riesce a vincere altri maschi, e coi quali
alletta o eccita la femmina, siccome sono per molti riguardi i più
interessanti.
Supplemento intorno alla proporzione numerica dei due sessi negli
animali che appartengono alle varie classi.
Siccome nessuno, per quanto io
mi sappia, ha fatto attenzione ai numeri relativi dei due sessi nel regno
animale, darò qui tutti i materiali che ho potuto raccogliere,
quantunque siano sommamente imperfetti. Consistono solo in alcuni pochi esempi di
attuale enumerazione, e i numeri non sono molti. Siccome nel caso dell’uomo,
solo le proporzioni si conoscono sopra una grande scala, comincerò da
queste, come misura di confronto.
Uomo. – In Inghilterra
nello spazio di dieci anni (dal 1857 al 1866) sono nati vivi 707,120 bambini,
secondo il calcolo annuale, nella proporzione di 104,5 maschi a 100 femmine. Ma
nel 1857 i bambini maschi in Inghilterra erano nella proporzione di 105,2 e nel
1865 come
In varie parti d’Europa, secondo il
prof. Faye ed altri autori “s’incontrerebbe una ancor più grande
preponderanza di maschi, se la morte colpisse in proporzione uguale i due sessi
tanto prima come dopo la nascita. Ma il fatto è che per ogni 100 femmine
nate morte, abbiamo in parecchi paesi da
Si è supposto sovente che
l’età relativa dei genitori possa determinare il sesso della prole; e il
prof. Leuckart ha asserito, considerando la cosa come sufficientemente provata
rispetto all’uomo ed a certi animali domestici, che questo è veramente
un importante fattore nel risultato. Così pure il periodo del
concepimento è stato creduto essere causa efficace; ma recenti
osservazioni contrastano questa credenza. Parimente nel genere umano si
è supposto che la poligamia produca la nascita di un maggior numero di
femmine; ma il dottor J. Campbell ha studiato accuratamente quest’argomento
negli harem di Siam, ed egli conchiude che la stessa proporzione nelle
nascite dei maschi e delle femmine è la stessa come nelle unioni
monogame. Pochissimi animali sono divenuti tanto poligami come i nostri cavalli
da corsa inglesi, e vedremo tosto che la loro prole maschile e femminile
è in numero quasi eguale.
Cavalli. – Il signor
Tegetmeier ha avuto la bontà di registrare per me dal Racing Calendar
nascite dei cavalli da corsa durante un periodo di ventun anno, cioè
dal 1846 al 1867; omesso il 1849 non essendo stato in quell’anno pubblicato
alcun rapporto in proposito. Le nascite totali sono state 25,660, consistenti
in 12,763 maschi e 12,797 femmine, o meglio nella proporzione di 99,7 maschi a
100 femmine. Siccome questi numeri sono piuttosto grandi, e siccome sono tratti
da ogni parte d’Inghilterra, nel corso di sette anni, possiamo con ogni fiducia
conchiudere che nei cavalli domestici, o almeno in quelli da corsa, i due sessi
sono prodotti in numero quasi uguale. Le lievi variazioni che si osservano
nelle proporzioni durante gli anni susseguenti sono molti simili a quelle che
seguono nella razza umana, quando si voglia considerare un’area ristretta ma
molto popolata: così nel 1856 i cavalli maschi erano come 107,1 e nel
1867 soltanto come 92,6 per ogni 100 femmine. Nelle relazioni registrate le
proporzioni variano nei cicli, perchè i maschi eccedono le femmine per
lo spazio di sei anni successivi; e le femmine eccedono i maschi durante due
periodi di quattro anni ognuno: questo può essere tuttavia un fatto
incidentale: almeno per quel che riguarda l’uomo non ho mai trovato nulla di
consimile nella tavola decennale della Relazione del 1886. Posso aggiungere che
certi cavalli, e questo vale anche per certe vacche e per certe donne, hanno
una tendenza a produrre piuttosto un sesso che non un altro; il signor Wright
di Yedersley House mi ha detto che le sue cavalle Arabe, quantunque accoppiate
a sette cavalli diversi, produssero sette femmine.
Cani. – Nel periodo
di undici anni, dal 1837 al 1848, le nascite in tutta l’Inghilterra di
moltissimi veltri furono registrate nel giornale Field; e vado debitore
al signor Tegetmeier dei ragguagli esatti di quei registri. Le nascite inscritte
furono 6878, consistenti in 3605 maschi e 3273 femmine, cioè nella
proporzione di 110,1 maschi per 100 femmine. Le maggiori variazioni ebbero
luogo nel
Pecore. – Gli
agricoltori non riconoscono con certezza il sesso delle pecore se non vari mesi
dopo la nascita, quando i maschi debbono essere castrati; cosicchè i
registri seguenti non danno le proporzioni delle nascite. Tuttavia ho osservato
che parecchi grandi allevatori scozzesi, che ogni anno producono qualche
migliaio di pecore, sono pienamente convinti che una maggior proporzione di
maschi che non di femmine muore durante i primi due anni; quindi la proporzione
dei maschi sarebbe alla nascita in certo modo più grande che non
all’età in cui sono castrati. Questo coincide notevolmente con
ciò che ha luogo nell’uomo, siccome abbiamo veduto, e questi due fatti
hanno probabilmente una stessa causa comune. Ho ricevuto ragguagli da quattro
signori inglesi che hanno allevato pecore di pianura, principalmente le razze
Leicester, nel corso degli ultimi dieci o sedici anni, e il numero delle
nascite è stato di 8965, cioè 4407 maschi e 4558 femmine; vale a
dire nella proporzione di 96,7 maschi ogni 100 femmine. Per quello che riguarda
le pecore di razza Cheviot e quelle dal muso nero di Scozia, ho ricevuto i
rapporti di sei allevatori, due dei quali operavano in grande, principalmente
negli anni 1867-1869; ma alcuni di quei rapporti risalivano al 1862. Il numero
totale registrato somma a 50,685, di cui 25,071 maschi e 25,614 femmine, o
nella proporzione di 97,9 maschi per ogni 100 femmine. Se noi prendiamo i
rapporti inglesi e scozzesi insieme, il numero totale giungerà a 59,650,
di cui 29,478 maschi e 30,172 femmine, o di 97,7, a 100. Cosicchè nelle
pecore all’età di essere castrate le femmine sono certamente in eccesso
sui maschi; ma se questo possa valere nella nascita è più dubbio,
calcolando che i maschi van molto più soggetti a morire nella prima
età che non le femmine.
Intorno alle Bovine ho ricevuto
da nove signori ragguagli di 982 nascite e troppo poche per formare una regola;
esse consistevano di 477 vitelli e 505 vitelle; cioè in proporzione di
94,4 maschi per ogni 100 femmine. Il Rev. W. D. Fox mi ha informato che nel
1867 di 34 vitelli nati in un podere del Derbyshire uno solo era maschio. Il
signor Harrison Weir mi scrive che egli ha preso informazioni presso vari
allevatori di Maiali, e la maggior parte di quegli allevatori calcola
che le nascite di maschi e di femmine sono circa come
Intorno ai mammiferi allo stato di
natura non ho potuto sapere gran cosa su questo particolare.
Per quello che riguarda il topo comune
non ho ricevuto che ragguagli contradittori, Il signor R. Elliot di Laighwood
mi informa che un cacciatore di topi gli ha assicurato di aver sempre trovato
un grande eccesso di maschi, anche nei piccoli da nido. In conseguenza di
ciò, il signor Elliot stesso esaminò dopo qualche centinaia di
adulti, e trovò che quella asserzione era vera. Il signor F. Buckland ha
allevato moltissimi topi bianchi, ed egli crede pure che i maschi superino
moltissimo in numero le femmine. Riguardo alle Talpe, si dice che i maschi sono
molto più numerosi delle femmine; e siccome la caccia di questi animali
è una occupazione speciale, questo asserto può forse meritare
fede. Sir A. Smith descrivendo una antilope dell’Africa meridionale (Kobus
ellipsiprymnus), osserva che nelle mandre di questa e di altre specie i
maschi sono pochi a petto delle femmine; gli indigeni credono che nascono in
quella proporzione; altri credono che i maschi giovani siano espulsi dalle mandre,
e sir A. Smith dice che quantunque non abbia mai veduto mandre composte di
maschi giovani soli, altri asseriscono che questo fatto ha luogo. Sembra
probabile che i giovani maschi che sono scacciati dalla mandra rimangono preda
delle tante belve di quel paese.
UCCELLI.
Rispetto al Pollame, non ho
ricevuto che una sola relazione, cioè, che sopra 1001 pulcini della
razza della Cocincina allevata per otto anni dal signor Stretch, 487 erano
maschi e 514 femmine, cioè 94,
Rispetto agli uccelli allo stato di
natura, il signor Gould ed altri sono convinti che in generale i maschi sono
più numerosi: e siccome i giovani di molte specie rassomigliano alle
femmine, queste ultime debbono naturalmente parere più numerose. Il
signor Baker di Leadenhall ha allevato moltissimi fagiani da uova di fagiani
selvatici, ed ha detto al signor Jenner Weir che si producono quattro o cinque
maschi che non femmine[18]; e che nel Dal-ripa
(sorta di pernice di montagna) il numero dei maschi che frequentano i leks o
luoghi di amoreggiamento è superiore a quello delle femmine; ma alcuni
osservatori attribuiscono questo fatto a ciò che un gran numero di
femmine vengono uccise dai parassiti. Da vari fatti riferiti da White di
Selborne sembra evidente che i maschi delle pernici debbono essere in notevole
eccesso nel mezzodì dell’Inghilterra; e mi fu assicurato che questo
è il caso anche per la Scozia. Dalle informazioni prese dal signor Weir
presso i mercanti che ricevono in certe stagioni molti Combattenti (Machetes
pugnax), venne a sapere che i maschi erano in maggior numero. Questo medesimo
naturalista prese per me molte informazioni presso gli uccellatori, che
s’impadroniscono ogni anno di un numero straordinario di varie piccole specie
vive pel mercato di Londra, e gli fu invariabilmente risposto da un vecchio e
sicuro uccellatore, che nei fringuelli i maschi sono in eccesso; egli calcolava
perfino 2 maschi per ogni femmina, o almeno 5 su 3. I maschi del merlo furono
pure riconosciuti essere più numerosi che non le femmine, sia presi con
le reti o con tranelli. A quanto pare si può prestar fede a questi fatti
perchè lo stesso uomo disse che nella lodola, nella Linaria montana,
e nel cardellino i sessi sono a un dipresso in uguale proporzione. D’altra
parte esso è certo che nel fanelìo comune le femmine sono
grandemente in eccesso, ma durante i differenti anni piuttosto disugualmente;
in alcuni anni trovò che le femmine erano ai maschi come quattro a uno.
Bisogna tuttavia tener presente alla mente che la stagione principale in cui
gli uccelli vengono presi non comincia che in settembre, cosicchè in
alcune specie possono essere incominciate parziali migrazioni, e in quel
periodo i branchi non contengono più che le sole femmine. Il signor
Salvin osservò con molta cura i sessi degli uccelli mosca nell’America
centrale, ed è persuaso che nella maggior parte della specie i maschi
sono in eccesso; così un anno egli si procurò 204 esemplari
appartenenti a dieci specie, e questi consistevano in 166 maschi e 38 femmine.
In due altre specie le femmine erano in eccesso; ma sembra che le proporzioni
differiscano talora nelle differenti stagioni, talora nelle diverse
località; perchè in una occasione i maschi del Campylopterus
hemileucurus stavano alle femmine come cinque a due, ed in un’altra
occasione in proporzione al tutto contraria. In appoggio di quest’ultimo punto
posso aggiungere che il signor Powys trovò a Curfù e nell’Epiro i
sessi del fringuello viventi separatamente, e “le femmine erano molto
più numerose”, mentre in Palestina il signor Tristram trovò che
“i branchi di maschi sembrano eccedere di gran lunga le femmine in numero”.
Parimenti il signor Taylor dice del Quiscalus major, che nella Florida
vi sono “pochissime femmine in proporzione dei maschi”, mentre nell’Honduras la
proporzione era diversa, e le specie colà avevano il carattere della poligamia.
PESCI.
Nei pesci la proporzione del numero dei
sessi non si può riconoscere se non impadronendosi di essi quando sono
allo stato adulto o molto vicino a quello e vi sono molte difficoltà per
giungere a qualche cosa di esatto. Si possono agevolmente scambiare le femmine
infeconde per maschi, siccome mi ha fatto notare il dott. Günther per la trota.
Si crede che in alcune specie i maschi muoiano subito dopo aver fecondato le
uova. In molte specie i maschi sono molto più piccoli che non le
femmine, per cui moltissimi maschi possono sfuggire dalla rete medesima colla
quale si prendono le femmine. Il signor Carbonnier, il quale ha studiato
particolarmente la storia naturale del luccio (Esox lucius), afferma che
molti maschi, per la loro più piccola mole, vengono divorati dalle
grosse femmine; ed egli crede che i maschi di quasi tutti i pesci sono esposti
per la medesima causa ad un maggior pericolo che non le femmine. Nondimeno nei
pochi casi in cui i numeri proporzionali sono stati attualmente osservati
sembra che i maschi siano in grandissimo eccesso. Così il sig. R. Buist,
sopraintendente degli sperimenti del Stormonfield, dice che nel 1815, sopra 70
salmoni presi dapprima onde ricavarne le uova, oltre 60 erano maschi. Nel 1867
nuovamente egli rimase “colpito dalla grande sproporzione dei maschi colle
femmine. Noi avevamo sul principio almeno dieci maschi per ogni femmina”. In
seguito poterono ottenere un numero sufficiente di femmine per avere le uova.
Egli aggiunge, “per la grande abbondanza di maschi questi erano sempre in
lotta, e si dilaniavano fra foro nei luoghi ove si radunano per deporre le uova
e fecondarle”. Senza dubbio questa proporzione può essere attribuita in
parte, e dubito molto al tutto, a ciò che i maschi risalgono i fiumi
prima delle femmine. Il sig. F. Buckland osserva, per quello che riguarda la
trota, che “è un fatto curioso che i maschi siano tanto superiori in
numero alle femmine. Segue invariabilmente che nella prima retata di
pesce si rinvengano almeno sette od otto maschi per ogni femmina. Non posso
darmi ragione di ciò; o i maschi sono più numerosi delle femmine,
o queste cercano salvamento nel nascondersi anzichè nella fuga”. Egli
allora aggiunge, che cercando accuratamente nei branchi di pesci, s’incontrano
sufficienti femmine per avere uova. Il sig. Lee mi ha informato che sopra 212
trote, pescate per questo scopo nel serbatoio di lord Portsmouth, 150 erano
maschi e 62 femmine.
Anche nei ciprini pare che i
maschi siano in eccesso; ma parecchi membri di questa famiglia, cioè la
carpa, la tinca, l’abramide ed il fregarolo, sembrano seguire regolarmente la
pratica, rara nel regno animale, della poliandria; perchè la femmina
quando depone le uova è sempre accompagnata da due maschi, uno per
parte, e nel caso della abramide da tre o quattro maschi. Questo fatto è
tanto bene noto, che si raccomanda sempre quando si ripopola uno stagno di
mettere due tinche maschi per ogni femmina, o almeno tre maschi per due femmine.
Riguardo al fregarolo, un accurato osservatore asserisce che nei luoghi ove si
radunano per deporre le uova e fecondarle, i maschi sono dieci volte più
numerosi che non le femmine; quando una femmina viene in mezzo ai maschi “essa
viene immediatamente stretta da ogni parte da un maschio; e quando sono stati
in questa posizione per un certo tempo vengono sostituiti da altri due maschi”.
INSETTI.
In questa classe, i soli lepidotteri
presentano mezzi per giudicare della proporzione numerica dei sessi;
perchè sono stati raccolti con cura speciale da molti buoni osservatori,
e sono stati allevati in grande dallo stato di uovo o di bruco. Io avevo
sperato che alcuni allevatori di filugelli avrebbero potuto tenere un esatto
registro, ma dopo avere scritto in Francia ed in Italia, ed avere consultato
vari trattati non mi è stato dato conoscere se questo abbia avuto luogo.
L’opinione generale sembra essere che i sessi siano quasi uguali, ma in Italia,
da quanto ho inteso dal prof. Canestrini, molti allevatori sono convinti che le
femmine siano in eccesso. Tuttavia lo stesso naturalista mi ha informato che
nell’allevamento di due anni del filugello dell’Ailanto (Bombyx cynthia),
i maschi erano molto più abbondanti delle femmine nel primo anno,
mentre nel secondo i due sessi erano quasi uguali, o forse abbondavano le
femmine.
Rispetto alle farfalle diurne in istato
di natura parecchi osservatori sono stati molto colpiti dall’apparente enorme
preponderanza dei maschi. Così il signor Bates, parlando delle specie,
dice che in non meno di cento specie, che abitano l’Amazzone superiore, i
maschi sono molto più numerosi che non le femmine, anche in proporzione
di cento ad uno. Nell’America settentrionale, Edwards, persona in ciò
molto esperta, stima che nel genere papilio i maschi stanno alle femmine come
quattro ad uno; ed il sig. Walsh, che mi riferì questo fatto, dice che
nel P. turnus la cosa è certamente in questo modo. Nell’Africa
meridionale, il sig. R. Trimen trovò che i maschi in 19 specie erano in
eccesso; e in una di queste che vive nei luoghi aperti, egli calcola il numero
dei maschi come cinquanta per ogni femmina. In un’altra specie, di cui i maschi
erano numerosi in certe località, in sette anni non raccolse che cinque
femmine. Nell’isola di Bourbon, il sig. Maillard asserisce che i maschi di una
specie di papilio sono venti volte più numerosi che non le femmine. Il
sig. Trimen mi ha detto che da tutto quello che ha potuto vedere, o che gli
è stato riferito da altri, egli crede che di rado le femmine di qualunque
farfalla diurna superino in numero i maschi; ma forse questo segue nelle tre
specie dell’Africa meridionale. Il sig. Wallace afferma che le femmine dell’Ornithoptera
craesus, nell’arcipelago Malese, sono molto più comuni e si prendono
molto più facilmente dei maschi; ma questa è una farfalla rara.
Posso qui aggiungere che nella Hyperythra, genere delle farfalle
notturne, Guenée dice che per ogni quattro o cinque femmine che si vedono nelle
collezioni spedite dall’Indie vi è un maschio.
Quando venne portato questo argomento
del numero proporzionale dei sessi innanzi alla Società Entomologica,
venne ammesso generalmente che i maschi di moltissimi lepidotteri si prendono
allo stato adulto e di ninfa in numero molto maggiore di quello delle femmine;
ma questo fatto venne attribuito da vari osservatori all’essere le femmine di
costumi più nascosti, e al solere i maschi uscire più presto
dalla crisalide. Si sa molto bene che quest’ultimo fatto segue sovente in
moltissimi lepidotteri, come in molti altri insetti. Per cui, siccome osserva
il sig. Personnat, i maschi del domestico Bombyx yamamai si prendono in
principio della stagione, e le femmine alla fine per mancanza di compagni.
Tuttavia non posso persuadermi che queste cause bastino a spiegare il grande
eccesso dei maschi nei casi sopra riferiti, di farfalle che sono comunissime
nei loro paesi nativi. Il sig. Stainton, il quale ha fatto accurate
osservazioni per molti anni sulle piccole farfalle notturne, mi ha detto che i
maschi erano dieci volte più numerosi che non le femmine, ma che da
quando cominciò ad allevarle in grande dallo stato di bruco, egli si
convinse che le femmine erano molto più numerose. Parecchi entomologi
sono dello stesso parere. Il signor Doubleday però, ed alcuni altri,
hanno un’altra idea, e sono convinti di avere allevato dalle uova e dai bruchi
un numero maggiore di maschi che non di femmine.
Oltre ai costumi più attivi dei
maschi, al loro sbucciare più presto dalla crisalide, ed il frequentare
che fanno, in molti casi, località più aperte, si possono
assegnare altre cause alla differenza reale od apparente nel numero
proporzionale dei sessi dei lepidotteri, quando vengono presi allo stato di
crisalide, e quando vengono allevati dalle uova o allo stato di bruco. Molti
allevatori in Italia credono, come ho inteso dal prof. Canestrini, che il bruco
femmina del filugello soffre più del bruco maschio della recente
malattia; ed il dott. Staudinger mi ha detto che nell’allevamento dei
lepidotteri muoiono nel bozzolo molte più femmine che non maschi. In molte
specie il bruco femmina è più grosso che non il maschio, ed un
raccoglitore deve scegliere naturalmente gli esemplari più belli, e
così senza volere raccoglie un maggior numero di femmine. Tre
collezionisti mi hanno detto che ciò essi praticavano; ma il dott.
Wallace è certo che moltissimi raccoglitori prendono gli esemplari che
possono trovare dei generi più rari che valgono la pena di essere
allevati. Quando gli uccelli hanno d’intorno molti bruchi divorano
probabilmente i più grossi; ed ho saputo dal professor Canestrini che in
Italia alcuni allevatori del baco da seta dell’Ailanto credono, sebbene senza
averne sufficienti prove, che nel primo allevamento di questo filugello le
vespe distruggono un numero maggiore di bruchi femmine, che non di bruchi
maschi. Inoltre il dott. Wallace osserva che i bruchi femmine, essendo
più grossi dei maschi, richieggono maggior tempo per svilupparsi e
consumano molto più nutrimento e muffa; e così debbono rimanere
esposti più lungamente al pericolo degli icneumoni, degli uccelli, ecc.,
e nei tempi di carestia perire in maggior numero. Quindi sembra al tutto
possibile che allo stato di natura un minor numero di lepidotteri femmine
può giungere allo stato adulto che non di maschi; e pel nostro speciale
argomento si tratta del numero degli adulti, quando i sessi possono propagare
le specie.
Il modo in cui i maschi di certe
farfalle notturne si raccolgono in numero straordinario intorno ad una sola
femmina sembra indicare un grande eccesso nel numero dei maschi, sebbene questo
fatto possa probabilmente venire attribuito a ciò che i maschi escono
prima dal loro invoglio. Ho saputo dal signor Stainton che spesso si raccolgono
intorno ad una femmina della Elachista rufocinerea da dodici a venti
maschi. È noto comunemente che se una femmina vergine della Lasiocampa
quercus o della Saturnia carpini viene esposta in una gabbia, un
gran numero di maschi le si raccolgono intorno, e se vien chiusa in una stanza
essi scendono giù dalla cappa del camino per ritrovarla. Il sig.
Doubleday crede di aver veduto da cinquanta a cento maschi delle due suddette
specie attirati nel corso di un solo giorno da una femmina tenuta rinchiusa. Il
sig. Trimen ha esposto nell’isola di Wigt una scatola nella quale una femmina
della Lasiocampa era stata tenuta chiusa il giorno precedente, e cinque maschi
cercarono subito di penetrarvi. Il sig. Verreux, in Australia, avendo posto la
femmina di un piccolo bombice in una scatola e messa questa in tasca, venne
seguito da una folla di maschi, per modo che circa 100[19] di essi entrarono in casa
con lui.
Il sig. Doubleday ha fermato la mia
attenzione sulla lista dei lepidotteri del dottor Staudinger, che dà il
prezzo dei maschi e delle femmine di 300 specie o varietà ben spiccate
di farfalle (Rhopalocera).[20] Il prezzo dei due sessi
di specie comunissime è naturalmente lo stesso; ma differiscono in 114
delle specie più rare; i maschi sono in tutti i casi tranne uno, i
più a buon mercato. Dalla stima dei prezzi delle 113 specie, il prezzo
del maschio sta a quello della femmina come
In ogni modo, io ne deduco che in
moltissime specie di lepidotteri i maschi allo stato di crisalide eccedono in
generale il numero delle femmine, qualunque possa essere la loro proporzione
nel primo sbocciare dall’uovo.
Riguardo agli altri ordini d’insetti,
non ho potuto raccogliere che qualche ragguaglio poco sicuro. Nel cervo volante
(Lucanus cervus) “sembra che i maschi siano molto più numerosi
delle femmine”: ma quando, siccome osservò Cornelius nel 1867, un numero
insolito di questi coleotteri comparve in una parte della Germania, le femmine
parevano superiori in numero ai maschi nella proporzione di sei ad uno. Dicesi
che in uno degli elateridi i maschi siano molto più numerosi che non le
femmine, e “si trovano due o tre uniti ad una femmina”: cosicchè sembra
che in questo caso la poliandria prevalga. Nel Siagonium (Staphylinidae), in
cui i maschi sono muniti di corna, “le femmine sono molto più numerose
che non il sesso opposto”. Il sig. Janson asseriva alla Società
Entomologica che le femmine del Tomicus villosus sono tanto comuni da
divenire un flagello, mentre i maschi sono così rari che appena si
conoscono. In altri ordini, per ragioni ignote, ma in alcuni casi dipendenti, da
quanto pare, dalla partenogenesi, i maschi di certe specie non sono mai stati
scoperti o sono rarissimi, come è il caso per certe Cynipidae. In tutti
i gallinsetti (Cynipidae) noti al sig. Walsh, le femmine sono quattro o cinque
volte più numerose dei maschi; e questo segue, come mi ha detto, nella
Cecidomia (Diptera). In alcune specie comuni di tentredini (Tenthredinae) il
signor F. Smith ha allevato centinaia di esemplari da larve di ogni mole, ma
non ha mai allevato un solo maschio: d’altra parte dice Curtis che in certe
specie (Athalia) che egli allevò, i maschi stavano alle femmine nella
proporzione di sei ad una; mentre seguiva precisamente il contrario negli
insetti adulti delle stesse specie prese nei campi. Nei neurotteri il signor
Walsh asserisce che in molte, ma non già in tutte, le specie del gruppo
degli Odonatus (Ephemerina) vi è un grande eccesso di maschi; parimenti
nel genere Hetaerina i maschi sono generalmente quattro volte più
numerosi delle femmine.
In certe specie del genere Gomphus i
maschi sono numerosi nello stesso modo, mentre in due altre specie le femmine
sono due o tre volte più numerose che non i maschi. In alcune specie
europee di Psocus si possono raccogliere migliaia di femmine senza incontrare
un solo maschio, mentre in altre specie dello stesso genere i due sessi sono
comuni. In Inghilterra il signor Mac-Lachlan ha preso centinaia di femmine
dell’Apatania muliebris, ma non ha mai veduto il maschio; e del
Boreus hyemalis ha potuto vedere soltanto quattro o cinque maschi. In moltissime
di queste specie (tranne, a quanto intesi, nelle Tenthredinae) non v’ha ragione
per supporre che le femmine vadano soggette alla partenogenesi; e così
ci accorgiamo quanto siamo ignoranti sulle cause della apparente
diversità che esiste nei numeri proporzionali dei due sessi.
Nelle altre classi degli articolati non
ho potuto raccogliere neppure tante osservazioni. Nei ragni il signor
Blackwall, che ha studiato accuratamente per molti anni questa classe, mi ha
scritto che i maschi pel loro modo di vivere più girovago si veggono
comunemente molto di più e quindi appaiono più numerosi. Questo
è attualmente il caso per poche specie; ma egli fa menzione di parecchie
specie di sei generi, nelle quali le femmine sembrano essere molto più
numerose che non i maschi. La piccola mole dei maschi in confronto delle
femmine, che è talvolta spinta ad un grado estremo, ed il loro aspetto
grandemente diverso, può spiegare in alcuni casi la loro rarità
nelle collezioni.
Alcuni dei crostacei più bassi
possono propagare la loro specie agamicamente, e questo spiega la estrema
scarsità di maschi. In alcune altre forme (come le Tanais e le Cypris)
vi è ragione per credere, come mi ha detto Federico Müller, che il
maschio ha vita molto più breve che non la femmina, ciò che,
supponendo che i due sessi siano dapprima in numero uguale, spiegherà la
scarsità dei maschi. D’altra parte, questo medesimo naturalista ha preso
invariabilmente sulle spiagge del Brasile molti più maschi che non
femmine delle Diastylidae e di Cypridina; così in una specie di
quest’ultimo genere in 63 esemplari presi nello stesso giorno v’erano 57
maschi; ma egli osserva che questa preponderanza può venire attribuita a
qualche ignota differenza nei costumi del due sessi. In uno dei più
elevati granchi del Brasile, cioè un Gelasimus, Federico Müller ha
trovato che i maschi sono più numerosi che non le femmine. Il caso
opposto sembra essere, secondo l’espertissimo sig. C. Spence Bate, riguardo a
sei granchi comuni inglesi, di cui non mi disse il nome.
Del potere della scelta naturale nel
regolare il numero proporzionale dei sessi, e della Fecondità in
generale. – In alcuni casi particolari un successo nel numero di un sesso
sull’altro può essere di grande vantaggio ad una specie, come nel caso
delle femmine sterili degli insetti socievoli, o di quegli animali in cui sono
necessari parecchi maschi per fecondare la femmina, come in certi cerripedi e
forse in certi pesci. Una disuguaglianza fra i sessi in questi casi può
essere stata acquistata mercè la scelta naturale, ma ora non è il
caso di considerare ciò più oltre a cagione della sua
rarità. In tutte le circostanze ordinarie una disuguaglianza non sarebbe
nè più vantaggiosa nè più dannosa a certi individui
che non ad altri; e quindi non potrebbe quasi essere l’effetto della scelta
naturale. Dobbiamo attribuire la disuguaglianza all’azione diretta di quelle
ignote condizioni che nel genere umano fanno sì che i maschi nascono in
un tal quale maggiore eccesso in certi paesi più che non in altri, o che
cagionano quella lieve differenza di proporzione nei due sessi fra le nascite
legittime e le illegittime.
Prendiamo ora il caso di una specie che
produca, per le cause ignote di cui abbiamo sopra fatto menzione, un eccesso in
un sesso – diremo di maschi – questi essendo così superflui ed inutili,
o quasi inutili. Potranno i sessi agguagliarsi per opera della scelta naturale?
Possiamo certamente dedurre, dall’essere tutti i caratteri variabili, che certe
coppie produrranno un eccesso alquanto minore di maschi sulle femmine che non
altre coppie. Le prime, supponendo che il numero attuale della prole rimanga
costante, produrrebbero necessariamente un maggior numero di femmine, quindi
sarebbero più produttive. Secondo la teoria delle probabilità, un
maggior numero dei figli delle coppie più produttive dovrebbe
sopravvivere; e questi erediterebbero una tendenza a procreare meno maschi che
non femmine. Così potrebbe venire una tendenza all’agguagliamento dei
sessi. Ma le nostre supposte specie sarebbero divenute con questo processo,
come testè fu osservato, più produttive; e in molte questo
sarebbe tutt’altro che un vantaggio, perchè ogniqualvolta il limite dei
numeri che esistono dipende, non dalla distruzione che ne fanno i nemici, ma
dalla quantità del nutrimento, un aumento nella fecondità deve
produrre una lotta più formidabile, e la maggior parte dei sopravviventi
verrà malamente nutrita. In questo caso, se i sessi fossero resi uguali
per un aumento nel numero delle femmine, una simultanea diminuzione nel numero
totale della prole sarebbe un benefizio; e questo, credo, sarebbe operato dalla
scelta naturale nel modo che descriverò in seguito. Lo stesso
ragionamento può venire applicato tanto nel caso suddetto quanto nel
seguente, se noi diciamo che le femmine vengono prodotte in eccesso invece dei
maschi, perchè quelle femmine non accoppiandosi ai maschi divengono
superflue ed inutili. Questo sarebbe il caso colle specie poligame, qualora
l’eccesso delle femmine fosse disordinatamente grande.
L’eccesso in qualsiasi sesso, prendiamo
di nuovo nei maschi, potrebbe, apparentemente, venire eliminato dalla scelta
naturale in un altro modo indiretto, cioè con una attuale diminuzione
dei maschi, senza nessun aumento delle femmine, ed in conseguenza senza nessuna
maggiore produttività delle specie. Dalla variabilità di tutti i
caratteri possiamo essere certi che alcune coppie, dimoranti in una data
località, produrrebbero un eccesso piuttosto minore di maschi superflui,
ma non un numero eguale di femmine produttrici. Quando la prole di genitori
più o meno fecondi di maschi fosse tutta mescolata assieme, nessuno
avrebbe un grande vantaggio diretto sugli altri; ma quelli che produrrebbero
meno maschi superflui dovrebbero avere un grande vantaggio indiretto,
cioè che le loro uova o i loro embrioni dovrebbero essere probabilmente
più grossi e più belli, o i loro piccoli meglio nutriti
nell’ovaio e in seguito. Noi vediamo l’esempio di questo principio nelle
piante; siccome quelle che portano un numero maggiore di semi producono piante
piccole, mentre quelle che comparativamente producono pochi semi sovente
producono grossissime piante bene adatte a fornire il nutrimento ai loro semi.
Quindi la prole di genitori che hanno perduto minor forza nel produrre maschi
superflui dovrebbe avere maggior probabilità di sopravvivere, e dovrebbe
ereditare la stessa tendenza a non produrre maschi superflui, mentre
conserverebbe tutta la piena fecondità nella produzione delle femmine.
Questo seguirebbe pure nel caso inverso del sesso femminile. Tuttavia sarebbe
difficile porre ostacolo in questo modo indiretto ad ogni più lieve
eccesso di uno dei due sessi. E infatti non è stata sempre impedita una
notevole disuguaglianza nel numero dei sessi, siccome abbiamo veduto nei vari
casi citati nel precedente discorso. In quei casi le cagioni ignote che
determinano il sesso dell’embrione, e che mercè certe condizioni hanno
per effetto la produzione di un sesso in eccesso sull’altro, non sono state
vinte dalla sopravvivenza di quelle varietà che furono soggette al minore
consumo di materia organizzata e di forza per la produzione d’individui
superflui di questo o di quel sesso. Nondimeno possiamo conchiudere che la
scelta naturale tenderà sempre, sebbene talora non sufficientemente, ad
agguagliare i numeri relativi dei due sessi.
Avendo parlato così
lungamente dell’agguagliamento dei sessi, si può aggiungere ancora
alcune poche osservazioni intorno alla regolarizzazione mercè la scelta
naturale della ordinaria fecondità delle specie. Il sig. Herbert Spencer
ha dimostrato in una dotta discussione che in tutti gli organismi esiste una
proporzione fra ciò che egli chiama individuazione e genesi; quindi ne
viene che esseri i quali consumano molta materia o forza nel loro accrescimento,
nella complicata struttura o nell’attività, e che producono uova ed
embrioni di grande volume, o che spendono molta energia nel nutrire i loro
piccoli, non possono essere tanto produttivi quanto altri di opposta natura. Il
sig. Spencer dimostra inoltre che certe minori differenze di fecondità
saranno regolate dalla scelta naturale. Così la fecondità di ogni
specie tenderà ad aumentare dal fatto che le coppie più feconde
produrranno maggior quantità di prole, e questa pel solo suo numero
avrà una più grande probabilità di sopravvivere, e
trasmetterà la sua tendenza ad una sempre più grande
fecondità. L’unico ostacolo ad un continuo aumento di fecondità
in ogni organismo sembra essere o il consumo di maggior forza e i maggiori
pericoli cui vanno incontro i genitori che producono una figliuolanza
più numerosa, o il fatto di moltissime ova o di moltissimi piccoli che
nascono di minor mole o meno robusti, o in conseguenza non tanto bene nutriti.
Mettere in giusto bilancio in ogni caso gli svantaggi che derivano dalla
produzione di una numerosa progenie ed i vantaggi (come lo sfuggire di qualche
individuo almeno a vari pericoli), oltrepassa al tutto la nostra potenza di
giudicare.
Quando un organismo è
stato reso sommamente fecondo, non è tanto chiaro il modo in cui la sua
fecondità può esser ridotta mercè la scelta naturale,
quanto quello per cui questa facoltà venne primieramente acquistata.
Tuttavia è ovvio che se individui di una specie, per via della
diminuzione dei loro nemici naturali venissero allevati in maggior numero di
quello che si potrebbero nutrire, tutti i membri ne soffrirebbero. Nondimeno i
figli di genitori meno fecondi non avrebbero un vantaggio diretto sui figli di
genitori più fecondi, quando tutti fossero mescolati assieme in un medesimo
distretto. Tutti gli individui avrebbero una comune tendenza ad affamarsi a
vicenda. Invero i figli dei genitori meno fecondi soggiacerebbero ad un grande
svantaggio, perchè pel semplice fatto di esser meno numerosi andrebbero
più soggetti ad essere sterminati. Tuttavia parteciperebbero
indirettamente ad un grande vantaggio, perchè supponendo una condizione
di fiera lotta, quando tutti fossero spinti dal bisogno del cibo è
probabilissimo che quegli individui che per qualche mutamento della loro
costituzione avevano prodotto un numero minore di uova o di piccoli, avrebbero
prodotto quelle più grosse e questi più vigorosi; e gli adulti
cresciuti da quelle uova o da quei piccoli avrebbero evidentemente maggior
probabilità di sopravvivere, ed erediterebbero una tendenza ad una
minore fecondità. Inoltre i genitori che avevano da allevare e nutrire
un numero minore di figli non sarebbero tanto esposti alla fiera lotta per
l’esistenza, e avrebbero maggior probabilità di sopravvivere. Con questi
stadi, e per quanto a me pare, non con altri, la scelta naturale nelle suddette
condizioni di fiera lotta pel nutrimento condurrebbe alla formazione di una
razza meno feconda, ma meglio acconcia al sopravvivere, che non la razza
primitiva.
CARATTERI SESSUALI SECONDARI NELLE CLASSI INFERIORI DEL REGNO ANIMALE.
Mancanza di
questi caratteri nelle classi più basse – Colori brillanti – Molluschi –
Anellidi – Crostacei, caratteri sessuali secondari fortemente sviluppati;
dimorfismo; colore; caratteri non acquistati prima dello stato adulto – Ragni,
loro colori sessuali; stridulazione dei maschi – Miriapodi.
Nelle classi più basse non di
rado accade che i due sessi sono uniti nello stesso individuo e perciò i
caratteri sessuali secondari non possono venire sviluppati. In molti casi in
cui i due sessi sono separati, entrambi stanno permanentemente attaccati allo
stesso sostegno, e l’uno non ha d’uopo di cercare l’altro o di lottare per
esso. Inoltre è quasi certo che questi animali hanno sensi troppo imperfetti
e forze mentali troppo basse per sentire una mutua rivalità, od
apprezzare vicendevolmente la bellezza o altre attrattive.
Quindi in quelle classi o sotto-regni,
come i protozoi, i celenterati, gli echinodermi, gli scolecidi, non si trovano
veri caratteri sessuali secondari; e questo fatto concorda colla credenza che
cosiffatti caratteri sono stati acquistati nelle classi più elevate
mercè la scelta sessuale che dipende dalla volontà, dai desideri,
e dalla scelta dei due sessi. Tuttavia si osservano alcune poche apparenti
eccezioni; così, come ho udito dal Dr. Baird, i maschi di certi entozoi,
o vermi parassiti interni, differiscono lievemente nel colore dalle femmine; ma
non abbiamo ragione per credere che queste differenze siano state aumentate
dalla scelta sessuale.
Molti fra gli animali inferiori, sia
ermafroditi o con sesso separato, sono ornati delle tinte più splendide,
o sono ombreggiati e screziati in modo elegantissimo. Questo è il caso
per molti coralli ed anemoni marine (attinie), in alcune meduse (meduse,
porpite, ecc.), in certe planarie, ascidie, in moltissime stelle di mare,
echini, ecc.; ma noi possiamo conchiudere, per le ragioni sopra esposte,
cioè l’unione dei due sessi in alcuni di questi animali, il difetto di
locomozione di altri, e le scarse forze mentali di tutti, che cosiffatti colori
non servono loro di attrattiva sessuale, e non sono stati acquistati per opera
della scelta sessuale. Negli animali più elevati il caso è molto
differente; perchè in essi quando un sesso è più brillantemente
o vistosamente colorito che non l’altro e non v’ha differenza nel modo
dì vivere dei due sessi che possa spiegare questa diversità,
abbiamo ragioni per credere all’azione della scelta sessuale, e questa credenza
è fortemente confermata quando gli individui più adorni, che sono
quasi sempre i maschi, fanno pompa delle loro attrattive innanzi all’altro
sesso. Possiamo pure estendere questa conclusione ai due sessi quando sono
ugualmente coloriti, se i loro colori sono semplicemente analoghi a quelli di
un sesso solo in certe altre specie dello stesso gruppo.
In qual modo, dunque,
spiegheremo noi i belli e talora splendidi colori di molti animali delle classi
più basse? Sembra molto dubbio che quei colori servan loro solitamente a
proteggerli; ma andiam molto soggetti a sbagliare per quello che riguarda tutte
le sorta di caratteri in correlazione colla protezione, come riconosceranno
tutti quelli che abbiano letto l’eccellente lavoro del sig. Wallace intorno a
questo argomento. Per esempio, a nessuno potrebbe venire in mente che la
perfetta trasparenza delle meduse possa servir loro di protezione; ma quando
Fläckel ci fa osservare che non solo le meduse ma molti molluschi galleggianti,
crostacei, ed anche pesciolini oceanici hanno la stessa struttura vitrea, non
possiamo guari mettere in dubbio che essi così riescono a sfuggire agli
uccelli pelasgici e ad altri nemici.
Malgrado la nostra ignoranza intorno al
limite cui può giungere la protezione operata in molti casi dal colore,
la ragione più probabile da assegnare alle splendide tinte di molti fra
gli animali più bassi sembra essere che quei loro colori sono l’effetto
diretto o della natura chimica o della minuta struttura dei loro tessuti,
indipendentemente da qualunque benefizio che così ne derivi. Pochissimi
colori son più belli di quelli del sangue arterioso; ma non v’ha ragione
per supporre che il colore del sangue sia in se stesso un vantaggio; e sebbene
dia maggior bellezza alla guancia di una fanciulla, nessuno pretenderà
che sia stato acquistato per questo scopo. Parimente, in molti animali,
specialmente nei più bassi, la bile è riccamente colorita;
così la somma bellezza delle eolidie è dovuta principalmente,
come ho imparato dal sig. Hancock, alle ghiandole biliari che si scorgono
attraverso gli integumenti translucidi; e questa bellezza non è
probabilmente di nessun utile a questi animali. Le tinte delle foglie appassite
delle foreste americane sono descritte da tutti siccome splendide; tuttavia
nessuno può supporre che quei colori siano di alcun vantaggio per gli
alberi. Ripensando alle tante sostanze intimamente analoghe ai composti
organici naturali che sono state recentemente composte dai chimici, e che
spiegano i più splendidi colori, sarebbe stato un fatto ben strano, se
certe sostanze colorite nello stesso modo non fossero state spesso originate,
indipendentemente dall’essere acquistate per un qualunque scopo benefico, nel
complicato laboratorio degli organismi viventi.
Sotto-regno dei molluschi. – In tutta
questa grande divisione (presa nel suo più ampio significato) del regno
animale, non si presentano mai, per quanto io abbia potuto vedere, caratteri
sessuali secondari come quelli che stiamo qui considerando. E neppure si
può sperar d’incontrarli nelle tre classi più basse, cioè
nelle ascidie, nei polizoi e nei brachiopodi (che costituiscono i molluscoidi
di Huxley), perchè la più parte di questi animali sono attaccati
permanentemente ad un sostegno oppure hanno i due sessi riuniti sopra un
medesimo individuo. Nei lamellibranchiati, o conchiglie bivalvi, non è
raro l’ermafrodismo. Nella vicina classe più elevata dei gasteropodi, e
conchiglie univalvi, i sessi sono talora uniti, talora separati. Ma in questo
ultimo caso i maschi non posseggono mai organi speciali per trovare, tener
ferme, o allettare le femmine, o per combattere con altri maschi. La
sola differenza esterna fra i sessi consiste, siccome ho saputo dal sig. Gwyn
Jeffreys, nell’essere la conchiglia talora di forma un po’ differente; per
esempio, la conchiglia del maschio della littorina litterea è
più stretta ed ha una spira più allungata che non quella della
femmina. Ma cosiffatte differenze, come si può comprendere, sono
direttamente connesse coll’atto della riproduzione o collo sviluppo delle uova.
I gasteropodi, sebbene dotati di
locomozione e forniti di occhi imperfetti, non sembrano dotati di sufficienti
forze mentali perchè i membri del medesimo sesso combattano fra loro per
rivalità, e così acquistino caratteri sessuali secondari.
Nondimeno nei gasteropodi polmonati, o chiocciole e limacce terrestri,
l’accoppiamento è preceduto dal corteggiamento; perchè questi
animali, sebbene ermafroditi, sono obbligati per la loro struttura ad
accoppiarsi insieme. Agassiz osserva: “Quiconque a
eu l’occasion d’observer les amours des limaçons, ne saurait mettre en doute la
sèduction déployée dans les mouvements et les allures qui préparent et
accomplissent le double embrassement des ces hermaphrodites”. Questi animali
sembrano pure suscettivi di qualche grado di permanente affetto; un accurato
osservatore, il sig. Lonsdale, mi ha informato che egli pose un paio di
chiocciole (Helix pomatia), una delle quali era debole, in un
piccolo e mal fornito giardino. Dopo un po’ di tempo l’individuo robusto e sano
scomparve, e fu osservato che le tracce della sua viscosità si
dirigevano verso il muro di un vicino giardino molto ben fornito. Il sig.
Lonsdale concluse che egli aveva abbandonato il suo malato compagno; ma in capo
a ventiquattro ore ritornò, e sembra comunicasse a quello l’esito della
sua esplorazione, perchè entrambi si avviarono lungo la stessa traccia e
scomparvero sul muro.
Anche nelle classi di molluschi
più elevate, cioè i cefalopodi, in cui i sessi sono separati, non
si osservano i caratteri sessuali secondari della sorta di quelli che stiamo
considerando, almeno per quanto io abbia potuto scoprire. Questa è una
circostanza straordinaria, perchè questi animali posseggono organi dei
sensi sviluppatissimi ed hanno notevoli facoltà mentali, siccome si
potrà riconoscere da chiunque abbia osservato l’astuzia che adoperano
per cercar di fuggire ai loro nemici. Tuttavia certi cefalopodi sono
caratterizzati da uno straordinario carattere sessuale, cioè, che
l’elemento maschile sta dentro uno del bracci o tentacoli, che viene poi staccato
e si attacca per le sue ventose alla femmina, e vive per un certo tempo di vita
indipendente. Questo braccio staccato rassomiglia tanto ad un animale separato,
che fu descritto da Cuvier come un verme parassita col nome di ectocotile. Ma
questa meravigliosa struttura può venir meglio classificata come un
carattere sessuale primario che non secondario.
Quantunque non appaia che nei
molluschi sia venuta in giuoco la scelta sessuale, tuttavia molte conchiglie
univalvi e bivalvi, come le volute, i coni, i pettini, ecc., hanno belle forme
e sono vagamente colorite. Nella maggior parte dei casi non sembra che i colori
servano di protezione; sono probabilmente l’effetto diretto, come nelle classi
più basse, della natura dei loro tessuti; la forma delle conchiglie e il
modo in cui sono scolpite deve dipendere dal modo del loro accrescimento.
Sembra anche che la maggiore o minore luce abbia fino ad un certo punto una tal
quale azione; perchè quantunque, come afferma ripetutamente il sig. Gwyn
Jeffreys, le conchiglie di alcune specie che vivono in grande profondità
siano brillantemente colorite, tuttavia vediamo generalmente le superfici
più basse e le parti coperte dal mantello meno bene colorite che non le
superfici superiori e più esposte. In alcuni casi, come per le conchiglie
che vivono fra i coralli o le alghe brillantemente colorite, i colori vivaci
possono servire come protezione. Ma molti fra i molluschi nudibranchiati hanno
colori tanto vivaci quanto le conchiglie, come si può vedere nella
stupenda opera dei signori Alder ed Hancock; e secondo le informazioni
cortesemente comunicatemi dal sig. Hancock, è molto dubbio se questi
colori servano usualmente come una protezione. Questo può essere il caso
per alcune specie, come per una che vive fra le verdi foglie delle alghe, ed
è essa medesima di un bel verde. Ma molte specie brillantemente
colorite, bianche o altrimenti vistose, non cercano di nascondersi; mentre pure
certe specie ugualmente vistose, come pure altre di colori oscuri, vivono sotto
le pietre e in luoghi bui. Quindi da quanto pare il colore di questi molluschi
nudibranchiati non ha relazione alcuna colla natura del luoghi nei quali
dimorano.
Questi nudibrandichiati sono
ermafroditi, tuttavia si accoppiano assieme, come le chiocciole terrestri,
molte delle quali hanno conchiglie sommamente piccole. Si comprende che due
ermafroditi, attratti vicendevolmente dalla maggior bellezza l’uno dell’altro,
potrebbero unirsi e lasciare figli che ereditassero la più grande
bellezza dei genitori. Ma in queste creature di così bassa
organizzazione ciò è sommamente improbabile. Non è neppure
per nulla ovvio come i figli delle coppie più belle di ermafroditi
possano avere un qualche vantaggio, tanto da crescere in numero, rispetto a
prole meno bella, se non coincidono generalmente la bellezza ed il vigore. Non
abbiamo qui un numero dl maschi che divengono adulti prima delle femmine, le
più vigorose delle quali scelgono i più belli. Se invero, i
colori brillanti fossero utili ad un animale ermafrodito in relazione cogli usi
generali della vita, gli individui dotati dei colori più brillanti
riuscirebbero meglio e crescerebbero di numero; ma questo sarebbe un caso di
scelta naturale e non già di scelta sessuale.
Sotto-regno dei vermi: classe,
Anellidi. – In questa classe, quantunque i sessi (quando sono separati)
differiscano talora l’uno dall’altro per caratteri tanto importanti che sono
stati collocati in generi distinti od anche in distinte famiglie, tuttavia le
differenze non sembrano di tal sorta da potersi con certezza attribuire alla
scelta sessuale. Questi animali, come quelli delle classi precedenti, stanno,
da quanto pare, in un posto troppo basso della scala perchè gli
individui dei due sessi possano esercitare una qualche scelta nel cercarsi un
compagno, o perchè gli individui del medesimo sesso possano per
rivalità battersi fra loro.
Sotto-regno degli artropodi: classe,
Crostacei. – In questa grande classe cominciamo ad incontrare
caratteri sessuali secondari non dubbi, sovente sviluppati in un modo notevole.
Per sfortuna i costumi dei crostacei sono troppo imperfettamente conosciuti, e
noi non possiamo spiegare gli usi di molte strutture particolari ad un sesso.
Nelle specie parassite più basse i maschi hanno piccola mole, e soli
sono forniti di zampe natanti, di antenne, e di organi dei sensi perfetti;
mancano alle femmine questi organi, e il loro corpo sovente non è altro
che una semplice e malfatta massa. Ma queste straordinarie differenze fra i due
sessi hanno senza dubbio relazione col modo di vivere molto differente, e
quindi non ci riguardano. In vari crostacei, appartenenti a famiglie distinte,
le antenne anteriori sono fornite di corpi particolari filiformi, che si
credono fare ufficio di organi olfattori, e questi sono molto più
numerosi nei maschi che non nelle femmine. Siccome i maschi, senza un qualche
insolito sviluppo dei loro organi olfattori, avrebbero potuto, senza dubbio, un
po’ più presto o un po’ più tardi, trovare le femmine, quei fili
olfattori fu maggior numero sono stati probabilmente acquistati mercè la
scelta sessuale, per ciò che i maschi meglio forniti sono riusciti
meglio ad accoppiarsi ed hanno lasciato un numero maggiore di prole. Federico
Müller ha descritto una notevole specie dimorfa di tanais, nella quale il
maschio è rappresentato da due forme distinte, che non si graduano mai
l’una nell’altra. In una forma il maschio è fornito di moltissimi fili
olfattori, e nell’altra forma di chele o pinze più forti e più
lunghe che servono per tener ferma la femmina. Federico Müller dice che queste
differenze fra due forme maschili della stessa specie devono essere state
originate in certi individui che hanno variato nel numero dei fili olfattori,
mentre altri individui variavano nella forma e nella mole delle loro chele;
cosicchè nei primi quelli che erano più acconci per trovare la
femmina, e nei secondi quelli che sapevano meglio tenerla quando l’avevano
incontrata, hanno lasciato un maggior numero di figli per ereditare i loro
rispettivi vantaggi.
In alcuni fra i crostacei più
bassi l’antenna anteriore destra del maschio differisce grandemente nella
struttura dalla sinistra, mentre quest’ultima rassomiglia nelle semplici aguzze
giunture alle antenne della femmina. Nel maschio l’antenna modificata è
talora rigonfia nel mezzo o piegata ad angolo, o convertita in un organo
prensile elegante e talvolta meravigliosamente complesso. Esso serve, da quanto
ho udito da sir J. Lubbock, per tener ferma la femmina, e per questo scopo uno
dei bracci posteriori dello stesso lato del corpo viene convertito in un
forcipe. In un’altra famiglia le antenne inferiori o posteriori sono
curiosamente a ghirigoro, nei soli maschi.
Nei crostacei più elevati le
zampe anteriori formano un paio di chele o pinze, che in generale sono
più grandi nel maschio che non nella. femmina. In molte specie le
chele dei lati opposti del corpo non sono di grandezza uguale, la destra
è, come fui informato dal signor C. Spence Bate, generalmente, sebbene
non invariabilmente, la più grande. Questa disuguaglianza è
sovente molto più grande nel maschio che non nella femmina. Parimente le
due chele differiscono sovente nella struttura e le più piccole
rassomigliano a quelle della femmina. Non si conosce quale sia il vantaggio
ottenuto per questa disuguaglianza nella mole di questi membri dei due lati
opposti del corpo, e quale pel fatto che questa disuguaglianza è molto
maggiore nel maschio che non nella femmina; nè perchè, quando
sono di eguale mole, spesso entrambi sono molto più grandi che non nella
femmina. Talvolta le chele sono tanto lunghe che non è possibile che
possano servire, come ho sentito dal signor Spence Bate, per portare il cibo
alla bocca. Nei maschi di certi gamberelli d’acqua dolce (Palaemon) la zampa
destra è attualmente più lunga di tutto il corpo. È
probabile che il grande volume di una zampa colle sue chele possa agevolare il
maschio nel combattere i suoi rivali, ma questo servizio non spiegherebbe la
loro disuguaglianza nella femmina sui lati opposti del corpo. Nel Gelasimus,
secondo un esempio citato da Milne-Edwards, il maschio e la femmina vivono
nello stesso buco, cosa degna di essere notata perchè dimostra che vivono
appaiati, ed il maschio chiude l’ingresso del buco con una delle sue chele, che
è enormemente sviluppata; cosicchè in questo caso serve come
mezzo di difesa. Tuttavia il loro uso principale è probabilmente quello
di afferrare e mantenere stretta la femmina, e ciò in alcuni casi, come
nel Gammarus, è conosciuto essere così per l’appunto. Nondimeno i
sessi del granchio comune (Carcinus maenas), siccome mi ha riferito il
signor Spence Bate, si uniscono subito che la femmina ha deposto il suo duro
invoglio, e quando è tanto tenera che sarebbe ferita qualora fosse
afferrata colle forti pinze del maschio; ma siccome è presa e portata in
giro dal maschio prima che abbia fatto la muta, allora può essere
afferrata impunemente.
Federico Müller asserisce che certe specie
di Melita si distinguono da tutti gli altri anfipodi perchè le femmine
hanno “le lamelle coxali del penultimo paio di piedi terminate con un processo
unciniforme, di cui i maschi si impadroniscono colle braccia del primo paio”.
È probabile che lo sviluppo di questi processi unciniformi derivi da
ciò che queste femmine, che nell’atto della riproduzione erano tenute
più ferme, hanno lasciato un maggior numero di prole. Un altro anfipodo
Brasilano (Orchestia Darwinii), è descritto da Federico Müller
come rappresentante un caso di dimorfismo, come quello della Tanais;
perchè là vi sono due forme maschili, che differiscono nella
struttura delle loro chele. Siccome le chele dell’una e dell’altra forma
avrebbero bastato a tener ferma la femmina, perchè entrambe sono ora
adoperate a questo scopo, le due forme maschili vennero probabilmente originate
da ciò che alcune variarono in un modo ed alcune in un altro; le due
forme avendo prodotto certi speciali ma quasi uguali vantaggi dai loro organi
diversamente costrutti.
Non si sa che i crostacei maschi
combattano fra loro pel possesso delle femmine, ma questo è probabile;
perchè in molti animali quando il maschio è più grande che
non la femmina sembra che egli abbia ottenuto la sua maggior mole per avere
durante molte generazioni sconfitto altri maschi. Ora il signor Spence Bate
m’informa che nella maggior parte degli ordini dei crostacei, specialmente nei
più elevati o brachiuri, il maschio è più grosso della
femmina; tuttavia i generi parassiti, in cui i sessi conducono un differente
modo di vivere, e moltissimi Entomostraci, vanno eccettuati. Le chele di molti
crostacei sono armi molto acconce per combattere. Così il Portunus
puber fu veduto da un figlio del signor Bate combattere con Carcinus
maenas, e quest’ultimo fu rovesciato in un istante, colle membra strappate
dal corpo. Quando parecchi maschi di un Gelasimus Brasiliano, specie fornita
d’immense pinze, furono collocati insieme da Federico Müller in un vaso di
vetro, essi si mutilarono e si uccisero fra loro. Il signor Bate mise un grosso
Carcinus maenas maschio in una terrina d’acqua, ove stava una femmina
appaiata con un maschio più piccolo; quest’ultimo fu in breve privato
della sua proprietà, ma, come soggiunse il signor Bate, “se vi fu
combattimento la vittoria è stata incruenta, perchè non vidi
ferite di sorta”. Questo medesimo naturalista separò un maschio del
gammaro detto Pulce di mare (tanto comune sulle nostre spiagge marine), Gammarus
marinus, dalla sua femmina, e i due furono racchiusi in vasi con molti
individui della stessa specie. La femmina divorziata in tal modo si unì
ai suoi compagni. Dopo un certo tempo il maschio venne nuovamente messo nello
stesso vaso, ed egli allora, dopo aver nuotato un tantino qua e là,
penetrò nel fitto della comitiva, e senza nessun combattimento riprese
sua moglie. Questo fatto dimostra che negli anfipodi, ordine basso della scala,
i maschi e le femmine si riconoscono scambievolmente, ed hanno l’uno per
l’altro una certa affezione.
Le forze mentali dei crostacei sono
probabilmente più elevate di quello che si potrebbe credere. Chiunque ha
cercato di prendere uno dei granchi tanto numerosi su molte coste tropicali, si
sarà accorto quanto cauti e svelti essi siano. Vi ha un grosso gambero (Birgus
latro), che si trova nelle isole di corallo, e si fa in fondo ad un buco
profondo un fitto letto colle fibre della noce di cocco sminuzzate. Si ciba col
frutto caduto di quest’albero, togliendo via la scorza fibra per fibra; e
comincia sempre dal lato dove stanno le tre depressioni a mo’ di occhi. Egli
allora lo rompe in uno di questi occhi battendolo colle sue forti pinze
frontali, e facendolo girare ne estrae l’interno albuminoso colle sue pinze
posteriori che sono più strette. Ma probabilmente queste azioni sono
istintive, cosicchè esse potrebbero essere compiute tanto da un animale
giovane quanto da un vecchio. Tuttavia il caso seguente può appena in
tal modo venire considerato; un naturalista degno di fede, il signor Gardner,
mentre osservava un gelasimo (Gelasimus) che stava facendo il suo buco, lo vide
gettare in quella direzione alcune conchiglie. Una di queste rotolò nel
buco, e le altre tre rimasero a poca distanza dalla sua apertura. In poco meno
di cinque minuti il granchio tirò fuori la conchiglia che era caduta
dentro, e la portò via alla distanza di trenta centimetri; vide allora
le tre altre conchiglie là vicine, pensando evidentemente che avrebbero
potuto cadere nel buco, le portò nel luogo ove aveva messa la prima.
Credo che sarebbe stato difficile distinguere questo fatto da uno compiuto
dall’uomo col sussidio della ragione.
Rispetto al colore, che differisce
così spesso nei due sessi degli animali che appartengono a classi
più elevate, il signor Spence Bate non conosce nessun esempio bene
spiccato nei crostacei dell’Inghilterra. Tuttavia in alcuni casi il maschio ha
una tinta un po’ diversa da quella della femmina; ma il signor Bate crede che
questo si possa semplicemente riferire al loro differente modo di vivere,
perchè il maschio è più girovago e quindi rimane più
esposto alla luce. In un curioso granchio di Borneo, che abita nelle spugne, il
signor Bate potè sempre distinguere i sessi da ciò che il maschio
non aveva la sua epidermide tanto liscia. Il dottor Power cercò di
distinguere i sessi della specie che abitano le isole Maurizie dal loro colore,
ma sbagliò sempre, tranne in una specie di squilla, probabilmente la S.
stilifera, il maschio della quale è descritto come colorito di “un
bell’azzurro verdiccio”, con alcune appendici rosso-ciliegia, mentre la femmina
è ombreggiata di bruno e di grigio “colla tinta rossa che l’adorna molto
meno vivace che non nel maschio”. In questo caso possiamo sospettare l’opera
della scelta sessuale. Nella Saphirina (genere oceanico di Entomostracei, e
quindi basso nella scala) i maschi sono forniti di minuti scudetti o corpi
celliformi, che mostrano bellissimi colori cangianti; mentre questi mancano
nelle femmine, e nel caso di una specie nei due sessi. Sarebbe tuttavia una ben
grande temerità conchiudere che questi curiosi organi servano puramente
come mezzo per attirare le femmine. Nella femmina della specie brasiliana di
Gelasimus, tutto il corpo, siccome ho imparato da Federico Müller, è di
un grigio-bruno quasi uniforme. Nel maschio la parte posteriore del cefalotorace
è di un bianco puro, colla parte anteriore di un bel verde, che sfuma in
bruno-scuro; ed è notevole che questi colori vanno soggetti a mutare nel
corso di pochi minuti, il bianco diviene un grigio sucido o anche nero, il
verde “perde molto del suo splendore”. Apparentemente i maschi sono molto
più numerosi che non le femmine. Merita singolare notizia il fatto che
essi non acquistano i loro bei colori se non quando hanno raggiunto lo stato
adulto. Differiscono pure dalle femmine nella mole più grande delle loro
chele. In alcune specie del genere, forse in tutti, i sessi vivono in coppie o
dimorano nello stesso buco. Sono pure, siccome abbiamo veduto, animali
intelligentissimi. Da queste varie considerazioni sembra molto probabile che il
maschio in queste specie abbia acquistato i suoi begli ornamenti allo scopo di
attrarre o eccitare la femmina.
È stato recentemente affermato
che il maschio del Gelasimus non acquista i suoi bei colori finchè non
è adulto e quasi prossimo a riprodursi. Sembra che questa sia la regola
generale in tutta la classe quando vi sono notevoli differenze di struttura fra
i due sessi. Vedremo in seguito la stessa legge prevalere in tutto il grande
sottoregno dei vertebrati, e in tutti i casi è eminentemente distintiva
dei caratteri che sono stati acquistati mercè la scelta sessuale.
Federico Müller riferisce alcuni esempi notevoli di questa. legge; così
l’Orchestia maschio (Orchestia) non acquista i suoi grandi uncini, che sono
fatti in modo molto diverso da quelli della femmina, finchè non sia
quasi adulto; mentre da giovane i suoi uncini rassomigliano a quelli della
femmina. Così pure, il Brachyscelus maschio possiede, come tutti gli
altri anfipodi, un paio di antenne posteriori; la femmina, e questa è
una circostanza straordinarissima, ne è priva e così pure segue
nel maschio finchè non è adulto.
Classe, Aracnida (Ragni). –
Sovente i maschi sono più scuri, ma talora sono più chiari delle
femmine, come si può vedere nel bellissimo lavoro del signor Blackwall.
In alcune specie i sessi differiscono grandemente fra loro nel colore;
così la femmina dello Sparassus smaragdulus è verde
sbiadito, mentre il maschio adulto ha l’addome di un bel giallo, con tre
strisce longitudinali di un rosso vivace. In alcune specie di Thomisus i due
sessi si rassomigliano moltissimo; in altre differiscono grandemente;
così nel T. citreus le zampe ed il corpo della femmina sono di un
giallo-pallido o verde, mentre quelli del maschio sono rosso-bruno; nel T.
floricolens, le zampe della femmina sono verde pallido, quelle del
maschio sono rigate ad anella in un modo vistoso e con varie tinte. Si
potrebbero citare numerosi casi analoghi nei generi Epeira, Nephila,
Philodromus, Theridlon, Linyphia, ecc. Sovente è difficile dire quale
dei due sessi si allontani più dal colorito ordinario del genere a cui
appartiene la specie; ma il signor Blackwall crede che, in regola generale, sia
il maschio. Finchè i due sessi sono giovani, come ho imparato dallo
stesso autore, per solito si rassomigliano; ed entrambi sovente van soggetti a
grandi mutamenti di colore durante le successive mute prima di giungere allo
stato adulto. In altri casi il maschio solo sembra mutar colore. Così il
maschio del suddetto Sparassus tanto brillantemente colorito rassomiglia
dapprima alla femmina ed acquista le sue vaghe tinte soltanto quando è
vicino ad essere adulto. I ragni sono forniti di sensi acuti, e mostrano grande
intelligenza. Le femmine dimostrano sovente, come tutti sanno, il più
grande amore per le loro uova, che portano ravvolte in un morbido tessuto. Nel
complesso sembra probabile che le differenze bene spiccate nel colore che
esistono fra i due sessi sieno derivate in generale dalla scelta sessuale, sia
nel maschio come nella femmina. Ma si possono avere ancora molti dubbi su
questo particolare per la somma variabilità nel colore di alcune specie,
per esempio del Theridion lineatum, i sessi del quale differiscono
quando sono adulti; questa grande variabilità indica che i loro colori
non sono andati soggetti a nessuna sorta di scelta.
Il signor Blackwall non ricorda di aver
mai veduto i maschi di nessuna specie battersi fra loro pel possesso della
femmina. Nè questo, se giudichiamo dall’analogia, può esser
probabile; perchè in generale i maschi son molto più piccoli che
non le femmine, e sovente in un grado straordinario. Se i maschi avessero avuto
costume di combattere fra loro, avrebbero gradatamente acquistato maggior mole
e maggior forza. Il signor Blackwall ha talora veduto nella stessa ragnatela
due o più maschi con una sola femmina; ma il loro corteggiamento
è cosa troppo lunga e noiosa per potervi tener dietro agevolmente. Il
maschio è molto cauto nel fare i primi passi, perchè la femmina
spinge la ritrosia fino a un punto molto pericoloso. De Geer vide un maschio
che “nel mezzo delle sue carezze preparatorie fu afferrato dall’oggetto delle
sue cure, ravvolto da lei in una ragnatela e poi divorato, vista che, soggiunge
egli, lo riempì di orrore e di sdegno”.
Westring fece la scoperta interessante
che i maschi di parecchie specie di Theridion hanno la facoltà di
produrre un suono stridulante (come quello di molti coleotteri ed altri insetti
ma più deboli), mentre le femmine sono al tutto mute. L'apparato
consiste in una sporgenza dentata alla base dell'addome, contro la quale batte
la parte dura inferiore del torace; e non si rinviene traccia di questa
struttura nelle femmine. Dalla analogia degli ortotteri e degli omotteri, che
descriveremo nel prossimo capitolo, possiamo dedurre quasi certamente che la
stridulazione deve servire, come osserva Westring, per chiamare od eccitare la
femmina; e questo è il primo caso nella scala ascendente del regno
animale, che io mi conosca, di suoni emessi per questo scopo.
Classe, Myriapoda. – In nessuno
dei due ordini di questa classe, che comprende i millepiedi e i centopiedi, ho
potuto trovare qualche caso ben spiccato di differenze sessuali, della sorta di
cui ci occupiamo particolarmente. Tuttavia nella Glomeris limbata, e
forse in alcune altre poche specie, i maschi differiscono lievemente nel colore
delle femmine; ma questa Glomeris è una specie variabilissima. Nei
maschi dei Diplopodi le zampe di uno dei segmenti anteriori del corpo o del
segmento posteriore sono modificati in uncini prensili, che servono loro per
assicurarsi della femmina. In alcune specie di Julus i tarsi del maschio son
forniti di ventose membranose per lo stesso uso. È una circostanza molto
più insolita, come vedremo parlando degli insetti, che nel Lithobius
è la femmina la quale è fornita di appendici prensili
all’estremità del corpo per tener fermo il maschio.
CARATTERI SESSUALI SECONDARI DEGLI INSETTI.
Strutture
differenti possedute dai maschi per afferrare le femmine – Differenze fra i
sessi, di cui non si comprende il motivo – Differenze nel volume fra i sessi –
Tisanuri – Ditteri – Emitteri – Omotteri, facoltà musicali possedute dai
soli maschi – Ortotteri, strumenti musicali dei maschi, molto differenti nella
struttura; umor bellicoso; colori – Neurotteri, differenze sessuali nel colore
– Imenotteri, umor bellicoso e colori – Coleotteri, colori; munite di grosse
corna, che servono, da quanto pare, come ornamento; battaglie; organi
stridulanti comuni generalmente ai due sessi.
Nell’immensa classe degli insetti i
sessi si differiscono talora negli organi locomotori, e sovente negli organi
dei sensi, come nelle antenne pettinate e vagamente piumate dei maschi di molte
specie. In una delle Effemere, cioè il Chloëon, il maschio ha grandi
occhi pedunculati, di cui la femmina manca affatto. Nelle femmine di certi
altri insetti mancano gli ocelli, come nelle Mutillidae, che sono pure prive di
ali. Ma quello che ci riguarda principalmente sono le strutture colle quali un
maschio può vincere l’altro, sia nella lotta o nel corteggiamento,
mercè la sua forza, l’umor battagliero, gli ornamenti, o la musica. Gli
innumerevoli modi tuttavia coi quali il maschio riesce ad impadronirsi della
femmina possono essere brevemente menzionati. Oltre le strutture complesse
all’apice dell’addome, che debbono forse venire considerate come organi
primari, “è meraviglioso, come osserva il signor B. D. Walsh, quanti
organi differenti ha costrutto la natura per lo scopo, in apparenza
insignificante, di mettere il maschio in grado di tener ben ferma la femmina”.
Talora vengono adoperate all’uopo le mandibole o le mascelle; così il
maschio del Corydalis cornutus (insetto neurottero in certo grado affine
alle Libellule), ha enormi mascelle ricurve, molte volte più lunghe di
quelle della femmina; e sono lisce invece di essere dentate, e in tal modo egli
può afferrarla senza farle male. Uno dei cervi volanti dell’America del
nord (Lucanus elaphus) adopera le sue mascelle, che sono molto
più grandi di quelle della femmina, per lo stesso fine, ma probabilmente
anche per combattere. In una Ammophila le mascelle sono nei due sessi
perfettamente uguali, ma vengono adoperate per fini molto differenti; i maschi,
osserva il prof. Westwood, “sono ardentissimi, e afferrano le loro compagne
intorno al collo colle loro mascelle falciformi”; mentre le femmine adoperano
questi organi per scavare la sabbia e fare i loro nidi.
I tarsi delle zampe anteriori in molti
maschi di coleotteri sono dilatati, o sono muniti di grossi cuscinetti di peli;
e in molti generi di coleotteri acquatici sono muniti di una piatta ventosa,
colla quale il maschio può aderire al corpo lubrico della femmina.
È un fatto molto meno comune che le femmine di certi coleotteri
acquatici (Dytiscus) hanno le loro elitre profondamente scanalate, e nell’Acilius
sulcatus fittamente coperte di peli, per servir di aiuto al maschio. Le
femmine di altri coleotteri acquatici (Hydroporus) hanno le loro elitre
punteggiate per lo stesso ufficio. Nel maschio del Crabro cribrarius è
la tibia la quale si dilata in una larga piastra cornea, con punti membranosi
minuti, che gli danno la singolare apparenza di un cribro. Nel maschio del
Penthe (genere di coleotteri) un po’ delle giunture mediane delle antenne
è dilatato e fornito sulla superficie inferiore di cuscinetti di peli,
precisamente come quelli dei tarsi del carabici, “ed è evidente che
servono allo stesso scopo”. Nelle Libellule maschi “le appendici dell’apice
della coda sono modificate in un numero quasi infinito di varie e curiose fogge
per renderli atti ad abbracciare il collo della femmina”. Infine nei maschi di
molti insetti le zampe sono talora fornite di spine particolari e di sproni, o
tutta la zampa è incurvata o ingrossata, ma questo non è per
nulla un carattere sessuale invariabile; talora un paio o tutte e tre le paia
sono alle volte allungate in modo stravagante.
In tutti gli ordini i sessi di molte
specie presentano differenze di cui non si intende lo scopo. Un caso curioso
è quello di un coleottero il maschio del quale ha la mandibola sinistra
molto allungata, cosicchè la bocca viene a contorcersi grandemente. In
un altro coleottero carabico, l’Eurygnathus, abbiamo l’unico caso, per quello
che ne sa il sig. Wollaston[22], dell’avere la femmina il
capo molto più largo e più grande, sebbene in grado variabile,
che non quello del maschio. Non si potrebbe riferire nessun caso di questa
sorta. Essi abbondano nei Lepidotteri: uno dei più straordinari è
quello di certi maschi di farfalle che hanno le zampe anteriori più o
meno atrofizzate colle tibie ed i tarsi rimpiccioliti in semplici rigonfiature
rudimentali. Parimente le ali nei due sessi sovente differiscono nella
nervatura, e talora notevolmente nel contorno, come nell’Aricoris epitus, che
mi fu mostrato nel Museo Britannico dal signor A. Butler. I maschi di certe
farfalle dell’America meridionale hanno ciuffi di peli sui margini delle ali,
ed escrescenze cornee sul disco del paio posteriore. In parecchie farfalle inglesi
i maschi soli, come dimostra il signor Wonfor, sono in parte rivestiti di
scaglie particolari.
Lo scopo della luminosità della
lucciola femmina non si comprende neppure; perchè è molto dubbio
se l’uso primiero della luce sia quello di guidare il maschio verso la femmina.
Non è una seria obiezione a quest’ultima opinione, quella che i maschi
mandano poca luce; perchè i caratteri secondari sessuali propri ad un
sesso sovente sono sviluppati in un lieve grado nell’altro sesso. È una
obiezione molto più valida quella che le larve splendono, e in alcune
specie brillantemente; Federico Müller m’informa che l’insetto più
luminoso che egli abbia veduto nel Brasile era la larva di qualche coleottero.
I due sessi di certe specie luminose di Elater emettono luce. Kirby e Spence
sospettano che la fosforescenza serva a spaventare e far fuggire i nemici.
Differenza nella mole fra i sessi. – Negli insetti
di tutte le specie i maschi sono comunemente più piccoli che non le
femmine; e questa differenza può sovente essere osservata anche allo
stato di larva. Nel baco da seta (Bombyx mori) la differenza è
tanto notevole fra il bozzolo maschio e il bozzolo femmina, che in Francia si
conoscono e si separano pel loro diverso peso. Nelle classi inferiori del regno
animale la maggior mole delle femmine sembra dipendere generalmente dal loro
sviluppare un numero enorme d’uova; e questo può anche essere il caso
per gl’insetti. Ma il dottor Wallace ha dato una spiegazione molto più
probabile. Egli trova, dopo aver tenuto attentamente dietro allo sviluppo dei
bruchi del Bombyx cynthia e yamamai, e specialmente di piccoli
bruchi nani allevati in una seconda covata con cibi artificiali, “che in
proporzione della bellezza dell’individuo ci vuol più tempo per compiere
la sua metamorfosi; e per questa ragione la femmina che è un insetto
più grande e più pesante, perchè ha da portare molte uova,
sarà preceduta dal maschio, che è più piccolo ed ha
bisogno di minor tempo per divenire adulto”. Ora, siccome molti insetti hanno
vita breve e sono esposti a molti pericoli, deve essere evidentemente molto
utile che la femmina sia fecondata il più presto possibile. Questo scopo
può essere ottenuto da ciò che i maschi sono in gran numero
adulti prima dell’arrivo delle femmine; e questo deve pure essere stato
compiuto naturalmente, come ha osservato il signor R. V. Wallace, per via della
scelta naturale; perchè i maschi più piccoli maturando prima
avrebbero procreato maggior numero di figli che ereditavano poi la mole
rimpicciolita dei loro padri mentre i maschi più grossi maturando
più tardi dovevano lasciar minor prole.
Vi sono tuttavia eccezioni alla regola
che il maschio negli insetti è più piccolo della femmina ed
alcune di queste eccezioni si comprendono. Mole e forza debbono essere un
vantaggio pei maschi che combattono pel possesso della femmina; e in questi
casi i maschi, come nel cervo volante (Lucanus), sono più grossi che non
le femmine. S’incontrano però altri coleotteri che non si sa se combattono
fra loro, di cui i maschi hanno mole più grande che non quella delle
femmine; e si conosce il fine di questo fatto; ma in alcuni di questi casi,
come col grosso Dynastes e col Megasoma, noi possiamo almeno vedere che non vi
sarebbe necessità pei maschi di essere più piccoli che non le
femmine per essere adulti prima di esse, perchè questi insetti non hanno
vita breve, e vi sarebbe tutto il tempo per l’accoppiamento dei sessi.
Così pure i maschi delle Libellule (Libellulidae) sono talora sensibilmente
più grandi, e non mai più piccoli delle femmine; e, secondo crede
il signor Mac Lachlan, non si accoppiano generalmente colle femmine se non dopo
che sia trascorsa una settimana o quindici giorni, e finchè abbiano
assunto i loro propri colori maschili. Ma il caso più curioso, che
dimostra da quali relazioni complesse e facilmente sfuggevoli un carattere
tanto frivolo come una differenza di mole fra i sessi possa dipendere, è
quello degli imenotteri dotati di aculeo; perchè il signor F. Smith mi
ha informato che in quasi tutto questo grande gruppo i maschi, in regola
generale, sono più piccoli delle femmine e appaiono una settimana circa
prima di queste; ma nelle api, i maschi dell’Apis mellifìca,
dello Anthidium manicatum e dell’Anthophora acervorum, e fra gli
scavatori i maschi della Methoca ichneumonides sono più grossi
delle femmine. La spiegazione di questa anomalia è che le nozze si
debbono compiere necessariamente nell’aria in queste specie, e quindi i maschi
abbisognano di una grande forza e mole onde portare la femmina nell’aria. Qui
la maggior mole è stata acquistata in opposizione alla solita relazione
fra la mole ed il periodo di sviluppo, perchè i maschi, sebbene
più grossi, vengono alla luce prima delle femmine più piccole.
Passeremo ora in rassegna i vari
Ordini, scegliendo quei fatti che più particolarmente ci riguardano. I
lepidotteri (farfalle diurne e notturne) saranno trattati in un capitolo
separato.
Ordine, Thysanura. – I membri di
quest’ordine sono bassamente organizzati per la loro classe. Sono insetti
minuti, senza ali, di colore sbiadito, col corpo ed il capo mal fatto e brutti.
I sessi non differiscono, ma offrono un fatto interessante, dimostrando che i
maschi fanno una corte assidua alle loro femmine, per quanto bassi essi siano nella
scala animale. Sir J. Lubbock descrivendo lo Smynthurus luteus dice:
“è cosa molto dilettevole vedere quelle creaturine vezzeggiarsi tra
loro. Il maschio, che è molto più piccolo della femmina, le corre
intorno, e si urtano poi fra loro stando faccia a faccia e movendosi indietro e
avanti come due giocondi agnelli. Poi la femmina fa le viste di fuggire e il
maschio le corre dietro con un ridicolo fare burbero, e va a postarsele di
fronte di nuovo; allora essa tutta ritrosa si volge indietro, ma egli più
svelto e più attivo le corre qua e là intorno, e sembra sferzarla
colle sue antenne; poi per un momento stanno in faccia l’uno dell’altro,
trastullandosi colle loro antenne, e sembrano essere compenetrati l’uno
dell’altra”.
Ordine, Diptera. – I sessi differiscono
poco nel colore. La differenza più grande, a conoscenza del signor F.
Walter, si incontra nel genere Bibio, in cui i maschi sono nerastri o al tutto
neri, e le femmine di un cupo bruno-arancio. Il genere Elaphomyia scoperto dal
signor Wallace nella Nuova Guinea, è notevolissimo, perchè i
maschi son muniti di corna di cui le femmine sono al tutto mancanti. Le corna
spuntano sotto gli occhi e rassomigliano curiosamente a quelle dei cervi,
essendo talora ramose, talora palmate. In una delle specie sono lunghe quanto
tutto il corpo. Si potrebbe credere che il loro scopo fosse quello di servire
come armi offensive, ma siccome sono di un bel colore carnicino colla punta
nera e con una striscia centrale pallida, ed inoltre questi insetti hanno al
tutto un aspetto elegantissimo, è forse più probabile che le
corna servano loro di ornamento. È cosa certa che i maschi di certi
Ditteri combattono fra loro, perchè il prof. Westwood ha osservato
parecchie volte questo fatto in alcune specie di Tipula. Molti osservatori
credono che quando le zanzare (Culicidae) eseguiscono le loro danze nell’aria
riunite in grandi sciami salendo o scendendo alternativamente, i maschi stiano
corteggiando le femmine. Le facoltà mentali dei Ditteri sono
probabilmente molto bene sviluppate, perchè il loro sistema nervoso
è molto più sviluppato che non nella maggior parte degli altri
insetti.
Ordine, Hemiptera. – Il signor
J. W. Douglas, che ha studiato specialmente le specie inglesi, ha avuto la
compiacenza di darmi ragguagli intorno alle loro differenze sessuali. I maschi
di alcune specie sono forniti di ali, mentre le femmine ne mancano; i sessi
differiscono nella forma del corpo e delle elitre, nella seconda articolazione
delle antenne e nei tarsi; ma siccome il significato di queste differenze
è al tutto ignoto, possono qui passare senza menzione. Generalmente le
femmine sono più grosse e più robuste che non i maschi. Nelle
specie inglesi, e, per quello che ne sa il signor Douglas, nelle specie
esotiche, i sessi non differiscono per solito molto nel colore; ma in circa sei
specie inglesi il maschio è notevolmente più scuro della femmina,
e in circa quattro altre specie è la femmina che è più
scura del maschio. I due sessi di alcune specie sono vagamente segnati di
vermiglio e di nero. Non è ben certo se questi colori servano come una
protezione. Se in nessuna specie i maschi avessero differito dalle femmine in
un modo analogo, avremmo potuto con tutta ragione attribuire quegli splendidi
colori alla scelta sessuale colla trasmissione ai due sessi.
Alcune specie di Reduvidae fanno un
rumore stridente; e nel caso del Pirates stridulus si dice che venga
questo rumore prodotto da un movimento del collo dentro la cavità del
protorace. Secondo Westring il Reduvius personatus è parimente
stridulante. Ma non mi è stato fatto di imparare nessun particolare
intorno a questi insetti, nè ho alcuna ragione per supporre che
differiscano sessualmente per questo rispetto.
Ordine, Homoptera. – Chiunque
abbia girato in una foresta vergine tropicale deve essere rimasto meravigliato
dal frastuono che fanno i maschi delle cicale. Le femmine sono mute; come dice
il poeta greco Xenarchus, “È felice la vita delle cicale, poichè
le loro mogli non hanno voce”. Il rumore che producevano si poteva udire
benissimo dal bordo del Beagle, quando era ancorata ad un quarto di
miglio dalla spiaggia del Brasile; ed il capitano Hancock dice che poteva
essere udito alla distanza di un miglio. Anticamente i Greci tenevano, come
fanno oggi i Cinesi, questi insetti entro gabbiette pel loro canto,
cosicchè agli orecchi di certi uomini esso deve essere gradevole. Le
cicale sogliono cantare tutto il giorno, mentre le folgore sembrano essere
cantori notturni. Il suono, secondo Landois, che ha studiato recentemente
questo argomento, è prodotto dalla vibrazione delle labbra delle stimme,
che sono poste in moto da una corrente d’aria emessa dalle trachee. È
accresciuto da un apparato sonoro meravigliosamente complesso, fatto da due
cavità coperte di scaglie. Quindi quel suono si può invero
chiamar voce. Nella femmina l'apparato musicale si trova, ma molto meno
sviluppato che non nel maschio, e non vien mai adoperato per produrre suoni.
Rispetto poi allo scopo di questa musica,
il dottor Hartman parlando della Cicada septemdecim degli Stati Uniti
dice: “si sentono ora (6 e 7 giugno 1851) i tamburi in ogni direzione. Credo
che questi suoni siano gli inviti di nozze per parte dei maschi. Stando io
ritto in mezzo ai fitti castagneti alti quanto me, dove centinaia di questi
insetti mi attorniavano, osservai le femmine accorrere intorno ai maschi
suonatori”. Egli aggiunge: “in questa stagione (agosto 1868) un pero nano del
mio giardino produsse una cinquantina circa di larve della Cic. pruinosa; ed
osservai parecchie volte le femmine posare accanto al maschio mentre faceva
risuonare le sue acute note”. Federico Müller mi scrive dal Brasile meridionale
che ha sovente udito una lotta musicale fra due o tre maschi di cicale dotati
di una voce singolarmente forte e posati ad una notevole distanza l’uno
dall’altro. Appena il primo aveva terminato il suo canto, il secondo cominciava
immediatamente il suo; e dopo di esso toccava a un altro, e così avanti.
Siccome v’ha molta rivalità fra i maschi, è probabile che le
femmine non solo li scoprissero pei suoni che emettevano, ma che, come le femmine
degli uccelli, fossero eccitate o lusingate dal maschio dotato di una voce
più simpatica.
Non ho trovato nessun caso bene
spiccato di differenze ornamentali fra i sessi degli omotteri. Il signor
Douglas mi dice che vi sono tre specie inglesi nelle quali il maschio è
nero o segnato di strisce nere, mentre le femmine hanno colori pallidi od
oscuri.
Ordine, Orthoptera. – I maschi
delle tre famiglie di saltatori che appartengono a quest’ordine sono notevoli
per le loro facoltà musicali; cioè gli Achetidae o Grilli, i
Locustidae o Locuste e gli Acrididae o Cavallette. La stridulazione prodotta da
certe locuste è tanto più forte che si può sentire di
notte alla distanza di un miglio; e quella fatta da qualche specie non manca di
una certa armonia anche all’orecchio dell’uomo, per cui gli Indiani delle
Amazzoni sogliono tenerle in gabbiette di vimini. Tutti gli osservatori sono
concordi nel credere che quei suoni hanno per scopo di attirare od eccitare le
femmine mute. Ma è stato osservato che il maschio della cavalletta
migratrice di Russia (una degli Acrididae) mentre è accoppiato colla
femmina stride per rabbia o per gelosia se un altro maschio gli si avvicina. Il
grillo casalingo quando è sorpreso di notte fa udire la sua voce per
avvertire i suoi compagni. Nell’America settentrionale il Katy-did
(Platyphyllum concavum, uno dei Locustidae), secondo vien riferito, suole
sul far della sera salire sugli alti rami di un albero e dar principio al “suo
rumoroso cicalio mentre note rivali sorgono dagli alberi vicini ed i boschetti
risuonano del richiamo di katydid-shedid per tutta la notte”. Il signor
Bate, parlando del grillo campestre europeo (uno degli Achetidae) dice:
“è stato osservato che il maschio si colloca a sera sul margine del suo
buco e stride finchè s’avvicina una femmina: allora alle note più
forti succedono altre in tono più basso, mentre il fortunato musicante
accarezza colle sue antenne il premio che ha guadagnato”. Il dott. Scudder
riuscì ad eccitare uno di questi insetti tanto da farsi rispondere,
sfregando un filo con una cannuccia. Von Siebold ha scoperto nei due sessi un
notevole apparato dell’udito che sta nelle zampe anteriori.
I suoni nelle tre famiglie sono
prodotti in modo differente. Nei maschi degli Achetidae le due elitre hanno la
stessa struttura; e questa nel grillo campestre (Gryllus campestris)
consiste, secondo la descrizione di Landois, di 131 o 138 rialzi o denti
trasversali, acuti, sotto il lato inferiore di una delle nervature dell’elitra.
Questa nervatura dentata vien rapidamente sfregata attraverso ad una nervatura
dura, liscia e sporgente sulla superficie superiore dell’ala opposta. Dapprima
un’ala sfrega sull’altra e poi si fa il movimento contrario. Le due ali vengono
un tantino sollevate nello stesso tempo, tanto da accrescere la
sonorità. In alcune specie le elitre dei maschi sono munite alla base di
una piastra simile al talco.
Nei Locustidae le opposte elitre
differiscono nella struttura, e non possono come in quest’ultima famiglia
essere adoperate indifferentemente in un modo contrario. L’ala sinistra, che fa
da arco del violino, sta sull’ala destra, che fa appunto da violino. Una delle
nervature sulla superficie inferiore della prima è finalmente
seghettata, ed è sfregata attraverso alle nervature sporgenti della
superficie superiore dell’ala opposta o destra. Nella nostra inglese Phasgonura
viridissima mi è sembrato che la nervatura seghettata venga sfregata
contro l’angolo arrotondato sinistro dell’ala opposta, l’orlo del quale
è fitto, di color bruno, e molto tagliente. Nell’ala destra, ma non
nella sinistra, vi è una piastrella trasparente quanto il talco,
circondata da nervature, chiamata lo specchio. Nell’Ephippiger vitium,
un membro della stessa famiglia, abbiamo una curiosa modificazione subordinata;
perchè le elitre sono molto rimpicciolite, ma “la parte posteriore del
protorace s’innalza in una sorta di cupola sulle elitre, che ha probabilmente
lo scopo di accrescere il suono”.
Vediamo quindi che l’apparato musicale
è più vario o più specificato nei Locustidae che
comprendono, credo, i più potenti suonatori dell’ordine, che non negli
Achetidae in cui le due elitre hanno la stessa struttura e la stessa funzione.
Tuttavia Landois ha scoperto in uno dei Locustidae, cioè nel Decticus,
un breve e stretto arco di dentini, semplici rudimenti sulla superficie
inferiore dell’elitra destra che sostiene l’altra e non vien mai adoperato come
arco. Io ho osservato la stessa struttura rudimentale sul lato posteriore
dell’elitra destra nella Phasgonura viridissima. Quindi possiamo con
piena fiducia dedurre che i Locustidae discendono da una forma, nella quale,
come negli Achetidae attuali, le due elitre avevano nervature seghettate sulle
superfici inferiori e che potevano venire adoperate indifferentemente come un
arco, ma che nei Locustidae le due elitre andarono graduatamente modificandosi
e perfezionandosi mercè il principio della divisione del lavoro, l’una
operando esclusivamente come arco e l’altra come violino. Non sappiamo con
quale progresso abbia avuto origine l’apparato più semplice degli
Achetidae, ma è probabile che le parti basali delle elitre si ravvolsero
dapprima come stanno ora, e lo sfregamento delle nervature produsse un suono
aspro, come mi sembra essere ora il caso per le elitre delle femmine. Un suono
aspro prodotto così incidentalmente e per caso dei maschi, se era loro
di una qualche piccola utilità nel richiamo amoroso, poteva in breve
farsi molto più intenso mercè la scelta sessuale, facendo
sì che le variazioni operatesi nelle sporgenze delle nervature fossero
continuamente conservate.
Nell’ultima e terza famiglia,
cioè negli Arcididae o cavallette, la stridulazione si compie in un modo
affatto differente, e non è così acuta, secondo il dottor
Scudder, come nelle famiglie precedenti. La superficie interna del femore
è fornita di un arco longitudinale fatto di denti minuti, eleganti, a
lancetta, elastici, in numero da
Vi è una eccezione alla regola
che le femmine di queste tre famiglie sono mancanti di un efficace apparato
musicale; perchè i due sessi dell’Ephippiger (Locustidae) dicesi siano
cosiffattamente provvisti. Questo caso può essere comparato a quello
della renna, sola specie in cui i due sessi hanno corna. Quantunque le femmine
degli ortotteri siano quasi sempre mute, tuttavia Landois ha rinvenuto
rudimenti di organi stridulanti nel femore delle femmine degli Acrididae, e
cosiffatti rudimenti sulla superficie interna delle elitre della femmina degli
Achetidae: ma non trovò nessun rudimento nelle femmine del Decticus, uno
dei Locustidae. Negli omotteri le femmine mute delle cicale hanno il proprio
apparato musicale in uno stato poco sviluppato; e incontreremo in seguito in
altre divisioni del regno animale innumerevoli esempi di strutture proprie del
maschio che s’incontrano nella femmina in condizione rudimentale. Cosiffatti
casi sembrano a prima vista indicare che i due sessi erano primieramente
costrutti allo stesso modo, ma che certi organi vennero in seguito perduti
dalle femmine. Tuttavia è molto più probabile credere, come ho
già detto sopra, che gli organi in questione siano stati acquistati dai
maschi e poi trasmessi parzialmente alle femmine.
Landois ha osservato un altro fatto
interessante, cioè che nelle femmine degli Acrididae i denti stridulanti
del femore rimangono per tutta la vita nella stessa condizione in cui
comparvero dapprima nei due sessi durante lo stato di larva: d’altra parte nei
maschi raggiungono il loro pieno sviluppo ed acquistano la loro perfetta
struttura nell’ultima muta quando l’insetto è adulto e pronto alla
riproduzione.
Dai fatti testè citati vediamo
che i mezzi coi quali i maschi producono i loro suoni sono molto diversi negli
ortotteri, e sono al tutto differenti da quelli adoperati dagli omotteri. Ma in
tutto il regno animale noi troviamo incessantemente lo stesso scopo ottenuto in
modi molto diversi; e ciò si deve a che tutta la organizzazione sopporta
nel corso dei secoli molteplici mutamenti; e siccome variano una parte dopo
l’altra, differenti variazioni vanno pigliando campo per lo stesso fine
generale. La differenza dei mezzi per produrre suoni nelle tre famiglie degli
ortotteri e degli omotteri imprime nella mente l’alta importanza di queste
strutture pei maschi per richiamare o allettare le femmine. Non vi è da
far le meraviglie della grande quantità di modificazioni sopportate
dagli ortotteri per questo rispetto, dacchè, come sappiamo dalle
notevoli scoperte del dottor Scudder, vi fu tutto il tempo necessario per
compierle. Questo naturalista ha trovato recentemente un insetto fossile nella
formazione Devoniana della Nuova Brunswick, il quale è fornito del
“notissimo timpano o apparato stridulante del maschio dei Locustidae”. Questo
insetto, sebbene per molti riguardi affine ai neurotteri, sembra collegarsi,
come segue spesso nelle antichissime forme, ai due ordini di neurotteri e di
ortotteri che sono in generale considerati come al tutto distinti.
Ho pochissimo da dire intorno agli
ortotteri. Alcune delle specie sono bellicosissime: quando due grilli maschi (Gryllus
campestris) sono tenuti chiusi insieme, si battono finchè uno dei
due rimanga ucciso; e si dice che le specie del genere Mantis manovrino colle
zampe anteriori foggiate a sciabola, come gli usseri colle loro sciabole. I
Cinesi tengono questi insetti in gabbiette di bambù e li fanno battere
come i galli. Rispetto al colore alcune cavallette esotiche sono benissimo
ornate, le ali posteriori essendo macchiate di rosso turchino e nero; ma
siccome in tutto l’ordine i due sessi differiscono di rado molto nel colore,
è dubbio se una di queste brillanti tinte derivi dalla scelta sessuale.
I colori splendidi possono servire a questi insetti come di protezione, secondo
che spiegheremo nel prossimo capitolo, dando avviso ai loro nemici che essi non
sono mangiabili. Così è stato notato che una cavalletta indiana
brillantemente colorita era invariabilmente respinta quando veniva offerta ad
uccelli od a lucertole. Tuttavia si conoscono alcuni casi di differenze
sessuali nel colore in quest’ordine. Il maschio di un grillo americano vien
descritto siccome bianco come l’avorio, mentre la femmina varia dal bianco
sudicio al giallo verdiccio o bruno. Il signor Walsh mi informa che il maschio
adulto dello Spectrum femoratum (uno dei Phasmidae) è di “un
colore bruno-giallo splendido, mentre la femmina adulta è di un bruno
cinerino opaco e sbiadito; i giovani dei due sessi sono verdi”. Infine posso
far menzione del fatto che il maschio di una sorta curiosa di grillo “è
munito di una lunga appendice membranosa che gli cade nella faccia a mo’ di
velo”: ma non si sa se questo gli serva di ornamento.
Ordine, Neuroptera. – Poco v’ha
qui da parlare se si eccettui il colore. Nelle Ephemeridae i sessi differiscono
lievemente nelle loro tinte oscure; ma non è probabile che i maschi
abbiano per questa ragione maggiori attrattive per le femmine. Le Libellulide,
o libellule, sono ornate di bellissime tinte metalliche, verdi, azzurre,
gialle, o vermiglie; e sovente i sessi differiscono. Così i maschi di
alcuni degli Agrionidae, come osserva il prof. Westwood, “sono di un turchino
carico con ali nere, mentre le femmine sono di un bel verde con ali scolorite”.
Ma nell’Agrion Ramburii questi colori sono precisamente rovesciati nei
due sessi. Nell’esteso genere degli Hetaerina dell’America settentrionale, i
maschi soli hanno una bella macchia rossa alla base di ciascun’ala. Nell’Anax
junius la parte basale dell’addome è nel maschio di un turchino-mare
molto vivace, e nella femmina è color verde erba. D’altra parte nel
genere affine Gomphus ed in alcuni altri generi i sessi differiscono soltanto
poco nel colore. S’incontrano frequentemente in tutto il regno animale simili
casi di sessi di forme intimamente affini che talora differiscono moltissimo,
talora pochissimo o niente affatto. Quantunque in molti Libellulidae siavi fra
i sessi sovente una differenza tanto grande nel colore, è spesso
difficile dire quale è dei due il più brillantemente colorito; e
la colorazione solita dei due sessi è esattamente in senso contrario,
come abbiamo veduto, in una specie di agrione. Non è probabile che in
nessun caso i loro colori siano stati acquistati per servir loro di protezione.
Da quello che mi scrisse il sig. Mac-Lachlan, il quale ha studiato
accuratamente questa famiglia, le libellule, tiranni del mondo degli insetti,
sono meno soggette di qualunque altro insetto ad essere aggredite dagli uccelli
o da altri nemici. Egli crede che i loro vivaci colori servano come di attrattive
sessuali. Merita d’essere notato, siccome riguardante questo argomento, che
certe libellule sembrano essere attirate da certi colori speciali. Il signor
Patterson ha osservato che le specie degli agrionidae, di cui i maschi sono
turchini, si posavano in gran numero sul galleggiante tinto in azzurro di un
amo per pescare; mentre altre specie erano attirate dai colori candidi.
Un fatto interessante, che fu per la
prima volta osservato da Schelver, è questo, che i maschi di parecchi
generi appartenenti a due sotto-famiglie, appena escono dalla crisalide hanno
colori esattamente simili a quelli delle femmine; ma il loro corpo in breve
prende una bellissima tinta bianco-azzurrognola, proveniente dalla trasudazione
di una sorta d’olio, solubile nell’etere e nell’alcool. Il sig. Mac. Lachlan
crede che nel maschio della Libellula depressa questo mutamento di
colore non segua se non che due settimane circa dopo la metamorfosi,
allorchè i sessi sono pronti per la riproduzione.
Certe specie di Neurothemis presentano,
secondo Brauer, un caso curioso di dimorfismo, mentre alcune fra le femmine
hanno le loro ali reticolate nel modo solito, altre femmine le hanno
“riccamente reticolate come quelle dei maschi della stessa specie”. Brauer
“spiega il fenomeno col principio Darwiniano supponendo che la stretta rete
delle vene è un carattere sessuale secondario dei maschi”. Quest’ultimo
carattere è generalmente sviluppato nel maschio solo, ma essendo, come
altri caratteri mascolini, latente nella femmina, per incidente si sviluppa in
essa. Abbiamo qui un esempio del modo in cui i due sessi di molti animali sono
venuti probabilmente a rassomigliarsi, per mezzo delle variazioni apparse
dapprima nei maschi, e da questi conservate e poi trasmesse e sviluppate nelle
femmine: ma in questo genere particolare una compiuta trasmissione si è
incidentalmente e repentinamente compiuta. Il signor MacLachlan mi ha parlato
di un altro caso di dimorfismo che si presenta in parecchie specie di agrioni,
nelle quali un certo numero di individui sono di color arancio, e questi sono
invariabilmente femmine. È questo probabilmente un caso di regresso,
perchè nelle vere libellule quando i sessi differiscono nel colore le
femmine sono sempre color arancio o giallo, cosicchè supponendo che
l’agrione discenda da qualche forma primitiva fornita dei colori sessuali
caratteristici delle tipiche libellule, non sarebbe da far meraviglia che una
tendenza a variare in questo modo sia per presentarsi solo nelle femmine.
Quantunque molte libellule siano
insetti tanto grossi, forti e feroci, non è mai stato osservato dal
signor MacLachlan che combattano insieme, tranne, come egli crede, nel caso di
qualche specie più piccola di agrione. In un altro distintissimo gruppo
di questo ordine, cioè nelle termiti o formiche bianche, i due sessi nel
tempo dello sciamare si possono vedere correre tutto intorno, “il maschio
dietro la femmina, talora due maschi inseguire una sola femmina, e contendere
con gran calore pel premio desiderato”.
Ordine, Hymenoptera. –
Quell’inimitabile osservatore che è il sig. Fabre, descrivendo i costumi
delle Cerceris, insetto vespiforme, osserva che sovente hanno luogo
combattimenti tra i maschi pel possesso di qualche femmina particolare che
rimane spettatrice, da quanto pare, indifferente della lotta pel primato, e
quando è decisa la vittoria vola via tranquillamente in compagnia del
vincitore. Westwood dice che i maschi di una tentredine (Tenthredinae) sono
stati trovati nel momento della lotta colle mandibole impigliate assieme.
Siccome il sig. Fabre parla dei maschi della cerceris che si battono per
ottenere una femmina particolare, sarà bene tenersi a mente che
gl’insetti che appartengono a quest’ordine hanno la facoltà di
riconoscersi dopo un lungo intervallo di tempo, e sono molto affezionati l’un
l’altro. Per esempio, Pietro Huber, di cui non si può mettere in dubbio
l’accuratezza, separò alcune formiche, e quando queste dopo un
intervallo di pochi mesi incontrarono altre che avevano appartenuto alla stessa
comunità, si riconobbero a vicenda e si accarezzarono colle loro
antenne. Se non si fossero conosciute avrebbero battagliato. Parimente, quando
due comunità imprendono una lotta, le formiche appartenenti alla stessa
squadra talora nella confusione si aggrediscono, ma si accorgono subito
dell’errore, e una formica cerca di pacificare l’altra.
Sono comuni in quest’ordine lievi
differenze nel colore secondo il sesso, ma le grandi differenze sono rare,
tranne nella famiglia delle api; tuttavia i due sessi di certi gruppi hanno
colori così brillanti, per esempio, nella Chrysis, in cui prevalgono il
color vermiglio e i verdi metallici, che siamo tentati di attribuirli
all’effetto della scelta sessuale. Negli Ichnaeumonidae, secondo il signor
Walsh, i maschi sono quasi sempre meno coloriti che non le femmine. D’altra
parte, nei Tenthredinidae i maschi sono in generale più scuri che non le
femmine. Nei Siricidae i sessi sovente differiscono; così il maschio Sirex
juvencus è rigato di arancio, mentre la femmina è color
porpora scuro; ma è difficile dire quale dei due sessi sia il più
bello. Nel Tremex columbae la femmina ha colori molto più vivaci
che non il maschio. Nelle formiche, come ho imparato dal signor F. Smith, i
maschi di parecchie specie sono neri e le femmine sono color tartaruga. Nella
famiglia delle api, specialmente nelle specie solitarie, come ho sentito dire
da un distinto entomologo, i sessi sovente differiscono nel colore. In
generale, i maschi sono più splendidi, e nel Bombus come nell’Apathus sono
molto più variabili nel colore che non le femmine. Nella Anthophora
retusa il maschio è di un bel fulvo-bruno, mentre la femmina
è al tutto nera; così sono le femmine di parecchie specie di
Xylocopa, i maschi essendo di un bel giallo. In un’ape d’Australia (Lestis
bombylans), la femmina è di un brillantissimo turchino-acciaio,
talvolta tinto di un verde vivace; il maschio è color rame brillante
ricoperto di una ricca pubescenza fulva. Siccome in questo gruppo le femmine
sono fornite di eccellenti armi difensive nelle loro tibie, non è
probabile che sieno venute ad avere un colore diverso da quello dei maschi per
scopo di protezione.
La Mutilla europea emette un
rumore stridulante, e secondo Goureau, i due sessi posseggono questa
facoltà. Egli attribuisce il suono allo sfregamento del terzo e del
precedente segmento addominale; ed io ho trovato che queste superfici sono
segnate di finissimi solchi concentrici, ma così è pure il
collare toracico sporgente, sul quale si articola il capo; e questo collare, quando
vien sfregato colla punta di una spilla emette il suono proprio all’insetto.
È assai curioso che i due sessi abbiano la facoltà di emettere il
suono, mentre il maschio ha le ali e la femmina ne è priva. È
cosa nota che le api esprimono col suono del loro ronzio certe emozioni, come
la collera, e ciò fanno pure alcuni insetti ditteri; ma non ho riferito
questi suoni perchè non sembra che abbiano alcuna relazione coll’atto
del corteggiare.
Ordine, Coleoptera. – Molti
coleotteri sono coloriti per modo da somigliare alla superficie che per solito
frequentano. Altre specie sono ornate di bellissime tinte metalliche, per
esempio molti carabici che vivono sul terreno e possono difendersi mercè
una secrezione intensamente acida; i bellissimi Eutimi che son protetti dal
loro durissimo invoglio; molte specie di crisomele, come la C. cerealis,
grossa specie vagamente sfasciata di colori svariati, che in Inghilterra
è limitata alla nuda cima del Snowdon, ed una schiera di altre specie.
Questi splendidi colori, che spesso sono disposti in fasce, in macchie, in
croci ed altri eleganti disegni, non possono considerarsi molto utili, come
protezione, tranne nel caso di alcune specie che si nutrono di fiori; e non
possiamo credere che non abbiano affatto uno scopo. Quindi nasce il sospetto
che possano servire di attrattiva sessuale; ma non abbiamo nessuna prova di
ciò; perchè di raro i sessi differiscono nel colore. Da quanto ho
inteso dal signor Waterhouse il giovane, i coleotteri ciechi, che naturalmente non
possono vedere la loro reciproca bellezza, non presentano mai colori brillanti,
sebbene abbiano sovente un invoglio liscio; ma la spiegazione del loro colore
oscuro può ottenersi dal fatto che quegli insetti ciechi abitano le
caverne od altri luoghi bui.
Tuttavia alcuni longicorni,
specialmente certi Prionidae, offrono un’eccezione alla regola comune, che i
sessi dei coleotteri non differiscono nel colore. Molti di questi insetti sono
grandi e splendidamente coloriti, i maschi del genere Pyrodes, siccome ho
veduto nella collezione del signor Bates, sono generalmente più rossi,
ma meno brillanti che non le femmine, le quali sono più o meno
colorite di un verde-dorato splendido. D’altra parte in una specie il maschio
è verde-dorato, e la femmina è colorita magnificamente di rosso e
porpora. Nel genere Esmeralda i sessi differiscono tanto nel colore che sono
stati classificati come specie distinte: in una specie i due sessi sono di un
bel verde lucente, ma il maschio ha il torace rosso. Nel complesso, per quanto
posso giudicare, le femmine di questi prionidae, in cui i sessi differiscono,
sono colorite più riccamente che non i maschi; e ciò non concorda
colla regola comune riguardo al colore quando è acquistato mercè
l’opera della scelta sessuale.
Una differenza molto notevole fra i
sessi di molti coleotteri è quella che presentano le grandi corna che
sorgono dal capo, dal torace o clypeus dei maschi; ed in alcuni pochi casi
dalla superficie inferiore del corpo. Queste corna nella grande famiglia dei
lamellicorni rassomigliano a quelli di vari quadrupedi, come, per esempio, i
cervi, i rinoceronti, ecc., e sono meravigliose tanto per la mole quanto per la
varietà delle forme. In generale le femmine presentano rudimenti di
corna in forma di sporgenze o rialzi, ma alcune mancano anche di rudimenti.
D’altra parte le corna sono sviluppate tanto nella femmina quanto nel maschio
del Phanaeus lancifer e nelle femmine di alcune altre specie della
stesso genere e del Copris sono soltanto un po’ meno sviluppate. In parecchie
suddivisioni delle famiglie le differenze nella struttura delle corna non
procedono parallele, come mi ha comunicato il sig. Bates, colle loro più
importanti caratteristiche differenze; così nella stessa sezione
naturale del genere Onthophagus vi sono specie che hanno talora un sol corno
cefalico, talora due corna distinte.
In quasi tutti i casi le corna sono
notevoli per la loro eccessiva variabilità; cosicchè si
può formare una graduata serie di maschi più altamente
sviluppati; ad altri tanto degeneri che appena si possono distinguere dalle
femmine. Il signor Walsh ha trovato che nel Phanaeus carnifex le corna
erano tre volte tanto lunghe in alcuni maschi che non in altri. Il signor
Bates, dopo aver esaminato oltre a cento maschi dell’Onthophagus rangifer,
credette di aver finalmente scoperto una specie di cui le corna non variavano;
ma ulteriori ricerche hanno dimostrato il contrario.
La mole straordinaria delle
corna e la loro grande diversità di struttura in forme intimamente
affini indicano che sono state fatte per qualche fine importante; ma la loro
eccessiva variabilità nei maschi della stessa specie induce a credere
che questo fine non possa essere di una natura definita. Le corna non mostrano
segni di sfregamento come se fossero adoperate in qualche lavoro ordinario.
Alcuni autori suppongono che siccome i maschi vanno molto più in giro
che non le femmine, hanno bisogno delle corna come difesa contro i loro nemici;
ma in molti casi le corna non sembrano gran che acconce per la difesa, non
essendo taglienti. La congettura più ovvia è quella, che vengano
adoperate dai maschi per combattere fra loro; ma non sono mai stati veduti
battersi; ed il signor Bates, dopo accurato esame di numerose specie, non ha
potuto trovare nessuna prova sufficiente, quando le ha trovate rotte o
mutilate, che fossero state adoperate in tal modo. Se i maschi fossero stati
abitualmente guerrieri sarebbero probabilmente cresciuti di mole mercè
la scelta sessuale, tanto da eccedere quella della femmina; ma il signor Bates,
dopo aver comparato i due sessi in oltre cento specie di Copridae, non trova
nessuna ben distinta differenza per questo rispetto in individui bene
sviluppati. Vi è tuttavia un coleottero appartenente alla stessa grande
divisione dei lamellicorni, il Lethrus, di cui si sa che i maschi combattono
fra loro, ma non hanno corna, sebbene le loro mandibole siano più grandi
che non quelle della femmina.
La conclusione che concorda meglio col
fatto dell’essere state le corna tanto ampiamente sebbene non fissamente
sviluppate, come è dimostrato dalla loro somma variabilità nella
stessa specie e per la loro estrema diversità nelle specie intimamente
affini, è quella che siano state acquistate come ornamento. Questo modo
di vedere sembrerà a prima vista sommamente improbabile; ma troveremo in
seguito in molti animali che stanno più alti nella scala, cioè i
pesci, gli anfibi, i rettili e gli uccelli, che varie sorta di creste di
protuberanze, di corna e di pettini sono stati, a quanto pare, sviluppati per
questo unico fine.
I maschi dell’Onitis furcifer sono
forniti di singolari sporgenze nel femore anteriore e di una grande forca o
paio di corna sulla superficie inferiore del torace. Sembra che questa
posizione sia molto male acconcia per far mostra di queste appendici, che
quindi possano essere di qualche reale utilità; ma per ora non si
può assegnar loro alcun ufficio. È notevolissimo il fatto, che
quantunque i maschi non mostrino neppur traccia di corna della superficie
superiore del corpo, sia però visibile chiaramente nella femmina un rudimento
di un solo corno sul capo e di una cresta sul torace. È chiaro che la
lieve cresta toracica della femmina è un rudimento di una sporgenza
propria del maschio, sebbene al tutto assente nel maschio di questa specie
particolare: perchè la femmina del Bubas bison (una forma che
vien dopo l’Onitis) ha una somigliante cresta sul torace, e il maschio ha nello
stesso luogo una grande sporgenza. Parimente non v’ha dubbio che il piccolo
punto sul capo dell’Onitis furcifer femmina, come pure delle femmine di
due o tre specie affini, è un rappresentante rudimentale del corno
cefalico che è comune ai maschi di tanti coleotteri lamellicorni, come
nel Phaneaus. Infatti i maschi di alcuni coleotteri indeterminati del Museo
Britannico, che si credono attualmente appartenere al genere Onitis sono muniti
di un cosiffatto corno. L’importanza di questo caso sarà meglio compresa
con un esempio: i quadrupedi ruminanti procedono parallelamente coi coleotteri
lamellicorni in ciò che alcune femmine posseggono corna grosse come quelle
del maschio, ed altre le hanno molto più piccole o allo stato di
semplici rudimenti (sebbene questo sia tanto raro nei ruminanti quanto è
comune nei lamellicorni), o non ne hanno affatto. Ora se si venisse a scoprire
una nuova specie di cervo o di pecora in cui le femmine fossero munite di
distinti rudimenti di corna, mentre il capo del maschio fosse al tutto liscio,
avremmo un caso simile a quello dell’Onitis furcifer.
In questo caso l’antica credenza che i
rudimenti siano stati creati per compiere il disegno della natura è
tanto lungi dal vero che tutte le regole ordinarie sono compiutamente violate.
La congettura che sembra essere la più probabile è questa, che
alcuni primieri progenitori dell’Onitis abbiano acquistato, come altri
lamellicorni, le corna del capo e del torace, e le abbiano poi trasmesse in
condizione rudimentale, come in tante specie esistenti, alla femmina, dalla
quale sono state d’allora in poi conservate. La susseguente perdita delle corna
del maschio può essere stata l’effetto del principio di compensazione
dallo sviluppo delle sporgenze della superficie inferiore, mentre la femmina
non venne in tal modo alterata perchè non possedeva quelle sporgenze, ed
in conseguenza ha conservato i rudimenti delle corna sulla superficie superiore.
Quantunque questo modo di vedere sia sostenuto dal caso del Bledius che daremo
in breve, tuttavia le sporgenze sulla superficie inferiore differiscono
moltissimo nella struttura e nello sviluppo nei maschi di varie specie di
Onitis, e sono anche in alcune rudimentali; nondimeno la superficie superiore
è in tutte queste specie al tutto mancante di corna. Siccome i caratteri
sessuali secondari sono tanto eminentemente variabili, è possibile che
le sporgenze sulla superficie inferiore possano essere state acquistate
dapprima da qualche progenitore dell’Onitis ed abbiano prodotto il loro effetto
mercè la compensazione, ed allora siano state in certi casi quasi al
tutto perdute.
Tutti i casi fin qui menzionati si
riferiscono ai lamellicorni; ma i maschi di alcuni pochi altri coleotteri che
appartengono a due gruppi molto distinti, cioè i Curculionidae e gli
Staphylinidae sono forniti di corna, nei primi sulla superficie del corpo, nei
secondi sulla superficie superiore del capo e del torace. Negli Staphylinidae
le corna dei maschi nelle stesse specie sono sommamente variabili precisamente
come abbiamo veduto nei lamellicorni. Nel Siagonium abbiamo un caso di
dimorfismo perchè i maschi possono essere divisi in due sezioni, che
differiscono grandemente nella mole del corpo e nello sviluppo delle corna
senza nessuna graduazione intermedia. In una specie di Bledius, che appartiene
essa pure agli Staphylinidae, si possono trovare esemplari maschi nella stessa
località, siccome afferma il professore Westwood, “nei quali il corno
centrale del torace è grandissimo, ma le corna del capo sono al tutto
rudimentali; ed altri, nei quali il corno del torace è brevissimo mentre
le protuberanze del capo sono lunghe”. Da quanto pare abbiamo qui dunque un
esempio di compensazione nell’accrescimento, che getta luce sul caso curioso
citato testè della perdita delle corna superiori dei maschi dell’Onitis
furcifer.
Legge di battaglia. –
Alcuni coleotteri maschi che sembrano male acconci per battersi impegnano
nondimeno lotte pel possesso della femmina. Il signor Wallace vide due maschi
del Leptorhynchus angustatus, coleottero lineare munito di un
allungatissimo rostro, “che si battevano per una femmina la quale stava accanto
al suo buco tutta in faccende. Essi si spingevano a vicenda col loro rostro, si
abbrancavano e si percuotevano mostrando grandissima rabbia”. Il maschio
più piccolo però “in breve fuggì riconoscendosi vinto”. In
alcuni pochi casi i maschi sono bene acconci per battersi poichè sono
forniti di mandibole dentate molto più grandi che non quelle delle
femmine. Questo è il caso del cervo volante comune (Lucanus cervus),
i maschi del quale escono dallo stato di ninfa una settimana circa prima
dell'altro sesso, cosicchè se ne possono vedere parecchi inseguire la
stessa femmina. In questo periodo impegnano terribili lotte. Avendo il signor
A. H. Davis chiuso due maschi in una scatola con una femmina, il maschio
più grosso pizzicò il più piccolo finchè questo
abbandonò le sue pretese. Un amico mi ha detto che quando era bimbo soleva
mettere insieme due maschi per vederli combattere, ed egli osservava che essi
erano molto più arditi e coraggiosi che non le femmine, come tutti sanno
essere il caso negli animali superiori. I maschi gli stringevano il dito
stretto se loro lo porgeva, ma non seguiva così colle femmine. In molti
Lucanidae, come pure nel summenzionato Leptorhynchus, i maschi sono insetti
più grossi e più forti che non le femmine. I due sessi del Lethrus
cephalotes (uno dei lamellicorni) abitano lo stesso buco, ed il maschio ha
mandibole più grandi che non la femmina. Se durante la stagione degli
amori un maschio straniero tenta di entrare nel buco egli è aggredito;
la femmina non rimane passiva, ma chiude l’ingresso del buco ed anima il suo
compagno spingendolo continuamente di dietro. L’azione non cessa finchè
l’intruso non sia ucciso o fuggito. I due sessi di un altro coleottero
lamellicorne, l’Atheuchus cicatricosus vivono appaiati e sembrano avere
molto affetto l’uno per l’altro; il maschio eccita la femmina a far pallottole
di letame nelle quali si depositano le uova; e se essa viene tolta via, egli
diviene molto inquieto. Se si toglie il maschio, la femmina cessa ogni lavoro,
ed il signor Brulerie crede che rimane sul luogo finchè muore.
Le grosse mandibole dei Lucanidae
maschi sono sommamente variabili tanto nella mole quanto nella struttura, e per
questo rispetto rassomigliano alle corna del capo e del torace di molti maschi
dei lamellicorni e degli Staphylinidae. Si può formare una serie
perfetta dai meglio ai peggio provvisti o maschi degeneri. Sebbene le mandibole
del cervo volante comune, e probabilmente di molte altre specie, siano
adoperate come armi efficaci per combattere, è dubbio se il loro grande
volume possa essere a ciò attribuito. Abbiamo veduto che nel Lucanus
elaphus dell’America settentrionale esse sono adoperate per afferrare la
femmina. Siccome sono così appariscenti e così elegantemente
ramificate, mi è talvolta balenato per la mente il sospetto che
potessero essere un ornamento dei maschi, nello stesso modo delle corna del
capo e del torace delle varie specie sopra descritte. Il maschio del Chiasognathus
grantii del Chilì meridionale, bellissimo coleottero appartenente
alla stessa famiglia, ha mandibole enormemente sviluppate; è ardito e
bellicoso; quando è minacciato da ogni parte si volge aprendo le sue
grandi mandibole, ed allo stesso tempo stridula fortemente; ma le sue mandibole
non erano abbastanza forti per pizzicare il mio dito tanto da farmi vera- mente
male.
La scelta sessuale, che implica il
possesso di notevoli forze di percezione e di forti passioni, sembra essere
stata più efficace nei lamellicorni che non in qualunque altra famiglia
di coleotteri. In alcune specie i maschi sono forniti di armi per combattere;
alcune vivono appaiate e mostrano sentire scambievolmente affetto; molti quando
sono eccitati hanno la facoltà di stridere; molti sono muniti di armi
straordinarissime, che servono, da quanto pare, di ornamento; alcuni che sono
diurni hanno colori vivacissimi; ed infine parecchi del coleotteri più
grossi del mondo appartengono a questa famiglia, che Linneo e Fabricio hanno
collocata in capo all’ordine dei coleotteri.
Organi stridulanti. – Coleotteri
appartenenti a molte e grandemente distinte famiglie posseggono questi organi.
Talvolta il suono si può udire alla distanza di parecchi metri, ma non
si può comparare con quello prodotto dagli Ortotteri. La parte che
può chiamarsi la raspa in generale consiste di una superficie stretta e
lievemente rialzata, attraversata da coste parallele finissime, talvolta molto
belle pei loro colori iridescenti, e che hanno sotto il microscopio un aspetto
elegantissimo. In alcuni casi, per esempio, nel Thyphoeus, si può vedere
chiaramente che certe prominenze minutissime, scabre, a foggia di squame, che
coprono tutta la circostante superficie in linee approssimativamente parallele
producono i rialzi della raspa divenendo confluenti e diritte, e nel tempo
stesso più prominenti e lisce. Un rialzo duro in ogni giuntura del corpo,
che in alcuni casi è specialmente modificato all’uopo, serve di
raschiatoio alla raspa. Il raschiatoio è mosso rapidamente su e
giù sulla raspa, od al contrario è la raspa che va giù e
su sul raschiatoio.
Questi organi sono situati in posizioni
molto differenti. Nei becchini (Necrophorus) due raspe parallele stanno sulla
superficie dorsale del quinto segmento addominale, ed ogni raspa è
attraversata, come descrive Landois, da
Molti lamellicorni hanno la
facoltà di stridulare, e gli organi differiscono molto nella posizione.
Alcune specie stridulano rumorosamente, cosicchè quando il signor Francesco
Smith prese un Trox sabulossus, un guardacaccia che stava lì
vicino credette che egli avesse preso un topo; ma non mi venne fatto di
scoprire gli organi propri in questo coleottero. Nel Geotrupes e nel Typhaeus
uno stretto rialzo scorre obliquamente sopra la coscia delle due zampe
posteriori, e questo rialzo ha nel G. stercorarius 84 coste, che vengono
sfregate da una parte specialmente sporgente di uno dei segmenti dell’addome.
Nel Copris Lunaris, quasi affine, una raspa stretta ed eccessivamente
sottile corre lungo il margine suturale delle elitre, con un’altra breve raspa
sotto il margine basale esterno; ma in alcuni altri Coprini la raspa è
situata, secondo Leconte, sulla superficie dorsale dell’addome. Nell’Oryctes
è posta sul pro-pigidio, ed in alcuni altri Dynastini, secondo lo stesso
entomologo, sulla superficie inferiore delle elitre. Infine Westring asserisce
che nell’Omaloplia brunnea la raspa è collocata sul prosterno, e
lo sfregatoio sul metasterno, le parti occupano così la superficie
inferiore del corpo invece della superficie superiore, come nei Longicorni.
Vediamo così che gli organi
stridulanti variano nelle differenti famiglie di coleotteri, meravigliosamente
nella posizione, ma non molto nella struttura. Nella stessa famiglia alcune specie
sono provviste di questi organi, ed alcune ne sono prive. Si comprende questa
diversità, se supponiamo che in origine varie specie facessero un rumore
sibilante e confuso sfregando assieme le parti dure e scabre del loro corpo che
erano al contatto; e che essendo questo rumore in certo modo utile, le
superfici scabre si sviluppassero gradatamente in organi stridulanti regolari.
Alcuni coleotteri movendosi producono oggi, volontariamente o
involontariamente, un rumore confuso, senza avere nessun organo adatto
all’uopo. Il signor Wallace mi informa che l’Euchyrus longimanus (lamellicorne
che ha le zampe anteriori allungatissime nel maschio) “fa, mentre si muove, un
fioco suono sibilante sporgendo e contraendo l’addome; e quando vien preso
produce un suono di grattamento sfregando le sue zampe posteriori contro i
margini delle elitre”. Il suono sibilante è dovuto evidentemente ad una
stretta raspa che scorre lungo il margine suturale di ogni elitra, ed io potrei
del pari produrre quel suono di grattamento sfregando la superficie rugosa del
femore contro il margine granuloso dell’elitra corrispondente; ma non posso qui
rintracciare nessuna vera raspa; nè è probabile che io abbia
potuto non vederla in un insetto tanto grosso. Dopo avere esaminato il Cychrus
e aver letto ciò che Westring ha scritto nelle sue due memorie intorno a
questo coleottero, sembra molto dubbio che egli possegga una vera raspa,
sebbene abbia la facoltà di emettere un suono.
Per l’analogia fra gli Ortotteri e gli
Omotteri, io mi aspettavo di trovare che gli organi stridulanti differissero
nei coleotteri secondo il sesso; ma Landois, il quale ha accuratamente
esaminato varie specie, non osservò una cosiffatta differenza; e neppure
ciò vide Westring, nè il signor G. R. Crotch mentre preparava numerosi
esemplari che ebbe la bontà di spedirmi per esaminarli. Tuttavia sarebbe
molto difficile scoprire ogni lieve differenza sessuale, per la grande
variabilità di questi organi. Così nel primo paio del Necrophorus
humator e del Pelobius che io esaminavo, la raspa era notevolmente
più grande nel maschio che non nella femmina; ma non così nei
susseguenti esemplari. Nel Geotrupes stercorarius la raspa mi sembrava
più fitta, più opaca e più prominente nei tre maschi che
non nello stesso numero di femmine; in conseguenza mio figlio, il signor F.
Darwin, onde scoprire se i sessi differivano nella loro facoltà di
stridulare, raccolse 57 esemplari vivi, che egli separava in due parti,
secondochè producevano, mentre eran tenuti nello stesso modo, più
o meno rumore. Allora esaminò i due sessi, ma trovò che i maschi
erano a un dipresso nella stessa proporzione delle femmine nei due
scompartimenti. Il signor F. Smith ha tenuto vivi moltissimi esemplari del Mononichus
pseudacori (Curculionidae) ed è persuaso che i due sessi stridulano,
e da quanto pare nello stesso grado.
Nondimeno la facoltà di
stridulare è certamente un carattere sessuale di alcuni pochi
coleotteri. Il signor Crotch[23] ha scoperto che i maschi
soli di due specie di Keliopathes (Tenebrionidae) hanno organi stridulanti. Io
ho esaminato cinque maschi dell’H. gibbus, ed in tutti questi vi era una
raspa bene sviluppata, parzialmente divisa in due, sulla superficie dorsale del
segmento addominale terminale; mentre nello stesso numero di femmine non v’era
neppure un rudimento di raspa, poichè la membrana di questo segmento
è trasparente e molto più sottile che non nel maschio. Nell’H.
cribratostriatus il maschio ha una raspa consimile, tranne che non è
divisa parzialmente in due porzioni, e la femmina è al tutto sfornita di
quest’organo; ma inoltre il maschio ha sui margini dell’apice dell’elitre, da
ogni lato della sutura, tre o quattro rialzi longitudinali, che sono
attraversati da finissime coste parallele, e che rassomigliano a quelle della
raspa addominale; non posso dire se questi rialzi facciano ufficio di una raspa
indipendente o facciano da sfregatoio della raspa addominale; la femmina non ha
traccia di quest’ultima struttura.
Parimente nelle tre specie di
lamellicorni del genere Oryctes abbiamo un caso quasi parallelo. Nelle femmine
dell’O. gryphus e nasicornis le costole della raspa del
pro-pigidio sono meno continue e meno distinte che non nei maschi; ma la
differenza principale è che tutta la superficie superiore di questo
segmento, quando si tiene ad una acconcia luce, si vede coperta di peli, che
sono assenti o sono rappresentati nei maschi da una finissima calugine.
Bisognerà notare che in tutti i coleotteri la parte efficace della raspa
è sfornita di peli. Nell’O. Senegalensis la differenza fra i
sessi è più fortemente segnata, e questo si vede meglio quando il
vero segmento è ripulito e osservato al trasparente. Nella femmina tutta
la superficie è coperta di piccole creste separate, coperte di spine;
mentre nel maschio queste creste divengono, andando verso l’apice, sempre
più confluenti, regolari e nude; cosicchè i tre quarti del
segmento sono coperti di finissime coste parallele, che mancano affatto nella
femmina. Tuttavia nelle femmine di tutte le tre specie di Oryctes, quando
l’addome di un esemplare ripulito è spinto su e giù, si può
produrre un lieve suono stridulante.
Nel caso degli Heliopates e degli
Oryctes non vi può essere quasi dubbio che i maschi stridulano per
chiamare od eccitare le femmine; ma in moltissimi coleotteri la stridulazione
serve, a quanto pare, ai due sessi come di un mutuo richiamo. Questa opinione
non diviene improbabile pel fatto che i coleotteri stridulano quando sono in
preda a varie emozioni; sappiamo che gli uccelli adoperano la loro voce per
molti scopi oltre a quello di cantare per la propria compagna. Il grosso
Chiasognathus stridula per rabbia e per diffidenza; molte specie fanno lo
stesso per sgomento o timore, quando son tenute per modo che non possano
fuggire; i signori Wollaston e Crotch riuscirono, battendo i cavi rami degli
alberi delle isole Canarie, a scoprire la presenza dei coleotteri appartenenti
al genere Acalles dalla loro stridulazione. Infine, l’Ateuchus maschio stridula
per animare la femmina nel suo lavoro, e dal dolore quando gli è rapita.
Alcuni naturalisti credono che i coleotteri fanno questo rumore per spaventare
i loro nemici; ma non credo che quadrupedi ed uccelli che possono divorare i
coleotteri più grossi coperti del loro durissimo invoglio siano
spaventati da un così lieve suono di grattamento. La credenza che la
stridulazione serva come un richiamo sessuale è sostenuta dal fatto che
si sa benissimo come gli oriuoli della morte (Anobium tessellatum) si
rispondono col loro battito, o, come ho osservato io stesso, con un rumore di
percossa fatto artificialmente; ed il signor Doubleday mi apprende che egli ha
osservato due o tre volte una femmina che batteva, e nel corso di un’ora o due
l’ha trovata unita al maschio, e in una occasione circondata da vari maschi.
Finalmente sembra probabile che i due sessi di molte specie di coleotteri
potessero dapprima trovarsi mercè il lieve e confuso suono prodotto
dallo sfregamento delle vicine parti dei loro duri corpi; e che siccome i
maschi o le femmine che facevano un suono più forte riuscirono meglio a
trovarsi compagni, le rugosità delle varie parti del corpo siano andate
man mano sviluppandosi mercè la scelta sessuale in veri organi
stridulanti.
INSETTI, continuazione. – ORDINE LEPIDOPTERA.
Il corteggiare
delle farfalle – Battaglie – Rumore di battito – Colori comuni ai due sessi, o
più brillanti nei maschi – Esempi – Non sono dovuti all’azione diretta
delle condizioni della vita – Colori acconci per servire di protezione – Colori
delle farfalle notturne – Mostra – Poteri percettivi dei lepidotteri –
Variabilità – Cause della differenza di colore fra i maschi e le femmine
– Mimica; farfalle femmine fornite di colori più vivaci che non i maschi
– Colori brillanti dei bruchi – Riassunto e conclusione delle osservazioni
intorno ai caratteri sessuali secondari degli insetti – Comparazione fra gli
uccelli e gli insetti.
In questo grande ordine il punto
più importante per noi è la differenza di colore fra i sessi
della stessa specie, e fra le specie distinte del medesimo genere. Quasi tutto
questo capitolo sarà dedicato a questo argomento; ma farò prima
alcune poche osservazioni intorno ad uno o due altri punti. Parecchi maschi si
veggono sovente inseguire ed affollarsi intorno alla stessa femmina. Il loro
corteggiamento sembra essere una faccenda assai lunga, perchè ho frequentemente
osservato uno o due maschi saltellanti intorno ad una femmina finchè io
mi sentii stanco, senza aver veduto la fine del corteggiamento. Quantunque le
farfalle siano creature tanto fragili e delicate, pure sono battagliere, ed una
Apatura è stata presa colla punta delle ali rotte per un conflitto con
un altro maschio. Il signor Collingwood parlando delle frequenti battaglie fra
le farfalle di Borneo dice: “Esse girano turbinando attorno rapidissimamente, e
sembrano mosse da una grandissima ferocia”. Si conosce il caso di una farfalla,
la Ageronia feronia, che fa un rumore simile a quello prodotto da una
ruota dentata che passa sotto una molla, e che si può udire alla
distanza di qualche metro. A Rio Janeiro io avvertii questo suono solo quando
due di esse si inseguivano tra loro in una corsa irregolare, così
è prodotto probabilmente durante il corteggiare dei sessi; ma trascurai
di badare a questo fatto.
Ognuno ha ammirato la somma bellezza di
molte farfalle diverse è di alcune notturne; e siamo indotti a
domandarci: Come hanno acquistato la loro bellezza? Sono forse i loro colori e
le loro varie fogge l’effetto unico dell’azione diretta delle condizioni
fisiche a cui questi insetti sono stati esposti, senza che nessun utile sia
loro da ciò derivato? Oppure il successivo accumulamento di queste
variazioni ha prodotto sia una protezione o qualche ignoto effetto, o il fatto
che un sesso potesse divenire più attraente all’altro? E, parimente,
quale è il motivo per cui i colori sono tanto differenti nei maschi e
nelle femmine di certe specie, e sono simili nei due sessi delle altre specie?
Prima di tentar di rispondere a queste domande fa d’uopo esporre un certo
numero di fatti.
In molte delle nostre farfalle inglesi,
tanto quelle che sono belle come la Vanesse (Vanessae), e quelle che hanno
colori poco brillanti, come le Ipparchie (Hipparchiae), i sessi sono uguali.
Questo è pure il caso colle bellissime Heliconidae e Danaidae dei
tropici. Ma in certi altri gruppi tropicali ed in alcune delle nostre farfalle
inglesi, come la Apatura iris e l’Anthocharis cardamines, i sessi
differiscono moltissimo o lievemente nel colore. Nessuna parola può
descrivere lo splendore dei maschi di alcune specie tropicali. Anche nello
stesso genere sovente troviamo specie che presentano una straordinaria
differenza fra i sessi, mentre altre hanno i sessi al tutto simili. Così
nel genere Epicalia dell’America meridionale, il signor Bates, al quale vado
debitore della maggior parte dei fatti seguenti e dell’aver riveduto tutto
questo ragionamento, mi informa che egli conosce dodici specie di cui i due
sessi frequentano gli stessi luoghi (e questo non è sempre il caso nelle
farfalle), e quindi non possono aver sopportato differenze per l’azione delle
condizioni esterne. In nove di queste specie i maschi sono considerati come le
più brillanti fra tutte le farfalle, e differiscono tanto dalle
comparativamente sbiadite loro femmine che dapprima furono allogati in generi
distinti. Le femmine di queste nove specie si rassomigliano nel tipo generale
del colorito, e parimente rassomigliano ai due sessi di parecchi generi affini
che si trovano nelle varie parti del mondo. Quindi secondo la teoria
dell’origine possiamo dedurre che queste nove specie, e probabilmente tutte le
altre del genere, sono discese da un antenato che era colorito a un dipresso
nello stesso modo. Nella decima specie la femmina conserva ancora lo stesso
colorito generale, ma il maschio le rassomiglia, cosicchè esso è
colorito meno brillantemente e in modo più vario che non i maschi delle
specie precedenti. Nella specie undicesima e dodicesima le femmine si
allontanano dal tipo del colorito che è solito al loro sesso in questo
genere, perchè sono più brillantemente decorate quasi nella
stessa maniera dei maschi, ma in grado alquanto minore. Quindi in queste due
specie i colori vivaci dei maschi sembrano essere stati trasferiti alle
femmine, mentre il maschio della decima specie ha conservato o riacquistato i
colori sbiaditi della femmina e del primo fondatore del genere; rimanendo così
i due sessi nei due casi, sebbene in modo diverso, quasi uguali. Nel genere
affine Eubagis i due sessi di alcune specie hanno colori comuni e quasi simili,
mentre nel maggior numero i maschi sono ornati di belle tinte metalliche in
vario modo e differiscono molto dalle loro femmine. In tutto il genere le
femmine conservano lo stesso stile generale di coloramento, cosicchè per
solito si rassomigliano molto più di quello che rassomiglino ai loro
propri maschi.
Nel genere Papilio tutte le specie del
gruppo Æneas sono notevoli pei loro splendidi e molto contrastati colori,
e danno una prova della frequente tendenza alla graduazione nel complesso delle
differenze fra i sessi. In alcune specie, per esempio, nel P. ascanius, i
maschi e le femmine sono uguali; in altre i maschi sono un tantino o moltissimo
meglio colorati che non le femmine. Il genere Junonia affine alle nostre
Vanesse offre un caso quasi consimile, perchè quantunque i sessi della
maggior parte delle specie si rassomiglino fra loro e manchino di splendidi colori,
tuttavia in certe specie, come nel J. aenone, il maschio è
piuttosto meglio colorito che non la femmina, ed in pochi casi (per esempio
nella J. andremiaja) il maschio differisce tanto dalla femmina che
può essere preso in sbaglio come specie al tutto distinta.
Un altro caso notevole che mi fu fatto
osservare nel Museo Britannico dal signor A. Butler è quello delle
Theclae dell’America tropicale, in cui i due sessi sono quasi uguali e sono
meravigliosamente splendidi; in un’altra il maschio ha colori parimente
brillanti, mentre tutta la superficie superiore della femmina è di un
bruno smorto uniforme. La nostra farfallina inglese azzurra del genere Lycaena
dimostra le varie differenze di colore fra i sessi, quasi tanto, sebbene meno
notevolmente, quanto il genere esotico sopra citato. Nella Lycaena agestis i
due sessi hanno ali di un colore bruno orlate di macchiettine ocellate color
arancio, e sono quindi simili. Nella L. oegon le ali del maschio sono di
un bell’azzurro, marginate di nero; mentre le ali della femmina sono brune, con
un’orlatura simile, e rassomigliano strettamente a quelle della L. agestis.
Infine nella L. arion i due sessi sono di un color azzurro quasi simile,
sebbene nella femmina l’apice delle ali sia piuttosto più oscuro, colle
macchie nere più sbiadite; ed in una bellissima specie azzurra indiana i
due sessi sono ancor più intimamente somiglianti.
Ho citato i casi precedenti con
qualche particolare onde dimostrare prima di tutto che quando i sessi delle
farfalle differiscono, in regola generale il maschio è il più
bello, e si discosta maggiormente dal tipo consueto di coloramento del gruppo a
cui appartiene la specie. Quindi in moltissimi scompartimenti le femmine delle
varie specie si rassomigliano molto più fra loro di quello che facciano
i maschi. Tuttavia in alcuni casi eccezionali, di cui parlerò in
seguito, le femmine hanno colori più splendidi che non i maschi. In
secondo luogo questi casi sono stati menzionati per mettere con evidenza
innanzi alla mente che nello stesso genere i due sessi sovente presentano ogni
graduazione dalla nessuna differenza di colore ad una cosiffatta differenza che
ci volle molto tempo prima che gli entomologi collocassero i due sessi nello
stesso genere. In terzo luogo abbiamo veduto che quando i sessi quasi si
rassomigliano, ciò può, da quanto pare, venire attribuito sia a
questo, che il maschio ha trasmesso i suoi colori alla femmina, o a ciò,
che il maschio ha conservato o forse riacquistato i primitivi colori del genere
al quale appartiene la specie. Merita anche di essere notato che in questi
gruppi in cui i sessi presentano qualche differenza di colore le femmine
sogliono rassomigliare ai maschi fino ad un certo punto, cosicchè quando
i maschi sono straordinariamente belli le femmine quasi sempre presentano una
certa bellezza. Dai numerosi casi di gradazione nel complesso della differenza
fra i sessi, e dalla prevalenza dello stesso tipo generale di colorazione in
tutto lo stesso gruppo, possiamo conchiudere che le cause, qualunque esse
possano essere, che hanno prodotto i colori brillanti del maschio solo di
alcune specie, e dei due sessi in un grado più o meno uguale in altre
specie, sono state in generale le stesse.
Siccome tante belle farfalle abitano i
tropici, è stato creduto che esse debbano i loro colori al gran calore
ed alla umidità di queste zone; ma il signor Bates ha dimostrato,
comparando i vari gruppi d’insetti strettamente affini delle regioni temperate
e tropicali, che questo modo di vedere non può essere considerato come
vero; e l’evidenza diviene concludente quando si veggono i maschi coperti di
brillanti colori e le femmine con colori smorti delle stesse specie che abitano
il medesimo distretto, vivono dello stesso cibo, e conducono esattamente il
medesimo genere di vita. Anche quando i sessi si rassomigliano, noi non
possiamo quasi credere che i loro splendidi e così ben disposti colori
siano l’effetto senza scopo della natura dei loro tessuti e dell’azione delle
circostanti condizioni.
Con ogni sorta di animali,
ogniqualvolta il colore è stato modificato per qualche fine speciale,
ciò è seguito, almeno per quello che ci è dato giudicare,
per servire o di protezione o di attrattiva fra i sessi. In molte specie di
farfalle le superfici superiori nelle ali hanno colori oscuri e questo, secondo
ogni probabilità, dà loro la facoltà di poter sfuggire
all’osservazione ed al pericolo. Ma quando le farfalle si posano, allora
andrebbero soggette ad essere aggredite dai loro nemici; e quasi tutte le
specie quando si riposano rialzano le loro ali verticalmente sul dorso,
cosicchè le parti più basse sole sono esposte alla vista. Quindi
è questa parte che in molti casi è evidentemente colorita per
modo da imitare le superfici sulle quali questi insetti sogliono posare. Il
dottor Rössler, credo, notò pel primo la rassomiglianza delle ali chiuse
di certe Vanesse e di altre farfalle colla corteccia degli alberi. Si possono
citare all’uopo molti fatti analoghi e notevoli. Il più interessante
è quello riferito dal signor Wallace di una farfalla comune indiana e di
Sumatra (Kallima), che scompare come per incanto appena si posa sopra un
cespuglio; perchè nasconde il capo e le antenne sotto le ali chiuse, e
queste non possono nè per la forma, nè pel colore, nè per
le venature, essere distinte da una foglia secca munita del suo picciuolo. In
alcuni altri casi la superficie inferiore delle ali è brillantemente
colorita, e tuttavia questi colori servono di protezione; così nella Thecla
rubi le ali quando son chiuse hanno un colore verde-smeraldo e rassomigliano
alle giovani foglie del rovo, sul quale questa farfalla suole posarsi sovente
in primavera.
Quantunque le oscure tinte della
superficie superiore ed inferiore di molte farfalle servano senza dubbio a
nasconderle, tuttavia non possiamo già estendere questo modo di vedere
ai colori brillanti e appariscenti di molte specie, come per esempio nelle
nostre Vanesse, nelle farfalle bianche Cavolaie (Pieris), o nel grande Papilio
che gira sopra gli aperti terreni paludosi, perchè queste farfalle
divengono così visibili ad ogni creatura vivente. In queste specie i due
sessi sono simili; ma nella farfalla comune Gonepteris rhamni il maschio
è di un giallo intenso, mentre la femmina è assai più
pallida, e nell’Anthocharis cardamines i maschi soli hanno l’apice delle
ali tinte d’un bell’arancio. In questo caso al pari dei maschi le femmine sono
pure bellissime, e non si può credere che la loro differenza di colore
abbia una qualche relazione colla ordinaria protezione. Nondimeno è
possibile che i colori vivaci di molte specie possano essere indirettamente
benefici, come spiegheremo più innanzi, facendo notare ai loro nemici
che non sono buoni da mangiare. Anche in questo caso non si può
certamente dedurre che i loro vivaci colori e le loro belle fogge siano
acquistate per questo scopo speciale. In alcuni altri casi notevoli la bellezza
può venire acquistata per scopo di protezione mercè l’imitazione
delle altre belle specie che abitano le stesse regioni e vanno immuni dalle
aggressioni essendo in certo modo offensive ai loro nemici.
La femmina della nostra farfalla
Anthocaris cardamines dall’apice aranciato sopra menzionata e quella di una
specie americana (Anth. genutia) ci dimostrano probabilmente, come il
signor Walsh mi ha fatto osservare, i colori primitivi delle specie originarie
del genere, perchè i due sessi di quattro o cinque specie ampiamente
diffuse sono coloriti quasi nello stesso modo. Noi qui possiamo dedurre, come
in vari altri casi precedenti, che è il maschio dell’Anth. cardamines
e quello della genutia che si sono scostati dal tipo comune di
coloramento del loro genere. Nella Anth. sara della California l’apice
delle ali color arancio si è parzialmente sviluppato nella femmina,
perchè le sue ali sono sull’apice color arancio rossiccio, ma più
pallido che non nel maschio, e lievemente differenti per alcuni altri rispetti.
In una forma affine, l’Iphias glaucippe, i colori aranciati dell’apice
delle ali sono pienamente sviluppati nei due sessi. In questa Iphias la
superficie inferiore delle ali rassomiglia meravigliosamente, come mi ha fatto
osservare il signor A. Butler, ad una foglia di color pallido; e nella nostra
farfalla aranciata inglese, Anthocaris cardamines, la superficie
inferiore rassomiglia al fiore del prezzemolo selvatico sul quale va a
riposarsi la notte. La stessa ragione che ci spinge a credere che le superfici
inferiori siano state in questo caso colorite per servire di protezione, ci fa
negare che le ali siano state tinte all’apice di arancio brillante,
specialmente quando questo carattere è particolare ai soli maschi per
questo medesimo scopo.
Veniamo ora alle farfalle notturne: la
maggior parte di queste rimangono immobili colle ali depresse quasi tutto il
giorno o la massima parte di esso; e la superficie superiore delle loro ali
è sovente ombreggiata e colorita in modo meraviglioso, siccome osserva
il signor Wallace, onde scansare d’essere scoperte. In moltissimi Bombycidae e
Noctuidae, quando si posano, le ali anteriori oltrepassano e nascondono le ali
posteriori; cosicchè queste ultime possono essere brillantemente
colorite senza molto pericolo; e in molte specie di queste due famiglie sono
cosiffattamente colorite. Nel volo le farfalle notturne potrebbero benissimo
sfuggire ai loro nemici; nondimeno siccome allora le ali posteriori sono molto
esposte all’occhio, il loro brillante colorito deve essere stato generalmente
acquistato malgrado qualche piccolo rischio. Ma il fatto seguente ci mostra quanto
dobbiamo essere cauti prima di trarre conclusioni intorno a questo argomento.
Le comuni farfalle del genere Triphaena svolazzano sovente qua e
là durante il giorno o in prima sera, e sono allora vistose pel colore
delle ali posteriori. Si potrebbe naturalmente pensare che ciò possa
essere causa di pericolo; ma il signor J. Jenner Weir crede che attualmente
serve loro come mezzo di scampo, perchè gli uccelli colpiscono quelle
fragili e brillanti superfici invece di battere il corpo. Per esempio, il signor
Weir fece entrare nella sua uccelleria un grosso esemplare della Triphaena
pronuba, che venne sul momento inseguita da un passero; ma l’attenzione
dell’uccello essendo attirata dalle ali colorite, la farfalla non venne fatta
prigioniera se non dopo quasi una cinquantina di tentativi, e piccole porzioni
delle ali vennero ripetutamente rotte. Egli ripetè lo stesso esperimento
all’aria aperta colla T. fimbria e la rondine; ma la grande mole di
questa farfalla le impedì probabilmente di esser presa. Questo ci
rammenta un caso riferito dal signor Wallace, cioè che nelle foreste del
Brasile e nelle Isole Malesi molte farfalle comuni e benissimo dipinte hanno
debole volo, sebbene siano fornite di ali bene espanse; e vengono “sovente
fatte prigioniere colle ali forate e rotte come se fossero state prese dagli
uccelli dai quali erano sfuggite; se le ali fossero state molto più
piccole in proporzione del corpo, sembra probabile che l’insetto sarebbe stato
più spesso colpito o trapassato in una qualche parte vitale, e
così l’accresciuta espansione delle ali può essere stata
indirettamente benefica”.
Mostra. – I colori
vivaci delle farfalle diurne e di alcune notturne sono disposti specialmente
per essere messi in vista, abbiano o non abbiano parte nel servir addizionalmente
di protezione. I colori brillanti non sarebbero visibili di notte; e senza
dubbio le farfalle notturne prese in complesso sono molto meno bene colorite
che non le altre farfalle le quali sono tutte diurne. Ma le notturne di certe
famiglie, come le Zygaenidae, varie Sphingidae, Uranidae, alcune Archidae e
Saturnidae, volano durante il giorno o in prima sera, e molte di queste sono
bellissime, essendo molto più splendidamente dipinte che non le specie
strettamente notturne. Tuttavia si ricordano alcuni pochi casi eccezionali di
specie notturne fornite di brillanti colori.
Vi è un’altra sorta d’esempio
per ciò che riguarda la mostra. Le farfalle, come abbiamo osservato
sopra, alzano le ali mentre riposano, e quando si scaldano al sole, le alzano,
le abbassano alternativamente, esponendo così agli occhi le due
superfici; e sebbene la superficie inferiore sia sovente colorita in un modo
oscuro come se dovesse servire di protezione, tuttavia in molte specie è
tanto bene dipinta quanto la superficie superiore e talora in modo molto
differente. In alcune specie tropicali la superficie inferiore è anche
più splendidamente dipinta che non la superiore.
In una farfalla inglese, l’Argynnis
aglaia, la superficie inferiore sola è ornata di dischi brillanti
argentini. Nondimeno, come regola generale, la superficie superiore, che
è probabilmente la meglio esposta, è dipinta molto più
brillantemente e in un modo più svariato che non la inferiore. Quindi la
superficie inferiore in generale presenta agli entomologi i caratteri
più utili per scoprire le affinità delle varie specie.
Ora se ci volgiamo all’enorme
scompartimento delle farfalle notturne, che non sogliono esporre alla vista la
superficie inferiore delle loro ali, questo lato è rarissimamente,
siccome ho udito dal signor Stainton, dipinto di colori più brillanti
che non il lato superiore o anche di uguale splendore. Si debbono notare alcune
eccezioni a questa regola, reali o apparenti, come quella dell’Hypopyra,
specificata dal signor Wormald. Il signor R. Trimen m’informò che nella
grande opera di Guenée sono figurate tre farfalle notturne nelle quali la
superficie inferiore è molto più brillante. Per esempio, nella
Gastrophora australiana la superficie superiore delle ali anteriori è di
un colore ocra-grigio-pallido, mentre la superficie inferiore è
magnificamente ornata di un ocello di azzurro cobalto, collocato nel mezzo di
una macchia nera, circondato di giallo arancio, e questo di
bianco-turchiniccio. Ma i costumi di queste tre farfalle notturne sono ignoti;
cosicchè non si può dare nessuna spiegazione del loro insolito
colorimento. Il signor Trimen pure m’informa che la superficie inferiore delle
ali di certe altre Geometrae e Noctuae quadrifide è o più
variegata o più brillantemente colorita che non la superficie superiore;
ma alcune di queste specie hanno il costume di “tenere le ali al tutto alzate
sul loro dorso, mantenendole in questa posizione per un certo tempo”, e
così espongono in vista la superficie inferiore. Altre specie quando si
posano sul terreno o sull’erba sogliono di quando in quando alzare
repentinamente un tantino le ali. Quindi la superficie inferiore delle ali
essendo più brillantemente colorita che non la superficie superiore in
certe farfalle notturne, non è una circostanza così anomala come
pare a bella prima. Le Saturnidae comprendono alcune delle più belle
farfalle notturne, essendo le loro ali ben dipinte come nella nostra farfalla
notturna inglese la Saturnia, con fini ocelli, e il signor T. W. Wood osserva
che rassomigliano alle farfalle diurne per alcuni loro movimenti: “per esempio,
nel dolce movimento alternante delle ali, come per metterle in mostra, che
è più caratteristico dei lepidotteri diurni che non dei
notturni”.
È un fatto singolare che nessuna
farfalla notturna inglese, nè, per quanto io abbia potuto accorgermi,
quasi nessuna specie forestiera, che sia brillantemente colorita, differisce
molto nel colore secondo il sesso; sebbene ciò segua in molte brillanti
farfalle diurne. Tuttavia, il maschio di una farfalla notturna americana, la Saturnia
Io, è descritto siccome avente le ali anteriori di un giallo oscuro,
curiosamente segnate di macchie rosso-porpora; mentre le ali della femmina sono
color bruno-porpora, segnate di linee grige. Le farfalle notturne inglesi che
differiscono sessualmente nel colore sono tutte brune, o di varie tinte di
giallo-smorto, o quasi bianco. In parecchie specie i maschi sono molto
più scuri che non le femmine e queste appartengono ai gruppi che volano
generalmente al pomeriggio. D’altra parte, in molti generi, siccome mi disse il
signor Stainton, i maschi hanno le ali posteriori più bianche che non
quelle della femmina, e di questo fatto l’Agrotis exclamationis presenta
un buon esempio. I maschi divengono così più appariscenti che non
le femmine, mentre volano nell’oscurità. Nello Hepialus humuli la
differenza è ancor più fortemente segnata; essendo i maschi
bianchi e le femmine gialle con macchie più scure. È difficile
concepire quale sia lo scopo di queste differenze fra i sessi nelle sfumature
di chiaro e scuro; ma non possiamo quasi supporre che siano l’effetto di
semplice variabilità con eredità sessualmente limitata,
indipendentemente da qualunque utilità che ne potesse derivare.
Dai fatti riferiti sopra è
impossibile ammettere che i colori brillanti delle farfalle diurne e di alcune
poche notturne siano stati ottenuti comunemente pel fine di servir di
protezione. Quindi sono indotto a supporre che in generale le femmine
preferiscano, o siano più eccitate dai maschi più brillanti;
perchè supponendo altrimenti i maschi sarebbero così bene ornati,
per quanto ci è dato vedere, senza uno scopo. Sappiamo che le formiche e
certi coleotteri lamellicorni possono sentire affetto reciproco, e che le
formiche riconoscono le loro compagne dopo un intervallo di parecchi mesi.
Quindi non v’ha nessuna improbabilità astratta in ciò che i
lepidotteri, i quali stanno probabilmente accanto o allo stesso punto della
scala con quegli insetti, abbiano sufficiente capacità mentale per
ammirare i colori brillanti. Essi certo scoprono i fiori pel loro colore, e,
siccome ho già dimostrato, le piante che sono esclusivamente fecondate
mercè il vento non hanno mai la corolla vagamente colorita. La Sfinge
uccello-mosca si vede sovente piombare da una certa distanza sopra un cespo
fiorito in mezzo al fogliame verde; ed un amico mi ha assicurato che queste
farfalle notturne visitavano ripetutamente i fiori dipinti sopra le pareti
d’una stanza nel mezzogiorno della Francia. La farfalla comune bianca, come ho
udito dal signor Doubleday, sovente volando si posa sopra un pezzetto di carta
sul terreno, scambiandolo senza dubbio per uno della sua propria specie. Il
signor Collingwood parlando della difficoltà di raccogliere certe
farfalle dell’Arcipelago malese, asserisce che “un esemplare morto infilzato
sopra una verghetta appariscente fermava sovente un insetto della stessa specie
nel suo lungo volo, portandolo a tiro della rete; specialmente se del sesso
opposto”.
Il corteggiare delle farfalle
è una faccenda lunga. Talora i maschi combattono per rivalità; e
si veggono molti inseguire od affollarsi intorno alla stessa femmina. Se allora
le femmine non preferiscono un maschio od un altro, l’accoppiamento deve
rimanere in balia del caso, e questo non mi pare un evento probabile. D’altra
parte, se le femmine solitamente o anche eventualmente preferiscono i maschi
più belli, i colori degli ultimi saranno divenuti man mano più
brillanti, e saranno stati trasmessi ai due sessi o ad un sesso, secondo che
prevalse la legge di eredità. Il processo della scelta sessuale
sarà stato molto agevolato, se le conclusioni cui siamo venuti dalle
varie sorta di prove riferite nel Supplemento del Capitolo IX sono accettabili,
cioè che i maschi di molti Lepidotteri, almeno allo stato di insetto
perfetto, eccedono molto in numero le femmine.
Tuttavia certi fatti si oppongono alla
credenza che le farfalle femmine preferiscano i maschi più belli;
così, siccome sono stato assicurato da parecchi osservatori, si veggono
sovente femmine giovani accoppiarsi con maschi indeboliti, scoloriti e
impolverati; ma questa è una circostanza che non può quasi
mancare di seguire pel fatto che i maschi escono dal bozzolo prima delle
femmine. Nelle farfalle notturne della famiglia di Bombycidae i sessi si
accoppiano immediatamente dopo di aver preso lo stato di insetto perfetto;
perchè non possono mangiare, per la condizione rudimentale della loro
bocca. Le femmine, come mi fecero osservare molti entomologi, giacciono in uno
stato di torpore, e non sembrano per nulla mostrare la minima scelta rispetto
ai loro compagni. Ciò segue nel filugello comune (B. mori), come
mi fu detto da alcuni allevatori inglesi e continentali. Il dott. Wallace, il
quale ha avuto una così immensa esperienza nell’allevamento del Bombyx
cynthia, è convinto che le femmine non mostrano nessuna scelta
nè preferenza. Egli ha tenuto circa 300 di queste farfalle notturne vive
insieme, ed ha trovato spesso che le femmine più vigorose si uniscono
con maschi infiacchiti. Sembra che di rado l’opposto abbia luogo;
perchè, siccome egli crede, i maschi più robusti lasciano in
disparte le femmine deboli, mentre sono attratti da quelle dotate di maggiore
vitalità.
Quantunque siamo stati indirettamente
indotti a credere che le femmine di molte specie preferiscono i maschi
più belli, non ho ragione per supporre che i maschi sia delle farfalle
notturne come delle diurne siano attirati dalla bellezza delle femmine. Se le
femmine più belle fossero state preferite continuamente, è quasi
certo, pel fatto che i colori delle farfalle sono così spesso trasmessi
ad un sesso solo, che le femmine sarebbero divenute più belle che non i
loro compagni maschi. Ma questo non segue tranne in pochi casi; e ciò
non può essere spiegato, come vedremo in breve, col principio della
imitazione e della protezione.
Siccome la scelta sessuale dipende
prima di tutto dalla variabilità, si potrà aggiungere qualche parola
intorno a questo argomento. Riguardo al colore non v’ha difficoltà,
perchè si possono menzionare un numero qualunque di Lepidotteri molto
variabili. Basterà un esempio bene evidente. Il signor Bates mi mostra
tutta una serie di esemplari del Papilio sesostris e childrenae;
nell’ultimo i maschi variavano molto nella estensione delle macchie verdi
vagamente smaltate delle ali posteriori; cosicchè eravi un gran
contrasto fra i maschi più o meno bene dipinti. Il maschio del Papilio
sesostris, sebbene sia un bell’insetto, è molto meno bello che non
il P. childrenae. Varia parimente un tantino nella mole della macchia
verde delle ali anteriori, e nella eventuale apparenza di una piccola striscia
cremisina sulle ali posteriori, presa, da quanto pare, dalla propria femmina;
perchè le femmine di queste e di molte altre specie del gruppo degli
Aenaes posseggono questa striscia cremisina. Quindi fra gli esemplari
più brillanti del P. sesostris ed i meno brillanti del P. childrenae
vi era solo un piccolo intervallo; ed era evidente che, per quello che riguarda
la sola variabilità, non vi doveva essere difficoltà
nell’accrescer permanentemente mercè la scelta la bellezza dell’una e
dell’altra specie. In questo caso la variabilità è quasi limitata
al sesso mascolino; ma il signor Wallace ed il signor Bates hanno dimostrato
che le femmine di alcune altre specie sono sommamente variabili, mentre i
maschi sono a un dipresso costanti. Siccome ho menzionato lo Hepialus humuli
come uno dei migliori esempi in Inghilterra di una differenza di colore fra i
sessi delle farfalle notturne, si può con ragione soggiungere che nelle
isole Shetland si trovano frequentemente maschi che rassomigliano molto alle
femmine. In un prossimo capitolo avrò occasione di mostrare che le belle
macchie ocellate, tanto comuni sulle ali di molti Lepidotteri, sono sommamente
variabili.
In ogni modo, quantunque si
possano addurre molte serie obiezioni, sembra probabile che la maggior parte
delle specie di Lepidotteri brillantemente coloriti vadano debitori dei loro
colori alla scelta sessuale, tranne in certi casi, che menzioneremo ora, nei
quali i colori appariscenti servono di protezione. In tutto il regno animale
l’ardore del maschio lo spinge, in generale, ad accettare qualunque femmina;
quindi è la femmina che suole esercitare una scelta. Perciò se la
scelta sessuale è stata in azione, il maschio, quando i sessi
differiscono, deve essere dei due il meglio colorito; e senza dubbio questa
è la regola ordinaria. Quando i sessi sono brillantemente coloriti e si
rassomigliano, i caratteri acquistati dai maschi sembrano essere stati
trasmessi ai due sessi. Ma basterà questa spiegazione della somiglianza
e dissomiglianza dei colori fra i sessi?
Si sa che i maschi e le femmine delle stesse specie di farfalle abitano
in molti casi in luoghi differenti, i primi comunemente stanno scaldandosi al
sole, e le ultime vanno in giro nelle cupe foreste. È quindi possibile
che le varie condizioni di vita possano avere esercitato un’azione diretta
sopra i due sessi; ma questo non è probabile, perchè allo stato
adulto sono esposti per un brevissimo tempo a condizioni differenti; e le larve
dei due sessi vivono nelle medesime condizioni. Il sig. Wallace crede che i
colori meno appariscenti della femmina siano stati specialmente acquistati in
tutti o in quasi tutti i casi per servir di protezione. Invece a me pare
più probabile che i maschi soli, nel più gran numero dei casi,
abbiano acquistato i loro vivaci colori mercè la scelta sessuale, e le
femmine siano rimaste senza grandi modificazioni. In conseguenza le femmine di
specie distinte ma affini debbono rassomigliarsi molto più intimamente
che non i maschi delle stesse specie; e questa è la regola generale. In
tal modo le femmine ci fanno conoscere approssimativamente il primitivo
coloramento delle specie originarie del gruppo cui appartengono. Tuttavia esse
sono state quasi sempre modificate fino a un certo punto da qualche successivo
stadio di variazione, e mercè l’accumulamento e la trasmissione di essa
i maschi sono divenuti più belli. I maschi e le femmine di specie affini
ma distinte saranno stati generalmente esposti durante il loro lungo stato di
larva a condizioni differenti, e possono quindi aver sopportato qualche
indiretta alterazione; sebbene nei maschi ogni più lieve mutamento di
colore cagionato in tal modo sarà stato compiutamente velato dalle tinte
brillanti ottenute per opera della scelta sessuale. Quando parleremo degli
uccelli avrò da ragionare intorno a tutta la questione se le differenze
nel colore fra i maschi e le femmine siano state in parte specialmente ottenute
da queste ultime per servire a proteggerle; cosicchè qui non darò
che alcuni inevitabili particolari.[24]
In tutti i casi in cui avesse prevalso
la forma più comune di uguale eredità nei due sessi, la scelta
dei maschi dai vivaci colori avrebbe avuto una tendenza a produrre femmine
vivacemente colorite; e la scelta delle femmine dai colori smorti avrebbe
prodotto maschi di colore smorto.[25] Se i due processi
avessero progredito simultaneamente, essi avrebbero avuto una tendenza a
neutralizzarsi a vicenda. Per quanto io posso vedere, sarebbe sommamente
difficile mutare mercè la scelta una forma di eredità nell’altra.
Ma per la scelta e le successive variazioni, che erano dapprima limitate
sessualmente nella loro trasmissione, non avrebbe dovuto esservi la
benchè minima difficoltà nel dare colori brillanti ai soli
maschi, e contemporaneamente o susseguentemente colori smorti alle sole
femmine. In quest’ultimo modo le femmine delle farfalle diurne o notturne
possono, ciò che ammetto pienamente, essere divenute meno appariscenti
per lo scopo della protezione, e molto differenti dai loro maschi.
Il sig. Wallace ha ragionato molto
fortemente in favore dell’opinione che quando i sessi differiscono, la femmina
è stata specialmente modificata allo scopo di protezione; e che
ciò siasi operato con una forma di eredità, cioè la
trasmissione dei caratteri ai due sessi, essendo poi stata mutata per l’azione
della scelta naturale nell’altra forma, cioè la trasmissione ad un sesso
solo. Io fui dapprima molto propenso ad accettare questa opinione; ma quanto
più sono andato studiando le varie classi di tutto il regno animale,
tanto meno mi parve probabile. Il sig. Wallace dice che i due sessi delle Heliconidae,
delle Danaidae, delle Acraeidae sono parimente brillanti,
perchè entrambi sono protetti dalle aggressioni degli uccelli e di altri
nemici dal loro odore ributtante; ma che in altri gruppi, che non posseggono
questa immunità, le femmine sono divenute poco appariscenti
perchè hanno maggior bisogno di essere protette che non i maschi. Questa
supposta differenza nel “bisogno di protezione dei due sessi” è
piuttosto illusoria e richiede qualche discussione. È evidente che gli
individui brillantemente coloriti, sia maschi o femmine, debbono attirare
ugualmente l’attenzione dei loro nemici, come gli individui dai colori smorti
debbono ugualmente sfuggir loro. Ma noi ci occupiamo degli effetti della
distruzione o conservazione di certi individui di ogni sesso sul carattere
della razza. Negli insetti, dopo che il maschio ha fecondato la femmina, e dopo
che questa ha deposto le uova, la maggiore o minore immunità dal pericolo
in ambo i sessi non può avere nessun effetto sulla prole. Prima che i
sessi abbiano compiuto le loro proprie funzioni, se vivono in numero uguale e
se sono strettamente appaiati (tutte le altre circostanze essendo le stesse),
la conservazione dei maschi e delle femmine sarà ugualmente importante
per l’esistenza delle specie e pel carattere della prole. Ma in moltissimi
animali, come si sa essere il caso nel filugello domestico, il maschio
può fecondare due o tre femmine; cosicchè la distinzione dei
maschi non sarebbe tanto nocevole alla specie quanto quella delle femmine.
D’altra parte il dottor Wallace crede che nelle farfalle notturne la prole di
una seconda e terza fecondazione possa essere più debole, e quindi non
abbia probabilità di vivere. Quando i maschi sono in molto maggior
numero che non le femmine, senza dubbio molti maschi possono essere distrutti
senza danno della specie; ma non comprendo come gli effetti della scelta
ordinaria, per lo scopo della protezione, possano sentire l’azione del fatto
che i sessi siano in numero disuguale; perchè la stessa proporzione
degli individui più appariscenti, siano maschi o femmine, sarebbe
probabilmente distrutta. Se invero i maschi presentassero una maggiore cerchia
di variazione nel colore, l’effetto sarebbe differente; ma qui non è il
caso di tener dietro a questi complessi particolari. In ogni modo non posso
scorgere che la disuguaglianza nel numero dei due sessi possa influire in
qualche grado un po’ spiccato sugli effetti della scelta ordinaria sul carattere
della prole.
Le femmine dei lepidotteri richiedono,
come afferma il dottor Wallace, alcuni giorni per deporre le loro uova
fecondate e cercare un luogo acconcio; durante questo periodo (mentre la vita
del maschio non ha importanza) le femmine dai colori vivaci sono esposte a
molti rischi e van soggette ad essere distrutte. D’altra parte le femmine dai
colori smorti sopravviverebbero, e così si può credere che
avrebbero un’azione assai spiccata sul carattere delle specie – sia nei due
sessi od in un solo, secondo la forma di eredità prevalente. Ma non
bisogna dimenticare che i maschi escono dalla crisalide alcuni giorni prima che
non le femmine, e durante questo tempo, mentre le femmine non nate ancora sono
al sicuro, i maschi dai colori vivaci sarebbero esposti al pericolo, e la
eliminazione dei colori appariscenti non avrebbe maggior effetto per un sesso
che non per l’altro.
È una considerazione più
importante quella che le femmine dei lepidotteri, siccome osserva il signor
Wallace, e che ogni raccoglitore conosce, volano in generale più
lentamente che non i maschi. In conseguenza questi ultimi, se pei loro vivaci
colori corrono maggior pericolo, possono bensì sfuggire meglio ai loro
nemici, mentre le femmine colorite come essi verrebbero distrutte; e
così le femmine avrebbero maggiore azione nel modificare i colori della
loro prole.
Vi è pure un’altra
considerazione: i colori brillanti, per ciò che riguarda la scelta
sessuale, non sono comunemente di nessuna utilità alle femmine;
cosicchè se le ultime variarono in splendidezza, e le variazioni furono
limitate sessualmente nella loro trasmissione, ha dovuto dipendere dal semplice
caso se le femmine sono state più brillantemente colorite; e ciò
avrebbe condotto a diminuire in tutto l’ordine il numero delle specie colle
femmine vivacemente colorite in confronto delle specie che hanno maschi dai
colori vivaci. D’altra parte, siccome si suppone che i colori brillanti siano
molto utili ai maschi nelle loro lotte amorose, i maschi più belli (come
vedremo nel capitolo degli uccelli), quantunque esposti ad un maggiore
pericolo, a calcolo fatto avrebbero prodotto un numero maggiore di figli che
non le specie dai colori smorti. In questo caso, se le variazioni si limitavano
nella loro trasmissione al sesso maschile, i maschi soli sarebbero divenuti
più brillantemente coloriti; ma se le variazioni non fossero state
così limitate, la conservazione e l’aumento di cosiffatte variazioni
sarebbero venuti da ciò che maggior danno ne sarebbe potuto derivare
alle specie dalle femmine divenute più appariscenti, che non bene ai
maschi dal fatto che certi individui fossero più fortunati dei loro
rivali.
Siccome non si può quasi
dubitare che i due sessi di molte farfalle diurne e notturne abbiano acquistato
colori smorti a fine di esser protetti, così può essere
seguìto per le femmine sole di alcune specie nelle quali le successive
variazioni verso il colore smorto comparvero prima nel sesso femminile e
vennero dapprima limitate nella loro trasmissione allo stesso sesso. Senza
questa limitazione i due sessi sarebbero divenuti entrambi di color smorto.
Vedremo fra breve, trattando della imitazione, che le femmine sole di certe
farfalle diurne sono divenute sommamente belle per lo scopo della protezione,
senza che nessuna delle successive variazioni protettrici sia stata trasmessa
al maschio, al quale non è possibile che fossero state per nulla
dannose, e quindi non sarebbero state eliminate mercè l’opera della
scelta naturale. Solo quando conosceremo la storia della vita di ogni specie
potremo decidere definitivamente se in ogni specie particolare, in cui i sessi
differiscono nel colore, sia la femmina che abbia sopportato speciali
modificazioni per un fine di protezione, o se sia il maschio il quale sia stato
specialmente modificato per lo scopo della attrattiva sessuale, mentre la
femmina conserva il suo primitivo colorito solo leggermente mutato per le
azioni sopra menzionate; o se pure i due sessi siano stati modificati, la
femmina per essere protetta e il maschio per divenire più attraente.
Senza una prova ben evidente, non sono
disposto ad ammettere che un doppio processo di scelta sia andato procedendo
per un pezzo in molte specie – i maschi divenendo sempre più brillanti
vincendo i loro rivali, e le femmine acquistando colori sempre più smorti
per aver potuto sfuggire ai nemici. Prenderemo come esempio la farfalla comune
Gonepteryx, che compare solo in primavera innanzi a qualunque altra specie. Il
maschio di questa specie è di un giallo molto più intenso che non
la femmina, sebbene essa sia quasi altrettanto bella; ed in questo caso non
sembra probabile che abbia specialmente acquistato la sua tinta pallida come
protezione, sebbene sia probabile che il maschio abbia acquistato i suoi colori
vivaci come attrattiva sessuale. La femmina della Anthocharis cardamines non
ha le punte delle ali così riccamente tinte di arancio come il maschio,
in conseguenza rassomiglia moltissimo alle farfalle bianche (Pieris) tanto
comuni nei nostri giardini; ma non abbiamo nessuna prova che questa
rassomiglianza le sia di qualche utilità. Al contrario, siccome essa
rassomiglia ai due sessi delle varie specie dello stesso genere che abitano le
diverse parti del mondo, è più probabile che essa abbia
semplicemente conservato molto i suoi colori primitivi.
Vari sono i fatti in appoggio della
conclusione che nel maggior numero dei lepidotteri dai colori vivaci sia il
maschio il quale è stato modificato; i due sessi essendo divenuti
differenti o rassomiglianti fra loro secondo che abbia prevalso una data forma di
eredità. L’eredità è retta da tante leggi o condizioni
ignote, che a noi paiono capricciose nella loro azione; e siam lungi dal
comprendere come segua che in ispecie affinissime i sessi di alcune
differiscono in un grado meraviglioso, mentre i sessi delle altre sono identici
nel colore. Siccome i successivi stadi nel processo della variazione sono
necessariamente tutti trasmessi dalla femmina, possono svilupparsi prontamente
in essa un numero più o meno grande di cosiffatti stadi; e così
noi comprendiamo le frequenti graduazioni da una grande a nessuna differenza
fra i sessi delle specie comprese nel medesimo scompartimento. Questi casi di
graduazione sono troppo comuni per favorire la supposizione che noi ora vediamo
le femmine sottoposte attualmente al processo di transizione perdere la loro
bellezza pel fine di essere protette; perchè abbiamo ogni ragione per
conchiudere che in qualunque tempo il maggior numero di specie sono in una
condizione fissa. Rispetto alle differenze fra le femmine delle specie appartenenti
allo stesso genere o alla stessa famiglia, noi possiamo vedere che dipendono,
almeno in parte, da ciò che le femmine partecipano dei colori dei
rispettivi maschi. Ciò è bene dimostrato in quegli scompartimenti
in cui i maschi sono straordinariamente adorni, perchè le femmine
partecipano in generale in quei gruppi fino ad un certo punto della bellezza
dei loro compagni maschi. Infine noi troviamo di continuo, come abbiamo
già osservato, che le femmine di quasi tutte le specie dello stesso
genere, o anche della stessa famiglia, si rassomigliano fra loro molto
più intimamente nel colore che non i maschi; e questo indica che i
maschi hanno sopportato una somma di modificazioni maggiore che non le femmine.
Imitazioni. – Questo
principio venne per la prima volta dimostrato con somma evidenza dal signor
Bates in uno stupendo lavoro, che sparse un’onda di luce sopra molti oscuri
problemi. Era stato osservato precedentemente che certe farfalle dell’America
meridionale, appartenenti a famiglie al tutto distinte, rassomigliano alle
Heliconidae tanto intimamente in ogni disegno ed in ogni sfumatura di colore,
che non potevano essere distinte se non da un entomologo esperto. Siccome le
Heliconidae sono colorite nel modo loro consueto, mentre le altre si scostano
dal solito coloramento dei gruppi cui appartengono, è chiaro che le
ultime sono le imitatrici, e le Heliconidae le imitate. Il signor Bates
osservava inoltre che le specie imitanti sono comparativamente rare, mentre le
imitate brulicano numerose; le due sorta di farfalle vivono mescolate assieme.
Dal fatto che le Heliconidae, le quali sono insetti belli ed appariscenti, e
tuttavia s’incontrano in tanto numero gl’individui e le specie, egli concluse
che dovevano essere protette dalle aggressioni degli uccelli da qualche
secrezione o da qualche odore; e questa ipotesi è ora stata confermata
da un notevole numero di curiose prove. Da queste considerazioni il sig. Bates
deduce che le farfalle le quali imitano le specie protette hanno acquistato il
loro aspetto attuale meravigliosamente ingannevole mercè la variazione e
la scelta naturale, onde essere scambiate pei generi protetti e sfuggire quindi
al pericolo di essere divorate. Qui non si tenta di dare alcuna spiegazione
intorno ai colori brillanti delle farfalle imitate, ma solo si tratta delle
imitatrici. Dobbiamo considerare i colori delle prime nel medesimo modo
generale, come nei casi precedentemente discussi in questo capitolo. Dopo la
pubblicazione dello scritto del sig. Bates, fatti simili e parimente notevoli
sono stati osservati dal signor Wallace nelle regioni Malesi, e dal sig. Trimen
nell’Africa meridionale.
Siccome alcuni scrittori hanno trovato
molto difficile comprendere come possano essere stati compiuti i primi stadi
nel processo della imitazione mercè la scelta naturale, sarà bene
osservare che il processo probabilmente non è mai cominciato in forme
grandemente dissimili nel colore. Ma in due specie moderatamente simili fra
loro la più intima rassomiglianza può venire in breve compiuta
qualora sia di qualche beneficio; e se la forma imitata si andava in seguito
graduatamente modificando per opera della scelta sessuale o per qualche altro
motivo, la forma imitante avrebbe tenuto dietro alla stessa traccia, e si
sarebbe in tal modo modificata in un grado quasi uguale, cosicchè
avrebbe potuto infine assumere un aspetto od un coloramento al tutto dissimile
da quello degli altri membri dello scompartimento a cui apparteneva. Siccome le
leggere variazioni nel colore non avrebbero bastato in molti casi a rendere una
specie tanto somigliante ad un’altra specie protetta da produrre la
conservazione, sarebbe bene ricordare che molte specie di lepidotteri vanno
soggette a notevoli e repentine variazioni di colore. Alcuni pochi esempi
abbiamo dato in questo capitolo; ma su questo particolare della imitazione si
potrebbero consultare lo scritto originale del sig. Bates e gli scritti del
sig. Wallace.
Nei casi sopramenzionati i due
sessi delle specie imitanti rassomigliano alle specie imitate; ma alle volte la
femmina sola imita una specie brillantemente colorita e protetta che abita lo
stesso distretto. In conseguenza la femmina differisce nel colore dal suo
proprio maschio, ed è quella dei due, circostanza rara ed anomala,
più brillantemente colorita.
In tutte quelle poche specie di
Pieridae in cui la femmina ha colori più belli del maschio, essa imita,
come ricavo dal sig. Wallace, alcune specie protette che abitano la medesima
regione. La femmina del Diadema anomala è di un bel colore
bruno-porpora ed ha quasi tutta la superficie ricoperta di turchino lucido, ed
imita intimamente la Euploaea midamus, “una delle farfalle comunissime
dell’Oriente”; mentre il maschio è color bronzo o bruno-olivastro, con
una sola lieve tinta azzurra sulle parti esterne delle ali. I due sessi di
questo diadema e del D. bolina hanno lo stesso modo di vivere,
cosicchè le differenze nel colore dei due sessi non possono venire
attribuite al fatto di essere esposte a condizioni differenti, anche se questa
spiegazione fosse ammissibile in altri casi.
I casi sopra citati delle farfalle
femmine che sono più vivacemente colorite che non i maschi ci mostrano,
prima di tutto, che hanno avuto luogo certe variazioni allo stato di natura nel
sesso femminile, e sono state esclusivamente o quasi esclusivamente trasmesse
allo stesso sesso; e in secondo luogo, che questa forma di eredità non
è stata determinata dalla scelta naturale. Perchè se noi
asseriamo che le femmine, prima di acquistare colori brillanti per la imitazione
di qualche genere protetto, erano esposte durante ogni stagione per un periodo
più lungo che non i maschi al pericolo; o se noi asseriamo che non
potevano sfuggire tanto velocemente ai loro nemici, possiamo comprendere come
esse sole potevano avere acquistato originariamente, mercè la scelta
naturale e la eredità limitata dal sesso, i loro attuali colori
protettori. Ma eccettuato il principio per cui queste variazioni sono state
trasmesse esclusivamente alla prole femminile, noi non possiamo comprendere la ragione
per cui i maschi hanno conservato i loro colori smorti; perchè non
sarebbe stato per nulla nocevole ad ogni individuo maschio di aver partecipato
ai colori benefici della femmina per mezzo della eredità, e così
aver avuto maggiore probabilità di sfuggire alla distruzione. In uno
scompartimento nel quale i colori vivaci sono tanto comuni come nelle farfalle,
non si può supporre che i maschi abbiano conservato i colori smorti per
la scelta sessuale fatta dalle femmine, le quali avrebbero respinto gli individui
divenuti belli quanto esse medesime. Perciò possiamo conchiudere che in
questi casi l’eredità in un sesso non è dovuta alla modificazione
operata dalla scelta naturale di una tendenza ad uguale eredità nei due
sessi.
Sarà bene dare qui un caso
analogo in un altro Ordine, di caratteri acquistati soltanto dalla femmina,
sebbene per nulla nocevoli per quanto possiamo giudicare, al maschio. Fra le
Phasmidae, o insetti spettri, il sig. Wallace afferma che “sovente sono le
femmine sole che rassomigliano tanto a foglie, mentre i maschi hanno solo con
quelle una grossolana rassomiglianza”. Ora, qualunque possano essere i costumi
di questi insetti, è improbabilissimo che possa essere svantaggioso ai
maschi sfuggire alla protezione rassomigliando alle foglie. Quindi noi possiamo
conchiudere che le femmine sole in questi come nei casi precedenti hanno
variato in origine in certi caratteri; questi caratteri si sono poi conservati
ed accresciuti mercè la scelta ordinaria onde servir di protezione, e
vennero fino dal principio trasmessi alla sola prole femminile.
Colori brillanti dei bruchi. – Mentre io
riflettevo intorno alla bellezza di molte farfalle, pensai che alcuni bruchi
sono splendidamente coloriti, e siccome la scelta sessuale non era possibile
che in tal caso avesse potuto operare, sembrava un po’ temerario attribuire la
bellezza dell’insetto adulto a quest’azione, a meno di poter in qualche modo
spiegare i colori vivaci della sua larva. Prima di tutto si può
osservare che i colori dei bruchi non hanno nessuna intima relazione con quelli
dell’insetto adulto. Secondariamente i loro colori brillanti non servono in
nessun modo consueto di protezione. Come esempio di ciò il signor Bates
mi informa che il bruco più appariscente che egli abbia mai veduto (quello
di una sfinge) viveva sulle grandi foglie verdi di un albero delle aperte
pianure dell’America meridionale; era lungo circa dieci centimetri, rigato
trasversalmente di nero e giallo, col capo, le zampe e la coda di un rosso
splendido. Quindi attirava lo sguardo di chiunque passasse alla distanza
di qualche metro, e senza dubbio di ogni uccello che passasse.
Allora mi rivolsi al signor Wallace che
ha un genio innato per sciogliere le difficoltà. Dopo qualche
considerazione mi rispose: “Moltissimi bruchi hanno bisogno di essere protetti,
come possiamo vedere da ciò che certi generi sono forniti di spine e di
peli irritanti, o per essere di color verde come le foglie di cui si nutrono, o
coloriti curiosamente come i rami degli alberi sui quali sogliono vivere”. Posso
aggiungere, come altro esempio di protezione, che vi è il bruco di una
farfalla notturna, come mi ha informato il sig. J. Mansel Weale, che vive sulle
mimose dell’Africa meridionale, e si fabbrica per sè un ricovero, che
non si distingue affatto dalle spine circostanti. Per queste considerazioni il
sig. Wallace credeva probabile che i bruchi dotati di colori appariscenti
fossero protetti pel loro sapore nauseante; ma siccome la loro pelle è
sottilissima, e i loro intestini escono subito da una ferita qualunque, la
più leggera beccata fatta da un uccello sarebbe tanto fatale per loro
quanto l’essere divorati. Quindi, siccome il sig. Wallace osserva, “il cattivo
sapore non sarebbe sufficiente a proteggere un bruco, a meno di qualche segno
esterno che indicasse al suo futuro distruttore che quella preda è un
boccone disgustoso”. In queste circostanze sarebbe vantaggiosissimo ad un bruco
di essere istantaneamente e certamente riconosciuto immangiabile da tutti gli
uccelli e da altri animali. In tal modo i colori molto più vivaci
sarebbero utili, e potrebbero essere stati acquistati dalla variazione e dalla
sopravvivenza degli individui più facili da riconoscere.
A prima vista questa ipotesi sembra
ardita; ma quando fu portata alla società Entomologica fu sostenuta da
vari esempi; ed il sig. J. Jenner Weir, che tiene un gran numero di uccelli in
una uccelliera, ha fatto, siccome mi disse, molte esperienze, e non ha trovato
eccezione alla regola che tutti i bruchi delle farfalle notturne e di costumi
ritirati colla pelle liscia, tutti di un color verde, e che tutti imitano i
rami, sono divorati volentieri dagli uccelli. I generi pelosi e spinosi sono
invariabilmente respinti, come per esempio quattro specie dai colori
appariscenti. Quando gli uccelli respingono un bruco, mostrano chiaramente,
scuotendo il capo e ripulendosi il becco, che sono nauseati dal suo sapore. Tre
belle specie di bruchi di farfalle notturne furono date dal sig. A. Butler a
qualche lucertola e a qualche rana, e furono respinti; sebbene altre specie venissero
mangiate con gusto. Così si conferma la probabile verità
dell’opinione del sig. Wallace, cioè che certi bruchi sono divenuti
appariscenti pel loro proprio vantaggio, divenendo così facilmente
riconoscibili dai loro nemici, quasi per lo stesso principio per cui certi
veleni sono stati tinti dai droghieri pel bene dell’uomo. È probabile
che questo modo di vedere venga poi esteso a molti animali che sono dotati di
colori appariscenti.
Osservazioni sommarie e concludenti
intorno agli insetti. – Tornando a dare un’occhiata retrospettiva ai vari
Ordini, noi vediamo che i sessi differiscono in vari caratteri, di cui non si
comprende lo scopo. Parimente i sessi differiscono spesso nei loro organi dei
sensi e di locomozione, cosicchè i maschi possono agevolmente scoprire o
raggiungere le femmine, e ancor più spesso in ciò che i maschi
hanno vari modi per trattenere le femmine quando le hanno trovate. Ma qui non
abbiamo gran che da fare con questa sorta di differenze sessuali.
In quasi tutti gli Ordini si sa che i
maschi di qualche specie, anche di generi deboli e delicati sono molto
battaglieri; ed alcuni pochi sono muniti di armi speciali per combattere i loro
rivali. Ma la legge della lotta non prevale tanto negli insetti quanto negli
animali più elevati. Quindi è probabile che questo sia il motivo
per cui i maschi non son divenuti più grossi e più forti delle
femmine. Anzi sono per solito più piccoli, onde possono svilupparsi in
un tempo più breve, per esser in gran numero pronti pei bisogni delle
femmine.
In due famiglie di Homoptera i maschi
soli posseggono, in uno stato efficace, organi che si possono chiamare vocali;
e in tre famiglie degli Orthoptera i maschi soli posseggono organi stridulanti.
Nei due casi questi organi sono incessantemente adoperati durante la stagione
degli amori, non solo per chiamare le femmine, ma per allettarle ed eccitarle
in rivalità con altri maschi. Nessuno tra quelli che ammettono l’azione
della scelta naturale negherà che questi strumenti musicali siano stati
acquistati per opera della scelta sessuale. In quanto altri Ordini i membri di
un sesso, o più comunemente dei due sessi, sono forniti di organi per
produrre vari suoni, che servono, da quanto pare semplicemente di richiamo.
Anche quando i due sessi posseggono questi strumenti gli individui che possono
fare il suono più sonoro e più continuato riescono prima a
trovare da accompagnarsi che non quelli che sono meno rumorosi, cosicchè
i loro organi sono stati probabilmente acquistati mercè la scelta
sessuale. È istruttivo riflettere alla meravigliosa diversità di
mezzi per produrre il suono che i maschi soli o i due sessi posseggono in non
meno di sei Ordini, e che erano posseduti da almeno un insetto in un’epoca
geologica sommamente remota. Noi così impariamo quanto efficace sia
stata la scelta sessuale nel produrre modificazioni di struttura, che talora,
come per gli Homoptera, sono importanti.
Per le ragioni addotte nell’ultimo
capitolo è probabile che le grosse corna dei maschi di molti
lamellicorni, e di alcuni altri coleotteri, siano state acquistate per servire
di ornamento. Ciò forse può essere pure per certe altre
particolarità limitate al sesso mascolino. Per la piccola mole degli
insetti noi non ne valutiamo l’aspetto. Se ci fosse possibile immaginare un
Chalcosoma maschio colla sua liscia armatura color bronzo, e le sue grandi e
complesse corna, ingrandito tanto da acquistare la mole di un cavallo o anche
solo di un cane, esso sarebbe uno degli animali più imponenti del mondo.
Il coloramento degli insetti
è un argomento complesso ed oscuro. Quando il maschio differisce
lievemente dalla femmina e nessuno dei due ha colori brillanti, è
probabile che i due sessi abbiano variato in un modo un tantino diverso, colle
variazioni trasmesse allo stesso sesso, senza che nessun utile nè alcun
male ne sia venuto. Quando il maschio ha colori brillanti e differisce molto
dalla femmina, come in certe libellule ed in molte farfalle, è probabile
che egli solo sia stato modificato, e che debba i suoi colori alla scelta sessuale;
mentre la femmina ha conservato un tipo primitivo ed antichissimo di
coloramento, lievemente modificato dalle azioni spiegate prima, e perciò
non è divenuto oscuro, almeno in molti casi, per essere protetto. Ma
talora è la femmina sola che è stata brillantemente colorita
tanto da imitare altre specie protette che abitano lo stesso distretto. Quando
i sessi si rassomigliano ed entrambi hanno colori oscuri, non v’ha dubbio che
siano stati in moltissimi casi coloriti per scopo di protezione. Ciò
segue in alcuni casi quando entrambi hanno colori appariscenti, per cui
rassomigliano agli oggetti circostanti, come i fiori, o ad altre specie
protette, o indirettamente indicando ai loro nemici che sono immangiabili. In
molti altri casi in cui i sessi si rassomigliano ed hanno colori splendidi,
specialmente quando i colori sono disposti per essere messi in mostra, noi
possiamo conchiudere che sono stati acquistati dal sesso mascolino per attirare
le femmine, e sono stati trasmessi ai due sessi. Noi trarremo più
facilmente questa conclusione ogniqualvolta lo stesso tipo di coloramento
prevale in tutto il gruppo, e troviamo che i maschi di alcune specie
differiscono molto nel colore dalle femmine, mentre i due sessi delle altre
specie sono al tutto simili, con graduazioni intermedie che rannodano questi
stati estremi.
Nello stesso modo in cui i colori
brillanti sono stati sovente trasmessi in parte dai maschi alle femmine,
così è seguito per le corna straordinarie di molti lamellicorni e
di alcuni altri coleotteri. Così pure gli organi vocali e strumentali
propri dei maschi degli Homoptera e degli Orthoptera sono stati in generale
trasmessi alle femmine in una condizione rudimentale o anche quasi perfetta;
tuttavia non tanto perfetta da essere adoperati per produrre suono. È
pur un fatto interessante, che riguarda la scelta sessuale, che gli organi
stridulanti di certi Orthoptera maschi non sono pienamente sviluppati fino
all’ultima muta; ed i colori di certe libellule maschi non si sviluppano
pienamente se non dopo un certo tempo che sono uscite dallo stato di crisalide,
e quando stanno per riprodursi.
La scelta sessuale implica il fatto che
negli individui più attraenti sono preferiti dal sesso opposto, e
siccome negli insetti, quando i sessi differiscono, è il maschio il
quale, meno alcune rare eccezioni, è il più ornato e si scosta di
più dal tipo a cui appartiene la specie; e siccome il maschio è
quello che cerca con più ardore la femmina, dobbiamo supporre che per
solito o per incidente le femmine preferiscono i maschi più belli, e che
questi hanno in tal modo acquistato la loro bellezza. Il fatto che i maschi
sono forniti di strutture singolari, come grandi mandibole, cuscini aderenti,
spine, zampe lunghe, ecc., per impadronirsi della femmina, rende probabile che
questa avrebbe la facoltà di respingere qualunque maschio particolare;
perchè queste strutture dimostrano che v’ha una certa difficoltà
nell’atto. Nel caso di unioni fra specie distinte, di cui sono stati menzionati
tanti esempi, la femmina deve aver avuto una parte di consenso. Giudicando da
quello che sappiamo dei poteri di percezione e dell’affetto di vari insetti,
non v’ha nessuna antecedente probabilità che la scelta sessuale non sia
venuta grandemente in giuoco; ma non abbiamo ancora nessuna prova diretta intorno
a ciò, ed alcuni fatti si oppongono a questa credenza. Nondimeno quando
vediamo molti maschi che inseguono la stessa femmina, non possiamo guari
credere che l’accoppiamento sia lasciato al puro caso – che la femmina non
operi scelta di sorta, e non sia attirata dai colori vivaci o da altri
ornamenti di cui il maschio solo è fornito.
Se noi ammettiamo che le femmine degli
Homoptera e degli Orthoptera apprezzino le note musicali emesse dai loro
compagni maschi, e che i vari strumenti all’uopo sono stati perfezionati
mercè la scelta sessuale, non è molto improbabile che le femmine
di altri insetti possano apprezzare la bellezza della forma e del colore, ed in
conseguenza di quei tali caratteri che sono stati così acquistati dai
maschi. Ma dalla circostanza che il colore è così variabile, e
dall’essere stato così spesso modificato per scopo di protezione,
è sommamente difficile decidere in quale grande proporzione di casi la
scelta sessuale sia venuta in giuoco. Ciò è più
particolarmente difficile in quegli Ordini, come gli Orthoptera, gli
Hymenoptera ed i Coleoptera, nei quali i due sessi di rado differiscono molto
nel colore; perchè restiamo così privi della nostra migliore
prova di una qualche relazione fra la riproduzione delle specie ed il colore.
Tuttavia nei Coleoptera, come ho osservato sopra, egli è nel grande
scompartimento dei lamellicorni, collocato da alcuni autori in capo all’Ordine,
e nel quale noi talora vediamo un reciproco affetto fra i sessi, che
s’incontrano maschi di alcune specie muniti di armi per la lotta sessuale,
altri forniti di corna meravigliose, molti di organi stridulanti, ed altri
ornati di splendide tinte metalliche. Quindi sembra probabile che tutti questi
caratteri siano stati acquistati col medesimo mezzo, vale a dire per opera della
scelta sessuale.
Quando parleremo degli uccelli vedremo
che presentano nei loro caratteri sessuali secondari la più stretta
analogia cogli insetti. Così molti uccelli maschi sono moltissimo
battaglieri, ed alcuni sono forniti di armi speciali per combattere coi loro
rivali. Posseggono organi che sono adoperati durante la stagione degli amori
per produrre musica vocale e strumentale. Sono frequentemente ornati di creste,
di corna, di bargigli e di piume di svariatissime fogge, e sono ornati dei
più vaghi colori, e tutto ciò evidentemente per farne pompa.
Troveremo che, come negli insetti, i due sessi, in certi gruppi, sono del pari
belli, e sono parimente provvisti di ornamenti che per il solito sono limitati
al sesso mascolino. In altri scompartimenti i due sessi sono parimente di
colori smorti e privi di ornamento. In ultimo, in pochi casi anomali le femmine
sono più belle che non i maschi. Troveremo sovente, nello stesso
scompartimento di uccelli, ogni graduazione, dalla nessuna differenza fra i sessi
ad una differenza estrema. Nell’ultimo caso vedremo che le femmine, come le
femmine degli insetti, sovente posseggono più o meno tracce evidenti dei
caratteri che appartengono propriamente ai maschi. L’analogia, invero, in tutti
questi riguardi, fra uccelli ed insetti, è curiosamente intima. Ogni
spiegazione che si può applicare ad una classe si applica probabilmente
all’altra; e questa spiegazione, come cercheremo di dimostrare in seguito,
è quasi certamente la scelta sessuale.
CARATTERI SESSUALI SECONDARI DEI PESCI,
DEGLI ANFIBI, E DEI RETTILI.
PESCI:
Corteggiamento e battaglie dei maschi – Mole più grande delle
femmine – Maschi, colori brillanti e appendici ornamentali; altri strani
caratteri – Colori ed appendici che acquista il maschio soltanto nella
stagione delle nozze – Pesci dei due sessi brillantemente coloriti –
Colori per servir di protezione – I colori meno appariscenti della
femmina non possono essere attribuiti al principio della protezione –
Pesci maschi che fabbricano nidi, e che accudiscono le uova ed i piccoli –
ANFIBI: Differenze nella struttura e nel colore fra i sessi – Organi
vocali. – RETTILI: Cheloni. – Coccodrilli – Serpenti, colori che
in certi casi servono di protezione – Lucertole e loro battaglie –
Appendici ornamentali – Strane differenze nella conformazione fra i
sessi – Colori – Differenze sessuali quasi tanto grandi come
negli uccelli.
Siamo ora giunti al grande
sottoregno dei Vertebrati, e cominceremo colla classe più bassa, quella
dei Pesci. I maschi dei pesci Plagiostomi (pesci cani, razze) e dei pesci
Chimeroidi sono forniti di appendici che servono a trattenere la femmina, come
le varie strutture che posseggono tanti animali più bassi. Oltre a
queste appendici i maschi di molte razze hanno ciuffi di acute spine sul capo,
e parecchie file di queste lungo “la superficie superiore esterna delle loro
pinne pettorali”. Queste s’incontrano nei maschi di alcune specie che hanno le
altre parti del corpo lisce. Si sviluppano temporaneamente durante la stagione
degli amori; e il dottor Günther suppone che siano adoperati come organi di
prensione col ripiegarsi all’indietro e allo ingiù dei due lati del
corpo. È un fatto degno d’esser noto questo che le femmine e non i
maschi di certe specie, come la Raia clavata, hanno il dorso ornato di
grosse spine uncinate.
Per via dell’elemento ove vivono
i pesci poco si conosce intorno al loro corteggiamento, e non gran cosa intorno
alte loro lotte. Il maschio dello Spinarello (Gasterosteus leiurus) è
stato descritto come “pazzo di gioia” allorchè la femmina esce dal suo
ripostiglio e viene a sorvegliare il nido che ha fatto per essa. “Egli le gira
velocemente attorno per ogni verso, poi accumula i materiali pel nido, poi
torna un momento indietro e siccome essa non si avanza, egli cerca di spingerla
col muso, e tenta di trascinarla per la coda o la spina del dorso fino nel
nido”. Si dice che i maschi siano poligami; sono straordinariamente arditi e battaglieri,
mentre “le femmine sono al tutto pacifiche”. Alle volte le loro battaglie sono
disperate, “perchè i piccoli combattenti si cacciano strettamente gli
uni sugli altri, pestandosi a vicenda finchè le loro forze sembrino al
tutto esaurite”. Nel Gasterosteus trachurus i maschi mentre si battono
guizzano tutto intorno, mordendo e cercando di ferirsi a vicenda colle loro
spine laterali sollevate. Lo stesso scrittore soggiunge: “il morso di quei
furibondi è terribilissimo. Adoperano pure le loro spine laterali per
questo effetto fatale, perchè ne vidi uno durante una lotta al tutto
aperto dalle spine del suo antagonista, cadere al fondo e morire”. Quando un
pesce è vinto il suo umore belligero lo abbandona; i suoi colori
scompaiono; egli va a celare la sua sventura fra i suoi pacifici compagni; ma
per qualche tempo è l’oggetto costante delle persecuzioni del suo
vincitore”.
Il salmone maschio è
tanto battagliero quanto il piccolo Spinarello; e così pure è il
maschio della trota, come ho udito dal dottor Günther. Il Signor Shaw vide una
lotta violenta fra due salmoni maschi che durò tutto il giorno; ed il
signor R. Buist, sopraintendente delle pesche, m’informa che egli ha spesso
osservato dal ponte di Perth i maschi trascinar via i loro rivali mentre le femmine
deponevano le uova. I maschi “si battono costantemente e si dilaniano fra loro
nel luogo ove si depongono le uova, e si feriscono per modo che muoiono in gran
numero, e molti si veggono guizzare presso le sponde del fiume in uno stato di
esaurimento, ed apparentemente moribondi”. Il custode delle lagune per
l’allevamento del pesce di Stormontfield visitò, siccome m’informa il
sig. Buist, nel giugno del 1868 la Tyne settentrionale, e trovò circa
300 salmoni morti, e quasi tutti, meno uno, erano maschi; ed egli era convinto
che erano periti combattendo.
Il fatto più curioso intorno al
salmone maschio è che durante la stagione degli amori, oltre a un lieve
mutamento di colore, “la mascella inferiore si allunga, ed una sporgenza
cartilaginosa si volge in su dal punto in cui quando le mascelle sono chiuse,
occupa una profonda cavità fra le ossa intermascellari della mascella
superiore”. Nel nostro salmone questo mutamento di struttura dura solo quanto
la stagione degli amori; ma nel Salmo lycaodon del Nord-Ovest
dell’America questo mutamento, siccome crede il signor J. K. Lord, è
permanente e più spiccato nei maschi più vecchi che hanno
risalito precedentemente i fiumi. In questi vecchi maschi le mascelle si sono
sviluppate in enormi sporgenze unciniformi, e i denti sono cresciuti per modo
da divenire vere zanne, lunghe spesso più di tredici millimetri. Secondo
il sig. Lloyd, nel salmone europeo la temporanea struttura unciniforme serve a
dar forza e a proteggere le mascelle, quando un maschio aggredisce l’altro con
grande impeto; ma i denti sviluppatissimi del maschio nel salmone americano si
possono comparare alle zanne di molti mammiferi maschi, e indicano uno scopo
piuttosto offensivo che non di protezione.
Il salmone non è il solo pesce
in cui i denti differiscono nei due sessi. Questo è il caso di molte
razze. Nella Razza chiodata (Raia clavata) il maschio adulto ha i denti
aguzzi, diretti all’indentro, mentre quelli della femmina sono larghi e piatti,
e formano un pavimento; cosicchè questi denti differiscono nei due sessi
della medesima specie più di quello che segue solitamente nei generi
distinti della stessa famiglia. I denti del maschio divengono acuti solo quando
è adulto: quando è giovane sono larghi e appiattiti come quelli della
femmina. I due sessi di alcune specie di Razze, come segue frequentemente nei
caratteri sessuali secondari, posseggono, come per esempio, la R. batis,
quando sono adulti, denti aguzzi e taglienti, e qui un carattere proprio al
maschio, e primieramente acquistato da esso, sembra essere stato trasmesso alla
prole dei due sessi. I denti sono pure aguzzi nei due sessi della R.
maculata, ma soltanto quando sono al tutto adulti; i maschi li acquistano
più presto che non le femmine. Incontreremo in seguito casi analoghi in
certi uccelli, in cui il maschio acquista il piumaggio comune ai due sessi
quando sono adulti un po’ di tempo prima della femmina. I maschi di altre
specie di Razze anche quando sono adulti non hanno denti acuti, in conseguenza
i due sessi allo stato adulto hanno denti larghi, appiattiti come quelli dei
piccoli e delle femmine adulte delle specie sopra menzionate. Siccome le Razze
sono pesci forti, arditi e voraci, possiamo supporre che il maschio abbia
bisogno dei suoi denti acuti per combattere coi suoi rivali; ma siccome
posseggono molte parti modificate ed adatte a tener ferma la femmina, è
possibile che i loro denti possano venire adoperati a quello scopo.
Rispetto alla mole, il signor
Carbonnier afferma che in quasi tutti i pesci la femmina è più
grossa del maschio; ed il dott. Günther non conosce neppure un caso in cui il
maschio sia attualmente più grosso della femmina. In alcuni Ciprinodonti
il maschio non è grosso quanto la metà della femmina. Siccome in
molti generi di pesci i maschi sogliono combattere insieme, è
sorprendente come non sian divenuti generalmente più grossi e più
forti che non le femmine mercè l’opera della scelta sessuale. I maschi
soffrono per la loro piccola mole, perchè, secondo il signor Carbonnier,
van soggetti ad essere divorati dalle femmine della loro propria specie quando
sono carnivori, e senza dubbio dalle altre specie. La mole più grande
deve essere in certo modo più importante per le femmine che non siano la
forza e la mole dei maschi per lottare con altri maschi; e questo forse agevola
la produzione di un gran numero di uova.
In molte specie il maschio solo
è ornato di colori brillanti; o questi sono molto più belli nel
maschio che non nella femmina. Il maschio pure è talora fornito di
appendici che non sembrano essere di maggiore utilità negli scopi
ordinari della vita che non siano le penne della coda del pavone. Sono debitore
alla somma cortesia del dottor Günther della maggior parte dei seguenti fatti.
Vi è ragione per supporre che molti pesci dei tropici differiscano
sessualmente nel colore e nella struttura; e vi sono certi casi ben notevoli di
ciò nei nostri pesci inglesi. Il maschio del Callionymus lyra è
stato detto in inglese Dragoncello gemmato, pei suoi splendidi colori. Appena
tratto fuori dal mare il suo corpo è tinto di varie sfumature di giallo
con righe e macchie di turchino-acceso sul capo; le pinne dorsali sono color
bruno-pallido con strisce longitudinali scure; le pinne ventrale, caudale ed
anale sono di color nero-azzurrognolo. La femmina, o Dragoncello scolorito, fu
considerata da Linneo e da molti altri naturalisti come una specie distinta;
essa è di un color bruno-rossiccio, colla pinna dorsale bruna e le altre
pinne bianche. I sessi differiscono pure nella mole proporzionale del capo e
della bocca, e nella posizione degli occhi; ma la differenza più
notevole è lo straordinario allungamento nel maschio della pinna
dorsale. I maschi giovani rassomigliano nella struttura e nel colore alle
femmine adulte. In tutto il genere Callionymus il maschio è generalmente
più vagamente screziato che non la femmina, ed in parecchie specie non
solo la pinna dorsale ma anche la pinna anale del maschio è molto
allungata.
Il maschio del Cottus scorpius è
molto più sottile e più piccolo della femmina. Vi è pure
una grande differenza di colore fra essi. È difficile, come osserva il
signor Lloyd, “a chi non abbia mai veduto questo pesce nella stagione della
fregola, quando i suoi colori sono più brillanti, concepire un’idea
della miscela di splendidi colori di cui esso, che per tanti riguardi è
così mal dotato dalla natura, si adorna in quel tempo”. I due sessi del Labrus
mixtus, quantunque molto diversi nel colore, sono belli; il maschio
è color arancio con fasce di un bell’azzurro, e la femmina è
color rosso-acceso con qualche macchia nera sul dorso.
Nella distintissima famiglia dei
Ciprinodonti, che dimorano nelle acque dolci dei paesi forestieri, i sessi
differiscono talora in vari caratteri. Nel maschio della Mollienesia
petenensis la pinna dorsale è molto sviluppata, ed è segnata
da una striscia di macchie di colore splendido, grandi, rotonde, ocellate;
mentre nella femmina la stessa pinna è più piccola, di forma
differente, e segnata solo di macchie brune irregolarmente curve. Nel maschio
il margine basale della pinna anale si mostra pure un po’ sporgente ed è
di colore oscuro. Nel maschio di una forma affine, il Xiphophorus Hellerii,
il margine inferiore della pinna anale è sviluppato in un lungo
filamento, il quale è rigato, seconde ciò che ho udito dal dottor
Günther, di colori brillanti. Questo filamento non contiene alcun muscolo, ed a
quanto pare non può avere nessuna utilità diretta pel pesce. I
maschi, come avviene nel Callionymus, quando son giovani rassomigliano
nella struttura e nel colore alle femmine adulte. Differenze sessuali di questa
fatta possono essere comparate a quelle che si osservano così spesso
negli uccelli gallinacei.
In un pesce siluroide che vive nelle
acque dolci dell’America meridionale, cioè nel Plecostomus barbatus,
il maschio ha la bocca e l’interopercolo guarnito di una barba di peli duri,
dei quali non si rinviene nella femmina se non una lieve traccia. Questi sono
peli della natura delle squame. In un’altra specie dello stesso genere alcuni
tentacoli molli e flessibili sporgono dalla parte frontale del capo del
maschio, che mancano nella femmina. Questi tentacoli sono prolungamenti della
vera pelle, e perciò non sono omologhi coi peli duri della specie
precedente; ma non si può mettere in dubbio che abbiano lo stesso scopo.
Quale possa essere questo scopo è difficile congetturare; non sembra qui
probabile l’ornamento, ma non possiamo guari supporre che i peli duri ed i
filamenti flessibili possano essere di qualche utilità negli usi
ordinari della vita ai soli maschi. Il Monacanthus scopas, che mi venne
mostrato nel Museo Britannico dal dott. Günther, presenta un caso quasi
analogo. Il maschio ha sui lati della coda un ciuffo di spine dure, dritte,
simili a quelle di un pettine; e queste in un esemplare lungo quindici
centimetri avevano una lunghezza di quasi quattro centimetri, la femmina ha
sullo stesso punto un ciuffo di setole che si possono comparare a quelle di uno
spazzolino da denti. In un’altra specie, il M. peronii, il maschio ha
una spazzola simile a quella della femmina dell’ultima specie, mentre i lati
della coda della femmina sono lisci. In alcune altre specie si osserva che la
stessa parte della coda è nel maschio un tantino scabra, mentre nella
femmina è al tutto liscia; ed infine in altre i due sessi hanno quelle
parti lisce. In quello strano mostro che è la Chimaera monstruosa,
il maschio ha un osso unciniforme sull’apice del capo, diretto allo innanzi,
colla punta arrotondata e coperta di acute spine; nella femmina “manca al tutto
questa corona”: ma non si conosce affatto a quale uso possa servire.
Le strutture finora descritte sono
permanenti nel maschio quando è divenuto adulto; ma in alcuni Blenni ed
in altri generi affini si sviluppa sul capo del maschio una cresta durante solo
la stagione degli amori, ed il loro corpo assume nel tempo stesso colori
più vivaci. Non vi può essere guari dubbio che questa cresta non
serva di ornamento sessuale temporaneo, perchè non se ne rinviene
traccia nella femmina. In altre specie dello stesso genere i due sessi hanno
una cresta, ed almeno in una specie nessuno dei due sessi ne è fornito.
In questo caso e in quello del Monacanthus abbiamo buoni esempi della
grandissima variabilità dei caratteri sessuali in forme strettamente
affini. In molti Chromidae, per esempio nel Geophagus e specialmente nel Cichla,
i maschi, secondo quello che ho udito dal professore Agassiz, hanno sulla
fronte una protuberanza vistosa, che manca al tutto nelle femmine e nei maschi
giovani. Il professore Agassiz soggiunge: “Io ho osservato sovente questi pesci
nel tempo della fregola quando la protuberanza è più grossa, ed
in altre stagioni quando manca affatto, ed i due sessi non presentano alcuna
differenza nel profilo del capo. Io non ho potuto mai riconoscere se avesse una
funzione speciale, e gl’indigeni dell’Amazzone non conoscevano nulla intorno al
loro uso”. Queste protuberanze per la loro periodica comparsa rassomigliano
alle appendici carnose che stanno sul capo di certi uccelli; ma finora rimane
molto dubbio se servano come ornamento.
I maschi di quei pesci che differiscono
permanentemente nel colore dalle femmine divengono spesso più brillanti,
come ho udito dal Prof. Agassiz e dal dottore Günther, durante la stagione
degli amori. Questo è parimente il caso in moltissimi pesci di cui i
sessi in tutte le altre stagioni dell’anno sono identici nel colore. La tinca,
la lasca e la perca possono servire come esempi. Il salmone maschio è in
quella stagione “segnato sulle guance di fasce color arancio, che gli danno
l’aspetto di un Labrus, e il corpo partecipa di una tinta arancio
dorata. Le femmine sono di color scuro, e vengono comunemente dette
pesce nero”. Un mutamento analogo ed ancor più grande ha luogo nel Salmo
eriox; i maschi del Salmo umbla sono pure in questa stagione un po’
più chiari delle femmine. I colori del luccio (Esox reticulatus) degli
Stati Uniti, specialmente del maschio, nella stagione degli amori divengono
eccessivamente intensi, splendidi ed iridescenti. Un altro notevole esempio
preso da molti altri è dato dal maschio dello spinarello (Gasterosteus
leiurus), che vien detto dal signor Warington “essere tanto bello da non
potersi descrivere”. Il dorso e gli occhi della femmina sono semplicemente
bruni, e l’umbellico bianco. D’altra parte gli occhi del maschio sono “di un
verde splendido, ed hanno un lustro metallico come le piume verdi di alcuni
uccelli mosca. La gola e l’umbellico sono di un color cremisino brillante, il
dorso di un verde-cenere, e tutto il pesce appare come in certo modo traslucido
ed illuminato da qualche incandescenza interna”. Dopo la stagione degli amori
questi colori mutano tutti, la gola e l’umbellico divengono di un rosso
più pallido, il dorso più verde, e scompaiono le tinte
infiammate.
Possiamo vedere con evidenza che nei
pesci esiste qualche intima relazione fra i loro colori e le loro funzioni
sessuali; – prima di tutto da ciò che i maschi adulti di certe specie
sono coloriti in modo diverso delle femmine, e sovente molto più
brillantemente; – in secondo luogo da ciò che questi stessi maschi,
quando non sono peranco adulti, rassomigliano alle femmine adulte, – ed infine
da ciò che i maschi, anche di quelle specie che sono in tutte le altre
stagioni dell’anno identici nel colore colle femmine, acquistano spesso tinte
brillanti durante la stagione degli amori. Sappiamo che i maschi sono ardenti
nel corteggiare e talora combattono assieme disperatamente. Se noi possiamo
dimostrare che le femmine hanno la facoltà di fare una scelta e
scegliere i maschi più adorni, tutti i fatti menzionati sopra divengono
intelligibili col principio della scelta sessuale. D’altra parte se le femmine
sogliono deporre e lasciare le loro uova per essere poi fecondate dal primo
maschio che per caso si trova sul sito, questo fatto sarebbe fatale alla
efficacia della scelta sessuale, perchè non vi potrebbe essere la scelta
di un compagno. Ma, per quanto si sa, la femmina non depone volontariamente le
uova se non si trova vicinissima ad un maschio, ed il maschio non feconda mai
le uova tranne quando la femmina gli è vicina. Evidentemente è
difficile ottenere una prova diretta rispetto alla scelta che può fare
il pesce femmina pel suo compagno. Un eccellente osservatore, che tenne dietro
con cura ai fregaroli (Cyprinus phoxinus) quando facevan le uova, dice
che siccome i maschi, i quali erano dieci volte più numerosi delle
femmine, si affollavano strettamente intorno a queste, egli non può
“parlare con certezza delle loro operazioni. Quando una femmina veniva in mezzo
a molti maschi, questi immediatamente la inseguivano; se essa non era vicina a
far le uova, si ritirava precipitosamente; ma se era pronta, si avanzava con
baldanza in mezzo ad essi, e veniva all’istante stretta ai lati da due maschi;
e quando questi erano rimasti un po’ di tempo in quella posizione venivano
sostituiti da altri due, che s’introducevano fra i questi e la femmina, la
quale sembrava trattare tutti i suoi amanti colla stessa bontà”.
Nonostante quest’ultima asserzione, non posso, per le varie precedenti
considerazioni abbandonare la credenza che i maschi i quali hanno maggiori attrattive
per la femmina, mercè i loro colori più brillanti o per altri
ornamenti, non siano comunemente i preferiti; e che i maschi siano divenuti
più belli per questa ragione nel corso dei secoli.
Dobbiamo poi indagare se questo modo di
vedere possa venire esteso, mercè la legge di equa trasmissione di
caratteri ai due sessi, a quei gruppi nei quali i maschi e le femmine sono
vistosi nello stesso grado e modo. In un genere come il Labrus, che
comprende alcuni fra i pesci più belli del mondo, per esempio il Labrus
pavo, che fu descritto, con perdonabile esagerazione, come fatto di scaglie
levigate d’oro ove s’incastrano lapislazzuli, rubini, zaffiri, smeraldi ed
ametiste, noi possiamo, con molta probabilità accettare questa credenza;
perchè abbiamo veduto che i sessi, in una specie almeno, differiscono
moltissimo nel colore. In alcuni pesci, come in molti animali inferiori, i
colori splendidi possono essere l’effetto diretto della natura dei loro tessuti
e delle condizioni circostanti, senza l’opera della scelta. Il pesce dorato (Cyprinus
auratus) è forse, giudicando dalla analogia della varietà
dorata della carpa comune, un caso in proposito, siccome va debitore dei suoi
splendidi colori ad una sola repentina variazione, dovuta alle condizioni cui
è stato sottoposto questo pesce tenuto in cattività. È
tuttavia più probabile che questi colori siano divenuti più
intensi per la scelta artificiale, mentre questa specie è stata
accuratamente allevata nella Cina fino da un tempo antichissimo. Non sembra
probabile che, in condizioni naturali, esseri tanto altamente organizzati come
sono i pesci, e che vivono in relazioni cosiffattamente complesse, avrebbero
potuto acquistate colori così brillanti senza soffrire alcun danno o
ricevere qualche benefizio da un mutamento così grande ed in conseguenza
senza l’intervento della scelta naturale.
Che cosa dunque dobbiamo noi concludere
rispetto ai tanti pesci nei quali i due sessi posseggono colori splendidi? Il
signor Wallace crede che le specie che frequentano gli scogli ove abbondano i
coralli ed altri organismi dai colori brillanti, siano così vistosamente
colorite onde sfuggire ai loro nemici; ma secondo la mia ricordanza essi
divenivano così molto più vistosi. Nelle acque dolci dei Tropici
non vi sono coralli brillantemente coloriti o altri organismi ai quali i pesci
possono rassomigliare, tuttavia molte specie del fiume delle Amazzoni hanno
colori brillanti, e molti fra i Ciprinidi carnivori dell’India, sono ornati di
“linee longitudinali brillanti di varie tinte”. Il signor M’Clelland
descrivendo questi pesci va tanto oltre da supporre che la particolare
vistosità dei loro colori “serve come un miglior segno pei martin
pescatori, le sterne ed altri uccelli, che sono destinati a tenere entro un
giusto limite il numero di questi pesci”; ma ai nostri giorni pochi naturalisti
ammetteranno che un animale qualunque sia stato reso vistoso onde agevolare la
propria distruzione. È possibile che certi pesci possano essere stati
resi belli onde avvertire gli uccelli e gli animali rapaci (come è stato
spiegato rispetto ai bruchi) che non sono mangiabili; ma non si sa, credo, che
nessun pesce, almeno di acqua dolce, sia respinto come disgustoso dagli animali
che divorano i pesci. In complesso, il modo di vedere più probabile
rispetto ai pesci i due sessi dei quali hanno colori brillanti, è quello
che i loro colori sono stati acquistati come ornamento, e sono stati trasmessi
in un grado uguale o quasi uguale all’altro sesso.
Abbiamo ora da considerare se, quando
il maschio differisce in un modo distinto dalla femmina nel colore o negli
altri ornamenti, egli solo sia stato modificato, colle variazioni ereditate
solo dalla sua prole maschile o se la femmina sia stata modificata specialmente
e resa più bella per lo scopo di protezione, e tali modificazioni
ereditate soltanto dalle femmine. È impossibile mettere in dubbio che il
colore è stato acquistato da molti pesci come una protezione; nessuno
può vedere la superficie chiazzata di un Pleuronectes flesus, e
non accorgersi della rassomiglianza che ha col letto sabbioso del mare in cui
vive. Uno dei più spiccati esempi finora ricordati di un animale che
vien protetto dal suo colore (per quanto si può giudicare in esemplari
conservati) e dalla sua forma, è quello dato dal dottor Günther di un Syngnathus,
il quale coi suoi filamenti rossicci, galleggianti, si distingue appena dalla
alga alla quale si attacca colla sua coda prensile. Ma la questione che ora
stiamo considerando è, se le femmine sole siano state modificate per
questo oggetto. I pesci offrono per questo particolare un esempio notevole.
Possiamo vedere che un sesso non si sarà modificato per opera della
scelta naturale per scopo di protezione più dell’altro sesso, supponendo
che i due variino, a meno che un sesso sia esposto per un più lungo periodo
al pericolo, o abbia minor forza per sfuggire a quel pericolo che non l’altro
sesso; e non pare che nei pesci i sessi differiscano per questo riguardo.
Quando v’ha una qualche differenza, è che i maschi, essendo in generale
di più piccola mole, ed essendo più girovaghi, sono esposti a
più grandi pericoli delle femmine; e tuttavia, quando i sessi
differiscono, i maschi sono quasi sempre più vistosamente coloriti. Le
uova vengon fecondate immediatamente dopo essere state deposte, e quando questo
processo dura parecchi giorni, come è il caso nel salmone, la femmina
durante tutto quel tempo è accompagnata dal maschio. Dopo che le uova
sono state fecondate, rimangono, nella maggior parte dei casi, abbandonate dai
genitori; cosicchè maschi e femmine, per quello che riguarda la
deposizione delle uova, sono esposti ugualmente al pericolo, ed entrambi hanno
uguale importanza per la produzione di uova fecondate; in conseguenza gli
individui più o meno cospicuamente coloriti dei due sessi andrebbero
ugualmente soggetti ad essere distrutti o conservati, ed entrambi avrebbero una
azione eguale sui colori della loro prole o della loro razza.
Certi pesci,
che appartengono a parecchie famiglie, fanno il nido; ed alcuni di questi pesci
hanno cura dei piccoli appena sbocciati. I due sessi del Crenilabrus massa e
del Melops brillantemente coloriti lavorano assieme per fabbricare i
loro nidi con alghe, conchiglie, ecc. Ma i maschi di certi pesci fanno tutto il
lavoro, ed in seguito hanno la cura esclusiva dei piccoli. Questo è il
caso coi Gobius dai colori smorti, nel quali non si sa che i sessi
abbiano colori differenti; e parimente cogli spinarelli (Gasterosteus),
in cui i maschi assumono colori brillanti nella stagione delle nozze. Il
maschio del Gasterosteus leiurus compie per lungo tempo l’ufficio di
nutrice con cura e vigilanza esemplari, ed è continuamente occupato a
far tornare con bel garbo i piccoli al nido quando se ne allontanano troppo.
Egli respinge arditamente tutti i nemici, comprese le femmine della sua propria
specie. Davvero non sarebbe un piccolo sollievo pel maschio se la femmina dopo
aver deposto le uova venisse subito divorata da qualche nemico, perchè
egli è continuamente obbligato a respingerla lungi dal nido.
I maschi di
certi altri pesci che abitano l’America meridionale e Ceylan, e che
appartengono a due ordini distinti, hanno lo straordinario costume di far
schiudere le uova deposte dalle femmine nella loro bocca o nelle cavità
branchiali. Nelle specie delle Amazzoni che hanno lo stesso abito, i maschi,
siccome mi ha informato cortesemente il prof. Agassiz, “non solo sono in
generale più vistosamente coloriti delle femmine, ma la differenza
è maggiore durante la stagione degli amori che non in qualunque altro
tempo”. Le specie di Geophagus operano nello stesso modo; e in questo
genere si sviluppa una vistosa protuberanza sulla fronte dei maschi nella
stagione degli amori. Nelle varie specie di Cromidi, come mi ha pure informato
il prof. Agassiz, si possono vedere differenze sessuali di colore “se depongono
le uova nell’acqua fra le piante acquatiche, o le depongono nei buchi,
lasciandole venire senza ulteriori cure, o fabbricano nidi a mo’ di quelli
delle rondini nel fango del fiume, sopra i quali si allogano come fanno i
nostri Promotis. Giova anche osservare che questi covatori sono fra le
specie più brillanti delle loro rispettive famiglie; per esempio l’Hygrogonus
è verde brillante, con grandi ocelli neri cerchiati di un rosso
brillantissimo”. Non si sa se in tutte le specie di Cromidi sia il maschio solo
che si alloghi sulle uova. È tuttavia evidente che, siano state o no le
uova protette, ciò non ha avuto azione sulle differenze di colori fra i
sessi. È anche più chiaro in tutti i casi in cui i maschi
prendono cura esclusiva dei nidi e dei piccoli, che la distruzione dei maschi
più vistosamente coloriti avrà una azione molto più
potente sul carattere della razza che non la distruzione delle femmine meglio
colorite; perchè la morte del maschio durante il periodo dell’incubazione
o dell’allevamento avrebbe prodotto la morte dei piccoli, per cui questi non
avrebbero potuto ereditare le sue speciali facoltà; tuttavia in molti di
questi medesimi casi i maschi sono più vistosamente coloriti che non le
femmine.
In moltissimi
Lofobranchi (Syngnathus, Hippocampus) i maschi hanno sacchi
marsupiali o depressioni emisferiche sull’addome, nelle quali le uova deposte
dalla femmina sono schiuse. I maschi dimostrano pure grande affetto pei loro
piccoli. I sessi non differiscono comunemente molto nel colore; ma il dottor
Günther crede che gli Ippocampi maschi siano alquanto più belli delle
femmine. Il genere Solenostoma, tuttavia, presenta un curiosissimo caso
eccezionale, perchè la femmina è molto più vivacemente
colorita e macchiata che non il maschio, ed essa sola ha un sacco marsupiale e
fa schiudere le uova; cosicchè la femmina del Solenostoma differisce da
tutti gli altri Lofobranchi per quest’ultimo rispetto, e da quasi tutti gli
altri pesci per essere più brillantemente colorita che non il maschio.
Non è probabile che questa notevole doppia inversione di carattere nella
femmina possa essere una coincidenza accidentale. Siccome i maschi di parecchi
pesci che si prendono esclusiva cura delle uova e dei piccoli sono molto
più splendidamente coloriti delle femmine, e siccome qui il Solenostoma
femmina assume lo stesso incarico ed è più splendida del maschio,
si può affermare che i colori vistosi del sesso che è più
importante dei due per la prosperità della prole devon servire, in
qualche modo, di protezione. Ma dalla grande quantità di pesci i maschi
dei quali sono permanentemente o periodicamente più brillanti delle
femmine, ma di cui la vita non è per nulla più importante di
quella della femmina per la prosperità della specie, questo modo di
vedere non può guari essere sostenuto. Quando parleremo degli uccelli
incontreremo casi analoghi, in cui v’ha una compiuta inversione degli attributi
consueti dei due sessi, e diremo allora quello che ci sembra essere la
spiegazione probabile, cioè che i maschi hanno scelto le femmine
più seducenti, invece che queste ultime, secondo la regola consueta in
tutto il regno animale, abbiano scelto i maschi più belli.
Infine possiamo
conchiudere che nella maggior parte dei pesci in cui i sessi differiscono nel
colore o in altri caratteri di ornamento i maschi in origine hanno variato, ed
hanno trasmesso le loro variazioni al medesimo sesso, ed hanno accumulato
queste variazioni mercè la scelta sessuale attraendo od eccitando le
femmine. Tuttavia in molti casi cosiffatti caratteri sono stati trasmessi,
parzialmente o compiutamente, alle femmine. Parimente in altri casi i due sessi
sono stati coloriti nello stesso modo allo scopo di protezione; ma in nessun
caso sembra che la femmina sola abbia avuto i suoi colori od altri caratteri
specialmente modificati per questo fine.
L’ultimo punto
che merita d’esser notato è, che in molte parti del mondo si conoscono
pesci che fanno un particolare rumore, che in alcuni casi vien descritto come
musicale. Pochissimo è stato riconosciuto riguardo al modo in cui son
prodotti questi suoni, ed anche meno intorno al loro scopo. Il rullo a mo’ di
tamburo che fanno le Umbrine nei mari d’Europa dicesi si possa sentire dalla
profondità di trenta metri. I pescatori della Rochelle asseriscono “che
i maschi soli fanno quel rumore durante la stagione degli amori; e che è
possibile, imitandolo, prenderli senza esca”. Se questo fatto è degno di
fede, abbiamo un caso in questa classe, che è la più bassa dei
Vertebrati, di ciò che troveremo prevalere in tutte le altre classi di
vertebrati, e che prevale, come abbiamo già veduto, negli insetti e nei
ragni, cioè che i suoni vocali e strumentali servono comunemente come un
richiamo d’amore, o incanto amoroso, e che la facoltà di produrli venne
probabilmente dapprima sviluppata in relazione colla propagazione delle specie.
ANFIBI.
Urodeli. – Prima diciamo
degli anfibi forniti di coda. I sessi delle salamandre, e dei tritoni o
salamandre acquaiole, differiscono sovente molto, tanto nel colore quanto nella
struttura. In alcune specie si sviluppano sulle zampe anteriori del maschio
nella stagione degli amori organi prensili, ed in questa stagione i piedi
posteriori del Triton palmipes sono forniti di una membrana natatoria,
che è quasi al tutto assorbita nell’inverno, cosicchè i loro
piedi rassomigliano allora a quelli della femmina. Questa struttura aiuta
certamente il maschio nella sua attiva ricerca e nel suo inseguire la femmina.
Nelle nostre salamandre acquaiole comuni (Triton punctatus e cristatus)
si sviluppa lungo il dorso e la coda del maschio durante la stagione degli
amori una cresta spessa e molto frastagliata, che viene essa pure assorbita
nell’inverno. Questa cresta non è, siccome m’informa il signor St.
George Mivart, fornita di muscoli, e quindi non può servire per
locomozione. Siccome nella stagione del corteggiamento diviene marginata di
colori brillanti, serve senza dubbio, di ornamento maschile. In molte specie il
corpo presenta tinte fortemente contrastanti sebbene luride; e queste divengono
più vivaci nella stagione delle nozze. Per esempio il maschio della
nostra piccola Salamandra acquaiola (Triton punctatus) è “color
bruno-grigio sopra, sfumante sotto in giallastro, che in primavera prende una
tinta arancio carico, segnata ovunque di macchie scure rotonde”. Il margine
della cresta è allora orlato di un rosso brillante o di violetto. Per
solito la femmina è di un bruno giallastro sparsa di punti bruni; e la
superficie inferiore è sovente al tutto uniforme. I piccoli hanno tinte
oscure. Le uova sono fecondate all’atto della deposizione e non sono poi
accudite da nessuno dei genitori. Possiamo dunque conchiudere che i maschi
acquistano i loro colori fortemente spiccati e le loro appendici ornative
mercè la scelta sessuale; e questi sono stati trasmessi sia alla prole
maschile sola od ai due sessi.
Anuri o
Batraci. – In molte rane e in molti rospi i colori servono evidentemente di
protezione, come le tinte verdi brillanti della raganella e le sfumature
screziate di molte specie terrestri. Il rospo più vistosamente colorito
che io abbia mai veduto, cioè il Phriniscus nigricans, ha tutta
la superficie superiore del corpo nera come l’inchiostro, colle piante dei
piedi e parti dell’addome macchiate di un vermiglio brillantissimo. Si
strascinava sulle nude sabbie o nelle aperte pianure erbose della Plata sotto
la sferza di un sole ardente, e non poteva a meno di fermare l’occhio di ogni
creatura che passasse da quelle parti. Questi colori possono essere utili
facendo avvertito ogni uccello di rapina che questo rospo è un boccone
nauseante; perchè ognuno sa benissimo che questi animali emettono una
secrezione velenosa, che fa venire la spuma alla bocca del cane come se fosse
preso da idrofobia. Rimasi tanto più colpito dalla vista dei bellissimi
colori di quel rospo, dacchè accanto ad esso trovai una lucertola (Proctotretus
multimaculatus) la quale quando è presa dallo spavento appiattisce
il corpo, chiude gli occhi, ed allora si riconoscerebbe appena dalla sabbia
circostante per le sue tinte screziate.
Rispetto alle
differenze sessuali del colore, il dottor Günther non conosce nelle rane o nei
rospi alcun esempio molto notevole; tuttavia egli può spesso distinguere
il maschio dalla femmina, perchè le tinte del primo sono un po’
più intense. E neppure conosce il dottor Günther nessuna notevole
differenza nella struttura esterna dei due sessi, eccettuate le prominenze che
si sviluppano durante la stagione degli amori sulle zampe anteriori del
maschio, per cui può tener ferma la femmina. La Megalophrys montana offre
il miglior caso di una certa somma di differenze nella struttura fra i sessi
perchè nel maschio la punta del naso e le palpebre sono prodotte entro
ripiegature triangolari della pelle, e v’ha un piccolo turbercolo nero dietro –
caratteri che mancano o sono appena sviluppati nelle femmine. Meraviglia vedere
che le rane ed i rospi non abbiano acquistato differenze sessuali più
marcate; perchè, sebbene siano animali a sangue freddo, hanno forti
passioni. Il dottor Günther m’informa che egli ha trovato parecchie volte un
disgraziato rospo femmina morta e soffocata per essere stata strettamente
abbracciata da tre o quattro maschi.
Questi animali
tuttavia offrono una differenza sessuale interessante, cioè nelle
facoltà musicali particolari ai maschi; ma parlare di musica quando si
tratta del suono sgradevole e discorde emesso dai maschi della Rana pipiens e
di altre specie sembra al nostro gusto una espressione singolarmente impropria.
Nondimeno certe rane cantano in un modo decisamente piacevole. Presso Rio
Janeiro io solevo spesso sedermi a sera per ascoltare un certo numero di
piccole Hylae, che sui ciuffi d’erba presso l’acqua mandavano dolci note piene
di armonia. I vari suoni sono principalmente emessi dai maschi durante la
stagione degli amori, come nel caso del gracchiare della nostra rana comune. In
relazione con questo fatto gli organi vocali dei maschi sono molto meglio
sviluppati di quelli delle femmine. In alcuni generi i maschi soli sono forniti
di sacchi che si aprono nella laringe. Per esempio, nella rana comune (Rana
esculenta) “i sacchi sono particolari ai maschi, e divengono, quando si
riempiono di aria nell’atto del gracidare, grosse vesciche globose, collocate
ai due lati del capo, presso gli angoli della bocca”. Il gracidare del maschio
diviene così fortissimo, mentre nella femmina non è che un lieve
suono lamentoso. Gli organi vocali differiscono notevolmente nella struttura di
parecchi generi della famiglia, e il loro sviluppo in tutti i casi può
essere attribuito alla scelta sessuale.
RETTILI.
Cheloni. – Le testuggini
e le tartarughe non presentano differenze sessuali bene spiccate. In alcune
specie la coda del maschio è più lunga di quella della femmina.
In alcune lo scudo o superficie inferiore della scaglia del maschio è
lievemente concavo rispetto al dorso della femmina. Il maschio della Chrysemys
picta degli Stati Uniti ha unghioni nelle zampe anteriori due volte
più lunghi di quelli della femmina; e questi sono adoperati
nell’accoppiamento dei sessi. Nella tozza testuggine delle Isole Galapagos (Testudo
nigra) si dice che i maschi hanno mole più grande di quella della
femmina; durante la stagione degli amori, e in nessun altro tempo, il maschio
emette un suono aspro come di muggito, che si può sentire alla distanza
di un centinaio di metri; la femmina, d’altra parte non adopera mai la sua
voce.
Coccodrilli. – Sembra che
qui i sessi non differiscano nel colore; e non so che i maschi si facciano
guerra, sebbene ciò sia probabile, perchè alcuni generi fanno
molta mostra innanzi alle femmine. Bartram dice che il maschio dell’alligatore
si sforza di conquistare la femmina ruggendo e dimenandosi nella laguna “gonfio
quasi da scoppiare, col capo e colla coda sollevati, egli gira mulinando sulla
superficie dell’acqua, come un capo Indiano che racconta le sue gesta
guerresche”. Durante la stagione degli amori le ghiandole sottomascellari del
coccodrillo emettono un odore di muschio che penetra nel suo covo.
Ofìdi. – Non ho gran
cosa da dire intorno ai serpenti. Il dottor Günther m’informa che i
maschi sono sempre più piccoli delle femmine, ed in generale hanno la
coda più lunga e più sottile. Rispetto al colore, il dottor
Günther può quasi sempre distinguere il maschio dalla femmina per le sue
tinte più fortemente pronunziate: così la striscia a ghirigori
neri sul dorso del maschio della vipera inglese è più
distintamente definita che non quella della femmina. La differenza è
più chiara nei serpenti a sonagli dell’America settentrionale, di cui il
maschio, come mi fece osservare il custode del Giardino Zoologico di Londra, si
può distinguere a prima vista dalla femmina per essere il suo corpo
più coperto di un lurido giallo. Nell’Africa meridionale il Bucephalus
capensis presenta una differenza analoga, perchè la femmina “non
è mai così pienamente variegata di giallo sui lati come il
maschio”. Il maschio del Dipsas cynodon indiano è, d’altra parte,
bruno-nero, coll’umbellico in parte nero, mentre la femmina è rossiccia
od olivo-giallastra coll’umbellico color gialliccio uniforme o marmoreggiato di
nero. Nel Tragops dispar dello stesso paese il maschio è color
verde brillante, e la femmina di color bronzo. Senza dubbio i colori di alcuni
serpenti servono di protezione, come le tinte verdi dei serpenti che vivono
sugli alberi, e le tinte variamente screziate delle specie che vivono in luoghi
sabbiosi; ma è dubbio se i colori di molti, per esempio del serpente o
vipera comune d’Inghilterra, servano a nasconderli; e ciò è ancor
più dubbio in molte altre specie forestiere che sono colorite con somma
eleganza.
Durante la
stagione degli amori le loro ghiandole anali odorose sono in piena funzione, e
così pure è il caso nelle lucertole, e come abbiamo veduto per le
ghiandole sottomascellari dei coccodrilli. Siccome i maschi della maggior parte
degli animali cercano le femmine, queste ghiandole odorifere servono
probabilmente ad eccitare od allettare la femmina, piuttosto che condurla al
luogo dove si trova il maschio. I serpenti maschi, sebbene sembrino così
sgarbati, sono amorosi; perchè molti sono stati veduti affollarsi
intorno alla stessa femmina, ed anche intorno al corpo morto di una femmina.
Non si sa se combattano fra loro per rivalità. Le loro forze
intellettuali sono più elevate di quello che si possa supporre. Un
eccellente osservatore, il sig. E. Layard, in Ceylan vide un Cobra introdurre
il capo entro uno stretto buco ed ingoiare un rospo. “Con questo volume non
poteva retrocedere; allora vedendo questo, egli a malincuore rigettò il
prezioso boccone, che cominciò ad andarsene; ma questo era troppo dura
cosa perchè la filosofia del serpente la potesse sopportare, e il rospo
venne nuovamente abboccato, e di nuovo il serpente dopo violenti sforzi per
uscire dal buco fu obbligato ad abbandonare la preda. Tuttavia questa volta la
lezione aveva servito, e il rospo venne afferrato per una zampa, tirato fuori,
e poi ingoiato trionfalmente”.
Non è
una ragione però che i serpenti, perchè hanno qualche potenza di
raziocinio e forti passioni, siano dotati parimente di gusto sufficiente per
ammirare i colori brillanti dei loro compagni, tanto da produrre l’ornamento
delle specie mercè la scelta sessuale. Nondimeno è difficile
spiegare in un altro modo la somma bellezza di certe specie, per esempio del
serpente corallo dell’America meridionale, che è di un bel rosso con
fasce trasversali nere e gialle. Mi ricordo bene quanto mi meravigliò la
bellezza dei primi serpenti coralli che vidi splendere in mezzo ad un sentiero
nel Brasile. I serpenti coloriti in questo modo particolare, come afferma il
signor Wallace sull’autorità del dottor Günther, non si trovano in
nessuna parte del mondo tranne nell’America meridionale, ove se ne incontrano
non meno di quattro generi. Uno di questi, l’Elaps, è velenoso; un
secondo genere moltissimo distinto è dubbio se sia velenoso, e due altri
sono al tutto innocui. Le specie che appartengono a questi generi distinti abitano
gli stessi distretti, e sono tanto somiglianti tra loro, che nessuno, “tranne
un naturalista, potrebbe distinguere i velenosi dagli innocui”. Quindi, siccome
crede il signor Wallace, i generi innocui hanno probabilmente acquistato i loro
colori come una protezione, secondo il principio dell’imitazione, perchè
essi sarebbero stati creduti pericolosi dai loro nemici. Tuttavia la causa dei
colori brillanti dell’Elaps velenoso rimane da spiegarsi, e questa può
forse essere la scelta sessuale.
Lucertole. – I maschi di
alcuni, probabilmente di molti, generi di lucertole combattono fra loro per
rivalità. Così l’Anolis cristatellus arboreo dell’America
meridionale è sommamente battagliero. “Durante la primavera e la prima
parte dell’estate due maschi adulti di rado s’incontrano senza battagliare.
Appena si scorgono chinano tre o quattro volte il capo, e nello stesso tempo
espandono la borsa che hanno sotto la gola; i loro occhi brillano di collera, e
dopo aver scosso la coda da una parte e dall’altra per alcuni secondi, come se
volessero prender forza, si scagliano furiosamente l’uno su l’altro, rotolando
sempre più e tenendosi fortemente coi denti. Il conflitto termina
generalmente colla perdita della coda per parte di uno dei combattenti, che
spesso è divorata dal vincitore”. Il maschio di questa specie è
notevolmente più grosso della femmina; e questo, per quanto ha potuto
riconoscere il dottor Günther, è la regola generale con ogni sorta di
lucertole.
Sovente i sessi
differiscono grandemente in vari caratteri esterni. Il maschio del
sopramenzionato Anolis è fornito di una cresta che scorre lungo il dorso
e la coda, e può rialzarsi a piacimento; ma di questa cresta la femmina
non presenta traccia. Nella Cophotis ceylanica delle Indie la femmina
è munita di una cresta dorsale, sebbene molto meno sviluppata di quella
del maschio; e così pure è il caso, secondo che m’informa il
dottor Günther, nelle femmine di molte iguane, camaleonti, ed altre lucertole.
Tuttavia in alcune specie la cresta è sviluppata nello stesso modo nei
due sessi, come nell’Iguana tuberculata. Nel genere Sitana i maschi soli
sono muniti di un sacco alla gola che può spiegarsi come un ventaglio,
ed è colorito di turchino, di nero e di rosso; ma questi splendidi
colori sono esposti solo durante la stagione degli amori. La femmina non ha
neppure un rudimento di questa appendice. Nell’Anolis cristatellus,
secondo il signor Austen, il sacco della gola, che è di un rosso
brillante, marmoreggiato di giallo, è presente, sebbene in condizione
rudimentale, nella femmina. Parimente, in certe altre lucertole i due sessi
sono del pari provvisti di sacchi alla gola. Qui, come in molti casi
precedenti, vediamo in specie che appartengono allo stesso scompartimento il
medesimo carattere limitato ai maschi, o più sviluppato nei maschi che
non nelle femmine, o sviluppato ugualmente nei due sessi. Le piccole lucertole
del genere Draco, che sorvolano nell’aria sui loro paracadute sorretti dalle
costole, e di cui la bellezza dei colori supera qualunque descrizione, sono
munite di appendici cutanee alla gola, “come i bargigli degli uccelli
gallinacei”. Queste divengono erette quando l’animale è eccitato. Si
presentano nei due sessi, ma sono meglio sviluppate nel maschio adulto, alla
quale età l’appendice di mezzo è talora lunga due volte il capo.
La maggior parte delle specie ha pure una breve cresta che scorre lungo il
collo; e questa è molto più sviluppata nei maschi adulti che non
nelle femmine o nei maschi giovani.
Vi sono altre e
ancor più spiccate differenze fra i sessi di certe lucertole. Il maschio
della Ceratophora aspera porta all’apice del muso un’appendice lunga
quanto la metà del capo. È cilindrica, coperta di scaglie,
flessibile, e da quanto pare suscettiva di erezione: nella femmina è al
tutto rudimentale. In una seconda specie dello stesso genere una scaglia
terminale forma un piccolo corno sulla cima dell’appendice flessibile; ed in
una terza specie (C. Stoddartii), tutta l’appendice è
convertita in un corno, che consuetamente è bianco, ma che prende una tinta
porporina allorchè l’animale è eccitato. Nel maschio adulto di
quest’ultima specie il corno è lungo tredici millimetri, ma è al
tutto minutissimo nella femmina e nei maschi giovani. Queste appendici, secondo
ciò che mi fece osservare il dottor Günther, possono paragonarsi alle
creste degli uccelli gallinacei, e a quanto pare servono di ornamento.
Nel genere
Chamaeleon giungiamo all’apice della differenza fra i sessi. La parte superiore
del cranio del maschio C. bifurcus, che abita il Madagascar, è
fatto di due grandi, salde sporgenze ossee, coperte di scaglie come il resto
del capo; e la femmina non presenta che un solo rudimento di questa
meravigliosa modificazione di struttura. Parimente, nel Chamaeleon Owenii della
costa occidentale dell’Africa, il maschio porta sul muso e sulla fronte tre
curiose corna, di cui non si rinviene traccia nella femmina. Queste corna
consistono in una escrescenza dell’osso coperta di una liscia guaina, che forma
parte dell’integumento generale del corpo, cosicchè sono identiche nella
struttura con quelle di un bue, di una capra o di qualsiasi altro ruminante
dalle corna ricoperte di guaina. Quantunque le tre corna differiscano tanto
nell’aspetto dai due grandi prolungamenti del cranio del C. bifurcus,
non possiamo guari porre in dubbio che non abbiano lo stesso scopo generale
nell’economia di questi due animali. La prima congettura che si
presenterà a chiunque è quella che siano adoperate dai maschi per
combattere insieme; ma il dottor Günther, al quale vado debitore dei precedenti
ragguagli, non crede che creature così pacifiche possano mai divenire
battagliere. Quindi siamo indotti a supporre che queste deviazioni di struttura
quasi mostruose servano come ornamenti maschili.
In molte sorta
di lucertole i sessi differiscono lievemente nel colore, mentre le tinte e le
fasce sono nei maschi più brillanti e più distintamente definite
che non nelle femmine. Questo, per esempio, è il caso nel Cophotis precedentemente
menzionato, e nell’Acanthodactylus capensis dell’Africa meridionale. In
un Cordylus di quest’ultimo paese il maschio è molto più
rosso o molto più verde della femmina. Nel Calotes nigrilabris indiano
vi è una maggior differenza nel colore fra i sessi; parimente le labbra
del maschio sono nere, mentre quelle della femmina sono verdi. Nella nostra
lucertolina vivipara comune (Zootoca vivipara) “la parte inferiore del
corpo e la base della coda sono nel maschio d’un colore arancio brillante con
macchie nere; nella femmina queste parti sono d’un verde grigiastro pallido
senza macchie”. Abbiamo veduto che il maschio solo della sitana è
fornito di un sacco gulare; e questo è splendidamente tinto in azzurro,
nero e rosso. Nel Proctotretus tenuis del Chilì il maschio solo
è macchiato di turchino, di verde e di rosso rame. Io raccolsi
nell’America meridionale quattordici specie di questo genere; e, sebbene abbia
trascurato di osservare i sessi, trovai che certi individui soli erano segnati
di macchie verde-smeraldo, mentre altri avevano la gola color arancio; e queste
nei due casi erano senza dubbio maschi.
Nelle specie
precedenti i maschi sono più brillantemente coloriti delle femmine, ma
in molte lucertole i due sessi sono coloriti nello stesso modo elegante od
anche magnifico; e non v’ha ragione per supporre che quei colori vistosi siano
per scopo di protezione. Tuttavia in alcune lucertole le tinte verdi servono
senza dubbio per sottrarre all’occhio, ed un esempio è già stato
dato per incidente di una specie di Proctotretus che rassomiglia strettamente
alla sabbia in cui vive. In complesso possiamo asserire con una tal quale
certezza che i bei colori di molte lucertole, come pure le varie appendici e le
strane modificazioni nella struttura, sono stati acquistati dai maschi
mercè la scelta sessuale per scopo di ornamento, e sono stati trasmessi
sia alla prole maschile sola o ai due sessi. Invero la scelta sessuale sembra
aver avuto una parte quasi tanto importante nei rettili quanto negli uccelli.
Ma i colori meno vistosi delle femmine in paragone di quelli dei maschi non
possono essere attribuiti, come suppone il signor Wallace essere il caso per
gli uccelli, al trovarsi le femmine esposte al pericolo durante l’incubazione.
CARATTERI SESSUALI SECONDARI DEGLI UCCELLI.
Differenze
sessuali – Legge di combattimento – Armi speciali – Organi
vocali – Musica strumentale – Atteggiamenti e balli amorosi –
Ornamenti permanenti e di stagione – Mute annuali doppie o semplici –
Mostra degli ornamenti nei maschi.
Negli uccelli i
caratteri sessuali secondari sono molto svariati e vistosi, sebbene forse non
arrecanti mutamenti di struttura più ragguardevoli che non in qualunque
altra classe di animali. Talvolta i maschi degli uccelli, quantunque di raro,
son forniti di armi speciali per combattere fra loro. Allettano le loro femmine
con musica vocale o strumentale di ogni più svariata sorta. Sono ornati
di ogni maniera di creste, di bargigli, di protuberanze, di corna, di sacchi da
aria espansi, di ciuffi, di aculei, di piume e penne allungate che sporgono
graziosamente da tutte le parti del corpo. Il becco e la pelle nuda intorno al
capo, e le penne, sono spesso splendidamente coloriti. Talvolta i maschi
compiono il loro corteggiamento con balli o atteggiamenti fantastici, sia in
terra od in aria. In un caso, almeno, il maschio emette un odore di muschio che
noi supponiamo debba servire ad allettare od eccitare la femmina, perchè
un eccellente osservatore, il signor Ramsay, dice dell’Anatra muschiata
d’Australia (Biziura lobata) che “l’odore emesso dal maschio nei mesi
estivi è limitato a quel sesso, ed in alcuni individui dura tutto
l’anno; io non ho mai ucciso una femmina durante la stagione degli amori che
avesse odor di muschio”. Quell’odore è tanto potente nella stagione
della riproduzione, che si scopre molto prima di poter vedere l’uccello. In
complesso gli uccelli sembrano essere gli animali più estetici che vi
siano, tranne naturalmente l’uomo, ed hanno quasi lo stesso gusto del bello
quanto abbiamo noi. Questo viene dimostrato dal diletto che proviamo pel canto
degli uccelli, e dal fatto che le nostre donne civili e selvagge si ornano il
capo colle piume prese da quelli, e dall’uso delle gemme che sono appena
più brillantemente colorite della pelle nuda o dei bargigli di certi
uccelli.
Prima di trattare
dei caratteri di cui ci occupiamo particolarmente qui, posso appunto alludere a
certe differenze fra i sessi che dipendono, da quanto pare, dalle differenze
nel loro modo di vivere; perchè cosiffatti casi, sebbene comuni nelle
classi più basse, sono rari nelle più elevate. Due uccelli mosca
che appartengono al genere Eustephanus, che abita l’isola di Juan
Fernandez, furono per lungo tempo creduti specificatamente distinti; ma oggi si
sa, come m’informa il signor Gould, che sono i sessi della stessa specie, e
differiscono lievemente nella forma del becco. In un altro genere di uccelli
mosca (Grypus) il becco del maschio è seghettato lungo il margine
ed uncinato all’apice, e così differisce molto da quello della femmina.
Nella curiosa Neomorpha della Nuova Zelanda vi è una differenza
ancor più grande nella forma del becco; ed è stato riferito al
signor Gould che il maschio col suo “becco robusto e diritto” toglie via la
corteccia degli alberi, onde la femmina possa cibarsi delle larve scoperte in
tal guisa col suo becco più debole e più ricurvo. Si può
osservare qualche cosa di simile nel nostro cardellino (Carduelis elegans),
perchè mi fu assicurato dal signor J. Jenner Weir che gli uccellatori
possono distinguere i maschi pel loro becco un tantino più allungato. I
branchi di maschi, come asseriva un vecchio e veridico uccellatore, si vedono
comunemente cibarsi dei semi del Dipsacus che possono prendere col loro
becco allungato, mentre le femmine si cibano più solitamente di semi
della scrofolaria. Con una così lieve differenza per fondamento possiamo
vedere come il becco nei due sessi possa essere venuto a differire grandemente
per opera della scelta naturale. Tuttavia, in tutti questi casi, specialmente
in quello dei rissosi uccelli mosca, è possibile che le differenze del
becco possano essere state dapprima acquistate dai maschi in rapporto colle
loro lotte, e in seguito pel modo di vita lievemente mutato.
Legge di
combattimento. – Quasi tutti gli uccelli maschi sono sommamente battaglieri, e
adoperano il becco, le ali e le zampe per combattere fra loro. Vediamo questo
ogni primavera nei nostri pettirossi e nei nostri passeri. Il più
piccolo degli uccelli, cioè l’uccello mosca, è uno dei più
battaglieri. Il sig. Gosse descrive un combattimento in cui due uccelli mosca
si presero pel becco, e cominciarono a girare attorno, finchè caddero
quasi ai suolo; ed il signor Montes de Oca, parlando di un altro genere, dice
che di rado due maschi s’incontrano senza che una terribile lotta nell’aria
abbia luogo: quando sono tenuti in gabbia “la loro lotta termina per lo
più col fendersi della lingua di uno dei due, che allora muore
certamente non potendo più mangiare”. Secondo Waders i maschi della
sciabica comune (Gallinula chloropus) “quando si accoppiano, combattono
violentemente per le femmine: stanno quasi ritti nell’acqua e si battono coi
piedi”. Furon veduti due cosiffattamente impegnati per lo spazio di mezz’ora,
finchè uno s’impadronì del capo dell’altro, che sarebbe stato
ucciso se l’osservatore non fosse intervenuto; la femmina per tutto quel tempo
stava guardando come un tranquillo spettatore. I maschi di un uccello affine (Gallicrex
cristatus), siccome m’informa il signor Blyth, sono un terzo più
grandi delle femmine, e sono così battaglieri durante la stagione degli
amori, che sono tenuti dagli indigeni del Bengal Orientale per lo scopo di
farli combattere. Vari altri uccelli sono tenuti nell’India per lo stesso fine,
per esempio i Bulbuls (Pycnonotus haemorrhous) che si “battono con molta
vivacità”.
Il poligamo
Combattente (Machetes pugnax) è noto pel suo grande umor
battagliero; ed in primavera i maschi, che sono molto più grossi delle
femmine, si riuniscono ogni giorno in un luogo particolare, ove le femmine
hanno l’intenzione di deporre le uova. Gli uccellatori scoprono questi luoghi
pel terreno tanto calpestato che è quasi divenuto nudo. Colà essi
combattono molto come galli da combattimento, afferrandosi fra loro col becco e
battendosi colle ali. Il grande collare di piume che hanno intorno al collo si
solleva, e secondo il Col. Montagu “scende fino a terra come uno scudo per
difendere le parti più tenere”; e questo è il solo esempio che io
conosca, nel caso degli uccelli, d’una struttura qualunque che serva di scudo.
Il collare di piume, tuttavia, pei suoi ricchi e svariati colori, serve
probabilmente in gran parte come ornamento. Come la maggior parte degli uccelli
battaglieri, essi sembrano sempre pronti a combattere, e quando sono rinchiusi
strettamente spesso si uccidono fra loro; ma Montagu osserva che la loro indole
battagliera cresce molto durante la primavera, quando le lunghe penne del loro
collo sono pienamente sviluppate; ed in questo periodo il minimo movimento di
un uccello provoca una battaglia generale. Basteranno due esempi a dimostrare
l’indole battagliera dei palmipedi: nella Guiana “seguono nella stagione degli
amori lotte sanguinose fra i maschi dell’Anatra muschiata selvatica (Cairina
moschata); e dove seguono queste battaglie il fiume rimane coperto per un
certo tratto di piume”. Gli uccelli che non sembrano bene acconci per la lotta
impegnano seri conflitti; così nel Pellicano i maschi più robusti
mandan via i più deboli, afferrandoli col loro grosso becco, e menando
forti colpi colle ali. I Beccaccini maschi combattono insieme, “urtandosi e
prendendosi pel becco, nel modo più curioso che si possa immaginare”. Si
crede che alcune poche specie non combattono mai; questo è il caso,
secondo Audubon, per uno dei Picchi degli Stati Uniti (Picus auratus),
quantunque “le femmine siano accompagnate da una mezza dozzina dei loro allegri
adoratori”.
I maschi di
molti uccelli sono più grossi delle femmine, e questo è senza
dubbio un vantaggio per essi nelle loro battaglie coi rivali, ed è stato
acquistato per opera della scelta sessuale. La differenza della mole fra i due
sessi è spinta ad un punto estremo in parecchie specie di Australia;
così il maschio dell’Anitra selvatica (Biziura) e il maschio del Cincloramphus
cruralis (affine alle nostre Pispole) sono ora grossi due volte quanto le
loro rispettive femmine. In molti altri uccelli le femmine sono più
grosse dei muschi; e come abbiamo osservato precedentemente, la spiegazione che
vien data sovente, cioè che le femmine hanno maggior lavoro per nutrire
i piccoli, non può bastare. In alcuni pochi casi, come vedremo in
seguito, le femmine hanno acquistato, da quanto pare, la loro mole e la loro
maggior forza onde conquistare altre femmine ed ottenere il possesso dei
maschi.
I maschi di
molti uccelli gallinacei, specialmente dei generi poligami, sono forniti di
armi speciali per combattere i loro rivali, cioè sproni, che possono
essere di un effetto terribile. È stato riferito da uno scrittore degno
di fede che nel Derbyshire un nibbio era piombato sopra una chioccia
accompagnata dai suoi pulcini, quando il gallo si slanciò in suo
soccorso e piantò il suo sprone direttamente nell’occhio e nel cranio
dell’aggressore. Ci volle una certa difficoltà ad estrarre lo sprone dal
cranio, e siccome il nibbio sebbene morto teneva sempre fermo, i due uccelli
erano strettamente uniti insieme; ma il gallo quando venne liberato non aveva
sofferto molto danno. Il coraggio invincibile del gallo da combattimento
è noto; un signore che molto tempo fa fu testimonio della scena brutale
seguente, mi disse che un uccello aveva avuto le sue due zampe rotte per
qualche incidente nell’arena dei galli, ed il suo proprietario propose la
scommessa che se le gambe fossero state aggiustate per modo che l’uccello
avesse potuto reggersi in piedi, avrebbe continuato a combattere. Ciò fu
eseguito sul luogo, e l’uccello combattè con indomito coraggio
finchè ricevette il colpo mortale. A Ceylan una specie affinissima e
selvatica, il Gallus Stanleyi, è conosciuto come un furioso
combattente, per difendere il suo serraglio, “cosicchè frequentemente si
trova morto uno dei combattenti”. Una Pernice indiana (Ortygornis gularis),
il maschio della quale è fornito di forti ed acuti sproni, è
tanto rissosa, “che le cicatrici di lotte anteriori sfigurano il petto di quasi
ogni uccello che viene ucciso.
I maschi di
quasi tutti gli uccelli gallinacei, anche di quelli che non hanno sproni,
impegnano nella stagione degli amori serie lotte. Il Gallo cedrone ed il
Fagiano di monte (Tetrao urogallus e T. tetrix), entrambi
poligami, hanno luoghi particolari di convegno, ove durante molte settimane si
raccolgono numerosi per combattere assieme e far bella mostra della loro
avvenenza in faccia alle femmine. Il signor W. Kowalevsky m’informa che
in Russia egli ha veduto la neve tutta cosparsa di sangue sulle arene ove il
gallo cedrone aveva combattuto; ed i fagiani di monte “fanno volar via per ogni
verso le loro piume” quando in parecchi “impegnano un grande combattimento”.
Brehm padre ci dà un curioso ragguaglio intorno al Balz, come
viene detto in Germania il ballo e il canto d’amore del fagiano di monte.
L’uccello fa sentire quasi di continuo i rumori più strani; “egli
solleva la coda e la espande a ventaglio, alza il capo ed il collo sollevandone
tutte le penne, e fa sporgere le ali fuori del corpo. Allora comincia a fare
qualche salto in varie direzioni, talora in circolo, e sfrega la parte
inferiore del becco tanto fortemente sul suolo, che le piume del mento vengono
tolte via. Mentre fa questi movimenti batte le ali e gira tutto intorno. Quanto
più ardente diviene tanto più allegro si mostra, finchè
l’uccello termina col parer matto”. In quel tempo i fagiani di monte sono tanto
preoccupati che divengono quasi ciechi e sordi, ma meno tuttavia dei galli
cedroni: quindi si può sparare sopra due uccelli l’uno dopo l’altro nel
medesimo luogo o anche prenderli colla mano. Dopo aver fatto tutti questi
giuochi i maschi cominciano la lotta: e lo stesso fagiano di monte, onde far
pompa della propria forza con parecchi antagonisti, visiterà nel corso
di una sola mattina vari luoghi di Balz, che rimangono gli stessi per
diversi anni successivi.
Il Pavone col
suo lungo strascico par piuttosto un damerino che non un guerriero, ma pure
egli talora impegna serie lotte. Il rev. W. Darwin Fox mi informa che due
pavoni si riscaldarono per modo mentre combattevano a poca distanza da Chester,
che volarono sopra tutta la città, combattendo sempre, finchè si
posarono sulla cima della torre di San Giovanni.
Lo sprone, in
quei gallinacei che ne sono forniti, è in generale semplice, ma il Polyplectron
ne ha due o anche più in ogni zampa; ed uno dei fagiani sanguigni (Ithaginis
cruentus) è stato veduto perfino con cinque sproni. In generale il
maschio solo è fornito di sproni, che sono rappresentati nella femmina
da semplici sporgenze o rudimenti; ma le femmine del pavone di Giava (Pavo
muticus) e, come apprendo dal signor Blyth, del piccolo fagiano chiamato
sistematicamente Euplocamus erythropthalmus hanno sproni. Nei
Galloperdix i maschi hanno per solito due sproni ad ogni zampa e le femmine ne
hanno soltanto uno per zampa. Quindi gli sproni possono venire con certezza
considerati come un carattere mascolino, sebbene trasmesso in un grado maggiore
o minore alle femmine. Come molti altri caratteri sessuali secondari, gli
sproni sono variabilissimi tanto nel numero quanto nello sviluppo nelle stesse
specie.
Vari uccelli
hanno sproni alle ali. Ma l’Oca d’Egitto (Chenalopex aegyptiacus) ha
soltanto “rialzi ottusi nudi”; e questi ci dimostrano probabilmente i primi
stadi per cui sono andati sviluppandosi i veri sproni degli altri uccelli
affini. Nell’Oca delle ali speronate (Plectropterus gambensis) i maschi
hanno sproni molto più grandi che non le femmine; e li adoperano, come
ho saputo dal signor Bartlett, per combattere fra loro: in questo caso gli
sproni delle ali fanno da armi sessuali; ma, secondo Livingstone, sono
adoperati principalmente per difendere i piccoli. La Palamedea è armata
di un paio di sproni sopra ogni ala; e queste sono armi formidabili che con un
solo colpo fanno retrocedere con molti guaiti un cane. Ma non sembra che in
questo caso, o in quello di certi ralli dalle ali speronate, gli sproni siano
più grossi nel maschio che non nella femmina. Tuttavia in certi pivieri
gli sproni delle ali debbono essere considerati come un carattere sessuale.
Così nel maschio della nostra Pavoncella (Vanellus cristatus) il
tubercolo dell’ala alla spalla diviene più sporgente durante la stagione
degli amori, e si sa che i maschi combattono assieme. In alcune specie di
Lobivanellus un tubercolo consimile si sviluppa durante la stagione delle nozze
“in un breve sprone corneo”. Nel L. Lobatus di Australia i due sessi
hanno sproni, ma questi sono molto più grossi nei maschi che non nelle
femmine. In un uccello affine, l’Hoplopterus armatus, gli sproni non
crescono in mole durante la stagione degli amori; ma questi uccelli sono stati
veduti in Egitto combattere assieme, nel modo stesso dei nostri pivieri,
girando repentinamente nell’aria, e battendosi i fianchi a vicenda, talora con
esito fatale. In tal modo pure respingono i loro nemici.
La stagione
degli amori è quella della lotta; ma i maschi di alcuni uccelli, come il
gallo da combattimento ed il combattente, ed anche i maschi giovani dei
tacchini selvatici e dei tetraoni, sono pronti a combattere ovunque
s’incontrano. La presenza della femmina è la teterrima belli causa.
I Baboos del Bengala fanno combattere fra loro i graziosi piccoli maschi della Estrelda
amandava, ponendo tre gabbiette in circolo, con una femmina nel mezzo; dopo
un po’ di tempo lasciano liberi i due maschi, e subito s’impegna una lotta
disperata. Quando molti maschi si riuniscono nello stesso luogo per combattere
assieme, come nel caso dei tetraoni e di vari altri uccelli, essi sono
generalmente accompagnati dalle femmine, che si accoppiano poi coi combattenti
vittoriosi. Ma in alcuni casi l’accoppiamento precede invece di seguire il
combattimento: così, secondo Audubon, parecchi maschi del succiacapre
della Virginia (Caprimulgus Virginianus) “corteggiano, in un modo
divertente, la femmina; ed appena ha essa fatto la sua scelta, il prescelto
scaccia tutti gli intrusi, e li manda via dai suoi domini”. In generale i
maschi cercano in ogni modo di respingere od uccidere i loro rivali prima di
accoppiarsi. Non sembra tuttavia che le femmine preferiscano invariabilmente i
maschi vittoriosi. Infatti sono stato assicurato dal signor W. Kowalevsky che
la femmina del gallo cedrone talvolta fugge via con un giovane maschio che non
ha osato entrare in campo con altri maschi più vecchi; nello stesso modo
come segue talora pel cervo in Scozia. Quando due maschi si battono in presenza
di una femmina sola, il vincitore, senza dubbio, ottiene in generale il suo
scopo; ma alcune di queste battaglie sono prodotte dacchè certi maschi
vaganti cercano di disturbare la pace di una coppia già unita.
Anche colle
specie più battagliere è probabile che l’accoppiamento non
dipenda esclusivamente dalla sola forza e dal coraggio del maschio,
perchè questi maschi sono in generale ben forniti di vari ornamenti, che
spesso divengono più brillanti durante la stagione degli amori, e di cui
fanno astutamente pompa in presenza delle femmine. Parimente i maschi cercano
di allettare o eccitare le loro compagne con note amorose, canti ed
atteggiamenti, e in molti casi il corteggiare è una faccenda assai
lunga. Quindi non è probabile che le femmine siano indifferenti alla
bellezza dell’altro sesso, o che siano spinte a cedere invariabilmente ai
maschi vincitori. È più probabile che le femmine siano eccitate,
prima o dopo la lotta, da certi maschi, e così inconsciamente li
preferiscano. Nel caso del Tetrao umbellus, un buon osservatore va tanto
in là da credere che le battaglie dei maschi “siano tutte una finzione,
fatta per mostrarsi nell’aspetto più favorevole agli occhi delle femmine
che lor stanno attorno ammirandoli; perchè non mi fu mai dato di trovare
un eroe ferito, e non ho guari trovato più di qualche penna rotta”.
Avrò da tornare su questo argomento, ma posso qui aggiungere che nel Tetrao
cupido degli Stati Uniti una diecina circa di maschi si raccolgono in un
luogo particolare, e girando gravemente attorno fanno risuonare l’aria del loro
straordinario rumore. Alla prima risposta di una femmina i maschi cominciano a
combattere furiosamente, e i più deboli abbandonano il campo; ma allora,
secondo Audubon, tanto i vincitori che i vinti si mettono a cercare le femmine,
per cui queste debbono fare una scelta, altrimenti la battaglia deve
ricominciare. Così pure è il caso nella Sturnella ludoviciana degli
Stati Uniti: i maschi impegnano serie lotte “ma alla vista di una femmina le
corrono tutti dietro come se fossero pazzi”.
Musica vocale e
strumentale. – Negli uccelli la voce serve ad esprimere varie emozioni, come lo
sgomento, il timore, la collera, il trionfo, o solo la felicità. Talora
da quanto pare è adoperata per promuovere il terrore, come il rumore
sibilante fatto da qualche uccello da nido. Audubon riferisce che una Nitticora
(Ardea nicticorax, Linn.), che egli teneva addomesticata, soleva
nascondersi quando si accostava un gatto, e allora “saltava fuori
repentinamente emettendo le grida più spaventose, divertendosi, da
quanto pare, nel vedere il gatto fuggire impaurito”. Il gallo domestico comune
chioccia per chiamare la gallina, e la gallina per chiamare i suoi pulcini,
quando trovano un buon boccone. La gallina, quando depone un uovo “ripete la
stessa nota molto spesso, e finisce colla settima alta, che tiene per un tempo
più lungo”; e così esprime la sua contentezza. Alcuni uccelli
sociali si chiedono, da quanto pare, aiuto colla voce; e siccome saltellano da
un albero all’altro, tutto il branco sta insieme pel pigolio che risponde al
pigolio. Durante le emigrazioni notturne delle anatre e di altri uccelli
d’acqua si possono sentire acuti suoni che manda l’antiguardia nel buio della
notte, cui rispondono altre grida della retroguardia. Certe grida servono come
segnale di pericolo, che, siccome il cacciatore conosce a sue spese, sono bene
comprese dalle stesse specie e da altre. Il gallo domestico canta, e l’uccello
mosca pigola, quando trionfano di uno sconfitto rivale. Tuttavia il vero canto
di molti uccelli e varie strane grida sono emesse principalmente durante la
stagione degli amori, e servono come allettamento, o anche solo come un
richiamo per l’altro sesso.
I naturalisti
non sono per nulla concordi intorno allo scopo del canto degli uccelli. Non vi
fu guari mai osservatore più accurato di Montagu, ed egli asserisce che
i “maschi degli uccelli cantatori e di molti altri non cercano in generale la
femmina, ma al contrario in primavera la loro occupazione è quella di
appollaiarsi in qualche luogo vistoso, mandando fuori pienamente le loro note amorose,
che la femmina conosce per istinto, ed essa si reca sul luogo per scegliersi un
compagno”. Imparo dal signor Jenner Weir che questo è certamente il caso
per l’usignuolo. Bechstein, che tenne durante tutta la sua vita uccelli,
asserisce “che la femmina del canarino sceglie sempre il miglior cantatore, e
che in istato di natura le femmine dei fringuelli scelgono quel maschio, in
mezzo a cento altri, di cui amano meglio il canto”. Non si può porre in
dubbio che gli uccelli stanno attenti al loro vicendevole canto. Il signor Weir
mi ha narrato il caso di un ciuffolotto al quale era stato insegnato a zufolare
un walzer tedesco, e che era divenuto un artista tanto buono che costava 250
franchi[26]; quando quest’uccello
venne posto nella stanza ove vi erano altri uccelli e cominciò a
cantare, tutti gli altri, che erano una ventina di canarini e di fanelli, si
allogarono nel luogo più vicino delle loro gabbie ed ascoltarono colla
più grande attenzione il nuovo artista. Molti naturalisti credono che il
canto degli uccelli sia quasi esclusivamente “per scopo di rivalità e di
emulazione”, e non per quello di allettare le loro compagne. Questa era
l’opinione di Daines Barrington e di White di Selborne, i quali si occuparono
specialmente di questo argomento. Tuttavia Barrington ammette che “la
superiorità nel canto dà agli uccelli un ascendente meraviglioso
sugli altri, come sanno benissimo gli uccellatori”.
È certo
che v’ha un grado intenso di rivalità fra i maschi pel loro canto. I
dilettanti di uccelli fanno scommesse per vedere quale dei loro uccelli
canterà più a lungo; e mi fu detto dal signor Yarrell che un
uccello molto distinto canterà talora finchè cade quasi morto, o,
secondo Bechstein, interamente morto per la rottura di una vena dei polmoni.
Qualunque possa esserne la causa, gli uccelli maschi, come ho udito dal signor
Weir, muoiono spesso repentinamente durante la stagione del canto. È
evidente che l’abito del canto è talvolta al tutto indipendente
dall’amore, perchè si dice che un canarino ibrido sterile cantasse
mentre si vedeva nello specchio, e allora si scagliava contro la propria
immagine; parimente aggrediva con furia un canarino femmina quando veniva messo
nella stessa gabbia. Gli uccellatori traggon partito dalla gelosia eccitata
dall’atto del cantare; si nasconde un maschio buon cantatore, e si mette in
vista un uccello impagliato cui stanno intorno molte bacchette coperte di
vischio. In tal modo un uomo, secondo quello che mi ha detto il signor Weir, ha
preso nel corso di un sol giorno cinquanta, ed in un caso, fino a settanta
fringuelli maschi. Il potere e la disposizione al canto differiscono tanto
negli uccelli, che quantunque il prezzo di un fringuello maschio comune sia di
soli quarantacinque centesimi[27], il signor Weir vide un
uccellatore che chiedeva settantacinque franchi[28] di un uccello; la prova
della vera bontà di un cantatore è quella che egli continui a
cantare mentre la gabbia è dondolata sul capo del suo padrone.
Non è
per nulla incompatibile che gli uccelli cantino per emulazione come per la
voglia di allettare la femmina; e invero questi due fini possono andar
d’accordo insieme, come gli ornamenti e l’umor battagliero. Tuttavia alcuni
autori asseriscono che il canto del maschio non può servire a dilettare
la femmina; perchè le femmine di alcune poche specie, come il canarino,
il pettirosso, l’allodola, ed il ciuffolotto specialmente, come osserva Bechstein,
quando sono in stato di vedovanza, emettono note melodiose. In alcuni di questi
casi l’abito del cantare può essere in parte attribuito a ciò che
le femmine sono state molto ben nutrite e tenute racchiuse, perchè
ciò disturba tutte le funzioni usuali che hanno rapporto colla
riproduzione della specie. Sono già riferiti molti casi della
trasmissione parziale dei caratteri mascolini secondari alla femmina,
cosicchè non v’ha nulla di straordinario che le femmine di alcune specie
sian fornite della facoltà del canto. È stato anche asserito che
il canto del maschio non può servire ad allettare, perchè i
maschi di certe specie, per esempio il pettirosso, cantano durante l’autunno.
Ma non v’ha nulla di più comune del fatto di animali che prendono
piacere a praticare un istinto qualunque che seguono in altri tempi per qualche
bene reale. Quanto spesso non vediamo noi uccelli che volano agevolmente,
librarsi e veleggiare per l’aria evidentemente per divertirsi? Il gatto si
trastulla col topolino prigioniero, ed il marangone col pesce che ha preso. Il
Ploceo (Ploceus) quando è chiuso in gabbia si trastulla
intrecciando con bel garbo fili d’erba fra i ferri della sua gabbia. Gli
uccelli che sogliono combattere durante la stagione degli amori sono
generalmente pronti a combattere in ogni tempo; ed i maschi del gallo cedrone
talvolta tengono i loro balli in autunno nel luogo solito ove si riuniscono.
Quindi non v’ha nulla da meravigliarsi che gli uccelli maschi continuino a
cantare per proprio divertimento dopo che la stagione del corteggiare è
trascorsa.
Il canto è fino a un certo
punto, come abbiamo dimostrato in un capitolo precedente, un’arte, e la pratica
lo migliora di molto. Si possono insegnare agli uccelli molte arie, ed anche il
passero poco melodioso ha imparato a cantare come un fringuello. Imparano a
cantare dai loro allevatori e talora anche dai loro vicini. Tutti i cantatori
comuni appartengono all’ordine degli Insessores, ed i loro organi vocali
sono molto più complessi che non quelli della maggior parte degli uccelli;
tuttavia è un fatto singolare che alcuni fra gli Insessores, come
i corvi, le cornacchie, le gazze posseggono l’apparato proprio sebbene non
cantino mai e non modulino naturalmente in modo molto esteso la loro voce.
Hunter asserisce che nei veri cantatori i muscoli della laringe sono più
forti nei maschi che non nelle femmine; ma, tranne questa lieve eccezione, non
v’ha differenza negli organi vocali dei due sessi, quantunque i maschi di molte
specie cantino tanto meglio e tanto più lungamente delle femmine.
È notevole che soltanto gli
uccelli piccoli cantano propriamente. Tuttavia il genere Menura d’Australia
deve essere eccettuato, perchè la Menura Alberti, che ha circa la
mole di un tacchino a metà cresciuto, non solo imita altri uccelli, ma
“il suo proprio zufolìo è sommamente piacevole e svariato”. I
maschi si raccolgono a congrega e formano “piazze fortificate”, ove
cantano, sollevando ed espandendo le loro code come pavoni, ed abbassando le
ali. È pure notevole che gli uccelli che cantano sono di raro ornati di
colori brillanti o altri ornamenti. Dei nostri uccelli inglesi, eccettuato il
ciuffolotto ed il cardellino, i migliori cantatori hanno colori semplici. Il
gruccione, il martin pescatore, la gazza marina, l’upupa, i picchi, ecc.,
mandano aspre grida; ed i brillanti uccelli dei tropici appena si possono
chiamare cantatori. Quindi i bei colori e la facoltà del canto sembrano
sostituirsi a vicenda. Possiamo vedere che se il piumaggio non avesse variato
nello splendore, o se i colori brillanti fossero nocevoli alla specie,
sarebbero stati adoperati altri mezzi per allettare le femmine; e il farsi
melodiosa la voce avrebbe offerto uno di questi mezzi.
In alcuni uccelli gli organi vocali
differiscono grandemente nei due sessi. Nel Tetrao cupido il maschio ha
due sacchi nudi di color arancio ai due lati del collo; e questi si gonfiano
molto quando il maschio, nella stagione delle nozze, emette uno strano suono
profondo che si può sentire da una grande distanza. Audubon ha
dimostrato che il suono aveva una intima relazione con questo apparato, che ci
ricorda i sacchi ad aria da ogni lato della bocca di certe rane maschi,
perchè egli trovava che il suono era molto diminuito quando un uccello
addomesticato si pungeva uno dei sacchi, e quando si pungevano tutti e due i
sacchi allora il suono cessava al tutto. La femmina ha “qualche cosa di simile,
sebbene più piccolo, in uno spazio nudo della pelle del collo; ma questo
non può enfiarsi”. Il maschio di un’altra specie di Tetraone (Tetrao
urophasianus), mentre corteggia la femmina, fa gonfiare il suo “esofago
giallo nudo in modo prodigioso, cosicchè diviene grosso quanto la
metà del suo corpo”; ed egli allora manda vari suoni cupi, profondi e
gracidanti. Colle piume del collo sollevate, colle ali basse e strascicanti sul
suolo, e la coda allungata espansa a ventaglio, egli fa mostra di svariati e
grotteschi atteggiamenti. L’esofago della femmina non ha nulla di notevole.
Sembra ora provato che il grande sacco
gulare del maschio della Starda europea (Otis tarda), e di almeno altre
quattro specie, non serve, come si supponeva una volta, per contenere acqua, ma
abbia relazione col grido particolare che rassomiglia alla parola ock,
che emette nella stagione delle nozze. Mentre l’uccello emette questo suono
prende i più strani atteggiamenti. È un fatto singolare che nei
maschi della stessa specie il sacco non si sviluppa in tutti gli individui. Un
uccello somigliante ad un corvo che vive nell’America meridionale (Cephalopterus
ornatus), vien detto uccello ombrello, per un immenso ciuffo, fatto di nudi
filamenti bianchi cui stanno sopra piume turchine scure, che possono innalzarsi
in una grande cupola del diametro non minore di tredici centimetri, che copre
tutto il capo. Quest’uccello ha al collo una appendice lunga, sottile,
cilindrica, carnosa, che è fittamente rivestita di piume turchine
somiglianti a scaglie. Serve in parte come ornamento, ma del pari come apparato
sonoro perchè il signor Bates trovava che ha relazione con “un insolito
sviluppo della trachea e degli organi vocali”. Si dilata quando l’uccello manda
fuori la sua nota di flauto singolarmente profonda, forte e sostenuta. La
cresta del capo e l’appendice del collo sono rudimentali nella femmina.
Gli organi vocali di vari uccelli
palmipedi e trampolieri sono straordinariamente complicati, e differiscono in
un certo grado nei sessi. In alcuni casi la trachea è rigirata, come un
corno francese, ed è profondamente infossata nello sterno. Nel Cigno
selvatico (Cygnus ferus) è infossata più profondamente nel
maschio adulto che non nella femmina o nei maschi giovani. Nel Merganser
maschio la parte più larga della trachea è munita di un paio
addizionale di muscoli. Ma lo scopo di queste differenze fra i sessi di molte Anatidae
non si comprende affatto, perchè il maschio non è sempre il
più clamoroso; così nell’anatra comune il maschio fischia, mentre
la femmina emette un forte clamore. Nei due sessi di una grue, la Damigella di
Numidia (Grus virgo), la trachea penetra nello sterno, ma presenta
“certe modificazioni sessuali”. Nel maschio della cicogna nera vi è pure
una differenza sessuale bene distinta nella lunghezza e nella incurvatura dei
bronchi. Cosicchè strutture importantissime sono state in questi casi
modificate secondo il sesso.
È spesso difficile congetturare
se tanti strani gridi e strane note, emesse dagli uccelli maschi durante la
stagione degli amori, servano per allettare o puramente per chiamare la
femmina. Si può supporre che il dolce tubare della tortora e di molti
piccioni piaccia alla femmina. Quando la femmina del tacchino selvatico emette
il suo richiamo al mattino, il maschio risponde con una nota differente dal
rumore gorgogliante che manda quando, colle penne rialzate, colle ali
strascicanti e coi bargigli distesi, cammina tutto tronfio e sbuffante intorno
a lei. Il balbettare del fagiano di monte serve certo di richiamo alla femmina,
perchè si sa che si fanno venire da una certa distanza quattro o cinque
femmine verso un maschio tenuto in prigione, ma siccome il fagiano di monte
continua il suo balbettare per molte ore durante i giorni seguenti, e nel caso
del gallo cedrone “con un’angoscia appassionata”, siamo indotti a supporre che
le femmine le quali sono già presenti provino per questo un certo
piacere. Si sa che la voce del corvo nero comune cambia durante la stagione
degli amori, ed è quindi in certo modo sessuale. Ma che diremo intorno
agli aspri clamori, per esempio, di certe specie dì pappagalli del
genere Macrocercus! Hanno questi uccelli un così cattivo gusto in
fatto di suoni musicali come l’hanno, da quanto pare, pei colori, se
giudichiamo dal disarmonico contrasto del loro piumaggio giallo acceso e
turchino? È invero possibile che la voce forte di molti uccelli maschi
possa essere il risultato, senza che ne ricavino alcun vantaggio, degli effetti
ereditati dall’uso continuo dei loro organi vocali, quando sono eccitati dalle
forti passioni dell’amore, della gelosia e della rabbia; ma intorno a
ciò avremo da parlare trattando dei quadrupedi.
Finora non abbiamo parlato se non della
voce; ma i maschi di vari uccelli praticano, durante il loro corteggiamento,
ciò che si può chiamare musica strumentale. I pavoni e gli
uccelli di paradiso muovono con strepito le loro penne insieme, e da quanto
pare quel movimento vibratorio serve solo a far rumore, perchè non
può guari accrescere la bellezza del loro piumaggio. I tacchini maschi
strascinano le ali contro il suolo, e alcune specie di tetraoni producono
così un suono ronzante. Un altro tetraone dell’America settentrionale, il
Tetrao umbellus, quando sta colla coda sollevata, col collare espanso,
“facendo pompa della sua bellezza innanzi alle femmine che stanno nascoste nel
contorno”, produce un suono quasi di tamburo battendo insieme rapidamente le
ali sul suo dorso, secondo il signor R. Haymond, e non, come credeva Audubon,
battendole contro i fianchi. Il suono prodotto in tal guisa è stato
paragonato da alcuni al rombo del tuono lontano, e da altri al rullo affrettato
di un tamburo. La femmina non produce mai questo suono, “ma vola direttamente verso
il luogo ove il maschio sta facendolo”. Nell’Imalaia il maschio del fagiano
Kalij “sovente fa colle ali un singolare suono come di rullo di tamburo, che
rassomiglia a quello che fa una pezza di panno quando è sbattuta”. Sulla
costa occidentale dell’Africa i piccoli plocei neri (Ploceus?) si
riuniscono in pochi sopra i cespugli intorno ad un piccolo spazio, e cantano e
volano nell’aria sbattendo le ali, “ciò che produce un rapido suono
strepitante come di un sonaglio”. Un uccello dopo l’altro fa questo armeggio
per varie ore, ma solo nella stagione del corteggiamento. In questa stessa
stagione i maschi di certi succiacapre (Caprimulgus) fanno colle ali uno
stranissimo suono. Le varie specie di picchi battono col becco un ramo sonoro,
con un movimento vibratorio tanto rapido, che “il capo sembra essere in due
luoghi ad un tempo”. Questo suono si può udire ad una notevole distanza,
ma non si può descrivere e son certo che chi lo abbia sentito per la
prima volta non è riuscito a comprendere donde derivasse. Siccome questo
suono discordante vien prodotto principalmente durante la stagione degli amori,
è stato considerato come un canto d’amore; ma forse è più
particolarmente un richiamo amoroso. È stato osservato che la femmina,
quando è scacciata dal suo nido, chiama in tal guisa il maschio, che
risponde nello stesso modo e presto compare. Infine l’Upupa maschio (Upupa
epops) riunisce la musica vocale alla strumentale; perchè durante la
stagione degli amori questo uccello, come ha veduto il signor Swinhoe, alza
prima in aria la punta del becco, che batte poi perpendicolarmente contro un
sasso o il tronco d’un albero, “e allora il fiato venendo respinto in
giù nel becco tubulare produce un vero suono”. Quando il maschio emette
il suo grido senza battere il becco, il suono è al tutto diverso.
Nei casi precedenti i suoni sono
prodotti mercè strutture già presenti ed in altro modo
necessarie; ma nei casi seguenti certe penne sono state modificate per lo scopo
definito di produrre il suono. Il rumore come rullo di tamburo, di belare, di
nitrito o di tuono, come sono espressi dai differenti osservatori, che è
prodotto dal beccaccino comune (Scolopax gallinago), deve aver sorpreso
chiunque lo abbia udito. Quest’uccello, durante la stagione degli amori, vola
“all’altezza di circa trecento metri”, e dopo di essere andato volando a
ghirigori per un certo tempo scende in linea curva, colla coda espansa e le ali
sbattenti, con meravigliosa velocità sulla terra. Il suono è
emesso solo durante la sua rapida discesa. Nessuno poteva spiegarne la causa,
finchè il signor Meves ebbe osservato che da ogni lato della coda le
penne esterne hanno una forma particolare, avendo un fusto foggiato a sciabola,
colle barbe oblique di inconsueta lunghezza col tessuto esterno più fortemente
compatto. Egli trovò che soffiando sopra quelle penne, o legandole ad
una lunga e sottile verghetta e battendo rapidamente l’aria con quelle, egli
poteva produrre il rumore rullante esattamente come l’uccello vivo. I due sessi
sono forniti di queste penne, ma esse sono in generale più grandi nel
maschio che non nella femmina, ed emettono una nota più profonda. In
alcune specie, come nello S. frenata, quattro penne, e nello S. javensis,
non meno di otto per ogni lato della coda sono grandemente modificate. Differenti
note vengono emesse dalle differenti specie quando sono mosse nell’aria; e lo Scolopax
Wilsonii degli Stati Uniti fa un rumore quando scende a terra rapidamente,
come di una verghetta quando batte un oggetto qualunque.
Nel maschio del Chamaepetes unicolor
(un grosso uccello gallinaceo d’America) la prima remigante primaria
è arcuata verso l’apice ed è molto più sottile che non
nella femmina. In un uccello affine, la Penelope nigra, il signor Salvin
osservò un maschio che, mentre volava in giù “colle ali espanse,
produceva una sorta di rumore scricchiolante, mormorante”, come lo stormire di
un albero. Il maschio solo di una otarda indiana (Sypheotides auritus) ha
le sue penne principali molto acuminate e si sa che il maschio di una specie
affine fa un rumore ronzante quando corteggia la femmina. In un gruppo di
uccelli grandemente differente, cioè negli uccelli mosca, i maschi soli
di certi generi hanno talora gli steli delle remiganti primarie largamente
dilatati, o il tessuto tagliato netto verso l’estremità. Per esempio, il
maschio del Selasphorus platycercus, quando è adulto, ha la prima
remigante primaria tagliata in tal modo. Mentre vola da un fiore all’altro egli
fa “un rumore trillante, quasi sibilante”, ma al signor Salvin non parve che
quel rumore fosse fatto a bella posta.
In ultimo, in parecchie specie del
sotto-genere Pipra o Manakin i maschi hanno le remiganti secondarie modificate,
come le descrive il signor Sclater, in un modo ancor più notevole. Nella
P. deliciosa dai colori brillantissimi le prime tre remiganti secondarie
hanno il fusto spesso e ricurvo verso il corpo; nella quarta e quinta il
mutamento è ancor più grande; e nella sesta e settima il cannello
“è straordinariamente ingrossato, e forma una gobba solida e cornea”. Le
barbe sono del pari grandemente mutate nella forma, a petto delle penne
corrispondenti della femmina. Anche le ossa dell’ala che sostengono queste
singolari penne nel maschio, siccome dice il signor Fraser, sono molto
ingrossate. Questi uccellini fanno un rumore straordinario, la prima “nota
acuta non essendo dissimile dallo scoppiettìo di una frusta”.
La diversità dei suoni, tanto
vocali che strumentali, prodotti dai maschi di molte specie durante la stagione
degli amori, e la diversità dei mezzi per produrre cosiffatti suoni,
è notevolissima. Noi acquistiamo in tal modo un’alta idea della loro
importanza per lo scopo sessuale, e ci tornano in mente le medesime conclusioni
che riguardano gli insetti. Non è difficile immaginare gli stadi per cui
le note di un uccello che primieramente non servivano che come richiamo o per
qualche altro fine, possono essere state migliorate in un melodioso
canto d’amore. Questo è in certo modo più difficile nel caso
delle penne modificate, per cui si producono suoni di rulli di tamburo, di
sibilo o di ruggito. Ma abbiamo veduto come alcuni uccelli durante il
corteggiamento muovono, sbattono o sfregano assieme le loro penne non
modificate; e se le femmine fossero indotte a scegliere i migliori compagni, i
maschi possessori della penne più grosse o più forti, o
più modificate, poste in una parte qualunque del corpo, sarebbero i
più fortunati; e così con lenti passi le penne potrebbero venire
modificate in un grado quasi infinito. Naturalmente le femmine non potrebbero
notare ogni leggera successiva alterazione di forma, ma soltanto i suoni
prodotti in tal modo. È un fatto curioso che nella stessa classe di
animali suoni tanto differenti quanto il rullo della coda del beccaccino e il
battito del becco del picchio, l’aspro grido strombettante di certi uccelli
acquatici, il tubare della tortora ed il canto dell’usignuolo, siano tutti
piacevoli alle femmine nelle varie specie. Ma non dobbiamo giudicare i gusti di
specie distinte con una sola misura; nè dobbiamo noi giudicarli dalla
misura del gusto dell’uomo. Anche nell’uomo dobbiamo ricordarci che i rumori
discordi, il battere del tam-tam e le note strillanti delle canne piacciono
alle orecchie dei selvaggi. Sir S. Baker osserva che “siccome lo stomaco
dell’Arabo preferisce la carne cruda ed il fegato fumante preso caldo
dall’animale così preferisce la musica aspra e discordante ad ogni
altra”.
Atteggiamenti amorosi e balli. – Abbiamo
già notato incidentalmente gli strani atteggiamenti amorosi di vari
uccelli, specialmente dei gallinacei; per cui non v’ha qui molto da
aggiungere. Nell’America settentrionale numerosi branchi di un tetraone, il Tetrao
phasianellus, s’incontrano ogni giorno durante la stagione degli amori
sopra un luogo prescelto bene spianato, e là si mettono a correre
intorno intorno in un circolo del diametro di quattro a sei metri,
cosicchè il terreno diviene al tutto nudo, come l’anello di una fata.
Nei balli delle pernici, come vengono detti dai cacciatori, questi
uccelli assumono le più strane attitudini, e corrono intorno, alcuni a
sinistra altri a destra. Audubon
descrive i maschi di un airone (Ardea herodias) che passeggiano intorno
sulle loro lunghe zampe con gran sussiego innanzi le femmine, sfidando i loro
rivali. In uno dei disgustosi avoltoi delle carogne (Cathartes jota) lo
stesso naturalista asserisce che “le gesticolazioni e la bella mostra che fanno
i maschi sul principio della stagione degli amori sono sommamente ridicoli”.
Certi uccelli compiono i loro atteggiamenti amorosi volando, come abbiamo veduto
nel ploceo nero d’Africa, invece che non sul terreno. In primavera la nostra
Sterpazzola (Sylvia cinerea) si alza sovente a pochi metri nell’aria
sopra un qualche cespuglio, e “si libra con un moto curioso e fantastico,
cantando sempre, finchè ripiomba sul suo ramo”. La grande Starda inglese
si atteggia in modi indicibilmente strani mentre corteggia la femmina, come
è stata disegnata da Wolf. Una starda indiana affine (Otis
bengalensis) in quel tempo “si solleva perpendicolarmente nell’aria
battendo con velocità le ali alzando la cresta e facendo sollevare le
penne del collo o del petto, poi piomba sul terreno”; ripete questo maneggio
varie volte di fila, mentre fa un particolare suono ronzante. Quelle femmine
che si trovano colà presso “obbediscono a quegli ordini saltellanti”, e
quando esse si avvicinano il maschio trascina le ali per terra ed espande la
coda come un tacchino.
Ma il caso più curioso è
quello che presentano tre generi affini di uccelli d’Australia, le famose
clamidere: senza dubbio sono i condiscendenti di qualche specie antica che
acquistò primieramente lo strano istinto di costrurre pergolati per
compiere i giuochi amorosi. I pergolati, che, come vedremo in seguito, sono
benissimo ornati di penne, di conchiglie, di ossa e di foglie, sono costrutti
sul terreno pel solo scopo del corteggiamento, perchè i loro nidi son
fatti sugli alberi. I due sessi si occupano della costruzione di questa sorta
di boschetti fatti ad arco, ma il maschio è il costruttore principale.
Questo istinto è tanto potente che viene praticato anche in reclusione,
ed il signor Strange ha descritto i costumi di alcune clamidere che tiene nella
sua uccelliera nella Nuova Galles del Sud. “Alle volte il maschio insegue la
femmina per tutta l’uccelliera, poi va nel pergolato, prende col becco una
bella piuma o una grande foglia, manda una certa nota singolare, solleva tutte
le piume, corre intorno all’arco, e diviene così eccitato che gli occhi
sembrano volergli uscire dal capo; continua spiegando prima un’ala, poi l’altra,
mandando una nota bassa, sibilante, simile a quella del gallo domestico, fa le
viste di prender col becco qualche cosa dal terreno, finchè la femmina
gli si avvia adagino incontro”. Il capitano Stokes ha descritto i costumi e i
“luoghi di sollazzo” di un’altra specie, la clamidera maggiore, che fu veduta
“trastullarsi volando avanti e indietro, prendendo una conchiglia
alternativamente da ogni lato, e portandola in bocca attraverso l’arco”. Queste
curiose costruzioni, fatte coll’unico scopo di sale di riunione, ove i due
sessi si divertono e si corteggiano, devono costare agli uccelli molto lavoro.
Per esempio, il pergolato della Chlamydera cerviniventris è quasi
lungo un metro e venti centimetri ed è alto quarantasei centimetri, ed
è collocato sopra una fitta piattaforma di verghette.
Ornamenti. –
Comincerò a parlare dei casi in cui i maschi sono ornati esclusivamente
o in maggior grado delle femmine; ed in un susseguente capitolo di quelli in
cui i due sessi sono ugualmente ornati, e finalmente di quei rari casi in cui
la femmina è in certo modo più brillantemente colorita del
maschio. Come negli ornamenti artificiali usati dagli uomini selvaggi ed
inciviliti, così pure negli ornamenti naturali degli uccelli la testa
è la sede principale degli ornamenti. Questi ornamenti, come sono
menzionati nel principio di questo capitolo, sono di natura meravigliosamente
varia. Il piumaggio sulla fronte o dietro il capo è fatto di piume
svariatamente foggiate, che talvolta possono sollevarsi od espandersi, per cui i
loro bellissimi colori sono al tutto messi in vista. Alle volte si osservano
sulle orecchie ciuffi eleganti. Il capo è talora coperto d’una calugine
vellutata come quella del fagiano, o è nudo e vivacemente colorito, o
sostiene appendici carnose, filamenti e protuberanze sode. Anche la gola
è talvolta ornata di una barba, o di bargigli o caruncole. In generale
questa sorta di appendici hanno colori brillanti, e servono senza dubbio di
ornamento, sebbene non sempre abbiano ai nostri occhi questa apparenza;
perchè mentre il maschio è nell’atto di corteggiare la femmina
sovente si gonfiano ed assumono tinte più vivaci, come nel caso del
tacchino maschio. In quel tempo le appendici carnose che ornano il capo del
maschio del Fagiano Tragopan (Cerionis temminckii) si gonfiano e
divengono sulla gola come una grossa barba, e dai due lati dello splendido
ciuffo come due cornetti; e questi sono coloriti del turchino più
intenso che io mi abbia mai veduto. Il Bucorx abyssinicus gonfia il suo
bargiglio scarlatto a mo’ di vescica che ha sul collo, e colle ali cascanti e
la coda spiegata “fa bellissima mostra di sè”. Anche l’iride dell’occhio
è alle volte più brillantemente colorita nel maschio che non
nella femmina; e questo è frequentemente il caso pel becco, per esempio,
del nostro merlo comune. Nel Buceros corrugatus tutto il becco e
l’immenso elmo sono vistosamente più coloriti nel maschio che non nella
femmina; e “le scanalature oblique che stanno sui lati della mandibola
inferiore sono particolari al sesso mascolino”.
Sovente i maschi sono ornati di penne e
piume allungate che scaturiscono da ogni parte del corpo. Le piume del collo e
del petto si sviluppano talora in graziosi collari e gorgiere. Le piume della
coda sono frequentemente più lunghe, come vediamo nelle copritrici della
coda del pavone, e nella coda del fagiano Argo. Il corpo di questo uccello non
è più grosso di un pollo; tuttavia la sua lunghezza dall’apice
del becco alla estremità della coda non è minore di un metro e
sessanta centimetri. Le penne delle ali non sono tanto sovente allungate come
quelle della coda, perchè il loro allungamento impedirebbe l’atto del
volare. Tuttavia le belle penne secondarie ocellate delle ali del fagiano Argo
maschio sono lunghe quasi cinquanta centimetri[29]; ed in un piccolo
succiacapre di Africa (Cosmetornis vexillarius) una delle penne primarie
delle ali durante la stagione degli amori vien lunga fino a un metro e mezzo[30], mentre l’uccello stesso
non ha che ventisei[31] centimetri di lunghezza.
In un altro genere affinissimo ai succiacapre gli steli delle penne delle ali
allungate sono nudi, tranne all’apice, dove v’è un disco. Parimente in
un altro genere di succiacapre le penne della coda sono pure prodigiosamente
più sviluppate; cosicchè vediamo la stessa sorta di ornamento
acquistato dai maschi di uccelli intimamente affini mercè lo sviluppo di
piume grandemente diverse.
È un fatto singolare che le
piume di uccelli che appartengono a gruppi distinti sono state modificate quasi
esattamente nello stesso modo particolare. Così le penne delle ali di
uno dei sopramenzionati succiacapre sono lungo il cannello nude e terminano in
un disco; o sono, come vengono talora dette, foggiate a cucchiaio o a
racchetta. Queste sorta di penne si presentano sulla coda di un Motmot (Eumomota
superciliaris), di un martin pescatore, di una fringilla, di un uccello
mosca, di un pappagallo, di parecchi Dicrurus ed Edolius dell’India
(in uno dei quali il disco sta verticalmente), e nella coda di certi uccelli di
paradiso. In questi ultimi uccelli queste penne, vagamente ocellate, ornano il
capo, come pure è il caso per certi uccelli gallinacei. In una starda
indiana (Sypheotides auritus) le piume che formano i ciuffi delle
orecchie, e che sono lunghe circa dieci centimetri, terminano pure a disco. Le
barbe delle penne di vari uccelli molto distinti sono filamentose o piumose,
come in alcuni Aironi, Ibis, Uccelli di Paradiso e Gallinacei. In altri casi le
barbe scompaiono, lasciando nudi gli steli; e questi della coda della Pararlisea
apoda giungono alla lunghezza di novanta centimetri. Le penne più
corte quando sono così denudate sembrano setole, come si vedono sul
petto del tacchino. Come ogni foggia passeggera di vestiario viene ammirata
dall’uomo, così negli uccelli ogni mutamento della struttura o nel
colorito delle piume nel maschio sembrano essere state ammirate dalla femmina.
Il fatto che le piume di gruppi al tutto distinti sono state modificate in un
modo analogo dipende senza dubbio primariamente da ciò che tutte le
piume avendo quasi la stessa struttura e lo stesso modo di sviluppo, hanno
conseguentemente tendenza a variare nello stesso modo. Vediamo sovente una
tendenza ad una analoga variabilità nel piumaggio delle nostre razze
domestiche che appartengono a specie distinte. Così i ciuffi sono
comparsi in parecchie specie. In una varietà estinta di tacchini il
ciuffo consisteva di piume nude sovrastate da piume caluginose, per cui
rassomigliavano, fino a un certo punto, alle penne a foggia di racchette sovra
descritte. In certe razze di piccioni e di polli le penne sono piumose con
qualche tendenza ad avere lo stelo nudo. Nell’oca di Sebastopoli le piume
scapolari sono allungatissime, arricciate, o anche rivolte, a spira, col
margine piumoso.
Rispetto al colore non vi è guari
da dire ora gran cosa, perchè ognuno sa quanto splendide siano le tinte
degli uccelli, e con quanta armonia siano combinate. Sovente i colori sono
metallici ed iridescenti. Talora le macchie circolari sono circondate da una o
da più zone ombreggiate differentemente, e così vengono
convertite in ocelli. E neppure è necessario dir molto intorno alla
meravigliosa differenza fra essi, o della somma bellezza dei maschi di alcuni
uccelli. Il pavone comune ci presenta un esempio notevolissimo. Le femmine
degli uccelli di paradiso sono di colori oscuri e prive di ogni sorta di
ornamenti; mentre i maschi sono forse fra gli uccelli meglio ornati, e in tante
fogge, che bisogna vederli per apprezzarli. Le piume allungate color d’oro
aranciato che sortono di sotto le ali della Paradisea apoda, quando sono
rialzate verticalmente e fatte vibrare, son descritte come formanti una sorta
di aureola, nel centro della quale il capo “appare come un piccolo sole di
smeraldo con raggi formati dalle due piume”. In un’altra specie molto
più bella il capo è calvo, “e di un bell’azzurro cobalto,
attraversato da parecchie linee di piume vellutate nere”.
I maschi degli uccelli mosca gareggiano
quasi in bellezza cogli uccelli di paradiso, come ammetterà chiunque
abbia veduto gli splendidi volumi del signor Gould o la sua ricca collezione.
È cosa notevolissima osservare in quante fogge svariate sono ornati
questi uccelli. Quasi ogni parte del piumaggio è stata migliorata o
modificata, e le modificazioni sono state spinte, come mi ha mostrato il signor
Gould, ad un punto prodigioso in alcune specie che appartengono a quasi ogni
sotto-gruppo. Questi casi sono curiosamente simili a quelli che noi vediamo
nelle nostre razze bizzarre, allevate dall’uomo per servire di ornamento: in
origine certi individui variano in un carattere, ed altri individui
appartenenti alle stesse specie in altri caratteri, e di queste variazioni ha
tratto partito l’uomo aumentandole estremamente, come la coda del piccione
pavonino, il cappuccio del giacobino, il becco ed i bargigli del messaggere, e
così avanti. L’unica differenza che passa fra questi casi è che
in uno l’effetto è dovuto alla scelta operata dall’uomo, mentre
nell’altro, come negli uccelli mosca, negli uccelli di paradiso, ecc., è
dovuto alla scelta sessuale, che è la scelta operata dalle femmine dei
maschi più belli.
Menzionerò solo un altro
uccello, notevole pel grande contrasto che esiste fra i colori dei due sessi,
cioè il famoso Chasmorhynchus niveus dell’America meridionale, di
cui si può distinguere la nota alla distanza di circa tre miglia, e che
fa le meraviglie a chi per la prima volta lo sente. Il maschio è di un
bianco puro, mentre la femmina è verde scuro; ed il primo colore nelle
specie terrestri di mole moderata e di abiti innocui è rarissimo.
Parimente il maschio, come è stato descritto da Waterton, ha un tubo
spirale lungo quasi sette centimetri che sorge alla base del becco. È di
un nero lucido, punteggiato sopra di minutissime piume caluginose. Questo tubo
può essere gonfiato d’aria mercè una comunicazione col palato; e
quando non è gonfio pende giù da un lato. Il genere consiste di
quattro specie, i maschi delle quali sono molto distinti, mentre le femmine,
come le descrive il signor Sclater in un lavoro interessantissimo, si
rassomigliano intimamente, offrendo così un eccellente esempio della
legge comune, che nello stesso gruppo i maschi differiscono molto più
fra loro che non le femmine. In una seconda specie (C. nudicollis) il
maschio è pure bianco di neve, eccettuato un grande spazio di pelle nuda
sulla gola e intorno agli occhi, che durante la stagione delle nozze è
di un bel colore verde. In una terza specie (C. tricarunculatus) il capo
ed il collo soltanto del maschio sono bianchi, il rimanente del collo è
bruno-castagno, e il maschio di questa specie è fornito di tre sporgenze
filamentose lunghe quanto la metà del corpo – una che scaturisce dalla
base del becco e le due altre dagli angoli della bocca.
Il piumaggio colorito e certi altri
ornamenti dei maschi adulti sono talora conservati per tutta la vita o si
rinnovano periodicamente in estate e nella stagione delle nozze. In questa
stagione il becco e la pelle nuda intorno al capo cambiano sovente colore, come
segue in alcuni aironi, ibis, gabbiani, uno dei Chasmorhynchus menzionati
poco fa, ecc. Negli ibis bianchi, le gote, la pelle che si gonfia dalla gola, e
la porzione basale del becco divengono cremisini. In uno dei ralli, Gallicrex
cristatus, si sviluppa una grande caruncola rossa durante questo stesso
periodo sul capo del maschio. Così pure è il caso per una sottile
cresta cornea sul becco di un pellicano, P. erythrorhynchus;
perchè dopo la stagione delle nozze queste creste cornee cadono, come le
corna dei cervi, e la spiaggia d’un’isola in un lago della Nevada venne trovata
coperta di queste curiose spoglie.
I mutamenti di colore del piumaggio
secondo la stagione dipendono prima di tutto da una doppia muta annua,
secondariamente da un attuale mutamento di colore delle penne medesime, e in
terzo luogo da ciò che i loro margini coloriti di scuro sono
periodicamente perduti, oppure da questi tre processi più o meno
combinati. La perdita dei margini decidui può essere paragonata al
mutare che fanno i giovani uccelli il loro piumino; perchè il piumino
nella maggior parte dei casi deriva dall’apice delle prime vere piume.
Rispetto agli uccelli che annualmente
van soggetti ad una doppia muta, essi sono, in primo luogo, certi generi, per
esempio i beccaccini, le pernici di mare (Glareolae) ed i chiurli, nei
quali i due sessi si rassomigliano e non mutano colore in nessuna stagione. Non
so se il piumaggio invernale sia più fitto e tenga più caldo di
quello estivo, che sembra, quando non v’ha mutamento dl colore, la causa
più probabile di una doppia muta. In secondo luogo, vi sono uccelli, per
esempio certe specie di Totanus ed altre gralle, i sessi dei quali si
rassomigliano fra loro, ma hanno un piumaggio invernale ed estivo un tantino
differente. Tuttavia in questi casi la diversità nel colore è così
leggera che può appena essere per essi un vantaggio; e può forse
essere attribuita all’azione diretta delle differenti condizioni a cui gli
uccelli sono esposti durante le due stagioni. In terzo luogo vi sono molti
altri uccelli di cui i sessi sono simili, ma che sono grandemente differenti
nel loro piumaggio estivo ed invernale. In quarto luogo, vi sono uccelli i
sessi dei quali differiscono fra loro nel colore; ma le femmine, sebbene
facciano due mute, conservano gli stessi colori durante tutto l’anno, mentre i
maschi sopportano un mutamento e talora come in certe starde, un grande
mutamento di colore. In quinto ed ultimo luogo, vi sono uccelli di cui i sessi
differiscono fra loro tanto nel piumaggio invernale come nell’estivo, ma il
maschio sopporta un mutamento maggiore in ogni stagione ricorrente che non la
femmina – e di questo il Combattente (Machetes pugnax) offre una buona
prova.
Rispetto alla causa od allo scopo della
differenza di colore fra il piumaggio estivo e quello invernale, questo
può in alcuni casi, come nella pernice di montagna, servire nelle due
stagioni di protezione. Quando la differenza fra i due piumaggi è lieve,
può forse essere attribuita, come è stato osservato, alla azione
diretta delle condizioni della vita. Ma in molti uccelli non vi può
essere guari dubbio che il piumaggio estivo è di ornamento, anche quando
i due sessi sono simili. Possiamo conchiudere che questo è il caso in
molti aironi, perchè acquistano le loro belle piume solo durante la
stagione degli amori. Inoltre quelle piume, quei ciuffi, ecc., sebbene siano
posseduti dai due sessi, sono alle volte molto più sviluppati nel
maschio che non nella femmina, e rassomigliano alle piume ed agli ornamenti che
in altri uccelli posseggono solo i maschi. È pure noto che la reclusione,
alterando il sistema riproduttore degli uccelli maschi, arresta di frequente lo
sviluppo dei loro caratteri sessuali secondari; ed io sono informato dal signor
Bartlett che otto o nove esemplari di piovanello maggiore (Tringa canutus) conservavano
nel Giardino Zoologico di Londra il loro piumaggio invernale disadorno durante
tutto l’anno; e da questo fatto possiamo dedurre che il piumaggio estivo,
sebbene comune ai due sessi, partecipa della natura del piumaggio
esclusivamente mascolino di molti altri uccelli.
Dai sopramenzionati fatti, e più
specialmente da ciò che nessun sesso di certi uccelli cambia colore
durante una qualche muta annua, o cambia così lievemente che il
mutamento non può recargli grande utile, e da ciò che le femmine
di altre specie mutano due volte conservando tutto l'anno gli stessi colori,
possiamo conchiudere che l’abito del mutare due volte nell’anno non è
stato acquistato onde il maschio assuma durante la stagione delle nozze un
carattere ornamentale; ma che la doppia muta essendo stata originariamente
acquistata per qualche scopo distinto, è venuto in seguito utile in
certi casi per l’acquisto del piumaggio nuziale.
A prima vista sembra una circostanza
sorprendente che in uccelli strettamente affini alcune specie sopportino
regolarmente una doppia muta annua, ed altre solamente una sola. Per esempio,
la pernice di montagna muta le penne due volte o anche tre volte all’anno, ed
il fagiano di monte soltanto una; alcune delle splendidissime Nectariniae
dell’India ed alcuni sottogeneri di pispole dai colori oscuri (Anthus)
hanno doppia muta; mentre altri hanno soltanto una muta annua. Ma le
graduazioni nel modo di mutare le penne, che si conoscono seguire in vari
uccelli, ci dimostrano come le specie, o gruppi interi di specie, possano avere
acquistato originariamente la loro doppia muta annua, o avendone una volta
acquistato l’abitudine, l’hanno poi nuovamente perduta. In certe starde ed in
certi pivieri la muta invernale è lungi dall’essere compiuta, alcune
penne sono rinnovate, ed alcune mutano colore. Vi è pure ragione per
credere che in certe starde ed in certi rallidi, che sopportano propriamente
una doppia muta, alcuni dei maschi più vecchi conservano il loro
piumaggio nuziale lungo tutto l’anno. Alcune poche penne molto modificate
possono soltanto venire aggiunte al piumaggio in primavera, come segue nelle
penne della coda a disco di certe specie del genere Bhringa nell’India,
e nelle penne allungate del dorso, del collo o del ciuffo di certi aironi. Con
cosiffatti stadi la muta invernale può divenir compiuta, finchè
una doppia e perfetta muta sia acquistata. Sì può anche
dimostrare l’esistenza di una graduazione nella lunghezza del tempo durante il
quale ogni piumaggio annuale è conservato; cosicchè uno può
venir conservato per tutto l’anno, e l’altro al tutto perduto. Così il Machetes
pugnax conserva il suo collare per soli due mesi in primavera. Il maschio
della Vedova (Chera progne) acquista in Natal il suo bel piumaggio e le
lunghe piume nel dicembre o gennaio, e le perde in marzo; cosicchè non
le conserva che tre mesi. La maggior parte delle specie che sostengono una
doppia muta conservano le loro piume d’ornamento per lo spazio di quasi sei
mesi. Tuttavia il maschio del Gallus bankiva selvatico conserva le piume
sfilacciate del collo per nove o dieci mesi; e quando cadono, si veggono
pienamente le piume nere sottostanti. Ma nel discendente domestico di questa
specie i filamenti del collo del maschio sono sostituiti immediatamente da
altri nuovi, cosicchè noi vediamo qui, rispetto ad una parte nel
piumaggio, una doppia muta, che per l’addomesticamento è divenuta una
muta unica.
Si sa benissimo come l’Anatra comune (Anas
boschas) perde, dopo la stagione degli amori, il suo piumaggio maschile per
un periodo di tre mesi, durante il quale assume quello della femmina. Il
maschio del Codone (Anas acuta) perde il suo piumaggio nel brevissimo
periodo di sei settimane o due mesi; e Montagu osserva che “questa doppia muta
entro un così breve tempo è una straordinarissima circostanza,
che fa diffidare di ogni umano ragionamento”. Ma colui che crede nella graduata
modificazione delle specie non troverà nulla di che meravigliare
scorgendo ogni sorta di graduazione. Se il codone maschio fosse per acquistare
il suo nuovo piumaggio in un periodo ancor più breve, le nuove piume
maschili si sarebbero necessariamente mescolate colle vecchie, ed entrambe con
alcune proprie della femmina; e questo è, a quanto pare, il caso nel
maschio di un uccello assai affine, cioè Merganser serrator,
perchè si dice che i maschi “sopportano un mutamento di piumaggio, che
li rende simili, fino a un certo punto, alla femmina”. Mercè un
acceleramento ulteriore nel processo, la doppia muta verrebbe al tutto perduta.
Alcuni uccelli maschi, come abbiamo
detto sopra, acquistano in primavera colori molto più brillanti, non per
una muta invernale, ma talora per un cambiamento attuale di colore nelle penne,
o per la perdita dei loro margini decidui coloriti oscuramente. I mutamenti di
colore compiuti in tal modo possono durare per un tempo più o meno
lungo. Nel Pelecanus onocrotalus una bella tinta rosea, con macchie
color limone sul petto, ricopre tutto il piumaggio in primavera, ma queste
tinte, siccome asserisce il signor Sclater, “non durano un pezzo, scomparendo
generalmente in circa sei settimane o due mesi dopo che sono state acquistate”.
Certe fringille perdono i margini delle penne in primavera, e allora acquistano
un colore più vivace, mentre altre fringille non van soggette a nessun
mutamento. Così la Fringilla tristis degli Stati Uniti (come pure
molte altre specie americane) mostrano i loro brillanti colori soltanto quando
l’inverno è passato, mentre il nostro cardellino, che rappresenta
esattamente quest’uccello pei costumi, e il nostro lucarino che lo rappresenta
ancor più strettamente nella struttura, non sopportano nessun mutamento
annuale. Ma una differenza di questa sorta nel piumaggio di specie affini non
è sorprendente, perchè nel fanello comune, che appartiene alla
stessa famiglia, le macchie rosse della fronte e del petto non si veggono che
durante la primavera in Inghilterra, mentre in Madera questi colori sono
conservati per tutto l’anno.
Mostra che fanno gli uccelli maschi del
loro piumaggio. – Ogni sorta di ornamenti, acquistati sia permanentemente sia
temporaneamente, vengono messi in mostra con avvedutezza dai maschi, e servono,
da quanto pare, per eccitare o attirare, o allettare le femmine. Ma talora i
maschi fanno pompa dei loro ornamenti anche quando non sono in presenza delle
femmine, come segue occasionalmente nei tetraoni nei loro luoghi di riunione, e
come si può osservare nel pavone; tuttavia quest’ultimo uccello
evidentemente desidera uno spettatore qualunque, e fa bella mostra della sua
bellezza, come ho veduto sovente, innanzi al pollame, e anche innanzi ai maiali.
Tutti i naturalisti che hanno studiato attentamente i costumi degli uccelli,
sia allo stato di natura o in reclusione, sono unanimi nel credere che i maschi
si compiacciono nel far pompa della loro bellezza. Audubon parla frequentemente
del maschio come occupato a cercare ogni mezzo per piacere alla femmina. Il
signor Gould, dopo aver descritto alcune particolari bellezze di un maschio di
uccello mosca, dice che non dubita affatto che egli non abbia il potere di
mostrarle il meglio possibile innanzi alla femmina. Il dottore Jerdon insiste
su ciò che il bel piumaggio del maschio serve “ad affascinare ed
attirare la femmina”. Il signor Bartlett, nel Giardino Zoologico di Londra, mi
esprimeva nei termini più forti la sua opinione in questo senso.
Deve essere uno spettacolo
meraviglioso, nelle foreste dell’India, “trovarsi ad un tratto in mezzo a venti
o trenta pavoni, mentre i maschi fanno mostra del loro splendido strascico e
girano in tutta la pompa del loro orgoglio innanzi alle femmine soddisfatte”. Il
tacchino selvaggio rialza il suo lucido piumaggio, espande la sua coda
finamente zonata e le sue ali colle piume a fasce, ed assume al tutto, coi suoi
bargigli rossi e turchini, un aspetto superbo, sebbene ai nostri occhi sia
grottesco. Simili fatti sono stati già riferiti per ciò che
riguarda varie sorta di tetraoni. Veniamo ora ad un altro Ordine. La Rupicola
crocea maschio è uno dei più splendidi uccelli del mondo,
essendo di un colore arancio brillante con alcune penne curiosamente troncate e
piumose. La femmina è verde-bruniccio, ombreggiata di rosso, ed ha una
cresta molto più piccola. Sir R. Schomburgk ha descritto il loro
corteggiamento; egli trovò un loro luogo di riunione dove v’erano dieci
maschi e due femmine. Lo spazio aveva il diametro di un metro e venti
centimetri a un metro e mezzo, e sembrava esser stato ripulito da ogni
filo d’erba e spianato come dalla mano dell’uomo. Un maschio “stava facendo
capriole con evidente soddisfazione di parecchi altri. Ora spiegava le ali
sporgendo in su il capo, ora apriva la coda come un ventaglio, ora camminava
fieramente con passo saltellante finchè era stanco; allora emetteva una certa
nota, e veniva sostituito da un altro. In tal modo tre di essi successivamente
entrarono in campo, e allora tutti contenti si ritirarono per riposare”. Gli
Indiani, onde impadronirsi delle loro pelli, aspettano in uno dei luoghi di
riunione finchè gli uccelli sono impegnati seriamente nei loro giuochi,
e allora possono uccidere, colle loro frecce avvelenate, quattro o cinque
maschi uno dopo l’altro. Negli uccelli di paradiso una dozzina o più di
maschi in pieno piumaggio si riuniscono sopra un albero per compiere le loro
danze, come vengono dette dagli indigeni; e là volando in giro, alzando
le ali e sollevando le loro stupende piume, e facendole vibrare, fanno
sì, come dice il signor Wallace, che tutto l’albero sembra pieno di
piume ondeggianti. Quando sono cosiffattamente impegnati divengono tanta
assorti che un abile arciere può uccidere tutto il branco. Si dice che
questi uccelli, quando sono tenuti in reclusione nell’Arcipelago Malese, hanno
cura di tenersi pulite le piume, sollevandole spesso, esaminandole, e togliendo
via ogni macchia di sudiciume. Un osservatore che ne tenne vivo qualche paio,
non dubita che la mostra che faceva il maschio non fosse collo scopo di piacere
alla femmina.
Il fagiano dorato (Thaumalea picta) durante
il corteggiamento non solo espande e rialza il suo merletto di piume, ma lo
gira, come ho veduto io stesso, obliquamente verso la femmina da qualunque lato
questa si trovi, evidentemente acciò che una larga superficie possa
essere messa in mostra innanzi a lei. Il signor Bartlett ha osservato un Polyplectron
maschio nell’atto del corteggiare, e mi ha mostrato un individuo impagliato
nell’atteggiamento che aveva preso. La coda e le penne delle ali di questo
uccello sono ornate di begli ocelli, simili a quelli della coda del pavone. Ora,
quando il pavone fa bella mostra di sè, allarga e rialza la coda
trasversalmente al corpo, perchè sta in faccia alla femmina, e deve
mostrarle, nello stesso tempo, la gola ed il petto riccamente coloriti di
turchino. Ma il petto del Polyplectron ha colori oscuri, e gli ocelli
non si limitano alle piume della coda. In conseguenza il Polyplectron
non si mette in faccia alla femmina, ma rialza ed espande le piume della coda
un po’ obliquamente, piegando l’ala allargata dallo stesso lato e rialzando
quella del lato opposto. In questa attitudine gli ocelli sono esposti sopra
tutto il corpo innanzi agli occhi della femmina che sta ammirandoli molto
estesamente. Da qualunque parte essa possa girare, le ali allargate e la coda
obliquamente rialzata vengono rivolte verso di lei. Il maschio del fagiano
Tragopan opera quasi nello stesso modo, perchè rialza le piume del
corpo, sebbene non l’ala medesima, dal lato che è opposto alla femmina,
e che sarebbe altrimenti nascosto, cosicchè quasi tutte le sue piume
vagamente macchiate sono messe in mostra nel medesimo tempo.
Il caso del fagiano Argo è ancor
più notevole. Le remiganti secondarie immensamente sviluppate, che sono
proprie del maschio, sono ornate di una fila di venti a ventitrè ocelli,
ognuno dei quali ha il diametro di ventisei millimetri. Le piume sono pure
elegantemente segnate di fasce oblique oscure e file di macchie, come quelle
combinate della tigre e del leopardo. Gli ocelli sono tanto vagamente
ombreggiati che, siccome osserva il duca d’Argyll, sembrano simili ad un occhio
che sta dentro la sua orbita. Ma quando guardai l’esemplare del Museo
Britannico, che è preparato colle ali espanse e strascicanti, rimasi
molto disingannato, perchè gli ocelli parevano piatti o anche concavi.
Tuttavia il signor Gould mi spiegò subito il fatto, perchè egli
aveva disegnato un maschio mentre stava pavoneggiandosi. Allora le lunghe penne
secondarie delle due ali vengono rialzate ed espanse verticalmente; e queste,
insieme colle penne della coda enormemente allungate, formano un grande e
diritto ventaglio semicircolare. Ora, appena le copritrici delle ali sono
tenute in questa posizione, e la luce brilla al disopra di esse, spicca
l’effetto pieno delle ombre, ed ogni ocello rassomiglia repentinamente ad un
occhio dentro l’orbita. Queste penne son state mostrate a parecchi artisti, e
tutti hanno espresso la loro ammirazione per quel perfetto ombreggiamento. Si
può ora domandare se quegli ornamenti così artisticamente dipinti
siano prodotti dalla scelta sessuale. Ma sarà meglio differire a
rispondere a ciò finchè non tratteremo nel prossimo capitolo del
principio di graduazione.
Le remiganti primarie, che in molti
uccelli gallinacei sono uniformemente colorite, sono nel fagiano Argo oggetti
non meno meravigliosi che non le remiganti secondarie. Sono esse di una dolce
tinta bruna con moltissime macchie oscure, ognuna delle quali è fatta di
due o tre gocce nere circondate da una zona oscura. Ma l’ornamento principale
è uno spazio parallelo allo stelo turchino-scuro, che forma nel disegno
una perfetta seconda piuma posata dentro la vera penna. Questa parte interna
è colorita di un color castagno-chiaro, ed è finamente goccettata
di minuti punti bianchi. Ho mostrato questa penna a parecchie persone, e molti
l’hanno trovata ancor più bella delle penne ad occhio ed hanno asserito
che pareva piuttosto opera dell’arte che non della natura. Ora queste piume
sono al tutto nascoste in ogni occasione ordinaria della vita, ma vengono
mostrate allorchè le penne secondarie si rialzano, sebbene in modo molto
differente; perchè sono allargate di faccia come due piccoli ventagli o
scudi, uno per ogni lato del petto presso il terreno.
Il caso del fagiano maschio Argo
è sommamente interessante perchè somministra una buona prova che
la più raffinata bellezza può solo servire per allettare la
femmina e non per alcun altro scopo. Dobbiamo conchiudere che questo è
il caso, perchè le remiganti primarie non sono mai messe in vista, e gli
ornamenti fatti ad occhi non sono mostrati nella loro più grande perfezione
tranne quando il maschio assume l’atto del corteggiare. Il fagiano Argo non ha
colori brillanti, cosicchè la sua buona riuscita nel corteggiare sembra
essere stato l’effetto della grande mole delle sue piume, e della elaborazione
dei più eleganti modelli. Molti dichiareranno che è al tutto
impossibile che la femmina di un uccello possa apprezzare le belle tinte e le
forme squisite. Senza dubbio, è un fatto meraviglioso che essa possegga
questo gusto in un grado quasi umano, sebbene forse ammiri piuttosto l’effetto
generale anzichè ogni particolare separato. Colui che crede di potere
con sicurezza misurare la scelta ed il gusto degli animali inferiori,
può negare che la femmina del fagiano Argo sappia apprezzare una
cosiffattamente raffinata bellezza; ma sarà obbligato ad ammettere che
gli strani atteggiamenti presi dal maschio durante l’atto del corteggiamento,
per cui la meravigliosa bellezza del suo piumaggio viene a spiegarsi
pienamente, non hanno scopo alcuno; e questa è una conclusione che io
non ammetterò mai.
Quantunque tanti fagiani e tanti
uccelli gallinacei affini facciano mostra del loro bel piumaggio innanzi alle
femmine, è notevole, come m’informa il signor Bartlett, che questo non
è il caso pel fagiano orecchiuto ed il fagiano di Wallich dai colori
oscuri (Crossoptilon auritum e Phasianus Wallichii); cosicchè
questi uccelli sembrano conoscere che hanno poca bellezza da mettere in mostra.
Il signor Bartlett non ha mai veduto i maschi di nessuna di queste due specie
combattere assieme, sebbene non abbia avuto tanta opportunità di
studiare il fagiano di Wallich come il fagiano orecchiuto. Parimente il signor
Jenner Weir ha trovato che tutti gli uccelli maschi forniti di splendido e bene
caratterizzato piumaggio sono più battaglieri che non le specie che
hanno colori sbiaditi e che appartengono ai medesimi gruppi. Per esempio il
cardellino è molto più battagliero del fanello, ed il merlo
più del tordo. Quegli uccelli che van soggetti ad un mutamento di
piumaggio stagionale divengono pure più battaglieri in quel periodo in
cui sono più vivacemente adorni. Senza dubbio i maschi di alcuni uccelli
dai colori oscuri combattono disperatamente insieme, ma sembra che quando la
scelta sessuale ha avuta una potente azione, e ha dato colori brillanti ai
maschi di qualsiasi specie, ha pure spesso dato loro una forte tendenza a
divenir battaglieri. Incontreremo, trattando dei mammiferi, casi a un dipresso
analoghi. D’altra parte negli uccelli la facoltà del canto e i colori
brillanti sono stati raramente acquistati insieme dai maschi della specie; ma
in questo caso il vantaggio acquistato sarebbe stato identicamente il medesimo,
cioè la riuscita nel piacere alla femmina. Nondimeno bisogna confessare
che i maschi di parecchi uccelli dagli splendidi colori hanno avuto le loro
piume specialmente modificate per lo scopo di produrre musica strumentale,
sebbene la bellezza di questa non possa essere paragonata, almeno secondo il
nostro gusto, con quella della musica vocale di molti cantatori.
Veniamo ora ai maschi di quegli uccelli
che non hanno ornamenti di sorta, ma che tuttavia spiegano, durante il
corteggiamento, tutte le attrattive che possono possedere. Questi casi sono per
certi rispetti più curiosi dei precedenti, e sono poco notati. Sono
debitore dei seguenti fatti scelti fra una buona raccolta di pregevoli note
mandatemi dai signor Jenner Weir, che ha tenuto lungamente molte sorta di
uccelli che comprendevano tutte le Fringillidae ed Emberizidae
dell’Inghilterra. Il ciuffolotto si avanza in faccia alla femmina, poi spinge
avanti il petto, per cui sono esposte all’occhio in tal modo molte più
penne rosse che non sarebbe il caso altrimenti. Nel tempo stesso volge e piega
la sua nera coda da una parte e dall’altra nel modo più ridicolo. Il
fringuello maschio parimente si mette di fronte alla femmina mostrando
così il suo petto rosso e il capo cilestro; nello stesso tempo le ali
sono un tantino allargate, per cui le fasce di un bianco puro che stanno nelle
spalle fanno così maggior figura. Il fanello comune distende così
il suo rosso petto, espande un tantino le sue brune ali e la sua coda, cercando
di farle comparire il meglio possibile mettendo in mostra i loro bianchi
margini. Tuttavia dobbiamo andar guardinghi nell’asserire che le ali siano
allargate pel solo scopo di metterle in mostra, perchè alcuni uccelli
che non hanno belle ali le espongono nello stesso modo. Questo è il caso
pel gallo domestico: ma è sempre l’ala del lato opposto alla femmina che
viene allargata, e contemporaneamente trascinata sul terreno. Il cardellino
maschio si comporta differentemente da tutte le altre fringille: le sue ali
sono belle, mentre le spalle sono nere, colle remiganti dai margini scuri con
macchie bianche orlate di giallo-oro. Quando fa la corte alla femmina egli fa
manovrare il suo corpo da una parte e dall’altra, e volge in fretta le sue ali
lievemente allargate prima da un lato poi dall’altro, con un effetto
abbagliante di luce dorata. Nessun’altra fringilla inglese, come mi informa il
signor Weir, si volge durante il corteggiamento da un lato e dall’altro in
simil modo; neppure il lucarino maschio strettamente affine, perchè
facendo così non aumenterebbe per nulla la propria bellezza.
La maggior parte degli zigoli
d’Inghilterra sono uccelli dai colori semplici; ma in primavera le penne del
capo del migliarino di padule maschio (Emberiza schoeniculus) acquistano
un bel colore nero per l’abrasione delle punte brune; e queste nell’atto dei
corteggiamenti vengono rialzate. Il signor Weir ha tenuto due specie di Amadina
di Australia: l’A. castanotis è una piccolissima fringilla dai
casti colori, colla coda bruna, il groppone bianco e le cuopritrici superiori
della coda di un bel nero; ognuna delle quali è segnata di tre grandi e
vistose macchie ovali bianche. Questa specie quando è nell’atto del
corteggiare la femmina allarga lievemente e fa vibrare queste cuopritrici della
coda parzialmente colorite in modo singolarissimo. Il maschio dell’Amadina
Lathami si comporta molto diversamente, mettendo in mostra innanzi alla
femmina il suo petto brillantemente macchiettato ed il groppone scarlatto e le
cuopritrici superiori pure rosso-scarlatto. Posso qui aggiungere dal dottor
Jerdon, che il Bulbul indiano (Pycnonotus haemorrhous) ha le cuopritrici
inferiori della coda cremisine, e si potrebbe credere che la bellezza di queste
penne non possa mai essere veduta; ma quest’uccello “quando è eccitato
spesso le spande lateralmente, perciò si possono vedere anche di sopra”.
Il piccione comune ha sul petto piume iridescenti, e tutti possono aver veduto
in qual modo il maschio gonfia il petto mentre corteggia la femmina, facendo
figurare il più possibile quelle piume. Uno dei bei piccioni di
Australia dalle ali bronzate (Ocyphaps lophotes) si comporta, da quello
che mi ha detto il signor Weir, in modo molto diverso; il maschio mentre sta
innanzi alla femmina piega il capo quasi fino a terra, allarga e rialza
perpendicolarmente la coda ed espande a metà le sue ali. Egli allora
lentamente ed alternativamente rialza ed abbassa il corpo, cosicchè le
penne metalliche iridescenti vengono ad un tempo messe in mostra e brillano al
sole.
Sono stati ora riferiti fatti
sufficienti per mostrare con quanta cura gli uccelli maschi fan pompa delle
loro varie bellezze, e questo fanno con abilità sorprendente. Mentre
ravviano le loro piume hanno frequenti occasioni di ammirarsi e di studiare il
modo di far meglio risaltare la loro bellezza. Ma siccome i maschi della stessa
specie fanno pompa di loro stessi precisamente nel medesimo modo, sembra che
certe azioni, dapprima forse intenzionali, siano divenute istintive. Se
ciò è vero, non dobbiamo accusare gli uccelli di essere
consapevolmente vanitosi; tuttavia quando vediamo il pavone andar attorno tutto
tronfio, colle penne della coda allargate e vibranti, ci sembra il vero emblema
dell’orgoglio e della vanità.
I vari ornamenti che posseggono i
maschi sono certo importantissimi per essi, perchè sono stati acquistati
in alcuni casi alle spese della facoltà del volo e della corsa, che sono
divenute in tal modo molto impacciate. Il succiacapre africano (Cosmetornis),
il quale durante la stagione degli amori ha una delle remiganti primarie delle
ali sviluppata in una lunghissima banderuola, riman così molto
impacciato nel suo volo, quantunque in altri tempi sia notevole per la sua sveltezza.
La “grande mole” delle remiganti secondarie del fagiano Argo maschio dicesi
“che impedisca quasi al tutto all’uccello di volare”. Le belle piume dei maschi
degli uccelli di paradiso li impacciano quando soffia forte il vento. Le
copritrici della coda estremamente lunghe del maschio della vedova (Vidua)
dell’Africa meridionale rendono “il loro volo pesante”; ma appena le ha perdute
vola bene quanto la femmina. Siccome gli uccelli si propagano quando il cibo
è abbondante, è probabile che i maschi non soffrono molto
disturbo nella ricerca del cibo per questo impaccio nella facoltà di
muoversi; ma non vi può essere guari dubbio che debbano essere molto
più in pericolo di venir presi dagli uccelli di rapina. Come pure non
possiamo dubitare che il lungo strascico del pavone e la lunga coda e le lunghe
penne delle ali del fagiano Argo debbano renderli una preda molto più
facile per ogni belva, come il gatto tigre, di quello che sarebbe il caso.
Anche i colori brillanti di molti uccelli maschi non possono a meno di metterli
più in vista di ogni sorta di nemico. Quindi è probabile, come ha
notato il signor Gould, che cosiffatti uccelli sono in generale timidi, come se
fossero consapevoli che la loro bellezza è per essi sorgente di pericolo,
e sono più difficili da scoprire e da avvicinare che non le femmine
colorite di scuro e meno diffidenti al paragone, o che non i maschi giovani
ancora disadorni.
È un fatto ancor più
curioso che i maschi di alcuni uccelli che sono forniti di armi speciali per
combattere, e che allo stato di natura sono così battaglieri che sovente
si uccidono a vicenda, soffrono per avere certi ornamenti. Quelli che fanno
combattere i galli tolgon via le piume del petto e tagliano la cresta e i
bargigli dei loro galli; allora si dice che l’uccello è armato in
guerra. Un uccello non armato, siccome asserisce il signor
Tegetmeier, “ha molto svantaggio; la cresta ed i bargigli offrono una facile
presa al becco del suo avversario, e siccome un gallo colpisce sempre quello
che tiene, quando una volta ha ghermito il nemico, egli lo ha al tutto in suo
potere. Supponendo anche che l’uccello non venga ucciso, la perdita del sangue
sofferta da un uccello non armato è molto maggiore di quella che
sopporta uno che sia stato preparato”. I galli d’India giovani quando
combattono si afferrano sempre pei bargigli, ed io suppongo che i maschi vecchi
si battono nello stesso modo. Si potrà forse dire che la cresta ed i
bargigli non sono ornamenti e non possono servire a questo fine agli uccelli;
ma anche ai nostri occhi la bellezza del gallo nero-lucido spagnuolo risalta
molto per la sua bianca faccia e la cresta rossa; e chiunque abbia veduto gli
splendidi bargigli turchini del fagiano Tragopan, quando li distende nell’atto
del corteggiamento, non potrà mettere in dubbio per un momento che la
bellezza non sia lo scopo ottenuto. Dai fatti precedenti noi vediamo
chiaramente che le piume e gli altri ornamenti del maschio debbono essere per
esso di grandissima importanza; e vedremo in seguito che la bellezza è
in alcuni casi ancor più importante che non la vittoria ottenuta in
battaglia.
UCCELLI, continuazione.
Scelta operata
dalla femmina – Durata del corteggiamento – Uccelli disappaiati –
Qualità mentali e gusto del bello – Preferenza o antipatia
mostrata dalla femmina per certi maschi – Variabilità degli
uccelli – Variazioni talora repentine – Leggi di variazione –
Formazione degli ocelli – Graduazioni di carattere – Caso del
Pavone, del fagiano Argo e dell’Urosticte.
Allorchè i sessi differiscono
nella bellezza, nella potenza del canto, o nel produrre ciò che ho
chiamato musica strumentale, è quasi invariabilmente il maschio quello
che supera la femmina. Queste qualità, come abbiamo veduto testè,
sono evidentemente di grande importanza pel maschio. Quando le acquista solo
per una parte dell’anno, è sempre un po’ prima della stagione delle
nozze. Il maschio soltanto mette con studio in evidenza le sue varie
attrattive, e sovente assume strani atteggiamenti sul terreno o nell’aria, in
presenza della femmina. Ogni maschio scaccia o, se può, uccide i suoi
rivali. Quindi possiamo conchiudere che lo scopo del maschio è quello
d’indurre la femmina ad accoppiarsi secolui, e perciò tenta di eccitarla
od allettarla in vari modi; e questa è l’opinione di tutti coloro che
hanno attentamente studiati i costumi degli uccelli viventi. Ma vi rimane una
questione che ha un importantissimo rapporto colla scelta sessuale,
cioè, ogni maschio della stessa specie può eccitare ed allettare
egualmente la femmina? Oppure esercita questa una scelta, e preferisce certi
maschi? Si può rispondere affermativamente a questa domanda, adducendo
prove dirette ed indirette. È molto più malagevole definire quali
sono le qualità che determinano la scelta delle femmine; ma anche per
questo abbiamo alcune prove dirette ed indirette le quali confermano che sono
in gran parte le attrattive esterne del maschio, sebbene vengano pure in
giuoco il vigore, il coraggio, ed altre qualità mentali. Cominceremo
colla prova indiretta.
Durata del corteggiamento. – Il lungo
periodo durante il quale i due sessi di certi uccelli s’incontrano alcuni
giorni di seguito in un luogo particolare, dipende probabilmente in parte da
ciò che il corteggiamento è un affare lungo, ed in parte dal ripetere
che fanno l’atto dell’accoppiamento. Così in Germania ed in Scandinavia
i balzen o leks dei fagiani di monte durano dalla metà di
marzo, tutto aprile, e fino al maggio. Un quaranta o cinquanta e più
uccelli si raccolgono insieme nei leks, e sovente lo stesso luogo
è frequentato per vari anni susseguenti. Il lek del gallo cedrone dura
dalla fine di marzo fino alla metà od anche alla fine di maggio.
Nell’America settentrionale i “balli delle pernici” del Tetrao phasianellus
“durano oltre un mese”. Altre sorta di tetraoni tanto dell’America
settentrionale come della Siberia orientale hanno quasi gli stessi costumi. Gli
uccellatori scoprono i monticelli ove i combattenti si raccolgono pel terreno
denudato di ogni erbetta, e questo dimostra che lo stesso luogo è
frequentato lungamente. Gl’indigeni della Guiana conoscono bene quelle arene
spianate dove sanno di trovare le belle Rupicole, ed i nativi della Nuova
Guinea conoscono gli alberi ove da dieci a venti Uccelli di Paradiso maschi,
col loro ben fornito piumaggio, stanno raccolti. In quest’ultimo caso non
è espressamente fermato che le femmine s’incontrano sugli stessi alberi,
ma i cacciatori, se non vengono richiesti a bella posta di ciò, non
fanno probabilmente menzione della presenza delle femmine, perchè le
loro pelli non hanno valore. Piccoli branchi di un Passero Africano (Ploceus)
si riuniscono, durante la stagione delle nozze, e compiono durante varie ore le
loro graziose evoluzioni. Grandi stormi di Croccoloni (Scolopax major)
si riuniscono a sera in un padule, ed il medesimo luogo viene frequentato per
vari anni; colà si veggono correre per ogni lato “come tanti grossi
topi”, rabbuffando le penne, battendo le ali, e mandando le più strane
grida.
Alcuni fra gli uccelli sopra
menzionati, cioè il fagiano di monte, il gallo cedrone, il fagiano
tetraone, il combattente, il croccolone, e forse alcuni altri, sono, per quanto
si crede, poligami. Per questi uccelli può essere creduto che i maschi
più forti avrebbero scacciato i più deboli, e quindi si sarebbero
impadroniti del maggior numero di femmine possibile; ma se è
indispensabile pel maschio eccitare o piacere alla femmina, possiamo
comprendere la lunghezza del corteggiamento e la riunione di tanti individui
dei due sessi nel medesimo luogo. Certe specie, che sono strettamente monogame,
tengono parimente riunioni nuziali; questo sembra essere il caso nella
Scandinavia per una pernice di montagna, e i loro giuochi durano dalla
metà di marzo alla metà di maggio. In Australia l’Uccello lira o Menura
superba forma “monticelli rotondi”, e la M. Alberti si scava buchi
profondi, o come vengono detti dagli indigeni luoghi fortificati, dove
si crede che si riuniscano ambo i sessi. Le riunioni della M. Superba sono
talvolta numerosissime; ed un viaggiatore ha pubblicato ultimamente di aver
udito in una valle sotto di lui, fittamente ricoperta di boscaglia, “uno
strepito che gli fece molta meraviglia”; essendosi trascinato verso quel luogo,
egli vide con suo gran stupore cento e cinquanta circa di questi magnifici uccelli
lira maschi, disposti in ordine di battaglia, che combattevano con indicibile
accanimento. I pergolati delle Clamidere sono frequentati dai due sessi durante
la stagione delle nozze; e “colà i maschi s’incontrano e si contendono
fra loro i favori delle femmine, e queste si riuniscono e stanno civettando coi
maschi”. In due specie del genere lo stesso pergolato è frequentato
durante molti anni.
La Gazzera comune (Corvus pica,
Linn.) come mi ha riferito il Reverendo W. Darwin Fox, soleva venire da tutte
le parti della foresta Delamere, onde celebrare “le grandi nozze gazzerine”.
Alcuni anni or sono questi uccelli erano in numero straordinario,
cosicchè un cacciatore uccise un mattino diciannove maschi e un altro
con un solo colpo di fucile prese sette uccelli sullo stesso posatoio. Quando
erano tanto numerosi, solevano raccogliersi in principio di primavera in certi
luoghi particolari, ove si potevano vedere in branchi, cinguettando, talora
combattendo, saltellando e volando fra gli alberi. Tutta quella faccenda era
considerata dagli uccelli come importantissima. Poco dopo le adunanze si
separavano tutti, e il signor Fox ed altri osservarono che si erano appaiati
per tutta la stagione. In una regione ove una specie non è molto
numerosa, non possono, naturalmente, aver luogo queste adunanze, e la stessa
specie può avere costumi diversi nelle differenti contrade. Per esempio,
non ho mai incontrato in Scozia nessuna di quelle regolari assemblee dei
fagiani di monte; tuttavia queste adunanze sono tanto note in Germania e nella
Scandinavia, che hanno un nome speciale.
Uccelli disappaiati. – Dai fatti
esposti testè noi possiamo conchiudere che negli uccelli che
appartengono a gruppi molto differenti il corteggio è sovente una
faccenda lunga, delicata e piena di noie. Vi è anche ragione per
supporre, per quanto ciò a prima vista sembri improbabile, che alcuni
maschi e alcune femmine della stessa specie, che abitano la medesima regione,
non sempre si piacciono a vicenda, ed in conseguenza non si accoppiino. Sono state
pubblicate molte relazioni intorno al fatto di un maschio o di una femmina
stati uccisi, e che sono subito stati rimpiazzati da altri. Ciò si
è osservato più spesso nella gazzera che non in nessun altro
uccello, e ciò si deve forse all’aspetto vistoso del loro nido.
L’illustre Jenner asserisce che in Wiltshire
uno degli individui del paio veniva ucciso almeno sette volte successivamente
“ma senza effetto, perchè la gazzera che rimaneva trovava subito un
altro compagno”; e l’ultimo paio allevò i piccoli. Generalmente il
giorno dopo si trova un nuovo compagno; ma il signor Thompson cita il caso di
uno che fu sostituito la sera del medesimo giorno. Anche dopo che le uova sono
schiuse, se uno degli uccelli vecchi viene ucciso, se ne trova in breve un
altro; questo ebbe luogo dopo un intervallo di due giorni, in un caso
recentemente osservato da uno dei guardacaccia di sir J. Lubbock.
La prima e più ovvia congettura
è quella che i maschi delle gazzere sono molto più numerosi che
non le femmine; e che nei casi sopra riferiti, come in molti altri che si
potrebbero citare, i maschi soli sono stati uccisi. Questo, da quanto pare, si
avvera in alcuni casi, perchè i guardacaccia della Foresta di Delamere
assicuravano al signor Fox, che le gazzere e le cornacchie nere che essi
dapprima avevano ucciso successivamente in gran numero intorno ai nidi, erano
tutti maschi; e riferivano questo fatto a ciò che i maschi vengono
uccisi più agevolmente mentre portano il nutrimento alle femmine che
covano. Macgillivray tuttavia riferisce, sull’autorità di un eccellente
osservatore, un caso di tre gazzere che vennero uccise successivamente sullo
stesso nido, e che erano tutte femmine; e un altro caso di sei gazzere uccise
successivamente mentre erano sulle uova, ciò che rende probabile che la
maggior parte fossero femmine, sebbene il maschio covi le uova, siccome ho
udito dal signor Fox, quando la femmina è uccisa.
Il guardacaccia di sir J. Lubbock ha
ripetutamente ucciso, non può dire quante volte, un individuo di un paio
di ghiandaie (Garrulus glandarius), e non ha mai mancato di trovare in
breve il superstite rimaritato. Il Rev. W. D. Fox, il signor F. Bond, ed altri
hanno ucciso un individuo di un paio di cornacchie nere (Corcus corone),
ma il nido venne di nuovo abitato da una coppia. Questi uccelli sono piuttosto
comuni; ma il falcone (Falco peregrinus) è raro, e tuttavia il
signor Thompson asserisce che in Irlanda “se un maschio od una femmina adulti
vengono uccisi nella stagione delle nozze (circostanza non insolita), in
pochissimi giorni si trova un altro compagno, cosicchè i rapaci,
malgrado questi accidenti, son certi di compiere l’allevamento dei piccoli”. Il
signor Jenner Weir ha saputo che segue lo stesso pei falconi a Beachy Head. Lo
stesso osservatore m’informa che tre gheppi tutti maschi (Falco tinnunculus)
furono uccisi l’uno dopo l’altro mentre accudivano il medesimo nido; due di
questi avevano il piumaggio degli adulti, il terzo aveva quello dell’anno
precedente. Anche per l’aquila reale, piuttosto rara (Aquila chrysaëtos),
il signor Birkbeck venne assicurato da un guardacaccia scozzese degno di fede,
che se uno viene ucciso, se ne trova subito un altro. Così col
Barbagianni (Strix flammea), è stato osservato che “il superstite
trovò prontamente un compagno, ed il fallo ebbe compimento”.
White di Selborne, che riferì il
caso del barbagianni, aggiunge che egli conosce un uomo il quale, avendo
creduto che le pernici dopo l’appaiamento vengono disturbate dai maschi
combattenti, soleva tirare sempre a questi, e sebbene egli avesse reso vedova
la stessa femmina, essa sempre si provvedeva di un nuovo compagno. Questo
stesso naturalista ordinava che i passeri i quali toglievano i loro nidi ai
balestrucci fossero uccisi; ma quello che rimaneva “fosse maschio o femmina, si
procurava un compagno, e così varie volte di seguito”. Potrei aggiungere
casi analoghi intorno al fringuello, all’usignuolo ed al codirosso. Rispetto a
quest’ultimo uccello (Phoenicura ruticilla) lo scrittore osserva che non
era per nulla comune nel contorno, ed egli si meraviglia come mai potesse la
femmina covante dar così presto avviso della sua vedovanza. Il signor
Jenner Weir mi ha riferito un caso quasi consimile; a Blackheath egli non vede
nè sente mai la nota del ciuffolotto selvatico, tuttavia, quando
uno dei maschi che tiene in gabbia veniva a morire, uno selvatico nel corso di
pochi giorni non mancava generalmente di arrivare e di appollaiarsi accanto
alla femmina vedova, di cui la nota di richiamo è lungi dall’essere
sonora. Darò solo un altro fatto, sull’autorità dello stesso
osservatore; un individuo di un paio di storni (Sturnus vulgaris) venne
ucciso al mattino; a mezzogiorno si rinvenne un nuovo compagno; questo venne
pure ucciso, ma prima della notte il paio fu compiuto; cosicchè la
vedova sconsolata o il vedovo si consolò tre volte nello stesso giorno.
Il signor Engleheart mi informa pure che egli soleva durante parecchi anni
uccidere un individuo di un paio di storni che facevano il nido in una buca di
una casa a Blackheart; ma la perdita veniva immediatamente riparata. Durante
una stagione egli tenne conto e trovò che aveva ucciso trentacinque
uccelli dello stesso nido; questi erano in parte maschi e in parte femmine, ma
non può dire in quale proporzione; nondimeno, malgrado questa
distruzione, una nidiata venne allevata.
Certo questi fatti sono notevoli. Come
mai segue che tanti uccelli sono pronti per rimpiazzare un compagno? Gazze,
ghiandaie, corvi, pernici ed alcuni altri uccelli, non si vedono mai in
primavera soli, e questi offrono a prima vista i casi più dubbiosi. Ma
uccelli dello stesso sesso, quantunque, come è naturale, non veramente
appaiati, talvolta vivono in coppie o in branchetti, come si sa essere il caso
pei piccioni e le pernici. Talora anche gli uccelli vivono tre insieme, come
è stato osservato fra stornelli, corvi, passere e pernici. Nelle pernici
si sa che due femmine vivono con un maschio, e due maschi con una femmina. In
tutti questi casi è probabile che l’unione potrebbe venire agevolmente
rotta. Si sono uditi certi maschi emettere occasionalmente il loro canto
amoroso molto dopo il tempo solito, mostrando che hanno perduto la compagna o
non hanno mai potuto conquistarne una. La morte per accidente o per malattia di
un individuo della coppia deve lasciare l’altro uccello libero e solo; e vi
è ragione per credere che gli uccelli femmine durante la stagione degli
amori vanno specialmente soggette ad una morte prematura. Parimente gli uccelli
cui è stato distrutto il nido, o coppie infeconde, o individui
ritardatari, debbono indursi con facilità ad abbandonare i compagni, e
debbono probabilmente esser lieti di partecipare il più possibile alle
gioie ed ai doveri dell’allevamento dei piccoli, anche quando questi non sono
loro propri. Questa sorte di contingenze spiegano probabilmente la maggior
parte dei casi sopramenzionati. Nondimeno è un fatto strano che nella
stessa regione, in piena stagione degli amori, vi siano tanti maschi o femmine
sempre pronti a riparare le perdite di un uccello appaiato. Perchè
quegli uccelli che fanno da riserva non si appaiano insieme immediatamente? Non
abbiamo noi qualche ragione per supporre, e questo sospetto è venuto al
signor Jenner Weir, che siccome l’atto del corteggiamento sembra essere per
molti uccelli una faccenda noiosa e lunga, così segua occasionalmente
che certi maschi e certe femmine non riescano, durante la stagione adatta, ad
ispirarsi amore vicendevole, ed in conseguenza a non appaiarsi? Questo
sospetto sembrerà meno improbabile allorchè avremo veduto quali
forti antipatie e preferenze provano talvolta le femmine degli uccelli verso
certi maschi.
Qualità mentali degli uccelli, e
loro gusto del bello. – Prima d’inoltrarci ancora a discutere se le
femmine scelgano i maschi più attraenti o accettino i primi che
incontrano, sarà utile considerare brevemente le facoltà mentali
degli uccelli. Generalmente, e forse giustamente, la loro ragione è
considerata siccome ad un livello piuttosto basso; tuttavia alcuni fatti si
potrebbero addurre che fanno conchiudere in modo opposto. Tuttavia gli scarsi
poteri di ragionamento sono compatibili, siccome vediamo nel genere umano, con
forti affezioni, con acuta percezione, ed un gusto pel bello; ed è di
queste ultime facoltà che noi ci occupiamo. È stato sovente
asserito che i pappagalli si affezionano talmente l’uno all’altro, che quando
uno muore, l’altro rimane lungamente accorato; ma il signor Jenner Weir crede
che in molti uccelli la forza del loro affetto è stata molto esagerata.
Nondimeno quando un individuo di un paio allo stato di natura è stato
ucciso, si è udito il superstite mandare per molti giorni un grido
lamentoso di richiamo; ed il signor Saint-John riferisce vari fatti che
dimostrano l’affetto di uccelli appaiati. Tuttavia, storni, come abbiamo
veduto, possono consolarsi tre volte in un giorno della perdita dei loro
compagni. Nel Giardino zoologico di Londra certi pappagalli hanno riconosciuto
evidentemente i loro antichi padroni dopo un intervallo di alcuni mesi. I
piccioni hanno una tale buona memoria delle località, che si sa
benissimo che sono ritornati alle loro antiche dimore dopo un intervallo di
nove mesi: tuttavia, siccome ho udito dal signor Harrison Weir, se gl’individui
di un paio che naturalmente dovrebbero rimanere uniti per tutta la vita vengono
tenuti separati per poche settimane durante l’inverno ed appaiati con altri
uccelli, i due quando sono dl nuovo rimessi insieme, di rado, o forse non mai,
si riconoscono.
Talvolta gli uccelli mostrano
sentimenti di benevolenza; essi nutriranno i piccoli abbandonati anche di
specie distinte, ma forse questo deve essere considerato come uno sbaglio
d’istinto. Essi daranno da mangiare, come abbiamo dimostrato in una parte
precedente di questo lavoro, ad uccelli adulti della loro propria specie divenuti
ciechi. Il signor Buxton dà una curiosa relazione di un pappagallo che
prese cura di un uccello di una specie distinta intirizzito dal gelo, ne
ripulì le piume e lo difese dalle aggressioni di altri pappagalli che
giravano intorno al suo giardino. È un fatto ancor più curioso
quello che questi uccelli provano, da quanto pare, una certa simpatia pei
piaceri dei loro compagni. Quando una coppia di cacatue faceva il nido in un
albero di acacia “era ridicolo vedere lo strano interesse che prendevano alla
costruzione gli altri della stessa specie”.
Gli uccelli posseggono acute
facoltà dl osservazione. Ogni uccello accoppiato, naturalmente,
riconosce il suo compagno. Audubon asserisce che nei Mimi poliglotti degli
Stati Uniti (Mimus polyglottus) un certo numero rimane tutto l’anno
nella Louisiana, mentre gli altri emigrano negli Stati Orientali; questi
ultimi, quando ritornano, sono riconosciuti all’istante, e sempre aggrediti,
dai loro parenti meridionali. Gli uccelli rinchiusi distinguono differenti persone,
come è dimostrato dalla forte e permanente antipatia o affetto che
dimostrano senza causa apparente verso certi individui. Ho udito parlare di
molti di questi casi di ghiandaie, di pernici, di canarini, e specialmente di
ciuffolotti. Il signor Hussey ha descritto il modo straordinario con cui una
pernice addomesticata riconosceva ogni persona; ed i suoi amori ed i suoi odii
erano fortissimi. Quest’uccello si dimostrava amante dei colori vivaci, e ogni
nuovo vestito o cappellino non poteva essere messo senza attirare l’attenzione
dell’uccello. Il signor Hewitt ha descritto accuratamente i costumi di
alcune anatre (venute di fresco da individui selvatici), le quali, quando si
accostava un cane o un gatto estraneo, si slanciavano a capofitto nell’acqua, e
si affaticavano in tentativi di fuga; ma conoscevano così bene i cani ed
i gatti del signor Hewitt, che questi stavano sdraiati al sole accanto a
quelle. Si allontanavano sempre da ogni uomo estraneo, e facevano lo stesso
colla signora che le accudiva quando faceva qualche grande mutamento nella sua
foggia di vestire. Audubon racconta che egli aveva allevato e addomesticato un
tacchino selvatico il quale correva sempre via quando veniva un cane estraneo;
quest’uccello fuggì nei boschi; ed alcuni giorni dopo Audubon vide, come
credeva, un tacchino selvatico e gli fece dar caccia dal suo cane; ma con sua
meraviglia l’uccello non volò via, e quando egli si avvicinò vide
il cane che non aggrediva l’uccello, perchè si erano riconosciuti a vicenda
come vecchi amici.
Il signor Jenner Weir è convinto
che gli uccelli fanno una particolare attenzione ai colori degli altri uccelli,
talora per gelosia, e talora come segno di parentela. Così egli mise
nella sua uccelliera un Migliarino di palude (Emberiza schoeniculus), che
aveva acquistato il capo nero, ed il nuovo venuto non fu osservato da nessun
uccello, tranne da un ciuffolotto, che ha pur esso la testa nera. Questo
ciuffolotto era un uccello molto pacifico, e non aveva mai fino allora
attaccato briga coi suoi compagni, compreso un migliarino di palude, che non
aveva il capo nero: ma il migliarino di palude colla testa nera venne trattato
con tanta severità che si dovette torlo via. Il signor Weir fu obbligato
a levare dall’uccelliera un pettirosso, perchè aggrediva fieramente
tutti gli uccelli che avevano un po’ di rosso nel piumaggio, ma nessun altro;
uccise al tutto un becc’in croce dal petto rosso, e quasi ammazzò un
cardellino. D’altra parte il signor Weir ha osservato che alcuni uccelli,
quando sono introdotti per la prima volta nella sua uccelliera, volano verso le
specie che rassomigliano loro di più nel colore, e si mettono al loro
fianco.
Siccome gli uccelli maschi fanno mostra
con tanta cura del loro bel piumaggio e di altri ornamenti in presenza delle
femmine, è probabilissimo che queste apprezzino la bellezza dei loro
adoratori. Tuttavia è difficile ottenere diretta prova della loro
capacità ad apprezzare la bellezza. Quando gli uccelli si guardano in
uno specchio (e si ricordano di ciò molti esempi) noi non possiamo
essere certi che non sia per gelosia di un supposto rivale, sebbene questa non
sia la conclusione di alcuni osservatori. In altri casi è difficile
distinguere fra la semplice curiosità e l’ammirazione. È forse il
primo sentimento che, siccome ha affermato lord Lilford, attrae il combattente
fortemente verso ogni oggetto brillante, cosicchè nelle isole Jonie
“esso si precipita sopra un fazzoletto di colori vivaci, senza badare alle
ripetute scariche”. Si fa scendere dall’alto del firmamento l’allodola comune,
e se ne prende un gran numero, facendo brillare al sole uno specchietto. Chi sa
se è l’ammirazione o la curiosità che induce la gazza, il corvo e
qualche altro uccello a nascondere gli oggetti brillanti come gioielli od
oggetti d’argento.
Il signor Gould afferma che certi
uccelli mosca ornano l’esterno dei loro nidi “con gusto finissimo; essi
istintivamente attaccano a quello qualche pezzo appiattito di un bel lichene, i
più grossi in mezzo e i più piccoli sulla parte appesa al ramo.
Qua e là una bella piuma è intrecciata o attaccata ai lati
esterni, e lo stelo è sempre messo in modo che la piuma sporga fuori
della superficie”. Tuttavia la miglior prova del gusto del bello è
somministrata da tre generi di Clamidere d’Australia già menzionate. I
loro pergolati, ove i sessi s’incontrano e compiono i loro strani giuochi, sono
costrutti differentemente, ma quello che più ci riguarda si è che
sono ornati in un modo differente dalle varie specie. La clamidera sericea
raccoglie oggetti dai colori vivaci, come le piume turchine della coda dei
parrocchetti, ossa e conchiglie imbiancate al sole, che appiccica fra le
verghette o dispone all’ingresso. Il signor Gould trovò in uno di questi
pergolati una pietra da tomahawk bene lavorata ed un pezzetto di cotone turchino,
che era stato evidentemente preso in un accampamento indigeno. Questi oggetti
sono di continuo nuovamente allogati e portati in giro dagli uccelli durante i
loro giuochi. Il pergolato della clamidera macchiata “è vagamente rigato
di grossi fili d’erba, disposti in modo che i capi quasi s’incontrano, e gli
ornamenti sono messi a profusione”. Sogliono mettere sassi rotondi onde tenere
i fili d’erba al loro posto, e fare sentieri divergenti che conducono al
pergolato. I sassi e le conchiglie sono portati sovente da una gran distanza.
La clamidera reggente, come descritta dal signor Ramsay, orna il suo breve
pergolato con conchiglie terrestri imbiancate che appartengono a cinque o sei
specie, e con “bacche di vari colori, turchine, rosse e nere, che fanno quando
sono fresche una bellissima figura. Oltre tutto ciò v’erano foglioline e
gemme appena sbocciate di un color vermiglio, e l’insieme dimostrava un ben
distinto gusto del bello”. Molto ragionevolmente, dice il signor Gould, “queste
sale di riunione tanto bene ornate debbono essere considerate come i più
meravigliosi esempi della architettura degli uccelli che siano stati finora
scoperti”; e il gusto, come vediamo, differisce certamente nelle varie specie.
Preferenza mostrata dalle femmine per
certi maschi particolari. – Avendo fatto le suddette osservazioni preliminari
intorno al discernimento ed al gusto degli uccelli, riferirò tutti i
fatti da me conosciuti che trattano della preferenza dimostrata dalla femmina
per certi maschi particolari. È cosa certa che specie distinte di
uccelli si accoppiano talvolta allo stato di natura e producono ibridi. Si
possono citare all’uopo molti esempi: così Macgillivray riferisce come
un merlo e la femmina di un tordo “s’innamorarono l’uno dell’altro”, e produssero
prole. Parecchi anni or sono, furono registrati diciotto casi in Inghilterra di
ibridi fra il fagiano di monte ed il fagiano; ma la maggior parte di questi
casi può essere attribuita al fatto che gli uccelli solitari non trovano
compagni nella propria specie onde potersi accoppiare. In altri uccelli, come
crede molto ragionevolmente il signor Jenner Weir, gli ibridi sono talvolta
l’effetto di casuale commercio di uccelli che fabbricano nidi molto vicini. Ma
queste osservazioni non si applicano ai numerosi esempi riferiti di uccelli
addomesticati o domestici, appartenenti a specie distinte, che si sono presi di
vicendevole amore, quantunque vivessero colle proprie specie. Così
Waterton asserisce che in un branco di ventitrè oche del Canadà
una femmina si unì con un maschio solitario dell’oca colombaccio,
quantunque fosse molto differente nella mole e nell’aspetto; e produssero prole
ibrida. Fu veduto un Fischione maschio (Mareca penelope), che viveva con
femmine della stessa specie, accoppiarsi con una femmina di Codone (Querquedula
acuta). Lloyd descrive il notevole affetto fra una Volpoca (Tadorna
vulpanser) ed un’anitra comune. Molti esempi ancora si potrebbero
aggiungere; e il rev. E. S. Dixon osserva che “coloro i quali hanno tenuto
molte specie differenti di oche insieme conoscono molto bene quanto sovente
esse contraggono amori che non si spiegano, e che possono al tutto
accoppiarsi e generare prole con individui di una razza (specie) in apparenza
molto diversa dalla loro, come colla propria razza”.
Il rev. W. D. Fox m’informa che egli
possedeva nello stesso tempo un paio d’oche della Cina (Anser cygnoides)
ed un maschio di oca comune con tre oche. Le due compagnie vivevano al tutto
separate, finchè un’oca maschio della Cina indusse una delle oche comuni
a vivere con lui. Perciò, fra i giovani sbocciati dalle uova dell’oca
comune, solo quattro erano puri, gli altri diciotto erano ibridi;
cosicchè il maschio cinese sembra aver avuto maggiori attrattive del
maschio di razza comune. Darò solo un altro caso; il signor Hewitt
asserisce che un’anatra selvatica, allevata in prigionia, “dopo aver prodotto
prole per due stagioni col proprio maschio, lo scacciò ad un tratto
allorchè misi nell’acqua un maschio di Codone. Evidentemente quello fu
un caso di amore repentino, perchè andò nuotando facendo mille
vezzi verso il nuovo arrivato, sebbene egli sembrasse evidentemente impaurito e
contrario alle sue offerte amorose. Da quel momento essa dimenticò il
suo antico compagno. Passato l’inverno, nella primavera seguente sembra che il
Codone siasi lasciato vincere dalle carezze di lei, perchè fecero il
nido e produssero da sette ad otto piccoli.
Non possiamo neppure congetturare quale
sorta di attrattiva, tranne la novità, possa essere stata in azione in
questi casi. Tuttavia il colore talora viene in giuoco, perchè onde
meglio allevare ibridi fra il lucarino (Frangilla spinus) ed il
canarino, è molto meglio, secondo Bechstein, collocare insieme gli
uccelli della stessa tinta. Il signor Jenner Weir mise una canarina nella sua
uccelliera, dove erano maschi di sizerini, cardellini, lucarini, verdoni,
fringuelli ed altri uccelli, onde vedere quale avrebbe scelto; ma non vi fu mai
da dubitare, ed il verdone vinse il premio. Si accoppiarono e produssero prole
ibrida.
Coi membri della
stessa specie il fatto della femmina che preferisce di accoppiarsi con un
maschio piuttosto che non con un altro non è tale da muovere attenzione,
siccome quando ciò avviene fra specie distinte. Questi fatti si possono
osservare meglio con uccelli addomesticati o rinchiusi; ma questi sono spesso
trattati delicatamente con cibo sostanzioso, e talora hanno i loro istinti
viziati in sommo grado. Potrei dare prove sufficienti di quest’ultimo fatto nei
piccioni, e specialmente nei polli, ma non si possono qui riferire. Si potrebbe
anche dar colpa agli istinti viziati delle unioni ibride sopra menzionate; ma
in molti di questi casi gli uccelli potevano vivere liberamente sopra grandi
stagni, e non vi è ragione per supporre che fossero oltre natura stimolati
da cibo sostanzioso.
Rispetto agli uccelli allo stato di
natura, la prima e più ovvia opposizione che verrà in mente ad
ognuno è che la femmina nella stagione acconcia accetta il primo maschio
che possa incontrare; ma ha almeno l’opportunità di fare una scelta,
siccome è quasi invariabilmente corteggiata da molti maschi. Audubon – e
dobbiamo ricordare che egli passò una lunga vita vagando nelle foreste
degli Stati Uniti osservando gli uccelli – non pone in dubbio che la femmina si
sceglie deliberatamente il suo compagno; così, parlando di un picchio,
dice che la femmina è seguita da una mezza dozzina di allegri adoratori,
che continuano a fare strani giuochi “affinchè essa mostri una spiccata
preferenza per uno di essi”. La femmina dello storno dalle ali rosse (Agelaeus
phoeniceus) è pure inseguita da parecchi maschi, “finchè
stanca, si posa, riceve i loro corteggiamenti, e in breve fa la sua scelta”.
Egli descrive pure come parecchi succiacapre maschi si immergono nell’aria con
meravigliosa velocità, volgendosi repentinamente, e facendo così
un particolare rumore; “ma appena la femmina ha fatto la sua scelta, gli altri
maschi sono scacciati”. In un avoltoio (Cathartes aura) degli Stati
Uniti, branchi di otto o dieci o più maschi e femmine si riuniscono
sopra travi cadute, “mostrando il più gran desiderio di piacersi a
vicenda”, e dopo molte carezze, ogni maschio conduce via la sua compagna
volando. Audubon pure osservò attentamente i branchi selvatici dell’oca
del Canadà (Anser Canadensis), e dà una grafica descrizione
dei loro giuochi amorosi; egli dice che gli uccelli i quali erano stati
precedentemente appaiati “rinnovavano il loro corteggiamento fino dal mese di
gennaio, mentre gli altri stavano battagliando o civettando per lunghe ore ogni
giorno, finchè tutti parvero soddisfatti della scelta che avevano fatta,
dopo la qual cosa, quantunque rimanessero insieme, si vedeva agevolmente che si
tenevano accuratamente in coppie. Io ho pure osservato che quanto più
vecchi erano gli uccelli, altrettanto più brevi erano i preliminari del
loro corteggiamento. Gli scapoli e le nubili vecchie, sia per dispiacere o per
non essere disturbati dal rumore, si allontanavano e si posavano a qualche
distanza per riposare”. Molti fatti simili intorno ad altri uccelli si potrebbero
riferire da questo stesso osservatore.
Venendo ora agli uccelli addomesticati
o reclusi, comincerò citando quel poco che ho imparato relativo al
corteggiare del pollame. Ho ricevuto lunghe lettere intorno a ciò dai
signori Hewitt e Tegetmeier, e quasi una relazione dal defunto signor Brent.
Ognuno ammetterà che questi signori, tanto noti per le loro opere
già pubblicate, sono osservatori esperti ed accurati. Essi non credono
che le femmine preferiscano certi maschi per la bellezza delle loro piume; ma
bisogna concedere qualche cosa allo stato artificiale in cui sono state da
lungo tempo tenute. Il signor Tegetmeier è convinto che un gallo da
combattimento, sebbene sfigurato per essere stato privo delle sue belle piume
del petto, viene accettato prontamente come un maschio che abbia conservato
tutti i suoi naturali ornamenti. Il signor Brent tuttavia ammette che la
bellezza del maschio agevoli probabilmente eccitando la femmina; e la sua
adesione è necessaria. Il signor Hewitt è convinto che l’unione
non è per nulla lasciata al solo caso, per la femmina quasi sempre
preferisce il maschio più robusto, più baldanzoso e più
vivace; quindi è quasi inutile, osserva egli, “tentare vero allevamento
se un gallo da combattimento in buona salute e buone condizioni gira per la
località, perchè quasi tutte le galline quando lasciano il
posatoio andranno verso il gallo da combattimento, anche se quell’uccello non
abbia scacciato il maschio della stessa varietà della gallina”. In
circostanze ordinarie i maschi e le femmine del pollame sembrano comprendersi
mercè certi gesti, che mi descrisse il signor Brent. Ma le galline
sovente scansano le officiose attenzioni dei maschi giovani. Le galline vecchie
e le galline di indole battagliera, come mi informa lo stesso autore, disprezzano
i maschi stranieri, e non cedono finchè non vengono costrette a beccate.
Ferguson però descrive come una gallina battagliera fu vinta dal gentile
corteggiamento di un gallo di Shanghai.
Vi è ragione di credere che i
piccioni dei due sessi preferiscano di appaiarsi con uccelli della stessa
razza; ed i piccioni di colombaio disprezzano tutte le razze molto modificate.
Il signor Harrison Weir ha ultimamente udito da un osservatore degno di fede,
che tiene piccioni azzurri, che questi conducon seco loro ogni sorta di altre
varietà colorate, come bianche, rosse e gialle; e da un altro
osservatore, che una femmina di un piccione messaggero bruno potè essere
accoppiata, dopo ripetuti tentativi, con un maschio nero, ma immediatamente si
accoppiò con un bruno. Generalmente il colore solo non sembra avere
grande influenza sull’accoppiamento dei piccioni. Il signor Tegetmeier, tinse,
a mia richiesta, alcuni dei suoi uccelli con color magenta, ma non pare che gli
altri vi facessero attenzione.
Nei piccioni le femmine provano alle
volte una potente antipatia per certi maschi, senza che vi sia una causa
evidente. Così i signori Boitard e
Corbiè, di cui l’esperienza ebbe una durata di quarantacinque anni,
affermano che: “Quand une femelle éprouve de l’antipathie pour un mâle avec
lequel on veut l’accoupler, malgré tous les feux de l’amour, malgré l’alpiste
et le chènevis dont on la nourrit pour augmenter son ardeur, malgré un
emprisonnement de six mois et mème d’un an, elle refuse constamment ses
caresses; les avances empressèes, les agaceries, les tournoiements, les
tendres roucoulemens, rien ne peut lui plaire ni l’emouvoir; gontlèe,
boudeuse, blottie dans un coin de sa prison, elle n’en sort que pour boire et
manger, ou pour repousser avec une espèce de rage des caresses devenues
trop pressants”. D’altra parte, il signor Harrison Weir ha osservato egli stesso,
ed ha sentito dire da vari allevatori, che un piccione femmina talvolta
s’incapriccia fortemente di un maschio particolare, ed abbandona per esso il
suo proprio compagno. Secondo un altro esperto osservatore, Riedel, alcune
femmine hanno indole dissoluta, e preferiscono quasi tutti gli estranei al loro
compagno. Alcuni maschi d’indole amorosa, che i dilettanti inglesi sogliono
chiamare uccelli allegri, riescono così bene nelle loro
galanterie, che, come m’informa il signor H. Weir, debbono essere tenuti
chiusi, pel danno che producono.
I tacchini selvatici degli Stati Uniti,
secondo Audubon, “fanno talvolta la corte alle femmine domestiche, le quali,
generalmente, li ricevono con gran piacere”. Cosicchè queste femmine
preferiscono, a quanto pare, i maschi selvatici ai loro propri.
Qui si presenta un caso più
curioso. Sir R. Heron tenne per molti anni registrati i costumi dei pavoni che
allevava in gran numero. Egli afferma che “le femmine hanno frequentemente una
grande preferenza per un pavone particolare. Esse erano così tenere di
un vecchio maschio macchiato di bianco, che un anno, quando fu tenuto rinchiuso
in un luogo ove lo potevano vedere, esse rimasero costantemente riunite accanto
ai graticci della sua prigione, e non vollero essere toccate da un pavone dalle
ali scure. Essendo stato messo fuori nell’autunno, la più vecchia delle
femmine cominciò subito a fargli la corte, e riuscì ad ottenerne
le grazie. L’anno dopo venne chiuso in una stalla, e allora le femmine
corteggiarono tutte il rivale”. Questo rivale era un pavone dalle ali oscure,
che, secondo noi, è uccello più bello che la specie comune.
Lichtenstein, che era un buon
osservatore, e che ebbe eccellente campo di osservazioni al Capo di Buona
Speranza, asseriva a Rudolphi che la femmina della Vedova (Chera progne)
disconosce il maschio quando è privo delle lunghe penne della coda che
lo adornano durante la stagione delle nozze. M’immagino che questa osservazione
deve essere fatta sopra uccelli tenuti in reclusione. Ecco ora un caso
notevole: il Dr. Jaeger, direttore del Giardino Zoologico di Vienna, asserisce
che un fagiano argentino maschio, che aveva trionfato di altri maschi, ed era
amante fortunato delle femmine, venne privo del suo bellissimo piumaggio.
Allora fu immediatamente sostituito da un rivale, che prese il primo posto, e
di poi fu la guida di tutto il branco.
Non solo la femmina opera una scelta,
ma in certi casi corteggia il maschio, o anche combatte per possederlo. Sir R.
Heron asserisce che nei pavoni i primi passi son fatti dalla femmina; qualche
cosa di consimile segue, secondo Audubon, per le femmine più vecchie del
tacchino selvatico. Nel gallo cedrone le femmine girano attorno al maschio
mentre egli sta pavoneggiandosi in uno dei luoghi di riunione, e ne sollecitano
l’attenzione. Abbiamo veduto che un’anatra selvatica addomesticata sedusse,
dopo un lungo corteggiamento, un maschio di Codone. il signor Bartlet crede che
il Lophophorus, come molti altri uccelli gallinacei, è naturalmente
poligamo, ma non si possono mettere due femmine nella stessa gabbia con un
maschio, perchè si combattono troppo assieme. Il caso di rivalità
seguente è più sorprendente perchè riguarda ciuffolotti,
che per solito si accoppiano per tutta la vita. Il signor Jenner Weir mise
nella sua uccelliera una femmina brutta con colori scuri, ed essa
immediatamente aggredì un’altra femmina, accoppiata con tanta violenza
che quest’ultima dovette esser tolta via. La nuova venuta fece tutte le sue
moine, e finì per riuscire, perchè si accoppiò col
maschio; ma dopo un certo tempo ebbe il castigo giustamente meritato,
perchè non essendo più battagliera, il signor Weir tornò a
mettere la femmina antica nell’uccelliera, ed il maschio lasciò il nuovo
amore per ritornare all’antico.
In tutti i casi ordinari il maschio
è tanto ardente che accetta qualsiasi femmina, e non preferisce, da
quanto possiamo giudicare, una femmina all’altra, ma vi sono, da quanto pare,
come vedremo in seguito, eccezioni a questa regola in alcuni pochi gruppi.
Negli uccelli addomesticati ho udito parlare di un solo caso in cui i maschi
mostravano una qualche preferenza per certe femmine particolari, cioè
quello del gallo domestico, il quale, secondo l’alta autorità del signor
Hewitt, preferisce le galline giovani alle vecchie. D’altra parte, avendo fatto
unioni ibride fra il fagiano maschio e le galline comuni, il signor Hewitt
è convinto che il fagiano preferisce invariabilmente le femmine
più vecchie. Non sembra che il colore abbia alcuna azione sopra di esso,
ma “è capricciosissimo nei suoi amori”. Per qualche ragione che non si
spiega, egli mostra la più spiccata avversione per certe femmine, che
tutte le cure per parte dell’allevamento non possono vincere. Alcune femmine,
come m’informa il signor Hewitt, non hanno attrattive alcune pei maschi della
medesima specie, cosicchè possono venir tenute con vari galli per lo
spazio di una intera stagione, e neppure un uovo di quaranta o cinquanta riesce
fecondo. D’altra parte “è stato osservato nella Moretta pezzata (Harelda
Glacialis)” dice il signor Ekström “che certe femmine sono molto più
corteggiate che non le altre. Infatti, si vede frequentemente un individuo
circondato da sei od otto maschi innamorati”. Non so se questa asserzione sia
credibile; ma gl’indigeni uccidono queste femmine onde impagliarle e servirsene
come di richiamo.
Rispetto agli
uccelli femmine che hanno una preferenza per certi maschi particolari, dobbiamo
tenere in mente che non possiamo giudicare dalla scelta fatta se non che
mettendoci coll’immaginazione nella stessa loro posizione. Se l’abitante di un
altro pianeta potesse vedere in una fiera parecchi giovani contadini che fanno
la corte ad una bella fanciulla e si abbaruffano per essa, come gli uccelli in
uno del loro luoghi di riunione, egli potrebbe dedurre che la giovane ha la
facoltà di scegliere, osservando solo la premura degli adoratori per
piacerle, e per far pompa delle loro attrattive. Ora negli uccelli, l’evidenza
sta in questi termini: essi hanno fine facoltà di osservazione, e
sembrano avere un certo gusto del bello tanto pel colore come pel suono.
È certo che le femmine mostrano occasionalmente, per cause ignote, le
più forti antipatie e preferenze pei maschi particolari. Quando i sessi
differiscono nel colore o in altri ornamenti, i maschi, meno rare eccezioni
sono molto meglio adorni, sia permanentemente, sia temporaneamente durante la
stagione delle nozze. Essi spiegano astutamente i loro vari ornamenti,
esercitano la loro voce e fanno strane danze in presenza delle femmine. Anche i
maschi bene armati, i quali, come si sarebbe potuto pensare, avrebbero dovuto
andar debitori di tutto il toro successo alla legge di battaglia, sono in molti
casi molto bene adorni: ed i loro ornamenti sono stati acquistati alle spese di
un po’ di forza. In altri casi gli ornamenti sono stati ottenuti
coll’accrescimento del pericolo per via dei rapaci e delle belve. In varie
specie molti individui dei due sessi si riuniscono nel medesimo luogo, ed il
loro corteggiamento è una faccenda lunga. Vi è anche ragione per
credere che i maschi e le femmine di una medesima regione non sempre riescano a
piacersi a vicenda e ad accoppiarsi.
Che cosa dobbiamo dunque conchiudere da
questi fatti e da queste considerazioni? Il maschio fa egli pompa delle sue
attrattive con tanto sfarzo e rivalità senza uno scopo? Non abbiamo noi
buono in mano per credere che la femmina opera una scelta, e che riceve gli
amoreggiamenti del maschio che le è più simpatico? Non è
probabile che deliberi consapevolmente; ma è molto più eccitata
ed attirata dal maschio più bello, o più melodioso, o più
valoroso. Neppure dobbiamo noi supporre che la femmina studia ogni striscia od
ogni macchia colorita; che, per esempio, la pavonessa ammiri ogni particolare
dello splendido strascico del pavone; è probabile che l’effetto generale
solo la colpisca. Tuttavia dopo aver udito con quanta cura il fagiano Argo
maschio spiega le sue eleganti copritrici primarie delle ali e rialza le piume
ocellate in posizione eretta onde farle meglio risaltare, oppure come il
cardellino maschio spiega alternativamente le sue ali spruzzate d’oro, non
dobbiamo crederci sicuri che la femmina non badi ad ogni particolare della
bellezza. Noi possiamo giudicare, siccome ho già osservato, della scelta
che vien fatta, soltanto dalla analogia delle nostre proprie menti; e le forze
mentali degli uccelli se si esclude il ragionamento, non differiscono
fondamentalmente dalle nostre. Da queste varie considerazioni possiamo
conchiudere che l’accoppiamento degli uccelli non è lasciato in balia
del caso; ma che quei maschi i quali son meglio capaci per le loro varie
attrattive di piacere ad una femmina o di eccitarla, sono in circostanze
ordinarie accettati. Se questo fosse ammesso, non vi è molta
difficoltà per comprendere come gli uccelli maschi abbiano graduatamente
acquistato i loro caratteri ornamentali. Tutti gli animali presentano
differenze individuali, e siccome l’uomo può modificare i suoi uccelli
domestici scegliendo gl’individui che gli sembrano più belli,
così il preferire che fa la femmina i maschi più attraenti deve
certamente condurre alla loro modificazione; e queste modificazioni possono nel
corso del tempo essere aumentate quasi all’infinito, compatibilmente colla
esistenza delle specie.
Variabilità degli uccelli e
specialmente dei loro caratteri sessuali secondari. – La
variabilità e l’eredità sono i fondamenti dell’opera della
scelta. È certo che gli uccelli addomesticati hanno variato grandemente,
essendo state ereditate le loro variazioni. Ognuno ammette che gli uccelli allo
stato di natura presentano differenze individuali; ed è pure
generalmente ammesso che talora sono stati modificati in razze distinte.
Le variazioni sono di due sorta, che insensibilmente
si graduano l’una nell’altra, cioè lievi differenze fra tutti i membri
della stessa specie, e deviazioni più fortemente spiccate che seguono
solo occasionalmente. Queste ultime sono rare negli uccelli allo stato di
natura, ed è dubbiosissimo se siano state spesso conservate per opera
della scelta, e poi trasmesse alle generazioni susseguenti. Nondimeno,
può essere utile riferire i pochi casi che hanno soprattutto relazione
col colore (esclusi il semplice albinismo ed il melanismo) che mi è stato
dato di raccogliere.
Il signor Gould è ben conosciuto
per non volere ammettere che raramente l’esistenza delle varietà,
perchè egli considera ogni lievissima differenza come specifica; ora
egli afferma che presso Bogota certi uccelli mosca appartenenti al genere Cynanthus
sono divisi in due o tre razze o varietà, che differiscono fra loro
nel colore della coda – “avendo alcune tutte le piume azzurre, mentre altre
hanno quelle centrali marginate di un bel verde”. Non sembra che siano state
osservate graduazioni intermedie in questo e nei seguenti casi. Nei maschi soli
di un parrocchetto di Australia “le cosce in alcuni sono scarlatte, in altri
verde erba”. In un altro parrocchetto dello stesso paese “certi
individui hanno la fascia che attraversa le cuopritrici delle ali di un giallo
brillante, mentre in altri la stessa parte è tinta di rosso”. Negli
Stati Uniti alcuni pochi fra i maschi della Tanagra rossa (Tanagra rubra)
hanno “una bella striscia trasversale di splendido rosso sulle cuopritrici
minori delle ali”; ma questa variazione sembra in certo modo rara,
cosicchè la sua conservazione, mercè la scelta sessuale,
seguirebbe solo in circostanze insolitamente favorevoli. Nel Bengal la Pernix
cristata ha talora una piccola cresta rudimentale sul capo, o non ne ha
affatto; ma così lieve differenza non avrebbe meritato però di
essere osservata, se questa stessa specie nell’India meridionale non avesse
“una cresta occipitale bene spiccata fatta di parecchie piume graduate”.
Il caso
seguente è per certi rispetti più interessante. Una
varietà screziata di corvo imperiale, col capo, il petto, l’addome e
parti delle piume delle ali e della coda bianche, è limitata alle isole
Feroe. Colà non è rarissima, perchè Graba ne vide durante
la sua visita da otto a dieci esemplari vivi. Quantunque i caratteri di questa
varietà non siano al tutto costanti, tuttavia è stata nominata da
vari distinti ornitologi come una specie distinta. Il fatto che gli uccelli
screziati erano inseguiti e perseguitati con molto clamore dagli altri corvi
dell’isola fu la causa principale che indusse Brünnich a conchiudere che erano
specificamente distinti; ma questo si sa ora essere un errore.
In varie parti dei mari settentrionali
si trova una notevole varietà della Uria comune (Uria troile); ed
in Feroe, secondo il calcolo di Graba, sopra cinque uccelli uno è
di questa varietà. È caratterizzata da un anello di un bianco
puro intorno all’occhio, con una stretta linea curva bianca, lunga circa tre
centimetri, che si estende dall’anello all’indietro. Questo spiccato carattere
ha fatto sì che questo uccello sia stato classificato da parecchi
ornitologi come una specie distinta col nome di U. lacrymans, ma ora si
sa non essere se non una varietà. Sovente si accoppia colla specie
comune, tuttavia non si sono mai vedute graduazioni intermedie; nè
questo deve far meraviglia, perchè le variazioni che appaiono
repentinamente sono sovente, come ho già mostrato altrove, trasmesse
modificate o non modificate. Noi vediamo così che due forme distinte
della stessa specie possono coesistere nello stesso distretto, e non possiamo
mettere in dubbio che se una avesse posseduto un qualche grande vantaggio
sull’altra, si sarebbe subito moltiplicata coll’esclusione dell’ultima. Se, per
esempio, i corvi imperiali screziati maschi, invece di essere perseguitati e
scacciati dai loro compagni fossero stati molto attraenti, come il pavone
macchiato di bianco di cui abbiamo parlato sopra, per le femmine nere comuni,
il loro numero si sarebbe rapidamente aumentato. E questo sarebbe stato un caso
di scelta sessuale.
Rispetto alle piccole differenze
individuali, che sono comuni, in un grado maggiore o minore, a tutti i membri
della stessa specie, abbiamo ogni ragione per credere che siano importantissime
nell’opera della scelta. I caratteri sessuali secondari sono eminentemente
soggetti a variare, tanto negli animali allo stato di natura, come allo stato
di addomesticamento. V’è pure ragione per credere, come abbiamo veduto
nel capitolo ottavo, che le variazioni seguono meglio nel sesso maschile che
non nel femminile. Tutte queste contingenze sono favorevolissime alla scelta
sessuale. Se i caratteri acquistati in tal modo vengono poi trasmessi a un
sesso o ai due sessi, ciò dipende esclusivamente, nella maggior parte
dei casi, come spero dimostrare nel capitolo seguente, dalla forma di
eredità che prevale nei gruppi in questione.
È talora difficile formarsi una
opinione qualunque intorno a ciò, se certe lievi differenze fra i sessi
degli uccelli siano semplicemente l’effetto della variabilità con
eredità limitata al sesso, senza l’aiuto della scelta sessuale, o se
siano state accresciute mercè quest’ultimo processo. Non mi riferisco
qui agli innumerevoli casi in cui il maschio spiega colori splendidi od altri
ornamenti di cui la femmina partecipa solo in un grado leggero; perchè
questi casi sono quasi certamente dovuti ai caratteri primieramente acquistati
dal maschio, e sono poi stati trasmessi alla femmina. Ma che cosa dobbiamo
conchiudere rispetto a certi uccelli, nei quali, per esempio, gli occhi
differiscono lievemente in colore nei due sessi? In alcuni casi gli occhi
differiscono grandemente; così nelle cicogne del genere Xenorhynchus quelli
del maschio sono nero nocciuola, mentre quelli della femmine sono giallo
gomma-gotta; in molti Buceri (Buceros), siccome ho udito dal signor
Blyth, i maschi hanno gli occhi cremisino intenso, e le femmine bianchi. Nel Buceros
bicornis, il margine posteriore dell’elmo ed una striscia sulla cresta del
becco sono neri nel maschio, ma non così nella femmina. Dobbiamo noi
supporre che quelle macchie nere ed il colore cremisino degli occhi sieno stati
conservati ed accresciuti nei maschi per opera della scelta sessuale? Questo
è molto dubbio, perchè il signor Bartlett mi fece vedere nel
Giardino Zoologico di Londra che nel maschio di questo Bucero l’interno della
bocca è nero e nella femmina è di color carne; e il loro aspetto
esterno o la loro bellezza non viene così alterata. Io ho osservato al
Chilì che l’iride del condoro, quando è in età di circa un
anno, è brunoscura, ma divenuto adulto, si cambia in gialliccio bruno
nel maschio, e in rosso brillante nella femmina. In molti uccelli gallinacei la
cresta è un grande ornamento, ed assume nell’atto del corteggiamento
colori vivaci; ma che cosa dobbiamo noi pensare della cresta di colore smorto
del condoro, che ai nostri occhi non pare essere per nulla un ornamento? La
stessa domanda si può fare rispetto ai vari altri caratteri, come la
escrescenza sulla base del becco dell’oca Cinese (Anser cygnoides), che
è molto più grossa nel maschio che non nella femmina. Non si
può dare a queste domande una risposta certa; ma dobbiamo andar cauti
nell’asserire che le protuberanze e varie appendici carnose non possano avere
attrattive per la femmina, quando penso che nelle razze umane selvagge certe
orride deformità – come profonde cicatrici sul volto che fanno che la
carne rimane rialzata in protuberanze, il setto del naso forato con bastoncini
od ossa, le orecchie e le labbra forate di larghe aperture – si ammirano senz’altro
come ornamenti.
Importanti o no, le differenze fra i
sessi, come quelle che abbiamo testè menzionate, sono state conservate
per opera della scelta sessuale; queste differenze, come pure tutte le altre,
debbono primieramente dipendere dalle leggi di variazione. Per principio dello
sviluppo di correlazione, il piumaggio sovente varia nelle differenti parti del
corpo, o in tutto il corpo, nello stesso modo. Noi vediamo questo bene
dimostrato in certe razze di polli. In tutte le razze le piume del collo e dei
fianchi dei maschi sono allungate, e si chiamano setole; ora quando i due sessi
acquistano un ciuffo, che è un carattere nuovo del genere, le penne sul
capo del maschio pigliano la forma setolosa, evidentemente pel principio di
correlazione; mentre quelle del capo della femmina hanno la forma ordinaria. Il
colore pure delle setole che formano il ciuffo è spesso in correlazione
colle piume setolose del collo e del groppone, come si può vedere
comparando queste penne nelle razze dorate ed argentate dal ciuffo, nelle razze
Houdan, e nella sotto-razza Crève-coeur, In alcune specie naturali
possiamo osservare esattamente la stessa correlazione nei colori di queste
stesse penne, siccome nei maschi degli splendidi fagiani dorato e di Amherst.
La struttura di
ogni penna individuale generalmente fa sì che ogni mutamento nella sua
colorazione è simmetrico, vediamo questo nelle varie razze rigate,
screziate e punteggiate del pollame; e per principio di correlazione le penne
di tutto il corpo sono spesso modificate nello stesso modo. Noi possiamo
così senza molta pena allevare razze colle penne segnate e colorate
quasi tanto simmetricamente come nella specie naturale. Nei polli rigati e
screziati i margini colorati delle piume sono nettamente definiti; ma in una
gallina meticcia che ebbi da un gallo spagnuolo macchiato di verde ed una
gallina bianca di razza di combattimento, tutte le penne erano nero-verdicce,
eccetto verso le estremità dove erano bianco-giallicce, ma fra le
estremità bianche e la base nera vi era in ogni penna una zona ricurva,
simmetrica, di color bruno scuro. In alcuni casi lo stelo della penna determina
la distribuzione delle tinte; così nelle penne del corpo di una meticcia
derivata dallo stesso gallo spagnuolo nero e da una gallina argentata polacca,
lo stelo, unitamente ad uno stretto spazio da ogni lato, erano nero-verdicci, e
questo era circondato da una zona regolare di bruno-scuro, marginata di
bianco-bruniccio. In questi casi noi vediamo penne che divengono
simmetricamente ombreggiate, come quelle che danno tanta eleganza al piumaggio
di molte specie naturali. Io ho pure notato una varietà del piccione
comune colle remiganti simmetricamente zonate con tre ombre brillanti, invece
di essere semplicemente nere sopra un fondo turchino lavagna, come nelle specie
originarie.
In molti grandi gruppi di uccelli si
può osservare che il piumaggio è differentemente colorato in ogni
specie: tuttavia certe macchie, segni o strisce, sebbene diversamente colorite,
sono conservate da tutte le specie. Seguono casi analoghi delle razze del
piccione, che per solito conservano le due remiganti colorite di rosso, di
giallo, di bianco, di nero o di turchino, mentre il rimanente del piumaggio
è di qualche tinta al tutto differente. Qui v’ha un caso più
curioso, nel quale certi segni sono conservati, sebbene coloriti in modo quasi
esattamente contrario a quello naturale; il piccione originario ha una coda
turchina, colle metà terminali delle parti esterne delle due penne della
coda esterne bianche, ora v’ha una sotto-varietà che ha la coda bianca
invece di essere nera, con quella piccola parte nera precisamente che è
bianca nelle specie originarie.
Formazione e variabilità degli
ocelli o macchie ad occhio del piumaggio degli uccelli. – Siccome non
v’ha ornamento tanto bello quanto gli ocelli che si vedono sulle penne di vari
uccelli, sulla pelle villosa di alcuni mammiferi, sulle squame dei rettili e
dei pesci, sulla pelle degli anfibi, sulle ali di molti lepidotteri e di altri
insetti, essi meritano di essere specialmente osservati. Un ocello è
fatto di una macchia dentro un anello di un altro colore, simile alle
concentriche addizionali. Gli ocelli sulle copritrici della coda del fagiano
offrono un esempio familiare come quelli delle ali della farfalla Vanessa. Il
signor Trimen mi ha dato una descrizione di una farfalla notturna dell’Africa
meridionale (Gynanisa Isis), affine alla nostra farfalla notturna
Saturia, nella quale un magnifico ocello occupa quasi tutta la superficie di
ogni ala posteriore; consiste di un centro nero, che comprende una macchia
semitrasparente crescente, circondata da successive zone giallo ocra, nero,
giallo ocra carnicino, bianco, carnicino, bruno e bianchiccio. Quantunque non
conosciamo gli stadi pei quali questi meravigliosamente belli e complessi
ornamenti si sono sviluppati, il processo almeno negli insetti è stato
probabilmente semplicissimo; perchè, siccome mi scrive il signor Trimen,
“nessun carattere semplicemente di segni e di colori è tanto instabile
nei Lepidotteri come gli ocelli, tanto nel numero come nella grandezza”. Il
signor Wallace che pel primo fermò la mia attenzione su questo
argomento, mi fece vedere una serie di esemplari della nostra farfalla comune
la Hipparchia Janira che mostrano numerose graduazioni da una semplice
macchia nera minuta ad un ocello elegantemente ombreggiato. In una farfalla
dell’Africa meridionale (Cyllo Leda, Linn.) che appartiene alla stessa
famiglia, gli ocelli sono anche più variabili. In alcuni esemplari
larghi spazi sulla superficie superiore delle ali sono di color nero, e
comprendono macchie irregolari bianche; e da questo stato si può segnare
una compiuta graduazione delle macchie irregolari di colore. In un’altra serie
di esemplari si può tener dietro ad una graduazione da minutissime gocce
bianche, circondate da una linea nera, appena visibile, a grandi ocelli
perfettamente simmetrici. In simili casi lo sviluppo di un ocello perfetto non
richiede un lungo corso di variazioni e di scelta.
Negli uccelli
ed in molti altri animali sembra, dalla comparazione di specie affini, che le
macchie circolari siano sovente generate dallo spezzarsi e dal contrarsi delle
strisce. Nel fagiano Tragopan le deboli linee bianche della femmina
rappresentano le belle macchie bianche del maschio; e si può osservare
qualche cosa di consimile nei due sessi del fagiano Argo. Comunque sia, le
apparenze appoggiano fortemente la credenza che, da una parte, una macchia
scura è sovente formata da ciò che la materia colorante viene
portata da un punto centrale ad una zona circondante che viene resa così
più chiara. E, d’altra parte, che spesso una macchia bianca si forma da
ciò che il colore vien tolto via da un punto centrale, cosicchè
si accumula in una zona circondante più scura. Nei due casi l’effetto
è un ocello. La materia colorante sembra essere in una quantità
quasi costante, ma è nuovamente distribuita sia in maniera centripeta,
sia in modo centrifugo. Le penne della gallina di Guinea comune presentano un
buon esempio di macchie bianche circondate da zone più scure; e ovunque
le macchie bianche sono grandi e stanno vicine le une alle altre, le zone
circondanti scure divengono confluenti. Nella stessa copritrice delle ali del
fagiano Argo si possono vedere macchie scure circondate da una zona pallida, e
macchie bianche da una zona scura. Così la formazione di un ocello nel
suo stato più semplice sembra essere una cosa semplice. Ma non
pretendiamo di dire con quanti successivi stadi gli ocelli più complessi
che sono circondati da molte zone successive di colore siano stati generati. Ma
pensando alle penne zonate dei meticci derivanti da polli differentemente
coloriti, e alla straordinaria variabilità degli ocelli di molti
Lepidotteri, la formazione di questi begli ornamenti non può essere un
processo molto complicato, e probabilmente dipende solo da qualche lieve e
graduato mutamento della natura dei tessuti.
Graduazione dei caratteri sessuali
secondari. – I casi di graduazione sono importanti per noi, poichè
dimostrano che è almeno possibile il fatto che ornamenti molto complessi
possano venire acquistati con piccoli stadi successivi. Onde scoprire gli stadi
attuali per cui il maschio di qualsiasi uccello vivente ha acquistato i suoi
stupendi colori od altri ornamenti, dovremmo riosservare la lunga linea dei
suoi antichi ed estinti progenitori; ma evidentemente questo è
impossibile. Possiamo tuttavia ottenere un barlume di luce comparando tutte le
specie di un gruppo, se è molto esteso; perchè alcune fra esse
conserveranno probabilmente, almeno in modo parziale, tracce dei loro primieri
caratteri. Invece di entrare in noiosi particolari rispetto a vari gruppi, in
cui si possono dare notevoli esempi di graduazione, sembra miglior partito
prendere alcuni pochi casi fortemente caratterizzati, per esempio quello del
pavone, onde scoprire se qualche luce possa venire in tal modo sparsa sopra gli
stadi pei quali questo uccello è divenuto così splendidamente
adorno. Il pavone è notevolissimo per la straordinaria lunghezza delle
copritrici della coda, la coda in se stessa non essendo molto lunga. Le barbe
quasi per tutta la lunghezza di queste pezze stanno separate o sono scomposte;
ma questo è il caso per le piume di molte specie, ed in alcune
varietà del pollame e del piccione domestico. Le barbe si riuniscono
verso l’estremità dello stelo per formare il disco ovale od ocello, che
è certamente una delle più belle cose del mondo. Questo consiste
di un centro dentato iridescente, intensamente turchino, circondato da una zona
di un bel verde, e questa da una larga zona bruno rame, e questa pure da cinque
altre strette zone di tinte iridescenti lievemente diverse. Merita forse
d’esser notato un carattere insignificante del disco: le barbe per uno spazio
lungo una delle zone concentriche mancano, in un grado più o meno grande
delle loro barboline, cosicchè una parte del disco è circondata
da una zona quasi trasparente che gli dà un aspetto molto finito. Ma ho
descritto altrove una variazione esattamente analoga nelle piume setolose di
una sotto-varietà del gallo da combattimento, in cui le punte avendo un
lucido metallico “sono separate dalla parte più bassa della penna da una
zona trasparente di forma simmetrica, composta delle parti nude delle barbe”.
Il margine inferiore o la base del centro turchino dell’ocello è profondamente
dentato nella linea dello stelo. Le zone circondanti pure mostrano tracce,
siccome si può vedere nel disegno di frastagli, o meglio di fessure.
Questi frastagli sono comuni ai pavoni Indiani e di Giava (Pavo cristatus e
P. muticus) e mi sembrano meritare una particolare attenzione,
perchè hanno probabilmente relazione collo sviluppo dell’ocello; ma per
molto tempo io non potevo comprenderne il significato.
Ammettendo il principio di graduata
evoluzione, debbono avere esistiti anticamente molte specie che hanno presentato
uno stadio successivo fra le copritrici della coda meravigliosamente allungate
del pavone e le brevi copritrici della coda degli uccelli comuni; e di nuovo
fra i magnifici ocelli del primo e gli ocelli più semplici o macchie
solamente colorite degli altri uccelli, e così per tutti gli altri
caratteri del pavone. Osserviamo ora nei gallinacei affini per rinvenire le
graduazioni tuttora esistenti. Le specie e sotto-specie del Polyplectron
abitano paesi adiacenti alla patria del pavone; e rassomigliano tanto a questo
uccello, che sono stati detti talora fagiani pavoni. Il signor Bartlett mi ha
pure detto che rassomigliano al pavone nella voce, ed in qualcheduno dei loro
costumi. In primavera i maschi, siccome abbiamo detto prima, passeggiano
vanitosamente innanzi alle femmine di colori comparativamente smorti, piegando
e rialzando la coda e le penne delle ali che sono adorne di numerosi ocelli.
Nel P. Napoleonis gli ocelli si limitano alla coda, e il dorso è di
un bell’azzurro metallico, e per questo rispetto questa specie si accosta al
pavone di Giava. Il P. Hardwickii possiede un ciuffo particolare,
in certo modo simile a quello di questa stessa specie di pavone. Gli ocelli
sulle ali e sulla coda di queste varie specie di Polyplectron sono i circolari
od ovali, e consistono di un bel disco iridescente, di colore verdiccio
turchino o verdiccio porpora, con un margine nero. Questo margine nel P.
chinquis sfuma nel bruno che è marginato di color crema, siccome gli
ocelli sono qui circondati da zone concentriche differentemente, sebbene non
brillantemente, sfumate. L’insolita lunghezza delle copritrici della coda
è un altro notevolissimo carattere del Polyplectron; perchè in
alcune delle specie sono lunghe quanto la metà, e in altre due terzi
della lunghezza delle vere penne della coda. Le copritrici della coda sono
ocellate come nel pavone. Così le varie specie di Polyplectron si
accostano evidentemente in modo graduato al pavone nella lunghezza delle loro
copritrici della coda, nella zonatura degli ocelli, ed in alcuni altri
caratteri.
Malgrado questo avvicinamento, la prima
specie di Polyplectron che mi fu dato di esaminare quasi quasi mi fece smettere
dall’imprenderne la ricerca; perchè non solo trovai che le vere piume
della coda, che nel pavone sono al tutto semplici, erano adorne di ocelli, ma
che gli ocelli sopra tutte le penne differivano fondamentalmente da quelli del
pavone, essendovene due sulla stessa penna, uno da ogni lato dello stelo.
Quindi io conclusi che i primieri progenitori del pavone non potevano aver
rassomigliato per nulla al Polyplectron. Ma continuando le mie ricerche,
osservai che in alcune delle specie i due ocelli stavano vicinissimi l’uno
all’altro; che nelle penne della coda del P. Hardwickii essi si
toccavano; e finalmente che nelle copritrici della coda di questa stessa
specie, come pure dei P. malaccense, esse erano attualmente confluenti.
Siccome la parte centrale sola è confluente, rimane una indentatura ai
due capi superiore ed inferiore; e le zone colorite circolari sono pure
frastagliate. Viene in tal modo formato un semplice ocello sopra ogni
copritrice della coda, sebbene tradisca ancora chiaramente la sua prima
origine. Questi ocelli confluenti differiscono dagli ocelli unici del pavone in
ciò che hanno una frastagliatura ai due capi, invece di averla al solo
capo inferiore o basale. Tuttavia, la spiegazione di questa differenza non
è difficile; in alcune specie di Polyplectron i due ocelli ovali sulla
medesima penna stanno paralleli l’uno all’altro; in altre specie (come nel P.
chinquis) convergono verso un capo; ora la confluenza parziale
dei due ocelli convergenti lascerebbe evidentemente una indentatura molto
più profonda al capo divergente che non al capo convergente. È
anche chiaro che se la convergenza fosse fortemente pronunziata e la confluenza
compiuta, l’indentatura del capo convergente tenderebbe ad essere al tutto
cancellata.
Le penne della coda nelle due specie di
pavone sono al tutto mancanti di ocelli, e ciò apparentemente ha
relazione coll’essere coperte e nascoste dalle copritrici della coda. Per
questo rispetto differiscono notevolmente dalle penne della coda del
Polyplectron, che nella maggior parte delle specie sono adorne di ocelli
più grandi che non quelli delle copritrici della coda. Quindi fui
indotto ad esaminare attentamente le penne della coda di varie specie di
Polyplectron, onde scoprire se gli ocelli di alcune di esse mostrassero una
tendenza a scomparire, e con mia grande soddisfazione ci riuscii. Le copritrici
centrali della coda del P. Napoleonis, hanno i due ocelli di ogni lato
dello stelo perfettamente sviluppati; ma l’ocello interno diviene sempre meno
vistoso sopra le penne della coda più esterne, finchè una sola
ombra o vestigio rudimentale è lasciato sulla parete interna delle penne
estreme. Parimente nel P. malaccense, gli ocelli delle penne della coda
sono, come abbiamo veduto, confluenti; e queste penne sono d’insolita
lunghezza, essendo due terzi della lunghezza delle penne della coda, cosicchè
nei due rispetti rassomigliano alle copritrici della coda del pavone. Ora, in
questa specie, le due penne centrali della coda soltanto sono adorne, ognuna
con due ocelli brillantemente coloriti, essendo al tutto scomparsi gli ocelli
dai lati interni di tutte le altre piume della coda. In conseguenza le
copritrici e le penne della coda in questa specie di Polyplectron si accostano
intimamente nella struttura e nell’ornamentazione alle penne corrispondenti del
pavone.
Pertanto, fin là dove va, il
principio della graduazione getta luce sugli stadi coi quali lo stupendo
strascico del pavone è stato acquistato, e non vi ha gran cosa da
desiderare. Possiamo immaginarci un progenitore del pavone in una condizione
quasi esattamente intermedia fra il pavone esistente, colle copritrici della
coda enormemente allungate, ornate di ocelli unici, ed un uccello gallinaceo
comune con copritrici della coda brevi, macchiate soltanto di qualche colore; e
noi allora vedremo coll’occhio della mente un uccello munito di copritrici
della coda che si possono rialzare ed espandere, ornate di due ocelli
parzialmente confluenti, e lunghi tanto da nascondere quasi le penne della
coda, le ultime avendo già parzialmente perduto i loro ocelli; in breve
vedremo un Polyplectron. L’indentatura del disco centrale e le zone circondanti
dell’ocello nelle due specie di pavone mi sembrano parlare chiaramente in
favore di questo modo di vedere; e questa struttura non si spiega altrimenti. I
maschi del Polyplectron sono senza dubbio bellissimi uccelli, ma la loro bellezza,
quando si vede a piccola distanza, non può essere comparata, come aveva
prima veduto nel Giardino Zoologico di Londra, con quella del pavone. Molti
progenitori femmine del pavone debbono, durante una lunga serie di generazioni,
avere apprezzato questa superiorità; perchè hanno inconsciamente,
mercè la continua preferenza pei maschi molto più belli, reso il
pavone il più splendido degli uccelli viventi.
Fagiano Argo. – Un altro caso
eccellente per la investigazione è offerto dagli ocelli delle penne
delle ali del Fagiano Argo, che sono così meravigliosamente dipinte da
rassomigliare a tanti occhi nella loro orbita, e che quindi differiscono dagli
ocelli ordinari. Io non credo che alcuno voglia attribuire il dipinto, che ha
destata l’ammirazione di molti valenti artisti, al caso, al fortuito concorso
degli atomi della materia colorante. Che questi ornamenti siano stati formati
mercè la scelta di molte successive variazioni, nessuna delle quali
fosse in origine destinata a produrre l’effetto dell’occhio nell’orbita, sembra
quasi incredibile, come che una delle Madonne del Raffaello sia stata formata
dalla scelta di scarabocchi dipinti presi a caso fatti da una successione di
giovani artisti, nessuno dei quali intendesse dapprima di delineare il
sembiante umano. Onde scoprire il modo in cui gli ocelli si sono sviluppati noi
non possiamo guardare ad una lunga linea di progenitori, nè alle varie
forme strettamente affini, perchè queste ora non esistono. Ma
fortunatamente le varie penne dell’ala bastano a darci un barlume di luce
intorno al problema, e provano molto chiaramente che è almeno possibile
una graduazione da una semplice macchia ad un ocello od occhio ben finito.
Le penne delle ali, che portano gli
ocelli, sono coperte di strisce oscure o di file di macchie oscure, ed ogni
striscia od ogni fila corre obliquamente lungo il lato esterno dello stelo fino
ad un ocello. In generale le macchie si allungano in una linea trasversa alla
fila in cui stanno. Sovente divengono confluenti, sia in una linea o in una
fila – e allora formano una striscia longitudinale – o traversalmente,
cioè colle macchie in file che si riuniscono, e allora formano strisce
trasversali. Talora una macchia si divide in macchiette che stanno sempre al
loro proprio luogo.
Sarà prima conveniente
descrivere un ocello dall’occhio perfetto. Esso consiste in un anello circolare
intensamente nero, che circonda uno spazio ombreggiato tanto esattamente da
rassomigliare ad un occhio. L’anello è quasi sempre lievemente spezzato
o interrotto in un punto della metà superiore, un po’ a dritta e sopra
la ombreggiatura bianca sul globo rinchiuso; è pure talvolta spezzato
verso la base alla destra. Queste piccole interruzioni hanno un significato importante.
L’anello è sempre molto più fitto, cogli orli mali definiti verso
l’angolo superiore, essendo la penna tenuta dritta. Sotto questa parte
più fitta vi è sulla superficie del globo una macchia obliqua
quasi bianco puro, che sfuma all’ingiù in una tinta lavagna-pallida, e
questa in tante tinte giallicce e brune, che vanno insensibilmente facendosi
più scure verso la parte inferiore dell’occhio. Si è questa
sfumatura che produce quel meraviglioso effetto di luce che splende sopra una
superficie convessa. Se si esamina uno degli occhi, si vedrà che la
parte inferiore è di una tinta più bruna ed è
indistintamente separata da una linea obliqua incurvata dalla parte superiore,
che è più gialla e più piombina; questa linea obliqua
corre ad angolo retto all’asse più lungo della macchia bianca di luce, e
infatti di tutta l’ombreggiatura; ma questa diversità nelle tinte che
naturalmente non si può dimostrare in una incisione, non ha che fare per
nulla col perfetto ombreggiamento dell’occhio. Bisognerebbe osservare
particolarmente che ogni ocello sta in evidente connessione con una striscia
oscura, e una fila di macchie oscure, perchè le due si presentano
indifferentemente sulla stessa penna.
Descriverò poi l’altro estremo
della serie, cioè la prima traccia di un ocello. La breve penna dell’ala
secondaria più vicina al corpo è segnata, come le altre penne, di
file di macchie oblique, longitudinali, e piuttosto irregolari. La macchia
più bassa, o quella più vicina allo stelo, nelle cinque file più
basse (escludendo la fila basale), è un po’ più grande che non le
altre macchie nella medesima fila, ed un po’ più allungata in una
direzione trasversale. Differisce pure dalle altre macchie per essere marginata
sul lato superiore con qualche ombreggiatura fulva sbiadita. Ma questa macchia
non è per nulla più notevole che non quelle che si vedono sul
piumaggio di molti uccelli, e può agevolmente passare inosservata. La
prossima macchia più alta in ogni fila non differisce per nulla dalle
più alte della stessa fila, quantunque nella serie seguente divenga,
siccome vedremo, grandemente modificata. Le macchie più grandi occupano
esattamente la stessa posizione relativa sopra questa penna come quelle
occupate dagli ocelli perfetti sopra le penne delle ali più lunghe.
Guardando alle prossime due o tre
susseguenti penne secondarie delle ali, si può segnare una gradazione al
tutto insensibile da una delle sopra descritte macchie più basse ad un
curioso ornamento, che non può essere detto un ocello, e che
chiamerò, per mancanza di un miglior vocabolo “ornamento elittico”. Noi
vediamo parecchie file oblique di macchie oscure, del carattere solito. Ogni
fila di macchie si dirige in giù e si connette ad uno degli ornamenti
elittici, nello stesso modo con cui ogni striscia corre in giù verso uno
degli ocelli ad occhio e si congiunge a quello. Guardando ad ogni fila la
macchia o il segno più basso è più spesso e notevolmente
più lungo che non le macchie superiori, ed ha la sua estremità
sinistra appuntata e ricurva all’insù. Questo segno nero è
repentinamente marginato sul suo lato superiore da uno spazio piuttosto largo
di tinte riccamente sfumate, che cominciano con una stretta zona bruna, che
sfuma nell’arancio, e questa in una tinta piombo-pallido, col capo verso lo
stelo molto più pallido. Questo segno corrisponde per ogni rispetto
colla macchia ombreggiata più grande, ma è più altamente
sviluppata e più brillantemente colorita. Alla destra e sopra questa
macchia, colla sua brillante sfumatura, vi è una macchia lunga stretta e
nera, appartenente alla stessa fila, e che è incurvata un tantino
all’ingiù tanto da stare di prospetto. È pure munita di uno
stretto margine, sul lato più basso, di una tinta fulva. Alla sinistra e
sopra, nella stessa direzione obliqua, ma sempre più o meno distinta da
essa, v’è un’altra macchia nera. Questa macchia è generalmente
sub-triangolare e di forma irregolare, è insolitamente stretta,
allungata e regolare. Si compone da quanto pare di un prolungamento laterale ed
interrotto dalla macchia, come deduco dalle tracce di cosiffatti prolungamenti
delle susseguenti macchie superiori, ma non ne son ben sicuro. Queste tre
macchie colle ombreggiature brillanti intervenienti, formano riunite il
cosidetto ornamento elittico. Questi ornamenti stanno in una linea parallela
collo stelo, e manifestamente corrispondono nella posizione cogli ocelli od
occhi.
Tra uno degli ornamenti elittici ad un
ocello perfetto a occhio la graduazione è così fatta che non
è guari possibile decidere quando si possa adoperare quest’ultimo
vocabolo. Mi rincresce di non aver dato un disegno addizionale, che sta circa a
mezza via della serie fra una delle macchie semplici ed un ocello perfetto. Il
passaggio dall’ornamento elittico ad un ocello si compie per l’allungamento e
la maggiore incurvatura in direzione opposta della macchia nera inferiore, e
più specialmente di quella superiore unitamente alla contrazione della
macchia irregolare sub- triangolare o più stretta, cosicchè alla
fine queste tre macchie si fanno confluenti, formando un anello irregolare
elittico. Questo anello va graduatamente divenendo sempre; più circolare
e regolare, mentre va crescendo in diametro. Si possono ancora osservare tracce
del congiungimento di tutte le tre macchie allungate, specialmente delle due
superiori, in molti degli ocelli più perfetti. La macchia irregolare
sub-triangolare o più stretta forma evidentemente, colla sua contrazione
ed ugualizzazione, la parte più fitta dell’anello sul lato sinistro
superiore dell’ocello ad occhio perfetto. La parte più bassa dell’anello
è invariabilmente un po’ più fitta delle altre parti, e questo
deriva da che la macchia nera inferiore dell’ornamento elittico era in origine
più fitta che non la macchia superiore. Si può tener dietro ad
ogni passo nel processo di confluenza e di modificazione; e l’anello nero che
circonda il globo dell’ocello è fatto certamente dall’unione e dalla
modificazione delle tre macchie nere dell’ornamento elittico. Le macchie
irregolari nere a ghirigori fra i successivi ocelli son dovute evidentemente
allo spezzarsi delle macchie in certo modo più regolari ma somiglianti
fra gli ornamenti elittici.
Gli stadi successivi
dell’ombreggiamento degli ocelli ad occhio si possono seguitare con pari
evidenza. Le strette zone brune, arancio e piombo-pallido, che orlano la
macchia nera inferiore dell’ornamento elittico, si possono vedere divenire man
mano più dolci e sfumanti l’una nell’altra, e la parte superiore
più chiara verso l’angolo sinistro farsi sempre più chiara, tanto
da divenire quasi bianca. Ma anche negli ocelli ad occhio più perfetto
si può scorgere una lieve differenza nelle tinte, sebbene non
nell’ombreggiamento, fra le parti superiori ed inferiori dell’occhio (come
abbiamo spiegato sopra), essendo la linea di separazione obliqua nella stessa
direzione colle tinte dai colori brillanti degli ornamenti elittici.
Così si può dimostrare che quasi ogni più minuto
particolare nella forma e nel coloramento degli ocelli ad occhio segue da
graduati mutamenti negli ornamenti elittici; e lo sviluppo degli ultimi
può essere segnato per stadi egualmente piccoli dall’unione di due
macchie quasi semplici, l’inferiore delle quali è munita sul lato
superiore di una certa ombreggiatura fulva.
Le estremità delle penne
secondarie più lunghe che portano gli ocelli ad occhio perfetti sono particolarmente
adorne. Le fasce oblique longitudinali cessano ad un tratto all’insù e
divengono confuse, e sopra questo limite tutto l’apice superiore della penna
è coperto di gocce bianche, circondate da anellini neri, che stanno
sopra un fondo scuro. Anche la fascia obliqua che appartiene all’ocello
superiore è rappresentata solo da una brevissima macchia irregolare
nera, colla consueta base incurvata trasversale. Siccome questa fascia è
tagliata sopra così repentinamente, noi possiamo comprendere, da quello
che abbiamo detto prima, come vada che la parte superiore più fitta
dell’anello manca nell’ocello superiore; perchè, come abbiamo fermato
prima, questa parte più spessa è, a quanto pare, formata da un
interrotto prolungamento della vicina macchia più alta della medesima
fila. Per la mancanza della parte più spessa dell’anello, l’ocello
superiore, sebbene perfetto in tutti gli altri rispetti, sembra come se il suo
apice fosse stato obliquamente esportato. Io penso che chiunque crede che il
piumaggio del fagiano Argo è stato creato come lo vediamo ora, sarebbe
assai imbarazzato a spiegare la condizione imperfetta degli ultimi ocelli.
Aggiungerò che nelle penne secondarie delle ali più lontane dal
corpo tutti gli ocelli sono più piccoli e meno perfetti che non nelle
altre penne, colle parti superiori degli anelli neri esterni deficienti; come
nel caso testè menzionato. Qui l’imperfezione sembra avere relazione col
fatto che le macchie in questa penna mostrano minor tendenza del solito a
divenire confluenti in strisce, al contrario sono spesso spezzate in tante
macchie più piccole, cosicchè due o tre file scorrono da ogni
ocello.
Abbiamo ora veduto che si può
tener dietro ad una serie perfetta, da due macchie quasi semplici, dapprima al
tutto distinte fra loro, fino ad uno dei meravigliosi ornamenti ad occhi. Il
sig. Gould, che ebbe la compiacenza di darmi alcuna di queste penne, è
pienamente d’accordo con me intorno alla compiuta graduazione. È chiaro
che gli stadi di sviluppo che presentano le penne sullo stesso uccello
non ci mostrano necessariamente gli stadi percorsi dagli estinti progenitori
della specie; ma probabilmente ci danno un po’ di luce sugli stadi attuali, ed
almeno provano colla dimostrazione che una graduazione è possibile. Se
pensiamo alla grande cura colla quale il fagiano Argo maschio mette in mostra
le sue penne agli occhi della femmina, come pure ai tanti fatti che rendono
probabile che le femmine degli uccelli preferiscono i maschi più
attraenti, nessuno che ammetta l’azione della scelta vorrà negare che
una semplice macchia oscura con alcune sfumature fulve non possa essere
convertita, mercè l’approssimazione e la modificazione delle macchie
vicine, insieme a qualche lieve aumento di colore, in uno dei cosidetti
ornamenti elittici. Questi ultimi ornamenti sono stati mostrati a molte
persone, e tutte hanno riconosciuto che sono sommamente belli, ed alcune li
considerano ancor più belli che non gli ocelli ad occhi. Mentre le penne
secondarie divenivano più lunghe mercè la scelta sessuale, e mentre
gli ornamenti elittici crescevano di diametro, i loro colori divenivano, da
quanto pare, meno brillanti; e allora l’ornamentazione delle piume doveva
ottenersi mercè un miglioramento nel disegno e nell’ombreggiamento; e
questo processo è stato continuato fino a che siansi finalmente
sviluppati i meravigliosi ocelli ad occhio. Così noi possiamo
comprendere – e secondo me non altrimenti – la condizione presente e l’origine
degli ornamenti delle penne delle ali del fagiano Argo.
Dalla luce che ci dà il
principio dì graduazione, da quello che conosciamo delle leggi di
variazione, dai mutamenti seguiti in molti dei nostri uccelli domestici, ed
infine dal carattere (come vedremo più chiaramente in seguito) del
piumaggio non perfetto dei giovani uccelli – noi possiamo talora indicare con
una certa fiducia gli stadi probabili coi quali i maschi hanno acquistato il
loro brillante piumaggio ed i vari ornamenti: tuttavia in molti casi siamo
circondati dal buio. Parecchi anni or sono il signor Gould mi fece osservare un
uccello mosca, l’Urosticte benjamini, notevole per le curiose differenze
che presentano i due sessi. Il maschio, oltre ad una splendida gorgiera, ha le
penne della coda verde-nero, di cui le quattro centrali hanno le punte
bianche; nella femmina, come nella maggior parte delle specie affini, le tre
penne della coda esterne da ogni lato hanno la punta bianca,
cosicchè il maschio ha le quattro centrali, mentre la femmina ha le sei
penne esterne ornate di punte bianche. Ciò che rende singolare questo caso
si è che, quantunque il coloramento della coda differisca notevolmente
nei due sessi di molte specie di uccelli mosca, il signor Gould non conosce una
sola specie, oltre l’Urosticte, nella quale il maschio abbia le
quattro penne centrali colla punta bianca.
Il duca di Argyll, commentando questo
caso, non tiene conto della scelta sessuale e fa questa domanda: “Quale
spiegazione darà la legge della scelta naturale di varietà
specifiche come questa?” Egli risponde “nessuna affatto” ed io son d’accordo
con lui. Ma si potrebbe dir ciò con tanta franchezza della scelta
sessuale? Vedendo in quanti vari modi le penne della coda degli uccelli mosca
differiscono, perchè non avrebbero variato le quattro penne centrali in
questa specie sola, tanto da avere acquistato l’apice bianco? Le variazioni
possono essere state graduate, o in certo modo repentine, come nel caso
riferito recentemente degli uccelli mosca presso Bogota, nei quali certi
individui soli hanno le “penne della coda centrale colla punta di un bel verde”.
Nella femmina dell’Urosticte io ho notato punte bianche sommamente
minute o rudimentali alle due penne esterne delle quattro penne centrali nere
della coda; cosicchè qui abbiamo un segno di una qualche sorta di
mutamento nel piumaggio di questa specie. Se noi ammettiamo la
possibilità che le penne centrali della coda del maschio possano variare
in bianco non v’ha nulla di strano che queste variazioni siano state
sessualmente scelte. Le punte bianche ed i ciuffettini bianchi sulle orecchie
accrescono certamente, come ammette il duca d’Argyll, la bellezza del maschio;
ed il color bianco è, da quanto pare, apprezzato dagli altri uccelli,
siccome si può dedurre da certi casi, come il maschio bianco di neve
della Procnias carunculata. Non bisogna dimenticare l’osservazione fatta
da sir R. Heron, cioè che le sue pavonesse, quando furono separate dal
pavone macchiato di bianco, non vollero unirsi a nessun altro maschio, e per
quella stagione non produssero prole. Non è per nulla strano che le
variazioni seguite nelle penne della coda dell’Urosticte siano state
specialmente scelte per scopo di ornamento, perchè il prossimo genere
susseguente nella famiglia prende il nome di Metallura dallo splendore
di quelle penne. Il signor Gould, dopo aver descritto il piumaggio particolare
dell’Urosticte, soggiunge: “che siano loro unico scopo l’ornamento e la
varietà, io non ho guari dubbio”. Se questo fosse ammesso, noi possiamo
vedere che i maschi che erano adorni nel più elegante e più nuovo
modo avevano ottenuto un vantaggio, non nella solita lotta per la vita, ma
nella rivalità con altri maschi, ed in conseguenza hanno dovuto lasciare
maggior numero di prole per ereditare la loro bellezza novellamente acquistata.
UCCELLI, continuazione.
Discussione intorno alla causa per cui i maschi soli di alcune
specie, e i due sessi di altre specie, sono brillantemente coloriti – Intorno
alla eredità sessualmente limitata, come applicata a varie strutture ed
al piumaggio splendidamente colorito – Nidificazione in relazione col
colore – Perdita del piumaggio nuziale durante l’inverno.
Dobbiamo in
questo capitolo considerare perchè in molte specie di uccelli la femmina
non abbia ricevuto gli stessi ornamenti del maschio; e perchè in molti
altri i due sessi siano ugualmente, o quasi ugualmente, adorni. Nel capitolo
seguente considereremo perchè in alcuni pochi casi la femmina sia
più vistosamente colorita che non il maschio.
Nella mia Origine
delle specie, io accennavo brevemente a ciò che la lunga coda del pavone
sarebbe incomoda, ed il colore vistoso nero del gallo cedrone maschio
pericoloso alla femmina, durante il periodo dell’incubazione: ed in conseguenza
che la trasmissione di questi caratteri dal maschio alla prole femmina sarebbe
stata impedita dall’opera della scelta naturale. Io credo ancora che questo
sarebbe seguito in alcuni pochi casi; ma dopo ponderata riflessione sopra tutti
i fatti che mi è stato dato di raccogliere, sono ora pro- penso a
credere che quando i sessi differiscono, le successive variazioni sono state in
generale limitate dapprima nella loro trasmissione allo stesso sesso nel quale
fecero la loro prima comparsa. Dacchè le mie osservazioni furono
pubblicate, l’argomento della colorazione sessuale è stato discusso in alcuni
interessantissimi scritti del signor Wallace, il quale crede che in quasi tutti
i casi le variazioni successive tendevano dapprima ad essere trasmesse
ugualmente ai due sessi; ma che la femmina fu impedita per opera della scelta
naturale di acquistare i colori vistosi del maschio pel pericolo cui sarebbe
andata incontro nella incubazione.
Questo modo di
vedere richiede una noiosa discussione intorno ad un punto difficile,
cioè se la trasmissione di un carattere, che è stato dapprima
ereditato dai due sessi, possa in seguito limitarsi nella sua trasmissione,
mercè la scelta, ad un sesso solo. Dobbiamo tener in mente, come abbiamo
dimostrato nel capitolo preliminare intorno alla scelta sessuale, che i
caratteri, i quali sono limitati nel loro sviluppo ad un sesso, sono sempre
latenti nell’altro. Un esempio immaginario ci aiuterà meglio a
dimostrare la difficoltà del caso; noi possiamo supporre che un
dilettante desideri fare una razza di piccioni nella quale i maschi soli siano
per essere coloriti di turchino pallido, mentre le femmine siano per conservare
la loro primiera tinta cenerina. Siccome nei piccioni ogni sorta di caratteri
vengono per solito trasmessi ugualmente ai due sessi, il dilettante avrebbe da
cercare di mutare questa ultima forma di eredità in una trasmissione
sessualmente limitata, Tutto ciò che egli potrebbe fare sarebbe di
perseverare nella scelta di ogni piccione maschio che fosse in un grado anche
minimo di un turchino più pallido; e l’effetto naturale di questo
processo, quando fosse seguito con persistenza per un lungo spazio di tempo, e
se le variazioni pallide fossero fortemente ereditate o anche spesso frequenti
riuscirebbe a fare tutta la sua razza di un turchino più chiaro, Ma il
nostro dilettante sarebbe obbligato ad accoppiare di generazione in generazione
i suoi maschi turchini colle femmine cenerine, perchè egli vorrebbe
conservare a queste ultime il loro colore, Il risultato sarebbe in generale la
produzione sia di una razza incrociata pezzata, o più probabilmente la
perdita spedita e compiuta del colore turchino pallido, perchè la tinta
cenerina primitiva verrebbe trasmessa con maggior preponderanza. Supponendo
tuttavia che alcuni maschi turchino pallido e femmine cenerine fossero prodotti
durante ogni successiva generazione, e venissero sempre incrociati assieme;
allora le femmine cenerine avrebbero, se pure mi è lecito esprimermi
casi, maggiore copia di sangue azzurro nelle vene, perchè i loro padri,
i loro avi, ecc, sarebbero stati uccelli azzurri, In queste circostanze si
comprende (sebbene io non conosca fatti distinti che rendano ciò
probabile) che le femmine cenerine possano acquistare una così forte
latente tendenza al colore turchino pallido, che questo colore non sarebbe
distrutto nella loro prole maschile, mentre la prole femminile erediterebbe
tuttavia la tinta cenerina. Se ciò fosse, lo scopo desiderato di fare
una razza coi due sessi permanentemente di colore differente potrebbe essere
conseguito.
La somma
importanza, o meglio la necessità del carattere desiderato nel caso
sopra detto, cioè, il colore turchino pallido, essendo presente, sebbene
allo stato latente, nella femmina, cosicchè la prole maschile non fosse
per essere deteriorata, sarà meglio apprezzata nel modo seguente; il
fagiano di Soemmering maschio ha una coda lunga
Il nostro
dilettante, onde fare la sua nuova razza con maschi di una tinta decisamente
turchino pallido, e le femmine conservandosi immutate, avrebbe da continuare a
scegliere i maschi durante molte generazioni, ed ogni stadio di pallidezza
dovrebbe essere fissato nei maschi e reso latente nelle femmine. Il compito
sarebbe difficilissimo e non è mai stato tentato, ma potrebbe
possibilmente riuscire. L’ostacolo principale sarebbe la primiera e compiuta
perdita della tinta turchino-pallida per la necessità di fare reiterati
incrociamenti colla femmina cenerina, non avendo questa dapprima nessuna
tendenza latente a produrre prole turchino-pallida.
D’altra parte se uno o due maschi
fossero per variare anche lievissimamente nella tinta, e le variazioni si
limitassero dapprima nella loro trasmissione al sesso maschile, il compito di
fare una nuova razza della specie desiderata sarebbe agevole, perchè non
vi sarebbe da fare altro che scegliere quei maschi ed unirli alle femmine
comuni. Un caso analogo ha attualmente avuto luogo, perchè vi sono razze
del piccione del Belgio in cui i maschi soli sono striati di nero. Nel caso del
pollame seguono abitualmente variazioni di colore limitate nella loro
trasmissione al sesso maschile. Anche quando questa forma di eredità
prevale, può bene accadere che qualche successivo stadio nel processo di
variazione possa venire trasmesso alla femmina, la quale allora
rassomiglierebbe in un lieve grado al maschio, come segue in certe razze di
polli. O, parimente, il numero maggiore, ma non tutti dei successivi stadi
potrebbero venire trasmessi ai due sessi, e la femmina verrebbe allora a
rassomigliare intimamente al maschio. Non vi può essere guari dubbio che
questa è causa per cui il maschio del piccione Pouter ha un gozzo
un po’ più grosso, ed il piccione Messaggero maschio ha in certo modo
bargigli più grandi che non le loro rispettive femmine; perchè i
dilettanti non hanno scelto un sesso piuttosto che un altro e non hanno
desiderato che questi caratteri fossero più pienamente sviluppati nel
maschio che non nella femmina, tuttavia questo è il caso nelle due
razze.
Lo stesso processo sarebbe
seguìto, e le stesse difficoltà si sarebbero incontrate, qualora
si fosse desiderato fare una razza in cui le femmine sole avessero un qualche
nuovo colore.
Infine, il nostro dilettante potrebbe desiderare
di fare una razza in cui i due sessi differissero fra loro ed entrambi dalle
specie originarie. Qui la difficoltà sarebbe somma, a meno che le
successive variazioni fossero state dapprima sessualmente limitate dal due
lati, e allora non vi sarebbe difficoltà alcuna. Vediamo questo nel
pollame; così i due sessi delle galline macchiettate di Amburgo
differiscono grandemente fra loro, e dai due sessi dell’originario Gallus
bankiva; ed entrambi sono ora tenute costanti al loro alto livello di
bontà mercè una continua scelta, che sarebbe stata impossibile, a
meno che i caratteri distintivi di entrambi fossero limitati nella loro
trasmissione. I polli di Spagna presentano un caso ancor più curioso; il
maschio ha una cresta immensa, ma alcune delle variazioni successive, per
l’accumulamento delle quali venne acquistata, sembrano essere state trasmesse
alla femmina, perchè essa ha una cresta molte volte più grande
che non quella delle femmine delle specie originarie. Ma la cresta della femmina
differisce da quella del maschio per un riguardo, perchè può
essere suscettiva di troncarsi, ed in un periodo recente è divenuto di
moda che questo sia sempre il caso, e la riuscita ha tenuto dietro
immediatamente al desiderio. Ora il troncarsi della cresta deve essere limitato
sessualmente alla sua trasmissione, altrimenti impedirebbe alla cresta del
maschio di essere perfettamente diritta, ciò che sarebbe orribile per
ogni dilettante. D’altra parte la dirittezza della cresta del maschio deve
essere parimente un carattere limitato sessualmente, altrimenti porrebbe
ostacolo a ciò che la cresta della femmina fosse troncata.
Dai fatti sopra menzionati vediamo che
anche un tempo quasi illimitato disponibile, sarebbe un processo sommamente
difficile e complesso, sebbene forse non impossibile, di mutare, mercè
la scelta, una forma di trasmissione nell’altra, Perciò senza una
distinta evidenza in ogni caso, io non posso ammettere che questo sia stato
sovente compiuto nelle specie naturali. D’altra parte mercè successive
variazioni, che furono dapprima assolutamente limitate nella loro trasmissione,
non vi sarebbe la benchè minima difficoltà a rendere un uccello
maschio grandemente differente nel colore o in qualunque altro carattere della
femmina; l’ultima rimanendo senza alterazioni o lievemente alterata, o
specialmente modificata per scopo di protezione.
Siccome i colori brillanti sono utili
ai maschi nella loro rivalità con altri maschi, tali colori sarebbero
scelti, fossero o no trasmessi esclusivamente allo stesso sesso. In conseguenza
si può aspettare di vedere le femmine partecipare sovente della
splendidezza dei maschi in un grado più o meno grande; e questo segue
con un gran numero, di specie. Se tutte le successive variazioni fossero
trasmesse egualmente ai due sessi, non si distinguerebbero dai maschi; e questo
parimente segue in molti uccelli. Tuttavia se i colori smorti durante
l’incubazione fossero di grande importanza per la salvezza della femmina, come
in molti uccelli terragnoli, le femmine che avessero variato in splendidezza, o
che avessero ricevuto, mercè l’eredità dei maschi qualche
accrescimento distinto di vistosità, si sarebbero presto o tardi
distrutte. Ma la tendenza nei maschi a continuare a trasmettere per un periodo
indefinito alla loro prole femminina la propria bellezza di colori sarebbe
stata eliminata da un mutamento nella forma di eredità; e questa, come
abbiamo dimostrato con precedenti illustrazioni, sarebbe stata sommamente
difficile. Il risultato più probabile della distruzione lungamente
continuata delle femmine dai colori più brillanti, supponendo che
prevalesse la forma eguale di trasmissione, sarebbe stata la perdita o la
distruzione dei colori brillanti dei maschi, in conseguenza del loro continuo
incrociamento con femmine dai colori smorti. Sarebbe poco dilettevole tener
dietro a tutti gli altri possibili risultati; ma io posso ricordare al lettore
ciò che è dimostrato nell’ottavo capitolo, che se le variazioni
nel colore sessualmente limitate avessero avuto luogo nelle femmine, anche se
non fossero state per nulla nocevoli ad esse ed in conseguenza non fossero
state eliminate, tuttavia non sarebbero state favorite o scelte, perchè
il maschio accetta usualmente qualunque femmina, e non sceglie gli individui
più attraenti; quindi queste variazioni andrebbero soggette a perdersi
ed avrebbero poca azione sul carattere della razza; e questo aiuterà a
spiegare perchè le femmine siano comunemente meno brillantemente
colorite, che non i maschi.
Nel capitolo a cui mi sono riferito
testè, sono stati dati esempi e se ne potrebbero aggiungere in numero
infinito, di variazioni occorrenti in età differenti, ed ereditate alla
stessa età. Si dimostrava pure che le variazioni le quali seguono tardi
nella vita sono comunemente trasmesse allo stesso sesso in cui sono dapprima
comparse; mentre le variazioni seguite di buon’ora nella vita sono atte a
venire trasmesse ai due sessi; non già che tutti i casi di trasmissione
sessualmente limitata possano venire in tal modo spiegati. Fu inoltre
dimostrato che se un uccello maschio avesse variato col divenire più
brillante mentre era giovane, cosiffatte variazioni non sarebbero state di
nessun utile fino all’età della riproduzione, e quando fosse intervenuta
rivalità fra i maschi. Ma nel caso di uccelli che vivono sul terreno e
che comunemente traggono protezione dai colori smorti, le tinte brillanti
sarebbero state molto più pericolose ai giovani ed inesperti che non ai
maschi adulti. In conseguenza i maschi che variavano in brillantezza mentre
erano giovani dovevano andar molto soggetti alla distruzione ed essere
eliminati per opera della scelta naturale; d’altra parte i maschi che variavano
in questo modo quando erano quasi adulti, malgrado che fossero esposti a
qualche maggiore pericolo, potevano sopravvivere, e per essere favoriti
mercè la scelta sessuale, avrebbero procreato la loro specie. Il fatto
che i maschi giovani brillantemente coloriti erano distrutti e gli adulti erano
fortunati nel loro corteggiamento, può riferirsi al principio di
una relazione esistente fra il periodo di variazione e la forma di
trasmissione, avendo i maschi soli di molti uccelli acquistato e trasmesso
colori brillanti alla loro prole maschile soltanto. Ma non asserisco per nulla
che l’azione dell’età nella forma di trasmissione sia indirettamente
l’unica causa della grande differenza nella brillantezza fra i sessi di molti
uccelli.
Siccome in tutti gli uccelli in cui i
sessi differiscono nel colore è una questione interessante sapere se i
maschi soli sono stati modificati mercè la scelta sessuale, rimanendo le
femmine, per tutto ciò che riguarda quest’azione, immutate o solo
parzialmente mutate; o se le femmine siano state modificate specialmente
mercè la scelta naturale per lo scopo di protezione, io tratterò
questo argomento con una certa estensione, anche maggiore di quello che non
meriti la sua intrinseca importanza, perchè vari curiosi punti
collaterali possono così venire convenientemente considerati.
Prima di entrare nell’argomento del
colore, più specialmente in rapporto alle conclusioni del signor
Wallace, può essere utile trattare da un simile punto di vista alcune
altre differenze fra i sessi. Una razza di polli esisteva anticamente in
Germania nella quale le galline erano fornite di sproni; covavano benissimo, ma
disturbavano cosiffattamente i nidi coi loro sproni che non si lasciarono
più covare le loro uova. Quindi mi parve probabile a prima vista che
nelle femmine dei Gallinacei selvatici lo sviluppo degli sproni sia stato
arrestato per opera della scelta naturale pel danno che cagionavano ai nidi.
Ciò pareva tanto più probabile in quanto che gli sproni delle
ali, che non sembrano portar danno durante la nidificazione, sono sovente tanto
bene sviluppati nella femmina quanto nel maschio; sebbene in non pochi casi siano
alquanto più grandi nel maschio. Quando il maschio presenta sproni alle
gambe, anche nella femmina si osservano rudimenti di essi; talvolta il
rudimento non è che una semplice scaglia, come nelle specie del Gallus.
Perciò si può arguire che le femmine erano originariamente
fornite di sproni bene sviluppati, ma che questi erano andati in seguito
perdendosi sia per la mancanza di esercizio o per scelta naturale. Ma se questo
modo di vedere fosse ammesso, si sarebbe esteso ad un numero grandissimo di
altri casi; e ciò implicherebbe che i progenitori femminili delle specie
esistenti fornite di sproni fossero un tempo impacciati con un’appendice
nocevole.
In alcuni pochi generi e poche specie,
come nel Galloperdix, nell’Acomus e nel Pavone di Giava (Pavo muticus), le
femmine, come pure i maschi, posseggono sproni bene sviluppati. Dobbiamo noi da
questo fatto dedurre che essi costruiscano una sorta di nido che non possa
venir danneggiato dai loro sproni, diverso da quello fatto dai loro più
prossimi affini, cosicchè non vi sia stato bisogno di distruggere i loro
sproni? Oppure dobbiamo noi supporre che queste femmine richiedano specialmente
sproni per difendersi? È una conclusione più probabile quella che
tanto la presenza quanto l’assenza degli sproni nelle femmine derivi dalle
differenti leggi di eredità che ebbero prevalenza, indipendentemente
dalla scelta naturale. Nelle tante femmine in cui gli sproni appaiono come
rudimenti, noi possiamo concludere che alcune poche delle successive
variazioni, mercè le quali essi si svilupparono nei maschi, ebbero luogo
di buon’ora nella vita, e vennero di conseguenza trasmesse alle femmine. Negli
altri casi, molto più rari, in cui le femmine posseggono sproni
pienamente sviluppati, possiamo concludere che tutte le successive variazioni
furono loro trasmesse: e che esse gradatamente acquistarono l’abito ereditario
di non disturbare i loro nidi.
Gli organi vocali e le penne variamente
modificate onde produrre suono, come pure gli istinti acconci per farne uso,
differiscono sovente nei due sessi, ma sono talora gli stessi in entrambi.
Queste differenze possono esse venire attribuite a ciò che i maschi
hanno acquistato questi organi e questi istinti, mentre le femmine sono state
impedite dall’acquistarli, in ragione del pericolo a cui sarebbero state
esposte attirando l’attenzione degli uccelli rapaci e delle fiere? Questo non
mi sembra probabile, quando penso alla moltitudine di uccelli che rallegrano
impunemente il paese coi loro canti in primavera. È una conclusione
più ragionevole quella che, siccome gli organi vocali e strumentali sono
di speciale servigio solo ai maschi durante il corteggiamento, questi organi
siansi sviluppati mercè la scelta sessuale e pel continuato esercizio in
questo sesso solo – e le successive variazioni e gli effetti dell’esercizio
siano state fino dal principio limitate nella loro trasmissione in un grado
maggiore o minore alla prole maschile.
Si possono riferire molti casi
analoghi; per esempio le penne del capo, che sono generalmente più
lunghe nel maschio che non nella femmina, talora di eguale lunghezza nei due
sessi, ed occasionalmente assenti nella femmina, – questi differenti casi
talora presentandosi nello stesso scompartimento di uccelli. Sarebbe difficile
spiegare una differenza di questa sorta fra i sessi col principio che la
femmina avendo avuto il beneficio di possedere una cresta lievemente più
breve del maschio, e la sua susseguente diminuzione o compiuta soppressione per
opera della scelta naturale. Ma prenderò un caso più favorevole,
cioè la lunghezza della coda. Il lungo strascico del pavone sarebbe
stato non solo un inconveniente ma anche un pericolo per la pavonessa durante
il periodo della incubazione e quando allevava i piccoli. Quindi non v’ha la
menoma improbabilità a priori a ciò che lo sviluppo della
sua coda sia stato impedito dall’opera della scelta naturale. Ma le femmine di
vari fagiani, che da quanto pare sono esposte nei loro nidi aperti agli stessi
pericoli della pavonessa, sono munite di code di lunghezza notevole. Le femmine
come i maschi della Menura superba hanno lunghi strascichi, e fabbricano
un nido a cupola, che per un uccello così grande è una anomalia.
I naturalisti hanno pensato molto al modo in cui può tenere la coda la
femmina della Menura durante l’incubazione; ma ora si sa che “entra col capo
prima, e poi gira intorno alla coda talvolta ripiegata sul dorso, ma più
spesso piegata intorno al suo fianco. Così col tempo la coda diviene
tutta storta, e dà una regola abbastanza giusta intorno al tempo in cui
l’uccello è stato covando”. I due sessi di un Martin pescatore di
Australia (Tanysiptera sylvia) hanno le penne di mezzo della coda
grandemente allungate; e siccome la femmina fa il suo nido in un buco, queste
penne divengono, come m’informa il signor R. B. Sharpe, molto rattratte durante
la nidificazione.
In questi due casi la grande lunghezza
delle penne della coda deve essere in qualche grado incomoda per la femmina; e
siccome nelle due specie le penne della coda della femmina sono in certo modo
più corte di quelle del maschio, si può arguire che il loro pieno
sviluppo sia stato impedito per opera della scelta naturale. Giudicando da
questi casi, se nella pavonessa lo sviluppo della coda è stato impedito
solo quando è divenuto sconvenientemente o pericolosamente lunga, essa
avrebbe acquistato una coda molto più lunga che non quella che possiede
attualmente; perchè la sua coda non è quasi tanto lunga,
relativamente alla mole del corpo, quanto quella di molte femmine di fagiani,
nè più lunga che non quella della femmina del tacchino. Bisogna
anche tenere bene in mente che, secondo questo modo di vedere, appena la coda
della pavonessa divenne pericolosamente lunga, ed il suo sviluppo fu in
conseguenza arrestato, essa avrebbe continuamente reagito sulla sua prole
maschile, e così avrebbe messo ostacolo a ciò che il pavone
acquistasse il suo magnifico strascico attuale. Noi possiamo quindi dedurre che
la lunghezza della coda nel pavone e la sua brevità nella pavonessa sono
l’effetto delle variazioni requisite nel maschio che sono state dapprima
trasmesse alla prole maschile sola.
Veniamo ad una conclusione quasi
somigliante rispetto alla lunghezza della coda di varie specie di fagiani. Nel
fagiano orecchiuto (Crossoptilon auritum) la coda è di uguale
lunghezza nei due sessi, cioè misura da quarantuno a quarantaquattro
centimetri; nel fagiano comune è lunga nel maschio quasi cinquantadue
centimetri, e trentun centimetri nella femmina; e finalmente nel fagiano di
Reeve è talora effettivamente lunga un metro e ottantasette centimetri
nel maschio e quarantuno nella femmina. Così nelle varie specie la coda
della femmina differisce molto nella lunghezza, senza corrispondenza con quella
del maschio; e questo può essere attribuito, secondo il mio parere, con
molta probabilità, alle leggi di eredità, – vale a dire a
ciò che le successive variazioni sono state dapprima più o meno
limitate intimamente nella loro trasmissione al sesso maschile, – che non
all’azione della scelta naturale, in seguito a ciò che la lunghezza della
coda era nocevole in un grado più o meno grande alle femmine delle varie
specie.
Noi possiamo ora considerare gli
argomenti del sig. Wallace rispetto alla colorazione sessuale degli uccelli.
Egli crede che le tinte brillanti originariamente acquistate. mercè la
scelta sessuale, dai maschi sarebbero state trasmesse in tutti o in quasi tutti
i casi alle femmine, a meno che la scelta naturale non ne avesse arrestato la
trasmissione. Posso qui ricordare al lettore che vari fatti in appoggio di
questa opinione sono stati già riferiti rispetto ai rettili, agli
anfibi, ai pesci ed ai lepidotteri. Il signor Wallace fonda la sua credenza
principalmente, ma non esclusivamente, come vedremo in seguito nel prossimo
capitolo, sul seguente fatto, che quando i due sessi sono coloriti in modo molto
vistoso il nido è di una natura tale da nascondere l’uccello covante, ma
quando vi è uno spiccato contrasto di colore fra i sessi, il maschio
è di colore vivace e la femmina di colore smorto, il nido è
palese ed espone l’uccello covante in vista. Questa coincidenza, fin dove
giunge, sostiene certamente la credenza che le femmine che covano in nidi
aperti sono state modificate specialmente per scopo di protezione. Il signor
Wallace ammette che vi sono, come si poteva aspettare alcune eccezioni a queste
regole, ma non si può dire se le eccezioni non siano tanto numerose da
infirmarle seriamente.
Vi è in primo luogo molta
verità nella osservazione del duca d’Argyll che un grande nido a vôlta
è più in vista dei nemici, specialmente di tutti gli animali
carnivori che frequentano gli alberi, che non un nido aperto più
piccolo. Nè dobbiamo noi dimenticare che in molti uccelli che fabbricano
nidi aperti i maschi stanno sulle uova ed aiutano a cibare i giovani come le
femmine; questo è il caso, per esempio, nella Pyranga aestiva,
uno dei più splendidi uccelli degli Stati Uniti, il maschio della quale
è vermiglio e la femmina verde-bruniccio-chiaro. Ora se i colori
brillanti sono stati sommamente pericolosi per gli uccelli quando stavano
covando nei loro nidi aperti, i maschi in questi casi debbono avere molto
sofferto. Può tuttavia essere di tale importanza pel maschio avere
colori vistosi, onde vincere i suoi rivali, che questo dovrebbe essere un
compenso a qualunque nuovo pericolo.
Il signor Wallace ammette che nei Dicruri
(Dicrurus), nei Rigogoli e nelle Pittide le femmine hanno colori
appariscenti, e tuttavia costruiscono nidi aperti: ma insiste su ciò che
gli uccelli del primo gruppo sono sommamente battaglieri e si possono
difendere; che quelli del secondo gruppo mettono ogni cura per nascondere i
loro nidi aperti, ma questo non è invariabilmente il caso; e che negli
uccelli di terzo scompartimento le femmine sono fornite di colori brillanti
soprattutto nella superficie inferiore, Oltre a questi casi tutta la grande
famiglia dei piccioni, che sono talora brillantemente e quasi sempre
vistosamente coloriti, e che sono notoriamente soggetti alle aggressioni degli
uccelli di rapina, offre una seria eccezione alla regola, perchè i
piccioni quasi sempre fabbricano nidi aperti ed esposti. In un’altra grande
famiglia, quella degli uccelli mosca, tutte le specie costruiscono nidi aperti,
tuttavia in alcune delle specie più belle i sessi sono uguali; e nel
maggior numero dei casi le femmine, sebbene siano meno brillanti dei maschi,
sono colorite molto vistosamente. Nè si può asserire che tutte le
femmine degli uccelli mosca, che sono vivacemente colorite, sfuggono alla vista
perchè le loro tinte sono verdi, perchè alcune hanno le parti
superiori colorite di rosso, di turchino e di altri colori.
Rispetto agli uccelli che fabbricano
nidi nei buchi o li costruiscono a cupola, essi hanno altri vantaggi, come
osserva il signor Wallace, oltre a quello di potersi nascondere, essere
riparati dalla pioggia, avere maggior calore, e nei paesi molto caldi venir
protetti contro i raggi del sole; cosicchè non è una valida
obiezione al suo modo di vedere che molti uccelli, in cui i due sessi sono di
colori oscuri, fabbrichino nidi nascosti. Le femmine dei Buceros per
esempio, delle Indie e dell’Africa sono protette, durante la nidificazione, con
straordinaria cura, da ciò che il maschio mura il buco nel quale la
femmina sta covando le uova, e lascia solo un piccolo orifizio dal quale le
porge il cibo; essa rimane così strettamente prigioniera per tutto il
periodo dell’incubazione; tuttavia le femmine dei Buceros non sono più
brillantemente colorite di quello che non siano molti altri uccelli di eguale
mole che fabbricano nidi scoperti. Una obiezione più seria all’opinione
del signor Wallace, come l’ammette egli, è quella che in alcuni pochi
gruppi i maschi sono brillantemente coloriti e le femmine sono brune, e tuttavia
queste ultime depongono le uova in nidi a cupola. Questo è il caso nelle
Grallinae d’Australia, le Maluride dello stesso paese, le Netturinie e in
parecchie Mellifagide d’Australia.
Se osserviamo gli uccelli d’Inghilterra
vedremo che non v’ha stretta o generale relazione fra i colori della femmina e
la natura del nido che costruisce. Circa quaranta dei nostri uccelli inglesi
(eccettuato quelli di grossa mole che possono difendersi da loro stessi)
costruiscono nei buchi delle ripe, delle rocce, o degli alberi, o fabbricano
nidi a cupola. Se prendiamo i colori delle femmine del cardellino, del
ciuffolotto o del merlo, come misura del grado di vistosità, che non
è grandemente pericoloso per le femmine covanti, allora di questi
quaranta uccelli solo le femmine di dodici di essi possono essere considerate
come vistose in un grado pericoloso, mentre le altre ventotto non sono
appariscenti. Non v’ha neppure qui nessuna intima relazione fra una bene
distinta differenza di colore e la natura del nido costrutto. Così il maschio
della passera comune (Passer domesticus) differisce molto dalla femmina,
il maschio della passera mattugia (P. montanus) ne differisce appena, e
tuttavia entrambi costruiscono nidi nascosti. I due sessi del Boccalepre (Muscicapa
grisola) si possono appena distinguere, mentre i sessi della Balia nera (M.
luctuosa) differiscono notevolmente, ed entrambi fabbricano nelle buche. La
femmina del merlo (Tardus merula) differisce molto; la femmina del merlo
col petto bianco (T. torquatus) differisce meno, e la femmina del tordo
bottaccio (T. musicus) appena al tutto dal rispettivo maschio; tuttavia
fabbricano tutte nidi scoperti. D’altra parte il merlo acquaiolo (Cinclus
aquaticus), abbastanza loro affine, fabbrica un nido a cupola, e i sessi
differiscono quasi tanto quanto nel caso del merlo dal petto bianco. Il fagiano
di monte, (Tetrao tetrix) ed il T. Scoticus fabbricano nidi
scoperti, in luoghi parimente bene nascosti; ma in una delle specie i
sessi differiscono grandemente, e nell’altra pochissimo.
Malgrado le precedenti obiezioni, io
non posso dubitare, dopo aver letto lo scritto eccellente del signor Wallace,
che osservando gli uccelli del mondo, si vede che una grande maggioranza di
specie in cui le femmine hanno colori brillanti (e in questo caso i maschi, meno
alcune rare eccezioni, sono del pari vistosi) fabbricano nidi nascosti per lo
scopo di protezione. Il signor Wallace enumera una lunga serie di gruppi in cui
questa regola prevale; ma basterà qui addurre come esempi i gruppi
più familiari dei martin pescatori, dei tucani, dei troconi, dei
capitonidi, delle musofaghe, dei picchi e dei pappagalli. Il signor Wallace
crede che in questi scompartimenti, siccome i maschi hanno acquistato
graduatamente i loro colori brillanti per opera della scelta sessuale, questi
colori furono trasmessi alle femmine e non furono eliminati dalla scelta
naturale, perchè godevano già della protezione dovuta al loro
modo di nidificazione. Secondo questo concetto, il loro modo presente di
nidificare fu acquistato prima dei loro presenti colori. Ma sembra a me molto
più probabile che nella maggior parte dei casi, siccome le femmine
vennero graduatamente facendosi sempre più brillanti partecipando dei
colori del maschio, esse vennero pure graduatamente mutando i loro istinti
(supponendo che dapprima avessero costrutto nidi scoperti), e onde cercar
protezione fabbricarono nidi nascosti o a cupola. Chiunque studi, per esempio,
la relazione di Audubon intorno alle differenze fra i nidi della stessa specie
nel nord e nel sud degli Stati Uniti, non avrà grande difficoltà
ad ammettere che gli uccelli, sia per un mutamento (nel senso più
stretto del vocabolo) nei loro costumi, o mercè la scelta naturale delle
cosidette variazioni spontanee dell’istinto, abbia potuto essere prontamente
indotto a modificare il suo modo di nidificazione.
Questo modo di considerare la
relazione, fin dove può essere sostenuto, fra i colori brillanti delle
femmine degli uccelli e il loro modo di nidificare, riceve un certo appoggio da
alcuni casi analoghi che seguono nel deserto di Sahara. Colà, come in
moltissimi altri deserti, vari uccelli, e molti altri animali, hanno avuto i
loro colori armonizzati meravigliosamente colle tinte della superficie
circostante. Nondimeno vi sono, come m’informa il rev. sig. Tristram, alcune
curiose eccezioni a questa regola; così il maschio della Monticola
cyanea è vistoso pel suo colore azzurro-brillante, e la femmina
è quasi parimente vistosa pel suo piumaggio bruno screziato di bianco; i
due sessi delle due specie di Dromolaea sono di un nero lucido, cosichè
questi tre uccelli non ricevono per nulla protezione dai loro colori, tuttavia
essi possono scampare, avendo acquistato l’abito, quando sono in pericolo, di
rifugiarsi nelle buche o nei crepacci delle rocce.
Rispetto ai gruppi di uccelli
specificati sopra, in cui le femmine sono colorite vistosamente e fabbricano
nidi nascosti, non è necessario supporre che ogni specie separate abbia
avuto i suoi istinti nidificatori specialmente modificati, ma solo che i
progenitori primieri d’ogni gruppo siano stati indotti graduatamente a
fabbricare nidi nascosti o a cupola; ed in seguito abbiano trasmesso questo
istinto, unitamente ai loro brillanti colori, ai loro discendenti modificati.
Questa conclusione, per quanto possa esser degna di fede, è
interessante, cioè, che la scelta sessuale, unitamente ad una eguale, o
quasi uguale eredità nei due sessi, abbia indirettamente fermato il modo
di nidificazione di interi gruppi di uccelli.
Anche nei gruppi in cui, secondo il
signor Wallace, le femmine essendo protette durante la nidificazione non hanno
avuto eliminati i loro brillanti colori per opera della scelta naturale, i
maschi sovente differiscono in un lieve ed occasionalmente in un grado notevole
dalle femmine. È questo un fatto significante, perchè cosiffatte
differenze nel colore devono essere attribuite al principio che nei maschi
alcune variazioni sono state dapprima limitate al medesimo sesso; come non si
può guari asserire che queste differenze, specialmente quando sono lievissime,
servano come una protezione per le femmine. Così tutte le specie dello
splendido gruppo dei trogoni costruiscono in buche; ed il signor Gould
dà figure dei due sessi di venticinque specie, di cui tutte, meno
un’eccezione parziale, hanno i sessi differenti talora poco talora moltissimo
nel colore, e mentre i maschi sono sempre più belli che non le femmine,
sebbene queste ultime siano pure belle. Tutte le specie di martin pescatori
nidificano in buche, e nella maggior parte delle specie i due sessi sono parimenti
splendidi; e fin qui la regola del signor Wallace ha ragione; ma in alcune
specie di Australia i colori delle femmine sono piuttosto meno vivaci che non
quelli dei maschi; ed in una specie splendidamente colorita, i sessi
differiscono tanto che furono dapprima creduti specificamente distinti. Il
signor R. B. Sharpe, che ha specialmente studiato questo gruppo, mi ha mostrato
alcune specie americane (Ceryle) in cui il petto del maschio è cinto di
nero. Di nuovo, nel Carcineutes, la differenza fra i sessi è cospicua;
nel maschio la superficie superiore è turchino-scuro rigata di nero, la
superficie inferiore è in parte colorita di fulvo, con molto rosso
intorno al capo; nella femmina la superficie superiore è rosso-bruna
rigata di nero, e la superficie inferiore è bianca con macchie nere.
È un fatto interessante, perchè dimostra come lo stesso stile
particolare di coloramento sessuale caratterizzi sovente forme affini,
perchè in tre specie di Dacelo il maschio differisce dalla femmina solo
in ciò che la coda è azzurro-scuro con strisce nere, mentre la
femmina è bruna con fasce nericce; cosicchè qui la coda
differisce nel colore nei due sessi precisamente nello stesso modo come tutta
la superficie superiore dei sessi del Carcineutes.
Nei pappagalli, che fabbricano parimente
entro buche, troviamo casi analoghi; nella maggior parte delle specie i due
sessi hanno colori brillanti e non si possono distinguere, ma in un numero non
piccolo di specie i maschi hanno colori più vivaci che non le femmine, o
anche sono coloriti molto diversamente da esse. Così, oltre a certe
differenze fortemente spiccate, tutta la superficie interiore dello Aprosmictus
scapulatus maschio è scarlatta, mentre la gola ed il petto della
femmina sono verdi tinte di rosso; nella Euphema Splendida vi è
una differenza consimile, la faccia e le cuopritrici sono inoltre di un
turchino più pallido che non nel maschio. Nella famiglia delle Cincie (Parinae)
che fabbricano nidi nascosti, la femmina della nostra cinciarella (Parus
caerulus) è “molto meno brillantemente colorita” che non il maschio;
e nella magnifica cincia Sultano giallo dell’India la differenza è
ancora maggiore.
Parimente nel grande gruppo dei picchi
i sessi sono generalmente quasi consimili, ma nel Megapicus validus tutte
quelle parti del capo, del collo e del petto, che sono cremisine nel maschio,
sono bruno-pallide nella femmina. Siccome in parecchi picchi il capo del
maschio è cremisino-brillante, mentre quello della femmina è
smorto, mi venne in mente che questo colore avrebbe potuto forse rendere la
femmina pericolosamente vistosa, ogniqualvolta avesse sporto il capo dal buco
ove stava il suo nido, e che in conseguenza, secondo il modo di vedere del
signor Wallace, questo colore fosse stato eliminato riguardo allo Indopicus
carlotta, cioè che le femmine giovani, come i giovani maschi, hanno
un po’ di cremisino sul capo, ma che questo colore scompare nella femmina
adulta, mentre divien più intenso nel maschio adulto. Nondimeno le
considerazioni seguenti rendono questo modo di vedere dubbiosissimo; il maschio
prende molta parte alla incubazione, e quindi sarebbe quasi ugualmente esposto
al pericolo; in molte specie ambo i sessi hanno il capo di un colore cremisino
egualmente brillante; in altre specie la differenza tra i sessi nella somma del
colore scarlatto è così lieve che non potrebbe fare una
differenza apprezzabile del caso di pericolo; ed infine il coloramento del capo
nei due sessi sovente differisce lievemente per altri riguardi.
I casi finora riferiti di lievi e
graduate differenze nel colore tra i maschi e le femmine nei gruppi in cui,
come una regola generale, i sessi si rassomigliano fra loro, hanno tutti
relazione a specie che fabbricano nidi a cupola o nascosti. Ma consimili
graduazioni possono parimente essere osservate nei gruppi in cui i sessi si
rassomigliano come regola generale, ma che costruiscono nidi scoperti. Siccome
ho dato sopra come esempio i pappagalli d’Australia, così posso qui dare
come esempio, senza riferire alcun particolare, i piccioni di Australia. Merita
speciale menzione ciò che in tutti questi casi le lievi differenze nel
piumaggio fra i sessi sono della stessa natura generale come le maggiori
differenze che hanno luogo occasionalmente. Una buona illustrazione di questo fatto
è già stata prodotta da quei martin pescatori in cui la coda sola
o tutta la superficie superiore del piumaggio differiscono nei due sessi allo
stesso modo. Fatti consimili si possono osservare nei pappagalli e nei
piccioni. Le differenze nel colore tra i sessi della stessa specie sono pure
della medesima natura generale, come le differenze nel colore tra le specie
distinte dello stesso gruppo. Perchè quando in un gruppo in cui i sessi
sono per solito simili il maschio differisce notevolmente dalla femmina, egli
non è colorito in uno stile al tutto nuovo. Quindi possiamo dedurre che
nello stesso gruppo i colori speciali dei due sessi quando sono simili, ed i
colori del maschio quando differiscono lievemente o anche notevolmente dalla
femmina, sono stati in molti casi determinati dalla stessa causa generale; e
questa è la scelta sessuale.
Non è probabile, come abbiamo
già osservato, che le differenze nel colore fra i sessi, quando sono
lievissime, possano essere in alcun modo utili alla femmina come protezione. Ammettendo
tuttavia che abbiano un qualche vantaggio, si può supporre che siano
casi di transizione; ma non abbiamo ragione per credere che molte specie stiano
in un tempo qualunque operando un mutamento. Perciò non possiamo guari
ammettere che le numerose femmine, le quali differiscono lievissimamente nel
colore dai maschi stiano tutte ora cominciando a divenire oscure per lo scopo
di protezione. Anche se noi consideriamo alcune differenze sessuali in certo
modo più spiccate, è egli probabile, per esempio, che la testa
della femmina del fringuello, il color cremisino del petto della femmina
del ciuffolotto, il verde della femmina del verdone, la cresta della femmina
del fiorrancino, sieno tutte divenute un po’ meno brillanti mercè un
lento processo di scelta per scopo di protezione? Io non posso crederlo; e meno
ancora per le lievi differenze fra i sessi di quegli uccelli che costruiscono
nidi nascosti. D’altra parte le differenze nel colore fra i sessi, siano esse
grandi o piccole, possono venire ampiamente spiegate col principio delle
successive variazioni, acquistate dai maschi mercè la scelta sessuale,
che sono state dapprima più o meno limitate nella loro trasmissione alle
femmine. Non sorprenderà alcuno il quale abbia studiato le leggi di
eredità che il grado di limitazione differisca nelle differenti specie
dello stesso gruppo, perchè quelle leggi sono così complesse che
ci appaiono nella loro ignoranza siccome capricciose nella loro azione.
Per quanto io abbia potuto vedere, vi
sono pochissimi gruppi di uccelli contenenti un numero notevole di specie, in
cui tutti abbiano i due sessi brillantemente coloriti e somigliantemente; ma
questo sembra essere il caso, come ho udito dal sig. Selater, per le
Musophagae. E non credo neppure che esista nessun grande gruppo in cui i sessi
di tutte le specie siano molto dissimili nel colore. Il sig. Wallace m’informa
che le Cotinghe del Sud America (Cotingidae) offrono uno dei migliori
esempi; ma in alcuna delle specie in cui il maschio ha il petto di colore rosso
splendido, la femmina mostra sul petto un po’ di rosso; e le femmine delle
altre specie hanno tracce di verde e di altri colori che appartengono ai
maschi. Nondimeno abbiamo una certa approssimazione ad una intima
rassomiglianza o dissomiglianza sessuale in parecchi gruppi; e questo, secondo
quello che abbiamo testè detto della natura incerta dell’eredità,
è una circostanza in certo modo sorprendente. Ma che le stesse leggi
prevalgano ampiamente con animali affini non deve recar sorpresa. Il pollame
domestico ha prodotto un gran numero di razze e sottorazze, ed in queste i
sessi generalmente differiscono nel piumaggio; cosicchè è stato
considerato come una circostanza notevole il fatto che certe sottorazze si
rassomigliano fra loro. D’altra parte il piccione domestico ha parimente
prodotto un vasto numero di razze distinte e di sottorazze, ed in queste, meno
qualche rara eccezione, i due sessi sono identicamente simili. Perciò se
si addomesticassero e si variassero altre specie di galli e di colombi, non sarebbe
ardimento il predire che le stesse regole generali di rassomiglianza e
dissomiglianza sessuale, dipendenti dalla forma di trasmissione, avrebbero, nei
due casi, sempre effetto. In un modo consimile la medesima forma di
trasmissione ha prevalso in generale per tutti gli stessi gruppi naturali;
quantunque possano osservarsi distinte eccezioni a questa regola. Nella stessa
famiglia o anche nello stesso genere, i sessi possono essere identicamente
simili o anche molto differenti nel colore. Sono già stati dati esempi
che hanno relazione collo stesso genere, come nei passeri, nei pigliamosche,
nei tordi e nei tetraoni. Nella famiglia dei fagiani i maschi e le femmine di
quasi tutte le specie sono sommamente dissimili, ma sono al tutto simili nel
fagiano orecchiuto o Crossoptilon auritum. Nelle due specie di
Chloephaga, genere di oche, i maschi non si possono distinguere dalle femmine,
tranne per la mole; mentre in due altre i sessi sono tanto dissimili, che si
possono facilmente prendere in isbaglio come specie distinte.
Le leggi di eredità possono solo
dar ragione dei seguenti casi, in cui le femmine acquistando in un tardo
periodo di vita certi caratteri propri al maschio, vengono infine a
rassomigliare ad esso in un modo più o meno compiuto. Qui la protezione
non può guari essere venuta in giuoco. Il signor Blyth m’informa che le
femmine dell’Oriolus melanoncephalus ed alcune altre specie affini,
quando sono abbastanza adulte per riprodursi, differiscono notevolmente nel
piumaggio dai maschi adulti; ma dopo la seconda o la terza muta differiscono
solo in ciò che hanno il becco con una lieve tinta verdiccia. Nelle
Ardette (Ardetta), secondo la medesima autorità, “il maschio acquista la
sua ultima livrea alla prima muta, e la femmina non prima della terza o quarta
muta: intanto essa presenta un abito intermedio, che si cambia poi alla fine
colla stessa livrea come quella del maschio”. Così pure la femmina del Falco
peregrinus acquista il suo piumaggio turchino più lentamente che non
il maschio. Il signor Swinboe asserisce che in un Drongo (Dicrurus
macrocercus) il maschio quando sta covando muta il suo morbido piumaggio
bruno e diviene di una uniforme tinta lucida-verde-nera: ma la femmina conserva
per un tempo lungo le strie bianche e le macchie sulle ascellari: e non assume
compiutamente il colore nero uniforme del maschio pei primi tre anni. Lo stesso
eccellente osservatore nota che nella primavera del secondo anno la femmina
della Spatola (Platalea) della Cina rassomiglia al maschio del primo anno, e
che da quanto pare non è se non nella terza primavera che
acquista lo stesso piumaggio adulto come quello posseduto dal maschio in
un’età più fresca. La femmina della Bombycilla carolinensis differisce
pochissimo dal maschio, ma le appendici che come tante perle di ceralacca
adornano le penne delle ali non si sviluppano in essa tanto presto quanto nel
maschio. La mandibola superiore nel maschio di un parrocchetto Indiano (Palaeornis
Javanicus) è rosso-corallo fino dalla prima età, ma nella
femmina, come ha osservato il signor Blyth in uccelli in gabbia e liberi,
è dapprima nera, in cui i sessi si rassomigliano fra loro per tutti i
rispetti. I due sessi del tacchino selvatico sono infine muniti di un ciuffo di
piume setolose sul petto, ma in uccelli di due anni di età il ciuffo
è lungo quasi dieci centimetri nel maschio, e nella femmina è
appena apparente; quando però quest’ultima ha raggiunto il quarto anno
di età il suo ciuffo è lungo da
In questi casi le femmine seguono un
corso normale di sviluppo divenendo infine simili ai maschi; e questi casi non
si debbono confondere con quelli in cui femmine malate o vecchie assumono
caratteri mascolini, o con quelli in cui femmine perfettamente feconde, quando
sono giovani acquistano per opera della variazione o per qualche causa ignota i
caratteri del maschio. Ma tutti questi casi hanno tanto di comune, che
dipendono, secondo l’ipotesi della pangenesi, da ciò che le gemmule
derivate da ogni parte del maschio sono presenti, sebbene latenti, nella
femmina; il loro sviluppo avendo luogo in qualche lieve mutamento nelle
affinità elettive dei loro tessuti costituenti.
Fa d’uopo aggiungere alcune parole
intorno ai mutamenti di piumaggio in rapporto colla stagione dell’anno. Per le
ragioni sopra assegnate non vi può essere gran dubbio che le piume
eleganti, le penne lunghe pendenti, le creste, ecc. delle sgarze, degli aironi
e di molti altri uccelli, che sono sviluppate e conservate solo durante
l’estate, servono esclusivamente per scopo di ornamento e per le nozze, sebbene
comuni nei due sessi. La femmina diviene così più vistosa durante
il periodo d’incubazione che non dell’inverno; ma uccelli come gli aironi e le
sgarze possono difendersi da se stessi. Siccome però le piume potrebbero
essere incomode e certamente di nessuna utilità durante l’inverno,
è possibile che l’abito di mutare le penne due volte all’anno possa
essere stato graduatamente acquistato mercè l’opera della scelta
naturale per deporre gli ornamenti incomodi durante l’inverno. Ma questo modo
di vedere non può venire esteso ai tanti uccelli di passo in cui il
piumaggio d’estate e d’inverno differisce pochissimo nel colore. Nelle specie
senza difesa, in cui i due sessi o i maschi soli divengono sommamente vistosi
durante la stagione delle nozze, – o quando i maschi acquistano in questa
stagione così lunghe penne delle ali e della coda da impacciar loro il
volo, come nel Cosmetornis e nella Vidua, – sembra certamente dapprima
probabilissimo che la seconda muta sia stata acquistata per lo scopo speciale
di spogliarsi di questi ornamenti. Dobbiamo però ricordare che molti
uccelli, come gli uccelli di paradiso, il fagiano Argo ed il pavone, non
lasciano le piume durante l’inverno; e non si può guari asserire che
siavi qualche cosa nella costituzione di questi uccelli, almeno dei Gallinacei,
che renda impossibile una doppia muta, perchè la pernice di montagna
muta tre volte nell’anno. Quindi dobbiamo considerare siccome cosa dubbia se le
tante specie che mutano le loro piume d’ornamento o perdono i loro colori
vivaci nell’inverno abbiano acquistato questo costume in ragione dell’impaccio
o del pericolo che sarebbe loro altrimenti derivato.
Io conchiudo per tanto che l’abito di
mutare le penne due volte l’anno fu nella maggior parte od in tutti i casi
acquistato dapprima per qualche scopo distinto, forse per acquistare un vestito
d’inverno più caldo; e che le variazioni nel piumaggio che hanno luogo
in estate furono accumulate per opera della scelta sessuale, e trasmesse alla
prole nella stessa stagione dell’anno. Cosiffatte variazioni vengono ereditate
sia dai due sessi o dai maschi soli, secondo la forma di eredità
prevalente. Ciò sembra più probabile che non che queste specie
abbiano in tutti i casi avuto originalmente una tendenza a conservare il loro
piumaggio ornamentale durante l’inverno, ma che furono salvate da ciò
mercè la scelta naturale, onde ovviare all’incomodo o al pericolo che ne
poteva derivare.
Io ho cercato di dimostrare in questo
capitolo che non vi è da prestar fede agli argomenti in favore
dell’opinione che le armi, i colori brillanti ed i vari ornamenti, siano ora
limitati ai maschi per causa della conversione, per opera della scelta
naturale, di una tendenza della uguale trasmissione dei caratteri ai due sessi
in una trasmissione al solo sesso mascolino. È parimente dubbio che i
colori di molti uccelli femmine siano dovuti alla conservazione, per scopo di
protezione, delle variazioni che furono dapprima limitate nella loro
trasmissione al sesso femminile. Ma sarà conveniente tralasciare
qualunque ulteriore discussione intorno a questo argomento finchè io
parli, nel seguente capitolo, delle differenze nel piumaggio fra i giovani ed i
vecchi.
UCCELLI, conclusione.
Piumaggio degli
uccelli non adulti in rapporto col carattere del piumaggio d’ambo i sessi
adulti – Sei classi di casi – Differenze sessuali fra i maschi
di specie strettamente affini o rappresentanti – La femmina che assume i
caratteri del maschio – Piumaggio dei giovani in relazione col piumaggio
estivo o invernale degli adulti – Intorno all’aumento di bellezza negli
Uccelli del Mondo – Colori protettori – Uccelli vistosamente
coloriti – Novità apprezzata – Sommario dei quattro
capitoli intorno agli Uccelli.
Noi dobbiamo ora considerare la
trasmissione dei caratteri come è limitata dall’età in rapporto
colla scelta sessuale. Non fa d’uopo qui di discutere la verità e
l’importanza del principio di eredità nelle età corrispondenti,
siccome molto è già stato detto intorno a questo argomento. Prima
di riferire le varie regole o classi di casi piuttosto complesse, in cui si
possono comprendere tutte le differenze nel piumaggio fra i giovani e gli
adulti, almeno per quello che mi è noto, sarà bene fare alcune
poche osservazioni preliminari.
In ogni sorta di animali, allorchè
i giovani differiscono nel colore dagli adulti ed i colori dei primi non sono,
per quanto possiamo vedere, di nessun utile speciale, essi possono essere in
generale attribuiti, come varie strutture embriologiche, all’avere i giovani
conservato il carattere di un primiero progenitore. Ma questo modo di vedere
può essere tenuto in conto di vero solo quando i giovani di parecchie
specie si rassomigliano intimamente fra loro, e rassomigliano del pari alle
altre specie adulte che appartengono allo stesso gruppo; perchè le
ultime sono le prove viventi che un cosiffatto stato di cose era anticamente
probabile. I giovani leoni ed i giovani puma sono segnati di lievi strisce o
file di macchie, e siccome in molte specie affini tanto i giovani che i vecchi
sono segnati allo stesso modo, nessun naturalista il quale creda nella graduata
evoluzione delle specie dubiterà che il progenitore del leone e del puma
fosse un animale a strisce, come i gattini dei gatti neri, che quando son
cresciuti non hanno strisce affatto. Molte specie di daini che quando sono
adulti non hanno macchie, mentre son giovani son coperti di macchie bianche,
come sono pure alcune poche specie, allo stato adulto. Così pure
ì giovani nell’intera famiglia dei suini (Suidae), ed in certi animali
piuttosto lontanamente affini, come il tapiro, sono segnati di lunghe fasce
longitudinali scure; ma qui abbiamo un carattere derivante da quanto pare da un
progenitore estinto, ed ora conservato dal solo giovane. In tutti questi casi
gli adulti mutano i loro colori coll’andar del tempo mentre i giovani sono
rimasti poco mutati, e questo è stato operato mercè il principio
di eredità nelle età corrispondenti.
Questo medesimo principio si applica a
molti uccelli che appartengono ai vari scompartimenti in cui i giovani si
rassomigliano intimamente fra loro e differiscono molto dai loro rispettivi
genitori adulti. I piccoli di quasi tutti i gallinacei, e di alcuni uccelli
distintamente affini, come gli struzzi, hanno strisce longitudinali
allorchè sono coperti di calugine; ma questo carattere retrocede ad uno
stato di cose tanto remoto che appena ce ne dobbiamo qui occupare. I giovani
del Becco in croce (Loxia) hanno dapprima il becco diritto come quello di altre
fringille, e nel loro piumaggio striato non ancora adulto rassomigliano alla
femmina adulta del Luì verde e del Lucarino, come pure i piccoli del
cardellino, del verdone, e di altre specie affini. I giovani di molte sorta di
zigoli (Emberiza) si rassomigliano fra loro, e rassomigliano parimente allo strillozzo
(E. miliaria) nello stato adulto. In quasi tutto il grande
scompartimento dei tordi giovani hanno il petto macchiettato – carattere che
è conservato da molte specie per tutta la vita, ma è al tutto
perduto da altre, come dal Turdus migratorius. Così pure in molti
tordi le penne del dorso sono goccettate precedentemente alla prima muta, e
questo carattere è conservato per tutta la vita nelle specie orientali.
I giovani di molte specie di averle (Lanius), di alcuni dicchi, e di un
piccione indiano (Chalcophaps Indicus) sono fasciati trasversalmente
sulla superficie inferiore, e certe specie affini, o generi, quando sono adulti
sono similmente segnati. In alcuni splendidi cuculi indiani intimamente affini
(Chrysococcyx), le specie quando sono adulte differiscono notevolmente fra loro
nel colore, ma i giovani. non si possono distinguere. I giovani di un’oca
indiana (Sarkidiornis melanonotus) rassomigliano moltissimo nel
piumaggio ad un genere affine, il genere Dendrocygna, quando è adulto.
Riferiremo in seguito fatti consimili rispetto a certi aironi. I giovani del
fagiano di monte (Tetrao tetrix) rassomigliano ai giovani come agli
adulti di certe altre specie, per esempio Teatro scoticus. Infine, come
ha bene notato il signor Blyth, il quale ha studiato ben addentro questo
argomento, le affinità naturali di molte specie son meglio dimostrate
nel loro piumaggio giovanile, e siccome le vere affinità di tutti gli
esseri organici dipendono dall’essere essi discesi da un progenitore comune,
questa osservazione conferma grandemente la credenza che il piumaggio giovanile
ci dimostra approssimativamente la primiera e antichissima condizione della
specie.
Quantunque molti uccelli giovani che
appartengono a vari ordini ci diano così un barlume del piumaggio dei
loro remoti progenitori, tuttavia vi sono molti altri uccelli, tanto di colori
smorti come di colori brillanti, in cui i giovani rassomigliano ai loro
genitori. In cosiffatte specie i giovani delle differenti specie non possono
rassomigliarsi fra loro più intimamente di quello che non somigliano fra
loro i genitori, e neppure possono presentare notevoli rassomiglianze con forme
affini nel loro stato adulto. Essi ci danno poca notizia del piumaggio dei loro
progenitori, tranne in ciò che quando i giovani ed i vecchi sono
coloriti nello stesso modo generale in tutto un intero gruppo di specie,
è probabile che i loro progenitori fossero coloriti similmente.
Possiamo ora considerare le classi di
casi o regole in cui le differenze e le rassomiglianze fra il piumaggio dei
giovani e degli adulti dei due sessi o di un sesso solo possono venire
raccolte. Cuvier fu il primo ad enunziare questa sorta di regole; ma col
progresso del sapere esse richiedono qualche modificazione ed amplificazione.
Io ho tentato di far ciò, per quanto mi fu concesso dalla somma
complessità dell’argomento, da informazioni ottenute da varie sorgenti;
ma sarebbe molto necessario che un ornitologo competente facesse un compiuto
lavoro intorno a questo soggetto. Onde riconoscere fino a qual punto questa
regola prevalga, io ho registrato i fatti riferiti in quattro grandi opere,
cioè quella di Macgillivray intorno agli uccelli dell’Inghilterra, di
Audubon intorno a quelli dell’America settentrionale, di Jerdon intorno a quelli
delle Indie, è di Gould intorno a quelli di Australia. Io
premetterò prima di tutto qui, che i vari casi o le regole vanno
guardandosi l’una nell’altra; ed in secondo luogo che quando si dice che i
giovani rassomigliano ai loro genitori, non si vuol dire che siano
identicamente simili, perchè i loro colori sono quasi sempre alquanto
meno vivaci, e le penne sono più morbide e sovente hanno una forma
diversa.
REGOLE O CLASSI
DI CASI.
I. Quando il maschio adulto è
più bello o più vistoso che non la femmina adulta, i piccoli dei
due sessi nel loro primo piumaggio rassomigliano strettamente alla femmina
adulta, come nel pollame comune e nel pavone; oppure, siccome segue
occasionalmente, essi rassomigliano a questa ultima molto più che non al
maschio adulto.
II. Quando la femmina adulta è
più vistosa che non il maschio adulto, come segue talvolta, sebbene di
rado, i giovani dei due sessi nel loro primo piumaggio rassomigliano al maschio
adulto.
III. Quando il maschio adulto
rassomiglia alla femmina adulta, i giovani dei due sessi hanno un primo
piumaggio loro particolare, come nel pettirosso.
IV. Quando il maschio adulto
rassomiglia alla femmina adulta, i piccoli dei due sessi nel loro primo
piumaggio rassomigliano agli adulti, come nel martin pescatore, in molti
pappagalli, corvi e forapaglie.
V. Quando gli adulti dei due sessi
hanno un piumaggio estivo ed invernale distinti, sia o no il maschio differente
dalla femmina, i giovani rassomigliano agli adulti dei due sessi in abito
invernale, o molto più raramente nel loro abito estivo, o rassomigliano
alla femmina sola; o i giovani possono avere un carattere intermedio; o
parimenti possono differire grandemente dagli adulti nei loro due piumaggi
stagionali.
VI. In alcuni pochi casi i giovani nel
loro primo piumaggio differiscono fra loro secondo il sesso; i giovani maschi
rassomigliano più o meno strettamente ai maschi adulti, e le femmine
giovani più o meno strettamente alle femmine adulte.
CLASSE I – In questa classe i giovani
dei due sessi rassomigliano più o meno strettamente alla femmina adulta,
mentre il maschio adulto sovente differisce nel modo più cospicuo dalla
femmina adulta. Si potrebbero riferire innumerevoli esempi in tutti gli ordini;
basterà richiamare alla mente il fagiano comune, l’anatra, e la passera
domestica. I casi in questa classe vanno graduandosi negli altri. Così i
due sessi quando sono adulti possono differire tanto lievemente, e i giovani
tanto poco dagli adulti, che è dubbio se questi casi possano essere
registrati nella classe presente, ovvero nella terza o quarta classe.
Così pure i giovani dei due sessi, invece di essere al tutto simili,
possono differire in un lieve grado l’uno dall’altro, come nella nostra classe
sesta. Tuttavia questi casi di transizione sono poco numerosi, o almeno non
sono fortemente pronunziati, in paragone di quelli che sono esclusivamente
compresi nella presente classe.
La forza di questa legge è bene
evidente in quei gruppi nei quali, come regola generale, i due sessi ed i
giovani sono tutti uguali; perchè quando il maschio in questi gruppi
differisce dalla femmina, come in certi pappagalli; martin-pescatori, piccioni,
ecc., i piccoli dei due sessi rassomigliano alla femmina adulta. Vediamo lo
stesso fatto dimostrato anche con maggiore evidenza in certi casi anomali;
così il maschio della Heliothrix auriculata (uno degli uccelli
mosca) differisce notevolmente dalla femmina per avere una splendida gorgiera e
bei ciuffi alle orecchie, ma la femmina si fa notare per avere una coda
più lunga del maschio; ora i piccoli dei due sessi rassomigliano
(eccettuato il petto che è macchiato di bronzo) alla femmina adulta in
tutti i rispetti, compresa la lunghezza della coda, cosicchè la coda del
maschio attualmente diviene più breve quando raggiunge lo stato adulto,
e questa è una circostanza molto insolita. Di nuovo il piumaggio dello
Smergo maggiore maschio (Mergus menganser) è di colori più
vistosi, colle penne scapolari e secondarie delle ali molto più lunghe
che non nella femmina, ma in modo diverso da ciò che segue, per quanto
io mi sappia, in nessun altro uccello, la cresta del maschio adulto, sebbene
più larga che non. quella della femmina, è notevolmente
più corta, essendo soltanto lunga un po’ più di ventisei
millimetri; la cresta della femmina è lunga sessantacinque millimetri.
Ora i giovani dei due sessi rassomigliano per ogni riguardo alla femmina
adulta, cosicchè le loro creste sono attualmente di maggiore lunghezza,
sebbene siano più strette che non nel maschio adulto.
Quando i giovani e le femmine si
rassomigliano strettamente fra loro ed entrambi differiscono dal maschio, la
conclusione più ovvia è questa che il maschio solo è stato
modificato. Anche nei casi anomali dell’Heliothrix e del Mergus, è
probabile che in origine i due sessi adulti fossero muniti, alcune specie di
una coda molto allungata, e le altre di una cresta molto lunga, e questi
caratteri siano stati parzialmente perduti dai maschi adulti per qualche causa
che non si spiega e trasmessi nel loro stato diminuito alla prole maschile
sola, quando questa è arrivata alla età corrispondente adulta. La
credenza che nella classe presente il maschio solo sia stato modificato, per
quello che riguarda le differenze fra il maschio e la femmina coi suoi piccoli,
ha un grande appoggio in alcuni notevoli fatti riferiti dal signor Blyth,
rispetto a specie intimamente affini che si rappresentano le une e le altre in
paesi distinti. Perchè in parecchie di queste specie rappresentantisi, i
maschi adulti hanno sopportato una certa somma di mutamenti e si possono
distinguere; mentre le femmine ed i piccoli non si distinguono e perciò
sono al tutto immutati. Questo è il caso in certe Tamnobie Indiane
(Tamnobia), in certe Nettarinie (Nectarinia), Averle (Tephrodornis), in certi
martin-pescatori (Tanysiptera), fagiani Kally (Gallophasis) e pernici arboree
(Arboricola).
In alcuni casi analoghi, cioè
negli uccelli che hanno un piumaggio invernale ed estivo distinti, ma nei due
sessi quasi simili, certe specie strettamente affini possono essere agevolmente
distinte nel loro piumaggio invernale o nuziale; tuttavia non si distinguono
tanto bene nel loro piumaggio invernale o non ancora adulto. Ciò segue
con alcune specie indiane affinissime alle Motacille. Il signor Swinhoe
m’informa che tre specie di Ardeola, genere di aironi, che si rappresentano a
vicenda in continenti separati, sono “sommamente differenti” quando sono adorne
delle loro piume estive, ma sono appena o non affatto distinguibili durante
l’inverno. Anche i giovani di queste tre specie nel loro piumaggio giovanile rassomigliano
strettamente agli adulti nel loro abito invernale. Questo caso è tanto
più interessante perchè in due altre specie di Ardeola i due
sessi conservano, durante l’inverno e l’estate, quasi lo stesso piumaggio che
hanno le tre prime specie durante l'inverno o quando non sono ancora adulti; e
questo piumaggio, che è comune a parecchie specie distinte nelle
differenti età e stagioni; ci dimostra probabilmente in qual modo fosse
colorito il progenitore del genere. In tutti questi casi il piumaggio nuziale
che noi possiamo supporre fosse stato acquistato in origine dai maschi adulti
durante la stagione delle nozze, e trasmesso poi agli adulti dei due sessi
nella stagione corrispondente, è stato modificato, mentre il piumaggio
invernale e quello giovanile sono rimasti immutati.
Naturalmente nasce la questione come
vada che in questi ultimi casi il piumaggio invernale dei due sessi, e nei
primi casi il piumaggio delle femmine adulte, come pure il piumaggio giovanile
nei giovani, non siano stati per nulla alterati? Le specie che si rappresentano
a vicenda in paesi distinti saranno state quasi. sempre esposte a condizioni in
certo modo differenti, ma noi non possiamo guari attribuire la modificazione
del piumaggio nei maschi soli a questa azione, vedendo che le femmine ed i
giovani, sebbene esposti nello stesso modo, non sono stati alterati. Non v’ha
guari in natura nessun fatto che ci dimostri con maggiore evidenza quanta poca
importanza abbia l’azione diretta delle condizioni della vita, in paragone
coll’accumulamento mercè la scelta di variazioni indefinite, di quello
che si scorge nella sorprendente differenza tra i sessi di molti uccelli;
perchè i due sessi debbono aver consumato lo stesso cibo e sono stati
esposti allo stesso clima. Nondimeno nulla c’impedisce di credere che nel corso
del tempo le nuove condizioni possono produrre lo stesso effetto diretto; noi
vediamo solo che ciò è subordinato in importanza agli effetti
accumulati della scelta. Quando però una specie migra in un nuovo paese,
e questo deve precedere la formazione delle specie rappresentantisi, le nuove
condizioni a cui esse saranno state quasi sempre esposte produrranno in loro,
se giudichiamo da analogie molto estese, una certa somma di variabilità
fluttuante. In questo caso la scelta sessuale, che dipende da un elemento
eminentemente soggetto a mutare – cioè il gusto o l’ammirazione della
femmina – avrà nuove sfumature di colore o altre differenze da fare
operare ed accumulare; e siccome la scelta sessuale è sempre in
attività, sarebbe (giudicando da quello che conosciamo dei risultati
ottenuti dalla scelta inconsapevole dell’uomo sugli animali domestici), un
fatto sorprendente se gli animali che abitano in regioni separate, e non si
possono incrociare e così mescolare i nuovi caratteri nuovamente
acquistati, non fossero, dopo uno spazio di tempo sufficiente, modificati in
modi differenti. Queste operazioni si applicano parimente al piumaggio nuziale
od estivo, tanto se venga limitato ai maschi o sia comune ai due sessi.
Quantunque le femmine delle specie
affinissime sopra menzionate unitamente ai loro giovani, differiscano appena
fra loro, tanto che i soli maschi si possono distinguere, tuttavia nella
maggior parte dei casi le femmine delle specie nello stesso genere differiscono
evidentemente fra loro. Nondimeno le differenze sono di rado tanto grandi come
fra i maschi. Noi vediamo questo chiaramente in tutta la famiglia dei
Gallinacei: per esempio, le femmine del fagiano comune e del fagiano
Giapponese, e specialmente del fagiano dorato di Amherst, del fagiano argentino
e del pollame selvatico, si rassomigliano fra loro strettamente nel colore,
mentre i maschi differiscono in un grado molto straordinario. Così segue
nelle femmine della maggior parte delle Cotingidae e delle Fringillidae, e di
molte altre famiglie. Non vi può invero esser dubbio che, come regola
generale, le femmine sieno state molto meno modificate dei maschi. Tuttavia
alcuni pochi uccelli offrono una singolare ed inesplicabile eccezione;
così le femmine della Paradisea apoda e della Paradisea
pupuana differiscono fra loro molto più che non i loro rispettivi
maschi; la femmina di questa ultima specie ha la superficie inferiore
bianco-puro, mentre la femmina della Paradisea apoda ha quella parte
bruno-scura. Così pure, come ho udito dal professor Newton, i maschi di
due specie di Oxynotus (Averle), che si rappresentano nelle isole Maurizio e
Borbone, differiscono poco fra loro nel colore, mentre le femmine differiscono
molto. Nelle specie di Borbone la femmina sembra avere conservato parzialmente
una condizione giovanile di piumaggio, perchè a prima vista “potrebbe
essere scambiata pel giovane della specie di Maurizio”. Queste differenze
possono essere comparate con quelle che seguono, indipendentemente dalla scelta
operata dall’uomo, e che non possiamo spiegare, in certe sotto-razze del
pollame da combattimento, in cui le femmine sono molto differenti, mentre i
maschi si possono appena distinguere.
Siccome io do una parte così
grande alla scelta sessuale per spiegare le differenze fra i maschi di specie
affini, in qual modo si potranno spiegare le differenze fra le femmine in tutti
i casi ordinari? Noi non abbiamo qui bisogno di considerare le specie che
appartengono a generi distinti, perchè in queste l’adattamento ai differenti
generi di vita, ed altre azioni, possono essere venuti in giuoco. Rispetto alle
differenze fra le femmine, dello stesso genere, mi pare quasi certo, dopo avere
osservato vari grandi gruppi, che l’agente principale sia stato la trasmissione
in maggiore o minor grado alla femmina dei caratteri acquistati dai maschi
mercè la scelta sessuale. In parecchie Fringille inglesi i due sessi
differiscono sia lievemente o notevolmente; e se noi compariamo le femmine del
verdone, del fringuello, del cardellino, del ciuffolotto, del becc’in croce,
della passera ecc., vedremo che differiscono fra loro principalmente nei punti
in cui rassomigliano parzialmente ai loro rispettivi maschi; ed i colori dei
maschi possono sicuramente essere attribuiti alla scelta sessuale. In molte
specie di gallinacei i sessi differiscono in sommo grado, come nel pavone, nel
fagiano, e nel pollame mentre in altre specie vi è stata una parziale o
anche totale trasmissione di carattere dal maschio alla femmina. Le femmine di
parecchie specie di Polyplectron mostrano in una condizione oscura, e
principalmente sulla coda, gli splendidi ocelli dei loro maschi. La pernice
femmina non differisce dal maschio se non perchè la macchia rossa che ha
sul petto è più piccola; e la femmina del tacchino perchè
i suoi colori sono molto più smorti. Nella gallina di Guinea i due sessi
non si possono distinguere. Non è improbabile che il piumaggio smorto,
sebbene macchiettato, di quest’ultimo uccello sia stato acquistato mercè
la scelta sessuale dei maschi, e poi sia venuto trasmettendosi ai due sessi:
perchè non è essenzialmente differente dal piumaggio, molto meno
macchiettato, caratteristico dei maschi soli del fagiano di Tragopan.
Si potrà osservare che, in
alcuni casi, la trasmissione dei caratteri dal maschio alla femmina è
stata, da quanto pare, compiuta in un periodo remoto avendo in seguito il
maschio sopportato grandi mutamenti, senza aver trasmesso alla femmina nessuno
dei caratteri ultimi acquistati. Per esempio la femmina e i giovani del fagiano
di monte (Tetrao tetrix) rassomigliano molto strettamente ai due sessi
ed ai giovani del Tetrao scoticus; e possiamo in conseguenza dedurre da
ciò che il fagiano di monte discende da qualche specie antica, nella
quale i due sessi erano coloriti a un dipresso nello stesso modo come il Tetrao
scoticus. Siccome i due sessi di questa ultima specie sono striati in un
modo più semplice durante la stagione delle nozze che non in qualunque
altro tempo, e siccome il maschio differisce lievemente dalla femmina nelle sue
tinte rosse e brune più intensamente pronunciate, noi possiamo
conchiudere che il suo piumaggio è stato, almeno fino ad una certa
estensione, sotto l’azione della scelta sessuale. Se così è, noi
possiamo inoltre dedurre che il piumaggio quasi simile della femmina del
fagiano di monte venne prodotto similmente in qualche periodo primiero. Ma fino
da quel periodo il maschio del fagiano di monte ha acquistato il suo bel
piumaggio nero, colle sue penne della coda forcute e rivolte all’infuori; ma la
trasmissione di questi caratteri è stata nella femmina quasi nulla,
tranne in ciò che mostra nella sua coda una traccia di incurvatura a
forca.
Noi possiamo quindi conchiudere che le
femmine di specie distinte sebbene affini hanno spesso avuto il loro piumaggio
più o meno modificato mercè vari gradi di trasmissione dei
caratteri acquistati, tanto in tempi antichi come recenti, dai maschi,
mercè la scelta sessuale. Ma merita speciale attenzione che i colori
brillanti sono stati trasmessi molto più di rado che non le altre tinte.
Per esempio, il maschio del pett’azzurro (Cyanecula suecica) ha il petto
di un color azzurro vivace, con una macchia sub-triangolare rossa nel mezzo;
ora sono state trasmesse alle femmine macchie di una forma approssimativamente
simile, ma lo spazio centrale è fulvo invece di essere rosso, ed
è circondato di penne macchiettate invece di essere azzurre. I
gallinacei presentano molti casi analoghi; perchè nessuna delle specie,
come le pernici, le quaglie, le galline di Guinea, ecc., nelle quali colori del
piumaggio sono stati grandemente trasmessi dal maschio alla femmina, sono
brillantemente colorite. Questo è bene dimostrato dai fagiani, in cui il
maschio è in generale tanto più brillante che non la femmina; ma
nel fagiano orecchiuto e nel fagiano di Wallich (Crossoptilon auritum e Phasianus
Wallichii) i due sessi si rassomigliano strettamente fra loro e i loro
colori sono smorti. Noi possiamo giungere fino a credere che se qualunque parte
del piumaggio dei maschi di questi fagiani fosse stata brillantemente colorita,
questa non sarebbe stata trasmessa alle femmine. Questi fatti danno un forte
appoggio alla teoria del signor Wallace, che negli uccelli che sono esposti a
molti pericoli durante la nidificazione, la trasmissione dei colori brillanti
dal maschio alla femmina sia stata arrestata per opera della scelta naturale.
Non dobbiamo tuttavia dimenticare che è possibile un’altra spiegazione
riferita sopra; cioè che i maschi che variano e divennero brillanti
mentre erano giovani ed inesperti hanno dovuto essere esposti ad un pericolo
maggiore ed hanno dovuto essere generalmente distrutti; d’altra parte, i maschi
più vecchi e più cauti, se variavano nello stesso modo, avrebbero
potuto non solo sopravvivere, ma sarebbero stati favoriti nella loro
rivalità con altri maschi. Ora le variazioni che seguono nella vita
tendono ad essere esclusivamente trasmesse allo stesso sesso, cosicchè
in questo caso le tinte sommamente brillanti non sarebbero state trasmesse alle
femmine. D’altra parte gli ornamenti meno vistosi, come quelli che posseggono
il fagiano orecchiuto ed il fagiano di Wallich, non hanno dovuto essere
pericolosi, e se avessero fatto la loro comparsa nella prima gioventù,
sarebbero stati trasmessi ai due sessi.
Unitamente agli effetti della parziale
trasmissione dei caratteri dai maschi alle femmine, alcune delle differenze fra
le femmine di specie strettamente affini possono venire attribuite all’azione
diretta o definita delle condizioni della vita. Nei maschi qualunque altra
azione sarebbe stata generalmente mascherata dai brillanti colori acquistati
mercè la scelta sessuale; ma non così nelle femmine. Ognuna delle
infinite diversità del piumaggio, che noi vediamo nei nostri uccelli
addomesticati, è naturalmente l’effetto di qualche causa definita; ed in
condizioni naturali e più uniformi, una qualche tinta, di cui l’acquisto
non sarebbe stato dannoso, avrebbe certo un po’ dopo finito per prevalere. Il
libero incrociamento dei tanti individui appartenenti alla stessa specie
avrebbe avuto in fine una tendenza a produrre un qualche mutamento di colore,
così ottenuto, uniforme nel carattere.
Nessuno pone in dubbio che i due sessi
di molti uccelli hanno avuto i loro colori adattati per scopo di protezione: ed
è possibile che le femmine sole di alcune specie possano essere state in
tal modo modificate. Quantunque sarebbe stato un processo difficile e forse
impossibile, come abbiamo dimostrato nell'ultimo capitolo, quello di mutare,
per opera della scelta, una forma di trasmissione in un’altra, non vi sarebbe stato
la benchè minima difficoltà nell’adattare i colori della femmina,
indipendentemente da quelli del maschio, agli oggetti circostanti, mercè
l’accumulamento delle variazioni che erano dapprima limitate nella loro
trasmissione al sesso femminile. Se le variazioni non fossero limitate
cosiffattamente, le tinte brillanti del maschio sarebbero state deteriorate o
distrutte. È ora molto dubbio se le femmine sole di molte specie siano
state in tal modo specialmente modificate. Vorrei poter essere pienamente del parere
del signor Wallace; perchè ammettendo la sua teoria si toglierebbero
alcune difficoltà. Qualunque variazione che non fosse di nessun utile
alla femmina come una protezione sarebbe ad un tempo obliterata, invece di
essere perduta semplicemente per non essere stata scelta, o pel libero
incrociamento, o per essere eliminata quando fosse venuta trasmessa al maschio
ed in qualche modo ad esso dannosa. Così il piumaggio della femmina
sarebbe rimasto costante nel carattere. Sarebbe stato pure molto comodo poter
ammettere che le tinte oscure dei due sessi di molti uccelli sono state
acquistate e conservate per scopo di protezione, per esempio, della passera
scopaiola o dello sgricciolo (Accentor modularis e Troglodytes
vulgaris), rispetto ai quali non abbiamo sufficienti prove dell’azione
della scelta sessuale. Dobbiamo tuttavia essere cauti nel conchiudere che i
colori che ci sembrano così smorti non abbiano attrattive per le femmine
di certe specie; dobbiamo tenere a mente certi casi, come quelli della passera
domestica, in cui il maschio differisce molto dalla femmina, ma non ha colori
brillanti. Nessuno probabilmente vorrà negare che molti uccelli
gallinacei che vivono all’aperto non abbiano acquistato i loro colori attuali,
almeno in parte, per scopo di protezione. Noi sappiamo ora bene come si sanno
nascondere; sappiamo che le pernici di montagna, mentre mutano il loro
piumaggio invernale in quello estivo, i quali entrambi servono loro a
proteggerli, hanno molto da soffrire dagli uccelli di rapina. Ma possiamo noi
credere che lievissime differenze nelle tinte e nelle macchie, per esempio, fra
la femmina del fagiano di monte e quella del Tetrao scoticus, servono
per scopo di protezione? Sono forse le pernici, col loro colore attuale, meglio
protette che non le quaglie che loro rassomigliano? Servono forse di protezione
le lievi differenze fra le femmine del fagiano comune e quelle del fagiano
dorato e del fagiano del Giappone, oppure i loro piumaggi possono essi essere
stati scambiati impunemente? Da ciò che ha osservato il signor Wallace
dei costumi di certi uccelli gallinacei di Oriente, egli crede che cosiffatte
lievi differenze siano utili. In quanto a me dirò solo che non sono
convinto di questo.
Quando una volta io ero propenso a dare
molta importanza al principio di protezione, il quale mi spiegava i colori meno
brillanti delle femmine degli uccelli, mi veniva in mente che era possibile che
i due sessi ed i giovani potessero essere stati in origine dotati di colori
brillanti allo stesso grado; ma che in seguito le femmine, pel pericolo cui
andavano incontro nell’incubazione, ed i giovani per non avere ancora
esperienza, fossero resi smorti per lo scopo di protezione. Ma questo modo di
vedere non è sostenuto da nessuna prova, e non è probabile;
perchè noi così ci immaginiamo che le femmine ed i giovani nei
tempi trascorsi fossero esposti al pericolo, dal quale sarebbe stato necessario
in seguito riparare i loro discendenti modificati. Abbiamo pure da ridurre,
mercè un graduato processo di scelta, le femmine ed i giovani a tinte ed
a macchie quasi esattamente uguali, e trasmettere queste al sesso ed al periodo
di vita corrispondente. È pure un fatto in certo modo strano, supponendo
che le femmine ed i giovani abbiano partecipato durante ogni stadio del processo
di modificazione di una tendenza ad essere tanto brillantemente coloriti quanto
i maschi, che le femmine non siano mai state rese più smorte, senza che
i giovani partecipassero allo stesso mutamento; perchè non vi sono
esempi, per quanto io abbia potuto scoprire, di specie in cui le femmine
abbiano colori smorti e i giovani colori vivaci. Tuttavia i giovani di certi
picchi presentano una parziale eccezione, perchè hanno “la parte
superiore del capo tinta di rosso”, che in seguito va diminuendo in una semplice
linea circolare rossa negli adulti dei due sessi, o scompare affatto nelle
femmine adulte.
Finalmente, per quello che riguarda la
nostra classe presente di casi, il modo di vedere più probabile sembra
essere che le successive variazioni in brillantezza o in altri caratteri
ornamentali che seguono nei maschi in un periodo piuttosto tardo di vita siano
stati conservati; e che la maggior parte o tutte queste variazioni per cagione
del periodo tardivo a cui sono comparse, siano state fino dal principio trasmesse
alla prole maschile adulta soltanto. Qualunque variazione nella brillantezza
che avesse avuto luogo nelle femmine o nei giovani non sarebbe stata loro di
nessuna utilità, e non sarebbe stata scelta; di più, se fosse
stata pericolosa, sarebbe stata eliminata. Così le femmine ed i giovani
o sarebbero rimasti senza modificazioni, oppure, e questo è stato
più comunemente il caso, sarebbero stati parzialmente modificati
ricevendo, mercè la trasmissione dai maschi, alcune delle successive
variazioni. Forse le condizioni della vita a cui furono lungamente esposti i
due sessi ebbero un’azione diretta sovra di essi; ma le femmine non essendo
altrimenti molto modificate mostreranno meglio qualsiasi di cosiffatti effetti.
Questi mutamenti e tutti gli altri sarebbero stati tenuti uniformi pel libero
incrociamento di molti individui. In alcuni casi, specialmente degli uccelli
terragnoli, le femmine ed i giovani possono forse essere stati modificati
indipendentemente dai maschi, per scopo di protezione, tanto da avere
acquistato il medesimo piumaggio di colori smorti.
CLASSE II. Quando la femmina adulta
è più vistosa che non il maschio adulto, i giovani dei due sessi
nel loro primo piumaggio somigliano al maschio adulto. – Questa classe
è esattamente il rovescio dell’ultima, perchè le femmine sono qui
più brillantemente colorite o più vistose che non i maschi; ed i
giovani, per quanto si sa, rassomigliano ai maschi adulti invece che non alle
femmine adulte. Ma la differenza fra i sessi non è quasi mai tanto
grande come segue in molti uccelli della prima classe, ed i casi sono
comparativamente rari. Il signor Wallace, il quale fu il primo a richiamare
l’attenzione sulla singolare relazione che esiste fra i colori meno brillanti
dei maschi e il compiere che fanno i doveri dell’incubazione, dà una
grande importanza a questo punto, come una prova evidente che i colori oscuri
sono stati acquistati per scopo di protezione pel periodo del nidificare. Un
modo di vedere differente sembra a me probabile. Siccome i casi sono curiosi e
non numerosi io riferirò qui brevemente tutto quello che mi è
stato possibile di trovare.
In una sezione del genere Turnix,
uccelli che rassomigliano alle quaglie, la femmina è invariabilmente
più grande del maschio (essendo quasi due volte tanto grande in una
delle specie di Australia), e questa è una circostanza insolita nei
gallinacei. Nella maggior parte delle specie la femmina è più
distintamente colorita e più brillante che non il maschio, ma in alcune
poche specie i sessi sono uguali. Nella Turnix taigoor dell’India il
maschio “manca del color nero sulla gola e sul collo, e tutta la tinta del
piumaggio è più chiara e meno pronunciata che non nella femmina”.
Sembra che la femmina sia munita di maggior voce e sia più battagliera
del maschio; cosicchè le femmine e non i maschi sono sovente tenute
dagli indigeni per combattere come galli da combattimento. Nello stesso modo in
cui gli uccelli maschi vengono esposti dagli uccellatori inglesi come richiamo
vicino ad un tranello onde prendere altri maschi eccitando la loro
rivalità, così vengono nelle Indie adoperate le femmine di questa
Turnix. Quando sono esposte in tal modo le femmine cominciano subito il loro
“alto e mormorante richiamo, che può essere udito molto da lontano, ed
ogni femmina che è in caso di udirlo corre rapidamente sul luogo e
comincia a lottare coll’uccello in gabbia”. In tale modo si possono prendere
nel corso di un solo giorno da dieci a venti uccelli, tutte femmine adulte. Gli
indigeni asseriscono che allorchè le femmine hanno deposto le uova si
riuniscono in branchi, e lasciano i maschi covare le uova. Non v’ha ragione per
dubitare della verità di questa asserzione, che è sostenuta da
qualche osservazione fatta alla Cina: dal signor Swinhoe. Il signor Blyth crede
che i giovani dei due sessi somigliano al maschio adulto.
Le femmine di tre specie di beccaccini
dipinti (Rhynchaea) “non sono soltanto più grandi, ma sono molto
più vivacemente colorite che non i maschi”. In tutti gli altri uccelli
in cui la trachea differisce nella struttura nei due sessi è più
sviluppata e complessa nel maschio che non nella femmina; ma nella Rhynchaea
australis è semplice nel maschio, mentre nella femmina fa quattro
distinti giri prima di entrare nei polmoni. Quindi la femmina di questa specie
ha acquistato un carattere eminentemente maschile. Il signor Blyth asseriva,
dopo aver esaminato molti esemplari che la trachea non ha circonvoluzioni in
nessuno dei sessi della R. bengalensis, specie che rassomiglia
strettamente alla R. australis tanto che non si può quasi
distinguere, tranne in ciò che ha le dita più corte. Questo fatto
è un’altra prova evidente della legge che i caratteri sessuali secondari
sono spesso grandemente differenti in forme affinissime; sebbene sia una circostanza
ben rara quando queste differenze riguardano il sesso femminile. Dicesi che i
giovani dei due sessi della R. bengalensis nel loro primo piumaggio
rassomiglino al maschio adulto. Vi è pure ragione per credere che il
maschio compia i doveri dell’incubazione, perchè il signor Swinhoe
trovò le femmine prima del finir dell’estate riunite in branchi, come
segue per le femmine della Turnix.
Le femmine del Phalaropus fulicarius
e del P. hyperboreus sono più grandi, e nel loro piumaggio
estivo “più vivacemente vestite che non i maschi”. Ma la differenza di
colore fra i sessi è tutt’altro che grande. Il maschio solo del P.
fulicarius imprende, secondo il professore Steenstrup, il compito
dell’incubazione, come pure è dimostrato dallo stato delle sue penne del
petto durante la stagione delle nozze. La femmina dell’Eudromias morinellus è
più grande del maschio, ed ha le tinte rosse e nere della superficie
inferiore, la mezzaluna bianca del petto e le fasce sopra gli occhi più
fortemente pronunciate. Il maschio pure ha una parte almeno nel far schiudere
le uova, ma la femmina pure accudisce i giovani. Io non sono stato capace di
scoprire se queste specie di giovani rassomigliano ai maschi adulti più
strettamente che non alle femmine adulte; perchè il paragone è in
certo modo difficile da fare a motivo della doppia muta.
Veniamo ora all’ordine degli Struzzi:
il maschio del Casoaro comune (Casuarius galeatus) sarebbe scambiato da
ognuno per una femmina, perchè la sua mole è più piccola e
le appendici e la pelle nuda intorno al capo sono molto meno brillantemente
colorite, ed io sono stato informato dal signor Bartlett che nel Giardino
Zoologico di Londra è certamente il maschio solo quello che cova le uova
e prende cura dei piccoli. Il signor T. W. Wood dice che la femmina mostra,
durante la stagione delle nozze, una disposizione battagliera, ed i suoi
bargigli allora divengono più grandi e più brillantemente
coloriti. Così pure la femmina di un Emu (Dromoeus irroratus) è
notevolmente più grande che non il maschio, ed è munita di un
piccolo ciuffo, ma del resto non si distingue da esso pel piumaggio. Tuttavia
sembra avere una più grande facoltà di rialzare, quando è
in collera o diversamente eccitata, come il tacchino, le piume del collo e del
petto. Per solito è più coraggiosa e più battagliera. Essa
manda un suono profondo gutturale, specialmente la notte, che risuona come un
piccolo gong. Il maschio ha una impalcatura più sottile ed
è più docile, senza altra voce tranne un fischio, soppresso, o un
sommesso gracidio”. Egli compie non solo tutto il dovere dell’incubazione, ma
deve difendere i giovani contro la loro madre; “perchè appena vede i
suoi figli, diviene agitatissima, e malgrado la resistenza del padre cerca ogni
mezzo per distruggerli. Per molti mesi dopo è pericoloso mettere insieme
i genitori, perchè ne risulterebbero serie lotte in cui la femmina
è generalmente vincitrice”. Cosicchè noi abbiamo in questo Emu
una compiuta inversione non solo degli istinti materni e di nidificazione, ma
anche delle qualità morali consuete nei due sessi; le femmine sono
selvagge, litigiose e rumorose, i maschi sono miti e buoni. Il caso è
differentissimo nello struzzo africano, perchè il maschio è un
po’ più grande della femmina ed ha le piume più belle e colorite
in modo più contrastante; nondimeno egli compie tutti i doveri
dell’incubazione.
Specificherò gli altri pochi
casi che sono a mia cognizione, in cui la femmina è più
cospicuamente colorita del maschio, quantunque non si sappia nulla intorno al
loro modo d’incubazione. Nel Milvago leucurus delle isole Falkland fui
sorpreso di trovare colla dissecazione che gli individui i quali avevano tutte
le loro tinte fortemente pronunziate, colla cera e le gambe color arancio,
erano femmine adulte, mentre quelli muniti di piumaggio più smorto e
colle gambe grige erano maschi o giovani. In un rampicante australiano (Climacteris
erythrops) la femmina differisce dal maschio “per essere più adorna
di belle macchie rosse a raggi sulla gola, mentre il maschio ha questa parte al
tutto uniforme”. Infine in un succiacapre di Australia “la femmina supera
sempre il maschio in mole e nella vivacità delle tinte; d’altra parte i
maschi hanno due macchie bianche sulle remiganti primarie più vistose
che non quelle della femmina”.
Noi vediamo così che i casi in
cui le femmine degli uccelli hanno colori più vivaci dei maschi, ed i
giovani nel piumaggio primiero rassomigliano ai maschi adulti invece che non
alle femmine adulte come nella classe precedente, non sono numerosi, quantunque
siano distribuiti in vari ordini. Parimente la somma della differenza fra i
sessi è incomparabilmente minore che non quella che segue frequentemente
nell’ultima classe; cosicchè la causa della differenza, qualunque possa
essere, ha agito sulle femmine della classe presente con minor energia o minor
persistenza che non i maschi dell’ultima classe. Il signor Wallace crede che
nei maschi i colori siano stati resi meno vistosi per lo scopo di protezione
durante il periodo dell’incubazione; ma la differenza fra i sessi in appena
qualcheduno dei casi precedenti appare sufficientemente grande perchè
questo modo di vedere possa essere accettato con fiducia. In alcuni casi le
tinte più vivaci delle femmine sono quasi limitate alla superficie, ed i
maschi, se fossero stati coloriti così, non sarebbero stati esposti al
pericolo mentre stavano covando le uova. Bisogna anche tenere a mente che i
maschi sono non soltanto più vivacemente coloriti delle femmine, ma sono
più piccoli ed hanno minor forza. Essi hanno di più acquistato
l’istinto materno dell’incubazione, ma sono meno battaglieri e vociferi che non
le femmine, ed in un caso hanno organi vocali più semplici. Così
si è compiuta fra i due sessi una quasi totale trasposizione degli
istinti, dei costumi, della disposizione, del colore, del volume, ed in alcuni
punti anche della struttura.
Ora se noi possiamo asserire che i
maschi della presente classe hanno perduto una parte di quell’ardore che
è proprio al loro sesso, tanto che non cercano più le femmine col
calore consueto; ovvero se noi possiamo asserire che le femmine sono divenute
molto più numerose che non i maschi – e nel caso di una Turnix indiana
dicesi che le femmine “s’incontrano molto più comunemente che non i
maschi” – allora non è improbabile che le femmine siano state indotte a
corteggiare i maschi, invece di essere da loro corteggiate. Questo è
invero il caso fino a un certo punto, in alcuni uccelli, come abbiam veduto
nella pavonessa, nella tacchina, ed in certi generi di tetraoni. Prendendo per
norma i costumi della maggior parte degli uccelli maschi, la mole più
grande e la forza maggiore e l’indole straordinariamente battagliera delle
femmine della Turnix e dell’Emu, devono significare che cercano di scacciare le
femmine rivali, onde vincere nel possedere il maschio; e con questo modo di
vedere tutti i fatti divengono chiari; perchè i maschi sarebbero stati
probabilmente molto più allettati od eccitati dalle femmine che erano
più belle di loro pei colori più brillanti, o altri ornamenti, o
potenze vocali. La scelta sessuale avrebbe in breve compiuta la sua opera,
aggiungendo continuamente alle attrattive delle femmine; i maschi e i giovani
rimanendo poco o nulla modificati.
CLASSE III. Quando il maschio adulto
somiglia alla femmina adulta, i giovani d’ambo i sessi hanno un
piumaggio primitivo particolare loro proprio. – In questa classe tutti e
due i sessi quando sono adulti si rassomigliano fra loro e differiscono dai
giovani. Ciò avviene in molti uccelli di varie sorta. Il pettirosso
maschio si può malagevolmente distinguere dalla femmina, ma i giovani
sono grandemente differenti col loro piumaggio macchiettato olivastro-fosco e
bruno. Il maschio e la femmina dello splendido Ibis rosso sono simili, mentre i
giovani sono bruni, ed il colore scarlatto, sebbene comune ad ambo i sessi,
è, da quanto pare, un carattere sessuale, perchè non si sviluppa
bene negli uccelli in reclusione, nel modo stesso in cui spesso accade pei
maschi di uccelli brillantemente coloriti. In molte specie di Aironi i giovani
differiscono molto dagli adulti, ed il loro piumaggio di estate, sebbene comune
ai due sessi, ha evidentemente un carattere nuziale. I giovani cigni hanno
color lavagna, mentre gli adulti sono d’un bianco puro; ma sarebbe cosa
superflua aggiungere altri esempi. Questa differenza fra il giovane ed il
vecchio dipende apparentemente, come nelle due ultime classi, dall’avere il
giovane conservata la primiera od antica condizione di piumaggio, che è
stata mutata per un nuovo piumaggio dai vecchi d’ambo i sessi. Quando gli adulti
sono vivacemente coloriti, possiamo conchiudere, secondo quello che abbiamo
testè avvertito riguardo all’ibis rosso ed a molti aironi, e secondo
l’analogia delle specie nella prima classe, che questi colori sono stati
acquistali mercè la scelta sessuale dai maschi quasi adulti; ma che
contro quello che accade nelle due prime classi, la trasmissione, sebbene
limitata alla stessa età, non è stata limitata al medesimo sesso.
Conseguentemente i due sessi quando sono adulti si rassomigliano fra loro e
differiscono dai giovani.
CLASSE IV. Quando il maschio adulto
somiglia alla femmina adulta, i giovani d’ambo i sessi nel loro primiero
piumaggio somigliano agli adulti. – In questa classe i giovani e gli adulti
dei due sessi, abbiano essi colori brillanti od oscuri, si rassomigliano fra
loro. Questi casi sono, credo, più comuni che non quelli dell’ultima
classe. Abbiamo in Inghilterra esempi di martin pescatori, di alcuni picchi, di
ghiandaie, di gazze, di cornacchie e di molti uccelli piccoli dai colori smorti,
come la passera scopaiola. o lo scricciolo. Ma la somiglianza del piumaggio tra
i giovani e gli adulti non è mai al tutto compiuta, e va gradatamente
mutandosi in dissomiglianza. Così i piccoli di alcuni membri della
famiglia dei martin pescatori non sono coloriti meno vivacemente degli adulti,
ma molte delle piume della superficie inferiore sono marginate di bruno –
traccia probabile di una primiera condizione di piumaggio. Frequentemente nello
stesso gruppo di uccelli, anche nello stesso genere, per esempio in un genere
di parrocchetti di Australia (Platycercus), i giovani di alcune specie si
rassomigliano strettamente, mentre i giovani di altre specie differiscono
notevolmente dai loro genitori dei due sessi, che sono simili. I due sessi ed i
giovani della ghiandaia comune sono intimamente simili; ma nella ghiandaia del
Canadà (Perisoreus canadensis) i giovani differiscono tanto dai
loro genitori che furono primieramente descritti come specie distinta.
Prima di procedere oltre, posso
osservare che nella classe di casi presenti e nelle due seguenti i fatti sono
così complessi, e le conclusioni così dubbie, che ognuno il quale
non senta uno speciale interesse per questo argomento può passare oltre
senz’altro.
I colori brillanti e cospicui che
caratterizzano molti uccelli nella classe presente di rado o quasi mai possono
servir loro di protezione; cosicchè sono stati probabilmente acquistati
dai maschi per opera della scelta sessuale; e poi trasmessi alle femmine ed ai
giovani. È tuttavia possibile che i maschi possano aver scelto le
femmine più attraenti; e se queste avessero trasmesso i loro caratteri
alla prole dei due sessi, i medesimi risultati sarebbero seguiti nello stesso
modo come dalla scelta dei maschi più attraenti fatta dalle femmine. Ma
v’ha qualche prova che questa contingenza è stata raramente, se pur mai,
compiuta in nessuno di quei gruppi di uccelli in cui i sessi sono generalmente
simili; perchè se anche alcune poche delle successive variazioni
avessero mancato di essere trasmesse ai due sessi, le femmine avrebbero
superato lievemente i maschi in bellezza, Segue esattamente il rovescio in
natura; perchè in quasi ogni grande gruppo in cui i sessi si
rassomigliano generalmente fra loro, i maschi di alcune poche specie sono in
lieve grado più vistosamente coloriti che non le femmine. È pure
possibile che le femmine possano aver scelto i maschi più belli, e
questi maschi a loro volta abbiano scelte le femmine più belle, ma
è dubbio se questo doppio processo di scelta possa aver avuto luogo, a
motivo del grande ardore di un sesso per l’altro, e se sarebbe stato più
efficace che non la scelta operata da un lato solo. Perciò il modo di
vedere più probabile è che, nella presente classe, la scelta
sessuale abbia operato; per ciò che riguarda i caratteri di ornamento,
concordemente colla regola generale in tutto il regno animale, cioè
sopra i maschi; e che questi abbiano trasmesso i loro colori acquistati
gradatamente, sia ugualmente o quasi ugualmente, alla loro prole nei due sessi.
V’ha un altro punto più dubbio,
vale a dire se le variazioni successive siano comparse prima nei maschi dopo
che erano divenuti quasi adulti, o mentre erano giovani. In ognuno dei due casi
la scelta sessuale deve aver agito nel maschio allorchè doveva
combattere coi rivali pel possesso della femmina; e nei due casi i caratteri
acquistati così sono stati trasmessi ai due sessi in tutte le
età. Ma questi caratteri, se furono acquistati dai maschi
allorchè erano adulti, possono essere stati dapprima trasmessi agli
adulti soli, ed in qualche susseguente periodo trasmessi ai giovani.
Perchè si sa che quando la legge di eredità manca nelle
età corrispondenti, la prole spesso eredita i caratteri in una
età più fresca che non quella in cui dapprima comparve nei loro
genitori. Sono stati osservati casi da quanto pare di questa sorta; di uccelli
allo stato di natura. Per esempio il signor Blyth ha veduto esemplari del Lanius
rufus e del Colymbus glacialis che avevano assunto mentre erano
giovani, in modo al tutto anomalo, il piumaggio adulto dei loro genitori.
Parimente i giovani del cigno reale (Cygnus olor) non abbandonano le
loro piume scure e non divengono bianchi finchè non abbiano diciotto
mesi o due anni; ma il dottor T. Forel ha descritto il caso di tre giovani
uccelli molto robusti di una nidiata di quattro che erano nati al tutto
bianchi. Questi giovani uccelli non erano albini, siccome mostravano il colore
del petto e delle gambe, che rassomigliavano quasi alle stesse parti negli
adulti.
Meritano dimostrazione i tre modi
sopraddetti mercè i quali nella classe presente i due sessi ed i giovani
possono venire a rassomigliarsi fra loro, col caso curioso del genere Passer.
Nella passera domestica (P. domesticus) il maschio differisce molto
più dalla femmina e dai giovani. Questi si rassomigliano fra loro, e
parimente in grado piuttosto grande i due sessi ed i giovani della passera di
Palestina (P. brachydactylus), come pure è il caso in alcune
specie affini. Noi possiamo perciò asserire che la femmina ed i piccoli
della passera domestica ci fanno conoscere approssimativamente il piumaggio del
progenitore del genere. Ora nella passera mattugia (P. montanus) i due
sessi ed i piccoli rassomigliano strettamente al maschio della passera
domestica; cosicchè sono stati tutti modificati nello stesso modo e
tutti vengono dal coloramento tipico del loro primiero progenitore. Questo
può essere stato operato da ciò che un antenato maschio della
passera mattugia avendo variato dapprima quando era quasi adulto, abbia
trasmesso il suo piumaggio ai due sessi adulti e, per la mancanza della legge
di eredità alle età corrispondenti, ai piccoli in qualche periodo
successivo.
È impossibile decidere quale di
questi tre modi abbia generalmente prevalso in tutta la presente classe di
esempi. La credenza che i maschi variassero mentre erano giovani e
trasmettessero le loro variazioni alla loro prole dei due sessi, è forse
la più probabile. Io posso qui aggiungere che ho cercato, con poco buon
esito, consultando varie opere, di decidere fin dove il periodo di variazione
abbia, negli uccelli, generalmente determinato la trasmissione dei caratteri ad
un sesso o ad entrambi. Le due regole cui abbiamo spesso menzionato
(cioè che le variazioni seguite tardi nella vita sono trasmesse ad uno e
medesimo sesso, mentre quelle che seguono di buon’ora nella vita sono trasmesse
ai due sessi) sono vere da quanto pare nella prima, seconda e terza classe di
casi, ma non hanno effetto in un numero eguale, cioè nella terza e
sovente nella quinta e nella sesta piccola classe. Tuttavia, da quanto ho
potuto giudicare, si verificano in una notevole maggioranza di specie di
uccelli. Sia questo vero o no, noi possiamo conchiudere dai fatti riferiti
nell’ottavo capitolo che il periodo di variazione è stato un elemento
importante per determinare la forma di trasmissione.
Negli uccelli è difficile
decidere con quale misura dobbiamo giudicare se il periodo di variazione
è primitivo o tardivo, se segue per l’età in rapporto colla
durata della vita, o col potere riproduttivo o col numero delle mute per cui
passa la specie. Il mutare degli uccelli, anche nella stessa famiglia,
differisce molto talora senza che si possa assegnare nessuna causa. Alcuni
uccelli mutano le penne così presto che quasi tutte le piume del corpo
cadono prima che le prime penne delle ali siano pienamente cresciute, e noi non
possiamo credere che primieramente lo stato delle cose procedesse in tal guisa.
Quando il periodo della muta è stato accelerato, l’età in cui i
colori del piumaggio adulto furono dapprima sviluppati ci può sembrare
falsamente esser venuta molto più di buon’ora di quello che realmente
sia stato. Questo si può dimostrare colla pratica seguita da alcuni
allevatori di uccelli che strappano alcune penne dal petto dei nidiacei dei
ciuffolotti, e dal capo o dal collo dei giovani del fagiano dorato, onde
riconoscere il sesso; perchè nei maschi queste penne sono immediatamente
sostituite da altre colorite. La durata attuale della vita non si conosce che
in pochi uccelli, cosicchè non possiamo guari giudicare con questa
norma. E riguardo al periodo in cui le facoltà di riproduzione sono
ottenute, è un fatto notevole che vari uccelli occasionalmente fanno
razza mentre hanno ancora il loro piumaggio giovanile.
Il fatto di uccelli che si riproducono
nel loro piumaggio giovanile sembra opposto alla credenza che la scelta
sessuale abbia avuto una parte tanto importante quanto si crederebbe nel dare
colori, piume ecc., adornanti ai maschi e per mezzo della eguale trasmissione
alle femmine di molte specie. L’obiezione sarebbe valida qualora i maschi
più giovani e meno ornati riuscissero a conquistare le femmine e a
propagare la loro specie, come i maschi più belli e più vecchi.
Ma non abbiamo ragione per credere che questo sia il caso. Audubon parla della
riproduzione dei maschi non adulti dell’Ibis tantalus come di un caso
raro, come dice pure il signor Swinhoe rispetto ai maschi non adulti
dell’Oriolus. Se i giovani di qualche specie nel loro piumaggio giovanile
riuscissero meglio nel conquistarsi le compagne che non gli adulti, il
piumaggio adulto si perderebbe probabilmente in breve, siccome i maschi che
avrebbero conservato per un periodo più lungo il piumaggio giovanile
avrebbero prevalso, e così il carattere della specie sarebbe in fine
modificato. D’altra parte, se i giovani non riuscissero mai ad ottenere una
femmina, l’abito di riprodursi di buon’ora verrebbe presto o tardi al tutto
eliminato, essendo esso superfluo e traendo seco uno sciupìo di forze.
Il piumaggio di certi uccelli va
crescendo in bellezza per molti anni dopo che sono al tutto adulti; questo
è il caso per la coda del pavone, e per la cresta e per le piume di
certi aironi, per esempio l’Ardea Ludovicana; ma è molto dubbio
se il continuo sviluppo di cosiffatte penne sia l’effetto della scelta di
successive variazioni benefiche, o solamente di un continuo accrescimento.
Moltissimi pesci continuano a crescere di mole finchè sono in buona
salute ed hanno buona copia di cibo; ed una legge in certo modo simile
può prevalere per le piume degli uccelli.
CLASSE V. Quando gli adulti dei due
sessi hanno piumaggio invernale ed estivo distinti, differisca il maschio o no
dalla femmina, i giovani rassomigliano agli adulti dei due sessi nel loro abito
invernale, o molto più di rado nel loro abito estivo, o rassomigliano
alle femmine sole; od i giovani possono avere un carattere intermedio oppure
possono differire grandemente dagli adulti nei loro due piumaggi stagionali. –
I casi di questa classe sono singolarmente complessi; nè questo deve
recar sorpresa, siccome dipendono dalla eredità, limitata in un grado
più o meno grande in tre modi differenti, cioè dal sesso,
dall’età, e dalla stagione dell’anno. In certi casi gli individui della
stessa specie attraversano cinque stadi distinti di piumaggio. Nelle specie in
cui il maschio differisce dalla femmina durante la stagione estiva sola, o,
ciò che è più raro, durante le due stagioni, i giovani in
generale rassomigliano alle femmine – come segue nel cosidetto cardellino del
Nord-America, e da quanto pare nello splendido Maluri di Australia. Nelle
specie in cui i sessi sono simili durante l’estate e l’inverno i giovani
possono rassomigliare agli adulti, primamente, nell’abito invernale;
secondariamente, ciò che segue molto più di rado, nell’abito
estivo; terzo, possono avere uno stato intermedio fra questi due stadi; e
quarto, possono differire grandemente dagli adulti in tutte le stagioni.
Abbiamo un esempio del primo di questi quattro casi in una sgarza dell’India (Buphus
coromandus), in cui i giovani e gli adulti dei due sessi sono bianchi
durante l’inverno, e gli adulti divengono color cuoio dorato durante l’estate.
Nell’Anastomus oscitans dell’India abbiamo un caso simile, ma i colori
sono invertiti; perchè i giovani e gli adulti dei due sessi sono grigio
e nero durante l’inverno, e gli adulti divengono bianchi durante l’estate. Come
esempio del secondo caso sono i giovani della Gazza marina (Alca torda, Linn.)
che nel loro piumaggio primiero sono coloriti come gli adulti durante l’estate;
ed i giovani della Fringilla leucophrys dell’America settentrionale
appena sono coperti di piume hanno eleganti fasce bianche sul capo, che vengon
perdute dai giovani e dai vecchi durante l’inverno. Rispetto al terzo caso,
cioè, in cui i giovani hanno un carattere intermedio fra il piumaggio
adulto invernale ed estivo, Varrell asserisce che ciò segue in molti
trampolieri. Infine, rispetto ai giovani che differiscono ampiamente dai due
sessi nel loro piumaggio invernale ed estivo, questo segue in molti aironi e
sgarze dell’America settentrionale e delle Indie, – i giovani soli sono
bianchi.
Farò solamente alcune
osservazioni intorno a questi casi complicati. Quando i giovani rassomigliano
alla femmina nel suo abito estivo, od agli adulti dei due sessi nel loro abito
invernale, i casi differiscono da quelli riferiti nelle Classi I e III soltanto
nei caratteri originariamente acquistati dai maschi durante la stagione delle
nozze, essendone stata limitata la trasmissione alla stagione corrispondente.
Quando gli adulti hanno un piumaggio distinto invernale ed estivo, ed i giovani
differiscono da entrambi, il caso è più difficile da comprendere.
Noi possiamo ammettere come probabile che i giovani abbiano conservato un antico
stato di piumaggio; possiamo riferire alla scelta sessuale piumaggio estivo o
nuziale degli adulti, ma a che cosa possiamo attribuire il loro distinto
piumaggio invernale? Se noi potessimo ammettere che questo piumaggio serve in
tutti i casi di protezione, il suo acquisto sarebbe una faccenda semplice; ma
non sembra che siavi nessuna buona ragione per ammettere una tal cosa. Si
può mettere avanti che le condizioni di vita tanto ampiamente differenti
durante l’inverno e l’estate hanno avuto una azione diretta sul piumaggio;
questo può avere avuto qualche effetto, ma non ho fede che una
differenza così grande fra due piumaggi, come vediamo talvolta, sia
stata operata in tal modo. Una spiegazione più probabile è che
una antica forma di piumaggio parzialmente modificata mercè la
trasmissione di qualche carattere del piumaggio estivo sia stata conservata
dagli adulti durante l’inverno. Finalmente tutti i casi della nostra classe
presente dipendono da quanto pare dai caratteri acquistati da ciò che i
maschi adulti sono stati variamente limitati nella loro trasmissione secondo
l’età, la stagione ed il sesso; ma non merita la pena di tener dietro a
queste complesse relazioni.
CLASSE VI. I giovani nel loro primo
piumaggio differiscono fra loro secondo il sesso; i maschi giovani rassomigliano
più o meno strettamente ai maschi adulti, e le femmine giovani
più o meno strettamente alle femmine adulte. – I casi in
questa classe, sebbene si presentino in vari gruppi, non sono numerosi;
tuttavia se l’esperienza non ci ha insegnato il contrario, sembrerebbe la cosa
più naturale che i giovani dapprima somigliassero sempre fino ad un
certo punto agli adulti dello stesso sesso, divenendo poi man mano più
simili a loro. Il maschio adulto della capinera (Sylvia atricapilla) ha
il capo nero; quello della femmina è rossiccio-bruno; ed il signor Blyth
mi ha informato che i giovani dei due sessi si possono distinguere per questi
caratteri anche quando sono nidiaci. Nella famiglia dei tordi in buon numero
questi casi sono stati notati; il merlo maschio (Turdus merula) si
può distinguere dalla femmina quando è nel nido, siccome le
remiganti delle ali conservano una tinta bruniccia fino alla seconda muta
totale. I due sessi del tordo poliglotto (Turdus polyglottus, Linn,)
differiscono pochissimo fra loro, tuttavia si possono agevolmente distinguere i
maschi dalle femmine in età molto giovanile perchè mostrano
maggior copia di bianco puro. I maschi della Orocetes erythrogastra e
della Petrocincla cyanea hanno molta parte del loro piumaggio color
azzurro vivace mentre, le femmine sono brune; ed i nidiacei maschi delle due
specie hanno le remiganti delle ali e le penne della coda marginate di azzurro,
mentre quelle della femmina sono marginate di bruno. Cosicchè le
medesime penne che nel merlo giovane assumono i loro caratteri adulti e
divengono nere dopo le altre, in queste due specie assumono questo carattere e
divengono azzurre prima delle altre. Il modo di vedere più probabile
rispetto a questi casi è che i maschi, differentemente da ciò che
segue nella classe I, abbiano trasmesso i loro colori alla prole maschile in
una età più fresca che non quella in cui essi stessi li
acquistarono dapprima; perchè se avessero variato mentre erano al tutto
giovani, essi avrebbero probabilmente trasmesso tutti i loro caratteri alla
loro prole dei due sessi.
Nell’Aithurus polytimus (un
uccello mosca) il maschio è splendidamente colorito di nero e di verde,
e due delle penne della coda sono sommamente lunghe; la femmina ha una coda
comune a colori smorti; ora i maschi giovani invece di rassomigliare alla
femmina adulta, secondo la regola ordinaria, cominciano fino dal principio ad
assumere i colori propri al loro sesso, e le loro penne della coda divengono in
breve molto lunghe. Io ho avuto questa informazione dal signor Gould, il quale
mi ha riferito il caso seguente più spiccato e tuttavia ancora non
pubblicato. Due uccelli mosca che appartengono al genere Eustephanus, entrambi
benissimo coloriti, abitano l’isoletta dl Juan Fernandez, e sono sempre stati
considerati come specificamente distinti. Ma è stato ultimamente
riconosciuto che uno dei due, che è color castagno-bruno-brillante col
capo rosso-dorato, è il maschio, mentre l’altro, il quale è
elegantemente varieggiato di verde e bianco col capo verde metallico, è
la femmina. Ora i giovani rassomigliano dapprima fino ad un certo punto agli
adulti del sesso corrispondente, e la rassomiglianza va facendosi man mano
più compiuta.
Considerando quest’ultimo caso, se come
prima prendiamo il piumaggio dei giovani per guida, apparirà che i due
sessi sono stati resi indipendentemente belli; e non che un sesso abbia
parzialmente trasmesso la sua bellezza all’altro. Da quanto pare il maschio ha
acquistato i suoi colori brillanti per opera della scelta sessuale nello stesso
modo, per esempio, del pavone o del fagiano nella nostra prima classe di casi;
e la femmina nel modo medesimo come la femmina della Rhynchaea o della Turnix
nella nostra seconda classe di casi. Ma è molto difficile comprendere
come questo possa avere avuto luogo contemporaneamente nei due sessi della
stessa specie Il signor Salvin afferma, come abbiamo veduto nel capitolo ottavo
che in certi uccelli mosca i maschi eccedono sommariamente in numero le
femmine, mentre nelle altre specie che abitano la stessa regione le femmine
superano di gran lunga i maschi. Se dunque possiamo riconoscere che durante un
qualche primiero e lungo periodo i maschi della specie di Juan Fernandez
abbiano ecceduto sommamente il numero delle femmine, e che durante un altro
lungo periodo le femmine siano state in molto maggior numero dei maschi, noi
potremo comprendere come i maschi in un dato tempo e le femmine in un altro
possano essere divenuti belli mercè la scelta degli individui più
vivacemente coloriti di ogni sesso; mentre i due sessi trasmettevano i loro
caratteri ai giovani in un periodo di età piuttosto precoce del solito.
Io non pretendo dire che questa sia la vera spiegazione; ma il caso è
troppo notevole per passare inosservato.
Noi abbiamo ora veduto nei numerosi
casi di tutte queste sei classi, che esiste una intima relazione fra il
piumaggio dei giovani e quello degli adulti, sia di un sesso o dei due sessi.
Queste relazioni vengono chiaramente spiegate col principio che un sesso – e
nella maggioranza dei casi è il maschile – acquista prima mercè
la variazione e la scelta sessuale colori brillanti od ornamenti, e li
trasmette in vari modi, secondo le leggi riconosciute di eredità. Non
sappiamo perchè siano seguite variazioni in differenti periodi della
vita, anche talvolta nelle specie dello stesso gruppo; ma rispetto alla forma
di trasmissione, sembra che l’età in cui le variazioni comparvero per la
prima volta sia stata una causa determinante di una certa importanza.
Dal principio di eredità alle
età corrispondenti, e da ciò che ogni variazione nel colore che
seguiva nei maschi in una età giovanile non veniva scelta; anzi sovente
era eliminata perchè pericolosa, mentre consimili variazioni che
seguivano durante o vicino al periodo della riproduzione furono conservate, ne
segue che il piumaggio del giovane sarà rimasto sovente senza
modificazione, o sarà stato poco modificato. Noi così abbiamo un
barlume del colorito dei progenitori delle nostre specie esistenti. In gran
numero di specie, di cui cinque prese dalle nostre sei classi di casi, gli
adulti di un sesso o di entrambi sono coloriti vivacemente almeno durante la
stagione delle nozze, mentre i giovani sono invariabilmente meno brillantemente
coloriti che non gli adulti, o hanno al tutto colori smorti; perchè non
v’ha esempio, per quanta mi sappia, dei giovani di specie dei colori smorti che
spieghino colori brillanti, o di giovani di specie vivacemente colorite che
abbiano colori più vivaci dei loro genitori. Tuttavia nella quarta
classe, in cui i giovani e gli adulti si rassomigliano fra loro, vi sono molte
specie (sebbene non tutte) di colori brillanti, e siccome queste formano gruppi
interi, possiamo dedurre che i loro primieri progenitori erano parimente
brillantemente coloriti. Tranne questa eccezione, se osserviamo gli uccelli di
tutto il mondo, sembra che la loro bellezza sia stata ampiamente accresciuta
fino da quel periodo di cui abbiamo una memoria parziale nel loro piumaggio
giovanile.
Intorno al colore del piumaggio in
rapporto colla protezione. – Si sarà osservato che io non posso seguire
la credenza del signor Wallace che i colori smorti quando sono limitati alle
femmine siano stati nella maggior, parte dei casi specialmente acquistati per
scopo di protezione. Non v’ha tuttavia alcun dubbio, come fu osservato precedentemente,
che i due sessi di molti uccelli hanno avuto i loro colori modificati per
questo scopo, tanto da poter sfuggire all’occhio dei loro nemici: o, in certi
casi, tanto da accostarsi non veduti alla loro preda, nello stesso modo in cui
nei gufi il piumaggio si è fatto morbido, tanto che il loro volo non
viene udito. Il signor Wallace osserva che, solamente nei tropici, fra le
foreste che non perdon mai il loro fogliame, noi troviamo gruppi interi di
uccelli, di cui il colore principale è il verde”. Ognuno il quale ne
abbia fatto l’esperimento ammetterà quanto sia difficile distinguere i
pappagalli sugli alberi coperti di foglie. Nondimeno noi dobbiamo ricordare che
molti pappagalli sono ornati di tinte cremisine, azzurre ed arancio, che non
possono guari servir di protezione. I picchi sono eminentemente arborei, ma
oltre le specie verdi ve ne sono molto nere, e nere bianche – e tutte le specie
sono da quanto pare esposte a quasi i medesimi pericoli. È per
ciò probabile che i colori fortemente pronunziati siano stati acquistati
da uccelli arborei mercé la scelta naturale sopra altri colori per lo scopo di
protezione.
Riguardo agli uccelli che vivono sulla
terra, ognuno ammette che sono stati coloriti per modo da imitare le superfici
che li circondano. È molto difficile vedere una pernice, un beccaccino,
una beccaccia, certi pivieri, le allodole ed i succiacapre quando stanno
accovacciati sul terreno. Gli animali che abitano nei deserti offrono gli
esempi più notevoli, perchè la superficie nuda non presenta nascondigli,
e tutti i quadrupedi, i rettili e gli uccelli più piccoli van debitori
della loro salvezza ai loro colori. Come ha osservato il sig. Tristram,
rispetto agli abitanti del Sahara, tutti sono protetti pel loro colore
“isabella o color di sabbia”. Richiamando alla mia mente gli uccelli del
deserto che avevo veduto nell’America meridionale, come pure la maggior parte
degli uccelli terragnoli dell’Inghilterra, mi sembrava che i due sessi in quel
caso fossero generalmente coloriti quasi ad un modo. In conseguenza mi rivolsi
al signor Tristram per ciò che riguarda gli uccelli del Sahara, ed egli
mi diede cortesemente i seguenti ragguagli. Vi sono ventisei specie che
appartengono a quindici generi, che evidentemente hanno avuto il loro piumaggio
colorito per scopo di protezione; e questo coloramento è tanto
più notevole, in quanto che nella maggior parte di questi uccelli
è differente da quello dei loro congeneri. I due sessi di tredici di
queste specie sono coloriti nello stesso modo, ma queste appartengono a generi
in cui prevale comunemente questa regola, cosicchè esse non ci dicono
nulla intorno ai colori protettori che sono gli stessi nei due sessi degli
uccelli del deserto. Delle altre tredici specie, tre appartengono a generi in
cui i sessi sogliono differire fra loro, tuttavia hanno i sessi simili. Nelle
rimanenti dieci specie il maschio differisce dalla femmina; ma la differenza
è limitata principalmente alla superficie inferiore del piumaggio, che
è nascosta quando l’uccello si accovaccia sul terreno; il capo ed il
dorso hanno nei due sessi la stessa tinta color di sabbia. Cosicchè in
queste dieci specie le superfici superiori dei due sessi hanno sopportata
un’azione e sono divenute simili, mercè la scelta naturale, per scopo di
protezione; mentre le superfici inferiori dei maschi soli sono state mutate
dalla scelta sessuale per scopo dì ornamento. Qui, siccome i due sessi
sono nello stesso modo bene protetti, noi vediamo con evidenza che le femmine
non sono state impedite dalla scelta naturale di ereditare i colori dei loro
genitori maschi; noi dobbiamo tener conto della legge di trasmissione
sessualmente limitata, come abbiamo spiegato prima.
In tutte le parti del mondo i due sessi
di molti uccelli dal becco gentile, specialmente quelli che frequentano le
canne ed i giunchi, hanno colori scuri. Senza dubbio se i loro colori fossero
stati brillanti, sarebbero stati molto più esposti alla vista dei loro
nemici; ma è piuttosto dubbio che le loro tinte oscure siano state
specialmente acquistate per scopo di protezione, almeno da quanto posso
giudicare. È ancor dubbio che tinte cosiffattamente smorte possano
essere state acquistate per servir di ornamento. Dobbiamo tuttavia tener
presente alla mente che gli uccelli maschi, sebbene di colori smorti, sovente
differiscono molto dalle loro femmine, come segue nella passera comune, e
ciò induce a credere che quei colori sono stati acquistati per opera
della scelta sessuale, essendo essi attraenti. Molti uccelli dal becco gentile
sono cantori; e non va dimenticato un ragionamento di un capitolo precedente,
in cui è dimostrato che i migliori cantori hanno di rado molti ornamenti
o tinte vivaci. Sembrerebbe che le femmine degli uccelli, in regola generale,
abbiano scelto i loro compagni sia pel dolce loro canto, sia per la bellezza
dei colori, ma non per queste due prerogative riunite. Alcune specie che sono
evidentemente colorite per scopo di protezione, come il frullino, la beccaccia
ed il succiacapre, sono del pari macchiate ed ombreggiate, secondo il nostro gusto,
in modo elegantissimo. In questi casi possiamo conchiudere che tanto la scelta
naturale che la sessuale hanno operato di concerto per la protezione e
l’ornamento. Si può mettere in dubbio che esista un uccello il quale non
abbia qualche speciale attrattiva per piacere all’altro sesso. Quando i due
sessi sono coloriti tanto oscuramente che sarebbe arditezza riconoscere
l’azione della scelta sessuale, e quando non si può avere una prova
diretta che dimostri che questi colori servono loro di protezione, è miglior
partito confessare la piena ignoranza della cagione, o, ciò che viene
quasi lo stesso, attribuire l’effetto all’azione diretta delle condizioni di
vita.
Vi sono molti uccelli di cui i due
sessi sono cospicuamente, sebbene non brillantemente, coloriti, come le
numerose specie nere, bianche e pezzate; e questi colori sono probabilmente il
risultato della scelta sessuale. Nel merlo comune, nel gallo cedrone, nel
fagiano di monte, nella oidemia mezzana, ed anche in uno degli uccelli di
paradiso (Lophorina atra), i maschi soli sono neri, mentre le femmine
sono brune o macchiettate; e non vi può essere guari dubbio che il color
nero in questi casi non sia stato un carattere scelto sessualmente. Quindi
è in un certo grado probabile che il colore nero compiuto o parziale dei
due sessi in uccelli come i corvi, certe cacatue, le cicogne ed i cigni, e
molti altri uccelli marini, sia parimente l’effetto della scelta sessuale,
accompagnata dall’eguale trasmissione ai due sessi; perchè il colore
nero non può guari servire in nessun caso di protezione. In parecchi
uccelli, in cui il maschio solo è nero, ed in altri in cui i due sessi
sono neri, il becco o la pelle intorno al capo è di colore vivace, ed il
contrasto così acquistato accresce grandemente la loro bellezza; noi
vediamo questo nel becco del merlo maschio che è color giallo brillante,
nella pelle cremisina che sta sopra gli occhi del fagiano di monte e del gallo
cedrone; nel becco brillantemente colorito della oidemia, nel becco rosso del
gracchio alpigino (Corvus graculus, Linn.); del cigno nero e della
cicogna nera. Questo m’indusse ad osservare che non è al tutto
incredibile che i tucani vadano debitori dell’enorme mole del loro becco alla
scelta sessuale, a fine di far pompa delle varie e vivaci fasce di colore di
cui questi organi vanno adorni. La pelle nuda alla base del becco e intorno
agli occhi è pure sovente di colore brillante; ed il signor Gould
parlando di una specie, dice che i colori del becco sono certamente, durante il
tempo dell’accoppiamento, nel loro stato più bello e più
brillante”. Non è molto improbabile che i tucani siano impacciati dal
loro immenso becco, sebbene sia reso il più leggero possibile dalla sua
struttura, perchè noi a torto non diamo importanza ad una
particolarità, cioè la mostra dei bei colori, nello stesso modo
in cui il fagiano Argo maschio e qualche altro uccello sono impacciati con
piume tanto lunghe da impedire il loro volo.
Nella stessa maniera in cui i maschi
soli di varie specie sono neri, mentre le femmine hanno colori scuri
così in alcuni pochi casi i maschi soli sono al tutto, o parzialmente
bianchi, come in vari Casmorinchi dell’America meridionale (Chasmorhynchus) la
Bernicla antartica, il fagiano argentato, ecc., mentre le femmine sono
brune o macchiettate di scuro. Quindi, per lo stesso principio come sopra,
è probabile che i due sessi di molti uccelli, come il cacatua bianco,
varie sgarze colle loro belle piume, certi ibis, gabbiani, rondini di mare,
ecc., hanno acquistato il loro piumaggio più o meno compiutamente bianco
per opera della scelta sessuale. Le specie che abitano le regioni nevose
naturalmente appartengono a un ordine differente. Il piumaggio bianco di alcuni
dei sopra menzionati uccelli appare nei due sessi solo quando sono adulti.
Questo è pure il caso in certe sule, in uccelli dei tropici, ecc., e
nell’oca delle nevi (Anser hyperboreus). Siccome quest’ultima cova sul
“terreno nudo”, quando è coperto di neve, e siccome emigra verso il sud
durante l’inverno, non vi è ragione per supporre che il suo piumaggio
bianco niveo le serva di protezione. Nel caso dell’Anastomus oscitans,
di cui abbiamo parlato precedentemente, abbiamo una prova anche migliore che il
piumaggio. bianco è un carattere nuziale, perchè si sviluppa solo
durante l’estate; mentre i giovani in tale loro stato, e gli adulti nel loro
abito invernale, sono grigi o neri. In molte specie di gabbiani (Larus) il
capo ed il collo divengono bianco puro in estate, essendo grigi o macchiettati
durante l’inverno e nello stato giovanile. D’altra parte nei gabbiani
più piccoli (Gavia), ed in alcune rondini di mare (Sterna),
segue esattamente il contrario; perchè la testa degli uccelli giovani
durante il primo anno, e quella degli adulti durante l’inverno, sono bianco
puro, e sono più pallidamente colorite che non durante la stagione delle
nozze. Questi ultimi casi offrono un altro esempio del modo capriccioso in cui
la scelta sessuale sembra avere operato.
La cagione per cui gli uccelli
acquatici hanno acquistato un piumaggio bianco tanto più frequentemente
che non gli uccelli terragnoli dipende probabilmente dalla loro grande mole e
dalla forza del volo, cosicchè essi possono difendersi agevolmente o
sfuggire agli uccelli di rapina, ai quali inoltre non sono molto esposti. In
conseguenza la scelta sessuale non è intervenuta o non è stata
guidata per lo scopo della protezione. Senza dubbio, negli uccelli che volano
sul largo oceano, i maschi e le femmine si possono incontrare molto più
agevolmente quando siano vistosi, perfettamente bianchi, o intensamente neri;
cosicchè questi colori possono forse servire allo stesso scopo come le
note di richiamo di molti uccelli terragnoli. Un uccello bianco o nero, quando
scorge da lungi o piomba addosso ad un carcame che galleggia sul mare o sta giacente
sulla spiaggia, si vedrà da una grande distanza, e guiderà altri
uccelli della stessa e di altre distinte specie alla preda; ma siccome questo
sarebbe uno svantaggio pei primi trovatori, gli individui che erano i
più bianchi o i più neri non si sarebbero così procurato
maggior copia di cibo che non gli individui meno fortemente coloriti. Quindi i
colori vistosi non possono essere stati graduatamente acquistati per questo
scopo mercè la scelta.
Siccome la scelta sessuale dipende da
un elemento così instabile come il gusto, noi possiamo comprendere come
vada che nello stesso gruppo di uccelli, che hanno un modo di vedere quasi
uguale, esistano specie bianche o quasi bianche, come pure nere o quasi nere, –
per esempio cacatue bianche e nere, cicogne, ibis, cigni, rondini di mare e
procellarie. S’incontrano pure nei medesimi gruppi uccelli pezzati, per esempio
il cigno dal collo nero, certe rondini di mare, e la gazzera comune. Guardando
una ricca. collezione di esemplari, od una serie di disegni coloriti, possiamo
conchiudere che piace agli uccelli un forte contrasto nel colore, perchè
i sessi differiscono spesso fra loro in ciò che il maschio ha le parti
pallide di un bianco puro, e le parti variamente colorite di scuro con tinte
ancor più scure che non quelle della femmina.
Si vedrà anche che la semplice
novità, o il mutamento per amor di mutare, ha talora agito come
un’attrattiva sulle femmine degli uccelli, nello stesso modo come fra noi il
mutar della moda. Il duca d’Argyll dice – e sono contento di avere il piacere
insolito di tener dietro anche da lontano ai suoi passi – “Io sono sempre
più che convinto che la varietà, come semplice varietà,
dev’essere ammessa come un oggetto ed un fine della Natura”. Desidererei che il
duca avesse spiegato che cosa intende per Natura. Intende forse che il Creatore
dell’universo abbia ordinato effetti diversi per sua propria soddisfazione, o
per quella dell’uomo? Mi sembra che la prima nozione manchi molto della dovuta
riverenza, come l’ultima di probabilità. Mutabilità di gusto
negli uccelli stessi mi sembra una spiegazione più probabile. Per
esempio i maschi di alcuni pappagalli non si possono guari dire più
belli, almeno secondo il nostro gusto, delle femmine, ma differiscono da esse
in certi punti, come per avere il maschio un collare rosa invece di avere, come
la femmina, “uno stretto e brillante collare verde smeraldo”; oppure di avere
il maschio un collare nero invece di un “mezzo collare giallo di fronte”, col
capo color pallido invece di essere azzurro. Siccome molti uccelli hanno per
loro principale ornamento lunghe penne della coda o lunghe creste, la coda
corta descritta sopra del maschio di un uccello mosca e la cresta rimpicciolita
dello smergo maggiore maschio sembrano quasi essere uno dei tanti opposti
mutamenti di modo che ammiriamo nelle nostre proprie vestimenta.
Alcuni membri della famiglia degli
aironi presentano un caso ancora più curioso di novità in
ciò che il coloramento sia stato da quanto pare apprezzato per scopo
dì novità. I giovani dell’Ardea asha sono bianchi, mentre
gli adulti sono color lavagna; e non solo i giovani, ma gli adulti dell’affine Buphus
coromandus nel loro piumaggio invernale sono bianchi, e questo colore si
muta, nella stagione delle nozze, in un colore cuoio dorato. È
incredibile che i giovani di queste due specie come pure di alcuni altri membri
della stessa famiglia, siano stati specialmente resi bianco puro e così
siano divenuti vistosi ai loro nemici; o che gli adulti di una di queste due
specie siano stati specialmente resi bianchi durante l’inverno in un paese che
non è mai coperto di neve. D’altra parte abbiamo ragione di credere che
la bianchezza sia stata da molti uccelli acquistata come un ornamento sessuale.
Noi possiamo quindi conchiudere che un progenitore primiero dell’Ardea asha e
del Buphus acquistò un piumaggio bianco per scopo di nozze; e
trasmise questo colore ai suoi piccoli; cosicchè i piccoli ed i vecchi
divennero bianchi come certe sgarze attuali; avendo poi in seguito i giovani
conservato il colore bianco, mentre gli adulti lo mutavano in tinte più
fortemente pronunciate. Ma se ci fosse dato osservare in un periodo ancora
più remoto i progenitori più antichi di queste due specie, noi
vedremo probabilmente gli adulti coloriti di scuro. Suppongo che questo sarebbe
il caso, dalla analogia di molti altri uccelli, i quali da giovani sono scuri e
da adulti sono bianchi; e più specialmente dal caso dell’Ardea
gularis, di cui i colori sono il rovescio di quelli dell’A. asha,
perchè i giovani hanno colori scuri e gli adulti sono bianchi, avendo i
giovani conservato lo stato primiero di piumaggio. Sembra dunque che i
progenitori nella loro condizione adulta dell’Ardea asha, del Buphus e
di alcuni affini, abbiano sopportato, durante una lunga linea di discendenza, i
seguenti mutamenti di colore: primamente una tinta oscura, secondo il bianco
puro, e terzo, in seguito ad un altro mutamento di moda (se posso esprimermi
così), le loro tinte attuali lavagna, rossiccia o cuoio dorato. Questi
successivi mutamenti riescono intelligibili con questo solo che il principio di
novità sia stato ammirato dagli uccelli per gusto di mutamento.
Sommario dei quattro Capitoli intorno
agli Uccelli. – Moltissimi uccelli maschi sono sommamente battaglieri durante la
stagione delle nozze, ed alcuni hanno armi specialmente adattate per combattere
i loro rivali. Ma i maschi più battaglieri ed i meglio armati, di rado o
non mai, fanno consistere il loro successo solamente nella facoltà di
scacciare o di uccidere i loro rivali, ma hanno mezzi speciali per piacere alla
femmina. In alcuni è la potenza del canto, o quella di emettere strani
gridi, o di produrre musica strumentale; ed i maschi in conseguenza
differiscono dalle femmine nei loro organi vocali o nella struttura di certe
penne. Dai mezzi curiosamente svariati affine di produrre suoni diversi, noi
otteniamo un’alta idea dell’importanza di questi mezzi di corteggiamento. Molti
uccelli cercano di allettare le femmine con danze e pantomime amorose, compiute
sul terreno o nell’aria, e talora in luoghi acconci. Ma i mezzi più
comuni sono gli ornamenti di molte sorta, come le tinte più vivaci,
creste e bargigli, belle piume, penne allungate, ciuffi e simili. In alcuni
casi la semplice novità sembra avere operato come allettamento. Gli ornamenti
dei maschi debbono essere per loro di grandissima importanza, perchè in
non pochi casi sono stati acquistati al prezzo di un maggior pericolo dai loro
nemici, ed anche con qualche perdita di forza per combattere i loro rivali. I
maschi di moltissime specie non assumono il loro abito di ornamento se non
quando sono giunti all’età adulta o lo assumono solo durante la stagione
delle nozze, o le tinte allora divengono più vivaci. Certe appendici
colorite divengono più larghe, più turgide e più
brillantemente colorite durante lo stesso atto del corteggiamento. I maschi
spiegano le loro bellezze con somma cura per farle meglio valere; e questo vien
compiuto in presenza delle femmine. Il corteggiamento è talora una
faccenda lunga, e molti maschi e femmine si raccolgono a congrega in apposito
luogo. Supporre che le femmine non apprezzino la bellezza dei maschi è
un asserire che i loro splendidi ornamenti, tutta la loro pompa e tutta la
mostra che fanno siano inutili; e questo è incredibile. Gli uccelli
hanno fine potenze di discernimento, ed in alcuni pochi casi si può
dimostrare che hanno il gusto del bello. Si sa che le femmine oltre di
ciò mostrano talora una spiccata preferenza o antipatia per certi
individui maschi.
Se viene ammesso che le femmine
preferiscono o sono scientemente eccitate dai maschi più belli, allora i
maschi avrebbero dovuto divenire lentamente, ma sicuramente, sempre più
attraenti, mercè la scelta sessuale. Noi possiamo supporre che fu questo
sesso il quale venne principalmente modificato dal fatto che in quasi ogni
genere in cui i sessi differiscono, i maschi differiscono molto più fra
loro che non le femmine; questo è bene dimostrato in certe specie
rappresentantisi intimamente affini in cui le femmine si possono appena
distinguere, mentre i maschi sono al tutto distinti. Gli uccelli in natura
presentano differenze individuali che basterebbero ampiamente all’opera della
scelta sessuale, ma abbiamo veduto che presentano occasionalmente variazioni
più fortemente spiccate che seguono tanto di frequente che sarebbero
immediatamente fissate, se avessero servito ad allettare la femmina. Le leggi
di variazione avranno determinato la natura dei mutamenti iniziali, ed avranno
ampiamente agito sul risultato finale. Le graduazioni che possono essere
osservate fra i maschi di specie affini indicano la natura degli stadi che
hanno attraversato, e spiegano nel modo più interessante certi caratteri
come gli ocelli dentati delle penne della coda del pavone e gli ocelli
meravigliosamente ombreggiati delle penne delle ali del fagiano Argo. È
evidente che i colori brillanti, i ciuffi, le belle piume, ecc., di molti
uccelli maschi non possono essere stati acquistati per scopo di protezione;
invero alle volte accrescono il pericolo. Possiamo essere certi che non son
dovuti all’azione diretta e definita delle condizioni della vita, perchè
le femmine sono state esposte alle stesse condizioni, e tuttavia spesso
differiscono dai maschi in sommo grado. Quantunque sia probabile che il
mutamento di condizione, operando per un periodo molto lungo, abbia prodotto
qualche effetto definitivo sopra i due sessi, il risultato più
importante sarà stato l’accrescimento di una maggior tendenza ad una
variabilità instabile, oppure a maggiori differenze individuali; e
queste differenze avranno offerto un campo eccellente all’azione della scelta
sessuale.
Le leggi di eredità al di fuori
della scelta, sembrano avere determinato se i caratteri acquistati dai maschi
per scopo di ornamento, per produrre vari suoni e per combattere, sono stati
trasmessi ai maschi soli o ai due sessi, sia permanentemente, o periodicamente
durante certe stagioni dell’anno. La ragione per cui i veri caratteri sono
stati trasmessi talvolta in un modo e talora in un altro non è, nel
maggior numero dei casi, conosciuta; ma il periodo di variabilità sembra
sovente essere stata la causa determinante. Quando i due sessi hanno ereditato
tutti i caratteri in comune, essi necessariamente si rassomigliano fra loro; ma
siccome le successive variazioni possono essere differentemente trasmesse, si
può rinvenire ogni possibile graduazione, anche nello stesso genere,
dalla più stretta rassomiglianza alla più ampia dissomiglianza
fra i sessi. In molte specie intimamente affini, che hanno quasi gli stessi
costumi di vita, i maschi son venuti a differire fra loro principalmente
mercè l’azione della scelta sessuale; mentre le femmine sono venute a
differire principalmente per avere partecipato in un grado più o meno
grande ai caratteri acquistati in tal modo dai maschi. Inoltre gli effetti
dell’azione definitiva delle condizioni della vita non saranno stati mascherati
nelle femmine, come nel caso dei maschi, per l’accumulamento mercè la
scelta sessuale dei colori fortemente pronunziati e di altri ornamenti. Gli
individui dei due sessi, per quanto alterati, saranno stati tenuti in ogni
successivo periodo quasi uniforme pel libero incrociamento di molti individui.
Nelle specie in cui i sessi
differiscono nel colore è possibile che esistesse dapprima una tendenza
a trasmettere le successive variazioni ugualmente ai due sessi, e che le
femmine fossero state impedite di acquistare i colori brillanti dei maschi per
ragione del pericolo cui sarebbero andate incontro durante l’incubazione. Ma
sarebbe, almeno per quanto posso vedere, un processo sommamente difficile
quello di convertire, mercè la scelta sessuale, una forma di
trasmissione nell’altra. D’altra parte non vi sarebbe stata la benchè
minima difficoltà a rendere una femmina di colori smorti, conservando al
maschio i suoi colori brillanti, mercè la scelta di successive
variazioni, che fossero state fin dal principio limitate nella loro
trasmissione allo stesso sesso. Se le femmine di molte specie siano state
attualmente così modificate, deve fino ad ora rimanere dubbio. Quando,
per opera della legge di eguale trasmissione di caratteri ai due sessi, le
femmine sono divenute tanto vivacemente colorite quanto i maschi, i loro
istinti sono stati spesso modificati, e sono state indotte a costrurre nidi
nascosti o a cupola.
In una piccola e curiosa classe di casi
i caratteri ed i costumi dei due sessi sono stati al tutto spostati,
perchè le femmine sono più grandi, più forti, più
vocifere e più brillantemente colorite che non i loro maschi. Sono pure
divenute così litigiose che sovente battagliavano fra loro come i maschi
delle specie più bellicose. Se, come sembra probabile, sogliono
scacciare le femmine loro rivali, e, facendo pompa dei loro splendidi colori o
altre attrattive, cercar di piacere ai maschi, noi possiamo comprendere come
vada che siano divenute graduatamente, mercè la scelta sessuale e la
trasmissione sessualmente limitata, più belle che non i maschi, essendo
questi ultimi poco o nulla modificati.
Ogni qualvolta prevale la legge di
eredità nelle età corrispondenti, ma non quella della
trasmissione sessualmente limitata, allora, se i genitori variano tardi nella
vita – e sappiamo che questo segue costantemente nel nostro pollame, ed
occasionalmente in altri uccelli – i giovani resteranno senza alterazione,
mentre gli adulti dei due sessi saranno modificati. Se entrambe queste leggi di
eredità prevalgono ed uno dei due sessi varia tardi nella vita, quel
sesso sarà modificato, l’altro sesso ed i giovani rimanendo inalterati.
Quando le variazioni in brillantezza od in altri caratteri cospicui seguono
nella vita di buon’ora, come segue senza dubbio sovente, essi non avranno
un’azione mercè la scelta sessuale finchè non giunga il periodo
della riproduzione; in conseguenza saranno eliminati dalla scelta naturale,
qualora fossero pericolosi ai giovani. Così possiamo comprendere come
vada che le variazioni che seguono tardi nella vita siano state tanto spesso
conservate per l’ornamento dei maschi; rimanendo le femmine ed i giovani quasi
senza modificazioni, e perciò simili fra loro. Nelle specie che hanno un
piumaggio distinto per l’inverno e per l’estate, i maschi delle quali
rassomigliano o differiscono dalle femmine durante le due stagioni o durante
solo l’estate, i gradi e le maniere di rassomiglianza fra i giovani ed i vecchi
sono sommamente complessi; e questa complessità dipende, da quanto pare,
da ciò che i caratteri; acquistati prima dai maschi, sono stati
trasmessi in vari modi e gradi, come limitati dall’età, dal sesso e
dalla stagione.
Siccome i giovani di tante specie sono
stati modificati nel colore ed in altri ornamenti solo poco, possiamo formare
un qualche giudizio intorno al piumaggio dei loro primieri progenitori; e
possiamo dedurre che la bellezza delle nostre specie attuali, se guardiamo
l’intera classe, è stata ampiamente accresciuta fino da quel periodo del
quale il piumaggio giovanile ci dà un ricordo indiretto. Molti uccelli
specialmente quelli che vivono sul terreno, sono stati senza dubbio coloriti
per scopo di protezione. In alcuni casi la superficie superiore esposta del
piumaggio è stata colorita in tal modo nei due sessi, mentre la
superficie inferiore nei maschi soli è stata variamente ornata
mercè la scelta sessuale. Finalmente, dai fatti riferiti in questi
quattro capitoli noi possiamo conchiudere che le armi per la battaglia, gli organi
per produrre suono, gli ornamenti di molte sorta, i colori. vivaci e vistosi,
sono stati generalmente acquistati dai maschi mercè la variazione e la
scelta sessuale, e sono stati trasmessi in vari modi secondo le diverse
leggi di eredità, – rimanendo le femmine ed i giovani al paragone poco
modificati.
CARATTERI SESSUALI SECONDARI DEI MAMMIFERI.
Legge di
battaglia – Armi speciali limitate ai maschi – Cagione del difetto
di armi nella femmina – Armi comuni ai due sessi, sebbene acquistate
primieramente dal maschio – Altri usi di cosiffatte armi – Loro
grande importanza – Mole più grande del maschio – Mezzi di
difesa – Intorno alla preferenza dimostrata in ambo i sessi
nell’accoppiarsi dei quadrupedi.
Nei mammiferi il maschio sembra
conquistare la femmina molto più per la legge di battaglia, che non
mercè la mostra delle sue attrattive. Gli animali più timidi, non
provvisti di nessun’arme speciale per combattere, impegnano disperate lotte durante
la stagione degli amori. Si sono veduti due lepri maschi combattere insieme
finchè uno rimase ucciso; spesso le talpe combattono, e talora con esito
fatale; gli scoiattoli maschi “impegnano frequenti lotte, e spesso si feriscono
molto gravemente”, come fanno i castori maschi, cosicchè “di rado
s’incontra una pelle senza cicatrici”. Io osservai lo stesso fatto nei guanacos
della Patagonia; ed in una occasione parecchi di essi erano tanto assorti nel
combattere che mi sbucarono vicino senza timore. Livingstone parla dei maschi
di molti animali nell’Africa meridionale, che quasi invariabilmente mostrano le
cicatrici di ferite ricevute in antiche lotte.
La legge di battaglia prevale nei
mammiferi acquatici come nei terragnoli. È noto con quale violenza
combattono fra loro le foche maschi, tanto coi denti quanto colle zanne,
durante la stagione delle loro nozze, e le loro pelli sono spesso coperte di
cicatrici. I capidogli maschi sono gelosissimi in questa stagione, e nelle loro
battaglie “intrecciano fra loro le mascelle, e si rovesciano sul fianco e
girano attorno”; per cui alcuni naturalisti credono che lo stato sovente
deforme delle loro mascelle inferiori dipenda da queste lotte.
Si sa che tutti i maschi degli animali
che sono muniti di armi speciali per combattere impegnano fiere lotte. Sono
stati sovente descritti il coraggio e le disperate battaglie dei cervi, si sono
trovati i loro scheletri in varie parti del mondo colle corna intricatamente
annodate insieme, che dimostravano quanto miserevolmente il vincitore ed il
vinto fossero periti. Nessun animale al mondo è tanto pericoloso quanto
l'elefante allorchè è in calore. Lord Tankerville mi diede una
descrizione grafica delle battaglie che seguono fra i buoi selvatici del Parco
di Chillingham, discendenti degeneri in mole ma non in coraggio, del gigantesco
Bos primigenius. Nel 1861 parecchi si contendevano pel primato; e fu
osservato che due fra i più giovani buoi aggredirono concordi il vecchio
duce della mandra, lo rovesciarono e lo resero inerte, per modo che i guardiani
credettero che fosse mortalmente ferito in un bosco vicino. Ma alcuni giorni
dopo uno dei giovani buoi si accostò solo a quel bosco; e allora il
“monarca della caccia”, il quale era stato covando la propria vendetta,
sbucò fuori, ed in breve tratto di tempo uccise il suo antagonista. Egli
allora raggiunse tranquillamente il branco, e per lungo tempo conservò
senza contrasto il dominio. L’ammiraglio B. J. Sulivan m’informa che quando
dimorava nelle isole Falkland egli portò colà un giovane stallone
inglese, il quale, con otto giumente, frequentava le colline presso Porto
William. Su quelle colline v’erano due stalloni selvaggi, ognuno con un piccolo
branco di cavalle; “ed è certo che questi stalloni non s’incontrano mai
senza combattere. Ognuno di essi aveva cercato di battere da solo il cavallo
inglese e scacciare le sue giumente, ma nessuno dei due era riuscito
nell’intento. Un giorno vennero insieme e lo aggredirono. Questo fatto
fu veduto dal capitano incaricato dei cavalli, che cavalcando verso quel luogo
trovò uno dei due stalloni impegnato in lotta col cavallo inglese,
mentre l’altro stava scacciando le cavalle e ne aveva già separate
quattro dal resto. Il capitano aggiustò la faccenda conducendo seco
tutto il branco nel recinto, perchè gli stalloni selvatici non vollero
lasciare le cavalle”.
Gli animali già forniti, per gli
usi ordinari della vita, di denti efficaci per tagliare o lacerare, come nei
carnivori, insettivori e rosicanti, sono di rado muniti di armi specialmente
acconce per combattere i loro rivali. Il caso è molto differente nei
maschi di molti altri animali. Noi vediamo questo nelle corna dei cervi e di
certe specie di antilopi in cui le femmine non hanno corna. In molti animali i
denti canini della mascella superiore o inferiore, o di entrambe, sono molto
più grossi nei maschi che non nelle femmine; o mancano in queste ultime,
eccettuato talora un rudimento nascosto. Certe antilopi, il mosco, il camello,
il cavallo, il cinghiale, varie scimmie, le foche ed il tricheco, presentano
esempi di questi vari casi. Nelle femmine del tricheco le zanne sono talora
totalmente mancanti. Nell’elefante maschio dell’India e nel dugongo maschio gli
incisivi superiori formano armi difensive. Nel narvalo maschio uno solo dei
denti superiori è sviluppato nel ben noto così detto corno
ravvolto a spira, che talora è lungo da due metri e settanta centimetri,
a tre metri. Si crede che i maschi adoperino questi corni per combattere fra
loro; perchè “di rado se ne. incontra uno che non sia rotto, e talora se
ne trova uno colla punta di un altro incastrata nel luogo della rottura”. Il
dente sul lato opposto del capo del maschio è fatto di un rudimento
lungo circa ventisei centimetri, che è incorporato nella mascella.
Tuttavia non è rarissimo trovare narvali maschi con due corna nei quali
i due denti sono bene sviluppati. Nelle femmine i due denti sono rudimentali.
Il capodoglio maschio ha un capo più largo che non quello della femmina,
e senza dubbio esso aiuta questi animali nelle loro lotte acquatiche. Infine il
maschio adulto dell’ornitorinco è munito di un notevole apparato,
cioè, uno sprone alle zampe posteriori, che rassomiglia strettamente al
dente velenifero di un serpente velenoso; non se ne conosce l’uso, ma possiamo
sospettare che serva come arma di offesa, nella femmina è rappresentato
da un semplice rudimento.
Quando i maschi son forniti di armi che
mancano nelle femmine, non vi può essere guari dubbio che non siano
adoperate per combattere con altri maschi, e che non siano state acquistate per
opera della scelta sessuale. Non è probabile, almeno nel maggior numero
dei casi, che le femmine siano state attualmente impedite dallo acquistare
quelle armi perchè sarebbero state inutili e superflue, o in certo modo
dannose. Al contrarlo, siccome sovente sono adoperate dai maschi di molti
animali per vari scopi, e più specialmente come una difesa contro i loro
nemici, è un fatto sorprendente che siano così poco sviluppate o
al tutto mancanti delle femmine. Senza dubbio nella femmina del cervo lo sviluppo
ad ogni stagione di grandi corna ramose, e nella femmina dell’elefante lo
sviluppo delle immense difese, sarebbe stato un grande sciupìo di forza
vitale, ammettendo che nella femmina non servisse a nulla. In conseguenza le
variazioni nella mole di questi organi, fino a produrre la soppressione,
sarebbero venute sotto l’azione della scelta naturale, e se fossero state
limitate nella loro trasmissione alla prole femmina non avrebbero impedito il
loro sviluppo nei maschi per opera della scelta sessuale. Ma con questo modo di
vedere, come possiamo noi spiegare la presenza delle corna nelle femmine di
certe antilopi, e le zampe nelle femmine di molti animali, che sono soltanto un
po’ più piccole di quelle dei maschi? Io credo che in quasi tutti i casi
la spiegazione vada cercata nelle leggi di trasmissione.
Siccome la renna è l’unica
specie di tutta la famiglia dei cervi in cui la femmina è munita di
corna, sebbene siano un tantino più piccole, più sottili, e meno
ramose che non quelle del maschio, si potrebbe naturalmente pensare che debbono
avere un uso speciale per la femmina. Tuttavia v’ha qualche prova contraria a
questo modo di vedere. La femmina conserva le sue corna dal tempo in cui si
sono sviluppate pienamente, cioè in settembre, per tutto l’inverno, fino
a maggio quando partorisce il piccolo; mentre il maschio depone le sue corna
più presto, verso la fine di novembre. Siccome i due sessi hanno le
stesse esigenze e seguono il medesimo modo di vita, e siccome il maschio depone
le sue corna durante l’inverno è molto improbabile che possano avere una
qualche utilità speciale per la femmina in questa stagione, che
comprende la maggior parte del tempo in cui essa porta corna. E non è
neppure probabile che possa avere ereditato le corna da qualche antico progenitore
di tutta la famiglia dei cervi; perchè, dal fatto che i maschi soli di
tante specie in tutte le parti del globo posseggono corna, noi possiamo
conchiudere che questo fu il carattere primordiale del gruppo. Quindi sembra
che le corna debbano essere state trasmesse dal maschio alla femmina in un
periodo susseguente alla divergenza delle varie specie da uno stipite comune;
ma questo non ebbe luogo per darle un qualche speciale vantaggio.
Sappiamo che le corna nella renna si
sviluppano in una età insolitamente giovanile; ma non si conosce quale
possa essere stata la causa di questo. Tuttavia l’effetto è stato da
quanto pare la trasmissione delle corna ai due sessi. Colla ipotesi della
pangenesi riesce intelligibile, che un lievissimo mutamento nella costituzione
del maschio, sia nei tessuti della fronte o nelle gemmule delle corna, possa
condurre al loro sviluppo giovanile; e siccome i giovani dei due sessi hanno
quasi la stessa costituzione prima del periodo della riproduzione, le corna, se
si sviluppano nel maschio di buon’ora, tenderanno a svilupparsi nello stesso
modo nei due sessi. In appoggio a questa vista, noi dobbiamo tenere a mente che
le corna sono sempre trasmesse per mezzo della femmina, e che essa ha una
capacità latente pel loro sviluppo, come vediamo in femmine vecchie o
ammalate. Inoltre le femmine di alcune altre specie di cervi, sia normalmente
od occasionalmente, mostrano rudimenti di corna; così la femmina del Cervolus
moschatus ha “ciuffi setolosi, che finiscono in un rigonfiamento, invece
che non in un corno”, e “ nella maggior parte degli esemplari del Wapiti (Cervus
canadensis) vi è una protuberanza acuta ossea invece del corno”. Da
queste varie considerazioni noi possiamo concludere che l’avere la femmina
della renna corna benissimo sviluppate è dovuto a ciò che i
maschi le acquistarono dapprima come armi per combattere altri maschi; e
secondariamente al loro essersi sviluppate, per qualche ignota cagione, in una
età insolitamente giovanile nei maschi, e la loro conseguente trasmissione
ai due sessi.
Veniamo ora ai ruminanti cavicorni:
nelle antilopi si può trovare una serie graduata, che comincia colle
specie in cui le femmine mancano al tutto di corna – passando a quelle che
hanno corna tanto piccole che sono quasi rudimentali, come nell’Antilocapra
Americana – a quelle che hanno corna benissimo sviluppate, ma evidentemente
più piccole e più sottili che non nel maschio, e talora di
una forma differente e che termina con quelle in cui i due sessi hanno corna di
pari mole. Come nella renna, così nelle antilopi esiste una relazione
fra il periodo dello sviluppo delle corna e la loro trasmissione ad un sesso o
ad entrambi; è quindi probabile che la loro presenza o la loro mancanza
nelle femmine di alcune specie, e la loro condizione più o meno perfetta
nelle femmine di altre specie, dipendono non dall’essere esse di uno qualche
uso speciale, ma semplicemente dalla forma di eredità che ha prevalso.
Concorda con questo modo dl vedere il fatto che anche nello stesso ristretto
genere i due sessi di alcune specie, ed i maschi soli di altre specie, sono
stati in tal modo forniti. È un fatto notevole che, quantunque le
femmine dell’Antilope bezoartica siano normalmente mancanti di corna, il
signor Blyth ha veduto non meno di tre femmine così fornite; e non v’ha
ragione per credere che fossero vecchie o ammalate. I maschi di questa specie
hanno lunghe corna a spira, quasi parallele fra loro, e che si dirigono
all’indietro. Quelle della femmina, quando ci sono, hanno una forma molto differente,
perchè non sono a spira, e si stendono largamente piegandosi in rotondo,
cosicchè le loro punte si dirigono allo innanzi. È un fatto ancor
più notevole che nel maschio castrato, come mi ha comunicato il signor
Blyth, le corna hanno la stessa forma particolare che la femmina, ma sono
più lunghe e più spesse. In tutti i casi le differenze fra le
corna dei maschi e quelle delle femmine, e dei maschi castrati ed interi,
dipendono probabilmente da varie cause – dalla maggiore o minore compiuta trasmissione
dei caratteri maschili alle femmine, – dallo stato primiero dei progenitori
della specie, – ed in parte forse da ciò che le corna essendo
differentemente nudrite, quasi nello stesso modo come gli sproni del gallo
domestico quando sono inseriti nella cresta o in altra parti del corpo,
assumono varie forme anormali per essere differentemente nutrite.
In tutte le specie selvatiche di capre
e di pecore le corna sono più grandi nel maschio che non nella femmina e
talora mancano in quest’ultima. In parecchie razze domestiche di pecore e di
capre, i maschi soltanto hanno corna; ed è un fatto importante che in
una razza domestica di pecore della costa, di Guinea le corna non si
sviluppano, come mi ha riferito il signor Widwood Reade, nel maschio castrato;
di modo che per questo rispetto segue qui come nelle corna dei cervi. In alcune
razze, come in quella della Galles del nord, nella quale i due sessi sono
propriamente cornuti, le femmine van molto soggette a non aver corna. In questa
medesima pecora, siccome mi ha riferito una persona degna di fede che aveva
ispezionato apposta una gregge durante il tempo del figliare, alla nascita le
corna sono generalmente molto più sviluppate nel maschio che non nella
femmina. Nel bue muschiato adulto (Ovibos moschatus) le corna del maschio
sono più grandi che non quelle della femmina, e in quest’ultima le basi
non si toccano. Rispetto al bestiame comune il signor Blyth osserva: “Nella
maggior parte degli animali bovini selvatici le corna sono più lunghe e
più spesse nel toro che non nella vacca, e nella vacca Banteng (Bos
sondaicus) le corna sono notevolmente piccole e inclinate molto
all’indietro. Nelle razze del bestiame domestico, tanto i tipi colla gobba come
quelli senza, le corna sono piccole e grosse nel toro, sono più lunghe e
più sottili nella vacca e nel bue; e nel bufalo indiano sono più
corte e più spesse nel maschio, più lunghe e più sottili
nella femmina. Nel selvatico B. gaurus le corna sono grandemente
più lunghe e più sottili nel maschio che non nella femmina”.
Quindi nella maggior parte dei ruminanti cavicorni le corna del maschio sono o
più lunghe o più forti che non quelle della femmina. Nel Rhinoceros
simus, siccome io posso aggiungere qui, le corna della femmina sono in
generale più lunghe ma meno forti che non quelle del maschio; e si dice
che in alcune altre specie di rinoceronti siano più corte nella femmina.
Da questi vari fatti noi possiamo conchiudere che le corna di ogni sorta, anche
quando sono egualmente sviluppate nei due sessi, furono primieramente acquistate
dai maschi onde vincere altri maschi, e sono state trasmesse più o meno
compiutamente alla femmina, in relazione colla forza della eguale forma di
eredità.
Le difese dell’elefante, nelle
differenti specie o razze, differiscono secondo il sesso, quasi nello stesso
modo come le corna dei ruminanti. Nelle Indie ed a Malacca i maschi soli sono
muniti di difese bene sviluppate. L’elefante di Ceylan è considerato
dalla maggior parte dei naturalisti come una razza distinta, ma da alcuni come
una specie distinta, e qui “non se ne trova uno su cento con le difese, i pochi
che le posseggono sono esclusivamente maschi”. L’elefante africano è
senza dubbio distinto, e la femmina ha difese grandi e bene sviluppate, sebbene
non tanto grandi come quelle del maschio. Queste differenze nelle difese delle
varie razze e specie di elefanti – la grande variabilità delle corna del
cervo, specialmente delle renne selvatiche – la presenza occasionale delle
corna nella Antilope bezoartica femmina – la presenza di due zanne in
alcuni pochi narvali maschi – l’assoluta mancanza delle zanne in alcune femmine
dei trichechi – sono tutti esempi della somma variabilità dei caratteri
sessuali secondari, e della loro somma facilità a differire in forme
strettamente affini.
Quantunque le zanne e le corna sembrino
in tutti i casi essere state primamente sviluppate come armi sessuali, esse
sovente servono per altri usi. L’elefante adopera le sue difese per aggredire
la tigre; secondo Bruce, esso intacca i tronchi degli alberi finchè possano
essere agevolmente gettati giù, ed estrae pure in tal modo l’interno
farinaceo delle palme; nell’Africa esso adopera sovente una difesa, e questa
è sempre la stessa, per tastare il terreno ed assicurarsi così se
può sopportare il suo peso. Il toro comune difende la mandra colle
corna; e, secondo Loyd, si sa che l’alce in Svezia stende morto un lupo con un
solo colpo delle sue grandi corna. Si potrebbero riferire molti fatti
consimili. Uno degli usi secondari più curiosi cui compiono talvolta le
corna di qualunque animale, è quello osservato dal capitano Hutton nella
capra selvatica (Capra ægagrus) dell’Imalaia, e, come si dice,
nello stambecco, che cioè quando il maschio cade per accidente da
un’altura egli piega in giù il capo, e, cadendo sulle sue corna massicce,
smorza l’urto della caduta. La femmina non può adoperare in tal modo le
sue corna, che sono più piccole, ma per la sua indole più
tranquilla non ha molto bisogno di questo strano genere di scudo.
Ogni animale maschio adopera le sue
armi nel suo modo particolare. L’ariete comune investe e colpisce con tal forza
colla base delle sue corna, che ho veduto un uomo robusto rovesciato colla
stessa facilità come se fosse stato un fanciullo. Le capre e certe
specie di pecore, per esempio l’Ovis cycloceros dell'Afganistan, si alza
sulle zampe posteriori, e allora non solo colpiscono, ma feriscono colla parte
angolosa delle loro corna a mo’ di scimitarra, come con una sciabola. Quando l’O.
cycloceros aggrediva un grosso ariete domestico, che era un famoso lottatore,
lo vinceva per la semplice novità del suo modo di combattere,
stringendosi sempre ad un tratto al suo avversario, e dandogli un colpo sulla
faccia e sul naso colla sua acuta testa, e poi scostandosi prima che il colpo
fosse reso. Nel maschio della capra del Pembrokeshire, si sa che il duce di una
gregge che durante varie generazioni è divenuta selvatica ha ucciso
parecchi altri maschi in duello; questa capra possiede corna enormi, che
misurano un metro in una linea retta da un capo all’altro. Come tutti sanno, il
toro comune ferisce e rovescia il suo avversario; ma si dice che il bufalo
italiano non adopera mai le sue corna, dà un tremendo colpo colla sua
fronte convessa, e allora si mette sotto le ginocchia il nemico caduto –
istinto che il bue comune non possiede. Quindi un cane che addenta un bufalo al
naso è immediatamente stritolato. Noi dobbiamo tuttavia ricordare che il
bufalo italiano è stato da un pezzo addomesticato, e non è per
nulla certo che la forma del genitore selvatico avesse corna in tal modo
foggiate. Il signor Bartlett m’informa che quando una femmina del Bufalo del
Capo (Bubalus caffer) venne chiusa in un. recinto con un maschio della
stessa specie, essa lo aggredì, ed egli in ricambio la respinse fuori
con grande violenza. Ma il signor Bartlett rimase persuaso che se il maschio
non avesse mostrato una dignitosa tolleranza, egli avrebbe potuto agevolmente
ucciderla con un solo colpo delle sue immense corna. La giraffa adopera le sue
brevi corna coperte di peli che sono alquanto più lunghe nel maschio che
non nella femmina, in un modo curioso perchè col suo lungo collo dondola
il capo per ogni verso quasi dall’insù all’ingiù, con tal forza,
che ho veduto una dura tavola profondamente intaccata da un semplice colpo.
Nelle antilopi è talvolta
difficile immaginare come possano adoperare Le loro corna curiosamente
foggiate; così l’Antilope euchore ha corni piuttosto corti e
diritti, con. punte acute rivolte all’indietro quasi ad angolo retto, tanto che
stanno di faccia l’uno all’altro; il signor Bartlett non sa in qual modo se ne
serva, ma suppone che debbano fare una grave ferita da ogni lato della faccia
di un avversario. Le corna lievemente incurvate dell’Oryx leucoryx si
dirigono all’indietro, e sono tanto lunghe che le loro punte vanno oltre la
metà del dorso, sul quale stanno in una linea quasi parallela.
Così foggiate sembrano essere singolarmente male acconce per combattere,
ma il signor Bartlett m’informa che quando due di questi animali si preparano
alla lotta, s’inginocchiano, col corpo fra le gambe anteriori, e in questa
attitudine le corna stanno quasi parallele e vicine al terreno, colle punte
dirette allo innanzi e un tantino all’insù. I combattenti allora si
accostano gradatamente l’uno all’altro e cercano di introdurre le punte rivoltate
sotto il corpo l’uno dell’altro; se l’animale riesce nel far questo, si alza
repentinamente, rialzando il capo allo stesso tempo, e può così
ferire e forse anche trafiggere il suo avversario. I due animali
s’inginocchiano sempre per ripararsi quanto è possibile contro questo
maneggio. È stato ricordato che uno di questi antilopi ha adoperato con
buon esito le sue corna contro un leone; tuttavia, essendo obbligata di porre
il suo corpo fra le zampe anteriori onde portare le punte delle corna allo innanzi,
essa avrebbe in generale un grande svantaggio quando fosse aggredita da
qualunque altro animale. Non è tuttavia probabile che le corna
siano state modificate nella loro grande lunghezza attuale e particolare
posizione, come una protezione contro gli animali da preda. Noi possiamo
però vedere che appena un qualche antico progenitore maschio dell’Oryx
ebbe acquistato corna moderatamente lunghe, dirette un tantino all’indietro,
egli dovette essere obbligato nelle sue lotte coi suoi rivali maschi a piegare
il capo un po’ più in giù come fanno ora certi cervi; e non
è improbabile che egli possa aver acquistato l’abito dapprima
occasionalmente e poi regolarmente di inginocchiarsi. In questo caso è
quasi certo che i maschi i quali possedevano le corna più lunghe
avrebbero dovuto avere un grande vantaggio sopra gli altri con corna più
corte; e allora le corna sarebbero divenute sempre più lunghe,
mercè la scelta sessuale, finchè avrebbero acquistato la loro
straordinaria lunghezza e posizione attuale.
Nei cervi di molte sorta, il
ramificarsi delle corna offre un caso curioso di difficoltà,
perchè certamente una sola punta acuta diritta avrebbe fatto una ferita
molto più grave che non parecchie punte divergenti. Nel museo di sir
Filippo Egerton vi è un corno di cervo (Cervus elaphus) lungo
settantotto centimetri “con non meno di quindici rami” e a Moritzburg si
conserva ancora un paio di corni di un cervo ucciso nel 1699 da Federico I,
ognuno dei quali porta il numero prodigioso di trentatre rami. Richardson ha disegnato
un paio di corna della renna selvatica con ventinove punte. Dal modo in cui le
corna si diramano, e più specialmente da ciò che si sa che i
cervi combattono occasionalmente fra loro tirando calci colle gambe anteriori,
il signor Bailly venne ora a conchiudere che le corna loro siano più
nocevoli che non utili! Ma questo autore dimentica le battaglie campali fra i
maschi rivali. Siccome io ero molto incerto intorno all’uso od
all’utilità dei rami, mi rivolsi al signor Mc. Neill di Colinsay, il
quale ha osservato lungamente e con molta cura i costumi del cervo, ed egli mi
informò che non ha mai veduto nessuno dei rami venir messo in opera, ma
che le corna della fronte, piegandosi in giù, sono una grande difesa per
la fronte, e le loro punte sono del pari adoperate per aggredire. Sir Filippo
Egerton, mi ha pure riferito, per quello che riguarda il cervo comune ed il
daino, che quando combattono essi repentinamente si avventano insieme, e
piantando le corna contro il corpo dell’avversario ne segue una lotta
disperata. Quando uno è finalmente obbligato a cedere, il vincitore
cerca di immergere le sue corna frontali nel vinto nemico. Da ciò sembra
che i rami superiori sono principalmente od esclusivamente adoperati per urtare
e per schermirsi. Nondimeno in alcune specie i rami superiori sono adoperati
come armi offensive; quando un uomo venne aggredito da un Wapiti nel parco del
giudice Caton nell’Ottawa, e parecchi uomini cercarono di liberarlo, il cervo
non alzò mai il suo capo dal terreno; infatti tenne il suo muso quasi
posato sulla terra col naso fra le zampe anteriori, tranne quando volse il capo
da un lato onde prendere una nuova via per prepararsi a ferire. “In questa
posizione le sue corna erano dirette contro i suoi avversari. Volgendo il capo
dovette necessariamente sollevarlo un tantino, perchè le sue diramazioni
erano tanto lunghe che non poteva volgere il capo senza alzarle da un lato,
mentre dall’altro toccavano il terreno”. Il cervo con questo maneggio a poco a
poco fece retrocedere la comitiva di salvatori alla distanza di 50 o
Quantunque le corna dei cervi siano
armi efficaci, non vi può essere, credo, alcun dubbio, che una semplice
punta sarebbe stata molto più pericolosa che non un corno ramificato, ed
il Giudice Caton, il quale ha molta esperienza di questi animali, è
pienamente di questa opinione. Parimente, le corna ramificate, sebbene di
grandissima importanza come mezzi di difesa contro i cervi rivali, non sembrano
essere bene acconce per questo scopo, siccome vanno soggette ad avviticchiarsi.
Perciò mi è passato per la mente il sospetto che potessero
servire in parte come ornamento. Nessuno può negare che le corna ramose
dei cervi come pure le eleganti corna a lira di certi antilopi colla loro
doppia curva così graziosa non siano ornamenti ai nostri occhi. Se
dunque le corna, come gli splendidi abbigliamenti degli antichi cavalieri,
accrescono bellezza al nobile aspetto dei cervi e delle antilopi, possono
essere state in parte modificate per questo scopo, sebbene lo siano state
principalmente pel servizio attuale in battaglia; ma non ho nessuna prova in
favore di questa credenza.
Un caso interessante è stato
ultimamente pubblicato, dal quale appare che le corna di un cervo in una
provincia degli Stati Uniti vanno ora modificandosi per opera della scelta
sessuale e della scelta naturale. Uno scrittore di un eccellente giornale
americano dice che ha cacciato per questi ultimi ventun’anni nell’Adirondacks,
ove abbonda il Cervus Virginianus. Circa quindici anni fa udì per
la prima volta parlare di maschi dalle corna a punta. Di anno in anno
questi divennero sempre più comuni; cinque anni or sono egli ne uccise
uno, e poi un altro, ed ora se ne uccidono frequentemente altri. “Il corno a
punta differisce molto dalle corna comuni del C. Virginianus. È
fatto di un’unica punta, più sottile che non le punte delle corna
comuni, ed è lungo appena la metà di quelle che sporgono
all’infuori della fronte, e terminano in una punta acutissima. Questo corno
dà un notevole vantaggio al suo possessore sul cervo comune. Inoltre
rendendolo più acconcio a correre rapidamente in mezzo ai fitti boschi e
alle boscaglie (ogni cacciatore sa che le femmine ed i maschi minori di un anno
corrono molto più rapidamente dei grossi maschi armati delle loro corna
che li impacciano) il corno a punta è un’arma più efficace che
non le corna comuni. Con questo vantaggio i cervi dalle corna a punta vanno
guadagnando terreno sui cervi comuni, e possono col tempo sostituirli interamente
nell’Adirondacks. Senza dubbio il primo cervo dalle corna a punta non fu che un
capriccio accidentale della natura. Ma le sue corna a punta gli davano un
vantaggio, e lo resero atto a propagare quella sua particolarità. I suoi
discendenti, avendo un vantaggio simile, hanno propagato quella
particolarità in un grado costantemente maggiore, finchè essi
vanno ora facendosi più numerosi e ricacciano fuori dalla regione che
abitano i cervi dalle corna ramose”.
I maschi dei quadrupedi che sono
forniti di zanne le adoperano in vari modi come nel caso delle corna. Il
cinghiale colpisce lateralmente ed all’insù, il mosco colpisce
all’ingiù con grave effetto. Il tricheco, sebbene abbia un collo
così corto ed un corpo così tozzo “può colpire tanto
all’insù, quanto all’ingiù o lateralmente con eguale destrezza”.
L’elefante indiano combatte; come mi disse il defunto dottor Falconer, in un
modo differente secondo la posizione e l’incurvatura delle sue difese. Quando
queste son rivolte all’innanzi ed all’insù egli può sbalzare una
tigre a grande distanza – si dice anche a nove metri; quando sono corte e
rivolte all’ingiù cerca di infilzare repentinamente la tigre sul
terreno, e quindi è pericoloso per quello che gli sta sopra, che in tal
modo può essere sbalzato dalla hoodah.
Pochissimi quadrupedi maschi posseggono
due sorta distinte di armi specialmente acconce per combattere coi maschi
rivali. Il cervo muntiac maschio (Cervulus) tuttavia presenta una
eccezione, siccome fornito di corna e di denti canini sporgenti. Ma una forma
di arma è stata spesso sostituita nel corso dei secoli ad un’altra
forma, come possiamo dedurre da ciò che segue. Nei ruminanti lo sviluppo
delle corna sta in generale in rapporto inverso con quello dei denti canini
anche moderatamente bene sviluppati. Così i camelli, i guanacos, i
cervuli ed i moschi sono senza corna, ed hanno validi denti canini; questi
denti hanno sempre mole più piccola nelle femmine che non nei maschi. I
Camelidi hanno nella mascella superiore, oltre ai veri canini, un paio di
incisivi caniniformi. Il cervo e l’antilope maschio, d’altra parte, posseggono
corna, e di rado hanno denti canini; e questi quando sono presenti hanno sempre
piccola mole, cosicchè è dubbio se sian loro utili nei
combattimenti. Nell’Antilope montana esistono solo come rudimenti nel
maschio giovane, scompaiono quando diventa vecchio; e mancano nella femmina in
tutte le età; ma si sa che le femmine di certe altre antilopi e cervi
presentano occasionalmente rudimenti di questi denti. Gli stalloni hanno
piccoli denti canini, che nella cavalla mancano affatto o sono rudimentali: ma
non pare che vengano adoperati per combattere, perchè gli stalloni
mordono cogli incisivi, e non spalancano la bocca come fanno i camelli ed i
guanacos. Ogniqualvolta il maschio adulto ha denti canini ora in uno stato
inefficace, mentre la femmina non ne ha alcuno od ha semplici rudimenti; noi
possiamo conchiudere che il primitivo progenitore maschio della specie era
provvisto di denti canini efficaci, che vennero poi parzialmente trasmessi alle
femmine. Il rimpicciolimento di questi denti nei maschi sembra aver avuto luogo
per qualche mutamento nel loro modo di combattere cagionato sovente (ma non nel
caso del cavallo) dallo sviluppo di nuove armi.
Le zampe e le corna sono evidentemente
di grandissima importanza per quelli che le posseggono, perchè il loro
sviluppo consuma molta materia organizzata. Si sa che una semplice difesa
dell’elefante asiatico – una delle specie lanose estinte – e dell’elefante
africano, pesavano rispettivamente 70, 76 e
Quando nei quadrupedi, come è
sovente il caso, i sessi differiscono nella mole, i maschi sono, credo, sempre
più grandi e più forti. Questa regola si mantiene, come mi ha
informato il signor Gould, molto notevolmente nei marsupiali di Australia, i
maschi dei quali sembra che continuino a crescere fino ad una età
insolitamente tarda. Ma il caso più straordinario è quello di una
foca (Callorhinus ursinus), in cui una femmina adulta pesa meno di un
sesto di un maschio adulto. La maggior forza del maschio è
invariabilmente spiegata, come osservò lungo tempo fa Hunter, in quelle
parti del corpo che hanno parte nella lotta contro i maschi rivali, – per
esempio, nel collo massiccio del maschio. I maschi dei quadrupedi sono pure
molto più coraggiosi e battaglieri che non le femmine. Non vi può
esser dubbio che questi caratteri sono stati acquistati in parte per opera
della scelta sessuale, in seguito ad una lunga serie di vittorie dei maschi
più forti e più coraggiosi sopra i più deboli, ed in parte
per gli effetti ereditati dell’esercizio. È probabile che le successive
variazioni, in forza, mole e coraggio, tanto se dovute alla cosidetta
variabilità spontanea quanto agli effetti dell’esercizio, per
l’accumulamento del quale i quadrupedi maschi hanno acquistato queste
qualità caratteristiche, seguirono piuttosto tardi nella vita, e furono
in conseguenza limitate in un grado esteso nella loro trasmissione al medesimo
sesso.
Da questo punto di vista io ero ansioso
di ottenere qualche informazione rispetto al cane da cervi scozzese, i sessi
del quale differiscono più nella mole che non quelli di qualunque altra
razza (sebbene i cani sanguinari differiscono notevolmente), o che non in
qualunque specie canina selvatica che io conosca. In conseguenza, mi rivolsi al
signor Cupples, allevatore conosciutissimo di questi cani, che aveva pesato e
misurato molti dei suoi propri cani, e che, con grande bontà, raccolse
per me da varie sorgenti i seguenti fatti. Cani maschi distinti, misurati alla
spalla, vanno da settantadue centimetri, che è il meno, a ottantacinque
o anche ottantasette centimetri di altezza; e nel peso da trentotto
chilogrammi, che è il meno, a 58, o anche più. Le femmine sono in
altezza da cinquantanove fino a settanta centimetri; ed in peso da venticinque
a trentacinque od anche a quaranta chilogrammi. Il signor Cupples conchiude che
da quarantasei a quarantotto chilogrammi pel maschio, e trentaquattro per la
femmina, sarebbe la media giusta; ma vi è ragione per credere che
anticamente i due sessi venissero ad un peso più grande. Il signor
Cupples ha pesato cagnolini quando avevano due settimane di età; nei
nati di un parto il peso medio dei quattro maschi superava quello di due
femmine di
I maschi di alcuni pochi quadrupedi
posseggono organi o parti sviluppate soltanto come mezzi di difesa contro le
aggressioni di altri maschi. Alcune specie di cervi adoperano, come abbiamo
veduto, i rami superiori delle loro corna principalmente od esclusivamente per
difendersi; e l’antilope Oryx, come mi ha informato il signor Bartlett, si
schermisce molto destramente colle sue corna lunghe e dolcemente incurvate; ma
queste pure sono adoperate come organi offensivi. I rinoceronti, come avverte
lo stesso osservatore, si parano a vicenda i colpi colle loro corna, che si
urtano rumorosamente fra loro, come segue per le zanne dei cinghiali.
Quantunque i cinghiali selvatici combattano disperatamente fra loro, di rado,
secondo Brehm, ricevono colpi fatali, perchè questi ricadono sempre
sulle zanne di entrambi, o sullo strato di pelle dura che loro copre la spalla,
che i cacciatori tedeschi chiamano scudo; e qui abbiamo una parte specialmente
modificata per la difesa. Nei Cinghiali di prima gioventù le zanne
della mascella inferiore sono adoperate per combattere, ma invecchiando
divengono, come afferma Brehm, tanto ricurve all’indentro ed all’insù,
sopra il grugno, che non possono più essere adoperate a quello scopo.
Tuttavia possono ancora continuare a servire, ed anche in un modo più
efficace, come mezzi di difesa. In compenso della perdita delle zanne inferiori
come armi offensive, quelle della mascella superiore, che sporgono sempre, un
po’ lateralmente, crescono tanto in lunghezza durante l’età adulta, e
s’incurvano tanto all’insù, che possono venire adoperate come mezzi di
aggressione. Nondimeno un vecchio cinghiale non è tanto pericoloso per
l’uomo quanto un cinghiale in età di sei o sette anni.
Nel maschio adulto del babirussa delle
Celebi, le zanne inferiori sono armi formidabili, come quelle del cinghiale
europeo giovane, mentre le zanne superiori sono tanto lunghe ed hanno le loro
punte così incurvate all’indentro, e talvolta anche toccanti la fronte,
che come armi offensive sono al tutto inutili. Rassomigliano quasi più a
corna che non a denti, e sono chiaramente inutili, come denti che dapprima si
suppone che l’animale riposasse il suo capo agganciandole ad un ramo. Tuttavia
la loro superficie convessa servirebbe, qualora il capo fosse tenuto un po’
lateralmente, come una eccellente difesa; quindi è forse per questo che
nei vecchi animali sono rotte, come per combattimento”. Dunque noi abbiamo qui
un caso curioso delle zanne superiori del babirussa che assumono regolarmente
nella prima età una struttura che da quanto pare le rende atte solo alla
difesa; mentre nel cinghiale europeo le zanne inferiori, ed opposte assumono in
un grado minore e solo nella vecchiezza quasi la stessa forma, ed allora
servono parimente soltanto come armi difensive.
Nel facocero (Phacochoerus
ætiopicus), le zanne della mascella superiore del maschio s’incurvano
all’insù durante la prima età, ed essendo a punta servono come
armi formidabili. Le zanne della mascella inferiore sono più taglienti
che non quelle della superiore, ma per essere tanto corte non par guari
possibile che possano venire adoperate come armi aggressive. Tuttavia debbono
accrescer forza a quelle della mascella superiore, perchè sono
appoggiate in tal modo da aggiustarsi proprio vicino alla loro base. Non sembra
che nè le zanne superiori nè le inferiori siano mal state
modificate per servir di difesa, sebbene senza dubbio vengano adoperate fino a
un certo punto per questo scopo. Ma il facocero non manca di altri speciali
mezzi di protezione, perchè da ogni lato della faccia sotto gli occhi,
possiede un cuscinetto oblungo, piuttosto duro, sebbene flessibile, cartilaginoso,
che sporge in fuori circa sette centimetri, e parve al signor Bartlett ed a me,
quando osservavano quell’animale vivo, che questi cuscinetti quando venivano
colpiti di sotto dalle zanne di un avversario avrebbero dovuto ripiegarsi in
su, e così avrebbero potuto proteggere in modo meraviglioso occhi
alquanto sporgenti. Questi cinghiali, come posso soggiungere citando
l’autorità del signor Bartlett, quando combattono fra loro, stanno
direttamente faccia contro faccia.
Infine il potamochero d’Africa (Potamochærus
penicillatus) ha una prominenza dura cartilaginosa da ogni lato della
faccia sotto gli occhi, che risponde al cuscinetto flessibile del facocero; ha
pure due prominenze ossee sulla mascella superiore sopra le narici. Un
cinghiale di questa specie nel Giardino Zoologico di. Londra irruppe
recentemente nella gabbia del facocero. Essi combatterono per tutta la notte, e
l’indomani mattina furono trovati molto esausti di forze, ma senza gravi
ferite. È un fatto significante, perchè dimostra lo scopo
delle prominenze ed escrescenze sopra descritte; che queste erano coperte di
sangue, ed erano ferite e graffiate in un modo straordinario.
La criniera del leone è una
buona difesa contro l’unico pericolo cui egli può andare incontro,
cioè le aggressioni di leoni rivali; perchè i maschi, secondo
quello che mi disse sir A. Smidt, impegnano lotte terribili, ed un giovane
leone non osa accostarsi ad un vecchio leone. Nel 1857 una tigre a Bramwich
irruppe nella gabbia di un leone; e ne seguì una scena spaventosa; “la
criniera del leone gli salvò il collo ed il capo da gravi ferite, ma la
tigre riuscì a lacerargli l’umbellico, ed in pochi minuti lo rese
morto”. Il largo collare che contorna la gola ed il mento della lince del
Canadà (Felis Canadensis) è molto più lungo nel
maschio che non nella femmina; ma non so se serva o no di difesa. È noto
che i maschi delle foche combattono disperatamente insieme, ed i maschi di
certe specie (Otaria jubata) hanno grandi criniere, mentre le femmine le
hanno piccole o non ne hanno affatto. Il babbuino maschio del Capo di Buona
Speranza (Cynocephalus porcarius) ha una criniera molto più
lunga, e denti canini più grossi che non quelli della femmina; e la
criniera serve probabilmente di protezione, perchè avendo chiesto ai
guardiani del Giardino Zoologico, senza far loro capire il mio scopo, se
qualche scimmia ne aggredisca altra pel pelo del collo, mi fu risposto che
ciò non seguiva mai, tranne nel caso del suddetto babbuino.
Nell’Amadriade Ehrenberg compara la criniera del maschio adulto a quella di un
giovane leone, mentre nei giovani dei due sessi e nella femmina la criniera
è quasi mancante.
Mi è parso probabile che
l’immensa criniera lanosa del maschio del bisonte americano, che tocca quasi il
terreno, ed è molto più sviluppata nei maschi che non nelle
femmine, serva a proteggerli nelle loro fiere battaglie; ma un esperto
cacciatore disse al Giudice Caton che non aveva mai osservato nulla che desse
ragione a questa credenza.
Lo stallone ha una criniera più
fitta e più copiosa della cavalla, ed io feci particolari ricerche
presso due grandi allevatori, ed educatori che avevano avuto che fare con molti
cavalli interi, e mi assicurarono che essi “invariabilmente cercavano di
afferrarsi a vicenda pel collo”. Non si può tuttavia dedurre dai
sopraddetti fatti che quando il pelo del collo serve come difesa sia stato in
origine sviluppato per questo fine, sebbene ciò sia in alcuni casi
probabile, come per esempio in quello del leone. Il sig. Mc. Neill mi ha
riferito che i lunghi peli che sono sulla gola del cervo (Cervus elaphus) gli
servono di grande protezione quando è cacciato, perchè in
generale i cani cercano di afferrarlo alla gola, ma non è probabile che
questi peli si siano specialmente sviluppati per questo scopo; altrimenti
possiamo esser certi che i giovani e le femmine sarebbero stati ugualmente
protetti.
Della preferenza o scelta
nell’accoppiamento come viene dimostrata da ambo i sessi nei quadrupedi.
– Prima di descrivere nel prossimo capitolo le differenze fra i sessi nella
voce, nell’odore emesso, e negli ornamenti, sarà conveniente considerare
qui se i sessi esercitano una qualche scelta nelle loro unioni. Preferisce la
femmina un qualche maschio particolare prima o dopo che i maschi abbian
combattuto fra loro per ottenere la supremazia; oppure il maschio, quando non
è poligamo, sceglie una qualche femmina particolare? L’impressione
generale fra gli allevatori sembra essere che il maschio accetta una femmina
qualunque; e questo, in ragione del suo ardore, è probabilmente
così nel maggior numero dei casi. È molto più dubbio che
la femmina in regola generale accetti indifferentemente qualunque maschio. Nel
capitolo decimoquarto, parlando degli uccelli, venne riferito un gran numero di
prove dirette ed indirette che dimostravano come la femmina si scelga il suo
compagno; e sarebbe una strana anomalia se le femmine dei quadrupedi, che sono
più elevate di quelli nella scala dell’organizzazione ed hanno poteri
mentali più alti, non esercitassero, se non generalmente, almeno spesso,
una qualche scelta. La femmina può nella maggior parte dei casi
sfuggire, allorchè è cercata da un maschio che non le piace o non
la eccita; e quando è inseguita, come accade continuamente, da parecchi
maschi, essa può avere sovente l’opportunità mentre combattono
assieme, di sfuggir loro, o almeno di accoppiarsi temporaneamente con un
qualche maschio. Quest’ultima. circostanza è stata spesso osservata in
Scozia nella femmina del cervo come fui informato da sir Filippo Egerton.
Non è guari possibile che si possa
conoscere gran cosa se le femmine dei quadrupedi allo stato di natura facciano
una scelta nelle loro nozze. I seguenti curiosissimi particolari intorno al
corteggiamento di una otaria (Callorhinus ursinus) sono riferiti secondo
l’autorità del cap. Bryant, che ebbe ampie opportunità per
osservare. Egli dice: “Molte femmine al loro arrivo nell’isola ove devono dar
opera alla riproduzione sembrano desiderose di tornare verso un qualche maschio
particolare, e frequentemente si arrampicano sulle rocce circostanti per
osservare il contorno chiamando ed ascoltando qualche voce familiare. Poi
andando da un luogo all’altro ripetono lo stesso maneggio... Appena una femmina
giunge sulla riva il maschio più vicino le si muove incontro, facendo
intanto un rumore simile al chiocciare della gallina ai suoi pulcini. Egli le
fa inchini e l’accarezza finchè venga a collocarsi fra l’acqua e la
nuova venuta, cosicchè questa non possa sfuggirgli. Allora muta stile, e
con un fiero grugnito la conduce in un luogo del suo harem. Questo
maneggio continua finchè la fila inferiore del suo harem sia quasi
compiuta. Allora i maschi che stanno più in su scelgono il momento in
cui i loro più fortunati vicini non fanno la guardia per rubare loro le
mogli. Questo fanno prendendole colla bocca e facendole passare sul capo delle
altre femmine, e collocandole con gran cura nel loro proprio harem, portandole
in bocca come fa la gatta dei gattini. Quelli che stanno ancor più in su
seguono lo stesso metodo finchè tutto lo spazio sia occupato. Spesso
segue una lotta fra due maschi pel possesso di una medesima femmina, ed
entrambi afferrandola ad un tempo la dividono in due o la dilaniano
terribilmente coi denti. Quando lo spazio è tutto pieno il maschio
vecchio passeggia intorno con compiacenza passando in rassegna la sua famiglia,
dando un rabbuffo a quelli che si affollano o disturbano gli altri, e
respingendo fieramente tutti gli intrusi. Questa sorveglianza lo tiene sempre
attivamente occupato”.
Siccome si conosce tanto poco intorno
al corteggiamento degli animali allo stato di natura, ho cercato di scoprire
fino a che punto i nostri quadrupedi domestici operino una scelta nelle loro
unioni. I cani presentano il miglior campo per osservare, siccome sono quelli
cui si bada con maggior cura e che si comprendono meglio. Molti allevatori
hanno espresso una energica opinione su questo particolare. Così il
signor Mayhew osserva: “Le femmine possono donare il loro affetto; e le tenere
ricordanze amorose hanno tanta forza sopra di esse, come si sa seguire in altri
casi, quando si tratta degli animali più elevati. Le cagne non sono
sempre prudenti nei loro amori, ma sono sempre pronte ad abbandonarsi ai cani
di basso grado. Se sono allevate con un compagno dall’aspetto volgare, sorge
sovente fra il paio un affetto che nessun tratto di tempo può in
avvenire distruggere. La passione, perchè tale è infatti, diviene
di una persistenza più che romantica”. Il signor Mayhew che accudiva
specialmente le razze pìù piccole, è convinto che le
femmine sono. fortunatamente attirate dai maschi di grande mole. Il notissimo
veterinario Blaine afferma che una cagna pug si affezionò per
modo ad un cane spagnolo, ed una femmina di un setter ad un cane
degenerato, che in nessun caso vollero accoppiarsi con un cane della loro propria
razza finchè non furono trascorse varie settimane. Due fatti, e degni di
fede, mi sono stati riferiti rispetto alla femmina di un retriever e di
uno spagnolo, le quali si sono innamorate di cani terrier.
Il signor Cupples m’informa che
può garantire personalmente la verità del seguente notevole caso
in cui una femmina di terrier, di prezzo e di meravigliosa intelligenza,
amò un retriever, che apparteneva ad un vicino, per modo che
dovette essere portata via colla forza da quello. Dopo la loro permanente
separazione, quantunque mostrasse ripetutamente latte nelle sue mammelle, non
volle accettare il corteggiamento di nessun altro cane, e, con dispiacere del
suo padrone, non fece mai cagnolini. Il signor Cupples afferma pure che la
femmina di un cane da cervi partorì allora (1868) nel suo canile per tre
volte, ed in ogni occasione mostrò una distinta preferenza per uno dei
più grossi e più belli, ma non dei più vivaci, dei quattro
cani da cervi che vivevano con essa, tutti giovanissimi. Il signor Cupples ha
osservato che la femmina generalmente accorda i suoi favori ad un cane col
quale abbia confidenza e che conosce; la sua ritrosia e la sua timidezza la
rendono dapprima contraria ad un cane estraneo. Il maschio, invece, sembra
piuttosto propenso alle femmine estranee. Sembra raro che il maschio rifiuti
una qualche femmina particolare, ma il signor Wright di Yeldersley House,
grande allevatore di cani, mi ha riferito che egli conosce alcuni esempi di
ciò; egli cita il caso di uno dei suoi cani da cervi, che non volle
badare ad una certa femmina di mastino, per cui dovette adoperare un altro cane
da cervi. Sarebbe superfluo riferire altri casi ed aggiungerò solo che
il signor Barr, il quale ha allevato con molta cura molti cani sanguinari,
assicura che in quasi ogni caso certi particolari individui dell’altro sesso
mostrano una decisa preferenza l’uno per l’altro. Finalmente il signor Cupples,
dopo aver tenuto dietro a questo argomento per un altro anno, mi ha scritto
recentemente. “Ebbi una piena conferma della mia: prima osservazione, che i
cani nella riproduzione sentono dichiarate preferenze gli uni per gli altri, e
spesso sono a ciò guidati dalla mole, dal bel colore e dal carattere
individuale, come pure dal grado della precedente familiarità”.
Rispetto ai cavalli, il signor
Blenkiron, il più grande allevatore di cavalli da corsa del mondo, mi ha
comunicato che gli stalloni sono tanto spesso capricciosi nella loro scelta,
respingendo una cavalla e senza nessuna ragione apparente accettandone un’altra,
che bisogna adoperare per solito vari artifizi. Per esempio, il famoso monarca,
non volle mai, sapendolo, accostarsi alla madre di gladiateur, e si
dovette ricorrere ad un sotterfugio. Noi possiamo in parte vedere la ragione
per cui stalloni da corsa di grande prezzo, che sono tanto ricercati, sono
tanto singolari nella loro scelta. Il signor Blenkiron non ha mai conosciuto
una giumenta che abbia respinto un cavallo; ma questo ebbe luogo nella scuderia
del signor Wright, cosicchè la giumenta dovette essere ingannata. Prospero Lucas cita vari esempi presi da autorità
francesi, ed osserva: “On voit des étalons qui s’èprennent d’une jument,
et nègligent toutes les autres”. Egli riferisce, sull’autorità di
Baëlen, fatti consimili intorno ai tori. Hoffberg, descrivendo la renna
addomesticata della Lapponia, dice: “Foeminae majores et fortiores mares prae
caeteris admittunt, ad eos confugiunt, a jumeribus agitatae, qui hos in fugam
conjiciunt”. Un ecclesiastico, il quale ha allevato molti maiali, mi assicura
che le scrofe respingono sovente un maschio e ne accettano immediatamente un
altro.
Secondo questi fatti non vi può
essere alcun dubbio che nella maggior parte dei nostri quadrupedi domestici si
osservano frequentemente forti antipatie e preferenze individuali, e molto
più comunemente per parte della femmina che non del maschio. Essendo
questo il caso, non è probabile che le unioni dei quadrupedi in stato di
natura siano lasciate solamente al caso. È molto più probabile
che le femmine siano attirate o eccitate da certi maschi particolari, i quali
posseggono certi caratteri in un grado più elevato che non altri maschi;
ma quali siano questi caratteri, non possiamo se non che raramente o non mai
scoprire con certezza.
CARATTERI SESSUALI SECONDARI DEI MAMMIFERI,
continuazione.
Voce -
Particolarità sessuali notevoli nelle foche - Odore - Sviluppo del pelo
- Colore del pelo e della pelle - Casi anomali di femmine più adorne dei
maschi -Colori ed ornamenti dovuti alla scelta sessuale - Colori acquistati per
scopo di protezione - Colore, sebbene comune ai due sessi, sovente dovuto alla
scelta sessuale - Intorno alla scomparsa di macchie e fasce nei quadrupedi
adulti - Dei colori e degli ornamenti dei quadrumani – Sommario.
I quadrupedi fanno uso della voce per
vari scopi, come segnale di pericolo, come richiamo di un individuo di un
branco ad un altro, o dalla madre in cerca della prole perduta, o di
quest’ultima per invocare protezione dalla madre; ma non è necessario
considerare qui cosiffatti usi. Noi non abbiamo da occuparci che della
differenza fra le voci dei due sessi, per esempio quella del leone e della
leonessa, o del toro e della vacca. Quasi tutti i maschi degli animali fanno
maggior uso della loro voce durante il tempo degli amori che non in qualunque
altro tempo, ed alcuni, come la giraffa e il porcospino, dicesi siano al tutto
muti fuori di quella sola stagione. Siccome la gola (cioè la laringe ed
i corpi tiroidei) dei cervi si allargano periodicamente al principio della
stagione delle nozze, si può credere che la potente voce debba essere in
allora in qualche modo importantissima per essi, tuttavia questo è molto
dubbio. Dai ragguagli che mi vennero dati da due esperti osservatori, il signor
Mc. Neill e sir P. Egerton, sembra che i cervi giovani minori di tre anni non
mugghiano nè gridano; e che i vecchi cominciano a muggire sul principio
del tempo della riproduzione, dapprima solo qualche volta e moderatamente,
mentre vanno in giro tutti ansiosi in traccia delle femmine. Le loro battaglie
sono annunziate da un forte e prolungato muggito, ma durante il conflitto sono
muti. Tutte le sorta di animali che adoperano consuetamente la loro voce
fanno vari rumori quando sono spinti da qualche emozione, come quando sono in
collera e stanno preparandosi alla lotta; ma questo può essere
semplicemente l’effetto del loro eccitamento nervoso che produce la contrazione
spasmodica di quasi tutti i muscoli del corpo, come quando un uomo digrigna i
denti e si torce le mani per rabbia od angoscia. Senza dubbio i cervi si
sfidano a mortale tenzone con un muggito; ma non è verosimile che questo
uso possa aver condotto mercè la scelta sessuale, cioè pel fatto
che i maschi forniti di voce più forte siano stati più vittoriosi
nelle loro lotte, al periodico ingrandimento dei loro organi vocali;
perchè i cervi dalla voce più potente, qualora non fossero stati
nello stesso tempo i più forti, i meglio armati, ed i più
coraggiosi, non avrebbero avuto nessun vantaggio sui loro rivali dotati di voce
più debole. Inoltre, i cervi che avevano voce più debole, sebbene
non così acconci a sfidare altri cervi, sarebbero stati condotti sul
luogo del combattimento tanto sicuramente quanto quelli dotati di voce
più forte.
È possibile che il ruggito del
leone possa essere di qualche servizio attuale incutendo terrore al suo
avversario; perchè quando è in collera egli solleva parimente la
sua criniera e così istintivamente cerca di farsi quanto più
può terribile. Ma non si può guari supporre che il muggito del
cervo, anche se gli sia di qualche utilità per questo riguardo, possa
essere stato abbastanza importante da produrre il periodico allargamento della
sua gola. Alcuni scrittori asseriscono che il muggito gli serve come un
richiamo per la femmina; ma gli esperti osservatori sopra menzionati mi hanno
detto che la cerva non cerca il maschio, sebbene i maschi cerchino attivamente
le femmine, come invero si può aspettare da ciò che sappiamo dei
costumi degli altri quadrupedi maschi. D’altra parte, la voce della femmina fa
accorrere in fretta uno o più cervi, come sanno benissimo i cacciatori i
quali nei paesi selvatici imitano il grido di essa. Se noi potessimo credere
che il maschio avesse il potere di eccitare od allettare la femmina colla sua
voce, l’allargamento periodico dei suoi organi vocali si comprenderebbe col
principio della scelta sessuale, unitamente all’eredità limitata allo
stesso sesso ed alla stessa stagione dell’anno; ma non abbiamo nessuna prova in
favore di questo modo di vedere. Come sta ora il caso, la voce forte del cervo
durante la stagione delle nozze non sembra essere di nessun servizio speciale
per esso, nè durante il corteggiamento o le battaglie, nè per
altro verso. Ma non possiamo noi credere che l’uso della voce, sotto il forte
eccitamento dell’amore, della gelosia e della collera, continuato durante molte
generazioni, possa alla fine aver prodotto un effetto ereditato negli organi
vocali del cervo, come pure su quelli di altri animali maschi? A noi sembra che
questo, al punto in cui sono le nostre cognizioni possa essere il modo di
vedere più probabile.
Il gorilla maschio ha una voce
tremenda, e quando è adulto è fornito di un sacco laringeo, come
lo ha pure il maschio adulto dell’urango. Gli Ilobati stanno fra le scimmie
più rumorose, e la specie dl Sumatra (Hylobates syndactylus) è
pure fornita di un sacco laringeo; ma il signor Blyth, che ebbe ogni
opportunità di osservazione, non crede che il maschio sia più
rumoroso della femmina. Quindi, queste ultime scimmie adoperano probabilmente
la loro voce come un vicendevole richiamo; e questo è certamente il caso
per certi quadrupedi, per esempio il castoro. Un altro Ilobate; H. agilis,
è degnissimo di nota per avere la facoltà di emettere una ottava
compiuta e corretta di note musicali, le quali possiamo con ragione supporre
servano di allettamento sessuale. Gli organi musicali del Micetes caraya americano
sono un terzo più larghi nel maschio che non nella femmina, e sono
meravigliosamente potenti. Queste scimmie, quando il tempo è caldo, fanno
risuonare le foreste il mattino e la sera della loro insopportabile voce. I
maschi cominciano il tremendo concerto, al quale le femmine, che hanno voce
più debole, talvolta si uniscono, e che dura sovente per molte ore. Un
osservatore eccellente, Rengger, non potè avvedersi che fossero spinti a
cominciar il loro concerto da una qualche causa particolare; egli crede che,
come molti uccelli, provino diletto nella loro propria musica, e cerchino di
superarsi fra loro. Io non pretendo dire se la maggior parte delle sopraddette
scimmie abbiano acquistato la loro voce potente onde vincere i loro rivali
allettando le femmine - o se gli organi vocali si siano ingranditi e rinforzati
mercè gli effetti ereditati pel lungo e continuo esercizio, senza che un
qualche utile particolare ne sia derivato; ma il primo modo di vedere, almeno
nel caso dell’Hylobates agilis, sembra il più probabile.
Io posso far menzione qui di due
curiosissime particolarità sessuali che s’incontrano nelle foche,
perchè certi scrittori hanno supposto che alterino la loro voce. Il naso
dell’elefante marino maschio, (Macrorhinus proboscideus), quando
è in età di circa tre anni, si allunga moltissimo durante la
stagione delle nozze, e può allora sollevarsi. In questo stato è
lungo talora trentun centimetri. In nessun periodo della vita la femmina
è così fornita, e la sua voce è differente. Quella del
maschio è un rumore aspro, duro, gorgogliante, che si sente molto da
lontano, e si crede che la proboscide lo renda più forte. Lesson compara
il sollevarsi della proboscide al rigonfiarsi dei bargigli dei maschi degli
uccelli gallinacei, mentre fanno la corte alle femmine. In un’altra specie
affine di foche, cioè nella Cistofora crestata, (Cystophora cristata),
il capo è coperto di un grande cappuccio o vescica. Questo è
interamente sostenuto dal setto del naso, che è prodotto molto
all’indietro e si alza in una cresta alta diciotto centimetri. Il cappuccio
è rivestito di pelo corto, ed è muscoloso; può enfiarsi
tanto da superare in mole tutta la testa! I maschi quando vanno in amore
combattono furiosamente fra loro sul ghiaccio, ed il suo ruggito “dicesi che
talvolta sia così forte che si può udirlo alla distanza di
quattro miglia”. Quando sono aggrediti dall’uomo essi ruggiscono o muggono del
pari; ed ogni qualvolta sono in collera la vescica si gonfia. Alcuni
naturalisti credono che la voce si rinforzi in tal modo, ma vari altri usi sono
stati attribuiti a questa singolare struttura. Il signor R. Brown crede che
serva di protezione contro ogni sorta di pericoli. Questo modo di vedere non
è probabile, se è vero ciò che i naviganti hanno asserito
da un pezzo, cioè che il cappuccio, o la vescica, è pochissimo
sviluppato nelle femmine e nei maschi finchè sono giovani.
Odore. - In alcuni
animali, come nella notissima moffetta di America, l’odore opprimente che
emettono sembra servire esclusivamente come mezzo di difesa. Nel toporagno (Sorex)
i due sessi posseggono ghiandole addominali odorose, e non vi può
essere gran dubbio dal modo in cui i loro corpi sono respinti dagli uccelli e
dalle fiere, che il loro odore sia per essi una protezione; nondimeno le
ghiandole divengono più grosse nei maschi durante la stagione delle
nozze. In molti quadrupedi le ghiandole hanno la stessa mole nei due sessi; ma non
se ne conosce l’uso. In altre specie le ghiandole sono limitate ai maschi, o
sono più sviluppate in essi che non nelle femmine; e quasi sempre
divengono più attive nel tempo degli amori. A questo periodo le
ghiandole dai due lati della faccia dell’elefante maschio divengono più
grosse, ed emettono una secrezione che ha un forte odore di muschio.
È ben noto l’odore rancido che
manda il caprone; e quello di certi cervi maschi è meravigliosamente
forte e persistente. Sulle rive del Plata io ho sentito tutta l’aria impregnata
dell’odore del Cervus campestris, alla distanza di mezzo miglio sotto
vento di una mandra, ed un fazzoletto di seta nel quale portai a casa una
pelle, sebbene fosse stato adoperato ripetutamente e lavato, conservava, quando
lo spiegava la prima volta, tracce di odore, per lo spazio di un anno e sette
mesi. Quest’animale non emette il suo forte odore finchè non abbia un
anno di età, e se vien castrato da giovane non emette mai odore. Oltre
all’odore generale che sembra impregnare tutto il corpo di certi animali
durante la stagione delle nozze, molti cervi, antilopi, pecore e capre hanno
ghiandole odorifere in varie situazioni, più specialmente sulla loro
faccia. I cosidetti lacrimatoi, o fosse suborbitali, vengon compresi in questa
categoria. Queste ghiandole secernono una materia fetida semi-fluida, la quale
è talora così copiosa da macchiare tutta la faccia, come ho
veduto nel caso di una antilope. Esse sono “solitamente più grandi nel
maschio che non nella femmina, ed il loro sviluppo è arrestato dalla
castrazione”. Secondo Desmarest mancano al tutto nella femmina dell’Antilope
subgutturosa. Quindi non vi può essere dubbio che stiano in qualche
stretta relazione colle funzioni riproduttive. Sono pure talvolta presenti e
talora assenti in forme intimamente affini. Nel maschio adulto del mosco (Muschus
moschiferus) uno spazio nudo intorno alla coda è umettato di un
fluido odorifero, mentre nella femmina adulta e nel maschio, fino
all’età di due anni, questo è coperto di peli e non è
odoroso. La borsa del maschio per la sua posizione è necessariamente
limitata al maschio, e forma un organo addizionale odorifero. È un fatto
singolare che la materia secreta da questa ultima ghiandola non muta, secondo
Pallas, di consistenza nè cresce in quantità durante la stagione
delle nozze: nondimeno questo naturalista ammette che la sua presenza ha in
certo modo una relazione coll’atto della riproduzione. Tuttavia egli non
dà che una spiegazione congetturale e non soddisfacente del suo uso.
Nella maggior parte dei casi, quando
durante la stagione delle nozze il maschio solo emette un odore forte, questo
serve probabilmente ad eccitare od allettare la femmina. Intorno a ciò
non dobbiamo giudicare dal nostro gusto, perchè si sa bene che i topi
sono allettati da certi olii essenziali, ed i gatti dalla valeriana, sostanze
che a noi sono tutt’altro che piacevoli; e che i cani, sebbene non mangino le
carogne, le fiutano e vi si rotolano sopra. Per le ragioni addotte quando
parlavamo della voce del cervo, noi possiamo respingere l’idea che l’odore
serva a far venire le femmine verso i maschi ad una certa distanza. L’esercizio
attivo e continuato lungamente non può qui essere venuto in giuoco, come
nel caso degli organi vocali. L’odore emesso deve essere di una notevole
importanza pel maschio, dacchè sono state in certi casi sviluppate
ghiandole grandi e complesse fornite di muscoli per svotare il sacco e per
chiudere ed aprire l’orifizio. Lo sviluppo di questi organi si comprende colla
scelta sessuale, se i maschi più odorosi riescono meglio a conquistare
le femmine ed a lasciare prole per ereditare le loro ghiandole ed odori
graduatamente perfetti.
Sviluppo dei peli. - Abbiamo
veduto che i quadrupedi maschi sovente hanno sul collo e sulle spalle peli
molto più sviluppati che non le femmine; e sono stati riferiti molti
esempi addizionali. Questi talora servono di difesa al maschio durante le sue
battaglie; ma è molto dubbio se nella maggior parte dei casi i peli
siano stati specialmente sviluppati a quest’uopo. Noi possiamo essere quasi
certi che questo non è il caso allorchè una sottile e stretta
liscia di peli corre lungo tutto il dorso; perchè una cresta di peli di
questa sorta non servirebbe guari di protezione, e la linea dorsale non
è un luogo che possa presentare pericolo di essere danneggiato;
nondimeno cosiffatte creste sono talora limitate ai maschi, o sono molto
più sviluppate in essi che non nelle femmine. Due antilopi, Il Tragelaphus
scriptu e la Portax picta, possono esser citati come esempio. Le
creste di peli di alcuni cervi e del caprone selvatico stanno rialzate quando
questi animali sono in collera o spaventati; ma non si può guari
supporre che siano state acquistate per incutere terrore ai loro nemici. Una
delle antilopi sopra menzionate, la Portax picta, ha un grande e ben
distinto ciuffo di peli neri sul collo, e questo è molto più
grande nel maschio che non nella femmina. Nell’Ammotragus tragelaphus dell’Africa
del Nord, specie della famiglia delle pecore, le zampe anteriori sono quasi
nascoste da una straordinaria crescenza di peli, che vengono dal collo e dalla
metà superiore delle zampe; ma il signor Bartlett non crede che questo
mantello sia di alcun uso pel maschio, nel quale è molto più
sviluppato che non nella femmina.
Molte sorta di quadrupedi maschi differiscono
dalle femmine per avere maggior copia di peli, o peli di un carattere
differente, sopra certe parti della loro faccia. Il toro soltanto ha peli
arricciati sulla fronte. In tre sotto-generi strettamente affini alla famiglia
delle capre i maschi soli hanno barba, talora di grande mole; in due altri
sotto-generi ambo i sessi hanno barba, ma questa scompare in certe razze
domestiche della capra comune; e nessun sesso dell’Hemitragus ha barba. Nello
stambecco la barba non si sviluppa durante l’estate, ed è così
piccola in altre stagioni che si può considerare come rudimentale. In
alcune scimmie la barba è propria soltanto del maschio, come
nell’urango, od è molto più grande nel maschio che non nella
femmina, come nel Mycetes caraya e nella Pithecia satanas. Così
segue colle fedine di alcune specie di Macachi e, come abbiamo veduto, per le
criniere di certe specie di babbuini. Ma nella maggior parte delle specie di
scimmie i vari ciuffi di peli che hanno intorno alla faccia od al capo sono
simili nei due sessi.
I maschi dei vari membri della famiglia
del Bue (Bovidae), e di certe antilopi sono forniti di una giogaia, o
grande ripiegatura della pelle sul collo, che nella femmina è molto
sviluppata.
Ora, che cosa possiamo noi conchiudere
rispetto a differenze sessuali come queste? Nessuno pretenderà che la
barba di certi caproni, o la giogaia del bue, o le creste di peli lungo il
dorso di certe antilopi maschi, siano di una qualche utilità diretta od
ordinaria per essi. È possibile che l’immensa barba della pitecia
maschio, e la barba copiosa dell’urango maschio, possano essere una protezione
per la loro gola quando combattono; perchè i custodi dei Giardini
zoologici mi dissero che molte scimmie si aggredivano prendendosi alla gola; ma
non è probabile che la barba sia stata sviluppata per uno scopo distinto
da quello al quale servono le fedine, i baffi ed altri ciuffi di pelo che
stanno sulla faccia, e nessuno supporrà che questi servano di
protezione. Dobbiamo noi attribuire ad una semplice inutile variabilità
nel maschio tutte queste appendici dei peli o della pelle? Non si può
negare che questo sia possibile; perchè in molti quadrupedi
addomesticati certi caratteri, da quanto pare non derivati mercè un
regresso da un qualche progenitore selvatico, sono comparsi e si sono limitati
ai maschi, o sono più grandemente sviluppati in essi che non nelle
femmine - per esempio la gobba del maschio del zebù dell’India, la coda
dei montoni dalla coda grossa, il profilo arcuato della fronte nei maschi di parecchie
razze di pecore, la criniera nell’ariete di una pecora africana, ed infine la
criniera, i lunghi peli nelle zampe posteriori, e la giogaia nel maschio solo
della capra Berbura. La criniera che si vede negli arieti soli della pecora
africana sopra menzionata è un vero carattere sessuale secondario,
perchè non si sviluppa, come ho udito dal signor Windwood Reade, se gli
animali sono castrati. Quantunque dobbiamo andare con somma cautela, come ho
dimostrato nella mia opera sulla Variation under Domestication, concludendo
che qualunque carattere, anche in animali tenuti da genti semi-civili, non
è stato soggetto alla scelta dall’uomo e così non si è
aumentato, tuttavia, nei casi testè specificati questo è
improbabile, tanto più specialmente siccome i caratteri sono limitati ai
maschi o sono più fortemente sviluppati in essi che non nelle femmine.
Se fosse positivamente noto che l’ariete africano munito di criniera fosse
venuto dallo stesso stipite primitivo di altre razze di pecore, od il caprone
di Berbura colla sua criniera, giogaia, ecc., dallo stesso stipite di altre
capre; e se la scelta non fosse stata applicata a questi caratteri, allora
debbono venire dalla semplice variabilità, unitamente alla
eredità sessualmente limitata.
In questo caso sembrerebbe ragionevole
estendere lo stesso modo di vedere a molti caratteri analoghi che si presentano
in animali allo stato di natura. Nondimeno non posso persuadermi che questo
modo di vedere sia applicabile in molti casi, come in quello dello
straordinario sviluppo del pelo sulla gola e sulle zampe anteriori del maschio
dell’Ammotragus, o della immensa barba della Pitecia maschio. In quelle
antilopi in cui il maschio quando è adulto ha colori più forti
che non la femmina, ed in quelle scimmie in cui ciò segue parimente e
nelle quali il pelo sulla faccia è di colore differente del resto del
capo, essendo disposto nel modo più svariato ed elegante, sembra
probabile che le creste ed i ciuffi di peli siano stati acquistati come
ornamenti; e so che questa è l’opinione di alcuni naturalisti. Se questo
modo di vedere è giusto, non vi può essere gran dubbio che siano
stati acquistati o almeno modificati mercè la scelta sessuale.
Colore dei peli e della pelle nuda. -
Comincerò prima di tutto dal riferire brevemente tutti i casi che conosco
di maschi che differiscono dalle femmine nel colore. Nei Marsupiali, siccome mi
ha detto il sig. Gould, i sessi di rado differiscono per questo rispetto; ma il
grande kanguro rosso presenta una notevole eccezione “mentre una tinta delicata
azzurra prevale nella femmina in quelle parti che nel maschio sono rosse”. Nel Didelphis
Opossum di Caienna dicesi che la femmina sia un tantino più rossa
che non il maschio. Nei rosicanti osserva il dottor Gray che “gli scoiattoli
d’Africa, specialmente quelli che si incontrano nelle regioni tropicali, hanno
il pelo molto più lucido e più vivace in certe stagioni dell’anno
che non in altre, e la pelliccia del maschio è in generale più
brillante che non quella della femmina”. Il dottor Gray mi dice che egli
distinse specificamente gli scoiattoli d’Africa, perchè pei loro colori
insolitamente brillanti essi mostrano meglio questa differenza. La femmina del Mus
minutus di Russia è di una tinta più pallida e più
sbiadita del maschio. In alcuni pochi pipistrelli la pelliccia del maschio
è più chiara e più brillante di quella della femmina.
I carnivori e gli insettivori terrestri
raramente presentano differenze sessuali di qualche sorta ed i loro colori sono
quasi sempre esattamente gli stessi nei due sessi. Il gatto panterino (Felis
pardalis) tuttavia offre una eccezione, perchè i colori della
femmina paragonati a quelli del maschio sono “ moins apparentes, la fauve étant
plus terne, le blanc moins pur, les raies ayant moins de largeur et les taches
moins de diamètre”. Differiscono pure i sessi dell’affine Felis
mitis, ma in un grado ancor minore, mentre le tinte generali della femmina
sono piuttosto più pallide che non quelle del maschio colle macchie meno
nere. D’altra parte i carnivori marini o foche differiscono talora notevolmente
nel colore, e presentano, come già abbiamo veduto, altre differenze
sessuali bene spiccate. Così il maschio dell’Otaria nigrescens dell’emisfero
meridionale è superiormente di una bella tinta bruna, mentre la femmina
che acquista i suoi colori adulti più presto che non il maschio è
superiormente grigio-scuro, ed i giovani dei due sessi sono di un colar
cioccolata cupo. Il maschio della nordica Phoca groenlandica è
grigio bronzato con una curiosa macchia scura sul dorso a mo’ di sella; la
femmina è molto più piccola, ed ha un aspetto molto differente,
essendo di colore “bianco sporco o paglierino con una tinta bronzata sul dorso;
i piccoli dapprima sono di un bianco puro, e si possono appena distinguere tra
i massi di ghiaccio e la neve, e così il colore serve loro di
protezione”.
Nei Ruminanti le differenze sessuali di
colore si presentano più comunemente che non in qualsiasi altro ordine.
Una differenza di questa sorta è generale nelle antilopi Strepsicerene;
così il nilghau maschio (Portax picta) è grigio
turchiniccio e molto più scuro che non la femmina, colla macchia bianca
quadrata sulla gola, le macchie bianche sulle barbette, e le macchie nere sulle
orecchie, tutte più distinte. Abbiamo veduto che in questa specie le creste
ed i ciuffi di pelo sono pure più sviluppati nel maschio che non nella
femmina priva di corna. Il maschio, come mi ha riferito il signor Blyth, senza
perdere il pelo, diviene periodicamente più scuro durante la stagione
degli amori. I maschi, giovani non si possono distinguere dalle femmine giovani
finchè non abbiano circa dodici mesi di età; e se il maschio
prima di quell’età viene castrato, secondo la stessa autorità,
non muta mai di colore. L’importanza di quest’ultimo fatto, siccome prova del
coloramento sessuale, diviene evidente quando sappiamo che nè la
pelliccia rossa estiva del cervo della Virginia, nè la pelliccia
turchina d’inverno, vengono per nulla alterate dalla castrazione. Nella maggior
parte o in tutte le specie molto ornate di Tragelaphus i maschi sono più
scuri che non le femmine senza corna e le loro creste di peli sono più
pienamente sviluppate. Nel maschio della stupenda antilope di Derby (Derbyan
Eland) il corpo è più rosso, tutto il collo più nero,
e la fascia bianca che separa questi colori più larga che non nella
femmina. Nella grande antilope del Capo pure il maschio è lievemente
più scuro che non la femmina.
Nell’antilope bezoartica indiana (A.
bezoartica) che appartiene ad un’altra tribù di antilopi, il maschio
è molto scuro, quasi nero; mentre la femmina senza corna è color
fulvo. Noi vediamo in questa specie, come mi informa il signor Blytb, una serie
esattamente simile di fatti, come nella Portax picta, cioè nel
periodico mutamento di colore durante la stagione degli amori, negli effetti
della castrazione sopra questo mutamento, e in ciò che i giovani dei due
sessi non si distinguono fra loro. Nell’Antilope niger il maschio
è nero, la femmina ed i giovani sono bruni; nell’A. sing-sing il
maschio è molto più brillantemente colorito che non la femmina
senza corna, ed il petto e l’umbelico sono più neri; nel maschio dell’A.
caama, le macchie e le linee che si presentano sopra varie parti del corpo
sono nere, mentre nella femmina sono brune; nel gnu tigrato (A. gorgon) “i
colori del maschio sono quasi gli stessi come quelli della femmina, soltanto
sono di una tinta più profonda e più vivace”. Si potrebbero
riferire altri casi analoghi.
Il bue Banteng (Bos sondaicus) dell’arcipelago
Malese è quasi nero, colle zampe e le cosce bianche, la femmina è
di un bruno brillante, come sono i maschi giovani fino all’età di circa
tre anni, tempo in cui mutano rapidamente di colore. Il maschio castrato
ritorna al colore della femmina. La femmina della capra Kemas è
più pallida, e la femmina della Capra aegagrus dicesi sia
più uniformemente colorita che non i rispettivi maschi. I cervi
presentano raramente qualche differenza sessuale di colore. Tuttavia il Giudice
Caton m’informa che nei maschi del cervo Wapiti (Cervus Canadensis) il
collo, l’umbellico e le zampe sono molto più scure che non siano le
stesse parti nella femmina; ma durante l’inverno le tinte più scure
vanno gradatamente facendosi più pallide finchè scompaiono
affatto. Dirò qui che il Giudice Caton ha nel suo parco tre razze del
cervo di Virginia che differiscono lievemente nel colore, ma le differenze sono
quasi esclusivamente limitate all’abito invernale o delle nozze;
cosicchè questo caso può venire comparato con quelli dati in un
precedente capitolo di specie strettamente affini o rappresentantisi di uccelli
che differiscono fra loro soltanto nel piumaggio nuziale. Le femmine del Cervus
paludosus del S. America, come pure i giovani dei due sessi, non hanno
strisce nere sul dorso, nè la linea bruno-nericcia del petto che
caratterizza i maschi adulti. Infine il maschio adulto del cervo Axis tanto
elegantemente colorito e macchiettato è notevolmente più scuro,
come mi ha informato il signor Blyth, che non la femmina; ed il maschio
castrato non acquista mai quella tinta.
L’ultimo Ordine che noi abbiamo da
considerare - perchè non so che differenze sessuali nel colore
s’incontrino in altri gruppi di mammiferi - è quello dei primati. Il
maschio del Lemur macaco è nero carbone, mentre la femmina
è giallo-rossiccia, ma molto variabile nel colore. Fra i Quadrumani del
Nuovo Mondo, le femmine ed i giovani del Mycetes caraya sono
grigio-gialliccio e simili; nel secondo anno il maschio giovane diviene
bruno-rossiccio, nel terzo anno nero, tranne lo stomaco che tuttavia diviene,
al tutto nero nel quarto o nel quinto anno. Vi è pure una differenza
fortemente spiccata nel colore fra i sessi del Mycetes seniculus e nel
Cebus capucinus, i giovani della prima e credo di quest’ultima specie
rassomigliano alle femmine. Nella Pithecia leucocephala i giovani
rassomigliano pure alle femmine che sono bruno-nero sopra e rosso-rugginoso
chiaro sotto, i maschi adulti sono neri. Il collare di peli intorno alla faccia
dell’Ateles marginatus è tinto di giallo nel maschio e bianco
nella femmina. Venendo al Continente antico, i maschi dell’Hylobates hoolock
sono sempre neri, tranne una fascia bianca sopra le sopracciglia; le
femmine variano dal bianco-bruno ad una tinta oscura mista di nero, ma non sono
mai al tutto nere. Nel bello Cercopithecus diana il capo del maschio
adulto è di un nero intenso, mentre quello della femmina è
grigio-scuro; nel primo la pelliccia tra le cosce è di un elegante
colore fulvo, nella seconda è più pallido. Nella parimente bella
e curiosa scimmia dai baffi (Cercopithecus cephus) l’unica differenza fra
i sessi è quella della coda del maschio che è color castagno e
quello della femmina grigio; ma il signor Bartlett m’informa che tutte le tinte
divengono più fortemente pronunziate nel maschio quando è adulto,
mentre nella femmina rimangono come quelle che erano nella giovinezza. Secondo
le figure colorite date da Salomone Müller, il maschio del Semnopithecus
chrysomelas è quasi nero, e la femmina è bruno-pallido. Nei Cercopithecus
cynosurus e griseo viridis una parte del corpo che è limitata
al sesso mascolino è del più brillante colore azzurro o verde, e
contrasta fortemente colla pelle nuda sulla parte posteriore del corpo, che
è di un rosso vivace.
Infine nella famiglia dei Babbuini il
maschio adulto del Cynocephalus hamadryas differisce dalla femmina non
solo per la sua immensa criniera, ma lievemente nel colore del pelo e delle
callosità nude. Nel drillo (Cynocephalus leucophaeus) le femmine
ed i piccoli sono coloriti più pallidamente, con meno verde, che non i
maschi adulti. Nessun altro membro di tutta la classe dei mammiferi è
colorito in modo così straordinario come il maschio adulto del mandrillo
(Cynocephalus mormon). La faccia a quest’età diviene di un
bell’azzurro, col rialzo e la punta del naso del rosso più brillante.
Secondo alcuni autori la faccia è parimente segnata di righe bianchicce,
ed in alcune parti ombreggiata di nero, ma i colori sembrano essere variabili.
Sulla fronte vi è una cresta di peli, e sul mento una barba gialla. “Toutes les parties supérieures de leur cuisses et le
grand espace nu de leur fesses sont également colorées du rouge le plus vif,
avec un mélange de bleu qui ne manque réellement pas d’elégance”. Quando
l’animale è eccitato tutte le parti nude divengono di una tinta molto
più vivace. Parecchi autori hanno descritto questi splendidi colori con
fortissime espressioni, comparandoli a quelli degli uccelli più
brillanti. Un’altra particolarità ancor più notevole è
quella che quando i grossi denti canini sono pienamente sviluppati, si formano
in ogni guancia immense protuberanze ossee, che sono profondamente solcate
longitudinalmente, e la pelle nuda sopra di esse è brillantemente
colorita, come abbiamo testè descritto. Nelle femmine adulte e nei
giovani dei due sessi queste protuberanze si scorgono appena; e le parti nude
hanno colori meno brillanti, la faccia è quasi nera, tinta di azzurro.
Tuttavia nella femmina adulta il naso a certi intervalli regolari di tempo
diviene tinto di rosso.
In tutti i casi finora riferiti il
maschio è più fortemente o brillantemente colorito che non la
femmina, e differisce in grado maggiore dai piccoli dei due sessi. Ma siccome
uno stile di coloramento opposto è caratteristico ai due sessi di alcuni
pochi uccelli, così nella scimmia Rhesus (Macacus rhesus) la
femmina ha una grande superficie di pelle nuda intorno alla coda, di un rosso
carmino brillante, che diviene periodicamente, come mi fu assicurato dai
custodi dei Giardini zoologici, anche più vivace, e la sua faccia
è pure rosso-pallido. D’altra parte nel maschio adulto e nei giovani dei
due sessi, come vidi nel Giardino, nè la pelle nuda alla parte
posteriore del corpo, nè la faccia, mostrano traccia di rosso. Sembra
però, da alcune relazioni pubblicate, che il maschio mostri
occasionalmente, o durante certe stagioni, alcune tracce di rosso. Quantunque
sia così meno adorno della femmina, tuttavia nella mole maggiore del
corpo, nei denti canini più grandi, nelle fedine più sviluppate,
negli archi sopraccigliari più sporgenti, esso segue la regola comune
del maschio che è superiore alla femmina.
Ho riferito ora tutti i casi da me
conosciuti di una differenza di colore fra i sessi dei mammiferi. I colori
della femmina o non differiscono in un grado sufficiente da quelli del maschio,
o non sono di una natura conveniente per proteggerla, e per ciò non si
possono spiegare con questo principio. In alcuni, e forse in molti casi, le
differenze possono essere l’effetto di variazioni limitate ad un sesso e
trasmesse al medesimo sesso senza che nessun utile ne sia stato in tal modo
ottenuto, e perciò senza l’aiuto della scelta. Abbiamo esempi di questa
sorta nei nostri animali addomesticati, come nei maschi di certi gatti che sono
color ruggine mentre le femmine sono color tartaruga. Casi analoghi seguono
allo stato di natura; il signor Bartlett ha veduto molte varietà nere
del giaguaro, del leopardo, della falangista volpina e del vombato, ed egli
è sicuro che tutti, o quasi tutti, erano maschi. D’altra parte, i due
sessi dei lupi, delle volpi, e da quanto pare, degli scoiattoli d’America,
nascono occasionalmente neri. Quindi è al tutto probabile che in alcuni
mammiferi il color nero dei maschi, specialmente quando questo colore è
congenito, può semplicemente risultare, senza l’aiuto della scelta,
dall’essere seguite una o più variazioni, che dapprima erano
sessualmente limitate nella loro trasmissione. Nondimeno non si può
guari ammettere che i colori svariati, vivaci e contrastati di certi quadrupedi
per esempio delle scimmie e delle antilopi sopra menzionate, possano essere
attribuiti a quelle. Dobbiamo tenere a mente che quei colori non appaiono nel
maschio quando nasce, come è il caso nella maggior parte delle
variazioni ordinarie, ma solo quando è adulto o quasi adulto; e che al
contrario delle variazioni ordinarie, se il maschio viene castrato, esse non
compaiono mai o scompaiono in seguito. Infine è una conclusione molto
più probabile questa, che i colori fortemente spiccati ed altri
caratteri adornanti dei quadrupedi maschi siano loro utili nella loro
rivalità con altri maschi, e siano stati in conseguenza acquistati
mercè la scelta sessuale. La probabilità di questo modo di vedere
acquista maggior forza da ciò che le differenze nel colore fra i sessi
seguono quasi esclusivamente, come si può osservare rivedendo i precedenti
particolari, in quei gruppi e sotto gruppi di mammiferi che presentano altri e
distinti caratteri sessuali secondari; essendo questi del pari dovuti
all’azione della scelta sessuale.
Evidentemente i quadrupedi badano al
colore. Sir Baker osservò ripetutamente che l’elefante africano ed il
rinoceronte aggredivano con furia speciale i cavalli bianchi o grigi. Io ho
dimostrato altrove che i cavalli semi selvatici sembravano preferire di
accoppiarsi con quelli dello stesso colore, e che i branchi di daini di un
colore differente, sebbene vivessero assieme, sono rimasti per un lungo tempo
distinti. È un fatto più significante quello di una zebra femmina
che non volle il corteggiamento di un asino maschio finchè non fu
dipinto per modo da rassomigliare ad una zebra, ed allora, come fa notare
Giovanni Hunter “lo accolse prontissimamente. In questo curioso fatto, noi
abbiamo l’istinto eccitato dal solo colore, che ebbe un effetto tanto forte da
prevalere sopra ogni altra cosa. Ma il maschio non richiese questa, essendo la
femmina un animale in certo modo simile a lui stesso, e perciò
sufficiente ad eccitarlo”.
In un capitolo antecedente abbiamo
veduto che le forze mentali degli animali più elevati non differiscono
nella qualità, sebbene moltissimo nel grado dalle forze corrispondenti
nell’uomo, specialmente delle razze più basse e più barbare; e
sembra che anche il loro gusto pel bello non sia grandemente differente da
quello dei Quadrumani. Come il nero dell’Africa si solleva la carne della
faccia in rialzi paralleli “o cicatrici al disopra della superficie naturale,
le quali sgradevoli deformità sono considerate come grandi attrattive
personali” - come i neri, al pari dei selvaggi in molte parti del mondo, si
dipingono il volto con righe rosse, turchine, bianche o nere – così il
mandrillo maschio di Africa sembra avere acquistato la sua faccia fittamente
pelosa e colorita vivacemente perchè era così più
attraente per la femmina. Senza dubbio è per noi una circostanza molto
grottesca che la parte posteriore del corpo sia stata colorita per scopo di
ornamento anche più brillantemente della faccia; ma questo non è
invero più strano che non la coda di molti uccelli sia stata
specialmente adorna.
Non abbiamo
adesso nessuna prova che nei mammiferi i maschi si diano pensiero di far mostra
innanzi alla femmina delle loro attrattive; ed il modo complicato in cui
ciò si compie dai maschi degli uccelli, è l’argomento più
forte in favore della credenza che le femmine ammirino o siano eccitate dagli
ornamenti e dai colori che si spiegano innanzi ad esse. Tuttavia v’ha uno
spiccato parallelismo fra i mammiferi e gli uccelli in tutti i loro caratteri
sessuali secondari, cioè nelle armi per combattere coi maschi rivali,
nelle loro appendici adornanti e nei loro colori. Nelle due classi, quando il
maschio differisce dalla femmina i giovani dei due sessi quasi sempre si
rassomigliano fra loro, ed in una grande maggioranza di casi rassomigliano alla
femmina adulta. Nelle due classi il maschio assume i caratteri propri al suo
sesso poco prima dell’età della riproduzione; se castrato non acquista
mai quei caratteri o li perde in seguito. Nelle due classi il mutamento di
colore è talvolta stagionale, e le tinte delle parti nude divengono
talora più vivaci durante l’atto del corteggiamento. Nelle due classi il
maschio è quasi sempre colorito più vivacemente e più
fortemente che non la femmina, ed è adorno di creste più grandi,
di peli o di penne, o altre appendici. In pochi casi eccezionali la femmina
nelle due classi è più grandemente adorna che non il maschio. In
molti mammiferi, ed almeno in un caso negli uccelli, il maschio manda maggior
odore che non la femmina. Nelle due classi la voce del maschio è
più potente che non quella della femmina. Considerando questo
parallelismo non vi può essere guari dubbio e la stessa causa, qualunque
essa possa essere, ha operato sopra i mammiferi e sopra gli uccelli; ed il
risultato per quello che riguarda i caratteri ornamentali può essere
attribuito con certezza, per quanto a me pare, alla lunga e continua preferenza
degli individui di un sesso per certi individui del sesso opposto, combinata
col loro successo nel lasciare un numero più grande di prole per
ereditare le loro più grandi attrattive.
Eguale trasmissione dei caratteri
adornanti ai due sessi. - In molti uccelli, gli ornamenti, che siccome
l’analogia ci induce a credere furono primieramente acquistati dai maschi, sono
stati trasmessi ugualmente o quasi ugualmente ai due sessi; e noi possiamo ora
indagare fin dove questo modo di vedere possa essere esteso ai mammiferi. In un
notevole numero di specie, particolarmente nei generi più piccoli, i due
sessi sono stati coloriti indipendentemente dalla scelta sessuale, per scopo di
protezione; ma non, per quanto posso giudicare, in un gran numero di casi,
nè in un modo tanto spiccato come nella maggior parte delle classi
più basse. Audubon osserva che egli spesso scambiò il Fiber
zibethicus mentre stava sulle rive di un ruscello fangoso per un mucchio di
terra, tanto compiuta era la rassomiglianza. La lepre per la sua forma è
un esempio familiare di nascondimento pel colore; tuttavia questo principio in
parte non regge per una specie intimamente affine, cioè il coniglio,
perchè mentre questo animale corre alla sua tana diviene visibile al
cacciatore e senza dubbio a tutti gli animali da preda, per la sua coda bianca
rivolta all’insù. Nessuno ha mai messo in dubbio che i quadrupedi che
abitano le regioni coperte di neve siano divenuti bianchi per essere protetti
contro i loro nemici, o per favorire il loro avvicinarsi alla preda. Nelle
regioni ove la neve non ricopre a lungo il terreno una pelliccia bianca sarebbe
dannosa; in conseguenza le specie così colorite sono sommamente rare
nelle parti più calde del mondo. Merita d’esser notato che molti
quadrupedi che abitano regioni moderatamente fredde, quantunque non assumono un
abito invernale bianco, diventano più pallidi durante questa stagione; e
questo è da quanto pare l’effetto diretto delle condizioni cui essi sono
stati lungamente esposti. Pallas asserisce che in Siberia un mutamento di
questa natura segue nel lupo, in due specie di mustele, nel cavallo domestico,
nell’Equus hemionus, nella vacca domestica, in due specie di antilopi,
nel mosco, nel roe, nell’alce e nella renna. Per esempio il roe ha un abito
stivo rosso ed uno invernale grigio-bianco; e l’ultimo può forse servire
come una protezione all’animale mentre va in giro nei boschetti senza foglie,
spruzzati di neve e di ghiaccio. Se gli animali sopra menzionati andassero
graduatamente estendendo la loro area di dimora in regioni perpetuamente
coperte di neve, il loro pallido abito invernale diverrebbe, probabilmente
mercè la scelta naturale, sempre man mano più bianco
finchè diverrebbe bianco come la neve.
Quantunque dobbiamo ammettere che molti
quadrupedi hanno ricevuto le loro tinte attuali per scopo di protezione,
tuttavia in un grandissimo numero di specie i colori sono troppo vistosi e
troppo singolarmente disposti per lasciarci supporre che servano per questo
scopo. Possiamo prendere come esempio certe antilopi; quando vediamo che la
macchia bianca quadrata della gola, le macchie bianche delle cosce e le macchie
rotonde sulle orecchie, sono tutte più distinte nel maschio della Portax
picta che non nella femmina; - quando vediamo che i colori sono più
vivaci, che le strette linee che stanno sul fianco e la larga fascia bianca
della spalla sono più distinte nel maschio dell’Oreas derbyanus che
non nella femmina; - quando vediamo una simile differenza fra i sessi del Tragelaphus
scriptus curiosamente adorno - possiamo conchiudere che questi colori e le
varie macchie sono almeno divenuti più intensi per opera della scelta
sessuale. Non si può comprendere che questi colori e queste macchie
possano essere di un qualche utile diretto od ordinario a questi animali; e
siccome è quasi certo che sono divenuti più intensi per opera
della scelta sessuale, è probabile che essi siano stati in origine
acquistati mercè questo stesso processo, e quindi parzialmente trasmessi
alle femmine. Se questo modo di vedere fosse accettato, non vi può essere
guari dubbio che i colori e le macchie particolarmente singolari di molte altre
antilopi, sebbene comuni ai due sessi, siano stati acquistati e trasmessi in
modo consimile. Per esempio i due sessi del Koodoo (Strepsiceros Kudu),
hanno strisce bianche verticali posteriormente sui fianchi, ed una elegante
macchia bianca angolare sulla fronte. I due sessi del genere Damalis sono
coloriti in un modo molto originale; nel D. pygàrga il dorso ed
il collo sono rosso porporino, sfumanti in nero sui fianchi, e si separano
nettamente dall’umbellico bianco e da un grande spazio bianco sulle natiche; il
capo è ancor più curiosamente colorito; una grande macchia bianca
di forma oblunga con stretti orli neri, copre la faccia fino agli occhi; nella
fronte vi sono tre strie bianche, e le orecchie sono pure segnate di bianco. I
giovani di questa specie sono uniformemente coloriti di gialliccio-bruno
pallido. Nella Damalis albifrons il coloramento del capo differisce da
quello dell’ultima specie per un’unica striscia bianca che tien luogo delle tre
fasce, e per le orecchie che sono quasi al tutto bianche. Dopo di aver studiato
quanto meglio mi fu possibile le differenze sessuali degli animali che
appartengono a tutte le classi, non posso evitare la conclusione che i colori tanto
curiosamente disposti di molte antilopi, sebbene comuni ai due sessi, siano
l’effetto della scelta sessuale primieramente applicata al maschio.
La medesima conclusione può
forse essere estesa alla tigre, uno degli animali più belli del mondo, i
sessi della quale non si possono distinguere pel colore neppure dai mercanti di
fiere. Il signor Wallace crede che l’abito a strisce della tigre “si assimila
talmente agli steli verticali del bambù, che le agevola grandemente il
nascondersi quando si accosta alla preda”. Ma questo modo di vedere non mi
soddisfa. Abbiamo una qualche lieve prova che la sua bellezza possa essere
dovuta alla scelta sessuale, perchè in due specie di Felis le macchie ed
i colori analoghi sono alquanto più vivaci nel maschio che non nella
femmina. La zebra ha strisce di colori vivaci, e quelle fasce nelle aperte
pianure dell’Africa meridionale non possono proteggerla per nulla. Burchell
descrivendo un branco di esse, dice “le loro lucide costole brillavano al sole,
e la vivacità e regolarità delle loro pelli a strisce
presentavano un quadro di straordinaria bellezza, nella quale non sono
probabilmente superate da nessun altro quadrupede. Qui non abbiamo prova di
scelta sessuale, perchè in tutto il gruppo degli Equini i sessi sono
identici nel colore. Nondimeno chi attribuisce le strisce verticali bianche o
brune che stanno sui fianchi di varie antilopi alla scelta sessuale,
estenderà probabilmente lo stesso modo di vedere alla Tigre reale ed
alla bella Zebra.
In un precedente capitolo abbiamo
veduto che quando giovani animali appartenenti ad una classe qualsiasi seguono
quasi la stessa via dei loro genitori, e sono tuttavia coloriti in modo
differente, si può da ciò dedurre che hanno conservato il
coloramento di qualche antico ed estinto progenitore. Nella famiglia dei
maiali, e nel genere Tapiro, i giovani sono segnati di strisce longitudinali e
così differiscono da ogni specie adulta in questi due gruppi. In molte
specie di cervo i giovani sono segnati di eleganti macchie bianche, di cui non
si vede traccia nei loro genitori. Si può tener dietro ad una serie
graduata del cervo Axis, di cui i due sessi in tutte le età e durante
tutte le stagioni sono vagamente macchiettati (il maschio è alquanto
più intensamente colorito che non la femmina) - alle specie in cui non
sono macchiati nè gli adulti nè i giovani. Specificherò
alcuni stadi di questa serie. Il cervo della Manciuria (Cervus Mantchuricus)
è macchiato durante tutto l’anno, ma le macchie sono molto
più sbiadite, come ho veduto nei Giardini zoologici, durante l’estate,
quando il colore generale dell’abito è più chiaro, che non
durante l’inverno, tempo in cui il colore generale è più cupo e
le corna più pienamente sviluppate. Nel cervo porcino (Elaphus
porcinus) le macchie sono estremamente cospicue durante l’estate quando
l’abito è bruno-rossiccio, ma scompaiono al tutto durante l’inverno
quando l’abito è bruno. In due di queste specie i giovani sono
macchiati. Nel cervo di Virginia i giovani sono macchiati del pari, e circa il
cinque per certo degli animali adulti del parco del Giudice Caton, come
m’informò egli stesso, mostrano temporaneamente in quel periodo quando
l’abito estivo fulvo viene sostituito dall’abito invernale turchiniccio una
fila di macchie sopra ogni fianco, che hanno sempre lo stesso numero, sebbene
variabilissime nella vistosità. Da questa condizione non vi è che
un piccolissimo stadio alla assoluta mancanza di macchie in tutte le stagioni
negli adulti, ed infine la loro mancanza in ogni età, come segue in
certe specie. Dalla esistenza di questa perfetta serie, e più
specialmente da ciò che i giovani di tante specie sono macchiati, noi
possiamo conchiudere che i membri ora viventi della famiglia dei cervi sono i
discendenti di qualche antica specie la quale, come il cervo Axis, era
macchiata in tutte le età e in tutte le stagioni. Un progenitore ancor
più antico rassomigliava probabilmente fino ad un certo punto all’Hyomoschus
aquaticus - perchè questo animale è macchiato, ed i maschi
senza corna hanno grandi denti canini sporgenti, di cui alcuni pochi veri cervi
conservano ancora i rudimenti. Tuttavia presenta uno dei casi più
interessanti di una forma che serve di anello di congiunzione a due gruppi,
siccome sta in mezzo per certi caratteri osteologici fra i pachidermi ed i
ruminanti. che erano anticamente creduti al tutto distinti.
Qui sorge una curiosa
difficoltà. Se noi ammettiamo che le macchie e le strie colorate siano
state acquistate per ornamento, come va che esistono tanti cervi, discendenti
di un animale in origine macchiettato, e tutte le specie di maiali e di tapiri,
discendenti di un animale in origine con strisce, che hanno perduto in stato
adulto i loro primieri ornamenti? Non posso rispondere soddisfacentemente a
questa questione. Possiamo essere quasi certi che le macchie e le strisce
scomparvero nei progenitori delle nostre specie attuali allo stato adulto o
vicino a quello, tanto che furono conservate dai giovani e, secondo la legge di
eredità alle età corrispondenti, dai giovani di tutte le
susseguenti generazioni. Può essere stato un gran vantaggio pel leone e
pel puma che abitano comunemente località aperte aver perduto le loro
strisce ed essere divenuti così meno vistosi alla loro preda; e se le
successive variazioni, mercè le quali si otteneva questo intento,
seguivano piuttosto tardi nella vita, i giovani avrebbero conservato le loro
strisce, come sappiamo essere il caso. Rispetto al cervo, ai maiali ed ai
tapiri, Federico Müller mi ha fatto notare che questi animali perdendo per
opera della scelta sessuale le loro macchie e le loro strisce sarebbero
divenuti meno appariscenti pei loro nemici; ed avrebbero avuto specialmente
bisogno di questa protezione, perchè i carnivori crescevano in mole ed
in numero durante i periodi terziari. Questa può essere la vera
spiegazione, ma è piuttosto strano che i giovani non abbian goduto della
stessa protezione, ed è ancora più strano che in alcune specie di
adulti abbiano conservato le loro macchie, sia parzialmente o compiutamente
durante una parte dell’anno. Quantunque non ci sia dato spiegare la causa,
sappiamo che quando l’asino domestico varia e diviene rossiccio-bruno, grigio o
nero, le strisce sulle spalle ed anche sulla spina spesso scompaiono.
Pochissimi cavalli, tranne le specie di colori oscuri, presentano strisce sopra
ogni parte del corpo; tuttavia abbiamo buona ragione per credere che il cavallo
originario fosse striato sulle zampe e sulla spina, e probabilmente sulle
spalle. Quindi la scomparsa delle macchie e delle strisce nel nostro cervo
attuale adulto, nei maiali e nei tapiri, può essere dovuta ad un
mutamento nel colore generale dei loro abiti; ma non è possibile
decidere se questo mutamento venisse effettuato mercè la scelta sessuale
o la naturale, o sia stato l’effetto dell’azione diretta delle condizioni della
vita, o di qualche altra causa ignota. Una osservazione fatta dal signor
Sclater dimostra bene la nostra ignoranza delle leggi che regolano la comparsa
e la scomparsa delle strisce; le specie dell’Asino che abitano il continente
asiatico mancano di strisce, non avendo neppure la striscia in croce sulle
spalle, mentre quelle che abitano l’Africa hanno strisce vistose, tranne
l’eccezione parziale dell’A. toeniopus che ha soltanto la striscia a
croce sulle spalle e generalmente qualche fascia sbiadita sulle zampe; e questa
specie abita la regione quasi intermedia del superiore Egitto e dell’Abissinia.
Quadrumani. - Prima di
conchiudere sarà bene aggiungere alcune poche osservazioni a quelle
già riferite intorno ai caratteri adornanti delle scimmie. Nella maggior
parte delle specie i sessi si rassomigliano fra loro nel colore, ma in alcune,
siccome abbiamo veduto, i maschi differiscono dalle femmine, specialmente nel
colore delle parti nude della pelle, nello sviluppo della barba, delle fedine e
della criniera. Molte specie sono colorite in modo così straordinario o
bello, e sono fornite di creste di peli cosiffattamente curiose ed eleganti,
che noi non possiamo a meno di credere che questi caratteri non siano stati
acquistati per scopo di ornamento. Non si comprende quasi che queste creste di
peli ed i colori fortemente spiccati della pelliccia e della pelle possano
essere l’effetto della semplice variabilità senza l’aiuto della scelta;
e non si può comprendere che possano essere di un qualche uso ordinario
per questi animali. Se ciò è, essi sono stati probabilmente
acquistati per opera della scelta sessuale, sebbene fossero trasmessi
ugualmente, o quasi ugualmente, ai due sessi. In molti quadrumani abbiamo altre
prove addizionali dell’azione della, scelta sessuale nella mole maggiore e
nella forza più grande dei maschi, e nel maggiore sviluppo dei loro
denti canini in paragone di quelli delle femmine.
Rispetto allo strano modo in cui i due
sessi di molte specie sono coloriti, ed alla bellezza di altre, basterà
citare alcuni pochi esempi. La faccia del Cercopithecus petaurista è
nera, le fedine e la barba sono bianche, con una macchia definita rotonda,
bianca, sul naso, coperta di breve pelo bianco che dà all’animale un
aspetto piuttosto ridicolo. Parimente il Semnopithecus frontatus ha una
faccia nericcia con una lunga barba nera, ed una grande macchia nuda sulla
fronte di un colore bianco-azzurrognolo. La faccia del Macacus lasiotus è
di un color carne sucido, con una macchia definita rossa sopra ogni guancia.
L’aspetto del Cercocebus aethiops è grottesco, colla faccia nera,
le fedine ed un collare bianchi, il capo castagno, ed una grande macchia nuda
bianca sopra le palpebre. In moltissime specie la barba, le fedine e le creste
pelose intorno alla faccia sono di un color differente da quello del resto del
capo, e quando sono differenti sono sempre di una tinta più chiara,
essendo di frequente bianco puro, talora giallo brillante, o rossiccio. Tutta
la faccia del Brachyurus calvus dell’America meridionale ha una “tinta
brillante scarlatta”, ma questo colore non appare finchè l’animale non
è quasi adulto. La pelle nuda della faccia differisce in modo
meraviglioso nel colore delle varie specie. Sovente è bruna o color di
carne, con parti perfettamente bianche, e spesso nera come quella del nero
più fuligginoso. Nel Brachyurus la tinta scarlatta è più
brillante che non quella delle signore circasse più rosee. Talvolta ha
una tinta più distintamente aranciata che non qualsiasi Mongolo, ed in
parecchie specie è azzurra, volgente al violetto ed al grigio. In tutte
le specie conosciute dal signor Bartlett, in cui gli adulti dei due sessi hanno
facce vivacemente colorite, i colori nella prima giovinezza sono sbiaditi o
mancanti. Questa regola prevale parimente nel Mandrillo e nel Rhesus, nei quali
la faccia e le parti posteriori del corpo sono brillantemente colorite in un
sesso solo. In questi ultimi casi abbiamo ogni ragione per credere che i colori
furono acquistati mercè la scelta sessuale; e siamo naturalmente indotti
ad estendere lo stesso modo di vedere alle precedenti specie, sebbene i due
sessi quando sono adulti abbiano la faccia colorita nello stesso modo.
Quantunque, secondo il nostro gusto,
molte sorta di scimmie siano ben lungi dall’essere belle, altre specie sono
universalmente ammirate pel loro aspetto elegante e pei loro brillanti colori.
Il Semnopithecus nemaeus, sebbene colorito particolarmente, è
descritto come sommamente grazioso; la faccia tinta di arancio è
circondata da lunghe fedine di bianchezza abbagliante, con una striscia color
rosso-castagno sopra le sopracciglia; la pelliccia sul dorso è grigio
delicato con una macchia quadra sui lombi, la coda e le braccia anteriori
bianco-candido; una gorgiera color castagno sovrasta il petto; le cosce posteriori
sono nere colle zampe color castagno. Non farò più menzione che
di due altre scimmie per la loro bellezza; ed ho scelto queste perchè
presentano lievi differenze sessuali nel colore, che rendono fino a un certo
punto probabile che i due sessi debbano il loro aspetto elegante alla scelta
sessuale. Nella scimmia dai baffi (Cercopithecus cephus) il colore
generale della pelliccia è verdiccio macchiettato colla gola bianca; nel
maschio l’apice della coda è castagno; ma la faccia è la parte
più ornata, essendo la pelle principalmente turchino-grigia, sfumante in
una tinta nericcia sotto gli occhi col labbro superiore di un azzurro delicato
rivestito sull’orlo inferiore di un baffo sottile nero; le fedine sono color
arancio, colla parte superiore nera che forma una fascia che si estende
all’indietro fino alle orecchie, che sono ricoperte di peli bianchicci. Nel
giardino della Società Zoologica io ho spesso udito i visitatori
ammirare la bellezza di un’altra scimmia, meritamente chiamata Cercopithecus
Diana; il colore generale della pelliccia è grigio; bianco il petto
e la superficie interna delle zampe anteriori; un grande spazio triangolare
definito sulla parte posteriore del dorso è color castagno vivace; nel
maschio i lati interni delle cosce e dell’addome sono color fulvo delicato, e
l’apice del capo è nero; la faccia e le orecchie sono intensamente nere;
vagamente in contrasto con una lunga barba bianca a punta, di cui la parte
basale è nera.
In queste ed in molte altre scimmie la
bellezza e la singolare disposizione dei colori, ed ancor più il modo
diverso ed elegante con cui sono disposti i ciuffi e le creste di pelo del loro
capo, mi imprimono nella mente la convinzione che questi caratteri siano stati
acquistati mercè la scelta sessuale esclusivamente per servir di
ornamento.
Sommario. - La legge di
battaglia pel possesso della femmina sembra prevalere in tutta la grande classe
dei mammiferi. La maggior parte dei naturalisti ammetterà che la mole
più grande, la forza, il coraggio e l’indole battagliera del maschio, le
sue armi speciali offensive, come pure i suoi mezzi speciali di difesa, sono
stati tutti acquistati o modificati per opera di quella forma di scelta che ho
chiamato scelta sessuale. Questo non dipende da nessuna superiorità nella
lotta generale per la vita, ma da ciò che certi individui di un sesso,
generalmente del sesso maschile, sono stati vittoriosi di altri maschi, e da
ciò che hanno lasciato un maggior numero di figli per ereditare la loro
superiorità, che non i maschi meno vincitori.
Vi ha un’altra sorta di lotta
più pacifica, nella quale i maschi cercano di eccitare o di allettare le
femmine mercè varie attrattive. Questa può aver luogo
mercè i forti odori emessi dai maschi durante la stagione delle nozze;
perchè le ghiandole odorifere sono state acquistate mercè la
scelta sessuale. È dubbio che si possa estendere lo stesso modo di
vedere alla voce, perchè gli organi vocali dei maschi possono essere
stati rinforzati dall’esercizio durante lo stato adulto, pei forti eccitamenti
dell’amore, della gelosia, o della collera, e possono essere stati trasmessi
allo stesso sesso. Varie creste, ciuffi, e mantelli di pelo, che sono o
limitati al maschio, o sono stati più sviluppati in questo sesso che non
nelle femmine, sembrano nella maggior parte dei casi essere puramente
adornanti, sebbene talora servano di difesa contro i maschi rivali. Vi è
anche ragione per supporre che le corna ramose dei cervi, e le corna eleganti
di certe antilopi, sebbene servano propriamente come armi offensive e difensive,
siano state in parte modificate per scopo di ornamento.
Quando il maschio differisce dalla
femmina nel colore, presenta generalmente tinte più scure e più
fortemente contrastate. In questa classe non s’incontrano gli splendidi colori
rosso, azzurro, giallo e verde, tanto comuni nei maschi degli uccelli e di
molti altri animali. Tuttavia le parti nude di certi quadrumani vogliono essere
eccettuate, perchè queste parti, collocate spesso in luoghi singolari,
sono in certe specie colorite nel modo più brillante. I colori del
maschio possono in altri casi esser dovuti alla semplice variazione, senza
l’aiuto della scelta. Ma quando i colori sono svariati e fortemente
pronunziati, quando non si sviluppano fino quasi allo stato adulto, e quando si
perdono in seguito alla castrazione, non possiamo a meno di conchiudere che
sono stati acquistati per opera della scelta sessuale per scopo di ornamento, e
sono stati trasmessi esclusivamente o quasi esclusivamente allo stesso sesso.
Quando i due sessi sono coloriti nello stesso modo, ed i colori sono vistosi, o
curiosamente disposti, senza avere apparentemente nessuna utilità come
protezione, e specialmente quando sono associati con varie altre appendici
adornanti, siamo dalla analogia condotti alla stessa conclusione, cioè,
che essi sono stati acquistati per opera della scelta sessuale, quantunque
siano stati trasmessi ai due sessi. Se torniamo a ripassare i vari casi
riferiti in questo e nell’ultimo capitolo, troveremo che i colori vistosi e
svariati, siano essi limitati ai maschi o comuni ai due sessi, sono in regola
generale associati agli stessi gruppi e sotto gruppi con altri caratteri
sessuali secondari, che servono per la battaglia o per ornamento.
La legge di eguale trasmissione dei
caratteri ai due sessi, per ciò che riguarda i colori od altri
ornamenti, ha prevalso in modo molto più esteso nei mammiferi che non
negli uccelli; ma rispetto alle armi, come corna e zanne, queste sono state
spesso trasmesse sia esclusivamente, o in un grado molto più alto, ai
maschi che non alle femmine. Questa è una circostanza sorprendente,
perchè siccome i maschi generalmente adoperano le loro armi come difesa
contro ogni sorta di nemici, queste armi sarebbero state utili alla femmina. La
loro mancanza in questo caso può essere spiegata, almeno per quanto
possiamo vedere, soltanto dalla forma di eredità che ha prevalso.
Finalmente nei quadrupedi la lotta fra individui del medesimo sesso, pacifica o
sanguinosa, è stata limitata, tranne rarissime eccezioni, ai maschi;
cosicchè questi sono stati modificati mercè la scelta sessuale,
sia per combattere fra loro o per allettare l’altro sesso, molto più
generalmente che non nelle femmine.
CARATTERI SESSUALI SECONDARI DELL’UOMO
Differenze fra
l’uomo e la donna - Cause di queste differenze e di certi caratteri comuni ai
due sessi - Legge di battaglia - Differenze nelle potenze mentali - e nella
voce - Intorno all’azione della bellezza nel produrre i matrimoni del genere
umano - Attenzione dei selvaggi agli ornamenti - Loro idee intorno alla
bellezza della donna - Tendenza ad esagerare ogni particolarità
naturale.
Nel genere umano le differenze fra i
sessi sono più grandi che non nella maggior parte della specie dei
Quadrumani, ma non tanto grandi come in alcune, per esempio nel mandrillo. In
media l’uomo è notevolmente più alto, più pesante e
più forte che non la donna, ha le spalle più quadrate ed i muscoli
più pronunziati. In seguito al rapporto che esiste fra lo sviluppo dei
muscoli e la sporgenza delle sopracciglia, la sporgenza sopraccigliare è
in generale più fortemente marcata nell’uomo che non nella donna. Il suo
corpo, e specialmente il volto, è più peloso, e la voce ha un
tono differente e più forte. Dicesi che in certe tribù le donne,
ma non so se questo sia vero, differiscono un tantino nella tinta dagli uomini;
e negli Europei le donne sono forse più vivacemente colorite, come si
può osservare allorchè i due sessi sono stati egualmente esposti
all’azione dell’atmosfera.
L’uomo è più coraggioso,
più bellicoso e più energico che non la donna, ed ha maggiore
genio inventivo. Il suo cervello è assolutamente più grande, ma
non è stato, io credo, pienamente riconosciuto che ciò sia relativamente
alla mole del corpo in paragone con quello della donna. La donna ha il volto
più rotondo; le mascelle e la base del cranio più piccole; i
contorni del corpo sono in essa più rotondi, in certe parti più
prominenti; e la pelvi è nella donna più larga che non nell’uomo:
ma quest’ultimo carattere può forse essere considerato come un carattere
primario anzichè secondario. Ha il suo pieno sviluppo in età
più giovanile che non l’uomo.
Come in ogni classe di animali,
così nell’uomo, i caratteri distintivi del sesso maschile non sono
pienamente sviluppati finchè non è prossimo alla età
adulta; e se è evirato non compaiono mai. Per esempio, la barba è
un carattere sessuale secondario, ed i bambini non hanno barba, sebbene nella
prima età abbiano moltissimi capelli. Probabilmente la comparsa in una
età piuttosto tarda delle successive variazioni, mercè le quali
l’uomo acquista i suoi caratteri mascolini, è la ragione per cui non
sono trasmessi che al sesso mascolino solo. I bambini dei due sessi si
rassomigliano moltissimo, come i giovani di tanti altri animali nei quali gli
adulti dei due sessi differiscono; parimente rassomigliano molto più
strettamente alla donna adulta che non all’uomo adulto. Tuttavia la donna
finisce per assumere certi caratteri distintivi, e dicesi che nella formazione
del cranio stia in mezzo fra il bambino e l’uomo. Parimente, siccome i giovani
di specie intimamente affini ma distinte non differiscono tanto fra loro quanto
gli adulti, così è pure il caso nei bambini delle differenti
razze umane. Alcuni hanno anzi asserito che le differenze di razza non si
possono scoprire nel cranio di un bambino. Rispetto al colore il neonato del
nero è color rossiccio-bruno-noce, che in breve diviene grigio-lavagna;
il color nero non si sviluppa pienamente al Sudan che entro l’anno; ma in
Egitto ci vogliono tre anni. Gli occhi del nero sono dapprima azzurri, ed i
capelli castano-chiaro piuttosto che non neri, e sono arricciati solo alle
punte. I bambini degli Australiani appena nati sono color gialliccio-bruno, e
divengono scuri in età più avanzata. Quelli dei Guarany del
Paraguay sono bianco-gialliccio, ma nel corso di qualche settimana acquistano
la tinta giallo-bruna dei loro genitori. Consimili osservazioni sono state
fatte in altre parti d’America.
Ho specificato le sopra menzionate
differenze familiari fra il maschio e la femmina del genere umano;
perchè sono curiosamente le stesse come nei Quadrumani. In questi
animali la femmina è adulta in una età più fresca che non
il maschio; almeno questo è certamente il caso nel Cebus Azarae. Nella
maggior parte delle specie, i maschi sono più grandi, più forti,
che non le femmine; e di questo fatto il gorilla presenta una prova notissima.
Anche in un carattere di poca importanza come la più grande prominenza
dell’arco sopraccigliare, i maschi di certe scimmie differiscono dalle femmine,
e per questo rispetto concordano col genere umano. Nel gorilla ed in certe
altre scimmie il cranio del maschio adulto presenta una cresta sagittale
pronunziatissima, che manca nella femmina; ed Ecker trovò una traccia di
una differenza consimile tra i due sessi negli Australiani. Nelle scimmie
quando vi ha differenza nella voce, quella del maschio è più
forte. Abbiamo veduto che i maschi di certe scimmie hanno barba bene sviluppata,
che nella femmina manca al tutto od è meno sviluppata. Non si conosce
esempio che nella femmina di una scimmia la barba, le fedine ed i baffi siano
più grandi che non nel maschio. Anche nel colore della barba vi ha un
curioso parallelismo fra l’uomo e i quadrumani, perchè quando nell’uomo
la barba differisce nel colore dai capelli, come spesso è il caso, essa
è invariabilmente, credo, di una tinta più chiara, essendo spesso
rossiccia. Osservai questo fatto in Inghilterra, ed il dottor Hooker, il quale
si occupò di questa piccola particolarità per conto mio in
Russia, non ha trovata eccezione a questa regola. A Calcutta il signor J.
Scott, del Giardino Botanico, ebbe la bontà di osservare con cura le
molte razze di uomini che potè vedere colà, come pure in altre
parti dell’India, cioè, due razze di Sikhim, i Bhoteos, gli Indù,
i Burmesi ed i Cinesi. Quantunque la maggior parte di queste razze abbiano
pochissimo pelo sul volto, tuttavia trovò che quando v’era una
differenza nel colore fra i capelli e la barba, quest’ultima era
invariabilmente di una tinta più chiara. Ora nelle scimmie, come abbiamo
già affermato, la barba differisce frequentemente in un modo spiccato
nel colore dai peli del capo, ed in questi casi, è invariabilmente di una
tinta più chiara, essendo spesso più puro, talora giallo o
rossiccio.
Per ciò che riguarda la generale
pelosità del corpo, le donne di tutte le razze sono meno pelose degli
uomini, ed in alcuni pochi Quadrumani la parte posteriore del corpo della
femmina è meno pelosa che non quella del maschio. Infine i maschi delle
scimmie, come gli uomini, sono più ardimentosi e più fieri che
non le femmine. Conducono il branco, e in caso di pericolo vengono
all’avanguardia. Noi in questo vediamo quanto intimo sia il parallelismo fra le
differenze sessuali dell’uomo e dei quadrumani. In alcune poche specie, come in
certi babbuini, nel gorilla e nell’urango vi è una differenza
notevolmente più grande fra i sessi, nella mole dei denti canini, nello
sviluppo e nel colore del pelo, e specialmente nel colore delle parti nude
della pelle, che non nel caso del genere umano.
I caratteri sessuali secondari
dell’uomo sono tutti variabilissimi, anche nei limiti della stessa razza o
sotto specie; e differiscono molto nelle varie razze. Queste due regole
generalmente prevalgono in tutto il regno animale. Nelle eccellenti
osservazioni fatte a bordo della Novara, si trovò che gli
Australesi uomini eccedevano le femmine in altezza di soli
Lo sviluppo della barba e la
pelosità del corpo differiscono notevolmente negli uomini che
appartengono a razze distinte, ed anche a differenti famiglie della stessa
razza. Noi Europei vediamo questo in noi medesimi. Nell’isola di S. Kilda,
secondo Martin, gli uomini non hanno barba, che è molto rada, fino
all’età di trenta e più anni. Nel continente Europeo Asiatico la
barba prevale finchè andiamo oltre le Indie, sebbene nei nativi di
Ceylan manchi frequentemente, come fu notato in tempi antichi da Diodoro. Al di
là dell’India la barba scompare, come nei Siamesi, nei Malesi, nei
Calmucchi, nei Cinesi e nei Giapponesi; nondimeno gli Ainos, che abitano isole
più settentrionali dell’arcipelago Giapponese, sono gli uomini
più pelosi del mondo. Nei neri la barba è scarsa o mancante, e
non hanno fedine; nei due sessi il corpo è in generale quasi mancante di
caluggine. D’altra parte i Papuani dell’Arcipelago malese, che sono quasi tanto
neri quanto i neri, posseggono barba bene sviluppata. Nell’Oceano Pacifico gli
abitanti dell’arcipelago Fiji hanno grandi barbe ispide, mentre quelli degli
arcipelaghi non molto distanti di Tonga e di Samoa sono senza barba; ma questi uomini
appartengono a razze distinte. Nel gruppo delle Ellici tutti gli abitanti
appartengono alla medesima razza; tuttavia in una sola isola, cioè a
Nullemaga “gli uomini hanno bellissime barbe”; mentre nelle altre isole “hanno
di regola una dozzina di rari peli per barba”.
In tutto il grande continente americano
si dice che gli uomini sono senza barba; ma in quasi tutte le tribù
alcuni pochi peli corti sogliono apparire sulla faccia, specialmente durante la
vecchiezza. Nelle tribù dell’America settentrionale, Catlin calcola che
diciotto uomini su venti sono per natura al tutto mancanti di barba; ma talora
si può vedere un uomo, che ha trascurato di strapparsi i peli alla
pubertà, con una morbida barba; lunga due o quattro centimetri. I Guarany
del Paraguay differiscono da tutte le circostanti tribù per avere la
barba corta, ed anche per avere un po’ di pelo sul corpo, ma non fedine. Venni
assicurato dal dottor Forbes, che particolarmente si occupava di questo
argomento, che gli Aymaras ed i Quichuas delle Cordigliere sono notevolmente
senza peli; tuttavia nella vecchiezza si veggono loro talvolta sul mento alcuni
rari peli. Gli uomini di queste due tribù hanno pochissimi peli sulle
varie parti del corpo ove il pelo cresce abbondantemente negli europei, e le donne
non ne hanno affatto nelle parti corrispondenti. Tuttavia i capelli divengono
di una straordinaria lunghezza nei due sessi, giungendo fino a terra; e questo
è pure il caso in alcune tribù del Nord America. Nella
quantità dei capelli, e nella forma generale del corpo, i sessi degli
indigeni americani non differiscono tanto fra loro quanto nella maggior parte
delle altre razze umane. Questo fatto è analogo a quello che si osserva
in certe scimmie affini; così i sessi dello scimpanzè non
differiscono tanto quanto quelli del gorilla o dell’urango.
Nei capitoli precedenti abbiamo veduto
che nei mammiferi, negli uccelli, nei pesci, negli insetti, ecc., molti
caratteri, che v’ha ogni ragione per credere furono primieramente acquistati
per opera della scelta sessuale da un sesso solo, sono stati trasmessi ai due
sessi. Siccome questa medesima forma di trasmissione ha, da quanto pare,
prevalso grandemente nell’umanità, risparmieremo molte inutili
ripetizioni considerando i caratteri particolari al sesso maschile unitamente
con certi altri caratteri comuni ai due sessi.
Legge di battaglia. - Nelle nazioni
barbare, per esempio fra gli Australiani, le donne sono causa costante di
guerra tanto fra gli individui della stessa tribù, quanto tra
tribù distinte. Così senza dubbio seguiva nei tempi antichi; “nam
fuit ante Helenam mulier teterrima belli causa”. Fra gli Indiani del Nord
America, la lotta è ridotta a sistema. Hearne, eccellente osservatore
dice: - “È stato sempre costume presso questo popolo che gli uomini lottassero
per ogni donna di cui fossero innamorati, e naturalmente la parte più
forte vinceva il premio. Un uomo debole, a meno di essere un buon cacciatore, e
molto amato, raramente ottiene il permesso di prendere una moglie che un uomo
più forte consideri degna della sua attenzione. Questo uso prevale in
tutte le tribù, e produce un grande spirito di emulazione fra i giovani,
i quali in tutte le occasioni, fino dall’infanzia, fanno prova della loro forza
e della loro abilità nella lotta”. Azara asserisce che pei Guanas
dell’America meridionale raramente gli uomini si ammogliano prima di avere
venti anni di età, perchè prima non possono vincere i loro
rivali.
Altri fatti consimili si potrebbero
riferire; ma anche se noi non abbiamo nessuna prova intorno a ciò,
possiamo essere quasi certi, dalla analogia dei Quadrumani più elevati,
che la legge di battaglia abbia prevalso nell’uomo durante i primi stadi del
suo sviluppo. La comparsa occasionale al giorno d’oggi di denti canini che
sporgono dagli altri, mostranti tracce di un diastema o spazio aperto per
ricevere gli opposti canini, è probabilissimamente un caso di ritorno ad
uno stato primiero, quando i progenitori dell’uomo erano forniti di quelle
armi, come tanti maschi di quadrumani attuali. In un precedente capitolo
abbiamo osservato che mentre l’uomo andava divenendo diritto, o adoperava di
continuo le mani e le braccia per combattere con bastoni e con pietre, come per
ogni altro uso della vita, egli andava adoperando sempre meno le mascelle ed i
denti. Le mascelle coi loro muscoli andavano allora diminuendo pel minore
esercizio, come segue nei denti pei principii di correlazione e di economia di
accrescimento non ancora bene compresi; perchè vediamo ognora che le
parti che non servono; diminuiscono di mole. Con questi stadi la disuguaglianza
originaria fra le mascelle ed i denti nei due sessi del genere umano doveva
alla fine scomparire al tutto. Il caso è quasi parallelo con quello di
molti maschi di ruminanti, nei quali i denti canini non sono più che
allo stato di rudimenti, o sono scomparsi, da quanto pare, in conseguenza dello
sviluppo delle corna. Siccome la prodigiosa differenza fra il cranio dei due
sessi nel gorilla e nell’urango sta in rapporto intimo collo sviluppo degli
enormi denti canini nei maschi, possiamo dedurre che la diminuzione delle
mascelle e dei denti nei primieri progenitori maschi dell’uomo produssero un
mutamento notevole e favorevole al suo aspetto.
Non vi può essere guari dubbio
che la mole e la forza più grande dell’uomo in paragone di quella della
donna, come pure le spalle più larghe, i muscoli più sviluppati,
il profilo del corpo più ruvido, il maggior coraggio e l’indole
più bellicosa, siano tutti per la maggior parte dovuti
all’eredità di qualche primiero progenitore maschio, il quale, come le
scimmie antropoidi attuali, era cosiffattamente caratterizzato. Tuttavia questi
caratteri sono stati conservati o anche accresciuti durante lunghe età
mentre l’uomo era ancora in una condizione barbara, da ciò che gli uomini
più forti e più arditi sono riusciti nella lotta generale per la
vita come pure nell’impadronirsi delle mogli, lasciando così maggior
numero di prole. Non è probabile che la maggior forza dell’uomo fosse
primariamente acquistata mercè gli effetti ereditati dal lavoro più
duro che non quello della donna per la propria sussistenza e quella della sua
famiglia, perchè nelle nazioni barbare le donne sono costrette ad un
lavoro tanto duro quanto quello dell’uomo. Nelle nazioni incivilite l’arbitrato
della battaglia pel possesso delle donne è cessato da lungo tempo;
d’altra parte, gli uomini, in regola generale, hanno un lavoro più duro
che non quello delle donne pel loro vicendevole sostenimento; e così la
loro forza più grande sarà stata conservata.
Differenza nei poteri mentali dei due
sessi. - Rispetto alle differenze di questa sorta fra l’uomo e la donna,
è probabile che la scelta sessuale abbia avuto una parte
importantissima. Mi sono accorto che alcuni scrittori mettono in dubbio che vi
sia una qualche inerente differenza; ma questo è almeno probabile
dall’analogia degli animali inferiori che presentano altri caratteri sessuali
secondari. Nessuno negherà che il toro differisca nella disposizione
dalla vacca, il cinghiale dalla sua femmina, lo stallone dalla giumenta, e, come
conoscono bene i custodi delle collezioni di animali vivi, i maschi delle
scimmie più grandi dalle loro femmine. La donna sembra differire
dall’uomo nella disposizione mentale, principalmente per la maggiore tenerezza
d’indole e minore egoismo; e questo avviene anche nei selvaggi, come si vede da
un notissimo brano dei viaggi di Mungo Park, e dai rapporti di molti altri
viaggiatori. La donna, pei suoi istinti materni, spiega in grado eminente
queste qualità verso i suoi figli; perciò è verosimile che
le estenda sovente ai suoi simili. L’uomo è rivale di altri uomini;
è lieto della lotta; e questa conduce all’ambizione che si muta troppo
agevolmente in egoismo. Queste ultime qualità sembrano essere il suo
naturale ed infelice retaggio. Si ammette generalmente che nella donna le forze
d’intuizione, di rapida comprensione, e forse d’imitazione, sono più
fortemente spiccate che non nell’uomo; ma alcune almeno di queste
facoltà sono caratteristicamente delle razze più basse, e
perciò di uno stato inferiore e remoto di incivilimento.
La principale distinzione nelle forze
intellettuali fra i due sessi è dimostrata in ciò che l’uomo
giunge ad una più alta eminenza, qualunque cosa egli imprenda, cui non
può giungere la donna - sia che richiegga profondo pensiero, ragione, od
immaginazione, o semplicemente l’uso dei sensi e delle mani. Se si facessero
due liste degli uomini e delle donne più eminenti in poesia, pittura,
scultura, musica - compreso la composizione e l’azione, la storia, la scienza e
la filosofia, con una mezza dozzina di nomi per ogni argomento, le liste non
avrebbero paragone. Noi possiamo pure dedurre, dalla legge di deviazione nei
calcoli, tanto ben dimostrata dal signor Galton nella sua opera intorno allo Hereditary
Genius, che se gli uomini sono evidentemente superiori alle donne per molti
riguardi, il livello medio della potenza mentale dell’uomo deve essere
superiore a quello della donna.
I progenitori maschi semi-umani dell’uomo,
e gli uomini allo stato selvaggio, hanno combattuto fra loro durante molte
generazioni pel possesso delle donne. Ma la semplice forza del corpo e la mole
non avrebbero avuto gran parte nella vittoria, a meno che non vi fossero
associati il coraggio, la perseveranza e la determinata energia. Negli animali
sociali i maschi giovani hanno da attraversare molte lotte prima di ottenere
una femmina, ed i maschi più vecchi hanno da conservare le loro femmine
mercè ripetute battaglie. Hanno pure, nel caso dell’uomo, da difendere
le loro femmine ed i loro giovani da ogni sorta di nemici, e cacciare pel loro
sostenimento. Ma per scansare nemici, od aggredirli con successo per far
prigionieri animali selvatici, ed inventare e foggiare armi, ci vuole l’aiuto
di facoltà mentali più alte, cioè osservazione, ragione,
invenzione o immaginazione. Queste varie facoltà sono state così
continuamente messe in prova e scelte durante la virilità; inoltre sono
state rese più forti dall’esercizio durante questo stesso periodo di
vita. In conseguenza, secondo il principio che abbiamo sovente citato, possiamo
aspettarci a ciò che siano state trasmesse principalmente alla prole
maschile al periodo corrispondente della virilità.
Ora, quando due uomini sono messi in
lotta, o un uomo con una donna, che hanno ogni qualità mentale nella
stessa perfezione, tranne che uno abbia maggior energia, perseveranza e
coraggio, questo diverrà in generale più eminente, qualunque
possa essere lo scopo, ed otterrà la vittoria. Si può dire che
quello che possiede il genio - perchè il genio è stato dichiarato
da una grande autorità essere la pazienza; e la pazienza, in questo
senso, vuol dire inflessibile, indomabile perseveranza. Ma questo modo di
considerare il genio è forse deficiente; perchè senza le potenze
più elevate dell’immaginazione e della ragione, non si può
ottenere nessun eminente successo in molte cose. Quest’ultime come le
precedenti qualità saranno state sviluppate nell’uomo in parte per opera
della scelta sessuale, - cioè per la lotta fra i maschi rivali; ed in
parte per opera della scelta naturale, - vale a dire dalla riuscita nella lotta
generale per la vita; e siccome nei due casi la lotta deve aver avuto luogo
durante lo stato adulto, i caratteri acquistati così saranno stati trasmessi
più compiutamente alla prole maschile che non alla femminile. Questo
è concorde coll’opinione che alcuna delle nostre facoltà mentali
sono state, modificate e rinforzate mercè la scelta sessuale, che, prima
di tutto, esse sopportano, come è ammesso generalmente, un notevole
mutamento alla pubertà, ed in secondo luogo, che gli eunuchi rimangono
per tutta la vita inferiori in queste stesse qualità. Così l’uomo
è infine divenuto superiore alla donna. È stata invero una fortuna
che la legge di eguale trasmissione dei caratteri ai due sessi abbia
comunemente prevalso fu tutta la classe dei mammiferi; altrimenti è
probabile che l’uomo sarebbe divenuto in doti mentali tanto superiore alla
donna, quanto è superiore il pavone nell’ornamento del piumaggio alla
pavonessa.
Bisogna tener a mente che la tendenza
dei caratteri acquistati in un periodo tardo della vita da ogni sesso ad essere
trasmessi allo stesso sesso alla medesima età, e dei caratteri
acquistati in un’età giovanile ad essere trasmessi ai due sessi, sono regole
che, sebbene generali, non sempre prevalgono. Se esse prevalessero sempre, non
potremmo conchiudere (ma qui vado oltrepassando i miei limiti) che gli effetti
ereditati della primiera educazione dei fanciulli e delle fanciulle sarebbero
trasmessi ugualmente ai due sessi; cosicchè l’attuale disuguaglianza
della forza mentale fra i due sessi non potrebbe essere distrutta da un
consimile andamento di educazione giornaliera; nè potrebbe essere
cagionata dalla loro dissimile educazione. Onde la donna potesse giungere allo
stesso livello dell’uomo; dovrebbe, quando è adulta, essere educata
all’energia e alla perseveranza, ed esercitare la sua ragione e la sua
immaginazione al più alto punto, ed allora probabilmente trasmetterebbe
queste qualità alle sue figlie adulte. Tuttavia non si potrebbero
allevare in tal modo tutte le donne, a meno che durante molte generazioni le
donne che fossero eminenti nelle suddette virtù si maritassero, e
producessero un numero maggiore di figli che non le altre donne. Quantunque gli
uomini, come abbiamo osservato per la forza del corpo, non combattano ora pel
possesso delle mogli, e che questa forma di scelta sia scomparsa, tuttavia essi
generalmente sono sottoposti durante la virilità ad una grave lotta onde
mantenersi e mantenere la propria famiglia; e questo tenderà a mantenere
ed anche ad accrescere le loro forze mentali, e, come conseguenza l’attuale
disuguaglianza fra i sessi.
Voce e poteri
musicali. - In alcune specie di quadrumani v’ha una grande differenza fra i
sessi adulti nella potenza della voce e nello sviluppo degli organi vocali; e
l’uomo sembra aver ereditato questa differenza dai suoi primieri progenitori.
Le sue corde vocali sono circa un terzo più lunghe che non quelle della
donna o dei fanciulli, e la evirazione produce in esso lo stesso effetto come
sopra gli animali più bassi, perchè “arresta quel prominente
accrescimento della tiroide, ecc., che accompagna l’allungamento delle corde”.
Rispetto alla causa di questa differenza fra i sessi non ho nulla da aggiungere
alle osservazioni fatte nell’ultimo Capitolo sugli effetti probabili del lungo
e continuato esercizio degli organi vocali del maschio per l’eccitamento
dell’amore, della collera e della gelosia. Secondo Sir Duncan Gibb, la voce
differisce nelle varie razze umane, e negli indigeni della Tartaria, della
Cina, ecc., la voce del maschio dicesi non differisce tanto da quella della
femmina come nella maggior parte delle altre razze.
L’attitudine e l’amore pel canto o per
la musica, sebbene non sia un carattere sessuale dell’uomo, non deve passare
inosservato. Quantunque i suoni emessi dagli animali di tutte le sorta
servano per molti scopi, si può ricavare un notevole caso, che gli
organi vocali furono primariamente adoperati e perfezionati in rapporto alla propagazione
delle specie. Gli insetti ed alcuni pochi ragni sono gli animali più
bassi che volontariamente producano un qualche suono; e questo è
generalmente compiuto mercè l’aiuto di organi stridulanti bene
costrutti, che spesso vengono limitati ai soli maschi. I suoni prodotti in tal
modo consistono, credo in tutti i casi, della medesima nota, ripetuta
ritmicamente; e ciò talvolta diletta anche l’orecchio dell’uomo. Il loro
uso principale, ed in alcuni casi esclusivo, sembra essere quello di chiamare o
di allettare l’altro sesso.
I suoni prodotti dai pesci dicesi siano
mandati in alcuni casi solo dai maschi durante la stagione delle nozze. Tutti i
vertebrati che respirano aria posseggono necessariamente un apparato per
aspirare ed espellere l’aria, con un tubo capace di essere chiuso da un capo.
Quindi allorchè i membri primieri di questa classe erano fortemente
eccitati ed i loro muscoli venivano violentemente contratti, è quasi
certo che si saranno prodotti suoni senza scopo; e questi, qualora fossero sembrati
in qualche modo utili, potevano prontamente venire modificati o farsi
più intensi dalla conservazione delle variazioni propriamente adatte.
Gli anfibi sono i vertebrati più bassi che respirano aria; e molti di
questi ammali, cioè le rane ed i rospi, posseggono organi vocali, che
adoperano incessantemente nella stagione delle nozze, e che sono sovente molto
più sviluppati nel maschio che non nella femmina. Il maschio solo della
tartaruga emette un suono, e questo dura soltanto nella stagione degli amori.
Gli alligatori maschi gracchiano o muggono durante la suddetta stagione. Ognuno
sa quanto gli uccelli facciano uso della loro voce come mezzo di
corteggiamento; ed alcune specie pure compiono ciò che si può
chiamare musica strumentale.
Nella classe dei
mammiferi, di cui ci occupiamo ora più specialmente, i maschi di quasi
tutte le specie adoperano le loro voci durante la stagione degli amori molto
più che non in qualsiasi altro tempo; ed alcuni sono al tutto muti,
tranne in quella stagione. I due sessi di altre specie, o le femmine sole,
adoperano la loro voce come richiamo amoroso. Considerando questi fatti, e che
gli organi vocali di alcuni quadrupedi sono molto più grandemente
sviluppati nel maschio che non nella femmina, sia permanentemente, sia temporaneamente
durante la stagione delle nozze; e considerando che nella maggior parte delle
classi più basse i suoni prodotti dai maschi servono non solo dì
richiamo, ma per eccitare o allettare la femmina, è un fatto
sorprendente che finora non abbiamo nessuna buona prova che questi organi siano
adoperati dai maschi dei mammiferi per allettare le femmine. Il Mycetes
caraya d’America forma forse un’eccezione come pure è probabile sia
un’eccezione una di quelle scimmie più prossime all’uomo, cioè l’Hylobates
agilis. Questo ilobate ha una voce estremamente forte, ma musicale. Il
signor Waterhouse dice: “ Mi sembra che salendo e scendendo la scala musicale
gli intervalli siano esattamente come i mezzi tuoni; e sono sicuro che la nota
più alta era l’ottava esatta della nota più bassa. La
qualità delle note è molto musicale; e non dubito che un buon
violinista potrebbe dare un’idea giusta della composizione dell’ilobate, tranne
per quello che riguarda la sua forza”. Il signor Waterhouse riferisce poi le
note. Il professore Owen, il quale conosce del pari la musica, conferma il
sopramenzionato fatto, ed osserva che questo ilobate “è solo fra gli
animali mammiferi che si possa dire che canti”. Sembra che sia molto eccitato
dopo il suo canto. Per sfortuna i suoi costumi allo stato di natura non sono
mai stati studiati da vicino, ma per l’analogia di quasi tutti gli altri
animali, è molto probabile che emetta le sue note musicali specialmente
durante la stagione del corteggiamento.
La percezione, se non il gusto, delle cadenze
musicali e del ritmo è probabilmente comune a tutti gli animali, e senza
dubbio dipende dalla natura fisiologica comune dei loro sistemi nervosi. Anche
i crostacei, che non possono produrre nessun suono volontario, posseggono certi
peli uditivi, che sono stati veduti vibrare allorchè si colpivano certe
note particolari di musica. Si sa benissimo che alcuni cani abbaiano quando
sentono note particolari. Le foche apprezzano da quanto pare la musica, e
questo loro gusto era “notissimo agli antichi, e spesso i cacciatori dei
nostri, tempi ne traggon partito”. In tutti questi animali, cioè negli
insetti, negli anfibi e negli uccelli, di cui i maschi producono
incessantemente, durante tutta la stagione del corteggiamento, note musicali o
suoni puramente ritmici, dobbiamo credere che le femmine possano apprezzarli e
venire da quelli eccitate o allettate; altrimenti gli sforzi incessanti dei
maschi e le strutture complesse di cui spesso sono esclusivamente forniti
sarebbero inutili.
È in generale ammesso che nell’uomo
il canto sia la base e l’origine della musica strumentale. Siccome nè il
piacere nè l’attitudine a produrre note musicali non sono facoltà
che abbiano il menomo utile diretto per l’uomo per ciò che riguarda gli
abiti ordinari della vita, esse debbono essere collocate fra le più
misteriose di cui l’uomo vada dotato. Sono presenti, sebbene in una condizione
molto rozza e come sembra quasi latente, negli uomini, di tutte le razze, anche
le più selvagge; ma il gusto è così differente nelle
differenti razze, che la nostra musica non procura alcun piacere ai selvaggi, e
la loro è per noi orribile e incomprensibile. Il dottor Seemann, in
alcune interessanti osservazioni a questo riguardo, “dubita se anche fra le
nazioni dell’Europa occidentale, per quanto intimamente connesse esse siano e
sia frequente il loro commercio, la musica dell’una venga interpretata nello
stesso senso dall’altra. Viaggiando verso Oriente troviamo che la musica ha
certamente un linguaggio differente. I canti di gioia ed i ballabili non son
più, come presso di noi, in tono maggiore, ma sempre in minore”. Sia che
i progenitori semiumani dell’uomo possedessero o no, come il sopramenzionato
ilobate, la facoltà di produrre, e senza dubbio di apprezzare le note
musicali, abbiamo ogni ragione di credere che l’uomo ubbia posseduto queste
facoltà in un periodo remotissimo, perchè il canto e il suono
sono arti estremamente antiche. La poesia, che si può, considerare come
la figlia del canto, è parimente tanto antica che molte persone provano
meraviglia pensando che abbia avuto origine durante le epoche più
antiche di cui abbiamo memorie.
Le facoltà musicali, che non
sono al tutto mancanti in nessuna razza possono acquistare un pronto ed elevato
sviluppo, siccome vediamo negli Ottentoti e nei Neri, che divengono in breve
eccellenti suonatori, quantunque nei loro paesi nativi non sogliono far nulla
che a noi sembri musica. Ma non v’ha nulla di anomalo in questa circostanza:
alcune specie di uccelli che naturalmente non cantano mai; possono, senza molta
difficoltà, imparare a cantare; così la passera comune ha
imparato il canto di un fanello. Siccome queste due specie sono strettamente
affini, ed appartengono all’ordine degli Insessores, che comprende quasi
tutte le specie di cantatori del mondo, è al tutto possibile o almeno
probabile che un progenitore della passera possa esser stato un cantatore.
È un fatto molto più notevole che i pappagalli, i quali
appartengono ad un gruppo distinto dagli Insessores, ed hanno quindi gli
organi vocali costrutti a modo differente, possano imparare, non solo a
parlare, ma a zufolare e cantarellare canzoni inventate dall’uomo,
cosicchè debbono avere qualche facoltà musicale. Nondimeno
sarebbe soverchia arditezza asserire che i pappagalli discendono da qualche
antico progenitore che fosse un cantatore. Si potrebbero riferire molti casi
analoghi di organi e di istinti adatti in origine per uno scopo, che sono stati
adoperati per qualche altro scopo al tutto distinto. Quindi la facoltà
di uno sviluppo musicale elevato, che posseggono le razze umane selvagge,
può essere dovuta o a ciò che i nostri progenitori semi-umani
avevano praticata una qualche barbara forma di musica, o semplicemente a
ciò che essi ebbero acquistato per qualche fine distinto i loro organi
vocali. Ma in quest’ultimo caso dobbiamo asserire che essi già
possedessero, come nel caso sopra menzionato dei pappagalli, e come si osserva
in molti animali, un qualche senso di melodia.
La musica agisce sopra ogni emozione,
ma per se stessa non eccita in noi le più terribili emozioni di orrore,
di rabbia, ecc. Sveglia i più gentili sensi di amorevolezza e di amore,
che prontamente passano al sacrifizio. Sprona pure in noi il senso del trionfo
e dell’ardore di gloria e di guerra. Questi sensi potenti e misti possono bene
dar nascimento al senso del sublime. Noi possiamo concentrare, come osserva il
dottor Seemann, una grande intensità di sentimento in una nota musicale
che non in pagine di scritto. Quasi le stesse emozioni, ma molto più
deboli e meno complesse, sono probabilmente provate dagli uccelli quando il
maschio espande tutto il suo canto, per rivalità con altri maschi, onde
cattivare la femmina. L’amore è pure il tema più comune dei
nostri canti. La musica, come osserva Herbert Spencer, “sveglia sensi assopiti
cui non credevamo possibile, e di cui non conosciamo il significato; oppure,
come dice Richter, ci narra cose che non abbiamo veduto e non vedremo”.
Reciprocamente, quando vive emozioni sono provate ed espresse dall’oratore o
anche nel discorso comune, si adoperano istintivamente cadenze, e ritmi
musicali. Anche le scimmie esprimono forti sentimenti in differenti toni - la
collera e l’impazienza con note basse, il timore ed il dolore con note alte. Le
sensazioni e le idee che sveglia in noi la musica, o le cadenze di un
appassionato oratore, sembrano essere per loro indole indefinita, sebbene
profonda, come ritorni della mente alle emozioni ed ai pensieri di un’epoca da
lungo tempo trascorsa.
Tutti questi fatti rispetto alla musica
divengono fino ad un certo punto intelligibili se passiamo asserire che i suoni
musicali ed il ritmo fossero adoperati dai progenitori semi-umani dell’uomo,
durante la stagione del corteggiamento, quando gli animali di ogni sorta sono
eccitati dalle più forti passioni. In questo caso, secondo principio
potentissimo delle associazioni ereditate, i suoni musicali ecciterebbero
parimente in noi; in un modo incerto e indefinito, le forti emozioni di
un’epoca da lungo tempo passata. Tenendo a mente che i maschi di alcuni animali
quadrumani hanno gli organi vocali molto più sviluppati che non le
femmine, e che una specie antropomorfa emette un’intera ottava di note musicali
e può dirsi che canta, non sembra improbabile il sospetto che i
progenitori dell’uomo, siano maschi o femmine, o dei due sessi, prima che
avessero acquistato la facoltà di esprimere il loro vicendevole amore
col linguaggio articolato, cercassero di allettarsi l’un l’altro con note o
ritmo musicale. Le nostre cognizioni intorno all’uso della voce dei quadrumani durante
la stagione delle nozze sono così limitate, che non abbiamo guari alcun
mezzo per giudicare se l’abito del canto venisse acquistato primamente dal
progenitore maschio o dal progenitore femmina del genere umano. In generale si
crede che le donne abbiano voce più dolce di quella degli uomini, e per
quanto ciò possa servirci di guida possiamo dedurre che esse
acquistarono primamente le facoltà sessuali per attrarre l’altro sesso.
Ma se questo fu il caso, ciò deve essere seguito in un tempo ben remoto,
prima che i progenitori dell’uomo fossero divenuti abbastanza umani per
trattare e stimare le donne come semplici schiave, L’oratore appassionato, il
bardo, o il musicante, quando colle loro note e le loro svariate cadenze
eccitano le più forti emozioni nei loro uditori, non sospettano invero
che adoperano gli stessi mezzi coi quali, in periodo sommamente remoto, i loro
antenati semi-umani svegliavano reciprocamente le loro ardenti passioni,
durante il loro mutuo corteggiamento e la loro rivalità.
Dell’azione della bellezza nel produrre
i matrimoni del genere umano. - Nella vita civile l’uomo è
grandemente propenso, sebbene non affatto in modo esclusivo, a lasciarsi
guidare nella scelta di una moglie dall’aspetto esterno; ma noi ci occupiamo
principalmente dei tempi primitivi, e il nostro solo mezzo per formarci un
giudizio intorno a ciò è quello di studiare gli abiti delle
nazioni selvagge e semi-incivilite attuali. Se si può dimostrare che gli
uomini delle differenti razze preferiscono le donne che hanno certi caratteri,
o reciprocamente che le donne preferiscono certi uomini, avremo allora da
ricercare se questa scelta, continuata per molte generazioni, avrebbe prodotto
un qualche sensibile effetto sulla razza, sia sopra un sesso o sopra i due
sessi; quest’ultima circostanza dipenderà dalla forma di eredità
che avrà prevalso.
Sarà bene prima di tutto
dimostrare con qualche particolare che i selvaggi pongono la più grande
attenzione al loro aspetto personale. È noto a tutti che hanno una
passione per gli ornamenti; ed un filosofo inglese va tanto in là da
asserire che i vestiti furono fatti primamente per scopo di ornamento e non per
tener caldo. Come osserva il professore Waitz, “per quanto povero e miserabile
sia l’uomo, egli trova piacere ad adornare la sua persona”. La stravaganza
degli Indiani nudi del Sud America nell’adornarsi è dimostrata da
ciò che “un uomo di grande statura guadagna con difficoltà, col
lavoro di due settimane quello che ci vuole per procurarsi in cambio la chica
necessaria per dipingersi di rosso”. Gli antichi popoli barbari di Europa,
durante il periodo della Renna, portavano nelle loro caverne ogni sorta di
oggetti brillanti o singolari che venisse loro fatto di trovare. I selvaggi dei
nostri giorni si adornano per ogni verso di piume, di collane, di smaniglie, di
orecchini, ecc. Si dipingono il corpo nelle più svariate fogge. “Se le
nazioni dipinte, come osserva Humboldt, fossero state studiate tanto
attentamente quanto le nazioni coperte di vestiti si sarebbe veduto che la più
fertile immaginazione ed il più mutevole capriccio hanno creato tanto le
mode di pittura quanto quelle di vestiario”.
In una parte dell’Africa le ciglia sono
tinte di nero; in un’altra le unghie sono colorite di giallo o di porpora. In
molti luoghi si tingono i capelli con varie tinte. Nei differenti paesi i denti
vengono macchiati di nero, di rosso, di azzurro, ecc., e nell’arcipelago Malese
è una vergogna avere i denti bianchi come quelli di un cane. Non si
può menzionare un grande paese, dalle regioni polari a settentrione fino
alla Nuova Zelanda a mezzogiorno, in cui gli indigeni non sogliono screziarsi
la pelle col cosidetto tatuaggio. Questa pratica era seguìta
dagli Ebrei dell’antichità e dagli antichi Brettoni. In Africa alcuni
fra gli indigeni si fanno il tatuaggio, ma è molto più comune
farsi protuberanze sfregando con sale le incisioni fatte nelle varie parti del
corpo; e queste sono considerate dagli abitanti del Cordofan e del Darfur “come
grandi attrattive personali”. Nei paesi arabi non vi ha bellezza perfetta a
meno che le guance “o le tempia non siano state tagliate”. Nell’America
meridionale, come osserva Humboldt, “una madre sarebbe accusata di colpevole
indifferenza verso i suoi figli, se non adoperasse mezzi artificiali per
foggiare il polpaccio della gamba secondo la moda del paese”. Nel vecchio e nel
nuovo continente la forma del cranio veniva anticamente modificata durante
l’infanzia nel modo più straordinario, come è ancora il caso in
molti luoghi, e cosiffatte deformità sono considerate come adornanti.
Per esempio, i selvaggi della Colombia considerano una testa molto piatta “come
un punto principale di bellezza”.
I capelli sono accuditi specialmente in
vari paesi; sono lasciati crescere nella piena lunghezza, tanto da giungere al
terreno, o sono pettinati ed acconciati in “una compatta e crespa spazzola che
è la gloria e l’orgoglio dei Papuani”. Nell’Africa settentrionale “un
uomo richiede un periodo di otto o dieci anni onde perfezionare la sua
acconciatura”. In altre nazioni il capo è raso, e nelle parti
dell’America meridionale e nell’Africa anche le ciglia vengono sradicate. Gli
indigeni del Nilo superiore si strappano i quattro denti incisivi, dicendo che
non vogliono rassomigliare ai bruti. Più verso il mezzogiorno, i Batokas
si strappano i due incisivi superiori, ciò che, come osserva
Livingstone, dà alla faccia un aspetto schifoso per l’accrescimento
della mascella inferiore, ma quelle genti trovano che la presenza degli
incisivi è molto sgradevole, e quando vedono gli Europei esclamano:
“Guarda che grossi denti!”. Il grande capo Sebituani cercò invano di
modificare quella moda. In varie parti dell’Africa e nell’arcipelago Malese gli
indigeni tagliano i denti incisivi in punte come quelle di una sega, o li
forano con buchi, nei quali fanno entrare fuscellini.
Siccome in noi il volto è
principalmente ammirato per la sua bellezza, così nei selvaggi è
la sede principale della mutilazione. In tutte le parti del mondo, il setto, e
più raramente le ali del naso sono forate, con anelli, verghette, penne
ed altri ornamenti inseriti nei fori. In ogni luogo le orecchie sono forate e
similmente adorne, e fra i Botucudos ed i Lenguas dell’America meridionale il
foro viene graduatamente molto allargato che l’orlo inferiore tocca la spalla.
Nell’America settentrionale e meridionale e nell’Africa il labbro superiore e
l’inferiore sono forati; e fra i Botucudos il foro del labbro inferiore
è tanto largo che un disco di legno del diametro di dieci centimetri vi
si può inserire dentro. Mantegazza riferisce un curioso ragguaglio della
vergogna che provò un indigeno dell’America del Sud, e delle beffe che
gli vennero fatte quando vendette la sua tembeta - il grosso pezzo di
legno colorito che attraversa il foro. Nell’Africa centrale le donne si forano
il labbro inferiore e vi infilano un pezzo di cristallo il quale col muoversi
della lingua, ha “un movimento rotatorio sommamente ridicolo durante la
conversazione”. La moglie del capo di Latooka disse a sir S. Baker che “sua
moglie sarebbe stata molto meglio se si fosse strappati i quattro denti davanti
della mascella inferiore, e avesse portata la lunga verghetta lucida di
cristallo nel suo labbro inferiore”. Sempre più verso mezzogiorno, nei
Makalolo, il labbro superiore è perforato, ed un grande anello di
metallo e bambù, chiamato pelelé, è infilato nel buco.
Questo fa sì che il labbro in un caso sporge cinque centimetri oltre la
punta del naso; e quando una signora sorride la contrazione dei muscoli lo alza
fino agli occhi.
Perchè le donne portano quelle
cose? venne domandato al venerabile capo Chinsurdi. Evidentemente sorpreso a
quella sciocca domanda, rispose: “Per farsi belle! Sono le sole cose che hanno
di bello le donne; gli uomini hanno la barba; le donne non l’hanno. Che sorta
di figura farebbe una donna senza il pelelé? Non sarebbe affatto una donna con
una bocca come quella dell’uomo, ma senza barba”.
Non v’ha quasi nessuna parte del corpo
che sia rifuggita ad una non naturale modificazione. La somma di dolore
cagionata in tal modo deve essere meravigliosamente grande, perchè molte
di quelle operazioni richiedono parecchi anni per essere compiute,
cosicchè l’idea della loro necessità deve essere ben imperiosa. I
motivi sono vari; gli uomini si dipingono il corpo per sembrar terribili in battaglia;
certe mutilazioni hanno relazione con riti religiosi; oppure segnano
l’età adulta, o la condizione sociale dell’uomo, o servono a distinguere
le tribù. Siccome presso i selvaggi le stesse mode prevalgono per lunghi
periodi, le mutilazioni, qualunque ne fosse la prima causa, vennero in breve
stimate come segni distintivi. Ma l’ornamento della persona, la vanità e
l’ammirazione degli altri sembrano essere le cause più predominanti.
Rispetto all’uso di farsi il tatuaggio, mi fu detto dai missionari della Nuova
Zelanda che quando tentavano di persuadere qualche fanciulla ad abbandonare
quell’uso, esse rispondevano: “Dobbiamo farci qualche linea sulle labbra,
altrimenti quando diverremo vecchie saremo troppo brutte”. Negli uomini della
Nuova Zelanda un giudice molto competente dice “avere il volto finamente
screziato col tatuaggio era la grande ambizione dei giovani, tanto per rendersi
accetti alle signore, quanto per sembrar vistosi in guerra”. Una stella di tal
sorta stampata sulla fronte ed una macchia sul mento sono considerate dalle
donne di una parte dell’Africa come attrattive irresistibili. Nella maggior
parte, ma non in tutto il mondo, gli uomini sono molto più adorni che
non le donne, e spesso in modo differente; talora, sebbene di rado, le donne
non sono affatto adorne. Siccome le donne presso i selvaggi sono obbligate a
compiere la maggior parte del lavoro, e non si danno loro le migliori sorta di
cibo, così concorda col caratteristico egoismo dell’uomo, che esse non
abbiano, nè possano far uso, degli ornamenti più belli. Infine
è un fatto notevole, come abbiamo dimostrato nelle precedenti citazioni,
che le medesime mode nel modificare la forma del capo, nell’ornarsi i capelli,
nel dipingersi, nel farsi il tatuaggio, nel forarsi il naso, le labbra o le
orecchie, nello strapparsi o riempirsi i denti, ecc., prevalgono ora ed hanno
da lungo tempo prevalso nelle più lontane parti del mondo. È
sommamente improbabile che queste pratiche che sono seguite da tante nazioni
distinte siano dovute alla tradizione da qualche sorgente comune. Indicano
piuttosto la somiglianza intima della mente dell’uomo, a qualunque razza
appartenga, nello stesso modo come gli usi quasi universali del ballare, del
travestimento e del fare rozze pitture.
Dopo avere
esposto queste osservazioni preliminari intorno all’ammirazione provata dai
selvaggi per vari ornamenti, e per le deformità che ai nostri occhi sono
orribili, vediamo fino a qual punto gli uomini siano attirati dall’aspetto
delle loro donne, e quali siano le loro idee in. torno alla bellezza. Siccome
ho udito asserire che i selvaggi sono al tutto indifferenti alla bellezza delle
loro donne, considerandole unicamente come schiave, sarà bene osservare
che questa conclusione non concorda affatto colla cura che le donne si prendono
per ornarsi, o colla loro vanità. Burchell riferisce un divertente fatto
di una donna Bush, che soleva adoperare tanto grasso, ocra rossa, e polvere
risplendente “che avrebbe mandato in rovina il marito più ricco”. Faceva
pompa del pari di “molta vanità ed una evidente consapevolezza della sua
superiorità” Il signor Winwood Reade m’informa che i neri della costa
occidentale discutono sovente la bellezza delle loro donne. Alcuni osservatori
competenti hanno attribuito la pratica orribile sebbene comune dell’infanticidio
in parte al desiderio che provano le donne di conservare il loro bell’aspetto.
In parecchie regioni le donne portano amuleti e filtri amorosi per acquistare
l’affetto degli uomini; e il signor Brown annovera quattro piante adoperate per
questo scopo dalle donne dell’America nord-ovest.
Hearne, che
visse molti anni fra gli indiani di America, e che era un eccellente
osservatore, dice, parlando delle donne: “Domandate ad un indiano del Nord che
cosa sia la bellezza, ed egli risponderà, una faccia larga, piatta,
occhi piccoli, zigomi sporgenti, tre o quattro larghe linee nere sopra ogni
guancia, fronte bassa, mento largo, quadro, naso grosso ad uncino, colorito
affumicato, e le mammelle che pendono fino alla cintura”. Pallas, il quale
visitò le parti settentrionali dell’impero Cinese, dice: “sono
colà preferite quelle donne che hanno aspetto di Mandschu, vale a dire
il volto largo, gli zigomi sporgenti, il naso larghissimo, e le orecchie
enormi”; e Vogt osserva che l’ubiquità dell’occhio, che è propria
dei Cinesi e dei Giapponesi, viene esagerata a bella posta nei loro dipinti,
come “per mostrare, sembra, la loro bellezza, che fa contrasto cogli occhi dei
barbari dai capelli rossi”. È. una cosa notissima, come osserva
ripetutamente Hue, che i Cinesi dell’interno considerano gli Europei orribili
per la loro pelle bianca ed il naso prominente. Secondo il nostro modo di
vedere, il naso è tutt’altro che prominente negli indigeni di Ceylan;
tuttavia “i Cinesi nel settimo secolo, avvezzi alle fattezze piatte delle razze
Mogul, furono sorpresi alla vista dei nasi prominenti dei Cingalesi; e Thsang
li descrive siccome forniti di un becco d’uccello col corpo di un uomo”.
Finlayson, dopo
aver minutamente descritto il popolo della Cocincina, dice che le loro teste e
le loro facce rotonde sono i loro principali caratteri, ed aggiunge, “la
rotondità di tutto il loro aspetto appare più spiccata nelle
donne, le quali sono considerate tanto più belle quanto più
presentano questa forma di faccia”. I Siamesi hanno piccolo naso con narici
divergenti, una bocca larga con labbra alquanto grosse, il volto notevolmente
largo, cogli zigomi sporgenti e grossi. Non v’ha quindi da stupirsi che “la
bellezza, secondo il nostro modo di vedere, sia loro ignota. Tuttavia essi
considerano le loro donne molto più belle che non quelle d’Europa”.
Tutti sanno che in molte donne
Ottentote la parte posteriore del corpo sporge in modo singolare; esse sono
steatopigie; e sir Andrea Smith è certo che questa particolarità
è molto ammirata dagli uomini. Egli vide una volta una donna la quale
era tenuta in conto di bellissima, che aveva la parte posteriore talmente
sviluppata, che quando era seduta per terra non poteva alzarsi, e doveva
trascinarsi finchè trovasse sul terreno qualche rialzo. Alcune donne
nelle varie tribù nere sono caratterizzate nello stesso modo; e secondo
Burton, gli uomini Somal “scelgono, da quanto dicesi, le loro mogli mettendole
in fila e prendendo quella che sporge di più a tergo. Non v’ha
nulla che dispiaccia più ad un nero quanto la forma opposta”.
Rispetto al colore, i neri si burlavano
di Mungo Park per la bianchezza della sua pelle e pel suo naso sporgente, che
consideravano entrambi come “conformazioni spiacevoli all’occhio e non
naturali”. Egli in cambio lodava il nero lucente della loro pelle e la delicata
depressione del loro naso; così egli era, come dicevano essi “una
bocca di miele”, intanto gli davano da mangiare. Anche i Mauri Africani
“facevano il cipiglio e parevano rabbrividire” per la bianchezza della sua
pelle. Sulla costa orientale, i fanciulli quando videro Burton, sclamarono:
“Guarda l’uomo bianco, non rassomiglia egli ad una scimmia bianca?”. Sulla
costa occidentale, come mi comunica il signor Windwoad Reade, i neri ammirano
una pelle nerissima molto più che non una tinta più chiara. Ma il
loro orrore per la bianchezza può essere in parte attribuito, secondo lo
stesso viaggiatore, alla credenza della maggior parte dei neri che i demoni e
gli spiriti siano bianchi.
I Banyai della parte più
meridionale del continente sono neri, “ma moltissimi sono di una tinta chiara
caffè e latte, ed invero questo colore è considerato bello in
tutto il continente”, così noi abbiamo qui un’altra sorta di gusto. Nei
Cafiri, che differiscono molto dai neri, “la pelle, tranne nelle tribù
presso il golfo Delagoa, non è per solito nera, mentre il colore
dominante è un misto di nero e di rosso, ed il più comune
è il color cioccolata. Il colorito oscuro essendo il più comune
è naturalmente tenuto in maggior conto. Dire ad un Cafiro che ha la
pelle chiara o simile ad un bianco, sarebbe fargli un ben meschino complimento.
Ho udito parlare di un pover’uomo il quale era tanto chiaro di colore che
nessuna fanciulla voleva sposarlo”. Uno dei titoli del re Zulu è “Tu che
sei nero”. Il signor Galton, parlando dei nativi del Sud Africa, osservava che
la loro idea intorno alla bellezza sembra differire molto dalla nostra;
perchè in una tribù, due sorelle, sottili e graziose fanciulle,
non erano ammirate dagli indigeni.
Veniamo ora alle altre parti del mondo;
a Giava, una fanciulla gialla e non bianca è considerata, secondo la
signora Pfeiffer, come una bellezza. Un uomo della Cocincina “parlava con
disprezzo della moglie dell’ambasciatore inglese perchè aveva i denti
bianchi come quelli di un cane, e la tinta rosea come quella del fiore della
patata”. Abbiamo veduto che i Cinesi non amano la nostra pelle bianca, e che
gli Americani del Nord ammirano “una tinta affumicata”. Nel Sud America, gli
Yuracaras, che abitano i pendii boscheggianti ed umidi delle Cordigliere
orientali, hanno un colore sommamente pallido, come esprime il loro nome nella
loro lingua; nondimeno considerano le donne europee come molto inferiori alle
loro proprie.
In varie tribù dell’America
settentrionale i capelli divengono prodigiosamente lunghi, e Catlin riferisce
una prova curiosa, del come sia ciò stimato, perchè il capo dei
Crows fu eletto a quest’ufficio per avere i più lunghi capelli di
qualunque uomo della tribù, cioè tre metri e quindici centimetri.
Gli Aymaras ed i Quichaus del sud America, hanno pure capelli lunghissimi, e
ciò, secondo quello che ho imparato dal signor Dottor Forbes, è
tanto considerato come una grande bellezza, che tagliarli sarebbe il più
gran castigo che si potrebbe infligger loro. Nelle due metà del
continente gli indigeni talora aumentano l’apparente lunghezza dei loro capelli
intrecciandoli con sostanze fibrose. Quantunque i capelli siano così
apprezzati, i peli del volto sono considerati dagli Indiani del Nord America
“come molto volgari” ed ogni pelo è strappato con cura. Questa pratica
domina in tutto il continente americano dall’isola di Vancouver a settentrione
fino alla terra del Fuoco al mezzogiorno. Quando York Minster, un indigeno
della Terra del Fuoco che era a bordo della Beagle venne riportato al
suo paese, gl’indigeni gli dissero che doveva sradicarsi i pochi e brevi peli
della sua faccia. Essi minacciarono pure un giovane missionario, che era stato
lasciato per un certo tempo con essi, di metterlo nudo per strappargli tutto il
pelo dal volto e dal corpo, sebbene non fosse per nulla un uomo molto peloso.
Questa moda è spinta tanto in là che gli Indiani del Paraguay
sradicarono le loro ciglia e le sopracciglia, dicendo che non vogliono
rassomigliare a cavalli.
È cosa notevole che in tutto il
mondo le razze le quali sono quasi al tutto sprovviste di barba non amano i
peli del volto e del corpo, ed hanno cura di sradicarli. I Calmucchi sono senza
barba, e si sa molto bene, che, come gli Americani, si sradicano tutti i peli;
e così fanno pure i Polinesi, alcuni Malesi ed i Siamesi. Il signor
Veitch afferma che le signore Giapponesi “criticavano tutte le nostre fedine,
considerandole come cosa molto brutta, e ci consigliavano di tagliarle, onde
rassomigliare ai Giapponesi”. Gli abitanti della Nuova Zelanda sono senza
barba; si sradicano con gran cura i peli del volto, ed hanno un motto che dice:
“Non v’ha donna per uomo peloso”.
D’altra parte, le razze barbute
ammirano e stimano grandemente le loro barbe; fra gli Anglo-Sassoni, ogni parte
del corpo, secondo le loro leggi, aveva un valore riconosciuto, “la perdita
della barba era stimata a venti scellini, mentre la rottura di una coscia era
calcolata solo dodici”. In Oriente gli uomini giurano solennemente per la loro
barba. Abbiamo veduto che Chinsurdi, il capo dei Makaloli in Africa,
considerava evidentemente la barba come un grande ornamento. Nei Figiani del
Pacifico, la barba è abbondante ed ispida, ed è il loro maggior
orgoglio; mentre gli abitanti degli arcipelaghi adiacenti di Tonga e di Samoa
sono “senza barba, e detestano un mento ruvido”. In una sola isola del gruppo
delle Ellici “gli uomini hanno molta barba, e non ne vanno poco alteri”.
Noi vediamo quindi in quanti modi
diversi le razze umane differiscano nel loro gusto del bello. In ogni nazione
sufficientemente avanzata da avere fatto effige dei loro Dei o dei loro
dominatori deificati, non v’ha dubbio che gli scultori hanno cercato di
esprimere il loro più alto ideale di beltà e di grandezza. Con questo
modo di vedere è bene paragonare nelle nostre: menti le statue greche di
Giove e di Apollo colle Egizie e le Assire; e queste cogli orridi bassorilievi
delle costruzioni diroccate dell’America centrale.
Io ho incontrato pochissimi fatti che
diano una smentita alla suddetta conclusione. Il signor Winwood Reade,
tuttavia, che ha avuto ampie opportunità per fare osservazioni, non solo
coi neri della costa occidentale, dell'Africa, ma con quelli dell’interno che
non hanno mai avuto che fare con Europei, è convinto che le loro idee
intorno alla bellezza sono in complesso simili alle nostre. Egli ha
osservato ripetutamente che le sue concordavano con quelle dei neri intorno
alla estimazione della bellezza delle fanciulle indigene; e che il loro
apprezzamento della bellezza delle donne europee corrispondeva al nostro. Essi
ammirano i capelli lunghi, ed adoperano mezzi artificiali per farli comparire
abbondanti; ammirano anche la barba, sebbene essi ne siano scarsamente forniti.
Il signor Reade non è ben certo qual sorta di naso essi apprezzino: egli
ha udito una fanciulla dire: “Non voglio sposarlo perchè non ha naso”; e
questo dimostra che un naso molto piatto non è oggetto di ammirazione.
Tuttavia, dobbiamo tenere a mente che il naso molto depresso e le mascelle
molto sporgenti dei neri della costa occidentale sono tipi eccezionali negli
abitanti dell’Africa. Malgrado i sovra citati fatti, il signor Reade non crede
probabile che i neri preferirebbero mai le donne più belle di Europa,
per ciò che riguarda semplicemente l’ammirazione fisica, ad una
avvenente nera.
La
verità del principio, sul quale insisteva molto tempo fa Humboldt, che
l’uomo ammira e sovente cerca di esagerare qualsiasi carattere che la natura
possa avergli dato, è dimostrata in vari modi. La pratica delle razze
senza barba, che estirpano ogni traccia di barba, e generalmente tutti i peli
del corpo, ne offre un esempio. Il cranio è stato molto modificato
durante i tempi antichi e moderni da molte nazioni; e non vi può essere
guari dubbio che questo sia stato praticato, specialmente nell’America
settentrionale e meridionale, onde esagerare qualche particolarità
naturale ed ammirata. Si sa che molti Indiani Americani ammirano una testa
appiattita ad un grado così estremo tanto da parere a noi simile a
quella di un idiota. Gli indigeni della costa nord-ovest si comprimono il capo
in un cono aguzzo, ed è la loro pratica costante di raccogliersi i
capelli in un ciuffo sull’apice del capo, allo scopo, come osserva il D.
Wilson, “di accrescere l’apparente altezza della loro forma prediletta a cono”.
Gli abitanti di Arakhan “ammirano una fronte larga, liscia, ed onde produrla,
legano una piastra di piombo sul capo dei loro bambini appena nati”. D’altra
parte, “un occipite largo, bene arrotondato viene considerato come una grande
bellezza” dagli indigeni delle isole Fiji.
Come pel
cranio, così pel naso; gli antichi Unni durante il secolo di Attila
solevano appiattire il naso dei loro bambini con fasciature, “affine di
esagerare una conformazione naturale”. Negli abitanti di Taiti, essere chiamato
naso lungo viene considerato come un insulto, ed essi comprimono il naso
e la fronte dei loro bambini per farli più belli. Così segue pure
fra i Malesi di Sumatra, Ottentoti, certi Neri, e gl’indigeni del Brasile. I
Cinesi hanno naturalmente piedi piccolissimi; e tutti sanno che le donne delle
classi superiori si deformano i piedi per farli sempre più piccoli.
Infine, Humboldt crede che gl’indigeni Americani preferiscono di colorire il
loro corpo di rosso onde esagerare la loro tinta naturale; e fino a poco tempo
fa le donne europee accrescevano il loro vivace colorito naturale con liscio
bianco e rosso; ma dubito che molte nazioni barbare abbiano avuto una
intenzione particolare nel dipingere il loro corpo.
Nelle mode dei
nostri vestiti vediamo esattamente lo stesso principio e lo stesso desiderio di
spingere ogni particolare all’estremo; noi mostriamo pure lo stesso spirito di
emulazione. Ma le mode dei selvaggi sono molto più permanenti che non le
nostre; ed ogniqualvolta i loro corpi sono modificati artificialmente questo
è di necessità il caso. Le donne arabe del Nilo superiore
impiegano circa tre giorni per acconciarsi i capelli; esse non imitano mai
altre tribù, “ma semplicemente si contendono a vicenda la supremazia
della loro propria foggia”. Il dottor Wilson, parlando dei cranii compressi di
varie razze Americane, aggiunge, “questi usi sono fra i meno facili da
sradicare, e sopravvivono lungamente all’urto dei rivolgimenti che mutano le
dinastie, e cancellano particolarità nazionali più importanti.
Lo stesso
principio viene largamente in giuoco nell’arte della scelta; e noi possiamo
comprendere in tal modo, come ho già spiegato altrove, il meraviglioso
sviluppo di tutte le razze di animali e di piante che si tengono soltanto per
scopo di ornamento. I dilettanti desiderano sempre che un dato carattere venga
in certo modo accresciuto; non ammirano un livello mezzano; certamente non
vogliono nessun grande e repentino mutamento nel carattere delle loro razze;
ammirano solo ciò che sono avvezzi a vedere, ma desiderano ardentemente
di vedere ogni lineamento caratteristico un po’ più sviluppato.
Senza dubbio le
forze di percezione dell’uomo e degli animali più bassi sono costituite
per modo che i colori brillanti e certe forme, come pure i suoni armoniosi e
ritmici, producono piacere e sono detti belli; ma la cagione di ciò non
la conosciamo più di quello che conosciamo la cagione per cui certe
sensazioni del corpo sono spiacevoli ed altre sono sgradevoli. Non è certo
vero che siavi nella mente dell’uomo un qualche modello universale di bellezza
rispetto al corpo umano. Tuttavia, è possibile che certi gusti possano
nel corso del tempo divenire ereditari, sebbene io non abbia prove in favore di
questa credenza; e se questo fosse vero, ogni razza avrebbe il suo innato
modello ideale, della bellezza. È stato asserito che la bruttezza
consiste nell’approssimarsi alla struttura di qualche animale più basso,
e senza dubbio questo è vero per le nazioni più incivilite, nelle
quali l’intelletto è più altamente apprezzato; ma un naso due
volte più prominente, e gli occhi due volte più grandi del
consueto, non si accosterebbero per nulla alla struttura di nessun animale
più basso, e tuttavia sarebbero al tutto brutti ed orridi. Gli uomini di
ogni razza preferiscono ciò che son soliti a vedere; non possono
sopportare nessun grande mutamento; ma piace loro la varietà, ed
ammirano ogni punto caratteristico portato ad un estremo moderato. Gli uomini
avvezzi ad un volto quasi ovale, a fattezze diritte e regolari, ed a colori
brillanti, ammirano, come sappiamo noi europei, questi particolari quando sono
più fortemente sviluppati. D’altra parte gli uomini avvezzi ad una
faccia larga, a zigomi sporgenti, a un naso depresso, ad una pelle nera,
ammirano questi particolari allorchè sono fortemente sviluppati. Senza
dubbio caratteri di ogni sorta possono agevolmente essere troppo sviluppati per
essere belli. Quindi una bellezza perfetta, che comprende molti caratteri
modificati in un modo particolare, sarà in ogni razza un prodigio. Come
disse molto tempo fa il grande anatomico Bichat, se ognuno fosse stato sullo
stesso modello, non vi sarebbe più la bellezza. Se tutte le nostre donne
divenissero tanto belle quanto la Venere dei Medici, per un certo tempo questo
ci piacerebbe, ma in breve desidereremmo variare; ed appena avremmo ottenuto la
varietà, desidereremmo vedere certi caratteri nelle nostre donne un poco
esagerati oltre il modello comune allora esistente.
CARATTERI SESSUALI SECONDARI DELL’UOMO, cont.
Intorno agli
effetti della continua scelta delle donne secondo un differente modello di
bellezza in ogni razza - Delle cause che intralciano la scelta sessuale nelle
nazioni incivilite e selvagge - Condizioni favorevoli alla scelta sessuale
durante i tempi primitivi - Del modo di azione della scelta sessuale
nell’umanità - Delle donne, le quali nelle tribù selvagge hanno
qualche facoltà di scegliersi il marito - Mancanza di peli sul corpo e
sviluppo della barba - Colore delle pelle - Sommario.
Nell’ultimo
capitolo abbiamo veduto che in tutte le razze barbare, gli ornamenti, le vesti,
e l’aspetto esterno sono molto apprezzati, e che gli uomini considerano la
bellezza delle loro donne secondo un molto vario concetto. Dobbiamo ora
ricercare se questa preferenza e la conseguente scelta durante molte
generazioni di quelle donne, che appaiono agli uomini di ogni razza le
più avvenenti, abbia alterato il carattere delle femmine sole o dei due
sessi. Nei mammiferi la regola generale sembra essere che ogni sorta di
carattere acquistato mercè la scelta sessuale delle femmine venga
comunemente trasmessa alla prole dei due sessi. Se un qualche mutamento fosse
stato in tal modo operato, è quasi certo che le differenti razze sarebbero
state differentemente modificate, siccome ognuna ha un concetto suo particolare
intorno alla bellezza.
Nel genere
umano, specialmente nei selvaggi, molte cause intralciano l'azione della scelta
sessuale, per quello almeno che concerne la struttura del corpo. Gli uomini
inciviliti sono molto più attratti dalle grazie della mente nelle donne,
dalla loro ricchezza e specialmente dalla loro posizione sociale; perchè
di rado gli uomini prendono una moglie in un livello sociale molto inferiore al
loro. Gli uomini che riescono ad ottenere le donne più belle, non
avranno per ciò maggiore probabilità di lasciare una più
lunga fila di discendenti che non gli altri uomini che hanno la moglie meno
bella, eccettuato quei pochi che legano la loro fortuna secondo la legge di
primogenitura. Rispetto all’altra sorta di scelta, cioè quella operata
delle donne per gli uomini più seducenti, sebbene nelle nazioni
incivilite le donne abbiano libera o quasi libera la scelta, ciò che non
è il caso nelle razze barbare, tuttavia la loro scelta è
sommamente sottoposta alla ricchezza ed alla posizione sociale degli uomini; e
la riuscita degli ultimi nella vita dipende grandemente dalle loro forze
intellettuali e dalla loro energia, o dai frutti di queste medesime forze nei
loro antenati.
V’ha tuttavia
ragione per credere che la scelta sessuale abbia avuto qualche effetto nelle
nazioni semi-incivilite. Molte persone sono convinte, come sembrami
giustamente, che i membri della nostra aristocrazia, comprendendo in tal nome
tutte le famiglie ricche nelle quali ha prevalso da lungo tempo la
primogenitura, per aver scelto per mogli durante molte generazioni da tutte le
classi le donne più belle, sono divenuti più belli, secondo il
concetto europeo della bellezza, che non le classi medie; tuttavia le classi
medie sono collocate in condizioni di vita ugualmente favorevoli pel perfetto
sviluppo del corpo. Cook avverte che la superiorità nell’aspetto della
persona “che si osserva nei nobili di tutte le altre isole (del Pacifico) si
incontra nelle isole Sandwich”; ma questo può essere dovuto
principalmente al loro miglior nutrimento e al loro modo di vita.
L’antico
viaggiatore Chardin, descrivendo i Persiani, dice “che il loro sangue ora
è divenuto molto più fino per gl’incrociamenti frequenti colle
Giorgiane e colle Circasse, due nazioni che superano tutte le altre nella
bellezza della persona. Non vi è guari un uomo di alto rango in Persia
che non sia nato da una madre Giorgiana o da una Circassa”. Ed aggiunge, che
ereditano della loro bellezza, “non dai loro antenati, perchè senza il
suddetto miscuglio, gli uomini di condizione in Persia, che sono discendenti
dai Tartari, sarebbero sommamente brutti”. Qui si presenta un caso curioso; le
sacerdotesse che custodivano il tempio di Venere Ercinia a San Giuliano in
Sicilia, erano scelte per la loro bellezza in tutta la Grecia; non erano
vergini vestali, e Quatrefrages, che fece questa osservazione, dice che le
donne di San Giuliano sono anche oggi rinomate per essere le più belle
dell’isola, e sono ricercate per modelle dagli artisti. Ma è evidente
che la prova nei suddetti casi è assai dubbia.
Il caso
seguente, sebbene riguardi i selvaggi, è degno per la sua
singolarità di essere riferito. Il signor Winwood Reade mi comunica che
i Giollofi, tribù nera della costa occidentale dell'Africa, sono
notevoli per la uniformità della loro bella apparenza”. Un suo amico
richiese ad uno di quegli uomini: “Come va che ognuno che incontro è
così bello, non solo dei vostri uomini, ma anche delle vostre donne?” Il
Giollofo rispose: “È facile da spiegare: abbiamo sempre avuto l’uso di
scegliere le nostre schiave più brutte e venderle”. Non vi è
bisogno di aggiungere che fra tutti i selvaggi le schiave servono come
concubine. Che questo nero attribuisse, a ragione o a torto, la bella apparenza
della sua tribù alla lunga e continua diminuzione delle donne brutte,
non deve sorprendere quanto parrebbe; perchè ho dimostrato altrove che i
neri comprendono pienamente l’importanza della scelta nelle razze dei loro animali
domestici potrei riferire intorno a ciò prove del signor Reade.
Delle cause che
impediscono od arrestano l’azione della scelta sessuale nei selvaggi. - Le cause
principali sono: primo, i così detti matrimoni comunali o di commercio
promiscuo; secondo, l’infanticidio, specialmente delle bambine; terzo, i
matrimoni troppo precoci; ed infine, la bassa stima in cui sono tenute le
donne, come vere schiave. Questi quattro punti vanno studiati un po’
particolarmente.
È cosa
evidente che fintanto che l’appaiamento dell’uomo, o di qualunque altro
animale, è lasciato al caso, senza che nessuna scelta venga operata da
uno dei due sessi, non vi può essere scelta sessuale; e non verrà
prodotto nessun effetto sulla prole da quei certi individui che avessero avuto
un vantaggio sugli altri nel loro corteggiamento. Ora è riconosciuto che
ai nostri tempi esistono tribù che praticano ciò che Sir J.
Lubbock chiama per cortesia matrimoni comunali; vale a dire, tutti gli uomini e
tutte le donne di una tribù sono mariti e mogli di tutti. La
dissolutezza di molti selvaggi è senza dubbio, meravigliosamente grande,
ma sembrami che sia necessaria qualche altra prova prima di ammettere
pienamente che il loro esistente commercio sia assolutamente promiscuo.
Nondimeno tutti quelli che hanno studiato da vicino l’argomento e di cui il
giudizio val molto più del mio, credono che il matrimonio comunale fosse
la forma originaria e universale che prevalesse in tutto il mondo, comprese
anche le unioni fra fratello e sorella. La prova indiretta a favore di questa
credenza è sommamente forte, e si fonda principalmente sui termini di
parentela che sono adoperati fra i membri della stessa tribù, che
implicano una relazione colla tribù sola, e non con uno dei due
genitori. Ma l’argomento è troppo grande e complesso perchè se ne
possa riferire qui anche solo un estratto, e mi limiterò a poche
osservazioni. È cosa evidente che nel caso di matrimonio comunale, o
anche di unioni molto rilasciate, che la parentela del bambino con suo padre
non può essere conosciuta. Ma sembra quasi incredibile che la parentela
del bimbo colla madre, possa essere stata al tutto ignorata, massimamente che
le donne nella maggior parte delle tribù selvagge allattano i loro
bambini per un tempo assai lungo. Quindi in molti casi la linea di discendenza
viene tracciata dalla madre sola, escludendone il padre. Ma in molti altri casi
i termini adoperati esprimono una relazione colla tribù sola,
escludendone anche la madre. Sembra possibile che l’intimità fra i
membri parenti della medesima tribù barbara, esposta ad ogni sorta di
pericoli, potesse essere tanto più importante, a cagione del bisogno di
aiuto e di vicendevole protezione, che non fra madre e figlio, tanto da
produrre il solo uso di nomi esprimenti la primiera parentela; ma il signor
Morgan è convinto che questo modo di vedere non è per nulla
sufficiente.
I termini di
parentela adoperati nelle differenti parti del mondo possono essere divisi,
secondo l’autore testè citato, in due grandi classi, la classificatoria
e la descrittiva, l’ultima viene adoperata da noi. Si è il sistema
classificatorio che induce a credere che la forma di matrimonio comunale o
altre forme sommamente rilasciate fossero in origine universali. Ma per quanto
io posso vedere, non v’ha alcuna necessità per questo di credere ad un
commercio assolutamente promiscuo; e son lieto di vedere che questa è
l’opinione di sir J. Lubbock. Gli uomini e le donne, come molti fra gli animali
sottostanti, possono dapprima aver formato unioni intime sebbene temporanee per
ogni nascita, e in tal caso può esserne derivata altrettanta confusione
nei termini di parentela quanto nel caso del commercio promiscuo. Per quello
che ha rapporto colla scelta sessuale, tutto quello che si richiede è
che la scelta si compia prima dell’unione dei genitori, e non importa se le
unioni durano per tutta la vita o soltanto per una stagione.
Oltre le prove
ottenute dai termini di parentela, altri dati ci indicano la primiera grande
prevalenza del matrimonio comunale. Sir J. Lubbock molto ingegnosamente attribuisce
la strana ed estesa costumanza della exogamia, - vale a dire, che gli uomini di
una tribù prendono sempre le mogli di una tribù distinta, - a
ciò che il comunismo fu la forma originaria di matrimonio;
cosicchè un uomo non si guadagnava mai una moglie per se stesso a meno
che non l’avesse rapita da una tribù vicina e nemica, e allora essa
sarebbe divenuta naturalmente sua assoluta proprietà. Così
può aver avuto origine la pratica di impadronirsi delle mogli; e per
l’onore che si otteneva in tal modo è possibile che abbia finito per
divenire un abito universale. Possiamo anche comprendere, secondo sir J.
Lubbock, “la necessità di espiazione pel matrimonio come una infrazione
ai riti della tribù, dacchè secondo le antiche idee, un uomo non
aveva diritto di appropriarsi quello che apparteneva a tutta la tribù”.
Sir J. Lubbock riferisce inoltre un curiosissimo complesso di fatti che
dimostrano che nei tempi antichi erano molto onorate quelle donne che erano al
tutto licenziose; e ciò, come egli spiega, si comprende, se ammettiamo
che il commercio promiscuo esistesse originalmente e fosse un uso molto onorato
nella tribù.
Sebbene il modo
in cui si è sviluppato il legame nuziale sia un argomento oscuro, come
possiamo dedurre dalle opinioni divergenti, intorno a parecchi punti, dei tre
autori che l’hanno studiato più attentamente, cioè, il signor
Morgan, il signor M. Lennan e sir J. Lubbock, tuttavia dalle precedenti e da
altre varie sorgenti di prove sembra certo che l’uso del matrimonio sia andato
sviluppandosi graduatamente, e che il commercio quasi promiscuo fosse una volta
molto comune in tutto il mondo. Tuttavia dall’analogia degli animali più
bassi, e più particolarmente di quelli che sono più vicini
all’uomo nella serie, non posso credere che il commercio assolutamente
promiscuo prevalesse anticamente, quando l’uomo era appena giunto al suo
attuale posto nella scala zoologica. L’uomo, come ho cercato dimostrare, ha
avuto origine certamente da qualche natura scimmiforme. Nei quadrumani attuali,
per quello che sappiamo intorno ai loro costumi, i maschi di alcune specie sono
monogami, ma vivono durante solo una parte dell’anno colle femmine, come sembra
essere il caso negli oranghi. Parecchie specie, come alcune delle scimmie
indiane ed americane, sono strettamente monogame, e stanno insieme alle loro
mogli per tutto l’anno. Altre sono poligame, come il gorilla e parecchie specie
americane, ed ogni famiglia vive separata. Anche quando questo ha luogo, le
famiglie che abitano lo stesso distretto sono probabilmente fino a un certo
punto sociali, per esempio lo scimpanzè, s’incontra alle volte in grandi
branchi. Parimente, altre specie sono poligame, ma vari maschi, ognuno colle
proprie femmine, vivono associati in massa, come in parecchie specie di babbuini.
Noi possiamo infine conchiudere da tutto ciò che vediamo della gelosia
di tutti i quadrupedi maschi, armati, come sono molti, con armi speciali per
battere i loro rivali, che il commercio promiscuo in uno stato di natura
è sommamente improbabile. L’unione non può durare per tutta la
vita, ma solo per ogni nascita; tuttavia se i maschi. che sono i più
forti o i meglio acconci per difendere o altrimenti assistere le loro femmine e
i loro piccoli, fossero per scegliere le femmine più attraenti, questo
basterebbe per l’opera della scelta sessuale.
Perciò,
se noi risaliamo col pensiero nel corso del tempo, è sommamente
improbabile che gli uomini primitivi vivessero promiscuamente assieme alle
donne. Giudicando dagli abiti sociali dell'uomo come esiste attualmente, e da
ciò che la maggior parte dei selvaggi sono poligami, il modo di vedere
più probabile è che l’uomo primitivo vivesse in origine in
piccole comunità, ognuno con quante mogli egli potesse mantenere ed
ottenere, le quali egli avrà custodito gelosamente contro tutti gli
altri uomini. Oppure avrà vissuto solo con parecchie mogli, come il
gorilla; perchè tutti gli indigeni sono d’accordo per dire “che un
maschio adulto si vede in un branco; quando il maschio giovane cresce, nasce
una contestazione per avere la supremazia, ed il più forte, uccidendo o
scacciando gli altri, si pone alla testa della comunità”. I maschi
più giovani, essendo così espulsi, ed obbligati ad andar vaganti,
quando alla fine riescono a trovarsi una compagna impediscono le relazioni
troppo intime nei limiti della stessa famiglia.
Quantunque i
selvaggi siano ora sommamente licenziosi, e sebbene i matrimoni comunali
possano aver avuto anticamente una grande prevalenza, tuttavia molte
tribù praticano una qualche forma di matrimonio, ma di natura molto
più rilasciata che non quella delle nazioni incivilite. La poligamia,
come abbiamo detto poc’anzi, è quasi universalmente praticata dai duci
di ogni tribù. Tuttavia, vi sono certe tribù collocate quasi al
fondo della scala sociale, che sono strettamente monogame. Questo è il
caso dei Veddah di Ceylan; che hanno per proverbio, secondo ciò che dice
sir J. Lubbock, “che la morte sola può separare il marito dalla moglie”.
Un capo Kandyan assai intelligente, poligamo naturalmente, “era al tutto
scandalizzato della barbara usanza di vivere con una moglie sola, senza mai
separarsene tranne per la morte”. Era, diceva, “lo stesso come nelle scimmie
Wanderoo”. Io non pretenderò congetturare se i selvaggi i quali ora
seguono una qualche forma di matrimonio, sia poligamo o monogamo, abbiano
conservato questo abito dai tempi primitivi, oppure se siano ritornati a
qualche forma di matrimonio, dopo aver passato per uno stadio di commercio
promiscuo.
Infanticidio. - Questa
pratica è ora comunissima in tutto il mondo, e v’ha ragione per credere
che abbia prevalso molto più estesamente durante i tempi primitivi. I
Barbari trovano difficile mantenere loro e i loro figli, ed è più
semplice ucciderli. Nell’America meridionale in alcune tribù, come
afferma Azara, anticamente si distruggevano tanti bambini dei due sessi, che
corsero rischio di estinguersi. Nelle isole della Polinesia si sa che le donne
uccidono da quattro o cinque ed anche dieci dei loro figli; ed Ellis non
potè trovare una sola donna che non ne avesse ucciso almeno uno. In ogni
luogo in cui prevale l’infanticidio la lotta per l’esistenza sarà molto
meno dura, e tutti i membri della tribù avranno quasi la stessa
probabilità di allevare i figli che loro rimangono. Nella maggior parte
dei casi si distruggono un numero maggiore di bambine chè non di maschi,
perchè è evidente che questi ultimi sono di un valore molto
più grande per la tribù, siccome essi, quando siano cresciuti,
aiuteranno a difenderla, e possono mantenersi. Ma la fatica che provano le
donne nell’allevare i figli, la conseguente perdita della bellezza, il maggior
valore che ne deriva per esse e la loro sorte più felice, quando sono in
numero ristretto, sono i motivi che le donne medesime, e con esse vari
osservatori, adducono per l’infanticidio. In Australia, ove l’infanticidio
è ancora comune, sir G. Grey valuta la proporzione delle donne indigene:
agli uomini come una a tre; ma altri dicono come una a due. In un viaggio sulle
frontiere orientali dell'India, il colonnello Mac Culloch non trovò una
sola bambina.
Allorchè,
in conseguenza dell’infanticidio femminino, le donne di una tribù
divengono poco numerose, l’abito di rubare le mogli dalle tribù vicine,
deve necessariamente avere origine. Tuttavia, sir Lubbock attribuisce quella
pratica, come abbiamo veduto, principalmente ad una primiera, esistenza di
matrimonio comunale, ed a ciò che gli uomini hanno quindi involato le
donne alle altre tribù per tenerle poi come loro esclusiva
proprietà. Si potrebbero anche addurre altre cause, per esempio, che
essendo piccolissime le comunità, le donne da marito in quel caso sono
spesso deficienti. Che l’abito d’impadronirsi delle mogli fosse praticato molto
estesamente durante i tempi primitivi, anche presso gli antenati delle nazioni
civili, è chiaramente dimostrato da ciò che molte curiose usanze
e cerimonie sono tuttora conservate, delle quali il signor M’Lennan ha dato una
interessantissima relazione. Nei nostri matrimoni il compare, sembra
essere stato il principale istigatore dello sposo nell’atto del rapimento. Ora
finchè gli uomini si sono procurate le mogli colla violenza e
coll’astuzia, non è probabile che abbiano scelto le donne più
avvenenti; dovevano essere troppo lieti di aver potuto conquistare una donna
qualunque. Ma appena la pratica di ottenere le mogli da una tribù
distinta venne effettuata mercè lo scambio, come segue ora in molti
luoghi, le donne più belle devono generalmente essere state comprate.
Tuttavia l’incessante incrociamento, fra tribù e tribù che segue
necessariamente da qualsiasi forma di questo comune, deve aver avuto una certa
tendenza a mantenere tutte le genti che abitavano lo stesso paese di carattere
quasi uniforme; e ciò deve aver messo grande ostacolo alle forze della
scelta sessuale nel rendere le tribù differenti.
La scarsità
delle donne in conseguenza dell’infanticidio femminino, conduce pure ad
un’altra pratica, la poliandria, che è tuttora comune in varie parti del
mondo, e che anticamente, siccome crede il signor M’Lennan, prevaleva quasi
universalmente; ma quest’ultima conclusione è messa in dubbio dal signor
Morgan e da sir J. Lubbock. Ogni qualvolta due uomini o più sono
obbligati a sposare una donna, è certo che tutte le donne delle
tribù saranno maritate, e gli uomini non potranno scegliere le donne
più attraenti. Ma in queste circostanze certamente le donne potranno
operare una scelta, e preferiranno gli uomini più attraenti. Per
esempio, Azara, descrive con quanta cura una donna Guana fa il patto per avere
ogni sorta di privilegi, prima di accettare uno o parecchi mariti; e gli uomini
in conseguenza prendono insolita cura della loro persona. Gli uomini
bruttissimi forse non riusciranno ad ottenere una moglie, o ne avranno una in
età più avanzata, ma gli uomini più belli, quantunque
più felici nell’ottenere moglie, non lasceranno, per quanto posso
prevedere, un maggior numero di figli per ereditare la loro bellezza che non i
mariti meno belli delle stesse mogli
Matrimoni
precoci e schiavitù della donna. - Presso molti selvaggi v’ha l’uso di
maritare le figlie mentre sono al tutto bambine; e questo effettivamente
impedisce che si possa esercitare la preferenza dalle due parti secondo
l’aspetto della persona. Ma ciò non può impedire che le donne
più avvenenti non vengano rapite in seguito o prese per forza ai loro
mariti da uomini più potenti; e questo spesso ha luogo in Australia, in
America, ed in altre parti del mondo. Le stesse conseguenze rispetto alla
scelta sessuale seguirebbero fino ad un certo punto quando le donne fossero
considerate quasi esclusivamente come schiave o bestie da soma, come è
il caso per molti selvaggi. Tuttavia, gli uomini, in tutti i tempi,
preferiranno le schiave più belle secondo il loro concetto della
bellezza.
Noi vediamo
così che prevalgono parecchi usi nei selvaggi che debbono intralciare o
al tutto arrestare, l’azione della scelta sessuale. D’altra parte, le
condizioni della vita a cui sono esposti i selvaggi, ed alcuni del loro
costumi, sono favorevoli alla scelta naturale; e questa sempre viene in giuoco
unitamente colla scelta sessuale. Si sa, che i selvaggi soffrono duramente di
carestie ricorrenti; non aumentano il loro nutrimento con mezzi artificiali; di
rado stanno senza maritarsi, e generalmente si sposano giovani. In conseguenza
debbono andar soggetti occasionalmente a dure lotte per l’esistenza, e gli
individui più privilegiati soli debbono sopravvivere.
Venendo ai
tempi primitivi quando gli uomini avevano appena raggiunto il livello umano,
essi avranno vissuto probabilmente, come e già riconosciuto, sia come
poligami o temporaneamente come monogami. Il loro commercio, giudicando dalla
analogia, non sarebbe stato promiscuo. Essi, senza dubbio, debbono aver difeso
le loro femmine il meglio possibile da ogni sorta di nemici, e debbono
probabilmente avere cacciato per provvedere al loro mantenimento, come per
quello dei loro figli. I maschi più forti e più destri saranno
riusciti meglio, nella lotta per la vita e nell’ottenere femmine più
attraenti. In quel primitivo periodo i progenitori dell’uomo, non avendo ancora
che deboli forze di ragionamento non avranno potuto prevedere lontane
contingenze. Essi debbono essere stati governati più dai loro istinti ed
anche meno dalla loro ragione di quello che siano i selvaggi dei nostri giorni.
Essi non avranno in quel periodo parzialmente perduto uno dei più forti
fra tutti gli istinti, comune a tutti gli animali più bassi, cioè
l’amore pei figli giovani: ed in conseguenza non avranno praticato
l’infanticidio. Non vi sarà stata nessuna scarsità artificiale di
donne, e quindi non avrà avuto luogo la poliandria; non vi saranno state
unioni troppo precoci; le donne non saranno state considerate come semplici
schiave; i due sessi, se le femmine al pari dei maschi avranno potuto
esercitare una scelta, avranno scelto i loro compagni, non per le doti della
mente o per le proprietà, o per la posizione sociale, ma quasi solo per
l’aspetto esterno. Tutti gli adulti saranno stati maritati o appaiati, e tutti
i figli, per quanto sarà stato possibile, saranno stati allevati;
cosicchè la lotta per l’esistenza sarà stata periodicamente in
sommo grado dura. Così durante quei tempi primitivi tutte le condizioni
per la scelta sessuale saranno state molto più favorevoli che non in un
periodo più recente, quando l’uomo, aveva progredito nelle sue forze
intellettuali, ma aveva retroceduto nei suoi istinti. Perciò, qualunque
azione possa avere avuto la scelta sessuale nel produrre le differenze fra le
razze umane, e fra l’uomo ed i quadrumani più elevati, questa azione
deve essere stata più potente in un periodo di tempo remotissimo che non
ai nostri giorni.
Del modo di
azione della scelta sessuale nel genere umano. - Negli uomini
primitivi nelle condizioni favorevoli testè addotte, e in quei selvaggi
che attualmente praticano un qualche vincolo matrimoniale (ma che viene
sottoposto ad un maggiore o minore intralciamento secondo che l’infanticidio
femminino, i matrimoni precoci, ecc., sono più o meno praticati), la
scelta sessuale avrà probabilmente avuto l’azione seguente. Gli uomini
più forti e più robusti - quelli che potevano difender meglio le
loro famiglie e procurar loro il nutrimento mercè la caccia, ed in
seguito poi divenivano capi o duci - quelli che erano forniti delle armi
migliori e che possedevano maggior ricchezza; come un numero più grande
di cani o di altri animali, saranno riusciti ad allevare un numero maggiore di
figli, che non i membri più deboli, più poveri e più bassi
della stessa tribù. Non vi può essere dubbio che questi uomini
dovevano generalmente essere in grado di scegliere le donne più belle.
Ai nostri tempi i capi di quasi ogni tribù in tutto il mondo riescono ad
ottenere più di una moglie. Fino a poco tempo fa, come ho udito dal
signor Mantell, quasi ogni fanciulla della Nuova Zelanda, che era bella, o
prometteva di essere bella, era tapu di qualche capo. Nei Cafiri, come
asserisce il signor C. Hamilton “i capi sogliono generalmente scegliere le
donne in un tratto di parecchie miglia, e sono molto tenaci nel fermare e
confermare il loro privilegio”. Abbiamo veduto che ogni razza ha il suo proprio
modello di bellezza, e sappiamo che è naturale all’uomo di ammirare ogni
punto caratteristico nei suoi animali domestici, abito, ornamenti, ed aspetto
personale, quando siano un po’ al di là del livello comune. Se dunque
noi ammettiamo le suddette proposizioni, ed a me non sembra possibile metterle
in dubbio, sarebbe una circostanza inesplicabile, se la scelta delle donne
più avvenenti operata dagli uomini più potenti di ogni
tribù, i quali potessero allevare in media un numero maggiore di figli,
non avesse modificato, dopo il corso di molte generazioni, fino ad un certo
punto il carattere della tribù.
Nei nostri
animali domestici, quando una razza forestiera è introdotta in un nuovo
paese, o anche una razza indigena è accudita con attenzione e a lungo,
sia per uso o per ornamento, dopo passate parecchie generazioni, ovunque
esistono mezzi di paragone, si trova una somma di mutamenti più o meno
grande. Questo segue dalla scelta inconsapevole durante una lunga serie di
generazioni - vale a dire, la conservazione degli individui più
migliorati - senza che vi sia stato nessun desiderio od aspettazione di un
cosiffatto risultato per parte dell’allevatore. Così pure, se due
accurati allevatori riescono ad allevare per lo spazio di molti anni animali
della stessa famiglia, e non li comparano fra loro o secondo il livello comune,
gli animali dopo un certo tempo si troveranno essere divenuti, con meraviglia
nei loro proprietari, un po’ differenti. Ogni allevatore ha espresso, come lo
esprime bene Von Nathusius, il carattere della sua propria mente, - il suo
proprio gusto e giudizio - nei suoi animali. Come si spiega allora il fatto,
che questi effetti non hanno luogo in seguito ad una scelta lungamente
continuata delle donne più ammirate operata da quegli uomini di ogni
tribù, che possono allevare fino allo stato adulto un maggior numero di
figli? Questa sarebbe scelta inconsapevole, perchè verrebbe prodotto un
effetto, indipendentemente da qualsiasi desiderio o aspettazione per parte
degli uomini che preferivano certe donne a certe altre.
Supponiamo che
i membri di una tribù, nella quale fosse praticata una qualche forma di
matrimonio, si spandessero sopra un continente disoccupato; essi in breve si
dividerebbero in orde distinte, che sarebbero separati fra loro da vari
ostacoli, resi ognora più efficaci dalle continue guerre che seguono in
tutte le nazioni barbare. Le orde sarebbero così esposte a condizioni ed
abiti di vita lievemente differenti, e più presto o più tardi
verrebbero a differire in qualche lieve grado. Appena questo avrà avuto
luogo, ogni tribù isolata si sarà formata da se stessa un
differente concetto intorno alla bellezza; e allora la scelta inconsapevole
sarà venuta in azione pel fatto che i selvaggi più forti e
più dominatori avranno preferito certe donne a certe altre. Così
le differenze fra le tribù, dapprima lievissime, andrebbero gradatamente
ed inevitabilmente crescendo in un grado sempre maggiore.
Negli animali
allo stato di natura, molti caratteri propri ai maschi, come la mole, la forza,
le armi speciali, il coraggio e l’indole bellicosa sono state acquistate
mercè la legge di battaglia. I progenitori semi-umani dell’uomo, come i
quadrumani loro affini, saranno stati quasi certamente così modificati;
e siccome i selvaggi combattono ancora del possesso delle loro donne, è
probabile che un consimile processo di scelta abbia prevalso più o meno
fino ai nostri giorni. Altri caratteri propri dei maschi degli animali
più bassi, come i colori brillanti e vari ornamenti, sono stati
acquistati da ciò che i maschi più attraenti sono stati preferiti
dalle femmine. Vi sono, tuttavia, casi eccezionali in cui i maschi, invece di
essere stati scelti, hanno operato una scelta. Noi riconosciamo questi casi dal
fatto che le femmine sono divenute molto più adorne che non i maschi - e
i loro caratteri ornamentali sono stati trasmessi esclusivamente o in gran
parte alla prole femminile. Un caso di questa fatta è stato descritto
nell’ordine cui appartiene l’uomo, cioè nella scimmia Rhesus.
L’uomo è
più potente nel corpo e nella mente che non la donna, e nello stato
selvaggio egli la tiene in uno stato di schiavitù molto più
abbietto che non faccia il maschio di qualsiasi altro animale; perciò
non deve far meraviglia che egli possa avere acquistato la facoltà della
scelta. In ogni luogo le donne conoscono il prezzo della loro bellezza; e
quando ne hanno i mezzi provano maggior piacere ad adornarsi con ogni sorta di
ornamento che non facciano gli uomini. Prendono le penne degli uccelli maschi,
colle quali la natura ornò questo sesso perchè piaccia alle
femmine. Siccome le donne sono state lungamente scelte per la loro bellezza,
non fa meraviglia che alcune delle successive variazioni siano state trasmesse
in un modo limitato; ed in conseguenza che le donne abbiano trasmesso la loro
bellezza in un grado alquanto maggiore alla loro prole femminina che non alla
mascolina. Quindi le donne sono divenute più belle, come ammetteranno taluni,
che non gli uomini. Tuttavia le donne trasmettono certamente la maggior parte
dei loro caratteri, compresa la bellezza, alla loro prole dei due sessi;
cosicchè la preferenza continuata dagli uomini di tutte le razze per le
donne più avvenenti, secondo il modello del loro gusto, deve tendere a
modificare nel medesimo modo tutti gli individui dei due sessi che appartengono
alla razza.
Rispetto
all’altra forma di scelta sessuale (la quale negli animali più bassi
è la più comune), cioè quando sono le femmine che
scelgono, ed accettano solo quei maschi che le eccitano o le allettano di
più, abbiamo ragione per credere che primieramente fosse in azione sopra
i progenitori dell’uomo. È probabilissimo che l’uomo debba la sua barba,
ed alcuni altri suoi caratteri, alla eredità di qualche antico
progenitore che acquistò in tal modo i suoi ornamenti. Ma questa forma
di scelta può avere avuto occasionalmente azione durante gli ultimi
tempi; perchè nelle tribù al tutto barbare le donne hanno maggior
potere di scegliere, respingere e tentare i loro amanti, o di mutare in seguito
i loro mariti, di quello che si potrebbe credere. Siccome questo punto ha una
certa importanza, riferirò particolarmente quelle prove che mi fu dato
raccogliere.
Hearne descrive
il modo in cui una donna di una tribù dell’America artica fuggì
via ripetutamente dal marito per riunirsi ad un uomo che amava; e presso i
Charruas del sud America, come afferma Azara, il divorzio è
perfettamente libero. Negli Abiponi, quando un uomo sceglie una moglie ne
patteggia il prezzo coi genitori. Ma “frequentemente accade che la fanciulla
non acconsente al contratto fatto fra i genitori e lo sposo, respingendo con
ostinazione qualunque trattativa di quella unione”. Spesso fugge, si nasconde,
e così scansa lo sposo. Nelle Isole Fiji l’uomo s’impadronisce della
donna che vuole sposare con finta o vera violenza; ma “giunta alla casa del suo
rapitore, se non approva l’unione, fugge presso alcuno che possa proteggerla;
se però è soddisfatta la faccenda si aggiusta subito”. Nella
Terra del Fuoco un giovane comincia ad ottenere il consenso dei genitori
facendo loro qualche servizio, e poi cerca di rapire la fanciulla; “ma se
questa non vuole, si nasconde nei boschi finchè il suo ammiratore sia al
tutto stanco di cercarla, e smetta l’idea di inseguirla; ma ciò di rado
accade”. Presso i Calmucchi v’ha una vera corsa fra la sposa e lo sposo, la
prima avendo un po’ di vantaggio; e Clarke “venne assicurato che non v’ha mai
esempio di una fanciulla che sia presa, a meno che non abbia una certa
parzialità per quello che la insegue”. Così pure nelle
tribù selvagge dell’arcipelago Malese v’ha una consimile corsa pel
matrimonio; e dalla relazione del signor Bourien sembra secondo ciò che
osserva sir J. Lubbock, che “il premio, non è pel più veloce,
nè la battaglia pel più forte, ma pel giovane che ha la buona
fortuna di piacere alla sua richiesta sposa”.
Veniamo
all’Africa: i Cafiri comprano le loro mogli, e le fanciulle sono battute
duramente dai loro padri se non vogliono accettare uno sposo prescelto;
tuttavia riesce evidente dai molti fatti riferiti del rev. signor Shooter, che
esse hanno una notevole facoltà di scelta. Così si sa che uomini
bruttissimi, sebbene ricchi non riuscirono a prender moglie. Le fanciulle,
prima di acconsentire ad essere sposate, obbligano gli uomini a mostrarsi,
prima di faccia poi di dietro, “espongono i loro passi”. Se ne sono vedute
alcune proposte ad un uomo, fuggire non di rado con un amante preferito. Presso
le degradate donne Bush dell’Africa meridionale, “quando una fanciulla è
sviluppata senza essere sposata, ciò che tuttavia non accade sovente,
l’amante deve ottenere il suo consenso, tanto quanto quello dei genitori”. Il
signor Winwood Reade fece ricerche per conto mio intorno ai neri dell’Africa
occidentale, ed egli mi comunica che “le donne almeno fra le più
intelligenti delle tribù pagane, non hanno difficoltà ad ottenere
i mariti che possono desiderare, sebbene sia considerato sconveniente per una
donna chiedere ad un uomo di sposarla. Sono al tutto capaci di innamorarsi e di
provare un tenero, appassionato e fedele affetto”.
Noi vediamo che
pei selvaggi le donne non sono al tutto in uno stato tanto abbietto
relativamente al matrimonio quanto spesso è stato supposto. Esse possono
tentare gli uomini che preferiscono, e possono rifiutare quelli che loro non
aggradano, sia prima sia dopo il matrimonio. La preferenza per parte delle
donne operando costantemente in una direzione qualsiasi, deve finire per
alterare il carattere della tribù; perchè le donne non
sceglieranno generalmente solo gli uomini più belli, secondo il loro
gusto, ma quelli che sono nello stesso tempo meglio acconci a difenderle ed a
mantenerle. Queste coppie bene dotate debbono allevare un numero più
grande di figli che non quelle meno dotate. Lo stesso risultato seguirebbe
evidentemente in un modo ancor più spiccato se la scelta fosse stata
dalle due parti; vale a dire, se gli uomini più belli e nello stesso
tempo più forti avessero preferito o fossero stati preferiti dalle donne
più avvenenti. E sembra che queste due forme di scelta abbiano
attualmente avuto luogo, sia o no simultaneamente nel genere umano,
specialmente durante i più remoti periodi della nostra lunga storia.
Noi
considereremo ora un po’ più particolarmente, rispetto alla scelta
sessuale alcuni dei caratteri che distinguono le varie razze umane fra loro e
dagli animali sottostanti, cioè la più o meno compiuta mancanza
di peli sul corpo ed il colore della pelle. Non abbiamo bisogno di dire nulla
intorno alla grande diversità delle fattezze e del cranio fra le diverse
razze, avendo veduto nell’ultimo capitolo quanto sia differente il modello di
bellezza per questo rispetto. Questi caratteri avranno quindi probabilmente
avuto un’azione mercè la scelta sessuale; ma non abbiamo mezzi per
giudicare, almeno per quanto mi pare, se abbiano operato principalmente dal
lato del maschio o da quello della femmina. Le facoltà musicali
dell’uomo sono state già parimente discusse.
Mancanza di
pelo sul corpo, e suo sviluppo sulla faccia e sul capo. - Dalla
presenza del pelo lanoso o lanuggine sul feto umano, e dai peli rudimentali
sparsi sul corpo nella virilità, possiamo dedurre che l’uomo è
disceso da qualche animale che era nato peloso ed era rimasto così per
tutta la vita. La perdita del pelo è un inconveniente e probabilmente un
danno per l’uomo anche in clima caldo, perchè egli rimane così
esposto a repentini raffreddamenti, specialmente durante il tempo umido. Come
osserva il signor Wallace, gli indigeni di tutti i paesi sono lieti di
proteggere le loro spalle nude e il loro dorso con qualche leggera coperta.
Nessuno può supporre che la nudità della pelle abbia un qualche
vantaggio diretto per l’uomo, per cui il suo corpo non può essere stato
spogliato del suo pelo per opera della scelta naturale. E non abbiamo neppure
motivo per credere, come ho dimostrato in un precedente capitolo, che
ciò possa essere dovuto all’azione diretta delle condizioni a cui l’uomo
è stato lungamente esposto, o che sia l’effetto dello sviluppo correlativo.
La mancanza di
pelo sul corpo è, fino a un certo punto, un carattere sessuale
secondario; perchè in tutte le parti del mondo le donne sono meno pelose
che non gli uomini. Perciò noi possiamo ragionevolmente supporre che
questo sia un carattere acquistato mercè la scelta sessuale. Sappiamo
che la faccia di parecchie specie di scimmie, e grandi superfici sulla parte
posteriore del corpo di altre specie, sono state sfornite di pelo; e non
possiamo attribuire questo fatto con certezza alla scelta sessuale,
perchè queste superfici non solo sono vivacemente colorite, ma talora,
come nel mandrillo maschio e nella femmina del Rhesus, con maggiore
vivacità in un sesso che non nell’altro. Man mano che questi animali si
accostano allo sviluppo, le superfici nude, secondo ciò che mi ha
comunicato il signor Bartlett, divengono più grandi: relativamente alla
mole del loro corpo. Tuttavia il pelo in questi casi sembra essere stato tolto
via non tanto per far la pelle nuda, ma acciò che il color della pelle
potesse venire meglio appariscente. Così pure in molti uccelli il capo
ed il collo sono stati privi delle loro piume mercè la scelta sessuale,
affine di far bella mostra della pelle brillantemente colorita.
Siccome la
donna ha il corpo meno peloso dell’uomo, e siccome questo carattere è
comune a tutte le razze, possiamo conchiudere che le nostre progenitrici
semi-umane furono dapprima probabilmente private, in parte del pelo; e che
questo seguì in un periodo sommamente remoto prima che le varie razze avessero
divaricato da uno stipite comune. Siccome le nostre progenitrici acquistarono
graduatamente questo nuovo carattere di nudità, esse debbono averlo
trasmesso in un grado quasi uguale alla loro giovane prole dei due sessi;
cosicchè questa trasmissione, come nel caso di molti ornamenti dei
mammiferi e degli uccelli, non è stata limitata nè
all’età, nè al sesso. Non v’ha nulla di sorprendente che una
perdita parziale del pelo sia stata considerata come un ornamento dai
progenitori dell’uomo scimmiforme, perchè abbiamo veduto che in animali
di ogni sorta un gran numero di strani caratteri sono stati in tal modo
acquistati, perchè sappiamo che questo è il caso per le piume di
alcuni uccelli e per le corna di alcuni cervi.
Le femmine di
certe scimmie antropodi, come è affermato in un capitolo precedente,
sono in certo modo meno pelose sulla superficie inferiore che non siano i
maschi; e qui abbiamo ciò che può avere somministrato un
cominciamento pel processo di denudazione. Rispetto al compimento del processo
mercè la scelta sessuale, è bene tenere a mente il proverbio
della Nuova Zelanda, “non v’ha donna per l’uomo peloso”. Tutti quelli che hanno
veduto le fotografie della famiglia pelosa Siamese ammetteranno quanto
ridicolmente orrido sia l’estremo opposto di eccessiva pelosità. Quindi
il re di Siam dovette pagare un uomo onde sposarlo alla prima donna pelosa
della famiglia, che trasmise questo carattere alla sua giovane prole dei due
sessi.
Alcune razze
sono molto più pelose che non le altre, specialmente dal lato dei maschi;
ma non bisogna supporre che le razze più pelose, per esempio gli
Europei, abbiano conservato una condizione primitiva più completamente
che non le razze più pelose, come i Calmucchi e gli Americani. È
forse più probabile che la pelosità dei primi sia dovuta ad un
parziale ritorno, perchè i caratteri che sono stati lungamente ereditati
sono sempre soggetti a ricomparire. È stato ricordato un caso curioso da
Pinel, di un idiota, decaduto fino al livello del bruto, di cui il dorso, i
lombi e le spalle erano coperti di pelo, lungo circa cinque centimetri. Alcuni
altri casi analoghi sono del pari conosciuti. Non sembra che un clima freddo
abbia avuto influenza nel produrre questa sorta di regresso; tranne forse pei
neri, che sono stati allevati durante varie generazioni, agli Stati Uniti, e
possibilmente per gli Ainos che abitano le isole settentrionali dell’arcipelago
del Giappone. Ma le leggi di eredità sono così complesse che
raramente ne possiamo comprendere l’azione. Se la maggiore pelosità di
certe razze fosse l’effetto del regresso, non arrestato da nessuna forma di
scelta, la somma variabilità di questo carattere, anche nei limiti della
medesima razza, cessa, di essere notevole.
Rispetto alla
barba, se noi ci volgiamo alla nostra miglior guida, cioè ai quadrumani,
troviamo che la barba è ugualmente bene sviluppata nei due sessi di
molte specie, ma in altre che è limitata ai maschi soli, o più
sviluppata in essi che non nelle femmine. Da questo fatto, e dalla curiosa
disposizione, come pure dai colori brillanti dei peli che stanno intorno al
capo di molte scimmie, è probabilissimo, come ho spiegato prima, che i
maschi abbiano acquistato prima la loro barba come ornamento mercè la
scelta sessuale, trasmettendola nella maggior parte dei casi, in un grado uguale
o quasi uguale, alla loro prole dei due sessi. Sappiamo da Eschricht che nel
genere umano, il feto tanto femmina quanto maschio è fornito di molto
pelo sulla faccia, specialmente intorno alla bocca; e questo indica che noi
siamo discesi da un progenitore, di cui i due sessi avevano la barba. Appare
quindi a prima vista probabile che l’uomo abbia conservato la sua barba da un
periodo di tempo remotissimo, mentre la donna ha perduto la sua barba nello
stesso tempo quando il suo corpo fu divenuto quasi al tutto spoglio di pelo.
Anche il colore della barba sembra essere stato ereditato nel genere umano da
qualche progenitore somigliante alle scimmie; perciò quando v’ha qualche
differenza nella tinta fra i capelli e la barba, quest’ultima è un tantino
più chiara in tutte le scimmie e nell’uomo. Vi ha meno
improbabilità a ciò che gli uomini delle razze barbute abbiano
conservato la loro barba da tempi primitivi, che non nel caso del pelo sul
corpo; perchè in quei quadrumani, nei quali il maschio ha una barba
più grande che non la femmina, è pienamente sviluppata solo allo
stato adulto, e gli ultimi stadi di sviluppo possono essere stati
esclusivamente trasmessi al genere umano. Noi quindi vediamo ciò che
attualmente è il caso, cioè, ì nostri bambini maschi,
prima di giungere alla maturità mancanti di barba come le bambine.
D’altra parte, la grande variabilità della barba entro i limiti della
stessa razza e delle differenti razze indicano che il regresso è venuto
in campo. Comunque sia, noi non dobbiamo lasciare senza nota la parte che la
scelta sessuale può avere avuto durante tempi più recenti;
perchè sappiamo che nei selvaggi, gli uomini delle razze senza barba
hanno molta cura di sradicarsi ogni pelo dal volto, come qualche cosa di
orrido, mentre gli uomini delle razze barbute provano il più grande
orgoglio della loro barba. Senza dubbio, le donne partecipano questi
sentimenti, e se questo è il caso, la scelta sessuale non può a
meno di aver operato qualche cosa in questi ultimi tempi.
È
piuttosto difficile giudicare in qual modo si siano sviluppati i nostri
capelli. Eschricht afferma che nel feto umano il pelo della faccia durante il
quinto mese è più lungo che non sul capo; e questo indica che i
nostri progenitori semi-umani non erano forniti di lunghe trecce, ciò
che in conseguenza deve essere stato un acquisto recente. Ci dà pure un
indizio di questo la straordinaria differenza nella lunghezza dei capelli fra
le varie razze; nel nero i capelli formano soltanto un crespo cuscino; in noi
vengono molto lunghi, e presso gli indigeni Americani non di rado toccano
terra. Alcune specie di Semnopiteci hanno il capo coperto di pelo moderatamente
lungo, e questo probabilmente serve di ornamento e fu acquistato per opera
della scelta sessuale. Lo stesso modo di vedere può venire esteso al
genere umano, perchè sappiamo che le lunghe trecce sono adesso e furono
in passato molto ammirate, come si può vedere dalle opere di quasi ogni
poeta; San Paolo dice: “se una donna ha lunghi capelli, è questa una gloria
per lei”; ed abbiamo veduto che nell’America settentrionale un capo venne
scelto solamente per la lunghezza dei suoi capelli.
Colore della
pelle. - Manca la miglior prova che il colore della pelle sia stato
modificato dalla scelta sessuale nel caso del genere umano; perchè i
sessi non differiscono per questo rispetto, o solo lievemente e dubbiosamente.
D’altra parte sappiamo da molti fatti già riferiti che il colore della
pelle è considerato dagli uomini di tutte le razze come un
importantissimo elemento nella loro bellezza, cosicchè è un
carattere che deve essere parimente modificato dalla scelta, come è
seguito in moltissimi casi negli animali sottostanti. A prima vista sembra una
supposizione mostruosa che la tinta nerissima del nero sia stata acquistata
mercè la scelta sessuale; ma questo modo di vedere è sostenuto da
varie analogie, e sappiamo che i neri ammirano il color nero della loro pelle.
Nei mammiferi, quando i sessi differiscono nel colore, il maschio è
sovente nero o più oscuro che non la femmina; e ciò dipende solamente
dalla forma di eredità per cui questa o una qualche altra tinta
sarà trasmessa o ai due sessi ovvero ad uno solo. La somiglianza della Pithecia
satanas colla sua pelle nera, il bianco degli occhi così mobile, ed
i capelli divisi sulla testa, ad un nero in miniatura, è quasi ridicola.
Il colore della
faccia differisce molto grandemente nelle varie specie di scimmie di quello che
non differisca nelle razze umane; ed abbiamo buona ragione per credere che le
tinte rossa, azzurra, arancio, e quasi bianche e nere della loro pelle, anche
quando sono comuni ai due sessi, ed i colori vivaci della loro pelliccia, come
pure i ciuffi ornamentali di peli intorno al capo, sono stati acquistati
mercè la scelta sessuale. Siccome i neonati delle razze più
distinte non differiscono quasi tanto nel colore quanto gli adulti, quantunque
il loro corpo sia al tutto sprovvisto di pelo, abbiamo qualche lieve indizio
che le tinte delle varie razze furono acquistate in seguito alla perdita del
pelo, il quale, come fu affermato prima, deve avere avuto luogo in un periodo
remotissimo.
Sommario. - Possiamo
conchiudere che la mole più grande, la forza, il coraggio, l’indole
battagliera, ed anche l’energia dell’uomo, in paragone delle stesse
qualità nella donna, sono state acquistate durante i tempi primitivi, e
sono state accresciute in seguito, principalmente mercè le contestazioni
dei maschi rivali pel possesso delle femmine. Il vigore intellettuale e la
forza d’invenzione più grandi nell’uomo sono dovuti probabilmente alla
scelta naturale combinata cogli effetti ereditati dall’abitudine, perchè
gli uomini più abili saranno riusciti meglio a difendere e provvedere
loro stessi, le loro mogli e la loro prole. Per quanto la somma intricatezza
dell’argomento ci permette di giudicare, sembra che i nostri progenitori maschi
scimmiformi acquistassero la loro barba come ornamento per piacere od eccitare
l’altro sesso, e la trasmettessero all’uomo come ora esiste, Da quanto pare le
femmine furono dapprima spogliate dei peli nello stesso modo come un ornamento
sessuale; ma esse trasmettono questo carattere quasi nello stesso modo ai due
sessi. Non è improbabile che le femmine venissero modificate per altri
rispetti per lo stesso scopo o mercè i medesimi mezzi; per cui le donne
hanno acquistato la loro voce più dolce e sono divenute più belle
che non gli uomini.
Merita
particolare attenzione che nel genere umano le condizioni della scelta sessuale
furono molto più favorevoli, durante un periodo molto primitivo, quando
l’uomo aveva assunto allora il posto di uomo, che non in tempi posteriori.
Perchè egli allora, come possiamo conchiudere con certezza, sarà
stato guidato molto più dalle sue passioni istintive, e meno dalla
previdenza o dalla ragione. Egli allora non sarà stato tanto interamente
licenzioso quanto sono molti selvaggi ora; ed ogni maschio avrà
custodito gelosamente la sua o le sue mogli. Egli allora non avrà
praticato l’infanticidio; non avrà considerato le sue mogli solo come
utili schiave; nè le avrà sposate durante l’infanzia. Quindi
possiamo dedurre che le razze umane furono rese differenti, per quanto riguarda
la scelta sessuale, in gran parte durante un’epoca remotissima; e questa
conclusione getta luce sul fatto notevole che nel periodo più antico di
cui abbiamo finora potuto avere memoria, le razze umane erano già
divenute quasi tanto differenti quanto lo sono attualmente.
Le opinioni qui
esposte, sulla parte che la scelta sessuale ha avuto nella storia dell’uomo,
hanno bisogno di precisione scientifica. Colui che non ammette questa azione
nel caso degli animali sottostanti, non ammetterà tutto quello che ho
scritto negli ultimi capitoli intorno all’uomo. Non possiamo dire positivamente
che questo carattere e non quello sia stato in tal guisa modificato; tuttavia è
stato dimostrato che le razze umane differiscono fra loro e dai loro più
prossimi affini fra gli animali più bassi, in certi caratteri che non
sono loro di alcun servizio negli usi ordinari della vita, e che è
probabilissimo che siano stati modificati per opera della scelta sessuale.
Abbiamo veduto che fra i più bassi selvaggi le genti di ogni
tribù ammirano le qualità caratteristiche loro proprie, - la
forma del capo e del volto, la quadratezza degli zigomi, la prominenza o la
depressione del naso, il colore della pelle, la lunghezza dei capelli, la
mancanza di peli sul volto e sul corpo, oppure la presenza di una grande barba,
e così avanti. Quindi questi ed altri cosiffatti punti non possono a
meno di essere andati lentamente e graduatamente esagerandosi dagli uomini più
forti e più abili di ogni tribù; i quali hanno dovuto riuscire ad
allevare un numero di figli maggiore, avendo preso per moglie, durante il corso
di molte generazioni, le donne più fortemente caratterizzate, e quindi
le più attraenti. In quanto a me conchiudo che fra tutte le cause che
hanno prodotto le differenze nell’aspetto esterno delle razze umane, e fino a
un certo punto fra l’uomo e gli animali più bassi, la scelta sessuale
è stata di gran lunga la più efficace.
SOMMARIO GENERALE E CONCLUSIONE.
Conclusione fondamentale che l’uomo discende da qualche forma
inferiore - Modo di sviluppo - Genealogia dell’uomo - Facoltà
intellettuali e morali - Scelta sessuale - Osservazioni conclusive.
Basterà
qui un breve riassunto per richiamare alla mente del lettore i punti più
eminenti di quest’opera. Molte delle opinioni che sono state esposte sono
grandemente speculative, e senza dubbio alcune si mostreranno erronee, ma in
ogni caso ho riferito le ragioni che mi hanno indotto a pensare in un modo
anzichè in un altro. Sembrava meritasse la pena investigare fin dove il
principio di evoluzione fosse per illuminare alcuni dei problemi più
complessi della storia naturale dell’uomo. I fatti falsi sono dannosissimi al
progresso della scienza, perchè sovente si tollerano a lungo, ma il modo
di vedere falso se non è sostenuto da qualche prova, reca poco danno,
perchè ognuno si prende un salutare piacere di dimostrarne la
falsità; e quando ciò viene fatto, si chiude un sentiero che
conduce all’errore e la strada del vero viene sovente nel tempo stesso
dischiusa.
La conclusione
principale ottenuta in questa opera, ed ora sostenuta da molti naturalisti
benissimo competenti a formare un solido giudizio, si è che l’uomo sia
disceso da qualche forma meno altamente organizzata. I fondamenti su cui riposa
questa conclusione non saranno mai scossi, perchè l’intima somiglianza
fra l’uomo e gli animali sottostanti nello sviluppo embriogenico, come pure in
numerosissimi punti di struttura e di costituzione, tanto di grande quanto di
lieve importanza, - i rudimenti che conserva, e gli anormali ritorni a cui
è talvolta soggetto, - sono fatti che non si possono contrastare. Essi
sono stati conosciuti da lungo tempo, ma fino a poco fa non ci davano nessuna
spiegazione intorno all’origine dell’uomo. Osservati ora col lume delle nostre
cognizioni intorno al mondo organico, il loro significato non può essere
disconosciuto. Il grande principio di evoluzione sta evidente e fermo, quando
questi gruppi di fatti sono considerati in rapporto con altri, come le mutue
affinità dei membri dello stesso gruppo, la loro distribuzione
geografica nei tempi passati e presenti, e la loro geologica successione. Non
si può credere che tutti questi fatti abbiano un significato falso.
Colui il quale non si contenta di credere, come un selvaggio, che i fenomeni
della natura, non abbiano un legame fra loro, non può credere per nulla
che l’uomo sia l’opera di un atto separato dalla creazione. Egli dovrà
per forza ammettere che l’intima somiglianza dell’embrione umano con quello,
per esempio, di un cane - la costruzione del suo cranio, delle sue membra e di
tutta la sua impalcatura, - indipendentemente dagli usi a cui possono essere
destinate le varie parti, secondo lo stesso disegno di tutti gli altri
mammiferi - la ricomparsa eventuale di varie strutture, per esempio di parecchi
muscoli distinti, che l’uomo non possiede normalmente, ma che sono comuni ai
quadrumani, - ed una folla di fatti analoghi - tutto conduce nel modo più
piano a conchiudere che l’uomo è il condiscendente con altri mammiferi
da un progenitore comune.
Abbiamo veduto
che l’uomo presenta incessantemente differenze individuali in tutte le parti
del suo corpo e nelle sue facoltà mentali. Queste differenze o
variazioni sembrano essere indotte dalle medesime cause generali, ed obbedire
alle stesse leggi come negli animali sottostanti. Nei due casi prevalgono leggi
consimili di eredità. L’uomo tende a moltiplicarsi molto al di là
di quello che permettano i suoi mezzi di sussistenza; in conseguenza egli va
soggetto eventualmente a una dura lotta per l’esistenza, e la scelta naturale
avrà operato tutto ciò che sta nella sua cerchia. Perciò
non è per nulla necessaria una successione di variazioni fortemente
spiccate di consimile natura; lievi differenze oscillanti nell’individuo
basteranno per l’opera della scelta naturale. Possiamo essere certi che gli
effetti ereditati dall’esercizio lungamente continuato, o dalla mancanza di
esercizio delle parti avranno operato per lo stesso scopo colla scelta
naturale. Modificazioni primieramente importanti, sebbene non più di
nessun uso speciale, saranno lungamente ereditate. Quando una parte viene
modificata, altre parti muteranno pel principio di correlazione, del quale
abbiamo esempi in molti casi curiosi di mostruosità correlative. Si
può attribuire qualche cosa all’azione diretta e definita delle
condizioni circostanti della vita, come abbondanza di nutrimento, caldo, od
umidità; ed infine, molti caratteri di poca importanza fisiologica,
alcuni invero molto importanti, sono stati ottenuti mercè la scelta
sessuale.
Senza dubbio,
l’uomo, come pure qualunque altro animale, presenta strutture che da quanto
possiamo giudicare colle nostre poche cognizioni, non sono ora di nessuna
utilità per esso, nè gli sono state utili durante nessun periodo
primiero della sua esistenza, sia in relazione colle sue condizioni generali di
vita, o di un sesso verso l’altro. Cosiffatte strutture non possono essere
attribuite a nessuna forma di scelta, od agli effetti ereditati dall’esercizio
o dalla mancanza di esso nelle parti. Sappiamo tuttavia che molte strutture
particolari, strane, e fortemente spiccate appaiono eventualmente nei nostri
prodotti domestici, e se le ignote cause che le hanno prodotte fossero state
per agire con maggior uniformità, esse sarebbero divenute comuni a tutti
gli individui della specie. Possiamo inoltre sperare di comprendere
alcunchè intorno alle cause di queste eventuali modificazioni,
specialmente allo studio delle mostruosità: quindi i lavori degli
sperimentatori come quelli del signor Camillo Dareste, sono pieni di promesse
per l’avvenire. Nel maggior numero dei casi possiamo dire soltanto che la causa
di ogni lieve variazione e di ogni mostruosità sta molto più nella
natura della costituzione dell’organismo che non nella natura delle condizioni
circostanti; sebbene le nuove e mutate condizioni abbiano certamente una parte
importante nel promuovere ogni sorta di mutamenti organici.
Mercè i
mezzi testè specificati, e l’aiuto forse di altri non ancora scoperti,
l’uomo si è elevato al suo stato presente. Ma dacchè egli ebbe
raggiunto il posto di uomo, egli si è diviso in razze distinte, che
molto più probabilmente si potrebbero chiamare sotto specie. Alcune di
queste, per esempio il nero e l’europeo, sono tanto distinte che, se ad un
naturalista fossero stati presentati alcuni esemplari senza nessuna
informazione precedente, egli le avrebbe senza dubbio considerate come vere e
buone specie. Contuttociò tutte le razze concordano in tanti particolari
poco importanti di struttura ed in tante particolarità mentali, che
queste possono venire attribuite soltanto alle eredità da un progenitore
comune; ed un progenitore così caratterizzato avrà molto
probabilmente meritato il posto di uomo.
Non bisogna
supporre che la divergenza di ogni razza dalle altre razze, o di tutte le razze
da uno stipite comune, possa essere rintracciata fino ad ogni coppia di
progenitori. Al contrario, in ogni stadio del processo di modificazione, tutti
gli individui che erano in qualche modo meglio adatti per le loro condizioni di
vita, sebbene in gradi differenti, avranno sopravvissuto in numero maggiore che
non i meno acconci. Il processo sarà stato simile a quello che l’uomo
segue, quando egli non sceglie con intenzione certi individui particolari, ma
fa allevamenti con tutti gli individui superiori eliminando gl’individui
inferiori. Egli in tal guisa modifica lentamente ma sicuramente la sua razza, e
senza saperlo forma una nuova schiatta. Quindi per ciò che riguarda le
modificazioni, acquistate indipendentemente dalla scelta, e dovute a variazioni
derivanti dalla natura dell’organismo e dall’azione delle condizioni
circostanti, o dal mutamento negli usi della vita, nessuna singola coppia
sarà stata modificata in un grado molto maggiore che non le altre coppie
che abitavano lo stesso paese, perchè saranno state continuamente
mescolate mercè il libero incrociamento.
Considerando la
struttura embriologica dell’uomo - le omologie che presenta cogli animali
sottostanti - i rudimenti che conserva, ed i ritorni a cui va soggetto,
possiamo in parte richiamarci alla mente la primiera condizione dei nostri
primi progenitori; e possiamo approssimativamente collocarli nella loro propria
posizione nella serie zoologica. Noi impariamo così che l’uomo è
disceso da un quadrupede peloso, fornito di coda e di orecchie aguzze,
probabilmente di abiti arborei, e che abitava l’antico continente. Questa
creatura, quando un naturalista ne avesse esaminata tutta la struttura, sarebbe
stata collocata fra i quadrumani, colla stessa certezza quanto il comune
è ancora più antico progenitore delle scimmie del vecchio e del
nuovo continente. I quadrumani e tutti i mammiferi più elevati derivano
probabilmente da qualche antico animale marsupiale, e questo per una lunga
trafila di forme diversificanti, da qualche creatura rettiliforme od
amfibiforme, e questa del pari da qualche animale pesciforme. Noi possiamo
scorgere, nella fosca oscurità del passato, che il progenitore primiero
di tutti i vertebrati deve essere stato un animale acquatico, fornito di
branchie, coi due sessi riuniti nello stesso individuo, e cogli organi
più importanti del corpo (come il cervello ed il cuore), imperfettamente
sviluppati. Questo animale sembra essere stato più simile alla larva
della nostra esistente Ascidia di mare che non a qualunque altra forma
conosciuta.
La più
grande difficoltà che si presenta, quando siamo tratti alla sovra
esposta conclusione intorno all’origine dell’uomo, è il livello elevato
di potenza intellettuale e di disposizione morale cui egli è giunto. Ma
chiunque ammette il principio generale di evoluzione, deve vedere che le
potenze mentali degli uomini più alti, che sono dello stesso genere di
quelle dell’uomo, sebbene tanto differenti nel grado, sono suscettive di
progresso. Così l’intervallo fra le potenze mentali di una delle scimmie
più elevate e quelle di un pesce, o tra quelle di una formica e quelle
di un acaro è immenso. Lo sviluppo di queste forze negli animali non
presenta nessuna difficoltà speciale; perchè nei nostri animali
domestici, le facoltà mentali sono certamente variabili, e le variazioni
sono ereditate. Nessuno pone in dubbio che queste facoltà siano di una
estrema importanza per gli animali allo stato di natura. Perciò le
condizioni sono favorevoli pel loro sviluppo mercè la scelta naturale.
La stessa conclusione può venire estesa all’uomo; l’intelletto deve
essere stato importantissimo per esso, anche in un periodo remoto, dandogli la
facoltà di adoperare il linguaggio, di inventare e fare armi, ordegni,
trappole, ecc.; e con questi mezzi, uniti ai costumi sociali, egli da lungo
tempo è divenuto la più dominatrice di tutte le creature viventi.
Un grande progresso nello sviluppo dell’intelletto sarà
seguito, appena mercè un naturale avanzamento precedente, la semi-arte
ed il semi istinto del linguaggio saranno venuti in uso; perchè l’uso
continuato del linguaggio avrà prodotto un effetto ereditato; e questo a
sua volta avrà reagito sul miglioramento del linguaggio. La grande mole
del cervello dell’uomo, in paragone di quello degli animali sottostanti,
relativamente alla mole del loro corpo, può essere per la maggior parte
attribuita, come ha bene osservato il signor Chauncey Wright, all’uso primiero
di qualche semplice forma di linguaggio - quel meraviglioso congegno che
applica segni ad ogni sorta di oggetti e di qualità, e promuove il
legame del pensiero che non potrebbe mai nascere dalla sola impressione dei
sensi, e se nascesse non potrebbe essere continuato. Le forze intellettuali più
alte dell’uomo, come il raziocinio, l’astrazione, la consapevolezza, ecc.,
avranno avuto origine dal continuo miglioramento di altre facoltà
mentali; ma senza una notevole coltura della mente, tanto nella razza quanto
nell’individuo, è dubbio se queste alte potenze avrebbero potuto
esercitarsi, e così pienamente svilupparsi.
Lo sviluppo
delle qualità morali è un problema interessantissimo e difficile.
Queste facoltà si fondano sugli istinti sociali, che comprendono i
legami della famiglia. Questi istinti sono di natura sommamente complessa, e
nel caso degli animali sottostanti producono tendenze speciali verso certe
azioni definite; ma gli elementi più importanti per noi sono l’amore e
la distinta emozione della simpatia. Gli animali dotati di istinti sociali si
compiacciono della compagnia del loro simile, si difendono a vicenda dal
pericolo, si aiutano fra loro in molti modi. Questi istinti non si estendono a
tutti gli individui della specie, ma solo a quelli della medesima
comunità. Siccome essi sono sommamente benefici alla specie, sono stati
molto probabilmente acquistati per opera della scelta naturale.
Un essere
morale è quello che può riflettere sulle sue azioni passate e sui
motivi di esse, di approvarne alcune e disapprovarne altre, ed il fatto che
l’uomo è quella tal creatura che certamente può essere in
cosiffatto modo indicata è la più grande di tutte le distinzioni
fra lui e gli animali sottostanti. Ma nel nostro terzo capitolo ho cercato
dimostrare che il senso morale deriva, prima, dalla natura persistente e sempre
presente degli istinti sociali, nel qual rispetto l’uomo concorda cogli animali
sottostanti; secondo, dal poter egli apprezzare l’approvazione e la
disapprovazione dei suoi simili, e terzo da ciò che le sue
facoltà mentali sono sommamente attive e le sue impressioni dei passati
avvenimenti vivacissime, nel qual rispetto egli differisce dagli animali
sottostanti. A cagione di questa condizione di mente, l’uomo non può
evitare di guardare dietro e innanzi a sè, e comparare le sue passate
impressioni. Quindi dopo che qualche temporaneo desiderio o qualche passione
hanno vinto i suoi istinti sociali, egli rifletterà e comparerà
la impressione ora indebolita di quei passati impulsi, cogli istinti sociali
sempre presenti; e sentirà allora quel senso di scontento che tutti gli
istinti insoddisfatti lasciano dietro. In conseguenza egli si determina ad
agire differentemente in avvenire - e questa è la coscienza. Qualunque
istinto che è permanentemente più forte o più persistente
che non un altro, origina un sentimento che noi esprimiamo dicendo che deve
essere obbedito. Un cane pointer se fosse capace di riflettere alla sua
passata condotta, direbbe a se stesso, io avrei dovuto (come invero diciamo di
lui) postare quella lepre e non aver ceduto alla fuggitiva tentazione di saltar
su e darle caccia.
Gli animali
sociali sono spinti in parte da un desiderio di porgere aiuto ai membri della
medesima comunità in un modo generale, ma più comunemente a
compiere certe azioni definite. L’uomo è spinto dallo stesso desiderio
generale di assistere i suoi simili, ma ha pochi o non ha affatto istinti
speciali, Differisce pure dagli animali sottostanti per la facoltà che
ha di esprimere i suoi desideri colle parole, che così divengono la
guida dell’aiuto richiesto ed accordato. Il motivo di dare aiuto è
parimente molto modificato nell’uomo; esso non consiste più soltanto in
un cieco impulso istintivo, ma è grandemente spinto dalla lode o dal
biasimo dei suoi simili. Tanto l’apprezzare quanto l’accordare la lode ed il
biasimo riposano sulla simpatia; e questo sentimento, come abbiamo veduto,
è uno degli elementi più importanti degli istinti sociali. La
simpatia, sebbene acquistata come istinto, è pure resa più forte
dall’esercizio o dall’abitudine. Siccome tutti gli uomini desiderano la propria
felicità, si dà lode o biasimo a quelle azioni ed a quei motivi
secondo che conducano a quello scopo; e siccome la felicità è una
parte essenziale del bene generale, il principio della più grande
felicità serve indirettamente come un livello quasi sicuro del bene e
del male. Man mano che le potenze del ragionamento progrediscono e si acquista
esperienza, si scorgono gli effetti più remoti di certe linee di
condotta intorno al carattere dell’individuo, ed al bene generale; e allora le
virtù personali venendo entro la cerchia della pubblica opinione,
ricevono lode, e le opposte vengono biasimate. Ma nelle nazioni meno civili la
ragione sovente erra, e molti cattivi costumi e basse superstizioni vengono
nella stessa cerchia; ed in conseguenza sono stimate come alte virtù, e
la loro infrazione come enormi delitti.
Le
facoltà morali sono in generale stimate, e giustamente, come molto
superiori alle potenze intellettuali. Ma dobbiamo sempre aver presente che
l’attività della mente nel richiamare con vivacità le passate
impressioni è una delle basi fondamentali sebbene secondarie della
coscienza. Questo fatto somministra l’argomento più forte per educare e
stimolare con ogni possibile mezzo le facoltà intellettuali di ogni
creatura umana. Senza dubbio un uomo di mente torpida, qualora le sue affezioni
e simpatie sociali siano bene sviluppate, sarà indotto a compiere buone
azioni, e può avere una coscienza pienamente sensitiva. Ma qualunque
cosa che renda l’immaginazione degli uomini più viva e rinforzi l’abito
del ricordare e del comparare le passate impressioni, renderà la
coscienza più sensitiva, e può anche compensare fino a un certo
punto gli affetti e le simpatie sociali più deboli.
La natura
morale dell’uomo è giunta al più alto livello ottenuto, in parte
per progresso delle forze del ragionamento ed in conseguenza di una giusta
opinione pubblica, ma specialmente per ciò che le simpatie sono divenute
più dolci e più estesamente diffuse per gli effetti dell’abitudine,
dell’esempio, dell’istruzione e della riflessione. Non è improbabile che
le tendenze virtuose, mercè una lunga pratica, possono essere ereditate.
Nelle razze più incivilite, il convincimento dell’esistenza di una
Divinità onniveggente ha avuto un’azione potente sul progresso della
moralità. Infine l’uomo non accetta più la lode o il biasimo del
suo simile come guida principale, sebbene pochi sfuggano a questa azione, ma le
sue convinzioni abituali governate dalla ragione gli somministrano la regola più
sicura. Allora la sua coscienza diviene il suo giudice o mentore supremo.
Nondimeno il primo fondamento o la prima origine del senso morale si basa sugli
istinti sociali, compresa la simpatia; e questi istinti senza dubbio vennero
primieramente acquistati; come nel caso degli animali sottostanti, per opera
della scelta naturale.
La credenza in
Dio è stata sovente posta come non solo la più grande ma anche la
più compiuta di tutte le distinzioni fra l’uomo e gli animali
sottostanti. È tuttavia impossibile, come abbiamo veduto, asserire che
questa credenza sia innata od istintiva nell’uomo. D’altra parte una credenza
in agenti spirituali onnipotenti sembra essere universale; e da quanto pare
deriva da un notevole progresso nelle potenze di ragionamento dell’uomo, e da
un ancor più grande progresso delle sue facoltà immaginative, la
curiosità e la meraviglia. So che l’asserita credenza istintiva in Dio
è stata addotta da molte persone come un argomento per la sua esistenza.
Ma questo è un argomento ardito, perchè saremmo così obbligati
a credere nell’esistenza di molti spiriti crudeli e maligni, che posseggono
appena un po’ più di potere dell’uomo; perchè la credenza in essi
è molto più generale che non quella in una Divinità
benefica. L’idea di un benefico ed universale Creatore dell’universo non sembra
nascere nella mente dell’uomo, finchè questa non siasi elevata per una
lunga e continua coltura.
Colui il quale
crede che l’uomo proceda da qualche forma bassamente organizzata,
chiederà naturalmente come questo possa stare colla credenza
nell’immortalità dell’anima. Le razze barbare dell’uomo, come ha
dimostrato sir J. Lubbock, non hanno una chiara credenza di tal sorta, ma gli
argomenti derivati dalle primitive credenze dei selvaggi non hanno, come
abbiamo veduto testè, che poco o nessun valore. Poche persone provano
qualche ansietà per l’impossibilità di determinare in quale
preciso periodo nello sviluppo dell’individuo, dalla prima traccia della minuta
vescicola germinale al bambino prima o dopo la nascita, l’uomo divenga una
creatura immortale; e non vi può essere nessuna più grande causa
di ansietà, perchè non è possibile determinare il periodo
nella scala organica graduatamente ascendente.
Sono persuaso
che le conclusioni a cui sono giunto in questo lavoro saranno da tal uno
segnalate come grandemente irreligiose; ma colui che le segnalerà
è obbligato di dimostrare perchè sia più irreligioso
spiegare l’origine dell’uomo come una specie distinta che discenda da qualche
forma più bassa, mercè le leggi di variazione e la scelta
naturale, che spiegare la nascita dell’individuo mercè le leggi della
riproduzione ordinaria. La nascita tanto della specie come dell’individuo sono
parimente parti di quella grande fila di avvenimenti che le nostre menti
rifiutano di accettare come l’effetto cieco del caso. L’intelletto si rivolta
ad una tale conclusione, sia che possiamo o no credere che ogni lieve
variazione di struttura, - l’unione di ogni coppia in matrimonio, - la disseminazione
d’ogni seme, - ed altri cosiffatti eventi, siano stati tutti ordinati per
qualche scopo speciale.
La scelta
sessuale è stata estesamente trattata in questo volume, perchè,
siccome ho cercato di dimostrare, essa ha avuto una parte importante nella
storia del mondo organico. Siccome in ogni capitolo si è fatto un
riassunto, sarebbe qui superfluo aggiungere un particolareggiato sommario. So
bene che molte cose rimangono ancora dubbie, ma ho cercato di dare una buona
veduta di tutto il complesso. Nelle divisioni più basse del regno
animale la scelta sessuale sembra non aver operato nulla; certi animali sono
spesso attaccati per tutta la vita allo stesso luogo, od hanno i due sessi
riuniti nello stesso individuo, o ciò che è ancor più
importante, le loro facoltà percettive ed intellettuali non sono
sufficientemente avanzate da permettere sensi di amore e di gelosia, o
l’esercizio di una scelta. Tuttavia quando veniamo agli artropodi ed ai
vertebrati, anche delle classi più basse di questi due grandi sottoregni,
la scelta sessuale ha avuto gran parte, e merita di essere notato che qui noi
troviamo le facoltà intellettuali sviluppate ma in due linee
distintissime, al più alto livello, cioè negli imenotteri
(formiche, api, ecc.), fra gli artropodi e nel mammiferi, compreso l’uomo, fra
i vertebrati.
Nelle classi
più distinte del regno animale, nei mammiferi, negli uccelli, nei
rettili, nei pesci, negli insetti, ed anche nei crostacei, le differenze fra i
sessi seguono quasi esattamente le medesime regole. I maschi sono quasi sempre
gli amanti conquistatori, ed essi soli sono forniti di armi speciali per
combattere coi loro rivali. In generale sono più forti e più
grandi che non le femmine, e son forniti delle qualità richieste di
coraggio e d’indole bellicosa. Sono muniti, sia esclusivamente o in grado molto
più alto che non le femmine, di organi che producono musica vocale o
strumentale, e ghiandole odorifere. Sono ornati di appendici infinitamente
svariate, e dei più vivaci e brillanti colori, spesso disposti in fogge
eleganti, mentre le femmine rimangono disadorne. Quando i sessi differiscono in
strutture più importanti, si è il maschio quello che è
fornito di organi speciali dei sensi per rintracciare la femmina, di organi
locomotori per raggiungerla e sovente di organi di prensione per tenerla ferma.
Queste varie strutture per assicurarsi della femmina o per allettarla sovente
si sviluppano nel maschio durante una parte sola dell’anno; vale a dire nella
stagione delle nozze. In molti casi sono stati trasmessi in un grado più
o meno grande alle femmine, e in quest’ultimo caso appaiono in esse come
semplici rudimenti. Vengono perduti dai maschi in seguito alla castrazione. In
generale non si sviluppano nel maschio durante la prima gioventù, ma appaiono
un po’ prima dell’età della riproduzione. Quindi nella maggior parte dei
casi i giovani dei due sessi si somigliano; e la femmina somiglia per tutta la
vita alla sua prole giovane. In quasi ogni grande classe si presentano alcuni
pochi casi anomali nei quali vi è stata una trasposizione quasi compiuta
dei caratteri propri ai due sessi; assumendo le femmine caratteri che
appartengono propriamente ai maschi. Questa sorprendente uniformità
nelle leggi che regolano le differenze fra i sessi in tante e tante separate classi,
si comprende se ammettiamo l’azione in tutte le più alte divisioni del
regno animale di una causa comune, cioè la scelta sessuale.
La scelta
sessuale dipende dalla riuscita d’individui rispetto ad altri dello stesso
sesso in relazione colla propagazione delle specie; mentre la scelta naturale
dipende dalla riuscita dei due sessi, in tutte le età, in relazione
colle condizioni generali della vita. La lotta sessuale è di due sorta;
una è la lotta fra individui dello stesso sesso, generalmente del sesso
maschile, onde scacciare od uccidere i rivali, le femmine rimanendo passive;
mentre nell’altra, la lotta è pure fra individui dello stesso sesso onde
allettare od eccitare quelli del sesso opposto, in generale le femmine che sono
più passive, ma scelgono i compagni più piacevoli. Quest’ultima
sorta di scelta è intimamente analoga a quella che l’uomo compie
inconsapevolmente, sebbene efficacemente, nei suoi prodotti domestici, quando
per un tempo lungo continua a scegliere gli individui più belli e
più utili, senza nessun desiderio di modificare la razza.
Le leggi di
eredità determinano se i caratteri acquistati mercè la scelta
sessuale di ogni sesso saranno trasmessi allo stesso sesso, ovvero ai due
sessi; come pure all’età in cui saranno sviluppati. Sembra che le
variazioni le quali vengono tardi nella vita sono comunemente trasmesse ad un
solo e medesimo sesso. La variabilità è la base necessaria
dell’azione della scelta, ed è al tutto indipendente da quella. Quindi
segue da ciò che le variazioni della medesima natura generale si sono
vantaggiate e si sono accumulate mercè la scelta sessuale in relazione
colla propagazione della specie, e mercè la scelta naturale in relazione
cogli scopi generali della vita. Quindi i caratteri sessuali secondari, quando
vengono ugualmente trasmessi a due sessi, possono essere distinti dai caratteri
specifici ordinari solo col lume dell’analogia. Le modificazioni acquistate
mercè la scelta sessuale sono spesso così fortemente pronunciate,
che i due sessi sono stati di frequente classificati come specie distinte, o
anche come generi distinti. Cosiffatte differenze fortemente spiccate debbono
in qualche modo essere importantissime; e sappiamo che in certi casi sono state
acquistate non solo a prezzo di qualche inconveniente, ma col rischio di
attuale pericolo.
La credenza nel
potere della scelta sessuale riposa principalmente sulle seguenti
considerazioni. I caratteri che abbiamo ogni miglior ragione per supporre siano
stati acquistati in tal modo sono limitati ad un sesso; e questo solo rende
probabile che in certo modo abbiano relazione coll’atto della riproduzione.
Questi caratteri in un numero infinito di casi si sviluppano pienamente solo
all’età adulta: e sovente solo durante una parte dell’anno, che è
sempre la stagione delle nozze. I maschi (lasciando in disparte alcuni pochi
casi eccezionali) sono più attivi nel corteggiamento; sono i meglio
armati, e sono resi in vari modi i più attraenti. Giova osservare
specialmente che i maschi spiegano le loro attrattive con gran cura in presenza
delle femmine; e che raramente e mai ne fanno pompa, tranne nella stagione
degli amori. Non si può credere che tutta questa mostra possa non avere
uno scopo. Infine abbiamo prove distinte in alcuni quadrupedi ed uccelli che
gli individui di un sesso possono provare una forte antipatia o preferenza per
certi individui del sesso opposto.
Tenendo
presenti alla mente questi fatti e non dimenticando i risultati spiccati della
scelta inconsapevole operata dall’uomo, mi pare, quasi certo che se gli individui
di un sesso durante una lunga serie di generazioni preferissero di unirsi con
certi individui dell’altro sesso, caratterizzati in qualche modo particolare,
la prole andrebbe lentamente ma sicuramente modificandosi nello stesso modo.
Non ho cercato di nascondere che, tranne quando i maschi sono più
numerosi che non le femmine, o quando prevale la poligamia, è dubbio il
modo in cui i maschi più attraenti riescono a lasciare un maggior numero
di figli per ereditare la loro superiorità negli ornamenti o in altre
attrattive che non i maschi meno belli; ma ho dimostrato che ciò viene
operato probabilmente dalle femmine - specialmente da quelle femmine più
robuste che sono pronte per la riproduzione prima delle altre, e che
preferiscono i maschi non solo più attraenti, ma anche i più
robusti e vittoriosi.
Sebbene abbiamo
una qualche certa prova: che gli uccelli apprezzano gli oggetti belli e
brillanti, come le Clamidere dell’Australia, e quantunque apprezzino certamente
la potenza del canto, tuttavia confesso pienamente che è un fatto
meraviglioso questo che le femmine di molti uccelli e di alcuni mammiferi siano
forniti di sufficiente gusto per ciò che, da quanto pare, è stato
effettuato dalla scelta sessuale; e questo è anche più
sorprendente nel caso dei rettili, dei pesci e degli insetti. Ma noi in
realtà non conosciamo che pochissimo intorno all’intelligenza degli
animali sottostanti. Non si può supporre che i maschi degli uccelli di
paradiso o dei pavoni, per esempio, avrebbero tanta cura di sollevare, allargare
e far vibrare le loro belle piume agli occhi delle femmine senza uno scopo
speciale. Possiamo ricordare il fatto riferito da una eccellente
autorità in uno dei primi capitoli, cioè, che varie pavonesse,
quando furono separate da un maschio loro preferito, rimasero vedove per una
intera stagione piuttosto che accoppiarsi con un altro maschio.
Nondimeno non
conosco nella storia naturale un fatto più meraviglioso di quello
che la femmina dell’Argo possa apprezzare la squisita sfumatura degli ornamenti
ad occhio e l’elegante modello delle penne delle ali del maschio. Colui il
quale crede che il maschio sia stato creato come esiste oggi, deve riconoscere
che le grandi piume, che impediscono alle ali di volare, e che, come le penne
primarie, sono spiegate in un modo al tutto particolare a questa sola specie
durante l’atto del corteggiamento, ed in nessun altro tempo, gli furono state
date per servir di ornamento. Se questo è il caso egli deve pure
ammettere che la femmina venne creata e fornita della facoltà di
apprezzare cosiffatti ornamenti. Io differisco solo in ciò che credo che
il maschio del fagiano Argo acquistò graduatamente la sua bellezza, per
ciò che le femmine ebbero preferito per lo spazio di molte generazioni i
maschi meglio ornati; la facoltà estetica delle femmine avendo
progredito per l’esercizio e l’abitudine nello stesso modo come il nostro
proprio gusto è andato graduatamente migliorando. Nel maschio
fortunatamente pel fatto che alcune poche penne non sono state modificate,
possiamo vedere distintamente in qual modo certe semplici macchie con una lieve
ombreggiatura fulva da un lato possano essersi sviluppate per piccoli e
graduati stadi in meravigliosi ornamenti ad occhio; ed è probabile che
vennero attualmente in tal modo sviluppate.
Chiunque
ammetta il principio di evoluzione, e tuttavia senta grande difficoltà
ad ammettere che le femmine dei mammiferi, degli uccelli, dei rettili e dei
pesci possano avere acquistato l’alto livello di gusto che si può
dedurre dalla bellezza dei maschi, e che coincide in generale col nostro
proprio gusto, rifletterà che in ogni membro delle serie dei vertebrati
le cellule nervose del cervello sono i germogli diretti di quelle possedute dal
progenitore comune di tutto il gruppo. In tal modo diviene intelligibile che il
cervello e le facoltà mentali possano essere in condizioni consimili di
un corso quasi uguale di sviluppo, ed in conseguenza di compiere quasi le
medesime funzioni.
Il lettore che
si è dato la pena di scorrere i vari capitoli dedicati alla scelta
sessuale, potrà giudicare fino a qual punto le conclusioni cui sono
giunto siano sostenute da sufficienti prove. Se accetta queste conclusioni,
egli può, credo, estenderle con certezza al genere umano; ma sarebbe qui
superfluo ripetere ciò che ho detto infine sul modo in cui la scelta
sessuale ha, da quanto pare, operato tanto dal lato del maschio quanto da
quello della femmina, facendo in guisa che i due sessi differiscano nell’uomo
tanto nel corpo quanto nella mente, e le varie razze differiscano fra loro nei
vari caratteri, come dai loro antichi e bassamente organizzati progenitori.
Colui il quale
ammette il principio della scelta sessuale, sarà indotto alla notevole
conclusione che il sistema cerebrale non solo regola la maggior parte delle
funzioni esistenti del corpo, ma ha un’azione indiretta sul progressivo
sviluppo di varie strutture corporali e di certe qualità mentali. Il
coraggio, l’indole bellicosa, la perseveranza, la forza e la mole del corpo, le
armi di ogni sorta, gli organi musicali, tanto vocali quanto strumentali, i
colori vivaci, le strisce e le macchie, le appendici adornanti, sono state
indirettamente acquistate da un sesso o dall’altro, dall’azione dell’amore e
della gelosia, mercè l’apprezzamento del bello nel suono, nel colore o
nella forma, e mercè l’esercizio di una scelta; e queste potenze della
mente dipendono evidentemente dallo sviluppo del sistema cerebrale.
L’uomo
investiga scrupolosamente il carattere e la genealogia dei suoi cavalli, del
suo bestiame, e dei suoi cani prima di accoppiarli; ma quando si tratta del suo
proprio matrimonio, raramente o non mai si prende tutta questa cura. Egli
è spinto quasi dagli stessi motivi come gli animali sottostanti quando
son lasciati liberi nella scelta, sebbene egli sia stato superiore a quelli da
apprezzare moltissimo le virtù e le grazie della mente. D’altra parte la
ricchezza e il grado soltanto lo attirano grandemente. Tuttavia egli potrebbe
colla scelta fare alcunchè non solo per la costituzione corporale dei
suoi figli, ma anche per le loro facoltà intellettuali e morali. I due
sessi dovrebbero star lontani dal matrimonio qualora fossero in qualsiasi
evidente grado deboli di corpo o di mente; ma queste speranze sono utopie e non
si compiranno mai neppure in parte finchè le leggi di eredità non
siano pienamente note. Chiunque coopererà a questo intento
renderà un buon servigio. Quando i principii della razza e
dell’eredità fossero meglio compresi, non udremo certi membri ignoranti
della nostra legislatura respingere disdegnosamente un progetto per accertarsi
con mezzi agevoli se i matrimoni fra consanguinei siano o no di danno per
l’uomo.
Il progresso
della prosperità del genere umano è un intricatissimo problema;
tutti quelli che non possono evitare una grande povertà pei loro figli dovrebbero
astenersi dal matrimonio, perchè la povertà non è soltanto
un gran male, ma tende ad aumentarsi producendo la negligenza nel matrimonio.
D’altra parte, come ha notato il sig. Galton, se i prudenti si astengono dal
matrimonio, mentre i negligenti si sposano, i membri inferiori delle
società tenderanno a soppiantare i membri migliori. L’uomo, come
qualunque altro animale, ha senza dubbio progredito fino alla sua condizione
attuale mercè una lotta per l’esistenza, frutto del suo rapido
moltiplicarsi; e se egli deve progredire ed elevarsi ancora di più, deve
andar soggetto ad una dura lotta. Altrimenti egli in breve cadrebbe
nell’indolenza, e gli uomini altamente dotati non riuscirebbero meglio nella
battaglia della vita che non i meno bene dotati. Quindi la nostra media
naturale di accrescimento, sebbene produca molti mali evidenti, non deve essere
per nessun mezzo molto diminuita. Vi deve essere aperto pieno contrasto per
tutti gli uomini; e le leggi e i costumi non debbono impedire i più abili
dal riuscire meglio e dall’allevare un numero più grande di figli. Per
quanto importante la lotta per l’esistenza sia stata e sia ancora tuttavia per
quello che concerne la parte più elevata dell’umana natura, vi hanno
altri agenti più importanti. Perchè le qualità morali
hanno progredito, sia direttamente od indirettamente, molto più per
opera degli effetti dell’uso, delle potenze del ragionamento, dell’istruzione,
della religione, ecc., che non per opera della scelta naturale; sebbene si
possano con certezza attribuire a quest’ultimo agente gl’istinti sociali, che
somministrano la base nello sviluppo del senso morale.
Mi fa
rincrescimento pensare che la principale conclusione a cui sono giunto in
quest’opera, cioè che l’uomo sia disceso da qualche forma bassamente
organizzata, riescirà sgradevolissima a molte persone. Ma non vi
può essere guari dubbio che noi discendiamo dai barbari. Non
dimenticherò mai la meraviglia che provai nel vedere la prima volta un
gruppo di indigeni della Terra del Fuoco raccolti sopra una selvaggia e
scoscesa spiaggia; ma mi venne subito alla mente che tali furono i nostri
antenati. Quegli uomini erano al tutto nudi, e imbrattati di pitture, i loro
lunghi capelli erano tutti intricati, la loro bocca era contorta
dall’eccitamento, ed il loro aspetto era selvaggio, sgomentato e sgradevole.
Non avevano quasi nessuna arte, e come gli animali selvatici vivevano di quello
di cui potevano impadronirsi; non avevano alcun governo, ed erano senza
misericordia per chiunque non fosse stato della loro piccola tribù. Chi
abbia veduto un selvaggio nella sua terra nativa non sentirà molta
vergogna, se sarà obbligato a riconoscere che il sangue di qualche
creatura più umile gli scorre nelle vene. In quanto a me vorrei tanto essere
disceso da quella eroica scimmietta che affrontò il suo terribile nemico
onde salvare la vita al suo custode; o da quel vecchio babbuino, il quale sceso
dal monte, strappò trionfante il suo giovane compagno da una folla
attonita di cani - quanto da un selvaggio che si compiace nel torturare i suoi
nemici, offre sacrifizi di sangue, pratica l’infanticidio senza rimorso, tratta
le sue mogli come schiave, non conosce che cosa sia la decenza, ed è
invaso da grossolane superstizioni.
L’uomo va
scusato di sentire un certo orgoglio per essersi elevato, sebbene non per
propria spinta, all’apice della scala organica; ed il fatto di essere in tal
modo salito, invece di esservi stato collocato in origine, può dargli
speranza per un destino ancora più elevato in un lontano avvenire. Ma
non si tratta qui nè di speranze, nè di timori, ma solo del vero,
fin dove la nostra ragione ci permette di scoprirlo. Ho fatto del mio meglio
per addurre prove; e dobbiamo riconoscere, per quanto mi sembra, che l’uomo con
tutte le sue nobili prerogative, colla simpatia che sente per gli esseri
più degradati, colla benevolenza che estende non solo agli altri uomini,
ma anche verso la più umile delle creature viventi, col suo intelletto
quasi divino che ha penetrato nei movimenti e nella costituzione del sistema solare
- con tutte queste alte forze - l’Uomo conserva ancora nella sua corporale
impalcatura lo stampo indelebile della sua bassa origine.
FINE
INTRODUZIONE
PARTE PRIMA
ORIGINE DELL’UOMO
CAPITOLO I.
Evidenza della origine dell’uomo da
qualche forma inferiore.
Natura
dell’evidenza rispetto all’origine dell’uomo - Strutture omologhe nell’uomo e
negli animali più bassi - Punti misti di corrispondenza - Sviluppo -
Strutture rudimentali, muscoli, organi dei sensi, peli, ossa, organi
riproduttori, ecc.- Rapporti di queste tre grandi classi di fatti coll’origine
dell’uomo.
CAPITOLO II
Comparazione
fra la potenza mentale dell’uomo e quella degli animali sottostanti.
La differenza
fra le facoltà inferiori della scimmia più elevata e del
selvaggio più digradato è immensa - Alcuni istinti sono comuni -
Emozioni - Curiosità - Imitazione - Attenzione - Memoria - Immaginazione
- Ragione - Miglioramento progressivo - Utensili ed armi adoperati dagli
animali - Linguaggio - Consapevolezza di sè - Senso del bello - Credenza
in Dio, in agenti spirituali, superstizioni.
CAPITOLO III.
Paragone fra le facoltà mentali
dell’uomo e quelle dei sottostanti animali.
Senso morale -
Proposizione fondamentale - Qualità degli animali sociali - Origine della
socievolezza - Lotta fra istinti opposti - L’uomo animale sociale - Gli istinti
sociali più tenaci vincono quelli meno persistenti - Virtù
sociali unicamente apprezzate dai selvaggi - Virtù particolari
acquistate in un ulteriore periodo di sviluppo - Importanza del giudizio dei
membri della stessa comunità sulla condotta - Trasmissione delle
tendenze morali - Riassunto.
CAPITOLO IV.
Del modo di sviluppo dell’uomo da
qualche forma inferiore.
Variabilità
del corpo e della mente nell’uomo - Eredità - Cause della
variabilità - Leggi di variazione uguali nell’uomo come negli animali
sottostanti - Azione diretta delle condizioni della vita - Effetti del maggiore
esercizio o del difetto di esercizio delle parti - Arresto di sviluppo
-Reversione o regresso - Variazione correlativa - Proporzione
dell’accrescimento - Freno all’accrescimento - Scelta naturale – L’uomo,
l’animale più dominatore del mondo - Importanza della sua struttura
corporea - Cagioni che hanno prodotto il suo portamento eretto - Mutamenti di
struttura che ne sono derivati -Diminuzione nella mole dei denti canini - Forma
e mole del cranio accresciuta ed alterata - Nudità -Mancanza di coda -
Condizione inerme dell’uomo.
CAPITOLO V.
Dello sviluppo delle facoltà
intellettuali e morali durante i tempi primitivi ed i tempi inciviliti.
Progresso
delle potenze intellettuali mercè la scelta naturale - Importanza della
imitazione -Facoltà sociali e morali - Loro sviluppo entro la cerchia
della stessa tribù - Scelta naturale come operante sulle nazioni
incivilite - Prova che le nazioni incivilite erano un tempo barbare.
CAPITOLO VI.
Delle
affinità e della genealogia dell’uomo.
Posizione
dell’uomo nella serie animale - Sistema naturale genealogico - Caratteri di
adattamento di lieve importanza - Vari piccoli punti di rassomiglianza fra
l’uomo ed i quadrumani - Posto dell’uomo nel sistema naturale - Luogo di
nascita ed antichità dell’uomo - Mancanza di anelli di congiunzione
fossili - Stadi più bassi nella genealogia dell’uomo quali si deducono
primieramente dalle sue affinità e secondariamente dalla sua struttura -
Primitiva condizione androgina dei Vertebrati - Conclusione.
CAPITOLO VII.
Delle razze
umane.
Natura
e valore dei caratteri specifici - Applicazione alle razze umane - Argomenti in
favore e contrari per considerare le così dette razze umane come specie
distinte - Sottospecie - Monogenisti e poligenisti - Convergenza di carattere -
Numerosi punti di rassomiglianza nel corpo e nella mente fra le razze umane
più distinte - Stato dell’uomo quando cominciò ad estendersi
sulla terra -Ogni razza non discende da una sola coppia - Estinzione di razze -
Formazione di razze - Effetti dell’incrociamento - Scarsa influenza dell’azione
diretta delle condizioni della vita - Scarsa e nessuna influenza della scelta
naturale - Scelta sessuale.
PARTE SECONDA
SCELTA SESSUALE
CAPITOLO VIII.
Principii della
scelta sessuale.
Caratteri
sessuali secondari - Scelta sessuale - Modo di azione - Eccesso di maschi -
Poligamia - Il maschio solo viene generalmente modificato mercè la
scelta sessuale - Ardore del maschio - Variabilità del maschio - Scelta
operata dalla femmina - Scelta sessuale comparata colla scelta naturale -
Eredità in periodi corrispondenti di vita, in corrispondenti stagioni
dell’anno, e come venga limitata dal sesso - Relazioni fra le varie forme di
eredità - Cause per cui un sesso e i piccoli non sono modificati dalla
scelta sessuale - Supplemento intorno ai numeri proporzionali dei due sessi per
tutto il regno animale - Della limitazione del numero dei due sessi
mercè la scelta naturale.
CAPITOLO IX.
Caratteri sessuali secondari nelle
classi inferiori del Regno animale.
Mancanza
di questi caratteri nelle classi più basse - Colori brillanti -
Molluschi - Anellidi - Crostacei, caratteri sessuali secondari fortemente
sviluppati; dimorfismo; colore; caratteri non acquistati prima dello stato
adulto - Ragni, loro colori sessuali; stridulazione dei maschi - Miriapodi.
CAPITOLO X.
Caratteri
sessuali secondari degli insetti.
Strutture
differenti possedute dai maschi per afferrare le femmine - Differenze fra i
sessi, di cui non si comprende il motivo - Differenze nel volume fra i sessi –
Tisanuri - Ditteri - Emitteri - Omotteri, facoltà musicali possedute dai
soli maschi - Ortotteri, strumenti musicali dei maschi, molto differenti nella
struttura; umor bellicoso; colori - Neurotteri, differenze sessuali nel colore
- Imenotteri, umor bellicoso e colori - Coleotteri, colori; munite di grosse
corna, che servono, da quanto pare, come ornamento; battaglie; organi
stridulanti comuni generalmente ai due sessi.
CAPITOLO XI.
Insetti,
(continuazione). - Ordine Lepidoptera.
Il
corteggiare delle farfalle - Battaglie - Rumore di battito - Colori comuni ai
due sessi, o più brillanti nei maschi - Esempi - Non sono dovuti
all’azione diretta delle condizioni della vita - Colori acconci per servire di
protezione - Colori delle farfalle notturne - Mostra - Poteri percettivi dei
lepidotteri - Variabilità - Cause della differenza di colore fra i
maschi e le femmine - Mimica; farfalle femmine fornite di colori più vivaci
che non i maschi - Colori brillanti dei bruchi - Riassunto e conclusione delle
osservazioni intorno ai caratteri sessuali secondari degli insetti -
Comparazione fra gli uccelli o gli insetti.
CAPITOLO XII.
Caratteri sessuali secondari dei Pesci,
degli Anfibi, e dei Rettili.
PESCI:
Corteggiamento e battaglie dei maschi - Mole più grande delle femmine -
Maschi, colori brillanti e appendici ornamentali; altri strani caratteri -
Colori ed appendici che acquista il maschio soltanto nella stagione delle nozze
- Pesci dei due sessi brillantemente coloriti - Colori per servir di protezione
- I colori meno appariscenti della femmina non possono essere attribuiti al
principio della protezione - Pesci maschi che fabbricano nidi, e che
accudiscono le uova ed i piccoli - ANFIBI: Differenze nella struttura e nel
colore fra i sessi - Organi vocali. - RETTILI: Cheloni. - Coccodrilli –
Serpenti, colori che in certi casi servono di protezione - Lucertole e loro
battaglie - Appendici ornamentali - Strane differenze nella conformazione fra i
sessi - Colori - Differenze sessuali quasi tanto grandi come negli uccelli.
CAPITOLO XIII.
Caratteri
sessuali secondari degli uccelli.
Differenze
sessuali - Legge di combattimento - Armi speciali - Organi vocali - Musica
strumentale -Atteggiamenti e balli amorosi - Ornamenti permanenti e di stagione
- Mute annuali doppie o semplici - Mostra degli ornamenti nei maschi.
CAPITOLO XIV.
Uccelli,
(continuazione).
Scelta operata
dalla femmina - Durata del corteggiamento - Uccelli disappaiati -
Qualità mentali e gusto del bello - Preferenza o antipatia mostrata
dalla femmina per certi maschi - Variabilità degli uccelli -Variazioni
talora repentine - Leggi di variazione - Formazione degli ocelli - Graduazioni
di carattere - Caso del Pavone, del fagiano Argo e dell’Urosticte.
CAPITOLO XV.
Uccelli,
(continuazione).
Discussione
intorno alla causa per cui i maschi soli di alcune specie, e i due sessi di
altre specie, sono brillantemente coloriti - Intorno alla eredità
sessualmente limitata, come applicata a varie strutture ed al piumaggio
splendidamente colorito - Nidificazione in relazione col colore - Perdita del
piumaggio nuziale durante l’inverno.
CAPITOLO XVI.
Uccelli,
(conclusione).
Piumaggio degli
uccelli non adulti in rapporto col carattere del piumaggio d’ambo i sessi
adulti - Sei classi di casi - Differenze sessuali fra i maschi di specie
strettamente affini o rappresentanti - La femmina che assume i caratteri del
maschio - Piumaggio dei giovani in relazione col piumaggio estivo o invernale
degli adulti - Intorno all’aumento di bellezza negli Uccelli del Mondo - Colori
protettori - Uccelli vistosamente coloriti - Novità apprezzata -
Sommario dei quattro capitoli intorno agli Uccelli.
CAPITOLO XVII.
Caratteri
sessuali secondari dei Mammiferi.
Legge di
battaglia - Armi speciali limitate ai maschi - Cagione del difetto di armi nella
femmina - Armi comuni ai due sessi, sebbene acquistate primieramente dal
maschio - Altri usi di cosiffatte armi - Loro grande importanza - Mole
più grande del maschio - Mezzi di difesa - Intorno alla preferenza
dimostrata in ambo i sessi nell’accoppiarsi dei quadrupedi.
CAPITOLO XVIII.
Caratteri
sessuali secondari dei Mammiferi, (continuazione).
Voce -
Particolarità sessuali notevoli nelle foche - Odore - Sviluppo del pelo
- Colore del pelo e della pelle - Casi anomali di femmine più adorne dei
maschi -Colori ed ornamenti dovuti alla scelta sessuale - Colori acquistati per
scopo di protezione - Colore, sebbene comune ai due sessi, sovente dovuto alla
scelta sessuale - Intorno alla scomparsa di macchie e fasce nei quadrupedi
adulti - Dei colori e degli ornamenti dei quadrumani – Sommario.
CAPITOLO XIX.
Caratteri
sessuali secondari dell’Uomo.
Differenze fra
l’uomo e la donna - Cause di queste differenze e di certi caratteri comuni ai
due sessi - Legge di battaglia - Differenze nelle potenze mentali - e nella
voce - Intorno all’azione della bellezza nel produrre i matrimoni del genere
umano - Attenzione dei selvaggi agli ornamenti - Loro idee intorno alla
bellezza della donna - Tendenza ad esagerare ogni particolarità
naturale.
CAPITOLO XX.
Caratteri
sessuali secondari dell’Uomo, (continuazione).
Intorno agli
effetti della continua scelta delle donne secondo un differente modello di
bellezza in ogni razza - Delle cause che intralciano la scelta sessuale nelle
nazioni incivilite e selvagge - Condizioni favorevoli alla scelta sessuale
durante i tempi primitivi - Del modo di azione della scelta sessuale
nell’umanità - Delle donne, le quali nelle tribù selvagge hanno
qualche facoltà di scegliersi il marito - Mancanza di peli sul corpo e
sviluppo della barba - Colore delle pelle - Sommario.
CAPITOLO XXI.
Sommario
generale e conclusione.
Conclusione fondamentale che l’uomo discende da qualche forma
inferiore - Modo di sviluppo - Genealogia dell’uomo - Facoltà
intellettuali e morali - Scelta sessuale - Osservazioni conclusive.
[1]
[2] Lessona traduce erroneamente ‘calore della pelle’. Si è preferito la corretta traduzione ‘colore della pelle’ [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[3] ‘..e far udire..’ nel testo originale. [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[4] Nota per la versione del Manuzio sulle unità di misura
usate in questo testo
Nella
versione originale dell'opera di Darwin, “ The descent of man and
selection in relation to sex. [first published London, John Murray,
1871]. ” le unità di misura usate per indicare le varie grandezze
sono quelle inglesi del tempo. Il traduttore le ha convertite nelle
corrispondenti unità del sistema metrico decimale.
A questo proposito si devono
tenere presenti due cose:
-
Le
unità di misura inglesi che portano lo stesso nome sono in ogni caso svariate
e hanno un valore fra loro molto vicino ma non necessariamente identico. Non
sappiamo a quali valori di corrispondenza il nostro traduttore abbia fatto
capo. Comunque i valori adottati attualmente come standard nel mondo
anglosassone per la corrispondenza con le unità decimali non coincidono
con i suoi.
-
I
valori presenti nel testo sono in vari casi incoerenti: si tratta probabilmente
di sviste della stampa.
Conviene, se si si
vuol capire l'aspetto numerico del discorso, risalire ad una delle versioni
online dell'opera originale presenti sulla rete. Per esempio qui
http://www.gutenberg.org/etext/2300
La misura riportata correttamente è 1512,53 cm3
[5] La misura riportata correttamente è 1433,87 cm3 [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[6] La misura riportata correttamente è 1427,31 cm3 [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[7] La misura riportata correttamente è 1342,10 cm3 [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[8] La misura riportata
correttamente è
[9] La misura riportata
correttamente è
[10] La misura riportata
correttamente è
[11] ‘delle’ nel testo. [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[12] ‘ se l’uomo, discende, contemporaneamente ’ nel testo originale [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[13] ‘altro’ nel testo originale [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[14] ‘ciò in che tutti i casi’ nel testo [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[15] ‘dall’azione’ nel testo [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[16] ‘non sono’ nel testo [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[17] La traduzione corretta è ‘quelli provvisti delle armi migliori’ [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[18] nell’originale: “four or five males to one female” [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[19] net testo Gutenberg ‘200’ [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[20] corretto “di (Rhopalocera) farfalle.” in “di farfalle (Rhopalocera).” [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[21] La traduzione corretta è: “i maschi di 130 specie essendo più a buon mercato” [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[22] ‘sig.’ manca nell’edizione Barion, ma è preferibile in quanto traduzione di ‘Mr. Wollaston’. [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[23] Croht nel testo. Ma si tratta dello stesso G. R. Crotch di cui sopra [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[24] La frase qui inserita è ricavata dall’edizione
UTET del
[25] Come sopra. BARION: (In tutti i casi in cui avesse prevalso la forma più comune di uguale eredità nei due sessi, la scelta dei maschi dai vivaci colori avrebbe avuto una tendenza a produrre femmine siano state in parte specialmente ottenute da queste colori smorti avrebbe prodotto maschi di colore smorto.). Nell’edizione BARION c’è un’inversione fra le righe 25 e 31. [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[26] Nell’originale: ‘dieci ghinee’ [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[27] Nell’originale: ‘sei pence (o pennies)’ [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[28] Nell’originale: ‘tre sterline’. Si ricordi che nel vecchio sistema valutario inglese, prima dell’introduzione del metodo decimale, una sterlina valeva 240 pennies. [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
[29] Nel testo originale ‘three feet’ cioè circa
[30] Nel testo originale ‘twenty-six inches’ cioè circa
[31] Nel testo originale ‘ten inches’ cioè circa