HOME PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro Novelli BIBLIOTECA
CARLO DARWIN
SULLA ORIGINE
DELLE SPECIE
PER ELEZIONE NATURALE
OVVERO
CONSERVAZIONE DELLE RAZZE PERFEZIONATE
NELLA LOTTA PER L'ESISTENZA
Traduzione DI GIOVANNI
CANESTRINI
EDIZIONI «A. BARION»
DELLA
CASA PER EDIZIONI POPOLARI - S. A.
Sesto San Giovanni (MILANO)
SUNTO STORICO
DEI RECENTI
PROGRESSI DELLA DOTTRINA
SULL'ORIGINE
DELLE SPECIE
INDICE
Sunto storico dei recenti progressi della dottrina sull'origine
delle specie
Introduzione
CAPO I
VARIABILITÀ
ALLO STATO DOMESTICO.
Cause della variabilità - Effetti dell'abitudine e
dell'uso o non-uso degli organi - Correlazione di sviluppo -
Ereditabilità - Caratteri delle varietà domestiche -
Difficoltà di distinguere le varietà dalle specie - Origine delle
varietà domestiche da una o più specie - Colombi domestici, loro
differenze e loro origine - Principio di elezione applicato da lungo tempo e
suoi effetti - Elezione metodica e inconscia - Origine ignota delle nostre
produzioni domestiche - Circostanze favorevoli al potere elettivo dell'uomo.
CAPO II
VARIAZIONE ALLO STATO DI NATURA
Variabilità - Differenze individuali -
Specie dubbie - Le specie molto estese, molto diffuse e comuni variano assai -
Le specie dei grandi generi in ogni paese variano più delle specie dei
generi piccoli - Molte specie dei generi grandi rassomigliano a varietà
per essere strettamente e diversamente affini fra loro o geograficamente assai
circoscritte.
CAPO III
LOTTA PER L'ESISTENZA
È
sostenuta dall'elezione naturale - Questo termine deve impiegarsi in un senso
largo - Progressione geometrica d'accrescimento - Rapido accrescimento degli
animali e delle piante naturalizzate - Natura degli ostacoli all'accrescimento
- Concorrenza universale - Effetti del clima - Protezione derivante dal numero
degl'individui - Rapporti complessi degli animali e dei vegetali nella natura -
Lotta per l'esistenza più severa fra gli individui e le varietà
di una medesima specie; spesso anche fra le specie del medesimo genere - I
rapporti più importanti sono quelli che passano da uno ad altro
organismo.
CAPO IV
ELEZIONE NATURALE, O SOPRAVVIVENZA
DEL PIÙ ADATTO
Elezione
naturale; confronto del suo potere col potere elettivo dell'uomo - Sua azione
sopra caratteri di poca importanza - Sua forza in ogni età e sui due
sessi - Elezione sessuale - Della generalità degli incrociamenti fra
individui della medesima specie - Circostanze favorevoli e contrarie
all'elezione naturale, come gli incrociamenti, l'isolamento o il numero degli
individui - Azione lenta - Estinzione prodotta dall'elezione naturale -
Divergenza dei caratteri in relazione colla diversità degli abitanti
d'ogni regione ristretta e colla naturalizzazione - Effetti dell'elezione
naturale sui discendenti di un comune progenitore per la divergenza dei
caratteri e l'estinzione delle specie - Essa spiega la classificazione degli
esseri organizzati - Progressi dell'organizzazione - Persistenza delle forme
inferiori - Convergenza dei caratteri - Moltiplicazione infinita delle specie -
Sommario.
CAPO V
LEGGI DELLE VARIAZIONI
Effetti delle condizioni esterne - Uso e non-uso
degli organi combinato coll'elezione naturale; organi del volo e della vista -
Acclimazione - Correlazione di sviluppo - Compensazione ed economia di sviluppo
- False correlazioni - Le strutture multiple, rudimentali ed inferiori sono
variabili - Le parti sviluppate in modo insolito sono assai variabili: i
caratteri speciali sono più variabili dei caratteri generici: i
caratteri sessuali secondari sono variabili - Le specie di un medesimo genere
variano analogamente - Riversioni a caratteri molto antichi - Sommario.
CAPO VI
Difficoltà contro la teoria della discendenza con
modificazioni - Assenza o rarità delle varietà intermedie -
Transizioni nelle abitudini della vita - Abitudini diverse nella stessa specie
- Specie dotate di abitudini affatto differenti da quelle delle specie affini -
Organi di estrema perfezione - Mezzi di transizione - Casi difficili - Natura
non facit saltum - Organi di poca importanza - Organi non sempre
assolutamente perfetti - Le leggi dell'Unità di tipo e delle Condizioni
d'esistenza sono comprese nella teoria dell'Elezione naturale.
CAPO VII
OBBIEZIONI DIVERSE CONTRO LA TEORIA DELL'ELEZIONE NATURALE.
Longevità
- Le modificazioni non sono necessariamente contemporanee - Modificazioni che
non sembrano di utilità diretta - Sviluppo progressivo - I caratteri di
lieve importanza funzionale sono i più costanti - L'elezione naturale
ritiensi insufficiente a spiegare gli stadii incipienti
delle strutture utili - Cause che disturbano l'acquisto delle strutture utili a
mezzo dell'elezione naturale - Gradazioni di struttura nei cambiamenti di
funzione - Organi molto diversi nei membri di una medesima classe sviluppatisi
dalla stessa sorgente - Ragioni che impediscono di ammettere le modificazioni
grandi e repentine.
CAPO VIII
DEGLI ISTINTI
Istinti paragonabili alle abitudini, ma diversi nella loro
origine - Istinti graduali - Afidi e formiche - Istinti variabili - Istinti
degli animali domestici, loro origine - Istinti naturali del cuculo, del Molothrus
- dello struzzo e delle api parassite - Formiche che tengono schiavi - Api
domestiche; loro istinto costruttore di celle - Le modificazioni di istinto e
di struttura non sono necessariamente simultanee - Difficoltà della
teoria dell'Elezione Naturale rapporto agli istinti - Insetti neutri e sterili
- Sommario.
CAPO IX
IBRIDISMO
Distinzione
fra la sterilità dei primi incrociamenti e quella degl'ibridi -
Sterilità varia in diversi gradi, non universale; aumentata da
incrociamenti stretti, diminuita per mezzo della domesticità - Leggi che
governano la sterilità degli ibridi - La sterilità non è
una dote speciale, ma incidentale per altre differenze organiche - Cagioni
della sterilità dei primi incrociamenti e di quella degl'ibridi -
Parallelismo fra gli effetti delle mutate condizioni di vita e degli incrociamenti
- Fecondità delle varietà incrociate e della loro prole meticcia;
essa non è generale - Ibridi e meticci paragonati, indipendentemente
dalla loro fecondità - Sommario.
CAPO X
SULLA IMPERFEZIONE
DELLE MEMORIE GEOLOGICHE
Sulla mancanza delle forme intermedie fra le
varietà attuali - Sulla natura delle varietà intermedie estinte;
sul loro numero - Sulla enorme durata dei periodi geologici, dedotta dalle
deposizioni e dai denudamenti - Lunghezza del tempo trascorso calcolata per
anni - Della scarsezza delle nostre collezioni paleontologiche - Dei
denudamenti delle aree granitiche - Della intermittenza delle formazioni
geologiche - Denudamento delle superfici granitiche - Dell'assenza delle
varietà intermedie in ogni formazione - Della improvvisa comparsa di
gruppi di specie - Della subitanea loro comparsa anche nei più antichi
strati fossiliferi che si conoscano - Età della terra abitabile.
CAPO XI
SULLA SUCCESSIONE GEOLOGICA
DEGLI ESSERI ORGANIZZATI
Della comparsa lenta e successiva di nuove
specie - Della diversa rapidità dei loro cambiamenti - Le specie che
rimangono estinte non ricompariscono - I gruppi di specie seguono, nella loro
apparizione o nella loro scomparsa, le medesime leggi generali delle singole
specie - Sulla Estinzione - Sui cambiamenti simultanei delle forme viventi per
tutto il mondo - Sulle affinità delle specie estinte fra loro e colle
specie viventi - Sullo stato di sviluppo delle forme antiche - Sulla
successione dei medesimi tipi nelle stesse superfici - Sommario di questo capo
e del precedente.
CAPO XII
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA
La presente distribuzione non può spiegarsi per mezzo
delle differenti condizioni fisiche - Importanza delle barriere -
Affinità delle produzioni del medesimo continente - Centri di creazione
- Mezzi di dispersione per cambiamenti del clima e del livello della terra e
per circostanze accidentali - Dispersione avvenuta durante il periodo glaciale
- Alternanza dei periodi glaciali al Nord e al Sud.
CAPO XIII
DISTRIBUZIONE
GEOGRAFICA
(continuazione)
Distribuzione delle produzioni d'acqua dolce - Degli abitanti
delle isole oceaniche - Assenza dei batraci e dei mammiferi terrestri - Sulla
relazione degli abitanti delle isole con quelli dei continenti più
vicini - Sulle colonie provenienti dalla sorgente più vicina, colle
modificazioni susseguenti - Sommario del presente capo e del precedente.
CAPO XIV
MUTUE
AFFINITÀ DEGLI ESSERI ORGANIZZATI
MORFOLOGIA -
EMBRIOLOGIA
ORGANI
RUDIMENTALI
Classificazione;
gruppi subordinati ad altri gruppi - Sistema naturale - Regole e
difficoltà della classificazione, spiegate per mezzo della teoria della
discendenza con modificazioni - Classificazione delle varietà - La
discendenza sempre impiegata nelle classificazioni - Caratteri di analogia o di
adattamento - Affinità generali, complesse e divergenti - L'estinzione
separa e definisce i gruppi - Morfologia; fra i membri di una stessa classe,
fra le parti di un medesimo individuo - Embriologia; sue leggi spiegate per
mezzo di quelle variazioni che non hanno luogo nella prima età e che
vengono ereditate ad un'età corrispondente - Organi rudimentali; loro
origine spiegata - Sommario.
CAPO XV
RICAPITOLAZIONE
E CONCLUSIONE
Ricapitolazione
delle difficoltà che si oppongono alla teoria della Elezione naturale -
Ricapitolazione delle circostanze generali e speciali in favore di essa -
Cagioni della credenza generale nella immutabilità delle specie - Come
possa estendersi la teoria dell'Elezione naturale - Effetti dell'adozione di
essa nello studio della Storia naturale - Osservazioni finali.
Voglio esporre un breve sunto dei progressi della dottrina
sull'origine delle specie. La maggior parte dei naturalisti ammette che le
specie sieno produzioni immutabili, e che ogni specie sia stata creata
separatamente. Questa tesi fu abilmente propugnata da molti autori. Solamente
pochi credono che esse subiscano delle modificazioni, e che le forme viventi
attuali discendano per mezzo di generazione regolare da forme preesistenti.
Lasciando in disparte alcuni cenni che troviamo nelle opere della classica antichità,
Buffon, ne' tempi moderni, fu il primo autore che trattò
scientificamente quest'argomento. Siccome però le sue opinioni furono
diverse in periodi diversi, ed egli non trattò delle cause o dei mezzi
della trasformazione delle specie, non ho bisogno di entrare in particolari.
Lamarck fu il primo a destare vivamente l'attenzione colle sue
conclusioni. intorno a tale soggetto. Questo naturalista celebre
pubblicò per la prima volta nel 1801 la sua dottrina; estese poscia
notevolmente la sua teoria nel 1809 colla Philosophie Zoologique, e nel
1815 nell'Introduzione alla sua Histoire naturelle des animaux sans
vertèbres. In queste diverse opere egli sviluppò l'idea che
tutti gli animali, non eccettuato l'uomo, derivano da altre specie anteriori.
Egli rendeva con ciò un servigio eminente alla scienza, abituando gli
spiriti a considerare ogni cambiamento avvenuto nel mondo organico e
nell'inorganico come il risultato probabile di una legge naturale e non
già di un intervento miracoloso. Lamarck fu condotto ad ammettere il
principio della trasformazione graduale delle specie per la difficoltà
di discernere le specie dalle varietà, per la serie non interrotta delle
forme in certi gruppi organici e per l'analogia colle nostre produzioni
domestiche. Quanto ai mezzi di modificazione impiegati dalla natura, egli dava
qualche peso all'azione diretta delle condizioni fisiche della vita, come agli
incrociamenti fra le forme preesistenti, ed attribuiva la massima
influenza all'uso e al non uso degli organi, oppure all'effetto delle
abitudini. Sembra ch'egli ripetesse da quest'ultima causa gli adattamenti
meravigliosi degli esseri organizzati come, per esempio, il collo lungo della
giraffa costrutto tanto ingegnosamente da permetterle di strappare le foglie
dai rami degli alberi. Ma credeva anche all'esistenza di una legge di
progressivo sviluppo; e siccome tutte le forme organiche avrebbero una medesima
tendenza a progredire, egli spiegava l'esistenza attuale d'organismi
semplicissimi coll'aiuto della generazione spontanea.
Stefano Geoffroy Saint-Hilaire fino dal 1795
avanzò l'ipotesi che le così dette specie di un medesimo genere
non sieno che le varietà degeneri di uno stesso tipo. Solo nel 1828 egli
espresse la convinzione che le medesime forme non si fossero perpetuate
invariabili, dall'origine delle cose. Pare che egli abbia considerato le
condizioni della vita, o ciò ch'egli chiama: «Le mond ambiant»
come la cagione principale di ogni trasformazione; ma egli, circospetto nelle
sue conclusioni, ricusava di credere che le specie viventi fossero attualmente
soggette a modificazioni. E suo figlio aggiunge: «C'est donc un problème à réserver
entièrement à l'avenir, supposé même que l'avenir doive
avoir prise sur lui».
Nel
1813 il dottor W. C. Wells ha letto davanti alla Royal Society una breve
notizia sopra una donna di razza bianca, la cui pelle somigliava in parte a
quella di un negro; ma la memoria non fu pubblicata finchè non vennero
alla luce i suoi due Saggi sulla vista doppia e semplice. In quella
memoria egli riconosce decisamente il principio dell'elezione naturale, e fu
quello il primo riconoscimento di tale principio. Ma egli lo applicò
alle sole razze umane, e solamente a certi caratteri speciali. Dopo aver
dichiarato che i Negri ed i Mulatti vanno esenti da certe malattie tropicali,
egli soggiunge, in primo luogo, che tutti gli animali tendono a variare in un
certo grado, e secondariamente che gli agricoltori migliorano i loro animali
domestici colla elezione artificiale, e dice ancora «ciò che in quest'ultimo
caso avviene a mezzo dell'arte, sembra succedere, tuttochè con maggior
lentezza, in natura, nella formazione delle razze umane, le quali sono adattate
alle regioni che abitano. Fra le varietà accidentali dell'uomo, le quali
appariscono fra i pochi e dispersi abitatori delle medie regioni dell'Africa,
alcune potranno meglio di altre sopportare le malattie del paese. In
conseguenza di che queste razze si aumenteranno, mentre le altre decresceranno,
e non solo perchè queste sono incapaci di superare le malattie, ma anche
perchè non potranno contendere coi loro vigorosi vicini. Dopo ciò
che dissi, ammetto, come cosa stabilita, che il colore di questa razza forte
sarà oscuro. Sussistendo però la tendenza a formare delle
varietà, nel corso del tempo si produrranno razze vieppiù oscure;
e siccome la più scura s'adatta meglio delle altre al clima, al
fine nel paese in cui si produsse, se non sarà l'unica, sarà la
dominante». Le stesse considerazioni egli estende poi ai bianchi abitatori di
climi più freddi. Sono riconoscente al signor Rowley degli Stati Uniti
di avermi fatto conoscere, a mezzo del signor Brace, il predetto passo della
memoria di Wells.
In Inghilterra, il rev. W. Herbert, poi, decano di Manchester, scriveva nel
1822 che le esperienze d'orticoltura provano incontrastabilmente che le specie
vegetali non sono altro che forme più elevate e più stabili delle
varietà. Egli estendeva lo stesso principio agli animali. Supponeva che
una sola specie d'ogni genere fosse stata creata in uno stato primitivo di
grande plasticità, e che questi tipi originali avessero prodotto,
principalmente col mezzo di incrociamenti, ma anche in seguito a modificazioni,
tutte le nostre specie attuali.
Nel 1826 il prof. Grant, nell'ultimo paragrafo d'una memoria
conosciutissima sugli spongilli, professò altamente la sua opinione che
ogni specie discende da altre specie, e che si perfeziona con successive
modificazioni.
Nel 1831 il sig. Patrick Matthew emise sull'origine delle specie
considerazioni uguali a quelle manifestate da M. Wallace e da me nel Linnean
Journal, e quali oggi io sviluppo nel presente scritto.
Sfortunatamente M. Matthew espose con troppa brevità il suo concetto in
alcuni periodi inseriti in un'appendice ad un'opera sopra argomenti affatto
estranei; per cui passò inosservato, finchè Matthew stesso non
venne a riportarlo nel Gardener's Chronicle. Le opinioni di Matthew
differiscono poco dalle mie. Egli suppone che il mondo sia stato periodicamente
spopolato e ripopolato quasi in totalità. Quanto all'origine delle
specie nuovamente apparse, crede che novelle forme possano prodursi «senza il
concorso di alcun modello o germe anteriore». Io non sono ben sicuro di
intenderlo sempre, ma sembra ch'egli attribuisca molta influenza all'azione
diretta delle condizioni esterne della vita. Pure egli riconosce chiaramente
tutta la forza del principio di elezione naturale.
Il celebre geologo Leopoldo de Buch, nell'ottimo suo libro Description
physique des Iles Canaries (1836, pagina 147), esprime chiaramente il suo
convincimento, che le varietà possano lentamente diventare specie
costanti, che poi sono incapaci di incrociarsi.
Secondo Rafinesque, nella sua Nuova Flora
dell'America del Nord, «tutte le specie possono essere state una volta
semplici varietà e molte varietà essersi trasformate in specie,
consolidando gradatamente i loro caratteri, eccettuati però i tipi
originali o antichi del genere».
Nel 1843-44 il prof. Haldeman ha esposto molto
abilmente gli argomenti in appoggio e contro l'ipotesi dello sviluppo e della
trasformazione delle specie, e pare che egli fosse inclinato a favore della
variabilità.
Le Vestiges of Creation vennero in luce nel 1844. Nella
decima edizione (1853), molto migliorata, l'anonimo autore dice: «Dopo matura
riflessione è d'uopo concludere che le serie diverse d'esseri animati,
dal più semplice ed antico al più elevato e recente, sono, sotto
la divina provvidenza, il risultamento di due cause:
primieramente d'un impulso, dato alle forme viventi che le spinge in un dato
tempo e con generazione regolare per tutti i gradi di organizzazione fino alle
dicotiledoni e ai vertebrati più perfetti: i gradi sono pochi e
contrassegnati da lacune nei caratteri organici, dal che provengono le
difficoltà pratiche che si incontrano nel constatare le loro affinità;
in secondo luogo da un altro impulso dipendente dalle forze vitali, che tende,
nel succedersi delle generazioni, a modificare la struttura organica a seconda
delle circostanze esterne, come il nutrimento, la patria e gli agenti
meteorici: da ciò deriverebbero gli adattamenti de' naturalisti
teologi». Evidentemente l'autore pensa che l'organismo stesso si perfeziona per
soprassalti, ma che gli effetti cagionati dalle condizioni esterne sono
graduali. Egli deduce da premesse generali la conseguenza categorica che le specie
non sono immutabili. Ma io non capisco in che modo i due impulsi supposti
possano render conto scientificamente dei molti e segnalati adattamenti che si
notano nella natura. Io non posso ammettere che ciò spieghi come, per
esempio, l'organizzazione del picchio si sia adattata alle sue particolari
abitudini. Questo libro, quantunque dia indizio delle prime edizioni di una
scienza poco profonda e anche meno di riserva scientifica, per la potenza e lo
splendore dello stile si diffuse rapidamente. Credo che egli abbia reso un
servigio importante chiamando l'attenzione sopra questo soggetto, sradicando i
pregiudizi e preparando in tal guisa le menti all'adozione di idee analoghe.
Il
veterano della geologia I. d'Omalius d'Halloy, in una eccellente quantunque breve
memoria, giudica più probabile che le specie siano state prodotte per
discendenza modificata nei caratteri, anzichè create
separatamente. Egli aveva esternato questa opinione fino dal 1831.
«L'idea
archetipa, scrisse nel 1849 il prof. Owen, è stata manifestata nel regno
animale del nostro pianeta sotto forme diverse molto tempo prima della
esistenza delle specie animali che oggi la rappresentano. A quali leggi
naturali o cause secondarie possa essere stato sottoposto l'ordine di
successione e di progressione di tali fenomeni organici noi l'ignoriamo». Nel
suo discorso davanti al Congresso degli scienziati inglesi egli pone come
assioma «la continua attività della forza creatrice o della formazione
ordinata delle cose viventi». Più oltre, a proposito della distribuzione
geografica, aggiunge: «Questi fenomeni scuotono la nostra opinione che
l'apterice della Nuova Zelanda e il gallo selvatico rosso inglese sieno
creazioni distinte di queste isole. Del resto, non si deve dimenticare che col
termine creazione lo zoologo vuol denotare un processo ignoto; e che
quando cita in prova di creazioni distinte esempi analoghi al
precedente, egli intende soltanto di confessare che non sa come un tale uccello
si trovi in quel luogo esclusivamente; o meglio ancora egli crede che l'isola e
l'animale debbano la loro origine a una stessa causa creatrice».
Se si confrontino insieme le asserzioni
contenute in quel discorso, apparisce che nell'anno
Questo discorso venne fatto dopo che le memorie sottocitate
del Wallace e mie sulla origine delle specie erano state lette davanti alla Linnean
Society. Quando venne alla luce la prima edizione dell'opera presente, io,
insieme con altri, ero stato talmente ingannato da espressioni, come «l'azione
continua dell'attività creatrice», che contava il prof. Owen tra i
paleontologi che sono fermamente convinti dell'immutabilità delle
specie. Ma sembra che questo fosse un significante mio errore (vedi Anatomy
of Vertebrates, vol. III, pag. 796). Nella ultima edizione di questo libro
giudicai da un passo che incomincia colle parole no doubt the type-form,
etc. (ivi, vol. I, pag. XXXV) che il prof. Owen ammetta, essere l'elezione
naturale attiva nella formazione di nuove specie, e tale deduzione, parmi ancor
oggi giusta. Tuttavia non è esatto, nè dimostrato che questo
fosse il concetto dell'Owen (vedi ivi, vol. III, pag. 798). Ho pubblicato anche
degli estratti di una corrispondenza fra il prof. Owen e l'editore della London
Review, e tanto l'editore quanto io abbiamo giudicato che l'Owen vi
sostenga aver annunciata la teoria dell'elezione naturale prima d me; ed ho
espresso la mia sorpresa e la mia compiacenza per tale asserto. Ma per quanto
si può giudicare da scritti recentemente pubblicati (Opera citata, vol.
III, pag. 798), io sarei nuovamente, in parte o affatto, caduto in errore: È
per me un conforto il vedere, come nemmeno altri sappiano comprendere e mettere
in armonia i diversi lavori controversi dell'Owen. Quanto all'enunciamento del
principio della elezione naturale, torna inutile stabilire a chi spetti la
priorità, se all'Owen o a me, giacchè, come è dimostrato
in questo sunto storico, ambedue siamo stati precorsi dal dott. Wells e dal
signor Matthew.
Isidoro
Geoffroy Saint-Hilaire nel suo corso del 1850 espone brevemente le ragioni che
lo inducono a credere che «i caratteri specifici sono fissi in ogni specie
fintanto che la medesima si propaga fra le stesse circostanze, e che questi caratteri si modificano se si mutino le condizioni esterne della
vita. In conclusione, egli dice, l'osservazione degli animali selvaggi
dimostra già la variabilità limitata delle specie. Le
esperienze sugli animali selvaggi addomesticati e sugli animali domestici
che divennero selvaggi, la dimostrano ancora meglio. E queste medesime
esperienze provano altresì che le differenze prodotte ponno avere un valore
generico». Nella sua Histoire naturelle générale egli svolge delle
considerazioni analoghe.
Il dott. Freke in una recente pubblicazione dichiara di avere esposto fino
dal
Herbert
Spencer ha paragonato abilmente la teoria di creazione degli esseri organizzati
con quella del loro sviluppo. Dall'analogia delle produzioni domestiche, dai
cambiamenti avvenuti nell'embrione di molte specie, dalle difficoltà di
distinguere le specie dalle varietà e dal principio del progresso
generale egli deduce che le specie si sono modificate, e che queste
modificazioni derivano dal cambiamento delle circostanze. Lo stesso
autore ha trattato anche della psicologia, partendo dal principio che ogni
facoltà mentale deve necessariamente essere stata acquistata
gradatamente.
Un botanico distinto, M. Naudin, ha dichiarato apertamente che le specie
allo stato naturale si sono formate in modo analogo a quello col quale le
varietà sono prodotte per mezzo della coltivazione. Ma egli non dimostra
come nella natura abbia luogo l'elezione. Però pensa, come Herbert, che
le specie furono altra volta dotate d'una facoltà plastica maggiore di
quella d'oggi, e si appoggia su quello che chiama principio di
finalità, «potenza misteriosa, indeterminata, fatalità per
alcuni, volontà provvidenziale per altri, l'azione continua della quale
sugli esseri viventi determina in tutte le epoche dell'esistenza dell'universo,
la forma, il volume e la durata d'ognuno, in ragione del suo destino nell'ordine
delle cose di cui fa parte. Questa potenza armonizza ogni membro al tutto,
adattandolo alla funzione ch'egli deve compiere nell'organismo generale della
natura, funzione che è la sua ragione d'essere».
Nel 1853 un celebre geologo, il conte Keyserling, ha esposto l'idea che,
come nuove malattie, cagionate probabilmente da un miasma qualunque,
compariscono e si diffondono sopra la terra, così in certi periodi i
germi delle specie esistenti possano essere stati affetti chimicamente dalle
molecole ambienti di una natura speciale ed avere dato origine a nuove forme.
Nello stesso
anno 1853, il dott. Schaaffhausen pubblicò un eccellente scritto, nel
quale sostiene lo sviluppo progressivo delle forme organiche terrestri.
Conclude che molte specie si sono conservate senza variazione, per lunghi
periodi, nel mentre che altre si modificavano. La divergenza delle specie,
secondo lui, devesi attribuire alla distruzione delle forme intermedie.
«Così, egli dice, le piante e gli animali viventi non sono nuove
creazioni rispetto alle specie estinte, ma debbono riguardarsi come discendenti
da quelle per mezzo di continua riproduzione».
Nel 1854 un distinto botanico francese, il Lecoq, scrisse ne'
suoi Études sur la géographie botanique, tom. I, pagina 250: «Si
vede che le nostre ricerche intorno alla stabilità o mutabilità
delle specie ci conducono direttamente alle idee già espresse da due
uomini celebri, il Geoffroy Saint-Hilaire ed il Goethe». Altri passi però
della stessa opera lasciano in dubbio fino a qual punto il Lecoq estendesse
questo suo concetto.
La filosofia
della creazione fu trattata stupendamente dal rev. Baden Powell nei suoi Essays on the Unity of Worlds, 1855. È
assai notevole il suo modo di dimostrare come l'introduzione delle nuove specie
sia «un fenomeno regolare e non accidentale», ovvero, come dice John Herschell,
«un procedimento naturale, anzichè un evento miracoloso».
Il terzo
volume del Journal of the Linnean Society contiene delle memorie lette
il 1° luglio 1858 dal sig. Wallace e da me, nelle quali, come si vedrà
nella introduzione al presente libro, la teoria dell'elezione naturale fu
esposta da M. Wallace con molta forza e chiarezza.
C. E. Von
Baer, che gode moltissima stima presso gli zoologi, intorno al 1859 espresse la
sua convinzione, appoggiata alle leggi della distribuzione geografica, che
forme oggi affatto differenti possono essere i discendenti di uno stipite
comune (vedi Rud. Wagner, Zoologisch
Anthropologische Untersuchungen, 1861, p. 51).
Nel giugno
1859 il prof. Huxley tenne un discorso davanti alla Royal Institution sui
«tipi persistenti della vita animale». È difficile intendere il
significato di simili fatti, egli dice, «se si suppone che ogni specie animale
o vegetale ad ogni gran tipo organico sia stato formato e posto sulla
superficie del globo dopo lunghi intervalli per un atto speciale della forza
creatrice; è bene ricordare che una simile supposizione è in
disaccordo colle analogie generali della natura e poco sostenuta dalla
tradizione e dalla rivelazione. Se da un altro lato noi consideriamo i tipi
persistenti, partendo dall'ipotesi che le specie viventi sono sempre il
risultato delle graduali modificazioni di specie anteriori, partendo
dall'ipotesi che quantunque non sia provata e si trovi deplorabilmente
sostenuta da' suoi difensori, è pure la sola che venga appoggiata dalla
fisiologia: l'esistenza di questi tipi sembra dimostrare che la somma delle
modificazioni subite dagli esseri viventi nelle epoche geologiche è poca
cosa rimpetto alla lunga serie di vicende che essi hanno sopportato».
Il dott.
Hooker stampò la sua Introduzione alla Flora d'Australia nel
dicembre del 1859. Nella prima parte di questa grande Opera, ammette il principio
della discendenza e modificazione delle specie, e reca a sostegno di questa
dottrina molte osservazioni originali.
La
prima edizione della mia Opera uscì il 24 novembre 1859, la seconda il 7
gennaio 1860.
INTRODUZIONE
Io
mi trovavo a bordo del vascello di S. M. Britannica The Beagle nella
qualità di naturalista, allorchè fui vivamente colpito da certi
fatti nella distribuzione degli esseri organizzati che popolano l'America
meridionale e dai rapporti geologici esistenti fra gli abitanti passati ed
attuali di questo continente. Come potrà vedersi negli ultimi capitoli
di quest'opera, tali fatti sembrano diradare qualche poco le tenebre
sull'origine delle specie, questo mistero dei misteri, al dire di uno
de' nostri più grandi filosofi. Al mio ritorno, nel
Il
mio lavoro è ora (1859) quasi finito; ma siccome occorrerebbero
parecchi anni per completarlo, e la mia salute non è troppo ferma,
così fui indotto a pubblicare il presente estratto. Io fui spinto a
quest'opera soprattutto dalla considerazione che il sig. Wallace, nello studio
della storia naturale dell'Arcipelago Malese, giunse quasi esattamente a
conclusioni identiche alle mie sull'origine delle specie. Nel 1858 egli
m'inviò una memoria sopra questo argomento, pregandomi di comunicarla a
Carlo Lyell, il quale la presentò alla Società Linneana. Questo
lavoro è inserito nel terzo volume del giornale della Società. Il
signor Carlo Lyell e il dott. Hooker, che conoscono i miei lavori - quest'ultimo
ha letto il mio sunto del 1844, - mi fecero l'onore di pensare che sarebbe
stato opportuno di pubblicare, contemporaneamente all'eccellente memoria del
Wallace, un corto estratto de' miei manoscritti.
L'estratto
che oggi metto in luce è dunque necessariamente imperfetto. Io sono
costretto ad esporvi le mie idee senza appoggiarle con molti fatti o con
citazioni d'autori: e mi trovo nel caso di contare sulla confidenza che i miei
lettori potranno avere sull'accuratezza de' miei giudizi. Senza dubbio questo
libro non sarà esente di errori, benchè io creda di non essermi
riferito che alle autorità più solide. Io non posso produrre se
non le conclusioni generali alle quali sono arrivato, con alcuni esempi che
tuttavia basteranno, credo, nella pluralità dei casi. Niuno è
penetrato, più di me della necessità di pubblicare più
tardi tutti i fatti che servono di base alle mie conclusioni, e spero di farlo
in un'opera futura. Imperocchè io so bene che non vi è un passo
in questo volume, al quale non si possano opporre argomenti, che in apparenza
conducano a conclusioni diametralmente opposte. Un risultato soddisfacente
raggiungesi soltanto raccogliendo tutti i fatti e le ragioni favorevoli e
contrarie ad ogni questione, e pesando gli uni contro gli altri; ciocchè
nell'opera presente non posso fare.
Mi rincresce
assai che la ristrettezza dello spazio mi privi della soddisfazione di
ricambiare il generoso concorso prestatomi da molti naturalisti, alcuni dei
quali non conosco personalmente. Io non posso frattanto lasciar sfuggire questa
occasione senza esprimere la profonda obbligazione ch'io professo al dott.
Hooker, il quale negli ultimi quindici anni mi fu di grande aiuto, pel fondo
inesauribile delle sue cognizioni e per le sue eccellenti opinioni.
Quando si riflette
al problema dell'origine delle specie, considerando i mutui rapporti
d'affinità degli esseri organizzati, le loro relazioni embrionali, la
loro distribuzione geografica, la successione geologica ed altri fatti
analoghi, si può conchiudere che ogni specie non è stata creata
indipendentemente dalle altre, ma bensì discende, come le
varietà, da altre specie. Pure una simile conclusione, anche fondata,
non sarebbe soddisfacente fin tanto che non ci fosse dato dimostrare come le specie
innumerevoli, che abitano il globo, si siano modificate al punto di acquistare
quella perfezione di struttura, quell'adattamento che eccita a buon diritto la
nostra ammirazione. I naturalisti si riportano continuamente alle condizioni
esterne; come il clima, il nutrimento, ecc., e da esse traggono la sola causa
possibile di variazione. Come vedremo, i medesimi non hanno ragione che in un
senso molto ristretto. Per esempio, è un errore l'attribuire alle sole
condizioni esterne la struttura del picchio, la formazione dei suoi piedi,
della coda, del becco e della sua lingua, organi conformati tanto
meravigliosamente per cogliere gli insetti sotto la scorza degli alberi.
Così dicasi del vischio che trae il suo alimento da certi alberi, il
seme dei quali deve essere sparso da determinati uccelli, mentre i loro fiori
dioici esigono l'intervento di certi insetti per recare il polline dall'uno
all'altro. Evidentemente non potrebbe attribuirsi la natura di questa pianta
parassita e i suoi rapporti tanto complicati con parecchi esseri organizzati
distinti, all'influenza delle condizioni esterne, delle abitudini o della
volontà della pianta stessa.
Quindi
è di una importanza capitale il cercare di formarsi un concetto chiaro
dei mezzi di modificazione e di adattamento impiegati dalla natura. Fino dai
primordi delle mie ricerche fui d'avviso che un accurato studio degli animali
domestici e delle piante coltivate mi avrebbe offerto probabilmente i dati
migliori per risolvere questo oscuro problema. Nè mi sono ingannato,
mentre non solo in questa circostanza, ma ben anche in tutti gli altri casi
perplessi, ho sempre trovato che le nostre esperienze relative alle variazioni
degli esseri organizzati avvenute allo stato di domesticità o di
coltura, sono tuttavia la nostra guida migliore e la più sicura. Io non
esito ad esprimere la mia convinzione sull'alta importanza di questi studi,
benchè troppo spesso sieno stati trascurati dai naturalisti.
Per
questo motivo io consacro il primo capitolo di questo compendio all'esame delle
variazioni allo stato domestico. Vedremo ciò, che sono per lo meno
possibili sopra una vasta scala variazioni ereditarie, e quel che più
importa, vedremo quanto grande sia la facoltà dell'uomo di accumulare
leggere variazioni, per mezzo dell'elezione artificiale, cioè mediante
la loro scelta esclusiva. Passerò poscia alla variabilità delle
specie nello stato di natura; ma io dovrò a malincuore trattare con
troppa concisione questo soggetto, che non può svolgersi
convenientemente se non colla scorta di lunghi cataloghi di fatti. Potremo
nondimeno discutere quali sieno le circostanze più favorevoli alle
variazioni. Il capitolo successivo tratterà della lotta per l'esistenza
fra tutti gli esseri organizzati del globo, lotta che necessariamente deriva
dal loro moltiplicarsi in proporzione geometrica. È questa la legge di
Malthus applicata a tutto il regno animale e vegetale. Siccome gli individui
d'ogni specie che nascono sono di numero assai maggiore di quelli che possono
vivere, e perciò deve rinnovarsi la lotta fra i medesimi per
l'esistenza, ne segue che se qualche essere varia anche leggermente, in un modo
a lui profittevole, sotto circostanze di vita complesse e spesso variabili,
egli avrà maggior probabilità di durata e quindi potrà
essere eletto naturalmente. Inoltre, secondo le severe leggi
dell'eredità, tale varietà eletta tenderà continuamente a
propagare la sua forma nuova e modificata.
Di
questo principio fondamentale di elezione naturale tratterò diffusamente
nel quarto capitolo: e noi conosceremo in qual modo questa elezione naturale
produca quasi inevitabilmente frequenti estinzioni di specie meno adatte, e
conduca a ciò che io chiamo divergenza dei caratteri. Nel seguente
capitolo io discuterò le leggi complesse e poco note della variazione.
Altri cinque capitoli risolveranno le difficoltà più gravi e
più apparenti della teoria. In primo luogo la difficoltà delle
transizioni, cioè come possa darsi che un essere o un organo semplice
siasi trasformato in un essere più complicato oppure in un organo
più perfetto; secondariamente l'istinto o le facoltà mentali
degli animali; in terzo luogo l'ibridismo o la sterilità delle specie
incrociate e la fecondità delle varietà incrociate; da ultimo
l'insufficienza dei documenti geologici. Nel capitolo successivo io
considererò la successione geologica degli esseri organizzati nel corso
del tempo; nel dodicesimo e tredicesimo la loro distribuzione geografica nello
spazio; nel decimoquarto la loro classificazione e le loro mutue
affinità nello stato adulto quanto nello stato embrionale. L'ultimo
capitolo comprenderà un breve riassunto di tutta l'opera con alcune
osservazioni finali.
Se
teniamo conto della nostra profonda ignoranza sulle reciproche relazioni di
tutti gli esseri che vivono intorno a noi, non possiamo fare le meraviglie se ci
restano ancora inesplicate molte cose sulla genesi delle specie e delle
varietà. Come può spiegarsi che mentre una specie è
numerosa e sparsa sopra una grande estensione, un'altra specie assai affine
trovasi rara e in uno spazio ristretto? Ora questi rapporti sono della
più alta importanza, giacchè determinano il benessere presente e
credo anche la prosperità futura e le modificazioni di ogni abitante di
questo mondo. Noi conosciamo poi ancor meno le relazioni reciproche degli innumerevoli
abitanti terrestri in molte fasi geologiche del loro passato sviluppo.
Quantunque molte cose restino oscure o rimarranno tali ancora per lungo tempo,
io non posso dubitare, dopo lo studio più esatto e il giudizio
più coscienzioso di cui sono suscettibile, che l'opinione adottata dalla
maggior parte dei naturalisti e per lungo tempo anche da me, cioè che
ogni specie sia stata creata indipendentemente dalle altre, sia erronea.
Io sono
pienamente convinto che le specie non sono immutabili; ma che tutte quelle che
appartengono a ciò che chiamasi lo stesso genere, sono la
posterità diretta di qualche altra specie generalmente estinta: nella
stessa maniera che le varietà riconosciute di una specie qualunque
discendono in linea retta da questa specie. Finalmente io sono convinto che
l'elezione naturale sia, se non l'unico, almeno il principale mezzo di
modificazione.
SULLA ORIGINE
DELLE SPECIE
CAPO I
VARIABILITÀ
ALLO STATO DOMESTICO.
Cause della variabilità - Effetti dell'abitudine e
dell'uso o non-uso degli organi - Correlazione di sviluppo -
Ereditabilità - Caratteri delle varietà domestiche -
Difficoltà di distinguere le varietà dalle specie - Origine delle
varietà domestiche da una o più specie - Colombi domestici, loro
differenze e loro origine - Principio di elezione applicato da lungo tempo e
suoi effetti - Elezione metodica e inconscia - Origine ignota delle nostre
produzioni domestiche - Circostanze favorevoli al potere elettivo dell'uomo.
CAUSE DELLA
VARIABILITÀ
Quando
si considerano gli individui appartenenti ad una medesima varietà o
sotto-varietà fra le nostre piante coltivate da molto tempo e fra i
nostri animali domestici più vetusti, una delle prime cose che ci
colpisce consiste nel rimarcare che in generale essi differiscono fra loro
più degli individui delle specie o varietà selvagge. Se noi
consideriamo la molta diversità delle piante o degli animali che sono
soggetti al potere dell'uomo e che variarono nella successione dei secoli sotto
climi e regimi differenti, siamo spinti alla conclusione, che questa maggior
variazione degli esseri coltivati debbasi riguardare come effetto di condizioni
di vita meno uniformi e in qualche parte diverse da quelle a cui furono esposte
allo stato di natura le specie madri. Vi è pure qualche
probabilità nel modo di vedere di Andrew Knight, che la
variabilità dipenda in parte da eccesso di nutrimento. Mi sembra
evidente che gli esseri organici debbano essere esposti per diverse generazioni
a nuove condizioni di vita perchè si manifesti in essi una somma
apprezzabile di variazioni; e non appena l'organizzazione abbia incominciato a
variare, essa rimane generalmente variabile per molte generazioni. Noi non
abbiamo alcun esempio di forme variabili che abbiano cessato di modificarsi
nello stato di domesticità; anche le più antiche fra le nostre
piante coltivate, ad esempio il frumento, producono tuttora delle nuove
varietà: e i nostri più antichi animali domestici sono pure
suscettibili di modificazioni e miglioramenti rapidi.
A quanto posso giudicare dopo essermi lungamente occupato
dell'argomento, le condizioni della vita sembrano agire in due modi: o
direttamente sull'intero organismo, o solamente su determinate parti: oppure,
indirettamente, a mezzo degli organi della riproduzione. Per ciò che
riguarda la diretta azione, non dobbiamo dimenticare ciò che
recentemente ha dimostrato il prof. Weismann e ciò che io stesso ho
notato occasionalmente nel mio libro sulle variazioni allo stato domestico, che
cioè due fattori sono in attività: la natura dell'organismo e la
natura delle condizioni. La prima sembra la più importante,
imperocchè, per quanto si possa giudicare, avvengano variazioni
pressochè simili in condizioni diverse; e d'altra parte succedano
variazioni dissimili in condizioni, che sembrano quasi uguali. L'effetto sui
discendenti è ora definito, ora indefinito. Può dirsi definito
quanto tutti o pressochè tutti i discendenti di individui, i quali per
molte generazioni furono esposti alle medesime condizioni, sieno modificati
nella stessa misura. È straordinariamente difficile giungere ad una
conclusione rispetto ai cambiamenti che in tal guisa furono prodotti. Ma non
può invece sorger dubbio intorno a parecchie piccole variazioni, come
sarebbero la grandezza in seguito alla quantità del nutrimento, il
colore in seguito alla natura del medesimo, la grossezza della pelle e del pelo
in seguito al clima, ecc. Ciascuna delle innumerevoli varietà che noi
vediamo nella livrea dei nostri polli deve aver avuto la sua causa efficiente;
e se la medesima causa agisse uniformemente per una lunga serie di generazioni
su molti individui, tutti probabilmente sarebbero modificati nello stesso modo.
Alcuni fatti, come sarebbero i tumori complicati e straordinari che si formano
invariabilmente nelle piante per effetto di una gocciolina di veleno di un
insetto che produce galle, dimostrano quali particolari modificazioni possano
risultare nelle piante da un cambiamento chimico nella natura del succo.
La
variabilità indefinita è assai più spesso della definita
un risultato di variate condizioni, ed ebbe probabilmente gran parte nella
formazione delle nostre razze domestiche. Noi troviamo la variabilità
indefinita nelle innumerevoli leggere particolarità che contrassegnano
gl'individui di una medesima specie e che non possono essere state ereditate
nè da una delle due forme genitrici, nè da un progenitore
più lontano. Talvolta osservansi occasionalmente delle differenze ben
marcate nei giovani dello stesso parto, o nei semi dello stesso frutto. A
lunghi intervalli fra milioni d'individui che vengono allevati nello stesso
paese e nutriti con cibo quasi eguale, appariscono talvolta deviazioni di
struttura sì fortemente pronunciate che meritano il nome di
mostruosità; ora le mostruosità non possono separarsi dalle
leggere variazioni con una linea ben decisa. Tutte le variazioni di strutture
siffatte, sieno assai leggere o ben marcate, le quali appariscono fra molti
individui viventi insieme, possono considerarsi come effetti indefiniti sopra ciascun
organismo individuale, nella stessa guisa che un'infreddatura agisce in modo
indefinito sopra gli uomini diversi, cagionando, a seconda dello stato del
corpo e della costituzione, ora tosse, ora corizza, ora dolori reumatici, od
infiammazione di organi diversi. Relativamente a ciò che io chiamai
effetto indiretto delle variate condizioni e che si manifesta negli organi
riproduttivi, noi possiamo giudicare, essere la variabilità in parte
effetto della estrema sensibilità di questo sistema per ogni cambiamento
delle condizioni, in parte effetto della somiglianza che esiste, come Kölreuter
ed altri osservarono, fra la variabilità che segue l'incrociamento di
specie distinte e quella che fu osservata nelle piante e negli animali
coltivati in condizioni nuove e non naturali. Molti fatti provano chiaramente
quanto sia sensibile il sistema riproduttivo per i più leggeri
cambiamenti nelle condizioni esterne. Non vi è cosa più facile
che ammansare un animale, nè più difficile che ottenerne la
spontanea riproduzione, anche ove i maschi e le femmine si accoppiassero.
Quanti animali non vogliono riprodursi, benchè vivano lungamente in una
reclusione poco severa e nel loro paese nativo! Si suol attribuire erroneamente
questo fenomeno all'alterazione degli istinti naturali; ma molte piante
coltivate spiegano il maggior vigore, e ciò non ostante non danno
semente che di rado e anche mai. È stato provato che circostanze
apparentemente poco influenti come una quantità d'acqua più o
meno grande in qualche epoca determinata dello sviluppo, possono determinare la
sterilità e la fecondità di una pianta. Io non posso entrare qui
nei copiosi dettagli delle annotazioni da me raccolte sopra questo interessante
soggetto; ma per dare un esempio della singolarità delle leggi che governano
la riproduzione degli animali captivi, noterò che i carnivori, anche dei
tropici, si riproducono liberamente nelle nostre contrade allo stato di
reclusione, eccettuati i plantigradi e più particolarmente quelli della
famiglia degli orsi, che difficilmente figliano: mentre gli uccelli rapaci,
salvo rarissime eccezioni, non producono quasi mai uova feconde. Molte piante
esotiche hanno pure un polline completamente inattivo, precisamente come
negl'ibridi più sterili. Quando adunque da una parte animali e piante
domestiche, quantunque deboli e malate, si riproducono volontariamente allo
stato di reclusione, e da altra parte individui presi giovani allo stato
selvaggio, perfettamente addomesticati, maturi e robusti, hanno tuttavia (di
che potrei fornire parecchi esempi) il loro sistema riproduttore sì
profondamente colpito da cause impercettibili da non poter funzionare; noi non
possiamo essere sorpresi dal vedere che questo sistema allo stato di reclusione
non agisce regolarmente, e produce una prole che non è esattamente
simile ai suoi genitori. Io posso aggiungere che se certi organismi si
riproducono nelle condizioni più opposte alla natura, ciò
dimostra solamente che il loro sistema riproduttivo rimase illeso
(citerò, come esempio, i conigli e i furetti in gabbia); e che
perciò alcuni animali e piante resistono all'azione della
domesticità o della coltivazione, e variano solo leggermente e forse
poco più che allo stato di natura.
Alcuni
naturalisti hanno sostenuto che tutte le variazioni siano collegate coll'atto
della riproduzione sessuale. Ma questo è certamente un errore, e prova
ne sia la lunga lista di sporting plants ch'io ho dato in un'altra
Opera. I giardinieri chiamano così quelle piante, le quali producono
improvvisamente una gemma che assume un carattere nuovo e spesso molto diverso
da quello delle altre gemme della stessa pianta. Siffatte variazioni di gemme,
come potrebbero chiamarsi, si lasciano riprodurre coll'innesto, con piantoni,
ecc., e talvolta con semi. Esse si mostrano raramente in natura, ma con
frequenza sotto l'azione della coltura. Siccome è noto che fra molte
migliaia di gemme che annualmente crescono sullo stesso albero in condizioni
uniformi, una sola di repente acquista un nuovo carattere, e che gemme di
alberi diversi, le quali crescono in diverse condizioni, talvolta producono la
stessa varietà (ad es., le gemme del pesco che producono le
pesche-mandorle, e le gemme sulla rosa comune che producono le rose muscose);
noi possiamo dedurre con evidenza che la natura delle condizioni ha importanza
affatto secondaria nella produzione di forme variate a petto della natura
dell'organismo, importanza non maggiore di quella che ha la natura della
scintilla nel determinare la qualità della fiamma quando si appicca ad
una massa di sostanza combustibile.
EFFETTI
DELL'ABITUDINE, E DELL'USO E NON-USO DEGLI ORGANI
CORRELAZIONE
DI SVILUPPO - EREDITABILITÀ
Le abitudini
hanno una speciale influenza sulle piante, che trasportate da un clima
all'altro cambiano l'epoca della fioritura. Negli animali questo effetto
è più sensibile; per esempio, m'avvidi che le ossa dell'ala
pesavano meno e quelle della coscia pesavano di più nell'anitra
domestica che nell'anitra selvatica, relativamente all'intero scheletro: ed
è presumibile che questo cambiamento si possa attribuire alla
circostanza che l'anitra domestica vola meno e cammina più della stessa
specie in istato selvaggio. Il grande sviluppo delle mammelle delle vacche e
delle capre trasmissibile per eredità, in luoghi ne' quali esse sono
ordinariamente munte, in confronto dello stato di questi organi in altre
contrade, ove ciò non accade, è pure un'altra prova in proposito.
Non vi è un solo animale domestico che in qualche paese non abbia le
orecchie pendenti; ed è probabile l'opinione esternata da qualche
autore, che ciò sia effetto del non-uso dei muscoli dell'orecchio,
essendo l'animale meno allarmato da qualche pericolo.
Molte
leggi governano la variabilità. Alcune sono vagamente note, e io ne
farò menzione brevemente in altro luogo. Qui voglio soltanto parlare di
ciò che può chiamarsi correlazione di sviluppo. Un
cangiamento importante nell'embrione o nella larva induce sempre un cangiamento
corrispondente nell'animale adulto. Nelle mostruosità gli effetti di
correlazione fra parti affatto distinte sono assai singolari. Isidoro Geoffroy
Saint-Hilaire ne dà molti esempi nel suo grande lavoro su questo
argomento. Gli allevatori credono che le membra lunghe siano quasi sempre
accompagnate da una testa allungata. Alcuni fatti di correlazione sembrano
puramente capricciosi: come quelli che i gatti affatto bianchi cogli occhi
turchini siano generalmente sordi; il signor Tait però ha detto
recentemente che tale fenomeno è limitato ai soli maschi. Certi colori e
certe particolarità di costituzione si esigono a vicenda, e molti esempi
del regno vegetale ed animale si potrebbero citare in proposito. Dalle
osservazioni fatte da Heusinger sembrerebbe che le pecore e i maiali bianchi
siano attaccati dai veleni vegetali in una maniera diversa da quella degli
individui di altri colori. Il prof. Wyman mi ha comunicato recentemente una
prova istruttiva di questo fatto. Egli chiese ad alcuni agricoltori della
Virginia perchè tutti i loro maiali fossero neri; essi gli risposero che
questi animali mangiano la radice colorata di Lachnantes, la quale dava
alle loro ossa una tinta rosea a faceva cadere le unghie di tutte le
varietà, eccettuati i neri. Ed uno degli incoli (chiamati nella Virginia
Squatters) soggiunse: «Noi scegliamo nell'allevamento tutti gli
individui neri d'ogni parto, perchè sono i soli che abbiano
probabilità di vivere». I cani calvi hanno i denti imperfetti. I
ruminanti aventi un pelo lungo e ruvido sono molto disposti a portare corna
lunghe e numerose. I colombi calzati hanno una membrana fra le loro dita esterne;
quelli che hanno il becco corto hanno piedi piccoli; se invece hanno un becco
lungo, i piedi sono grandi. Per conseguenza, ove si scelgano individui
modificati e si aumenti costantemente per accumulazione una
particolarità qualsiasi dell'organismo, ne avverrà che, anche
senza averne l'intenzione, si modificheranno altre parti dell'organismo in
virtù delle misteriose leggi della correlazione di sviluppo.
Il risultato
delle varie leggi, completamente ignorate o vagamente comprese, della
variabilità è infinitamente complesso e diverso. Vale la pena di
studiare diligentemente i trattati pubblicati sopra parecchie delle nostre
piante coltivate da lungo tempo, come il giacinto, la patata, la dalia, ecc., e
di osservare le numerosissime variazioni di struttura e di funzioni per le
quali differiscono fra loro le diverse varietà e sotto-varietà.
La loro organizzazione intera sembra divenuta plastica e tende ad allontanarsi,
almeno per qualche piccolo grado, dal tipo originale.
Variazioni
non ereditarie sono per noi senza alcuna importanza. Ma le deviazioni
trasmissibili, siano esse di poca o molta importanza fisiologica, sono molto
frequenti e presentano una diversità quasi infinita. Il trattato del
dott. Prospero Lucas in due grossi volumi è l'opera migliore e più
completa che esiste a questo riguardo. Nessun allevatore dubita della forza
delle tendenze ereditarie; il simile produce il simile: questo è il loro
assioma fondamentale. Gli autori teorici soli hanno mosso dei dubbi contro
questo assioma. Allorquando una deviazione spesso si palesa e noi la vediamo
sul padre e sul figlio, non può sapersi se provenga dall'azione delle
stesse cause sull'uno e sull'altro; ma quando fra gli individui apparentemente
esposti alle medesime condizioni si manifesta qualche rarissima deviazione in
un solo individuo, in mezzo a milioni d'altri che non ne sono affetti,
cagionata da uno straordinario concorso di circostanze, e che in seguito questa
deviazione si mostri di nuovo nel figlio, il solo calcolo delle
probabilità ci forza ad attribuirne la manifestazione
all'eredità. Ognuno ha inteso parlare di casi d'albinismo, di pelle
spinosa, di villosità, ecc., che ripetonsi in parecchi membri di una
stessa famiglia. Se adunque in realtà si ereditano deviazioni di
struttura strane e rare, deve ammettersi la trasmissibilità di
deviazioni meno straordinarie ed anzi comuni. Forse il miglior modo di vedere
sarebbe il considerare l'eredità dei caratteri come la regola, e la loro
cessazione come l'anomalia.
Le leggi
della trasmissibilità dei caratteri sono completamente ignote. Niuno
può dire per qual ragione una particolarità verificatasi nei
diversi individui della medesima specie o in individui di specie diverse,
qualche volta si erediti e qualche altra volta non si erediti; perchè in
un discendente si riscontrino certi caratteri degli avi paterni o materni, o
anche di avi più lontani; perchè un carattere particolare si
trasmetta da uno a due sessi, o si limiti sempre al medesimo sesso. Per noi
è un fatto di subordinata importanza il vedere che le
particolarità manifestatesi solamente nei maschi delle nostre razze
domestiche si trasmettono o esclusivamente o almeno assai più di sovente
ai soli maschi. Ma havvi una regola ben più rilevante e della quale io
credo ci possiamo fidare, ed è che, in qualunque fase della vita si
osservi per la prima volta una particolarità dell'organizzazione, essa
tende a prodursi nei discendenti all'età corrispondente, e qualche volta
un po' prima. In molti casi non potrebbe avvenire diversamente: così i
caratteri ereditari delle corna del bestiame non possono mostrarsi che verso
l'età adulta; come le modificazioni che avvengono nel baco da seta si
producono alla fase corrispondente di larva o di crisalide. Ma le malattie
ereditarie, e qualche altro fatto mi inducono a pensare che la regola abbia una
più larga estensione; e che anche quando non siavi alcuna ragione
apparente per introdurre una modificazione particolare ad una certa età,
tuttavia essa tende a ritornare nel discendente alla stessa epoca in cui
apparve nel suo antenato. Io considero questa regola come d'una grande
importanza per spiegare le leggi dell'embriologia. Questi rilievi si limitano
naturalmente alla prima esterna manifestazione della modificazione, e
non alle sue cause prime, le quali possono aver agito sugli organi di
generazione del maschio o della femmina: così nel discendente di una
vacca a piccole corna e di un toro a corna lunghe, la maggior lunghezza delle
corna, quantunque non avvenga che a un'epoca inoltrata della vita, è
dovuta evidentemente all'elemento paterno.
Ho
fatto allusione alla tendenza di riversione ai caratteri degli avi. Debbo qui
notare una osservazione spesso fatta da alcuni naturalisti, cioè che le
nostre varietà domestiche, tornando selvagge, riprendono gradatamente,
ma costantemente, i caratteri del loro tipo originale. Da ciò si volle
dedurre non potersi fare alcuna induzione dalle razze domestiche alle selvagge.
Ed io mi sono sforzato indarno di scoprire sopra quali fatti perentorii
riposasse questa proposizione tanto spesso e tanto arditamente rinnovata.
Sarebbe molto difficile provarne la verità: noi possiamo bensì
affermare con piena sicurezza che molte delle nostre più distinte razze domestiche
non potrebbero vivere allo stato selvaggio. In molti casi non conosciamo quale
ne sia stato il tipo originale, e perciò non sapremmo decidere se abbia
avuto luogo o meno una riversione perfetta. In ogni modo, per prevenire le
conseguenze degli incrociamenti, dovrebbesi lasciare in libertà naturale
una sola varietà nel suo novello domicilio. Ciò non ostante,
siccome le nostre varietà ritornano certamente in alcune occasioni ai
caratteri dei loro antenati, non mi sembra improbabile che riuscendo noi a
naturalizzare o coltivare per molte generazioni, per esempio, le diverse sorta
di cavolo in un terreno assai povero, le medesime tornerebbero, fino ad un
certo punto od anche completamente, al tipo selvaggio originale; ma allora
sarebbe pur d'uopo attribuire qualche effetto all'azione diretta del suolo. Del
resto, riesca o no l'esperienza, ciò non tornerebbe di grande rilievo
per la nostra argomentazione, dal momento che per fatto dell'esperienza stessa
le condizioni d'esistenza sarebbero mutate. Se potesse provarsi che le nostre
varietà domestiche hanno una forte tendenza di riversione, cioè
tendenza di perdere i loro caratteri acquistati, anche quando rimangono
sottoposte alle medesime influenze, mentre sono conservate in gran numero, e
gli incrociamenti possono arrestare, colla mescolanza delle varietà,
qualunque leggera variazione di struttura: allora io ammetterei che noi non
possiamo trarre induzione alcuna dalle nostre varietà domestiche alle
specie nello stato naturale. Ora manca perfino l'ombra di una prova in appoggio
di tale ipotesi. Sarebbe cosa contraria ad ogni esperienza l'asserire che non
sia in nostro potere il perpetuare i nostri cavalli da tiro o da sella, il
nostro bestiame a lunghe corna o a corna corte, i nostri volatili d'ogni specie
e le nostre piante alimentari, per un numero quasi infinito di generazioni.
CARATTERI DELLE VARIETÀ DOMESTICHE
DIFFICOLTÀ DI DISTINGUERE LE
VARIETÀ DALLE SPECIE
ORIGINE DELLE VARIETÀ DOMESTICHE DA UNA O
PIÙ SPECIE
Se noi
esaminiamo le varietà ereditarie o le razze dei nostri animali domestici
e delle piante coltivate, e le confrontiamo con specie fra loro assai affini,
noi troviamo, come dicemmo, in ogni razza domestica una minore
uniformità di carattere che nelle vere specie. Alcune razze domestiche
della stessa specie hanno spesso un aspetto in qualche modo mostruoso; vale a
dire, esse, differenziando fra loro e dalle altre specie del medesimo genere
nella loro organizzazione generale, presentano frequentemente delle
disparità estreme in un solo organo, sia che insieme si confrontino, sia
che si paragonino alle specie selvagge di maggiore affinità naturale.
Ove da noi si eccettui questo punto di vista, e così quello della
perfetta fecondità delle varietà incrociate, argomento che
discuteremo altrove, le razze domestiche della medesima specie differiscono fra
loro nella stessa guisa, ma generalmente in grado minore, delle specie prossime
o più affini appartenenti allo stesso genere nello stato naturale.
Questa regola diviene evidente quando si rifletta non esservi razze domestiche,
o fra gli animali o fra le piante, che non siano state considerate da giudici
competenti come discendenti da altrettante specie originali distinte, e da
altri non meno capaci, come semplici varietà. Quando esistesse qualche
netta separazione fra le razze domestiche e le specie, questa sorgente di dubbi
non si incontrerebbe tanto spesso. Si è ripetuto assai che le razze
domestiche non differiscono fra loro per caratteri generici. Ma si può
dimostrare che questa asserzione è erronea; inoltre i naturalisti sono
interamente discordi rispetto alla determinazione dei caratteri generici, ed
ogni apprezzamento su questo punto è oggi puramente empirico. Inoltre
vedremo, secondo la teoria dell'origine delle specie da noi esposta, che noi
non possiamo sperare di abbatterci troppo sovente in differenze generiche delle
nostre produzioni domestiche.
D'altronde,
quando si cerca di pesare il valore delle differenze di struttura che
distinguono le nostre razze domestiche di una medesima specie, ci perdiamo
tosto nel dubbio se siano provenute da una sola o da parecchie madri-specie.
Questo problema, ove potesse risolversi, presenterebbe il massimo interesse.
Se, per esempio, potesse provarsi che il levriere, il bracco, il bassotto, lo
spagnuolo e l'alano, le razze dei quali si propagano tanto pure, sono i
discendenti di una specie unica; simili fatti avrebbero molto peso per farci
dubitare della immutabilità di moltissime specie selvagge strettamente
affini, come, ad esempio, delle numerose razze di volpi che abitano in diversi
punti del globo. Non credo, e in breve ne vedremo la ragione, che tutte le
differenze constatate fra le varie razze de' nostri cani siano state prodotte
allo stato di domesticità; al contrario ritengo che una parte di queste
differenze sia dovuta alla provenienza delle nostre razze canine da specie
distinte. Rispetto poi ad altri animali domestici abbiamo delle presunzioni od
una grande evidenza per opinare che tutte le varietà da noi possedute
derivino da un solo tipo selvaggio.
Di
sovente si è supposto che l'uomo abbia scelto da addomesticare animali e
piante dotate d'una tendenza innata e straordinariamente forte di variare, come
pure di sostenere climi assai diversi. Non negherò che queste due
facoltà non abbiano accresciuto grandemente il valore delle nostre
produzioni domestiche; ma un selvaggio, nell'addomesticare per la prima volta
un animale, come avrebbe potuto sapere che la sua razza avrebbe variato nel
corso delle generazioni e sarebbe stata capace di sopportare altri climi? La
poca variabilità dell'asino e della gallina faraona, la ristretta
facoltà della renna di resistere al calore, e del cammello di abituarsi
al freddo, hanno forse impedito la loro domesticità? Io non posso
dubitare che se altri animali od altre piante di numero eguale a quello delle
nostre produzioni domestiche ed appartenenti pure a diverse classi e a paesi
diversi, fossero presi allo stato di natura, e si riproducessero poi allo stato
domestico per altrettante generazioni, esse non variassero tanto, quanto
variarono le madri-specie delle attuali nostre produzioni domestiche.
Riguardo
a molte delle nostre piante e dei nostri animali da tempo antichissimo in
domesticità, è impossibile decidere definitivamente, se derivino
da una sola o da parecchie specie selvaggie. Quelli che sostengono l'origine
multipla delle nostre razze domestiche s'appoggiano principalmente al fatto,
che già negli antichissimi tempi, nei monumenti egiziani e nelle
palafitte della Svizzera può osservarsi una grande varietà di
animali domestici; e che alcune di queste razze antiche somigliano assai alle
attuali, o sono con esse identiche. Ma ciò altro non prova se non che la
civilizzazione risale a tempi più antichi che non si creda, e che gli
animali furono ridotti alla domesticità in tempi remotissimi. Gli
abitatori delle palafitte svizzere coltivavano parecchie qualità di
frumento e di orzo, la lente, il papavero per ricavarne l'olio e la canapa, e
possedevano diversi animali domestici; essi stavano anche in relazione con
altri popoli. Come Heer ha osservato, ciò dimostra chiaramente che in
quel tempo remoto essi avevano fatto grandi progressi nella coltura; e ne
segue, essere preceduto un lungo periodo di civiltà meno progredita,
durante il quale le specie tenute in domesticità da parecchie
tribù e in diversi distretti possono aver subìto delle variazioni
e prodotto razze distinte. Dopo la scoperta degli arnesi di piromaca negli
strati superiori terrestri in parecchie parti del mondo, tutti i geologi sono
convinti che in un tempo remotissimo sieno esistiti degli uomini selvaggi in
uno stato di completa barbarie; mentre oggidì forse non si rinviene una
sola tribù tanto incolta da non possedere almeno il cane allo stato di
domesticità.
L'origine
della maggior parte delle nostre specie domestiche rimarrà forse dubbia
per sempre. Ma io posso osservare che rispetto al cane, dopo una laboriosa
raccolta di tutti i fatti noti in ogni parte del mondo, io giunsi alla
conclusione che molte specie di cani selvaggi furono domate: e che il loro
sangue, più o meno frammisto, scorre nelle vene delle tante nostre razze
domestiche. Quanto ai montoni e alle capre io non posso formarmi una decisa
opinione. Dietro i fatti che mi furono comunicati dal signor Blyth sulle
abitudini, sulla voce, sulla costituzione, ecc., dello zebu dell'India,
è probabile che egli scenda da un tipo originale diverso da quello de'
nostri buoi d'Europa; e parecchi giudici competenti credono che anche i nostri
provengano da due o tre progenitori selvaggi, vogliansi riferire a specie o
razze diverse. Quanto ai cavalli, per ragioni che sarebbe troppo lungo
l'enumerare qui, io inclino a credere, con qualche riserva e all'opposto di
quanto pensano diversi autori, che tutte le nostre razze domestiche discendano
da un medesimo stipite naturale. Dopo aver coltivato ed incrociato
pressochè tutte le razze inglesi di polli, e dopo l'esame de' loro
scheletri, sono giunto alla convinzione ch'esse discendono tutte dal gallo
indiano selvaggio (Gallus bankiva); ed a tale conclusione sono giunti
anche il sig. Blyth ed altri che hanno studiato questo uccello nell'India.
Riguardo alle anitre e ai conigli, le razze dei quali diversificano assai fra
loro, i fatti non ci predispongono a credere che discendano tutte dall'anitra
selvatica comune e dal coniglio.
La
dottrina della moltiplicità d'origine delle nostre razze domestiche fu
spinta ad un assurdo estremo da alcuni naturalisti. Essi ammettono che ogni
razza che si riproduce pura, per quanto lievi siano i caratteri distintivi,
abbia avuto il suo prototipo selvaggio. Per conseguenza, nella sola Europa
avrebbero esistito moltissime specie di buoi selvaggi, altrettante specie di
montoni, molte sorta di capre. Ne sarebbero vissuti molti anche solo nei limiti
della Gran Bretagna; un autore ha detto che questo paese diede ricetto ad
undici specie di montoni selvaggi che gli erano propri. Quando noi ricordiamo
che l'Inghilterra oggi possiede appena un mammifero speciale, che la Francia ne
ha pochi differenti da quelli della Germania e viceversa, che ciò
avviene anche in Ungheria, in Ispagna, ecc.; ma che in compenso ciascuno di
questi Stati ha parecchie razze particolari di buoi, di pecore, ecc., dovremo
stabilire che molte razze domestiche si sono prodotte in Europa. Infatti,
d'onde potremmo noi ritenerle partite, quando le diverse contrade in essa
contenute non posseggono un numero uguale di specie selvagge particolari che
possano considerarsi come i loro tipi originali? Dicasi altrettanto dell'India
orientale. Anche riguardo ai cani domestici del mondo intero, che io giudico
derivati da parecchie specie selvagge, non potrebbe dubitarsi che non abbiano
subìto una immensa congerie di variazioni ereditarie. Chi crederebbe mai
che animali somigliantissimi al levriere italiano, al bracco, al bull-dog,
al piccolo alano, o al cane da caccia Bleinheim, tutti diversi dai canidi
selvaggi, abbiano esistito allo stato naturale? Spesso si è asserito che
tutte le nostre razze di cani siano state prodotte dall'incrociamento di alcune
poche specie originali; ma coll'incrociamento non possono ottenersi che forme
intermedie a quelle dei parenti; e se noi ricorriamo a questo processo per
spiegare l'origine delle nostre razze domestiche, allora bisogna ammettere
l'esistenza precedente delle forme estreme, cioè del levriere italiano,
del bracco, del bull-dog, ecc., allo stato selvaggio. Inoltre la
possibilità di produrre razze distinte per mezzo degl'incrociamenti fu
molto esagerata. È fuor di dubbio che una razza può essere
modificata per incrociamenti occasionali, se si ha cura della scelta precisa di
quei discendenti incrociati che offrono il carattere voluto. Ma io stento a
credere che possa aversi una razza quasi intermedia fra altre due molto
diverse. J. Sebright fece delle esperienze espressamente a questo scopo, ma non
potè riuscire. I prodotti del primo incrociamento fra due razze pure
sono abbastanza e qualche volta straordinariamente uniformi, come notai nei
colombi. Ma quando tali prodotti sono incrociati gli uni cogli altri per molte
generazioni, di rado rinvengonsi due soggetti che siano simili; ed è
allora che si palesa l'estrema difficoltà o meglio la perfetta
inattendibilità dell'impresa.
DELLE RAZZE
DEI COLOMBI DOMESTICI
LORO
DIFFERENZE ED ORIGINE
Pensando
che sia opportuno scegliere un gruppo speciale di animali per farne oggetto di
studio, ho preso a considerare i colombi domestici. Io ho conservato tutte le
razze che potei procurarmi e ricevei nel modo più obbligante degli
esemplari da diverse parti del mondo e specialmente dall'India orientale col
mezzo dell'onorevole W. Elliot, e dalla Persia per opera dell'onorevole C.
Murray. Molti trattati sono stati pubblicati in diverse lingue sui colombi,
alcuni dei quali sono di molto pregio per la loro antichità. Io mi sono
associato coi più celebri amatori di colombi e mi sono fatto iscrivere a
due Società per l'allevamento dei colombi in Londra. La diversità
delle razze è veramente meravigliosa. Si paragoni il colombo messaggero
inglese col colombo giratore a faccia corta, e si vedranno le sorprendenti
differenze nel loro becco, che accompagnano corrispondenti differenze nel loro
cranio. Il messaggero inglese, e soprattutto il maschio, è notevole per
lo sviluppo della caruncola della cute del capo, per le palpebre molto
allungate, le narici assai larghe e l'ampio squarcio della bocca. Il colombo
giratore a faccia corta ha un becco di forma quasi simile a quello del
fringuello; e il giratore comune ha la singolare ed ereditaria abitudine di
volare a grandi altezze in stormi compatti, per poi ridiscendere a capitombolo.
Il colombo romano è di grandi dimensioni, con becco lungo e grosso, e
piedi grandi; alcune delle sotto-varietà hanno un collo lunghissimo,
altre hanno lunghe ali e coda lunga, altre una coda estremamente corta. Il
barbo è affine al messaggere, ma il suo becco, invece d'essere lungo, è
all'opposto molto corto e largo. Il colombo gozzuto ha il corpo, le ali e la
coda allungati, egli ama gonfiare il suo enorme gozzo in un modo meraviglioso
ed anche ridicolo. Il colombo turbito ha un becco corto e conico, una serie di
piume arruffate lungo lo sterno e l'abitudine di gonfiare la parte superiore
dell'esofago. Il colombo incappucciato ha le piume nucali tanto ritte, che gli
formano una specie di cappuccio, e le penne delle ali e della coda
relativamente molto lunghe. Il colombo trombettiere e il colombo ridente, come
viene indicato dai loro nomi, fanno sentire un tubare diversissimo da quello
delle altre razze. Il colombo pavone ha trenta ed anche quaranta penne alla
coda in luogo delle dodici o quattordici normali; e queste penne stanno tanto
spiegate e ritte, che nelle buone razze la testa e la coda si toccano; la
ghiandola oleifera è rudimentale. Potrebbero citarsi altre razze meno
distinte.
Negli
scheletri delle diverse razze lo sviluppo delle ossa della faccia in lunghezza,
larghezza e curvatura differisce enormemente. La forma, la lunghezza e la
larghezza del ramo della mascella inferiore varia in un modo notevolissimo. Il
numero delle vertebre caudali e sacrali e delle coste, come la relativa
larghezza e la presenza dei processi variano pure assai. La larghezza e la
forma delle aperture dello sterno sono grandemente variabili, come l'angolo e
la lunghezza dei due rami della forchetta. La larghezza proporzionale dello
squarcio della bocca, la lunghezza relativa delle palpebre, delle narici e
della lingua, che non è sempre in esatta correlazione colla lunghezza
del becco; lo sviluppo del gozzo, o della parte superiore dell'esofago; lo
sviluppo o lo stato rudimentale della glandola oleifera, il numero delle penne
remiganti e rettrici, la lunghezza relativa delle ali e della coda, sia fra
loro, sia in relazione al corpo; la lunghezza relativa del tarso del piede e il
numero delle squame delle dita; lo sviluppo della membrana fra queste ultime,
sono tutte parti variabili nella struttura generale. L'epoca in cui le penne
raggiungono la loro perfezione varia pure, come la peluria di cui sono
rivestiti i piccoli sbucciati dall'uovo. La forma e la grandezza delle uova
è pure variabile. Il volo e in alcune razze la voce e l'indole
presentano rimarchevoli differenze. Finalmente in certe varietà i maschi
differiscono qualche poco dalle femmine.
Si potrebbe
in questo modo addurre una lunga serie di colombi diversi, che un ornitologo,
se li credesse uccelli selvaggi, li riguarderebbe come altrettante specie ben
distinte. Un ornitologo certamente non vorrebbe porre il messaggero inglese, il
giratore a faccia corta, il colombo romano, il barbo, il gozzuto, il colombo
pavone nello stesso genere: tanto più che gli si potrebbero mostrare in
tutte queste razze parecchie sotto-varietà di discendenza pura,
cioè di specie, come egli senza dubbio le chiamerebbe.
Benchè
le differenze fra le razze dei colombi siano grandi, io tengo pienamente
l'opinione comune dei naturalisti che reputano siano tutti discesi dal colombo torraiuolo
(Columba Livia); comprendendo sotto questo nome parecchie razze
geografiche o sotto-specie, le quali non differiscono le une dalle altre che
nei rapporti più insignificanti. Siccome parecchie delle ragioni che mi
hanno condotto a quest'opinione sono in qualche parte applicabili ad altri
casi, io le esporrò brevemente.
Se le diverse
razze dei nostri colombi non sono varietà e non derivano dal colombo
torraiuolo, è mestieri che discendano almeno da sette od otto tipi
originali; perchè sarebbe impossibile riprodurre le razze domestiche
oggi esistenti coll'incrociamento di un numero minore di tipi. Ad esempio, come
potrebbe ottenersi il colombo gozzuto dall'incrociamento di due specie, quando
almeno una di esse non fosse fornita dell'enorme gozzo caratteristico? I tipi
originali supposti debbono essere stati tutti colombi torraiuoli, che non si
arrestavano nè annidavano volontariamente sugli alberi. Ma, oltre la Columba
Livia e le sue sotto-specie geografiche, si conoscono soltanto due o tre
altre specie di piccioni torraiuoli, le quali non presentano alcuno dei
caratteri delle nostre razze domestiche. Sarebbe dunque necessario, o che le
specie originali supposte esistessero ancora nei paesi in cui furono dapprima
addomesticate e che siano tuttavia ignote agli ornitologi (cosa improbabile se
si considera la loro grandezza, le loro abitudini e il loro carattere
notevole), ovvero che tali specie fossero estinte allo stato selvaggio. Ma non
possono tanto facilmente esterminarsi uccelli che fabbricano i loro nidi sulle
rupi e che sono buoni volatori; e il piccione torraiuolo comune, che ha le
stesse abitudini delle razze domestiche, non fu distrutto nemmeno sopra
parecchie delle più piccole isolette britanniche o sulle coste del
Mediterraneo. L'ipotesi della distruzione di tante specie aventi abitudini
consimili a quelle del colombo torraiuolo, mi sembra quindi una ipotesi molto
avventata. Di più, le razze domestiche tanto diverse, già citate,
furono trasportate in tutte le parti del mondo; alcune debbono dunque essere
ritornate nel loro paese nativo; pure niuna di esse è mai ridivenuta
selvaggia, quantunque il piccione da colombaia, che non è altro se non
il colombo torraiuolo appena alterato, si sia naturalizzato in alcuni luoghi.
Tutte le più recenti esperienze provano quanto sia difficile ottenere la
riproduzione regolare degli animali selvaggi ridotti allo stato di
domesticità; però, secondo l'ipotesi delle origini multiple de'
nostri colombi, sarebbe d'uopo ammettere che almeno sette od otto specie
fossero tanto completamente addomesticate, nei tempi antichi e da uomini
semi-civili, da divenire perfettamente feconde allo stato di reclusione.
Un
altro argomento, che mi sembra di gran valore e suscettibile di estesa
applicazione, è che le razze sopra citate, benchè generalmente
siano molto affini al piccione torraiuolo nella loro costituzione, nelle loro
abitudini, nella loro voce, nel loro colore e in molte parti della struttura
del corpo, tuttavia sono assai differenti in altre parti di questa. Si cercherebbe
indarno in tutta la famiglia dei colombidi un becco simile a quello del
messaggero inglese, del giratore a faccia corta e del barbo; penne arruffate
come quelle del giacobino; un gozzo uguale a quello del piccione gozzuto; delle
penne caudali paragonabili a quelle del colombo pavone. Dovrebbe dunque
conchiudersi, non solo che uomini semi-civili riuscirono ad addomesticare
completamente parecchie specie: ma che, con una determinata intenzione o per
caso, essi scelsero a quest'uopo specie grandemente anormali; inoltre si
dovrebbe anche ammettere che tutte queste specie sieno estinte dappoi o rimaste
ignote. Ora un tale concorso di circostanze stravaganti presenta il più
alto grado d'improbabilità.
Alcuni
fatti concernenti il colore dei colombi meritano di essere presi in
considerazione. Il piccione torraiuolo è di colore bleu-ardesia, col
groppone bianco (le sotto-specie indiane, fra le altre la colomba intermedia di
Strickland, l'hanno turchiniccio); la coda ha una fascia nera terminale, con
margine esterno bianco nelle penne esterne. Le ali hanno due fascie nere; ed
alcune razze semi-domestiche, come alcune altre che sembrano razze pure
selvagge, hanno inoltre le ali macchiate in nero. Tutti questi diversi
caratteri non trovansi mai riuniti in qualsiasi altra specie della famiglia; ma
in ognuna delle nostre razze domestiche e perfino in uccelli perfettamente
sviluppati trovansi talvolta tutti questi caratteri riuniti ed evidenti, non
eccettuato l'orlo bianco delle penne caudali esterne. Inoltre, quando si
incrociano uccelli appartenenti a due o più razze distinte, e che
nessuno di essi è turchino, ovvero non porta alcuna delle predette
particolarità, tuttavia i bastardi così ottenuti si mostrano dispostissimi
ad acquistarle rapidamente. Ad esempio, io ho incrociato alcuni colombi-pavoni
affatto bianchi e di razza purissima con alcuni barbi uniformemente neri, dei
quali io non vidi mai in Inghilterra alcuna varietà turchina; i bastardi
che ottenni erano bruni, neri e macchiati. Incrociai anche un barbo con un
colombo (Spot) macchiato, uccello bianco con coda rossa e una macchia
rossa alla sommità del capo, notoriamente di razza assai costante: i
bastardi furono di colore cupo macchiato. Allora incrociai uno dei bastardi
barbo-pavone con un bastardo barbo-spot e mi diedero un colombo di un
bel turchino col groppone bianco, con doppia fascia nera sulle ali, con fascia
nera sulla coda e colle rettrici orlate di bianco come nel torraiuolo
selvaggio. Se tutte le razze dei colombi domestici derivano dal colombo
torraiuolo, questi fatti si spiegano col noto principio della riversione ai
caratteri degli avi (principio del quale per verità ho sempre veduta
l'azione circoscritta nei limiti del solo colore). Ove ciò si neghi,
bisogna fare una delle due ipotesi seguenti poco probabili. O tutti i vari tipi
originali erano colorati e macchiati come il piccione torraiuolo, mentre
niun'altra specie esistente presenta gli stessi caratteri, di modo che in ogni
razza vi abbia una tendenza a ritornare a questo colore e a questi segni;
ovvero conviene che ogni razza, anche la più pura, abbia nell'intervallo
di dodici o al più di venti generazioni subìto un incrociamento
col piccione torraiuolo; e dico al più di venti generazioni,
perchè non vi è un solo fatto in conferma dell'opinione che un
discendente, dopo una più lunga serie di generazioni, sia ritornato ai
caratteri dei suoi avi. In una razza incrociata una sola volta con una razza
diversa, la tendenza di riversione a un carattere di questa diviene sempre
minore, in ragione della quantità sempre descrescente del sangue della
medesima che rimane in ogni generazione successiva. Ma all'opposto, quando non
si abbia alcun incrociamento con una razza differente, e che ciò non
pertanto si manifesti nei due progenitori una tendenza a ricuperare un
carattere perduto per un certo numero di generazioni, questa tendenza, per
quanto si voglia opporre, si può trasmettere senza indebolimento per un
numero indeterminato di generazioni. Questi due casi distintissimi sono spesso
confusi da quelli che hanno scritto sull'ereditabilità.
Da
ultimo gli ibridi o i meticci provenienti dall'incrociamento delle varie razze
dei piccioni sono perfettamente fecondi; io posso attestarlo per le mie
osservazioni fatte a tale scopo sulle razze più diverse. Al contrario
è difficile e forse impossibile trovare un esempio di ibridi provenienti
da due animali evidentemente differenti e nondimeno perfettamente
fecondi. Alcuni autori suppongono che una lunga domesticità elimini
questa forte tendenza alla sterilità; dalla storia dei cani sembrerebbe
che vi fosse qualche verità in questa ipotesi, principalmente se non
venisse applicata che a specie strettamente affini, benchè finora non
esista alcuna esperienza in appoggio. Ma parmi esagerato lo estendere tale
ipotesi al punto di sostenere che specie originariamente tanto distinte, come i
messaggeri, i giratori, i gozzuti, i colombi pavoni, possano generare ibridi
fecondi fra loro.
Riassumendo:
l'improbabilità che l'uomo abbia spinto nello stato di
domesticità 7 - 8 supposte specie di colombi a riprodursi
volontariamente, specie che noi non conosciamo affatto allo stato selvaggio,
nè in alcun luogo ridivennero tali: i molti caratteri anormali per certi
riguardi in confronto di tutti gli altri colombidi, quantunque per molti altri
rapporti somiglianti al colombo torraiuolo; il frequente ritorno del colore
turchino e delle diverse macchie nere in tutte le razze, siano pure, siano
incrociate; la perfetta fecondità degli ibridi: tutte queste diverse
ragioni ci spingono a concludere con sicurezza che tutte le nostre razze
domestiche discendono dalla Columba livia e dalle sue sotto-specie
geografiche.
In
appoggio a quest'opinione posso aggiungere ancora alcuni argomenti. Primieramente
il piccione torraiuolo, o Columba livia, fu trovato nell'Europa e
nell'India facile da addomesticare, e vi ha una grande analogia fra le sue
abitudini e le diverse parti della sua organizzazione con quelle di tutte le
nostre razze domestiche. Secondariamente, sebbene un messaggero inglese, o un
giratore a faccia corta differiscano immensamente per certi rapporti dal
piccione torraiuolo, pure, se si confrontano le varie sotto-razze di queste
varietà e segnatamente quelle che furono importate da regioni lontane,
possono ricostituirsi serie non interrotte tra le forme estreme. In terzo luogo
i principali caratteri distintivi delle diverse razze, come le verruche e il
becco lungo del messaggere, il becco corto del giratore, e le numerose penne
caudali del colombo pavone sono grandemente variabili, e la spiegazione
evidente di questo fatto ci sarà data da quanto diremo più avanti
riguardo all'azione naturale. In quarto luogo i colombi sono stati osservati e
coltivati con molta cura e trasporto da molti popoli: essi sono domestici da
migliaia d'anni in diverse parti del globo; la più antica menzione che
ne troviamo nella storia risale alla quinta dinastia egiziana, cioè
circa 3000 anni prima dell'êra nostra, secondo il prof. Lepsius; ma io
seppi dal Birch che in una nota di cucina della dinastia precedente i colombi
sono ricordati. Rileviamo da Plinio che al tempo dei Romani si dava un prezzo
esorbitante a questi animali. «Essi sono giunti al punto di poter render conto
della loro genealogia e della loro razza». Verso l'anno 1600, nell'India, Akber
Khan era tale dilettante di colombi, che alla sua Corte se ne tenevano non meno
di ventimila. «I monarchi dell'Iran e del Touran gli inviarono alcuni uccelli
rarissimi». E il cronista reale aggiunge che «Sua Maestà, incrociando le
razze, metodo non ancora praticato prima, le migliorò mirabilmente». A
quell'epoca anche gli Olandesi si mostravano appassionati pei colombi, come gli
antichi Romani. L'importanza di codeste considerazioni, per render conto
dell'enorme somma di variazioni subìte dai colombi, apparirà
manifestamente quando tratteremo dell'elezione naturale. Allora vedremo anche
il perchè certe razze abbiano un carattere in qualche modo mostruoso.
È poi una circostanza delle più favorevoli per la produzione di razze
distinte che, nei colombi, un maschio possa facilmente appaiarsi colla medesima
femmina durante tutta la loro vita, e che le diverse razze possano essere
racchiuse insieme nella stessa colombaia.
Io
ho discusso con qualche diffusione l'origine probabile de' nostri piccioni
domestici, benchè in un modo ancora insufficiente; perchè fino
dai primi giorni in cui io li riunivo per osservarli, vedendo con quale
costanza le varie razze si riproducevano, provai molta ripugnanza a credere che
discendessero tutte da una medesima specie-madre, quanta potrebbe risentirne
qualunque naturalista che dovesse ammettere la stessa conclusione rispetto alle
molte specie dell'ordine dei passeri o di qualsiasi altro gruppo naturale di
uccelli selvaggi. Una cosa mi ha vivamente colpito, ed è che tutti gli
allevatori di animali domestici e quasi tutti gli orticultori coi quali ho
parlato o di cui lessi i trattati, sono fermamente convinti che le diverse
razze, da essi allevate particolarmente, discendano da altrettante specie originali
distinte. Domandate a un celebre allevatore di buoi d'Hereford, come ho fatto
io, se il suo bestiame possa provenire da una razza a corna lunghe; egli vi
deriderà. Non mi sono mai incontrato con un amatore di colombi, di
polli, di anitre o di conigli che non fosse persuaso della discendenza di ogni
razza principale da una specie distinta. Van Mons, nel suo trattato sui pomi e
sui peri, si oppone apertamente all'opinione che un Ribston-pippin o un
pomo Codlin possano procedere da semi del medesimo albero. Si potrebbero
citare altri innumerevoli esempi analoghi. La spiegazione di questi fatti mi
pare semplice. Tutti gli allevatori traggono dalle loro costanti osservazioni
un sentimento profondo delle differenze che caratterizzano le razze; e
benchè sappiano che ogni razza varia leggermente, non guadagnando essi
alcun premio nei concorsi se non per mezzo di queste piccole differenze scelte
con accuratezza, tuttavia essi evitano le generalità e non sanno
valutare col loro spirito la somma delle leggiere differenze accumulate durante
un lungo periodo di generazioni succedentisi. Come dunque i naturalisti (che ne
sanno assai meno degli allevatori sulle leggi dell'eredità e che non
conoscono meglio i legami intermedi che connettono fra loro delle lunghe serie
genealogiche) ammetterebbero che molte delle nostre razze domestiche discendano
da uno stesso tipo? come non debbono essi aspettarsi una lezione di prudenza,
quando deridono l'idea che le specie allo stato di natura sieno la
posterità diretta di altre specie?
PRINCIPIO DI ELEZIONE, APPLICATO DA LUNGO TEMPO,
E SUOI EFFETTI
Consideriamo
ora brevemente per quali mezzi le nostre razze domestiche furono prodotte, sia
che esse derivino da una sola specie, sia che esse derivino da parecchie specie
affini.
Si
può attribuire una piccola parte dell'effetto all'azione diretta delle
condizioni della vita, come pure alle abitudini; ma sarebbe stoltezza il
ritenere che da tali cause fossero prodotte le differenze del cavallo da tiro e
di quello da corsa, del levriere e del bracco, del colombo messaggere e del
colombo giratore. Una delle proprietà più segnalate delle nostre
razze domestiche è il loro adattamento, che non è propriamente
utile all'animale o alla pianta, ma bensì secondo il vantaggio e il
capriccio dell'uomo. Alcune variazioni che loro sono favorevoli possono
certamente essersi prodotte improvvisamente, in una sola volta; parecchi
botanici, ad esempio, pensano che il cardo dei follatori coi suoi uncini, che
non può essere superato da alcun congegno meccanico, sia soltanto una
varietà del Dipsacus selvaggio; e questa trasformazione
può essere avvenuta in una sola pianta giovane. Altrettanto può
ritenersi del cane che in Inghilterra è adoperato per muovere il
girarrosto, e sappiamo che questo è il caso della pecora d'Ancon
americana. Ma se si confrontino il cavallo da tiro col cavallo da corsa, il
dromedario col cammello, le varie razze di pecore adattate alle pianure
coltivate o ai pascoli di montagna, con lana propria a diversi usi; se
confrontiamo le molte specie di cani, ciascuna delle quali è utile
all'uomo in vario modo; se si paragoni il gallo combattente, così
ostinato nella zuffa, con altre specie tanto pacifiche e pigre, che fanno
continuamente uova senza mai covare, o col gallo Bantham tanto piccolo ed
elegante; se finalmente si confrontino le piante de' nostri campi e dei
giardini, gli alberi fruttiferi e le piante alimentari utili all'uomo nelle
varie stagioni e per usi diversi, o solo gradevoli all'occhio, è pur
mestieri ravvisarvi qualche cosa di più di un semplice effetto della
variabilità. Noi non potremmo supporre che tutte queste varietà
sieno state repentinamente prodotte, con tutta la loro perfezione e
l'utilità che ne ricaviamo; e realmente in molti casi sappiamo dalla
loro storia, che la cosa è ben diversa. La chiave di questo problema
è il potere elettivo d'accumulazione che l'uomo possiede. La natura
somministra gradatamente diverse variazioni; l'uomo le aumenta in una
determinata direzione per proprio vantaggio o per capriccio; in tal riflesso
può dirsi ch'egli si forma a proprio profitto delle razze domestiche.
Il
grande valore del principio d'elezione non è dunque ipotetico. È
certo che molti de' nostri celebri allevatori hanno, nel corso della sola vita
d'un uomo, modificato sopra estesi limiti alcune razze di buoi e di pecore. Per
stimare convenientemente ciò, che essi poterono fare, è quasi
indispensabile leggere alcuni dei numerosi trattati speciali scritti
sull'argomento e vedere i loro stessi prodotti. Gli allevatori parlano
abitualmente dell'organismo di un animale come di una cosa plastica, che
possono modellare quasi come più loro talenta. Se lo spazio non mi
mancasse, potrei citare molti testi tratti da autorità sommamente competenti.
Youatt, cui sono tanto familiari i lavori degli orticultori e che è pure
un giudice esimio in fatto di animali, ammette che il principio d'elezione
dà all'agricoltore non solo la facoltà di modificare il carattere
del suo gregge, ma di trasformarlo per intero. È la bacchetta magica,
colla quale egli chiama alla vita quella forma che gli piace. Lord Somervihe,
scrivendo intorno a ciò che gli allevatori fecero rispetto alle razze
delle pecore, dice: «sembrerebbe che essi avessero dipinto sulla parete una forma
perfetta e che poi l'avessero animata». In Sassonia l'importanza del principio
d'elezione riguardo alle pecore merinos è tanto riconosciuta, che certi
individui ne fanno un mestiere. Tre volte l'anno ogni montone è steso
sopra una tavola per studiarlo, come farebbe un intelligente per un quadro;
ogni volta è segnato e classificato; e soltanto i soggetti più
perfetti vengono scelti per la riproduzione.
Gli,
enormi prezzi assegnati agli animali che offrono una buona genealogia provan
pure quanto si sia ottenuto dagli allevatori inglesi in questo senso; i loro
prodotti sono oggi esportati in quasi tutti i paesi del mondo. Generalmente il
miglioramento della razze non è dovuto punto al loro incrociamento, e
tutti i migliori allevatori sono assai contrari a questo sistema, eccettuato
l'incrociamento fra alcune poche sotto-razze strettamente affini. Quando un
tale incrociamento fu operato, l'elezione la più severa è molto
più necessaria che nei casi ordinari. Se l'elezione consistesse soltanto
nel separare qualche varietà ben spiccata per farla riprodurre, il
principio sarebbe di tale evidenza che tornerebbe inutile discuterlo. Ma la sua
importanza consiste principalmente nel grande effetto prodotto
dall'accumulazione in una direzione determinata e per un gran numero di
generazioni successive, di differenze assolutamente inapprezzabili ad occhi
inesperti, differenze che io stesso ho tentato indarno di scoprire. A stento un
uomo su mille possiede la sicurezza del colpo d'occhio e del giudizio
necessario per divenire un abile allevatore. Ma colui che, dotato di queste
facoltà, studia lungamente l'arte sua e vi dedica tutta la sua vita con
una perseveranza indomabile, può riuscire a fare grandi miglioramenti.
Pochi hanno una giusta idea della capacità naturale e della lunga esperienza
che sono necessarie per formare un abile allevatore di colombi.
Gli
orticultori seguono i medesimi principî, ma le variazioni sono qui spesso
più improvvise. Chi supporrebbe mai che molti dei nostri prodotti
più delicati derivano immediatamente, per mezzo di una semplice
modificazione, dal tipo naturale? Ma noi sappiamo altresì che ciò
non avvenne in altri casi, dei quali abbiamo esatte notizie storiche come
può dirsi del costante aumento di grossezza dell'uva spina. Puossi
constatare ancora un progresso meraviglioso nelle piante da fiori, se si
raffrontino i fiori attuali coi disegni fatti soltanto venti o trent'anni fa.
Quando una razza vegetale è bene sviluppata e stabilita, i coltivatori
non raccolgono più dalle vaneggie i migliori individui: ma svelgono
quelli che più deviano dal loro tipo. Rispetto agli animali si pratica
pure questa specie di elezione; giacchè non esiste alcuno così
trascurato da permettere la produzione dei soggetti più difettosi.
Havvi
ancora un altro mezzo di osservare gli effetti accumulati dell'elezione quanto
alle piante: ed è nel confrontare nei giardini la diversità
grande dei fiori delle differenti varietà d'una medesima specie; la
diversità delle foglie, dei gusci, dei tuberi o più generalmente
di tutte le parti della pianta relativamente ai fiori delle stesse
varietà; e nei frutteti, la diversità di frutti della medesima
specie in confronto alla uniformità delle foglie e dei fiori di questi
alberi stessi. Come infatti sono diverse le foglie del cavolo, mentre i fiori
sono tanto simili! Al contrario quanto non diversificano i fiori della viola
del pensiero, mentre le foglie sono rassomiglianti! Quanto diversi sono i
frutti delle varie qualità di uva spina nella grossezza, nel colore,
nella forma, nella villosità! frattanto i fiori non ne presentano che
differenze insignificanti. Nè può dirsi che le varietà
molto diverse in qualche punto non differiscano in alcun modo per altri
rapporti; al contrario ciò non avviene mai, come io posso asserire
dietro minuziose osservazioni. Le leggi della correlazione di sviluppo, delle
quali non è mai da dimenticare l'importanza, produrranno sempre alcune
differenze; ma in generale io sono certo che l'elezione costante di piccole
variazioni nelle foglie, nei fiori o nel frutto produce delle razze che
differiscono fra loro specialmente in questi organi.
Potrebbesi
obbiettare che il principio d'elezione non divenne un metodo pratico che or
sono appena tre quarti di secolo. Per vero egli attirò maggiormente
l'attenzione in questi ultimi tempi ed assai più dopo la pubblicazione
di molti trattati sull'argomento; e il risultato ne fu anche proporzionatamente
rapido ed efficace. Ma d'altra parte è falso che il principio stesso
formi una nuova scoperta. Io potrei citare molte opere antichissime che provano
essersene da gran tempo riconosciuta l'importanza. Durante il periodo barbaro
della storia d'Inghilterra animali scelti furono spesso importati, e furono
emanate leggi per impedirne l'esportazione; si impose inoltre la distruzione
dei cavalli che non giungevano a una certa altezza, e tale misura può
ravvicinarsi a quella dell'estirpamento sopra mentovato di piante. Io ho
trovato il principio d'elezione in un'antica enciclopedia cinese. Alcuni autori
latini stabiliscono regole analoghe. Da alcuni passi della Genesi risulta
manifestamente che allora si poneva qualche attenzione al colore degli animali
domestici. I selvaggi incrociano anche al presente qualche volta le loro razze
di cani con canidi([1])
selvaggi per migliorarle, come Plinio attesta che essi facevano anche
anticamente. I selvaggi dell'Africa meridionale aggiogano i loro buoi da tiro
secondo il colore, come fanno gli Esquimesi per i loro cani da tiro.
Livingstone riferisce che i Negri dell'interno dell'Africa, che non hanno
relazioni sociali di sorta cogli Europei, danno un valore considerevole alle
buone razze d'animali domestici. Alcuni di questi fatti non si attengono in
modo esplicito al principio d'elezione; ma dimostrano che l'allevamento degli
animali fu oggetto di cure particolari dai più remoti tempi e che anche
al presente forma un soggetto di attenzione pei popoli più selvaggi.
Sarebbe strano che le leggi così manifeste dell'eredità dei
caratteri utili o nocevoli non si fossero osservate.
ELEZIONE
INCONSCIA
Attualmente
abili allevatori cercano produrre una nuova discendenza o sotto-razza,
superiore a tutte quelle che esistono nel paese, per mezzo di un'elezione
metodica e con un determinato scopo: ma per noi una specie d'elezione che
può chiamarsi inconscia e che risulta dalla gara formatasi per possedere
e moltiplicare i migliori individui d'ogni specie è di un'importanza
molto maggiore. Così un uomo che desidera un buon cane da ferma cerca di
acquistarne possibilmente i migliori, e di ottenere dai migliori fra questi una
prole, senza avere l'intenzione o la speranza di variare in questo modo
permanentemente la razza. Tuttavia noi possiamo ritenere che questo processo
continuato pel corso dei secoli finirebbe per modificare e migliorare la razza,
non altrimenti di Bakewell, Collins, e tanti altri che collo stesso metodo,
impiegato sistematicamente, per la sola durata della loro vita, hanno
modificato grandemente le forme e le qualità del loro bestiame. I cambiamenti
lenti ed insensibili non potrebbero constatarsi, quando non si prendessero fin
da principio esatte misure o disegni correttissimi delle razze modificate, onde
valersene per termini di confronto. In alcuni casi, però, individui
della medesima razza, senza alcuna modificazione, od anche poco modificati,
possono trovarsi in quei luoghi in cui il miglioramento della razza primitiva
non è ancor progredito o solamente di poco. Vi sono motivi da pensare
che il cane spagnolo Re-Carlo è stato inavvertitamente eppure molto
profondamente modificato dall'epoca di questo monarca. Alcune autorità
competentissime sostengono che il cane da ferma è derivato direttamente
dallo spagnolo per lente variazioni. Sappiamo che il cane da ferma inglese ha
variato assai nel secolo passato, e che gli incrociamenti avvenuti col
cane-volpe furono la cagione precipua di questi cangiamenti. Ma ciò che
più monta è che tutte queste variazioni sono avvenute
inavvertitamente e gradatamente: tuttavia sono tanto pronunciate, che,
quantunque l'antico cane da ferma venga certamente dalla Spagna, il signor
Borrow mi ha assicurato di non avere veduto in quel paese un solo cane
paragonabile al nostro cane da ferma.
In
seguito a tale processo d'elezione e col mezzo di una educazione accurata, la maggior
parte dei cavalli da corsa inglesi sono giunti a superare in leggerezza e
statura i cavalli arabi da cui discendono: al punto che questi ultimi, dietro i
regolamenti delle corse di Goodwood, sono caricati d'un peso minore dei
corridori inglesi. Lord Spencer e tanti altri hanno dimostrato che il bestiame
inglese è aumentato nel peso e nella precocità in confronto degli
antichi prodotti del paese. Se si faccia un paragone fra i documenti antichi da
noi posseduti sui colombi messaggeri e giratori e lo stato attuale di queste
razze nelle Isole Britanniche, nell'India e nella Persia, possono seguirsi
tutte le fasi percorse successivamente da tali razze per giungere a differire
siffattamente dal colombo torraiuolo.
Youatt
dà un esempio degli effetti ottenuti mediante elezioni continuate, che
possono essere chiamate inconscie, in quanto gli allevatori non potevano
aspettarsi o desiderare il risultato ottenuto: e cita due razze ben differenti.
Sono queste le due greggie di montoni di Leicester, che i signori Buckley e
Burgess da 50 anni a questa parte hanno allevato unicamente dallo stipite di
Bakewell. Niuno può supporre che il proprietario dell'uno o dell'altro
gregge abbia mai frammisto il puro sangue della razza Bakewell; nondimeno la
differenza fra i montoni del Buckley e quelli del Burgess è tanto
marcata, che hanno tutta l'apparenza di due razze distinte affatto.
Anche
supposto che sianvi popoli selvaggi tanto barbari da non pensare a modificare i
caratteri ereditari dei loro animali domestici, tuttavia essi conserverebbero
con maggior cura, nelle carestie e negli altri flagelli, ai quali i selvaggi
sono tanto esposti, qualunque animale che fosse loro utile in particolare. Tali
animali così prescelti avrebbero generalmente maggiore probabilità
degli altri di lasciare una posterità; per modo che ne seguirebbe
un'elezione inconscia ma continua. Perfino i selvaggi della Terra del Fuoco
attribuiscono tanto valore ai loro animali domestici, che in tempo di carestia
ammazzano e divorano le loro vecchie donne, piuttosto che i loro cani, trovando
questi più utili di quelle.
Lo stesso graduato processo di perfezionamento ha luogo nelle piante,
conservando occasionalmente i migliori individui, sia che essi diversifichino
abbastanza per essere alla prima apparenza riguardati come distinte
varietà, sia che essi derivino da due o più razze o specie, con o
senza incrociamento. Il progresso manifestasi con evidenza nell'aumento delle
dimensioni e nella bellezza che oggi si osserva nella viola del pensiero, nella
rosa, nel pelargonio, nella dalia e in atri fiori, quando si confrontino colle
più antiche varietà delle medesime specie. Niuno potrebbe mai
aspettarsi di ottenere subito una viola del pensiero o una dalia dal seme di
una pianta selvatica, o di produrre improvvisamente una pera succosa col seme
d'una pera selvatica; benchè si potesse riuscirvi col mezzo di una
semente cresciuta allo stato selvatico ma proveniente da un frutto coltivato.
La pera coltivata negli antichi tempi, al dire di Plinio, pare sia stata un
frutto di qualità molto inferiore. Certe opere d'orticoltura si
diffondono sulla meravigliosa abilità de' giardinieri che ottennero
sì magnifici risultati con materiali tanto scarsi; pure nessuno ebbe la
coscienza delle lente trasformazioni che egli contribuiva ad operare. Tutta la
loro arte consistette semplicemente nel seminare sempre le migliori
varietà note, e non appena sorgeva casualmente una varietà
alquanto superiore, la sceglievano per riprodurla. I giardinieri dell'epoca classica
che coltivarono le migliori pere che poterono procurarsi, non hanno mai pensato
agli stupendi frutti che noi un giorno avremmo mangiato; quantunque noi li
dobbiamo, in qualche parte, allo studio da essi impiegato per scegliere e
perpetuare le migliori varietà raccolte.
I grandi cambiamenti che si sono accumulati lentamente e inavvertitamente
nelle nostre piante coltivate, spiegano il fatto notissimo che nella massima
parte dei casi noi non conosciamo la pianta madre selvatica; e perciò
non possiamo asserire da quali piante derivino quelle che noi teniamo negli
orti e nei giardini. Se occorsero centinaia o migliaia d'anni per modificare e
migliorare i nostri vegetali domestici fino all'attuale loro grado di
utilità, è facile capire per qual ragione nè l'Australia,
nè il Capo di Buona Speranza, nè qualsiasi altro paese abitato da
genti non civilizzate, non ci diedero una sola pianta degna di coltivazione.
Ciò non vuol dire che quei paesi tanto ricchi di specie non possano
avere i tipi originali di molte utili piante, ma che queste piante indigene non
furono migliorate da una continua elezione fino ad un grado di perfezione
paragonabile a quello che osserviamo nelle piante dei luoghi da lungo tempo
coltivati.
Quanto agli animali domestici dei popoli selvaggi non bisogna perdere di
vista che essi debbono quasi sempre provvedere da sè al loro nutrimento,
almeno in determinate stagioni. Ora in due regioni differentissime individui
della medesima specie, aventi alcune piccole differenze di costituzione, ponno
spesso riuscire molto meglio gli uni nella prima, gli altri nella seconda; e
mediante un processo d'elezione naturale, che noi esporremo fra poco più
completamente, ponno formarsi due sotto-razze. Ciò spiega forse in parte
quanto venne osservato da alcuni autori; vale a dire che le varietà
domestiche presso i selvaggi hanno in maggior grado i caratteri di specie
particolari di quello che le varietà domestiche coltivate dai popoli
civilizzati.
Questo
importante intervento del potere elettivo dell'uomo rende facilmente conto
degli adattamenti sì straordinari della struttura o delle abitudini
delle razze domestiche a' nostri bisogni e a' nostri capricci. Noi vi troviamo
la spiegazione del loro carattere sì spesso anormale, come pure delle
loro grandi differenze esterne relativamente alle leggiere differenze de' loro
organi interni. L'uomo infatti non potrebbe senza un'estrema difficoltà
scegliere le variazioni interne della struttura; e stiamo per dire ch'egli in
generale poco se ne cura. La sua scelta non può cadere che sopra
variazioni che la natura stessa gli offre in grado dapprima assai lieve.
Così nessuno avrebbe mai cercato di formare un colombo pavone quando non
avesse osservato in uno o più individui uno sviluppo alquanto insolito
della coda, nè avrebbe pensato al colombo gozzuto quando non avesse
veduto un colombo già dotato di un gozzo di notevoli dimensioni. Ora
quanto più un carattere a tutta prima sembra inusitato o anormale, tanto
più esso attirerà l'attenzione dell'uomo. Ma nella pluralità
dei casi almeno, è inesatto il servirsi di questa frase: provarsi a fare
un colombo pavone! La persona che per la prima scelse un colombo ornato di una
coda un po' più larga delle altre, non immaginò mai che cosa
sarebbero divenuti i discendenti per effetto di questa elezione continuata in
parte inavvertitamente, in parte metodicamente. Forse l'uccello stipite di
tutti i nostri colombi pavoni aveva solamente 14 penne caudali un po' spiegate,
come al presente il colombo pavone di Giava, oppure come gl'individui di altre
razze nei quali trovansene perfino diciassette. Forse il primo colombo gozzuto
non gonfiava il suo gozzo più di quanto il turbito ora gonfia la parte
superiore dell'esofago, abitudine che resta inosservata agli amatori di colombi
perchè non offre scopo alcuno per l'elezione.
Tuttavia non si creda che una deviazione di struttura debba essere molto
palese per attirare l'attenzione di un amatore, il quale s'avvede anche di
differenze piccolissime ed è conforme alla natura dell'uomo l'apprezzare
altamente qualsiasi novità che sia in suo possesso, per quanto
insignificante. Inoltre, il valore attribuito a leggiere differenze accidentali
in un solo individuo della specie, non devesi paragonare a quello che si
attribuisce alle medesime differenze quando si sono già formate diverse
razze pure. È ben probabile che nei colombi si sieno formate e si
formino tuttora leggiere variazioni, che vengono respinte come deviazioni
difettose dal tipo perfetto d'ogni razza. L'oca comune non ci ha dato alcuna
varietà ben marcata; per cui la razza di Tolosa e la razza comune,
differenti solo pel colore, il meno costante fra tutti i caratteri, furono
spacciate come specie distinte nelle nostre esposizioni di volatili.
Da ciò emerge il motivo della nostra ignoranza sull'origine e sulla
storia delle nostre razze domestiche. In fatto ad una razza, come al dialetto
d'una lingua, non si può assegnare una origine ben definita. Alcuno
alleva e fa riprodurre un individuo che presenta qualche modificazione poco
sensibile, o prende maggior cura di un altro ad accoppiare i suoi soggetti
più belli: in tal modo egli migliora i suoi allievi, e questi,
così perfezionati, si spargono nei più vicini contorni. Ma essi
non hanno ancora un nome speciale, e non essendo ancora apprezzato il loro
valore, la loro storia è trascurata. Dopo aver subito un nuovo
perfezionamento col medesimo processo lento e graduato, essi si disseminano
sempre più, sono riguardati come cosa distinta e pregevole, ed allora
solamente essi ricevono un nome provinciale. In alcuni paesi semicivilizzati,
ove le comunicazioni sono difficili, una nuova sotto-razza sarebbe anche
più lentamente diffusa ed apprezzata. Appena che le qualità
pregevoli sono riconosciute, l'elezione inconscia tende ad aumentarne
lentamente e incessantemente i tratti caratteristici, qualunque siano; ma non
ugualmente in tutti i tempi, secondo che la razza nuova acquista o perde voga;
e forse anche in
certi distretti meglio che in altri, secondo il grado di civiltà dei
loro abitanti. Ma avremo sempre pochissima probabilità di conservare una
cronaca esatta delle sue modificazioni lente ed insensibili.
CIRCOSTANZE FAVOREVOLI AL POTERE ELETTIVO DELL'UOMO
Debbo
ora dire qualche cosa delle circostanze propizie o contrarie al potere elettivo dell'uomo. Un grado elevato di
variabilità è evidentemente favorevole, mentre somministra
materiali all'azione elettiva; quantunque le differenze puramente individuali
siano sufficienti a permettere, mediante un'accuratezza estrema, di accumulare
una grande congerie di modificazioni in qualsiasi direzione. Ma siccome le
variazioni utili o aggradevoli all'uomo non appariscono che a caso, le
probabilità della loro comparsa si accrescono in ragione del numero
degli individui, per cui la pluralità di essi diventa un elemento di
successo della massima importanza. Su questo principio Marshall ha verificato
che nella contea di York le pecore, appartenendo a gente povera ed essendo
generalmente riunite in piccoli gruppi, non sono suscettibili di miglioramento.
D'altra parte i giardinieri che ad uso di commercio allevano molti individui
della stessa pianta, riescono assai più spesso degli amatori a formare
nuove e preziose varietà. Per riunire un gran numero di individui d'una
specie in un paese, è necessario che essi sieno posti in condizioni di
vita abbastanza favorevoli a riprodurvisi liberamente. Quando gli individui
sono pochi, tutti riescono a riprodursi, qualunque siano le loro
qualità, il che impedisce la manifestazione dell'azione elettiva.
È probabile che la condizione più importante sia quella che
l'animale o la pianta sieno per l'uomo talmente utili ed apprezzabili, che egli
ponga la più seria attenzione anche alle leggiere variazioni dei
caratteri e della struttura di ogni individuo. Senza queste condizioni nulla
può farsi. Io ho inteso dire seriamente essere stato un caso felicissimo
che la fragola abbia cominciato a variare quando i giardinieri cominciarono ad
osservarla attentamente. Senza dubbio la fragola ha sempre
variato dacchè la si coltiva, ma queste leggere variazioni furono
trascurate. Appena i giardinieri si presero la premura di scegliere gli
individui i quali producevano frutta più grosse, più precoci e
più profumate degli altri, e quando allevarono le piante giovani, onde
presceglierne ancora le piante migliori e propagarle: allora, coll'aiuto di
incrociamenti con altre specie, apparvero quelle ammirabili varietà che
si sono ottenute negli ultimi cinquant'anni.
Riguardo agli
animali forniti di sessi separati, la facilità colla quale si possono
impedire gli incrociamenti è di grande aiuto per la formazione di nuove
razze, almeno in un paese già dotato di altre razze. L'isolamento
influisce assai in tale effetto. I selvaggi nomadi o gli abitanti delle pianure
aperte posseggono di rado più d'una razza della medesima specie. Due
colombi possono essere accoppiati per tutta la vita, ed è cosa assai
comoda per l'amatore; giacchè in tal modo molte razze possono essere
perfezionate e conservate pure, quantunque allevate assieme nella stessa
uccelliera. Ciò senza dubbio ha agevolato assai la formazione di nuove
razze. Io potrei anche aggiungere che i colombi moltiplicano molto e presto, e
che i soggetti difettosi possono essere sacrificati senza perdita perchè
servono di cibo. I gatti al contrario non possono essere facilmente appaiati a
nostra scelta per la loro abitudine di vagabondaggio notturno; e quantunque
siano molto apprezzati dalle donne e dai ragazzi, vediamo di rado sorgere una
nuova razza e quando ci scontriamo in tali razze, convien dire che esse sono
state importate da qualche altro paese. Non dubito menomamente che certi
animali domestici non variino meno d'altri, tuttavia la scarsezza o l'assenza
di razze distinte nel gatto, nell'asino, nella gallina faraona, nell'oca, ecc.,
deriva principalmente dal non essere intervenuta l'azione elettiva; nei gatti
per la difficoltà di accoppiarli a
piacimento; negli asini perchè trovansi sempre in piccol numero e in
potere dei poveri, che poco si curano del loro miglioramento, mentre
recentemente, in certe provincie della Spagna e degli Stati Uniti, questi
animali furono modificati e migliorati in un modo sorprendente per mezzo di una
giudiziosa elezione; nelle galline faraone per la difficoltà di
allevarle e per non trovarsi esse mai in grandi gruppi; nelle oche da ultimo
per non avere le medesime altro valore che quello della loro carne e delle loro
penne, per cui niuno trovò mai incitamento per allevarne nuove razze; ma
è d'uopo anche osservare che l'oca sembra dotata di una organizzazione
singolarmente inflessibile, sebbene abbia subìto leggere modificazioni,
come ho dimostrato altrove.
Alcuni autori hanno asserito che le nostre forme domestiche raggiungono
presto un alto grado di variazione che poscia non possono giammai oltrepassare.
Ma sarebbe prematuro l'asserto che tale limite sia stato toccato in un solo
caso, imperocchè tutte le nostre piante e gli animali sieno stati
soggetti a dei miglioramenti nei tempi moderni, ciò che non avrebbe
potuto avvenire senza variazioni. Sarebbe anche prematuro il dire, che quei
caratteri, i quali furono accresciuti fino al massimo limite e si conservarono
costanti per molti secoli, non possono variare in nuove condizioni di vita.
Certamente, come ha detto benissimo il Wallace, un limite sarà al fine
raggiunto; ad esempio vi deve essere un limite alla velocità di ogni
animale terrestre determinato dall'attrito che deve essere superato, dal peso
del corpo e dal potere contrattile della fibra muscolare: ma qui importa solo
stabilire che le varietà domestiche differiscono tra loro più che
non le specie distinte di uno stesso genere in quasi tutti quei caratteri, cui
l'uomo ha rivolto la sua attenzione e che ha preso in mira nella elezione
artificiale. Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire lo ha dimostrato per la grandezza;
altrettanto potrebbe provarsi pel colore e probabilmente anche per la lunghezza
del pelo. Quanto alla velocità, la quale dipende da parecchi caratteri
fisici, Eclipse correva assai più, ed un cavallo da carretta è
incomparabilmente più forte che non due specie naturali del genere
equino. Dicasi altrettanto delle piante: i semi delle diverse varietà di
fava e di frumentone differiscono probabilmente più nella grandezza che
i semi di due specie distinte in uno stesso genere delle due famiglie. Si
possono estendere queste conclusioni anche ai frutti delle diverse
varietà di susini, e più ancora ai melloni, e ad innumerevoli
altri analoghi casi.
Riassumendo
quanto abbiamo detto sull'origine delle nostre razze domestiche animali o
vegetali, io reputo che le condizioni della vita, per la loro azione sul
sistema riproduttore, sieno cause di variabilità della maggiore
importanza. Ma non è probabile che la variabilità sia una
qualità costante e necessariamente inerente a tutti gli esseri
organizzati, come alcuni autori hanno pensato. Gli effetti della
variabilità sono modificati in diverso grado dall'eredità e dalla
riversione dei caratteri. La variabilità è pure governata da
molte leggi ignote, e particolarmente dalla legge di correlazione di sviluppo.
Si può annettere qualche influenza all'azione diretta delle condizioni esterne della vita, come pure all'uso o al non uso degli
organi; il risultato finale diventa perciò molto complesso. In qualche
caso l'incrociamento delle specie distinte in origine ebbe probabilmente molta
parte nella formazione delle nostre razze domestiche. Quando in un paese
parecchie razze domestiche già stabilite furono occasionalmente
incrociate, questo incrociamento, favorito dall'elezione, avrà senza
dubbio contribuito alla formazione di nuove razze; ma l'importanza dell'incrociamento
delle varietà venne molto esagerata sia rispetto agli animali, sia
rispetto alle piante propagate per mezzo di semi. Fra le piante che sono
temporaneamente propagate per mezzo di innesto, di gemme, ecc., l'importanza
degli incrociamenti, vuoi fra specie distinte, vuoi fra varietà,
è immensa; perchè, in tal caso, il coltivatore trascura
completamente l'estrema variabilità degli ibridi e dei meticci e la
frequente sterilità degli ibridi; ma le piante propagate senza semi sono
di poca importanza per noi, perchè la loro durata è temporanea.
Di tutte le cause di variabilità la prevalente, secondo la mia
persuasione, è l'azione accumulata dell'elezione, sia che venga
applicata metodicamente, e con rapidità, sia che operi inavvertita e
lenta, ma tanto più efficace.
CAPO II
VARIAZIONE ALLO STATO DI NATURA
Variabilità - Differenze individuali -
Specie dubbie - Le specie molto estese, molto diffuse e comuni variano assai -
Le specie dei grandi generi in ogni paese variano più delle specie dei
generi piccoli - Molte specie dei generi grandi rassomigliano a varietà
per essere strettamente e diversamente affini fra loro o geograficamente assai
circoscritte.
VARIABILITÀ
Prima
di procedere all'applicazione dei principii da noi svolti nel capo precedente
agli esseri organizzati nello stato di natura, dobbiamo esaminare brevemente se
questi sono variabili o no. Per trattare convenientemente tale soggetto,
sarebbe necessario redigere un lungo catalogo di fatti; ma io debbo serbarli
per la mia opera futura. Io non posso inoltre discutere qui le diverse
definizioni che si diedero del termine specie. Nessuna di queste
definizioni soddisfece ancora pienamente tutti i naturalisti; frattanto ogni
naturalista conosce almeno in modo vago che cosa intende, quando parla di una
specie. In generale questa espressione sottintende l'elemento incognito d'un
atto distinto di creazione. Anche il termine varietà è
parimenti difficile a definirsi; ma qui l'idea d'una discendenza comune
è generalmente implicata, quantunque ben di rado possa provarsi. Da
ultimo sonovi le mostruosità; ma esse si fondono insensibilmente
colle varietà. Intendo per mostruosità una deviazione
ragguardevole di una singola parte che può essere o nociva o almeno
inutile alle specie. Alcuni autori impiegano la parola variazione, nel
significato tecnico, per indicare una modificazione dovuta direttamente alle
condizioni esterne della vita; e le variazioni in tal senso non si suppongono
ereditarie: ora chi può affermare che le proporzioni minime delle
conchiglie nelle acque salmastre del Baltico e la piccolezza delle piante sulle
vette alpestri, oppure il fitto pelo degli animali della zona polare non siano
in molte occasioni trasmissibili almeno per alcune generazioni? In questo caso
io presumo che la forma sarebbe considerata come una varietà.
È
dubbio se le variazioni di struttura profonde e repentine, come quelle che
assai spesso notansi nelle nostre razze domestiche e più particolarmente
fra le piante, possansi propagare con un carattere di costanza nello stato di
natura. Generalmente gli esseri organici sono tanto meravigliosamente adatti
alle loro condizioni di esistenza da sembrare improbabile che ogni parte di
essi sia stata improvvisamente formata nella sua intera perfezione, come una
macchina complicata non potrebbe essere stata inventata dall'uomo con tutti i
suoi perfezionamenti. Allo stato domestico appariscono spesso delle
mostruosità che somigliano a produzioni normali di animali assai
diversi; ad esempio, nacquero dei maiali forniti di una specie di proboscide.
Se nel genere Sus esistesse una specie naturale fornita di proboscide,
si potrebbe concludere ch'essa sia apparsa repentinamente come forma mostruosa;
ma per quanto io abbia cercato, non rinvenni un solo caso, in cui una
mostruosità somigliasse ad una forma normale in specie affini; e
ciò solamente sarebbe d'interesse nella presente questione. Se allo
stato dì natura apparissero siffatte forme mostruose, e se fossero
trasmissibili (ciò che non sempre si verifica), essendo rare ed isolate,
la loro conservazione dipenderebbe da condizioni straordinariamente favorevoli.
Si aggiunga che esse nella prima e nelle successive generazioni
s'incrocierebbero colle forme comuni, e si comprenderà che debbano perdere
quasi inevitabilmente il loro carattere anormale. Ma in un capitolo seguente io
riparlerò della conservazione e riproduzione di singole ed occasionali
variazioni.
DIFFERENZE INDIVIDUALI
Vi
sono leggiere differenze che potrebbero chiamarsi differenze individuali,
siccome si trovano nei discendenti dai medesimi genitori, oppure fra individui
riguardati per tali, perchè appartenenti alla medesima specie e viventi
in una stessa località limitata. Nessuno suppone che tutti gli individui
della medesima specie siano formati assolutamente sopra uno stampo eguale. Ora
queste differenze individuali sono per noi della massima importanza, e
perchè più frequentemente sono trasmissibili, come tutti sanno, e
perchè forniscono degli elementi all'accumulazione per elezione
naturale; nello stesso modo che l'uomo accumula in una data direzione le
differenze individuali che si rilevano nelle razze domestiche.
Queste
differenze individuali affettano generalmente quegli organi che i naturalisti
considerano come poco importanti; ma io potrei dimostrare con un lungo catalogo
di fatti che alcuni organi di una importanza incontestabile, sia che si
considerino dal punto di vista fisiologico, sia che si riguardino sotto
l'aspetto della classificazione, variano qualche volta fra gli individui della
medesima specie. I naturalisti più esperti sarebbero meravigliati del
numero delle variazioni che affettano le parti più importanti
dell'organismo, delle quali potei prendere cognizione dalle più
autorevoli sorgenti nel corso di un certo numero danni. Nè deesi
dimenticare che i classificatori sistematici sono ben lontani dal dichiararsi
soddisfatti quando trovano qualche deviazione in caratteri importanti.
D'altronde sonvene assai pochi che esaminino attentamente gli organi interni
(che sono di tanto valore), e che li confrontino in molti campioni d'una
medesima specie. Io non mi sarei mai aspettato che le biforcazioni del nervo
principale presso il ganglio maggiore centrale di un insetto, fossero variabili
in una stessa specie; ma avrei creduto piuttosto che cambiamenti di questa
natura dovessero effettuarsi lentamente e gradatamente. Eppure ultimamente il
Lubbock ha dimostrato che nel principale filamento nervoso del Coccus esiste
una variabilità paragonabile alle irregolari biforcazioni del tronco di
un albero. Lo stesso naturalista ha eziandio notato recentemente che nelle
larve di alcuni insetti i muscoli sono tutt'altro che uniformi. I dotti
s'aggirano in un circolo vizioso quando pretendono che gli organi importanti
non variino mai; imperocchè essi cominciano a porre empiricamente fra i
caratteri importanti tutti i caratteri invariabili, come alcuni in buona fede
confessano. Ora, partendo da questo principio, nessun esempio di variazione
importante si affaccerebbe mai. Pure da un altro punto di vista questi esempi
sono all'opposto molto frequenti.
Esiste un fenomeno, connesso alle differenze individuali,
difficilissimo a spiegarsi. Alludo a quei generi che si dissero proteici o
polimorfi, perchè le specie che li costituiscono presentano una
straordinaria variabilità. Appena trovansi due naturalisti concordi
sulle forme che debbono considerarsi come specie e come semplici
varietà. Tali sono i generi Rubus, Rosa e Hieracium fra
le piante, parecchi generi d'insetti e di molluschi brachiopodi fra gli
animali. Nella pluralità dei generi polimorfi alcune specie hanno
carattere fisso e definito. Alcuni generi che sono polimorfi in un paese, a
quanto pare lo sono altresì in tutti gli altri, salvo rare eccezioni, e
ciò si verificò anche in altre epoche geologiche, come può
desumersi dalle conchiglie dei brachiopodi fossili. Questi fatti sono di grave
imbarazzo per la scienza, comechè tendano a provare che tale
variabilità è indipendente dalle condizioni di vita, Quanto a me
propendo a ritenere che nei generi polimorfi noi vediamo delle variazioni di
struttura che per essere di niuna utilità, anzi di nocumento alle specie
che ne sono affette, non si resero stabili per mezzo dell'elezione naturale,
come esporremo.
Gli
individui di una medesima specie offrono spesso, come è noto
generalmente, delle grandi differenze di struttura, indipendenti da ogni
variazione; così differiscono tra loro in parecchi animali i due sessi,
oppure negli insetti le due o tre forme di femmine sterili od operaie, od anche
in molti animali inferiori gli stadii immaturi e larvari. Si hanno anche esempi
di dimorfismo e trimorfismo, tanto nelle piante come negli animali.
Così il Wallace, che ha recentemente rivolto l'attenzione a questo
soggetto, ha mostrato che le femmine di alcune specie di lepidotteri
dell'Arcipelago Malese appariscono regolarmente sotto due ed anche tre forme
affatto diverse, le quali non sono collegate insieme da varietà
intermedie. Non è molto, Fritz Müller ci ha fatto conoscere degli esempi
analoghi, ma ancora più sorprendenti, nei maschi di certi crostacei
brasiliani: così il maschio di una Tanais apparisce sotto due
forme molto diverse, possedendo l'una delle chele assai più forti e
diversamente conformate, l'altra delle antenne assai più abbondantemente
fornite di peli olfattivi. Sebbene ora nel maggior numero dei casi le due o tre
forme, tanto negli animali come nelle piante, non siano collegate insieme da
anelli intermedi, è nondimeno probabile che fossero connesse in passato.
Il Wallace, a mo' d'esempio, descrive un lepidottero, il quale in una medesima
isola presenta una lunga serie di varietà collegate insieme da anelli,
ed i membri estremi di questa serie somigliano assai alle due forme di una
specie affine dimorfa che abita un'altra parte dell'Arcipelago Malese. Dicasi
altrettanto delle formiche: le varie forme di operaie sono generalmente affatto
diverse; ma in alcuni casi, come più tardi vedremo, le diverse forme
sono congiunte insieme da varietà lentamente graduate, e la stessa, com'io
potei osservare, avviene in alcune piante dimorfe. Sembra certamente un fatto
molto singolare, che una medesima femmina di lepidottero possa
contemporaneamente produrre tre forme femminili ed una maschile; che una pianta
ermafrodita da una stessa capsula produca tre distinte forme
ermafrodite che contengono tre diverse forme di femmine e tre od anco sei
diverse forme di maschi. Nondimeno questi esempi non sono che esagerazioni del
fatto comune che la femmina produce dei discendenti di ambedue i sessi, i quali
talvolta differiscono tra loro in modo sorprendente.
SPECIE DUBBIE
Di grande importanza, sotto vari aspetti, sono per noi quelle
forme che hanno in grado considerevole il carattere di specie, ma presentano
profonde rassomiglianze con altre forme, o sono tanto affini ad esse, per gradi
intermedi, che i naturalisti esitano a farne altrettante specie distinte. Noi
abbiamo grandi ragioni per credere che molte di queste forme dubbie, o
strettamente affini, hanno conservato costantemente i loro caratteri nel paese
nativo abbastanza a lungo per essere credute buone e vere specie. Nella
pratica, allorchè un naturalista può congiungere due forme
qualsiansi per mezzo di altre forme dotate di caratteri intermedi, egli denota
come specie la più comune, o quella che fu descritta per la prima, e
classifica l'altra come varietà. Frattanto si offrono casi, che non
voglio enumerare in questo luogo, nei quali riesce sommamente difficile
decidere se una forma debba mettersi come varietà d'un'altra, anche se
le medesime siano strettamente legate da forme intermedie; e tale
difficoltà non viene appianata dal riconoscere che le forme intermedie
sono ibridi. Anzi avviene spesso che una forma si consideri come varietà
d'un'altra, non dalla cognizione dei legami intermedi, ma dall'ipotesi formata
per analogia dall'osservatore, che essi esistano in qualche luogo, o che
possano essere esistiti in altre epoche, e allora apresi un'ampia porta ai
dubbi e alle congetture.
Ne segue che ove abbiasi a determinare se una forma debba
prendere il nome di specie oppure di varietà, 1'opinione dei naturalisti
dotati di un raziocinio sicuro e di una grande esperienza è l'unica
guida. In molti casi poi devesi decidere a pluralità di voti fra gli
opposti pareri; perchè poche sono le varietà spiccate e ben conosciute che
non siano state collocate fra le specie almeno da alcuni giudici competenti.
Inoltre
ognuno deve convenire che queste varietà dubbie non sono rare. Se si
confrontino le diverse flore d'Inghilterra, di Francia e degli Stati Uniti,
descritte da vari botanici, si riconosce che un numero sorprendente di forme
furono classificate dagli uni come vere specie, e dagli altri come semplici
varietà. Il signor C. Watson, al quale io vado profondamente grato del
concorso prestatomi in mille modi, mi diede una nota di 182 piante inglesi che
in generale si riguardano come varietà, che furono innalzate da qualche
botanico al rango di specie. E si osservi ch'egli trascurò molte
varietà più semplici, che nondimeno sono considerate come specie
da certi botanici, ed omise affatto alcuni generi assai polimorfi. Nei generi
che comprendono le specie più polimorfe, Babington conta 251 specie e
Bentham 112 soltanto; questa è una differenza di 139 forme dubbie. Fra
gli animali che si uniscono per ogni accoppiamento e che vagano assai, le forme
dubbie oscillanti fra la specie e la varietà si trovano di rado nel
medesimo paese, ma sono frequenti in luoghi separati. Molti uccelli ed insetti
del Nord dell'America e dell'Europa, che differiscono assai poco fra loro,
furono classificati da qualche naturalista eminente come altrettante specie ben
definite e da altri come varietà, oppure come razze geografiche.
Il
Wallace ha dimostrato in parecchie memorie pregevolissime che ha pubblicato
recentemente sopra i diversi animali e principalmente sopra i Lepidotteri
dell'Arcipelago Malese, che si possono suddividere in quattro categorie, e
cioè in forme variabili, forme locali, razze geografiche o sottospecie,
e varie specie rappresentative. Le prime forme o variabili variano notevolmente
entro i limiti di una medesima isola. Le forme locali sono in ciascuna isola
abbastanza costanti e distinte; se però si confrontino tra di loro tutte
le forme delle diverse isole, le differenze si presentano talmente piccole e
graduali, che torna impossibile classificarle o descriverle, benchè le
forme estreme siano sufficientemente definite. Le razze geografiche o
sottospecie sono forme locali ben determinate ed isolate; ma siccome non
differiscono tra di loro per caratteri molto marcati ed importanti, così
non può essere stabilito da una prova, ma soltanto dall'opinione
individuale, quali si debbano considerare come specie e quali come
varietà. Le specie infine rappresentative occupano nella economia
naturale di cadauna isola lo stesso posto come le forme locali e le
sottospecie; ma siccome le distingue un maggior grado di diversità di
quello che corre tra le forme locali e le sottospecie, così i
naturalisti le considerano come buone specie. Nondimeno è impossibile
indicare un criterio esatto, col quale si possano riconoscere le forme
variabili, le forme locali, le sottospecie e le specie rappresentative.
Sono
molti anni che, istituendo un confronto degli uccelli delle isole Galapagos fra
loro o con quelli dell'America, rimasi vivamente impressionato dall'incertezza
e dall'arbitrio di tutte le distinzioni delle specie e delle varietà.
Sulle isolette del piccolo gruppo di Madera trovansi molti insetti descritti
come varietà nell'ammirabile opera di Wollaston e che tuttavia sarebbero
innalzati a livello della specie da molti entomologi. Anche l'Irlanda possiede
alcuni animali che si considerano come varietà, mentre alcuni zoologi li
riguardano come specie. Parecchi fra i nostri migliori ornitologi considerano
il nostro gallo selvatico inglese solo come una razza ben distinta della specie
di Norvegia, quando la maggior parte dei dotti ne formano una specie ben
caratterizzata e particolare alla Gran Bretagna. Una distanza notevole fra i
luoghi occupati da due forme dubbie predispone molti naturalisti a classificarle
come specie distinte. Ma quale distanza può ritenersi sufficiente? Se la
distanza fra l'Europa e l'America è grande abbastanza, lo sarà
anche quella che passa fra l'Europa e le Azzorre, o Madera, o le Canarie, o
parecchie isolette di questo piccolo arcipelago.
Il
dott. Walsh, distinto entomologo degli Stati Uniti, ha descritto recentemente
delle varietà fitofaghe e delle specie fitofaghe. La maggior parte degli
insetti fitofagi vive di una specie o di un gruppo di piante: alcuni vivono
indistintamente di molte specie, senza che in conseguenza ne sieno cambiate.
Ora Walsh ha osservato altri casi di questo genere, d'insetti, cioè, i
quali furono trovati sopra parecchie piante, e che allo stato di larva oppure
di immagine, o in ambedue questi stati, presentavano delle differenze, piccole
sì, ma costanti nel colore, nella grandezza o nella qualità delle
secrezioni. In alcuni casi si trovarono solamente i maschi, in altri i maschi e
le femmine diversi tra loro in grado leggero. Se le differenze sono piuttosto
pronunciate, ed estese ad ambedue i sessi e a tutte le età, allora gli
entomologi considerano queste forme come buone specie. Nessun osservatore
però può rispondere ad altri, come risponde a sè, della bontà di queste specie o varietà cui appartengono
quelle forme fitofaghe. Il Walsh considera come varietà quelle forme,
delle quali presuppone che, forzate, s'incrocierebbero; e come specie quelle
che sembrano aver perduto tale facoltà. Siccome le differenze dipendono
da ciò che gl'insetti si sono lungamente nutriti di diverse piante, non
possiamo aspettarci di trovare degli anelli fra queste differenti forme.
Perciò al naturalista viene meno il miglior criterio nel decidere, se
forme così dubbie siano da ritenersi varietà o specie. La stessa
cosa avviene necessariamente negli organismi molto affini che abitano
continenti od isole diverse. Tutte le volte però che un animale o una
pianta è ampiamente diffusa sopra un medesimo continente, od abita molte
isole dello stesso arcipelago, e se presenta forme diverse nei diversi
distretti; allora possiamo attenderci di rinvenire le forme intermediarie, le
quali congiungono insieme le forme estreme; ed allora queste si fanno
discendere al rango di varietà.
Alcuni naturalisti sostengono che gli animali non presentano
mai delle varietà; per conseguenza considerano le più piccole
differenze come aventi un valore specifico; e quando anche una identica forma
si trovi in due luoghi lontani, o in due diverse epoche geologiche, essi vanno
tant'oltre da supporre che due specie differenti siano nascoste sotto un
medesimo abito. L'espressione di specie diventa perciò una inutile
astrazione, per la quale s'intende ed ammette un atto creativo particolare.
È cosa certa che molte forme, considerate come varietà da giudici
competenti, hanno tali caratteri di specie, che vengono classificate come buone
e vere specie da altri giudici di uguale merito. E sarebbe fatica gettata il
discutere, se coteste forme siano specie o varietà, infino a tanto che
non vi sia una definizione di questi due termini. Molte di queste
varietà ben marcate o specie dubbie meritano una particolare
considerazione, imperocchè alla loro distribuzione geografica,
all'analoga variazione, all'ibridismo, ecc., si attinsero degli argomenti per
decidere del rango che loro appartiene. Ma lo spazio non mi permette di
trattare qui quest'argomento. Un attento esame insegnerà in molti casi
ai naturalisti quale rango sia da darsi a siffatte forme dubbie. Tuttavia
dobbiamo confessare che precisamente nei paesi meglio esplorati s'incontra il
maggior numero di tali forme. Io sono rimasto sorpreso nel vedere, come di
tutti quegli animali e quelle piante, che vivono allo stato naturale e sono
utilissime all'uomo, od attirano per altre ragioni la sua particolare
attenzione, si conoscono quasi dappertutto delle varietà, le quali,
oltre ciò, da alcuni autori sono credute specie distinte. Quanto non fu
esattamente studiata la quercia comune! Eppure un autore tedesco stabilisce una
dozzina di specie sopra quelle forme che i botanici hanno creduto fino ad oggi
quasi generalmente semplici varietà; ed in Inghilterra possono citarsi
le più alte autorità ed i migliori pratici sia in appoggio
dell'idea che la quercia sessiliflora e la peduncolata sono specie ben
distinte, sia per l'altra che sono semplici varietà.
Devo
qui alludere ad un recente lavoro di A. De Candolle sulle quercie del globo.
Giammai un autore ebbe tra le mani un più ricco materiale per la
distinzione delle specie, nè potè studiarlo con maggior cura e
sagacia. Egli espone dapprima in dettaglio i vari punti, ne' quali varia la
struttura delle diverse specie, e calcola numericamente la frequenza delle
variazioni. In particolare egli adduce oltre una dozzina di caratteri, i quali
presentano delle variazioni, talvolta sopra uno stesso ramo, a seconda
dell'età e dello sviluppo, spesso senza una causa conosciuta. Cotesti
caratteri non hanno naturalmente alcun valore specifico; sono però di
quelli, i quali, come dice Asa Gray nel suo rapporto sulla predetta memoria,
entrano generalmente nella definizione della specie. De Candolle dice inoltre
che considera come specie quelle forme, le quali diversificano fra loro per
caratteri che non variano mai sul medesimo albero e non sono collegate insieme
da forme intermediarie. Dopo tale esposizione, che è il risultato di
lunghi lavori, egli accentua le seguenti parole: «Sono in errore coloro, i
quali vanno ripetendo che le nostre specie siano in generale ben limitate, e
che le forme dubbie costituiscano una debole minoranza. Tale opinione poteva
sostenersi, quando un genere era imperfettamente conosciuto, e le sue specie si
fondavano sopra pochi esemplari, ossia erano provvisorie. Appena noi arriviamo
a conoscerle meglio, si mostrano le forme intermediarie e nascono i dubbi sui
confini delle specie». Egli soggiunge ancora che precisamente le specie meglio
conosciute presentano il maggior numero di varietà e di
sottovarietà spontanee. La Quercus robur, ad esempio, offre
ventotto varietà, le quali tutte, ad eccezione di sei, si aggruppano
intorno a tre sottospecie, che sono le Q. pedunculata, sessiliflora
e pubescens. Le forme che collegano insieme queste tre sottospecie
sono relativamente rare, e se esse si estinguessero, le tre sottospecie, come
osserva Asa Gray, starebbero tra loro nello stesso rapporto, come le quattro o
cinque specie provvisoriamente ammesse che si aggruppano strettamente intorno
alla tipica Quercus robur. Infine De Candolle confessa che delle 300
specie che saranno accolte nel suo Prodromo come appartenenti alla famiglia
delle quercie, ben due terzi sono provvisorie, ossia non tanto bene conosciute
da soddisfare alla sopra citata definizione delle vere specie. Io poi devo
soggiungere che il De Candolle non considera le specie come creazioni
immutabili, ma arriva alla conclusione che la teoria della trasformazione delle
specie è la più naturale, e quella «che meglio concorda coi fatti
della paleontologia, della geografia vegetale, della geografia animale, della
struttura anatomica e della classificazione».
Quando un giovine naturalista comincia a studiare un gruppo di organismi a
lui completamente ignoti, sulle prime egli trovasi molto imbarazzato per
distinguere le differenze ch'egli deve considerare come di valore specifico, da
quelle che solo indicano le varietà; perchè egli non sa quale sia
l'insieme delle variazioni di cui il gruppo è suscettibile;
locchè prova la generalità del principio di variazione. Ma se
egli concentri la sua attenzione sopra una sola classe in una regione
determinata, egli giunge tosto a sapere come debba riguardare le forme dubbie.
Egli sarà inclinato a formare molte specie, trovandosi sotto
l'impressione della differenza delle forme che egli ha costantemente sotto gli
occhi, come il dilettante di colombi o d'altri volatili di cui ho già
parlato; e perchè egli ha ancora poche cognizioni generali delle
variazioni analoghe in altri gruppi e in altri luoghi che potrebbero
rettificare quelle prime impressioni. Nello estendere maggiormente le sue
osservazioni egli troverà nuove difficoltà, abbattendosi in un numero
grande di forme affini; ma potrà finalmente dopo altre esperienze
determinare con certezza ciò ch'egli deve chiamare varietà o
specie; però vi giungerà solo ammettendo una grande
variabilità nelle forme specifiche, la quale sarà spesso
combattuta da altri naturalisti. Inoltre, quando si faccia a studiare le forme
affini derivate da regioni attualmente separate, nel qual caso egli non
può aspettarsi di rinvenire i legami intermedi fra le forme dubbie,
dovrà attenersi puramente all'analogia, e le difficoltà
diverranno molto maggiori.
È
indubitato che niuna linea di separazione fu ancora tracciata fra le specie e
le sotto-specie, cioè fra quelle forme che nel concetto di alcuni
naturalisti si avvicinano molto, ma non giungono al grado di specie; non meno
che fra le sotto-specie e le varietà, ben caratterizzate, od anche fra
le varietà meno decise e le differenze individuali. Queste differenze si fondono insieme in una serie insensibilmente
graduata; ora ogni serie desta nello spirito l'idea di un vero passaggio.
Per questo io penso che le differenze individuali, quantunque siano di poca
importanza per il sistematico, sono invece per noi del massimo rilievo,
comechè formino il primo distacco verso quelle leggiere varietà
che sono appena degne d'essere ricordate nelle opere di storia naturale. Io
considero le varietà più distinte e permanenti come il primo
gradino che conduce a varietà più permanenti e distinte, dalle
quali poi si passa alla sotto-specie e alle specie. La transizione da un grado
di differenza ad un altro più elevato può in qualche cosa
attribuirsi semplicemente all'azione continua e protratta delle condizioni
fisiche in due regioni diverse; ma non ho molta fiducia in questa opinione e
amo attribuire le modificazioni successive di una varietà che passa da
uno stato pochissimo diverso da quello della specie madre ad una forma che ne
diversifica maggiormente, alla elezione naturale che agisce in modo di
accumulare in una certa determinata direzione le differenze d'organizzazione,
come spiegherò altrove più diffusamente. Ritengo quindi che una
varietà bene staccata debba considerarsi come una specie nascente.
Potrà giudicarsi del valore di questa opinione dal complesso dei fatti e
delle considerazioni che si contengono nella presente opera.
Del resto non fa d'uopo supporre che tutte le varietà, o specie
nascenti raggiungano necessariamente il rango di specie. Possono estinguersi
nello stato nascente; possono anche durare come varietà per lunghi
periodi, come lo hanno provato Wollaston per certe conchiglie terrestri fossili
di Madera, e Gaston de Saporta per le piante. Se una varietà prosperi
fino al punto di eccedere in numero la specie-madre, questa prenderà
allora il rango di varietà e la varietà quello di specie. Una
varietà può anzi esterminare e soppiantare la specie-madre;
oppure entrambi ponno esistere come specie indipendenti. Ma noi ritorneremo
altrove sopra questo argomento.
Dalle osservazioni esposte apparisce che io non considero il termine specie
se non come una parola applicata arbitrariamente, per comodo, a un insieme
di individui molto somiglianti fra loro e che questo termine non differisce
sostanzialmente dall'altro varietà, dato a forme meno distinte e
più variabili. Non altrimenti che la parola. varietà, in
confronto alle differenze semplicemente individuali, viene
applicata arbitrariamente ed anzi per sola convenienza.
LE SPECIE MOLTO ESTESE E MOLTO COMUNI VARIANO ASSAI.
Diretto da considerazioni teoriche pensai che
potrebbero ottenersi importanti risultati, rispetto alla natura ed ai rapporti
delle specie che variano maggiormente, formando delle tavole di tutte le
varietà comprese nelle diverse flore bene studiate. Questo
còmpito sembra assai facile sulle prime; ma il signor H. C. Watson, cui
sono molto tenuto per gli importanti servigi e l'aiuto prestatomi in questa
materia, mi convinse tosto delle molte difficoltà che presenta, come il
dottore Hooker mi esternava poi in termini più precisi. Io
serberò dunque per il futuro mio lavoro la discussione di queste
difficoltà e le tavole dei numeri proporzionali delle specie variabili.
Del resto io sono autorizzato dal dott. Hooker ad aggiungere che, dopo
l'attenta lettura dei miei manoscritti e dopo l'esame di quelle tavole, egli
crede che i principii che andrò svolgendo siano abbastanza ben fondati.
Però l'argomento che io debbo necessariamente trattare con tanta
brevità è abbastanza complicato e perplesso, e richiede alcune
allusioni alla lotta per l'esistenza, alla divergenza dei caratteri ed
alle altre questioni che saranno discusse più innanzi.
Alfonso de Candolle ed altri hanno dimostrato che le piante
che hanno una grande estensione geografica presentano in generale delle
varietà. Nè sarebbe stato malagevole l'indovinarlo, considerando
le differenti condizioni fisiche à cui sono esposte e la lotta alla
quale prendono parte con altri gruppi di esseri organici, cosa della massima
importanza, come vedremo. Ma le mie tavole provano altresì che in ogni
paese limitato le specie più comuni, vale a dire di maggior numero di
individui, e le specie più disseminate nella loro regione nativa
(circostanza che non devesi confondere con una grande estensione e neppure fino
ad un certo punto coll'essere comuni) sono quelle che danno più spesso
origine a varietà abbastanza spiccate per essere enumerate nelle opere
di botanica. Dunque le specie più fiorenti o, come potrebbero chiamarsi,
le specie dominanti, cioè aventi una grande estensione geografica, sono
le più sparse nel paese da esse abitato e posseggono anche un numero
maggiore di individui; e producono più spesso delle altre quelle
varietà tanto distinte che io considero come altrettante specie
nascenti. Ciò poteva prevedersi, dacchè le varietà debbono
lottare necessariamente contro gli altri abitanti della medesima regione per
acquistare un certo grado di permanenza. Ora le specie dominanti hanno anche
una probabilità maggiore di lasciare una discendenza, la quale,
benchè leggermente modificata, gode pure dei vantaggi che assicurano
alla specie-madre la prevalenza sulle altre specie indigene. Queste
osservazioni sul predominio delle specie non si applicano, s'intende, che alle
forme organiche, le quali entrano in lotta fra loro, ed in ispecie ai membri
dello stesso genere o della stessa classe che hanno analoghe abitudini di vita.
Rispetto all'essere comuni, o al numero d'individui d'una specie, il confronto
deve istituirsi soltanto fra i membri di uno stesso gruppo. Una pianta
può riguardarsi come dominante, se si distingue per la quantità
maggiore di individui e sia più diffusa di tutte le altre della medesima
regione, le quali non esigono condizioni di vita troppo diverse. Tale pianta
non è meno dominante, nel senso da noi attribuito a questa espressione,
anche in confronto di qualche conferva acquatica o di qualche fungo parassita infinitamente
più sparso e numeroso; ma se una specie di conferva o di fungo parassita
supera tutte le affini, nelle predette condizioni essa diverrà la specie
dominante della propria classe.
LE SPECIE DEI GRANDI GENERI IN OGNI PAESE VARIANO
PIÙ DELLE SPECIE DEI GENERI PICCOLI
Se
si dividono in due serie le piante che popolano una regione e che sono
descritte nella sua flora, ponendo in una di esse tutti i generi più
ricchi e nell'altra tutti i generi più poveri, si troverà un
numero prevalente di specie dominanti comunissime e molto estese dal lato dei
generi più ricchi. Anche questo poteva prevedersi; imperocchè il
solo fatto che molte specie del medesimo genere abitano una stessa contrada,
dimostra che avvi qualche cosa nelle condizioni organiche od inorganiche di
questa contrada ad esse particolarmente favorevole; e quindi era da ritenersi
che nei generi più grandi, cioè in quelli che contengono
più specie, si sarebbe trovato un numero relativamente più forte
di specie dominanti. Tante cause però tendono a nascondere questo
risultato, che mi stupisco nel vedere tuttavia nelle mie tavole una maggioranza
debole dal lato dei generi più ricchi. Basterà che accenni a due
di queste cause contrarie. Le piante di acqua dolce e quelle d'acqua salata
hanno in generale una vasta estensione geografica e sono molto diffuse; ma
ciò sembra derivi dalla natura dei paesi da esse abitati e non ha che
ben poca o niuna relazione colla ricchezza dei generi a cui queste specie
appartengono. Inoltre le piante collocate agli infimi gradi della scala
dell'organizzazione sono generalmente assai più disseminate delle
più perfette, ed anche in tal caso non esiste alcun rapporto necessario
colla ricchezza dei generi. La causa della grande estensione delle piante di
organizzazione inferiore sarà trattata nel capo della Distribuzione
geografica.
Considerando
le specie come varietà ben distinte e definite, io potei prevedere che
le specie dei generi più ricchi in ogni paese debbono anche presentare
un maggior numero di varietà delle specie appartenenti ai generi
più scarsi; perchè là dove si produssero molte specie
strettamente affini, cioè del medesimo genere, debbono generalmente
trovarsi in via di formazione molte varietà o specie nascenti. Dove crescono
molti alberi grandi possiamo attenderci di scoprire molti polloni. Dove si
formarono molte specie di un genere per mezzo della variazione, vuol dire che
le circostanze hanno favorito la variabilità; e se ne può dedurre
con fondamento che in generale esse continueranno ancora ad essere loro
favorevoli. D'altra parte, se noi riguardiamo ogni specie come il prodotto di
un atto speciale di creazione, non havvi alcuna ragione apparente, per la quale
si abbia un maggior numero di varietà in un gruppo contenente molte
specie di quello che in altro gruppo che ne racchiuda poche.
Onde
comprovare la verità di questa induzione ho disposto le piante di dodici
paesi e gli insetti coleotteri di due distretti in due masse quasi uguali,
ponendo le specie dei generi più ricchi separatamente da quelle dei generi
poveri; ed ho sempre trovato una proporzione superiore di specie variabili nei
generi più abbondanti. Di più, fra le specie dei grandi generi
che presentano delle varietà, il numero medio di queste è
invariabilmente più forte di quello delle varietà spettanti alle
specie dei generi più piccoli. Questi risultati sussistono anche quando
si faccia un'altra divisione e si tolgano dalle tavole tutti i generi
più scarsi, i quali non contengono più di quattro specie. Questi
fatti hanno un'altra portata nell'ipotesi che le specie non siano che
varietà permanenti e bene staccate; perchè dovunque vennero
formate molte specie dello stesso genere, oppure, se l'espressione è
lecita, dove la fabbricazione delle specie era in corso, noi dobbiamo
generalmente aspettarci di rinvenirla ancora in azione, tanto più che
abbiamo ogni motivo di credere che il processo di fabbricazione delle nuove
specie sia assai lento. Ciò avviene senza dubbio se le varietà
sono da considerarsi come specie nascenti; mentre le mie tavole stabiliscono
chiaramente che, in massima generale, dovunque formaronsi molte specie d'un
genere, le medesime specie presentano un numero di varietà o di specie
nascenti superiore alla media. Questo non toglie però che qualche genere
abbondante non sia presentemente molto variabile e in grado d'accrescere il
numero delle sue specie, oppure che qualche genere piccolo si trovi in uno
stadio di variazioni e di aumento. Se fosse altrimenti, ciò sarebbe
assai fatale alla mia teoria; tanto più che la geologia c'insegna
chiaramente che alcuni generi piccoli sono cresciuti assai nel corso dei tempi
e che altri generi grandi sono giunti al massimo loro sviluppo, indi
declinarono e scomparvero. A noi interessa stabilire che nei luoghi in cui si
formarono molte specie d'un genere, generalmente ne sorgono anche oggi molte
altre: e questo è un fatto.
MOLTE SPECIE
DEI GENERI GRANDI RASSOMIGLIANO A VARIETÀ
PER ESSERE
DIRETTAMENTE E DIVERSAMENTE AFFINI FRA LORO
E
GEOGRAFICAMENTE CIRCOSCRITTE
Abbiamo altre
relazioni fra le specie dei grandi generi e le loro varietà. Abbiamo
veduto che non possediamo un criterio infallibile per distinguere le specie
dalle varietà ben caratterizzate; e che quando i passaggi intermedi fra
due forme dubbie non furono trovati, i naturalisti sono obbligati a
determinarne il rango dall'insieme delle differenze esistenti fra loro,
giudicando per analogia se siano sufficienti o no per contrassegnarne una od
entrambe col titolo di specie. L'insieme di queste differenze è quindi
uno dei criteri più importanti per decidere se due forme debbano
considerarsi come specie o come varietà. Fries ha osservato nelle piante
e Westwood negli insetti, che nei grandi generi la somma delle differenze fra
le specie è alle volte eccessivamente piccola. Ho cercato di stabilire
numericamente questa proporzione col mezzo delle medie, e per quanto potei
rilevare dai miei calcoli imperfetti, essi la confermano pienamente. Consultai
anche alcuni osservatori esperti e sagaci, e dopo discussione, i medesimi
aderirono a questi risultati, Sotto questo aspetto, dunque, le specie dei
generi più abbondanti somigliano alle varietà più di
quelle dei generi più poveri. Si può esprimere altrimenti questo
concetto col dire che nei generi più ricchi, nei quali un certo numero di varietà o di specie nascenti superiori alla media sia per
formarsi, molte specie già formate rassomigliano in qualche modo alle
varietà, distinguendosi fra loro per una somma di differenze minore
della consueta.
Inoltre le specie dei grandi generi stanno fra loro come le varietà
di ciascuna specie. Nessun naturalista crede che tutte le specie d'un genere
siano ugualmente distinte le une dalle altre; esse possono generalmente
suddividersi in sotto-generi, sezioni o gruppi ancora minori. Come Fries
notava, piccoli gruppi di specie sono generalmente raccolti come satelliti
intorno a certe altre specie. Le varietà non sono forse gruppi di forme
di disuguale affinità reciproca e che circondano certe altre forme che
sono le loro specie-madri? Senza dubbio, havvi una distinzione più
importante fra le varietà e le specie, ed è che la somma delle
differenze fra le varietà, paragonate fra loro e colle specie-madri,
è molto minore che fra le specie di un medesimo genere. Ma quando noi ci
faremo a discutere il principio che chiamiamo divergenza del carattere,
vedremo come ciò possa spiegarsi; e che le più piccole differenze
fra le varietà tendono ad aumentare per dar luogo alle differenze
più profonde fra le specie.
Ma havvi un altro fatto degno di attenzione. Le varietà
hanno generalmente un'estensione molto ristretta: ciò è tanto
evidente, che potremmo dispensarci dal constatarlo, perchè, quand'anche
una varietà avesse una estensione maggiore di quella della specie-madre,
le loro denominazioni sarebbero invertite. Tuttavia abbiamo anche qualche
motivo di ritenere che le specie che sono vicinissime a qualche altra, e che
per tale riflesso sembrano varietà, hanno spessissimo una estensione
limitata. Così. H. C. Watson mi ha indicato nel catalogo delle piante di
Londra (4a edizione), redatto con tanta accuratezza, sessantatre
piante che vi figurano come specie, le quali egli trova tanto simili ad altre
specie prossime, che il loro valore specifico rimane molto dubbio. Queste 63
specie, credute tali, si estendono in media sopra 6,9 provincie, nelle quali
Watson divideva la Gran Bretagna. D'altronde, nel medesimo catalogo, troviamo
53 varietà ben determinate, le quali sono sparse sopra 7,7 di queste
provincie; mentre le specie, a cui queste varietà appartengono, si
estendono in 14,3 provincie. Per modo che le varietà certe hanno una
estensione media approssimativamente uguale a quella delle forme affini
registrate da Watson fra le specie dubbie, che sono però quasi
generalmente considerate dai botanici inglesi come buone e vere specie.
SOMMARIO
Finalmente le varietà non ponno distinguersi dalle
specie, eccettuato primieramente il caso della scoperta di forme intermedie che
le rannodino insieme; in secondo luogo tranne una certa somma di differenze,
perchè due forme assai poco diverse sono generalmente classificate come
varietà, anche quando non si trovarono legami intermedi; ma la somma
delle differenze considerata come necessaria per dare a due forme il carattere
di specie è completamente indefinita. Nei generi che posseggono un
numero di specie superiore alla media, in qualunque paese, le specie contengono
pure un numero di varietà più alto della media. Nei grandi generi
le specie sono suscettibili d'essere strettamente ma disugualmente affini fra
loro, formando piccoli gruppi intorno a certe altre specie. Le specie
strettamente affini ad altre sembrano di estensione più ristretta. Sotto
questi rapporti vari, le specie dei grandi generi presentano molta analogia
colle varietà. E noi possiamo comprendere facilmente queste analogie, se
ogni specie ha esistito dapprima come varietà e si è formata come
questa; al contrario queste analogie rimangono inesplicabili quando ogni specie
sia stata creata indipendentemente.
Abbiamo anche osservato che le specie più variabili
sono in ogni classe le più fiorenti o le dominanti dei generi più
ricchi; e le loro varietà, come vedremo, tendono a divenire specie nuove
e distinte. I generi più grandi hanno pure una tendenza di accrescersi
maggiormente. In tutta la natura le forme viventi, ora dominanti, manifestano una
tendenza di dominare maggiormente, lasciando molti discendenti modificati e
dominanti. Ma, come spiegheremo altrove, mediante fasi graduate i generi
più grandi tendono anche a spezzarsi in generi minori. Per tal modo le
forme viventi nel mondo intero dividonsi gradatamente in gruppi subordinati ad
altri gruppi.
CAPO III
LOTTA PER
L'ESISTENZA
È
sostenuta dall'elezione naturale - Questo termine deve impiegarsi in un senso
largo - Progressione geometrica d'accrescimento - Rapido accrescimento degli
animali e delle piante naturalizzate - Natura degli ostacoli all'accrescimento
- Concorrenza universale - Effetti del clima - Protezione derivante dal numero
degl'individui - Rapporti complessi degli animali e dei vegetali nella natura -
Lotta per l'esistenza più severa fra gli individui e le varietà
di una medesima specie; spesso anche fra le specie del medesimo genere - I
rapporti più importanti sono quelli che passano da uno ad altro
organismo.
Prima
di intraprendere la trattazione dell'argomento di questo capo, debbo fare
alcune osservazioni preliminari sul modo con cui la lotta per l'esistenza si fonda
sul principio della elezione naturale. Nel capo precedente abbiamo veduto che
fra gli esseri organici allo stato di natura riscontransi variazioni
individuali; e per vero io credo che ciò non sia mai stato messo in
dubbio. Poca importa che una moltitudine di forme dubbie siano collocate fra le
specie, sottospecie, o varietà; nè fa d'uopo, per esempio,
conoscere quale rango debbano avere le duecento o trecento forme dubbie di
piante inglesi, quando si ammetta l'esistenza di varietà ben distinte.
Ma la sola esistenza delle variazioni individuali e di alcune varietà
spiccate, quantunque necessaria in sostanza a questo lavoro, poco ci aiuta per
spiegare in qual guisa le specie giungano a formarsi naturalmente. Come possono
essersi effettuati questi mirabili adattamenti di una parte dell'organismo ad
un'altra, alle condizioni esterne della vita, e di un essere organico ad un
altro essere? Questi adattamenti stupendi li vediamo più chiaramente nel
picchio e nel vischio; essi esistono, benchè meno evidenti, nel più
umile parassita che si attacca al pelo del mammifero e alle penne di un
uccello, nella struttura del coleottero che si tuffa nell'acqua, nel seme alato
che viene trasportato dalla brezza più leggiera: in una parola, noi
vediamo delle armonie meravigliose nell'intero mondo organico e nelle sue
parti.
Si
può anche cercare per quale processo le varietà, da me chiamate
specie nascenti, si trasformino alla fine in specie ben definite, le quali
nella pluralità dei casi differiscono fra loro assai più delle varietà
d'una stessa specie. Come si formano quei gruppi di specie che costituiscono i
così detti generi distinti, e che sono fra loro più diversi che
non lo sono le specie di questi generi? Tutti questi effetti risultano
necessariamente dalla lotta per l'esistenza, come noi dimostreremo più
completamente al capo seguente. In seguito a questa continua lotta per
l'esistenza, ogni variazione, per piccola che sia e da qualsiasi cagione
provenga, purchè sia in qualche parte vantaggiosa all'individuo di una
specie, contribuirà nelle sue relazioni infinitamente complesse cogli
altri esseri organizzati e colle fisiche condizioni della vita alla
conservazione di quest'individuo, e in generale si trasmetterà alla sua
discendenza. Inoltre questa avrà maggiori probabilità di
sopravvivere; perchè, fra i molti individui d'ogni specie che nascono
periodicamente, pochi soltanto rimangono in vita. Io chiamo elezione naturale
il principio, pel quale così conservasi ogni leggera variazione, quando
sia utile, per stabilire la sua analogia colla facoltà elettiva
dell'uomo. Ma l'espressione usata da Herbert Spencer «sopravvivenza del meglio
adatto» è più precisa e alcune volte ugualmente conveniente. Noi
abbiamo notato che l'uomo, per mezzo dell'elezione, certamente
può produrre grandi risultati e può adattare gli esseri
organizzati ai propri bisogni, accumulando le variazioni leggere, ma
vantaggiose, che la natura gli fornisce. Ora l'elezione naturale, come
più tardi vedremo, è incessantemente in azione ed è
incomparabilmente superiore ai deboli sforzi dell'uomo, come le opere della
Natura lo sono rispetto a quelle dell'Arte.
Facciamoci
ora ad esaminare con maggiori dettagli il principio della lotta per
l'esistenza. Codesta questione verrà trattata nel mio prossimo lavoro,
con tutto lo sviluppo che esige. Piramo De Candolle e Lyell dimostrarono
filosoficamente e completamente che tutti gli esseri organizzati sono
sottomessi alle leggi di una severa concorrenza. Niuno trattò questo
argomento con tanto spirito ed abilità come il dott. W. Herbert, decano
di Manchester, per quanto riguarda le piante, e ciò devesi evidentemente
alle sue profonde cognizioni di orticoltura. Non vi ha cosa più facile
dello ammettere in teoria la verità della universale lotta per l'esistenza,
ma è estremamente difficile, come io almeno trovai, di conservare sempre
presente allo spirito questa legge. Eppure, se non ce la imprimeremo bene nella
mente, intravvederemo solo confusamente, o anche non comprenderemo affatto,
l'intera economia della natura con tutti i suoi fenomeni di distribuzione, di
rarità, d'abbondanza, d'estinzione e di variazione. Noi vediamo
l'aspetto della natura brillare di prosperità, e vi ravvisiamo una
sovrabbondanza di nutrimento; noi dimentichiamo che la maggior parte di tanti
uccelli che cantano intorno a noi, vivono solo d'insetti o di sementi, e per
conseguenza distruggono continuamente altri esseri viventi; oppure noi non
riflettiamo che questi cantatori, o le loro uova, o la loro covata, sono
distrutti da uccelli od altri animali rapaci; e noi non pensiamo sempre che se
in certi istanti essi hanno un nutrimento eccedente, ciò non avviene in
tutte le stagioni dell'anno.
IL TERMINE «LOTTA PER L'ESISTENZA»
DEVE IMPIEGARSI
IN UN SENSO LARGO
Qui io debbo premettere che adopero il termine lotta per
l'esistenza in un senso largo e metaforico, comprendente le relazioni di
mutua dipendenza degli esseri organizzati, e (ciò che più monta)
non solo la vita dell'individuo, ma le probabilità di lasciare una
posterità. Può con sicurezza asserirsi che in un'epoca di
carestia due cani lotteranno fra loro per carpirsi il nutrimento necessario
alla vita. Una pianta al confine d'un deserto deve lottare contro la
siccità, anzi più acconciamente potrebbe dirsi che essa dipende
dall'umidità. Di una pianta che produce annualmente un migliaio di semi,
de' quali in media uno solo giunge a maturità, può dirsi
più veramente che deve lottare contro le piante di specie simili o
diverse, che già ricuoprono il terreno. Il vischio dipende dal pomo e da
alcuni altri alberi; in senso assai lato, egli lotta contro di essi;
perchè se un numero troppo grande di questi parassiti si sviluppa sul
medesimo albero, questo deperisce e muore. Parecchie sementi di vischio, che
crescono vicine sul medesimo ramo, al certo lottano fra loro. Il vischio poi
dipende inoltre dagli uccelli, perchè viene sparso dai medesimi; e
può dirsi per metafora che egli lotta con altre piante, offrendo come
queste i suoi semi all'appetito degli uccelli, affinchè essi li spargano
a preferenza di quelli d'altre specie. In tutti questi vari significati che si
trasfondono insieme, io adotto, per maggior comodo, il termine generale di lotta
per l'esistenza.
PROGRESSIONE GEOMETRICA DI
ACCRESCIMENTO
Questa
lotta deriva inevitabilmente dalla rapida progressione, colla quale tutti gli
esseri organizzati tendono a moltiplicarsi. Ognuno di questi esseri che,
durante il corso naturale della sua vita, produce parecchi semi ed uova, deve
trovarsi esposto a cause di distruzione in certi periodi della sua esistenza,
in certe stagioni o in certi anni; altrimenti, per la legge delle progressioni
geometriche, la specie arriverebbe a un numero d'individui sì enorme,
che nessuna regione potrebbe bastare a contenerla. Quindi nascendo un numero
d'individui superiore a quello che può vivere, deve certamente esistere
una seria lotta per l'esistenza, sia fra gli individui della medesima specie,
sia fra quelli di specie diverse, oppure contro le condizioni fisiche della
vita. Questa è la dottrina di Malthus, applicata con maggior forza a
tutto il regno organico; perchè in questo caso non è possibile un
aumento artificiale di nutrimento, nè alcun prudente ritegno dal
matrimonio. Quantunque alcune specie siano attualmente in aumento, più o
meno rapido, altrettanto non avviene per tutte, giacchè il mondo allora
non potrebbe dar loro ricetto.
Non havvi alcuna eccezione alla regola generale che ogni essere
organizzato si propaga naturalmente, con una progressione tanto rapida, che la
terra sarebbe in breve coperta dalla discendenza di una sola coppia, se non
intervenissero cause di distruzione. Anche la specie umana, che si riproduce
con tanta lentezza, può raddoppiare di numero nell'intervallo di
venticinque anni; e secondo questa progressione, basterebbero poche migliaia
d'anni perchè non rimanesse più posto per la sua progenie. Linneo
ha calcolato che se una pianta annua producesse soltanto due semi (nè si
conosce pianta così poco feconda), e questi dessero altri due semi
nell'anno seguente per ciascuno e così via via, in soli vent'anni la
specie possederebbe un milione d'individui. Sappiamo che l'elefante è il
più lento a riprodursi fra tutti gli animali conosciuti; ed ho cercato
di valutare al minimum la probabile progressione del suo accrescimento.
Si rimane al disotto della verità coll'ammettere ch'egli si propaga
dall'età di trent'anni e continua fino all'età di novant'anni,
dando in questo intervallo tre coppie di figli. Ora, in questa ipotesi, dopo
cinquecento anni vi sarebbero quindici milioni di elefanti, derivati tutti da
una prima coppia.
Ma noi abbiamo prove migliori di questa legge, oltre i calcoli
puramente teorici: e lo sono specialmente i casi frequenti di moltiplicazione
prodigiosamente rapida degli animali allo stato selvaggio, quando le
circostanze sono loro favorevoli solo per due o tre stagioni successive.
L'esempio di parecchie delle nostre razze domestiche che di nuovo divennero
selvagge, in varie parti del mondo, è ancora più notevole. Se i
fatti constatati nell'America del Sud, ed ultimamente in Australia,
dell'aumento e della lenta moltiplicazione de' buoi e dei cavalli, non fossero
perfettamente autentici, sarebbero incredibili. Avviene altrettanto delle
piante: si ponno citare delle piante introdotte in certe isole, nelle quali
divennero comuni in meno di dieci anni. Diverse piante, come il cardo de'
lanaiuoli, e il cardone, che sono ora estremamente comuni nelle vaste pianure
della Plata, ov'esse ricoprono molte leghe quadrate di superficie, escludendo
quasi tutte le altre piante, furono colà recate dall'Europa; e il dott.
Falconer mi disse che nell'India certe piante, che oggi si estendono dal capo
Comorin fino all'Himalaia, furono importate dall'America dopo la scoperta di
questa. In questi casi diversi e negli esempi infiniti che potrebbero citarsi,
niuno ha mai supposto che la fecondità di queste piante o di questi
animali si fosse aumentata improvvisamente e temporariamente in un modo
sensibile. La sola spiegazione soddisfacente di questo fatto sta nell'ammettere
che le condizioni della vita furono molto favorevoli, che conseguentemente si
ebbe una minore distruzione di individui vecchi e giovani, e che quasi tutti i
discendenti poterono prolificare. In questi casi, la ragione geometrica della
moltiplicazione, il risultato della quale è sorprendente, spiega
l'aumento straordinario e la diffusione immensa di queste specie naturalizzate
nella nuova loro patria.
Allo
stato naturale quasi tutte le piante producono annualmente semi, e fra gli
animali hannovene pochi che non s'accoppiino ogni anno. Si può inferirne
con piena sicurezza che tutte le piante e tutte le specie d'animali tendono a
moltiplicare in ragione geometrica, che ciascuna specie basterebbe a popolare
rapidamente il paese, nel quale essa può vivere, e che la loro tendenza
ad aumentare secondo una progressione geometrica deve necessariamente essere
frenata da cagioni distruttrici, in qualche periodo della loro esistenza. Noi
potremmo essere indotti in errore dall'asserta cognizione de' nostri maggiori
animali domestici, siccome non li vediamo esposti a grandi pericoli; ma
dimentichiamo che se ne uccidono ogni anno delle migliaia per nutrimento
dell'uomo, e che anche allo stato di natura sarebbe d'uopo che altrettanti
perissero in qualche modo.
La sola differenza fra gli organismi che producono annualmente
uova o semi a migliaia e quelli che ne producono assai pochi consiste nel
richiedersi, pei riproduttori più lenti, alcuni anni di più onde
popolare un'intiera contrada per quanto estesa, sotto circostanze favorevoli.
Il condor depone due uova, e lo struzzo una ventina; nondimeno in uno stesso
paese il condor può essere la specie più numerosa delle due. Il
fulmar procellaria (Procellaria glacialis) non fa che un uovo solo,
eppure fra gli uccelli è creduta la specie più ricca del mondo.
Una mosca depone centinaia d'uova, e un'altra, l'ippibosca, ne depone uno solo;
ma questa differenza non decide affatto del numero d'individui delle due specie
che un medesimo distretto può nutrire. Una grande quantità di
uova è di qualche importanza per quelle specie, le quali nutronsi di
alimenti che variano rapidamente nella quantità, perchè la
moltiplicazione deve aver luogo in breve tempo. Ma il vantaggio reale che esse
ricavano da un gran numero d'uova o di semi sta nel poter combattere contro le
grandi cause di distruzione, ad una certa epoca dell'esistenza; epoca in molti
casi più o meno affrettata. Se un animale è capace di proteggere
le sue uova o i suoi piccoli, egli può procrearne soltanto un numero
ristretto e però il contingente medio della specie rimarrà al
completo; ma se molte uova o molti figli sono esposti ad essere distrutti,
è necessario che se ne produca una grande quantità, altrimenti la
specie si estinguerebbe. Se una specie d'alberi vive in media mille anni, per
mantenere al completo il numero degli individui di essa, basterebbe che un solo
seme fosse formato ogni migliaio di anni, posto che questo seme non venisse mai
distrutto e germogliasse tranquillamente in luogo adatto. Così che in
ogni caso il numero medio d'ogni specie animale o vegetale dipende solo
indirettamente dal numero delle uova o dei semi.
Quando
osservasi la natura, è necessario sopra tutto d'aver sempre presente
allo spirito che ogni singolo organismo che ci circonda, deve riguardarsi come
tutto intento ad accrescersi in numero; che ogni essere non vive che in seguito
a una lotta sostenuta in qualche periodo della sua vita; e che giovani e vecchi
vanno incontro inevitabilmente a una grande distruzione durante ogni
generazione, oppure solamente ad intervalli periodici. Se l'ostacolo al
moltiplicarsi diminuisca o si mitighino le cause di distruzione, anche in
menomo grado, il numero degli individui si accrescerà quasi
istantaneamente.
NATURA DEGLI
OSTACOLI ALL'ACCRESCIMENTO
Le cause che si oppongono alla tendenza naturale delle specie di
moltiplicarsi sono molto oscure. Quanto più una specie è
vigorosa, più facilmente si moltiplica, e cresce anche la sua tendenza a
moltiplicarsi. Noi non conosciamo esattamente niuno degli ostacoli che
inceppano la tendenza a moltiplicarsi, nè dobbiamo farne le meraviglie
se riflettiamo alla nostra grande ignoranza in ciò, anche per quanto
riguarda l'uomo, che noi conosciamo per altro meglio di qualunque altra specie.
Parecchi autori hanno trattato abilmente questo soggetto; e nel mio prossimo
lavoro io discuterò a lungo alcuni di questi impedimenti, segnatamente
riguardo agli animali carnivori dell'America del Sud. Io qui voglio fare
soltanto poche osservazioni per richiamare alla mente del lettore certi punti
principali. Generalmente sembra che siano le uova o i piccoli degli animali che
debbano soffrire maggiormente; questa regola però non è senza
eccezione. Fra le piante havvi una enorme distruzione di semi; ma dietro alcune
osservazioni da me fatte, ritengo che le piante giovani debbano soffrire assai
più, quando crescono in un terreno riccamente fornito di altre piante.
Le pianticelle hanno anche a temere molti nemici; così sopra una
superficie di tre piedi in lunghezza per due di larghezza, ben vangata e
purgata, osservai tutti i germi delle nostre erbe locali di mano in mano che
pullulavano, e di 357 che io contai, non meno di 295 furono distrutti, principalmente
dalle lumache e dagli insetti. Se si lasci crescere un prato che fu segato,
oppure che servì di pascolo ai mammiferi, le piante più vigorose
distruggono a poco a poco le più deboli, anche se siano pienamente
sviluppate. Sopra venti specie che crescono in un piccolo spazio erboso (di tre
piedi per quattro), nove muoiono così fra le altre che si svilupparono
liberamente.
La quantità del nutrimento conveniente ad ogni specie
contrassegna quindi naturalmente l'estremo limite del suo aumento; pure di
sovente non è la privazione di nutrimento, ma la circostanza di servire
di preda ad altri animali, che determina il numero medio degli individui di una
specie. Così non puossi dubitare che la quantità delle pernici,
dei galli selvatici e delle lepri che vivono sopra una vasta estensione non
dipenda essenzialmente dalla distruzione dei piccoli carnivori. Se per venti
anni non si uccidesse un solo capo di selvaggina in Inghilterra e che inoltre
nessuno di questi carnivori fosse distrutto, probabilmente il selvatico sarebbe
più raro che oggi non sia; eppure questi animali vengono ammazzati
annualmente a centinaia e migliaia. D'altra parte in certi casi, come nel caso
dell'elefante, nessun individuo della specie diventa vittima di fiere;
perchè perfino il tigre l'India non ardisce che rarissimamente di
attaccare un elefante giovane, protetto da sua madre.
Il
clima esercita una influenza importante nella determinazione del numero medio
degli individui d'ogni specie, e il ritorno periodico di stagioni molto fredde
o molto secche pare l'ostacolo più forte alla loro moltiplicazione. Ho
calcolato (principalmente dal numero ristrettissimo dei nidi di primavera) che
l'inverno 1854-55 distrusse i 4/5 degli uccelli sulle mie terre; vedesi che
questa è una somma di distruzione spaventosa, quando si pensi che nelle
epidemie umane una mortalità del dieci per cento è straordinaria.
L'azione del clima pare a prima vista affatto indipendente dalla lotta per
l'esistenza; ma il clima, potendo produrre principalmente una diminuzione di nutrimento,
può cagionare una lotta intensa fra gli individui della medesima specie
o di specie diversa, che vivono degli stessi alimenti. E quando il clima agisce
direttamente, come ad esempio durante un freddo eccessivo, quelli che
maggiormente ne soffrono sono gli individui meno vigorosi, ossia quelli che non
seppero procurarsi una sufficiente quantità di nutrimento. Quando si
viaggia dal Sud al Nord, oppure allorchè da una regione umida si passa
ad un paese secco, si osserva invariabilmente che alcune specie divengono
sempre più rare e finiscono collo scomparire interamente; e il
cambiamento di clima essendo ciò che più ci colpisce dapprima,
noi ci sentiamo propensi ad attribuire pienamente questa scomparsa alla sua
azione diretta. Ma questa induzione è falsa; noi dimentichiamo infatti
che ogni specie, anche nei luoghi in cui è più sparsa, subisce
sempre una forte distruzione in certe fasi della vita e per opera dei loro
nemici e dei loro competitori che lottano per occupare il medesimo luogo, o per
valersi degli stessi alimenti. Se questi nemici o questi competitori sono
appena favoriti da un leggero cambiamento di clima, aumentano di numero, e per
essere ogni paese popolato da un sufficiente numero di abitanti, le altre
specie debbono diminuire. Se viaggiando verso il mezzogiorno noi vediamo che
una specie decresca, possiamo andare sicuri che la causa sta nell'essere le
altre specie favorite, piuttosto che nel trovarsi questa sola danneggiata.
Così dicasi se noi ci dirigiamo verso il Nord, ma in grado un po'
minore, perchè il numero totale delle specie, e per conseguenza dei
competitori, diminuisce verso il Nord. Quindi procedendo verso settentrione, o
ascendendo una montagna, noi ci abbattiamo più spesso in quelle forme
stentate che sono dovute direttamente all'azione malefica del clima, al
contrario di quanto avviene nel volgere a mezzogiorno, o nel discendere da una
montagna. Quando si giunge alle regioni artiche, quelle delle nevi eterne o dei
veri deserti, la lotta per l'esistenza non si verifica che contro gli elementi.
Una prova evidente che il clima agisce soprattutto in modo
indiretto, col favorire certe specie, ci viene fornita dal vedere nei nostri
giardini una prodigiosa quantità di piante che sostengono perfettamente
il nostro clima; mentre non potrebbero mai prosperarvi allo stato naturale,
perchè inette a sostenere la lotta colle nostre piante indigene o a
difendersi efficacemente dai nostri animali.
Quando, in seguito a circostanze assai favorevoli, una specie si
moltiplica straordinariamente in un luogo assai ristretto, spesso si
manifestano delle epidemie; almeno ciò venne generalmente constatato nei
nostri animali selvatici. Questo è dunque un impedimento non dipendente
dalla lotta per l'esistenza. Ma alcune di queste epidemie sembrano originate da
vermi parassiti, i quali furono sproporzionatamente favoriti da una causa
qualsiasi o dalla maggiore facilità di moltiplicarsi fra animali
più affollati; e anche in questo caso havvi una certa lotta fra i
parassiti e la loro preda.
D'altra parte succede frequentemente che una grande
quantità di individui di una specie, relativamente al numero de' suoi
nemici, è necessaria per la sua conservazione. Così noi possiamo
ottenere una quantità grande di cereali, di ravizzi, ecc., nei nostri
campi, perchè la semente trovasi in eccesso riguardo al numero degli
uccelli che se ne cibano; e tuttavia questi uccelli, anche avendo in una
stagione sovrabbondanza di nutrimento, non ponno crescere in numero
proporzionatamente a questo nutrimento, perchè questo numero viene
limitato nella stagione invernale. Ma tutti sanno quanto difficile sia
l'ottenere del seme da pochi grani di frumento o d'altre piante simili in un
giardino: in tal caso io perdetti ogni volta i grani seminati isolatamente.
Questa necessità d'una grande massa di individui per la conservazione
della specie spiega, a mio avviso, alcuni fatti singolari nella natura; p. es.,
alcune piante rarissime sono molto abbondanti nei pochi punti in cui si
trovano: inoltre le piante sociali rimangono tali, cioè abbondanti pel
numero degli individui, anche agli estremi confini della loro regione. Si
può pensare in questi casi che una pianta sarebbe esistita solamente in
quel luogo, in cui le condizioni della vita le riescissero vantaggiose, in modo
che molte esistessero insieme, per salvarsi così dall'intera
distruzione. Debbo aggiungere che i benefici effetti degli incrociamenti
frequenti e gli effetti dannosi delle fecondazioni fra individui molto affini,
hanno pure la loro influenza in questa circostanza; ma non voglio estendermi
qui sopra questa scabrosa questione.
RAPPORTI
COMPLESSI DEGLI ANIMALI E DEI VEGETALI
NELLA LOTTA
PER L'ESISTENZA
Molti
fatti dimostrano quanto siano complesse ed impreviste le mutue relazioni e gli
ostacoli fra gli esseri organizzati, che debbono lottare insieme in un medesimo
paese. Voglio addurne un esempio che, quantunque semplice, mi ha offerto molto
interesse. Nella contea di Stafford, in una possidenza in cui io godevo di
molti mezzi d'investigazione, eravi una landa vasta e assai sterile che mai era
stata dissodata dall'uomo; ma parecchie centinaia di acri di quel terreno erano
stati cinti con una siepe venticinque anni prima, e vi erano stati piantati dei
pini di Scozia. Il cambiamento della vegetazione indigena della porzione della
landa piantata era assai notevole e più rilevante di quello che si
osserva generalmente passando da un terreno ad un altro affatto diverso; e non
solo il numero proporzionale delle ceppaie era completamente cambiato, ma
dodici specie di piante, senza tener conto delle graminacee e delle caricee,
prosperavano nella piantagione e non si trovavano nella landa. L'effetto
prodotto sugli insetti deve essere stato anche maggiore, perchè sei
specie di uccelli insettivori erano comuni nella piantagione e non abitavano la
landa, che al contrario era frequentata da due o tre altre specie d'uccelli
insettivori. Vediamo quindi quali effetti rilevanti abbia prodotto
l'introduzione di un solo albero; null'altro essendosi fatto che cingere di
siepi la terra piantata, affinchè il bestiame non potesse entrarvi. Ma
io potei verificare con evidenza, presso Farnham nel Surrey, quanto importi il
recinto in tal caso. Colà stendonsi vaste lande sparse di alcuni ceppi
di vecchi pini di Scozia, che ornano la vetta delle colline. Negli ultimi dieci
anni essendosi cinti di siepi vasti spazi, i pini vi sparsero da sè i
propri semi; ed ora vi crescono in gran numero e tanto fitti, che non tutti
possono vivere. Quando io mi fui accertato che quei giovani alberi non vi erano
stati seminati, nè piantati, rimasi tanto più sorpreso del loro
numero, in quanto che vidi centinaia d'acri di landa libera, ove non potei
contare un solo pino, ad eccezione dei ceppi piantati anticamente. Frattanto
osservando più da vicino fra i fusti della landa libera, trovai una
moltitudine di pianticelle e di piccoli alberi ch'erano continuamente sfruttati
dai bestiami. In uno spazio della grandezza di un metro quadrato, alla distanza
di poche centinaia di passi dalle antiche macchie, io numerai trentadue di
questi alberetti, ed uno di essi, nel quale contavansi ventisei anelli di
sviluppo, aveva cercato per altrettanti anni di alzare la sua cima sopra le
piante della landa, indi era perito. Non è dunque a stupire che la
terra, appena cinta di siepi, venisse ricoperta di pineti folti e vigorosi.
Tuttavia questa landa era tanto sterile ed estesa, che niuno avrebbe mai
immaginato che il bestiame potesse cercarvi con tanta frequenza e con tanto
successo il nutrimento.
Qui
noi abbiamo veduto il bestiame decidere assolutamente dell'esistenza del pino
di Scozia; ma in diverse contrade certi insetti determinano l'esistenza del
bestiame. Il Paraguay offre forse uno degli esempi più curiosi di questo
fatto. In quel paese nè il bue, nè il cavallo, nè il cane
sono ridivenuti selvaggi, quantunque lo siano verso il Nord e verso il Sud. Ora
Azara e Rengger hanno provato che ciò dipende da una certa mosca, comune
in quella regione, la quale depone le sue uova nell'ombelico di questi animali
appena nati. L'accrescimento di quelle mosche, per quanto numerose, dev'essere
generalmente limitato con qualche mezzo e probabilmente da altri insetti
parassiti. Ne segue che ove certi uccelli insettivori diminuissero nel
Paraguay, gli insetti parassiti nemici delle mosche aumenterebbero; per cui facendosi
minore il numero di queste ultime, esse non impedirebbero ai buoi e ai cavalli
di vivere allo stato selvaggio. Ora dietro le osservazioni che potei fare
nell'America meridionale, l'esistenza del bestiame allo stato di natura
modificherebbe profondamente la vegetazione. Questa modificazione colpirebbe in
alto grado gl'insetti, i quali reagirebbero sugli uccelli insettivori, come
abbiamo visto verificarsi nella contea di Stafford; e così procedendo
l'effetto si accrescerebbe sempre più in cerchi vieppiù
complicati. Noi avevamo cominciato questa serie cogli uccelli insettivori, e
l'abbiamo compiuta ritornando ai medesimi. Ma non è a credere che nella
natura tutti i rapporti scambievoli siano tanto semplici. Continue battaglie
hanno luogo con successi diversi, e tuttavia l'equilibrio delle forze è
mantenuto con tanta perfezione, nel corso dei tempi, che l'aspetto della natura
rimane inalterato, per lunghi periodi, benchè sovente basti la menoma
circostanza per dare la vittoria a un essere organizzato sopra un altro.
Però la nostra ignoranza e la nostra presunzione sono tali che noi ci
facciamo le meraviglie per la estinzione di una specie; e non ravvisandone la
causa, invochiamo i cataclismi a desolare il mondo, o inventiamo delle leggi
sulla durata delle forme viventi!
Sono
tentato di dare ancora un esempio, per provare che le piante e gli animali
più lontani nella scala naturale sono collegati da una rete di rapporti
complessi. Più innanzi io avrò occasione di notare che la Lobelia
fulgens esotica non è mai visitata dagli insetti in questa parte
dell'Inghilterra; e che in seguito alla sua particolare conformazione non
può mai produrre alcun seme. La visita delle farfalle è
assolutamente necessaria a molte delle nostre orchidee per spandere il loro
polline e fecondarle. Abbiamo esperienze che ci convincono che i pecchioni sono
quasi indispensabili alla fecondazione della viola del pensiero (Viola
tricolor), perchè le altre api non vi si arrestano. Ho anche
scoperto che parecchie specie di trifoglio richieggono la visita delle api per
divenire feconde: per esempio, 20 capi di trifoglio olandese (Trifolium
repens) diedero 2290 semi, mentre 20 altri individui di questa specie,
inaccessibili alle api, non ne diedero uno solo. Così 100 piante di
trifoglio rosso (Trifolium pratense) produssero 2700 semi, ma
altrettante pianticelle difese dalle api non diedero semente di sorta. I soli
pecchioni visitano il trifoglio rosso; le altre api non ne possono suggere il
nèttare. Si è sostenuta l'idea che le falene potessero cooperare
alla fecondazione dei trifogli; ma io dubito che ciò sia possibile pel
trifoglio rosso, giacchè il loro peso non basta a deprimere i petali
della corolla. D'onde può inferirsi che se l'intero genere dei pecchioni
divenisse molto raro o si estinguesse in Inghilterra, probabilmente la viola
del pensiero ed il trifoglio rosso diminuirebbero assai o scomparirebbero
interamente.
Il
numero dei pecchioni in qualsiasi regione dipende in gran parte dal numero dei
topi campagnoli che distruggono i loro favi e i loro nidi; e M. H. Newmann, che
osservò lungamente le abitudini dei pecchioni, crede che «più di
due terzi di questi sono così distrutti in Inghilterra». Ora il numero
dei topi dipende principalmente, come tutti sanno, dal numero dei gatti; e il
sig. Newmann dice che presso i villaggi e le borgate egli ha trovato i nidi dei
pecchioni in maggior copia che altrove, il che egli attribuisce al gran numero
dei gatti che distruggono i topi campagnoli. È dunque credibilissimo che
la presenza di un numero di animali felini in un distretto, determini, mediante
l'intervento dei sorci e delle api, la quantità di certi fiori nel
distretto stesso.
La
moltiplicazione di ogni specie è dunque sempre inceppata da diverse
cause, che agiscono in vari periodi della vita e nelle differenti stagioni
dell'anno; alcune sono più efficaci, ma tutte concorrono a determinare
il numero medio degli individui od anche l'esistenza della specie. In alcuni
casi si può dimostrare che in diverse regioni agiscono cause diverse
sopra le medesime specie. Quando si considerano le piante e gli arbusti che
coprono un terreno incolto, siamo indotti ad attribuire il loro numero
proporzionale e le loro specie a ciò che chiamiamo il caso. Ma quanto
falsa è questa opinione! Quando si atterra una foresta americana
sappiamo che sorge una vegetazione diversissima; pure si è notato che le
antiche rovine indiane del mezzogiorno degli Stati Uniti, che un tempo erano
state spogliate dei loro alberi, spiegano al presente la medesima meravigliosa
diversità e proporzione di razze, quale è quella delle vergini
boscaglie vicine. Quale tenzone deve essersi continuata per lunghi secoli fra
le differenti specie di alberi, quando ciascuna spande annualmente i propri
semi a migliaia! Quale guerra degli insetti contro altri insetti; degli
insetti, lumache ed altri animali contro gli uccelli e gli animali rapaci!
Tutti sforzandosi di moltiplicare e tutti nutrendosi gli uni degli altri o cibandosi
a spese degli alberi, dei loro semi, dei loro pollini o d'altre piante che
prima coprivano la terra e impedivano conseguentemente lo sviluppo degli
alberi! Che si getti in aria un pugno di penne e ognuna ricadrà al suolo
secondo leggi definite; ma quanto è semplice il problema della loro
caduta in confronto di quello delle azioni e reazioni delle piante ed animali
innumerevoli che nel corso dei secoli determinarono i numeri proporzionali e le
specie degli alberi che ora crescono sulle rovine indiane!
La
dipendenza di un essere organico da un altro, come quella del parassita
rispetto alla sua preda, si manifesta generalmente fra esseri molto lontani fra
loro nella scala naturale. Tale è spesso il caso di quelli che si
possono riguardare con ragione in lotta fra loro per l'esistenza, come nel caso
delle locuste e dei mammiferi erbivori. Ma quasi sempre la lotta è anche
molto più viva fra gl'individui della medesima specie, dovendo essi
frequentare i medesimi distretti, esigere il medesimo nutrimento e trovarsi
esposti ad uguali pericoli. Nelle varietà di una stessa specie la lotta
deve essere in generale quasi ugualmente seria e noi spesso vediamo la vittoria
decisa presto; se ad esempio parecchie varietà di grano sono seminate
insieme e se la semente mescolata viene seminata di nuovo, quelle
varietà che meglio convengono al suolo e al clima e che naturalmente
sono le più feconde hanno il sopravvento, danno semi in maggior
quantità e soppiantano in breve tutte le altre. Per mantenere un
miscuglio di varietà estremamente affini, come i piselli odorosi di
colori diversi, è necessario raccoglierli ogni anno separatamente e
mescolarne la semente in proporzione conveniente; altrimenti le varietà
più deboli diminuiscono rapidamente e costantemente, fino a scomparire
del tutto. Così avviene delle varietà di pecore; si è
osservato che certe varietà di montagna cagionano l'estinzione di altre
varietà, così che non possono tenersi frammiste nei medesimi
pascoli. Il medesimo effetto si è veduto nelle diverse varietà di
sanguisughe medicinali, che stanno negli stessi serbatoi. Potrebbe dubitarsi
che tutte le varietà delle nostre piante coltivate e dei nostri animali
domestici abbiano con tanta esattezza lo stesso vigore, le stesse abitudini e
una identica costituzione, e che le proporzioni primitive di un miscuglio
possano mantenersi per una mezza dozzina di generazioni, se nulla contrasta la
lotta che avrà luogo fra di esse, come fra le razze selvagge, e se i
semi od i figli non sono assortiti annualmente.
LA LOTTA PER
L'ESISTENZA È PIÙ SEVERA FRA GLI INDIVIDUI
E LA
VARIETÀ DI UNA MEDESIMA SPECIE
Siccome
le specie del medesimo genere hanno abitualmente, ma non invariabilmente,
alcune rassomiglianze nelle loro abitudini e nella loro costituzione e sempre
nella loro struttura, così la lotta è in generale più
accanita fra queste specie prossime, quando entrano in concorrenza, di quello
che fra le specie di generi diversi. Noi vediamo un esempio di questa legge
nella recente estensione, in alcune provincie degli Stati Uniti, d'una specie
di rondini, che ha cagionato la decadenza di un'altra specie. Il recente
aumento del tordo maggiore in certe parti della Scozia produsse la crescente
rarità del tordo bottaccio. Avviene assai spesso che una specie di ratti
prenda il posto di un'altra in climi diversissimi. In Russia, la piccola blatta
d'Asia ha cacciato davanti a sè dappertutto la sua grande congenere.
Nell'Australia la nostra ape domestica, colà introdotta, va distruggendo
la piccola ape indigena che è priva di aculeo. Una specie di senape ne
soppianta un altra, e così in altri casi. Noi possiamo intendere a un
dipresso perchè la lotta sia più viva fra le forme affini, che
riempiono quasi lo stesso posto nell'economia della natura; pure è
probabile che noi non sapremmo dire in un caso solo precisamente il
perchè una specie abbia riportato la vittoria contro un'altra nella
grande battaglia della vita.
Un
corollario della più alta importanza può dedursi dalle
considerazioni che precedono: ed è che la struttura di ogni essere organizzato
trovasi in una necessaria dipendenza, spesso assai difficile a scoprirsi, da
quella di altri esseri organizzati che gli fanno concorrenza pel nutrimento o
per l'abitazione, che sono la sua preda, oppure dai quali egli deve difendersi.
Questa legge è evidente nella conformazione dei denti e delle unghie
della tigre e in quella dei piedi e degli uncini dell'insetto parassita che si
attacca ai peli del suo corpo. Ma il seme elegantemente piumato del
dente-leone, come i piedi appianati e frangiati dei coleotteri acquatici,
sembrano soltanto in relazione diretta coi mezzi ambienti, cioè
coll'aria e coll'acqua. Però i pappi piumosi sono senza dubbio un
vantaggio, quando il terreno è già ben dotato d'altre piante;
perchè il seme può allora più facilmente spandersi da
lungi, con maggiori probabilità di cadere sopra un suolo non occupato.
Nei coleotteri acquatici, la struttura del piede si adatta per tuffarsi
nell'acqua, permette loro di sostenere la lotta contro altri insetti, di
predare facilmente la loro vittima e di sfuggire al pericolo di divenire preda
di altri animali.
La
quantità di sostanze nutrienti, contenute nei semi di molte piante,
sembra sulle prime senza alcun rapporto diretto colle altre piante; ma lo
sviluppo vigoroso che manifestano i piccoli germogli sbucciati da tali semi
(come i piselli e le fave), quando crescono nel mezzo dell'erba alta,
può far supporre che il nutrimento contenuto nel seme abbia per iscopo
principale di accelerare lo sviluppo della pianta giovane, mentre essa lotta
con altre specie che vegetano vigorosamente intorno a lei.
Per qual
motivo ogni pianta non moltiplica nel mezzo della sua regione naturale, fino a
raddoppiare o quadruplicare il numero dei suoi individui? Noi sappiamo ch'essa
può sopportare perfettamente un po' più di calore o di freddo, di
umidità o di siccità, mentre altrove, essa cresce in luoghi
più caldi o più freddi, più umidi o più secchi. Ma
allora è evidente che se la nostra immaginazione suppone in una pianta
la facoltà di aumentare nel numero, dovrà ammettere
altresì qualche vantaggio sui suoi concorrenti o sugli animali che di
essa si nutrono. Su confini della posizione geografica un cambiamento di
costituzione in relazione al clima le tornerebbe utile certamente; ma noi siamo
indotti a credere che soltanto un piccolissimo numero di piante o d'animali
s'estendano tanto da essere distrutti pel solo rigore del clima. Soltanto agli
estremi confini della vita, nelle regioni artiche o sui limiti d'un deserto,
cessa la lotta. E quando la terra sia molto fredda, o molto secca, vi
sarà tuttavia una contesa fra alcune specie rare, e da ultimo fra gli
individui della medesima specie nei luoghi più umidi e più caldi.
Dal che si
deduce, che se una pianta o un animale si trovi in una nuova regione, in mezzo
a nuovi competitori, anche se il clima sia perfettamente identico a quello
dell'antica patria, le condizioni d'esistenza della specie sono generalmente
modificate in un modo essenziale. Se noi vogliamo accrescere, nella sua nuova
patria, il numero medio de' suoi individui, dovremo cercare di modificarli
secondo una direzione diversa da quella che avremmo adottata per ottenere un
risultato simile nel loro paese nativo; mentre sarebbe d'uopo procurare ai
medesimi qualche vantaggio sopra una serie di competitori o di nemici affatto
differenti.
Ma
quanto è agevole dare così astrattamente a una forma qualsiasi
certi vantaggi sulle altre, altrettanto sarebbe difficile probabilmente nella
pratica il dire ciò che sarebbe a farsi nelle singole occasioni, e come
si potrebbe riuscire. Ciò finirebbe per convincerci della nostra
ignoranza rispetto ai mutui rapporti degli esseri organizzati; convinzione
necessaria sebbene difficile a conseguirsi. Non ci rimane che quella
considerazione, che deve costantemente aversi presente allo spirito,
cioè che tutti gli esseri viventi tendono sempre a moltiplicare in
ragione geometrica, che ognuno deve lottare contro moltissime cause
distruttrici in periodi determinati della vita, in certe stagioni dell'anno,
pel corso di ogni generazione o ad intervalli periodici. Quando noi pensiamo
con tristezza a questa lotta, possiamo consolarci con la piena convinzione che
la guerra della natura non è continua, che lo scoraggiamento ne è
bandito, che la morte è in generale assai pronta, e che sono gli esseri
più vigorosi, più sani e più abili che sopravvivono e si
moltiplicano.
CAPO IV
ELEZIONE NATURALE,
O SOPRAVVIVENZA DEL PIÙ ADATTO
Elezione
naturale; confronto del suo potere col potere elettivo dell'uomo - Sua azione
sopra caratteri di poca importanza - Sua forza in ogni età e sui due
sessi - Elezione sessuale - Della generalità degli incrociamenti fra
individui della medesima specie - Circostanze favorevoli e contrarie
all'elezione naturale, come gli incrociamenti, l'isolamento o il numero degli
individui - Azione lenta - Estinzione prodotta dall'elezione naturale -
Divergenza dei caratteri in relazione colla diversità degli abitanti
d'ogni regione ristretta e colla naturalizzazione - Effetti dell'elezione
naturale sui discendenti di un comune progenitore per la divergenza dei
caratteri e l'estinzione delle specie - Essa spiega la classificazione degli
esseri organizzati - Progressi dell'organizzazione - Persistenza delle forme
inferiori - Convergenza dei caratteri - Moltiplicazione infinita delle specie -
Sommario.
La
lotta per l'esistenza, da noi troppo brevemente discussa nel capo precedente,
come agisce rispetto alla variabilità? Può forse applicarsi allo
stato di natura il principio di elezione, che noi vedemmo essere tanto potente
nelle mani dell'uomo? Noi potremo, io credo, convincerci che questo principio
agisce molto efficacemente. Noi ricordiamo il numero infinito di varietà
ottenute fra le nostre produzioni domestiche, come pure le variazioni meno
apparenti delle razze selvagge, e sappiamo quanta sia la forza delle tendenze
ereditarie. Può dirsi che allo stato di domesticità e
coltivazione 1'intera organizzazione diviene in qualche modo plastica. Ma come
osservarono giustamente Hooker ed Asa Gray, le variazioni che si verificano
generalmente nei nostri prodotti domestici non si creano direttamente
dall'uomo; noi non possiamo dare origine alle varietà, nè
impedire che si producano, solo rimane in nostra facoltà
il conservare ed accumulare quelle che troviamo. Senza alcuna intenzione noi
esponiamo gli esseri organizzati a nuove e incostanti condizioni di vita e ne
seguono delle variazioni; ma cangiamenti simili nelle condizioni della vita
possono avvenire allo stato di natura. Riflettiamo inoltre quanto siano
intralciate e complesse le mutue relazioni degli esseri organizzati fra loro e
colle condizioni fisiche della vita; e quante differenze infinitamente varie di
struttura possano divenire utili ad ogni essere nelle varie condizioni di vita.
Se si rifletta come nascano variazioni utili all'uomo, sarà forse
improbabile che, nel corso di parecchie migliaia di generazioni successive,
avvengano alle volte altre variazioni utili agli esseri stessi nella grande e
complicata lotta della vita? Ove queste variazioni si manifestino (posta la
verità del fatto che nascono sempre individui in maggior numero di
quanti possano vivere), non potrebbe aversi dubbio alcuno che gli individui
dotati di qualche naturale vantaggio, comechè leggero, non abbiano
maggiore probabilità di sopravvivere e di propagare la loro razza.
D'altra parte non è meno certo che qualunque deviazione, per poco sia
nociva agli individui nei quali si produce, sarà cagione inevitabile
della loro distruzione. Ora questa legge di conservazione delle variazioni
favorevoli e d'eliminazione delle deviazioni nocive, io la chiamo Elezione
Naturale o sopravvivenza del più adatto. Quelle variazioni, che non sono
utili nè dannose non possono essere affette da questa legge
dell'elezione naturale, e rimangono un elemento variabile, locchè noi
osserviamo forse nelle specie dette polimorfiche; oppure diventano alfine
fisse, sia per la natura dell'organismo, sia per la natura delle condizioni.
Parecchi
scrittori hanno frainteso e condannato questo termine «Elezione Naturale».
Alcuni hanno immaginato che l'elezione naturale produca la variabilità,
mentre essa implica, solamente il mantenimento di variazioni nate
accidentalmente, quando siano vantaggiose agli individui nelle particolari loro
condizioni di vita. Niuno fa alcuna obiezione agli agricoltori quando parlano
dei potenti effetti della elezione sistematica dell'uomo; pure in tal caso le
individuali differenze prescelte dall'uomo per uno scopo prefisso, debbono di
necessità presentarsi prima, per opera della natura. Altri hanno opposto
che la parola Elezione suppone una scelta avvertita negli animali che
cominciano a modificarsi; e si è anche arguito che l'elezione naturale
non è applicabile alle piante perchè manca in esse la
volontà! Certamente nel senso letterale della parola
l'Elezione naturale è un controsenso: ma chi ha mai eccepito ai chimici
che trattano delle affinità elettive i vari elementi? Tuttavia non
può dirsi strettamente che un acido elegga la base colla quale si
combina di preferenza. Si è asserito che io parlo dell'Elezione naturale
come di potere attivo o della Divinità; ma chi contrasta ad un autore il
dissertare dell'attrazione di gravità come regolatrice dei moti
planetari? Tutti sanno quale significato racchiudano queste espressioni
metaforiche, le quali sono pressochè indispensabili per la
brevità del dire. È anche estremamente difficile l'evitare la
personificazione della parola «Natura», ma per Natura io intendo solo l'azione
combinata e il risultato di molte leggi naturali; e per leggi la serie dei
fatti quali vennero da noi accertati. Queste obbiezioni superficiali sono senza
portata per chi ha un po' di conoscenza della cosa.
Noi intenderemo più facilmente l'andamento probabile dell'Elezione
naturale, prendendo il caso di un paese che stia per subire alcune fisiche
mutazioni; per esempio, un cambiamento di clima. I numeri proporzionali de'
suoi abitanti si altereranno quasi immediatamente; e alcune specie potranno
estinguersi. Da quanto abbiamo veduto sui rapporti intimi e complessi che
legano gli abitanti di una medesima contrada, possiamo inferire che ogni
cambiamento nelle proporzioni numeriche di alcuni di essi, indipendentemente
dalla modificazione del clima, influirebbe seriamente sulla maggior parte degli
altri. Se la regione fosse aperta ne' suoi confini, nuove forme al certo immigrerebbero;
il che turberebbe anche più gravemente le relazioni di alcuni degli
abitanti primitivi. E qui giova ricordare l'influenza dell'introduzione di un
solo albero o di un mammifero, già da noi notata. Ma nel caso di
un'isola o di un paese parzialmente cinto di barriere, che non potrebbero
essere sorpassate da nuove forme e più adatte, vi sarebbe posto
nell'economia locale per quegli abitanti aborigeni che venissero in qualche
guisa a modificarsi; che se l'area fosse aperta all'immigrazione, quello stesso
posto si sarebbe occupato dagli intrusi. In tal caso ogni leggera
modificazione, che nel corso delle età potrebbe aver luogo, tenderebbe a
perpetuarsi quando fosse in alcun che vantaggiosa ad una delle specie, meglio
conformandola alle proprie condizioni alterate: e l'Elezione naturale avrebbe
così un vasto campo per l'opera di perfezionamento.
Noi
abbiamo fondamento di ritenere, come si disse nel primo capo, che un
cambiamento nelle condizioni della vita, per la sua speciale azione sul sistema
riproduttivo, cagioni la variabilità o l'accresca; ora nel caso di cui
si tratta, si suppone che le condizioni di vita abbiano subìto alcune
modificazioni, e ciò sarebbe manifestamente favorevole all'elezione
naturale, essendovi maggiore probabilità di incontrare variazioni
vantaggiose: mentre senza queste variazioni favorevoli l'elezione naturale non
può esercitarsi. Non già che si renda necessaria una estrema
congerie di variabilità, ma come l'uomo può certamente ottenere
grandi risultati accumulando, solo in una determinata direzione, le differenze
individuali, così l'elezione naturale può agire e tanto
più facilmente in quanto che dispone di un tempo incomparabilmente
più lungo. Inoltre io non credo che abbiano a ricercarsi grandi
mutamenti fisici, come di clima, o un grado inusitato di isolamento ad impedire
l'immigrazione, per produrre nuove lacune che l'elezione naturale possa
riempire col mezzo di qualche varietà perfezionata degli antichi
abitanti. Se tutti gli esseri viventi in ogni paese lottano costantemente fra
loro con forze quasi equilibrate, possono bastare modificazioni estremamente
insensibili di struttura o di abitudini in un abitante per assicurargli il
vantaggio sopra gli altri; altre modificazioni della stessa indole
accresceranno maggiormente questa preminenza, e ciò continuerà
per tutto il tempo che esso rimanga nelle identiche condizioni di vita e
approfitti degli stessi mezzi di sussistenza e di difesa. Non potrebbe
nominarsi un solo paese, nel quale tutti gli abitanti indigeni siano attualmente
tanto adattati fra loro e alle condizioni fisiche sotto le quali vivono, che
niuno di essi possa in qualche parte perfezionarsi; perchè in tutti i
luoghi le produzioni native furono sì appieno conquistate dalle
produzioni naturalizzate, da permettere a queste specie forestiere di prendere
definitivamente possesso del suolo. Siccome le razze straniere hanno
così battuto da per tutto alcune delle razze indigene, noi possiamo
concludere con piena sicurezza che, se queste fossero state modificate in maniera
più vantaggiosa, esse avrebbero meglio resistito agli invasori.
Se l'uomo può produrre ed ha effettivamente prodotto
sì grandi risultati coi propri mezzi d'elezione metodica ed inconscia,
che cosa non può fare l'elezione naturale? L'uomo può agire solamente
sui caratteri esterni e visibili: la natura (ove mi si permetta di
personificare così la preservazione naturale degl'individui variabili e
favoriti durante la lotta per l'esistenza) non s'inquieta delle apparenze,
salvo il caso in cui le medesime riescano utili ad un
essere. Essa può agire sopra ogni organo interno, sopra ogni più
piccola differenza di costituzione, sull'intero meccanismo della vita. L'uomo
sceglie colla sola vista del proprio interesse; la natura opera esclusivamente
pel bene dell'essere di cui si occupa. Ogni carattere prescelto viene
pienamente esercitato da essa; e l'essere trovasi posto nelle condizioni di
vita più opportune. L'uomo conserva in uno stesso paese individui
appartenenti a climi diversi; egli sviluppa di rado un organo qualunque in una
maniera speciale e conveniente; egli nutre cogli stessi cibi un colombo a becco
lungo e un altro a corto becco; egli non sottopone a un particolare trattamento
un quadrupede a dorso lungo ed un altro a gambe lunghe; egli tiene sotto il medesimo
clima le pecore di lana lunga e di lana corta. Egli non dà
l'opportunità ai maschi più vigorosi di lottare per le femmine.
Egli non distrugge rigorosamente tutti gli animali imperfetti; ma, per quanto
gli è dato, protegge in ogni stagione tutti i suoi prodotti. Egli
comincia spesso la sua elezione da qualche forma semi-mostruosa, o almeno da
qualche modificazione abbastanza palese per attirare la sua attenzione, ovvero
tale da promettergli degli evidenti vantaggi. Allo stato di natura, la più
significante differenza di struttura o di costituzione basta a distruggere
l'esatto equilibrio esistente tra le forme lottanti, e può così
effettuare la loro conservazione. Quanto leggiere e mutabili sono le viste e
gli sforzi dell'uomo! quanto breve è il suo tempo! e conseguentemente
quanto imperfetti non saranno i suoi prodotti confrontati con quelli accumulati
dalla natura negl'interi periodi geologici! Possiamo noi meravigliarci adunque
che le produzioni della natura siano nei loro caratteri meglio distinte che non
le produzioni dell'uomo; che quelle siano assai più adattate alle
più complicate condizioni di esistenza e portino l'impronta d'un'opera
molto più perfetta?
Metaforicamente
può dirsi che l'elezione naturale va scrutando ogni giorno e ogni ora
pel mondo intero ciascuna variazione anche minima: rigettando ciò che
è cattivo, conservando e accumulando tutto ciò che è
buono; essa lavora insensibilmente e silenziosamente in tutti i luoghi e
sempre, quando si presenti l'opportunità, al perfezionamento di ogni
essere organizzato in relazione alle sue condizioni di vita organiche ed
inorganiche. Nulla noi scorgiamo di codeste lente e progressive trasformazioni
fino a che la mano del tempo abbia segnato il lungo corso delle epoche; le
nostre cognizioni poi relative alle età geologiche, da lungo tempo
trascorse, sono sì imperfette, che noi ci accorgiamo solo che le odierne
forme viventi sono differenti da quelle d'un tempo.
Affinchè
un grande insieme di modificazioni possa prodursi nel corso dei secoli, occorre
che quando una varietà è comparsa una volta, continui a variare,
benchè forse dopo un lungo intervallo di tempo; e che di queste
varietà le favorevoli siano anche conservate, e così di seguito.
Pochi negheranno che si formino varietà più o meno diverse dallo
stipite paterno; ma che il processo di variazione possa prolungarsi
indefinitamente, è una supposizione la cui verità deve desumersi
solo in quanto essa si attiene ai fenomeni generali della natura e li spiega.
D'altro lato, l'opinione ordinaria che la somma delle variazioni possibili sia
una quantità strettamente limitata è pure una semplice ipotesi.
Benchè
l'elezione naturale non possa agire che per il bene di ogni essere, pure i caratteri
e gli organi che da noi soglionsi considerare come di assai poca importanza
possono risentirne l'azione. Quando vediamo insetti che mangiano foglie,
assumere un color verde, e altri che nutronsi di scorza, un colore grigio
macchiato; così il ptarmigan alpestre prendere un colore bianco
nell'inverno, il gallo selvatico scozzese prendere il colore di un arbusto, il
francolino nero portare il color torba, noi dobbiamo ammettere che queste tinte
siano vantaggiose a questi uccelli ed insetti per preservarli dai pericoli. Se
i francolini non venissero distrutti in qualche periodo della loro vita, si
moltiplicherebbero in numero sterminato. Essi soffrono gravissime perdite per
gli uccelli di preda; e i falchi sono guidati contro le loro vittime dalla loro
vista acutissima; ed è per questo che in alcune parti del continente
molti evitano di conservare colombi bianchi perchè più facilmente
soggetti a distruzione. Quindi non ho motivo alcuno di dubitare che l'elezione
naturale non sia stata la causa del colore proprio ad ogni specie di
francolini, e non abbia influito a renderlo permanente dopo che fu acquistato.
Né bisogna credere che la distruzione accidentale di un animale, fornito di uno
speciale colore, sia per cagionare un piccolo effetto; noi ricorderemo quanto
sia essenziale in un gregge di pecore bianche il distruggere qualunque agnello
porti la più piccola traccia di nero. Noi vedemmo come nella Virginia il
colore dei maiali che si alimentano della radice colorata di Lachnantes
possa decidere della loro esistenza. Nelle piante la lanugine che copre i
frutti e il colore della polpa nei frutti carnosi sono considerati dai botanici
come caratteri della più piccola importanza: eppure noi abbiamo imparato
da un abilissimo orticoltore, Downing, che negli Stati Uniti le frutta a pelle
liscia soffrono assai più per parte di un coleottero del genere Curculio
che non le frutta coperte di lanugine; che le prugne purpuree sono più
soggette a certe malattie delle prugne gialle: mentre altre malattie attaccano
le pesche gialle assai più di quelle a polpa d'altri colori. Se malgrado
tutti i soccorsi dell'arte queste piccole differenze recano tanta
disparità nella coltivazione di parecchie varietà, certamente
nello stato di natura, allorchè le piante hanno a lottare con altre e
con uno stuolo di nemici, queste medesime differenze debbono effettivamente
bastare a decidere quale varietà di frutta, se liscia o vellutata, se a
polpa gialla o purpurea, riporterà la vittoria sulle altre.
Nel valutare
molti piccoli punti di differenza fra le specie, i quali, per quanto la nostra
ignoranza ci permetta giudicare, ci sembrano senza alcuna importanza, noi non
dobbiamo perdere di vista che il clima, il nutrimento, ecc., probabilmente
hanno qualche piccola e diretta influenza. Però è anche molto
più indispensabile tener conto delle molte leggi incognite della
correlazione di sviluppo, le quali, quando una parte dell'organizzazione si
trovi modificata per mezzo della variazione e le modificazioni siano accumulate
dall'elezione naturale per il bene dell'essere, generano altre modificazioni
correlative le più inattese.
Abbiamo
veduto che quelle variazioni che si producevano allo stato di
domesticità in un determinato periodo della vita, tendono a manifestarsi
di nuovo nei discendenti nel medesimo periodo; per esempio, nella forma, nella
grandezza e nel sapore dei semi delle molte varietà delle nostre piante
alimentari ed agricole, nelle variazioni del baco da seta alle fasi di larva e
di crisalide, nelle uova dei nostri polli e nel colore della peluria dei loro
pulcini; nelle corna delle nostre pecore e dei nostri buoi presso l'età
adulta. Così allo stato di natura l'elezione naturale agisce sugli
esseri organizzati e li modifica in certe epoche della loro vita, per mezzo
dell'accumulazione delle variazioni giovevoli ad ogni epoca, e colla loro
ereditabilità nell'età corrispondente. Se torni a profitto di una
pianta l'avere i suoi semi più facilmente trasportati, e sparsi dal
vento; la difficoltà di raggiungere questo effetto per mezzo dell'elezione
naturale non è maggiore di quella che incontra il coltivatore del cotone nell'aumentare e migliorare colla elezione il fiocco nelle
capsule della sua pianta. L'elezione naturale può modificare ed
appropriare la larva di un insetto a circostanze esteriori completamente
diverse da quelle in cui dovrà vivere l'insetto perfetto. Queste
modificazioni agiranno senza dubbio sulla struttura dell'insetto adulto dietro
le leggi di correlazione; e probabilmente, nel caso di quegli insetti che
vivono solo per poche ore e che non prendon alcun nutrimento, una gran parte
della loro organizzazione è semplicemente il risultato correlativo di
successivi cangiamenti della loro larva. Così le modificazioni
dell'adulto potranno influire sulla struttura della larva; ma in ogni incontro
l'elezione naturale impedirà che quelle modificazioni, le quali
potrebbero derivare da altre variazioni in un'epoca diversa della vita,
riescano anche in menomo grado nocive; perchè diversamente esse
cagionerebbero l'estinzione della specie.
L'elezione naturale deve modificare l'organizzazione dei
giovani animali in relazione ai loro genitori e viceversa. Negli animali
socievoli essa adatterà la struttura di ogni individuo a benefizio della
colonia, purchè ciascuno approfitti del cangiamento da essa prescelto.
Ma l'elezione naturale non potrebbe modificare la struttura di una specie,
senza darle qualche vantaggio e per l'utile esclusivo di altre specie; e ad
onta che alcune opere di storia naturale stabiliscano simili fatti, io non ne
conosco uno solo che possa per siffatta guisa interpretarsi. Una conformazione
utile, anche per una sola volta, nella vita intera di un animale, se sia di
alta importanza per lui, può modificarsi più o meno profondamente
dall'elezione naturale. Tali sono, per esempio, le grandi mascelle, di cui
certi insetti si valgono esclusivamente per aprire i loro bozzoli; oppure
l'estremità cornea del becco dei piccoli uccelletti, che rende loro
più facile la rottura dell'uovo. Pare che fra i migliori colombi giratori
a becco corto ne muoiano entro l'uovo più di quanti ne sbuccian fuori;
così che i dilettanti sogliono assisterli nel momento della nascita,
agevolando la rottura del guscio. Quando fosse utile a un colombo selvatico il
possedere un becco molto corto, il processo di modificazione sarebbe assai
lento e una elezione rigorosa si eserciterebbe nei giovani uccelli entro l'uovo
a favore di quelli che si trovassero forniti dei becchi più duri e
più forti, mentre tutti gli altri che avessero un becco debole perirebbero
inevitabilmente; ovvero sarebbero preferiti quelli con guscio debole e fragile,
potendo variare anche la grossezza del guscio non altrimenti di qualsiasi altro
organo.
Credo questo il posto di osservare, che sopra
tutti gli organismi può effettuarsi occasionalmente una distruzione, la
quale può rimanere senza effetto, od averne uno leggerissimo, sul corso
della elezione naturale. Ogni anno, ad esempio, è divorata una immensa
quantità di uova o di semi, i quali a mezzo della elezione naturale
potrebbero essere modificati solo nel caso che variassero in modo da esser
meglio difesi contro i loro nemici. Eppure siffatte uova o semi, se non fossero
stati distrutti, avrebbero potuto forse produrre degli individui meglio adatti
alle condizioni di vita che non quelli i quali sopravvissero. Oltre ciò
moltissimi animali e piante, sieno i meglio adatti alle condizioni di vita o
meno, sono annualmente distrutti allo stato di maturità da cause
accidentali, le quali nel loro effetto non potrebbero in alcun modo essere
limitate da un cambiamento di struttura o di costituzione che altrimenti
tornerebbe di beneficio alla specie. Ma questa distruzione degli adulti sia
pure grande quanto si voglia, se il numero che può abitare un
determinato distretto non è interamente ridotto; ed ammesso ancora che
delle uova e dei semi solo la centesima o la millesima parte si conservi:
rimane fermo che dei superstiti gl'individui meglio adatti si riproducono
più che i meno adatti, semprechè si presenti una
variabilità in direzione favorevole. Se il numero, per le cause
suddette, sia stato fortemente ridotto, ciò che può essere spesso
avvenuto, l'elezione naturale sarà stata inefficace in determinate
benefiche direzioni. Ma ciò non costituisce una seria obbiezione contro
la sua efficacia in altri tempi e in altri modi; imperocchè non vi sia
alcun motivo per ritenere che a un dato tempo nello stesso distretto molte
specie subiscano una modificazione ed un miglioramento.
ELEZIONE SESSUALE
Come
nello stato di domesticità appariscono qualche volta certe
particolarità in uno dei sessi e queste rimangono in esso ereditarie,
così può avvenire il medesimo fatto allo stato naturale. E quindi
è possibile che dall'elezione naturale i due sessi sieno modificati in
relazione alle differenti condizioni di vita, come talvolta succede; oppure che
un sesso sia modificato in relazione all'altro sesso, ciò che avviene
comunemente. Ciò m'induce a dire poche parole su quella che io chiamo
Elezione sessuale. Essa dipende non già dalla lotta per l'esistenza, ma
da una lotta che ha luogo fra gl'individui del medesimo sesso, e generalmente
fra i maschi pel possesso delle femmine. Il risultato di questa lotta non
consiste nel soccombere uno dei competitori, ma nella poca o niuna discendenza
che egli produce. L'elezione sessuale è quindi meno rigorosa
dell'elezione naturale. Generalmente i maschi più vigorosi, quelli che
sono meglio appropriati alla loro situazione nella natura, lasciano una
progenie più numerosa. Ma in molti casi la vittoria dipende dalle
speciali difese che l'individuo possiede e che sono proprie del sesso maschile,
piuttosto che dal vigore generale di esso. Un cervo senza corna e un gallo
senza sperone avrebbero poca probabilità di lasciare dei figli.
L'elezione sessuale, che deve rendere possibile al vincitore di riprodursi,
deve certamente dargli un coraggio indomabile, degli speroni, lunghi, delle ali
robuste per combattere colla zampa speronata; come l'allevatore brutale dei
galli combattenti cerca di migliorarne la razza con una scelta rigorosa
degl'individui più belli in questo rapporto. Fin dove si estenda nella
scala della natura questa legge di guerra, io l'ignoro. Ci sono stati descritti
i combattimenti degli alligatori maschi che urlando si assalgono e intorno si
aggirano per disputarsi le femmine, come gli Indiani nelle danze guerresche. Si
sono osservate le lotte dei salmoni maschi protratte per giorni interi. I cervi
volanti portano qualche volta la traccia delle ferite fatte dalle larghe
mandibole d'altri maschi. Il Fabre, insuperabile osservatore, vide i maschi di
certi imenotteri disputarsi la femmina, la quale assisteva alla lotta come
spettatore apparentemente inerte, e poi si ritirava col vincitore. La guerra
è talvolta più terribile fra i maschi degli animali poligami, e questi sono anche più generalmente provvisti di speciali difese. I
maschi degli animali carnivori sono già armati convenientemente:
nondimeno l'elezione sessuale può ancora somministrare ai medesimi, come
agli altri, speciali mezzi di difesa, per esempio la criniera al leone, le
zanne al cignale, e la mascella adunca al salmone maschio; perchè lo
scudo può essere non meno importante della spada o della lancia per la
vittoria.
Negli uccelli
la lotta offre spesso un carattere più pacifico. Tutti coloro che si
occuparono di questo soggetto, constatarono un'ardente rivalità fra i
maschi di molte specie per attirare le femmine col canto. Le rupicole della
Guiana, gli uccelli del Paradiso, ed alcune altre specie si riuniscono in
gruppi; indi i maschi spiegano le loro magnifiche penne e prendono gli
atteggiamenti più strani innanzi alle femmine, le quali assistono come
spettatrici e scelgono infine il compagno più attraente. Quante persone
hanno conservato e studiato gli uccelli chiusi in spazi ristretti, conoscono le
loro individuali preferenze ed antipatie. Il signor R.
Heron ha descritto un pavone macchiato, che era particolarmente il prediletto
di tutte le femmine. Forse si crederà puerile lo attribuire qualche
influenza a mezzi tanto deboli in apparenza; io non posso entrare in tutti i
dettagli necessari a provare queste idee; ma, se l'uomo può giungere in
breve tempo a dare l'elegante disposizione e la bellezza delle penne ai galli
Bantham, a seconda delle sue idee estetiche, non veggo alcuna buona ragione per
dubitare che le femmine degli uccelli scegliendo costantemente per migliaia di
generazioni i maschi più belli e più soavi cantori, sul tipo loro
ideale di perfezione, non possano produrre un effetto segnalato. Alcune delle
leggi bene conosciute della reciproca dipendenza che esiste fra l'abito degli
uccelli maschi e delle femmine e quello dei loro nati, possono spiegarsi
supponendo che le modificazioni successive delle penne sieno dovute
essenzialmente all'elezione sessuale, che agisce quando gli uccelli sono
entrati nella stagione degli amori e sono giunti all'età di accoppiarsi.
Queste modificazioni così prodotte sono poi ereditate nell'età e
stagioni corrispondenti, sia dai soli maschi, sia dai maschi insieme e dalle
femmine. Ma mi manca lo spazio per sviluppare. questo argomento.
Io
credo che quando i maschi e le femmine di una specie animale hanno le stesse
abitudini generali di vita, ma differiscono nella struttura, nel colore e negli
ornamenti, tali differenze derivarono principalmente dall'elezione sessuale;
cioè che certi individui maschi riportarono qualche piccolo vantaggio
sopra gli altri maschi nelle successive generazioni, nei loro mezzi di offesa e
di difesa, ovvero nelle loro attrattive, e trasmisero questi vantaggi ai loro
discendenti maschi. Però io non vorrei attribuire tutte le differenze
sessuali a questa causa; perchè nelle nostre razze domestiche noi
vediamo nascere delle particolarità che diventano ereditarie pel sesso
maschile, come la caruncola dei messaggeri maschi, le protuberanze a forma di
corno nei galli di certe specie, ecc., quantunque non siano a riputarsi utili
ai maschi nelle loro pugne, o gradevoli alle femmine. Allo stato di natura noi
osserviamo fatti analoghi; ad esempio, il fiocco di peli sullo sterno del
tacchino maschio, che al certo non può tornargli utile nelle lotte,
nè servirgli di ornamento. Che se questa singolarità si fosse
manifestata allo stato di domesticità si sarebbe detta una
mostruosità.
SCHIARIMENTI SULL'AZIONE DELL'ELEZIONE NATURALE
O SOPRAVVIVENZA DEL PIÙ ADATTO
Per far comprendere con maggior chiarezza in qual modo, secondo me, agisca
l'elezione naturale, mi si permetta di dare uno o due esempi immaginati.
Prendiamo il caso di un lupo che trovi la sua preda in animali diversi,
impadronendosi di alcuni per insidia, di altri per forza e di altri per
agilità, e supponiamo che la sua preda più veloce, per esempio il
daino, in seguito ad alcuni cambiamenti avvenuti nella regione, sia divenuto
più numeroso, o che gli altri animali, di cui si nutre, siano al contrario
diminuiti, in quella stagione dell'anno in cui il lupo sentesi più
stimolato dalla fame. In tali circostanze i lupi più agili e più
veloci avranno maggiore probabilità di sopravvivere e saranno quindi
preservati ed eletti: quando però essi abbiano conservato la forza di
atterrare la loro preda e di rendersene padroni in quell'epoca, in cui saranno
spinti a nutrirsi d'altri animali. Io non posso mettere in dubbio ciò,
mentre sappiamo che l'uomo può perfezionare l'agilità de' suoi
levrieri, per mezzo di una precisa e metodica elezione, ovvero con una elezione
inavvertita proveniente dagli sforzi che ognuno fa per conservare i migliori
cani senza alcuna intenzione di migliorarne la razza. Posso aggiungere, dietro
il signor Pierce, che nelle montagne di Catskill negli Stati Uniti esistono due
varietà di lupi, l'una delle quali di forme assai slanciate, a guisa di
levriere, perseguita i daini, e l'altra più pesante, con gambe corte,
attacca più spesso le gregge di pecore.
Si
faccia attenzione che nel succitato esempio io parlai dei lupi individualmente
più agili, i quali sarebbero stati conservati, e non di una singola
varietà ben marcata. Nelle edizioni anteriori di questo libro io mi sono
espresso talvolta in modo, come se questa alternativa fosse spesso occorsa. Io
ho trattato della grande importanza delle differenze individuali, e ciò
m'indusse a parlare diffusamente degli effetti della inconscia elezione
artificiale, la quale riposa sulla conservazione degli individui più o
meno pregevoli, e sulla distruzione dei peggiori. Ho anche fatto osservare,
come la conservazione allo stato di natura di una occasionale deviazione di
struttura, come sarebbe una mostruosità, sia un raro avvenimento, e che,
se anche dapprincipio fosse preservata, si perderebbe in seguito per effetto
dell'incrociamento cogli individui comuni. Prima d'aver letto nella Nord
British Review (1867) un articolo bello e pregevole, omisi di annettere
importanza al fatto che raramente singole varietà, sieno insignificanti
o ben marcate, si possono conservare. L'autore fa la supposizione che un paio
di animali produca durante tutta la vita duecento discendenti, dei quali
però, per varie cause distruttrici, in media solamente due sopravvivono,
e riproducono la specie. Per la maggior parte degli animali superiori questo
conto è esagerato, non così per molti degli organismi inferiori.
Egli dice poi che se nascesse un singolo individuo in qualche modo variante ed
avente la doppia probabilità di sopravvivere agli altri, vi sarebbe
nondimeno la probabilità contro la sua conservazione. Ammesso che
sopravviva e si riproduca, e che la metà dei suoi discendenti erediti la
variazione favorevole, tuttavia il figlio, come l'autore dimostra, avrebbe una
prospettiva di poco maggiore di sopravvivere e di generare; e tale prospettiva
diminuirebbe sempre nelle successive generazioni. Io credo che non si possa
revocare in dubbio la verità di questi asserti. Se, ad esempio, un
uccello di qualsiasi specie potesse più facilmente procurarsi il suo
nutrimento con un rostro fortemente curvo, e se alcuno nascesse con tale rostro
ed in conseguenza prosperasse assai, la probabilità che quest'unico
individuo riproduca la sua forma a segno da soppiantare la comune, sarebbe
nondimeno assai piccola. Ma se noi ci atteniamo a ciò che vediamo
succedere allo stato domestico, non potremo dubitare che tale precisamente
dovrà essere il risultato, se per molte generazioni saranno preservati
individui con rostri più o meno curvi, ed in maggior numero saranno
distrutti quelli che avranno i rostri più diritti.
Non devesi del resto dimenticare che certe variazioni ben pronunciate, che
nessuno considera come semplici differenze individuali, spesso riappariscono
per la ragione che organizzazioni simili subiscono simili influenze. Di questo
fatto potrebbero citarsi numerosi esempi tolti dalle nostre forme domestiche.
Se in simili casi un individuo che varia non trasmettesse realmente ai suoi
discendenti il nuovo carattere, esso trasmetterà loro senza dubbio,
ferme le medesime condizioni, una tendenza ancor più forte di variare
nello stesso modo. Non vi è dubbio che la tendenza di variare nello
stesso modo sia stata spesso tanto forte da modificare in modo simile tutti
gl'individui di una medesima specie senza il concorso di qualsiasi forma di
elezione. Ma può essere modificata anche solo la terza, quarta, o decima
parte degl'individui, di che si possono citare molti esempi. Così,
secondo un calcolo del Graba, circa una quinta parte delle urie sulle isole del
Faro costituiscono una varietà sì marcata, che vennero prima considerate
come una specie distinta sotto il nome di Uria lacrymans. Se in tali
casi la variazione fosse di natura vantaggiosa, la forma primitiva sarebbe ben
tosto soppiantata per gli effetti della sopravvivenza del più adatto.
Degli effetti dell'incrociamento nella eliminazione delle varietà
tratterò più tardi. Qui sia detto per ora che gli animali e le
piante in generale sono attaccati alla loro patria e non migrano senza bisogno.
Noi lo vediamo perfino negli uccelli migratori che ritornano quasi sempre al medesimo
posto. Per conseguenza in generale ogni nuova varietà è
dapprincipio locale, e questa sembra difatti la regola nello stato di natura;
ne viene che gl'individui modificati in modo analogo si trovano presto insieme
in una certa piccola quantità e spesso insieme si riproducono. Se la
nuova varietà fosse vittoriosa nella lotta per l'esistenza, si
diffonderebbe lentamente da un punto centrale, facendo concorrenza ai lembi del
circolo sempre crescente agl'individui che non variarono e vincendoli.
Voglio citare un altro e più complicato esempio intorno agli effetti
dell'elezione naturale. Alcune piante secernono una sostanza zuccherina, e pare
ciò avvenga per eliminare dal succo dei principii nocivi. La secrezione
viene effettuata a mezzo di ghiandole situate alla base delle stipule in alcune
leguminose, e sul rovescio delle foglie nell'alloro comune. Quella sostanza,
benchè sia molto scarsa, è ricercata avidamente dagl'insetti. Ora
supponiamo che una piccola quantità di succo o di nèttare sia
uscita dalle basi dei petali di un fiore. In tal caso gl'insetti che ronzano in
cerca di questo nèttare rimarranno coperti di polline e lo
trasporteranno certamente da un fiore sullo stimma di un altro. Ne verrà
che due individui distinti si troveranno incrociati, e noi abbiamo buone
ragioni di credere (come proveremo pienamente in altro luogo) che
dall'incrociamento nasceranno pianticelle molto vigorose, le quali avranno per
conseguenza una maggiore probabilità di riprodursi e sopravvivere.
Alcune di queste piante avranno certamente ereditato la facoltà di
secernere il nèttare. Quei fiori che avranno le ghiandole del
nèttare più sviluppate, e che produrranno maggior copia di
nèttare, saranno visitate più spesso dagli insetti, e quindi
anche più spesso rimarranno incrociate, acquistando alla fine la
superiorità. Quindi quei fiori che avranno i loro stami e pistilli
collocati, rispetto alla grandezza e alle abitudini degl'insetti che li
visitano, in tal guisa da favorire in qualche modo il trasporto del loro
polline da un fiore all'altro, saranno similmente preferiti o prescelti. Noi
avremmo potuto fare il caso di insetti che si posano sui fiori per raccoglierne
il polline invece del nèttare; ed essendo il polline formato al solo
scopo della fecondazione, la sua distruzione si direbbe una semplice perdita
per la pianta; ma quando una piccola quantità di polline viene
trasportata dapprima accidentalmente, indi abitualmente dagl'insetti sui fiori
e ne seguono incrociamenti, quantunque si consumino perfino i nove decimi del
polline dei fiori stessi, ne deriverà un grande giovamento alla pianta;
e quegl'individui che diedero del polline sempre più copioso ed ebbero
delle antere vieppiù grosse, saranno prescelti.
Allorchè le nostre piante, in seguito a tale processo lungamente
continuato, erano divenute attraenti per gli insetti, questi, senza alcuna
intenzione per parte loro, avranno continuato a trasportare regolarmente il
polline di fiore in fiore, e facilmente potrei dimostrare, cogli esempi
più stringenti, quanta sia l'importanza di siffatto intervento. Io ne
addurrò uno solo, non tanto come un fatto molto notevole, quanto come
una esposizione del modo con cui si effettua gradatamente la separazione dei
sessi nelle piante. Alcuni agrifogli portano soltanto fiori maschi, aventi
quattro semi che producono un'assai piccola quantità di polline e un
pistillo rudimentale. Altri agrifogli non hanno che fiori femmine, che sono
forniti di un pistillo completamente sviluppato e di quattro stami con antere
contratte, dalle quali non può uscire un solo grano di polline. Avendo
trovato un albero femmina alla distanza di sessanta metri da un albero maschio,
io posi sotto il microscopio gli stimmi di venti fiori raccolti su diversi rami
e rinvenni grani di polline sopra tutti senza eccezione, ed in alcuni ne
osservai a profusione. Il polline non era stato certamente trasportato dal
vento, dacchè per parecchi giorni spirava dall'albero femmina all'albero
maschio. La stagione era stata fredda e tempestosa e quindi sfavorevole alle api;
tuttavia ogni fiore femmina da me esaminato era stato effettivamente fecondato
dalle api, accidentalmente coperte del pulviscolo del polline, mentre volavano
di pianta in pianta in cerca di nèttare. Ma per ritornare all'esempio da
noi immaginato, non appena una pianta è divenuta così attraente
per gl'insetti che il suo polline venga regolarmente tratto da un fiore
all'altro, un altro processo può incominciare. Non vi ha naturalista che
ponga in dubbio i vantaggi di ciò che si chiama «la fisiologica
divisione del lavoro». Quindi noi possiamo dedurne che sarà utile ad una
pianta il produrre stami soltanto in un fiore, ovvero in una pianta distinta, e
pistilli in un altro fiore o in un'altra pianta. Nelle piante coltivate e poste
in nuove condizioni di vita, ora gli organi maschili ed ora gli organi
femminili divengono più o meno impotenti; e se noi supponiamo che
ciò possa accadere allo stato di natura, mentre il polline è
trasportato regolarmente di fiore in fiore ed essendo vantaggiosa alle nostre
piante una più completa separazione dei loro sessi pel principio della
divisione del lavoro, gli individui, nei quali questa tendenza andrà
crescendo, saranno incessantemente favoriti o eletti, fino a che si sia operata
una definitiva separazione dei sessi. Esigerebbe troppo spazio il dimostrare le
varie vie, per dimorfismo ed in altri modi, su cui evidentemente progredisce la
separazione dei sessi nelle piante di diverse specie. Solo voglio accennare che
secondo Asa Gray alcune specie di palme dell'America settentrionale si trovano
in uno stato esattamente intermediario, i cui fiori, come si esprime il citato
botanico, sono più o meno dioico-poligami.
Riprendiamo
ora gli insetti nèttarefagi del nostro caso; noi possiamo supporre che
la pianta, di cui lentamente s'accrebbe il nèttare per l'elezione
continua, sia una pianta comune; e che certi insetti dipendano in gran parte
dal suo nèttare come loro alimento. Potrei citare molti fatti per
mostrare quanto le api siano ansiose di risparmiare il tempo; per esempio la
loro abitudine di incidere le basi di certi fiori onde succhiarne il
nèttare, mentre esse potrebbero con qualche perdita di tempo succhiarlo
dal vertice della corolla. All'appoggio di questi fatti, ritengo non potersi
rivocare in dubbio che una deviazione accidentale nella statura e forma del
corpo, o nella curvatura e lunghezza della proboscide, ecc., benchè
troppo piccola per essere da noi apprezzata, potrebbe essere utile all'ape o ad
un altro insetto, a segno che un individuo, che ne sia dotato, giungerà
più facilmente a procurarsi il proprio nutrimento, ed avrà
perciò una maggiore probabilità di vivere e di lasciare una
discendenza. I suoi discendenti erediteranno probabilmente la tendenza ad una
simile piccola deviazione di struttura. I tubi delle corolle del trifoglio
rosso comune e del trifoglio incarnato (Trifolium pratense e Trif.
incarnatum) a primo aspetto non sembrano di lunghezza
molto diversa; pure l'ape domestica può facilmente succhiare il
nèttare del trifoglio incarnato, ma non così quello del trifoglio
rosso, che viene visitato solamente dai pecchioni. Cosicchè dei campi
interi di trifoglio rosso offrirebbero invano un'abbondante raccolta di
prezioso nèttare alla nostra ape domestica. Che l'ape domestica sia
ghiotta di questo nèttare è cosa certa, imperocchè io vidi
più volte, sebbene nell'autunno, molte api succhiare il nèttare
da fori praticati alla base della corolla dai pecchioni. La differenza di
lunghezza nella corolla, che determina le visite delle api domestiche, deve essere
di molta importanza; perchè fui avvertito, che quando il trifoglio rosso
è stato falciato, i fiori del secondo taglio sono alquanto più
piccoli e che questi sono frequentemente visitati dalle api domestiche.
È stato detto che l'ape italiana, la quale generalmente considerasi come
una varietà e s'incrocia facilmente colla comune, possa succhiare il
nèttare del trifoglio rosso comune; ma io non so se questo asserto sia
esatto e degno di fede. In una località nella quale questo trifoglio sia
molto abbondante, può esser quindi molto utile all'ape domestica l'avere
una proboscide un po' più lunga o costrutta in altro modo. D'altra parte
la fertilità del trifoglio dipende, come abbiamo veduto, dalla visita
delle api; e quindi, se i pecchioni diventassero scarsi in un paese, potrebbe
essere molto vantaggioso al trifoglio rosso l'avere un tubo più corto o
più profondamente diviso nella corolla, per modo che l'ape domestica
potesse visitarne i fiori. Così noi possiamo intendere come un fiore e
un insetto possano modificarsi e adattarsi scambievolmente, nella maniera
più perfetta e nel medesimo tempo, ovvero uno dopo l'altro, per mezzo
della continua preservazione degli individui che offrono deviazioni di
struttura leggermente favorevoli e di utile reciproco.
Io conosco
bene che questa dottrina dell'elezione naturale, basata sui citati esempi,
è soggetta alle stesse obbiezioni che furono sulle prime sollevate
contro le grandiose viste di Carlo Lyell «sulle moderne trasformazioni della
terra, le quali valgono ad illustrare la geologia». Oggi però niuno
ardisce considerare l'azione, per esempio, delle onde sulle coste come una
causa debole ed insignificante, quando si applichi a spiegare la corrosione di
valli gigantesche o la formazione di lunghe catene di rocce interne. L'elezione
naturale agisce puramente per la conservazione ed accumulazione di piccole
modificazioni ereditarie che sono sempre utili all'essere preservato; e come la
moderna geologia ha quasi bandita l'ipotesi che le grandi vallate di erosione
siano tutte formate da una sola onda diluviale, non altrimenti l'elezione
naturale, se questo principio è vero, deve farci abbandonare l'opinione
della creazione continua di nuovi esseri organizzati e di una modificazione
grande e repentina nella loro struttura.
SULL'INCROCIAMENTO DEGLI INDIVIDUI
Io debbo fare qui una breve digressione. È cosa nota
che trattandosi di animali e piante a sessi distinti è sempre necessario
l'intervento di due individui per la fecondazione (ad eccezione dei casi
singolari e ancora non bene chiariti di partenogenesi). Quanto agli ermafroditi
non è necessario. Nondimeno io sono assai propenso a credere che anche
in tutti gli ermafroditi, sia accidentalmente, sia abitualmente, due individui
concorrano alla riproduzione della specie. Questa idea fu espressa con riserva
molto tempo fa dallo Sprengel, dal Knight e dal Kölreuter. Ora noi ne vedremo
l'importanza; ma io debbo trattare quest'argomento con un'estrema
brevità, quantunque io abbia in pronto i materiali per un'ampia
discussione. Tutti gli animali vertebrati, tutti gli insetti e parecchi altri
grandi gruppi d'animali si accoppiano per ogni fecondazione. Le recenti
ricerche hanno diminuito assai il numero degli ermafroditi supposti; e un gran
numero di veri ermafroditi si accoppiano: vale a dire due individui si uniscono
regolarmente per la generazione, e questo è quanto ci interessa.
Ciò non pertanto parecchi animali ermafroditi non si appaiano certo
abitualmente, e fra le piante moltissime sono ermafrodite. Qual ragione vi ha
dunque, potrebbe chiedersi, per supporre che anche in questi casi due individui
cooperino alla riproduzione? Essendo impossibile lo entrare qui in alcun
dettaglio, debbo limitarmi solo ad alcune considerazioni generali.
In
primo luogo io raccolsi un gran numero di fatti, i quali provano, in consonanza
all'opinione quasi universale degli allevatori, che negli animali e nelle
piante un incrociamento fra differenti varietà, oppure fra individui
della stessa varietà, ma di un'altra linea, rende più vigorosa e
più feconda la prole; e che d'altra parte la riproduzione fra parenti
prossimi diminuisce la vigoria e la fecondità. Questi fatti bastano per
condurmi nella opinione che sia una legge generale della natura quella
che impedisce ad ogni essere organizzato di fecondarsi da sè per una
eternità di generazioni (benchè noi non conosciamo lo scopo di
codesta legge); ma che un incrociamento con un altro individuo è
indispensabile di quando in quando e forse anche ad intervalli molto lunghi.
Nell'ipotesi che questa sia una legge naturale noi possiamo, a
mio avviso, comprendere alcune grandi serie di fatti, i quali da qualunque
altro punto di vista sarebbero inesplicabili. Tutti i botanici che fecero
degl'incrociamenti sanno quanto sia sfavorevole per la fecondazione di un fiore
la esposizione all'umido, eppure quanti fiori non hanno le loro antere e i loro
stimmi pienamente esposti alle intemperie! Ma se un incrociamento di quando in
quando è indispensabile, questa esposizione svantaggiosa può
essere diretta ad aprire un adito affatto libero al polline d'un altro
individuo, tanto più che le antere della pianta stessa sono generalmente
così vicine ai pistilli che l'autofecondazione sembra quasi inevitabile.
D'atronde, molti fiori hanno i loro organi sessuali perfettamente racchiusi,
come nella grande famiglia delle papiglionacee o delle leguminose; ma nella
maggior parte di questi fiori si osserva un adattamento molto curioso della
loro struttura al modo con cui le api ne suggono il nèttare, spargendo
il polline del fiore sullo stimma, o deponendo sopra questo il polline di un
altro fiore. Le visite delle api sono tanto necessarie a molti fiori
papiglionacei, che io ho dimostrato, con esperienze pubblicate altrove, che la
loro fertilità è scemata grandemente quando queste visite siano
impedite. Ora è appena possibile che le api trasvolino di fiore in fiore
senza trasportare il polline dall'uno all'altro, per il maggior bene della
pianta, a quel che credo. Le api agiscono allora come il fiocco dei crini di
camello, col quale basta toccare le antere di un fiore e quindi lo stimma di un
altro per assicurare la fecondazione; ma non deve supporsi che le api producano
così una moltitudine di ibridi fra specie diverse; perchè se voi
ponete sul medesimo fiocco il polline di una pianta con quello di un'altra
specie, il primo avrà un effetto predominante che distruggerà
invariabilmente e completamente ogni influenza del polline straniero, come fu
dimostrato dal Gärtner.
Quando gli stami si lanciano con subita espansione verso il pistillo, o si
muovono lentamente contro di esso uno dopo l'altro, il processo pare diretto
solamente ad assicurare l'autofecondazione, e non v'ha dubbio che ciò
non sia utile a questo fine; ma l'elezione degl'insetti è spesso
necessaria per determinare la deiscenza delle antere, come lo ha provato
Kölreuter rispetto al berbero; in questo genere, il quale sembra specialmente
adatto alla autofecondazione, è cosa nota che se le forme o
varietà strettamente affini sono piantate vicine, è quasi
impossibile allevare delle pianticelle di razza pura, stante il grande
incrociamento che naturalmente avviene. In molti altri casi, parecchie speciali
circostanze impediscono allo stimma di ricevere il polline del medesimo fiore,
invece di favorire l'autofecondazione, come fu dimostrato dagli scritti di Sprengel
e da altri, e dalle mie proprie osservazioni. Così nella Lobelia
fulgens, per un adattamento meraviglioso ed accurato, le antere connate di
ciascun fiore lasciano cadere i granuli abbondantissimi del polline, prima che
lo stimma di ogni singolo fiore sia disposto a riceverli; e non essendo mai
questi fiori visitati dagli insetti, almeno nel mio giardino, nondimeno io ne
ottenni una grande quantità ponendo il polline di un fiore sullo stimma
di un altro. Mentre un'altra specie di lobelia che vegetava presso la prima,
per la visita delle api, produceva semi liberamente. In moltissimi altri casi,
anche se niun impedimento meccanico tolga allo stimma di un fiore il polline di
esso, pure, dietro le osservazioni di Sprengel da me confermate, o le antere si
aprono prima che lo stimma sia pronto alla fecondazione, ovvero lo stimma
giunge a maturità prima che il polline del fiore sia sparso; per guisa
che queste piante hanno di fatto sessi separati e debbono abitualmente essere
incrociate. Quanto sono strani questi fatti! Quale singolarità nel
trovarsi il polline e lo stimma di un stesso fiore tanto vicini fra loro, quasi
direbbesi ad assicurare la fecondazione, quando all'opposto riescono in molti
casi scambievolmente inutili! Con quanta semplicità questi fatti vengono
chiariti dalla considerazione che un accidentale incrociamento fra individui
distinti è vantaggioso o indispensabile!
Io ho
esperimentato che, allevando diverse varietà di cavoli, di rape, e di
cipolle o di alcune altre piante, in vicinanza fra loro fino alla produzione
del seme, la maggior parte delle pianticelle che nascono da questi semi
divengono meticce. Infatti coltivai 233 piante di cavoli derivanti da alcuni
individui di differenti varietà che erano cresciute in
prossimità le une delle altre, ed in questo numero non ne trovai che 78
appartenenti alle loro varietà pure, notando però che alcune di
esse erano leggermente alterate. Frattanto il pistillo di ogni fiore di cavolo
è circondato non solo dai propri sei stami, ma da tutti gli stami degli altri
fiori della stessa pianta; e il polline di ogni antera cade facilmente sul suo
stimma, senza l'opera degl'insetti; perchè ho trovato che una pianta
intieramente inaccessibile ad essi produsse un numero completo di silique. Come
dunque può avvenire che in tali circostanze un grandissimo numero di
semi dia dei meticci? Io attribuisco ciò al polline di una
varietà distinta, il quale è più efficace che non il
polline proprio del fiore. È questa un'applicazione della legge generale
che, per mezzo dell'incrociamento degli individui distinti di una medesima
specie, si ottiene un perfezionamento. Quando invece codesto incrociamento ha
luogo fra specie distinte, l'effetto è direttamente opposto,
giacchè in tal caso il polline di una pianta predomina generalmente su
quello d'un'altra. Ma ci occuperemo ancora di questo soggetto in uno dei capi
seguenti.
Potrebbe obbiettarsi che il polline di un albero gigantesco,
coperto di fiori innumerevoli, può difficilmente essere trasportato
sopra un altro albero, e non potrebbe ammettersi che il solo passaggio del
polline da fiore a fiore sul medesimo albero, mentre questi fiori non sarebbero
a considerarsi come individui distinti che in un senso molto ristretto. Questa
obbiezione è fondata; ma la natura ha largamente provvisto a ciò,
dando agli alberi una forte tendenza di produrre fiori a sessi separati. Ora
quando i sessi sono separati, quantunque i fiori maschi e femmine siano portati
dalla medesima pianta, è necessario che il polline sia regolarmente
tradotto da un fiore all'altro, e quindi avremo una maggiore probabilità
che ciò avvenga accidentalmente fra due alberi. Nel nostro paese gli
alberi appartenenti a tutti gli ordini hanno più di sovente i loro sessi
separati che non le altre piante; dietro un mio consiglio il dott. Hooker ha
formato una tavola degli alberi della Nuova Zelanda, e il dott. Asa Gray ha
compilato quella degli alberi degli Stati Uniti, e il risultato avvalorò
le mie previsioni. Ma il dott. Hooker mi ha poscia informato che egli s'avvide
non potersi estendere questa regola all'Australia; ma se gli alberi australesi
sono in maggior numero dicogami, il risultato è il medesimo come se i
loro fiori fossero di sesso separato. Feci queste poche osservazioni sui sessi
degli alberi semplicemente per richiamare l'attenzione sull'argomento.
Per ciò che riguarda gli animali terrestri, diremo che alcuni sono
ermafroditi, come i molluschi polmonati e i vermi di terra; ma tutti si
accoppiano. - Non ho ancora trovato un solo caso fra gli animali terrestri, in
cui si avveri l'autofecondazione. Noi possiamo spiegarci questo fatto
rimarchevole, che presenta un contrasto singolare([2])
con ciò che osserviamo nelle piante terrestri, riguardando
l'incrociamento occasionale come indispensabile, quando ci facciamo a
considerare l'ambiente nel quale vivono gli animali terrestri, e la natura
dell'elemento fecondatore; perchè noi non conosciamo alcun mezzo analogo
all'azione degli insetti e del vento sulle piante, col quale possa effettuarsi
un accidentale incrociamento in questi animali, senza la cooperazione dei due
sessi.
Negli animali acquatici abbiamo molti ermafroditi, nei quali si verifica
l'autofecondazione, ma le correnti offrono loro mezzi facili di accidentali
incrociamenti. Del resto in essi, come nei fiori, dopo di avere consultato una
delle più grandi autorità, il prof. Huxley, non seppi trovare una
sola specie, in cui gli organi della generazione fossero racchiusi tanto
perfettamente nell'interno del corpo, da vietare l'accesso all'azione
dell'accidentale influenza di un altro individuo, in modo da renderla
fisicamente impossibile. Per molto tempo credetti che i cirripedi presentassero
un caso di somma difficoltà per tale riguardo; ma, per una fortunata
combinazione, altrove potei provare che due individui ermafroditi,
benchè si fecondino da sè, pure qualche volta si incrociano.
Molti naturalisti avranno riguardato come una strana
anomalìa il fatto di trovare fra gli animali e le piante alcune specie,
appartenenti alla medesima famiglia od anche al medesimo genere, le quali sono
ermafrodite o unisessuali: benchè nell'intera loro organizzazione siano
conformi. Ma se realmente tutti gli ermafroditi accidentalmente si incrociano
con altri individui, la differenza fra le specie ermafrodite e le unisessuali
diviene molto piccola, almeno per quanto concerne le funzioni sessuali. Per
tutte queste considerazioni, e pei molti fatti speciali da me raccolti che qui
non posso addurre, considero come legge di natura generale, se non universale,
che nei regni vegetale ed animale avvenga di tempo in tempo un incrociamento
fra individui distinti.
CIRCOSTANZE FAVOREVOLI ALLA PRODUZIONE DI NUOVE
FORME COL MEZZO DELL'ELEZIONE NATURALE
Questo
soggetto è assai complicato. Un grande insieme di variabilità,
nel quale termine sono sempre comprese differenze individuali, è
evidentemente favorevole all'azione dell'elezione naturale. Un numero grande di
individui, offrendo in un dato tempo una maggiore probabilità di subire
variazioni utili, deve compensare la minore variabilità di ognuno
d'essi, ed io credo che ciò sia un elemento estremamente importante di
successo. Quantunque la natura impieghi grandi periodi di tempo per l'epoca
dell'elezione naturale, pure essa non accorda un lasso di tempo indefinito;
perchè tutti gli esseri organizzati sono costretti ad occupare il loro
posto nell'economia della natura, e se ogni specie non cominciasse a modificarsi
e perfezionarsi, in relazione a' suoi competitori, finirebbe col rimanere
esterminata. Se le variazioni utili non si trasmettessero almeno ad alcuni
discendenti, l'elezione naturale non potrebbe essere efficace. La tendenza alla
riversione può avere spesso inceppati o distrutti gli effetti della
elezione naturale; ma siccome questa tendenza non ha impedito all'uomo di
ottenere sì numerose razze ereditarie nei due regni organici, come
potrebbe mai aver arrestato il corso della elezione naturale?
Nell'elezione
metodica l'allevatore sceglie qualche scopo determinato, ed il libero
incrociamento basterebbe ad intralciare la sua opera. Ma quando molti uomini,
senza intenzione di alterare la razza, hanno uno scopo quasi comune di
perfezione e tutti si studiano di produrre e moltiplicare gli animali migliori,
da questo inavvertito processo di elezione si avranno modificazioni e
miglioramenti sicuri, ma lenti: non ostante una grande somma di incrociamenti
con animali meno pregevoli. Altrettanto deve accadere nella natura;
perchè entro un'area chiusa, l'economia della quale presentasse alcuni
posti non occupati come potrebbero esserlo, l'elezione naturale tenderebbe
sempre a conservare tutti gli individui che variassero in una
retta direzione, benchè in vario grado, come i migliori a riempire i
posti vuoti. Ma se la regione fosse vasta, i vari suoi distretti
presenterebbero certamente differenti condizioni di vita; e quando l'elezione
naturale modificasse e migliorasse certe specie in alcuni distretti, queste si
incrocerebbero con altri individui delle medesime presso i loro confini. Ora
noi vedremo nel sesto capitolo che generalmente le varietà
intermediarie, le quali abitano distretti intermedi, sono nel corso del tempo
soppiantate da una delle varietà confinanti. Gli effetti
dell'incrociamento sarebbero più notevoli in quegli animali che si
accoppiano per ogni fecondazione, che vagano assai e che non si propagano con
molta rapidità. Quindi negli animali di tal natura, come negli uccelli,
le varietà sono generalmente confinate in paesi separati, e questo
è appunto il caso da me indicato. Negli organismi ermafroditi che si
incrociano solo accidentalmente, e parimenti negli animali che si accoppiano
per ogni riproduzione, ma che non sono vagabondi e non figliano rapidamente,
una varietà nuova e perfezionata può formarsi improvvisamente in
qualunque contrada; e può mantenersi riunita in un gruppo, così
che, qualunque incrociamento avvenisse, dovrebbe principalmente farsi tra
individui della stessa nuova varietà. E quando una varietà locale
sia così formata, in seguito non potrà spandersi che lentamente
negli altri distretti. Per questo principio i giardinieri preferiscono sempre
raccogliere le sementi da un grande vivaio di piante della medesima varietà,
intendendo così di diminuire la probabilità dell'incrociamento
con altre varietà.
Anche riguardo agli animali a riproduzione lenta, che si accoppiano per
ogni fecondazione, non devesi esagerare l'effetto dell'incrociamento di
ritardare l'elezione naturale. Io potrei produrre un catalogo considerevole di
fatti, i quali provano che in una medesima area le varietà di una specie
possono rimanere distinte per lungo tempo, sia per il soggiorno in stazioni
diverse, sia per le varie stagioni degli amori, sia che le varietà della
stessa razza preferiscano di accoppiarsi fra loro.
Gli
incrociamenti adempiono un ufficio molto importante nella natura, nel
conservare gli individui della medesima specie o di una varietà puri ed
uniformi nel carattere. Evidentemente essi agiscono con maggiore efficacia
negli animali che si accoppiano per ogni fecondazione; ma noi abbiamo notato
che vi ha motivo di ritenere che avvengano accidentali incrociamenti in tutti
gli animali e in tutte le piante. Anche allorchè questi incrociamenti
non hanno luogo che a lunghi intervalli, la prole che ne nasce acquista tanto
vigore e tanta fecondità sopra i discendenti non incrociati, che ha
tutte le probabilità di sopravvivere e di propagarsi; e quindi a lungo
andare quest'influenza degli incrociamenti deve essere grande anche se questi
succedano dopo rari intervalli. Se esistono esseri organizzati che non si
incrocino, l'uniformità del carattere può in essi mantenersi
finchè restano uguali le condizioni di vita, pel principio di
eredità e per l'elezione naturale che distrugge tutti gl'individui che si
allontanano dal loro tipo. Ma se le loro condizioni di vita si mutino e nascano
delle modificazioni corrispondenti, i discendenti variati, non possono
conservare una uniformità di carattere se non per la elezione naturale
che conserva quelle modificazioni che sono favorevoli.
Anche l'isolamento è un elemento importante nel
processo della elezione naturale. In un'area isolata e circoscritta, quando non
sia molto estesa, le condizioni di vita organiche ed inorganiche hanno in
generale una grande uniformità; per modo che l'elezione naturale tende a
modificare tutti gli individui di una specie variabile, nella regione intera,
analogamente alle condizioni uguali. Di più gl'incrociamenti fra
individui di una stessa specie, che altrimenti avrebbero abitato i distretti
vicini, verranno impediti. Moritz Wagner ha pubblicato recentemente una memoria
interessante su quest'argomento, ed ha dimostrato che l'isolamento
coll'impedire gli incrociamenti fra le varietà di recente formazione fa
dei servizi probabilmente ancor maggiori di quanto io ho presunto; ma per le
ragioni già addotte non posso acconsentire all'opinione di questo
naturalista, che cioè la migrazione e l'isolamento siano due condizioni
necessarie per la formazione di nuove specie. L'isolamento agisce probabilmente
con una maggiore efficacia togliendo l'immigrazione d'organismi più
adatti dopo ogni cambiamento fisico, come una modificazione del clima o un
sollevamento del suolo, ecc., e così rimangono aperti nuovi posti
nell'economia naturale del paese agli antichi abitatori che potranno acconciarsi
alle nuove condizioni per mezzo di modificazioni nella loro struttura e
costituzione. Da ultimo, siccome l'isolamento impedisce l'immigrazione e per
conseguenza la concorrenza, darà tempo ad ogni nuova varietà di
perfezionarsi lentamente; e ciò può essere qualche volta di molta
importanza per la formazione di nuove specie. Se però una regione
isolata fosse molto piccola, sia che fosse circondata di barriere, sia che
fosse esposta a condizioni di vita affatto speciali, il numero degli individui
in essa compresi dovrebbe essere assai scarso; e questa scarsezza di individui
ritarderebbe grandemente la produzione di nuove specie per mezzo dell'elezione
naturale, scemando la probabilità di presentare variazioni favorevoli.
La sola lunghezza del tempo non può agire nè in favore
dell'elezione naturale, nè contro di essa. Dico questo, perchè si
è asserito erroneamente che io attribuiva all'elemento del tempo una
larga parte nell'elezione naturale, quasichè tutte le specie fossero
necessariamente sottoposte a lenta modificazione per qualche legge innata. Il
corso del tempo influisce solamente nel procurare una maggiore
probabilità alla manifestazione delle variazioni vantaggiose, le quali
vengono prescelte, accumulate, e rese permanenti, in rapporto alle condizioni
organiche ed inorganiche di vita che variano lentamente. Egli favorisce
altresì l'azione diretta delle nuove o modificate condizioni
fisiche della vita.
Se noi ci rivolgiamo alla natura per riconoscere le verità di queste
osservazioni e consideriamo qualche regione isolata e piccola, come un'isola
dell'oceano, benchè l'intero numero delle specie che vi abitano sia
assai piccolo (come vedremo nel capo della Distribuzione geografica), pure
molte di queste sono indigene, cioè furono formate nel luogo stesso,
nè s'incontrano altrove. Quindi sembrerebbe a primo aspetto che un'isola
oceanica fosse molto acconcia per l'origine di nuove specie. Ma noi potremmo in
tal caso ingannarci assai, giacchè, per accertare se una regione piccola
ed isolata, ovvero un'area molto vasta, come un continente, sia più
favorevole alla produzione di nuove forme organiche, noi avremmo a istituire il
confronto in tempi uguali, locchè non ci è dato di fare.
Quantunque
l'isolamento sia di molta importanza per la formazione di nuove specie, sono
indotto a ritenere che la vastità del paese soprattutto sia più
favorevole ad essa, specialmente per la formazione di quelle specie che sono
capaci di durare lungamente e di estendersi assai. Sopra una regione vasta ed
aperta non solo avremo una probabilità maggiore che si manifestino
variazioni favorevoli pel numero grande degli individui d'una medesima specie
che vi si trovano, ma anche le condizioni di vita saranno infinitamente
complesse per molte specie già in essa esistenti; e quando alcune di
queste specie si modifichino e si perfezionino, le altre dovranno migliorare ad
un grado corrispondente o rimarranno esterminate. Ed ogni nuova forma, non
appena sia stata perfezionata, si diffonderà sulla località
aperta e continua, facendosi a lottare con molte altre. Quindi si avranno nuove
lacune e l'antagonismo per occuparle sarà più forte in un paese grande che in uno spazio isolato e ristretto. Inoltre, le
grandi regioni che oggi sono continue, per le oscillazioni di livello possono
recentemente essere state interrotte ed aver goduto, fino ad un certo grado, i
buoni effetti dell'isolamento. Finalmente io concludo che certe località
piccole ed isolate furono probabilmente assai favorevoli alla produzione di
nuove specie, benchè il processo di modificazione sia stato in generale
più rapido nei paesi grandi; e che le forme nuove esistenti nelle
regioni molto vaste, essendo rimaste vittoriose sopra molti competitori,
prenderanno una maggiore estensione e faranno luogo a un maggior numero di
varietà e specie nuove ed avranno una parte più marcata nella
storia svariata del mondo organico.
Con queste idee noi potremo forse comprendere alcuni fatti che
saranno spiegati nel capo della Distribuzione geografica. Per esempio, come i
prodotti del piccolo continente d'Australia abbiano ceduto in origine e, a
quanto pare, cedano anche al presente, davanti a quelli delle terre più
vaste Europeo-Asiatiche; ed anche come le specie continentali si siano da per
tutto naturalizzate in una vasta scala sopra le isole. In una piccola isola
infatti la lotta per l'esistenza deve essere stata meno viva, e quindi minori
le modificazioni, e minore la distruzione. Forse per questo la flora di Madera,
secondo Oswald Heer, rassomiglia all'estinta flora terziaria d'Europa. Tutti i
bacini d'acqua dolce riuniti formano un'area piccola in confronto di quella del
mare e del terreno emerso; e quindi la lotta fra i prodotti d'acqua dolce
sarà stata meno viva che in qualsiasi altro luogo; le nuove forme vi
saranno apparse più lentamente e le forme antiche vi saranno state
più lentamente distrutte. Ed è appunto nell'acqua dolce che noi
troviamo sette generi di pesci Ganoidi, avanzi di un ordine già ricco, e
vi troviamo anche parecchie delle forme più anormali conosciute, come
l'ornitorinco e la lepidosirena, i quali servono, a guisa de' fossili, a
riunire in certo modo alcuni ordini che ora sono profondamente separati nella
scala naturale. Queste forme anormali possono chiamarsi fossili viventi; esse
giunsero fino a noi per aver dimorato in un'area ristretta e per essere state
esposte a una concorrenza meno severa.
Riassumeremo,
per quanto l'estrema complicazione del soggetto ce lo permette, ciò che
riflette le circostanze favorevoli e contrarie all'elezione naturale. Io
concludo che rispetto alle produzioni terrestri una grande superficie
continentale, che sia stata soggetta a molte oscillazioni di livello, dovette
offrire le circostanze più favorevoli alla formazione di molte e nuove
forme di vita, capaci di perpetuarsi per molto tempo e di estendersi
grandemente. Perchè l'area primitivamente esisteva come continente, ed i
suoi abitatori, in quel periodo numerosi per gli individui e per le razze,
ebbero a sostenere una lotta molto severa. Quando fu trasformata per
abbassamento in vaste isole separate, molti individui di una medesima specie
dovettero rimanere sopra ciascuna di esse, e quindi gli incrociamenti nei
confini della regione di ogni specie saranno stati impediti; dopo cambiamenti
fisici di ogni sorta, l'immigrazione non avrà potuto verificarsi, per
cui i nuovi posti nell'economia di ogni isola saranno rimasti agli antichi
abitanti modificati ed ogni nuova varietà avrà così avuto
il tempo di modificarsi e di progredire. Quando per un nuovo sollevamento le
isole avranno formato ancora una superficie continentale, un'ardente lotta si
rinnoverà fra le specie; le varietà più favorite e
perfezionate diverranno capaci di moltiplicarsi e le forme meno perfezionate si
estingueranno; i numeri proporzionali dei vari abitanti del continente rinnovato
si cambieranno, mentre l'elezione naturale agirà di nuovo per introdurre
altri progressi negli abitanti e formare così nuove specie.
Io ammetto
pienamente che l'elezione naturale agisca sempre con estrema lentezza. La sua
azione dipende dalle lacune che possono farsi nell'economia della natura, i
quali posti potrebbero venir occupati da quegli abitatori del paese che
subissero alcune modificazioni. L'esistenza di codeste lacune dipende dai
cangiamenti fisici, che in generale sono molto lenti, e dagli ostacoli che si
oppongono all'immigrazione delle forme più adatte. Siccome alcuni pochi
tra i vecchi abitanti subiscono delle modificazioni, i reciproci rapporti tra
gli altri abitanti saranno turbati, e si faranno vacanti dei nuovi posti, i
quali potranno essere occupati da forme più adatte. Sebbene tutti gli
individui di una medesima specie differiscano tra loro in grado leggero,
potrà tuttavia passare un tempo lungo, prima che si manifestino delle
utili variazioni nelle singole parti degli organismi. Questo processo
può essere ritardato grandemente dal libero incrociamento. Molti
esclameranno che queste cause diverse sono ampiamente sufficienti per annullare
interamente l'azione dell'elezione naturale, io non lo credo. D'altra parte
ammetto che l'elezione naturale agisca sempre con molta lentezza, spesso
soltanto a lunghi intervalli di tempo, e in generale sovra un ristrettissimo numero di abitanti della stessa regione contemporaneamente. Inoltre io
penso che questa azione lenta ed intermittente della elezione naturale si
accordi perfettamente con ciò che c'insegna la geologia, sull'ordine e
sul modo col quale si trasformarono gli abitanti del globo.
Per quanto il processo di elezione possa essere lento, se
l'uomo può ottenere molto dai suoi deboli mezzi di elezione artificiale,
io non saprei concepire limite alcuno per l'insieme delle modificazioni, per la
bellezza ed infinita varietà degli adattamenti tra tutti gli esseri
organizzati, gli uni rispetto agli altri e in riguardo alle loro condizioni fisiche
d'esistenza, modificazioni e adattamenti che possono prodursi nel lungo corso
del tempo dal potere elettivo della natura, ossia dalla sopravvivenza del
più adatto.
ESTINZIONE PRODOTTA DALL'ELEZIONE NATURALE
Questo argomento sarà discusso più completamente
nel nostro capitolo sulla Geologia; ma debbo farne menzione in questo luogo pe'
suoi intimi rapporti colla elezione naturale. L'elezione naturale agisce
semplicemente conservando le variazioni in qualche riguardo vantaggiose, le
quali perciò si rendono stabili. In causa dell'alta ragione geometrica
di accrescimento in tutti gli esseri organizzati, ogni paese contiene un numero
completo di abitanti; ed essendo molte aree occupate da forme assai diverse, ne
segue che se ogni forma eletta e favorita si accresce di numero, generalmente
le forme meno perfezionate diminuiranno, e diverranno rare. La rarità,
secondo le dottrine della geologia, è il precursore dell'estinzione. Noi
possiamo anche ritenere che ogni forma rappresentata da pochi individui debba
correre, con maggiore probabilità, il rischio di rimanere completamente
estinta, in seguito alle alternative delle stagioni e al numero variabile dei
suoi nemici. Ma noi possiamo procedere più avanti; perchè posta
la formazione lenta e continua di nuove forme, quando non si supponga che il
numero delle forme specifiche vada sempre crescendo quasi indefinitamente, fa
d'uopo che alcune inevitabilmente si estinguano. Le geologia ci dimostra
chiaramente che il numero delle forme specifiche non è aumentato indefinitamente;
e noi ci studieremo ora di provare come il numero delle specie sul globo non
abbia potuto divenire smisuratamente grande.
Abbiamo
osservato che quelle specie che hanno un maggior numero d'individui sono in
condizioni più acconce a produrre in un dato periodo delle variazioni
favorevoli. I fatti esposti nel secondo capo pongono in evidenza questa legge,
e ci dimostrano che le specie comuni sono quelle che presentano il numero
più grande di varietà conosciute. Quindi le specie rare si modificheranno
e si miglioreranno meno rapidamente, in un periodo determinato, e per
conseguenza saranno vinte nella lotta per l'esistenza dai discendenti
modificati delle specie più comuni.
Parmi che da
tutte queste considerazioni si debba necessariamente arguire che, siccome nel
corso dei tempi hanno origine nuove specie per mezzo della elezione naturale,
le altre specie si faranno sempre più scarse e in fine si estingueranno.
Quelle forme che sostengono una lotta molto forte contro altre soggette a
modificazioni e perfezionamenti, naturalmente soffriranno di più. Noi
abbiamo veduto, nel capo della lotta per l'esistenza, che sono le forme
più strettamente affini, - le varietà delle medesime specie, e le
specie degli stessi generi, o di generi prossime - quelle che generalmente
entrano fra loro in una lotta più severa per essere conformi nella
struttura, nella costituzione e nelle abitudini. Conseguentemente, ogni
varietà o specie nuova, durante il progresso della sua formazione, deve
combattere principalmente colle razze più affini e cercare di
esterminarle. Noi notiamo un uguale processo di distruzione fra le nostre
produzioni domestiche per mezzo dell'elezione fatta dall'uomo delle forme
più perfette. Molti esempi curiosi potrebbero citarsi per
dimostrare con quanta rapidità le nuove razze di buoi, di montoni, e di
altri animali, o le nuove varietà di fiori, prendano il posto delle
razze più antiche ed inferiori. Si ha la notizia storica che nella
contea di York l'antico bestiame nero fu surrogato da quello a corna lunghe, e
questo «fu alla sua volta distrutto da quello a corna corte, come dalla
più micidiale pestilenza» per servirmi delle parole di uno scrittore
d'agricoltura.
DIVERGENZA DI CARATTERE
Il
principio da me designato con questo termine è di una grande importanza,
e spiega, a mio avviso, parecchi fatti rilevanti. In primo luogo le
varietà, anche le più marcate, sebbene abbiano alcun che del
carattere delle specie, per modo che riesce in molti casi assai difficile il
classificarle, pure differiscono fra loro assai meno delle specie ben distinte.
Nondimeno, secondo le mie viste, le varietà sono specie in formazione,
oppure, come dissi, sono specie incipienti. Come dunque le differenze minori
fra le varietà possono aumentare fino a divenire le differenze
più grandi che esistono fra le specie? Che ciò debba ordinariamente avvenire, noi lo desumiamo dal numero considerevole di
specie che la natura ci presenta, con differenze ben distinte; mentre le
varietà, supposte prototipi o progenitori delle future specie distinte,
presentano piccole differenze e mal definite. Il solo caso, come noi possiamo
chiamarlo, può fare che una varietà differisca in qualche
carattere da' suoi parenti, e che anche i discendenti di essa ne diversifichino
pei medesimi caratteri, in più alto grado; ma in questo modo non
potrebbe spiegarsi l'insieme delle differenze, tanto forti e generali, che
passano fra le varietà ben distinte delle medesime specie e fra le
specie dei medesimi generi.
Ora, come io feci sempre, procuriamo di spander luce
sull'argomento coll'esaminare le nostre produzioni domestiche. Noi vi
rinverremo qualche cosa di analogo. Si ammetterà che la produzione di
razze tanto diverse come i buoi a corna corte e quelli di Hereford, i cavalli
da corsa o da tiro, le varie razze di colombi, ecc., non sia derivata dalla
sola fortuita accumulazione di variazioni consimili per molte generazioni
successive. Nella pratica un dilettante, per esempio, è colpito dal
vedere un colombo col becco leggermente più corto; un altro dilettante rimane
sorpreso nel trovare un colombo col becco assai più lungo. Dal noto
principio «che gli amatori non ammirano, nè scelgono i tipi intermedi,
ma bensì gli estremi», ambidue continueranno a scegliere e moltiplicare
tutti gl'individui aventi becchi sempre più corti (come in fatto avvenne
nelle sotto-razze dei colombi giratori); oppure becchi sempre più
lunghi. Noi possiamo anche supporre che, dai tempi più remoti, alcuni
abbiano dato la preferenza ai cavalli più veloci ed altri invece ai
cavalli più forti e più pesanti. La differenza prima era forse
molto piccola; ma nel corso del tempo, per la continua elezione dei cavalli
più snelli per parte di alcuni allevatori e dei più robusti per
parte di altri allevatori, dovette rendersi maggiore questa differenza, che
sarà stata presa come distinzione di due sotto-razze; finalmente, dopo
molti secoli, queste sotto-razze saranno diventate due razze distinte e
permanenti. Se le differenze crescano, gli animali inferiori dotati di
caratteri intermedi, non essendo nè molto agili nè molto pesanti,
saranno stati trascurati e quindi avranno avuto la tendenza di scomparire.
Nelle produzioni dell'uomo noi dunque vediamo l'azione di ciò che
può dirsi principio di divergenza, il quale è cagione delle
differenze dapprima appena sensibili, indi vieppiù grandi, per cui le
razze divergono nel carattere o fra loro o rispetto ai parenti comuni.
Ma potrebbe domandarsi: come può un principio analogo applicarsi
alla natura? Io credo che possa e debba applicarsi con maggiore efficacia
(benchè io abbia cercato per molto tempo, prima di penetrare come
ciò avvenga), per la semplice circostanza, che quanto più
diversificano nella struttura, nella costituzione e nelle abitudini i
discendenti di ogni specie, tanto più sono atti ad occupare molti posti
assai differenti nell'economia della natura, e quindi più facili a
moltiplicarsi.
Noi possiamo
discernere chiaramente questa legge se esaminiamo gli animali che hanno
abitudini semplici. Prendiamo il caso di un quadrupede carnivoro, arrivato da
lungo tempo al numero completo di individui che una data regione può
nutrire. Se le sue facoltà naturali per moltiplicarsi sono libere di
svolgersi, egli si moltiplicherà soltanto per mezzo di quei discendenti
variabili che occuperanno i posti attualmente conservati da altri animali
(supposto che la regione non subisca alcun cambiamento nelle sue condizioni).
Alcuni di essi, per esempio, possono divenire atti a nutrirsi di nuove sorta di
preda morta o viva; altri possono trasferirsi in nuove stazioni, oppure
rendersi capaci di arrampicarsi sugli alberi e di frequentare le acque, ed
altri forse possono divenire meno carnivori. I discendenti dei nostri carnivori
più diversi per le abitudini e per la conformazione, saranno atti ad
impadronirsi del maggior numero di posti. Ciò che qui si attribuisce ad
un solo animale può estendersi in ogni tempo a tutte le specie,
purchè esse variino, altrimenti l'elezione naturale non potrebbe
esercitarsi. Altrettanto deve accadere nelle piante. Fu provato
sperimentalmente che se in un pezzo di terra sia seminata una sola specie di
erba e in un altro pezzo di terra uguale ne siano invece seminati parecchi
generi, nel secondo si avrà un maggior numero di piante e una
quantità maggiore di fieno. Si ottenne anche un effetto uguale seminando
una sola varietà di frumento e parecchie varietà miste, sopra due
spazi uguali di terreno. Quindi se una specie d'erba comincia a variare, e
queste varietà siano continuamente elette, mentre diversificano fra loro
nella stessa maniera con cui si distinguono le specie e i generi delle
differenti erbe, un numero maggiore di piante individuali di queste specie di
erbe, compresi i loro discendenti modificati, potrà vegetare sul
medesimo terreno. Ora noi sappiamo che ogni specie ed ogni
varietà d'erba sparge annualmente sul terreno innumerevoli semi; e
quindi può dirsi che essa cerca di moltiplicarsi per quanto può.
Conseguentemente nel corso di parecchie migliaia di generazioni, le
varietà più distinte di ogni specie d'erba avranno sempre la
maggior probabilità di succedere e di accrescersi in numero,
soppiantando così le varietà meno distinte; e quando queste
varietà saranno divenute affatto diverse fra loro, prenderanno il rango
di specie.
In molte circostanze naturali si osserva la verità del
principio, che una grande diversità di struttura può rendere
possibile una maggiore quantità di vita. In un'area assai piccola,
specialmente se liberamente aperta all'immigrazione, ove la contesa fra gli
individui deve essere molto severa, noi sempre troviamo una diversità
notevole nei suoi abitatori. Così io trovai che una superficie erbosa,
dell'estensione di tre piedi per quattro, che era stata esposta per molti anni
esattamente alle stesse condizioni, conteneva venti specie di piante e queste
appartenevano a diciotto generi e a otto ordini, locchè prova quanto
differivano fra loro queste piante. Altrettanto avviene per le piante e per
gl'insetti viventi sopra isole uniformi e piccole, come pure nei piccoli stagni
d'acqua dolce. I coltivatori sanno che possono procurarsi un prodotto
maggiore per mezzo della rotazione di piante appartenenti ad ordini molto
diversi: la natura adopera quella che potrebbe appellarsi rotazione,
simultanea. La maggior parte degli animali e delle piante che stanno intorno a
un piccolo pezzo di terra, potrebbero vivere in essa (dato che questo terreno
non sia di una speciale natura), e può asserirsi che fanno ogni sforzo
per occuparla e rimanervi; ma si vede che quando essi incominciano la lotta fra
loro, i vantaggi della differenza di struttura come delle differenze
corrispondenti di abitudini e di costituzione, determinano la classificazione
di quegli abitanti che si saranno combattuti insieme più da vicino, i
quali in regola generale apparterranno a ciò che noi chiamiamo generi ed
ordini diversi.
Il medesimo principio si osserva nella naturalizzazione delle
piante per l'azione dell'uomo sulle terre lontane. Noi avremmo potuto
aspettarci che le piante che giunsero a naturalizzarsi in una regione
qualsiasi, fossero in generale strettamente affini alle piante indigene;
perchè queste sono comunemente riguardate come create e adatte in
particolare pel proprio paese. Forse potrebbe anche credersi che le piante
naturalizzate abbiano fatto parte di pochi gruppi più specialmente
adatti a certe stazioni nella nuova loro patria. Ma in realtà la
cosa è molto diversa; e Alfonso de Candolle ha osservato molto
saggiamente, nella sua opera stupenda, che le flore, proporzionalmente al
numero dei generi e delle specie native, acquistano per mezzo della naturalizzazione
più generi nuovi, che nuove specie. Diamone un solo esempio. Nell'ultima
edizione del Manual of the Flora of the Northern United States del dott.
Asa Gray si contano 260 specie di piante naturalizzate, spettanti a 162 generi.
Noi vediamo perciò che queste piante sono di natura molto diversa. Esse
differiscono inoltre per molti rapporti dalle piante indigene, perchè
sopra 162 generi naturalizzati, non meno di 100 sono estranei alle specie
indigene; onde risulta un grande aumento proporzionale nei generi endemici degli
Stati Uniti.
Se
si consideri la natura delle piante e degli animali che lottarono con successo
contro gli indigeni di un paese e che poterono riuscire a naturalizzarsi, noi
possiamo farci un'idea imperfetta del modo, secondo il quale alcune delle
specie native dovettero modificarsi, per ottenere un vantaggio sulle altre; e
noi possiamo almeno dedurne con certezza, che le diversità di struttura
che si spingono fino a nuove differenze generiche, saranno state utili a quelle
specie.
Il
vantaggio della diversità, negli abitanti d'un medesimo paese, è
in realtà uguale a quello che nasce dalla divisione fisiologica del
lavoro negli organi di uno stesso individuo; soggetto che fu trattato con tanta
chiarezza dal Milne-Edwards. Niun fisiologo dubita che uno stomaco adatto
solamente alla digestione delle sostanze vegetali, oppure delle sostanze
animali, tragga maggior copia di nutrimento da quei cibi che gli convengono.
Così nell'economia generale di un paese, quanto più largamente
diversifichino gli animali e le piante per le abitudini della vita; tanto
più grande sarà il numero degl'individui che potranno tollerarsi
a vicenda. Un certo gruppo di animali, poco differenti nella loro
organizzazione, potrebbe difficilmente competere con un altro gruppo, la cui
struttura fosse più perfettamente diversa. Può dubitarsi, per
esempio, se i marsupiali dell'Australia, i quali sono divisi in gruppi assai
poco distinti fra loro e rappresentano molto debolmente, come notarono
Waterhouse ed altri, i nostri carnivori, ruminanti e roditori, possano con
frutto sostenere la lotta contro questi ordini tanto distinti. Nei mammiferi dell'Australia
noi vediamo il processo di variazione in uno stadio incipiente ed incompleto di
sviluppo.
EFFETTI
DELL'ELEZIONE NATURALE SUI DISCENDENTI
DI UN COMUNE
PROGENITORE PER LA DIVERGENZA
DEI CARATTERI
E L'ESTINZIONE DELLE SPECIE
Per
le osservazioni precedenti, che potevano estendersi maggiormente, noi siamo in
grado di stabilire che i discendenti modificati di una specie si
moltiplicheranno meglio, quanto più siano divenuti differenti nella
struttura; e così saranno atti a subentrare nei posti occupati da altri
esseri. Ora ci sia permesso di rilevare quale sia la tendenza di questo
principio benefico, che risulta dalla divergenza del carattere, combinato coi
principii d'elezione naturale e d'estinzione.
L'unito
diagramma ci gioverà per intendere questo argomento molto difficile.
Supponiamo che le lettere da A ad L rappresentino le specie di un
genere assai ricco in un dato paese; e che queste specie si rassomiglino in
diverso grado, come generalmente si osserva nella natura e come viene
rappresentano dal diagramma, essendo le lettere situate a distanze differenti.
Io ho scelto come esempio un genere molto ricco, perchè noi vedemmo nel
secondo capo che in media variano più le specie dei generi grandi che
non quelle dei generi piccoli; e le specie variabili dei generi ricchi
presentano un maggior numero di varietà. Noi abbiamo anche notato che le
specie più comuni e più largamente diffuse variano assai
più delle specie rare in luoghi ristretti. Sia dunque A una
specie comune, molto diffusa e variabile, appartenente ad un genere ricco e
situata nel paese nativo. Il piccolo ventaglio di linee punteggiate - e
divergenti, di diversa lunghezza, che partono dal punto A, può
rappresentare la sua discendenza variabile. Queste variazioni si ritengono
estremamente piccole, ma di una natura molto diversa; nè si ammette che
esse possano manifestarsi tutte simultaneamente, ma a lunghi intervalli di
tempo; inoltre non può supporsi che durino tutte per uguali periodi. Quelle
variazioni sole che sono in qualche modo profittevoli, saranno conservate, o
scelte naturalmente. Qui fa d'uopo notare l'importanza del principio che un
vantaggio nasce dalla divergenza del carattere, poichè questo principio
generalmente condurrà alle variazioni più diverse o più
divergenti (rappresentate dalle linee punteggiate esterne), che saranno poi
conservate ed accumulate per mezzo dell'elezione naturale. Quando una linea
punteggiata incontra una delle linee orizzontali, e il punto d'incontro è
segnato con una piccola lettera numerizzata, si suppone che una
somma sufficiente di variazioni sia stata accumulata per formare una
varietà ben distinta e tale da essere particolarmente classificata in
un'opera sistematica.
Gli spazi fra le linee orizzontali del diagramma
possono rappresentare un migliaio e più di generazioni per ciascuno.
Dopo mille generazioni, si è dunque supposto, che la specie A
abbia prodotto due varietà affatto distinte, cioè a1
ed m1. Queste due varietà continueranno generalmente
ad essere esposte alle stesse condizioni che resero variabili i loro
predecessori, e la tendenza alla variabilità sarà in esse
ereditaria, quindi tenderanno a variare all'incirca nello stesso modo con cui
variarono i loro antenati. Inoltre queste due varietà, essendo soltanto
forme leggermente modificate, tenderanno ad ereditare quei vantaggi che
accrebbero il loro stipite A più di tutti gli altri abitatori del
medesimo paese; esse parimenti parteciperanno di quei vantaggi più
generali che innalzarono il genere, al quale la madre-specie apparteneva, al
grado di genere ricco nella propria regione. E noi sappiamo che queste
circostanze sono favorevoli alla produzione di nuove varietà.
Se dunque queste due varietà sono variabili, le loro
variazioni più divergenti saranno generalmente preservate per le mille
generazioni successive. Dopo questo intervallo nel diagramma si suppone che la
varietà a1 abbia dato
origine alla varietà a2, la quale, secondo il principio di divergenza, differirà
dallo stipite A più della varietà a1. Supponiamo che la varietà m1 abbia prodotto due varietà,
cioè m2 ed s2, diverse fra loro, e più
considerevolmente dissimili dal loro stipite comune A. Si potrebbe
continuare questo processo, per mezzo di una gradazione analoga, per una
lunghezza indeterminata di tempo. Alcune di queste varietà producendo
soltanto una sola varietà dopo ogni migliaio di generazioni, altre
invece dando luogo a due o tre varietà e finalmente alcune rimanendo
invariabili. Così le varietà o i discendenti modificati,
derivanti dal progenitore comune A, cresceranno di numero in generale e
divergeranno nel carattere. Sul diagramma tale processo venne seguìto
fino a diecimila generazioni; e sotto una forma più condensata e
semplificata fino a quattordicimila.
Ma
io debbo qui osservare che non credo che questo processo continui sempre, con
tutta la regolarità indicata dalla figura, benchè qualche volta
anche in questa si presenti irregolare; è invece assai più
probabile che una forma si conservi costante per lungo tempo, e poi subisca
delle nuove modificazioni. Io sono anche lontano dal pensare che costantemente
le varietà più divergenti prevalgano e si moltiplichino
costantemente: una forma intermedia può durare lungamente e può
produrre più di quel che faccia un discendente modificato; perchè
l'elezione naturale agirà sempre a norma della natura dei luoghi che
sono vuoti od imperfettamente occupati da altri esseri; e ciò deve
dipendere da rapporti infinitamente complessi. Ma in regola generale, quanto
più diversi nella struttura saranno i discendenti di ogni specie, tanto
più essi saranno adatti a collocarsi in un numero maggiore di posti, e
la loro progenie modificata sarà in grado di aumentare. Nel nostro
diagramma la linea di successione è interrotta ad intervalli regolari da
piccole lettere numerizzate che indicano essere le forme successive divenute
abbastanza distinte da doversi considerare come varietà. Ma queste
interruzioni sono ideali e potrebbero introdursi in qualsiasi altro punto, dopo
intervalli talmente lunghi da permettere l'accumulazione di un insieme
considerevole di variazioni divergenti.
Come
tutti i discendenti modificati d'una specie comune e largamente sparsa,
spettante a un genere ricco, tenderanno a partecipare degli stessi vantaggi che
assicurarono ai loro antenati il successo nella vita, essi generalmente
andranno moltiplicando in numero e insieme divergendo nel carattere; ciò
viene raffigurato nel diagramma per mezzo delle varie ramificazioni divergenti
che partono da A. La progenie modificata dei rami più recenti e
più profondamente migliorati delle linee di discendenza occuperà
il posto, come è probabile, dei rami più antichi e meno
perfezionati, e quindi li distruggerà; ciò vedesi nel diagramma
in alcune fra le ramificazioni inferiori che non raggiungono le linee orizzontali
superiori. In parecchi casi io non dubito che il processo di modificazione
sarà limitato ad una linea sola di discendenza, e che il numero dei
discendenti non si aumenterà: quantunque la somma delle modificazioni
divergenti possa essere cresciuta nelle successive generazioni. Questo caso
sarebbe rappresentato nel diagramma, se tutte le linee che partono da A
fossero, tolte, eccettuate quelle di a1 ed a10.
Così, per esempio, il cavallo da corsa ed il cane da ferma inglesi
hanno, a quanto pare, progredito ambedue, divergendo lentamente dal carattere
del loro stipite originario, senza produrre alcuna nuova ramificazione o razza.
Supponiamo
che dopo diecimila generazioni la specie A abbia dato origine a tre
forme, a10, f10, m10, le quali, essendosi allontanate nei caratteri per tutte le
generazioni successive, saranno giunte al punto da differire considerevolmente,
benchè forse inegualmente fra loro e dal loro stipite comune. Se noi
ammettiamo che la somma delle modificazioni avvenute fra ogni coppia di linee
orizzontali nel nostro diagramma sia eccessivamente piccola, queste tre forme
possono rimanere soltanto varietà ben marcate; oppure esse possono
entrare nella categoria incerta di sotto-specie; ma ci basta solamente supporre
che i gradi, nel processo di modificazione, furono nel loro insieme sì
numerosi o sì grandi da convertire queste tre forme in specie ben
definite: anche il diagramma ci spiega i gradi, pei quali le piccole differenze
che distinguono le varietà crebbero fino a raggiungere le differenze
più grandi che passano fra le specie. Continuando tale processo per
molte generazioni (come rilevasi dal diagramma, nel modo più semplice e
conciso, nella parte superiore della figura), noi otteniamo otto specie,
indicate per mezzo delle lettere da a14 ad m14, tutte
derivate da A. Io credo che le specie si siano moltiplicate in siffatto
modo, e che così formaronsi i generi.
È
probabile che in un genere ricco variino parecchie specie invece di una sola.
Nel diagramma io ho supposto che una seconda specie abbia prodotto, per mezzo
di analoghe variazioni e dopo diecimila generazioni, o due varietà bene
distinte (w10 e z10), o due specie, secondo l'importanza
delle mutazioni che si suppone siano rappresentate fra le linee orizzontali.
Dopo quattordicimila generazioni si saranno formate sei specie nuove, designate
dalle lettere n14 a z14. Le specie di un genere, le quali
sono estremamente diverse nei caratteri, tenderanno in generale a produrre il
massimo numero di discendenti modificati; perchè questi avranno una
probabilità maggiore di occupare nuovi posti nella economia della
natura, anche se affatto diversi: quindi io scelsi nel diagramma le specie
estreme o quasi estreme A ed I, come quelle che variarono
maggiormente e diedero origine a nuove varietà o a nuove specie. Le nove
altre specie del nostro genere originario (segnate con lettere maiuscole B-H,
K, L) possono continuare per un lungo periodo a trasmettere una
discendenza inalterata; ed è ciò che viene indicato dal diagramma
nelle rette punteggiate che sono prolungate superiormente a diversa altezza.
Ma
durante il processo di modificazione, quale è delineato nel diagramma,
un altro dei nostri principii, e precisamente quello dell'estinzione,
avrà avuto una parte importante. Siccome in ogni paese ampiamente
popolato l'elezione naturale agisce necessariamente per mezzo di quelle forme
preservate che hanno qualche vantaggio sulle altre forme nella lotta per
l'esistenza, così vi sarà una tendenza costante nei discendenti
perfezionati di qualsiasi specie a soppiantare e distruggere, in ogni stadio
genealogico, i loro predecessori ed i loro antenati originari. Poichè fa
d'uopo ricordare che la lotta è in generale tanto più severa,
quanto più le forme sono strettamente affini nelle abitudini, nella
costituzione e nella struttura. Perciò tutte le forme intermedie fra le
primitive e le più recenti, cioè fra lo stato meno perfetto e
quello più perfetto di una specie, non altrimenti che la stessa
madre-specie originale, tenderanno in generale ad estinguersi. Probabilmente
ciò avviene anche di molte linee collaterali di discendenti che
rimarranno vinte da classi più recenti e più perfette. Tuttavia
se la posterità modificata di una specie occupa qualche distinta
regione, e diviene presto atta a sopportare un soggiorno affatto nuovo, nel
quale gli antenati e la prole non entrano in lotta fra loro, potranno entrambi
continuare ad esistervi.
Se dunque il
nostro diagramma viene preso come l'espressione di un grande insieme di
modificazioni, la specie A e tutte le antiche varietà si saranno
estinte successivamente, e saranno state rimpiazzate da otto nuove specie (a14
ad m14) e alla specie I si saranno sostituite le sei
altre specie (n14 a z14).
Ma noi
possiamo procedere più oltre. Abbiamo supposto che le specie originali
del nostro, genere si rassomigliassero in diverso grado, come generalmente si
osserva nella natura. La specie A sarebbe più strettamente affine
alle specie B, C e D che alle altre specie; e la specie I
sarebbe più affine alle specie G, H, K ed L che alle
altre. Noi abbiamo anche immaginato che queste due specie A ed I fossero
le più comuni e le più diffuse, cosicchè esse debbono aver
presentato in origine qualche vantaggio sopra tutte le altre specie del
medesimo genere. Ora i loro discendenti modificati, nel numero di quattordici
dopo quattordicimila generazioni, avranno probabilmente ereditato alcuni di
questi vantaggi: e quindi saranno stati modificati e perfezionati in una
diversa maniera, ad ogni stadio della discendenza, fino a divenire adatti alle
situazioni più differenti nella naturale economia della loro regione.
Perciò sembra estremamente probabile ch'esse abbiano preso il posto, non
solo delle loro madri-specie A ed I, ma anche di alcune delle
specie originali più affini a queste e le abbiano così
esterminate. Quindi pochissime specie originali avranno trasmesso la loro
progenie fino alla quattordicimillesima generazione. Noi possiamo supporre che
una sola specie F, come la meno strettamente affine alle altre nove
specie originali, abbia conservato i suoi discendenti fino a quest'epoca
lontana.
Le
nuove specie derivate nel nostro diagramma da undici specie originali,
sarebbero divenute quindici. In seguito alla tendenza divergente della elezione
naturale, l'intera somma delle differenze caratteristiche fra le specie a14
e z14 sarà assai più grande di quella che
passava fra le più distinte delle undici specie originali. Inoltre le
nuove specie saranno tra loro affini in grado diverso. Fra gli otto discendenti
di A le specie a14, g14 e p14
sarebbero vicinissime, essendo derivate recentemente dalle specie a10,
b14 ed f14, avendo cominciato a divergere
da a5 in un periodo più antico, sarebbero di qualche
grado più distinte dalle tre specie predette; e da ultimo o14,
e14 ed m14 sarebbero strettamente affini
fra loro; ma essendosi esse allontanate fino dal principio del processo di
modificazione dalle forme originali, saranno più completamente
differenti dalle altre cinque specie e potrebbero costituire un sotto-genere o
anche un genere distinto.
I sei
discendenti della specie I formerebbero pure due sotto-generi od anche
due generi. Ma siccome la specie originale I differiva molto dalla
specie A, trovandosi le medesime quasi agli estremi punti del genere
primitivo, così i sei discendenti di I, per la sola legge dell'eredità,
saranno assai diversi dagli otto discendenti di A; inoltre fu supposto
che i due gruppi abbiano sempre continuato a divergere in direzioni diverse.
Anche le specie intermedie che collegavano le specie originali A ed I
saranno rimaste estinte e non avranno lasciato alcun discendente, eccettuata la
specie F; e questa considerazione è della massima importanza.
Quindi le sei nuove specie derivanti da I e le otto specie derivanti da A,
sarebbero classificate come due generi distintissimi ed anche come due
sotto-famiglie distinte.
In questo
modo io credo che due o più generi possano formarsi per mezzo della
progenie modificata di due o più specie di uno stesso genere. E
può ritenersi che due o più madri-specie partano da una qualche
specie d'un genere più antico. Nel nostro diagramma indichiamo
ciò colle linee interrotte che sono al disotto delle lettere maiuscole A
ad L, convergenti al basso verso un solo punto. Questo punto rappresenta
una sola specie, la supposta madre-specie dei nostri nuovi sotto-generi e
generi.
Ora,
arrestiamoci un momento a considerare il carattere della nuova specie f14,
che noi supponemmo non essersi molto scostata dalla forma F, anzi
dicemmo aver conservato quella forma inalterata, o almeno modificata
insensibilmente. Le sue affinità colle altre quattordici specie nuove
saranno molto curiose e complicate. Derivando da una forma collocata fra le due
madri-specie A ed I, da noi supposte estinte o non conosciute,
essa si troverà in qualche rapporto intermedio pel carattere fra i due
gruppi che discesero da quelle due specie. Ma questi due gruppi andarono
divergendo nel carattere dal tipo dei loro antenati e perciò la nuova
specie f14 non sarà direttamente intermedia fra
essi, ma piuttosto lo sarà fra i tipi dei due gruppi; ed ogni
naturalista sarà capace d'immaginare un esempio di questa sorta.
Nel diagramma
si sono presi gli spazi fra le linee orizzontali per rappresentare ogni
migliaio di generazioni, ma ognuno di essi potrebbe invece rappresentare un
milione o cento milioni di generazioni; e parimenti potrebbe considerarsi come
una sezione degli strati successivi della crosta terrestre comprendenti i
fossili di specie estinte. Noi dovremo ritornare su questo argomento quando
giungeremo al nostro capitolo della Geologia, ed allora noi vedremo che il
diagramma può illuminarci sulle affinità degli esseri estinti, i quali
hanno spesso in certo grado caratteri intermedi fra i gruppi esistenti,
quantunque appartengano generalmente ai medesimi ordini, alle medesime famiglie
o ai medesimi generi di quelli che vivono al presente; e noi possiamo intendere
questo fatto, perchè le specie estinte vissero in epoche molto remote,
quando le diramazioni della progenie erano meno divergenti.
Io
non trovo alcun motivo plausibile di restringere codesto processo di
modificazione, come venne da me spiegato, alla sola formazione dei generi. Se
nel nostro diagramma immaginiamo che la somma delle variazioni rappresentate da
ogni gruppo successivo di rette punteggiate e divergenti sia molto grande, le
forme segnate da a14 a p14, da b14
a f14 e da o14 ad m14
ci daranno tre generi affatto distinti. Avremo perciò due generi
distinti provenienti da I, e siccome questi ultimi generi differiranno
compiutamente dai tre generi che derivarono da A, vuoi per la continua
divergenza nei caratteri, vuoi per l'eredità di tipi diversi;
così i due piccoli gruppi di generi formeranno due famiglie distinte, od
anche due ordini, secondo l'insieme delle modificazioni divergenti che si
attribuiscono agli intervalli fra le linee orizzontali del diagramma. Le due
nuove famiglie, o i due nuovi ordini saranno derivati da due specie del genere
originale; come pure queste due madri-specie potranno ritenersi come
discendenti da una specie di un genere anche più antico ed ignoto.
Fu da me
notato che in ogni regione le specie dei generi molto ricchi sono quelle che
presentano più spesso delle varietà o specie incipienti. Ora
ciò avrebbe in verità potuto prevedersi: perchè l'elezione
naturale agisce per mezzo di una forma che possiede qualche vantaggio sulle
altre, nella lotta per l'esistenza: ed agirà quindi preferibilmente su
quelle forme che hanno già qualche circostanza utile; ora la ricchezza
di un gruppo dimostra che tutte le sue specie ereditarono dallo stipite comune
qualche vantaggio. Quindi la lotta per la produzione di nuovi discendenti
modificati, avrà luogo principalmente nei gruppi più vasti, che
tendono ad aumentare di numero. Un gruppo molto ricco deve lentamente
conquidere un altro gruppo esteso, diminuirne il numero e minorare così
la probabilità ch'esso aveva di ulteriori variazioni o perfezionamenti. Entro
un medesimo gruppo ricco, i sotto-gruppi più recenti e più
altamente migliorati colla divergenza, occupando molti posti disponibili
nell'economia della natura, tenderanno costantemente a soppiantare e
distruggere i sotto-gruppi più antichi e meno perfezionati. Così
i gruppi e sottogruppi piccoli ed interrotti dovranno infine scomparire. Se
consideriamo l'avvenire, noi possiamo predire che i gruppi degli esseri
organizzati che oggidì sono più ricchi e dominanti e che sono
meno interrotti, cioè che ebbero a soffrire un minor numero di
estinzioni, continueranno ad aumentare per lungo tempo. Ma niuno potrebbe
prevedere quali gruppi siano per prevalere da ultimo; perchè noi
sappiamo che molti gruppi, anticamente assai sviluppati, oggi si trovano
estinti. Guardando molto più innanzi nell'avvenire, noi possiamo predire
che, dietro l'accrescimento continuo e rapido dei gruppi più ricchi,
molti gruppi minori si estingueranno completamente e non lasceranno alcun
discendente modificato; e per conseguenza che delle specie viventi a un dato
periodo, assai poche trasmetteranno la loro discendenza a un'epoca molto
remota. Io tratterò di nuovo questo soggetto nel capitolo sulla
Classificazione, ma debbo aggiungere che si può
comprendere, come oggi non esistano se non pochissime classi in ogni divisione
dei regni animale e vegetale, quando si pensi che uno scarsissimo numero delle
specie più antiche trasmisero la loro progenie fino a noi, e che tutti i
discendenti di una medesima specie formano una classe. Quantunque assai poche
fra le più antiche specie siano oggi rappresentate dai loro discendenti
modificati, tuttavia, fino da epoche geologiche remote, la terra può
essere stata popolata da molte specie di molti generi, famiglie, ordini e
classi come al presente.
SINO A CHE PUNTO
L'ORGANIZZAZIONE TENDA A PROGREDIRE
L'elezione
naturale agisce esclusivamente per mezzo della conservazione ed accumulazione
delle variazioni utili, nelle condizioni organiche ed inorganiche della vita,
alle quali ogni creatura trovasi esposta ad ogni periodo successivo. Il
risultato finale sarà che ogni creatura tenderà a divenire sempre
più perfetta, in relazione alle sue condizioni di vita. Ora questo
perfezionamento deve, a mio avviso, condurre inevitabilmente all'avanzamento
graduale dell'organizzazione di un gran numero di esseri viventi alla
superficie della terra. Ma qui noi entriamo in un soggetto molto intricato,
perchè i naturalisti non hanno ancora definito, con soddisfazione di
tutti, che cosa s'intenda per progresso nell'organizzazione. Nei vertebrati il
grado d'intelligenza e le rassomiglianze nella struttura a quella dell'uomo
evidentemente entrano in giuoco. Può darsi che l'insieme delle
variazioni che subirono le diverse parti e gli organi nel loro sviluppo, dall'embrione
allo stato adulto, bastino come termine di confronto; ma abbiamo dei casi, come
in certi crostacei parassiti, nei quali alcune parti della struttura sono
deteriorate e perfino mostruose, per cui l'animale adulto non può dirsi
più elevato della sua larva. La norma di Von Baer mi sembra la migliore
e la più applicabile ampiamente, cioè quella che consiste nel
valutare l'insieme delle differenze nelle varie parti (aggiungerei, nello stato
adulto) e la loro specialità per funzioni diverse; ovvero seguendo
l'espressione di Milne-Edwards, la più completa divisione del lavoro
fisiologico. Ma noi dobbiamo riconoscere quanto sia oscuro questo soggetto,
quando consideriamo che nei pesci, per modo d'esempio, alcuni naturalisti
collocano nell'ordine più elevato quelli che, come gli squali, si
approssimano maggiormente ai rettili; mentre altri naturalisti vi collocano i
pesci ossei comuni o teleostei, perchè sono più strettamente
conformi al tipo di pesce, e differiscono maggiormente dalle altre classi dei vertebrati.
L'oscurità dell'argomento ci si appalesa più evidente riguardo
alle piante, in cui la norma dell'intelligenza, che ordinariamente ci serve di
guida, rimane affatto esclusa; quindi alcuni botanici assegnano il posto
più alto nella classificazione a quelle piante che hanno tutti gli
organi del fiore, cioè i sepali, petali, stami e pistilli, pienamente
sviluppati; al contrario altri botanici, probabilmente con maggior fondamento,
considerano appartenere all'ordine più elevato quelle piante che hanno i
loro diversi organi più modificati e ridotti di numero.
Se noi riflettiamo che l'indizio migliore della
superiorità della organizzazione sta nella diversità e nella
specialità dei vari organi di ogni essere adulto (e ciò include
il progresso del cervello nelle operazioni intellettuali), vediamo che
l'elezione naturale tende manifestamente ad elevare l'organizzazione;
perchè tutti i fisiologi ammettono che la specialità degli
organi, permettendo che meglio adempiano le loro funzioni, è utile ad ogni
essere; e quindi l'accumulazione delle variazioni tendenti a separare le
funzioni contribuisce all'elezione naturale. D'altra parte, considerando che
tutti gli esseri organizzati tendono a crescere in una forte proporzione e
cercano di impadronirsi di ogni posto imperfettamente occupato nell'economia
della natura, noi possiamo ammettere la possibilità dell'ipotesi che un
essere organizzato si adatti per l'elezione naturale ad una situazione in cui
parecchi organi divengano superflui ed inutili: in tal caso si avrebbe un
regresso nella scala dell'organizzazione. Noi discuteremo più
convenientemente nel capo della Successione geologica se l'organizzazione, nel
suo complesso, abbia effettivamente progredito dai più antichi periodi
geologici fino ai nostri giorni.
Ma qui può obbiettarsi, come avvenga che esistano
ancora sul globo tante forme inferiori, se tutti gli esseri organizzati tendono
così a salire nella scala naturale, e per qual motivo in ogni classe
grande alcune forme siano molto più sviluppate di altre. Come mai le
forme più altamente sviluppate non soppiantarono ed esterminarono
ovunque le forme inferiori? Lamarck, che ammetteva in tutti gli esseri
organizzati una tendenza innata ed inevitabile alla perfezione, pare abbia
sentito così fortemente questa difficoltà, che fu indotto a
supporre che forme nuove e semplici vadano continuamente nascendo per mezzo
della generazione spontanea. Appena mi occorre dire che la scienza nell'odierno
stato non presta alcun appoggio all'opinione che esseri viventi siano
attualmente generati dalla materia inorganica. Colla mia teoria l'esistenza
presente di produzioni di bassa organizzazione non offre difficoltà;
perchè l'elezione naturale non implica alcuna legge necessaria ed
universale di progresso o di sviluppo; essa trae profitto solo dalle variazioni
che si presentano e che sono benefiche ad ogni creatura, nelle sue complesse
relazioni di esistenza. Ora, per quanto ci è dato conoscere, quale
vantaggio potrebbe essere per un animaletto infusorio, per un verme
intestinale, od anche per un verme di terra il possedere un'organizzazione
elevata? Se ciò non fosse utile, queste forme non sarebbero perfezionate
dall'elezione naturale, ovvero il perfezionamento sarebbe assai lieve; ed esse
rimarrebbero indefinitamente nella presente loro condizione poco avanzata.
Infatti la geologia c'insegna che alcune delle forme inferiori, come
gl'infusorii e i rizopodi hanno conservato per epoche lunghissime a un
dippresso il loro stato attuale. Ma sarebbe poco prudente il supporre che la
maggior parte delle molte forme inferiori, oggi esistenti, non abbiano
progredito per nulla dal primo giorno della loro vita; perchè ogni
naturalista che ha notomizzato alcuni degli esseri, oggi collocati agli ultimi
gradi della scala animale, dovette rimanere colpito dalla loro bella e
veramente prodigiosa organizzazione.
Osservazioni
analoghe potrebbero farsi nel considerare le grandi differenze esistenti nei
gradi dell'organizzazione, differenze che si incontrano in quasi tutti i grandi
gruppi; per esempio, la coesistenza dei mammiferi e dei pesci nei vertebrati;
quella dell'uomo e dell'ornitorinco nei mammiferi, ovvero quella del pescecane
e dell'amphioxus nei pesci; mentre quest'ultimo, nell'estrema
semplicità della sua struttura, si approssima grandemente alla classe
degl'invertebrati. Ma i mammiferi e i pesci entrano difficilmente in
concorrenza fra loro: e il progresso di certi mammiferi o dell'intera classe
dei medesimi fino al più alto grado dell'organizzazione, non potrebbe
condurli ad occupare il posto dei pesci e ad esterminarli. I fisiologi credono
che il cervello debba essere bagnato di sangue caldo per spiegare
tutta la sua attività, e ciò esige una respirazione aerea;
cosicchè i mammiferi, essendo dotati di sangue caldo, quando abitano
nell'acqua, soggiacciono a parecchi svantaggi in confronto ai pesci Nella
classe dei pesci la famiglia degli squali non tenderà probabilmente a
distruggere l'amphioxus, il quale, come mi disse Fritz Müller,
sulla spiaggia sterile e sabbionosa del Brasile
meridionale ha per unico compagno e competitore un anellide anomalo. I tre
ultimi ordini dei mammiferi, cioè i marsupiali, gli sdentati e i
roditori, esistono nell'America meridionale nella medesima regione con molte
scimmie, e probabilmente hanno alcune relazioni fra loro. Perciò l'organizzazione,
benchè sia progredita e progredisca tuttora sul globo nel suo insieme,
nondimeno la scala presenterà sempre tutti i gradi di perfezione.
Perchè il grande avanzamento di certe classi intere, o di certi
individui di ogni classe, non conduce necessariamente all'estinzione di quei
gruppi coi quali essi non sostengono una lotta ostinata. In certi casi, come
vedremo, le forme organizzate inferiori sembra siano state preservate fino al
presente, per avere abitato luoghi particolari od isolati, ove ebbero a
soffrire una concorrenza meno severa, e si trovarono in piccolo numero,
locchè fece ritardare la produzione probabile di variazioni favorevoli.
Finalmente io penso che le forme inferiori oggi esistano
numerose sul globo e quasi in ogni classe, per diverse cagioni. In alcuni casi
le variazioni favorevoli, per le quali l'elezione naturale si esercita e che si
accumulano, possono non essersi mai manifestate. In nessun caso forse il tempo
fu sufficiente per arrivare alla maggior somma possibile di sviluppo. In altri
pochi casi può essere avvenuto ciò che noi dobbiamo chiamare un
regresso dell'organizzazione. Ma la cagione precipua sta nella circostanza che
un'organizzazione elevata non sarebbe utile in condizioni di vita veramente
semplici, anzi potrebbe riescire effettivamente dannosa, perchè di
un'indole più delicata e più sensibile a' disordini e alle
offese.
Risalendo alla origine della vita, quando tutti gli esseri
organizzati, come noi possiamo immaginarlo, presentavano la struttura
più semplice, come poterono avvenire quei primi gradi nell'avanzamento o
nella differenziazione e separazione degli organi? Herbert Spencer
risponderebbe probabilmente, che appena gli organismi semplici unicellulari per
accrescimento o divisione fossero divenuti multicellulari o si fossero fissati
sopra una superficie, la sua legge sarebbe entrata in vigore, che cioè
«le unità omologhe subiscono un differenziamento proporzionato
alla diversità delle forze che su di esse agiscono», Ma non avendo alcun
fatto che ci guidi, ogni speculazione su questo soggetto sarà affatto
inutile. Pure sarebbe un errore il credere che non si esercitasse la lotta per
l'esistenza e non agisse quindi l'elezione naturale, prima che si producessero
molte e svariate forme. Anche le variazioni di una sola specie, posta in una
località isolata, potrebbero esserle vantaggiose, e colla loro
conservazione l'intera massa degli individui si troverebbe modificata, oppure
ne deriverebbero due forme distinte. Ma, come osservai verso la fine dell'Introduzione,
niuno deve meravigliarsi che molte cose rimangano oscure sull'origine delle
specie, quando si rifletta alla nostra profonda ignoranza sulle mutue relazioni
degli abitanti del globo nelle molte epoche trascorse della loro storia.
CONVERGENZA
DEI CARATTERI
Il
Watson crede ch'io abbia attribuito eccessiva importanza al principio della
divergenza dei caratteri (il quale però è anche da lui
accettato), e dice che si debba tener conto anche di ciò che può
chiamarsi convergenza dei caratteri. Se due specie, appartenenti a due generi
diversi ma affini, producano un certo numero di nuove specie divergenti,
può immaginarsi che si debbano poi riunire nello stesso genere,
cosicchè i discendenti di due generi diversi convergerebbero in uno
solo. Ma sarebbe generalmente un giudizio molto avventato, se si attribuisse
alla predetta convergenza una grande e generale somiglianza nella costruzione
di discendenti modificati di forme tra loro molto distanti. La forma di un
cristallo è determinata unicamente dalle forze molecolari, e non
v'è nulla di sorprendente nel fatto che sostanze dissimili assumono
talvolta la medesima forma; ma non devesi dimenticare che la forma di un essere
organico dipende da un'infinita quantità di rapporti complessi; e
cioè dalle variazioni avvenute, determinate alla lor volta da cause
troppo complicate perchè si possano qui seguire in dettaglio, dalla
natura delle variazioni che furono conservate e prescelte, a seconda delle
condizioni fisiche, e più ancora degli organismi circostanti con cui
lotta ogni essere, e finalmente dall'eredità (elemento già di per
sè fluttuante) avuta, da un grande numero di avi, le cui forme furono
anch'esse determinate da rapporti complessi. È incredibile che i
discendenti di due organismi, i quali originariamente differivano notevolmente
tra loro, convergano più tardi in guisa da essere nell'organizzazione
pressochè identici. Se ciò fosse avvenuto, noi avremmo incontrato
la medesima forma in periodi geologici assai diversi, indipendentemente da ogni
nesso genetico; ma i fatti contraddicono a tale congettura.
Il
Watson opponeva ancora che l'azione continua della elezione naturale, con
divergenza di carattere, tenderebbe a produrre un numero indefinito di forme
specifiche. Per quanto si attiene alle condizioni puramente inorganiche, sembra
probabile che un sufficiente numero di specie si adatterebbe a tutte le
diversità considerevoli di calore, di umidità, ecc.; ma io
ammetto completamente che le mutue relazioni degli esseri organizzati siano
assai più importanti; e alimentandosi il numero delle specie in ogni
paese, le condizioni di vita si renderanno sempre più complesse.
Conseguentemente non pare, a primo aspetto, che esistano limiti all'insieme
delle variazioni di struttura profittevoli e quindi al numero delle specie che
possono formarsi. Noi anzi ignoriamo se la regione più prolifica
contenga il massimo numero di forme specifiche: così al Capo di Buona
Speranza ed in Australia, ove si riunisce uno straordinario numero di specie,
molte piante europee furono naturalizzate. Ma la geologia ci mostra, almeno per
tutto l'immenso periodo terziario, che il numero delle specie dei molluschi, e
probabilmente dei mammiferi, non è aumentato molto, o rimase costante.
Quali sono dunque gli ostacoli che si oppongono allo indefinito aumento nel
numero delle specie? La somma totale di vita (non intendo parlare del numero
delle forme specifiche), che può sostenersi in una data regione, deve
avere un limite, dipendente in gran parte dalle condizioni fisiche; quindi se
un'area è abitata da molte specie, tutte o quasi tutte sarebbero
rappresentate da pochi individui e sarebbero esposte alla distruzione, per le
accidentali alternative della natura delle stagioni o nel numero dei loro
nemici. Il processo di esterminio in tal caso sarebbe rapido, mentre sarebbe
molto lenta la produzione di nuove specie. Si immagini il caso estremo, in cui
l'Inghilterra contenesse tante specie di quanti sono gli individui di esse;
allora nel primo inverno rigoroso o nell'estate più secca, migliaia e
migliaia di queste specie rimarrebbero estinte. Le specie rare (ed ogni specie
diverrebbe rara, se in una regione il numero delle specie crescesse
all'infinito), presenterebbero in un determinato periodo poche variazioni
favorevoli, pel principio, già da noi svolto; conseguentemente il
processo di produzione di nuove forme specifiche sarebbe ritardato. Quando una
specie si fa molto rara, gli incrociamenti fra individui molto affini
contribuiranno a distruggerla; almeno alcuni autori hanno pensato che
ciò abbia influito sull'estinzione dell'uro in Lituania, del cervo rosso
in Scozia, dell'orso in Norvegia, ecc. Da ultimo, una specie dominante, che ha
già vinto molti competitori nel proprio paese, tenderà a
propagarsi e a soppiantarne molti altri; ed io sto per credere che questo sia
un elemento importantissimo. Alfonso De Candolle ha dimostrato che quelle
specie che si diffondono più ampiamente tendono in generale ad
estendersi vieppiù; e quindi esse tenderanno a distruggere parecchie
atre specie in certi luoghi, ed impediranno così il disordinato
accrescimento delle forme specifiche sulla terra. Hooker ha notato recentemente
che nell'angolo sud-est dell'Australia, ove trovansi molti invasori venuti da
varie parti del mondo, le specie indigene diminuirono assai di numero. Io non pretendo
decidere qual peso debba darsi a tutte queste considerazioni; ma esse
simultaneamente debbono limitare in ogni regione la tendenza all'aumento
indefinito delle forme specifiche.
SOMMARIO DEL
CAPITOLO
Se
gli esseri organizzati variano nelle diverse parti della loro organizzazione,
durante il lungo corso dei tempi e sotto condizioni variabili di vita, e io
penso che ciò non potrebbe impugnarsi; se essi hanno a sostenere, dietro
la forte proporzione geometrica dell'aumento di ciascuna specie, una severa
lotta per la vita, in qualche periodo della loro età e in certi anni o
in certe stagioni, e questo per fermo non può mettersi in dubbio; se da
ultimo considerasi la complicazione infinita delle relazioni di tutti gli
esseri organizzati fra loro e colle loro condizioni di vita, relazioni che
producono infinite varietà di adatte strutture, di costituzioni e di
abitudini, e riescono perciò vantaggiose; sarebbe certamente un fatto
molto straordinario che nessuna variazione sia avvenuta mai utile alla prosperità
di essi, nello stesso modo, con cui si manifestarono le variazioni favorevoli
all'uomo. Ora se produconsi variazioni utili ad un essere organizzato,
certamente gli individui così caratterizzati avranno maggior
probabilità di essere preservati nella lotta per la vita, e in seguito
al forte principio dell'ereditabilità, tenderanno a generare una prole
dotata di caratteri simili. Questo principio di conservazione, per amore di
brevità, fu da me chiamato Elezione naturale, o sopravvivenza del
più adatto. Questa elezione conduce al perfezionamento di ogni creatura,
in relazione alle sue condizioni organiche ed inorganiche di vita: e quindi,
generalmente, a ciò che deve riguardarsi come un avanzamento nella
organizzazione. Tuttavia le forme inferiori e semplici possono durare
lungamente, se siano opportunamente adatte alle loro semplici condizioni di
vita.
La elezione
naturale può modificare l'uovo, il seme o la prole colla stessa
facilità come l'adulto, pel principio delle qualità che si
ereditano in una età corrispondente. In molti animali poi l'elezione
sessuale verrà in aiuto all'elezione ordinaria, assicurando ai maschi
più vigorosi o meglio adatti il maggior numero di figli. La elezione
sessuale deve anche dare origine a caratteri utili ai soli maschi, nella loro
lotta contro altri maschi, e questi caratteri vengono trasmessi ad un solo
sesso o ad ambedue i sessi, secondo la forma predominante di
ereditabilità.
Che
l'elezione naturale abbia in realtà agito per tal modo nella natura,
modificando e adattando le diverse forme di vita alle loro varie condizioni e
alle loro località, potrà giudicarsi dal tenore generale e dalle
argomentazioni dei capi seguenti. Ma noi vediamo a quest'ora com'essa cagioni
anche estinzione; e la geologia dimostra apertamente quanto ampia sia stata
l'opera dell'estinzione nella storia del globo. L'elezione naturale inoltre fa
nascere la divergenza del carattere; perchè quanto più gli esseri
organizzati divergono nella struttura, nelle abitudini e nella costituzione,
maggiore ne sarà il numero nella medesima regione. Noi abbiamo una prova
di ciò negli abitatori di ogni piccolo distretto, o nelle produzioni
naturalizzate. Quindi durante la modificazione dei discendenti di ogni specie,
e durante la continua lotta di tutte le specie per aumentare il numero degli
individui, i discendenti più diversificati avranno una maggiore
probabilità di succedere agli altri nella lotta per l'esistenza.
Così le piccole differenze che passano fra le varietà di una
medesima specie, tendono costantemente ad accrescersi, fino ad uguagliare le
differenze più grandi fra le specie di uno stesso genere od anche di
generi distinti.
Noi
abbiamo veduto che le specie più variabili sono le comuni, le più
diffuse e numerose, quelle che appartengono ai generi più ricchi di ogni
classe; e queste hanno la tendenza di trasmettere alla loro prole modificata
quella superiorità che le rese dominanti nella loro patria. L'elezione
naturale, come notammo, conduce alla divergenza di carattere e alle molte
estinzioni delle forme di vita meno perfette ed intermedie. Con questi
principii possono spiegarsi la natura delle affinità e le distinzioni in
generale ben definite degl'innumerevoli esseri organizzati in ogni classe esistenti sulla terra. È un fatto veramente
prodigioso - l'importanza del quale non suole colpirci, perchè ci
è famigliare - che tutti gli animali e tutte le piante, in ogni
tempo e luogo, siano in rapporti scambievoli, formando gruppi subordinati ad
altri gruppi, come noi osserviamo in ogni luogo; che le varietà di una
medesima specie siano collegate strettamente fra loro, le specie di un medesimo
genere in rapporti meno stretti e disuguali, che possono costituire delle
sezioni o sotto-generi; vediamo le specie di un genere distinto essere anche
meno affini, e i generi paragonati sotto diversi aspetti formare le
sotto-famiglie, le famiglie, gli ordini, le sottoclassi e le classi. I gruppi
subordinati in ogni classe non possono disporsi in una sola linea, ma piuttosto
sembrano raccolti intorno a diversi punti, e questi intorno ad altri, e
così via via in cicli quasi infiniti. Partendo dall'ipotesi che ogni
specie sia stata creata indipendentemente, io non saprei trovare la spiegazione
di questo gran fatto nella classificazione di tutti gli esseri organizzati; ma
per quanto posso giudicare, ciò viene chiarito per mezzo
dell'ereditabilità e dell'azione complessa della elezione naturale, che
implica la estinzione e la divergenza del carattere, come abbiamo dimostrato
nel diagramma.
Le
affinità di tutti gli esseri di una stessa classe vennero talvolta
rappresentate con la figura di un grande albero. Io credo che questa
similitudine esprima esattamente la verità. I germogli verdi che
producono gemme possono raffigurare le specie esistenti, e quelli che furono
prodotti in ogni annata precedente possono rappresentare la lunga successione
delle specie estinte. Ad ogni periodo di vegetazione tutti i germogli hanno
tentato di estendersi da ogni parte e di sorpassare e distruggere i germogli e
i rami vicini: nella stessa guisa che le specie e i gruppi delle specie
cercarono di dominare le altre specie nella grande battaglia della vita. I rami
grossi divisi in ramificazioni, e queste suddivise in rami sempre minori,
furono anch'essi semplici germogli quando l'albero era piccolo; e questa
connessione fra gli antichi e i recenti germogli, per ramificazioni successive,
può darci una chiara idea della classificazione di tutte le specie
estinte e viventi in gruppi subordinati ad altri gruppi. Dei molti ramoscelli
che vegetavano, quando l'albero era un semplice arbusto, soltanto due o tre,
ora divenuti grandi rami, sopravvissero e portano tutti gli altri rami;
così fra le specie che vissero nelle remotissime epoche geologiche,
assai poche hanno nell'epoca attuale qualche discendente vivente e modificato.
Dal primo svilupparsi dell'albero molti rami si
disseccarono e caddero; questi rami perduti in diversi punti rappresentano
tutti quegli ordini, quelle famiglie e quei generi che oggi non esistono, ma
che sappiamo furono trovati in uno stato fossile. E come noi vediamo qua e
là spuntare un ramoscello fragile e sottile da qualche nodo inferiore di
un albero, e arrivare al suo maggiore sviluppo, quando sia favorito da
condizioni opportune, così noi vediamo accidentalmente un animale, come
l'ornitorinco o la lepidosirena, che in qualche piccolo rapporto collega per
mezzo delle sue unità due vasti rami della vita, e che apparentemente fu
sottratto alla lotta fatale, per avere dimorato in una località
protetta. Come le gemme sviluppandosi danno origine a nuove gemme, e come
queste, quando sono vigorose, vegetano con forza e soffocano da tutte le parti
molti ranni più deboli, altrettanto io credo che, per mezzo della
generazione, sia avvenuto del grande albero della vita, il quale ricopre co' suoi
rami morti ed infranti la crosta del globo e ne veste la superficie con le sue
ramificazioni sempre nuove e leggiadre.
CAPO V
LEGGI DELLE VARIAZIONI
Effetti delle condizioni esterne - Uso e non-uso
degli organi combinato coll'elezione naturale; organi del volo e della vista - Acclimazione - Correlazione di sviluppo -
Compensazione ed economia di sviluppo - False correlazioni - Le strutture
multiple, rudimentali ed inferiori sono variabili - Le parti sviluppate in modo
insolito sono assai variabili: i caratteri speciali sono più variabili
dei caratteri generici: i caratteri sessuali secondari sono variabili - Le
specie di un medesimo genere variano analogamente - Riversioni a caratteri
molto antichi - Sommario.
Io ho parlato talvolta delle variazioni, che sono tanto comuni
e diverse negli organismi allo stato di coltura ed alquanto meno frequenti allo
stato naturale, come se fossero prodotte dal caso. Questa espressione
evidentemente non è corretta, ma serve a manifestare la nostra completa
ignoranza intorno alle cause delle singole variazioni. Alcuni autori credono
che il produrre differenze individuali o leggere variazioni di struttura sia
non meno una funzione del sistema riproduttivo, come di formare il figlio
simile ai genitori. Ma il fatto che tanto le variazioni come le
mostruosità sono più frequenti negli organismi soggetti alla
domesticità che in quelli viventi allo stato di natura, e che le specie
di vasta distribuzione sono più variabili delle meno diffuse, mi fa
ritenere che la variabilità sia in stretto rapporto colle condizioni di
vita, cui una specie è stata esposta per molte generazioni. Io ho
cercato di dimostrare nel primo capitolo che il cambiamento delle condizioni
agisce in due modi, sia direttamente sull'intero organismo o su certe parti,
sia indirettamente sul sistema riproduttivo. In ambedue i casi i fattori sono
due; la natura cioè dell'organismo, che è di gran lunga la
più importante, e la natura delle condizioni. L'azione diretta delle
cambiate condizioni conduce a risultati definiti o indefiniti. In quest'ultimo
caso l'organizzazione sembra essersi fatta plastica, e troviamo una grande
variabilità fluttuante; nel primo caso la natura dell'organismo è
tale che, assoggettata a determinate condizioni, cede facilmente, e tutti o
quasi tutti gli individui sono modificati nello stesso modo.
È assai difficile constatare quale influenza abbiano
precisamente le differenze delle condizioni esterne, come il clima, il
nutrimento, ecc. Ma noi possiamo concludere con piena fiducia, che gli
innumerevoli e complessi adattamenti di struttura, che offrono i diversi
organismi, non sono un semplice effetto di tale causa. Nei casi seguenti le
condizioni di vita sembrano aver prodotto un insignificante effetto definito.
Edoardo Forbes ci attesta che le conchiglie, al limite meridionale della loro
patria e quando abitano acque poco profonde, acquistano colori più
brillanti di quelli che presentano gli individui della medesima specie che
trovansi in distretti più settentrionali o a maggiori profondità.
Ma certamente questa regola non si verifica in tutti i casi. Gould crede che
gli uccelli della stessa specie abbiano piume di colori più vivi sotto
un'atmosfera limpida che quando abitano sulle isole o presso le coste. Anche il
Wollaston è convinto che la dimora in prossimità del mare
influisca sul colore degli insetti. E Moquin Tandon dà una lista di
piante, le quali in riva al mare acquistano foglie più o meno carnose,
mentre non le hanno carnose quando abitano entro terra. Questi organismi leggermente
varianti sono d'interesse in quanto che presentano dei caratteri analoghi a
quelli delle specie che sono limitate a simili condizioni di vita.
Quando una variazione ad un essere non apporta che un minimo
vantaggio, non possiamo dire quanto debba attribuirsi al potere accumulativo
della elezione naturale, e quanto all'azione definita delle esterne condizioni
di vita. Così è noto ai pellicciai che gli animali di una specie
hanno il vello tanto più fitto e migliore, quanto più sono
vissuti verso settentrione. Ma chi potrebbe dire, quanto sia effetto della
preservazione e conservazione degli individui meglio vestiti per molte
generazioni, e quanto effetto diretto del rigido clima? Imperocchè
sembri certo che il clima ha una immediata influenza sulla qualità del
pelo dei nostri animali domestici.
Potrebbero citarsi esempi di varietà simili d'una
medesima specie, le quali si formarono in condizioni di vita le più
diverse che possano immaginarsi; e di varietà diverse prodotte sotto
condizioni uguali. Inoltre ogni naturalista conosce moltissimi esempi di specie
rimaste pure e senza alcuna variazione, benchè viventi in climi
affatto opposti. Tali considerazioni mi dispongono a dare minor peso all'azione
diretta e definita delle condizioni di vita, che non alla tendenza di variare
che dipende da cause a noi affatto ignote.
In un certo
senso può dirsi che le condizioni di vita non solo producano
direttamente o indirettamente la variabilità, ma abbracciano eziandio
l'elezione naturale, giacchè la conservazione di una data varietà
dipende dalla natura delle condizioni di vita. Tutte le volte però che
l'elezione è esercitata dall'uomo, noi vediamo che que' due elementi
sono diversi; la variabilità è eccitata in certa guisa, ma si
è la volontà dell'uomo che accumula le variazioni in una determinata
direzione, e quest'ultimo effetto corrisponde alla sopravvivenza del più
adatto allo stato natura.
USO E NON-USO
DEGLI ORGANI COMBINATO COLL'ELEZIONE
NATURALE
Pei
fatti riferiti nel primo capo, io credo non sia per rimanere il più
piccolo dubbio sull'opinione che l'uso rafforzi ed allarghi certe parti dei
nostri animali domestici, e che il non-uso le diminuisca; e che tali
modificazioni vengano ereditate. Allo stato libero di natura non abbiamo un
tipo di confronto per giudicare delle conseguenze di un uso o di un non-uso
lungamente continuato, perchè noi non conosciamo le madri-specie; ma
molti animali offrono tali forme, delle quali può darsi ragione per
mezzo degli effetti del non-uso. Come notava il professore Owen, non vi ha in
natura un'anomalia più grande di quella di un uccello che non possa
volare; tuttavia ne abbiamo parecchi in questo stato. Una specie d'anitra
dell'America meridionale (Anas brachyptera) può battere soltanto
la superficie dell'acqua colle sue ali, che sono in una condizione quasi
identica a quelle dell'anitra domestica d'Aylesbury, ed è un fatto
singolare che, secondo l'asserzione del Cunningham, gli uccelli giovani sanno
volare, mentre gli adulti hanno perduta questa facoltà. Gli uccelli
più grandi, che prendono alimento sul terreno, non volano che per
fuggire un pericolo, cosicchè io credo che lo stato quasi rudimentale
delle ali di certi uccelli che abitano al presente, o abitarono altra volta,
alcune isole oceaniche in cui non trovansi animali rapaci, provenne dal non-uso.
Lo struzzo però abita i continenti ed è esposto a pericoli che
non può evitare volando; ma può difendersi da' suoi nemici coi
calci, non altrimenti di alcuni quadrupedi. Noi possiamo ritenere che il
progenitore del genere struzzo avesse delle abitudini simili a quelle
dell'ottarda e che, avendo l'elezione naturale accresciuto nelle successive
generazioni la grandezza e il peso del suo corpo, egli adoperasse più
spesso le sue gambe che le sue ali, al punto da divenire incapace al volo.
Kirby ha
osservato (cosa notata anche da me) che i tarsi anteriori, o piedi di molti
scarabei maschi mancano molto spesso; egli esaminò diciassette campioni
della sua raccolta e niuno di essi ne aveva conservato qualche traccia. Presso
l'Onites apelles, i tarsi mancano tanto frequentemente, che l'insetto fu
descritto come privo di essi. In alcuni altri generi i tarsi sono presenti, ma
in uno stato rudimentale. Nell'Ateuchus, o scarafaggio sacro degli
Egiziani, essi mancano affatto. Non è ancora provato che le mutilazioni
accidentali siano trasmissibili per eredità; ma Brown-Sequard ha esposto
un caso rimarchevole di epilessia prodotta da una lesione alla spina dorsale di
un porco d'India, che fu ereditata: e ciò deve renderci più
cauti. Però è forse più sicuro il considerare l'assenza
intera dei tarsi anteriori nell'Ateuchus e la loro condizione
rudimentale in altri generi, come dovute ai prolungati effetti del non-uso nei
loro progenitori; perchè mancando essi quasi sempre in molti scarafaggi
coprofagi, debbono perdersi sui primordi della vita, e però non possono
essere di grande importanza e di molta utilità a questi insetti.
In certi casi
noi potremmo facilmente attribuire al non-uso quelle modificazioni che sono
interamente, o principalmente dovute all'elezione naturale. Wollaston ha
scoperto questo fatto rimarchevole che 200 specie di coleotteri sopra le 550
che abitano l'isola di Madera, hanno le ali tanto imperfette che non ponno
volare; e che dei ventinove generi endemici, non meno di ventitre hanno tutte
le loro specie in questa condizione! Parecchi fatti mi hanno indotto a credere
che l'atrofia delle ali di tanti coleotteri di Madera debba derivare
principalmente dall'azione dell'elezione naturale, combinata forse col non-uso.
Infatti si è osservato che in molte parti del mondo i coleotteri sono
spesso dal vento trasportati al mare, dove periscono; che i coleotteri di
Madera, secondo Wollaston, rimangono nascosti fino a che il vento si arresta e
il sole risplende; che la proporzione delle specie prive d'ali è maggiore
sulle coste del deserto, esposte al vento del mare, che a Madera stessa; e
specialmente il fatto straordinario, sul quale tanto insiste Wollaston,
cioè che mancano quasi interamente certi grandi gruppi di
coleotteri (altrove eccessivamente numerosi), i quali hanno abitudini di vita
che richiedono quasi necessariamente un volo frequente. Per modo che, in una
lunga serie di generazioni, ogni individuo di questa specie che volò
meno, sia perchè le sue ali furono meno perfettamente sviluppate, sia
per le abitudini indolenti, ebbe una maggiore probabilità di
sopravvivere, non essendo trasportato dal vento sul mare; e d'altra parte quei
coleotteri che più di sovente presero il volo, furono anche più
frequentemente trasportati al mare e quindi rimasero distrutti.
Gli insetti di Madera che non sono coprofagi e che devono
ordinariamente, come i coleotteri e lepidotteri che cercano il loro nutrimento
nei fiori, impiegare le loro ali per vivere, le hanno più sviluppate.
Ciò si concilia coll'elezione naturale. Perchè quando un nuovo
insetto giunse nell'isola, la tendenza dell'elezione naturale di allargare o
restringere le ali dovrà dipendere o dal maggior numero di individui che
furono salvati, superando con successo la lotta coi venti, oppure abbandonando
l'impresa col volare più di rado e col rinunciare al volo. Può
dirsi altrettanto dei marinai naufragati presso una costa; sarebbe utile ai
buoni nuotatori il poter nuotare di più, e sarebbe più
conveniente ai cattivi nuotatori il non essere affatto capaci di nuotare e il
rimanere a bordo.
Gli
occhi delle talpe e di parecchi altri roditori che scavano la terra sono
rudimentali, e in alcuni casi sono completamente coperti dalla pelle e dal
pelo. Probabilmente questo stato degli occhi deriva dalla diminuzione graduale
prodotta dal non-uso ed anche coadiuvata forse dall'elezione naturale. Un
mammifero roditore dell'America meridionale, il tuco-tuco, Ctenomys,
è per le sue abitudini anche più sotterraneo della talpa; e uno
Spagnuolo, che spesso ne prese, mi assicurava che questi animali sono quasi
sempre ciechi. Io stesso ne conservai uno vivente e la causa di questo stato,
come risultò dall'autopsia, fu riconosciuta essere una infiammazione
della membrana nittitante. Ora siccome una frequente infiammazione degli occhi deve essere dannosa ad ogni animale, e gli occhi non sono al
certo indispensabili agli animali che debbono vivere sotterra, così una
riduzione della loro grandezza, con adesione delle palpebre e sviluppo di peli
onde ricoprirle, può in questo caso essere vantaggiosa; in tal caso
l'elezione naturale agirà costantemente nel senso degli effetti del
non-uso.
Tutti
sanno che alcuni animali, appartenenti alle classi più diverse, che
stanno nelle caverne della Carniola e del Kentucky, sono ciechi. In certi
granchi il peduncolo dell'occhio rimane, quantunque l'occhio manchi; il piede del telescopio vi è ancora, benchè il telescopio con le
sue lenti si sia perduto. Io attribuisco la mancanza degli occhi in questo caso
interamente al non-uso; essendo difficile ammettere che tali organi, anche
inutili, possano in qualche modo nuocere ad animali che vivono
nell'oscurità. Due individui di una di queste specie cieche, il sorcio
delle caverne (Neotoma), furono catturati dal prof. Silliman a circa
mezzo miglio di distanza dalla bocca della caverna, e quindi senza discendere
alle maggiori profondità; gli occhi di questi individui erano più
lucidi e più grandi. Ora questi animali furono esposti per quasi un mese
ad una luce gradatamente più viva, ed acquistarono una debole percezione
degli oggetti che si ponevano davanti ai loro occhi.
È
assai difficile l'immaginare condizioni di vita più uniformi di quelle
delle profonde caverne calcari, sotto un clima quasi costante; di modo che
partendo dalla comune opinione che gli animali ciechi furono creati
separatamente per le caverne d'Europa e d'America, dovrebbe presumersi che
esistesse una strettissima somiglianza nella loro organizzazione e nelle
affinità. Ma ciò non si verifica, quando si considerano le due
faune nel loro insieme; e riguardo ai soli insetti, Schiödte ha detto: «Noi
siamo indotti quindi a considerare l'intero fenomeno come puramente locale, e
la rassomiglianza che si trova in alcune poche forme fra i mammouth delle
caverne del Kentucky e quelli delle caverne della Carniola, non è altro
che una semplice espressione dell'analogia che sussiste generalmente fra le
faune dell'Europa e dell'America settentrionale». Dietro le mie idee bisogna
supporre che gli animali d'America, essendo in molti casi dotati di una potenza
visiva ordinaria, emigrassero lentamente nella serie delle generazioni, dal
mondo esterno in recessi vieppiù profondi delle caverne del Kentucky,
come fecero gli animali d'Europa nelle caverne d'Europa. Noi abbiamo qualche
prova di questa transizione di abitudini, perchè, come dice Schiödte,
«possiamo considerare le faune sotterranee come altrettante piccole
ramificazioni delle faune geograficamente limitate delle adiacenti regioni, che
penetrarono entro la terra e si adattarono alle circostanze locali, a misura
che le tenebre si facevano maggiori. Gli animali che non sono molto discosti
dalle forme ordinarie, preparano il passaggio dalla luce all'oscurità;
vengono poi le specie adatte alla luce crepuscolare; da ultimo appariscono
quelle che furono destinate ad una completa oscurità, l'organizzazione
delle quali è affatto speciale». Queste osservazioni di Schiödte si
applicano non solo ad una medesima specie, ma anche a specie distinte. Nel
tempo impiegato da un animale, dopo moltissime generazioni, a raggiungere le
più profonde cavità della terra, il non-uso, secondo la nostra
teoria, avrà diminuito più o meno completamente la sua
facoltà visiva, chiudendone anche gli occhi; e la elezione naturale
avrà effettuato altri cambiamenti, per esempio, un allungamento delle
antenne o dei palpi, come compensazione alla cecità. Ad onta di queste
modificazioni, possiamo aspettarci di vedere negli animali delle caverne
d'America, delle affinità cogli altri animali di quel Continente, ed in
quelli delle caverne di Europa altre affinità che li colleghino con
quelli che popolano il Continente europeo. Ora queste affinità esistono
appunto in alcuni animali delle caverne d'America, come seppi dal prof. Dana; e
così alcuni insetti delle caverne d'Europa sono strettamente affini a
quelli del paese in cui si trovano.
Sarebbe molto
difficile dare una chiara spiegazione delle affinità degli animali
ciechi delle caverne cogli altri abitatori dei due Continenti, nella ipotesi
comune della loro creazione indipendente. Dalle conosciute relazioni esistenti
nella maggior parte delle produzioni del vecchio e del nuovo Continente,
è da ritenersi che parecchi abitatori delle caverne in questi due
Continenti debbano essere strettamente affini. Come trovasi in abbondanza una
specie cieca di Bathyscia, all'ombra delle rocce fuori delle caverne,
potrebbe credersi che la perdita della vista nelle specie che le abitano non
abbia probabilmente alcuna relazione colla località oscura; ed è
naturale che un insetto già privo della vista siasi facilmente
accostumato alle caverne oscure. Un altro genere di insetti ciechi (lo Anophthalmus)
offre una particolarità rimarchevole; alcune specie distinte, secondo
Murray, abitano in parecchie caverne d'Europa ed anche in quelle del Kentucky,
ed il genere non trovasi in altro luogo che nelle sole caverne. Ma è
possibile che il progenitore o i progenitori di queste varie specie siano stati
anticamente sparsi sui due Continenti, e che poscia rimanessero estinti (come
l'elefante dei due Mondi), eccetto nelle presenti loro abitazioni sotterranee.
Lungi dal rimanere sorpreso vedendo che alcuni animali delle caverne presentano
strane anomalie, come Agassiz osservava riguardo al pesce cieco, l'Amblyopsis,
ovvero come nel caso del proteo cieco fra i rettili d'Europa, io debbo soltanto
meravigliarmi che non siano stati preservati maggiori avanzi
dell'antica vita, considerando la lotta meno severa che gli abitanti di questi
oscuri recessi ebbero a sostenere.
ACCLIMAZIONE
Le
abitudini sono ereditarie nelle piante quanto al periodo della fioritura,
quanto alla pioggia necessaria perchè i semi germoglino, quanto al tempo
del sonno, ecc., e ciò mi trae a dir qualche cosa sull'acclimazione.
Essendo estremamente comune nelle specie del medesimo genere l'abitare paesi
molto caldi o molto freddi, ed essendo tutte le specie di un medesimo genere
derivate, a mio avviso, da una sola madre-specie; se quest'ipotesi sussiste,
l'acclimazione deve aver luogo facilmente, durante una lunga sequela di
generazioni. È noto che ogni specie è adatta al clima del proprio
paese: le specie delle regioni artiche o anche delle zone temperate non
potrebbero sopportare un clima tropicale, e viceversa. Così molte piante
grasse non possono durare sotto un clima umido. Ma spesso si esagera il grado
di adattamento delle specie ai climi dei paesi in cui esse vivono. Possiamo
desumer ciò dalla nostra frequente incapacità di prevedere se una
pianta importata si abituerà o no al nostro clima, non che dal numero
delle piante e degli animali, introdotti nelle nostre regioni da luoghi
più caldi, che sono prosperosi anche fra noi. Non abbiamo ragioni
fondate di ritenere che le specie allo stato di natura siano strettamente
limitate nella loro estensione dalla lotta cogli altri esseri organizzati, non
meno e assai più che in seguito all'adattamento a
climi particolari. Ma se l'adattamento sia o non sia generalmente molto
stretto, ne abbiamo una prova nel caso di alcune piante, le quali poterono,
fino ad una certa estensione, abituarsi naturalmente a temperature diverse od
acclimarsi: in fatti i pini e rododendri nati dai semi raccolti dal dott.
Hooker da alberi cresciuti nell'Himalaya ad altezze diverse, possedevano nel
nostro paese una differente facoltà costituzionale di resistere al
freddo. Thwaites mi informava di fatti simili da lui osservati a Ceylan, e
analoghe osservazioni furono fatte da H. C. Watson sulle specie europee di
piante trasportate dalle Azzorre in Inghilterra. Rispetto agli animali potrebbero([3])
citarsi parecchi fatti autentici di specie le quali, nel corso dei tempi
storici, si estesero grandemente dalle latitudini più calde alle
più fredde, e viceversa; ma noi non possiamo sapere positivamente se
questi animali siano strettamente adatti al loro clima nativo, quantunque in
tutte le ordinarie contingenze noi supponiamo appunto che ciò sia,
nè sapremo dire se essi siano stati posteriormente acclimati al loro nuovo
soggiorno.
È da ritenersi che i nostri animali domestici fossero
in origine scelti da uomini barbari, perchè ne ricavavano qualche
utilità e si moltiplicavano facilmente nello stato di reclusione, e non
già perchè questi animali fossero allora divenuti capaci di
più lontani trasporti; l'attitudine comune e straordinaria dei nostri
animali domestici non solo di resistere ai climi più diversi, ma ben
anche (fatto più importante) di rimanere perfettamente fecondi nel nuovo
clima, può mettersi innanzi per provare che una vasta proporzione di
animali, ora viventi allo stato di natura, potrebbe facilmente sostenere climi
affatto diversi, Noi non dobbiamo però spingere tant'oltre
l'argomentazione precedente, sul riflesso che la probabile origine di parecchi
dei nostri animali domestici si trae da parecchi tipi selvaggi: per esempio, il
sangue di un lupo o di un cane selvatico dei tropici e del polo può
forse essere mescolato nelle nostre razze domestiche. Il topo e il sorcio non
debbono considerarsi come animali domestici, ma essi furono trasportati
dall'uomo in molte parti del mondo; ed oggi hanno acquistato un'estensione
maggiore di qualunque altro roditore, vivendo essi liberamente e sotto il clima
freddo delle Feroe al nord, e delle Falklands al sud e in molte isole della
zona torrida. Quindi io sto per considerare la facoltà di adattamento ad
ogni clima speciale come una qualità inerente facilmente ad una grande
flessibilità innata di costituzione, che è comune alla maggior
parte degli animali. Sotto questo aspetto, la proprietà che hanno l'uomo
stesso e i suoi animali domestici di tollerare i climi più disparati, e
il fatto che le più antiche specie di elefanti e di rinoceronti furono
capaci di sopportare un clima glaciale, mentre le specie viventi sono oggi
tutte tropicali o sub-tropicali, nelle loro abitudini, non debbono riguardarsi
come anomalie, ma solo come prove di una flessibilità di costituzione
molto comune, che si esercita in circostanze speciali.
Ma nell'acclimazione della specie ad un dato clima resta
indeterminato, quanto si debba alla sola abitudine, quanto all'elezione
naturale della varietà, aventi una innata costituzione differente, e
quale sia l'influenza di questi due mezzi combinati. È da credere che
l'abitudine od il costume eserciti qualche influenza, vuoi per l'analogia, vuoi
per istruzioni continue date nelle opere di agricoltura e perfino nell'antica
Enciclopedia cinese, cioè di essere molto cauti nel trasportare gli
animali da un distretto all'altro; perchè non è verosimile che
l'uomo sia giunto a formare coll'elezione metodica tante razze e sotto-razze,
con costituzioni specialmente appropriate ai loro distretti; quindi penso che
tale risultato deve attribuirsi all'abitudine. D'altronde, non trovo motivo di
dubitare che l'elezione naturale tenda continuamente a conservare quegli
individui che sono nati con una struttura meglio adatta alla loro contrada
nativa. In alcuni trattati sopra molte sorta di piante coltivate si citano
certe varietà capaci di resistere ad un clima meglio che agli altri;
ciò viene dimostrato rigorosamente in alcune opere pubblicate negli
Stati Uniti sulle piante fruttifere, in cui certe varietà sono
ordinariamente raccomandate per gli Stati del Nord ed altre per quelli del Sud;
ed essendo la maggior parte di queste varietà di origine recente, non
possono le loro differenze costituzionali ripetersi dall'abitudine. Per provare
che l'acclimazione non può aver luogo, fu messo innanzi il caso
dell'articiocco di Gerusalemme, che non si propaga per semente, e del quale perciò
non poterono ottenersi varietà, mentre non vegeta nei nostri climi.
Però si sono anche ricordati, con molto maggior fondamento, i fagiuoli
che non poterono essere naturalizzati; ma finchè alcuno non abbia
seminato, per una ventina di generazioni, i suoi fagiuoli tanto presto che una
gran parte rimanga distrutta dal gelo, e non abbia raccolto i semi dalle poche
piante sopravvissute; con attenzione di prevenire gli incrociamenti
accidentali, indi non abbia di nuovo conservato le piante colle stesse precauzioni
e colti i semi del secondo anno, non potrà affermarsi che l'esperienza
sia stata neppure tentata. Nè si creda che non si manifestino mai
differenze nella costituzione delle pianticelle dei fagiuoli, perchè
è stata pubblicata una relazione, dalla quale risulta che alcune di
queste pianticelle erano più vigorose delle altre.
Insomma, io credo che noi possiamo concludere che l'abitudine,
l'uso ed il non-uso, hanno, in certi casi, preso molta parte nelle
modificazioni della costituzione e della struttura dei diversi organi; ma che
gli effetti dell'uso e del non-uso furono spesso combinati largamente
coll'elezione naturale delle variazioni innate, e qualche volta superati da
essa.
CORRELAZIONE DI SVILUPPO
Con questa espressione io intendo significare che
l'organizzazione intera è tanto legata nelle sue parti, durante il suo
sviluppo ed il suo accrescimento, che quando avvengono piccole variazioni in
una parte e siano accumulate per mezzo della elezione naturale, le altre parti
tendono pure a modificarsi. Questo è un soggetto importantissimo ma
conosciuto molto imperfettamente; ed è al certo molto facile confondere
qui insieme categorie di fatti assai diverse. Noi vedremo tosto che la semplice
eredità ha talvolta l'apparenza di una correlazione. Uno dei casi
più evidenti di vera correlazione si è questo, che cioè le
modificazioni accumulate solamente a profitto dei piccoli e delle larve
alterano la struttura dell'animale adulto, nella stessa maniera che una
conformazione difettosa dell'embrione colpisce seriamente tutta
l'organizzazione dell'adulto. Alcune parti del corpo che sono omologhe e che
sono simili nel primo periodo embrionale, sembrano soggette a variare in un
modo analogo: così noi vediamo che il lato destro e il sinistro di un
corpo variano ugualmente; le gambe anteriori e posteriori variano
simultaneamente e anche le mascelle in relazione alle altre membra; infatti si
considera la mascella inferiore come omologa colle membra. Senza dubbio queste
tendenze ponno essere dominate più o meno completamente dall'elezione
naturale: una volta esistette una famiglia di cervi colle corna da una sola
parte; e se ciò fosse stato di molta utilità per la razza,
sarebbe probabilmente divenuto permanente a mezzo della elezione naturale.
Le
parti omologhe tendono a trovarsi riunite, come fu notato da alcuni autori; noi
lo vediamo spesso nelle piante mostruose; nulla poi è più comune
dell'unione di parti omologhe nella struttura normale, come l'unione dei petali
della corolla a foggia di tubo. Le parti dure sembrano disposte ad acquistare
la forma delle parti molli vicine; alcuni autori credono che la
diversità nella forma della pelvi negli uccelli produca una grande
differenza nella struttura dei reni. Altri pensano che la conformazione della
pelvi nella donna influisca colla pressione sulla forma del capo del figlio.
Secondo Schlegel, nei serpenti la figura del corpo e il modo di deglutizione determinano la posizione di parecchi visceri importanti.
La natura del
legame di correlazione ci è spesso completamente ignota. Isidoro
Geoffroy Saint-Hilaire fu portato ad ammettere che certe deformazioni
coesistano molto frequentemente e che altre coesistano di rado, ma non giunse a
dare alcuna spiegazione di questo fatto. Che cosa vi ha di più singolare
della relazione fra gli occhi turchini e la sordità nei gatti, fra il
colore del guscio delle tartarughe e il loro sesso, fra i piedi piumati e la
membrana dei diti esterni nei colombi; fra la peluria più o meno copiosa degli uccelletti neonati e il futuro colore
delle loro penne, od anche del rapporto fra il pelo e i denti del cane turco,
benchè qui probabilmente l'omologia entri in campo? Riguardo a
quest'ultimo caso di correlazione, io credo che non sia assolutamente
accidentale, perchè se noi osserviamo i due ordini di mammiferi che sono
più anormali nel loro sistema cutaneo, cioè i cetacei (balene) e
gli sdentati (armadilli, formichieri, ecc.), vediamo che sono pure i più
anormali nei loro denti.
Io non conosco un esempio più adatto di quello della
differenza esistente tra i fiori esterni e gli interni di alcune piante
composte e ombrellifere, a provare la importanza delle leggi di correlazione
nelle modificazioni di struttura rilevanti, indipendentemente
dall'utilità e dall'elezione naturale. Tutti sanno quale differenza vi
sia, per esempio, tra i fiori della circonferenza e quelli del centro della
margherita, e questa differenza è spesso accompagnata dalla mancanza
parziale o completa degli organi riproduttivi. Ma in alcune piante composte
anche i semi differiscono nella forma e nella struttura. Queste differenze
furono da alcuni autori attribuite alla pressione degli involucri sui fiori o
alla loro reciproca pressione, e la forma dei semi nei fiori della
circonferenza di alcune composte viene in appoggio di quest'idea; ma nel caso
della corolla delle ombrellifere, i fiori interni ed esterni non sono diversi
più frequentemente in quelle specie che hanno gli ombrelli più
fitti, come mi faceva sapere il dott. Hooker. Potrebbe sospettarsi che lo
sviluppo dei petali esterni, sottraendo nutrimento a certe altre parti del
fiore, ne abbia cagionato la perdita; ma in alcune composte vi ha una
differenza fra i semi dei fiori interni e quelli degli esterni, senza che si
scorga alcuna diversità nella corolla. Queste differenze potrebbero forse
connettersi con qualche disuguaglianza nell'afflusso del nutrimento ai fiori
interni e periferici; noi sappiamo almeno che tra i fiori irregolari, quelli
che trovansi più vicini all'asse sono più spesso soggetti alla peloria
e a ridivenire regolari. Aggiungerò come un esempio di questo fatto,
e di una stretta correlazione, che recentemente io vidi in alcuni giardini dei
pelargonii, in cui il fiore centrale di un gruppo perdeva spesso le macchie di
colore oscuro dei due petali superiori; e che quando ciò avviene, lo
stimma corrispondente è completamente abortito; e quando il colore manca
in uno solo dei due petali superiori, lo stimma rimane soltanto molto
accorciato.
Quanto alle
differenze che si osservano nella corolla dei fiori centrali e periferici della
cima od ombrello, io mi accosto all'idea di C. C. Sprengel, che i fiori della
periferia servono ad attirare gli insetti, l'azione dei quali è
altamente vantaggiosa alla fecondazione delle piante di questi due ordini, e
codesta ipotesi è più fondata di quello che possa sembrare a
primo aspetto; ora quando l'azione degli insetti sia utile, l'elezione naturale
può prendervi parte. Ma quanto alle differenze nell'interna ed esterna
struttura dei semi (le quali non sono sempre in relazione
colle differenze dei fiori), pare impossibile che possano essere in qualche
modo vantaggiose alla pianta: tuttavia fra le ombrellifere tali differenze sono
di un'importanza tanto evidente (essendo i semi in certi casi ortospermi nei
fiori esterni, secondo Tausch, e celospermi nei fiori centrali), che De
Candolle il vecchio fondava le sue principali divisioni dell'ordine sopra
differenze analoghe. Quindi noi vediamo che le modificazioni di struttura,
considerate dai sistematici come di molto valore, possono derivare interamente
dalle leggi non conosciute di sviluppo correlativo, senza essere, per quanto
possiamo comprendere, della menoma utilità alla specie.
Noi possiamo
però attribuire spesso falsamente alla correlazione di sviluppo
conformazioni che sono comuni a un intero gruppo di specie, e che in
realtà derivano semplicemente dall'eredità; perchè un
antico progenitore può avere acquistato, per mezzo dell'elezione
naturale, una certa modificazione di struttura, e dopo migliaia di generazioni
può aver subito qualche altra modificazione
indipendente dalla prima; queste due modificazioni essendo state trasmesse a un
intero gruppo di discendenti, dotati di abitudini diverse, questi debbono
naturalmente essere collegati in qualche modo. Così alcune correlazioni,
che si osservano fra ordini interi, si debbono, a quanto sembra, solamente al
modo con cui si esercitò l'elezione naturale. Alfonso De Candolle, per
esempio, ha notato che i semi piumati non trovansi mai nei frutti che non si
aprono, Questa regola può spiegarsi col fatto che i semi non avrebbero
potuto acquistare gradatamente la piuma per mezzo dell'elezione naturale, se
non avessero appartenuto a frutta che si schiudono, per modo che quelle piante,
le quali individualmente producono semi un po' più acconci ad essere
trasportati dal vento, hanno un vantaggio sopra quelle che danno semi meno
adatti allo spargimento.
COMPENSAZIONE ED ECONOMIA DI SVILUPPO
Il vecchio
Geoffroy e Goethe proposero, quasi contemporaneamente, la loro legge di
compensazione od equilibrio di sviluppo; ovvero, per valerci della frase di
Goethe, «la natura è costretta ad economizzare da una parte, per
spendere dall'altra». Io credo che quest'argomento sia buono fino ad una certa
estensione rispetto alle nostre domestiche produzioni: se il nutrimento fuisce
in eccesso verso una parte o verso un organo, e scorre di rado, almeno in
grande quantità, ad un'altra parte; così gli
è difficile che una vacca dia molto latte e nondimeno si ingrassi
prontamente. La medesima varietà di cavolo non dà un fogliame
abbondante e nutritivo con un copioso supplemento di semi oleiferi. Quando i
semi rimangono atrofizzati nei nostri frutti, il frutto stesso acquista molto
in grandezza e qualità. Nei nostri polli un ciuffo grande di penne sul
capo generalmente è accompagnato da una cresta più piccola, e un
largo collare dalla diminuzione del barbiglione carnoso. Invece nelle specie
allo stato di natura non può sostenersi che la legge abbia
un'applicazione generale; ma molti buoni osservatori e più specialmente
botanici, credono nella sua verità. Pertanto io non darò qui
alcun esempio, perchè non vedo come si possano distinguere, da una
parte, gli effetti dello sviluppo di un organo per mezzo dell'elezione naturale
e della simultanea riduzione di un altro organo vicino per un processo identico
o pel non-uso, e dall'altra parte l'attuale sottrazione di nutrimento da un
punto, in seguito alla sovrabbondanza di sviluppo in un altro punto prossimo.
Perciò
io penso che alcuni fra i casi di compensazione che si sono citati, come pure
parecchi altri fatti, possano emergere da un principio più generale,
cioè che l'elezione naturale cerca continuamente di economizzare in ogni
parte dell'organismo. Se per mutate condizioni di vita una struttura dapprima
utile diviene meno utile, ogni diminuzione di sviluppo, per quanto minima,
entrerà nel dominio dell'elezione naturale, perchè sarà
profittevole all'individuo il non consumare il proprio alimento nella
formazione di una struttura difettosa. Per tal modo potei rendermi ragione di
un fatto, da cui rimasi molto colpito nell'esaminare i cirripedi, del quale
potrebbero addursi molti altri esempi: vale a dire che quando un cirripede
è parassita entro un altro e quindi viene protetto da questo, egli perde
più o meno completamente il proprio guscio o mantello. Ciò accade
nell'Ibla maschio e in una maniera veramente straordinaria nel Proteolepas:
in tutti gli altri cirripedi il guscio è composto di tre segmenti
anteriori, assai importanti, nella testa enormemente sviluppata, e forniti di
muscoli e nervi grandi; ma nel Proteolepas parassita e protetto, tutta
la parte anteriore del capo è ridotta ad un semplice rudimento congiunto
alle basi delle antenne prensili. Ora, allorchè una struttura molto
sviluppata e complessa divenne superflua per le abitudini parassitiche del Proteolepas,
la riduzione della medesima a forme più semplici, quantunque effettuata
per lenti gradi, sarà stata un deciso vantaggio per ogni successivo
individuo della specie; perchè nella lotta per l'esistenza, alla quale
ogni animale trovasi esposto, ogni individuo Proteolepas avrà una
migliore attitudine di sostentarsi, quando consumi una quantità minore
di nutrimento per sviluppare una struttura divenuta inutile.
Cosicchè, a mio avviso, l'elezione naturale riuscirà sempre
nel corso dei secoli a ridurre e risparmiare quelle parti dell'organismo che si
resero superflue, senza produrre perciò corrispondentemente uno sviluppo
più importante in qualche altra parte. Ed inversamente, l'elezione
naturale può introdurre perfettamente questo maggiore sviluppo in un
organo, senza che si richieda come compenso necessario la riduzione di qualche
parte adiacente.
LE STRUTTURE MULTIPLE, RUDIMENTALI ED INFERIORI
SONO VARIABILI
Pare che sia
una regola, come faceva osservare Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire, nelle
varietà e nelle specie, che quando una parte o un organo è
ripetuto molte volte nella struttura del medesimo individuo (come le vertebre
nei serpenti e gli stami nei fiori poliandri), il numero ne è variabile;
per contro se la parte o l'organo trovasi in piccolo numero, questo numero
è costante. Il medesimo autore e parecchi botanici hanno inoltre notato
che le parti multiple sono anche molto soggette a variazioni di struttura. Come
la «ripetizione vegetativa», secondo la espressione stessa del prof. Owen, pare
un segno di inferiorità organica, l'osservazione precedente conviene
coll'opinione generale dei naturalisti che gli esseri inferiori nella scala
della natura sono più variabili degli esseri elevati. Io presumo che
l'inferiorità in questo caso consista nell'essere alcune parti
dell'organizzazione meno speciali per determinate funzioni; e finchè uno
stesso organo deve compiere funzioni diverse, noi possiamo forse vedere quanto
esso sia variabile, cioè come l'elezione naturale possa aver conservato
e rigettato ogni piccola deviazione di forma meno completamente che quando la
parte deve servire solamente a una funzione determinata. Nella stessa guisa un
coltello destinato a tagliare varie sorta di oggetti può prendersi di
qualsivoglia forma; mentre un utensile destinato ad un uso speciale serve
meglio quando sia di una forma determinata. Nè devesi dimenticare che
l'elezione naturale può agire su ciascuna parte di un essere soltanto in
vantaggio del medesimo.
Le parti rudimentali presentano molta tendenza a variare, secondo
l'opinione di alcuni autori, che io credo fondata. Noi ritorneremo in seguito
su quest'argomento; solo aggiungerò che la loro variabilità
sembra debba attribuirsi alla loro inutilità, e perciò
all'impotenza dell'elezione naturale di impedire le deviazioni nella loro
struttura.
UNA PARTE SVILUPPATA IN UN GRADO
E IN UN MODO STRAORDINARIO PRESSO UNA SPECIE,
RISPETTO ALLA PARTE OMOLOGA DELLE SPECIE AFFINI,
TENDE AD ESSERE ALTAMENTE VARIABILE
Parecchi
anni fa io fui molto sorpreso da una simile osservazione, pubblicata dal
Waterhouse, intorno a questo effetto. Io traggo anche da una riflessione fatta
dal prof. Owen, riguardo alla lunghezza delle braccia dell'ourang-outang,
ch'egli pervenne ad una conclusione consimile. Non sarebbe sperabile il
convincere chicchessia della verità di questa proposizione senza
appoggiarla coi molti fatti da me riuniti, e che mi è impossibile
introdurre in questo luogo. Io non posso fare altro che esporre la mia
convinzione che codesta è una delle regole più generali. Conosco
parecchie cause che possono trarre in errore, ma spero di averne tenuto il
debito conto. Si comprenderà che questa regola non può intendersi
applicata ad ogni parte che sia sviluppata in una maniera straordinaria, a meno
che questo sviluppo non sia anormale in confronto colla parte omologa delle
specie strettamente affini. Così l'ala del pipistrello è una
struttura affatto anormale nella classe dei mammiferi, ma la regola ora detta
non potrebbe in questo caso applicarsi; sarebbe applicabile solo quando qualche
specie di pipistrello avesse le sue ali sviluppate un modo rimarchevole in
paragone alle altre specie del medesimo genere. Questa regola trova una
rigorosa applicazione nel caso dei caratteri sessuali secondari, quando sono
spiegati in un modo insolito. Diconsi caratteri sessuali secondari,
denominazione usata da Hunter, quelli che sono propri di un solo sesso, ma che
non sono direttamente collegati all'atto della riproduzione. La regola si
estende ai maschi e alle femmine; ma si applica più raramente a queste,
offrendo esse meno frequentemente caratteri sessuali secondari notevoli. Questa
regola diviene tanto evidentemente applicabile al caso dei caratteri sessuali
secondari per la grande variabilità di questi caratteri, comunque siano
essi sviluppati in una maniera insolita; fatto del quale non può
menomamente dubitarsi. Ma la nostra regola non si limita ai caratteri sessuali
secondari, come chiaramente risulta nel caso dei cirripedi ermafroditi; posso
aggiungere che mentre io studiavo quest'ordine, occupandomi particolarmente
dell'osservazione del Waterhouse, rimasi pienamente convinto che essa si
verifica quasi invariabilmente in questi animali. Nella mia opera futura io
noterò i casi più rimarchevoli; intanto ne darò brevemente
un esempio per dimostrare la regola nella sua più vasta applicazione. Le valve opercolari dei cirripedi sessili (balani) sono, nel pieno senso
della parola, organi assai importanti, e differiscono assai poco anche in
generi diversi, ma nelle varie specie del genere Pyrgoma, queste valve
presentano un insieme sorprendente di diversificazione; le valve omologhe sono
affatto dissimili nelle forme, e negli individui di parecchie specie, la somma
delle variazioni è sì grande che non si esagera dicendo, esservi
maggior differenza fra le varietà nei caratteri di queste importanti
valve, che fra le altre specie di generi distinti.
Negli uccelli di un paese si hanno variazioni assai piccole, e
perciò io li osservai particolarmente e parvemi che questo principio si
applichi anche a questa classe. Io non potrei riconoscere se ciò avvenga
nelle piante, il che avrebbe seriamente compromessa la mia opinione sulla
verità del principio, se la grande variabilità di esse non
rendesse assai difficile il paragonare i relativi loro gradi di
variabilità.
Quando noi vediamo una parte o un organo sviluppato in un
grado o in modo straordinario in una specie, abbiamo una presunzione plausibile
che ciò sia di molto valore per essa; nondimeno la parte in tal caso
è soggetta eminentemente a variare. Ora come potrebbe spiegarsi codesto
fatto, considerando ogni specie come creata indipendentemente con tutte le sue
parti tali quali le osserviamo? Ma se noi pensiamo che i gruppi delle specie
hanno uno stipite comune e furono modificati dalla elezione naturale, credo che
potremo ottenere qualche schiarimento. Se nei nostri animali domestici una
parte, o l'animale intero fosse trascurato, e non si applicasse il principio di
elezione, questa parte (per esempio la cresta nei polli Dorking), o tutta la
razza, non avrebbe più un carattere quasi uniforme. Allora si direbbe
che la razza ha degenerato. Negli organi rudimentali, e in quelli che furono
resi meno speciali per uno scopo determinato, e forse nei gruppi polimorfici
noi abbiamo un esempio naturale quasi parallelo; perchè in questi casi
l'elezione naturale non potè esercitarsi interamente e quindi
l'organismo rimase in una condizione instabile. Ma ciò che ora
più particolarmente ci interessa è che nei nostri animali
domestici quei caratteri, che al presente sono soggetti a rapidi cangiamenti
per la continua elezione, sono anche eminentemente variabili. Infatti se
consideriamo le razze dei colombi, noi vediamo quante prodigiose differenze si
trovano nel becco dei giratori, nel becco e nelle barbette dei messaggeri, nel
portamento e nella coda dei colombi pavoni, ecc.; e queste sono le
particolarità che oggi principalmente si ricercano dai dilettanti
inglesi. Anche nelle sotto-razze, come nei giratori a faccia corta, è
notoria la difficoltà di riprodurli nella loro purezza, e spesso nascono
individui che si allontanano completamente dal tipo. Potrebbe asserirsi che
esiste una lotta costante fra la tendenza di riversione ad uno stato meno
modificato e la tendenza innata di maggiori variazioni d'ogni sorta da una
parte, e dall'altra col potere di una costante elezione per mantenere pura la
razza. Nel corso dei tempi l'elezione rimane vittoriosa, nè potremmo
attenderci di produrre da un buona razza di colombi a faccia corta un uccello
come il giratore comune. Ma finchè l'elezione progredisce rapidamente,
noi dovremo sempre aspettarci di trovare molta variabilità nella struttura
degli organi che vanno modificandosi.
Ora
ci sia permesso di ritornare alla natura. Quando una parte fu sviluppata in una
maniera straordinaria presso una specie qualsiasi, in confronto delle altre
specie del medesimo genere, noi possiamo inferirne che quella parte subì
un insieme straordinario di modificazioni, dall'epoca in cui la specie si
staccava dallo stipite comune del genere. Questo periodo è di rado molto
remoto, poichè ogni specie non dura quasi mai al di là di un
periodo geologico. Una quantità straordinaria di modificazioni implica
una somma straordinariamente grande ed estesa di variabilità, che fu
continuamente accumulata dall'elezione naturale, a benefizio della specie. Ora
se la variabilità di una parte od organo straordinariamente sviluppato
fu considerevole e lungamente protratta, in un periodo che non può
essere eccessivamente lontano; noi dobbiamo aspettarci di trovare, in regola
generale, maggiore variabilità in questa che in quelle altre parti
dell'organismo che rimasero quasi costanti per un periodo più vasto. Ed
io sono convinto che appunto ciò si verifica. Io non trovo alcun motivo
di dubitare che la lotta fra l'elezione naturale e la tendenza alla riversione
e alla variazione possa cessare nel corso dei tempi e che gli organi che sono
più anormalmente sviluppati siano per conservarsi inalterati. Per
conseguenza quando un organo, anche molto anormale, fu trasmesso quasi nelle
stesse condizioni a molti discendenti modificati, come nel caso dell'ala del
pipistrello; quell'organo deve essere esistito, secondo la mia
teoria, durante un immenso periodo nel medesimo stato, e sarà quindi per
tal modo divenuto meno variabile di qualunque altra struttura. Solo in questi
casi, in cui le modificazioni furono comparativamente recenti e molto grandi,
noi possiamo trovare quella che si direbbe variabilità generativa,
capace di agire con molta efficacia. Perchè allora la variabilità
non sarà stata annullata che di rado dall'elezione continua degli
individui che variarono in un dato modo ed in una certa estensione, e dall'eliminazione
costante di quelli che tendettero a ritornare alle primitive condizioni meno
modificate.
I CARATTERI SPECIFICI SONO PIÙ VARIABILI DEI CARATTERI
GENERICI
Il principio fondato sulle precedenti riflessioni può
essere esteso. È cosa notoria che i caratteri specifici sono più
variabili dei caratteri generici. Darò un semplice esempio per spiegare
ciò che intendo dire. Se alcune specie di un genere di piante molto
ricco hanno fiori turchini ed altre hanno fiori rossi, il colore non
sarà che un carattere specifico, e non saremmo sorpresi di vedere la
specie turchina cambiarsi in rossa e viceversa; ma se tutte le specie sono
dotate di fiori turchini, il colore diventerebbe un carattere generico, e la
sua variazione sarebbe una circostanza più straordinaria. Scelsi questo
esempio, perchè non sarebbe applicabile al caso quella spiegazione che
molti naturalisti darebbero; cioè, che i caratteri specifici sono
più variabili dei generici, perchè affettano parti di minore
importanza fisiologica di quelle comunemente prese per la classificazione dei
generi. Questa spiegazione è vera in parte, ma solo indirettamente; del
resto tornerò su questo soggetto nel capitolo della Classificazione.
Sarebbe quasi superfluo aggiungere prove a conferma della precedente regola,
che i caratteri specifici sono più variabili dei generici; ma io ho
ripetutamente notato nelle opere di storia naturale che quando un autore ha
osservato con sorpresa che qualche organo o parte importante (che
generalmente sia molto costante in molti gruppi di specie) differiva assai
nelle specie strettamente affini, era anche variabile negli individui di
alcune di queste specie. Ciò dimostra che quando un carattere, che sia
ordinariamente di una importanza generica, diminuisce ed acquista un valore
soltanto specifico, spesso diventa variabile, benchè la sua importanza
fisiologica possa rimanere la stessa. Considerazioni consimili possono farsi
quanto alle mostruosità: almeno pare che Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire
non metta in dubbio che quanto più un organo diversifica normalmente
nelle varie specie di un medesimo gruppo, tanto più soggiace ad anomalie
individuali.
Se stiamo
all'opinione comunemente accettata che ogni specie sia stata creata
indipendentemente, come potrebbe darsi che una parte dell'organismo diversa
dalla parte omologa nelle altre specie dello stesso genere, pure create
indipendentemente, fosse più variabile di quelle parti che sono
strettamente simili ad essa? Non saprei come potrebbe darsi una spiegazione di
questo fatto. Al contrario se abbiamo l'idea che le specie non sono altro che
varietà più distinte e rese stabili, noi dobbiamo certamente
aspettarci di trovare che quelle parti della loro struttura che variarono in un
periodo abbastanza recente e che perciò diversificarono, continueranno
spesso a variare. Ma esporrò il fatto in un altro modo; - i punti nei quali tutte le specie di un genere rassomigliano fra loro e pei
quali esse differiscono dalle specie di qualche altro genere, diconsi caratteri
generici; io attribuisco questi caratteri comuni all'eredità di un
comune progenitore; perchè raramente può essere avvenuto che la
elezione naturale abbia modificato in un modo identico alcune specie adatte ad
abitudini più o meno differenti. E siccome questi così detti caratteri
generici furono ereditati in un periodo assai lontano, cioè fino da
quell'epoca in cui le specie si separarono per la prima volta dal loro comune
progenitore, e conseguentemente quando esse non avevano ancora variato e non
differivano menomamente o solo in un grado insensibile, non è probabile
che esse comincino a variare oggidì. D'altra parte i punti, nei quali le
specie differiscono da altre specie del medesimo genere, diconsi caratteri
specifici; ed avendo questi caratteri variato fino a divenire differenti nel
periodo di partenza delle specie dallo stipite comune, è probabile che
essi siano spesso alquanto variabili; almeno più variabili di quelle
parti dell'organismo che rimasero costanti per un periodo molto lungo.
I caratteri
sessuali secondari sono variabili. Debbo fare solamente due altre osservazioni,
in relazione al presente argomento. Si ammetterà, senza che io entri in
dettagli, che i caratteri sessuali secondari sono molto variabili e credo che
inoltre si accorderà che le specie di uno stesso gruppo differiscono fra
loro più ampiamente ne' loro caratteri sessuali secondari che nelle
altre parti della loro organizzazione. Si confronti, per es., la somma delle
differenze esistenti fra i maschi dei gallinacei, in cui i caratteri sessuali
secondari sono molto spiegati, colla somma delle differenze che passano fra le
femmine, e si riconoscerà la verità di questa proposizione. La cagione della variabilità originale dei caratteri sessuali secondari
non è nota; ma noi possiamo comprendere per qual ragione questi
caratteri non divennero costanti ed uniformi, come le altre parti
dell'organizzazione. Ciò avvenne perchè i caratteri sessuali
secondari furono accumulati dall'elezione sessuale, che è meno rigida
nella sua azione della elezione ordinaria, mentre non cagiona la morte dei
maschi men favoriti, ma soltanto diminuisce il numero dei discendenti.
Qualunque sia la causa della variabilità dei caratteri sessuali
secondari, l'elezione loro deve aver un largo campo d'azione per la loro grande
variabilità, e può quindi prontamente produrre, nelle specie di
uno stesso gruppo, un più grande insieme di differenze nei caratteri
sessuali, che nelle altre parti della loro struttura.
È un fatto rimarchevole che le differenze sessuali secondarie fra i
due sessi d'una stessa specie, si mostrano generalmente in quelle medesime
parti dell'organizzazione, per le quali le varie specie del medesimo genere
differiscono fra loro. Io chiarirò questo fatto con due esempi, i primi
che s'incontrano nella mia lista; e siccome le differenze sono in questi casi
di una natura molto strana, la relazione non può essere accidentale. Lo
stesso numero di articolazioni nei tarsi è un carattere generalmente
comune a molti vastissimi gruppi di coleotteri: ma nelle engidi, come osservava
Westwood, questo numero varia assai e inoltre differisce nei due sessi della
medesima specie. Così negl'imenotteri che scavano, il modo di
innervazione delle ali è un carattere di altissima importanza,
perchè uguale in molti gruppi; ma in certi generi l'innervazione
differisce nelle varie specie, come pure nei due sessi della medesima specie.
Lubbock ha notato recentemente che in alcuni piccoli crostacei si trovano
eccellenti prove di questa legge. «Nella pontella, per es., i caratteri
sessuali consistono principalmente nelle antenne anteriori, e nel quinto paio
di gambe; le differenze specifiche sono altresì ricavate principalmente
da questi organi». Questi rapporti trovano una facile spiegazione nella mia
teoria. Infatti dalla ipotesi che tutte le specie di uno stesso genere sono
certamente derivate dal medesimo progenitore, come i due sessi di ogni specie,
ne segue che quando una parte qualsiasi della struttura del comune progenitore
o de' suoi primi discendenti divenga variabile, è molto probabile che le
variazioni di questa parte siano state favorite dall'elezione naturale e
sessuale, sia per adattare le diverse specie ai loro posti nell'economia della
natura, e sia per disporre i due sessi di una medesima specie nei loro mutui
rapporti, sia per accomodare i maschi e le femmine a differenti abitudini di
vita, o infine per favorire la lotta dei maschi nel disputarsi il possesso
delle femmine.
Perciò
io concludo che la variabilità dei caratteri specifici, cioè di
quelli che distinguono una specie dall'altra, maggiore di quella dei caratteri
generici, ossia di quei caratteri che le specie presentano in comune; che la
frequente variabilità estrema di una parte sviluppata
straordinariamente, in una specie in confronto della parte stessa nelle specie
congeneri e la poca variabilità di un organo qualunque, per quanto possa
essere anormalmente sviluppato, quando sia comune a un intero gruppo di specie;
che la grande variabilità dei caratteri sessuali secondari e il grande
insieme di differenze in questi caratteri medesimi fra le specie strettamente
affini; che le differenze sessuali secondarie, o specifiche ordinarie che
s'incontrano generalmente nelle stesse parti dell'organizzazione, sono tutti
principii insieme collegati scambievolmente. Questi principii sono
dovuti segnatamente alle seguenti cause: alla discendenza di tutte le specie di
uno stesso gruppo da un comune progenitore, dal quale ereditarono tutte insieme
molte particolarità; alla circostanza che quelle parti, le quali
variarono recentemente ed ampiamente, sono più disposte a variare di
quelle che furono ereditate senza aver subìto da lungo tempo alcuna
variazione; all'elezione naturale, la quale può avere soperchiato
(più o meno completamente secondo la lunghezza del tempo) la tendenza
alla riversione e ad una variabilità più forte; alla elezione
sessuale meno severa della elezione ordinaria; e finalmente alle variazioni
accumulate nelle stesse parti dalla elezione naturale e sessuale, rendendole
così più adatte a scopi sessuali secondari e specifici ordinari.
LE SPECIE DISTINTE OFFRONO VARIAZIONI ANALOGHE;
E UNA VARIETÀ DI QUALCHE SPECIE ASSUME SPESSO ALCUNI
DEI CARATTERI DI UNA SPECIE AFFINE, O RITORNA AD ALCUNI
CARATTERI DI UN ANTICO PROGENITORE
Queste
proposizioni si intenderanno facilmente se si considerano le nostre razze
domestiche. Le razze più distinte dei colombi, in paesi molto lontani,
presentano delle sotto-varietà fornite di penne rovesciate sul capo e
munite di penne ai piedi; caratteri che non si incontrano nella specie
originale del piccione torraiuolo; queste sono adunque variazioni analoghe di
due o più razze distinte. La frequente presenza di quattordici sino a
sedici rettrici nel colombo gozzuto può ritenersi come una variazione
rappresentante la struttura normale di un'altra razza, quella del colombo
pavone. Pare che non possa dubitarsi che tali variazioni analoghe siano a
ciò dovute, che parecchie razze di colombi ereditarono da un progenitore
comune la medesima costituzione, non che una tendenza uguale a variare sotto
influenze consimili ed ignote. Nel regno vegetale noi abbiamo un caso di
variazione analoga negli steli ingrossati, o in quelle che chiamansi
ordinariamente radici della Rapa svedese e della Rutabaga, piante che da diversi
botanici sono riguardate come varietà, derivate da una stessa specie per
mezzo della coltivazione; se ciò non fosse, si avrebbe un esempio di
variazioni analoghe in due così dette specie distinte; e a queste
potrebbe aggiungersene una terza, cioè la rapa comune. Secondo la
opinione comune, che ogni specie fu creata indipendentemente, noi dovremmo
attribuire la somiglianza nell'ingrossamento degli steli di queste tre piante
non già alla vera causa della discendenza da un
ceppo comune, e ad una conseguente tendenza a variare in un modo consimile, ma
a tre atti separati e strettamente collegati di creazione. Molti casi consimili
di analoghe variazioni furono osservati dal Naudin nelle cucurbitacee, ed altri
da altri autori nei nostri cereali. Di simili casi avvenuti negli insetti sotto
condizioni naturali ha trattato recentemente il Walsh con molta abilità,
e li ha registrati sotto la sua legge della varietà equabile.
Nei colombi
inoltre noi osserviamo un'altra circostanza, vale a dire, l'accidentale
produzione, in tutte le razze, di individui di colore turchino-ardesia con due
righe nere sulle ali, con groppone bianco, con una fascia nera
all'estremità della coda e colle penne caudali esterne munite di un orlo
esterno bianco verso le loro basi. Ora tutte queste particolarità sono
proprie del progenitore, cioè del colombo torraiuolo, e niuno può
mettere in dubbio che questo non sia un caso di riversione, anzichè una
manifestazione di nuove variazioni analoghe nelle varie razze. Noi possiamo
abbracciare con tanta maggiore sicurezza codesta conclusione, in quanto che
questi contrassegni, come abbiamo visto, sono eminentemente facili a ritornare
nella prole incrociata di due razze distinte e dotate di colori diversi. In tal
caso le condizioni esterne della vita non possono cagionare la ricomparsa del
colore turchino-ardesia e degli altri caratteri, ma ciò nasce
dall'influenza del solo atto dell'incrociamento sulle leggi
dell'ereditabilità.
Senza
dubbio è un fatto molto sorprendente quello di trovare riprodotti quei
caratteri che erano stati perduti per molte generazioni e forse per centinaia
di generazioni. Ma quando una razza fu incrociata una sola volta con un'altra,
la prole mostra accidentalmente una tendenza di ricuperare i caratteri della
razza primitiva per molte generazioni e, secondo alcuni, per una dozzina od
anche una ventina di generazioni. Dopo dodici generazioni la proporzione del
sangue (per usare di una espressione comune) di ogni progenitore è solo
di
Essendosi supposto che tutte le specie del medesimo genere siano discese da
un comune progenitore, è presumibile che esse debbano variare
accidentalmente in una maniera analoga; cosicchè una varietà di
una specie può rassomigliare in alcuni suoi caratteri ad un'altra
specie; mentre questa specie non è, secondo le mie idee, che puramente
una varietà ben distinta e permanente. Ma i caratteri così
ottenuti saranno probabilmente di poca importanza, perchè la presenza di
tutti i caratteri importanti sarebbe governata dall'elezione naturale, in
relazione alle varie abitudini delle specie; e non sarebbe abbandonata alla
mutua azione delle condizioni della vita e di una consimile costituzione
ereditaria. Può inoltre prevedersi che le specie di un medesimo genere
offriranno accidentalmente una reversione agli antichi caratteri perduti.
Però non conoscendo noi i caratteri esatti del comune antenato di un
gruppo, non sapremmo distinguere questi due casi; se, ad esempio, noi non
fossimo istrutti che il colombo torraiuolo non è calzato, nè
incappucciato, noi non avremmo potuto decidere, se questi caratteri nelle
nostre razze domestiche fossero riversioni al tipo, oppure soltanto analoghe
variazioni; ma noi avremmo potuto inferire che il colore turchino è un
caso di riversione, dal numero dei contrassegni che sono collegati a questo
colore; dacchè non è probabile che tutti siano derivati da
semplici variazioni. Più specialmente noi saremmo indotti a ciò,
dal vedere come il color turchino e i contrassegni descritti si mostrino
così spesso, quando si incrocino razze distinte di colori diversi.
Quindi, benchè in natura debba generalmente rimanere dubbio quali
caratteri siano a considerarsi come riversioni a quelli che anticamente
esistettero, e quali siano variazioni nuove, ma analoghe; nondimeno noi
dobbiamo talvolta trovare, secondo la mia teoria, che la discendenza variabile
di una specie assuma dei caratteri (sia per riversione, sia per variazioni
analoghe), che già s'incontrano in alcuni altri membri del medesimo
gruppo. Ciò avviene indubitatamente nello stato di natura.
Una gran parte della difficoltà che si
presenta nelle nostre opere sistematiche nel riconoscere una specie variabile,
devesi alle varietà di essa, le quali imitano, per così dire,
alcune varietà delle altre specie del medesimo genere. Potrebbe infatti
formarsi un catalogo considerevole di forme intermedie ad altre due, che
sarebbe incerto se appartengano a varietà od a specie; ciò prova
che una di queste forme, variando, assunse alcuni caratteri di un'altra, dando
per tal modo origine ad una forma intermedia; a meno che tutte codeste forme
non siano considerate come altrettante specie create indipendentemente. Ma il
migliore argomento è fornito dalle accidentali variazioni delle parti o
degli organi importanti ed uniformi, fino ad acquistare, in qualche modo, il
carattere delle stesse parti od organi nelle specie affini. Io ho raccolto
molti di questi fatti, che pur troppo non posso qui pubblicare. Solo posso
ripetere che questi casi certamente avvengono e mi sembrano molto rimarchevoli.
Darò
tuttavia un esempio curioso e complesso, il quale non si manifesta sopra un
carattere importante, ma che si rinviene in parecchie specie di uno stesso
genere, in parte allo stato di domesticità, in parte allo stato
naturale. E ciò è, a quanto pare, un caso di riversione. L'asino
porta spesso delle fasce trasversali molto marcate sulle sue gambe, simili a
quelle delle gambe della zebra; si è asserito che queste fasce sono
più distinte nei puledri, e per le ricerche da me fatte credo che
ciò sussista. Si disse inoltre che la striscia di ciascuna spalla qualche
volta sia doppia. Questa striscia è certo molto variabile in lunghezza e
direzione. È stato descritto un asino bianco, il quale però non
era albino, mancante della striscia dorsale e di quelle delle spalle; e queste
strisce sono talvolta poco discernibili, od anche affatto perdute, negli asini
di colore oscuro. Pretende alcuno di aver osservato il
koulan di Pallas con doppia striscia alla spalla. L'emione ne è privo;
ma talvolta ne presenta qualche traccia, come dimostrarono Blyth ed altri
naturalisti. Il colonnello Poole mi ha poi raccontato che i puledri di questa
specie sono generalmente rigati alle gambe e leggermente anche sulla spalla. Il
quagga, benchè abbia il suo corpo rigato come una zebra, non ha alcuna
riga alle gambe; ma il dott. Gray ha disegnato un individuo fornito di righe
distintissime alle gambe.
Io ho notato parecchi casi di cavalli inglesi delle razze più
distinte e di qualunque colore, che presentano la striscia dorsale;
così le righe trasversali alle gambe non sono rare nei cavalli stornelli
e grigi: e ne abbiamo un esempio anche nel cavallo castagno; così nei
cavalli grigi può trovarsi talvolta la riga sulla spalla, ed io ne vidi
una traccia sopra un cavallo baio. Mio figlio esaminò accuratamente e
disegnò per me un cavallo grigio belga da tiro, che aveva una doppia
riga ad ogni spalla e le gambe rigate; io stesso ho veduto un pony grigio del
Devonshire, e mi è stato descritto un piccolo pony brettone, ambidue
dotati di tre righe parallele ad ogni spalla
Nel
paese al N. O. dell'India la razza dei cavalli Kattywar è rigata tanto
generalmente, che, da quanto mi disse il colonnello Poole, incaricato dal
Governo delle Indie di esaminarla, un cavallo senza righe non si considera come
di razza pura. Il dorso è sempre rigato; le gambe sono generalmente
listate; e la fascia della spalla, talvolta doppia e tripla, è comune;
anche la parte laterale della faccia presenta qualche volta delle rigature. Le
righe sono spesso più apparenti nel puledro, e talvolta scompariscono
affatto nei cavalli vecchi. Il colonnello Poole ha osservato dei puledri rigati
Kattywat grigi e bai. Ho anche motivo di ritenere, dietro le in formazioni
avute da W. W. Edwards, che nelle razze inglesi la linea dorsale sia più
comune ai puledri che ai cavalli pienamente sviluppati. Io ho allevato recentemente
un puledro di una cavalla castagna (figlia di uno stallone turcomanno e di una
cavalla fiamminga) e di uno stallone da corsa inglese castagno; questo puledro,
all'età di una settimana, era fornito ai quarti posteriori e sul davanti della testa di numerose e assai strette fasce oscure a guisa
di zebra, e possedeva tali fasce più deboli anche alle gambe; tutte
quelle fasce scomparvero ben tosto interamente. Senza entrare qui in maggiori
dettagli, posso assicurare che furono da me riuniti molti esempi di cavalli
delle razze più differenti colle gambe e le spalle rigate, in diversi
paesi dell'Inghilterra fino alla Cina orientale, e dalla Norvegia
settentrionale all'Arcipelago Malese nel Sud. In tutte le parti del mondo
queste rigature si manifestano([4])
più spesso nei cavalli grigi e stornelli; ma il termine grigio include
una grande gradazione di tinte, dal grigio bruno e dal nero fino al colore che
più si approssima alla tinta del pastello.
Il colonnello Hamilton Smith, che ha scritto su questo
argomento, ritiene che le diverse razze cavalline derivino da alcune specie
originali, una delle quali, cioè il cavallo grigio-scuro, era rigata; e
che tutte le particolarità sopraddette siano dovute ad antichi
incrociamenti col tipo grigio. Ma questa teoria non mi appaga, e non saprei
come applicarla a razze tanto diverse, some il pesante cavallo da tiro del
Belgio, i pony di Bretagna, i cavalli di Norvegia, la razza agile Kattywar,
ecc. che trovansi nelle parti più distanti del mondo.
Ora ci sia permesso di considerare gli effetti
dell'incrociamento delle varie specie del genere cavallo. Rollin asserisce che
il mulo comune, proveniente dall'asino e dal cavallo, è particolarmente
segnato di righe nelle sue gambe: secondo il Gosse in certi luoghi degli Stati
Uniti circa nove muli su dieci hanno le gambe rigate. Una volta io osservai un
mulo siffattamente rigato nelle gambe, che sulle prime ognuno avrebbe pensato che
derivasse da una zebra; e W. C. Martin, nel suo stupendo trattato del cavallo,
ha dato la figura di un mulo simile. In quattro disegni colorati di ibridi fra
l'asino e la zebra, ho notato che le gambe erano molto più rigate del
rimanente del corpo e in uno di essi si osservavano le doppie righe alla
spalla. Il famoso ibrido di lord Morton, proveniente da una cavalla castagna e
da un quagga maschio, aveva sulle gambe delle fasce più pronunciate di
quelle del quagga puro; e così anche la prole della medesima cavalla con
uno stallone arabo nero. Recentemente si è notato un fatto molto
rimarchevole, cioè l'ibrido prodotto dall'accoppiamento dell'asino
coll'emione; questo ibrido venne disegnato dal dott. Gray, il quale mi fece
noto, essersi verificato un altro caso. Esso aveva le quattro gambe rigate e
tre corte fasce sulle spalle, simili a quelle del cavallo grigio del Devonshire
e del pony brettone; benchè l'asino abbia di rado le righe sulle gambe e
l'emione non ne abbia alcuna, neppure sulle spalle, e inoltre aveva alcune
righe ai lati della faccia come la zebra. Riguardo a quest'ultimo fatto, io ero
tanto convinto che quelle rigature non derivavano da ciò che comunemente
si dice il caso, che la sola presenza delle strisce nella faccia di
quest'ibrido, prodotto dall'asino e dall'emione, mi indusse a chiedere al
colonnello Poole se questi segni si incontrano nei cavalli Kattywar che sono
molto rigati, e la risposta, come vedemmo, fu affermativa.
Che
cosa diremo di questi fatti? Noi vediamo parecchie specie distinte del genere
cavallo che divengono, per semplice variazione, rigate nelle gambe come la
zebra, o sulle spalle come l'asino. Nel cavallo noi troviamo questa forte
tendenza, ogni qualvolta si presenta la tinta grigia, la quale si avvicina di
più al colore generale delle altre specie del genere. La presenza delle
righe non è accompagnata da alcun mutamento di forma, nè da alcun
altro carattere nuovo. Noi osserviamo che questa tendenza a divenire rigati
è più fortemente spiegata negli ibridi derivanti da alcune fra le
specie più distinte. Abbiamo notato il caso di alcune razze di colombi:
esse derivarono da un colombo turchiniccio (comprensivamente a due o tre
sotto-specie o razze geografiche), dotato di certe fasce ed altre
particolarità; e quando una razza assume, per mezzo di semplici
variazioni, una tinta turchina, queste fasce e gli altri contrassegni ritornano
invariabilmente, ma senza che si verifichi alcun cambiamento di forma o di
carattere. Quando si incrociano le razze più antiche e più pure
di vari colori, noi troviamo nei meticci una tendenza particolare a ricuperare
quel colore, colle fasce e cogli altri segni. L'ipotesi più probabile,
per render conto della riapparizione di caratteri molto antichi, consiste nella
tendenza, che si manifesta nei giovani di ogni successiva generazione,
di riprodurre un carattere perduto da lungo tempo; tendenza che talvolta
prevale per cause ignote. Infatti noi vedemmo che in alcune specie del genere
cavallo le rigature sono più marcate, od anche si trovano più
comunemente nei puledri che negli adulti. Si chiamino specie quelle razze di
colombi che si moltiplicarono inalterate per secoli; questo caso non è
forse esattamente parallelo a quello delle specie del genere cavallo? Quanto a
me, risalendo migliaia e migliaia di generazioni, veggo in un animale rigato
come la zebra, ma forse per altri rapporti di una struttura molto diversa, il
comune progenitore del nostro cavallo domestico sia poi esso
derivato o no da un solo o da parecchi stipiti selvaggi([5])
dell'asino, dell'emione, del quagga o della zebra.
Nell'ipotesi che ogni specie equina sia stata creata
indipendentemente, io presumo debba affermarsi che ogni specie fu creata con
una certa tendenza a variare, vuoi allo stato di natura, vuoi allo stato
domestico, in un modo particolare; cosicchè spesso divenga rigata a
guisa delle altre specie del genere; e che inoltre ciascuna specie venne creata
con una forte tendenza a produrre ibridi rassomiglianti nelle loro rigature
alle altre specie del genere, anzi che ai loro propri parenti, quando questi
siano incrociati con altre specie abitanti in località del globo molto
lontane. Mi sembra che, adottando queste idee, si sostituirebbe ad una causa
reale una causa insussistente, o almeno ignota. Ciò sarebbe fare delle
opere di Dio una mera derisione, un inganno; sarebbe quasi un credere cogli
antichi ed ignoranti cosmogonisti che i molluschi fossili non hanno mai vissuto,
ma furono creati nella roccia per imitazione di quelli che ora sono viventi
sulle coste del mare.
SOMMARIO
La
nostra ignoranza sulle leggi della variazione è profonda. Noi non
possiamo pretendere di trovare, in un solo caso sopra cento, il motivo, per cui
questa o quell'altra parte differisca più o meno dallo stesso organo dei
progenitori. Ma quando anche noi abbiamo i mezzi di istituire un confronto,
pare che le medesime leggi governino la produzione delle differenze esistenti
fra le varietà di una specie e delle differenze più grandi
esistenti fra le specie di un medesimo genere. Alcune piccole modificazioni
possono essere derivate dalle condizioni esterne della vita, come dal clima,
dal nutrimento, ecc. L'abitudine poi sembra sia stata assai più efficace
ne' suoi effetti col produrre differenze costituzionali, come l'uso col
rinforzare gli organi e il non uso coll'indebolirli e col diminuirli. Le parti
omologhe tendono a variare nella stessa maniera e contemporaneamente. Le
modificazioni avvenute nelle parti dure e nelle esterne, talvolta agiscono
sulle parti molli e sulle interne. Quando un organo è molto sviluppato,
tende forse ad assorbire il nutrimento delle parti vicine; ed ogni parte
dell'organizzazione, la quale possa risparmiarsi senza danno dell'individuo,
sarà eliminata. Le modificazioni di struttura dell'età giovanile
generalmente influiranno sulle parti che si sviluppano posteriormente; esistono
inoltre molte altre correlazioni di sviluppo, la natura delle quali ci è
assolutamente incomprensibile. Le parti multiple sono variabili di numero e di
struttura, forse perchè esse non furono strettamente destinate ad un
ufficio speciale, in ogni funzione determinata; per modo che le loro mutazioni
non furono impedite rigorosamente dall'elezione naturale. Egli è
probabilmente per questa stessa causa che gli esseri organici inferiori nella scala naturale siano più variabili di quelli che hanno tutto
il loro organismo conformato a funzioni più distinte e sono più
elevati nella scala animale. Gli organi rudimentali non saranno perfezionati
dall'elezione naturale, perchè inutili, e perciò sono
probabilmente variabili. I caratteri specifici - cioè quei caratteri che
giunsero a differire, dacchè le varie specie del medesimo genere si
staccarono dal comune progenitore - sono più variabili dei caratteri
generici, cioè di quelli che furono ereditati da lungo tempo e che non
diversificarono durante il medesimo periodo.
Nelle
osservazioni che precedono noi abbiamo inteso parlare di quelle parti speciali
od organi che rimasero variabili, perchè infatti variarono recentemente
e così poterono differire; ma vedemmo altresì nel secondo capo
che lo stesso principio si applica all'intero individuo; perchè in quel
distretto in cui trovansi molte specie di un genere - cioè, dove esse
ebbero a presentare maggiori e più antiche variazioni e differenze,
oppure dove la formazione di novelle forme specifiche fu operata più
attivamente - in tale distretto e presso queste specie noi troveremo in media
un numero maggiore di varietà. I caratteri sessuali secondari sono
altamente variabili, e questi caratteri sono più differenti nelle specie
appartenenti ad un medesimo gruppo. La variabilità delle stesse parti
dell'organizzazione ha generalmente favorito la produzione delle differenze sessuali
secondarie nei sessi di una specie, e delle differenze specifiche nelle varie
specie un genere. Ogni parte od organo sviluppato in dimensioni straordinarie
od in una maniera stravagante, rispetto alla medesima parte od organo nelle
specie affini, deve essere passata per una serie straordinaria di
modificazioni, dopo la formazione del genere; quindi noi siamo in grado di
comprendere, perchè spesso quella parte sia assai più variabile
delle altre; perchè il processo di variazione è lento e
lungamente continuato, e l'elezione naturale in questi casi non ebbe il tempo
di vincere la tendenza alla variabilità ulteriore e alla riversione
verso uno stato meno modificato. Ma quando una specie, fornita di un organo
eccezionalmente sviluppato, è divenuta madre di molti discendenti
modificati (processo che, secondo le mie idee, dev'essere lentissimo e
richiedere un lungo lasso di tempo), in tal caso l'elezione naturale può
facilmente essere riuscita a dare un carattere fisso all'organo, per quanto
anormale possa essere lo sviluppo di esso. Quelle specie che hanno ereditato
una costituzione quasi identica dal loro comune progenitore e che si trovano
sotto le medesime influenze tenderanno a presentare variazioni analoghe, e
potranno accidentalmente ripigliare alcuni caratteri dei loro antenati.
Quantunque le riversioni e le variazioni analoghe non possano dar luogo a nuove
ed importanti modificazioni, queste modificazioni accresceranno tuttavia la
bellezza e la varietà armonizzante della natura.
Qualunque sia la causa della prima leggera differenza tra i genitori e la
prole, e una causa deve certamente esistere, può affermarsi, che
solamente la continua accumulazione di queste benefiche differenze abbia
prodotto le più notevoli modificazioni di struttura in relazione alle
abitudini di vita di ciascuna specie.
CAPO VI
Difficoltà contro la teoria della discendenza con
modificazioni - Assenza o rarità delle varietà intermedie -
Transizioni nelle abitudini della vita - Abitudini diverse nella stessa specie
- Specie dotate di abitudini affatto differenti da quelle delle specie affini -
Organi di estrema perfezione - Mezzi di transizione - Casi difficili - Natura non facit saltum - Organi di poca importanza - Organi non sempre
assolutamente perfetti - Le leggi dell'Unità di tipo e delle Condizioni
d'esistenza sono comprese nella teoria dell'Elezione naturale.
Anche prima di giungere a questo punto della mia opera, molte
difficoltà si saranno affollate nella mente del lettore. Alcune di esse
sono tanto serie, che fin qui non potei riflettervi senza rimanere colpito
dalla loro importanza; ma per quanto so giudicarne, in gran parte sono soltanto
apparenti, e quelle che sono fondate non sono, a mio avviso, fatali alla mia
teoria.
Queste difficoltà od obbiezioni ponno classificarsi nei seguenti
capi: - Primieramente, se le specie derivano da altre specie, per mezzo di
gradazioni insensibili, perchè non vediamo noi dappertutto innumerevoli
forme transitorie? Perchè tutta la natura non è confusa, mentre
al contrario le specie sono, come noi sappiamo, ben definite?
Secondariamente, è forse possibile che un animale della struttura,
per esempio, e delle abitudini di un pipistrello, possa essere stato formato
col mezzo di modificazioni di qualche animale dotato di abitudini e di struttura
interamente diverse? Abbiamo noi a ritenere che l'elezione naturale possa
produrre, da una parte organi di così debole importanza, come la coda
della giraffa che serve a guisa di cacciamosche, dall'altra parte organi di una
struttura tanto portentosa, come l'occhio, del quale noi possiamo appena
conoscere la perfezione meravigliosa?
In terzo luogo, potrebbero gl'istinti acquistarsi o
modificarsi per mezzo della elezione naturale? Quale istinto possiamo noi
addurre più meraviglioso di quello che conduce le api a fabbricarsi le
loro celle, che praticamente hanno preceduto le scoperte di profondi
matematici?
In quarto luogo, come puossi spiegare per qual ragione le
specie, quando siano incrociate, rimangano sterili e generino una prole
sterile; mentre, quando si incrocino le varietà, la loro
fecondità resta inalterata?
Discuteremo qui i due primi punti, diverse altre obiezioni
negli altri capitoli, e tratteremo nei due capitoli che seguono il presente
dell'istinto e dell'ibridismo.
SULL'ASSENZA O RARITÀ DELLE VARIETÀ TRANSITORIE
L'elezione naturale agendo solamente per la conservazione
delle modificazioni profittevoli, ogni nuova forma, in un paese completamente
abitato, tenderà a prendere il posto dei suoi propri parenti meno
perfezionati o delle altre forme meno favorite, colle quali entra in lotta e
cercherà infine di esterminarle. Così l'estinzione e la naturale
elezione andranno di pari passo, come abbiamo dichiarato. Quindi se noi
consideriamo che ogni specie sia derivata da qualche altra forma sconosciuta,
ambi i progenitori e tutte le varietà transitorie saranno state
generalmente esterminate, in conseguenza del processo di formazione e di
perfezionamento della nuova forma.
Ma se dietro questa teoria debbono essere esistite innumerevoli forme transitorie,
perchè non le troviamo noi sepolte nella crosta del globo in un numero
indefinito? Sarà molto più conveniente sviluppare tale questione
nel capo sulla imperfezione dei documenti geologici; qui non dirò altro,
che credo tali documenti siano incomparabilmente meno perfetti, di quello che
in generale si suppone. La crosta del globo è un vasto museo; ma le
collezioni naturali ch'essa contiene furono formate ad intervalli di tempo
immensamente lontani.
Ma
quando parecchie specie strettamente affini abitano nello stesso territorio,
può assicurarsi che oggidì noi troveremo molte forme transitorie.
Prendiamo un caso semplice. Nel viaggiare dal nord al sud sopra un Continente,
noi generalmente incontreremo ad intervalli successivi alcune specie molto
affini o rappresentative, le quali evidentemente occupano un posto quasi
identico nella naturale economia del Paese. Queste specie rappresentative
spesso si mescolano e si confondono; di mano in mano che una diviene più
scarsa, l'altra si accresce sempre più, cosicchè in fine la
seconda rimpiazza la prima. Ma se si paragonino queste specie nei luoghi in cui
sono frammiste, esse sono in generale assolutamente distinte fra loro, in tutti
i dettagli della struttura, come gli individui presi nel centro della nativa contrada. Secondo la mia teoria, queste specie affini sono derivate da un
parente comune; e, durante il processo di modificazione, ognuna di esse si
uniformò alle condizioni di vita della propria regione, e succedette ai
progenitori originali estinguendoli; come pure distrusse tutte le
varietà transitorie fra il suo stato antico e il suo stato attuale.
Quindi noi non avremo da aspettarci che possano presentemente trovarsi numerose
varietà transitorie in ogni regione, benchè queste debbano
esservi esistite e possano esservi sepolte nella condizione di fossili. Ma
nella regione intermedia, nella quale si hanno anche condizioni di vita
intermedie, perchè non troveremo oggi quelle varietà intermedie
che collegano fra loro le altre forme? Questa difficoltà mi confuse per
lungo tempo; ma credo che possa in gran parte appianarsi.
In primo luogo, noi dovremo essere estremamente cauti nell'inferire che un
paese sia stato continuo, per un lungo periodo, dal trovarlo continuo ai nostri
giorni. La geologia ci insegnerà al contrario che quasi tutti i
Continenti erano spezzati in tante isole, negli ultimi periodi terziari; ora,
in queste isole possono essersi formate separatamente specie distinte, senza
che fosse in alcun modo possibile l'esistenza di varietà intermedie in
zone intermedie. Pei cangiamenti nella forma del Paese e nel clima, le
superfici del mare, che ora sono continue, debbono essere state recentemente in
una condizione uniforme e diversa da quella in cui al presente si trovano. Ma
non voglio continuare in questa via, onde sottrarmi alla difficoltà;
perchè io credo che molte specie perfettamente definite sieno state
formate sopra vaste superfici, non interrotte menomamente; quantunque io non
dubiti che l'antico stato di interruzione e di frastagliamento delle aree, oggi
continue, avesse un importante ufficio nella formazione delle specie nuove, e
più specialmente fra gli animali vaganti e che liberamente s'incrociano.
Se
si consideri come attualmente sono distribuite le specie sopra una vasta
regione, noi le troviamo generalmente numerose sopra una certa estensione del
territorio; indi le vediamo diminuire d'improvviso, quanto più ci
accostiamo ai confini, e infine non ne rimane alcuna traccia. Quindi il
territorio neutrale fra due specie rappresentative è in generale
ristretto in confronto del territorio proprio di ciascuna di esse. Noi siamo
testimoni del medesimo fatto, ascendendo i monti, ed è notevole come le
specie alpine comuni repentinamente scompariscano, locchè risulta anche
dalle osservazioni di Alfonso De Candolle. Il medesimo fatto fu rilevato da E.
Forbes nello scandagliare la profondità del mare con la sonda. Questi
fatti debbono recare qualche sorpresa a coloro che riguardano il clima e le
condizioni fisiche della vita come gli elementi più importanti di
distribuzione, perchè il clima e l'altezza o la profondità
variano per gradi insensibilmente. Ma quando noi richiamiamo alla mente che
quasi tutte le specie, anche nella loro metropoli, crescerebbero immensamente
di numero, ove non avvenisse la lotta colle altre specie; che quasi tutte o
predano le altre, o rimangono preda di esse; in breve, che ogni essere organico
è collegato direttamente o indirettamente in un modo molto importante
cogli altri esseri organici; noi dobbiamo ammettere che la distribuzione degli
abitanti di ogni paese non può dipendere esclusivamente dai cambiamenti
insensibili delle condizioni fisiche, ma in massima parte dalla presenza di
altre specie che loro sono indispensabili, le quali, o ne cagioneranno la
distruzione, o entreranno in lotta con essi; e siccome queste specie sono ormai
ben distinte, e non passano insensibilmente l'una nell'altra, la distribuzione
di una specie, che appunto dipende da quella delle altre, deve tendere ad una
retta demarcazione. Inoltre ogni specie, sui confini della sua contrada, ove
esiste in minor quantità, deve andar soggetta alla completa distruzione
per le variazioni nel numero de' suoi nemici o degli animali che sono sua
preda, od anche per le stagioni; e così la sua posizione geografica deve
essere vieppiù profondamente marcata.
Se
è vero che le specie affini o rappresentative, quando abitano una
superficie continua, sono generalmente distribuite in modo che ognuna di esse
occupa una vasta estensione, frapponendosi un territorio neutrale comparativamente
ristretto in cui essa diviene continuamente più scarsa; allora, siccome
le varietà non differiscono essenzialmente dalle specie, la stessa
regola si applicherà probabilmente ad ambedue. Se noi immaginiamo che
una specie variabile si sia adattata ad una regione molto vasta, si
dovrà concedere ancora che due varietà si siano uniformate a due
paesi grandi ed una terza varietà si sia stabilita in una ristretta zona
intermedia. Per conseguenza la varietà intermedia sarà più
scarsa di numero, occupando un'area minore e più ristretta; praticamente
poi questa regola, per quanto potei osservare, si estende
alle varietà nello stato naturale. Io ho incontrato delle rigorose
applicazioni di codesta regola nelle varietà intermedie fra altre
varietà ben distinte del genere Balanus. Risulterebbe
altresì dalle informazioni fornitemi dal Watson, dal dott. Asa Gray, e
dal Wollaston, che generalmente, quando si trovano delle varietà
intermedie fra altre due forme, esse sono più scarse in numero delle
forme correlative. Ora, se noi possiamo accertare questi fatti e queste
deduzioni e quindi concludere che le varietà, le quali collegano fra
loro altre due varietà, sono esistite generalmente in minor numero che
le forme collegate; allora io credo che noi possiamo comprendere per qual
motivo le varietà intermedie non debbano durare per lunghi periodi; e
come, in regola generale, abbiano a rimanere distrutte ed a scomparire
più presto di quelle forme, alle quali dapprima servivano di legame
intermedio.
Perchè
ogni forma esistente in piccolo numero deve correre, come altrove si disse, una
maggiore probabilità di essere sterminata di quello che una forma molto
numerosa; in questo caso speciale, la forma intermedia sarà soggetta
eminentemente alle irruzioni delle forme strettamente affini esistenti
lateralmente. Ma havvi una considerazione più importante, secondo me,
vale a dire che, durante il processo di ulteriori modificazioni, per mezzo del
quale due varietà si perfezionano e si trasformano in due specie distinte,
come viene supposto nella mia teoria, quelle che non sono molto numerose,
abitando un Paese vasto, avranno un grande vantaggio sopra la varietà
intermedia, esistente in piccolo numero nella zona intermedia e ristretta.
Perchè le forme esistenti in gran numero avranno sempre una maggiore
probabilità di presentare, in un periodo determinato, diverse variazioni
favorevoli, sulle quali possa esercitarsi l'elezione naturale, piuttosto che le
forme scarse che esistono in minor numero. Quindi nella lotta per la vita le
forme più comuni tenderanno a battere e soppiantare le forme meno
comuni; mentre queste saranno più lentamente
modificate e perfezionate. Credo che questo stesso principio spieghi per qual
ragione le specie comuni d'ogni paese, come fu dimostrato nel capo secondo,
presentino in media più varietà ben distinte che le specie
più rare. Io posso chiarir meglio il mio concetto, supponendo che si
abbiano tre varietà di pecore, la prima adatta ad una estesa regione
montuosa, la seconda ad una collina relativamente ristretta, e la terza ad una
vasta pianura alla base del colle. Posto che tutti gli abitanti di questo paese
si sforzino, con eguale costanza ed abilità, di migliorare il loro
gregge per mezzo della elezione; in tal caso, le sorti saranno assai più
favorevoli ai grandi possessori della montagna o della pianura, i quali
perfezioneranno le loro razze più rapidamente che i piccoli proprietari
della ristretta zona di colli intermedia; e quindi la razza perfezionata di
montagna o di pianura prenderà sollecitamente il posto della meno
perfezionata del colle; e così le due razze, che in origine esistevano
in numero maggiore, verranno in stretto contatto fra loro, senza l'interposizione
della intermedia varietà del colle, che fu soppiantata.
Insomma, io credo che le specie divengano oggetti abbastanza
ben marcati e definiti, in modo da non offrire in qualsiasi periodo un caos
inestricabile di forme variabili, ed intermedie: primieramente perchè le
nuove varietà sono formate con estrema lentezza, essendo lentissimo il
processo delle variazioni, e l'elezione naturale non può agire fintanto
che non si presentino variazioni favorevoli, e finchè nella naturale economia
della regione non siavi un posto che possa occuparsi più
vantaggiosamente, per qualche modificazione avvenuta in uno, o in parecchi
abitanti. Ora questi nuovi posti dipenderanno dagli insensibili cambiamenti del
clima, o dall'accidentale immigrazione di nuovi abitanti, e probabilmente, in
un grado ben più importante, dalle lente modificazioni di alcuni degli
antichi abitanti; mentre le nuove forme così prodotte e le antiche
agiranno e reagiranno scambievolmente le une sulle altre. Per modo che in ogni
regione e in ogni tempo noi non troveremo che poche specie, le quali offrano
piccole modificazioni di struttura, alcun poco permanenti; e certamente questo
è ciò che vediamo.
In secondo luogo, le superfici che oggi sono continue debbono
in periodi recenti essersi trovate interrotte in porzioni isolate, in cui molte
forme, specialmente in quelle classi d'animali che si accoppiano per ogni parto
e sono molto vaganti, possono essere divenute separatamente abbastanza
distinte, da considerarsi come specie rappresentative. In questo caso le
qualità intermedie fra le varie specie rappresentative e il loro stipite
comune, devono ritenersi come anticamente esistenti in ogni porzione interrotta
del paese; ma questi anelli di congiunzione saranno stati sopraffatti ed
esterminati durante il processo di elezione naturale, così che non
trovansi più allo stato vivente.
In terzo luogo, allorchè due o più varietà vennero
formate in porzioni differenti di una superficie continua, le varietà
intermedie saranno state probabilmente nelle zone intermedie, ma avranno avuto
in generale una breve durata. Perchè queste varietà intermedie
esistettero nelle zone intermedie in minor numero di quelle varietà che
esse tendono a connettere, e ciò per ragioni altrove dichiarate (cioè
da quanto noi conosciamo intorno all'attuale distribuzione delle specie
strettamente affini o rappresentative, come pure delle varietà note).
Per questa sola causa le varietà intermedie saranno soggette alla
distruzione accidentale; e durante il processo, di successive modificazioni
mediante l'elezione naturale, esse saranno quasi certamente battute e
soverchiate dalle forme che esse collegano; dappoichè queste, esistendo
in un numero più grande, presenteranno, nell'insieme, variazioni
maggiori, e così saranno vieppiù perfezionate col mezzo della
elezione naturale, e guadagneranno maggiori vantaggi.
Da ultimo, pensando all'intero corso dei tempi, anzichè a un'epoca
particolare, se la mia teoria è fondata, esistettero sicuramente
infinite varietà intermedie, che collegarono strettamente fra loro tutte
le specie di un medesimo gruppo; ma il processo di elezione naturale tende
continuamente, come spesso notammo, a distruggere le madri-forme e gli anelli
intermedi. Perciò la dimostrazione della loro antica esistenza
può solo trovarsi negli avanzi fossili che furono preservati, come noi
cercheremo dimostrare in uno dei capi seguenti con memorie estremamente
imperfette ed intermittenti.
SULL'ORIGINE E SULLE TRANSIZIONI DEGLI ESSERI ORGANICI
DOTATI DI PARTICOLARI ABITUDINI E STRUTTURE
Si è chiesto dagli oppositori della nostra dottrina in
che modo, per esempio, un animale carnivoro terrestre possa essere stato
trasformato in animale acquatico: come può infatti un animale aver
continuato ad esistere nel suo stato transitorio? Sarebbe facile dimostrare che
nel medesimo gruppo esistono animali carnivori che posseggono ogni gradazione
intermedia fra le abitudini veramente acquatiche e quelle puramente terrestri;
ora, siccome ognuno esiste in seguito alla lotta per la vita, è chiaro
che deve essere anche bene adatto nelle sue abitudini alla propria dimora nella
natura. Prendiamo la Mustela vison dell'America settentrionale, che ha i
piedi palmati e rassomiglia alla lontra nel suo pelo, nelle sue gambe corte, e
nella forma della coda; nell'estate quest'animale si tuffa nell'acqua e si
nutre di pesce, ma durante il lungo inverno abbandona le acque gelate e coglie,
come gli altri gatti del polo, i sorci ed altri animali terrestri. Se si fosse
scelto un altro caso e si fosse domandato, come un mammifero insettivoro possa
cambiarsi in pipistrello volante, la questione sarebbe stata assai più
difficile, e non avrei saputo dare alcuna risposta. Tuttavia credo che queste
obbiezioni non abbiano molto peso.
In questo luogo, come in altre occasioni, io soggiaccio un grave
svantaggio, perchè, tra i moltissimi fatti da me raccolti, io non posso
dare che uno o due esempi di abitudini e strutture transitorie di specie
strettamente affini di uno stesso genere; e di abitudini diverse costanti od
accidentali in una medesima specie. Mi sembra però che una lunga lista
di questi fatti basterebbe a scemare la difficoltà di ogni caso
speciale, analogo a quello del pipistrello.
Consideriamo intanto la famiglia degli scoiattoli; noi abbiamo
in essa la più regolare gradazione dagli individui che hanno la coda
leggermente appianata, e da quelli che, come osservò J. Richardson,
hanno la parte posteriore del loro corpo alquanto più larga, e la pelle
dei loro fianchi più sviluppata, fino a quelli scoiattoli che si dicono
volanti. Questi scoiattoli volanti hanno le loro membra ed anche la base della
coda riunite per mezzo di una larga espansione della pelle, la quale serve loro
di paracadute e permette ai medesimi di sostenersi nell'aria, per saltare da un
albero all'altro, ad una distanza prodigiosa. Noi non possiamo mettere in
dubbio che ogni struttura speciale sia utile a ciascuna razza di scoiattoli nel
loro paese nativo, per renderli più agili ad evitare gli uccelli rapaci
o le belve, o anche per facilitare ad essi la provvista dell'alimento, o infine
per diminuire il pericolo di accidentali cadute, come può con ragione
supporsi. Ma non deve da questo fatto scaturire la conseguenza ch'ogni
scoiattolo sia dotato della struttura migliore che sia possibile immaginare,
sotto tutte le condizioni naturali. Poniamo che il clima e la vegetazione si
mutino, poniamo che altri roditori antagonisti, o nuovi animali rapaci, si
introducano, oppure che alcuni fra gli antichi animali si modifichino, e tutta
l'analogia ci trarrà nell'opinione che fra gli scoiattoli almeno alcuni
diminuiranno di numero o rimarranno estinti, quando non finiscano anch'essi per
subire modificazioni e perfezionamenti di struttura in un modo corrispondente.
Perciò io non posso vedere alcuna difficoltà, specialmente sotto
condizioni di vita mutabili, nella continua preservazione di individui dotati
di membrane ai fianchi sempre più sviluppate e complete, ogni
modificazione essendo utile in tal caso, e trasmessa per eredità fino al
punto in cui, per gli effetti accumulati di codesto eccesso di elezione
naturale, si sia formato uno scoiattolo volante.
Ora portiamo la nostra attenzione sul
galeopiteco, o lemuro volante, che un tempo venne falsamente classificato fra i
pipistrelli. Egli possiede una larga membrana ai fianchi, la quale si estende
dagli angoli della mascella fino alla coda e racchiude le estremità e le
dita allungate: tale membrana è fornita di un muscolo estensore.
Benchè al presente non si rinvengano legami graduali di tale struttura,
tra gli altri lemuri e il galeopiteco, nondimeno io non trovo strano il
supporre che anticamente questi legami esistessero e che ognuno di essi
apparisse colla stessa gradazione che si osserva nel caso degli scoiattoli
comuni e degli scoiattoli volanti; poichè ogni fase di miglioramento di
struttura in questa direzione fu sempre utile all'individuo. Io non trovo
inoltre alcuna difficoltà insuperabile nel supporre che nel galeopiteco
sia avvenuto gradatamente l'allungamento dello avambraccio e delle dita, fra le
quali si estende la membrana, per mezzo della elezione naturale; e ciò
non sarebbe che una trasformazione di questo lemuro in pipistrello, almeno per
quanto riguarda gli organi del volo. Nei pipistrelli, che hanno la membrana
delle ali dal vertice della spalla alla coda, incluse le gambe posteriori, noi
vediamo forse le tracce di un apparato in origine destinato piuttosto ad
aiutare l'animale nell'attraversare l'aria fra due punti non molto discosti,
anzi che costituito per il volo.
Se
circa una dozzina di uccelli fossero rimasti estinti o non conosciuti, chi
avrebbe potuto avventurarsi a congetture che possono esservi stati uccelli, i
quali impiegassero le loro ali semplicemente a guisa di spatole, per svolazzare
alla superficie dell'acqua come l'anitra stupida (Micropterus di Eyton),
oppure servendosene di natatoie nell'acqua e di estremità anteriori
sulla terra, come il pinguino; a guisa di vele come lo struzzo per facilitare
la corsa; ed anche per nessuna funzione come l'apterice? Eppure la struttura di
ognuno di questi uccelli è buona per lui, nelle condizioni di vita, alle
quali trovasi esposto, e nelle quali deve lottare per la sua esistenza; ma
quella struttura non è necessariamente la migliore possibile, in tutte
le condizioni possibili. Da queste osservazioni non deve dedursi che ciascuno
dei gradi citati nella struttura delle ali (che forse potranno avere avuto
origine dal non-uso) indichi la gradazione naturale, per la quale gli uccelli
acquistarono la perfetta facoltà di volare; valgono però almeno a
dimostrare quali mezzi diversi di transizione sono possibili.
Se
si riflette che alcuni pochi animali dotati di respirazione acquatica, delle
classi dei crostacei e dei molluschi, sono adatti a vivere sulla terra: e si
pensa che gli uccelli volano, che vi sono dei mammiferi volanti e degli insetti
volanti, appartenenti ai tipi più diversi; che inoltre esistettero nelle
epoche passate dei rettili volanti, allora può comprendersi come i pesci
volanti, che al presente coll'aiuto delle loro pinne pettorali s'innalzano
obliquamente sopra il livello del mare e attraversano l'aria in un arco largo,
possano essere trasformati in animali perfettamente alati. Quando ciò
fosse avvenuto, chi si sarebbe mai immaginato che in un primitivo stato
transitorio essi fossero abitatori dell'oceano e usassero i loro organi
incipienti del volo per schivare di essere divorati da altri pesci?
Quando
noi osserviamo un organo altamente perfezionato per una speciale abitudine,
come le ali degli uccelli per volare, dobbiamo riflettere che quegli animali,
nel primo stadio di formazione, assai di rado potevano conservarsi sino ad
oggi, perchè essi saranno stati sostituiti da altri, per mezzo del
processo di perfezionamento, operato dall'elezione naturale. Inoltre noi
dobbiamo pensare che i gradi transitorii fra quelle strutture che sono adattate
ad abitudini di vita affatto opposte, non si svilupparono nel periodo primitivo
in gran numero e sotto molte forme subordinate. Così ritornando
all'esempio ideato del pesce volante, non deve sembrare probabile che alcuni
pesci, capaci di volare, possano essersi sviluppati sotto molte forme
subordinate, per impadronirsi di varie sorta di preda in diversi modi, sulla
terra o nell'acqua, finchè i loro organi per il volo avessero raggiunto
un alto stadio di perfezione, e non avessero ottenuto un vantaggio deciso sopra
gli altri animali nella lotta per la vita. Quindi la probabilità di
scoprire specie dotate di gradi transitori di struttura,
nella condizione di fossili, sarà sempre minore; poichè le
medesime esistettero in numero molto più ristretto, che quando le specie
ebbero un organismo pienamente sviluppato.
Ora passiamo
a due o tre esempi di abitudini rese diverse e modificate presso individui di
una medesima specie. In un dato caso potrà agevolmente l'elezione agire
sull'animale, conformandolo, per mezzo di alcune modificazioni di struttura,
alle sue nuove abitudini, oppure esclusivamente ad una di queste abitudini
diverse. Ma è difficile stabilire, cosa per noi di poca entità,
se generalmente le abitudini si cangino prima della struttura: o se piccole
modificazioni di struttura inducano la mutazione delle abitudini; probabilmente
può dirsi che ambedue variano spesso quasi simultaneamente. Quanto ai
casi di cambiamento d'abitudini, basterà semplicemente ricordare i molti
insetti d'Inghilterra, che attualmente si nutrono di
piante esotiche, o esclusivamente di sostanze artificiali. Quanto alle
abitudini diversificate, potrebbero darsi esempi senza fine. Io spesso ho
osservato una specie di laniere dell'America meridionale (Saurophagus
sulphuratus) svolazzare sopra un luogo e poi sopra un altro come un
falchetto da torre e altre volte rimanere stazionario sul margine dell'acqua,
per lanciarsi poi con impeto sul pesce a guisa di alcedine. Nel nostro stesso
Paese può vedersi talvolta la cingallegra maggiore (Parus major)
arrampicarsi ai rami quasi come un picchio; altre volte ammazzare i
piccoli uccelli a colpi di becco, non altrimenti del laniere; ed io pure
l'osservai molte volte rompere a colpi i semi del tasso sopra un ramo ed altre
schiacciarli col becco, come fa il rompinoce. Nell'America del Nord fu veduto
dall'Hearne l'orso nero nel mentre nuotava per diverse ore, con la bocca
spalancata per cogliere gl'insetti nell'acqua, ad imitazione dei cetacei.
Come
noi talvolta notiamo esservi qualche individuo d'una specie che tiene abitudini
affatto diverse da quelle della specie stessa e delle altre specie del medesimo
genere, possiamo arguirne, secondo la mia teoria, che questi individui
accidentalmente potrebbero dare origine a nuove specie, avendo abitudini
anormali e la loro struttura modificata leggermente od anche notevolmente da
quelle del loro medesimo tipo. Questi fatti si incontrano nella natura. Quale
esempio di adattamento infatti sarebbe più concludente di quello dei picchi
che si arrampicano sugli alberi e colgono gli insetti nelle fessure della
corteccia? Tuttavia trovansi nell'America settentrionale dei picchi che
mangiano le frutta, ed altri forniti d'ali allungate che si
impadroniscono degli insetti di volo. Nelle pianure della Plata, in cui non
cresce alcun albero, havvi un picchio (Colaptes campestris) che ha due
dita in avanti e due indietro, una lingua lunga ed appuntata e le penne della
coda resistenti, benchè meno resistenti di quelle dei picchi tipici (ed
io lo vidi ciò nondimeno usare la coda come di un punto d'appoggio per
mantenersi contro un piano verticale) e dotato di un becco ritto e robusto. Il
becco non è forte come quello dei picchi tipici: è però
abbastanza duro per forare il legno. Quindi il Colaptes della Prata
è a considerarsi come un picchio, in tutte le parti essenziali della sua
organizzazione. Persino alcuni caratteri di minore importanza, come il colore,
il suono aspro della voce e il volo ondulatorio, tutto mi persuade della sua
affinità coi nostri comuni picchi. Ma questo picchio, come posso
assicurare dietro le mie proprie osservazioni e quelle dell'esatto Azara, in
certi distretti non si arrampica mai sugli alberi, e costruisce il nido nelle
cavità delle rive. In certi altri distretti lo stesso picchio, come
Hudson assicura, visita gli alberi, e pratica dei fori nei tronchi per porvi il
suo nido. Voglio addurre ancora un esempio di variate abitudini di vita, tolto
dallo stesso gruppo. Il De Saussure ha descritto un Colaptes messicano,
del quale ci racconta che pratica dei fori nel duro legno per deporvi i suoi
depositi di ghiande.
Le procellarie sono fra gli uccelli i maggiori volatori e
frequentatori del mare, ma nello stretto tranquillo della Terra del Fuoco la Puffinuria
Berardi potrebbe essere scambiata da ognuno per un pinguino o per un
colimbo, in causa delle sue abitudini generali, della sua meravigliosa
facoltà di immergersi nell'acqua, del modo di nuotare, e di volare,
quando involontariamente prende il volo; ciò nonostante essa è
essenzialmente una procellaria, ma con molte parti della sua organizzazione
profondamente modificate in rapporto alle sue nuove abitudini di vita: mentre
il picchio della Plata ha una struttura solo leggermente modificata. Nel merlo
acquatico al contrario il più acuto osservatore non potrebbe mai
desumere le sue abitudini acquatiche per quanto ne esaminasse il corpo morto;
però questo membro anomalo della famiglia dei tordi terrestri si tuffa
nell'acqua, scava i ciottoli coi piedi e impiega le sue ali sotto l'acqua.
Tutti i membri dell'ordine degli imenotteri sono animali terrestri, ad
eccezione del genere Proctotrupes, il quale, come ha trovato
recentemente il Lubbock, è acquatico nelle sue abitudini. Questi animali
vanno spesso nell'acqua, si sommergono, non col mezzo delle zampe, ma delle
ali, e rimangono perfino quattro ore sott'acqua. E tuttavia nulla si rinviene
nella loro struttura, che fosse in relazione con abitudini così
anormali.
Coloro che pensano che ogni essere sia stato creato nello stato in cui oggi
lo troviamo, debbono talvolta rimanere sorpresi dall'incontrare un animale
avente delle abitudini che non sono conformi alla struttura. Che cosa vi ha di
più chiaro, che i piedi palmati delle oche e delle anitre siano stati
formati per il nuoto: tuttavia sonovi nei paesi montuosi delle anitre a piedi
palmati che raramente o quasi mai scendono nell'acqua; niuno ha mai osservato,
eccetto Audubon, la fregata, che ha i suoi quattro diti palmati, posarsi sulla
superficie del mare. D'altra parte, i colombi e le folaghe sono eminentemente
acquatici, benchè le loro dita siano soltanto orlate con una membrana.
Certamente nulla può sembrare più evidente delle dita lunghe
delle gralle, formate per camminare sopra le paludi e sulle piante acquatiche!
eppure l'Ortygometra ha abitudini consimili a quelle della folaga; e il
rallo è terrestre quasi come la quaglia o la pernice. In questi casi, e
in molti altri che potrebbero citarsi, le abitudini furono modificate, senza
che la struttura subisse cambiamenti corrispondenti. Il piede palmato
dell'anitra di montagna può dirsi che sia divenuto rudimentale nella
funzione, ma non già nella struttura. La membrana profondamente solcata
fra le dita della fregata, prova che la struttura di questo uccello cominciò
a cambiarsi.
Quelli che
tengono l'opinione degli atti innumerevoli e separati di creazione diranno che
in simili casi piacque al Creatore di far sì che un essere di un tipo
prendesse il posto di quello d'un altro tipo; mi sembra che con ciò si
ristabilisca il fatto con un linguaggio mistico. Quelli che credono nella lotta
per l'esistenza e nel principio dell'elezione naturale, sanno che ogni essere
organico si sforza costantemente di crescere in numero; e che se ogni essere
varia, anche in menomo grado, nelle abitudini o nella struttura, e acquista per
tal modo un vantaggio sopra qualche altro abitante della regione, egli ne
prenderà il posto, per quanto diverso da quello che prima occupava.
Quindi a costoro non parrà strano che esistano anitre e fregate a piedi
palmati, le quali vivano in un paese secco e non scendano nell'acqua che assai
di rado; che vi siano dei Crex dotati di lunghe dita, i quali abitano
nei prati, anzichè nelle paludi; che si trovino dei picchi in luoghi in
cui non esistono alberi; che si abbiano tordi che si tuffano nell'acqua e che
esistano delle procellarie colle abitudini dei pinguini.
ORGANI ESTREMAMENTE PERFETTI E COMPLICATI
Io confesso liberamente che mi pare il più alto assurdo possibile
supporre che l'occhio sia stato formato per mezzo dell'elezione naturale, con
tutte le sue inimitabili disposizioni ad aggiustare il suo fuoco alle varie
distanze, ad ammettere diverse quantità di luce e a correggere
l'aberrazione sferica e cromatica. Quando si proclamò per la prima volta
che il sole è immobile e che la terra gira intorno ad esso, il senso
comune degli uomini dichiarò falsa questa dottrina; ma la vecchia
sentenza Vox populi vox Dei, come ogni filosofo sa, non può
sostenersi nella scienza. La ragione mi indica che, se può dimostrarsi
che esistano numerose gradazioni dall'occhio perfetto e complesso all'occhio
più semplice ed imperfetto, e che ogni grado di tale perfezionamento sia
utile all'individuo; se di più l'occhio deve variare, sia pure
insensibilmente, e le variazioni sono trasmesse per eredità, come
appunto si verifica; e se infine ogni variazione o modificazione di un organo,
sotto condizioni mutabili di vita, è sempre utile all'animale; allora la
difficoltà di ammettere che un occhio perfetto e complesso possa
formarsi per elezione naturale, quantunque insuperabile alla nostra
immaginazione, può vincersi e questa ipotesi può ritenersi vera.
Come possa un nervo divenire sensibile alla luce è una questione che non
ci spetta più di quella dell'origine della nostra vita. Farò
tuttavia un'osservazione. Com'è noto che alcuni degli infimi organismi,
nei quali nessun nervo è giammai stato osservato, sono sensibili per la
luce, così non sembra impossibile che determinati elementi del sarcode,
di cui principalmente constano, siano stati aggregati e sviluppati a guisa di
nervi forniti di questa specifica sensibilità.
Nello studiare le gradazioni, per le quali un organo di una data specie si
perfezionò, noi dovremmo tener dietro esclusivamente alla serie dei
predecessori; ma ciò non può farsi quasi mai, e però noi
siamo costretti in ogni caso ad investigare sulle specie di un medesimo gruppo,
cioè sui discendenti collaterali della stessa madre-forma originale, per
vedere quante gradazioni sieno possibili, e per la probabilità della
trasmissione di alcune di esse fino dai più antichi stadi della
progenie, in una condizione inalterata o appena modificata. Ma anche lo stato
del medesimo organo in classi diverse può alquanto mettere in chiaro la
via su cui è stato perfezionato. L'organo più semplice che possa
chiamarsi un occhio consta di un nervo ottico circondato da cellule pigmentarie
e coperto da una cute trasparente, ma ancora sfornito di lente e di corpo
rifrangente la luce. Secondo Jourdain noi possiamo fare un passo ancor
più in basso e trovare aggregati di cellule pigmentarie, le quali,
sfornite di nervo ottico, sono sovrapposte alla massa sarcodica e sembrano
fungere da organi visivi. Gli occhi così semplici di questa categoria
non permettono una chiara visione, ma servono solamente per distinguere la luce
dall'oscurità. Nelle asterie alcune piccole depressioni nello strato
pigmentario che circonda il nervo, al dire del suddetto autore, sono riempite
di sostanza gelatinosa trasparente, la quale sporge in fuori con superficie
convessa a modo della cornea degli animali superiori. Egli suppone che questo
apparato non serva per produrre una immagine, ma solamente per concentrare i
raggi luminosi e render più facile la loro percezione. In questa
concentrazione dei raggi noi abbiamo il primo e più importante gradino
per giungere ad un vero occhio che forma immagini, imperocchè altro non
ci resti che di portare la libera terminazione del nervo ottico, che in alcuni
animali inferiori è profondamente sepolto nel corpo, ed in altri più
avvicinato alla superficie, alla vera distanza dell'apparato di concentrazione,
perchè vi si formi una immagine.
Nella grande classe degli Articolati noi
possiamo partire da un nervo ottico ricoperto soltanto dal pigmento, che
talvolta forma una sorta di pupilla, ma destituita di una lente o di qualsiasi
altro meccanismo ottico. Ora si sa che negli insetti le numerose faccette sulla
cornea dei grandi occhi composti formano delle vere lenti, e che i coni
racchiudono dei filamenti nervosi modificati in modo peculiare. Ma la struttura
degli occhi negli articolati è tanto svariata, che Müller formava tre
classi principali di occhi composti con sette suddivisioni, a cui aggiunse una
quarta classe principale, quella degli occhi semplici aggregati.
Questi fatti, quantunque esposti troppo brevemente, dimostrano quanta
differenza graduale esista negli occhi degli animali inferiori, e ove si
rifletta al piccolo numero di animali sopravvissuti, in confronto a quelli che
furono estinti, io non saprei trovare una difficoltà molto grande (non maggiore
di quella che offrono molte altre strutture) nel pensare che l'elezione
naturale abbia trasformato il semplice apparato di nervo ottico, ricoperto
solamente con pigmento e rivestito di una membrana trasparente, in uno
strumento ottico della perfezione di quelli che si trovano in ogni individuo
della grande classe degli articolati.
Coloro che mi seguiranno fino alla fine di quest'opera e troveranno una
vasta congerie di fatti, i quali rimangono chiariti dalla mia teoria di
discendenza, mentre in altro modo sarebbero inesplicabili, non esiteranno forse
ad ammettere che un organo, anche se perfetto, come l'occhio dell'aquila, possa
essersi formato in seguito alla elezione naturale; quantunque in tal caso essi
ignorino quali siano stati i gradi transitorii. Fu fatta l'obiezione che per
modificare l'occhio e conservarlo nondimeno come strumento perfetto, molti
cambiamenti debbano essere succeduti contemporaneamente, ciò che,
così si dice, non può aver operato l'elezione naturale. Ma come
io ho dimostrato nella mia opera sulle variazioni degli animali allo stato di
domesticità, non è necessario supporre che tutte le modificazioni
siano successe allo stesso tempo, essendo estremamente leggere e graduate.
Diverse categorie di modificazioni avranno potuto servire allo stesso scopo
generale; così osserva il Wallace: «se una lente ha il fuoco troppo
vicino o troppo lontano, essa può essere corretta con un cambiamento
nella curva o con un'alterazione della densità; se la curva è
irregolare ed i raggi non convergono in un punto, ogni aumento nella
regolarità della curva sarà un miglioramento. Così le
contrazioni dell'iride ed i movimenti muscolari dell'occhio non sono essenziali
per la vista, ma semplici miglioramenti che hanno potuto apparire e
perfezionarsi in ogni momento della formazione di questo strumento». Nei
vertebrati, la serie della più elevata organizzazione animale, noi
possiamo partire da un occhio così semplice, come ad esempio è
quello dell'Amphioxus, il quale consta di un leggero infossamento della
cute trasparente, vestito di pigmento e fornito di un nervo, sprovvisto di ogni
altro apparato. Nei pesci e nei rettili, come osserva Owen, «la serie graduata
delle formazioni diottriche è assai grande». È un fatto molto
significante che persino nell'uomo, stando all'autorità del Virchow, la
lente nell'embrione si sviluppa da un ammasso di cellule epidermiche in una
piega sacciforme della cute, mentre il corpo vitreo si forma dal tessuto
sottocutaneo embrionale. Certamente quando si consideri l'origine e la formazione
dell'occhio con tutti i suoi caratteri ammirabili ed assolutamente perfetti,
è necessario che la ragione conquida la fantasia. Ma io stesso ho
sentito troppo questa difficoltà per far le meraviglie, se altri esitano
di accettare con questa larga estensione il principio della elezione naturale.
È
quasi impossibile esimersi dal paragonare l'occhio al telescopio. Noi sappiamo
che questo strumento venne perfezionato per gli sforzi incessanti degli
intelletti più distinti; quindi naturalmente inferiamo che anche
l'occhio sia stato formato per mezzo di qualche processo analogo. Ma questa
induzione sarebbe forse presuntuosa? Abbiamo noi
qualche diritto di applicare alle opere del Creatore delle facoltà
intellettuali analoghe a quelle dell'uomo? Se dobbiamo confrontare l'occhio con
uno strumento ottico, noi dobbiamo figurarci un grosso strato di tessuto
trasparente, con intervalli pieni di fluido e al disotto un nervo sensibile
alla luce, indi supporre che ogni parte di codesto strato vada continuamente cambiandosi
nella densità, con molta lentezza, fino a separarsi in altri strati di
diversa densità e grossezza, posti a varie distanze fra loro, e colle
loro superfici lentamente trasformate. Di più, fa d'uopo ammettere una
facoltà (l'elezione naturale) che sorveglia sempre attentamente
qualsiasi piccola variazione accidentale negli strati trasparenti e che
presceglie esattamente quelle alterazioni che, sotto circostanze mutate,
possono tendere, per qualche via o per qualche grado, a produrre un'immagine più
distinta. Noi dobbiamo inoltre supporre che ogni nuovo stato dello strumento
sia moltiplicato a milioni e sia conservato fino alla produzione di uno stato
migliore, e l'antico stato allora fu distrutto. Nei corpi viventi la variazione
sarà causa di piccole alterazioni, che la generazione
moltiplicherà quasi all'infinito e l'elezione naturale coglierà
qualunque perfezionamento con infallibile abilità. Poniamo che questo
processo si eserciti per milioni e milioni d'anni: e in ogni anno sopra milioni
d'individui d'ogni fatta; e come non potremo ritenere che un apparato ottico
vivente sia stato così formato, tanto superiore a quello di cristallo,
quanto le opere del Creatore lo sono a quelle dell'uomo?
MEZZI DI TRANSIZIONE
Se
potesse dimostrarsi che esista un organo complesso, il quale non possa essere
stato prodotto con molte modificazioni successive e piccole, la mia teoria
sarebbe assolutamente rovesciata. Ma io non posso trovarne un solo caso.
Certamente esistono molti organi, dei quali non conosciamo i gradi transitorii,
e più specialmente se consideriamo quelle specie affatto isolate,
intorno alle quali, secondo la mia dottrina, ebbe luogo l'estinzione di molte
altre specie. Se inoltre consideriamo un organo comune a tutti gli individui di
una classe molto ampia, in questo caso un tale organo deve essere stato formato
dapprima in un periodo estremamente lontano, dopo la quale epoca tutti i membri
numerosi della classe furono sviluppati. Per scoprire i gradi transitorii, pei
quali questo organo è passato, noi dovremmo riportarci alle più
antiche forme primitive, che da lungo tempo rimasero estinte.
Dobbiamo essere estremamente cauti nell'asserire che un organo
non possa essersi formato col mezzo di gradazioni transitorie di qualche sorta.
Negli animali inferiori si hanno infatti molti casi di un medesimo organo che
adempie contemporaneamente funzioni affatto distinte; così il canale
alimentare respira, digerisce ed escreta nella larva della Libellula e nel
pesce Cobitis. Nell'Idra, l'animale può rovesciarsi all'infuori, e la
superficie esterna compierà la funzione digestiva e l'interna
diverrà organo respiratorio. In questi casi, l'elezione naturale
farà che la parte o l'organo si renda più speciale, quando
l'animale ne tragga qualche vantaggio e, mentre prima serviva a due funzioni,
rimanga destinato ad una sola, e si cambi anche per intero la sua natura per
gradazioni insensibili. Si conoscono molti esempi di piante, le quali producono
regolarmente allo stesso tempo dei fiori diversamente costruiti; se tali piante
ne producessero di una sola qualità, dovrebbe manifestarsi un grande
cambiamento nel carattere della specie. Ed è probabile che le due sorta
di fiori sulla stessa pianta siano state prodotte originariamente a mezzo di
gradazioni che in alcuni casi ponno ancora seguirsi.
Talvolta
due organi distinti, od uno stesso organo sotto due forme assai diverse,
adempiono simultaneamente una medesima funzione in un solo individuo: e questo
è un mezzo importantissimo di transizione. Per citare un esempio, sonvi
dei pesci forniti di branchie che respirano l'aria libera nelle loro vesciche
natatorie, le quali sono dotate di dotto pneumatico per riempirle d'aria e sono
divise in tante parti per mezzo di pareti perfettamente vascolari. Prendiamo un
esempio anche dal regno vegetale. Le piante si arrampicano in tre modi diversi:
torcendosi a spira, tenendosi ad un sostegno a mezzo dei cirri sensitivi o
emettendo delle radici aeree. Questi tre modi sono generalmente distribuiti
sopra generi e famiglie separate; ma alcune poche piante ne offrono due, od
anche tutti e tre sullo stesso indidivuo. In tali casi uno dei due organi che
compiono la stessa funzione può modificarsi e perfezionarsi in modo da
eseguire da solo tutto il lavoro, essendo però coadiuvato dall'altro,
durante il processo di modificazione; e quest'ultimo può variare in modo
da disimpegnare qualche altro ufficio affatto diverso, od anche può
essere completamente eliminato.
La spiegazione da noi data del fatto ora citato, della vescica
natatoria dei pesci, è un ottimo argomento per dimostrare chiaramente
l'alta importanza del fatto, che un organo, il quale in origine era costrutto
per uno scopo determinato, come sarebbe il nuoto, può convertirsi in un
altro, diretto ad un fine ben diverso, come per la respirazione. La vescica
natatoria fu anche coordinata a servire come organo accessorio all'apparato
dell'udito in certi pesci. Tutti i fisiologi ammettono che la vescica natatoria
è omologa, o «idealmente simile», per la posizione e la struttura, ai
polmoni degli animali vertebrati superiori; non mi sembra quindi estremamente
difficile a concepirsi che l'elezione naturale abbia effettivamente trasformato
una vescica natatoria in polmone, o in un organo destinato esclusivamente alla
respirazione.
Adottando questo modo di vedere, potrebbe inferirsi che tutti i
vertebrati provvisti di veri polmoni derivarono, per mezzo della generazione
ordinaria, da un antico prototipo, del quale nulla sappiamo, fornito di un
apparato di galleggiamento o di una vescica natatoria. Possiamo così
capire come avvenga il fatto strano che ogni particella di nutrimento o di
bevanda, che noi deglutiamo, debba passare sull'orifizio della trachea, con
grande rischio di cadere nei polmoni; non ostante l'ammirabile congegno per cui
si chiude la glottide, come si desume dalla interessante descrizione che il
prof. Owen diede di queste parti. Nei vertebrati superiori le branchie
scomparvero affatto, le fessure ai lati del collo e gli archi aortici delle
arterie continuano soltanto nell'embrione a marcare la loro antica posizione.
Ora può immaginarsi che le branchie, che presentemente furono perdute
affatto, siano state trasformate gradatamente dall'elezione naturale per
qualche altro scopo interamente diverso: così il Landois ha dimostrato
che le ali degli insetti si sviluppano dalle trachee; ed è quindi
probabile che alcuni organi di questa grande classe, i quali in periodi
remotissimi servivano per la respirazione, siano stati poi convertiti in organi
per il volo.
Considerando le transizioni degli organi, è talmente
importante il ricordare la probabilità della conversione di una funzione
in un'altra, che credo opportuno addurne un altro esempio. I cirripedi
peduncolati hanno due piccole ripiegature della pelle, da me chiamate freni
ovigeri, che servono, per mezzo di una secrezione vischiosa, a trattenere le
uova nel sacco, finchè siano mature. Questi cirripedi non hanno
branchie, mentre la respirazione si compie da tutta la superficie del corpo e
del sacco, compresi i piccoli freni. D'altra parte i balanidi o cirripedi
sessili non hanno freni ovigeri, e le uova riposano libere nel fondo del sacco,
nella conchiglia ben chiusa; ma essi hanno nella stessa posizione relativa
delle grandi membrane ripiegate, le quali comunicano liberamente colle lacune
circolatorie del sacco e del corpo; e che furono prese per branchie dal prof.
Owen e da tutti gli altri naturalisti che trattarono questo argomento. Ora io
credo che niuno sia per contestare che i freni ovigeri della prima famiglia
siano strettamente omologhi alle branchie della seconda; tanto più che
queste gradatamente collegansi coi primi. Perciò io non dubito che le
due piccole ripiegature della pelle, che in origine servivano da freni ovigeri,
ma che parimente recavano un piccolissimo aiuto all'atto respiratorio, furono
gradatamente trasformate in branchie col solo aumento della loro grandezza, e
la scomparsa delle loro glandole aderenti. Se tutti i cirripedi peduncolati
fossero rimasti estinti (essi sopportarono sempre maggiori estinzioni dei
cirripedi sessili), chi avrebbe potuto mai supporre che le branchie di
quest'ultima famiglia esistettero dapprima come organi che impedivano il
trasporto delle uova fuori del sacco?
V'è ancora un altro modo di transizione, e cioè
coll'accelerare e ritardare il periodo della riproduzione, sulla qual cosa
hanno recentemente insistito il professore Cope ed altri degli Stati Uniti.
È noto presentemente che alcuni animali sono capaci di riprodursi in
età precoce, prima cioè che abbiano acquistato i caratteri dello
stato perfetto. Se questo potere si sviluppasse per bene in una qualche specie,
sembra probabile che presto o tardi si perda lo stadio dello sviluppo perfetto.
In questo caso, e segnatamente se la larva differisce molto dalla forma matura,
il carattere della specie sarebbe assai modificato e degradato. Inoltre
parecchi animali continuano a variare i loro caratteri,
anche dopo aver raggiunto la maturità. Nei mammiferi, ad esempio, la
forma del cranio cambia spesso coll'età, come per le foche lo ha
dimostrato il Dr. Murie; è anche noto come le corna dei cervi ricevano
coll'età un maggior numero di palchi; e come in alcuni uccelli, le penne
che servono di ornamento si facciano tanto più belle, quanto più
gli animali invecchiano. Il prof. Cope ci disse che i denti di alcune lucertole
cambiano la forma nel progresso dell'età; e nei Crostacei, secondo la
testimonianza di Fritz Müller, non solo molte parti insignificanti, ma anche
alcune importanti, assumono, dopo la maturità, dei nuovi caratteri. In
tutti questi casi, e se ne potrebbero citare molti altri, se fosse ritardata
l'epoca della riproduzione, sarebbe modificato il carattere della specie,
almeno allo stato adulto; non è poi improbabile che in alcuni casi gli
stadii anteriori di sviluppo sarebbero accelerati ed andrebbero in fine
perduti. Non saprei dire se le specie siano state spesso o mai modificate da
questo modo relativamente repentino di transizione; se mai ciò è
avvenuto, le differenze fra giovani e adulti, fra adulti e vecchi saranno state
acquistate originariamente per mezzo di passaggi graduati.
SPECIALI DIFFICOLTÀ
CHE INCONTRA LA TEORIA DELL'ELEZIONE NATURALE
Quantunque
noi dobbiamo essere molto guardinghi prima di sostenere che un organo qualsiasi
non potrebbe in modo alcuno essere stato prodotto da successive gradazioni
transitorie, si presentano tuttavia alcuni casi gravi e molto difficili.
Uno
dei più gravi è quello degli insetti neutri che spesso sono
conformati molto diversamente dai maschi o dalle femmine feconde; di ciò
tratteremo nel capo ottavo. Gli organi elettrici dei pesci offrono un'altra
obiezione di una speciale importanza, giacchè non è possibile
concepire per quali gradi siansi formati questi organi portentosi. Ma
ciò non deve recarci sorpresa, giacchè non conosciamo nemmeno la
loro utilità. Nel Gymnotus e nella Torpedo essi servono
senza dubbio come potenti armi di difesa, e forse come mezzi per procurarsi il
nutrimento; però un organo analogo nella coda delle razze, secondo le
osservazioni del Matteucci, non sviluppa che poca elettricità, anche
quando l'animale sia irritato, anzi tanto poca che non può servire agli
scopi predetti. Oltreciò il dottor R. Donnell ha dimostrato che un altro
organo trovasi in prossimità del capo, il quale, per
quanto si sappia, non è elettrico, e tuttavia apparisce come il vero
omologo della batteria elettrica della torpedine. Generalmente si ammette che
fra questi organi e i muscoli ordinari vi sia stretta analogia, per l'intima
struttura, per la ramificazione dei nervi, e pel modo con cui i diversi
reagenti agiscono su di essi. Devesi anche ricordare che la contrazione dei
muscoli è accompagnata da una scarica elettrica. Il dottor Radcliffe
osserva: «nell'apparato elettrico della torpedine sembra, durante il riposo,
avvenire una carica, la quale per ogni rapporto corrisponde a quella che si
trova nel muscolo e nel nervo in riposo; e la scarica nella torpedine,
anzichè essere un fenomeno isolato, sembra corrispondere alla scarica
che accompagna l'azione dei muscoli e dei nervi motori». Una ulteriore
spiegazione non possiamo dare per ora; ma siccome poco sappiamo dell'uso di
questi organi, e nulla intorno alle abitudini e alla struttura dei progenitori
dei pesci elettrici ora esistenti, sarebbe avventato il sostenere che siano stati
impossibili gli utili passaggi, pei quali gli organi elettrici avrebbero potuto
svilupparsi gradatamente.
Gli organi elettrici offrono un'altra difficoltà assai
più seria; perchè si trovano solamente in una dozzina circa di
pesci, alcuni dei quali sono all'intutto lontani nelle loro affinità.
Generalmente allorchè uno stesso organo apparisce in parecchi individui
della medesima classe, specialmente se dotati di abitudini di vita molto
diverse, noi possiamo attribuire la sua presenza all'eredità da un comune
antenato; e la sua mancanza in alcuni altri individui, alla perdita che
provenne dal non-uso e dall'elezione naturale. Ma se gli organi elettrici
furono trasmessi da un antico progenitore che ne era dotato, noi possiamo
credere che tutti i pesci elettrici siano stati in modo speciale collegati fra
loro. La([6])
geologia non ci induce a pensare che anticamente molti pesci furono forniti di
organi elettrici, che la maggior parte dei loro discendenti perdettero. Ma se
esaminiamo la cosa più da vicino, noi troviamo che nei diversi pesci,
forniti di organi elettrici, questi organi si trovano in parti diverse del
corpo, e variano nella struttura, nella disposizione degli elementi, e, secondo
il Pacini, nei processi o modi coi quali viene eccitata l'elettricità,
ed infine (e questa differenza mi sembra della massima importanza) anche in
ciò che la forza nervosa deriva da nervi di origine molto diversa. Nei
diversi pesci quindi, gli organi elettrici non possono considerarsi come tra
loro omologhi, ma solamente come analoghi nella funzione. Epperò
non possiamo ammettere che siano ereditati da un comune progenitore;
giacchè, se così fosse, si somiglierebbero per ogni riguardo.
Scomparisce così la maggior difficoltà, di spiegare cioè
come siasi formato un organo apparentemente uguale in parecchie specie molto
diverse, ma perdura la minore, e sempre grande, di spiegare per quali forme
intermediarie questi organi siano passati nei diversi gruppi di pesci.
La
presenza di organi luminosi in alcuni insetti, appartenenti a famiglie ed
ordini diversi, ci offre un caso parallelo e difficile. Potrebbero citarsi
altri casi; per esempio, nelle piante il curioso artificio di una massa di
polline, collocato sopra uno stelo, fornito di una glandola vischiosa
all'estremità, come nei generi Orchis ed Asclepias, generi
fra i più discosti nelle piante fanerogame. In tutti questi casi di due
specie distintissime, dotate apparentemente degli stessi organi anomali,
sarebbe da osservarsi che quand'anche l'apparenza generale e la funzione
dell'organo possano essere le medesime, pure può scoprirsi in generale
qualche differenza fondamentale. Così, ad esempio, gli occhi dei
cefalopodi e dei vertebrati si somigliano tra loro assai; e in gruppi sì
distanti l'uno dall'altro nemmeno una parte della somiglianza può
considerarsi come eredità di un comune progenitore. Il Mivart ha citato
questo esempio come uno dei più difficili; ma io non so vedervi la forza
dell'argomentazione. Un organo destinato alla visione deve esser formato di
tessuto trasparente, e contenere una specie di lente per produrre una immagine sul
fondo della camera oscura. All'infuori di questa superficiale somiglianza ben
difficilmente si troverà una reale identità fra gli occhi dei
cefalopodi e dei vertebrati, come si può persuadersi consultando
l'eccellente lavoro dell'Hensen su questi organi. Non posso qui entrare in
dettagli; addurrò tuttavia alcuni pochi caratteri differenziali. La
lente cristallina nei cefalopodi superiori consta di due parti, di cui l'una
è posta dietro l'altra, come se fossero due lenti, le quali ambedue
hanno una struttura e disposizione assai diversa da quella che troviamo nei
vertebrati. La retina è affatto diversa, colle parti elementari
invertite e con un grosso ganglio nervoso racchiuso tra le membrane
dell'occhio. I rapporti dei muscoli sono sì diversi che maggiormente nol
potrebbero essere, e così di seguito. Non vi ha quindi piccola
difficoltà nel decidere fino a qual punto le espressioni che noi
impieghiamo nella descrizione dell'occhio dei vertebrati, si possono adoperare
in quella dei cefalopodi. Ognuno, naturalmente, può negare che in
ambedue i casi l'occhio siasi sviluppato a mezzo dell'elezione naturale, per
variazioni graduate e successive, ma se ciò si ammetta per l'uno dei due
casi, non è possibile non farlo per l'altro; le differenze fondamentali
poi nella struttura dell'organo visivo nei due gruppi di animali potevano
prevedersi in seguito a quest'opinione sul modo di formazione. Come due uomini,
l'uno indipendentemente dall'altro, hanno fatto spesso la medesima invenzione,
così nei casi su citati l'elezione naturale, la quale agisce pel bene di
ogni organismo e si giova di tutte le utili variazioni, sembra aver prodotto
delle parti simili per ciò che riguarda la funzione, in organismi
diversi, i quali non devono punto le somiglianze nella struttura alla discendenza
da un comune progenitore.
Fritz
Müller, per mettere alla prova le idee da me esposte in questo libro, ha
seguito con molta cura un modo affatto simile di argomentazione. Parecchie
famiglie di Crostacei abbracciano alcune poche specie che possiedono un
apparato con cui respirano l'aria e son capaci di vivere fuori dell'acqua. In
due di queste famiglie, che il Müller studiò particolarmente e che sono
molto affini l'una all'altra, le specie concordano assai fra loro in tutti i
caratteri importanti, e cioè nella struttura degli organi dei sensi, nel
sistema circolatorio, nella posizione dei ciuffi di peli dei quali è
rivestito il loro stomaco egualmente complicato, e finalmente nell'intera
struttura delle branchie respiranti acqua, fino agli uncini microscopici co'
quali vengono pulite. Poteva quindi aspettarsi che nelle poche specie di
ambedue le famiglie, le quali vivono in terraferma, l'apparato per la
respirazione dell'aria, che ha non minore importanza, fosse uguale; in fatto,
mentre tutti gli organi importanti sono affatto simili o quasi identici, per
quale ragione dovrebbero mostrarsi delle differenze in quel solo apparato,
destinato ad un solo scopo speciale?
Fritz
Müller argomenta che questa grande somiglianza nella struttura debba spiegarsi
colle idee da me avanzate della eredità da un comune progenitore. Ma
siccome tanto il maggior numero delle specie appartenenti alle suddette due
famiglie, come anche la massima parte degli altri crostacei sono acquatici
nelle loro abitudini, è sommamente improbabile che il loro comune
progenitore fosse adattato alla respirazione dell'aria. Müller fu quindi
indotto a studiare accuratamente l'apparato nelle specie respiranti aria, e
trovò che in ciascuna diversifica in parecchi caratteri importanti, come
nella posizione degli orifizi, nel modo con cui questi si aprono e si chiudono
e in molti dettagli accessorii. Se si ammette che specie di famiglie diverse
siano divenute atte lentamente ed a gradi alla vita fuori dell'acqua ed alla
respirazione aerea, tali differenze diventano intelligibili. Imperocchè
queste specie, appartenendo a famiglie diverse, differiranno tra loro in certo
grado; e in accordo col principio, che la natura di ogni variazione dipende da
due fattori, e cioè dalla natura dell'organismo e da quella delle
condizioni di vita, la loro variabilità non sarà al certo
esattamente la medesima. Conseguentemente l'elezione naturale avrà agito
sopra materiale diverso, e sopra differenti variazioni per raggiungere un
medesimo risultato funzionale; e le strutture così acquistate saranno
state necessariamente diverse. Questo caso è incomprensibile dal punto
di vista delle creazioni separate e i suddetti ragionamenti hanno indotto Fritt([7])
Müller ad accettare le idee da me esposte in questo volume.
Un altro distinto zoologo, il defunto prof. Claparède, ha
fatto delle analoghe conclusioni ed ottenuto il medesimo risultato. Egli ha
dimostrato che esistono degli acari (Acaridœ), parassiti appartenenti
a diverse sottofamiglie e famiglie forniti di peli uncinati. Questi organi
devono essersi sviluppati indipendentemente tra loro, giacchè non
possono essere stati ereditati da un comune progenitore. Nei diversi gruppi
essi vengono formati dalla modificazione dei piedi anteriori, dei piedi
posteriori, delle mascelle o labbra, e delle appendici che trovansi alla faccia
inferiore delle porzioni posteriori del corpo. Nei diversi casi finora studiati
noi abbiamo visto che in organismi non affini o di parentela molto remota,
organi in apparenza molto simili, ma non concordanti nello sviluppo, possono
raggiungere il medesimo scopo ed eseguire la stessa funzione. Ma nell'intera
natura domina questa regola generale, che perfino tra i singoli esseri
strettamente affini uno stesso scopo è raggiunto con mezzi assai
diversi. Quanto diversa nella struttura non è l'ala pennuta di un
uccello dall'organo fornito di membrana che nei pipistrelli serve al volo, e
quanto diverse non sono le quattro ali della farfalla, le due ali della mosca e
le due ali del coleottero colle sue elitre.
Le
conchiglie bivalvi s'aprono e si chiudono; ma quanti gradi non si hanno tra la
cerniera della Nucula fornita di denti adatti che si ingranano fino al
semplice legamento di un Mytilus. La dispersione dei semi è
determinata dalla loro minutezza, oppure dalla forma della capsula trasformata
in un guscio leggero a guisa di pallone, o dalla massa più o meno
consistente e carnosa in cui sono riposti, e che per essere nutriente e vivacemente
colorata si offre di pasto agli uccelli; oppure dagli uncini della più
diversa forma o delle asprezze con cui s'attaccano alla pelle dei mammiferi;
oppure finalmente dalle ali o piumette di forma diversa e di leggiadra
struttura che rendon possibile il trasporto a mezzo del più leggero
venticello. Voglio addurre ancor un esempio, giacchè il fatto che un
medesimo scopo è raggiunto con mezzi diversi mi sembra soggetto degno di
attenzione. Alcuni autori sostengono che gli organismi siano costruiti in
diversi modi per la sola varietà, come circa i balocchi in una bottega;
ma questo modo di vedere la natura è insostenibile. Le piante a sessi
separati e quelle, nelle quali, sebbene siano ermafrodite, il polline non
può cadere sullo stimma, hanno bisogno per la fecondazione di un qualche
aiuto. In parecchie specie ciò è ottenuto col polline leggero e
incoerente, il quale è facilmente dal vento portato a caso sullo stimma;
questo certamente è il piano più semplice. Un piano quasi ugualmente
semplice e tuttavia diverso si manifesta allora quando un fiore simmetrico
secerne alcune goccie di nèttare ed è quindi frequentato dagli
insetti, i quali portano il polline dalle antere sullo stimma.
A
partire da questa forma semplice osservasi un numero grandissimo delle
più diverse disposizioni, le quali servono al medesimo scopo ed
essenzialmente sono compiute nello stesso modo, e portano tuttavia dei
cambiamenti in ogni singola parte del fiore. Così il nèttare
è accumulato in ricettacoli di forma svariata, gli stami ed i pistilli
sono diversamente modificati, formanti spesso degli apparati con valvole;
talvolta essi eseguono dei movimenti adattati determinati da
irritabilità o elasticità. Da queste forme noi arriviamo a quella
perfettissima che recentemente il Crüger ha descritto nella Coryanthes. In
questa orchidea il labello o labbro inferiore è scavato a modo di
barile, in cui da due cornetti soprastanti che secernono acqua cadono di
continuo delle goccie d'acqua purissima; quando il barile è pieno,
l'acqua trabocca per un beccuccio da uno dei lati. La parte basilare del
labello si piega sopra il barile ed è incavata a guisa di camere con due
accessi laterali; entro queste camere trovansi delle singolari lamine carnose.
L'uomo più intelligente, se non fosse stato testimone di ciò che qui avviene, non avrebbe potuto immaginarsi lo scopo cui servono tutte
queste parti. Il Crüger ha visto come di buon mattino molti pecchioni
frequentano i fiori giganteschi di queste orchidee, non già per
succhiare il nèttare, ma per rodere le creste carnose nella camera al
disopra del barile. In tale incontro, urtandosi, cadevano spesso alcuni nel
barile, ed essendo bagnate le ali, non potevano volare, per cui si
arrampicavano a traverso il canale formato dal beccuccio. Il Crüger ha visto
una vera processione di pecchioni uscire dal bagno involontario. Il canale
è stretto e fiancheggiato da colonnette, cosicchè i pecchioni,
passandolo a stento, fregavano il loro dorso sullo stigma vischioso e poi alle
ghiandole glutinose delle masse polliniche. Queste masse di polline s'attaccano
per conseguenza sul dorso del primo pecchione che a caso attraversa il canale
di un fiore recentemente sbocciato, e vengono portate via. Il Crüger mi ha
mandato un fiore entro l'alcool insieme con un pecchione, il quale era stato ucciso
prima che avesse per intero attraversato il canale, e portava sul dorso un
ammasso di polline. Se un pecchione così fornito si reca ad un altro
fiore od una seconda volta al medesimo, e se viene dai suoi compagni spinto
entro il barile, allora necessariamente, quando esso attraversa il canale, la
massa pollinica giunge a contatto collo stigma vischioso e il fiore viene
fecondato. Solo adesso noi comprendiamo l'utilità di tutte le parti del
fiore, dei cornetti che secernono acqua, del barile fino a mezzo coperto di
acqua, la quale impedisce ai pecchioni di mettersi al volo e li costringe di
rampicare pel canale e di fregare contro le masse polliniche vischiose poste in
luogo adattato, e contro lo stigma glutinoso.
La
struttura del fiore di un'altra orchidea affine, Catasetum, è
molto diversa, ma serve allo stesso scopo ed è ugualmente interessante.
Le api frequentano questi fiori, come quelli della Coryanthes, per
corrodere il labello. Ciò facendo esse toccano necessariamente
un'appendice puntuta e sensitiva che io chiamai antenna. Se l'antenna viene
toccata, essa trasferisce la sensazione o vibrazione sopra una certa membrana,
la quale si rompe immediatamente e mette in libertà una molla, che getta
come un dardo la massa pollinica nella vera direzione e la appiccica per
l'estremità vischiosa sul dorso delle api. La massa pollinica della
pianta maschile (giacchè i sessi in queste orchidee sono separati)
è trasportata sul fiore di una pianta femminile, dove viene a contatto
collo stigma. Questo è poi sufficientemente vischioso per rompere certi
fili elastici e trattenere la massa di polline che indi compie l'uffizio della
fecondazione.
Si può ben domandare, come nei casi su
citati ed in moltissimi altri si possa intravvedere la serie graduata che
condusse a forme sì complesse e i mezzi che furono necessari a
raggiungere lo scopo? La risposta, come fu già detto, non può
essere che questa, che cioè quando variano due forme tra loro già
diverse in grado leggero, la variabilità non può essere
esattamente di uguale natura, nè per conseguenza saranno identici i
risultati ottenuti ad uno stesso scopo generale dalla elezione naturale. Noi
dobbiamo anche ricordarci che ogni organismo altamente sviluppato ha già
percorso una lunga serie di cambiamenti, e che ogni forma modificata tende ad
essere trasmessa per eredità; per conseguenza non andrà
facilmente perduta, ma sarà sempre più modificata. La struttura
di ciascuna parte in ciascuna specie, a qualsiasi scopo essa serva, è la
somma dei molti cambiamenti ereditati che la specie ha subìto durante i
successivi adattamenti alle abitudini ed alle condizioni di vita.
In molti casi è al certo assai difficile anche
solamente supporre per quali gradini molti organi siano arrivati al loro stato
attuale; tuttavia, considerando che le forme viventi e conosciute sono
pochissime al confronto delle estinte ed ignote, sono sorpreso nel vedere, come
siano rari gli organi, dei quali non si sappiano indicare i gradini che ad essi
conducono. È certamente vero che raramente o mai in un organismo
compariscono di repente nuovi organi, come se fossero creati per uno scopo
speciale, ciò che è anche riconosciuto dalla regola vecchia,
sebbene un po' esagerata, che dice: Natura non facit saltum. Tale idea
è ammessa negli scritti di tutti i naturalisti esperti; così
Milne Edwards l'ha espressa colle parole: «la natura è prodiga nelle
varietà, ma avara nelle novità». Secondo la teoria delle
creazioni, per quale ragione dovrebbero manifestarsi tante variazioni, e
sì poche reali novità? Perchè mai tutte le parti e gli
organi di sì numerosi esseri indipendenti sono concatenati da graduati
passaggi, se ogni essere è creato pel suo proprio posto nella natura?
Perchè la natura non ha mai fatto un salto da una struttura all'altra?
La teoria dell'elezione naturale c'insegna chiaramente perchè ciò
non fece; imperocchè essa agisce col trarre profitto delle leggere
successive variazioni; essa non può mai fare un salto grande e
repentino, ma deve procedere con passi brevi, e sicuri, sebbene lenti.
ORGANI DI
POCA IMPORTANZA APPARENTE
Siccome la
elezione naturale agisce per la vita e per la morte, col preservare gli
individui in cui si avveri qualche variazione favorevole, e col distruggere
quelli che presentano variazioni di struttura sfavorevoli, io trovai talvolta
molta difficoltà a concepire l'origine di quelle parti semplici che non
pare abbiano una sufficiente importanza per cagionare la conservazione degli
individui che successivamente variarono. Io giudicai che questa
difficoltà, quantunque di una diversa natura, non fosse per tale
riguardo minore di quella che s'incontra nel caso di un organo perfetto e
complesso, come l'occhio.
In primo
luogo noi siamo troppo ignoranti rispetto all'intera economia di ogni essere
organizzato, per stabilire quali piccole modificazioni siano rilevanti e quali
no. In uno dei capi che precedono diedi già qualche esempio di caratteri
poco importanti (come la lanuggine del frutto e il colore della sua polpa, il
colore della pelle e del pelo nei mammiferi), i quali per le loro relazioni
colle differenze costituzionali, o perchè determinano gli attacchi
degl'insetti, possono certamente entrare nel dominio dell'elezione naturale. La
coda della giraffa sembra un cacciamosche, costruito artificialmente, e sulle
prime pare incredibile ch'essa sia stata adattata all'ufficio attuale per mezzo
di piccole modificazioni successive, una migliore dell'altra, per uno scopo
tanto insignificante, quello di scacciare le mosche; però noi dobbiamo
rifletter bene prima di dichiararci positivamente, anche in questo caso;
perchè sappiamo che la distribuzione e l'esistenza dei buoi e di altri
animali nell'America meridionale dipende assolutamente dalla loro
facoltà di resistere alle offese degli insetti; per cui quegl'individui
che potrebbero con qualche mezzo difendersi da questi piccoli nemici, sarebbero
capaci di occupare nuovi pascoli e di ottenere così un grande vantaggio.
Non è a dire che i nostri grandi quadrupedi siano attualmente distrutti
dalle mosche (eccettuati alcuni rari casi), ma essi sono continuamente
tormentati e spossati nella loro forza, al punto di rimanere più
soggetti alle malattie e meno capaci nelle carestie di cercare il nutrimento, o
di sfuggire agli animali rapaci.
Alcuni
organi, che ora sono di poca importanza, furono probabilmente in certi casi
molto utili ad un antico progenitore; e dopo di essere stati lentamente
perfezionati nei tempi primitivi, furono trasmessi alla prole quasi nel
medesimo stato, benchè fossero divenuti di pochissima utilità; e
tutte le variazioni attualmente nocive nella loro struttura, saranno state
sempre impedite dalla elezione naturale. Considerando quanto importante sia la
coda in molti animali acquatici, come organo di locomozione, la sua presenza
generale e la sua utilità per molti usi in tanti animali terrestri, che
coi loro polmoni e colla loro vescica natatoria modificata tradiscono la loro
origine acquatica, può forse spiegarsi in questo modo. Una coda bene
sviluppata essendosi formata in un animale acquatico, può poi essere
stata impiegata per qualunque altro fine, cioè come caccia-mosche, o
quale organo prensile, o quale appoggio per girare come nel cane, benchè
tale aiuto debba essere assai tenue, perchè il lepre, che quasi non ha
coda, può volgersi. correndo abbastanza velocemente.
In secondo luogo noi talvolta possiamo credere molto importanti
certi caratteri che in realtà sono poco valutabili e che derivarono da
cause affatto secondarie, indipendentemente dalla elezione naturale. Dobbiamo
ricordare che il clima, il nutrimento, ecc., hanno probabilmente qualche
piccola influenza diretta sulla organizzazione; che i caratteri ritornano per
le leggi della reversione; che la correlazione di sviluppo deve avere
esercitato un'influenza efficace nel modificare diverse strutture; e infine che
l'elezione sessuale avrà spesso cambiato ampiamente i caratteri esterni
degli animali, aventi una volontà, col fornire ad un maschio qualche
vantaggio nella lotta contro un altro, o nell'adescare la femmina. Inoltre
quando una modificazione di struttura si è manifestata per la prima
volta, a motivo delle precedenti cause od anche di cause sconosciute,
può darsi che la stessa non fosse allora di alcun profitto alla specie,
ma successivamente può essere divenuta vantaggiosa pei discendenti della
medesima sotto nuove condizioni di vita e colle abitudini ultimamente
acquistate.
Se
esistessero solamente dei picchi verdi, e se ignorassimo che ve ne hanno di
neri e di variegati, io oserei affermare che noi avremmo riguardato il color
verde come un meraviglioso adattamento per nascondere quest'uccello, abitatore
degli alberi, allo sguardo de' suoi nemici; e per conseguenza come un carattere
importante, e che poteva essersi ottenuto col mezzo dell'elezione naturale. Ma
al contrario, giudicando le cose come stanno, non si può dubitare che
questo colore sia dovuto a qualche altra causa affatto
diversa, e probabilmente alla elezione sessuale. Una palma serpeggiante
dell'Arcipelago Malese si arrampica sugli alberi più alti, coll'aiuto di
cirri costruiti stupendamente, e disposti intorno alla estremità dei
rami: e questa particolarità è senza dubbio di grandissima
utilità alla pianta; ma siccome noi osserviamo in molti alberi, che non
sono rampicanti, uncini quasi simili, può essere che quelli della palma
siano provenuti dalle leggi ignote dello sviluppo, ed abbiano per conseguenza
recato qualche vantaggio alla pianta, soggetta ad ulteriori modificazioni, e
così l'abbiano resa rampicante. La pelle nuda del capo dell'avoltoio si
considera generalmente come una conformazione adatta per cercare il nutrimento
fra le materie putride, e ciò potrebbe derivare dalla diretta azione
delle sostanze putrefatte. Tuttavia noi dobbiamo procedere con molta riserva,
prima di trarre una conclusione analoga, mentre vediamo nel gallo d'India
maschio, che mangia sostanze monde, la pelle del capo ugualmente nuda. Le
suture del cranio dei giovani mammiferi furono riguardate come un mirabile
adattamento per agevolare il parto, e certamente esse facilitano quest'atto e
possono anche essere indispensabili; ma queste suture si notano anche nei crani
dei piccoli uccelletti e dei rettili, i quali altro non hanno a fare che
rompere la buccia dell'uovo: e noi possiamo dedurre da ciò che codesta
struttura fu prodotta dalle leggi dello sviluppo, e portò un notevole
vantaggio nel parto degli animali più elevati.
Noi
ignoriamo affatto quali cause generino le variazioni piccole ed insignificanti;
e siamo accertati immediatamente della nostra pochezza, pensando alle
differenze che troviamo nelle razze dei nostri animali domestici, in paesi
diversi e più particolarmente nelle contrade meno civilizzate, ove la
elezione artificiale dell'uomo non fu che assai piccola. Gli animali conservati
dai selvaggi nei vari paesi debbono spesso lottare per la loro propria
esistenza; e trovansi quindi esposti in una certa estensione all'elezione
naturale, e gli individui dotati di costituzioni leggermente diverse debbono
riuscire meglio sotto climi differenti. Un buon osservatore ha constatato che
nel bestiame bovino la suscettibilità di essere offeso dalle mosche
è relativa al colore, non altrimenti della particolarità di
essere avvelenato da certe piante; così che anche il colore sarebbe per
tal modo subordinato all'azione della elezione naturale. Altri osservatori sono
convinti che un clima umido influisca
sull'accrescimento del pelo, e che le corna siano proporzionate al pelo stesso.
La razze di montagna differiscono sempre da quelle di pianura; e una regione
montuosa probabilmente deve influire sugli arti posteriori ed anche sul bacino
esercitandoli maggiormente; quindi anche le parti anteriori e la testa saranno
probabilmente modificate per la legge delle variazioni omologhe. La forma del
bacino può anche far variare, per mezzo della pressione, la forma del
capo del feto nell'utero. Il laborioso processo respiratorio, necessario nelle
regioni elevate, produrrà (come abbiam ragione di credere) un aumento di
grandezza nel torace: ed anche in tal caso la correlazione entrerà in
giuoco. Gli effetti prodotti dall'esercizio diminuito sull'intero organismo,
quando vada congiunto con maggior copia di alimento, saranno assai più
rilevanti; e questa è apparentemente la causa principale delle grandi
modificazioni che presentarono le varie razze di maiali, come recentemente fu
provato da H. von Nathusius, nel suo ottimo trattato. Ma noi siamo troppo
all'oscuro per discutere sull'importanza relativa delle leggi note e di quelle
sconosciute della variabilità; e qui feci allusione ad esse soltanto per
dimostrare che, se noi siamo incapaci di spiegare le differenze caratteristiche
delle nostre razze domestiche, le quali però ammettiamo generalmente
siano derivate da altre per generazione ordinaria, pure non dobbiamo attribuire
troppo valore alla nostra ignoranza della causa precisa delle piccole
differenze analoghe fra le specie.
FINO A CHE PUNTO LA TEORIA UTILITARIA SIA GIUSTA;
COME SIA RAGGIUNTA LA BELLEZZA
I rilievi precedenti mi conducono a dire qualche parola della
protesta, ultimamente fatta da qualche naturalista, contro la dottrina
utilitaria, secondo la quale ogni dettaglio di struttura fu prodotto per il
bene del suo possessore. Essi credono che moltissimi organismi siano stati
creati per la loro bellezza, per appagare gli occhi dell'uomo o il creatore (ma
questa ultima idea è fuori dei limiti di una discussione scientifica), o
per mera varietà. Se questa dottrina fosse vera, sarebbe assolutamente
fatale per la mia teoria. Nondimeno io consento pienamente che molte strutture
non sono direttamente vantaggiose all'individuo che le possiede, e forse non lo
furono nemmeno ai suoi progenitori; ma ciò non prova che
siano state formate per sola bellezza o varietà. L'azione definita delle
cambiate condizioni di vita e le varie cause modificatrici sopra accennate
avranno certamente prodotto un effetto, e probabilmente un grande effetto,
indipendentemente da un vantaggio guadagnato. Ma la considerazione più
importante è, che la parte principale della organizzazione di ogni
essere deriva semplicemente dalla eredità; e quindi, benchè ogni
essere sia certamente bene stabilito nel suo posto naturale, molte strutture
non hanno presentemente alcuna relazione diretta colle abitudini di vita delle
specie attuali. Così noi non potremmo credere che i piedi dell'oca di
Magellano e della fregata siano di un utile speciale a questi uccelli; non
potremmo pensare che le ossa simili del braccio della,scimmia, della
gamba anteriore del cavallo, dell'ala del pipistrello, delle natatoie della
foca, siano utili in modo particolare a questi animali. Possiamo con sicurezza
attribuire queste strutture all'eredità. Ma il piede palmato sarà
stato senza dubbio utile all'antico progenitore dell'oca di Magellano e della
fregata, non meno di quello che oggi lo sia alla maggior parte negli uccelli
acquatici esistenti. Così noi possiamo credere che il progenitore della
foca non avesse le natatoie, ma bensì piedi con cinque dita, formate in
modo da permettergli di camminare e di afferrare gli oggetti; possiamo inoltre
supporre che le diverse ossa negli arti della scimmia, del cavallo, del pipistrello
si siano sviluppate conforme al principio di utilità, probabilmente per
riduzione di ossa più numerose della pinna che possedeva un vecchio
progenitore pesciforme dell'intera classe. È molto difficile il decidere
quanta parte vi abbiano preso queste cause di cambiamenti, come l'azione
definita delle condizioni esterne di vita, le così dette variazioni
spontanee, e quanta le leggi complicate di sviluppo; ma fatte queste importanti
eccezioni, noi possiamo concludere che la struttura di ogni essere vivente sia
ancora oggi o fosse in passato utile al possessore.
Relativamente
all'opinione che gli esseri organici siano creati belli perchè siano
ammirati dall'uomo, opinione che fu creduta fatale alla mia teoria, devo
osservare che il senso della bellezza si trova nell'uomo indipendentemente da
una qualità reale dell'oggetto ammirato, e che l'idea del bello non
è nè innata nè invariabile. Noi lo vediamo, ad esempio,
negli uomini delle varie razze, i quali giudicano ad una stregua molto diversa
la bellezza delle loro donne. Se gli oggetti belli fossero creati unicamente a
diletto dell'uomo, sarebbe dimostrabile che minor bellezza esisteva alla
superficie della terra avanti la comparsa dell'uomo. O si crede che le belle
conchiglie di Voluta e di Conus del periodo eocenico e le
ammoniti elegantemente scolpite dell'epoca secondaria siano state create
perchè l'uomo le ammiri nelle sue collezioni dopo migliaia di anni?
Pochi oggetti sono più belli dei minutissimi gusci silicei delle
diatomee; furono essi forse creati per essere esaminati ed ammirati con un
microscopio a forte ingrandimento? In quest'ultimo caso, come in molti altri,
la bellezza sembra dovuta alla simmetria dell'accrescimento. I fiori sono
considerati tra i più belli prodotti della natura, ma essi ebbero un colore
che contrasta col verde delle foglie e che in pari tempo li rende belli,
perchè siano facilmente osservati dagli insetti. A questo giudizio mi
condusse la osservazione che i fiori, i quali vengono fecondati a mezzo del
vento, non hanno mai una corolla vivamente colorata. Oltre ciò parecchie
piante producono generalmente due qualità di fiori: gli uni aperti e
colorati, i quali attirano gli insetti; gli altri chiusi, non colorati, privi
di nèttare, i quali non sono mai visitati dagli insetti. Ne possiamo inferire
che se alla superficie non fossero mai esistiti gli insetti, la vegetazione non
offrirebbe dei fiori belli, ma solamente fiori meschini, come li hanno il
nostro abete, la quercia, il nocciuolo, il frassino, gli spinaci, le
graminacee, il rumice e l'ortica, le quali piante tutte vengono fecondate a
mezzo del vento. Lo stesso ragionamento può estendersi alle diverse
specie di frutti. Ognuno ammette che una fragola matura o una ciliegia
accontenti non solo il palato, ma anche l'occhio; e che il frutto vivamente
colorato del silio e le bacche scarlatte dell'agrifoglio siano belle. Tale
bellezza giova per indurre gli uccelli ed altri animali a mangiare questi
frutti ed a disperderne i semi. Questo giudizio mi sembra giusto, perchè
senza alcuna eccezione i semi racchiusi in frutti (cioè in un guscio
carnoso e polposo), di colori vivi, o almeno di colori che spiccano, come il
bianco ed il nero, vengono diffusi nel modo suindicato.
D'altra
parte ammetto volentieri che molti animali maschili, come tutti i nostri
uccelli magnifici, parecchi pesci, rettili e mammiferi, e molte farfalle a
colori splendidi siano divenuti belli per la bellezza; ma ciò non
è avvenuto a diletto dell'uomo, ma a mezzo della elezione sessuale,
perchè cioè i maschi più belli furono continuamente prescelti dalle femmine. La stessa cosa è a dirsi del canto
degli uccelli; e noi possiamo concludere che in gran parte del regno animale
domina un simile gusto pei bei colori e pei suoni musicali. Nelle, specie, in
cui la femmina offre colori ugualmente belli come il maschio, ciò che
non raramente si osserva negli uccelli e nelle farfalle, i colori acquistati
colla elezione sessuale, a quanto pare, furono trasmessi ad ambedue i sessi,
invece che ai soli maschi. È assai difficile il dire, come il senso
della bellezza nella sua più semplice forma, cioè la sensazione
di un modo particolare di piacere che producono certi colori, forme o suoni,
siasi sviluppato nello spirito dell'uomo e degli animali inferiori. La medesima
difficoltà ci si presenta quando vogliamo indagare la causa, per cui
alcuni sapori e odori producon piacere, ed altri dispiacere. In questi casi
entra l'abitudine fino ad un certo punto, ma deve averne parte anche la
costituzione del sistema nervoso di ciascuna specie.
Non è
possibile che l'elezione naturale produca una modificazione in una data specie
esclusivamente per il bene di un'altra; benchè nella natura ogni specie
approfitti incessantemente dei vantaggi che le sono offerti dalla struttura
d'un'altra. Ma l'elezione naturale può produrre e produce di fatto delle
strutture che sono di nocumento diretto ad altre specie, come osserviamo nel
dente della vipera e nell'ovopositore dell'icneumone, col quale egli depone le
sue uova nel corpo vivente di altri insetti. Se potesse provarsi che ogni
organo di una specie venne formato per esclusivo utile di un'altra specie, la
mia teoria sarebbe spacciata; perchè quell'organo non avrebbe potuto
essere prodotto dalla elezione naturale. Quantunque possano trovarsi molte
asserzioni di questo genere nelle opere di storia naturale, io non ho saputo
rinvenire un solo argomento che mi sembrasse di qualche valore. Così si
ammette che il serpente a sonagli abbia denti veleniferi per propria difesa e
per uccidere la sua preda; ma alcuni autori suppongono che, nello stesso tempo,
la sua coda sia fornita di sonagli a danno del serpente stesso; perchè
avverta la sua preda acciocchè fugga. Potrebbe credersi eziandio che il
gatto scuota l'estremità della sua coda, quando si prepara al salto, per
mettere in guardia il sorcio dà lui appostato. Assai più
probabile è l'opinione che il serpente a sonagli impieghi il suo
sonaglio, il serpente ad occhiali distenda il suo collare e la vipera nasicorne
si gonfi mentre emette un forte acuto soffio per intimorire i molti uccelli e
mammiferi che notoriamente attaccano anche le specie più velenose.
Avviene nei serpenti la medesima cosa, come nelle galline quando fanno
tremolare le penne o distendono le ali davanti ad un cane che osi avvicina ai
loro pulcini. Ma mi manca qui lo spazio di trattare de' molteplici modi, con
cui gli animali cercano di intimorire i loro nemici.
L'elezione naturale non produrrà mai in un essere
qualsiasi cosa che gli sia più dannosa che utile, perchè essa
agisce solamente per l'utile di ciascuno. Niun organo può formarsi, come
osservava Paley, per lo scopo di recare tormento o danno al suo possessore. Se
si misurasse il bene e il male cagionato da ogni organo, si vedrebbe che il
risultato sarebbe in complesso vantaggioso. Dopo il corso dei tempi, se una
parte diventa nociva, per le mutate condizioni di vita, sarà modificata;
quando poi ciò non avvenga, l'essere rimarrà estinto, come si
è osservato di miriadi di altre forme.
L'elezione
naturale tende soltanto a far sì che ogni essere organico divenga altrettanto
perfetto, od anche alquanto più perfetto degli altri abitatori della
medesima regione, coi quali esso deve lottare per l'esistenza. E noi vediamo
che questo è appunto il grado di perfezione, al quale tende la natura.
Le produzioni endemiche della Nuova Zelanda, per esempio, sono perfette, quando
si paragonino l'una all'altra; ma esse sono soggette a diminuire rapidamente, a
fronte delle irrompenti legioni di piante e d'animali che vi s'introducono
dall'Europa. Tuttavia questa elezione naturale non raggiungerà
l'assoluta perfezione; nè potrà mai incontrarsi, a quanto credo,
questo tipo di perfezione nella natura. Secondo Giovanni Müller, la correzione
per l'aberrazione della luce non è ancora perfetta nell'occhio, che è
pure il più perfetto degli organi. Helmholtz, la cui competenza nessuno
vorrà mettere in dubbio, dopo avere descritto colle più forti
espressioni il potere meraviglioso dell'occhio umano, aggiunge queste parole
significative: «Quanto noi di inesattezza e di imperfezione abbiamo scoperto
nell'apparato ottico e nella immagine sulla retina, è cosa di poco conto
di fronte alla inesattezza che abbiamo testè incontrata nel dominio
delle sensazioni. Si potrebbe dire che la natura trovi diletto nell'accumulare
le contraddizioni per rimuovere tutte le basi ad una dottrina di armonia
preesistente fra il mondo esterno ed interno». Se la nostra ragione ci conduce
ad ammirare con entusiasmo una moltitudine di inimitabili disposizioni nella
natura, la stessa ragione ci induce a ritenere che alcuni altri congegni
naturali siano meno perfetti, quantunque possiamo facilmente errare da ambi i
lati. Possiamo noi considerare il pungiglione dell'ape quale organo perfetto,
mentre se venga usato contro altri animali non può essere ritirato,
opponendosi la sua dentatura all'indietro, e cagionando così
inevitabilmente la morte dell'insetto per l'estrazione e la lacerazione dei
suoi visceri?
Ma se noi
pensiamo che il pungiglione dell'ape sia in origine stato impiegato da un
remoto progenitore a guisa di strumento da perforare o da segare (non
altrimenti di ciò che si osserva in molti altri membri dello stesso
grande ordine), e che fu poi modificato, ma non perfezionato, per l'oggetto a
cui serve presentemente, col veleno dapprima adatto ad altro ufficio, come, per
esempio, a produrre delle galle, indi reso sempre più intenso: possiamo
forse intendere come sia che l'uso dell'aculeo abbia da recare la morte
così spesso al medesimo insetto. Perchè se in complesso la
facoltà di pungere fosse vantaggiosa a tutto lo sciame, soddisferebbe a
tutte le condizioni richieste dall'elezione
naturale, anche se ne seguisse la morte di parecchi individui. Se noi ammiriamo
la veramente portentosa facoltà olfattiva, per la quale i maschi di
molti insetti trovano le loro femmine, possiamo forse stupire al vedere la
produzione di migliaia di fuchi, i quali non compiono che una singola
operazione, che sono affatto inutili alla loro colonia per qualunque altro rapporto, e che finiscono per essere massacrati dalle loro
laboriose e sterili sorelle? Noi dovremmo anche ammirare, benchè
ciò possa essere difficile, l'odio selvaggio ed istintivo dell'ape
regina che la spinge a distruggere le giovani regine sue figlie, appena che
esse sono nate, o a perire anch'essa nel combattimento; senza dubbio ciò
avviene per il bene dello sciame; e il materno amore o l'odio materno
(quantunque quest'ultimo sia fortunatamente più raro) derivano pure dal
medesimo principio inesorabile della elezione naturale. Se infine noi ammiriamo
i diversi ingegnosi apparati, per mezzo dei quali i fiori delle orchidee e di
molte altre piante sono fecondati per opera degli insetti, possiamo forse
considerare come ugualmente perfetta l'elaborazione dei densi nembi di polline
nei nostri abeti, affinchè pochi grani soltanto siano trasportati per
caso dalla brezza sugli ovuli?
SOMMARIO DEL
CAPO: LA LEGGE DELLA UNITÀ DI TIPO
E DELLE
CONDIZIONI DI ESISTENZA È ABBRACCIATA
DALLA TEORIA
DELL'ELEZIONE NATURALE
In questo
capo noi abbiamo discusso alcune delle difficoltà ed obbiezioni che
possono contrapporsi alla mia teoria. Parecchie sono molto serie; ma io credo
che la discussione abbia sparso qualche luce sopra diversi fatti i quali
rimangono completamente oscuri secondo la dottrina degli atti indipendenti di
creazione. Abbiamo veduto che le specie di ogni periodo non sono
indefinitamente variabili, nè sono collegate fra loro da una moltitudine
di gradazioni intermedie: e ciò in parte perchè il processo di
elezione naturale è sempre assai lento, e si esercita in ogni tempo
solamente sopra pochissime forme; e in parte perchè questo processo di
elezione naturale implica quasi la continua successione ed estinzione delle
gradazioni precedenti ed intermedie. Quelle specie strettamente affini che
vivono attualmente in un'area continua, debbono spesso essere state formate
quando l'area era discontinua e quando le condizioni di vita non erano
insensibilmente variate da una parte ad un'altra. Se due varietà si formano
in due distretti di un'area continua, spesso si produrrà una
varietà intermedia appropriata ad una zona intermedia; ma per le ragioni
esposte, la variazione intermedia esisterà ordinariamente più
scarsa delle due forme che sono dalla medesima congiunte; per conseguenza
queste ultime, nel corso delle loro ulteriori modificazioni e per il fatto
stesso di essere più numerose, avranno un grande vantaggio sopra la
varietà intermedia meno ricca, e riusciranno così generalmente a
soppiantarla ed esterminarla.
Abbiamo
veduto, nel presente capo, quanto dobbiamo essere cauti nel concludere che le
abitudini di vita più diverse non possano gradatamente sostituirsi le
une alle altre, e che un pipistrello, per esempio, non possa essere derivato,
per elezione naturale, da un animale che dapprima si sosteneva appena
nell'aria.
Abbiamo
veduto che una specie può modificare le sue abitudini sotto nuove
condizioni di vita, ovvero acquistare abitudini diverse, alcune delle quali
affatto differenti da quelle de' suoi congeneri prossimi. Quindi se poniamo
mente che ogni essere organico si adopera per vivere dove può esistere,
comprenderemo come si osservino oche terrestri co' piedi palmati, picchi che
vivono al suolo, tordi che si tuffano nell'acqua, e
finalmente procellarie dotate delle abitudini dei pinguini.
Benchè l'opinione, che un organo tanto perfetto come
l'occhio possa essere stato prodotto per mezzo dell'elezione naturale, sia tale
da muovere in ognuno il dubbio sulla sua verità; tuttavia se noi
conosciamo una lunga serie di gradazioni, nel complesso di un organo, ognuna
delle quali sia vantaggiosa all'individuo che la possiede, allora non sarebbe
più logicamente impossibile che, sotto mutate circostanze di vita, si
raggiungesse un grado determinato di perfezione colla elezione naturale. Quando
non siamo a giorno degli stati intermedi o transitorii, dobbiamo guardarci dal
concludere che non ve ne furono; perchè le omologie di molti organi e i
loro stati intermedi dimostrano almeno che sono possibili portentose metamorfosi
nelle funzioni. Per esempio, una vescica natatoria fu, a quanto sembra,
convertita in un polmone per la respirazione aerea. Le transizioni debbono
spesso essere largamente agevolate, quando uno stesso organo, dopo di aver
adempiuto simultaneamente funzioni assai diverse, venne poi modificato e
diretto più specialmente ad una sola funzione; e così nel caso,
in cui due organi distintissimi insieme adempivano nel medesimo tempo al
medesimo ufficio, e l'uno si poteva perfezionare aiutato dall'altro.
Due
esseri molto discosti fra loro nel sistema naturale ci hanno offerto l'esempio
di un organo, il quale in ambedue serve allo stesso scopo, è affatto
simile nella esterna apparenza, e può essersi formato
separatamente ed indipendentemente; se però tali organi siano esaminati
da vicino, essi presentano quasi sempre delle differenze essenziali nella
struttura, e ciò è una conseguenza necessaria del principio di
elezione naturale. D'altra parte è una regola generale in tutta la
natura che una infinita diversità di struttura serve a raggiungere un
medesimo scopo, ed anche ciò scaturisce dallo stesso grande principio.
Noi siamo troppo ignoranti, in quasi tutti i casi, per
trovarci in grado di affermare che una parte od un organo siano di sì
poca importanza per il benessere di una specie, che non possano essersi
lentamente accumulate le modificazioni della sua struttura, per effetto
dell'elezione naturale. Ma possiamo ammettere con piena fede che molte
modificazioni, dovute interamente alle leggi dello sviluppo e dapprima in verun
modo vantaggiose ad una specie, divennero in seguito utili ai discendenti
vieppiù modificati di essa. Possiamo anche ritenere che un organo, il
quale fu anticamente di alta importanza, fu spesso conservato dai discendenti
(come la coda di un animale acquatico da' suoi discendenti terrestri),
quantunque, sia poi divenuto tanto insignificante, nel suo stato attuale, che
non potrebbe ripetersi dall'elezione naturale, la quale non agisce che per la
preservazione delle variazioni profittevoli, nella lotta per l'esistenza.
L'elezione naturale non produrrà cosa alcuna in qualche
specie per esclusivo profitto o danno di un'altra; benchè possa
benissimo formare delle parti, degli organi, e delle secrezioni altamente utili
od anche indispensabili, ovvero altamente nocive ad altre specie, ma in tutti i
casi utili insieme alla propria. L'elezione naturale in ogni paese ben popolato
deve agire principalmente per mezzo della concorrenza che gli abitanti si
fanno, e quindi sarà per produrre soltanto quella perfezione e quella
forza che, nella battaglia per la vita, si accordano alle condizioni della
località. Perciò gli abitanti di una regione, in generale, quanto
più la medesima sia piccola, dovranno spesso cedere il posto a quelli di
un altro paese più vasto, come infatti si osserva. Perchè in una
regione vasta, dove debbono essersi trovati molti individui e le forme
più disparate, la lotta sarà stata più severa, e
così il limite di perfettibilità si sarà elevato maggiormente.
L'elezione naturale non deve produrre di necessità una perfezione
assoluta; nè, per quanto possiamo giudicare colle nostre limitate
facoltà, può la perfezione assoluta incontrarsi in alcun luogo.
Secondo la teoria della elezione naturale, noi possiamo
intendere con tutta chiarezza l'intero significato di quell'antico canone della
storia naturale, Natura non facit saltum. Se consideriamo semplicemente
gli attuali abitatori del mondo, questa massima non è strettamente
corretta; ma se noi includiamo tutti gli esseri dei tempi passati, deve essere,
dietro la mia teoria, assolutamente vera.
Generalmente
si riconosce che tutti gli esseri organizzati sono stati formati in seguito a
due grandi leggi: cioè l'Unità di Tipo e le Condizioni di
Esistenza. Per unità di tipo si intende quella fondamentale somiglianza
di struttura, che noi vediamo negli esseri organici di una medesima classe, e
che è affatto indipendente dalle loro abitudini di vita. Seguendo la mia
dottrina, l'unità di tipo viene spiegata dalla unità di
discendenza. L'adattamento alle condizioni di esistenza, sul quale ha tanto
spesso insistito l'illustre Cuvier, viene abbracciato completamente dal
principio della elezione naturale. Perchè l'elezione naturale agisce, o
coll'appropriare le parti variabili di ogni essere alle sue condizioni di vita
organiche ed inorganiche: oppure cogli adattamenti praticati nelle lunghissime
epoche trascorse; trovandosi questi adattamenti agevolati, in certi casi,
dall'uso e dal non-uso, od anche essendo leggermente affetti dall'azione
diretta delle condizioni esterne della vita e soggiacendo poi sempre alle
diverse leggi di sviluppo. Quindi, nel fatto, la legge dell'adattamento alle
Condizioni di Esistenza è la più elevata; mentre comprende quella
dell'Unità di Tipo, per l'eredità degli adattamenti antichi.
CAPO VII
OBBIEZIONI DIVERSE
CONTRO LA TEORIA DELL'ELEZIONE NATURALE.
Longevità
- Le modificazioni non sono necessariamente contemporanee - Modificazioni che
non sembrano di utilità diretta - Sviluppo progressivo - I caratteri di
lieve importanza funzionale sono i più costanti - L'elezione naturale
ritiensi insufficiente a spiegare gli stadii
incipienti delle strutture utili - Cause che disturbano l'acquisto delle
strutture utili a mezzo dell'elezione naturale - Gradazioni di struttura nei
cambiamenti di funzione - Organi molto diversi nei membri di una medesima
classe sviluppatisi dalla stessa sorgente - Ragioni che impediscono di
ammettere le modificazioni grandi e repentine.
Dedicherò questo capitolo all'esame di parecchie
svariate obiezioni che furono sollevate contro le mie idee, tanto più
che così riusciranno più chiare alcune precedenti discussioni; ma
sarebbe inutile di esaminare tutte le obbiezioni, molte di esse essendo fatte
da autori che non ebbero cura di comprendere il soggetto. Così un
distinto naturalista tedesco ha sostenuto che la parte più debole della
mia teoria sia quella, dove io asserisco che tutti gli esseri organici siano
imperfetti. Ma in realtà io dissi solamente che tutti, in relazione alle
loro condizioni, non sono così perfetti come potrebbero esserlo; e la
verità di questo giudizio è dimostrata dalle molte forme
indigene, le quali in molte parti del mondo hanno dovuto cedere il loro posto
alle forestiere intruse. Inoltre gli esseri organici, anche se in un
determinato tempo fossero perfettamente adattati alle condizioni di vita, non
lo saranno altrettanto, quando saranno cambiate quelle condizioni, e dovranno
anch'essi cambiarsi. E nessuno negherà che le condizioni fisiche di ogni
paese sieno soggette a molti mutamenti, come il numero e le specie de' suoi
abitatori.
Un critico ha recentemente sostenuto, con aria di esattezza
matematica, che la longevità è un grande vantaggio per ciascuna
specie, per cui i sostenitori della elezione naturale dovrebbero costruire
l'albero genealogico in guisa che tutti i discendenti abbiano vita più
lunga degli antenati. Ma non pare al nostro critico che una pianta biennale od
alcuno degli animali inferiori possa estendersi dove il clima è freddo e
colà perire ogni inverno, e nondimeno sopravvivere di anno in anno a
mezzo dei semi o delle uova in seguito ai vantaggi acquistati dall'elezione
naturale? F. Ray Lankester ha svolto di recente quest'argomento, e per quanto
la straordinaria complicazione del medesimo gli ha concesso di giudicare
è arrivato alla conclusione che la longevità in generarle sta in
rapporto col posto che una specie occupa nella scala della organizzazione, e
così pure colla quantità del consumo nella riproduzione e colla
generale attività. È probabile che questi rapporti siano stati
largamente determinati dall'elezione naturale.
Siccome tra le specie animali e vegetali dell'Egitto, che noi
conosciamo, nessuna si è cambiata negli ultimi tre o quattromila anni,
così si è conchiuso che nemmeno altre, in altre parti del mondo,
abbiano subìto dei cambiamenti: Ma questa conclusione, come ha notato G.
H. Lewes, dimostra troppo, imperocchè le vecchie razze domestiche che
vedonsi figurate o conservansi imbalsamate nei monumenti egiziani sono assai
simili alle attuali e forse con esse identiche; e nondimeno tutti i naturalisti
ammettono che tali razze siansi formate in seguito a modificazioni dei tipi
originali. Le molte specie animali che rimasero inalterate dal principio
dell'epoca glaciale in poi avrebbero potuto costituire una obbiezione assai
più forte, giacchè esse son state esposte ad un grande
cambiamento di clima ed hanno migrato sopra vasti territorii, mentre in Egitto,
per quanto sappiamo, le condizioni di vita sono rimaste assolutamente uniformi
durante parecchi degli ultimi millennii. Il fatto che dopo l'epoca glaciale non
si sono manifestate delle modificazioni, o furono leggerissime, avrebbe potuto
fornire un'obbiezione efficace contro i sostenitori di una legge innata e
necessaria di sviluppo, ma è impotente contro la dottrina dell'elezione
naturale o sopravvivenza del più adatto, secondo la quale vengono
conservate le variazioni o differenze individuali di natura benefica che
apparissero, ciò che potrà effettuarsi solamente in certe
circostanze favorevoli.
Il celebre paleontologo Bronn, in fine della sua traduzione
tedesca di questa opera, domanda come, secondo il principio dell'elezione
naturale, una varietà possa vivere accanto alla specie-madre? Se ambedue
sono state adattate, ad abitudini e condizioni di vita leggermente diverse,
esse potranno vivere insieme; e se facciamo astrazione dalle specie polimorfe,
nelle quali la variabilità; sembra di natura affatto peculiare, e da
tutte le variazioni meramente temporanee, come sarebbero la grandezza,
l'albinismo, noi troviamo, per quanto a me consta, che le varietà
permanenti abitano stazioni distinte, come altipiani o basse pianure, distretti
asciutti od umidi. Di più, in quegli animali che migrano molto e
s'incrociano largamente, le varietà sono generalmente confinate sopra
distinte regioni.
Il Bronn sostiene anche che le specie distinte non
diversificano mai tra loro in un solo carattere, ma in molte parti, e domanda
per quale motivo dalla variazione e dalla elezione naturale siano state
modificate molte parti dell'organismo ad un tempo? Ma non v'ha una ragione che
ci costringa a supporre che tutte quelle parti siano state modificate
contemporaneamente. Le modificazioni più singolari, che sono
eminentemente adatte ad uno scopo, possono, come fu già accennato,
essere state acquistate con variazioni successive, dapprima leggere, apparse in
una parte, e poi in un'altra; e siccome tutte vengono trasmesse insieme,
può sembrarci che esse si siano sviluppate ad un tempo. La migliore
risposta all'obbiezione surriferita offrono peraltro quelle razze domestiche,
le quali dall'elezione artificiale furono adattate ad uno scopo speciale. Si
consideri il cavallo da corsa ed il cavallo da carretta, oppure l'alano.
L'intera loro corporatura e le qualità mentali furono modificate; ma se
noi seguiamo la storia delle loro trasformazioni, e gli ultimi passi ponno
seguirsi, noi vediamo che i cambiamenti non furono nè grandi nè
contemporanei, ma che dapprima una parte e poi un'altra vennero modificate e
migliorate. Perfino nei casi, in cui la elezione dell'uomo si è
esercitata sopra un solo carattere, di che le piante coltivate ci offrono i
migliori esempi, noi troviamo costantemente che questa parte, sia il fiore, sia
il frutto o siano le foglie, venne notevolmente cambiata, ma anche tutte le
altre parti subirono delle leggere modificazioni, e ciò per effetto in
parte del principio di correlazione di sviluppo, ed in parte in seguito alla
così detta variazione spontanea.
Un'obbiezione
più seria fu fatta dal Bronn, e recentemente dal Broca, e si è
che molti caratteri non sembrano di alcuna utilità pel possessore, e non
possono quindi subire gli effetti dell'elezione naturale. Bronn cita la
lunghezza delle orecchie e della coda nelle diverse specie di lepri e di sorci,
le pieghe complicate di smalto nei denti di molti mammiferi ed altri consimili
esempi. In riguardo alle piante questo soggetto fu trattato dal Nägeli in un
pregevolissimo lavoro. Egli ammette che l'elezione naturale abbia molto
operato; ma insiste sul fatto che le famiglie vegetali diversificano fra loro
principalmente nei caratteri morfologici, i quali pel benessere della specie
sembrano destituiti di ogni importanza. Egli crede perciò ad una
tendenza innata di sviluppo progrediente e perfezionante. Più
particolarmente egli cita la disposizione delle cellule nei tessuti e delle
foglie dell'asse come casi, in cui la elezione naturale non avrebbe potuto
essere attiva. Vi si potrebbero aggiungere anche le divisioni numeriche delle
parti fiorali, la posizione degli ovuli, la forma del seme, in quanto non
è utile per la disseminazione, ecc.
L'obbiezione
succitata ha molto valore. Nullameno noi dobbiamo in primo luogo essere molto
cauti nella pretesa di giudicare quali strutture siano ora o fossero in passato
utili ad una specie. Secondariamente dobbiamo riflettere, che se una parte
viene modificata, altrettanto succede di altre per cause imperfettamente
conosciute, così in seguito ad aumentato o diminuito accesso di
nutrimento verso una parte, per reciproca pressione, per l'azione di una parte
prima sviluppata sopra un'altra che si sviluppò più tardi, e
così via. Si aggiungano ancora i molti casi misteriosi di correlazione
che noi non comprendiamo minimamente. Questi effetti, per brevità, possono
unirsi insieme sotto l'espressione della legge d'accrescimento. In terzo luogo
dobbiamo tener conto dell'azione diretta e definita delle cambiate condizioni
dì vita, e delle così dette variazioni spontanee, in cui la
natura delle condizioni, in apparenza, ha una parte affatto subordinata. Buoni
esempi di variazioni spontanee offrono le varietà di gemme, come
l'apparsa di rose muscose sul rosaio o delle pesche-mandorle sul persico. Se
noi pensiamo all'azione che ha una piccola goccia di veleno nella produzione
delle galle complicate, non possiamo essere troppo sicuri che quelle variazioni
non siano l'effetto di un cambiamento locale nella qualità del succo in
dipendenza delle mutate condizioni di vita. Una causa efficiente deve
sussistere tanto per ogni leggera differenza individuale come per le più
spiccate variazioni che occasionalmente appariscono; e se la causa sconosciuta
fosse persistente, è certo che tutti gli individui di una specie
sarebbero modificati in modo simile.
Nelle precedenti edizioni di quest'opera, parmi di avere apprezzato
troppo poco la frequenza e l'importanza delle modificazioni dovute alla
variabilità spontanea. Ma è impossibile attribuire a questa causa
le innumerevoli strutture che si adattano sì bene alle abitudini di vita
di cadauna specie. Ciò è tanto impossibile come l'attribuirvi le
forme adattate del cavallo da corsa o del veltro, le quali eccitarono cotanto
la sorpresa nella mente dei vecchi naturalisti, prima che fosse ben compreso il
principio della elezione esercitata dall'uomo.
Credo che valga la pena chiarire alcune delle precedenti
osservazioni. Per ciò che riguarda la supposta inutilità di varie
parti od organi, è appena. necessario di dire che negli animali
superiori e meglio conosciuti molte strutture sono così bene sviluppate,
che nessuno dubita della loro importanza; e tuttavia il loro uso o è
ancora sconosciuto, o venne solo di recente accertato. Siccome il Bronn adduce
la lunghezza delle orecchie e della coda nelle varie specie di sorci come
esempi, sebbene deboli, di differenze di struttura che non sono di alcuna
utilità speciale, debbo osservare che secondo il dott. Schöbl le
orecchie esterne del sorcio comune sono riccamente fornite di nervi,
cosicchè, servono senza dubbio come organi tattili; per conseguenza la
lunghezza delle orecchie non sarà priva di importanza. Noi vedremo anche
più tardi che in alcune specie la coda è un organo prensile assai
utile, e la sua lunghezza influirà quindi molto sul suo uso.
Quanto alle piante, eccitato dalla Memoria del Nägeli,
farò le seguenti osservazioni. È certo che i fiori delle orchidee
offrono molte interessanti particolarità di struttura che avanti pochi
anni sarebbero state considerate come semplici differenze morfologiche senza
una funzione speciale; ma ora si sa ch'esse sono della massima importanza per
la fecondazione delle specie a mezzo degli insetti, e che probabilmente furono
acquisite coll'elezione naturale. Fino a questi ultimi tempi nessuno avrebbe
creduto che la diversa lunghezza degli stami e dei pistilli e la loro
disposizione nelle piante dimorfe e trimorfe possano essere di qualche
vantaggio; ma ora sappiamo che le cose stanno precisamente così.
In
alcuni interi gruppi di piante gli ovuli sono eretti, in altri sospesi, ed in
alcune poche piante entro un medesimo ovario un ovulo ha la prima, un secondo
l'altra posizione. Queste posizioni sembrano a prima vista puramente
morfologiche e di nessuna importanza fisiologica. Ma il dott. Hooker mi fa
sapere che tra gli ovuli di uno stesso ovario vengono fecondati talvolta
solamente i superiori, ed in altri casi solamente gli inferiori. E suppone che
ciò dipenda dalla direzione nella quale i budelli pollinici entrano
nell'ovario. Se così fosse, la posizione degli ovuli, ed anche l'essere
l'uno e l'altro sospeso entro un medesimo ovario, dipenderebbe dalla elezione
di quelle leggere modificazioni di posizione che favoriscono la fecondazione e
la produzione di semi.
Parecchie piante appartenenti ad ordini distinti producono in
regola due qualità di fiori, gli uni aperti e di struttura ordinaria,
gli altri chiusi e imperfetti. Queste due qualità di fiori differiscono
talvolta mirabilmente tra loro nella struttura; ma in una medesima pianta gli
uni passano gradatamente negli altri. I fiori ordinari aperti possono essere
incrociati, e vengono assicurati i vantaggi che tengono dietro a questo
processo. I fiori chiusi ed imperfetti sono manifestamente di grande
importanza, giacchè forniscono con tutta sicurezza grande copia di semi
col minimo consumo di polline. Come testè fu detto, le due qualità
di fiori differiscono spesso notevolmente fra loro nella struttura Nei fiori
imperfetti i petali sono quasi sempre rappresentati da semplici rudimenti, e i
granuli del polline sono ridotti nel diametro. Nella Ononis columnæ cinque
degli stami alternanti sono rudimentali; ed in alcune specie di Viola
tre stami trovansi in tale stato, mentre due conservano la ordinaria loro
funzione, ma sono di assai piccola statura. Nella viola indiana (non si conosce
il nome, perchè le piante non hanno ancor prodotto dei fiori perfetti)
su trenta fiori chiusi sei avevano il numero dei sepali, i quali normalmente
sono cinque, ridotti a tre. In una sezione delle malpighiacee i fiori chiusi,
secondo A. De Jussieu, subiscono ulteriori modificazioni, giacchè i
cinque stami, che sono opposti ai sepali, sono tutti abortiti, ed un solo sesto
stame, opposto ad un petalo, è sviluppato. Tale stame non esiste nei
fiori ordinari di queste specie. Lo stilo è abortito, e gli ovari, da
tre, sono ridotti a due. Sebbene l'elezione naturale potesse avere la forza di
impedire l'espansione di alcuni di questi fiori, e di ridurre la
quantità del polline divenuta superflua per la chiusura dei fiori
stessi, tuttavia ben difficilmente alcuna delle suddette modificazioni speciali
fu determinata da essa, ma deve essere una conseguenza delle leggi di
accrescimento, inclusa l'inazione funzionaria di alcune singole parti, durante
la progrediente riduzione del polline e la chiusura del fiore.
È tanto necessario di apprezzare gli effetti importanti
delle leggi di accrescimento che voglio aggiungere alcuni casi di altro genere,
e cioè di differenze in una stessa parte od organo, dovute a differenze
nella relativa posizione in una medesima pianta. Nel castagno spagnuolo ed in
certi pini, secondo lo Schacht, gli angoli di divergenza delle foglie sono
diversi nei rami pressochè orizzontali e negli eretti. Nella ruta comune
ed in alcune altre piante si apre dapprima un fiore, ordinariamente il centrale
o terminale, ed ha cinque sepali e petali e cinque logge nell'ovario, mentre
tutti gli altri fiori della pianta sono tetrameri. Nella Adoxa inglese
il fiore superiore ha generalmente il calice a due lobi e gli altri organi
tetrameri, mentre i fiori circostanti possiedono in regola un calice a tre lobi
e gli altri organi pentameri. In molte composte ed ombrellifere (ed in alcune
altre piante) i fiori periferici hanno la corolla assai più sviluppata
che non i centrali, e ciò sembra connesso coll'abortimento degli organi
della riproduzione. Un fatto assai più singolare, che venne già
menzionato, si è questo, che gli acheni o semi della periferia e del
centro diversificano notevolmente tra loro nella forma, nel colore ed in altri
caratteri. Nel Carthamus ed in alcune altre composte i soli acheni
centrali sono forniti di un pappo, e nella Hyoseris un medesimo capitolo
offre tre forme di achenii. In certe ombrellifere, secondo il Tausch, i semi
esterni sono ortospermi, i centrali celospermi, ed il De Candolle in altre
specie ha ritenuto questa differenza della massima importanza sistematica. Il
prof. Braun cita un genere delle fumariacee, in cui i fiori nella parte
inferiore della infiorescenza portano capsule ovali, costate e monosperme,
mentre quelli della parte superiore dell'infiorescenza portano silique
lanceolate, bivalve e disperme. Per quanto noi possiamo giudicare, se si
eccepiscano i fiori marginali bene sviluppati, i quali si rendono utili
coll'attirare gli insetti, la elezione naturale nei casi citati non può
essere entrata in azione od avrà avuto una parte affatto subordinata. Tutte
queste modificazioni sono la conseguenza della relativa posizione e della
reciproca azione delle parti; nè può dubitarsi, che se tutti i
fiori e le foglie di una medesima pianta fossero stati esposti alle stesse
condizioni esterne ed interne, tutti sarebbero stati modificati nella stessa
guisa.
In numerosi altri casi noi troviamo modificazioni di struttura
che dai botanici sono generalmente considerate di grande importanza,
perchè si riscontrano solamente sopra alcuni fiori di una stessa pianta,
o sopra piante diverse che vivono strettamente insieme sotto uguali condizioni.
Siccome queste variazioni non sembrano per la pianta di alcun vantaggio
speciale, così l'elezione naturale non può avere agito su di
esse. Noi siamo nella più completa ignoranza intorno alla causa che le
ha prodotte; nè possiamo attribuirle ad una causa prossima, ad esempio
alla relativa posizione, come abbiamo fatto pei casi superiormente citati.
Addurrò alcuni pochi esempi. È così frequente il caso di fiori
di una medesima pianta che sono indifferentemente tetrameri, pentameri, ecc.,
che non occorre citarne degli esempi; ma siccome le variazioni numeriche sono
relativamente rare, quando le parti sono poche, così voglio far menzione
della osservazione del De Candolle, secondo cui il Papaver bracteatum ora
possiede due sepali con quattro petali (ciò che nel papavero è
fatto normale), ora tre sepali con sei petali. Il modo, col quale i petali sono
piegati entro la gemma, costituisce nel maggior numero dei gruppi un carattere
morfologico assai costante; ma il prof. Asa Gray ci fa sapere che in alcune
specie di Mimulus lo stivamento è ora quello delle rinantidee ed
ora quello delle antirrinidee, al quale ultimo gruppo il genere appartiene.
Augusto Saint-Hilaire cita i casi seguenti: il genere Zanthoxylon appartiene
ad una divisione delle rutacee ad un unico ovario, ma in alcune specie sopra
una medesima pianta e perfino sopra una stessa pannocchia s'incontrano dei
fiori con uno o due ovari. Nello Helianthemum la capsula fu descritta
come uniloculare o come triloculare, e nell'H. mutabile «une lame, plus
ou moins large, s'étend entre le péricarpe et la placenta». Nei fiori di Saponaria
officinalis il dottor Masters ha osservato esempi tanto di placentazione
marginale, come di placentazione libera centrale, Infine il Saint-Hilaire ha
trovato verso il limite meridionale di distribuzione della Gomphia
oleœformis due forme, che credette dapprima senza alcun dubbio due
specie diverse, ma che poi vide crescere sullo stesso arbusto, e soggiunge:
«Voilà donc dans un même individu des loges et un style qui se
rattachent tantôt à un axe verticale et tantôt à un gynobase».
Noi vediamo da ciò che nelle piante molti cambiamenti
morfologici possono essere attribuiti alle leggi di accrescimento e della mutua
azione delle parti, e sono indipendenti dall'elezione naturale. Ma in riguardo
alla dottrina del Nägeli sulla innata tendenza verso la perfezione o
progressivo sviluppo, può forse dirsi che queste ben pronunciate
variazioni siano state colte nell'atto di progresso verso un più elevato
gradino di sviluppo? Al contrario, dal fatto che le parti, di cui parliamo,
sono molto diverse o variano sopra una stessa pianta, io deduco che simili
modificazioni sono di importanza affatto secondaria per le piante, qualunque
sia l'importanza ch'esse hanno nella nostra classificazione. Non si può
dire che l'acquisto di una parte inutile elevi l'organismo nella scala
naturale; e nel caso dei sopradescritti fiori imperfetti e chiusi, se dovesse
invocarsi un nuovo principio, sarebbe piuttosto quello di regresso che di
progresso; altrettanto dovrebbe dirsi di molti animali parassitici e degradati.
Noi siamo affatto all'oscuro intorno alla causa che produsse le modificazioni
sopra specificate; ma se la causa sconosciuta agisse per un certo tempo
uniformemente, noi potremmo concludere che il risultato sarebbe quasi uniforme,
e tutti gli individui della specie sarebbero nella stessa guisa modificati.
Stando
al fatto che i suddetti caratteri non sono importanti pel benessere della specie,
le leggere variazioni, che in essi potessero riscontrarsi, non sarebbero
accumulate nè aumentate dall'elezione naturale. Una struttura, la quale
sia stata sviluppata da una elezione lungamente continuata, appena
cesserà di essere utile alla specie diverrà variabile, come ce lo
provano gli organi rudimentali, perocchè non sarà più
oltre regolata dalla forza della elezione. Ma se dalla natura dell'organismo e
delle condizioni siano state prodotte delle modificazioni non importanti pel
benessere della specie, esse possono trasmettersi quasi inalterate a
discendenti numerosi ed in altri caratteri modificati, come sembra essere
spesso avvenuto. Io non credo che fosse di grande importanza pel maggior numero
dei mammiferi, degli uccelli e dei rettili di essere coperti di peli, anzi che
di penne o di squame; e nondimeno furono trasmessi peli a quasi tutti i
mammiferi, penne a tutti gli uccelli e squame a tutti i veri rettili. Una
struttura che sia comune a molte forme affini, è da noi considerata di
grande importanza sistematica, e perciò spesso è anche creduta di
alta importanza vitale per la specie. Io inclino a credere che
le differenze morfologiche, che noi consideriamo come importanti, come la
disposizione delle foglie, le divisioni del fiore e dell'ovario, la posizione
degli ovuli, ecc., siano dapprima apparse come varietà fluttuanti, che
divennero più costanti, sia per la natura dell'organismo e delle
condizioni, sia per l'incrociamento di individui distinti, ma non per effetto
della elezione naturale; siccome questi caratteri morfologici non influiscono
sul benessere della specie, così l'elezione naturale non ha potuto agire
sulle loro leggere deviazioni. È questo un risultato molto singolare, a
cui noi arriviamo, che cioè i caratteri di leggera importanza vitale per
la specie sono i più importanti pel sistematico. Ma noi vedremo
più tardi, quando tratteremo del principio genetico della
classificazione, che questo risultato non è così paradossale come
può sembrare al primo aspetto.
Sebbene non si abbiano sicure prove della esistenza negli
organismi di una innata tendenza al progressivo sviluppo, tuttavia essa segue
necessariamente l'azione continua della elezione naturale, com'io ho cercato di
dimostrare nel quarto capitolo. Imperocchè il miglior criterio che noi
conosciamo per giudicare della perfezione di un organismo sta nel grado fino a
cui le parti furono specializzate e rese differenti. E la elezione naturale
tende appunto a questo fine, giacchè le parti in tal modo sono rese atte
a compiere meglio la loro funzione.
Un
distinto zoologo, St. George Mivart, ha recentemente raccolto tutte le
obbiezioni, sollevate da me stesso e da altri, contro la teoria dell'elezione
naturale propugnata dal Wallace e da me, e le ha spiegate con molto ingegno e
forza. Così esposte costituiscono un formidabile esercito; e siccome non
era nel progetto del Mivart di addurre i fatti e le considerazioni che si
oppongono alle diverse sue conclusioni, così richiedesi un non piccolo
sforzo di intelligenza e di memoria da quel lettore che voglia pesare le
ragioni che militano da ambe le parti. Nel discutere i casi speciali, il Mivart
trascura gli effetti dell'uso crescente e del non-uso, sebbene io abbia sempre sostenuto ch'essi sono assai importanti, e sebbene nel mio libro
sulle Variazioni allo stato di domesticità, ne abbia trattata
più diffusamente che, come credo, ogni altro autore. Egli presume anche
ch'io nulla attribuisca alla variazione indipendentemente dall'elezione
naturale, mentre nella succitata opera ho raccolto un numero sì grande
di fatti bene constatati, com'io non trovo in alcun'altra opera a me nota. Il
mio giudizio non sarà forse preciso; ma dopo aver letto attentamente il
libro del Mivart, e dopo averlo confrontato con ciò ch'io dissi sullo
stesso argomento, sono più persuaso che mai della generale
validità delle conclusioni a cui sono giunto, sebbene in argomento tanto
complesso io possa essere incorso in qualche parziale errore.
Tutte
le obbiezioni del Mivart saranno prese in considerazione nell'opera presente; e
per alcune ciò fu già fatto. Un punto nuovo, che sembra aver
destato sorpresa in molti lettori, si è questo, che la elezione naturale
sia insufficiente a spiegare gli stadii incipienti delle strutture utili.
Questo soggetto è intimamente connesso colla gradazione dei caratteri,
la quale è spesso accompagnata da un cambiamento di funzione, ad esempio
la trasformazione della vescica natatoria in polmoni, argomenti che nell'ultimo capitolo furono trattati sotto un doppio punto di
vista. Nondimeno prenderò qui in esame con molti dettagli alcuni casi
citati dal Mivart, e siccome lo spazio m'impedisce di considerarli tutti,
sceglierò i più illustrativi.
La
giraffa è mirabilmente adatta a cogliere le foglie dagli alti rami degli
alberi, sia per la sua alta statura, sia pel grande allungamento del collo,
degli arti anteriori, della testa e della lingua. Essa può trovare
nutrimento al di là dell'altezza, a cui giungono gli altri animali ad
unghie o zoccoli che abitano la stessa regione, e ciò sarà per
essa di grande vantaggio nei tempi di carestia. I buoi Niata dell'America
meridionale ci provano come piccole differenze di struttura in tali periodi
possano produrre una grande differenza nella preservazione della vita di un
animale. Questi buoi possono pascersi di erba come gli altri, ma per la
prominenza della mascella inferiore, durante i periodi spesso ricorrenti di
siccità, non possono cogliere le foglie degli alberi e la canna, a
nutrirsi de' quali sono spinti i buoi comuni ed i cavalli, per cui in queste
epoche i buoi Niata periscono se non sono nutriti da' loro possessori. Prima di
arrivare all'obbiezione del Mivart, sarà bene indicare nuovamente come
l'elezione naturale agirà ne' casi ordinari. Senza tener conto
necessariamente di speciali particolarità di struttura, l'uomo ha
modificato gli animali conservando e impiegando per la riproduzione, ora gli
animali più veloci, come, è avvenuto pei cavalli da corsa e pei
veltri, oppure continuando a coltivare gli animali vittoriosi, com'è
avvenuto pel gallo pugnace. Così allo stato naturale, quando si è
formata la giraffa, saranno stati spesso preservati quegli individui che
potevano cogliere le foglie più alte, ed in epoca di carestia arrivavano
uno o due pollici più in alto degli altri, imperocchè essi
avranno percorsa tutta la regione alla ricerca del nutrimento. Che gli
individui di una medesima specie diversifichino spesso leggermente tra loro
nella relativa lunghezza di tutte le loro parti, ce lo insegnano molte opere di
storia naturale, in cui siano indicate esatte misure. Queste
leggere differenze proporzionali, dovute alle leggi di accrescimento e di
variazione, non tornano di alcuno o di insignificante vantaggio al maggior
numero delle specie. Ma nella giraffa in via di formazione le cose saranno
passate altrimenti in dipendenza dalle probabili di lei abitudini di vita,
giacchè generalmente saranno rimasti in vita quegli individui che
presentavano un allungamento oltre l'ordinario in una od in parecchie parti del
corpo. Questi si saranno incrociati ed avranno lasciato dei discendenti che
avranno ereditata la stessa particolarità corporea, ossia la tendenza di
variare nello stesso modo, mentre gli individui meno favoriti per tale riguardo
saranno stati maggiormente soggetti alla estinzione.
Noi vediamo, qui, che non è necessario separare le
singole paia, come fa l'uomo quando perfeziona metodicamente una razza;
l'elezione naturale conserva e separa così tutti gli individui favoriti,
e permette loro di incrociarsi, e distrugge gli individui inferiori. Se questo processo,
il quale corrisponde esattamente a ciò che io ho chiamato elezione
inconscia a mezzo dell'uomo, continua per lungo tempo, associandosi senza
dubbio in modo molto importante agli effetti ereditari dell'uso crescente delle
parti, mi sembra quasi certo che un animale quadrupede ordinario sarà
convertito in una giraffa.
Contro questa conclusione il Mivart solleva due obbiezioni. La
prima si è che l'aumentata grandezza del corpo esigerebbe evidentemente
un aumento nella quantità di cibo, ed egli crede molto dubbio che gli
svantaggi da ciò derivati possano essere bilanciati dai vantaggi in
tempi, ne' quali il cibo scarseggia. Ma siccome la giraffa esiste di fatto
nell'Africa meridionale in grande quantità, ed alcune delle maggiori
antilopi del mondo, più grandi di un bue, sono colà
straordinariamente numerose, perchè dovremo dubitare che vi abbiano
esistito, per ciò che riguarda la grandezza, le forme intermedie, e
siano state esposte a gravi periodi di carestia? La facoltà di raggiungere,
ad ogni stadio della aumentata statura, un nutrimento inaccessibile agli altri
mammiferi a zoccoli del paese, sarà stata certamente di vantaggio alla
nascente giraffa. Non devesi poi trascurare che l'aumentata grandezza del corpo
serve di protezione contro quasi tutti i carnivori, eccettuato il leone; e
contro questo animale, come osserva Chauncey Wright, il lungo collo
servirà come torre di osservazione, e ciò tanto meglio quanto
più sarà lungo. Come. S. Baker ha osservato, questa è la
causa, per cui nessun animale si caccia tanto difficilmente come la giraffa.
L'animale adopera il suo lungo collo anche come arma offensiva e difensiva,
facendo vibrare violentemente la testa armata delle sue corna a guisa di
monconi. La conservazione di una specie è raramente determinata da un
unico vantaggio, sibbene dal concorso di tutti, sì dei grandi che dei
piccoli.
Il Mivart domanda inoltre (e questa è la sua seconda
obbiezione): se l'elezione naturale è così potente, e se la
facoltà di cogliere le foglie dagli alti rami è un vantaggio
sì grande, perchè nessun mammifero a zoccoli ottenne un collo
tanto lungo all'infuori della giraffa, ed in minor grado il camello, il guanaco
e la macrauchenia? In riguardo all'America meridionale, che prima era abitata
da numerose greggie di giraffe, la risposta non è difficile, e
può nel modo più sicuro essere illustrata con un esempio. In
Inghilterra noi vediamo in ogni prato, dove crescono alberi, i rami bassi, in
seguito al pascolare dei cavalli, o dei buoi, tagliati ed appianati fino ad
un'altezza quasi eguale; e quindi che vantaggio ne potrebbero ritrarre ad
esempio le pecore, se colà vi fossero tenute, dall'avere un collo
leggermente più lungo? In ogni regione qualche specie animale
avrà quasi certamente l'attitudine di togliere il suo nutrimento a
maggior altezza delle altre; ed è cosa quasi certa che quest'unica
specie avrà ottenuto a quello scopo un collo più lungo a mezzo
dell'elezione naturale e per gli effetti dell'uso crescente. Nell'Africa
meridionale la concorrenza nel cogliere le foglie dai rami più alti
delle acacie e di altri alberi si esercita fra giraffe e giraffe, e non fra
queste ed altri mammiferi a zoccoli.
Non può dirsi con precisione per quale motivo in altre
parti del mondo gli altri animali dello stesso ordine non abbiano acquistato un
collo allungato od una proboscide; ma è ugualmente irragionevole
attendersi una precisa risposta a questa domanda, come a quella che chiedesse,
per quale motivo nella storia della umanità un avvenimento non sia
successo in un paese, mentre è accaduto in un altro. Le condizioni che
determinano il numero ed il rango di ciascuna specie ci sono ignote; e non
possiamo nemmeno congetturare, quali cambiamenti di struttura possano essere
utili pel di lei aumento in una nuova regione. In modo generico, però,
noi possiamo intravedere che parecchie cause possano avere impedito lo sviluppo
di un lungo collo o di una proboscide. Per cogliere le foglie degli alberi da
una notevole altezza (senza l'attitudine di rampicare che non è concessa
agli animali forniti di zoccoli), è necessaria una statura molto grande,
e noi sappiamo che alcuni distretti, ad esempio l'America meridionale, sebbene
sia una terra assai ubertosa, contengono dei mammiferi grandi in
quantità singolarmente piccola, mentre l'Africa meridionale ne è
incomparabilmente più ricca. Perchè ciò avvenga, noi nol
sappiamo, e non conosciamo neanche il motivo, per cui gli ultimi periodi
dell'epoca terziaria siano stati assai più favorevoli alla loro
esistenza che non l'epoca presente. Qualunque siasi la causa, noi vediamo che
certi distretti e certi tempi sono molto più favorevoli di altri allo
sviluppo di un mammifero così grande come è la giraffa.
Affinchè
un animale acquisti una struttura sviluppata in modo particolare ed ampio,
è quasi sempre indispensabile che parecchie altre parti si modifichino e
vi si adattino. Sebbene ciascuna parte del corpo sia soggetta a variare
leggermente, non deve conchiudersi che le parti necessarie subiscano delle
variazioni nella vera direzione e nel vero grado. Noi sappiamo che nei diversi
nostri animali domestici le parti variano in modo ed in grado diverso, e che
alcune specie sono molto più variabili di altre. Ma quand'anche le
variazioni adatte fossero apparse, non segue ancora che l'elezione naturale
abbia potuto agire su di esse e produrre una struttura utile alla specie. Se,
ad esempio in una regione il numero degli individui esistenti sia
principalmente determinato dalla distruzione esercitata dai carnivori, dai
parassiti esterni ed interni, ecc., come spesso sembra avvenire, allora
l'elezione naturale non potrà essere che poco efficace o sarà
molto rallentata nella modificazione di un organo destinato alla presa del
nutrimento. Finalmente l'elezione naturale è un processo lento, e le
medesime condizioni favorevoli debbono durare lungamente, affinchè si
produca un effetto ben marcato. Se si fa astrazione da queste cause generiche e
vaghe, noi non sappiamo spiegare, perchè gli animali a zoccoli non
abbiano in tutte le parti del mondo un collo allungato od altri mezzi per
cogliere le foglie dai rami più alti degli alberi.
Obbiezioni
simili alle precedenti furono sollevate da molti autori. Oltre le cause
generali ora accennate, varie altre possono aver impedito nei singoli casi
l'acquisto di una struttura utile alla specie col mezzo della elezione
naturale. Un autore domanda perchè lo struzzo non abbia conservato la
sua attitudine al volo? Ma per poco che si pensi, si
troverà che una enorme quantità di cibo sarebbe necessaria per
dare a questo uccello del deserto la forza di portare il suo ingente corpo per
l'aria. Le isole Oceaniche sono abitate da pipistrelli e foche, ma non da
mammiferi terrestri, e siccome alcuni di questi pipistrelli costituiscono delle
specie peculiari, debbono abitare da lungo tempo nella loro patria attuale. Carlo
Lyell domanda perchè le foche ed i pipistrelli non abbiano prodotto
delle forme atte a vivere in terraferma, ed in risposta adduce dei motivi. Ma
le foche dovrebbero necessariamente trasformarsi in animali terrestri carnivori
di notevole grandezza, e i pipistrelli in animali terrestri insettivori; ai
primi mancherebbe la preda, ed ai pipistrelli servirebbero di nutrimento gli
insetti viventi sul suolo, ai quali danno già largamente la caccia i
rettili e gli uccelli, i quali pei primi vanno ad abitare le isole oceaniche e
vi abbondano. Le gradazioni di struttura, utili ad una specie in via di
trasformazione, non saranno favorite che in certe speciali condizioni. Un
animale strettamente terrestre, cacciando occasionalmente nelle acque poco
profonde, poi nei fiumi e nei laghi, potrebbe essere convertito in un animale
sì bene acquatico da affrontare l'alto mare. Ma non credo che le foche
trovino nelle isole oceaniche le condizioni favorevoli per una graduale
riconversione in una forma terrestre. Come già fu dimostrato, i
pipistrelli acquistarono probabilmente la loro membrana del volo scivolando
dapprima per l'aria a modo degli scoiattoli volanti d'albero in albero, sia per
sfuggire ai loro nemici, sia per evitare la caduta; ma una volta acquistata la
vera attitudine al volo, ben difficilmente, almeno per lo scopo indicato,
sarà riconvertita nella facoltà meno efficace di scivolare per
l'aria. I pipistrelli, come gli uccelli, potrebbero bensì in seguito a
non-uso soffrire una notevole riduzione delle ali, od anche perderle affatto;
ma in tale caso sarebbe necessario che acquistassero la facoltà di
camminare velocemente sul terreno coi soli arti posteriori, per essere in grado
di far concorrenza agli uccelli e ad altri animali viventi sul suolo: ora per un
tale cambiamento i pipistrelli sembrano singolarmente male adatti. Queste
congetture furono fatte col solo intento di dimostrare che il passaggio da una
struttura ad un'altra a mezzo di gradini utili è un processo assai
complicato, e che non vi ha motivo di maravigliarsi se in un caso particolare
tale passaggio non è avvenuto.
In
fine più di un autore ha domandato, perchè alcuni animali abbiano
ottenuto delle facoltà mentali assai più elevate di altri, mentre
il loro sviluppo sarebbe tornato utile a tutti? Perchè le scimmie non
raggiunsero il potere intellettuale dell'uomo? Si potrebbero addurre qui molte
cause, ma siccome non sono che congetture, la cui relativa probabilità
non può essere pesata, riesce inutile citarle. Una risposta definitiva
all'ultima domanda non possiamo aspettarci, giacchè vediamo che nessuno
può sciogliere il problema assai più semplice, perchè
cioè fra due razze di selvaggi, una sia salita più in alto nella
scala della civilizzazione dell'altra, ciò che con ogni
probabilità implica un'aumentatà azione cerebrale.
Ma([8]) noi vogliamo
ritornare alle obbiezioni del Mivart. Per ragioni di protezione gli insetti
somigliano spesso a vari oggetti; per esempio alle foglie verdi od essiccate,
ai rami morti, a pezzi di lichene, ai fiori, alle spine, agli escrementi degli
uccelli e ad altri insetti vivi; a quest'ultimo punto farò ritorno
più tardi. La somiglianza è spesso mirabilmente grande, e non si
limita al solo colore([9]), ma si
estende anche alla forma e perfino all'atteggiamento degli insetti. I bruchi, i
quali dagli arbusti su cui si nutrono si staccano a guisa di rami secchi, ci
offrono un evidentissimo esempio di questo genere. I casi, in cui sono imitati
degli oggetti, come gli escrementi degli uccelli, sono rari ed
eccezionali. Intorno a questo argomento il Mivart dice: «Siccome, dietro la
teoria del Darwin, sussiste una tendenza costante alla variazione indefinita, e
le minute variazioni incipienti vanno in tutte le direzioni, esse devono
neutralizzarsi e dapprima produrre modificazioni così instabili, che
riesce difficile, se non impossibile, il comprendere come tali indefinite
oscillazioni di principii infinitesimali sieno sufficienti a produrre la
somiglianza([10])
con una foglia, con un bambù o con altro oggetto, in guisa che la
elezione naturale possa impadronirsene e perpetuarla».
Ma in tutti i precedenti casi gl'insetti offrivano senza
dubbio allo stato originale una certa rozza ed accidentale somiglianza con un
oggetto frequente nelle loro stazioni. Nè ciò può sembrare
improbabile, se si pensa al numero quasi infinito degli oggetti circostanti ed
alla diversità di forma e di colore nella moltitudine degli insetti
esistenti. Siccome una certa rozza somiglianza è necessaria come punto
di partenza, così noi possiamo comprendere come avvenga che nessun
animale maggiore e superiore, ad eccezione di un solo pesce, per quanto io
sappia, somigli per ragioni di protezione ad oggetti speciali, ma solamente
alla superficie che lo circonda, e ciò principalmente nel colore. Se si
suppone che originariamente un insetto somigliasse a caso in un certo grado ad
un ramo morto o ad una foglia secca e variasse leggermente in molte direzioni, tutte
le variazioni che rendevano l'insetto più somigliante a quegli oggetti e
favorivano il nascondimento, si saranno conservate, mentre le altre saranno
state neglette e soppresse; oppure, se avessero reso l'insetto meno somigliante
all'oggetto imitato, saranno state eliminate. L'obbiezione del Mivart avrebbe
forza se volessimo spiegare le suddette somiglianze indipendentemente
dall'elezione naturale col mezzo della sola variabilità fluttuante; ma
nel caso nostro non ha importanza.
Io non so nemmeno vedere come possa aver forza la
difficoltà mossa dal Mivart in riguardo agli ultimi ritocchi di
perfezione nel mimismo, come, ad es., nel caso del Ceroxylus laceratus,
citato dal Wallace, il quale insetto somiglia ad un bastone coperto di muschio
serpeggiante o di iungermannie. Questa somiglianza era tanto grande, che un
Dyak indigeno sosteneva essere vero muschio quelle escrescenze fogliacee. Agli
insetti danno la caccia gli uccelli ed altri nemici, la cui vista è
probabilmente più acuta della nostra; quindi ogni grado di somiglianza
che aiuta l'insetto a sfuggire alla loro vista, favorirà la sua
preservazione, e quanto più perfetta sarà la somiglianza stessa,
tanto maggiore vantaggio ne avrà l'insetto. Se si considera la natura
delle differenze esistenti fra le specie del gruppo che abbraccia il suddetto Ceroxylus,
non sembrerà improbabile che questo insetto abbia offerto delle
variazioni nelle irregolarità della sua superficie, e che questa abbia
acquistato un colore più o meno verde; imperocchè in ogni gruppo
quei caratteri, che sono diversi nelle diverse specie, tendono maggiormente a
variare, mentre, i caratteri generici, ossiano quelli che sono comuni a tutte
le specie, presentano la massima costanza.
La
balena della Groenlandia è uno degli animali più ammirabili del
mondo, ed i fanoni od osso di balena costituiscono una delle sue più
rimarchevoli particolarità. L'osso di balena si compone di una fila di
fanoni, in numero di circa trecento, disposti fittamente in ciascun lato della
mascella superiore in senso obliquo all'asse longitudinale della bocca.
All'interno della fila principale trovansene alcune file secondarie. Le
estremità inferiori ed i margini interni dei fanoni sono risolti in
setole rigide che coprono tutto il gigantesco palato e servono per colare o filtrare l'acqua allo scopo di prendere i piccoli
animali, dei quali si nutre il grande animale. La lamella o fanone di mezzo
nella balena della Groenlandia ha una lunghezza di dieci o dodici e perfino
quindici piedi. Ma nelle diverse specie di balene questa grandezza presenta
delle gradazioni; secondo lo Scoresby in una specie la lamella mediana è
lunga un piede, in un'altra tre piedi, in una terza diciotto pollici, e nella Balænoptera
rostrata solamente circa nove pollici. Anche la qualità dell'osso di
balena è diverso nelle diverse specie.
Relativamente
all'osso di balena, il Mivart osserva che «quand'esso avesse raggiunta tale
grandezza e sviluppo da essere di vantaggio, sarebbe favorito dalla elezione
naturale nella sua preservazione e nel suo aumento entro i
limiti utili; ma come immaginarsi il principio di tale utile sviluppo?». In
risposta potrebbe domandarsi, perchè gli antichi progenitori delle
balene a fanoni non possano aver posseduto una bocca costruita in modo simile a
quella che presenta l'anitra col suo becco fornito di lamelle? Le anitre si
nutrono come le balene, filtrando l'acqua o la melma, e la famiglia delle
anitre ebbe talvolta appunto per ciò il nome di Cribratores. Non
si vorrà qui, io spero, credere, essere mia opinione che i progenitori delle
balene abbiano avuto realmente una bocca lamellosa come l'offre il rostro
dell'anitra. Io desidero solamente di provare che ciò non è
impossibile, e che gli immensi fanoni della balena groenlandese possono essersi
sviluppati da tali lamelle percorrendo degli stadii graduati, di cui ciascuno
era utile al suo possessore.
Il becco della Spatula clypeata è un prodotto
ancora più ammirabile e più complesso della bocca di una balena.
La mascella superiore (nell'esemplare da me esaminato) è fornita in
ciascun lato di una serie o pettine di 188 lamelle sottili ed elastiche, le
quali sono troncate obliquamente in modo da essere puntute, e dispongonsi in
senso trasversale all'asse longitudinale del rostro. Esse nascono dal palato e
sono fissate da membrane flessibili ai lati della mascella. Quelle che trovansi
verso la metà, sono le più lunghe, misurano circa un terzo di
pollice, e sporgono per un tratto di 0,14 di pollice al disotto del margine.
Alla loro base osservasi una breve serie sussidiaria di lamelle oblique
trasversali. Per tale riguardo esse somigliano ai fanoni nella bocca della balena. Ma verso l'estremità del rostro si fanno molto diverse,
giacchè sporgono verso l'interno anzi che in basso. L'intera testa della
Spatula clypeata, sebbene incomparabilmente meno voluminosa, misura in
lunghezza circa otto decimi della lunghezza della testa di una mediocre Balænoptera
rostrata, nella quale specie i fanoni sono lunghi solamente nove pollici,
per cui, se la testa della Spatula potesse farsi ugualmente grande come
quella della Balænoptera, le lamelle raggiungerebbero i sei
pollici, ossia i due terzi della lunghezza dei fanoni della balena. La mascella
inferiore della Spatula clypeata porta delle lamelle sì lunghe
come le superiori, ma più sottili; e per tale possesso essa differisce
evidentemente da quella della balena che non porta fanoni. Ma d'altra parte
queste lamelle inferiori alla loro estremità si risolvono in punte fine
e setolose, così da somigliare assai ai fanoni. Nel genere Prion,
appartenente alla distinta famiglia delle procellarie, la sola mascella
superiore porta delle lamelle, le quali sono bene sviluppate e sporgono al
disotto del margine; per tale riguardo dunque il rostro di quest'uccello
somiglia alla bocca di una balena.
Dalla struttura altamente sviluppata del rostro della Spatula
clypeata, noi possiamo passare (come ho imparato dall'esame di esemplari
inviatimi dal Salvin) senza interruzione della serie, considerando solamente le
misure atte alla filtrazione, al rostro della Merganetta armata, e per
alcuni riguardi a quello dell'Aix sponsa, e da questo al rostro
dell'anitra comune. In quest'ultima specie le lamelle sono assai più
grandi che nella Spatula clypeata, e bene attaccate ai lati della
mascella; ve ne hanno solamente
Passiamo ad un altro gruppo della stessa famiglia. Nell'oca
egiziana (Chenalopex) il rostro somiglia molto a quello
dell'anitra comune; ma le lamelle non sono sì numerose, nè si
bene distinte tra loro, e non sporgono tanto all'indentro. E tuttavia
quest'oca, a quanto mi disse il Bartlett, adopera il suo rostro come l'anitra,
giacchè getta fuori l'acqua pei margini. Il suo principale nutrimento
però è l'erba che coglie come l'oca comune. In quest'ultimo
uccello le lamelle della mascella superiore sono molto più grossolane
che nell'anitra comune, quasi confluenti, in numero di circa
Noi
vediamo da ciò, come un uccello della famiglia delle anitre, con un
rostro simile a quello dell'oca comune, costruito solamente per cogliere
l'erba, oppure un uccello con un becco avente lamelle ancora meno sviluppate,
possa convertirsi per lente variazioni in una specie come l'oca egiziana,
questa in un'altra come l'anitra comune, e finalmente in una come la Spatula
clypeata, il cui rostro è quasi esclusivamente atto alla filtrazione
dell'acqua, nessuna parte di esso, tranne la punta uncinata, potendo servire
alla presa ed alla dilanazione di nutrimento solido. Voglio ancora aggiungere
che il rostro dell'oca potrebbe pure, col mezzo di leggeri cambiamenti, essere
convertito in un rostro fornito di denti prominenti e rivolti indietro, come
quelli del Merganser (uccello della stessa famiglia), il quale serve
allo scopo molto diverso di prendere pesci viventi.
Ma
ritorniamo ora alle balene. L'Hyperoodon bidens non ha denti genuini in
istato funzionale, ma il suo palato, secondo il Lacépède, è
ruvido per la presenza di piccole punte corne e disuguali. Non
vi è quindi nulla di improbabile nella supposizione che una forma antica
di cetaceo abbia avuto il palato munito di simili punti cornei, i quali erano
disposti più regolarmente, e a guisa dei bottoni del rostro dell'oca
servivano a rendere più facile la presa e la dilaniazione del cibo. Se
ciò fosse, non si negherà che in seguito alla variazione ed
all'elezione naturale quei punti abbiano potuto cambiarsi dapprima in lamelle così bene
sviluppate come quelle dell'oca egiziana, nel qual caso servivano al doppio
scopo di prendere il nutrimento e di filtrare l'acqua; poi in lamelle come
quelle dell'anitra comune, e così di seguito, finchè divennero
organi sì bene costruiti come le lamelle della Spatula clypeata,
ed avranno quindi servito unicamente alla filtrazione dell'acqua. Da questo
stadio, nel quale le lamelle misurano in lunghezza due terzi dei fanoni della Balænoptera
rostrata, molte gradazioni, ancor oggi osservabili nei viventi cetacei,
conducono agli enormi fanoni delle balene groenlandesi. Non vi ha alcuna
ragione per dubitare, che ogni progresso su questa scala abbia potuto tornare
utile a certi antichi cetacei, modificandosi lentamente la funzione delle parti
durante il progresso di sviluppo, nella stessa guisa come le gradazioni della
struttura del rostro sono di vantaggio agli uccelli oggi viventi della famiglia
delle anitre. Noi non dobbiamo dimenticare, che ogni specie di anitre sostiene
una lotta severa per l'esistenza, e che la struttura di ogni parte corporea
deve essere adattata alle sue condizioni di vita.
I pleuronettidi o pesci piatti sono rimarchevoli pel loro corpo
asimmetrico. Nel riposo essi giacciono sopra un lato, nel maggior numero delle
specie sul sinistro, in altre sul destro; e talvolta si hanno degli esemplari
adulti con asimmetria inversa. La superficie inferiore, ossia quella che
poggia, a prima vista somiglia alla faccia ventrale di un pesce ordinario; essa
è bianca, per molti riguardi meno sviluppata della superiore, e le pinne
laterali sono spesso di grandezza minore. Ma gli occhi presentano la maggiore
singolarità, giacchè ambedue trovansi alla faccia superiore del
capo. Nella prima giovinezza però essi sono opposti l'uno all'altro, ed
in quest'età tutto il corpo è simmetrico, ed ambedue i lati sono
di uguale colore. Ma presto l'occhio inferiore migra attorno alla testa verso
la faccia superiore, e non attraversa direttamente il cranio, come si era
creduto. Egli è chiaro che, se l'occhio inferiore non migrasse nel modo
indicato, esso non potrebbe essere menomamente adoperato dal pesce, che giace
sopra uno dei lati. Oltre ciò, l'occhio inferiore sarebbe facilmente
leso coll'attrito verso il fondo sabbioso. Che i pleuronettidi col loro corpo
piatto ed asimmetrico siano stupendamente adattati alle loro abitudini di vita,
ce lo dimostra il fatto che parecchie specie, come le sfoglie e le platesse,
sono assai comuni. I vantaggi principali che ne ricavano sono due, la
protezione davanti ai loro nemici, e la facilità di nutrirsi sul fondo
del mare. Ma i diversi membri della famiglia, come osserva lo Schiödte, offrono
una lunga serie di forme graduate fra l'Hippoglossus pinguis, il quale
non cambia in modo sensibile la forma che possiede quando sbuccia dall'uovo, e
le sfoglie che sono perfettamente rovesciate sopra un lato.
Il Mivart ha toccato questo caso, ed osserva che non è
concepibile un repentino e spontaneo cambiamento nella posizione degli occhi,
ed io mi vi associo. Poi soggiunge. «Se il transito avviene gradatamente, non
si comprende come la migrazione sopra una frazione straordinariamente piccola
dell'intera distanza fino all'altro lato del capo possa tornare utile
all'individuo. Sembrerebbe piuttosto che tale incipiente trasformazione dovesse
essere dannosa». Ma egli avrebbe potuto trovare una risposta a questa
obbiezione nelle eccellenti osservazioni pubblicate dal Malm nel 1867. I
pleuronettidi, finchè sono assai giovani e simmetrici, ed hanno gli
occhi ai due lati del capo, non possono lungamente conservare una posizione verticale,
sia per l'eccessiva altezza del corpo, sia pel leggero sviluppo delle pinne
orizzontali, sia per la mancanza della vescica natatoria. Perciò si
stancano assai presto, e cadono sopra uno dei lati al fondo. Mentre stanno
quieti, in tale posizione, volgono spesso l'occhio inferiore in alto, come ha
osservato il Malm, per vedere sopra di sè, e lo fanno così
vigorosamente, che l'occhio è premuto con forza verso la parete
superiore dell'orbita. Come s'è potuto facilmente osservare, la fronte
tra gli occhi venne per conseguenza temporaneamente contratta nel senso della
larghezza. In un'occasione il Malm vide in un pesce giovane sollevarsi ed
abbassarsi l'occhio inferiore in guisa da percorrere una distanza di circa
settanta gradi.
Noi
dobbiamo rammentarci che in questa tenera età il cranio è
cartilagineo, per cui cede facilmente all'azione muscolare. È noto che
anche negli animali superiori, perfino dopo trascorsa la prima gioventù,
il cranio cede e cambia la sua forma, se la cute od i muscoli siano permanentemente
contratti da malattia o da altra causa accidentale. Nei conigli a lunghe
orecchie, se un padiglione pende in avanti ed in basso, il suo peso trascina
tutte le ossa verso lo stesso lato, ciò ch'io ho illustrato con una
figura. Il Malm ci assicura che i giovani appena nati del pesce persico, del
salmone e di altri pesci simmetrici hanno l'abitudine di riposarsi qualche
volta sul fondo sopra uno dei lati; egli ha anche osservato che allora
affaticano l'occhio inferiore per guardare in alto, e che, in conseguenza di
ciò, il cranio si fa leggermente curvo. Ma questi pesci diventano presto
capaci di mantenersi in posizione verticale, e non si produce quindi un effetto
durevole. I pleuronettidi invece, quanto più diventano vecchi, tanto più
sogliono riposare, sopra uno dei lati, in seguito al crescente appiattimento
del loro corpo, e si produce un effetto durevole sulla
forma del loro corpo e sulla posizione degli occhi. A giudicare per analogia,
deve ritenersi che la tendenza di torsione venga accresciuta dal principio
dell'eredità. Lo Schiödte, contraddicendo agli altri naturalisti,
ritiene che i pleuronettidi non siano simmetrici nemmeno allo stato embrionale;
se ciò fosse, noi potremmo comprendere perchè certe specie,
mentre sono giovani, cadano sopra il lato sinistro e su esso riposino, altre
specie sopra il lato destro. A conferma dell'asserto, il Malm aggiunge, che
l'adulto Trachypterus arcticus, il quale non appartiene alla famiglia
dei pleuronettidi, riposa sul fondo sopra il suo lato sinistro, e nuota per
l'acqua in senso diagonale; e in questo pesce, come si dice, i due lati del
capo sono alquanto dissimili. Il Gunther, una nostra grande autorità in
ittiologia([11]),
finisce il sunto della memoria del Malm colla osservazione «che l'autore
dà una spiegazione assai semplice della condizione anormale dei
pleuronettidi».
Noi vediamo da ciò che i primi stadii nel transito
dell'occhio da un lato del capo all'altro, che il Mivart suppose dannosi,
possono attribuirsi all'abitudine, certamente utile tanto all'individuo come
alla specie, di tentar di guardare in alto con ambedue gli occhi mentre il
pesce giace sul fondo sopra uno dei lati. Noi possiamo poi attribuire agli
effetti ereditati dall'uso che in molte specie di pesci piatti la bocca
è curvata verso il lato inferiore, essendo le ossa mascellari più
robuste e più attive alla faccia cieca del capo, che all'opposta,
affinchè il pesce, come suppone il dott. Traquair, possa prendere il cibo
dal fondo con maggiore facilità. Dall'altro canto, il non uso ci spiega
il minore sviluppo della intera metà inferiore del corpo, comprese le
pinne orizzontali, sebbene il Yarrell creda che la ridotta grandezza di queste
pinne sia utile al pesce, giacchè la loro azione può esercitarsi
in uno spazio assai minore che non quella delle pinne maggiori superiori. Forse
può spiegarsi col non-uso anche il minor numero di denti nella
metà superiore delle due mascelle, dove nella sfoglia se ne contano
Voglio
citare ancora un esempio di una struttura, la quale sembra dovere la sua
origine interamente all'uso o all'abitudine. In parecchie scimmie americane
l'estremità della coda è trasformata in un organo prensile assai
perfetto, e serve di quinta mano. Un critico, il quale concorda col Mivart in
ogni dettaglio, dice a proposito di quest'organo: «Non è possibile
credere che la prima leggera tendenza alla preensione, per quanti anni durasse,
abbia potuto conservare la vita agli individui che la possedevano, od abbia
favorito la probabilità di avere e di allevare una prole». Ma non
è necessario avere una tale credenza; l'abitudine, la quale un qualunque
benefizio, grande o piccolo, apporta quasi sempre, sembra con ogni
probabilità bastare allo scopo. Il Brehm vide i giovani di una scimmia
africana (Cercopithecus) attaccarsi colle mani alla faccia inferiore
della madre, e contemporaneamente abbracciarla colle loro piccole code. Il
professore Henslow tenne in cattività alcuni Mus messorius, che
non possiedono coda prensile; tuttavia li vide più volte abbracciare
colla coda i rami di un arbusto, che aveva posto nella gabbia, per aiutarsi nel
rampicare. Un'osservazione analoga mi fu riferita dal dott. Günther, il; quale
vide un sorcio appendersi col mezzo della coda. Se il Mus messorius conducesse
vita strettamente arborea, la sua coda sarebbe probabilmente diventata
prensile, come è avvenuto in alcuni altri animali dello stesso ordine.
È difficile il dire perchè il Cercopithecus, che pur allo
stato giovanile ha l'abitudine su descritta, non sia stato dotato di tale
qualità; ma è possibile che la lunga coda di questa scimmia nei
larghi salti torni più utile come organo bilanciante che come organo
prensile.
Le
ghiandole mammarie sono comuni a tutti i mammiferi, alla cui esistenza sono
indispensabili; esse debbono quindi essersi sviluppate in un periodo
estremamerite remoto, ma noi non sappiamo nulla di positivo intorno al modo del
loro sviluppo. Il Mivart domanda: «È concepibile che il giovane di un
animale qualunque sia stato preservato dalla distruzione perchè
succhiava accidentalmente da una ghiandola a caso ipertrofica della madre una
goccia di un succo scarsamente nutritivo? E se ciò una volta fosse
avvenuto, quale probabilità esisteva per la conservazione di una tale
variazione?». Ma l'esempio non fu bene interpretato. La maggior parte degli
evoluzionisti ammette che i mammiferi siano discesi da un marsupiale; e se
ciò avvenne, le ghiandole mammarie si saranno dapprima sviluppate dentro
il marsupio. Nei pesci (Hippocampus) succede che le uova vengano covate
in una specie di simile tasca, nella quale sono anche allevati i neonati per un
certo tempo; un naturalista americano, il sig. Lockwood, crede inoltre,
appoggiandosi alle sue osservazioni sullo sviluppo dei giovani, che questi
siano nutriti con un secreto delle ghiandole cutanee del sacco. Non sarebbe
quindi possibile, in riguardo ai progenitori dei mammiferi, prima ancora che si
meritassero questo nome, che i giovani fossero nutriti in modo consimile? Ed in
tal caso, quegli individui[12],
che secernevano un liquido, il quale era in un certo grado od in un certo modo
più nutriente ed acquistò la natura del latte, avranno allevato
nel corso dei tempi un numero di discendenti ben nutriti maggiore di quelli che
secernevano un liquido più povero; in tale guisa le ghiandole cutanee,
che sono omologhe alle latticifere, si saranno migliorate e rese più
attive. In accordo col principio molto esteso della specializzazione, le
ghiandole si saranno meglio sviluppate sopra un determinato spazio alla
superficie interna del sacco, e saranno divenute una ghiandola mammaria,
dapprima priva di capezzolo, come si osserva ancora oggi nell'Ornithorhynchus,
il più basso membro della serie dei mammiferi. Non pretendo di decidere,
per quale causa le ghiandole siansi meglio specializzate sopra un determinato
spazio della superficie, se in parte per la compensazione di accrescimento, se
per gli effetti dell'uso, oppure per la elezione naturale.
Lo
sviluppo delle ghiandole mammarie non sarebbe stato di alcuna utilità,
nè avrebbe potuto prodursi per la elezione naturale, se
contemporaneamente i neonati non si fossero resi atti ad accogliere la
secrezione. Il comprendere come i giovani mammiferi abbiano
imparato istintivamente a succhiare le mammelle, non è più
difficile del comprendere come i pulcini non ancora sbocciati abbiano imparato
a rompere il guscio dell'uovo battendo contro di esso col loro rostro
specialmente adatto, o come abbiano imparato a beccare il nutrimento poche ore
dopo l'abbandono dell'uovo. Ma si dice che il giovane canguro non succhia, ma
pende dal capezzolo della madre, la quale ha il potere di iniettare il latte
nella bocca del suo discendente debole ed immaturo. A questo riguardo, il
Mivart dice: «Se non vi fosse uno speciale provvedimento, il neonato dovrebbe
infallibilmente soffocarsi per l'introduzione del latte nella trachea. Ma la
laringe è tanto prolungata, che arriva fino all'estremità
posteriore del dotto nasale, per cui l'aria può penetrare liberamente
nei polmoni, mentre il latte scorre innocuo([13])
a destra ed a sinistra di questa laringe allungata e raggiunge l'esofago posto
di dietro». Il Mivart domanda poi, in quale modo nel canguro adulto (e nel
maggior numero degli altri mammiferi, supposti discendenti di una forma
marsupiale) l'elezione naturale rimuova questa particolarità di
struttura almeno perfettamente innocente ed innocua. In risposta, si può
addurre la supposizione, che la voce, la quale è di molta importanza per
gli animali, non avrebbe potuto manifestarsi colla piena sua forza,
finchè la laringe fosse penetrata fino al condotto nasale; il professore
Flower mi ha anche manifestato il sospetto che questa struttura avesse potuto
impedire l'animale nell'ingestione di nutrimento solido.
Ora vogliamo rivolgerci un poco alle divisioni inferiori del
regno animale. Gli echinodermi (stelle di mare, ricci di mare, ecc.) sono
forniti di organi molto singolari, i così detti pedicellari, i quali, se
sono bene sviluppati, costituiscono una tanaglia a tre branche, cioè
tale che consta di tre braccia seghettate al margine, combacianti tra loro e
poste alla sommità di uno stelo flessibile e movibile col mezzo di
muscoli. Questa tanaglia può tenere strettamente qualsiasi oggetto; ed
Alessandro Agassiz ha osservato un Echinus nell'atto in cui faceva
passare delle particelle escrementizie di tanaglia in tanaglia lungo certe
linee del corpo per non insudiciare il suo guscio con sostanze putrescenti.
Senza dubbio, questi pedicellari non servono solamente ad allontanare le feci,
ma anche ad altre funzioni, ed una di queste sembra essere la difesa.
Come nelle molte altre precedenti occasioni, il Mivart domanda
anche in riguardo a questi organi: «Quale sarebbe l'utilità di un tale organo
rudimentale al suo primo apparire, e come potrebbe un tale abbozzo
incipiente e gemmiforme aver conservata la vita anche ad un solo Echinus?».
E soggiunge poi: «Nemmeno il repentino sviluppo dell'azione acchiappante
avrebbe potuto essere benefico senza lo stelo liberamente mobile, e questo non
avrebbe potuto mostrarsi attivo senza le branche chiudentisi a mo' di mascelle:
ora, le sole minute variazioni indefinite non avrebbero potuto produrre ad un
tempo queste particolarità di struttura complicate e collegate insieme;
che se alcuno ciò negasse, sosterrebbe un imbarazzante paradosso». Per
quanto possa sembrare paradossale al Mivart, pure esistono certamente in alcune
stelle di mare tali tanaglie a tre branche, fisse alla loro base, e tuttavia
capaci di acchiappare; e ciò si comprende se si riflette che servono
almeno in parte come mezzi di difesa. L'Agassiz, alla cui gentilezza debbo
molte informazioni su questo argomento, mi assicura che esistono altre stelle
di mare, nelle quali una delle tre branche è ridotta a un semplice
sostegno delle altre due, ed altre ancora, in cui la terza branca è
andata completamente smarrita. Nell'Echinoneus, secondo la descrizione([14])
del Perrier, il guscio porta due specie di pedicellari, gli uni somiglianti a
quelli dell'Echinus, gli altri a quelli dello Spatangus; e tali
casi sono sempre interessanti, perchè ci offrono il mezzo di spiegare i
passaggi apparentemente repentini, a mezzo di abortimento, da una a due forme
di uno stesso organo.
Relativamente
ai gradini che questi organi singolari hanno percorso, l'Agassiz, in seguito
alle sue ricerche e a quelle di G. Müller, conclude che tanto nelle asterie
come negli echini i pedicellari sono senza dubbio da considerarsi come aculei
trasformati. Ciò può dedursi tanto dal modo di sviluppo
nell'individuo, come da una lunga e completa serie di gradazioni in diverse
specie e generi, la quale dalle semplici granulazioni passa agli ordinari aculei
ed ai perfetti pedicellari di tre branche. La gradazione si estende perfino
alla maniera con cui gli aculei ordinari ed i pedicellari articolano sul guscio
coi bastoncini calcarei che li sostengono. In certi generi di asterie si
rinvengono perfino le combinazioni atte a dimostrare che i pedicellari sono
aculei ramosi modificati. Così trovansi degli aculei fissi con tre rami
ad eguale distanza fra loro, dentellati e mobili, articolati in
prossimità della loro base, e più in alto sullo stesso aculeo tre
altri rami mobili. Se questi ultimi nascono dall'apice di un aculeo, essi
formano in realtà un rozzo pedicellario a tre branche, ed un tale
può vedersi in uno stesso aculeo co' tre rami inferiori. In questo caso
l'identità nell'essenza fra le braccia di un pedicellario ed i rami
mobili di un aculeo è innegabile. Si ammette generalmente che gli aculei
ordinari servono alla difesa; e se ciò è vero, non può
esistere alcun dubbio che allo stesso scopo servano anche quelli forniti di
braccia seghettate e mobili, ed essi compirebbero anco più efficacemente
il loro servizio, se agissero nel loro insieme come apparato
prensile od acchiappante. Per conseguenza ogni gradazione dall'ordinario aculeo
fisso al pedicellario sarà di vantaggio all'animale.
In certi generi di asterie, questi organi, anzichè
essere fissati sopra una base immobile, trovansi all'apice di uno stelo
flessibile e muscoloso, sebbene breve, ed in tale caso compiono probabilmente
un'altra funzione, oltre la difesa. Negli echini si possono seguire gli aculei
fissi passo a passo, mentre si articolano al guscio e diventano mobili.
Desidererei di avere maggiore spazio a mia disposizione, per dare un sunto
esteso delle interessanti osservazioni dell'Agassiz sullo sviluppo dei
pedicellari. Da quanto egli aggiunge, si rileva che si possono rinvenire tutte
le gradazioni possibili fra i pedicellari delle asterie e gli uncini delle
ofiure, altro gruppo di echinodermi, e così pure fra i pedicellari degli
echini e le áncore delle oloturie, che appartengono alla stessa grande classe.
Certi animali composti, o zoofiti, come furono chiamati, e
precisamente i briozoi, sono forniti di organi molto singolari che diconsi
avicolarie. Queste diversificano assai nella loro struttura nelle specie
diverse. Nel loro stato perfetto somigliano in miniatura mirabilmente alla
testa ed al rostro di un avoltoio, giacchè siedono sopra un collo il
quale è mobile, come lo è in pari grado anche la mascella
inferiore. In una specie da me osservata, vidi tutte le avicolarie di uno stesso
ramo muoversi contemporaneamente, colla mascella inferiore ampiamente
spalancata, in alto ed in basso, in modo da percorrere in pochi secondi
un angolo di circa 90°; ed il loro movimento produceva un tremito per tutta la
colonia. Se si toccano le mascelle con un ago, questo viene afferrato
così fortemente, che con esso si può scuotere l'intero ramo.
Il Mivart cita questo caso, perchè crede difficile che
organi come le avicolarie dei briozoi ed i pedicellari degli echinodermi, che
egli suppone essenzialmente simili, abbiano potuto svilupparsi col mezzo della
elezione naturale in divisioni di animali tanto distanti fra loro. Ma per
ciò che concerne la struttura, io non posso trovare alcuna somiglianza
fra un pedicellario a tre branche ed un'avicolaria od organo a modo di becco d'uccello.
Quest'ultima somiglia nel suo complesso piuttosto ad una chela di crostaceo; ed
il Mivart avrebbe potuto con ugual diritto mettere avanti come speciale
difficoltà questa somiglianza, e perfino la somiglianza colla testa e
col rostro di un uccello. Le avicolarie, al dire del Busk, dello Smith e del
Nitsche, i quali naturalisti hanno particolarmente studiato questo gruppo, sono
omologhe dei singoli individui e delle loro cellule componenti lo zoofito; il
labbro mobile o l'opercolo della cellula corrisponderebbe alla mascella
inferiore e mobile dell'avicolaria. Il Busk però non conosce delle
gradazioni ora esistenti fra un singolo animale ed un'avicolaria. Torna quindi
difficile il supporre per quali gradi l'uno siasi trasformato nell'altra, ma
non segue da ciò che tali gradi non siano esistiti.
Siccome le chele dei crostacei somigliano in un certi grado
alle avicolarie dei briozoi, ambedue servendo da pinzette, sarà
opportuno dimostrare che delle prime si ha una lunga serie di gradazioni. Sul
primo e più semplice gradino il segmento terminale dall'arto è
piegato in basso, sia contro l'estremità obliqua del penultimo largo
segmento, sia contro tutta una faccia del medesimo, ed è reso
così atto a tenere un oggetto, mentre però l'arto intero serve
ancor sempre da organo di locomozione. Poi vediamo sporgere leggermente uno
degli angoli del penultimo largo segmento, talvolta munito di denti irregolari,
e contro esso si flette il segmento terminale. In seguito all'ingrandimento di
quella sporgenza ed una leggera modificazione e perfezionamento della sua forma
e dell'articolo terminale, le branche si fanno sempre più perfette,
finchè costituiscono uno strumento così attivo come è la
chela di un omaro; e tutte queste gradazioni sussistono di fatto al presente.
Oltre le avicolarie, i briozoi possiedono altri organi
singolari, i così detti vibracoli. Essi constano in generale di setole
lunghe, capaci di movimento e facilmente eccitabili. In una specie da me
osservata, i vibracoli erano leggermente curvati, e seghettati lungo il margine
inferiore; e spesso tutti quelli di una medesima colonia si movevano
contemporaneamente, in modo che agendo come remi gettavano rapidamente una
branca attraverso al portaoggetti del microscopio. Se una branca veniva posta sulla
sua faccia, i vibracoli si intricavano, e facevano degli sforzi violenti per
liberarsi. Si suppone che essi servano come organi di difesa, e si può
osservare, dice il Busk, «come essi, oscillando alla superficie della colonia,
allontanano tutto ciò che può recare offesa ai delicati abitatori
delle cellule, quando hanno distesi i tentacoli». Le avicolarie servono,
probabilmente, come i vibracoli, di difesa, ma prendono ed uccidono anche
piccoli animali, i quali, come si crede, giungono poi per mezzo.
delle correnti entro la sfera di azione dei tentacoli dei singoli animali.
Alcune specie son fornite di avicolarie e di vibracoli, altre di sole
avicolarie, ed altre poche di soli vibracoli.
Non
è facile immaginarsi due oggetti più diversi tra loro
nell'apparenza che una setola o vibratolo ed un'avicolaria a guisa di testa
d'uccello; e tuttavia essi sono omologhi, e si sono sviluppati dalla stessa
sorgente, da un singolo individuo, cioè, colla sua cellula. Si comprende
quindi, perchè questi organi, come mi disse il Busk, facciano spesso
passaggio l'uno all'altro. Così nelle avicolarie di parecchie specie di Lepralia
la mascella mobile inferiore è talmente prolungata, da somigliare ad
una setola, in modo che solo la presenza della mascella superiore o fissa ci
assicura trattarsi di un'avicolaria. I vibracoli possono essersi sviluppati
direttamente dall'opercolo della cellula, senza attraversare lo stadio di
avicolaria; è però probabile che abbiano percorso questo stadio,
perchè difficilmente durante gli stadii anteriori di trasformazione le
altre parti della cellula coll'incluso animale sono scomparse ad un tratto. In
molti casi i vibracoli hanno un sostegno fornito di una fossetta, il quale
sembra rappresentare il becco superiore immobile; ma questo sostegno manca in
alcune specie. Questa idea intorno allo sviluppo dei vibracoli, ammesso che sia
giusta, è interessante, poichè, se le specie fornite di
avicolarie si fossero estinte, nessuno, nemmeno chi fosse dotato della
più fervida fantasia, avrebbe pensato che i vibracoli abbiano fatto
parte di un organo somigliante ad una testa di uccello, ad una cappa o scatola
irregolare. È interessante di vedere, come due organi tanto diversi tra
loro siansi sviluppati da una comune sorgente; e siccome l'opercolo mobile
della cellula serve di protezione allo zooide, si può ammettere che
tutte le gradazioni che il coperchio ha percorso sotto forma di mascella
inferiore nell'organo a guisa di testa di uccello e poi sotto quella di setola
allungata, abbiano parimenti servito di protezione in maniere diverse ed in
differenti condizioni.
Dal
regno vegetale il Mivart cita due soli casi, e cioè la struttura dei
fiori nelle orchidee ed i movimenti delle piante rampicanti. A riguardo della
prima, egli dice: «La spiegazione della loro (dei fiori) origine è
affatto insufficiente, incapace di far conoscere i primi passi infinitesimali
di struttura che non sono utili finchè non sono notevolmente
sviluppati». Siccome ho trattato questo argomento diffusamente in un'altra
opera, mi limito a dare qui alcuni dettagli intorno ad una sola delle
più salienti particolarità che offrono i fiori delle orchidee,
cioè intorno ai loro pollinari. Un pollinario, quando è bene
sviluppato, consta di un ammasso di grani pollinici, il quale è
attaccato ad un sostegno elastico o caudicolo che riposa sopra una piccola
massa di sostanza straordinariamente viscida. In tale modo i pollinari, col
mezzo degli insetti, sono portati da un fiore sullo stimma di un altro. In
alcune orchidee manca il caudicolo alle masse polliniche, ed i grani sono
collegati insieme da sottili filamenti; ma siccome questi non sono ristretti
alle sole orchidee, non devono qui esser presi in considerazione, e solo
dirò che al fondo della intera serie delle orchidee, nel Cypripedium,
noi possiamo vedere, come probabilmente questi filamenti siansi sviluppati. In
altre orchidee i filamenti sono coerenti ad uno dei capi della massa pollinica,
ed in ciò noi possiamo trovare il primo vestigio di un caudicolo
incipiente. Che tale sia l'origine del caudicolo, anche quando si trovi di
considerevole lunghezza ed altezza, ce lo dimostrano con evidenza i grani
pollinici abortiti, i quali talvolta si vedono riposti entro le parti centrali
e solide.
Quanto
alla seconda notevole particolarità, la scarsa quantità di
sostanza viscida che è attaccata alla estremità del caudicolo,
può citarsi una lunga serie di gradazioni, di cui ognuna è di
evidente vantaggio per la pianta. In quasi tutti i fiori delle piante
appartenenti ad altri ordini, lo stimma secerne un po' di sostanza viscida.
Ora, nelle orchidee, è secreta una simile sostanza viscida, ma in
quantità molto maggiore e solamente da uno dei tre stimmi, il quale,
forse in seguito a tale abbondante secrezione, diventa infecondo. Se un insetto
visita un fiore di questa specie, egli deterge una piccola parte della sostanza
viscida, ed in pari tempo trasporta seco alcuni grani di polline. Da questo
semplice stato, non molto diverso da quello dei fiori ordinari, numerose
gradazioni conducono a quelle specie, nelle quali la massa pollinica finisce in
un breve caudicolo libero, poi ad altre, in cui il caudicolo è fissato
alla massa viscida, mentre lo stimma infecondo stesso è notevolmente
modificato. In quest'ultimo caso noi avremo un pollinario nel più
elevato suo sviluppo e nello stato più perfetto. Chi esamini da
sè i fiori delle orchidee, non potrà negare che la precitata
serie di gradazioni esista realmente, una serie che conduce da una massa di
grani pollinici, i quali sono connessi insieme da filamenti, mentre lo stimma
assai poco differisce da quello dei fiori ordinari; fino al pollinario assai
complicato, che è maravigliosamente adattato ad essere trasportato dagli
insetti; nè potrà negare che tutte le gradazioni nei fiori
diversi ed in riguardo alla generale struttura di ciascun fiore, siano molto
adatte ad agevolare la fecondazione col mezzo degli insetti. In questo, come
quasi in ogni altro caso, le ricerche possono essere spinte più oltre,
può cioè domandarsi, come sia avvenuto che lo stimma di un fiore
comune, diventasse viscido. Ma siccome noi non conosciamo la
storia completa nemmeno di un solo gruppo di esseri organici, la domanda
è tanto inutile, quanto è vano il tentativo di rispondere a
siffatte domande.
Volgiamoci ora alle piante rampicanti. Esse possono disporsi
in una lunga serie, incominciando da quelle che si avvinghiano semplicemente
attorno ad un sostegno, e passando poi ad altre che si arrampicano colle foglie
e ad altre ancora che sono munite di cirri. In queste due ultime classi i cauli
hanno in generale, sebbene non sempre, perduta la facoltà di rampicare,
e nondimeno hanno conservato la facoltà di avvolticchiarsi che i cirri
possiedono in simile grado. Le gradazioni fra le rampicanti a mezzo delle
foglie e le rampicanti coi cirri sono mirabilmente strette, e certe piante si
possono classificare indifferentemente in ambedue le classi. Ma se si sale
nelle serie, dalle forme rampicanti semplici a quelle che si arrampicano colle
foglie, vi si aggiunge una qualità assai rimarchevole, la
sensibilità cioè al contatto, in seguito a cui gli steli delle
foglie o dei fiori od i cauli modificati e trasformati in cirri subiscono una
irritazione, ed in conseguenza si avvinghiano intorno all'oggetto che li tocca
e lo abbrancano. Chi vuole leggere la mia memoria intorno a questo argomento,
dovrà ammettere, io credo, che tutte le svariate gradazioni nella
struttura e nelle funzioni fra le forme semplicemente rampicanti e quelle
munite di cirri siano in ogni singolo caso di grande utilità per la
specie. Così, ad esempio, torna evidentemente utile per una pianta
rampicante l'avvinghiarsi col mezzo delle foglie, ed è probabile che
ogni forma rampicante, fornita di foglie a lunghi picciuoli, si sarebbe
trasformata in una siffatta rampicante, se i picciuoli avessero posseduto anche
in grado leggero la sensibilità pel contatto.
Siccome il rampicare è il mezzo più semplice per
salire attorno ad un sostegno, e costituisce quindi la base della nostra serie,
così può domandarsi, come le piante abbiano acquistata questa
facoltà in grado incipiente, e l'abbiano di poi perfezionata e
rafforzata colla elezione naturale. La facoltà di rampicare dipende
primieramente dalla straordinaria flessibilità del caule, finchè
è molto giovane (e questo è un carattere che offrono molte piante
anche non rampicanti); ed in secondo luogo, il caule deve volgersi di continuo
verso tutte le plaghe, e cioè successivamente nello stesso ordine da una
all'altra. Questo movimento determina il caule a piegarsi da tutte le parti ed
a muoversi intorno a sè. Quando la parte inferiore del caule urta contro
un oggetto ed è arrestata, la superiore continua a piegarsi ed a girare,
ed in conseguenza si avvinghia in alto intorno al sostegno. Il movimento
rivolgente cessa dopo il primo accrescimento di ogni ramo. Siccome singole specie
e singoli generi di piante, appartenenti a famiglie tra loro molto distanti,
possiedono la facoltà di avvolticchiarsi e divennero perciò
rampicanti, così dobbiamo concludere che l'abbiano acquistata
indipendentemente e non ereditata da un comune progenitore. Potei quindi
prevedere che una leggera tendenza a tale movimento non doveva essere rara
nelle piante non rampicanti, e ch'essa abbia fornito la base su cui l'elezione
naturale ha incominciato la sua opera di perfezionamento. Quando io faceva questa
predizione, non conosceva che un caso imperfetto, e cioè i giovani steli
fiorali di una Maurandia, i quali si avvolticchiavano leggermente ed in
modo irregolare come il caule di molte piante rampicanti. Poco tempo dopo, Fr.
Müller scoperse che si avvolticchiavano irregolarmente ma distintamente i
giovani cauli di un Alisma e di un Linum, di due piante dunque
che non si arrampicano e sono tra loro molto discoste nel sistema; e disse di
aver ragione per sospettare che ciò avvenga in alcune altre piante.
Questi insignificanti movimenti non sembrano di alcun vantaggio per le piante
accennate, ed in ogni modo non sono della menoma utilità a riguardo del
rampicamento, di cui qui ci occupiamo. Nondimeno può dirsi, che se i
cauli di queste piante fossero stati flessibili e se nelle loro condizioni di
vita fosse stato utile salire in alto, l'abitudine di avvolticchiarsi in modo
leggero ed irregolare sarebbe stata rafforzata e messa a profitto dall'elezione
naturale, fino al punto da rendere una specie perfettamente rampicante.
Relativamente
alla sensibilità degli steli delle foglie e dei fiori, ed ai cirri,
possono applicarsi pressochè le stesse osservazioni, come nel caso dei
movimenti di avvolticchiamento delle piante rampicanti. Siccome
moltissime piante, appartenenti a gruppi assai distanti tra loro, sono fornite
di questa specie di sensibilità, noi dovremmo rinvenirla in istato
nascente in molte piante che non sono divenute rampicanti. E così
è. Io ho osservato che i giovani steli della su citata Maurandia si
curvarono leggermente verso il lato che veniva toccato. Il Morren ha trovato in
diverse specie di Oxalis che le foglie, specialmente se esposte a sole
cocente, si muovevano intorno ai loro steli, appena erano leggermente e ripetutamente
toccate, oppure veniva scossa la pianta. Io ripetei queste osservazioni sopra
altre specie di Oxalis, ed ottenni il medesimo risultato; in alcune di
esse il movimento era distinto, ma meglio visibile nelle foglie giovani; in
altre era estremamente leggero. Ma è un fatto assai più
significante, che cioè, secondo la grande autorità
dell'Hofmeister, tutti i giovani rampolli e foglie delle piante si muovono
quando siano stati scossi; e nelle piante rampicanti, come si sa, i cauli ed i
cirri sono sensitivi soltanto nei primi stadi di accrescimento.
Non pare possibile che i suddetti insignificanti movimenti, i
quali si manifestano negli organi giovani e crescenti delle piante in seguito a
contatto o scossa, siano per le piante stesse di una qualche importanza
fisiologica. Ma i vegetali hanno la facoltà di muoversi in dipendenza da
stimoli diversi che sono per esse di manifesta importanza, ad esempio verso la
luce e più veramente fuggendo la luce, in opposizione alla
gravità e più raramente nella direzione di essa. Se i nervi e i
muscoli di un animale vengono eccitati col galvanismo o coll'assorbimento di
stricnina, i movimenti consecutivi possono dirsi incidentali; imperocchè
i nervi e i muscoli non furono resi specialmente sensitivi a questi stimoli. Simil
cosa avviene nelle piante; siccome esse hanno il potere di muoversi in
obbedienza a certi stimoli, così dal contatto o da una scossa esse
vengono eccitate in modo incidentale. Non v'ha perciò grande
difficoltà nell'ammettere che nelle piante che si arrampicano colle
foglie o coi cirri precisamente questa tendenza sia stata rafforzata ed
impiegata pel bene della pianta dall'elezione naturale. Per ragioni,
però, che io ho esposto nella mia Memoria, è probabile che
ciò sia avvenuto solamente in quelle piante, le quali avevano già
raggiunto la facoltà di avvolticchiarsi, ed erano perciò divenute
forme avvinghiantisi.
Ho già cercato di spiegare, come le piante abbiano
raggiunta la facoltà di rampicare, cioè col rafforzamento della
tendenza, dapprima affatto inutile, di avvolticchiarsi in modo leggero ed
irregolare; questo movimento, non meno che quello dovuto a contatto o scossa,
era il risultato incidentale del potere di movimento ottenuto per altri e
benefici scopi. Se durante lo sviluppo graduale delle piante rampicanti
l'elezione naturale sia stata aiutata dagli effetti ereditati dell'uso, non
pretendo di decidere; noi però sappiamo che certi movimenti periodici,
come ad esempio il sonno delle piante, sono governati dall'abitudine. Degli
argomenti prescelti da un abile naturalista per provare che l'elezione naturale
sia insufficiente a spiegare i primi gradini delle strutture utili, ho parlato
abbastanza e forse più che abbastanza, e spero d'aver dimostrato che da
questo lato non sorgono grandi difficoltà. Mi si è in
quest'incontro offerta l'opportunità di diffondermi un poco intorno a
quelle gradazioni di struttura che spesso si associano a cambiamento di
funzioni; è questo un argomento importante che non fu sufficientemente
sviluppato nelle precedenti edizioni di quest'opera. Voglio ora riassumere gli
esempi citati nelle righe che precedono.
Quanto alla giraffa, la continua preservazione di quegli
individui di un ruminante estinto e molto antico, che avevano più lunghi
il collo, gli arti, ecc., e potevano cogliere le foglie ad un'altezza maggiore
della media, e la continua estinzione di quelli che non arrivavano così in alto,
avranno bastato per produrre questo animale singolare; inoltre, il continuo uso
di tutte queste parti, congiunto alla ereditabilità, ne avrà
favorito la coordinazione in modo importante. Riguardo ai molti insetti che
imitano oggetti diversi, non è improbabile l'opinione che una
somiglianza accidentale con un oggetto comune abbia costituita in ogni singolo
caso la base su cui ha agito l'elezione naturale, opera che venne poi
perfezionata colla occasionale preservazione di quelle variazioni che rendevano
la somiglianza in qualche modo maggiore, e che sarà stata continuata
finchè l'insetto continuava a variare, la somiglianza sempre crescente
favoriva il suo salvamento dai nemici di vista acuta. In certe specie di
cetacei sussiste la tendenza alla formazione di piccole prominenze cornee
irregolari nel palato, e sembra che fosse pienamente entro la sfera di azione
dell'elezione naturale di preservare tutte le utili variazioni, a segno da
trasformare quelle prominenze in tubercoli o denti lamellosi, come nel rostro
dell'oca, poi in brevi lamelle così perfette come quelle della Spatula
clypeata, e finalmente nei giganteschi fanoni come quelli che vedonsi nella
bocca della balena groenlandese. Nella famiglia delle anitre le lamelle
servirono da prima come denti, poi in parte come denti ed in parte come
apparato di filtrazione, ed in fine quasi esclusivamente a quest'ultimo scopo.
Nelle strutture del genere delle su citate lamelle cornee o
dei fanoni l'abitudine o l'uso, per quanto possiamo giudicare, non hanno od
hanno assai poco contribuito al loro sviluppo. Ma invece il trasferimento
dell'occhio inferiore dei pesci piatti alla faccia superiore della testa, e la
formazione di una coda prensile possono attribuirsi quasi interamente all'uso
continuo collegato colla ereditabilità. Relativamente alle ghiandole
latticifere dei mammiferi superiori, la supposizione più probabile
è questa, che originariamente le ghiandole cutanee all'intera superficie
del marsupio secernevano una sostanza nutriente, e che queste ghiandole col
mezzo della elezione naturale siano state perfezionate nella loro funzione, e
raccolte sopra uno spazio ristretto per costituire le ghiandole latticifere. La
difficoltà di comprendere come le spine ramificate di un antico
echinoderma, le quali servivano come organi di difesa, siano state trasformate
dalla elezione naturale in pedicellari a tre branche, non è maggiore di quella
che incontrasi nello spiegare come siansi formate le chele dei crostacei con
modificazioni leggere ed utili dell'articolo ultimo e penultimo di un arto che
dapprima serviva solamente alla locomozione. Negli organi a testa d'uccello e
nei vibracoli dei briozoi abbiamo visto degli apparati assai distanti tra loro
all'apparenza esterna, ma sviluppatisi da una medesima forma fondamentale; e
nei vibracoli s'è potuto comprendere come le successive gradazioni
abbiano potuto essere utili. Per ciò([15])
che riguarda i pollinari delle orchidee, abbiamo potuto vedere come i
filamenti, i quali originariamente servivano per tenere insieme i grani
pollinici, si sono uniti insieme per formare il caudicolo, e si possono anche
seguire i gradini, pe' quali la massa viscida, tale quale è secreta dai
pistilli dei fiori comuni a scopo simile sebbene non identico, viene attaccata
alla libera estremità del caudicolo, essendo tutte queste gradazioni di
evidente vantaggio per la relativa pianta. Non occorre che io ripeta ciò
che poc'anzi dissi delle piante rampicanti.
Si è domandato spesso: se l'elezione naturale è
tanto potente, perchè certe specie non hanno acquistato questa o quella
struttura che loro sarebbe evidentemente utile? Ma non è ragionevole
pretendere una risposta a siffatte domande, sapendosi che è grande la
nostra ignoranza intorno alla storia di ogni specie, ed intorno alle condizioni
che oggidì determinano il numero de' suoi individui e la sua geografica
distribuzione. Nel maggior numero de' casi non possonsi addurre che ragioni
generali, e solo in poche cause speciali. Ad esempio, per adattare una specie a
nuove condizioni di vita, sono quasi indispensabili molte modificazioni tra
loro coordinate, e spesso sarà succeduto che le parti richieste non
abbiano variato in modo giusto o fino a quel grado che era necessario. Molte
specie devono essere state impedite di accrescere il numero de' loro individui
da cause di distruzione, le quali non stanno in alcun rapporto con certe
strutture che ci immaginiamo conservate dall'elezione naturale, perchè
ci sembrano utili per le specie. Siccome in questi casi la lotta per
l'esistenza non è dipesa da tali strutture, esse non potevano essere
acquistate col mezzo della elezione naturale. In molti casi allo sviluppo di
una determinata struttura richiedonsi condizioni complicate e di lunga durata,
spesso di natura peculiare, le quali possono essere apparse raramente. Il
supposto che una data struttura, che noi, spesso erroneamente, crediamo utile
per una specie, sia stata acquistata, in tutte le circostanze col mezzo della
elezione naturale, è in opposizione colle nostre opinioni alla maniera
della sua azione. Il Mivart non nega che l'elezione naturale abbia prodotto
degli effetti, ma egli la considera insufficiente a spiegare gli effetti ch'io
le ho attribuito. Le principali sue ragioni sono state prese in considerazione,
e di altre parleremo più tardi. Mi sembra che esse non abbiano il
carattere di una dimostrazione, e poca importanza di fronte alle ragioni che
militano in favore della elezione naturale e degli altri agenti particolarmente
accennati. Mi credo in obbligo di aggiungere che alcuni dei fatti e delle
argomentazioni qui addotti furono già esposti, allo stesso scopo, in un
articolo apparso nella Medico-chirurgical Review.
Oggidì tutti i naturalisti ammettono una evoluzione in
una certa forma. Il Mivart crede che le specie variano in seguito ad una
interna forza o tendenza, che non pretende di conoscere in particolare. Che le
specie abbiano la facoltà di subire dei cambiamenti, è ammesso da
tutti gli evoluzionisti; ma mi sembra che nulla ci induca ad invocare una forza
interna oltre quella ordinaria variabilità, la quale, diretta dall'uomo,
ha prodotto tante razze domestiche sì bene adattate, e che coll'aiuto
della elezione naturale può produrre in simil guisa a lenti passi le
razze e le specie naturali. Come fu già osservato, il risultato finale
sarà generalmente un progresso, in alcuni pochi casi un regresso nella
organizzazione.
Il Mivart ed alcuni altri naturalisti con lui sono inclinati
ad ammettere che le nuove specie appariscano di repente ed in seguito a
subitanee modificazioni. Egli suppone, per esempio, che le differenze fra
l'estinto Hipparion triungulato ed il cavallo si siano manifestate
repentinamente. Egli trova difficoltà nell'ammettere che l'ala di un
uccello «siasi sviluppata altrimenti che in seguito ad una modificazione
comparativamente subitanea ed in modo evidente e significativo», e pare ch'egli
voglia estendere lo stesso modo di vedere agli organi del volo dei pipistrelli
e dei pterodattili. Questa conclusione, la quale implica grandi salti ed
interruzioni, mi sembra improbabile al massimo grado.
Ognuno, il quale ammetta la evoluzione lenta e graduale, deve
ritenere che i cambiamenti specifici abbiano potuto apparire così
subitamente e così grandi come ogni altra variazione che noi incontriamo
allo stato di natura od anche a quello di domesticità. Ma siccome le
specie addomesticate o coltivate sono più variabili di quelle che si
trovano nelle loro naturali condizioni, non è probabile che le
variazioni in natura siano apparse così repentine e così grandi
come frequentemente apparvero in domesticità. Di queste ultime
variazioni parecchie possono essere attribuite alla riversione; ed è
probabile che i caratteri apparsi in tal guisa siano stati spesso acquistati
gradatamente. Un numero ancor maggiore di esse dobbiamo considerare come
mostruosità, così l'apparsa di sei dita, l'uomo istrice, la
pecora Ancon, i buoi Niata, ecc., e siccome diversificano assai
nel loro carattere dalle specie naturali, non gettano che poca luce sul nostro
argomento. Se si escludano tali casi dalle repentine variazioni, i pochi che
ancora rimangono, se si incontrano allo stato di natura, ci rappresentano
altrettante specie dubbie, molto affini ai loro tipi estinti.
Le mie ragioni per dubitare che le specie naturali siansi
modificate così subitamente come le razze a caso domesticate, e per non
essere in alcun modo persuaso che siansi cambiate in quella maniera miracolosa
come crede il Mivart, sono le seguenti. L'esperienza ci insegna che le
variazioni subitanee e ben marcate si mostrano nei nostri prodotti domestici
isolatamente ed a lunghi intervalli. Se avvenissero in natura, sarebbero
soggette, come prima fu detto, a perdersi per effetto di cause accidentali di
distruzione e pel susseguente incrociamento; e si sa che altrettanto succede
allo stato domestico, se le variazioni repentine non vengono preservate e
tenute distinte dalla cura dell'uomo. Affinchè si formasse una nuova
specie nella guisa supposta dal Mivart, sarebbe necessario che, in opposizione
ad ogni analogia, apparissero simultaneamente entro un medesimo distretto parecchi
individui modificati in modo maraviglioso. Come nel caso della elezione
inconscia dell'uomo, questa difficoltà è tolta secondo la teoria
dello sviluppo graduale, colla conservazione di un numero grande di individui
varianti in una qualsiasi favorevole direzione, e colla distruzione di molti
che variano in senso opposto.
Non
v'ha dubbio che molte specie siansi sviluppate in maniera estremamente
graduata. Le specie e perfino i generi di molte grandi famiglie naturali sono
così strettamente affini fra loro, che spesso riesce difficile la lato
distinzione. In ogni continente, viaggiando da nord a sud, o dalla pianura
nelle alte regioni, ecc., noi incontriamo molte specie strettamente affini o
rappresentative, nello stesso modo come le troviamo in certi continenti
diversi, di cui possiamo supporre che un giorno fossero in continuità;
ma facendo queste e le successive osservazioni, devo toccare degli argomenti
che saranno svolti più tardi. Si volga lo sguardo alle molte isole che
circondano un continente, e si vedrà come molti dei suoi abitatori non
possono essere elevati che al rango di specie dubbie. Avviene altrettanto, se
gettiamo uno sguardo ai tempi passati e confrontiamo le specie da poco
scomparse con quelle che ora abitano il medesimo distretto; oppure se
confrontiamo tra loro le specie fossili racchiuse nei diversi piani di una
medesima formazione geologica. Si rileva allora che molte specie sono
strettamente affini con altre ancora esistenti o da poco scomparse, e ben
difficilmente si vorrà sostenere che tali specie si siano sviluppate in
modo subitaneo. Se poi si faccia attenzione alle parti speciali di specie
affini, anzichè alle specie distinte, si potranno seguire le
gradazioni numerose ed estremamente leggere che congiungono insieme le
differenti strutture.
Molti e grandi gruppi di fatti non si comprendono che
ricorrendo al principio dello sviluppo delle specie a mezzo di piccoli gradini;
così, ad esempio, il fatto che le specie dei generi maggiori sono
più strettamente affini tra loro ed offrono un maggiore numero di
varietà che non le specie dei generi minori. Le prime si raccolgono
anche intorno a piccoli gruppi, come le varietà intorno alle specie, ed
offrono altre analogie colle varietà, come fu dimostrato nel capo secondo.
Il medesimo principio ci dice ancora perchè i caratteri specifici siano
più variabili dei generici; e perchè le parti sviluppate in modo
ed in grado straordinario siano più variabili di altre parti della
medesima specie. Potrebbero citarsi altri analoghi fatti che conducono alla
medesima conclusione.
Sebbene moltissime specie siano state prodotte quasi
certamente per gradazione, non maggiori di quelle che separano le leggere
varietà, tuttavia può sostenersi che alcune si siano formate in
modo diverso e repentino. Ma tale concessione non deve farsi se non
coll'appoggio di prove valenti. Le analogie vaghe ed in parte erronee addotte
da Chauncey Wright in appoggio di tale idea, come sarebbero la repentina
cristallizzazione delle sostanze inorganiche o la caduta di uno sferoide faccettato
da una faccetta all'altra, non meritano alcuna considerazione. Nondimeno una
serie di fatti, e cioè l'apparsa repentina di nuove e diverse forme di
vita ne' periodi geologici sostiene a tutta prima l'idea di uno sviluppo
subitaneo. Ma il valore di questa prova dipende interamente dalla perfezione
degli avanzi geologici, riferibili a periodi molto distanti nella storia del
mondo. Se questi avanzi sono così frammentari, come molti geologi
espressamente dicono, non deve sorprenderci che le nuove forme appariscano come
sviluppatesi di repente.
Se non
ammettiamo trasformazioni così prodigiose come quelle che invoca il
Mivart, ad esempio lo sviluppo repentino delle ali degli uccelli e dei
pipistrelli, o la subitanea trasformazione dell'Hipparion nel cavallo,
il supposto che siano avvenute modificazioni subitanee non getta alcuna luce
sulla mancanza degli anelli intermedi nelle nostre formazioni geologiche;
mentre contro tale supposto protesta altamente la embriologia. È noto
che le ali dell'uccello e del pipistrello e gli arti dei cavalli e di altri
quadrupedi non possono distinguersi fra loro in un periodo embrionale precoce,
e che si rendono differenti per gradazioni insensibilmente leggere. Come
più tardi vedremo, le somiglianze embriologiche di ogni categoria si
possono spiegare ammettendo che i progenitori delle specie ora esistenti
abbiano variato dopo la prima gioventù, e trasmettano il loro carattere
acquistato ai propri discendenti in età corrispondente. L'embrione fu
quindi lasciato pressochè intatto, e serve come storia dello stato
trascorso della specie. Così avviene che le specie ora esistenti
somigliano sì spesso nei loro primi stadii di sviluppo a forme vecchie
ed estinte appartenenti alla medesima classe. In seguito a questa opinione
intorno al significato delle somiglianze embriologiche, in accordo con altre
ragioni, è incredibile che un animale abbia subìto dei
cambiamenti così repentini e subitanei come i sopra citati, senza
offrire allo stato embrionale la più piccola
traccia di cambiamenti siffatti, ogni singola parte del corpo sviluppandosi per
gradi insensibili.
Chi crede che una qualunque vecchia forma per una forza o
tendenza interna sia stata cambiata repentinamente, ad esempio in una forma
munita di ali, è quasi spinto ad ammettere, in contraddizione con ogni
analogia, che molti individui abbiano variato contemporaneamente. Non
può negarsi che sì grandi e repentini cambiamenti di struttura
siano molto diversi da quelli che le specie sembrano aver subìto. Egli
sarà anche costretto ad ammettere che molte strutture, mirabilmente
adatte a tutte le altre parti ed alle condizioni di vita, siano nate
repentinamente; e per tali adattamenti reciproci, complicati e maravigliosi,
non potrà addurre nemmeno un'ombra di spiegazione. E dovrà pure
ammettere che questi grandi e repentini cambiamenti non abbiano lasciato
nessuna traccia dei loro effetti nell'embrione. Ma ammettere tutto ciò,
a quanto mi sembra, significa entrare nel campo del miracolo ed abbandonare
quello della scienza.
CAPO VIII
DEGLI ISTINTI
Istinti paragonabili alle abitudini, ma diversi nella loro
origine - Istinti graduali - Afidi e formiche - Istinti variabili - Istinti
degli animali domestici, loro origine - Istinti naturali del cuculo, del Molothrus - dello struzzo e delle api parassite - Formiche che tengono
schiavi - Api domestiche; loro istinto costruttore di celle - Le modificazioni
di istinto e di struttura non sono necessariamente simultanee -
Difficoltà della teoria dell'Elezione Naturale rapporto agli istinti -
Insetti neutri e sterili - Sommario.
Molti istinti sono così portentosi che il loro sviluppo
sarà parso a molti dei miei lettori una difficoltà bastante per
se sola a rovesciare tutta la mia teoria. Debbo premettere che io non pretendo rintracciare
l'origine delle primarie facoltà mentali, più di quello che io
possa fare dell'origine della vita stessa. Ci occuperemo soltanto delle
diversità di istinto, e delle altre qualità mentali degli animali
appartenenti a una medesima classe.
Nè mi studierò di dare una definizione
dell'istinto. Sarebbe facile dimostrare che le varie distinte azioni mentali
sono comunemente comprese in questo termine; ma tutti sanno che cosa voglia
dirsi, quando si asserisce che l'istinto spinge il cuculo ad emigrare e ad
abbandonare le sue uova nei nidi d'altri uccelli. Un atto, che esige per parte
nostra una certa abitudine, quando si compia da un animale molto giovane e non
dotato di alcuna esperienza, e quando sia compiuto da molti individui nella
stessa maniera, senza che i medesimi conoscano a quale scopo sia diretto,
ordinariamente chiamasi istintivo. Ma potrei provare che niuno di questi
caratteri dell'istinto è universale. Una piccola dose di giudizio o di
ragione, come disse Pietro Huber, spesso si appalesa, anche in animali
collocati molto bassi nella scala naturale.
Federico Cuvier e parecchi dei più antichi hanno
paragonato l'istinto all'abitudine. Questo confronto ci fornisce, a mio avviso,
una rimarchevole ed accurata nozione della disposizione della mente, sotto la
quale una azione istintiva si adempie, ma non già della sua origine.
Quanti atti abituali non si fanno da noi inavvertitamente, ed anche non di rado
in diretta opposizione alla nostra volontà conscia? Tuttavolta essi
possono essere modificati dalla volontà o dalla ragione. Certe abitudini
ponno facilmente associarsi ad altre; come pure ponno manifestarsi a certi
periodi di tempo, o in determinate situazioni del corpo. Quando esse si sono
acquistate una volta, spesso rimangono costanti per tutta vita. Sarebbero a
notarsi parecchi altri punti di rassomiglianza fra gli istinti e le abitudini.
Come avviene la ripetizione di una canzone ben conosciuta, così
negl'istinti un'azione segue l'altra con una sorta di ritmo; se una persona
viene interrotta nel canto, o nel ripetere qualche brano a memoria, essa
è generalmente costretta di tornare indietro per ricuperare la serie
abituale delle idee; così P. Huber trovò avvenire di un bruco,
che si costruisce un'amaca molto complicata: perchè se egli prendeva un
bruco che avesse compiuto la sua amaca fino al sesto stadio del lavoro e lo
riponeva in altra amaca portata soltanto al terzo stadio, il bruco non si
applicava che a rifare il quarto, quinto e sesto stadio della costruzione. Se
invece fosse stato levato un bruco che avesse compiuto il terzo stadio e si
fosse trasportato in altra amaca avanzata fino al sesto stadio, per modo che
una gran parte del lavoro ch'egli doveva fare si trovava ultimata,
anzichè valutare questo vantaggio, egli si mostrava molto imbarazzato, e
sembrava che per condurre a fine la sua amaca fosse costretto a partire dal
terzo stadio, in cui aveva lasciato la propria, e faceva così ogni
sforzo per completare l'opera quasi finita.
Ove noi
supponiamo che un'azione abituale possa ereditarsi - e credo che possa
sostenersi che ciò talvolta avviene - allora la rassomiglianza fra
ciò che una volta era abitudine e l'istinto diviene tanto grande, che
non possono distinguersi. Se Mozart, invece di suonare il pianoforte a tre
anni, dopo uno studio prodigiosamente breve, avesse suonata una melodia senza
alcuna pratica di sorta, avrebbe potuto dirsi veramente ch'egli lo avrebbe
fatto per istinto. Ma sarebbe un gravissimo errore il supporre che il maggior
numero degli istinti sia derivato dall'abitudine in una sola generazione, e
quindi trasmesso per eredità alle generazioni posteriori. Può
evidentemente dimostrarsi che gl'istinti più portentosi che si siano
osservati, e specialmente quelli dell'ape domestica e di molte formiche, non
possono essersi sviluppati in questo modo.
Tutti ammetteranno che gli istinti sono importanti non meno
della struttura corporea, per il benessere di ogni specie nelle presenti
condizioni di vita. Sotto mutate condizioni di vita è almeno possibile
che piccole modificazioni di istinto divengano vantaggiose ad una specie; e se
può provarsi che gli istinti variino, anche leggermente, allora non
saprei vedere alcuna difficoltà nella preservazione e continua
accumulazione delle variazioni dell'istinto, per mezzo della elezione naturale,
finchè esse fossero utili. Io credo che tale appunto fu l'origine
degli istinti, anche dei più complessi e portentosi. Io non dubito che
gli istinti, come le modificazioni della struttura corporea, nascano e si
aumentino per l'uso o per l'abitudine e si diminuiscano o anche si perdano
affatto per il non-uso. Ma gli effetti dell'abitudine sono di una importanza
affatto subordinata a quelli della elezione naturale di quelle, che possono
dirsi variazioni accidentali degli istinti; cioè di quelle variazioni
che sono prodotte dalle stesse cause ignote, che danno luogo a piccole
deviazioni nella struttura del corpo.
Niun istinto complesso può prodursi dalla elezione
naturale, tranne che per una lenta e graduale accumulazione di variazioni
numerose, leggiere ed anche profittevoli. Quindi noi dobbiamo aspettarci di
trovare nella natura, come nel caso delle strutture corporee, non già le
attuali gradazioni transitorie, per le quali si raggiunse ogni istinto
complesso - mentre queste si incontrerebbero soltanto negli antenati diretti di
ogni specie - ma bensì troveremo qualche prova di queste gradazioni
nelle linee collaterali della discendenza; oppure dobbiamo aspettarci almeno di
poter dimostrare che gradazioni di qualche sorta sono possibili; e certamente
siamo in grado di farlo. Fui ben sorpreso nel ritrovare quante gradazioni
possono scoprirsi, fino agli istinti più complicati, anche ad onta delle
poche osservazioni fatte sugl'istinti degli animali, eccetto in Europa e
nell'America settentrionale, e degli istinti non conosciuti delle specie
estinte. I cambiamenti di istinto ponno talvolta essere agevolati, quando le
medesime specie hanno istinti diversi in vari periodi della vita, o nelle varie
stagioni dell'anno, o quando siano poste in circostanze diverse, ecc. in tal
caso l'uno e l'altro istinto può essere conservato dall'elezione
naturale; ora può dimostrarsi che questi casi di diversità di
istinto nelle medesime specie occorrono in natura.
Come nel caso della struttura degli individui, e in accordo
colla mia teoria, l'istinto di ogni specie è vantaggioso alla stessa; ma
non fu mai prodotto, per quanto possiamo giudicarne, ad esclusivo benefizio di
altre specie. Uno degli esempi più convincenti del fatto di un animale,
che compie apparentemente qualche atto pel solo vantaggio di un altro, fra
quanti conosco, è quello degli afidi, che volontariamente cedono alle
formiche la loro secrezione zuccherina, come fu osservato per la prima volta
dall'Huber; e che essi lo facciano volontariamente si prova coi fatti seguenti.
Io allontanai tutte le formiche da un gruppo di una dozzina circa di afidi,
sopra una pianta di romice, ed impedii il loro ritorno per parecchie ore. Dopo
questo intervallo, io ero certo che gli afidi avrebbero dovuto deporre la loro
secrezione. Li tenni d'occhio per qualche tempo, con una lente, ma niuno di
essi la produsse. Allora io li accarezzai con un capello, il meglio che potei,
nel modo con cui le formiche li toccano colle loro antenne; ma anche in questo
caso non ebbi alcun risultato. Tosto dopo lasciai in libertà una
formica, affinchè si avvicinasse ai medesimi, e parve che
immediatamente, per le sue rapide escursioni sulle foglie, fosse ben prevenuta
del ricco bottino che aveva scoperto. Essa incominciò a battere con le sue
antenne l'addome di un afide, e poi quello di un altro; ed ognuno, appena
colpito dalle antenne, elevava subito il proprio addome ed emetteva una goccia
limpida di succo zuccherino, che veniva tosto avidamente divorato dalla
formica. Anche gli afidi più giovani tenevano il medesimo contegno, e
ciò prova che tale azione era istintiva e non poteva dirsi effetto della
esperienza. È cosa certa, per le osservazioni di Huber, che gli afidi
non mostrano alcuna avversione contro le formiche e se queste non fossero presenti,
essi alla fine sarebbero obbligati a versare la loro escrezione. Ma siccome
questa sostanza è estremamente vischiosa, è utile probabilmente
agli afidi di esserne liberati; e perciò essi probabilmente non
secernono quel succo per il solo vantaggio delle formiche. Benchè non
sia provato che un dato animale compia un atto ad esclusivo utile di un altro,
appartenente ad una specie distinta, pure ogni specie tende ad avvantaggiarsi
degli istinti delle altre, come cerca di approfittare della debole costituzione
delle medesime. Così anche certi istinti, in alcuni pochi casi, non
possono considerarsi come assolutamente perfetti; ma io non posso trattare
questo tema ne' suoi dettagli che d'altronde non sono indispensabili.
Perchè agisca l'elezione naturale,
richiedesi qualche grado di variazione negli istinti allo stato di natura e la
ereditabilità di queste variazioni, e qui sarebbe d'uopo darne il
maggior numero di esempi che sia possibile; ma la ristrettezza dello spazio me
lo vieta. Debbo però dire che gli istinti certamente variano; per
esempio, l'istinto migratorio, tanto nella intensità quanto nella
direzione, anche fino alla totale loro perdita. Così i nidi degli
uccelli variano in parte dipendentemente dalle situazioni prescelte, e dalla
natura e temperatura del paese da essi abitati. Audubon ha dato parecchi casi
rimarchevoli di differenze nei nidi di una stessa specie nelle provincia del
nord e del sud degli Stati Uniti. Ma se l'istinto è variabile, potrebbe
chiedersi perchè non fosse concessa all'ape «la facoltà di usare
altri materiali quando la cera mancasse». Ma quale altra sostanza potrebbero le
api impiegare? Esse adopreranno pel loro lavoro, come io ho osservato, della
cera indurita col cinabro o rammollita col lardo. Andrea Knight notava che le
api, invece di raccogliere indefessamente il propoli, impiegavano un cemento di
cera e trementina, col quale egli aveva intonacato gli alberi spogliati della
loro scorza. Recentemente fu dimostrato che le api, invece di cercare il
polline sui fiori, impiegano volentieri un'altra sostanza, cioè la
farina di avena. Il timore di certi nemici particolari è certamente una
qualità istintiva, come può osservarsi negli uccelli che sono
ancora nel nido; benchè possa aumentarsi per l'esperienza e per la vista
del timore che lo stesso nemico incute in altri animali. Gli animali che
abitano nelle piccole isole deserte non temono l'uomo, ed acquistano il timore
del medesimo lentamente, come ho provato altrove; e possiamo vedere un esempio
di ciò in Inghilterra, nella maggiore selvatichezza di tutti gli uccelli
grandi in confronto dei piccoli; perchè gli uccelli grandi furono assai
più perseguitati dall'uomo. Possiamo con sicurezza attribuire questa
maggiore selvatichezza dei nostri uccelli grandi alla predetta causa, perchè
nelle isole disabitate i grandi uccelli non sono più timorosi dei
piccoli; e la gazza, così timida in Inghilterra, è domestica in
Norvegia, come il corvo dal cappuccio in Egitto.
Moltissimi
fatti stanno per provare che la disposizione generale degli individui di una stessa
specie, nati allo stato di natura, è estremamente diversa. Possono anche
addursi alcuni casi di abitudini strane ed accidentali in certe specie, le
quali, quando siano vantaggiose alla specie, possono dare origine, per mezzo
della elezione naturale, ad istinti affatto nuovi. Ma io sono ben persuaso che
queste considerazioni generali, non corredate d'alcun dettaglio di fatti,
produrranno un debole effetto nella mente del lettore. Posso tuttavia ripetere
la mia assicurazione, che non dico alcuna cosa che non sia sorretta da buone
prove.
CAMBIAMENTI EREDITATI DI ABITUDINI
O DI ISTINTI NEGLI ANIMALI DOMESTICI
La possibilità od anche la probabilità di
ereditare variazioni di istinto nello stato di natura, viene confermata ed
avvalorata dall'esaminare brevemente alcuni casi allo stato di
domesticità. Noi ci renderemo per tal modo capaci di ravvisare le parti
rispettive che l'abitudine e l'elezione delle così dette variazioni
accidentali hanno avuto nel modificare le qualità mentali de' nostri
animali domestici. È noto che negli animali domestici le qualità
mentali variano assai. Fra i gatti, ad es., l'uno è per sua natura
inclinato a pigliare ratti, l'altro a pigliare sorci; e si sa che queste
inclinazioni vengono ereditate. Secondo St. John un gatto portava sempre a casa
degli uccelli selvatici, un altro lepri o conigli, un altro ancora cacciava
sopra terreno paludoso e prendeva ogni notte francolini o beccaccie. Vi sono molti
curiosi esempi autentici della ereditabilità di tutte le gradazioni
delle disposizioni diverse e dei gusti, non che delle più curiose
astuzie, associate con certi stati della mente, o a certi periodi di tempo.
Permetteteci di considerare il caso familiare delle varie razze di cani. Non
può mettersi in dubbio che i giovani cani da ferma (io stesso ne ho
veduto un esempio singolare) cercano talvolta la selvaggina, ed anche superano
gli altri cani, fino dal primo giorno in cui sono condotti nelle campagne; la
proprietà di salvare è in qualche grado ereditata dai cani di
salvamento; e la tendenza di correre intorno al gregge, invece di seguirlo,
è propria dei cani da pastori. Non potrei vedere alcuna differenza
essenziale fra queste azioni e i veri istinti, mentre si compiono dai giovani
senza alcuna esperienza e quasi nell'identica maniera da ogni individuo, e si
fanno con vivo interesse da ogni razza e senza che ne sappiano lo scopo; -
poichè i giovani cani da ferma non sanno di arrestare la selvaggina per
aiutare il loro padrone, più di quello che la farfalla bianca conosca
per qual motivo deponga le sue uova sulla foglia del cavolo. Se noi
osservassimo una specie di lupo, ancora giovane e senza alcuna educazione,
nell'istante in cui fiuta la sua preda, rimanere immobile come una statua, e
quindi incamminarsi lentamente verso la medesima con un andamento particolare;
e quando ne vedessimo un'altra specie, invece di lanciarsi contro un branco di
daini, correr loro intorno a cacciarli poi verso un punto distante, noi
certamente dovremmo chiamare istintive queste operazioni. Quegli istinti, che
possono chiamarsi domestici, sono certamente assai meno fissi degli istinti
naturali; ma essi sono sottoposti ad una elezione molto rigorosa e sono stati
trasmessi per un periodo incomparabilmente più corto, e sotto
circostanze di vita meno costanti.
Quando si incrociano diverse razze di cani, si osserva quanto
forte sia la tendenza di ereditare gli istinti domestici, le abitudini e le
disposizioni diverse, e in qual maniera curiosa rimangono mescolate. Infatti
è noto che l'incrociamento del levriere col bull-dog ha influito
per molte generazioni sul coraggio e sulla tenacità del primo, e che un
incrociamento del levriere col cane pastore produsse una famiglia di cani pastori,
con una tendenza particolare ad inseguire le lepri. Gli istinti domestici,
così esperimentati per mezzo dell'incrociamento, rassomigliano agli
istinti naturali, i quali in modo analogo sono strettamente confusi insieme, e
per lungo tempo offrono traccie degli istinti dei progenitori; per esempio, Le
Roy descrive un cane, il cui avo era un lupo, il quale dava segni della sua
parentela selvaggia in un modo solo, cioè col non correre mai in linea
retta verso il suo padrone, quando questi lo chiamava.
Talvolta
si è parlato degli istinti domestici come di azioni che furono ereditate
solo per l'abitudine lungamente protratta ed imposta, ma ciò non
sussiste. Niuno avrà mai immaginato che sia possibile di ammaestrare un
colombo a fare il capitombolo, azione che io posso attestare è compiuta
dai giovani colombi di quella razza, senza che abbiano mai veduto fare il
capitombolo. Potrebbesi ritenere che qualche colombo provasse una leggiera
tendenza a questa strana abitudine, e che l'elezione protratta lungamente degli
individui migliori, nelle generazioni successive, li rendesse capaci di fare il
capitombolo come si osserva attualmente. Presso Glasgow sonovi delle colombaie
di questi piccioni i quali, come fu riferito da M. Brent, non possono volare
fino all'altezza di diciotto pollici senza volgere il capo sotto le gambe:
Probabilmente nessuno avrebbe mai pensato ad ammaestrare un cane alla ferma, se
prima qualche cane non avesse mostrato una tendenza naturale a questo scopo; e
noi sappiamo che questa tendenza si è manifestata accidentalmente, come
io ho osservato una volta in un puro bassetto. L'atto di puntare nel cane
è probabilmente, come molti hanno pensato, soltanto la pausa esagerata
di un animale che si appresta a saltare sulla sua preda. Quando la primitiva
tendenza di arrestarsi fu spiegata convenientemente, l'elezione metodica e gli
effetti ereditati della educazione forzata, in ogni generazione successiva,
avrebbero compiuto l'opera; indi l'elezione inavvertita avrebbe continuato in
questo senso, poichè ogni uomo ama procurarsi quei cani che si arrestano
e cercano meglio.
D'altra parte la sola abitudine può in qualche caso
bastare; nessun animale è più difficile da addomesticare dei
piccoli conigli selvatici; al contrario non si troverà un animale
più domestico dei giovani conigli addomesticati. Ma io non posso
supporre che i conigli domestici siano mai stati scelti per la loro
docilità; e debbo presumere che tutto il cambiamento ereditato
dall'estrema selvatichezza alla docilità e sottomissione estrema, sia
dovuto semplicemente all'abitudine e alla stretta reclusione continuata per
lungo tempo.
I naturali istinti si perdono allo stato di
domesticità. Abbiamo un esempio rimarchevole di ciò in quelle
razze di polli che raramente od anche mai divengono covatori, cioè non
desiderano mai di adagiarsi sulle loro uova. L'assuefazione ci toglie di
osservare quanto vaste ed universali siano le modificazioni avvenute nelle
facoltà mentali dei nostri animali domestici, per effetto della loro
captività. Nè può dubitarsi che l'affezione per l'uomo non
sia resa istintiva nel cane. Tutti i lupi, le volpi, gli sciacalli e le specie
del genere gatto, quando divennero domestici, si mostrarono più ardenti
nell'inseguire i polli, le pecore e i maiali; e questa tendenza fu trovata
incurabile anche nei cani che furono trasportati piccoli da quei paesi ne'
quali i selvaggi non conservano questi animali in domesticità, come
dalla Terra del Fuoco e dall'Australia. Da un'altra parte quanto è raro
che ci occorra avvezzare i nostri cani civilizzati, anche quando sono
giovanissimi, a non perseguitare i polli, le pecore e i maiali! Certamente essi
occasionalmente si permettono di inseguirli, e per questo noi li battiamo, e
quando ciò non bastasse li distruggiamo; quindi l'abitudine, con qualche
grado di elezione, ha influito probabilmente a civilizzare i nostri cani per
mezzo dell'eredità. Del resto i pulcini hanno interamente perduto, per
l'abitudine, il timor dei cani e dei gatti, che al certo era in essi istintivo
in origine; nella stessa guisa che questo timore è istintivo nei giovani
fagiani, anche se sono allevati dalla chioccia. Non già che i pulcini
abbiano dimesso ogni paura, ma la sola paura dei cani e dei gatti;
perchè se la chioccia dà il grido d'allarme, essi corrono a
nascondersi sotto le sue ali (specialmente i giovani tacchini); o vanno a
celarsi nelle erbe o nei cespugli vicini e ciò proviene evidentemente
dall'istintivo proposito di permettere alla loro madre di volarsene via, come
si osserva negli uccelli selvatici che si trattengono sul terreno. Ma questo
istinto, conservato dai nostri pulcini, è divenuto inutile allo stato di
domesticità, perchè la chioccia ha quasi interamente perduta la
facoltà di volare pel non-uso.
Quindi noi possiamo dedurne che allo stato di domesticità
alcuni istinti furono acquistati e gli istinti naturali furono perduti, in
parte per l'abitudine e in parte per la elezione dell'uomo, che scelse ed
accumulò, durante le successive generazioni, quelle abitudini ed azioni
mentali particolari che per la nostra ignoranza ci parvero accidentali. In
certi casi la sola assuefazione forzata bastò per produrre delle
modificazioni mentali ereditarie; in altri casi la coartazione non diede alcun
risultato, e tutte le modificazioni derivarono dalla elezione continuata
metodicamente e inavvertitamente: ma nella pluralità dei casi
l'abitudine e l'elezione probabilmente agirono contemporaneamente.
ISTINTI SPECIALI
Forse comprenderemo meglio in qual modo gli istinti furono
modificati nello stato di natura dall'elezione, se consideriamo alcuni fatti
particolari. Ne sceglierò tre soli fra quelli che avrò a
discutere nel futuro mio lavoro; cioè l'istinto che determina il cuculo
ad abbandonare le sue uova nei nidi d'altri uccelli, l'istinto di certe formiche
di fare schiavi, e finalmente la facoltà di costruire celle nell'ape
domestica. Questi ultimi due istinti si sono generalmente, ed a ragione;
considerati dai naturalisti come i più portentosi fra tutti gli istinti
conosciuti.
Istinto del cuculo. - Alcuni naturalisti
ammettono che la causa più immediata e finale dell'istinto del cuculo
sia che la femmina depone le sue uova ad intervalli di due o tre giorni,
anzichè giornalmente; per cui se essa fabbricasse il proprio nido e si
posasse sulle sue uova, dovrebbe lasciar le prime deposte per qualche tempo
senza incubazione, altrimenti si troverebbero nel medesimo nido le uova ed i
piccoli uccelletti di differenti età. Se così fosse, il processo
della covatura e dello schiudimento della uova sarebbe sconvenientemente lungo,
ed in ispecie pel riflesso che la madre deve emigrare assai per tempo; e i
primi uccellini, sbucciati dall'uovo, dovrebbero probabilmente essere nutriti
dal solo maschio. Ma la femmina del cuculo americano è appunto in queste
condizioni; perchè essa forma il proprio nido e depone uova, e i piccoli
sbucciano dall'uovo nello stesso tempo. Si è sostenuto e poi negato che
anche il merlo d'America deponga talvolta le sue uova nei nidi di altri
uccelli; ma io seppi di recente dal dott. Merrel di Jowa che egli una volta
nell'Illinois trovò un giovane cuculo insieme con una giovane gazza nel
nido del Garrulus cristatus, e siccome ambedue avevano le loro penne,
non può ammettersi un errore di classificazione. Potrei dare parecchi
esempi di uccelli differenti, che depongono le loro uova nei nidi d'altri
uccelli. Ora suppongasi che l'antico progenitore del nostro cuculo d'Europa
avesse le abitudini del cuculo americano; ma che occasionalmente deponesse un
uovo nel nido di altro uccello. Se il vecchio cuculo da questa abitudine
accidentale avesse tratto profitto per migrare più presto, od in altro
modo; oppure se il cuculo giovane, in seguito al traviato istinto materno di
un'altra specie fosse divenuto più robusto che non sotto le cure della
propria madre, la quale era sopraccaricata dalla cura contemporanea per le uova
e pei figli giovani di diversa età, ne sarebbe derivato un vantaggio, o
pei genitori o per i giovani nutriti a spese di altri uccelli. L'analogia mi
indurrebbe a credere che gli uccelletti, così allevati, sarebbero atti a
seguire per eredità l'accidentale ed aberrante abitudine della loro
madre; e alla loro volta diverrebbero capaci di depositare le uova nei nidi
degli altri uccelli e riescirebbero in questo modo al allevare una prole
più robusta. Per un continuo processo di tal fatta, credo che il
singolare istinto del nostro cuculo possa essersi formato. È stato anche
recentemente e per sufficienti ragioni sostenuto da Adolfo Müller, che il
cuculo depone occasionalmente le sue uova sul nudo terreno, le cova, e nutre i
pulcini; questo raro ed interessante fenomeno è probabilmente una
riversione all'istinto originario di nidificazione da lungo tempo perduto.
Mi fu obbiettato di non avere menzionato altri analoghi
istinti e adattamenti del cuculo che furono detti necessariamenti coordinati.
Ma in tutti i casi la speculazione intorno ad un istinto unico e conosciuto in
un'unica specie è inutile, perchè non abbiamo fatti che ci
servano di guida. Fino a questi ultimi tempi non si conosceva che gli istinti
del cuculo europeo e dell'americano non parassitico; ma le osservazioni di E.
Ramsay ci hanno fatto ora conoscere le tre specie australesi che mettono le
loro uova in nidi stranieri. Tre punti principali devono qui considerarsi: in
primo luogo il cuculo comune, con rare eccezioni, mette un solo uovo in un
nido, per cui il pulcino grande e vorace riceve un ricco nutrimento. In secondo
luogo l'uovo è così piccolo, che non è maggiore di quello
di un'allodola, di un uccello ben quattro volte minore del cuculo. Che le piccole
dimensioni dell'uovo siano un caso di adattamento, possiamo dedurre dal fatto
che il cuculo americano non parassitico depone uova corrispondenti alla sua
grandezza. Finalmente il giovane cuculo mostra subito dopo la nascita
l'istinto, la forza ed un rostro adatto per gettare dal nido i suoi fratelli di
nutrimento che muoiono poi di freddo e di fame. Ma si è sostenuto
arditamente che questa sia una misura benevola, affinchè il giovane
cuculo riceva sufficiente cibo, ed i suoi fratelli di nutrimento periscano
prima di acquistare molto sentimento!
Rivolgiamoci
ora alle specie australesi. Sebbene questi uccelli mettano un solo uovo in un
nido, si trovano tuttavia non raramente nello stesso nido due ed anche tre
uova. Nel cuculo bronzino le uova variano notevolmente nella grandezza,
misurando da otto a dieci linee in lunghezza. Se fosse stato di qualche
vantaggio per questa specie di generare uova ancora più piccole di
quelle che depone al presente, sia per ingannare più facilmente i
genitori nutritizi, oppure, ciò che mi sembra più probabile,
perchè più facilmente si schiudano (essendosi asserito che
sussiste un determinato rapporto fra la grandezza delle uova e la durata della
incubazione); allora non sarebbe difficile l'ammettere che sia formata una
razza o specie che generasse uova sempre più piccole, le quali sarebbero
state covate ed allevate con maggiore facilità. Il Ramsay osserva che
due cuculi australesi, quando mettono le loro uova in un nido aperto,
manifestano una decisa preferenza per quei nidi, i quali contengono delle uova
simili nel colore alle proprie. La specie europea ha certamente una tendenza a
tale istinto, ma non raramente se ne diparte, come si vede quando mette il suo
uovo fioco e chiaro nel nido della grisetta (Accentor) che ha uova chiare
di colore azzurro verdastro. Se il nostro cuculo mostrasse invariabilmente il
suddetto istinto, questo dovrebbe annoverarsi fra quelli che furono acquistati
d'un sol tratto. Le uova del cuculo bronzino australese, secondo il Ramsay,
variano straordinariamente nel colore, così che a questo riguardo ed a
riguardo della grandezza l'elezione naturale avrebbe potuto assicurare e
fissare una variazione vantaggiosa.
Relativamente
al cuculo europeo, i giovani figli dei genitori nutritizi vengono dal cuculo
gettati dal nido al solito tre giorni dopo che questo ha abbandonato l'uovo, e
siccome in quest'età egli è assai debole, così il Gould fu
dapprima del parere che l'atto della espulsione fosse compiuto dagli stessi
genitori nutritizi. Ma egli ebbe ora una fedele descrizione, da cui risulta che
fu osservato un giovane cuculo, ancora cieco ed incapace a portare la sua
testa, nel momento stesso, in cui espelleva dal nido i suoi fratelli di
nutrimento. Uno di questi fu dall'osservatore riportato nel nido, e venne di
nuovo espulso. Siccome pel giovane cuculo fu probabilmente di grande importanza
di ricevere nei primi giorni dopo la nascita la maggior possibile
quantità di nutrimento, non saprei trovare, in riguardo ai mezzi co'
quali quello strano ed odioso istinto potesse essere raggiunto, alcuna
difficoltà nell'ammettere che il cuculo acquistasse durante molte
successive generazioni lentamente la cieca tendenza, la forza sufficiente e la
struttura adattata per gettare dal nido i suoi fratelli di nutrimento; imperocchè
quelli fra i giovani cuculi, i quali aveano meglio sviluppata quell'abitudine e
quella struttura, saranno stati i meglio nutriti ed i più sicuramente
allevati. Il primo passo a raggiungere il vero istinto poteva essere una
inconscia irrequietezza per parte del giovane uccello, alquanto progredito
nell'età e nella forza; l'abitudine sarà stata più tardi
migliorata e trasmessa ad un'età più precoce. Non saprei qui
vedere una difficoltà maggiore di quella che s'incontra nello spiegare
come i giovani non ancora nati di altri uccelli ricevano l'istinto di rompere
il guscio del proprio uovo, o come, al dire dell'Owen, i giovani serpenti
acquistino nella mascella superiore un acuto dente transitorio per tagliare il
tenace guscio dell'uovo. Siccome ogni parte ed in tutte le età è
soggetta a variazioni individuali che tendono poi ad essere trasmesse per
eredità in epoca corrispondente - proposizione che non può essere
contestata; - così l'istinto e la struttura nei giovani potranno essere soggetti a lente modificazioni non meno che negli adulti, ed ambedue
i casi devono sussistere o cadere con tutta la teoria dell'elezione naturale.
Alcune
specie di Molothrus, un genere affatto diverso di uccelli americani,
affine ai nostri storni, hanno abitudini parassitiche come il cuculo. Secondo
le notizie dell'Hudson, esimio osservatore, i due sessi del Molothrus badius
vivono a stormi promiscuamente, e talvolta si accoppiano. Talvolta si
costruiscono un proprio nido, altre volte ne scelgono uno che appartiene ad un
altro uccello, ed espellono la nidiata. Questi uccelli depongono le loro uova
ora nel nido così appropriatosi, ora, cosa molto strana, se ne
costruiscono uno proprio che sovrappongono a quello. Inoltre covano
generalmente da sè le uova, ed alimentano i propri giovani. Ma l'Hudson
crede probabile che occasionalmente vivano parassitici, avendo osservato i
pulcini di questa specie mentre seguivano uccelli vecchi di un'altra specie ed
invocavano da essi il nutrimento. Le abitudini parassitiche di un'altra specie,
del Molothrus bonariensis, sono assai più sviluppate che
quelle del primo; ma sono ancora lontane dall'essere perfette. A quanto si sa,
questo uccello mette le sue uova invariabilmente nel nido altrui; ma è
rimarchevole che parecchi di essi incominciano talvolta a costruirne uno
proprio, irregolare, fuori di tempo, in luogo singolarmente poco adattato, per esempio sulle foglie di un grande cardo. Essi però, come Hudson ha
potuto rilevare, non finiscono mai da sè il nido. Spesso mettono molte
uova (da
Nei gallinacei non è insolita l'abitudine occasionale
degli uccelli di abbandonare le loro uova nei nidi d'altri uccelli; e
ciò spiega per avventura l'origine di un istinto speciale nel gruppo
degli struzzi. Alcune femmine dello struzzo si associano per deporre alcune
poche uova in un nido comune, indi in un altro; e queste sono poi covate dai
maschi. Questo istinto può probabilmente avere la sua ragione nel fatto,
che le femmine covano un gran numero di uova; ma come nel caso del cuculo, ad
intervalli di due o tre giorni. Però quest'istinto dello struzzo
americano e del Molothrus bonariensis non fu ancora abbastanza
perfezionato, perchè uno sterminato numero di uova rimane sparso sulle
pianure; per modo che in un solo giorno di caccia ne raccolsi non meno di venti
abbandonate e guaste.
Molte api sono parassite, e lasciano sempre le loro uova nei
nidi delle api di altri razze. Questo fatto è più notevole di
quello del cuculo, perchè queste api non hanno modificati solamente i
loro istinti, ma anche la loro struttura, in relazione alle loro abitudini
parassitiche; perchè inoltre esse non posseggono l'apparato raccoglitore
del polline, che sarebbe necessario quando esse dovessero accumulare il
nutrimento per la loro prole. Alcune specie di sfegidi (insetti simili alle
vespe) sono parimenti parassite di altre specie; e il Fabre ha recentemente esposto
buone ragioni per stabilire che, quantunque la Tachytes nigra costruisca
generalmente la propria tana, e vi raccolga le sue prede paralizzate pel
nutrimento delle proprie larve; tuttavia, allorchè questo insetto trova
una tana già fatta ed approvvigionata da un'altra specie, ne prende
possesso e diviene parassita per l'occasione. In tal caso, come avemmo da
rilevare per il cuculo e pel Molothrus, io non saprei trovare alcuna
difficoltà che l'elezione naturale convertisse un'abitudine occasionale
in permanente, se ciò fosse utile alla specie, e quando l'insetto, del
quale i nidi e le provviste alimentari sono così proditoriamente
usurpati, non venisse perciò esterminato.
Istinto
della schiavitù. - Questo istinto rimarchevole per la prima volta
scoperto nella Formica (Polyerges) rufescens da Pietro
Huber, più esimio osservatore del celebre suo padre. Questa formica
dipende assolutamente dal servizio delle sue schiave, al punto che, senza il
loro aiuto, la specie in un anno solo rimarrebbe estinta. I maschi e le femmine
non fanno lavoro di sorta alcuna, e le operaie, o femmine sterili,
benchè siano le più energiche e coraggiose nell'impadronirsi
delle schiave, non stanno altrimenti occupate. Esse sono incapaci di formare i
propri nidi, e di alimentare le loro larve. Quando la vecchia abitazione
è trovata incomoda e debbono emigrare, le sole schiave decidono della
partenza e trasportano effettivamente le loro padrone colle mascelle. Le
padrone sono poi affatto incapaci di provvedere ai propri bisogni,
cosicchè Huber ne separò una trentina, senza alcuna schiava, e
loro fornì in copia il nutrimento che sogliono preferire, lasciando in
mezzo ad esse le larve e le crisalidi, affinchè servissero alle medesime
di stimolo al lavoro; eppure esse rimasero oziose, nè si cibarono, per
cui molte perirono per la fame. Huber introdusse allora una sola schiava (Formica
fusca), la quale si mise tosto all'opera, diede nutrimento alle superstiti
e le salvò; costruì alcune cellette, allevò le giovani
larve e mise tutto in ordine. Che cosa può darsi di più
straordinario di questi fatti bene accertati? Se noi non conoscessimo altre
specie di formiche con schiave, sarebbe stato inutile speculare come possa
essere stato perfezionato codesto istinto meraviglioso.
Ma P. Huber
fu anche il primo a segnalare un'altra specie di formiche, che si valgono
dell'opera delle schiave, ed è la Formica sanguinea. Questa
specie fu trovata nelle parti meridionali dell'Inghilterra, e le sue abitudini
furono studiate da J. Smith del Museo Britannico, al quale io mi tengo
obbligato per le informazioni fornitemi sopra questo e sopra altri argomenti.
Benchè io prestassi piena fede alle osservazioni di Huber e di Smith,
volli studiare questo soggetto con qualche scettica apprensione dello spirito,
e tutti vorranno scusarmi di avere dubitato della verità di questo
istinto odioso e straordinario di ridurre in schiavitù tali insetti. Io
produrrò quindi le osservazioni da me fatte, con qualche dettaglio. Ho
aperto quattordici nidi della Formica sanguinea e ho trovato in tutti
alcune schiave. I maschi e le femmine feconde della specie schiava (Formica
fusca) si trovano solamente nelle loro proprie società e non
furono mai veduti nei nidi della Formica sanguinea. Le schiave sono nere
ed hanno circa la metà delle dimensioni delle loro padrone rosse,
talchè il contrasto nella loro apparenza è grandissimo. Se il
nido è leggermente disturbato, le schiave escono di quando in quando, e,
come le loro padrone, sono molto agitate e cercano difendere la loro
abitazione: ove poi il nido fosse molto guasto e le larve insieme alle
crisalidi fossero esposte, le schiave lavorano indefessamente colle loro
padrone per trasportarle fuori in luogo sicuro. Da ciò risulta
evidentemente che le schiave si conducono come appartenenti alla casa. Nei mesi
di giugno e luglio di tre anni successivi, osservai per molte ore parecchi nidi
nel Surrey e nel Sussex, nè ho mai veduto una sola schiava uscire o
entrare nel nido. Siccome in questi mesi le schiave sono molto poche, io
pensavo che ciò per avventura non sarebbe avvenuto quando esse fossero
più numerose; ma lo Smith mi accertava che egli esaminò i
nidi delle formiche per diverse ore, nei mesi di maggio, giugno e agosto nel
Surrey e nello Hampshire, e non ha mai osservato che le schiave entrassero od
uscissero dal nido, benchè nel mese d'agosto fossero accumulate in gran
numero. Quindi egli le considera quali schiave esclusivamente domestiche. Le
padrone, d'altra parte, si veggono costantemente in moto, per trasportare
materia nel nido e sostanze alimentari d'ogni sorta. Nell'anno 1860
però, nel mese di luglio, trovai una società di formiche le quali
avevano un numero straordinario di schiave, e vidi che alcune di queste, in
compagnia delle loro padrone, uscirono dal nido e si incamminarono per la stessa
via verso un grande pino di Scozia, distante
Un giorno
assistetti fortunatamente alla migrazione della Formica sanguinea da un
nido ad un altro, ed era uno spettacolo dei più interessanti il vedere
le padrone trasportare accuratamente le loro schiave colle mascelle, invece di
essere trasportate da esse come nel caso della Formica rufescens. Un
altro giorno la mia attenzione fu attirata da una ventina circa di quelle
formiche che fanno schiavi, le quali frequentavano il medesimo luogo ed
evidentemente non erano in cerca di nutrimento; esse si avvicinarono ad una
comunità indipendente di una specie con schiave (Formica fusta)
e ne furono vigorosamente respinte; talvolta fino a tre di queste si
attaccavano alle zampe della Formica sanguinea. Queste uccidevano allora
spietatamente i loro piccoli avversari e portavano i loro corpi come nutrimento
nel loro nido, che distava
Nello stesso tempo io collocai nel medesimo luogo una piccola
quantità di crisalidi di un'altra specie (Formica flava),
essendovi anche attaccate ai frammenti del nido alcune poche di queste formiche
gialle. Questa specie viene talvolta ridotta in servitù, benchè
di rado, e ciò fu descritto dallo Smith. Quantunque questa specie sia
tanto piccola, è molto coraggiosa; ed io la vidi attaccare ferocemente
le altre formiche. Una volta, per esempio, trovai con mia sorpresa una
società indipendente di Formica flava sotto una pietra,
inferiormente al nido della tiranna Formica sanguinea; e appena io
disturbai accidentalmente i due nidi, le piccole formiche assalirono le loro
grosse vicine con sorprendente coraggio. Ora io ero curioso di accertare se la Formica
sanguinea possa distinguere le crisalidi della Formica fusca, che
essa rende schiava, da quelle della piccola e furiosa Formica flava, che
di rado essa può catturare: e dovetti convincermi che a prima vista essa
le distingue. Infatti io osservai che essa si impadroniva, avidamente ed
istantaneamente, delle crisalidi di Formica fusca, mentre al
contrario rimaneva molto spaventata, quando incontrava le crisalidi, od anche
la sola terra levata dal nido della Formica flava e fuggiva
frettolosamente; ma in un quarto d'ora circa e poco dopo che le piccole
formiche gialle erano partite, le prime tornavano indietro e rapivano le
crisalidi.
Una sera io visitai un'altra società della specie Formica
sanguinea e trovai molte di queste formiche che ritornavano a casa ed
entravano nei loro nidi, trasportando dei corpi di Formica fusca e molte
crisalidi, locchè prova che quella non era una migrazione. Seguii le
traccie di una lunga fila di formiche cariche di bottino, per una lunghezza di
Questi sono i fatti riguardanti il portentoso istinto delle
formiche che hanno schiave. Mi sia permesso di osservare quale contrasto
presentano le abitudini istintive della Formica sanguinea con quelle
della Formica rufescens del continente. L'ultima non fabbrica la propria
abitazione, non dirige le proprie migrazioni, non raccoglie nutrimento per
sè o per le giovani, e persino è incapace di alimentarsi: essa
dipende assolutamente dall'opera delle sue molte schiave. La Formica
sanguinea, invece, possiede pochissime schiave, e al principio
dell'estate un numero insignificante; le padrone decidono quando e in che luogo
debbano farsi i nuovi nidi, stabiliscono il momento delle migrazioni, e sono
esse che portano le schiave. In Isvizzera, come in Inghilterra, sembra che le
schiave soltanto si occupino delle larve, e le padrone si aggirino per il solo
scopo di catturare nuove schiave. Nella Svizzera le schiave e le padrone
lavorano insieme, apprestando materiali per la costruzione del nido; entrambe,
ma specialmente le schiave, hanno cura e mungono per così dire i loro
afidi; ed inoltre entrambe raccolgono le sostanze alimentari per l'intera
società. In Inghilterra, invece, le sole padrone ordinariamente escono
dal nido, per cercare i materiali per le loro costruzioni e il nutrimento per
sè, per le loro schiave e per le larve. Quindi le padrone nel nostro
paese ricevono dalle loro schiave molto minori servigi, di quelli che prestano
le formiche schiave nella Svizzera.
Non pretendo di fare alcuna congettura con quali
gradazioni si sia formato l'istinto della Formica sanguinea. Però,
siccome ho trovato certe formiche, che non catturano schiave, appropriarsi le
crisalidi di altre specie, allorchè si avvicinano ai loro nidi,
può darsi che queste crisaidi, ammassate come nutrimento, si siano
sviluppate; e le formiche forestiere, così allevate accidentalmente, avranno
seguito i loro istinti e compiuto quel lavoro di cui erano capaci. Se la loro
presenza divenne utile alle specie che di esse si impadronirono, se fu
più vantaggioso a queste specie il catturare le operaie, anzichè
il procrearle - l'abitudine di raccogliere in origine crisalidi pel loro
nutrimento può per mezzo della elezione naturale essersi consolidata e
resa permanente, per lo scopo affatto diverso di allevare delle schiave. Quando
l'istinto fu acquistato, per quanto debole fosse dapprima e poco pronunciato,
anche nelle nostre formiche sanguigne d'Inghilterra, che ricevono, come abbiamo
veduto, meno servigi dalle loro schiave di quelle della stessa specie in
Isvizzera, l'elezione naturale potè accrescere e modificare tale istinto
- sempre nel supposto che ogni modificazione sia utile alla specie -
finchè si fosse formata una formica dipendente dalle sue schiave con
tanta abbiezione, come la Formica rufescens.
Istinto dell'ape domestica di costruire celle. - Non voglio discendere ai minuti ragguagli su questo soggetto; ma darò
solamente un cenno delle conclusioni a cui sono arrivato. Sarebbe uno stolto
colui che esaminasse la squisita conformazione di un favo, così
stupendamente adatta al suo scopo, senza risentirne un'ammirazione
entusiastica. Sappiamo dai matematici che le api hanno risolto praticamente un
problema difficile, ed hanno costruito le loro celle di una forma tale da
contenere la maggiore quantità possibile di miele, col minor possibile
consumo della cera preziosa. Si è notato che un abile operaio, fornito
di strumenti precisi e di misure esatte, incontrerebbe molta difficoltà
ad eseguire delle celle di cera della forma identica a quelle che vengono
perfettamente fabbricate da uno sciame di api che lavorano in un oscuro
alveare. Sia pur grande l'istinto che loro si attribuisce, parrà sulle
prime affatto inconcepibile come possano riuscire a formare gli angoli e i
piani necessari, od anche come possano accorgersi che il loro lavoro fu
compiuto correttamente. Ma la difficoltà non è poi tanto insuperabile
come sulle prime si giudica; tutto questo mirabile lavoro può spiegarsi,
a mio avviso, come una conseguenza di alcuni istinti semplici.
Fui spinto dal Waterhouse ad investigare questo soggetto. Egli
ha dimostrato che la forma della cella sta in stretta relazione colla presenza
delle celle adiacenti, e le seguenti considerazioni possono forse prendersi
soltanto come una modificazione della sua teoria. Ricorriamo al grande
principio delle gradazioni e vediamo se la Natura non ci riveli il suo metodo
di operare. Ad un estremo di una breve serie noi abbiamo i pecchioni, che
impiegano i loro vecchi bozzoli, deponendo in essi il miele e aggiungendovi
talora dei tubi corti di cera e formando altresì delle cellette di cera
separate ed irregolarmente arrotondate. All'altro estremo della serie abbiamo
le celle dell'ape domestica in uno strato doppio: ogni cella, come sappiamo,
è costituita di un prisma esagono coi vertici alla base negli estremi
dei suoi spigoli tagliati di sbieco, in modo da formare una piramide composta
di tre rombi. Questi rombi hanno certi angoli determinati, e i tre rombi, che
formano la base piramidale di ogni cella da una parte del favo, entrano nella
composizione delle basi di tre celle adiacenti della parte opposta. Nella serie
che passa fra la estrema perfezione delle celle dell'ape domestica e la
semplicità di quelle del pecchione, noi troviamo le celle della Melipona
domestica del Messico, descritta ampiamente e disegnata da Pietro Huber. La
Melipona stessa ha una struttura intermedia fra quella dell'ape
domestica e del pecchione, ma più vicina a quest'ultimo: essa forma un
favo quasi regolare di cera, con celle cilindriche, nelle quali si allevano le
larve e vi aggiunge diverse celle di cera più grandi, per conservarvi il
miele. Queste ultime celle sono quasi sferiche, hanno i loro lati press'a poco
uguali e sono aggruppate in una massa irregolare. Ma il fatto più
importante da notarsi è che queste celle sono talmente fra loro
ravvicinate, che se le sfere fossero complete, sarebbero intersecate, o interrotte
l'una dall'altra; ma ciò non potrebbe mai avvenire, perchè le api
costruiscono delle parti di cera perfettamente piane, fra le sfere che
tenderebbero ad intersecarsi. Ogni cella, quindi, si compone di una porzione
sferica esterna e di due, tre, o più altre celle. Quando una cella viene
in contatto di tre altre celle (locchè avviene frequentemente e
necessariamente), perchè le sfere sono quasi della stessa grandezza, le
tre superfici piane si intersecano, formando una piramide. Questa piramide,
come osservò Huber, è manifestamente una grossolana imitazione
della base piramidale a tre faccie della cella dell'ape domestica, le tre
superfici piane entrando necessariamente nella costruzione delle tre celle
adiacenti. È evidente che la Melipona risparmia della cera col
metodo delle sue costruzioni; perchè le pareti piane fra le celle
adiacenti non sono doppie, ma hanno una grossezza uguale a quella delle
porzioni sferiche esterne, e ogni porzione piana fa parte di due celle.
Riflettendo a questi fatti pensai che se la Melipona avesse
fabbricato le sue sfere a una data distanza fra loro e le avesse formate di
uguale grandezza e con disposizione simmetrica sopra un doppio strato, la
struttura risultante sarebbe stata probabilmente perfetta quanto quella del
favo dell'ape domestica. Coerentemente scrissi ai prof. Miller di Cambridge, e
questo geometra, appoggiandosi alle mie informazioni, giunse al seguente
risultato, che cortesemente mi comunicò e del quale mi dichiarò
la rigorosa esattezza.
Se
un numero qualunque di sfere uguali siano descritte poste coi loro centri in
due piani paralleli e in modo che il centro di ogni sfera non sia distante
dalle sei sfere contigue, poste nello stesso strato, più del prodotto
che si ottiene moltiplicando il raggio per Ö2, vale a dire per 1,41421; e che inoltre ogni sfera sia alla medesima
distanza dai centri delle altre sfere vicine poste nell'altro strato parallelo;
se si conducono i piani di intersezioni delle sfere di ambi gli strati, ne
risulterà un doppio strato di prismi esagoni congiunti fra loro per
mezzo di basi piramidali formate da tre rombi; e i rombi non meno che le faccie
dei prismi esagoni avranno i loro angoli identici a quelli che ci sono dati
dalle più esatte misure prese sulle celle dell'ape domestica. Mi viene
però fatto conoscere dal professore Wyman, il quale ha eseguito numerose
e diligenti misurazioni, che la esattezza del lavoro delle api fu notevolmente
esagerata, al punto che egli sostiene che la forma tipica della cellula, se pur
viene realizzata, lo è al certo raramente.
Noi possiamo dunque conchiudere con sicurezza che se potessimo
modificare gli attuali istinti della Melipona, i quali in se stessi non
sono poi tanto straordinari, quest'ape potrebbe raggiungere una struttura non
meno perfetta di quella dell'ape domestica. Supponiamo che la Melipona fabbricasse
celle esattamente sferiche e di uguale grandezza: nè ciò sarebbe
a reputarsi sorprendente, mentre queste celle sono quasi uguali e sferiche, e
conosciamo molti insetti che forano nel legno dei buchi perfettamente
cilindrici, e come sembra col girare intorno ad un punto fisso. Supponiamo
inoltre che la Melipona disponesse le sue celle su piani livellati, come
essa lo fa nel costruire le sue celle cilindriche; ammettiamo poi, e ciò
è assai più difficile a credersi, che la medesima sappia in
qualche modo apprezzare giustamente la distanza che la separa dalle altre
lavoratrici, quando molte stanno formando le loro sfere. Ma sembra che questo
insetto sia già capace di valutare tale distanza, perchè egli
descrive le sue sfere in modo che si intersecano ampiamente, e congiunge i
punti di intersezione con superfici perfettamente piane. Noi dobbiamo di
più fare un'altra ipotesi più ammissibile, cioè che avendo
formati i prismi esagoni coi piani di intersezione delle sfere adiacenti
situate nel medesimo strato, esso possa prolungare il prisma esagono fino alla
lunghezza voluta, affinchè contenga una certa quantità di miele;
in quella guisa che il rozzo pecchione aggiunge dei cilindri di cera alle
aperture circolari dei suoi bozzoli vecchi. Con queste modificazioni di istinti
che in se stessi non sono tanto meravigliosi, e certo non sono più
stupendi di quello che conduce un uccello a fabbricarsi il nido, credo che
l'ape domestica abbia acquistato, mediante la elezione naturale, la sua
inimitabile facoltà architettonica.
Ma questa teoria può convalidarsi con una esperienza.
Dietro lo esempio del Tegetmeier, ho separato due favi ed ho collocato fra essi
una striscia di cera lunga, grossa e rettangolare: le api cominciarono
immediatamente a forarvi dei piccoli incavi circolari, e quanto più esse
progredivano nel lavoro fino a ridurli a foggia di bacini profondi, questi
apparivano all'occhio come perfetti segmenti di sfera e di un diametro quasi
eguale a quello cella. Era del più grande interesse per me l'osservare
che in tutti i punti, nei quali parecchie api avevano cominciato ad escavare
questi bacini gli uni presso gli altri, essi erano disposti precisamente ad una
tale distanza fra loro, che quando erano giunti alla larghezza assegnata
(cioè quella di una cella ordinaria) e ad una profondità
corrispondente ad un sesto circa del diametro della sfera di cui essi formavano
una parte, i bordi dei bacini si intersecavano e si interrompevano. Appena
ciò si verificava le api si arrestavano e si davano a costruire delle
pareti piane di cera sulle linee d'intersezione dei bacini, così che
ogni prisma esagono fu eretto sul margine ondulato del bacino appianato invece
degli spigoli retti della piramide a tre faccie che si trova nelle cellette
ordinarie.
Io
posi allora nell'alveare in luogo della grossa striscia rettangolare un'altra
striscia di cera sottile e stretta come la costa di un coltello e colorata
colla cocciniglia. Le api cominciarono subito ad escavare da ambe le parti i
piccoli bacini a poca distanza fra loro, come prima avevano fatto; ma la
striscia di cera era tanto sottile, che se i fondi dei bacini fossero stati
approfondati come nella esperienza precedente, avrebbero traversato la cera da
una parte all'altra. Le api però seppero prevenire questo risultato e
arrestarono in tempo debito le loro escavazioni; e appena i bacini furono
leggermente abbozzati, esse resero piani i loro fondi, i quali, così
formati di un sottilissimo strato di cera colorata che non era stata intaccata,
erano situati (per quanto l'occhio poteva giudicare) esattamente lungo i piani
della intersezione che poteva immaginarsi prodotta fra i bacini sugli opposti
lati della striscia di cera. In alcune parti avevano lasciato soltanto piccoli
frammenti dei piani romboidali, in altre parti invece si osservavano grandi
porzioni di questi piani, ma l'opera non era stata compiuta a dovere per le
condizioni anormali in cui si trovavano. Convien dire che le api lavorarono contemporaneamente
da ambi i lati della striscia di cera colorata ed escavarono circolarmente ad
uguali profondità i bacini dalle due parti, per
riuscire così a formare gli strati piani esistenti fra i bacini stessi,
prima di sospendere il lavoro, non appena erano giunte ai piani intermedi o
piani di intersezione.
Considerando quanto è pieghevole la cera sottile, non
saprei trovare in questo caso alcuna difficoltà ad intendere come le
api, nel lavorare ai due lati della lamina di cera, si accorgessero quando la
cera fosse incavata fino ad una grossezza conveniente e allora sospendessero il
lavoro. Nei favi ordinari mi parve che le api non giungessero sempre a formare
esattamente nello stesso tempo le loro celle nelle direzioni opposte;
perchè osservai dei rombi non compiuti alla base di una cella appena
incominciata, che era leggermente concava da una parte, da quella cioè
in cui io([16])
supponevo che le api avessero scavato più sollecitamente, e convessa
dall'altra parte, ove le medesime avevano scavato con maggiore lentezza. In uno
di questi casi posi il favo nuovamente nell'alveare e lasciai che le api vi
lavorassero intorno per breve tempo: indi lo ripresi ed esaminai la cella, e
vidi che lo strato romboidale era stato compiuto ed era divenuto in ambi i lati
perfettamente piano: era assolutamente impossibile che esse avessero potuto
renderlo tale col corrodere il lato convesso, per l'estrema sottigliezza del
piccolo strato: quindi sospetto che le api in questi casi, stando nelle celle
opposte, spingano e pieghino la cera duttile e calda (come io stesso potei
facilmente provare) nel proprio strato intermedio e così la spianino.
Dal fatto della striscia di cera colorata possiamo rilevare
chiaramente che, se le api avessero a costruire per sè una sottile
parete di cera, formerebbero le loro celle della grandezza consueta,
collocandole alla distanza determinata fra loro ed escavandole
contemporaneamente e studiandosi di fare le loro vaschette esattamente
sferiche; ma non le prolungherebbero approfondandole al punto di intersecarle
scambievolmente. Ora le api fanno una parete rozza e periferica, una specie di
bordo intorno al favo; e vi scolpiscono poi dai lati opposti le loro celle, che
incavano sempre più lavorando circolarmente, come può vedersi
chiaramente se si guardi il lembo del favo che stanno costruendo. Così
esse non formano nello stesso tempo l'intera base piramidale a tre faccie, ma
soltanto quello strato romboidale che si trova sull'estremo margine del favo od
anche due faccie, come può osservarsi; ed esse non compiono mai gli
spigoli superiori delle faccie romboidali, finchè le pareti esagone non
sono cominciate. Alcune di queste osservazioni differiscono da quelle fatte dal
giustamente celebrato Huber il vecchio, ma sono convinto dell'accuratezza delle
medesime; e se avessi spazio potrei dimostrare che sono in accordo colla mia
teoria.
L'opinione
di Huber, che la prima cellula sia scavata in una piccola parete di cera a lati
paralleli, non è pienamente fondata, per quanto mi fu dato di osservare;
poichè il primo lavoro è sempre stato un piccolo cappuccio di
cera; ma non mi diffonderò qui in ulteriori dettagli. Noi vediamo quanto
sia importante l'atto della escavazione, nella costruzione delle celle; ma
sarebbe un grande errore il supporre che le api non possano formare un rozzo
strato di cera nella conveniente posizione, cioè, secondo il piano
d'intersezione delle due sfere adiacenti. Io conosco parecchi fatti che dimostrano
evidentemente la realtà di quanto affermo. Anche nel bordo informe e
periferico di cera, o in quel piano che si trova in costruzione, possono
osservarsi talvolta delle curvature le quali, per la loro situazione,
corrispondono appunto agli strati delle faccie romboidali delle basi delle
future cellette. Ma questa grossolana parete di cera deve in ogni caso essere
lavorata e ridotta a perfezione dalle api, che la incavano profondamente da
ambe le parti. È molto curioso il modo tenuto dalle api nel costruire le
loro celle; esse formano sempre il primo rozzo strato dieci o venti volte
più grosso della parete eccessivamente delicata della cella, parete che
infine deve rimanere. Noi possiamo comprendere come esse lavorano, supponendo
che dei muratori formino dapprima un grande ammasso di cemento, e quindi
comincino da ambi i lati a levare ugualmente fino al livello del suolo tutto
l'eccedente del muro sottile che deve restare nel mezzo, rimettendo sempre
sopra l'ammasso il cemento sottratto ai fianchi e mescolandolo con cemento
fresco. Si avrebbe in tal modo un muro sottile, che si alzerebbe costantemente
e porterebbe alla sommità una gigantesca cornice. Tutte le celle, siano
appena cominciate, siano compiute, rimangono così coronate di un forte
bordo di cera e permettono quindi alle api di riunirsi ed appoggiarsi sul favo,
senza danneggiare le delicate pareti esagone. Queste pareti sono molto
variabili in grossezza, come gentilmente mi fu accertato dal prof. Miller:
però una media di dodici misure prese sui margini diede 1,353 di pollice
inglese di grossezza; mentre sopra ventun misure prese, le faccie delle basi
romboidali si trovarono di 1,229 di pollice, cioè più grosse,
incirca secondo la proporzione di tre a due. Per questa
singolare maniera di fabbricare, il favo rimane continuamente solido,
trovandosi infine risparmiata una grande quantità di cera.
Sembra
sulle prime che si renda maggiore la difficoltà di comprendere la
costruzione delle celle, dal vedere che una moltitudine di api vi è
applicata al lavoro: e che un'ape, dopo di avere atteso per breve tempo ad una
cella, passa ad un'altra; per cui una ventina di individui partecipano sino dal
principio alla costruzione della prima cella, come constatò Huber. Io
giunsi ad osservare praticamente questo fatto, coprendo gli spigoli delle
pareti esagone di una cella, oppure l'estremo lembo del bordo periferico di un
favo incipiente, con uno strato estremamente sottile di cera fusa colorata di
rosso; e trovai sempre che il colore veniva più uniformemente steso
dalle api, come potrebbe ottenerlo un pittore col suo pennello, quando esse
prendevano degli atomi di codesta cera colorata dal punto in cui io l'avevo
posta, e la impiegavano sulle pareti di tutte le celle vicine. L'opera di
costruzione sembra una specie di bilancia che si stabilisca fra molte api, le
quali tengonsi tutte alla medesima distanza relativa fra loro, e con uguale
tendenza di scavare delle sfere identiche, di costruirvi sopra i loro prismi e
di arrestarsi dall'incavare i piani di intersezione esistenti fra queste sfere.
Era in verità cosa curiosissima il notare nei casi difficili, come
quando due pezzi di favo si incontrano ad angolo, quanto spesso le api rovesciavano e ricostruivano la medesima cellula,
talvolta adottando di nuovo una forma da esse reietta.
Quando
le api si trovano in un luogo in cui possano stare nelle posizioni convenienti
per le loro costruzioni, per esempio, sopra un tavolato che sia collocato
direttamente sotto il punto centrale di un favo in costruzione
all'ingiù, per modo che il favo debba costruirsi sopra una faccia del
tavolato, in tal caso le api possono mettere le fondazioni della parete di un
nuovo esagono nella situazione rigorosamente voluta, proiettandolo verso le
altre celle finite. Basta che le api sappiano tenersi alle convenienti distanze
relative fra loro e dalle pareti delle celle ultimamente compiute,
perchè allora, descrivendo delle sfere immaginarie, possano elevare una
parete intermedia a due sfere contigue. Ma, per quanto io mi abbia osservato,
esse non si arrestano dal corrodere e non terminano gli angoli di una cellula,
finchè non sia stata costrutta una gran parte di questa o delle celle
vicine. Questa capacità delle api di formare, in certe circostanze, una
parete grossolana nel suo posto preciso, fra due celle appena cominciate,
è importante, quando si rifletta che si fonda sopra un fatto che a primo
aspetto sembra sovversivo per la mia teoria; cioè che le celle sul
margine estremo dei favi delle vespe sono talvolta perfettamente esagone; ma, per
difetto di spazio, non posso entrare in questo argomento. Non mi pare gran
fatto difficile che un singolo insetto faccia delle celle esagone (come nel
caso della vespa-regina) quando lavori alternativamente all'interno ed
all'esterno di due o tre celle cominciate contemporaneamente, stando sempre ad
una distanza relativa conveniente dalle parti delle celle cominciate, per
descrivere le sfere o i cilindri e costruire i piani intermedi. Può
anche concepirsi come un insetto possa fissarsi sopra un punto, dal quale
incominci una cella e, muovendo da quello, si volga prima verso un punto, poi
verso cinque altri punti, alle proprie relative distanze dal punto centrale e
fra loro; descriva i piani di intersezione e così formi un esagono
isolato; ma io non credo che un simile processo sia stato osservato. Nè
deve essersi prodotto qualche vantaggio dalla costruzione di un esagono, quando
nella sua costruzione si impieghino maggiori materiali che nella formazione di
un cilindro.
Come
l'elezione naturale agisce solamente per l'accumulazione di piccole
modificazioni nella struttura o nell'istinto, quando ognuna di esse sia
vantaggiosa all'individuo nelle sue condizioni vitali, così potrebbe
ragionevolmente chiedersi in che modo una lunga e graduale successione di
istinti architettonici modificati, tutti tendenti al presente piano perfetto di
costruzione, abbia potuto giovare ai progenitori dell'ape domestica. La
risposta non è difficile; infatti noi sappiamo che le api sono spesso
duramente stimolate a produrre del nèttare a sufficienza. Il Tegetmeier
mi ha informato che si trovò sperimentalmente non consumarsi meno di
dodici a quindici libbre di zucchero secco da uno sciame di api, per la
secrezione di ogni libbra di cera. Deve dunque raccogliersi e consumarsi una
prodigiosa quantità di nèttare liquido dalle api di un alveare,
per la secrezione della cera necessaria alla costruzione dei loro favi. Inoltre
molte api debbono rimanere oziose per molti giorni, durante il processo di
secrezione. È poi necessaria una grande provvista di miele per mantenere
una grande quantità di api nell'inverno; e la sicurezza dell'arnia
dipende principalmente, come sappiamo, dal numero delle api che vi possono soggiornare. Quindi in ogni famiglia di api il
risparmio della cera, servendo ad accrescere la provvigione del miele, deve
essere il più importante elemento di successo. Naturalmente, il successo
di ogni specie di api deve anche dipendere dal numero dei loro parassiti, o di
altri loro nemici, od anche da cause affatto distinte: e per conseguenza
può essere affatto indipendente dalla quantità del miele che esse
possono raccogliere. Ma supponiamo per un momento che quest'ultima circostanza
determini, come probabilmente deve spesso determinare, il numero dei pecchioni
che possono esistere in un paese; e supponiamo inoltre (al contrario di quanto
realmente avviene), che lo sciame viva per tutto l'inverno e quindi vada in
traccia di una provvista di miele; in questo caso non potrebbe dubitarsi che
sarebbe profittevole ai nostri pecchioni che il loro istinto, modificandosi
leggermente, li determinasse a fabbricare le loro celle di cera tanto vicine
fra loro da intersecarsi un poco; perchè una parete, comune a due celle
adiacenti, risparmierebbe una piccola quantità di cera. Sarebbe dunque
profittevole ai pecchioni il formare le loro celle sempre più regolari,
più vicine l'una all'altra ed agglomerate in una sola massa, come quelle
della Melipona; perchè allora una gran parte della superficie che
limita ciascuna cella, servirebbe a contenerne altre e si avrebbe una maggiore
economia di cera. Per la stessa ragione sarebbe anche utile alla Melipona il
fare le sue celle più vicine fra loro e più regolari, in
qualsiasi modo, che oggi non siano; perchè allora, come abbiamo veduto,
le superfici sferiche scomparirebbero affatto e sarebbero surrogate da
superfici piane; e la Melipona costruirebbe un favo perfetto, come
quello dell'ape domestica. L'elezione naturale non potrebbe condurre al di
là di questo stadio di perfezione architettonica, perchè il favo
dell'ape domestica è, siccome abbiamo notato, assolutamente perfetto, in
ordine all'economia della cera.
In questo modo può spiegarsi, a mio credere, il
più portentoso di tutti gli istinti conosciuti, quello dell'ape
domestica: cioè, coll'ammettere che la elezione naturale abbia saputo
approfittare delle modificazioni piccole, numerose e successive di istinti
più semplici. L'elezione naturale può dunque avere spinto le api,
per gradi lenti e con crescente perfezione, a costruire delle sfere uguali, ad
una data distanza fra loro in uno strato doppio; e a fabbricare ed escavare la
cera, seguendo i piani di intersezione. Le api in verità non sanno di
scolpire le loro sfere ad una determinata distanza fra esse, più di
quello che conoscano i vari angoli dei prismi esagoni e delle faccie piane dei
rombi delle basi. La causa impellente del processo di elezione naturale fu
quella di ottenere risparmio di cera, conservando insieme alle celle la dovuta
solidità, e la grandezza e forma adatte per le larve, e perciò
quello sciame particolare che formò le migliori celle, e consumò
meno miele nella secrezione della cera, riuscì meglio degli altri, e
trasmise per eredità i suoi istinti economici acquistati ai nuovi
sciami, i quali, alla loro volta, avranno goduto di una maggiore
probabilità di trionfare nella lotta per l'esistenza.
RAPPORTO AGLI ISTINTI; INSETTI NEUTRI E STERILI
Si è
obbiettato alle precedenti considerazioni, sull'origine dell'istinto, che «le
variazioni di struttura e di istinto debbono essere state simultanee ed
accuratamente adattate le une alle altre; per modo che una modificazione
nell'una, senza un immediato cambiamento corrispondente nell'altra, sarebbe
stata fatale». Tutta la forza di questa obbiezione sembra consista intieramente
nel supposto che i cangiamenti di istinto e di struttura siano repentini.
Prendiamo, per esempio, il caso della cingallegra maggiore (Parus major),
alla quale facemmo allusione in un capo precedente; quest'uccello spesso
prende i semi del tasso fra i suoi piedi sopra un ramo, e li batte col suo
becco, finchè ne sia uscita la polpa. Ora quale particolare
difficoltà vi sarebbe che l'elezione naturale conservasse ogni piccola
variazione del becco, che lo rendesse meglio adatto a frangere i semi,
finchè si giungesse ad un becco, tanto acconciamente costruito per
codesto scopo come quello del rompinoce, nel medesimo tempo che l'abitudine
ereditaria, o l'impulso per la mancanza di altro cibo, ovvero la conservazione
delle accidentali variazioni del gusto, rendesse l'uccello esclusivamente
granivoro? In tal caso noi supponiamo che il becco si sia lentamente
modificato, per mezzo della elezione naturale, in seguito ad abitudini
lentamente mutate ed in relazione ad esse. Ora ammettiamo che il piede della
cingallegra varii e cresca in grandezza per la correlazione col becco, o per
qualsiasi altra causa; rimarrà forse molto improbabile che questi piedi
più grandi permettano all'uccello di arrampicarsi sempre più
facilmente, finchè esso acquisti il rimarchevole istinto e la
capacità di arrampicare, come il rompinoce? In tal caso si suppone che
un graduale mutamento di struttura ingeneri dei cambiamenti nelle istintive
abitudini della vita. Prendiamo un altro esempio; pochi istinti sono più
notevoli di quello che muove la salangana delle Isole Britanniche Orientali a
formare il suo nido interamente di saliva condensata. Alcuni uccelli fabbricano
i loro nidi colla terra, che si crede umettata colla saliva, e una rondine
dell'America settentrionale fa il suo nido (come ho veduto) con piccoli
pezzetti di legno, agglutinati colla saliva, e con fiocchi di questa sostanza
condensata. È quindi per avventura molto improbabile che l'elezione
naturale di quelle salangane, che avevano una secrezione salivale sempre
più abbondante, abbia infine prodotto una specie con istinti tali da
trascurare gli altri materiali e da fare il proprio nido con saliva
solidificata? Così dicasi in altri casi. Ma deve ammettersi che in molti
esempi non possiamo congetturare se l'istinto o la struttura cominciò
dapprima a variare.
Senza dubbio
potrebbero opporsi alla teoria dell'elezione naturale molti istinti di assai
difficile spiegazione. Quei casi, per esempio, in cui non siamo in grado di
conoscere come un istinto sia stato possibilmente originato; quei fatti in cui
non sappiamo che esistano intermedi passaggi; gli istinti che apparentemente
sono di sì poca importanza, che non sono caduti sotto l'azione della
elezione naturale; quegli istinti che sono quasi identicamente gli stessi, e
che trovansi in animali tanto lontani dalla scala naturale, che non possiamo
stabilire una tale somiglianza sulla eredità da un comune progenitore,
ed anzi dobbiamo ritenere che essi provengano da atti indipendenti di elezione
naturale. Io qui non tratterò questi vari fatti, ma mi limiterò
ad una difficoltà speciale, che sulle prime mi parve insuperabile ed
effettivamente fatale a tutta la mia teoria. Voglio alludere alle femmine
neutre o sterili, nelle famiglie d'insetti; perchè questi neutri
diversificano spesso nell'istinto e nella struttura, e dai maschi e dalle
femmine feconde, ed essendo sterili non possono propagare la loro struttura
particolare.
Il soggetto
meriterebbe di essere discusso a lungo, ma io non mi arresterò che sopra
un solo caso, quello cioè delle formiche operaie. È difficile
comprendere in qual modo le operaie siano divenute sterili, ma ciò non
è più arduo di quanto sia ogni altra grande modificazione di
struttura; mentre può dimostrarsi, che alcuni insetti ed altri animali
articolati divengono accidentalmente sterili nello stato di natura; se questi
insetti furono sociali, e questa modificazione abbia recato profitto alla
società, col nascerne annualmente un certo numero capaci di lavorare, ma
incapaci di procrearne altri, non saprei trovare alcuna seria opposizione a che
altrettanto venisse operato dalla elezione naturale. Ma io debbo oltrepassare
questa preliminare obbiezione. La grande difficoltà consiste nel
trovarsi la struttura delle formiche operaie interamente diversa da quella dei
maschi e da quella delle femmine feconde, come nella forma del torace,
così nell'essere prive di ali e talvolta di occhi, e differendo anche
nell'istinto. Per quanto concerne l'istinto, la prodigiosa differenza fra le
operaie e le femmine perfette, potrebbe opportunamente confrontarsi a quanto si
osserva nelle api domestiche. Se una formica operaia, od un altro insetto
neutro, è stato per l'addietro un animale nello stato ordinario, non
saprei esitare un istante a stabilire che tutti i suoi caratteri furono acquistati
lentamente, per opera dell'elezione naturale; vale a dire, col nascere di un
individuo dotato di alcune piccole modificazioni profittevoli di struttura, le
quali furono ereditate dalla sua prole; indi col variare di questa ed essere
scelta alla sua volta, e così di seguito. Ma nella formica operaia noi
abbiamo un insetto che differisce grandemente da' suoi parenti, e che nondimeno
è assolutamente sterile; per modo che egli non può mai aver
trasmesso successivamente le modificazioni acquistate di struttura o di istinto
alla sua progenie. Si può quindi chiedere, con ragione, come sia
possibile conciliare questo caso colla teoria della elezione naturale
Mi
sia permesso di ricordare, in primo luogo, che noi abbiamo innumerevoli esempi,
sia nelle nostre produzioni domestiche, sia in quelle allo stato di natura, di
tutte le sorta di differenze di struttura che sono correlative a certe fasi
della vita, e all'uno o all'altro sesso. Abbiamo delle differenze correlative
ad un solo sesso, ma che si verificano soltanto per un breve periodo, quando il
sistema riproduttivo è in azione; come nell'abito nuziale di molti
uccelli e nella mascella inferiore ad uncino del salmone maschio. Notiamo
altresì delle piccole differenze nelle corna delle varie razze di
bestiame bovino, in relazione ad uno stato artificialmente imperfetto del sesso
maschile; perchè i buoi di certe razze hanno corna più lunghe di
quelle d'altre razze, in confronto alle corna dei tori o delle vacche di queste
medesime razze. Quindi non trovo una reale difficoltà che
un carattere si sia palesato, in relazione alla condizione di sterilità
di certi membri di una società di insetti: la difficoltà rimane
nello spiegare come queste modificazioni di struttura correlative possano
essere state lentamente accumulate dalla elezione naturale.
Questa
difficoltà, benchè sembri insuperabile, è diminuita o
tolta, come io credo, quando si ricordi che l'elezione può essere
applicata alla famiglia come all'individuo, e può così
raggiungere l'intento desiderato. Gli allevatori del bestiame cercano di avere
la carne ed il grasso bene mescolati insieme; l'animale viene macellato, ma
l'allevatore coltiva con fiducia la stessa razza. Io sono tanto convinto della
potenza dell'elezione da non dubitare che una razza di buoi, la quale produce
continuamente buoi dotati di corna straordinariamente lunghe, deve essere stata
formata lentamente, colla scelta accurata di quelle coppie di tori e di vacche
le quali diedero buoi a corna più lunghe; e nondimeno nessun bue può
mai aver propagato la sua razza. Un fatto reale e più illustrativo
è il seguente. Secondo il Verlot alcune varietà del leucodio
invernale annuo e pieno, in seguito a diligente scelta adatta e lungamente
continuata, generano sempre coi semi molti fiori pieni ed infecondi, ed in
simil modo anche qualche singola pianta semplice e feconda. Queste ultime,
colle quali unicamente la varietà è riprodotta, possono
paragonarsi coi maschi e colle femmine feconde di una colonia di formiche; le
sterili e piene invece corrispondono alle formiche sterili e neutre. Come nelle
varietà del leucodio, così negli insetti sociali, l'elezione
naturale fu applicata alla famiglia e non all'individuo per raggiungere uno
scopo utile. Noi possiamo quindi concludere che una piccola modificazione di struttura
o di istinto, in relazione alla condizione sterile di certi membri della
comunità, sia riuscita vantaggiosa alla comunità stessa; per
conseguenza i maschi e le femmine feconde della colonia prosperarono, e
trasmisero alla loro progenie, pure feconda, la tendenza di produrre individui
sterili, dotati di quella modificazione. E questo processo fu ripetuto,
finchè si ottenne quel prodigioso insieme di differenze fra le femmine
feconde e le sterili della stessa specie, le quali noi osserviamo in molti
insetti sociali.
Ma
non abbiamo ancora toccato il culmine della difficoltà, cioè il
fatto che i neutri di parecchie formiche non differiscono soltanto dalle
femmine feconde e dai maschi, ma diversificano inoltre fra loro; talvolta ad un
grado quasi incredibile e sono così divisi in due o tre caste. Le caste,
inoltre, non sono generalmente in gradazione, ma sono perfettamente bene
definite; e tanto distinte fra loro, quanto possono esserlo due specie di uno
stesso genere, o due generi di una stessa famiglia. Così nella Eciton
abbiamo le neutre operaie e le neutre soldate, con mascelle ed istinti
straordinariamente diversi; nella famiglia Cryptocerus le operaie di una
casta sono le sole che portino una singolare sorta di scudo sul loro capo, di
cui non si conosce lo scopo; nelle Myrmecocystus messicane le operaie di
una casta non abbandonano mai il nido; esse sono nutrite dalle operaie di
un'altra casta ed hanno un addome enormemente sviluppato, dal quale si secerne
una specie di miele, che tiene il posto della secrezione degli afidi, o di quel
bestiame domestico, come potrebbe chiamarsi, che le nostre formiche europee
inseguono e tengono in loro potere.
Si dirà certamente che io ho una presuntuosa fiducia
nel principio della elezione naturale, perchè non ammetto che questi
fatti tanto portentosi e bene accertati valgano a distruggere la mia teoria.
Nel caso più semplice, in cui degli insetti neutri tutti di una casta, o
della stessa razza; furono resi affatto diversi dai maschi e dalle femmine
feconde, locchè reputo possibile per fatto della elezione naturale: in
tal caso, noi possiamo con certezza conchiudere, dall'analogia delle variazioni
ordinarie, che ogni piccola modificazione, successiva e vantaggiosa, non si
sarà manifestata dapprima in tutti gli individui neutri dello stesso
nido, ma in alcuni soltanto; e che per l'elezione prolungata di quei parenti
fecondi, che generarono dei neutri dotati di modificazioni utili, tutti i
neutri avranno in ultimo acquistato il carattere desiderato. Partendo da questa
base noi dovremmo trovare occasionalmente degli insetti neutri di una stessa
specie e di un medesimo nido, i quali presentino gradazioni di struttura; ora
ciò avviene appunto di sovente, anche ad onta che pochi insetti neutri
di Europa siano stati studiati accuratamente. F. Smith ha mostrato in qual modo
sorprendente le neutre di parecchie formiche inglesi differiscono fra loro
nella grandezza e talvolta nel colore; e che le forme estreme ponno talvolta
essere perfettamente collegate insieme da individui del medesimo nido. Io
stesso ho rinvenuto delle gradazioni perfette di questa fatta. Spesso accade
che le operaie più grandi, oppure le più piccole, sono le
più numerose; od anche si trova che le operaie grandi e le piccole sono
in gran numero, mentre quelle di una grandezza intermedia sono molto scarse. La
Formica flava ha delle operaie grandi e delle altre piccole: ed inoltre
ne ha alcune poche di corporatura media; e in questa specie, come
osservò F. Smith, le operaie più grandi hanno gli occhi semplici
(ocelli), benchè piccoli, pure chiaramente discernibili; al contrario le
operaie più piccole hanno i loro ocelli rudimentali. Io anatomizzai
diligentemente parecchi individui di queste operaie, e posso assicurare che gli
occhi sono assai più rudimentali nelle piccole operaie e più di
quanto sarebbe dovuto puramente alla loro corporatura, proporzionalmente
più piccola; ed io sono persuaso, benchè non possa accertarlo
positivamente, che le operaie di grandezza intermedia hanno gli ocelli in una
condizione esattamente intermedia. Per modo che noi osserviamo qui due gruppi
di operaie sterili, nel medesimo nido, i quali differiscono non solo per la
grandezza, ma anche pei loro organi visivi, e sono tuttavia connessi da pochi
individui, che si trovano in una condizione intermedia. In via di digressione
aggiungerò che, se le operaie più piccole furon le più
utili alla società, e vennero quindi continuamente prescelti quei maschi
e quelle femmine che produssero delle operaie vieppiù piccole; infino a
che tutte le operaie acquistarono questa struttura, avrebbe dovuto risultarne
una specie di formica, con individui neutri, quasi analoga e nelle medesime
condizioni della specie Myrmica, in quanto che le operaie non hanno
alcun rudimento degli occhi semplici, benchè i maschi e le femmine di
questo genere abbiano gli ocelli bene sviluppati.
Citerò anche un altro caso. Io ero tanto convinto di
rinvenire delle gradazioni, in certe parti importanti della struttura, fra le
diverse caste di neutri appartenenti ad una medesima specie, che di buon grado
mi valsi dell'offerta fattami dallo Smith di molti campioni tratti da un nido
di Anomma, formica cacciatrice dell'Africa Occidentale. Il
lettore apprezzerà forse meglio la somma delle differenze in queste
operaie, anzichè dietro gli effettivi riscontri, per mezzo di una
similitudine accurata. Possiamo infatti rappresentare questa totale differenza
col figurarci una schiera di lavoratori, che fabbrichino una casa, molti dei
quali abbiano un'altezza di quattro piedi e cinque pollici, ed altri abbiano la
statura di sedici piedi; dobbiamo poi supporre che gli operai più grandi
abbiano una testa quattro volte maggiore di quella degli altri, invece di
averla il triplo di grossezza, e delle mascelle quasi cinque volte più
ampie. Inoltre le mascelle delle formiche operaie di diversa grandezza
differirebbero immensamente nella conformazione come nella forma e nel numero
dei denti. Ma il fatto più importante per noi è, che, quantunque
le operaie possano aggrupparsi in caste di corporatura differente, nondimeno
esse sono insensibilmente in gradazione fra loro, come avviene nella
diversissima struttura delle mascelle. Posso sostenere apertamente la
verità di questo fatto, perchè provato dai disegni che mi fece il
sig. Lubbock, colla camera lucida, di mascelle da me tagliate sulle operaie di
diversa grandezza.
Appoggiato a questi fatti, io ritengo che la elezione
naturale, operando sui parenti fecondi, possa dare origine ad una specie che
debba produrre regolarmente degli individui neutri, i quali o siano tutti di
grande statura, con una data forma di mascelle, oppure siano di piccola
statura, con mascelle conformate affatto diversamente; od anche in fine, una
parte di una certa grandezza e struttura, e simultaneamente un'altra parte di
una struttura e di una grandezza diversa, e questa è la maggiore
difficoltà per noi. Essendosi per tal modo formata sulle prime una serie
graduale, come nel caso della formica cacciatrice, e riuscendo le forme estreme
più utili alla colonia, queste ultime saranno state propagate in
quantità crescente, per mezzo della elezione naturale dei progenitori
dai quali derivarono: finchè tutte quelle che avevano una struttura
intermedia cessarono, non essendo riprodotte.
Un'analoga spiegazione diede il Wallace del fatto ugualmente
complicato, che cioè certe farfalle malesi appariscono regolarmente allo
stesso tempo in due e perfino tre diverse forme femminili; così pure il
Fritz Müller a proposito di diversi crostacei brasiliani, che presentano due
forme maschili diversissime l'una dall'altra. Ma non è d'uopo sviluppare
qui l'argomento.
Tale
fu, a mio credere, l'origine del meraviglioso fatto della esistenza di due
caste, nettamente definite, di operaie sterili nel medesimo nido, pienamente
diverse fra loro e dai loro parenti. Avviseremo alla grande utilità
della loro produzione rispetto alla sociale comunità degli insetti a cui
appartengono, per quel medesimo principio della divisione del lavoro, che
è tanto vantaggioso all'uomo civilizzato. Siccome le formiche lavorano
per gli istinti ereditati, e con gli organi ed apparecchi pure ereditati, e non
già per le cognizioni acquistate e con utensili da esse apprestati, in
esse non può effettuarsi una perfetta divisione di lavoro, se non per
mezzo delle operaie divenute sterili; queste furono feconde
in origine, indi subirono degli incrociamenti, e i loro istinti, non che la
loro struttura, furono modificati e confusi. Io credo che la natura abbia
effettuata quest'ammirabile divisione di lavoro nelle colonie di formiche,
mediante il processo di elezione naturale. Ma sono anche costretto a confessare
che, non ostante tutta la mia fiducia in questo principio, io non avrei mai
supposto che la elezione naturale avesse un potere così elevato, se il
fatto degli insetti neutri non mi avesse alla perfine convinto di questa
verità. Volli discutere questo caso un po' lungamente, benchè non
lo abbia fatto a sufficienza, per provare quale sia il valore della elezione
naturale, e parimenti perchè codesta è la più grave delle
difficoltà speciali che si sono opposte alla mia teoria. Questi fatti
sono molto interessanti, perchè dimostrano che negli animali, come nelle
piante, ogni complesso di modificazioni nella struttura può essere
prodotto dall'accumulazione di molte variazioni piccole e apparentemente accidentali,
vantaggiose in qualche guisa, senza che l'esercizio o l'abitudine vi abbiano
alcuna parte. Perchè nè l'esercizio, nè l'abitudine,
nè la volontà possono avere alcuna influenza nei membri
completamente sterili di una famiglia d'insetti, per modificare la struttura o
gl'istinti degli individui fecondi, i quali soli lasciano una discendenza. Sono
sorpreso che niuno abbia messo innanzi questo caso dimostrativo degli insetti
neutri contro la nota dottrina delle abitudini ereditarie sostenuta da Lamarck.
SOMMARIO
Nel presente capitolo io mi sono studiato di dimostrare
brevemente che le qualità mentali de' nostri animali domestici variano,
e che le variazioni sono ereditate. Più brevemente ancora ho cercato di
provare che gli istinti variano leggermente allo stato di natura. Niuno
contesterà che gli istinti siano della più alta importanza per
ogni animale. Quindi non trovo alcuna difficoltà che la elezione
naturale, sotto condizioni di vita mutabili, accumuli le piccole modificazioni di
istinto, fino ad un certo grado, e in qualsiasi utile direzione. In certi casi
anche l'abitudine, e l'uso o il non-uso entrano in giuoco probabilmente. Non
pretendo che i fatti, da me addotti in questo capo, avvalorino grandemente la
mia dottrina; ma nessuna delle obbiezioni affacciate, per quanto mi è
dato giudicare, giunse a distruggerla. D'altra parte il fatto che gli istinti
non sono mai assolutamente perfetti e sono soggetti ad equivoci: - che niuno
istinto fu prodotto ad esclusivo profitto degli altri animali, ma che ogni
animale si vale degli istinti degli altri; - che il canone della storia
naturale Natura non facit saltum è applicabile agli istinti non
meno che alla struttura corporea, e può spiegarsi facilmente dietro le
precedenti considerazioni, mentre altrimenti non saprebbe spiegarsi; tutto
ciò tende a consolidare la teoria della elezione naturale.
Questa teoria è inoltre sostenuta da alcuni altri fatti
relativi all'istinto. Per es., dal caso comune di quelle specie, strettamente
affini, ma al certo diverse, le quali trovandosi in luoghi distinti della terra
e vivendo sotto circostanze di vita assai diverse, pure spesso conservano
istinti quasi identici. Noi possiamo intendere, per mezzo del principio di
eredità, come accada che il tordo dell'America meridionale intonachi il
suo nido col fango nella stessa maniera del nostro tordo inglese; come i
buceronti dell'Africa e dell'India abbiano il medesimo straordinario istinto di
chiudere ed imprigionare le femmine nella cavità degli alberi, lasciando
solamente una piccola apertura nell'intonaco, dalla quale porgono il cibo alle
femmine ed alla prole; perchè il reattino maschio (Troglodytes)
dell'America settentrionale si costruisca un nido separato, ed abbia
l'abitudine di appollaiarsi, come i maschi dei nostri distinti reattini di
Kitty, - abitudine interamente diversa da quelle degli altri uccelli
conosciuti. Da ultimo, ancorchè non fosse una deduzione logica, sarebbe
assai più soddisfacente il rappresentare alla mia immaginazione tali
istinti, come quello del cuculo che scaccia dal proprio nido i fratelli, quello
delle formiche che catturano le schiave, quello delle larve d'icneumonidi che
nutronsi nei corpi viventi dei bruchi, non già come istinti specialmente
determinati e creati, ma bensì quali conseguenze di una legge generale
che conduce al progresso di ogni essere organico, vale a dire, a moltiplicare,
a variare, a rendere vittoriosi i più forti ed a far soggiacere i
più deboli.
CAPO IX
IBRIDISMO
Distinzione
fra la sterilità dei primi incrociamenti e quella degl'ibridi -
Sterilità varia in diversi gradi, non universale; aumentata da
incrociamenti stretti, diminuita per mezzo della domesticità - Leggi che
governano la sterilità degli ibridi - La sterilità non è
una dote speciale, ma incidentale per altre differenze organiche - Cagioni
della sterilità dei primi incrociamenti e di quella degl'ibridi -
Parallelismo fra gli effetti delle mutate condizioni di vita e degli
incrociamenti - Fecondità delle varietà incrociate e della loro
prole meticcia; essa non è generale - Ibridi e meticci paragonati,
indipendentemente dalla loro fecondità - Sommario.
I naturalisti generalmente ammettono che, quando una specie
è incrociata, viene specialmente dotata della qualità di
sterilità, per prevenire la confusione di tutte le forme organiche.
Questa opinione sembra certo a primo aspetto probabile, perchè le specie
che vivono in una medesima regione non potrebbero in modo alcuno rimanere
distinte, quando fossero capaci di incrociarsi liberamente. Secondo la teoria
dell'elezione naturale questo caso acquista un valore affatto speciale,
dappoichè la sterilità delle specie al primo incrociamento e de'
loro discendenti ibridi non può essere derivata da una continua preservazione
di successivi stadii giovevoli di sterilità; essa è il risultato
incidentale di differenze nel sistema riproduttivo delle specie madri.
Nella trattazione di questo argomento si sogliono
ordinariamente confondere insieme due classi di fatti, che hanno una grande
differenza fondamentale; cioè la sterilità di due specie quando
per la prima volta si incrociano, e la sterilità degli ibridi, che dalle
medesime provengono.
Le specie pure hanno naturalmente i loro organi di
riproduzione in una perfetta condizione; nondimeno, quando siano incrociate,
non producono prole alcuna, oppure ne producono poca. Gl'ibridi al contrario
hanno i loro organi riproduttivi in uno stato d'impotenza funzionale, come
può osservarsi chiaramente nella struttura degli organi maschili nelle piante
e negli animali, benchè gli organi stessi siano di una struttura
perfetta, come apparisce dalle osservazioni fatte col microscopio. Nel primo
caso, i due elementi sessuali che vanno a formare l'embrione sono perfetti; nel
secondo caso essi non sono intieramente sviluppati, oppure lo sono
imperfettamente. Questa distinzione è importante quando debba
considerarsi la causa della sterilità, che è comune ai due casi;
ed è stata probabilmente negletta perchè si considerava questa
sterilità, in ambi i casi, come una dote speciale, superiore alle nostre
facoltà intellettuali.
La fecondità delle varietà incrociate,
cioè di quelle forme che sappiamo o crediamo derivate da comuni
progenitori e parimenti la fecondità della loro prole meticcia, sono,
rispetto alla mia teoria, di un'importanza uguale a quella della
sterilità delle specie; perchè sembrano stabilire una chiara e
netta distinzione fra le varietà e le specie.
GRADI DI
STERILITÀ
Esaminiamo
anzitutto la sterilità delle specie incrociate e della loro prole
ibrida. È impossibile studiare le diverse memorie e le opere di
Kölreuter e di Gärtner, coscienziosi ed abilissimi osservatori, che
consacrarono quasi tutta la loro vita a questo soggetto, senza rimanere
profondamente colpiti dalla grande estensione di un grado maggiore o minore di
sterilità delle specie incrociate. Kölreuter ne fa una legge universale;
ma egli tronca il nodo della questione quando in dieci casi diversi in cui egli
trova due forme, considerate dalla maggior parte degli autori come specie distinte,
perfettamente feconde tra loro, egli le classifica senza esitare come
varietà. Anche Gärtner ammette la regola universale ed impugna la
perfetta fecondità dei dieci casi del Kölreuter. Ma Gärtner è
costretto in questo ed in molti esempi a contare accuratamente i semi per
dimostrare che le specie sono affette da qualche grado di sterilità.
Egli confronta sempre il numero massimo dei semi, prodotti dalle due specie
incrociate e della loro prole ibrida, col numero medio prodotto dalle due
specie-madri allo stato di natura. Ma parmi che una grave causa di errore non
sia qui stata eliminata; per rendere ibrida una pianta si deve castrarla e si
deve inoltre, ciò che più monta, segregarla in modo da impedire
che gli insetti spargano sopra di essa il polline di altre piante. Quasi tutte
le piante sperimentate dal Gärtner erano in vasi, e forse conservate in una
stanza della sua casa. Non può rivocarsi in dubbio
che questi processi siano spesso dannosi alla fecondità di una pianta;
perchè Gäürtner stesso dà, nella sua tavola, una ventina circa di
casi di piante castrate ed artificialmente fecondate col loro proprio polline:
e la metà circa di queste venti piante perdette qualche poco della
primiera fecondità (escluse tutte quelle piante che, come le leguminose,
presentano molta difficoltà per questa operazione). Inoltre, se noi
pensiamo che Gärtner per parecchi anni ripetutamente incrociava la Primula
vulgaris colla Primula veris, che abbiamo buone ragioni di
ritenere come due varietà, e soltanto una volta o due ne ricavò
del seme fecondo; che egli trovò assolutamente sterili fra loro
l'anagallide rossa e l'anagallide azzurra (Anagallis arvensis e A.
cœrulea), che i migliori botanici pongono fra le
varietà, e che infine egli giunse alla medesima conclusione in molti altri
casi analoghi, mi sembra che sia permesso di dubitare se gli incrociamenti fra
molte altre specie siano realmente sterili, come lo crede il Gärtner.
Da un'altra parte è indubitato che la sterilità
di alcune specie, quando sono incrociate, è diversa e si manifesta con
tutte le gradazioni, mentre la fecondità([17])
di una specie pura è soggetta con tanta facilità all'azione di
varie circostanze, che in ogni caso pratico diviene estremamente malagevole il
dire dove termina la fecondità perfetta e dove la sterilità
comincia. Non so quale miglior prova possa trovarsi intorno a ciò, di
quella delle conclusioni diametralmente opposte a cui arrivarono, rispetto alle
medesime specie, i due più esperti osservatori citati, cioè
Kölreuter e Gärtner. Sarebbe anche molto istruttivo il paragonare le asserzioni
dei nostri migliori botanici sulla questione, se certe forme dubbie debbano
collocarsi fra le specie o fra le varietà, colle prove della fecondità
addotte da certi esperimentatori sugli incrociamenti e sugli ibridi, o cogli
esperimenti fatti dagli autori per parecchi anni, ma io non posso qui
estendermi in dettagli. Per tal modo può sostenersi che nè la
sterilità, nè la fecondità possono servire di base ad una
chiara distinzione fra le specie e le varietà; ma che invece le prove,
tratte da questa sorgente, si distruggono e rimangono dubbie, per lo meno come
quelle che si appoggiano sopra altre differenze di costituzione.
Rispetto alla sterilità degli ibridi nelle successive
generazioni, benchè Gärtner abbia potuto riprodurne alcuni,
preservandoli accuratamente da ogni incrociamento con una delle due
madri-specie distinte, per sei o sette generazioni ed in un caso per dieci
generazioni, nondimeno egli assicura positivamente che la loro fecondità
non aumenta, anzi, generalmente decresce. Non dubito che tale sia il caso
ordinario e che la fecondità spesso rapidamente diminuisca nelle prime
generazioni. Ciò non pertanto credo che, in tutti questi esperimenti, la
fecondità fu scemata da una causa indipendente, vale a dire, per gli
incrociamenti di forme molto affini. Io raccolsi molti fatti che ci dimostrano
essere la fecondità diminuita dagli incrociamenti stretti e che
d'altronde un incrociamento accidentale con un individuo o con una
varietà distinta l'accresce, nè posso quindi rivocare in dubbio
la esattezza di questa opinione, quasi universale presso gli allevatori. Gli
ibridi sono di rado allevati in gran numero dagli esperimentatori; e siccome le
due specie-madri od altri ibridi affini crescono generalmente nel medesimo
giardino, le visite degli insetti debbono essere impedite durante la stagione
della fioritura; quindi gli ibridi saranno fecondati generalmente per ogni
generazione, per mezzo del proprio polline individuale; e sono convinto che
ciò riesce dannoso alla loro fecondità, già infiacchita
dalla loro origine ibrida. Questa convinzione venne avvalorata dalla
rimarchevole osservazione ripetutamente fatta dal Gärtner, cioè che se
gli ibridi, anche i meno fecondi, sono artificialmente cospersi di polline
ibrido della stessa razza, la loro fecondità decisamente si accresce e
continua ad aumentare, ad onta dei frequenti dannosi effetti della operazione.
Ora, nelle fecondazioni artificiali il polline spesso viene preso
accidentalmente (come potei verificare per le mie stesse esperienze) dalle
antere di un altro fiore, anzichè da quelle del fiore stesso che si vuol
fecondare; per modo che deve così aver luogo un incrociamento fra due
fiori, quantunque siano probabilmente di una medesima pianta. Inoltre nel corso
delle complicate esperienze, fatte da un osservatore tanto accurato come il
Gärtner, egli non può avere omesso di castrare i suoi ibridi, e
ciò deve avere assicurato per ogni generazione un incrociamento col
polline di un fiore distinto della stessa pianta, o di qualche altra pianta
della stessa natura ibrida. Quindi il fatto strano dell'aumento di
fecondità, nelle generazioni successive di ibridi artificialmente
fecondati, può, a mio avviso, essere spiegato dall'impedimento frapposto
agli stretti incrociamenti.
Ci sia permesso di portare ora la nostra attenzione sui
risultati ottenuti dal terzo, fra i più esperti allevatori di ibridi,
dall'onorevole e rev. W. Herbert. Egli era tanto enfatico per la sua
conclusione, cioè che alcuni ibridi sono perfettamente fecondi, non meno
delle madri-specie pure, quanto lo erano Kölreuter e Gärtner sul diverso grado
di sterilità fra le specie distinte, che considerano una legge
universale della natura. Egli fece le sue esperienze sopra parecchie delle
medesime specie osservate dal Gärtner. La differenza dei loro risultamenti
credo può attribuirsi in parte alla grande abilità di Herbert
nell'orticoltura ed alle serre calde che questi possedeva. Di queste conclusioni
importanti io ne addurrò qui una sola come esempio, vale a dire che
«ciascun ovulo nella pianta del Crinum capense fecondato col Crinum
revolutum produsse una pianta, locchè (egli dice) io non ho mai
trovato nel caso della sua fecondazione naturale». Dunque noi qui abbiamo una
fecondità perfetta ed anche più perfetta dell'ordinario, dopo un
primo incrociamento fra due specie distinte.
Il caso del Crinum mi trae a riferire un fatto anche
più singolare; cioè che abbiamo alcune piante di certe specie di Lobelia,
di Verbascum e di Passiflora, le quali possono essere
assai più facilmente fecondate dal polline di altre specie distinte, che
non dal proprio polline, e sembra che tutti gli individui di quasi tutte le
specie di Hippeastrum abbiano questa particolarità. Queste piante
produssero seme, allorchè furono fecondate dal polline di una specie
distinta, rimanendo affatto sterili se fecondate dal polline loro proprio:
benchè questo polline fosse trovato perfettamente attivo sulle piante di
specie differenti. Per modo che certe piante individuali e tutti gli individui
di certe specie possono attualmente produrre ibridi con molto maggiore
facilità di quel che possano propagare la loro specie! Per esempio, un
bulbo di Hippeastrum aulicum produsse quattro fiori, tre dei quali
furono fecondati da Herbert col loro polline, e il quarto invece col polline di
un ibrido composto, derivato da tre altre specie distinte: «Gli ovari dei tre
primi fiori cessarono tosto dal loro sviluppo e dopo pochi giorni perirono
affatto; al contrario, l'ovario, impregnato col polline dell'ibrido, prese uno
sviluppo vigoroso e giunse con rapido progresso alla maturazione e diede ottimo
seme, che vegetò vigorosamente». Lo Herbert ha ripetuto l'esperimento
per parecchi anni ed ha ottenuto sempre il medesimo risultato. Questi fatti
dimostrano da quanto piccole e misteriose cause dipenda talvolta la minore o
maggiore fecondità delle specie.
Le esperienze pratiche, degli orticultori, quantunque non
siano fatte con precisione scientifica, meritano qualche menzione. È
notorio in quanti modi complicati siano state incrociate le specie di Pelargonium,
di Fuchsia, di Calceolaria, di Petunia,
di Rhododendron, ecc., però molti di questi ibridi si
propagano liberamente. Herbert, per esempio, asserisce che un ibrido della Calceolaria
integrifolia colla C. plantaginea, specie le
più dissomiglianti per le loro generali abitudini, «si riproduce
perfettamente, non altrimenti che se fosse una specie naturale delle montagne
del Chilì». Ho posto qualche studio ad accertare il grado di
fecondità di alcuni fra gli incrociamenti complessi del Rhododendron ed
ho riconosciuto che molti sono perfettamente fecondi. Così C. Noble mi
ha informato che egli, per avere degli innesti, allevava un ibrido ricavato
dallo incrociamento del Rhod. porticum col Rhod. catawbiense, e
che questo ibrido «dava semi con tanta abbondanza quanta si può
immaginare». Quando gli ibridi, convenientemente trattati, divenissero meno
prolifici ad ogni successiva generazione, secondo l'opinione di Gärtner, allora
questo fatto sarebbe conosciuto dai giardinieri. Gli orticultori allevano sopra
larghi spazi molti individui di uno stesso ibrido, e in questo solo caso sono
trattati convenientemente, perchè allora i diversi individui della
stessa varietà ibrida possono incrociarsi liberamente fra loro, per
l'azione degli insetti, e viene così impedito il dannoso effetto delle
fecondazioni fra individui molto affini. Ognuno può facilmente
persuadersi della efficacia dell'opera degli insetti, esaminando i fiori delle
forme più sterili del Rhododendron ibrido, che non producono
polline; egli troverà sugli stimmi una quantità di polline
appartenente ad altri fiori.
A questo riguardo, si sono fatte molto minori esperienze sugli
animali che non sulle piante. Se le nostre classificazioni sistematiche hanno
fondamento, vale a dire, se i generi degli animali sono distinti fra loro come
quelli delle piante, allora noi possiamo dedurne che alcuni animali, più
discosti fra loro nella scala della natura, possono essere più
facilmente incrociati delle piante; ma gli ibridi sono poi più sterili.
Bisogna però ricordare che pochi animali si riproducono copiosamente
allo stato di reclusione, e che quindi poche esperienze sono state fatte come
conviene. Per esempio, il canarino è stato incrociato con nove altri
passeri, ma niuna di queste nove specie si propaga bene, trovandosi in
captività, e per conseguenza non abbiamo motivo di aspettarci che i
primi incrociamenti fra i medesimi e il canarino, o i loro ibridi debbano essere
perfettamente fecondi. Riguardo alla fecondità dei più fecondi
fra gli animali ibridi, nella serie delle generazioni successive, io non
conosco un solo esempio di cui due famiglie di ibridi uguali siano state
allevate contemporaneamente da parenti diversi, in modo da evitare i dannosi
effetti degli incrociamenti troppo stretti. Al contrario, i fratelli e le
sorelle furono ordinariamente incrociati ad ogni generazione, in opposizione ai
precetti costantemente ripetuti da ogni allevatore. In tal caso non deve
recarci sorpresa che la sterilità propria degli ibridi vada aumentando.
Quantunque io non conosca alcun fatto assolutamente autentico
di animali ibridi perfettamente fecondi, ho qualche motivo di pensare che
gl'ibridi del Cervulus vaginalis e Reevesii, non che del Phasianus
colchicus col Ph. torquatus e col Ph. versicolor siano
perfettamente tali. Niun dubbio che queste tre ultime specie, vale a dire il
fagiano comune, il vero Ring-necked e quello del Giappone, si sieno
incrociate e mescolate nei boschi di varie parti dell'Inghilterra. Gl'ibridi
dell'oca comune colla cinese (Anser cygnoides), specie tanto
diverse che sono generalmente considerate come spettanti a generi distinti, si
sono spesso propagati nel nostro paese, accoppiandosi, ed in un solo caso
diedero prole inter se. Questo risultato fu ottenuto da Eyton, che
allevò due ibridi provenienti dai medesimi parenti, ma da covate
diverse; e da questi due uccelli egli ricavò non meno di otto ibridi
(nipoti dell'oca pura) da un solo nido. Nell'India però queste oche
incrociate debbono essere assai più feconde; perchè fui
assicurato da due osservatori eminentemente capaci, cioè dal Blyth e dal
capitano Hutton, che in varie parti di questo paese si tengono dei branchi interi
di codeste oche incrociate; e traendosene molto utile nei luoghi in cui niuna
delle due specie-madri esiste, esse debbono necessariamente essere assai
feconde.
Fra gli animali domestici, le varie razze sono perfettamente
feconde; se siano tra loro incrociate, benchè in molti casi discendano
da due o più specie selvaggie. Questo fatto c'induce a concludere che le
specie originali debbano dapprima aver generato ibridi affatto fecondi; ovvero
si deve supporre che gli ibridi diventassero fecondi; nelle generazioni
posteriori, nello stato di domesticità. Quest'ultima alternativa mi
sembra la più probabile e sono inclinato a ritenerla vera, quantunque
non sia direttamente provata. Per esempio, è cosa quasi certa che i
nostri cani derivino da parecchi stipiti selvaggi, che sono tutti perfettamente
fecondi, quando s'incrociano fra loro, eccettuati forse certi cani indigeni e
domestici dell'America meridionale. L'analogia mi conduce a dubitare
grandemente che le varie specie originali abbiano dapprima potuto propagarsi
scambievolmente ed abbiano dato ibridi fecondi. Noi abbiamo altresì
ragione di credere che il bestiame europeo possa prolificare col bestiame
gibboso dell'India. Tuttavia, secondo le osservazioni del Rütimeyer intorno
alle importanti differenze osteologiche, e secondo le notizie del Blyth intorno
alle differenze nelle abitudini, nella voce, nella costituzione, ecc., dobbiamo
considerare quelle due forme come specie buone e distinte. Le stesse
osservazioni possono essere estese alle due principali razze di maiali. Noi
dobbiamo quindi abbandonare l'opinione della quasi universale sterilità
delle specie distinte di animali, allorchè sono incrociate: oppure
dobbiamo considerare la sterilità, non come una caratteristica
indelebile, ma come una qualità che può essere eliminata dalla
domesticità.
Finalmente per tutti i fatti bene constatati
sugl'incrociamenti delle piante e degli animali, possiamo concludere che un
risultato assai generale nei primi incrociamenti e negl'ibridi è un
certo grado di sterilità; ma che non può considerarsi come assolutamente
universale nello stato attuale delle nostre cognizioni.
LEGGI CHE GOVERNANO LA STERILITÀ
DEI PRIMI INCROCIAMENTI E DEGLI IBRIDI
Ora
noi tratteremo con qualche maggiore dettaglio le circostanze e le regole che
governano la sterilità dei primi incrociamenti e degli ibridi. Il nostro
principale oggetto sarà quello di trovare se tali regole indichino che
le specie furono particolarmente dotate di codesta qualità per prevenire
il loro incrociamento e la loro mescolanza, sino ad un'estrema confusione. Le
regole e conclusioni che seguono furono principalmente estratte dall'ammirabile
opera del Gärtner sull'ibridismo delle piante. Io mi applicai con molta cura a
determinare in quale estensione tali regole si verifichino negli animali, e fatto
riflesso al poco nostro sapere rispetto agli animali ibridi, rimasi assai
sorpreso di vedere con quanta generalità le stesse regole si mantengono
nei due regni.
Abbiamo già notato che il grado di fecondità,
sia dei primi incrociamenti, sia degl'ibridi, si manifesta in progressione
crescente dallo zero alla perfetta fecondità. È in vero
sorprendente l'osservare in quante curiose maniere questa gradazione esiste; ma
qui dobbiamo limitarci ad un semplice e nudo abbozzo dei fatti. Quando il polline
della pianta di una famiglia è collocato sugli stimmi della pianta di
una famiglia distinta, non esercita una influenza maggiore di quella che
avrebbe altrettanta polvere inorganica. Da questo zero assoluto di
fecondità, il polline delle specie diverse del medesimo genere posto
sullo stimma di qualcuna di queste specie, presenta una perfetta gradazione nel
numero dei semi prodotti fino alla quasi completa od anche affatto completa
fecondità; e, come potemmo osservare in certi casi anormali, una
fecondità eccedente quella che suole produrre il polline stesso della
pianta. Così anche negl'ibridi ve ne hanno alcuni che nulla producono e
probabilmente non produrranno giammai alcun seme fecondo, anche col polline
della loro madre-specie; ma talvolta si nota una prima traccia di
fecondità, perchè il polline, in alcuni di questi casi, agisce
sul fiore dell'ibrido, il quale si distacca assai prima di quello che
altrimenti farebbe e il più pronto disseccamento del fiore è
già un segnale della fecondazione incipiente. Da questo grado estremo di
sterilità, noi abbiamo piante ibridi che si fecondano tra loro,
producendo un numero di semi sempre più grande, fino alla perfetta
fecondità.
Quegl'ibridi di due specie, i quali difficilmente
s'incrociano, e producono di rado una discendenza, sono generalmente sterili;
ma il parallelismo fra le difficoltà di ottenere un primo incrociamento
e la infecondità degli ibridi prodotti dal medesimo - due classi di
fatti che sogliono confondersi insieme - non è di una esattezza
rigorosa, poichè vi sono molti casi nei quali due specie pure possono
essere accoppiate con straordinaria facilità e producono una numerosa
prole ibrida, benchè questi ibridi siano poi notevolmente sterili. Da
un'altra parte sonovi delle specie che, al contrario, non si possono incrociare
insieme che assai di rado e con molta difficoltà, mentre gli ibridi che
ne risultano sono fecondi: Anche entro i limiti di un medesimo genere questi
due casi opposti hanno luogo; per esempio, nel Dianthus.
La fecondità dei primi incrociamenti e quella degli
ibridi è affetta più facilmente dalle condizioni sfavorevoli, di
quello che lo sia la fecondità delle specie pure. Ma il grado di
fecondità è altresì variabile, per una disposizione
innata; perchè essa non è sempre la stessa, quando le medesime
due specie sono incrociate sotto le medesime circostanze, ma dipende in parte
dalla costituzione degli individui che furono prescelti per l'esperienza.
Altrettanto accade negli ibridi, il cui grado di fecondità fu spesso
trovato differire grandemente nei vari individui, allevati da semi presi dalla
medesima capsula ed esposti alle identiche condizioni.
Col termine affinità sistematica s'intende la
rassomiglianza esistente fra le specie nella struttura e nella costituzione, e
più specialmente nella struttura di quelle parti che sono di un'alta
importanza fisiologica e che differiscono poco nelle specie affini. Ora la
fecondità dei primi incrociamenti fra le specie, e degli ibridi generati
da queste, è subordinata ampiamente alla loro sistematica
affinità. Ciò viene dimostrato chiaramente dal fatto che non
poterono mai ottenersi ibridi fra specie collocate dai sistematici in famiglie
distinte; e inoltre dalla facilità con cui si uniscono generalmente le
specie strettamente affini. Ma la corrispondenza fra l'affinità
sistematica e la facilità d'incrociare non è rigorosa. Potrebbero
infatti citarsi moltissimi casi di specie assai affini che non si uniscono,
ovvero si uniscono soltanto con estrema difficoltà; e d'altra parte
abbiamo delle specie distintissime che si uniscono colla maggiore
facilità. Anche nella medesima famiglia può trovarsi un genere,
come il Dianthus, in cui ben molte specie possono
incrociarsi agevolmente; e se ne può incontrare un altro, come le Silene,
in cui gli sforzi più perseveranti di ottenere, fra specie
estremamente affini, un solo ibrido, sono falliti. Anche nei limiti di uno
stesso genere troviamo la stessa differenza; per esempio, le molte specie di Nicotiana
furono incrociate più largamente delle specie di quasi tutti gli
altri generi; ma Gärtner ha trovato che la Nicotiana acuminata, la
quale non forma una specie particolarmente distinta, ostinatamente si ricusava
di fecondare e di esser fecondata da non meno di otto altre specie di Nicotiana.
Potrebbero addursi molti altri fatti analoghi.
Niuno fin qui fu capace di scoprire di quale natura e quante
siano le differenze, in un dato carattere riconoscibile, che bastino ad
impedire l'incrociamento di due specie. Può provarsi che le piante le
più diverse, per abito e l'apparenza generale, ed aventi delle differenze le
più marcate in ogni parte del fiore ed anche nel polline, nel frutto e
nei cotiledoni, possono essere incrociate. Le piante annue e le perenni, gli
alberi a foglie caduche o sempre verdi, le piante che abitano stazioni diverse
e sono stabilite sotto climi i più opposti, possono di sovente essere
incrociate facilmente.
Colle parole
«incrociamento reciproco» fra due specie, s'intende il caso, per esempio, di un
cavallo stallone incrociato con un'asina e quindi di un asino accoppiato con
una cavalla; queste due specie possono dirsi allora reciprocamente incrociate.
Anche qui abbiamo spesso le maggiori differenze possibili, nell'attitudine
degli incrociamenti reciproci. Questi fatti sono altamente importanti,
perchè dimostrano che la capacità di incrociare due specie
è spesso indipendente dalla loro affinità sistematica o da ogni
differenza apprezzabile nella loro intera organizzazione. Inoltre essi ci
provano chiaramente che l'attitudine di incrociare si connette con differenze costituzionali
che ci sono impercettibili e che sono principalmente annesse al sistema
riproduttivo. Le risultanze diverse degl'incrociamenti reciproci, fra le stesse
due specie, furono osservate da lungo tempo dal Kölreuter. Per darne un
esempio, la Mirabilis jalapa può facilmente essere fecondata dal
polline della Mirabilis longiflora e gli ibridi che se ne ottengono sono
sufficientemente fecondi. Ma Kölreuter tentò per più di duecento
volte, per otto anni consecutivi, di fecondare reciprocamente la M. longiflora
col polline della M. jalapa, ma senza alcun frutto. Vi sono altri casi
egualmente singolari che potrebbero citarsi. Thuret ha osservato questo fatto
in certe alghe marine, o Fucus. Inoltre Gärtner trova che questa
differenza di attitudine, nel dare incrociamenti reciproci, è assai
comune, in un grado minore. Egli notava questa differenza anche tra due forme
tanto intimamente collegate (come la Matthiola annua e glabra),
che molti botanici le riguardano soltanto quali varietà. È anche
un fatto rimarchevole che gli ibridi allevati da incrociamenti reciproci,
benchè derivanti dalle identiche due specie, avendo ognuna di esse
fornito prima il padre e poi la madre, generalmente differiscono nella loro
fecondità in qualche grado e talvolta anche in modo notevole.
Potrebbero
estrarsi dal Gärtner parecchie altre regole singolari. Alcune specie, ad
esempio, hanno una grande attitudine di incrociarsi con altre specie; altre
specie dello stesso genere hanno la singolare facoltà di imprimere la
loro rassomiglianza alla loro prole ibrida; ma queste due facoltà non
sono implicite necessariamente fra loro. Vi sono certi ibridi che invece di
offrire, secondo il consueto, un carattere intermedio fra i loro due
progenitori, sempre rassomigliano maggiormente ad uno di essi; ed appunto
questi ibridi, esternamente sì rassomiglianti ad una sola delle
specie-madri, sono, salvo rare eccezioni, affatto sterili. Così anche
fra quegl'ibridi che ordinariamente hanno una struttura intermedia fra quella
delle madri-specie, sorgono talora degli individui eccezionali ed anormali, che
si avvicinano assai alla forma di uno dei loro parenti puri; ed anche questi
ibridi sono, quasi sempre, pienamente infecondi, perfino quando gli altri
ibridi, provenienti dai semi della medesima capsula, presentano un
considerevole grado di fecondità. Questi fatti provano come la
fecondità degl'ibridi sia onninamente indipendente dalla loro
rassomiglianza esterna all'una o all'altra madre-specie.
Ove si ponga
mente alle varie regole, sin qui esposte, che governano la fecondità dei
primi incrociamenti e degli ibridi, noi vediamo che se due forme, da noi
considerate quali specie buone e distinte, siano accoppiate, la loro
fecondità varia dallo zero fino alla perfetta fecondità, od
anche, in certe condizioni, ad un grado eccedente la fecondità normale.
Che la loro fecondità, non solamente rimane eminentemente suscettibile
di alterazione, per le condizioni favorevoli o contrarie, ma è inoltre
variabile per se stessa. Che non sempre conservasi allo stesso grado nel primo
incrociamento e negli ibridi che ne derivano. Che la fecondità degli
ibridi non si collega al grado della loro rassomiglianza nelle apparenze
esterne ad uno dei due progenitori. Da ultimo, che la facilità di operare
un primo incrociamento fra due specie qualsiasi non dipende sempre dalla loro
affinità sistematica o dalla loro rassomiglianza scambievole.
Quest'ultima legge viene stabilita chiaramente dalla differenza notata nei
risultati dei reciproci incrociamenti fra le medesime due specie;
perchè, a seconda che il padre o la madre si prendono dall'una o
dall'altra specie, si ha generalmente qualche differenza nel successo della
operazione ed anche talvolta una differenza enorme. Inoltre anche gli ibridi
prodotti dagli incrociamenti reciproci differiscono di sovente nel grado di
fecondità.
Ora emerge
forse da queste regole singolari e complesse che le specie siano state dotate
di sterilità semplicemente per impedire la loro confusione nella natura?
Io nol credo. Per qual motivo infatti dovrebbe trovarsi una
sterilità tanto diversa e graduale, allorchè le varie specie sono
incrociate, quando noi dobbiamo supporre che tutte siano egualmente importanti
per essere conservate pure ed impedite dal frammischiarsi insieme?
Perchè deve essere innatamente variabile il grado di sterilità
negl'individui d'una medesima specie? Perchè alcune specie possono
incrociarsi facilmente e generare ibridi sterili, mentre altre specie non si
incrociano che con somma difficoltà e nondimeno producono ibridi molto
prolifici? Perchè si trova spesso una differenza sì grande nei
prodotti degli incrociamenti reciproci, fra le stesse due specie? Potrebbe
ancora chiedersi come mai fu permessa la produzione degli ibridi? Sarebbe certo
una strana disposizione quella di dotare le specie della peculiare
facoltà di generare ibridi e perciò di inceppare la loro
ulteriore propagazione con diversi stadii di sterilità, senza alcun
rapporto colla facilità della prima unione dei loro progenitori.
Del resto le regole e i fatti che precedono mi sembra
indichino palesemente che la sterilità, sia dei primi incrociamenti, sia
degli ibridi, è semplicemente incidentale, o dipendente da differenze
sconosciute fra le specie incrociate, e principalmente da differenze nel
sistema riproduttivo. Queste differenze sono di un'indole così peculiare
e ristretta, che negli incrociamenti reciproci fra due specie l'elemento
sessuale maschile dell'una agirà spesso efficacemente sull'elemento
femminile dell'altra, ma nulla si otterrà nella direzione inversa.
Potremo chiarire alquanto più ampiamente con un esempio come la
sterilità sia incidentale e dipendente da altre differenze,
anzichè una qualità particolare. Se l'attitudine di una pianta di
essere innestata sopra un'altra è di sì poca importanza per il
suo benessere nello stato di natura, io presumo che niuno sia per ammettere che
questa attitudine sia una qualità di cui la pianta sia specialmente
dotata; ma vorrà al contrario riconoscere che dessa è una
qualità accidentale, dipendente dalle differenze esistenti nelle leggi
dello sviluppo delle due piante. Talvolta noi possiamo discernere la ragione
per cui una pianta non soffre l'innesto di un'altra, per le differenze nella
rapidità del loro sviluppo, nella durezza del loro legno, nel periodo
della loro infiorescenza o nella natura del loro succhio, ecc.; ma in
moltissimi casi non sappiamo darne alcuna spiegazione. Frattanto, nè una
grande differenza di grandezza delle due piante, nè l'essere una di esse
legnosa e l'altra erbacea, nè la presenza di foglie caduche o di frondi
sempre verdi, nè da ultimo l'adattamento ai climi più diversi,
bastano sempre ad impedire l'innesto di due piante fra loro. Come nella
formazione degl'ibridi, così nell'innesto la capacità è limitata
dall'affinità sistematica; perchè niuno giunse ad innestare
insieme alberi spettanti a famiglie affatto separate e distinte; e d'altra
parte ordinariamente, benchè non costantemente, possono con
facilità innestarsi le specie strettamente affini e le varietà di
una medesima specie. Ma questa capacità per l'innesto non è
legata assolutamente all'affinità sistematica, non altrimenti di quella
per l'ibridismo. Quantunque molti generi distinti di una stessa famiglia siano
stati innestati l'uno sull'altro, in altri casi le specie di un medesimo genere
non attaccheranno nell'innesto. Il pero può essere innestato sul cotogno
molto più facilmente che sul pomo, benchè il primo sia riguardato
come un genere distinto, ed il secondo non sia che un membro del medesimo
genere. Anche le diverse varietà di pero si innestano sul cotogno
più o meno agevolmente; altrettanto dicasi delle diverse varietà
di albicocco e di pesco su certe varietà di prugni.
Come Gärtner trovò esservi talvolta una innata
differenza nell'attitudine dei vari individui delle stesse due specie
incrociate; così Sagaret crede avvenga negli innesti fra i differenti
individui delle due specie innestate. Negl'incrociamenti reciproci la
facilità di effettuare l'accoppiamento è spesso assai disuguale,
e ciò si osserva talora anche nell'innesto; così l'uva spina
comune, per esempio, non può essere innestata sul ribes rosso, mentre
all'opposto il ribes rosso s'innesta, quantunque con difficoltà,
sull'uva spina comune.
Abbiamo
veduto che la sterilità degl'ibridi, che hanno i loro organi riproduttivi
in una condizione imperfetta, è una cosa molto diversa dalla
difficoltà di incrociare due specie pure, che hanno i loro organi di
riproduzione in uno stato perfetto; tuttavia questi due casi distinti corrono
paralleli fino ad una certa estensione. Nell'innesto avviene alcun che di
analogo. Thouin infatti ha trovato che tre specie di Robinia, le
quali producevano semi abbondanti sul proprio tronco, e che potevano innestarsi
senza ostacolo grande sopra altre specie, tutte le volte che erano così
innestate divenivano infeconde. D'altra parte, certe specie di Sorbus,
innestate sopra altre specie, producevano il doppio dei frutti che solevano
dare sul proprio tronco. Quest'ultimo fatto ci ricorda il caso straordinario
dell'Hippeastrum, della Lobelia, ecc., che
producono semi più abbondanti, quando sono fecondate dal
polline di specie distinte, che quando sono fecondate dal loro stesso polline.
Quindi vediamo che, quantunque esista una differenza manifesta
e fondamentale fra la semplice adesione dei pezzi innestati ed il
congiungimento degli elementi del maschio e della femmina nell'atto della
riproduzione, ciò nonostante si nota un certo parallelismo nei risultati
dell'innesto e dell'incrociamento di specie distinte. Nello stesso modo con cui
consideriamo le leggi complesse e curiose che reggono l'attitudine, secondo la
quale gli alberi possono innestarsi gli uni sugli altri, come differenze
accidentali ed ignote nel loro sistema vegetativo, così io credo che
dobbiamo ritenere le leggi ancora più complesse, che governano la
facilità dei primi incrociamenti, come risultanti le differenze
incidentali ed ignote, principalmente proprie del loro sistema riproduttivo.
Queste differenze, in ambi i casi, dipendono fino ad un certo punto
dall'affinità sistematica, come doveva prevedersi; per la quale
affinità si vuole esprimere, per quanto si può, ogni sorta di
somiglianza e di dissomiglianza fra gli esseri organizzati. Ma non sembra in
modo alcuno che i fatti citati per mostrare la maggiore o minore difficoltà
di innestare o d'incrociare fra loro varie specie, derivino da una
qualità determinata e speciale; quantunque, nel caso degli
incrociamenti, questa difficoltà è tanto importante per la durata
e la stabilità delle forme specifiche, quanto è di nessun valore
nel caso dell'innesto per la loro prosperità.
ORIGINI E CAUSE DELLA STERILITÀ
DEI PRIMI INCROCIAMENTI E DEGLI IBRIDI
A me ed anche
ad altri, è parso per qualche tempo probabile che la sterilità
dei primi incrociamenti e degli ibridi potesse essere acquistata per mezzo
della elezione naturale, coll'azione lenta sopra una leggera diminuzione della
fertilità, la quale, come ogni altra variazione, sarebbe apparsa
spontaneamente in certi individui di una varietà, incrociati con quelli
di un'altra. Imperocchè sarebbe evidentemente di vantaggio per due
varietà o specie incipienti se il loro incrociamento fosse impedito, in
forza dello stesso principio che ci induce a tener separate due varietà
che coltiviamo contemporaneamente. In primo luogo deve osservarsi che le specie,
le quali abitano due regioni diverse, sono spesso sterili, se vengano
incrociate; ed al certo non può essere di vantaggio per le specie
così separate di essere sterili reciprocamente, e
quindi non può qui parlarsi di un effetto della elezione naturale. Si
è invece pensato che se una specie fosse resa sterile con alcuno de'
suoi compatrioti, la sterilità con altre specie ne sarebbe stata la
necessaria conseguenza. In secondo luogo è in opposizione tanto colla
mia teoria della elezione naturale, come con quella della separata creazione
l'ammettere che negli incrociamenti reciproci l'elemento maschile di una forma
sia affatto impotente sopra una forma seconda, mentre nello stesso tempo
l'elemento maschile di questa seconda forma potesse regolarmente fecondare la
prima; giacchè questo stato particolare del sistema riproduttivo non
potrebbe essere vantaggioso nè per l'una nè per l'altra specie.
Ma se si pensa alla probabilità che l'elezione naturale
sia stata attiva per rendere la specie reciprocamente sterili, si
troverà la massima difficoltà nel comprendere come esistano tanti
stadii gradatamente diversi tra la fecondità insensibilmente diminuita
sino alla più completa ed assoluta sterilità. Può
ammettersi che per una specie incipiente torni utile essere sterile in grado
leggero allorchè sia incrociata colla forma madre o con un'altra
varietà, poichè sarebbero prodotti dei discendenti meno ibridi e
meno deteriorati, i quali mescolerebbero il loro sangue colla specie nuova, in
via di formazione. Chi voglia meditare intorno alle vie, su cui questo primo
grado di sterilità venga aumentato dall'elezione naturale e portato al
punto in cui si trovano molte specie, e che in generale è comune alle
specie distinte per caratteri generici o di famiglia, troverà l'argomento
straordinariamente complicato. Dopo mature riflessioni parmi che ciò non
sia dovuto all'elezione naturale. Si prenda il caso di due specie che
coll'incrociamento generano pochi ed infecondi discendenti: che cosa potrebbe
mai favorire la sopravvivenza di quegli individui, che a caso presentassero in
grado leggero sterilità reciproca e facessero così un piccolo
passo verso l'assoluta sterilità? Eppure, se ricorriamo alla teoria
della elezione naturale per averne la spiegazione, dobbiamo ammettere che in
molte specie siasi verificato un progresso di questo genere, giacchè
molte sono reciprocamente affatto sterili. Negli insetti sterili neutri
possiamo ammettere che le modificazioni di struttura e di fecondità
siano state lentamente modificate dall'elezione naturale, avendo così la
comunità raggiunto indirettamente un vantaggio sopra le altre di uguale
specie; ma se un animale individuale, non appartenente ad una sociale
comunità, nello incrociamento con un'altra varietà diventi di
alcun poco sterile, nessun vantaggio all'uopo della preservazione ne verrebbe
all'individuo stesso od agli altri individui della stessa varietà.
Sarebbe inutile discutere questo argomento ne' suoi dettagli,
giacchè le piante ci offrono delle prove concludenti, che la
sterilità delle specie incrociate è dovuta ad un principio
affatto indipendente dall'elezione naturale. Tanto il Gärtner come il Kölreuter
hanno dimostrato che nei generi ricchi può stabilirsi una serie di
specie che nel loro incrociamento danno semi sempre meno numerosi, fino alle
specie che non hanno mai nemmeno un seme, e subiscono tuttavia la influenza del
polline di certe altre specie, giacchè il germe si gonfia. Qui è
evidentemente impossibile la elezione degli individui più sterili, che
abbiano già cessato di dare semi, e quindi quest'apice di
sterilità, in cui il solo germe subisce una influenza, non può
essere raggiunto dalla elezione. Dalle leggi che governano i vari gradi di
sterilità, sì uniformi nei regni animale e vegetale, noi possiamo
concludere che la causa, quale essa sia, debba in tutti i casi essere la
medesima.
Passiamo
ora ad esaminare un po' più da presso le cagioni probabili della
sterilità dei primi incrociamenti e degli ibridi. Riguardo ai primi
incrociamenti la maggiore o minore difficoltà di riescire
nell'accoppiamento dipende, a quanto pare, da varie cause distinte. Ciò
potrebbe talvolta derivare da una fisica impossibilità nell'elemento
maschile di raggiungere l'ovulo; come sarebbe il caso di una pianta che
portasse un pistillo troppo lungo, cosicchè i tubi del polline non
potessero toccare l'ovario. Fu anche notato che quando il polline di una specie
è posto sullo stimma di una specie lontana fra le affini,
ancorchè i tubi del polline si spandano, pure non penetrano nella superficie
dello stimma. Inoltre l'elemento maschile può giungere fino all'elemento
femminile, ma essere incapace di produrre lo sviluppo dell'embrione; come fu
verificato dal Thuret in alcune esperienze sui fuchi. Non potrebbe darsi alcuna
spiegazione di questi fatti, più di quello che si possa intendere
perchè certi alberi non si innestano sopra altri alberi. Dal ultimo
può svilupparsi un embrione, il quale perisca nei primi periodi della
sua vita. Quest'ultima alternativa non fu studiata abbastanza; ma io ritengo,
dietro le osservazioni che mi furono comunicate dal signor Hewitt (il quale
fece molte esperienze sull'ibridismo dei gallinacei), che la morte precoce
dell'embrione è una causa molto frequente della
sterilità dei primi incrociamenti. Il Salter ha recentemente pubblicato
i risultati a cui giunse colle sue osservazioni sopra 500 uova, le quali erano
ottenute da tre specie di Gallus e de' loro ibridi. La maggior parte
delle uova era fecondata, e nel maggior numero delle uova gli embrioni, o erano
solamente in parte sviluppate ed allora abortite, oppure erano quasi mature, ma
i pulcini incapaci di rompere il guscio. Dei pulcini nati, oltre i quattro
quinti erano morti nel primi giorni o tutt'al più nelle prime settimane,
«senza una causa evidente, a quanto pare, per semplice mancanza di
vitalità», così che delle 500 uova 12 soli pulcini vennero
allevati. La morte precoce degli embrioni ibridi avviene nello stesso modo
probabilmente anche nelle piante. Almeno consta che gli ibridi di specie molto
diverse sono spesso deboli e nani, e muoiono presto. Di questo fatto Max
Wichura ha dato recentemente alcuni esempi osservati sugli ibridi del salice.
Forse merita qui di esser detto che gli embrioni nati in seguito a
partenogenesi dalle uova non fecondate dal bombice del gelso, o dall'incrociamento
di due specie distinte, percorsero i primi stadii embrionali e poi perirono.
Prima di conoscere questi fatti, io esitavo a credere alla morte precoce degli
embrioni ibridi, giacchè gli ibridi, quando sono nati, sono generalmente
sani e vivono per lungo tempo, come vediamo nel caso del mulo comune. Gli
ibridi però si trovano in circostanze molto diverse, prima della loro
nascita e dopo di essa; quando gli ibridi nascono e vivono in un paese in cui i
loro due genitori possono prosperare, si trovano generalmente in condizioni di
vita opportune. Ma un ibrido non partecipa che per una sola metà alla
natura e costituzione della di lui madre, e quindi prima del parto, fintanto
che egli continua ad essere nutrito nell'utero materno, oppure nell'uovo o nel
seme prodotto dalla madre, può essere esposto a condizioni di vita in
qualche modo disadatte, e per conseguenza può essere soggetto a perire
fino dal primo periodo; tanto più che tutti gli esseri molto giovani
sembrano eminentemente sensibili alle condizioni di vita insolite o nocive.
Dopo tutto ciò la causa deve cercarsi piuttosto in una certa
imperfezione all'atto originale di impregnazione, che determina un imperfetto
sviluppo dell'embrione, anzichè nelle condizioni cui più tardi
è esposto.
Il caso
è molto diverso riguardo alla sterilità degl'ibridi, in cui gli
elementi sessuali sono sviluppati imperfettamente. Ho fatto allusione,
più d'una volta, a un vasto gruppo di fatti da me riuniti, i quali
dimostrano che quando gli animali e le piante sono rimossi dalle loro naturali
condizioni, sono, con grande facilità, affetti seriamente nel loro
sistema riproduttivo. Nel fatto, codesto è un grande ostacolo
all'addomesticamento degli animali. Vi sono molti punti di similitudine fra la
sterilità prodotta da queste cause e quella degli ibridi. In entrambi i
casi la sterilità è indipendente dal benessere generale, ed
è spesso accompagnata da eccesso di grandezza o da grande vigore. In
ambi i casi la sterilità si presenta in diversi gradi; in ambi i casi
l'elemento maschile è più soggetto alle influenze esterne, e
talvolta anche la femmina più del maschio. Così la tendenza alla
sterilità procede, fino ad un certo punto, in relazione
all'affinità sistematica; perchè dei gruppi interi di animali e
di piante sono resi impotenti dalle stesse condizioni anormali, come dei gruppi
interi di specie tendono a produrre ibridi sterili. Dall'altro lato una specie
di un gruppo resisterà talvolta ai grandi cambiamenti delle condizioni,
senza che la fecondità si alteri; e certe specie di altri gruppi
genereranno ibridi straordinariamente fecondi. Niuno può indovinare,
prima della esperienza, se un dato animale sia per generare una prole allo
stato di reclusione, o se una pianta esotica darà semi abbondanti quando
sia coltivata, nè potrà stabilire quale delle due specie di un
genere produrrà ibridi più o meno sterili. Finalmente quando gli
esseri organizzati sono posti per parecchie generazioni sotto condizioni di
vita innaturali, essi sono estremamente soggetti a variare, e ciò si deve,
a mio avviso, al loro sistema riproduttivo che fu specialmente colpito,
quantunque in grado minore di quello che precede la sterilità.
Altrettanto avviene per gl'ibridi, perchè nelle successive generazioni
sono eminentemente variabili, come fu osservato da ogni esperimentatore.
Dunque noi vediamo che, quando gli esseri organizzati sono
sottoposti a condizioni nuove ed innaturali, e quando gli ibridi sono generati
per mezzo di artificiali incrociamenti di due specie, il sistema riproduttivo
viene colpito da sterilità in un modo quasi analogo, e ciò
indipendentemente dallo stato generale della loro salute. Nell'un caso, le
condizioni della vita furono turbate, nondimeno tanto leggermente da rimanere
inapprezzabili; nell'altro caso, cioè in quello degl'ibridi, le
condizioni esterne rimasero costanti, ma l'organizzazione fu turbata dal
fondersi in una sola, due diverse strutture e costituzioni. Perchè gli
è quasi impossibile che due organizzazioni contribuiscano a comporne una
terza, senza che abbia luogo alcun dissesto nello sviluppo, nell'azione
periodica o nelle mutue relazioni delle varie parti od organi fra loro, oppure
rispetto alle condizioni della vita. Quando gli ibridi sono atti a generare inter
se, essi trasmettono, di generazione in generazione, alla loro prole la
stessa organizzazione composta, e quindi non dobbiamo sorprenderci che la loro
sterilità, quantunque sia variabile in certo grado, non diminuisca; anzi
tenda piuttosto ad aumentare, essendo questo generalmente il risultato degli accoppiamenti
fra consanguinei. La suespressa opinione che la sterilità dei bastardi
sia determinata dalla mescolanza di due costituzioni in una, fu recentemente
sostenuta con vigore da Max Wichura.
Deesi
tuttavia confessare che certi fatti, relativi alla sterilità degli
ibridi, sono indecifrabili, tranne con vaghe ipotesi. Così, per esempio,
la ineguale fecondità degl'ibridi prodotti dagli incrociamenti reciproci
o la sterilità accresciuta di quelli che, occasionalmente e per
eccezione, somigliano maggiormente ad uno dei loro progenitori. Io non pretendo
che le osservazioni precedenti bastino alla piena discussione di questa
materia; nè può darsi alcuna spiegazione del fatto che, quando un
organismo è situato sotto condizioni innaturali, diviene sterile. Tutto
ciò che procurai di provare si è che in due casi, per qualche
rapporto affini, il risultato comune è la sterilità; nel primo di
essi perchè le condizioni di vita furono turbate, nell'altro per
l'alterazione introdotta nell'organizzazione, per essersi miste due organizzazioni
a formarne una sola.
A
quanto pare, un simile parallelismo si estende anche ad una classe di fatti
affini, benchè molto diversi. È un'antica e quasi universale
credenza, fondata, secondo me, sopra un numero considerevole di prove, che le
piccole modificazioni nelle condizioni della vita sono vantaggiose a tutti gli
esseri viventi. Noi vediamo che questo principio si applica dagli agricoltori e
dai giardinieri nei loro cambi frequenti di semi, di
tuberi, ecc., da un suolo e da un clima ad un altro, e viceversa. Durante la
convalescenza degli animali, noi chiaramente osserviamo che si ottiene un
grande benefizio da quasi tutti i cambiamenti nelle abitudini della vita.
Così, tanto negli animali quanto nelle piante, sono molti i fatti che
dimostrano che un incrociamento fra individui molto distinti di una medesima
specie, cioè fra membri di differenti razze o sotto-razze, procaccia
vigore e fecondità alla prole; e che gli accoppiamenti fra consanguinei,
continuati per diverse generazioni fra circostanze analoghe, e specialmente
quando non siano variate le condizioni della vita, producono sempre diminuzione
di statura, indebolimento e sterilità.
Quindi sembra che da una parte le piccole modificazioni nelle
condizioni della vita siano utili a tutti gli esseri organici, e dall'altra
parte che i piccoli incrociamenti, cioè gli incrociamenti fra quei
maschi e quelle femmine della stessa specie che variarono e divennero alquanto
differenti, diano forza e fertilità alla prole. Ma abbiamo anche veduto
che i grandi cangiamenti, o le mutazioni di un'indole particolare, spesso
rendono sterili in qualche grado gli esseri organici; e che i grandi
incrociamenti fra maschi e femmine, che divennero affatto distinti, o
specificamente diversi, producono ibridi che generalmente presentano qualche
grado di sterilità. Ora io non so persuadermi che questo parallelismo
sia un accidente o una illusione. Chi sappia spiegarci perchè l'elefante
e molti altri animali, viventi nel loro paese nativo in captività
solamente parziale, non siano capaci di riprodursi, dovrà saperci
indicare la causa principale, per cui i bastardi siano generalmente sterili.
Egli saprà anche spiegarci come avvenga che le razze di alcuni dei
nostri animali domestici, le quali spesso furono esposte a condizioni di vita
nuove e non uniformi, siano fra loro perfettamente feconde, benchè
discendano da specie diverse, che probabilmente saranno state infeconde al
primo incrociamento. Ambedue le predette serie parallele di fatti sembrano
connesse da un legame sconosciuto, essenzialmente riferibile al principio della
vita; ed il principio è questo, che la vita, come ha osservato Herbert
Spencer, dipende dalla incessante azione e reazione di forze diverse, od in
essa consiste, le quali, come avviene sempre in natura, tendono all'equilibrio;
e se tale tendenza sia leggermente disturbata da qualche causa, le forze vitali
acquistano il loro potere.
RECIPROCO DIMORFISMO
E TRIMORFISMO
Quest'argomento deve essere qui svolto brevemente; noi vedremo
che esso chiarisce alquanto le nostre idee sull'ibridismo. Parecchie piante,
appartenenti ad ordini diversi, presentano due forme, che esistono in numero
pressochè uguale e che non differiscono tra loro senonchè negli
organi riproduttivi. L'una delle forme ha un lungo pistillo e stami brevi,
l'altra ha un breve pistillo con stami lunghi; ambedue hanno grani pollinici di
differente grandezza. Nelle piante trimorfe si hanno tre forme, le quali in
simile modo differiscono tra loro, per la lunghezza dei pistilli e degli stami,
per la grandezza e pel colore dei grani pollinici e per alcuni altri caratteri;
e siccome cadauna di queste tre forme presenta due sorta di stami, così
si hanno complessivamente sei specie di stami e tre di pistilli. Questi organi
sono tra loro nella lunghezza proporzionati in modo che in due delle forme la
metà degli stami sta al livello dello stimma della terza forma. Io ho
dimostrato, e questo risultato fu ottenuto anche da altri osservatori, che per
ottenere la perfetta fecondità in queste piante è necessario fecondare
lo stimma di una forma col polline di quegli stami che nell'altra forma stanno
ad una corrispondente altezza. In tale modo nelle specie dimorfe due
accoppiamenti, che possonsi chiamare legittimi, sono pienamente fecondi, e due,
i quali chiameremo illegittimi, sono più o meno sterili. Nelle piante
trimorfe tre accoppiamenti sono legittimi, o pienamente fecondi, dodici sono
illegittimi ovvero più o meno sterili.
La
sterilità che si osserva in diverse piante dimorfe e trimorfe dopo un
accoppiamento illegittimo, ossia quando sono fecondate col polline di stami che
non corrispondono nell'altezza al pistillo, varia assai nel grado fino alla
sterilità assoluta, precisamente nella stessa guisa come vedesi
nell'incrociamento di specie diverse. Come in quest'ultimo caso il grado della
sterilità dipende principalmente dalle condizioni di vita più o
meno favorevoli, altrettanto osservai nell'accoppiamento illegittimo. È
noto che quando il polline di una specie diversa è portato sullo stimma
di un fiore, e poi, forse anche dopo notevole intervallo, vi arrivi il proprio
polline, l'effetto di quest'ultimo è talmente preponderante, che
distrugge gli effetti del polline straniero; altrettanto avviene se invece si
tratta del polline di forme diverse di una stessa specie: il polline legittimo
predomina sull'illegittimo, quando ambedue siano portati sullo stesso stimma.
Io me ne accertai fecondando parecchi fiori dapprima con polline illegittimo, e
dopo ventiquattro ore col polline legittimo di una varietà colorata in
modo particolare, e tutti i rampolli ne ebbero un colore simile, ciò che
dimostra che il polline legittimo, adoperato ventiquattr'ore dopo, aveva
interamente distrutta od impedita l'azione del polline illegittimo. Come nei
reciproci incrociamenti di due specie spesso si presenta una grande differenza
nel risultato, altrettanto succede nelle piante trimorfe.
Così la forma di Lytrhum salicaria a stilo mediocre fu assai
facilmente in modo illegittimo fecondato dal polline tolto dagli stami
più lunghi della forma a stilo breve, e diede molti semi; ma questa
ultima forma non portò nemmeno un seme, quando venne fecondata col
polline tolto dagli stami più lunghi della forma a stilo mediocre.
In tutti questi riguardi, ed in altri che potrebbero citarsi,
le forme diverse di una medesima specie indubbia si comportano dopo una
fecondazione illegittima precisamente come due specie diverse dopo il loro
incrociamento. Ciò m'indusse ad osservare attentamente, per quattro
anni, molti rampolli che erano il risultato di parecchie fecondazioni
illegittime, e il risultato principale fu, che queste piante, che possono dirsi
illegittime, non sono perfettamente feconde. È possibile ottenere dalle
specie dimorfe in modo illegittimo le forme a stilo lungo e quelle a stilo
breve, e dalle piante trimorfe tutte e tre le forme illegittime. Queste possono
poi essere accoppiate acconciamente in modo legittimo. Quando ciò sia
avvenuto, non si comprende per quale ragione queste piante non diano tanti semi
come i loro genitori dopo accoppiamento legittimo. Invece esse sono tutte
sterili, sebbene in grado diverso; alcune lo furono al punto che in quattro
estati non diedero nessun seme, e nemmeno una casella. La sterilità di
queste piante illegittime, ancorchè siano state fecondate in modo
legittimo, trova un esatto riscontro in quella che segue l'incrociamento degli
ibridi tra loro. Se d'altra parte un ibrido viene incrociato con
una forma-madre pura, la sterilità è generalmente di molto
diminuita, e altrettanto avviene quando una pianta illegittima sia fecondata da
una legittima. E nello stesso modo, come la sterilità degli ibridi non
va sempre di pari passo colla difficoltà di incrociare le forme-madri,
così anche la sterilità di certe piante illegittime era
straordinariamente grande, mentre non era tale quella dell'accoppiamento da cui
furono prodotte. Tra gli ibridi allevati dalla stessa casella sussiste una
variabilità originaria nel grado di sterilità; la stessa cosa
osservasi evidentemente nelle piante illegittime. Finalmente molti ibridi fioriscono
continuamente e vigorosamente, mentre altri più sterili producono pochi
fiori e sono deboli e miseri nani; casi esattamente simili riscontransi nei
discendenti illegittimi di diverse piante dimorfe e trimorfe.
Sussiste
dunque la più stretta analogia nel carattere e nel contegno fra le
piante illegittime e gli ibridi. Non v'è esagerazione nel dire che le
piante illegittime sono ibridi prodotti entro i limiti di una specie dall'impropria unione di certe forme, mentre gli ibridi ordinari sono generati dall'impropria
unione di specie così dette distinte. Noi abbiamo visto che fra le prime
unioni illegittime ed i primi incrociamenti di specie distinte rinviensi la
massima somiglianza per ogni riguardo. Tutto ciò potrà rendersi
anche più chiaro con un esempio. Supponiamo che un botanico trovi due
varietà ben marcate della forma a lungo stilo del trimorfo Lythrum
salicaria (e tali si riscontrano), e si decida di esperimentare con un
incrociamento se siano specificamente diverse. Egli troverebbe che danno circa
un quinto del numero normale di semi, e che negli altri su citati riguardi si
comportano come due specie distinte. Per andare sicuro egli alleverebbe dai
semi, supposti ibridi, delle piante, e troverebbe che i rampolli sono miseri
nani, e che si comportano per ogni altro rapporto come gli ibridi ordinari.
Egli quindi sosterrebbe di aver dimostrato, in accordo colle idee dominanti,
che queste due varietà siano le due migliori e più distinte del
mondo, ma si sarebbe nel suo giudizio completamente ingannato.
I fatti qui esposti intorno alle piante dimorfe e trimorfe
sono importanti, primieramente perchè dimostrano che la prova
fisiologica della fecondità diminuita, sia nei primi incrociamenti come
negli ibridi, non è un sicuro criterio di diversità specifica; in
secondo luogo, perchè siamo costretti ad ammettere che sussiste un
legame od una legge ignota, che collega insieme la sterilità degli
accoppiamenti illegittimi con quella della progenie illegittima, e noi siamo
indotti ad estendere questa conclusione ai primi incrociamenti ed agli ibridi;
in terzo luogo, e ciò mi sembra di speciale importanza, perchè ci
è dimostrato che della stessa specie esistono due o tre forme, le quali
non differiscono tra loro nè nella struttura, nè nella
costituzione in riguardo alle condizioni esterne di vita, e nondimeno sono
sterili se vengono in certo modo unite. Imperocchè noi dobbiamo
rammentarci che è l'unione degli elementi sessuali della stessa forma,
per esempio delle due forme a stilo lungo, che determina la sterilità, mentre
l'unione degli elementi sessuali di due forme diverse è feconda. Sembra
quindi a prima vista avvenire l'opposto di ciò che succede
nell'ordinaria unione di individui della medesima specie e nell'incrociamento
fra specie diverse. Ma è dubbio se la cosa sia realmente così,
nè io voglio più a lungo fermarmi su questo oscuro argomento.
Dalle considerazioni fatte intorno alle piante dimorfe e
trimorfe noi possiamo dedurre con probabilità che la sterilità
delle specie distinte al loro incrociamento e della prole ibrida dipenda
esclusivamente dalla natura degli elementi sessuali, e non da qualche generale
diversità nella struttura o nella costituzione. In fatto, noi siamo
condotti alla stessa conclusione dallo studio dei reciproci incrociamenti di due
specie, nelle quali il maschio dell'una non può essere accoppiato colla
femmina dell'altra, o può essere solo con grande difficoltà,
mentre l'incrociamento invertito può compiersi colla massima
facilità. Il Gärtner, esimio osservatore, arrivò pure alla
conclusione che le specie incrociate sono sterili in seguito a differenze
confinate al sistema riproduttivo.
LA FECONDITÀ DELLE VARIETÀ INCROCIATE
E DELLA LORO PROLE METICCIA NON È SENZA ECCEZIONE
Potrebbe opporsi un altro argomento più valido,
cioè che deve esistere qualche essenziale distinzione fra le specie e le
varietà, e che deve esservi qualche errore in tutte le osservazioni
precedenti, mentre le varietà, per quanto differiscano fra loro
nell'apparenza esterna, s'incrociano con immensa facilità e generano una
prole perfettamente feconda. Io ammetto pienamente che questa sia la regola
più generale, meno le poche eccezioni che ora intendo fare. Ma
quest'argomento è circondato da molte difficoltà, perchè
riguardo alle varietà prodotte allo stato di natura, se due forme, fin
qui tenute per varietà, si trovano in qualche grado sterili nei loro
incrociamenti, allora esse sono classificate come specie dalla maggior parte
dei naturalisti. Per esempio, l'anagallide azzurra e la rossa, la Primula
vulgaris e la Primula veris furono considerate dai nostri migliori
botanici come semplici varietà, finchè Gärtner non le
trovò perfettamente feconde negl'incrociamenti e conseguentemente le
pose fra le specie distinte. Se noi argomentiamo così, aggirandoci in un
circolo vizioso, la fecondità di tutte le varietà allo stato di
natura dovrà certamente essere riconosciuta.
Se noi ci rivolgiamo alle varietà prodotte, o almeno
che si suppongono prodotte allo stato domestico, siamo tosto presi dal dubbio.
Perchè quando è stabilito, per esempio, che certi cani domestici
indigeni dell'America meridionale difficilmente s'incrociano coi cani
dell'Europa, la spiegazione che prima si affaccia ad ognuno, e che
probabilmente è la vera, consiste in ciò, che questi cani
derivano da parecchie specie originali e distinte. Nondimeno la perfetta
fecondità di tante varietà domestiche, quantunque sì
diverse fra loro nell'apparenza, per esempio quelle dei colombi e quelle dei
cavoli, è un fatto notevolissimo; tanto più se riflettiamo quante
specie vi siano le quali, benchè strettamente simili fra loro, pure sono
affatto sterili quando s'incrociano. Alcuni riflessi però rendono meno
singolare codesta fecondità delle varietà domestiche. Innanzi
tutto si può osservare che il grado di dissimiglianza esterna di due
specie non è una guida sicura per giudicare del grado di mutua
sterilità, e così pure simili differenze non sono una buona guida
se trattasi di varietà. Egli è certo che nelle specie la causa
risiede esclusivamente nella diversità della costituzione sessuale. Ora
le variate condizioni, cui furono esposti gli animali domestici e le piante
coltivate, hanno sì poco la tendenza di modificare il sistema
riproduttivo in maniera da produrre la mutua sterilità, che anzi abbiamo
ragioni per accettare l'opinione opposta, la teoria del Pallas, secondo cui le
predette condizioni in generale eliminano quella tendenza, e ne viene che i
discendenti domestici di specie, che allo stato naturale sarebbero in certo
grado sterili nell'incrociamento, diventano perfettamente fecondi tra loro.
Nelle piante la coltura produce tutt'altro che una tendenza alla
sterilità di specie distinte; tant'è vero che si hanno parecchi
casi bene constatati, di cui fu già fatta menzione, in cui è
avvenuto l'opposto; esse cioè divennero impotenti tra loro, mentre hanno
conservato il potere di fecondare altre specie e di essere da altre specie
fecondate. Se si accetta la teoria del Pallas sulla eliminazione della
sterilità in seguito ad uno stato domestico prolungato, e ben
difficilmente potrà respingersi, allora deve considerarsi come
improbabile in sommo grado che condizioni simili lungamente persistenti
conducano anche a questa tendenza; tuttavia in certi casi, nelle specie di una
particolare costituzione, può occasionalmente prodursi la sterilità.
In questo modo, io credo, noi possiamo comprendere perchè negli animali
domestici non si formino delle varietà mutuamente sterili; e
perchè nelle piante si siano osservati pochi esempi di questo genere,
dei quali tra breve parleremo.
La
reale difficoltà del presente argomento, a quanto mi sembra, non sta nel
fatto che le varietà domestiche non divennero in seguito al loro
incrociamento mutuamente sterili, ma in quello che ciò è
generalmente avvenuto nelle varietà naturali, quando siano state
modificate permanentemente ed in grado sufficiente per essere considerate come
specie. Noi non ne conosciamo esattamente la causa, nè ciò deve
sorprenderci se riflettiamo quanto siamo all'oscuro intorno all'azione normale
ed anormale del sistema riproduttivo. Si comprende, però, che le specie,
in seguito alla lotta per l'esistenza con numerosi concorrenti, debbano essere
esposte per lunghi periodi a condizioni più uniformi che non le
varietà domestiche, ciò che può effettuare una notevole
differenza nel risultato. Imperocchè noi sappiamo come ordinariamente
gli animali selvaggi e le piante si rendano sterili, quando siano tolti alle
loro condizioni naturali e tenuti in captività; ed è probabile
che le funzioni riproduttive degli esseri organici che abbiano sempre vissuto
in condizioni naturali siano in ugual modo eminentemente sensibili alla
influenza di un incrociamento non naturale. D'altra parte le produzioni
domestiche, come il fatto stesso della domesticazione ce lo dimostra, non erano
originariamente in alto grado sensibili ai cambiamenti delle condizioni di
vita, e possono ora in generale resistere con fecondità non diminuita ai
ripetuti cambiamenti delle condizioni, per cui potrebbe aspettarsi che
producano delle varietà, il cui potere riproduttivo non sarebbe facilmente
danneggiato nell'incrociamento con altre varietà formatesi in simile
modo.
Io
ho considerato fin qui gli incrociamenti delle varietà di una medesima
specie come sempre fecondi. Ma gli è impossibile negare che esista
realmente una certa somma di sterilità nei pochi casi seguenti, cui
brevemente accennerò. Le prove non sono al certo meno fondate di quelle
con cui si sostiene la sterilità di moltissime specie. Inoltre queste
prove sono tratte da autorità ostili, le quali, in tutti gli altri casi,
considerano la fertilità e la sterilità come criteri sicuri di
distinzione specifica. Gärtner conservò per parecchi anni una
varietà nana di grano turco con semi gialli, e un'altra varietà
grande con semi rossi, le quali crebbero l'una presso l'altra nel suo giardino;
e benchè queste piante avessero i sessi separati, pure non si
incrociarono mai naturalmente. Allora egli fecondò tredici fiori
dell'una col polline dell'altra; ma un solo capo produsse qualche seme e non
diede che cinque grani. L'operazione in tal caso non poteva essere nociva,
perchè le piante avevano sessi separati. Io credo che niuno avrebbe mai
supposto che queste varietà di mais fossero due specie distinte; ed
è importante a notarsi che le piante ibridi così prodotte erano
perfettamente feconde; per cui anche il Gärtner non volle avventurarsi a
considerare queste due varietà come specificamente distinte.
Girou de Buzareingues incrociò tre varietà di
zucche le quali, come il grano turco, hanno i sessi separati, e ci assicura che
la loro fecondazione reciproca è tanto più difficile, quanto
maggiori sono le loro differenze. Non so quanta fede possa prestarsi a queste
esperienze; ma queste forme, sulle quali fece esperimenti il Sageret, sono
classificate da esso come varietà, mentre egli fonda principalmente la
propria classificazione sulle prove di infecondità.
Il
caso seguente è assai più rimarchevole e sulle prime sembra
incredibile affatto; ma è il risultato di un sorprendente numero di
esperienze, fatte per molti anni sopra nove specie di Verbascum dal
Gärtner, abilissimo osservatore, e testimonio ostile. Egli notò che le
varietà gialle e bianche della stessa specie di Verbascum, quando
sono tra loro incrociate, producono meno semi che quando una di queste
varietà sia fecondata col polline dei fiori colorati suoi propri.
Inoltre egli ha constatato che quando le varietà gialle e le bianche di
una specie sono incrociate con le varietà gialle o bianche di una specie
distinta, si produce maggior copia di semi dagli incrociamenti fra i fiori dello
stesso colore di quello che fra gli altri di colore diverso. Anche Scott ha
fatto degli sperimenti colle specie e varietà del Verbascum; e
sebbene non riuscisse a confermare i risultati del Gärtner sull'incrociamento
delle specie distinte, trovò nondimeno che le varietà di colore
disuguale della stessa specie davano meno semi (nella proporzione di
Il
Kölreuter, la cui accuratezza è stata comprovata da ogni osservatore
posteriore, ha constatato il fatto rimarchevole che una varietà del
tabacco comune è più feconda, quando sia incrociata con specie
affatto distinte, di quello che lo sia se viene incrociata con altre
varietà. Egli fece esperienze sopra cinque forme, che sono comunemente
credute varietà, e che furono da lui sottoposte all'esame più
severo, cioè agli incrociamenti reciproci, e trovò che la loro
prole meticcia era perfettamente feconda. Ma una di queste cinque
varietà, sia che fornisse il padre, sia che somministrasse la madre,
essendo incrociata colla Nicotiana glutinosa, produceva costantemente
ibridi meno sterili di quelli generati dall'incrociamento delle
altre quattro varietà colla N. glutinosa. Ne segue che il
sistema riproduttivo di quest'unica varietà deve essere stato modificato
in qualche modo fino ad un certo grado.
In seguito a questi fatti non può più a lungo
sostenersi che le varietà siano nell'incrociamento sempre interamente
feconde. Siccome è assai difficile di accertare se le varietà
allo stato di natura siano infeconde, poichè ogni varietà sterile
anche in grado leggero sarebbe generalmente considerata come una specie;
siccome inoltre l'uomo nelle sue varietà domestiche non si cura che dei
caratteri esterni, e queste varietà non furono per lunghi periodi
esposte ad uniformi condizioni di vita: così noi possiamo concludere che
la fertilità negli incrociamenti non costituisce una distinzione
fondamentale tra le varietà e le specie. La generale sterilità
delle specie incrociate può francamente considerarsi, non come un
particolare acquisto o dotazione, ma come cosa incidentale connessa alla natura
sconosciuta degli elementi sessuali.
CONFRONTO DEGLI
IBRIDI COI METICCI([18]),
INDIPENDENTEMENTE
DALLA LORO FECONDITÀ
Le discendenze delle specie incrociate e delle varietà
incrociate possono confrontarsi tra loro per diversi altri rapporti,
indipendentemente dalla questione della fecondità. Gärtner, che aveva un
vivissimo desiderio di segnare una linea distinta fra le specie e le
varietà, non potè ritrovare che pochissime e, a quanto parmi,
affatto insignificanti differenze, fra la così detta ibrida prole delle
specie, e la così detta prole meticcia delle varietà. D'altronde
queste due progenie si ravvicinano per molte importanti considerazioni.
Discuterò questo argomento con estrema brevità.
La distinzione più importante consiste in ciò, che nella prima
generazione i meticci sono più variabili degli ibridi; ma Gärtner
ammette che gli ibridi di quelle specie che furono coltivate da lungo tempo sono
spesso variabili nella prima generazione: ed io stesso ho notato esempi
stringenti di questo fatto. Inoltre Gärtner ammette che gli ibridi, fra specie
molto affini, sono più variabili di quelli derivanti da specie molto
distinte; e ciò dimostra che la differenza nel grado di variabilità
è graduale, fino al punto in cui scompare. Quando i meticci e gl'ibridi
più fecondi sono propagati per molte generazioni, è noto che
nella loro prole si manifesta molta variabilità; ma abbiamo registrati
alcuni pochi casi in cui gl'ibridi o i meticci hanno conservato lungamente
l'uniformità del carattere. Però nelle successive generazioni la
variabilità dei meticci è forse maggiore di quella degl'ibridi.
Nè mi sembra che questa maggiore variabilità nei
meticci che negli ibridi, abbia a recarci sorpresa. Perchè i parenti dei
meticci sono varietà e per la maggior parte varietà domestiche
(assai poche esperienze furono tentate sulle varietà naturali), e
ciò in molti casi implica una variabilità recente; perciò
dobbiamo attenderci che questa variabilità sia per continuare di
sovente, e che vi si aggiunga quella che trasse origine dal semplice atto
dell'incrociamento. Un fatto curioso e che merita di essere esaminato è
la leggera variabilità degli ibridi provenienti da un primo
incrociamento, ossia nella prima generazione, in contrasto colla loro estrema
variabilità nelle generazioni successive. Infatti ciò sostiene ed
avvalora le idee da me espresse sulla cagione della variabilità
ordinaria; cioè che dessa è dovuta al sistema riproduttivo,
eminentemente sensibile ad ogni cambiamento nelle condizioni di vita, rimanendo
per tal modo spesso impotente od almeno incapace a compiere le proprie funzioni
di generare una prole identica alla forma-madre. Ora gli ibridi della prima
generazione discendono da due specie (escluse quelle coltivate da lungo tempo),
che non furono affette in modo alcuno nel loro sistema riproduttivo e che non
erano variabili; ma gl'ibridi stessi hanno i loro sistemi riproduttivi
seriamente modificati e i loro discendenti sono altamente variabili.
Ma
per tornare al nostro paragone fra i meticci e gl'ibridi, Gärtner stabiliva che
i meticci sono, più degl'ibridi, soggetti a ricuperare la forma dei loro
genitori; ma quando ciò sussista, non è
certamente che una semplice differenza di grado. Il Gärtner dice inoltre
espressamente che gli ibridi di piante lungamente coltivate tendono più
alla riversione che gli ibridi delle specie allo stato naturale, ciò che
forse spiega le singolari differenze nei risultati dei diversi osservatori. Così
Max Wichura dubita che gli ibridi ritornino giammai alla loro forma-madre, ed
ha fatto degli esperimenti sopra le specie non coltivate di salici; mentre
Naudin sostiene decisamente la forte tendenza degli ibridi alla riversione, ed
ha sperimentato principalmente sulle piante coltivate. Il Gärtner asserisce,
inoltre, che quando due specie anche strettamente affini sono incrociate con
una terza, gli ibridi che ne derivano sono tuttavia tra loro assai diversi,
mentre se due varietà assai diverse siano incrociate con un'altra
specie, gli ibridi non sono tra loro molto diversi. La conclusione però,
per quanto io possa giudicare, è appoggiata ad un unico esperimento e
sembra direttamente opposta ai risultati che il Kölreuter ottenne con molti
sperimenti.
Queste sole sono le differenze insignificanti che Gärtner
potè scoprire fra le piante ibride e le meticce. Dall'altro lato, la
somiglianza ai loro parenti rispettivi, che si osserva nei meticci e negli
ibridi, e più particolarmente negl'ibridi prodotti da specie molto
affini, segue, secondo il Gärtner, le stesse leggi. Quando due specie sono
incrociate, l'una di esse ha talvolta un potere prepotente di imprimere una
forma somigliante nell'ibrido; e ciò avviene appunto nelle
varietà delle piante. Anche negli animali una varietà ha spesso
certamente una predominante influenza sopra un'atra varietà. Le piante
ibride, prodotte dagl'incrociamenti reciproci, generalmente rassomigliano molto
l'una all'altra; e così dicasi dei meticci provenienti da incrociamenti
reciproci. Tanto gl'ibridi quanto i meticci poi possono ridursi alla loro pura
forma originaria da ripetuti incrociamenti coll'uno o coll'altro progenitore
nelle successive generazioni.
Tutte queste osservazioni sembrano applicabili
agli animali; ma in questo caso il soggetto è eccessivamente complicato,
in parte per la esistenza dei caratteri sessuali secondari, ma più
specialmente per la prevalenza di un sesso sull'altro nel trasmettere le
proprie forme alla prole, tanto nel caso dell'incrociamento di due specie, come
in quello dell'incrociamento di due varietà. Per esempio, credo che ben
s'appongano quegli autori che sostengono che l'asino ha un potere predominante
sul cavallo, al punto che sì il mulo che il bardotto rassomigliano
più all'asino che al cavallo; ma questo predominio è anche
maggiore nell'asino che nell'asina, per modo che il mulo, che viene figliato
dall'asino e dalla cavalla, ha una maggiore somiglianza coll'asino del
bardotto, che discende dall'asina e dallo stallone.
Alcuni
autori diedero molta importanza al fatto supposto che i soli animali meticci
nascono molto simili ad uno dei loro parenti; ma è facile provare che
ciò avviene talvolta anche negl'ibridi; però, io ne convengo,
molto meno frequentemente in questi che non nei primi. Esaminando i casi, da me
raccolti, di animali derivanti da un incrociamento e assai rassomiglianti a uno
dei loro genitori, pare che codesta somiglianza sia principalmente limitata a
quei caratteri, quasi mostruosi nella loro natura, che si manifestarono
improvvisamente; come l'albinismo, il melanismo, la mancanza di coda o di
corna, o le dita addizionali; nè si estende a quegli altri caratteri che
furono lentamente acquistati, per mezzo della elezione. Per conseguenza, le
repentine riversioni al carattere perfetto di uno dei parenti debbono avvenire
più facilmente nei meticci, che derivano da varietà spesso
improvvisamente prodotte e semi-mostruose nei caratteri, anzichè negli
ibridi, che provengono da specie formate lentamente e naturalmente. Insomma, io
consento pienamente col dott. Prospero Lucas, che, dopo di avere classificato
una grande congerie di fatti riguardanti gli animali, giunge alla conclusione
che le leggi di rassomiglianza del figlio a' suoi parenti sono le medesime,
qualunque sia il grado di differenza dei parenti stessi, vale a dire, comunque
si tratti dell'unione di individui appartenenti ad una stessa varietà, o
a varietà diverse, o a specie distinte.
Lasciando
in disparte la questione di fecondità e di sterilità, per tutti
gli altri riguardi pare che esista una somiglianza molto stretta e generale
nella progenie delle specie incrociate e delle varietà incrociate. Ove
si considerassero le specie come tante creazioni distinte, e le varietà come produzioni derivanti da leggi secondarie,
codesta somiglianza sarebbe un fatto sorprendente. Al contrario essa armonizza
perfettamente coll'idea che non vi sia alcuna distinzione essenziale fra le
specie e le varietà.
SOMMARIO DEL CAPITOLO
I primi incrociamenti tra le forme abbastanza distinte, da
ritenersi quali specie, e fra i loro ibridi sono in generale, ma non
universalmente, infecondi. La sterilità presenta tutte le gradazioni
possibili, ed è soventi volte tanto leggera, che i due più
precisi ed abili esperimentatori che si conoscano, giunsero a conclusioni
diametralmente opposte nel classificare le forme su questa base. La
sterilità è variabile, per attitudine innata, negl'individui
della stessa specie, ed è sommamente suscettibile di soggiacere
all'influenza delle condizioni favorevoli o sfavorevoli. Il grado di
sterilità non corrisponde precisamente all'affinità sistematica,
ma è governato da parecchie leggi curiose e complesse. Generalmente
è diversa, e talora molto diversa, nei reciproci incrociamenti delle
medesime due specie. Nè sempre è uguale nei primi incrociamenti e
negli ibridi che ne derivano.
Come negli alberi innestati l'attitudine di una specie o di
una varietà di legare sopra un'altra è accidentale, perchè
dipendente da differenze generalmente sconosciute nei loro sistemi di
vegetazione, così negl'incrociamenti la maggiore o minore
facilità di una specie di unirsi ad un'altra è incidentale, per
differenze pure sconosciute nel loro sistema riproduttivo. Non vi è
maggior fondamento nel credere che le specie siano state particolarmente dotate
di vari gradi di sterilità, per impedire l'incrociamento e le mescolanze
nella natura, che non ve ne abbia nel pensare che gli alberi siano stati
specialmente dotati di vari gradi di difficoltà e talvolta di
difficoltà analoghe negl'innesti scambievoli, per prevenire gl'innesti naturali
per contatto nelle nostre boscaglie.
La
sterilità dei primi incrociamenti e della loro progenie ibrida non fu
acquistata colla elezione naturale. Nel caso dei primi incrociamenti la
sterilità sembra dipendere da parecchie circostanze; certe volte principalmente
dalla morte prematura dell'embrione. La sterilità degli ibridi, a quanto
pare, dipende da ciò che la loro intera organizzazione è
disturbata dalla fusione di due forme distinte in una sola; questa
sterilità è affine a quella che colpisce tanto frequentemente le
specie pure, quando siano esposte a condizioni di vita nuove e non naturali.
Chi spiegasse questi ultimi fatti saprebbe spiegare anche la sterilità
degli ibridi. Questo modo di vedere è validamente sostenuto da un parallelismo
d'altro genere: e cioè in primo luogo dal fatto che i leggeri
cambiamenti delle condizioni di vita sono utili pel vigore e per la
fecondità di tutti gli esseri organici: e in secondo luogo
dall'osservazione che l'incrociamento di forme, le quali siano state esposte a
condizioni di vita leggermente diverse, o che abbiano variato, favorisce la
grandezza, il vigore e la fecondità dei discendenti. I fatti esposti
relativamente alla sterilità degli accoppiamenti illegittimi delle
piante dimorfe e trimorfe e della loro progenie illegittima fanno supporre che
in tutti i casi un ignoto legame connetta insieme il grado di fecondità
delle prime unioni con quella de' loro discendenti. Le considerazioni intorno a
questi esempi di dimorfismo ed i risultati dei reciproci incrociamenti ci
conducono alla conclusione, che la primaria causa della sterilità di
specie incrociate sia ristretta alle differenze negli elementi sessuali. Ma noi
non sappiamo per quale motivo nelle specie diverse gli elementi sessuali siano
generalmente modificati in modo da produrre la reciproca sterilità; sembra però che ciò stia in intimo rapporto
colla esposizione delle specie a condizioni di vita pressochè uniformi
durante lunghi periodi.
Non deve sorprendere che il grado di difficoltà che si
incontra nell'accoppiare due specie e il grado di sterilità della loro
prole ibrida, si corrispondono generalmente, benchè dovuti a cagioni
distinte; perchè ambedue dipendono dalla quantità delle
differenze d'ogni sorta che esistono fra le specie incrociate. Nè
tampoco deve recare meraviglia che la facilità di effettuare un primo
incrociamento, la fecondità degl'ibridi che ne sorgono e la
capacità delle piante di subire gl'innesti, - benchè quest'ultima
capacità evidentemente dipenda da circostanze ben diverse, - procedono
tutte parallele, fino ad una certa estensione, coll'affinità sistematica
delle forme che sono sottoposte all'esperienza; poichè l'affinità
sistematica esprime, per quanto è possibile, ogni sorta di rassomiglianza
fra tutte le specie.
I primi incrociamenti fra le forme conosciute per
varietà, o abbastanza distinte per essere considerate varietà, e
la loro prole meticcia sono generalmente fecondi, ma non lo sono
universalmente, come per errore si è spesso stabilito. Nè codesta
quasi generale e perfetta fecondità può sorprendere, quando
rammentiamo come ci troviamo esposti ad argomentare con un circolo vizioso
rispetto alle varietà nello stato di natura; e quando ricordiamo che le
varietà in massima parte vennero prodotte allo stato di domesticità,
per mezzo della elezione delle semplici differenze esterne, e non furono
lungamente esposte ad uniformi condizioni di vita. E giova specialmente
ricordarsi che la domesticità lungamente continuata tende evidentemente
ad eliminare la sterilità e quindi non può produrre questa
medesima qualità. Indipendentemente dalla questione di fecondità,
esiste per ogni altro riguardo la più stretta generale somiglianza fra
gli ibridi ed i meticci, sia nella variabilità, sia nel potere di
assorbirsi a vicenda dopo ripetuti incrociamenti, sia nell'eredità dei
caratteri di ambedue le forme-madri. Infine, sebbene ci sia affatto ignota la
vera causa della sterilità dei primi incrociamenti e degli ibridi, e del
fenomeno che le piante e gli animali diventano sterili, quando siano rimossi
dalle loro condizioni naturali, nondimeno mi sembra che i fatti annoverati in
questo capitolo non siano in contraddizione coll'idea che le specie fossero
originariamente semplici varietà.
CAPO X
SULLA IMPERFEZIONE
DELLE MEMORIE
GEOLOGICHE
Sulla mancanza delle forme intermedie fra le
varietà attuali - Sulla natura delle varietà intermedie estinte;
sul loro numero - Sulla enorme durata dei periodi geologici, dedotta dalle
deposizioni e dai denudamenti - Lunghezza del tempo trascorso calcolata per
anni - Della scarsezza delle nostre collezioni paleontologiche - Dei
denudamenti delle aree granitiche - Della intermittenza delle formazioni
geologiche - Denudamento delle superfici granitiche - Dell'assenza delle
varietà intermedie in ogni formazione - Della improvvisa comparsa di
gruppi di specie - Della subitanea loro comparsa anche nei più antichi
strati fossiliferi che si conoscano - Età della terra abitabile.
Nel
sesto capitolo enumerai le principali obbiezioni che potevano giustamente
opporsi ai principii sostenuti in questo libro. La maggior parte di quelle
obbiezioni fu da me discussa. Una di esse, cioè la distinzione delle
forme specifiche, senza che si trovino insieme confuse da innumerevoli legami
transitorii, è veramente una difficoltà molto ovvia. Io addussi
le ragioni per cui questi legami non possono comunemente rinvenirsi nell'epoca
presente, sotto circostanze in apparenza più favorevoli alla loro
presenza, vale a dire in una superficie estesa e continua, con condizioni
fisiche graduali. Mi studiai di provare che la vita di ogni specie dipende in
principal modo dalla presenza di altre forme organiche già definite,
anzichè dal clima; e perciò quelle condizioni di vita che
realmente influiscono, come il calore e l'umidità, non variano in modo
insensibile. Cercai anche dimostrare che le varietà intermedie,
esistendo in minor numero che le forme da esse collegate, rimangono in generale
dominate e distrutte nel corso delle ulteriori modificazioni e dei successivi
perfezionamenti. La causa principale, però, che da ogni parte nella
natura non si incontrano legami intermedi innumerevoli consiste nel rigoroso
processo di elezione naturale, per mezzo del quale le nuove varietà
incessantemente surrogano ed esterminano le loro forme-madri. Ma appunto in
proporzione di questo processo di esterminio, che operò sopra una enorme
scala, deve essere veramente immenso il numero delle varietà intermedie
che anticamente esistettero sulla terra. Perchè dunque non è
ripieno ogni strato ed ogni formazione geologica di queste forme intermedie? La
geologia certamente non ci ha rivelato ancora questa catena organica
perfettamente graduale; e questa è forse la più facile ed insieme
la più grave obbiezione che possa farsi alla mia teoria. Ma io credo che
ciò si spieghi colla imperfezione estrema delle memorie geologiche.
In primo luogo, occorre sempre richiamare alla mente di qual
sorta sono le forme intermedie che, secondo la mia teoria, debbono aver
esistito nelle età passate. Nel considerare due specie qualunque, non
seppi esimermi dal rappresentare a me stesso le forme direttamente
intermedie fra le medesime. Ma codesta idea sarebbe completamente erronea;
mentre per forme intermedie noi dobbiamo sempre intendere quelle che
esistettero fra ciascuna specie ed un progenitore comune, ma ignoto; e questo
progenitore avrà presentato delle differenze per qualche rispetto da
tutti i suoi discendenti modificati. Per darne una semplice dimostrazione, il
colombo pavone e il colombo gozzuto derivano ambidue dal colombo torraiuolo;
ora se noi possedessimo tutte le varietà intermedie che hanno esistito,
dovremmo avere una serie progressiva fra quei due colombi e il torraiuolo, ma
non potremmo avere delle varietà direttamente intermedie fra il colombo
pavone ed il gozzuto; niuna varietà, ad esempio, che riunisse una coda
in qualche modo più allargata con un gozzo un po' più largo, che
sono appunto i tratti caratteristici di queste due razze. Queste due razze
inoltre furono modificate siffattamente, che quando noi non avessimo qualche
notizia storica o indiretta, riguardo alla loro origine, non sarebbe stato
possibile determinare, dal semplice confronto della loro struttura con quella
del colombo torraiuolo (C. livia), se esse derivassero da questa
specie, o da qualche altra specie affine, come la C. oenas.
Così
nelle specie naturali, se noi consideriamo le forme affatto distinte, per
esempio, il cavallo e il tapiro, non abbiamo alcun motivo di supporre che vi
siano mai stati dei legami direttamente intermedi fra le medesime, ma
bensì fra ognuna di esse ed il comune loro progenitore che ci è
ignoto. Il comune progenitore avrà presentato, nell'intera sua
organizzazione, molta rassomiglianza generale col tapiro e col cavallo; ma in
alcuni punti della sua struttura avrà differito notevolmente da ambidue
e fors'anche più di quello che essi diversificano tra loro.
Perciò, in tutti i casi analoghi, noi saremmo incapaci di riconoscere la
forma-madre di due o più specie quali si vogliano, ancorchè noi
confrontassimo accuratamente la struttura del progenitore con quella dei
discendenti modificati, senza possedere contemporaneamente una catena quasi
perfetta di forme intermedie.
Ma, secondo la mia teoria, è ben possibile che di due
forme viventi una sia derivata dall'altra; per esempio, il cavallo dal tapiro;
e in tal caso bisogna ammettere nel passato l'esistenza di legami direttamente
intermedi fra i medesimi. Ma questa ipotesi implicherebbe allora che una
forma sia rimasta inalterata per un periodo molto lungo, mentre i suoi
discendenti andarono soggetti a una grande quantità di cambiamenti; e il
principio di lotta fra organismo ed organismo, fra la prole e i parenti,
renderà questo evento assai raro; perchè in ogni caso le forme di
vita nuove e perfezionate tenderanno a prendere il posto delle forme vecchie ed
imperfette.
Per
mezzo della teoria della elezione naturale, tutte le specie viventi furono
connesse colla specie madre di ogni genere, per differenze che non erano
maggiori di quelle che noi vediamo oggidì fra le varietà di una
stessa specie. Questa specie-madre, ora generalmente estinta, sarà stata
alla sua volta similmente collegata con altre specie più antiche; e
così di seguito, sempre convergendo verso il comune antenato di ogni
grande classe. A tal che il numero delle forme intermedie e transitorie, fra
tutte le specie viventi e le estinte, deve esser stata smisuratamente grande.
Ma, se questa teoria è vera, queste forme debbono certamente aver
vissuto sopra la terra.
SULLA DURATA DEL TEMPO, DEDOTTA DALLE DEPOSIZIONI
E DAI DENUDAMENTI
Indipendentemente
dal fatto che noi non troviamo gli avanzi fossili di queste innumerevoli forme
intermedie, potrebbe obbiettarsi che il tempo non sarà stato sufficiente
per una quantità sì grande di mutamenti organici, sapendosi che
tutti i cangiamenti prodotti dall'elezione naturale sono
lentissimi. Non mi è possibile ricordare al lettore, che non sia geologo
pratico, tutti i fatti che guidano la mente a valutare imperfettamente la lunga
durata del tempo. Chiunque abbia letto la grande opera sui Principii della
Geologia di Carlo Lyell, che gli storici futuri riconosceranno come colui
che produsse una rivoluzione nelle scienze naturali, e non ammetta quanto vasti
incomprensibilmente siano stati i periodi passati del tempo, può
senz'altro chiudere questo libro. Nè basta lo studio dei Principii
della Geologia, o la lettura dei trattati speciali dei diversi
osservatori sopra formazioni separate, notando come ogni autore si adoperi per
dare un'idea imperfetta della durata di ogni formazione, od anche di ogni
strato. Noi possiamo farci nel miglior modo un'idea del tempo trascorso,
imparando a conoscere le forze che furono attive, le superfici che vennero
denudate e la quantità dei sedimenti depositati. Come il Lyell ha
osservato benissimo, l'estensione e la potenza delle formazioni sedimentarie di
un luogo sono il risultato e la misura della denudazione che la corteccia
terrestre ha sofferto in altro luogo. Per comprendere in parte la lunghezza del
tempo, i cui monumenti vediamo intorno a noi, sarebbe mestieri esaminare co'
propri occhi la immensa potenza degli strati sovrapposti gli uni agli altri, ed
osservare i fiumi che conducono melma, ed il mare mentre corrode le spiagge.
Sarebbe
utile lo aggirarsi lungo le coste del mare, formate di roccie non troppo dure,
ed osservare il processo di degradazione. Le maree in molti casi si avanzano
sopra le coste rocciose, per breve tempo, due volte il giorno, e le onde non le
corrodono che quando sono cariche di sabbia e di ciottoli; perchè
è provato che l'acqua pura non produce alcun effetto nel bagnare le
roccie. Infine la base della roccia viene corrosa al disotto e cadono enormi
frammenti, i quali, rimanendo fissi, sono poi disgregati atomo per atomo,
finchè siano ridotti a tale grandezza da poter essere rotolati dalle
onde, e poscia più facilmente gettati sul lido allo stato di sassi,
sabbia o melma. Ma quanto spesso non vediamo noi, lungo le basi delle coste che
si arretrano, grandi massi arrotondati, tutti ricoperti di fitte produzioni
marine, che dimostrano quanto poco siano stati corrosi e quanto sia raro che
vengano smossi e rotolati! Inoltre se noi percorriamo poche miglia di costa
dirupata e rocciosa che subisca una degradazione, noi troviamo che soltanto qua
e là per brevi tratti, o intorno ad un promontorio, le coste soffrono al
presente l'azione distruttiva del mare. Ma l'apparenza della superficie e la
vegetazione dimostrano che sono scorsi degli anni dacchè le acque
lavarono le loro basi.
Noi abbiamo però imparato recentemente dalle osservazioni
del Ramsay, precursore di distinti botanici, come il Jukes, il Geikie, il Croll
ed altri, che la degradazione prodotta dall'aria è assai più
importante di quella prodotta dall'acqua sulle spiagge. Tutta la superficie di
un paese è esposta all'azione chimica dell'aria e dell'acqua piovana
contenente anidride carbonica in soluzione, e nelle zone fredde anche a quella
del gelo; la materia disaggregata, durante le pioggie violente, è
portata in basso lungo le chine anche dolci, e specialmente nelle località
aride è asportata dal vento in quantità maggiore di quella che
generalmente si vorrebbe ammettere; poi è portata più oltre dai
fiumi e torrenti, i quali, se sono rapidi, escavano il letto e triturano i
frammenti. Nei giorni piovosi, anche in una regione dolcemente ondulata, noi
vediamo gli effetti della degradazione prodotti dall'atmosfera nei rivi melmosi
che discendono da ogni china. Ramsay e Whitaker hanno dimostrato, e
l'osservazione è assai importante, che le lunghe pendici nel distretto Wealden
e quelle che attraversano l'Inghilterra, le quali dapprima furono credute
antiche coste marine, non vennero formate dall'acqua, giacchè ogni
catena di esse si compone di una medesima formazione, mentre le coste attuali
sono spaccati di formazioni diverse. Noi siamo quindi costretti ad ammettere
che quelle pendici debbano la loro origine al fatto che la roccia, di cui si
compongono, ha resistito meglio della superficie circostante alla denudazione
atmosferica; questa superficie circostante divenne quindi sempre più
bassa, mentre continuarono a sporgere i tratti di roccia più dura. Non
vi ha nulla che ci dia un'idea più potente intorno alla durata del tempo
della convinzione che ne ricaviamo, che cioè gli agenti atmosferici, i
quali apparentemente hanno sì poca forza ed agiscono così
lentamente, abbiano prodotto sì grandi risultati.
Se
noi ci siamo fatti un'idea della lentezza, con cui il terreno è corroso
dalla azione dell'aria e dell'acqua, sarà utile, per apprezzare la
durata del tempo trascorso, considerare da un lato la massa di roccie che fu
rimossa da una regione estesa, e dall'altro lato la potenza delle nostre
formazioni sedimentarie. Io mi ricordo di essere stato altamente sorpreso alla
vista delle isole vulcaniche, le quali erano state degradate dalle onde a segno
che le loro pareti perpendicolari si elevavano all'altezza di
D'altra parte gli ammassi di strati sedimentari sono di
meravigliosa potenza in tutte le parti del mondo. Nelle Cordigliere io ho calcolato
che un masso di conglomerato fosse di diecimila piedi; e sebbene i conglomerati
si accumulino probabilmente con maggiore rapidità che i minuti
sedimenti, tuttavia ciascuno, essendo formato di ciottoli levigati e rotondi,
porta l'impronta di remota antichità: essi servono per dimostrare come
quei massi si siano accumulati lentamente. Il prof. Ramsay mi ha dato la
massima grossezza di ogni formazione nelle diverse parti della Gran Bretagna,
in molti casi dalle misure effettive, in pochi altri casi per approssimazione,
e il risultato fu il seguente:
Strati paleozoici
(non compr. le roccie ignee) |
piedi |
57.154 |
Strati secondari |
» |
13.190 |
Strati terziari |
» |
2.240 |
che insieme
ammontano a
E
nondimeno quest'impressione è in parte falsa. Il Croll, in una sua
interessante memoria, dice che noi non erriamo «nel farci un concetto troppo
grande della lunghezza dei periodi geologici», ma nel valutarla con un numero
di anni. Quando i geologi osservano dei fenomeni estesi e complicati, e poi delle
cifre che esprimono parecchi milioni di anni, ambedue fanno un effetto molto
diverso, e le cifre sono tosto dichiarate troppo piccole. Ma a riguardo della
denudazione prodotta dall'atmosfera il Croll, calcolando la nota
quantità di sedimento che annualmente apportano certi fiumi, al
confronto delle loro aree di prosciugamento, dimostra che
Le specie però si cambiano probabilmente con maggior
lentezza, ed entro uno stesso distretto solo poche si modificano ad un tempo.
La lentezza devesi attribuire alla circostanza che tutti gli abitanti di una
regione sono bene adattati gli uni agli altri, e che nuovi posti nella natura
non si rendono vuoti che a lunghi intervalli, quando cioè siano apparsi
dei cambiamenti di qualsiasi genere nelle condizioni fisiche od in seguito
all'immigrazione di nuove forme. Oltre ciò suppongo che le variazioni o
differenze individuali di retta natura, colle quali alcuni abitatori si rendano
meglio adattati ai nuovi posti in condizioni mutate, non appariscano sempre e
tosto. Sfortunatamente noi non sappiamo esprimere con un numero di anni il
tempo che occorre per modificare una specie; ma all'argomento del tempo noi
dobbiamo ritornare più tardi.
SULLA SCARSEZZA DELLE NOSTRE COLLEZIONI
PALEONTOLOGICHE
Volgiamoci
ai nostri più ricchi musei geologici: quale povertà non vi
riscontriamo! Le nostre collezioni paleontologiche sono imperfette; niuno lo
contesta. Non dobbiamo dimenticare l'osservazione del nostro insigne
paleontologo Edoardo Forbes il giovane, vale a dire, che moltissime delle
nostre specie fossili sono conosciute e rappresentate da un solo campione e
spesso da un frammento, od anche da pochi saggi raccolti in un luogo solo.
Soltanto una piccola porzione della superficie del globo fu esplorata
geologicamente, e niuna parte con sufficiente accuratezza, come lo provano le
importanti scoperte che ogni anno si annunciano in Europa. Ogni organismo
interamente molle non può essersi conservato. I molluschi e le ossa si
distruggono e scompariscono quando giacciono nel fondo del mare, ove non si sia
formato alcun sedimento. Io credo che noi ci formiamo un concetto erroneo, quando
tacitamente ammettiamo che il sedimento venga depositato sopra quasi tutto
l'intero letto del mare ed abbastanza sollecitamente da coprire e preservare
gli avanzi fossili. Dappertutto sopra una estensione proporzionatamente enorme
dell'oceano, la brillante tinta azzurra dell'acqua ne dimostra la purezza. I
molti casi conosciuti di formazioni coperte, dopo un enorme intervallo di
tempo, da un'altra e più recente formazione, senza che il letto
sottoposto abbia sofferto nell'intervallo alcuna denudazione, o alcun
laceramento, non sembrano potersi spiegare che nell'ipotesi che il fondo del
mare rimanga spesso per lungo tempo in una condizione inalterata. Se gli avanzi
fossili rimangono immersi nella sabbia o coperti di ghiaia, quando questi
strati emergono, generalmente verranno decomposti dalla filtrazione delle acque
di pioggia che sono pregne di acido carbonico. Alcune delle molte sorta di
animali, che vivono sulle coste fra le acque alte e le basse, sembra che
debbano conservarsi di rado. Per es., le varie specie di Chthamalinæ (sotto-famiglia
di cirripedi sessili) ricoprono le rocce di tutto il mondo, in grandissimo
numero; esse abitano esclusivamente il littorale, eccettuata una sola specie
del Mediterraneo che vive nelle acque profonde e che fu trovata fossile in
Sicilia; al contrario niun'altra specie è stata fin qui trovata nelle
formazioni terziarie; pure sappiamo che il genere Chthamalus esisteva
nel periodo cretaceo. Finalmente molti immensi depositi, che hanno richiesto un
tempo lunghissimo alla loro formazione, sono affatto privi di avanzi organici,
senza che ne possiamo indicare la causa. Un esempio dei più notevoli ci
è offerto dal flysch che consta di schisto argilloso ed arenaria,
e con una potenza di parecchie migliaia di piedi (ad es. di seimila piedi), si
estende almeno per trecento miglia inglesi da Vienna fino alla Svizzera. E
sebbene questa ingente massa sia stata esaminata diligentemente, nessun fossile
vi fu rinvenuto, ad eccezione di pochi resti vegetali.
Riguardo alle produzioni terrestri che vivevano nei periodi
delle epoche secondaria e paleozoica, è superfluo dire che gli avanzi
fossili non ci somministrano che nozioni tronche ed imperfette al sommo. Per
esempio, non si conosce alcuna conchiglia terrestre che appartenga ad uno di questi
lunghi periodi, tranne una specie scoperta da C. Lyell e dal dottor Dawson
negli strati carboniferi dell'America settentrionale, della quale conchiglia si
raccolsero circa cento esemplari. Rispetto ai resti dei mammiferi, un solo
colpo d'occhio alla tavola storica, pubblicata nel Supplemento al Manuale di
Lyell, basta a provare, meglio che lunghe pagine di dettagli, quanto sia rara
ed accidentale la loro conservazione. Nè deve recarci sorpresa questa
loro rarità, se rammentiamo quale immensa quantità di ossa appartenenti
ai mammiferi terziari fu trovata nelle caverne e nei depositi lacustri, e che
non si conosce una sola caverna o un vero deposito lacustre che risalga
all'epoca delle nostre formazioni secondarie o paleozoiche.
Ma l'imperfezione delle memorie geologiche risulta
manifestamente da un'altra causa più importante delle precedenti; vale a
dire, da ciò, che le diverse formazioni sono separate l'una dall'altra
da lunghi intervalli di tempo. Questa dottrina è stata calorosamente sostenuta
da molti zoologi e paleontologi, i quali, come E. Forbes, negano affatto la
trasformazione delle specie. Quando noi vediamo le formazioni sulle tavole che
troviamo nelle opere di geologia, od anche allorchè noi le osserviamo in
natura, difficilmente possiamo astenerci dal credere che le medesime siano
rigorosamente consecutive. Così esistono vaste lacune fra le formazioni
sovrapposte nella Russia, come sappiamo dalla grande opera di R. Murchison su
quel paese; troviamo altrettanto nell'America settentrionale e in molte altri
parti del mondo. Il geologo più abile, se avesse portata la sua
attenzione esclusivamente sopra uno solo di questi vasti territori, non avrebbe
mai sospettato che durante questi periodi di inazione e di sterilità nel
proprio paese, si deponevano altrove e si accumulavano grandi strati
sedimentari, pieni di nuove e peculiari forme di vita. E se in ogni territorio
separato non si può concepire un'idea della lunghezza del tempo
trascorso fra le consecutive formazioni, possiamo dedurne che ciò non
sia per conseguirsi in qualunque altro luogo. I cambiamenti grandi e frequenti,
nella composizione mineralogica delle formazioni consecutive, generalmente
implicano delle grandi mutazioni della geografia delle terre finitime, dalle
quali furono tratte le materie sedimentarie, in accordo colla ipotesi degli
immensi periodi di tempo, che passarono fra una formazione e l'altra.
Ma
io credo che noi possiamo riconoscere il motivo, per cui le formazioni
geologiche di ogni regione sono quasi costantemente intermittenti: cioè
non successive l'una all'altra senza interruzione. Forse niun fatto mi ha
prodotto una impressione uguale a quella che provai nell'esaminare, per molte
centinaia di miglia, le coste dell'America meridionale che furono nell'epoca
più recente sollevate di parecchie centinaia di piedi; mentre notai la
mancanza di qualunque deposito recente abbastanza forte da sussistere, anche
per un breve periodo geologico. Lungo tutta la spiaggia occidentale, che
è abitata da una particolare fauna marina, gli strati
terziari sono sviluppati tanto debolmente, che con ogni probabilità non
resterà alcuna memoria delle varie faune marine successive nelle
età future. Ma un po' di riflessione basta a chiarire perchè in
queste coste che si sollevano sul lato occidentale dell'America meridionale,
non possa trovarsi in alcun punto una estesa formazione con avanzi recenti o
terziari: benchè la quantità di sedimento accumulato nelle epoche
trascorse sia stata grande, attesa l'enorme degradazione delle coste rocciose e
per la continua alluvione dei fiumi melmosi che si gettano nel mare. Senza
dubbio, la ragione è che i depositi littorali o sub-littorali sono
continuamente disgregati ed asportati, di mano in mano che, per il sollevamento
lento e graduale della terra, vengono esposti all'azione dissolvente dei flutti
di costa.
Noi possiamo concludere con sicurezza che il sedimento deve
essersi accumulato in masse estremamente profonde, solide ed estese,
perchè altrimenti, durante il primo sollevamento e nelle posteriori
oscillazioni di livello, non avrebbe potuto resistere alla incessante azione
dei flutti. Queste considerevoli ed estese accumulazioni di sedimento possono
essersi formate in due modi; o nelle grandi profondità del mare, nel
qual caso, secondo le ricerche di E. Forbes, il fondo sarebbe abitato da pochi
animali; nè le forme viventi sono bandite da quei recessi, come si
è rilevato dagli ultimi scandagli per il collocamento delle linee
telegrafiche; conseguentemente, quando queste masse emergono, non possono somministrare
che imperfette notizie delle forme che esistettero nell'epoca della
deposizione. Oppure può darsi che il sedimento si sia formato sopra i
bassi fondi, qualunque ne sia la potenza e la estensione, mentre questi bassi
fondi si trovano in via di continuo e lento abbassamento. In tal caso, fintanto
che il progredire dell'abbassamento e la quantità del sedimento deposto
si corrisponderanno approssimativamente, il mare rimarrà poco profondo e
favorevole alle forme viventi, e così si avrà una ricca
formazione fossilifera, la quale emergendo sarà capace di resistere ad
ogni degradazione.
Sono convinto
che quasi tutte le nostre antiche formazioni, che nella massima parte della
loro grossezza sono ricche di fossili, si sono formate in questo modo, nei
periodi di abbassamento. Dacchè pubblicai le mie vedute su questo
argomento nel 1845, tenni dietro ai progressi della Geologia, e fui sorpreso
dal vedere come gli autori uno dopo l'altro, nel trattare di alcuna grande
formazione, siano arrivati alla conclusione che quegli ammassi si erano deposti
durante l'abbassamento. Aggiungerò che l'unica antica formazione
terziaria delle coste occidentali dell'America del Sud, che era abbastanza
grande da resistere alle degradazioni che dovette sopportare, ma che
difficilmente si conserverà fino ad una lontana epoca geologica, fu
certamente depositata durante l'abbassamento del suolo, ed acquistò
così una ragguardevole grossezza.
Tutti i fatti geologici ci dimostrano chiaramente che la
superficie terrestre, in diversi punti, soggiacque a molte oscillazioni di
livello che furono lente; e pare si siano manifestate sopra grandi estensioni.
Perciò le formazioni che sono ricche di fossili e sufficientemente alte
ed estese da poter resistere alle degradazioni posteriori, possono avere avuto
origine sovra vasti spazi nei periodi di abbassamento: ma solamente dove la
quantità di sedimento bastava a conservare il mare poco profondo([21])
e a ricoprire e preservare gli avanzi organici, prima che avessero il tempo di
decomporsi. D'altra parte, finchè il letto del mare fosse rimasto
stazionario, non avrebbero potuto accumularsi dei depositi molto alti nei bassi
fondi, che sono i più favorevoli alle forme viventi. Ciò sarebbe
stato anche meno possibile nei periodi alternativi di sollevamento, o per
esprimerci più accuratamente, quei depositi che si sarebbero accumulati
durante l'abbassamento, generalmente sarebbero stati esposti all'azione
distruttiva dei flutti di costa, nel periodo di sollevamento.
Queste
osservazioni si applicano principalmente ai depositi littorali e sub-littorali.
Nel caso dei mari poco profondi e molto estesi, come in una gran parte dello
Arcipelago Malese, dove la profondità varia da 30 o
Hopkins, nello sviluppare questo argomento, stabilisce che sia
molto raro il caso della intera distruzione di un letto di sedimento che abbia una
estensione orizzontale considerevole. Ma tutti i geologi, eccettuati quei pochi
che si avvisano di vedere negli schisti metamorfici e nelle roccie plutoniche
il nucleo primitivo del globo in fusione, ammetteranno probabilmente che le
roccie di questa sorta debbano essere state ampiamente denudate. Perchè
non è possibile che tali roccie siano state solidificate e
cristallizzate quando erano scoperte; ma se l'azione metamorfica ha agito nelle
profondità dell'Oceano, non occorreva che l'antico mantello di protezione
fosse molto alto. Ammettendo che simili roccie, come il gneiss, il micaschisto,
il granito, la diorite, ecc., fossero un tempo necessariamente ricoperte da
altri terreni, come possiamo noi spiegare le superfici estese e nude che queste
roccie presentano in molte parti del mondo, se non col supporre che furono
completamente denudate di tutti gli strati sovrapposti ad esse? Che queste
superfici nude e vaste esistano, non può rivocarsi in dubbio. La regione
granitica di Parime, per esempio, fu descritta da Humboldt, che le assegnava
una superficie uguale almeno a diciannove volte quella della Svizzera. Al sud
del fiume delle Amazzoni, Boué ci ha delineato un'area, composta di queste
roccie, eguale in estensione alla Spagna, Francia, Italia, parte della Germania
colle isole della Gran Bretagna, insieme riunite.
Questa
regione non fu completamente esaminata, ma dalla concorde testimonianza dei
viaggiatori, quest'area granitica deve essere immensa. Così Von Eschwege
dà una sezione dettagliata di queste roccie partendo da Rio Janeiro, per
un tratto di
Nè possiamo omettere un'altra osservazione. Nei periodi
di sollevamento, la superficie delle terre e degli adiacenti bassi fondi del
mare sarà stata aumentata, e spesso si saranno aperte nuove stazioni
agli esseri viventi; circostanze che sono favorevoli, come si è detto
precedentemente, per la formazione di varietà e specie nuove; ma per la
durata di questi periodi si troveranno generalmente delle lacune
corrispondenti, nelle memorie ed avanzi geologici. Al contrario nei periodi di
abbassamento le aree abitabili e il numero degli abitanti subiranno una
diminuzione (eccettuate le produzioni sulle coste di un continente, che viene
interrotto e cambiato in arcipelago), e per conseguenza in questi periodi
accadranno molte estinzioni e si avranno poche varietà o specie nuove;
ed è appunto durante questi abbassamenti che si sono accumulati i nostri
grandi depositi, ricchi di fossili.
DELL'ASSENZA DELLE VARIETÀ INTERMEDIE
IN OGNI FORMAZIONE
Per tutte le
esposte considerazioni, non può dubitarsi che le memorie geologiche,
prese nel loro insieme, siano estremamente imperfette; ma se noi concentriamo
l'attenzione sopra ciascuna formazione, diverrà assai più
malagevole il comprendere per qual motivo non troviamo delle varietà
perfettamente graduali fra quelle specie affini che vissero al suo principio o
alla fine. Abbiamo alcuni casi di una medesima specie avente delle
varietà distinte, nelle parti superiori ed inferiori della stessa
formazione; così il Trautschold cita l'esempio delle ammoniti, e
Hilgendorf ha descritto l'esempio interessantissimo di dieci forme graduate
della Planorbis multiformis negli strati successivi di una formazione di
acqua dolce della Svizzera. Benchè ogni formazione richiedesse
indubitamente un grande numero di anni per la sua deposizione, si potrebbero
addurre diverse ragioni per sostenere che ciascuna non dovrebbe includere una
serie graduale di forme, fra quelle specie che vissero in quel luogo; ma non ho
la pretesa di assegnare la loro importanza relativa alle considerazioni che
andrò esponendo.
Quantunque ogni formazione possa rappresentare un lunghissimo
corso di anni, forse questo periodo è breve in confronto di quello che
è necessario per trasformare una specie in un'altra. Egli è ben
vero che due paleontologi, le cui opinioni sono meritevoli di molta
considerazione, Bronn e Woodward, hanno stabilito che la durata media di ogni
formazione è il doppio ed il triplo della durata media di ogni forma
specifica. Ma, a quanto parmi, sono insuperabili le difficoltà che ci
vietano di giungere ad una precisa conclusione intorno a quest'oggetto. Quando
noi vediamo che nel mezzo di una formazione si incontra una specie, sarebbe
troppo avventato il giudizio di chi ne concludesse che quella specie non abbia
esistito altrove in antecedenza. Così dicasi, quando troviamo che una
specie scomparve prima della deposizione degli strati più elevati;
sarebbe ugualmente arrischiato il supporre che quella specie fosse
completamente estinta. Noi abbiamo inoltre dimenticato quanto piccola è
la superficie dell'Europa, in confronto del resto del mondo; e che i parecchi
stadii delle singole formazioni non furono coordinati con perfetta accuratezza
in tutta l'Europa.
Rispetto agli animali marini, possiamo con sicurezza
conchiudere essere avvenute molte migrazioni, durante il cambiamento del clima
ed in conseguenza altresì di altri mutamenti; e quando noi in qualche
formazione ci scontriamo per la prima volta in una specie, è probabile
soltanto che essa abbia immigrato in quell'area. È notorio, per esempio,
che varie specie si trovano talvolta prima negli strati paleozoici dell'America
del Nord che in quelli d'Europa; perchè, infatti, sarà stato
necessario un certo intervallo di tempo per la loro migrazione dai mari
dell'America a quelli dell'Europa. Nell'esaminare gli ultimi depositi delle
varie parti del mondo si è osservato dappertutto che alcune poche specie
esistenti sono comuni anche a quei depositi, ma che nei mari immediatamente
vicini rimasero estinte; o viceversa, che alcune sono attualmente abbondanti nel
mare vicino, ma sono rare o mancano affatto in questi particolari depositi. Si
ha una lezione eccellente, quando si riflette all'accertata frequenza delle
migrazioni degli abitatori dell'Europa nel periodo glaciale, che forma una
parte solamente di un intero periodo geologico; e parimenti quando si pensa ai
grandi cambiamenti di livello e ai disordinati e grandi cambiamenti del clima,
non che alla prodigiosa lunghezza del tempo, che si verificarono nel medesimo
periodo glaciale. Può nondimeno dubitarsi che in qualche parte del mondo
si siano accumulati dei depositi sedimentari, contenenti avanzi fossili, nella
stessa superficie, per tutta la durata di questo periodo. Non è
supponibile, per esempio, che il sedimento presso la foce del Mississippì
siasi depositato durante tutto il periodo glaciale, nei limiti di
profondità in cui gli animali marini possono prosperare; perchè
noi sappiamo che nelle altre parti dell'America avvennero in quest'epoca grandi
mutazioni geografiche. Quando questi strati, che furono depositati nelle acque
basse alla foce del Mississippì, in qualche fase del periodo glaciale,
si saranno sollevati, gli avanzi organici probabilmente saranno apparsi e poi
scomparsi a diverse altezze, secondo la migrazione delle specie e i cambiamenti
geografici. E in un'epoca avvenire molto remota, se un geologo studierà
questi strati, potrà sentirsi inclinato a concludere che la durata media
della vita dei fossili, colà sepolti, fu più breve di quella del
periodo glaciale, mentre al contrario sarebbe stata realmente più lunga,
perchè avrebbe cominciato prima dell'epoca glaciale e sarebbe arrivata
fino all'epoca attuale.
Quanto al
verificarsi una gradazione perfetta fra due forme, nelle parti superiore ed
inferiore di una stessa formazione, il deposito avrebbe in tal caso dovuto
accumularsi per un lunghissimo periodo, onde fosse passato un tempo sufficiente
al lento effetto del processo di variazione; perciò il deposito dovrebbe
generalmente offrire una enorme grossezza: e le specie soggette a modificazione
avrebbero dovuto vivere sulla stessa superficie per tutto quel periodo. Ma noi
abbiamo notato che una formazione molto profonda, la quale sia fossilifera in
tutta la sua altezza, non può essersi accumulata che nel periodo di abbassamento,
e inoltre è necessario che la profondità del mare rimanga
prossimamente costante, perchè la stessa specie possa
continuare a vivere nel medesimo spazio; e quindi fa d'uopo che la
quantità progressiva di abbassamento sia compensata a un dipresso da un
continuo deposito. Ma codesto modo di abbassamento tenderà spesso a
restringere l'area da cui il sedimento deriva, e per conseguenza ne
scemerà la quantità, mentre il moto dall'alto al basso continua.
Nel fatto è probabilmente assai raro il caso che si abbia una quasi
esatta compensazione fra la quantità del sedimento e il valore
dell'abbassamento progressivo; perchè fu osservato da più di un
paleontologo che i depositi molto forti sono ordinariamente privi di avanzi
organici, tranne ai loro limiti superiore ed inferiore.
È probabile che ogni formazione separata, come l'intero
ammasso delle formazioni di ogni paese, si siano accumulate in generale con
successione intermittente. Quando vediamo, come spesso avviene, una formazione
composta di strati di diversa composizione mineralogica, possiamo
ragionevolmente sospettare che il procedimento di deposizione fu molte volte
interrotto; come generalmente dovranno attribuirsi a cambiamenti geografici,
che esigono un lungo tempo, la deviazione delle correnti marine e la
deposizione di un sedimento di natura diversa. Nè potrebbe la più
rigorosa ispezione di una formazione dare una idea del tempo impiegato nella
sua deposizione. Abbiamo molti esempi di strati che hanno soltanto pochi piedi
di grossezza, quali rappresentano delle formazioni, che altrove hanno una
potenza di ben mille piedi, e che per la loro accumulazione avranno richiesto
un periodo enorme; nondimeno chiunque avesse ignorato questo fatto non avrebbe
potuto immaginare il lunghissimo corso di tempo rappresentato dalla formazione
più sottile. Potrebbero citarsi molti casi di strati inferiori di una
formazione, che furono sollevati, indi denudati, sommersi, ed infine ricoperti
di nuovo dagli strati superiori della stessa formazione, fatti che dimostrano
quanto lunghi furono gli intervalli che occorsero per la sua accumulazione,
benchè spesso non se ne sia tenuto calcolo. In altri casi noi abbiamo la
prova più evidente nei grandi alberi fossili ancora eretti sul terreno
nel quale si svilupparono, dei lunghissimi periodi e dei cangiamenti di livello
che avvennero nel processo di deposizione e di cui non si sarebbe mai avuto
alcun sentore, quando quegli alberi non si fossero fortunatamente conservati.
Così Lyell e Dawson trovarono degli strati carboniferi di
Importa soprattutto ricordare che i naturalisti non hanno
alcuna regola d'oro per distinguere le specie dalle varietà; essi
attribuiscono qualche piccola variabilità ad ogni specie, ma quando
incontrano qualche maggior quantità di differenze fra due date forme, le
riguardano come specie, a meno che non giungano a collegarle insieme col mezzo
di strette gradazioni intermedie. Ora ciò può conseguirsi di rado
in ciascuna sezione geologica, per le ragioni ora enumerate. Supponendo infatti
che B e C siano due specie e che una terza specie A si trovi in uno strato
più antico e sottoposto: anche se A fosse direttamente intermedia fra B
e C, sarebbe classificata semplicemente come una terza specie distinta, se non
potesse più rigorosamente connettersi colle due forme contemporaneamente,
ovvero con una sola di esse, per mezzo di varietà intermedie. Nè
dobbiamo dimenticare, come abbiamo spiegato prima, che A può essere
progenitore di B e C, e non sarà quindi necessariamente intermedia fra
esse, in ogni punto della sua struttura. Cosicchè possiamo trovare la
specie-madre e i suoi diversi discendenti modificati negli strati superiore ed
inferiore di una formazione, e finchè non otteniamo molte gradazioni
transitorie, non potremmo riconoscere la loro parentela e saremmo per conseguenza
obbligati a classificarli tutti quali specie distinte.
È
cosa nota che molti paleontologi hanno fondato le loro specie sopra differenze
eccessivamente piccole, ed essi lo fanno tanto più facilmente quando gli
avanzi sono presi da diversi substrati della medesima formazione. Alcuni
esperti conchigliologi riducono attualmente al rango di varietà molte
delle specie caratterizzate dal D'Orbigny e da altri, e in queste discrepanze
troviamo una prova di quei cambiamenti che, secondo la mia teoria, debbono
incontrarsi. Anche gli ultimi depositi terziari contengono molte conchiglie,
credute dalla maggior parte dei naturalisti identiche alle specie esistenti; ma
alcuni dotti naturalisti, come Agassiz e Pictet, sostengono che tutte queste
specie terziarie sono specificamente distinte dalle attuali, benchè si
ammetta che la differenza è molto leggera. Cosicchè noi abbiamo
la maggior prova delle quasi generali piccole modificazioni di forma, che la
teoria suppone; quando non si voglia credere che questi naturalisti eminenti
furono tratti in errore dalla loro immaginazione: e che queste più
recenti specie terziarie realmente non presentano differenza alcuna dalle loro
forme congeneri viventi, o quando non si pensi che la grande maggioranza dei
naturalisti ha torto, e che le specie terziarie sono tutte perfettamente
distinte dalle recenti. Se noi prendiamo degli intervalli di tempo più
estesi, vale a dire le epoche scorse nell'accumulazione dei distinti e
consecutivi strati di una stessa grande formazione, noi troviamo che i fossili
sepolti, benchè quasi universalmente considerati come specificamente
diversi, sono assai più strettamente collegati fra loro che le specie
trovate nelle formazioni più lontane; per modo che noi abbiamo anche qui
una prova incontrastabile dei cambiamenti, benchè non sia una prova
rigorosa delle variazioni, nel senso indicato dalla mia teoria; ma io mi
occuperò di nuovo di questo argomento nel capo seguente. Abbiamo ancora
un'altra considerazione importante: cioè che vi ha ragione di supporre
che in questi animali e in quelle piante che si propagano rapidamente e non si
muovono con facilità, le varietà siano dapprima locali, come
abbiamo già veduto, e che queste varietà locali non si diffondano
molto e non surroghino le loro forme-madri se non quando sono state modificate
e perfezionate in modo considerevole. Secondo questa opinione, la
probabilità di scoprire in una formazione di un dato luogo tutti gli stadii primitivi di transizione fra due forme è
piccola, perchè si ammette che i cambiamenti successivi furono locali o
limitati ad una sola località. Quasi tutti gli animali marini hanno una
grande estensione; e noi abbiamo veduto che fra le piante, quelle che sono
più disseminate presentano più spesso delle varietà; per
modo che i molluschi ed altri animali marini che furono più ampiamente
diffusi, fino ad eccedere i limiti delle formazioni geologiche conosciute di
Europa, furono molto probabilmente quelli che diedero più spesso origine
alle locali varietà ed infine a nuove specie; ed anche questa
circostanza ci renderà assai difficile il tracciare gli stadii di
transizione in ciascuna formazione geologica.
Una considerazione che conduce allo stesso risultato e su cui
ha recentemente insistito il Falconer, è ancora più importante. I
periodi di tempo cioè, durante i quali le specie subirono delle
modificazioni, sebbene appariscano lunghi, se sono espressi con un numero di
anni, erano nondimeno con ogni probabilità brevi, al confronto dei
periodi, durante i quali le medesime specie non soffersero alcun cambiamento.
Non dovrebbe dimenticarsi che, anche attualmente,
benchè si abbiano campioni perfetti da esaminare, non possiamo rannodare
che ben di rado due forme, per mezzo di varietà intermedie, e
così dimostrarne la identità([22])
di specie; e ciò perchè non si raccolsero molti di questi oggetti
da paesi diversi; ora, nel caso delle specie fossili, ciò difficilmente
potrebbe farsi dai paleontologi. Ma forse noi potremo intendere viemmeglio la
poca probabilità in cui siamo di giungere a collegare le specie, per
mezzo di numerose forme gradatamente intermedie, quando ci domandiamo, se, per
esempio, i geologi di qualche epoca futura sarebbero capaci di provare che le
nostre razze differenti di buoi, di pecore, di cavalli e di cani siano derivate
da un solo ceppo o da vari stipiti originali; od anche se certe conchiglie
marine che abitano le coste dell'America settentrionale, le quali furono da
alcuni conchigliologi considerate come specie distinte dalle loro omonime di
Europa, e da altri soltanto come varietà, siano realmente
varietà, ovvero siano piuttosto distinte specificamente. Ciò non
potrebbe farsi che da qualche geologo futuro, il quale scoprisse molte gradazioni
intermedie nello stato di fossili; ma questo successo è improbabile al
più alto grado.
Si è
ripetutamente sostenuto dagli scrittori che credono alla immutabilità
delle specie, che la geologia non ha fornito forme di transizione. Questa
asserzione è del tutto erronea, come vedremo nel prossimo capitolo.
«Ogni specie è un legame fra altre forme affini», disse il Lubbock. Noi
lo vediamo chiaramente, se prendiamo un genere che sia ricco di specie viventi
od estinte, e ne distruggiamo quattro quinti; perchè in tal caso niuno
sarà per dubitare che le rimanenti saranno più distinte fra loro.
Se invece furono le forme estreme di un genere che rimasero così
eliminate, il genere stesso nella pluralità dei casi resterà
più distinto dagli altri generi affini. Ciò che le ricerche
geologiche non ci hanno rivelato, è l'esistenza antica di gradazioni
infinitamente numerose, tanto strette quanto lo sono le nostre varietà,
che abbiano collegato fra loro tutte le specie conosciute. E che a tanto non sia giunta la geologia, è appunto la più comune delle
molte obbiezioni che si sono sollevate contro la mia teoria.
Sarà quindi utile riassumere le precedenti
considerazioni sulle cagioni della imperfezione delle memorie geologiche, con
un esempio ideale. L'Arcipelago Malese è circa di un'estensione eguale a
quella parte d'Europa che si estende dal Capo Nord al Mediterraneo e
dall'Inghilterra alla Russia; e perciò corrisponde alla superficie di
tutte le formazioni geologiche che furono esplorate con qualche esattezza,
eccettuate quelle degli Stati Uniti d'America. Convengo pienamente col
Godwin-Austen che l'Arcipelago Malese, nelle sue presenti condizioni, colle sue
isole grandi e numerose separate da mari estesi e poco profondi, probabilmente
rappresenta l'antico stato dell'Europa, all'epoca in cui la maggior parte delle
nostre formazioni si andavano accumulando. L'arcipelago Malese è una
delle regioni del mondo intero più ricche di esseri organizzati; pure,
se si fossero riunite tutte le specie che sono colà vissute, quanto imperfettamente
non sarebbe in esse raffigurata la storia naturale del mondo!
Noi abbiamo ogni fondamento di ritenere che le produzioni
terrestri dell'Arcipelago non si conserverebbero che in modo assai incompleto
nelle formazioni che per ipotesi colà si accumulassero. È
probabile che non rimarrebbero nel sedimento molti fra gli animali che abitano
esclusivamente il littorale, e neppure molti di quelli che vivono sulle roccie
sotto-marine denudate; e quelli che sono ricoperti di ghiaia o di sabbia, non
durerebbero fino ad un'epoca lontana. Laddove il sedimento non si accumula sul
fondo del mare, oppure non si ammassa in quantità bastante a proteggere
i corpi organici dalla decomposizione, non si conserverebbe avanzo di sorta.
Secondo la
regola comune, le formazioni ricche di fossili non si formerebbero
nell'Arcipelago di una conveniente altezza per rimanere inalterate sino ad
un'epoca tanto lontana nell'avvenire, quanto lo sono le formazioni secondarie
nel passato, se non durante i periodi di abbassamento. Questi periodi di
abbassamento sarebbero separati l'uno dall'altro da enormi intervalli, per la
durata dei quali l'area della regione o sarebbe stazionaria, o si solleverebbe.
Quando avvenisse il sollevamento, le formazioni fossilifere delle coste
più ripide sarebbero distrutte, quasi appena depositate, dall'incessante
azione dei flutti di costa, come osserviamo al presente sulle coste
dell'America del Sud; ed anche nei mari estesi e bassi dell'Arcipelago, nei
periodi di elevazione, gli strati sedimentari non potrebbero depositarsi ad una
grande altezza, nè potrebbero essere ricoperti e protetti dai depositi
posteriori, tanto da avere qualche probabilità di conservarsi fino ad
un'epoca estremamente lontana. Nei periodi di abbassamento si avrebbe forse una
grande estinzione di forme viventi; mentre in quelli di sollevamento, molte
sarebbero le variazioni, ma gli avanzi fossili e i documenti geologici
sarebbero per l'avvenire assai imperfetti.
Potrebbe dubitarsi se la durata di qualche
grande periodo di abbassamento, sopra tutto l'Arcipelago o sopra una parte di
esso, insieme alla contemporanea deposizione di sedimento, sarebbe per eccedere
la durata media delle stesse forme specifiche; ora queste contingenze sono
indispensabili per la conservazione di tutte le gradazioni transitorie fra due
o più specie. Se queste gradazioni non fossero tutte preservate
completamente, le varietà transitorie non sarebbero considerate che come
altrettante specie distinte. È anche supponibile che ogni grande periodo
di abbassamento sarebbe interrotto dalle oscillazioni di livello, e che anche i
piccoli cambiamenti del clima interverrebbero in questi lunghissimi periodi; in
questi casi gli abitanti dell'Arcipelago emigrerebbero e non resterebbe in
ciascuna formazione alcuna memoria rigorosamente progressiva delle loro
modificazioni.
Moltissime specie marine viventi nell'Arcipelago si estendono
attualmente per migliaia di miglia oltre i suoi confini; e l'analogia
facilmente ci persuade che queste specie tanto diffuse dovrebbero produrre
più di sovente delle nuove varietà; queste varietà
sarebbero in principio locali o ristrette ad un solo luogo, ma possedendo un
deciso vantaggio ed essendo ulteriormente modificate e perfezionate, si
estenderebbero lentamente e soppianterebbero le loro forme-madri. Quando queste
varietà tornassero alla loro antica dimora, siccome diversificherebbero
dallo stato primitivo quasi uniformemente, benchè forse in un grado
molto leggero, e siccome si troverebbero involte in altri substrati della
stessa formazione, così sarebbero riguardate quali specie nuove e
distinte, dietro i principii seguiti da molti paleontologi.
Se
in queste osservazioni abbiamo qualche fondo di verità, non dobbiamo
aspettarci di trovare nelle nostre formazioni geologiche un numero infinito di
queste forme gradatamente transitorie, le quali, secondo la mia teoria, hanno
collegato fra loro le specie attuali colle passate di uno stesso
gruppo, in una lunga catena di forme viventi con diverse ramificazioni. Invece
noi non dobbiamo trovare che pochi esseri intermedi, alcuni più
distanti, altri più prossimi fra loro, come appunto avviene; e queste
formazioni intermedie, per quanto siano vicine, quando si incontrino in strati
diversi di una formazione, saranno classificate tra le specie distinte da molti
paleontologi. Tuttavia io confesso che non avrei mai sospettato che anche la
meglio conservata sezione geologica ci offra sì scarse notizie delle
mutazioni degli esseri estinti, se la difficoltà che si oppone alla
scoperta delle innumerevoli forme transitorie, fra le specie che esistevano al
principio e alla fine di ogni formazione, non si fosse con tanta insistenza
sostenuta contro la mia teoria.
SULLA IMPROVVISA COMPARSA DI GRUPPI INTERI DI SPECIE AFFINI
Il
modo subitaneo con cui dei gruppi interi di specie inopinatamente si trovano in
certe formazioni, fu riguardato da parecchi paleontologi, per esempio Agassiz,
Pictet e Sedgwick, come una obbiezione ponderosa contro l'ipotesi della
trasformazione delle specie. Se molte specie, appartenenti agli stessi generi o
famiglie, fossero realmente sorte alla vita improvvisamente, il fatto sarebbe
fatale alla teoria delle discendenza lentamente modificata per mezzo
dell'elezione naturale. Perchè lo sviluppo di un gruppo di forme, che
tutte derivarono da qualche antico progenitore, deve essersi compiuto con un
processo estremamente lento; e i progenitori debbono avere vissuto per lunghe
età prima dei loro discendenti modificati. Ma noi continuamente
esageriamo la perfezione delle nostre memorie geologiche e falsamente ne deduciamo,
dal non trovarsi certi generi o famiglie sotto certe formazioni, che essi non
esistevano prima di quegli strati. In tutti i casi le prove positive tratte
dalla paleontologia possono ritenersi fondate; ma al contrario le prove
negative sono senza valore, come l'esperienza lo ha spesso dimostrato. Noi
continuamente dimentichiamo quanto sia grande il mondo in confronto di quella
superficie sulla quale le nostre formazioni geologiche furono accuratamente
esaminate; dimentichiamo che possono esservi stati altrove, per lungo tempo,
dei gruppi di specie ed essersi anche lentamente moltiplicati, prima che
invadessero gli antichi arcipelaghi d'Europa e degli Stati Uniti. Noi non
teniamo inoltre in dovuto conto gli enormi intervalli di tempo che passarono
fra le nostre consecutive formazioni, che in molti casi furono più
lunghi del tempo necessario per l'accumulazione di ogni formazione. Questi
intervalli avranno permesso alle specie di moltiplicarsi, partendo da una sola
o da poche forme-madri; nelle formazioni posteriori questi gruppi di specie
appariranno, come se fossero stati creati repentinamente.
Posso richiamare una osservazione fatta da principio,
cioè, che debba richiedersi una lunga successione di età, per
adattare un organismo ad alcune nuove e particolari abitudini di vita, per
esempio al volo, per cui le forme transitorie resteranno spesso limitate per
molto tempo ad una data regione; ma che quando questo adattamento sia stato
raggiunto, e alcune poche specie abbiano così acquistato un grande vantaggio
sugli altri organismi, non sarebbe più necessario che un tempo
relativamente breve per la produzione di molte forme divergenti, che sarebbero
acconcie a diffondersi con rapidità ed estesamente sulla superficie del
mondo. Il prof. Pictet, nella sua eccellente rivista di quest'opera, nel
commentare quanto si è detto delle forme transitorie primitive e
prendendo gli uccelli per un esempio, non può capacitarsi come le
successive modificazioni delle estremità anteriori di un supposto
prototipo abbiamo potuto riuscire di qualche utilità. Ma se poniamo
mente ai pinguini dell'Oceano del Sud, non vediamo forse in questi uccelli le
estremità anteriori nel preciso stato intermedio, nè di vere
braccia, nè di vere ali? Nondimeno questi animali mantengono
vittoriosamente il loro posto nella battaglia per la vita; perchè
esistono in grandissimo numero ed in molte razze. Non voglio supporre che noi
abbiamo in essi il grado transitorio effettivo pel quale sono passate le ali
degli uccelli; ma quale speciale difficoltà si trova nel credere che
abbia potuto giovare ai discendenti modificati del pinguino il divenire atti a
battere colle ali la superficie del mare come l'anitra stupida, ed infine
giungere a staccarsi da quella superficie, sostenendosi a volo per l'aria?
Esporrò
qui pochi esempi, che serviranno a spiegare le cose dette precedentemente, e a
dimostrare quanto siamo esposti ad errare, nel supporre che interi gruppi di
specie siano stati improvvisamente prodotti. Anche nel breve lasso di tempo
trascorso tra la prima e la seconda edizione della grande opera di Pictet sulla
Paleontologia, pubblicate nel 1844-46 e nel 1853-57: le conclusioni prese
intorno alla prima apparizione ed alla scomparsa di parecchi
gruppi di animali furono grandemente modificate; e siamo persuasi che una terza
edizione recherà ancora nuovi cambiamenti. Io richiamerò questo
fatto bene conosciuto, che nei trattati di geologia pubblicati non sono molti
anni, tutta la classe dei mammiferi si riguardava come apparsa improvvisamente,
in sul principio della serie terziaria; oggi invece una delle più ricche
accumulazioni conosciute di mammiferi fossili, per la sua potenza, appartiene
alla metà dell'epoca secondaria; ed un vero mammifero fu scoperto nella
nuova arenaria rossa, quasi nei primi strati di questa grande formazione. Il
Cuvier soleva sostenere non si trovasse alcuna scimmia negli strati terziari;
ma ora le specie estinte delle scimmie furono scoperte nell'India, nell'America
del Sud e nell'Europa, anche spettanti al periodo eocenico. Senza il raro accidente
della conservazione delle orme dei piedi nella nuova arenaria rossa degli Stati
Uniti, chi si sarebbe azzardato a supporre che, all'infuori dei rettili,
esistessero non meno di trenta razze di uccelli, alcuni dei quali giganteschi,
durante questo periodo? Eppure in questi strati non si rinvenne un solo
frammento di osso. Fino a questi ultimi tempi i paleontologi hanno sostenuto
che l'intera classe degli uccelli sia apparsa d'improvviso nei primordi del
periodo eocenico; ma sappiamo, dietro l'autorità del prof. Owen, che un
uccello certamente visse contemporaneamente alla deposizione dell'arenaria
verde superiore; ed in tempo ancora più recente fu scoperto negli
schisti oolitici di Solenhofen quel singolare uccello che è l'Archcæopteryz,
con coda lunga a foggia dei sauri, portante un paio di penne ad ogni
articolo, e con due unghie libere alle ali. Nessuna scoperta dimostra
più efficacemente la nostra ignoranza intorno agli estinti abitatori
della terra.
Ma
posso citare un altro fatto, che mi ha colpito assai, perchè accaduto
sotto i miei occhi. In una mia Memoria sui Cirripedi sessili fossili io avevo
stabilito che, se i cirripedi sessili esistettero fino dall'epoca secondaria,
essi dovevano essersi conservati e si sarebbero scoperti, ed io lo argomentavo
dal numero grande delle specie viventi e delle estinte, appartenenti all'epoca
terziaria; dalla straordinaria abbondanza degli individui di molte specie sul
mondo intero, partendo dalle regioni artiche fino all'equatore, in varie zone
fra i limiti del flusso e alla profondità di 50 braccia di mare; dalla
perfetta incolumità degli avanzi che furono trovati nei più
antichi letti terziari, e finalmente dalla facilità con cui anche un
frammento di valva può riconoscersi. Siccome poi niuna di queste specie era stata scoperta negli strati dell'epoca
secondaria, io ne traeva la conclusione che questo grande gruppo si fosse
sviluppato subitaneamente, al principio della serie terziaria. Questo risultato
non mi soddisfaceva, perchè così si aveva un esempio di
più della improvvisa comparsa di un grande gruppo di specie. Ma la mia
opera era appena pubblicata che un abile paleontologo, il Bosquet, mi spediva
il disegno di un campione perfetto ed incontestabile di cirripede sessile, che
egli stesso avea estratto dal terreno cretaceo del Belgio. Il caso non poteva
essere più stringente, perchè questo cirripede sessile era un Chthamalus,
genere assai comune, molto sparso e grande, del quale però non si
era trovato alcun resto nemmeno negli strati terziari. In epoca ancora più
recente fu scoperto dal Woodward nella creta superiore un Pyrgoma, membro
di una diversa sottofamiglia dei cirripedi sessili, per cui ora abbiamo prove
sufficienti per sostenere l'esistenza di questo gruppo di animali durante
l'epoca secondaria.
I
paleontologi insistono più frequentemente sul caso dei pesci teleostei,
che si trovano, al dire dell'Agassiz, negli strati inferiori del periodo
cretaceo, per confermare l'improvvisa apparizione di un intero gruppo di
specie. Questo gruppo include la maggior parte delle specie esistenti.
Ultimamente il prof. Pictet fece risalire la loro esistenza ad un substrato
ancora più lontano; ed alcuni paleontologi ritengono che certi pesci
molto più antichi, le affinità dei quali sono tuttora conosciute
imperfettamente, siano realmente teleostei. Ove si ammetta, però, che
l'intero gruppo apparisca, come crede l'Agassiz, al principio della formazione
cretacea, il fatto sarebbe al certo sommamente rimarchevole; ma io non saprei
vedere in ciò una difficoltà insuperabile per la mia teoria,
almeno finchè non si potesse dimostrare che le specie di questo gruppo
apparvero simultaneamente e d'improvviso, per tutto il mondo nel medesimo periodo. Riesce quasi superfluo il notare che non conosciamo alcun pesce fossile
al sud dell'equatore; e, scorrendo la Paleontologia di Pictet, si vedrà
che ben poche specie furono scoperte nelle diverse formazioni dell'Europa.
Alcune famiglie di pesci, oggidì, hanno una estensione molto ristretta;
e può darsi che anche i teleostei fossero anticamente così
limitati, e dopo di essersi largamente sviluppati in qualche mare, si siano in
seguito diffusi rapidamente. Inoltre noi abbiamo qualche ragione di supporre
che i mari del mondo non fossero sempre così liberamente aperti dal sud
al nord, come lo sono al presente. Anche oggi, se l'Arcipelago Malese fosse
convertito in continente, le parti tropicali dell'Oceano Indiano formerebbero
un bacino largo e perfettamente chiuso, nel quale potrebbe moltiplicarsi ogni
grande gruppo di animali marini; e quivi rimarrebbero confinati, finchè
alcuna di quelle specie si adattasse ad un clima più freddo e potesse
girare i capi meridionali d'Africa o d'Australia e così recarsi in altri
mari distanti.
Per
questi argomenti e per altri analoghi, ma principalmente per la nostra
ignoranza sulla geologia delle altre contrade fuori dei confini dell'Europa e
degli Stati Uniti; e per la rivoluzione che si fece, dopo le scoperte degli
ultimi dodici anni, su molti punti delle nostre idee paleontologiche, mi sembra
che siavi in noi troppa presunzione di sentenziare sulla successione degli
esseri organizzati del mondo intero; come sarebbe avventato quel naturalista
che, dopo di essere sceso a terra per cinque minuti in qualche punto sterile
dell'Australia, volesse discutere del numero e della distribuzione delle
produzioni di quella regione.
SULLA IMPROVVISA APPARIZIONE DI GRUPPI DI SPECIE
AFFINI NEGLI INFIMI STRATI FOSSILIFERI CHE SI CONOSCONO
Ora esaminiamo un'altra difficoltà analoga, ma molto
più grave. Io alludo al modo con cui molte specie di uno stesso gruppo
improvvisamente s'incontrano nelle inferiori roccie fossilifere conosciute.
Quasi tutti gli argomenti che mi hanno convinto della discendenza delle specie
viventi del medesimo gruppo da un comune progenitore, si estendono quasi col
medesimo successo alle prime specie conosciute. Per esempio, non è a
dubitarsi che tutti i trilobiti siluriani siano derivati da qualche crostaceo,
che deve aver vissuto molto tempo prima dell'epoca siluriana, e che
probabilmente differiva assai dagli altri crostacei viventi. Alcuni fra i
più antichi animali siluriani, come il Nautilus, la Lingula,
ecc., non sono gran fatto diversi dalle specie attuali; e, secondo la mia
teoria, non posso supporre che queste specie antiche fossero i progenitori di tutte
le specie degli ordini a cui appartengono, perchè tali specie non
presentano caratteri in certo modo intermedi ai medesimi.
Per
conseguenza, se la mia teoria è vera, è incontestabile che, prima
che fosse depositato lo strato siluriano inferiore, passarono lunghi periodi,
uguali e forse anche più lunghi dell'intervallo intero che
separa l'epoca siluriana dall'epoca presente; e che in questi estesi periodi di
tempo, che ci sono interamente ignoti, il mondo formicolava di creature
viventi. E qui incontriamo una obbiezione molto seria; imperocchè sia
cosa dubbia, che la terra abbia esistito un tempo abbastanza lungo in tale
stato da essere abitabile pegli organismi. W. Thompson ha conchiuso che la
solidificazione della crosta terrestre difficilmente è avvenuta avanti
meno che 20 o più che 400 milioni di anni, ma probabilmente avanti non
meno che 90 o non più che 200 milioni di anni. Questi limiti assai vasti
dimostrano quanto siano incerte le indicazioni del tempo; e probabilmente
saranno da introdursi nel problema altri elementi. Croll calcola il tempo
trascorso dopo il periodo cambriano a circa 60 milioni di anni; ma a giudicare
dalla piccola somma di cambiamenti avvenuta nel mondo organico dopo il
principio dell'epoca glaciale, questo tempo sembra troppo breve per aver
prodotto tutti quei molti ed importanti cambiamenti degli organismi, che di
certo sono successi dal periodo cambriano in poi; nè possono credersi
sufficienti i 140 milioni d'anni preceduti, per lo sviluppo delle svariate
forme di vita che già esistevano durante lo stesso periodo cambriano.
Sembra però probabile, come ha fatto osservar W. Thompson, che la terra
nei primi tempi sia stata soggetta a cambiamenti delle fisiche condizioni
più rapide e più violente che non al presente; al certo tali cambiamenti
avrebbero prodotto dei cambiamenti corrispondentemente rapidi negli esseri
organici che allora abitavano il nostro globo.
Intorno
alla questione che non troviamo memorie di questi vasti periodi primordiali,
non saprei dare una risposta soddisfacente. Diversi dei più eminenti
geologi, alla testa dei quali si trova R. Murchison, erano convinti, fino a
questi ultimi tempi, che i resti organici dello strato siluriano più
basso costituissero l'alba della vita, sul nostro pianeta. Altri dotti assai competenti,
come Lyell ed E. Forbes il giovane, combattono questa opinione. Ma non dobbiamo
dimenticare che una piccola porzione soltanto del globo è stata
esplorata convenientemente. Di recente il Barrande aggiunse al sistema
siluriano un altro strato anche più depresso, nel quale abbondano specie
nuove e particolari; ed ora l'Hicks ha trovato a
profondità ancora maggiore, nella formazione cambriana inferiore del
Wales meridionale, degli strati ricchi di trilobiti, i quali racchiudono
diversi molluschi ed anellidi. La presenza di noduli fosforosi e di materie
bituminose in alcuni degli infimi strati azoici accenna probabilmente ad una
vita in questi periodi, ed è generalmente ammessa l'esistenza dell'Eozoon
nella formazione lorenzina del Canadà. Vi hanno nel Canadà tre
grandi serie di strati sotto al sistema siluriano, e l'Eozoon fu trovato
nell'infimo di essi. W. Logan asserisce essere possibile «che la complessiva
loro potenza superi quella di tutte le roccie successive, dalla base della
serie paleozoica fino al presente. Noi siamo così trasportati in un
periodo così remoto, che al confronto l'apparsa della così detta
fauna primordiale (del Barrande) può considerarsi come un avvenimento
recente». L'Eozoon appartiene alle infime classi del regno animale; ma
pel posto che occupa è bene organizzato; esso viveva in gran numero, e,
al dire del Dawson, si nutriva di altri piccolissimi organismi, che dovevano
esistere numerosi. Le precedenti parole, ch'io scrissi nel 1859 intorno
all'esistenza degli esseri viventi in epoca molto anteriore al sistema
cambriano e che concordano con quelle che di poi espresse il Logan, si sono
pienamente confermate. Ma non ostante questi molteplici fatti, è molto
grave la difficoltà di spiegare la mancanza di vasti ammassi di strati
fossiliferi, i quali, secondo la mia teoria, avrebbero certamente dovuto
accumularsi in qualche luogo prima dell'epoca siluriana. Se questi antichi
strati furono pienamente escavati per denudazione, o distrutti dalla azione del
metamorfismo, noi non possiamo trovare che pochi avanzi delle formazioni
immediatamente posteriori, e queste in generale dovranno trovarsi in una
condizione di metamorfismo. Ma le descrizioni che ora noi possediamo dei
depositi siluriani, negl'immensi territori di Russia e dell'America
settentrionale, non vengono in appoggio dell'idea che quanto più antica
è una formazione, essa debba avere subìto sempre maggiore
denudamento e metamorfismo.
Questo caso
può presentemente rimanere inesplicabile; e continuerà a formare
un valido argomento da opporre contro i principii che abbiamo sviluppati. Pure
per dimostrare che in seguito potrà ricevere qualche schiarimento, io
farò una ipotesi. Dalla natura degli avanzi organici che non sembra
abbiano abitato mari profondi, nelle varie formazioni dell'Europa e degli Stati
Uniti, e dalla quantità di sedimento, di una potenza di parecchie
miglia, di cui sono composte le formazioni, possiamo dedurre che dal principio
alla fine del periodo dovevano trovarsi, in prossimità dei continenti
attuali dell'Europa e dell'America settentrionale, delle grandi isole o tratti
di continente, dai quali provenne quel sedimento. Ma noi non conosciamo quale
fosse lo stato delle cose negl'intervalli trascorsi fra le formazioni
successive; nè sappiamo se l'Europa e gli Stati Unità
esistessero, durante questi intervalli, come terre emerse o come una superficie
sotto-marina presso il continente, sulla quale non si formava alcun sedimento,
o come il letto di un mare aperto e profondo.
Se noi
consideriamo gli oceani esistenti, che hanno una superficie tripla di quella
del terreno emerso, noi li vediamo sparsi di molte isole; ma nessuna isola
oceanica non ha finora somministrato qualche resto di una formazione paleozoica
o secondaria. Quindi noi possiamo forse desumere che nei periodi paleozoico e
secondario non esistevano continenti nè isole continentali laddove ora
si estendono i nostri oceani. Se vi fossero stati continenti od isole, le
formazioni paleozoiche e secondarie si sarebbero probabilmente accumulate col
sedimento prodotto dal loro consumo e dalle loro convulsioni e sarebbero stati
sollevati, almeno in parte, dalle oscillazioni di livello che certamente
saranno avvenute in questi periodi enormemente lunghi. Se adunque noi possiamo
fare qualche induzione da questi argomenti, dobbiamo inferirne che dove oggi si
estendono i mari, vi erano anche dai periodi più remoti di cui si abbia
memoria; e d'altra parte che grandi tratti di terre esistevano, dove oggi
abbiamo i continenti, che erano certamente soggetti a grandi oscillazioni di
livello, fino dal primo periodo siluriano. La mappa colorata unita al mio
volume sugli scogli di corallo mi induce a ritenere che i grandi oceani sono,
anche presentemente, superfici di abbassamento, i grandi arcipelaghi aree di
oscillazione di livello, e i continenti superfici di sollevamento. Ma abbiamo
noi ragione di ammettere che le cose siano così rimaste, fino dal
principio del mondo? Sembra infatti che i nostri continenti siano stati formati
per la preponderanza della forza di sollevamento nelle molte oscillazioni del
suolo; ma non potrebbero nel corso dei tempi essersi cambiate le aree in cui
questa forza predominava? Nel periodo che precede ad una distanza immensa ed
incommensurabile l'epoca siluriana, possono i continenti avere occupato, il
posto dei nostri mari attuali; e dove oggi stanno i nostri continenti, potevano
allora trovarsi dei mari vasti ed aperti. Nè sapremmo come giustificare
l'opinione che, per esempio, noi fossimo per trovare delle formazioni
più vetuste degli strati siluriani nel letto dell'Oceano Pacifico, quando questo fosse sollevato e cambiato in continente, supponendo che
quelle formazioni fossero state depositate in epoche più remote;
perchè si sarebbe potuto dare che gli strati, i quali si fossero
abbassati di alcune miglia verso il centro del globo e che fossero stati
premuti da un peso enorme di acque sovrincombenti, avessero soggiaciuto ad
un'azione metamorfica più intensa degli strati che rimasero sempre più
vicini alla superficie. Le superfici immense di roccie metamorfiche nude in
certe parti del mondo, per esempio, nell'America meridionale, le quali debbono
essere state riscaldate sotto una pressione enorme, mi parve sempre che
esigessero una speciale spiegazione; e possiamo credere che forse in queste
grandi superfici noi vediamo le molte formazioni anteriori all'epoca siluriana,
in una condizione completamente metamorfica ed anche denudate affatto.
Le
difficoltà che abbiamo discusso sono certamente molto gravi, e sono: il
trovarsi nelle nostre formazioni geologiche molti legami fra le specie che ora
esistono e quelle che vissero in altre epoche, benchè non incontriamo
molte forme transitorie che le rannodino strettamente fra loro; il modo
subitaneo con cui alcuni interi gruppi di specie apparvero la prima volta nelle
nostre formazioni europee; la quasi completa assenza, da quanto fu scoperto
fino ad oggi, delle formazioni fossilifere sotto gli strati siluriani. Noi
vediamo che per questi fatti i più eminenti paleontologi, come Cuvier,
Agassiz, Barrande, Pictet, Falconer, E. Forbes, ecc., e tutti i nostri geologi
più insigni, come Lyell, Murchison, Sedgwick, ecc., hanno unanimemente,
e spesso con veemenza, sostenuta la immutabilità delle specie. Ma io ho
dei motivi di pensare che una grande autorità, Carlo Lyell, dopo nuove e
mature riflessioni conservi dei gravi dubbi su questo soggetto. Io riconosco
quanto rischio vi sia nel dissentire da queste autorità, alle quali,
insieme con altre, noi dobbiamo tutta la nostra scienza. Coloro che considerano
le memorie naturali geologiche come perfette, in certa guisa, e che non danno
molto peso ai fatti ed argomenti d'altra sorta dati in questo volume, certamente respingeranno a prima vista questa mia teoria. Per mia parte,
seguendo una metafora di Lyell, stimo le memorie geologiche naturali come una
storia del mondo conservata imperfettamente, e scritta in un dialetto
variabile; di questa storia noi possediamo il solo ultimo volume, che si
riferisce soltanto a due o tre contrade. Di codesto volume non ci è
rimasto che qualche breve capitolo qua e là; e di ogni pagina non
abbiamo che poche linee sparse. Ogni parola del linguaggio lentamente -
variante, con cui questa storia è scritta, essendo più o meno diversa
nei capitoli successivi, può rappresentare i cambiamenti, apparentemente
improvvisi, delle forme della vita sepolte nelle nostre formazioni consecutive
e interamente separate. Con questi concetti le difficoltà che abbiamo
esaminate sono diminuite grandemente, od anche eliminate del tutto.
CAPO XI
SULLA SUCCESSIONE GEOLOGICA
DEGLI ESSERI ORGANIZZATI
Della comparsa lenta e successiva di nuove
specie - Della diversa rapidità dei loro cambiamenti - Le specie che
rimangono estinte non ricompariscono - I gruppi di specie seguono, nella loro
apparizione o nella loro scomparsa, le medesime leggi generali delle singole
specie - Sulla Estinzione - Sui cambiamenti simultanei delle forme viventi per
tutto il mondo - Sulle affinità delle specie estinte fra loro e colle
specie viventi - Sullo stato di sviluppo delle forme antiche - Sulla
successione dei medesimi tipi nelle stesse superfici - Sommario di questo capo
e del precedente.
Ora
ci sia permesso esaminare se i vari fatti e le regole relative alla successione
geologica degli esseri organizzati, siano meglio in accordo coll'ipotesi comune
della immutabilità delle specie, o con quella delle loro modificazioni
lente e graduali per mezzo della discendenza e della elezione naturale.
Le nuove specie sono comparse molto lentamente, una dopo
l'altra, tanto sulla terra quanto nelle acque. Il Lyell ha dimostrato che non
è possibile negare questo fatto, nel caso di parecchi strati terziari:
ed ogni anno tende a riempiere le lacune fra le medesime e a rendere più
graduale la proporzione fra le forme perdute e le nuove. In alcuni degli strati
più recenti, quantunque appartengano ad una remota antichità, se
si misuri la loro data cogli anni, una specie o due solamente sono forme
estinte, e così una o due sole forme sono nuove, perchè apparvero
colà per la prima volta, sia in quella speciale località, sia
sulla superficie della terra, per quanto possiamo giudicarne. Le formazioni
secondarie sono più interrotte; ma, come notava il Bronn, nè
l'apparizione nè la scomparsa delle loro molte specie ora estinte furono
simultanee in ogni formazione separata.
Le specie dei diversi generi e delle varie classi non si
modificarono colla stessa rapidità e al medesimo grado. Negli strati
terziari più antichi poche conchiglie analoghe alle attuali possono
ancora trovarsi nel mezzo di molte forme estinte. Il Falconer diede un esempio
stringente di questo fatto, allorchè scoperse un coccodrillo uguale ad
una specie oggi esistente, unito a molti strani mammiferi e rettili perduti,
nei depositi sub-himalayani. La Lingula siluriana differisce poco dalle
specie viventi di questo genere; al contrario la maggior parte degli altri
molluschi siluriani e tutti i crostacei di quell'epoca si cambiarono
grandemente. Le produzioni terrestri sembrano mutabili più rapidamente
di quelle del mare; di ciò si ebbe recentemente una prova luminosa in
Isvizzera. Vi sono parecchie ragioni per ritenere che gli organismi, che si
considerano come elevati nella scala naturale, variano più
sollecitamente di quelli che sono più bassi: benchè questa regola
soffra delle eccezioni. Come fu osservato dal Pictet, il complesso degli
organici cambiamenti non corrisponde esattamente colla successione delle nostre
formazioni geologiche; cosicchè, fra due formazioni consecutive
qualsiasi, le forme di vita sono di rado cambiate rigorosamente al medesimo
grado. Tuttavia, se noi paragoniamo fra loro le formazioni che hanno i rapporti
più stretti, si troverà che tutte le specie furono soggette ad
alcune modificazioni. Quando una specie è scomparsa una volta dalla
superficie della terra, non abbiamo alcun fondamento per credere che la stessa
identica forma possa mai ripetersi. L'eccezione apparente più forte contro
questa ultima regola consiste nelle così dette colonie del
Barrande, le quali invadono per un dato periodo una formazione più
antica, e quindi permettono alla fauna preesistente di ricomparire; ma la
spiegazione di Lyell mi sembra soddisfacente, vale a dire, che questo è
il caso di una temporanea migrazione da una distinta provincia geografica in
un'altra.
Ognuno
di questi fatti concorda perfettamente colla mia teoria. Io, infatti, non credo
in una legge fissa di sviluppo, che obblighi tutti gli abitanti di una regione
a trasformarsi subitaneamente e simultaneamente ad un grado uniforme. Il
processo di modificazione deve essere sommamente lento. La variabilità
d'ogni specie è indipendente affatto da quella di tutte le altre. Molte
complesse circostanze determinano se questa variabilità debba produrre
delle modificazioni vantaggiose per l'elezione naturale e se queste variazioni
debbano accumularsi in maggiore o minore quantità, cagionando
così un complesso più o meno grande di
modificazioni nelle specie varianti; infatti queste modificazioni dipendono
dalla variabilità che deve essere benefica, dalla facoltà di
incrociamento, dalla prontezza nel propagarsi, dalle condizioni fisiche
lentamente varianti della regione e più particolarmente dalla natura
degli altri abitanti con cui le specie variabili entrano in lotta. Non deve
quindi recare sorpresa che una specie conservi la stessa identica forma
più a lungo di altre; o nel caso che si trasformi, i cambiamenti siano
minori. Noi osserviamo lo stesso fatto nella distribuzione geografica; per
esempio, nei molluschi terrestri e negli insetti coleotteri di Madera che
divennero tanto differenti dai loro più affini del continente d'Europa,
mentre i molluschi marini e gli uccelli non furono alterati. Noi possiamo forse
comprendere la rapidità apparentemente maggiore con cui si modificano le
produzioni terrestri e quelle che hanno un'organizzazione più perfetta,
in confronto delle produzioni marine e delle produzioni inferiori, se
riflettiamo alle relazioni più complesse degli esseri più elevati
colle loro condizioni organiche ed inorganiche di vita, come abbiamo detto in
un capitolo precedente. Quando molti degli abitanti di una regione si sono
modificati e perfezionati, è facile che, in seguito al principio di
concorrenza e pei molti importantissimi rapporti che passano fra un organismo e
l'altro, quelle forme, le quali non furono in certo grado migliorate, corrono
rischio di rimanere distrutte. Perciò possiamo spiegare il motivo per
cui tutte le specie di una medesima regione si modificano, dopo un periodo di
tempo abbastanza vasto, mentre quelle che non si trasformano debbono
estinguersi.
La quantità media dei cangiamenti nei membri della
stessa classe può forse essere a un dipresso la medesima in periodi di
tempo molto lunghi ed uguali; ma come l'accumulazione delle formazioni
fossilifere che si conservano lungamente dipende dalle grandi masse di
sedimento che venne depositato sulle superfici nel mentre che si abbassavano,
così il complesso dei mutamenti organici presentati dai fossili che sono
involti nelle formazioni consecutive non è uguale. Ogni formazione
quindi, secondo questi concetti, non può segnare un atto nuovo e
completo di creazione, ma solamente una scena accidentale, presa quasi a caso,
in questo dramma lentamente variabile.
Facilmente si
può capire per qual motivo una specie, quando sia perduta, non potrebbe
mai ritornare: anche se per avventura si ripetessero le identiche condizioni di
vita organiche ed inorganiche. Perchè quand'anche la progenie di una specie
potesse essere adatta (e certamente ciò avviene in moltissimi casi) ad
occupare il posto preciso di un'altra specie nell'economia della natura, e
così surrogarla: tuttavia le due forme, la vecchia e la nuova, non
sarebbero identicamente le stesse; perchè ambedue dovrebbero quasi
certamente ereditare caratteri diversi dai loro distinti progenitori. Per
esempio, è appunto possibile che, se tutti i nostri colombi-pavone
rimanessero distrutti, gli amatori, sforzandosi per molto tempo di riprodurli,
riuscissero a formare una nuova razza che fosse appena distinguibile dal nostro
colombo-pavone attuale; ma se anche il colombo progenitore, che è il
torraiuolo, fosse esterminato, e noi abbiamo fondati motivi di credere che in
natura le forme-madri sono generalmente supplantate e distrutte dalla loro
discendenza perfezionata, sarebbe allora affatto incredibile che potesse
ricavarsi da qualche altra specie di colombo, il colombo-pavone, od anche dalle
altre razze bene stabilite dei piccioni domestici; perchè il nuovo
colombo-pavone erediterebbe certamente dal nuovo suo progenitore alcune
leggiere differenze caratteristiche.
I gruppi di specie, cioè i generi e le famiglie,
seguono nella loro apparizione e nella loro scomparsa le stesse regole generali
delle singole specie, trasformandosi più o meno rapidamente e in grado
maggiore o minore. Un gruppo che sia estinto non può ricomparire; oppure
la sua esistenza è continua per tutta la sua durata. So che vi sono
alcune eccezioni apparenti a codesta regola, ma queste eccezioni sono
pochissime e tanto poche che E. Forbes, Pictet e Woodward (benchè tutti
tenacemente contrari ai principii che sono da me sostenuti) ammettono la sua
verità; ma questa regola si accorda esattamente colla mia teoria.
Perchè, posto che tutte le specie di un medesimo gruppo provengano da
una data specie, è chiaro che fintanto che qualche specie del gruppo si
presentò nella successione dei tempi, i suoi membri debbono aver
continuato ad esistere, per generare forme nuove e modificate, ovvero le stesse
forme antiche senza alterazione. Le specie del genere Lingula, ad
esempio, saranno esistite continuamente per un corso non interrotto di
generazioni dallo strato siluriano più profondo fino al presente.
Abbiamo
veduto nell'ultimo capitolo che le specie di un gruppo sembrano talvolta
comparse improvvisamente in uno strato, benchè ciò sia falso. Ho
cercato di dare una spiegazione di questo fatto, che sarebbe stato veramente
funesto alla mia teoria. Ma questi casi sono certamente eccezionali; mentre la
regola generale è che il gruppo deve crescere gradatamente in numero,
finchè raggiunga il massimo aumento, indi gradatamente deve diminuire,
più presto o più tardi. Se rappresentiamo il numero delle specie
di un genere o dei generi di una famiglia con una linea verticale di grossezza
variabile, che ascenda frammezzo alle formazioni geologiche successive in cui
le specie si trovano, potrà erroneamente credersi che questa linea
cominci dal suo punto inferiore, non già con un estremo sottile, ma larga
fino dal principio; essa si innalza, crescendo gradatamente in larghezza e
spesso conservando per un determinato intervallo la medesima larghezza, e da
ultimo si assottiglia negli strati superiori, segnando così il
decrescimento e la finale estinzione delle specie. Questo aumento graduale nel
numero delle specie di un gruppo è strettamente conforme alle deduzioni
della mia teoria: poichè le specie di uno stesso genere e i generi di
una medesima famiglia possono crescere soltanto lentamente e progressivamente:
perchè il processo di modificazione e la produzione di un gran numero di
forme affini deve essere lento e graduale. Una specie infatti dà origine
dapprima a due o tre varietà; queste sono lentamente convertite in
specie, le quali alla lor volta producono, per gradi ugualmente lenti, altre
specie, e così di seguito: come le ramificazioni di un grande albero da
un solo tronco, fino a che il gruppo sia divenuto ricco abbastanza.
SULLA ESTINZIONE
Abbiamo discorso soltanto incidentemente della scomparsa delle
specie e dei gruppi di specie. Secondo la teoria della elezione naturale,
l'estinzione delle forme antiche e la produzione di forme nuove e perfezionate
sono intimamente connesse fra loro. La vecchia nozione, che tutti gli abitatori
della terra furono avulsi in periodi successivi da varie catastrofi, è
generalmente abbandonata; anche da quei geologi, come Elia di Beaumont,
Murchison, Barrande, ecc., le cui opinioni generali condurrebbero logicamente a
questa conclusione. Al contrario abbiamo ogni ragione di pensare, dietro lo
studio delle formazioni terziarie, che le specie ed i gruppi di specie si
perdono gradatamente, uno dopo l'altro, prima in un luogo, poi in un altro, e
finalmente nel mondo intero. In alcuni rari casi, però, come per la
rottura di un istmo e la conseguente irruzione di una moltitudine di nuovi
abitanti, o per l'immersione di un'isola, l'estinzione può essere
comparativamente pronta. Tanto le singole specie quanto gli interi gruppi di
specie continuano per intervalli di durata diversa; alcuni gruppi infatti, come
vedemmo, si mantennero dalla prima alba della vita fino al presente; altri
scomparvero prima del termine del periodo paleozoico. Non sembra che esista
alcuna legge prestabilita che determini la lunghezza del tempo in cui deve
durare ogni singola specie od ogni singolo genere. Tuttavia pare che
l'estinzione completa della specie di un gruppo segua generalmente un processo
più lento di quello della loro produzione: se l'apparizione e la
scomparsa di un gruppo di specie fossero rappresentate, come precedentemente,
da una linea verticale di larghezza diversa, si troverebbe questa linea
più gradatamente assottigliata nell'estremo superiore, che denoterebbe
il processo di estinzione, di quello che nell'estremo inferiore, che
raffigurerebbe la prima comparsa delle specie e l'aumento del loro numero. In
certi casi però la distruzione di gruppi interi di esseri, come delle
ammoniti verso la fine del periodo secondario, fu straordinariamente improvvisa
rispetto a quella della maggior parte degli altri gruppi.
L'argomento
della estinzione delle specie fu involto nei più avventati misteri.
Alcuni autori hanno supposto che, come gli individui hanno una lunghezza di
vita determinata, così le specie debbano avere una durata definita.
Niuno più di me può essersi meravigliato della estinzione della
specie. Quando nella Plata trovai un dente di cavallo sepolto con avanzi di
mastodonte, di megaterio, di toxodonte e di altri mostri estinti, i quali
coesistettero con molluschi viventi ancora nel più recente periodo geologico,
fui preso da molto stupore. Perchè osservando che il cavallo,
dacchè fu introdotto nell'America meridionale dagli Spagnoli, divenne
selvaggio in tutto quel continente e si moltiplicò in un modo
sorprendente, chiesi a me stesso; per quali ragioni potesse essere stato
distrutto recentemente l'antico cavallo, in condizioni di vita che gli sembrano
tanto favorevoli. Ma il mio stupore era completamente infondato! Il prof. Owen
tosto decise che il dente, quantunque tanto simile a
quello del cavallo esistente, apparteneva ad una specie estinta.
Ancorchè codesta specie fosse stata subito rara, nessun naturalista
avrebbe fatto gran caso della sua rarità; perchè questa è
propria di moltissime specie di ogni classe, in tutti i paesi. Se noi ci
domandiamo perchè questa o quella specie sia rara, noi attribuiamo
qualche effetto in ciò alle condizioni di vita sfavorevoli; ma non
potremo mai stabilire più precisamente quale sia questa causa. Anche
supponendo che il cavallo fossile abbia esistito come una specie rara, noi
saremmo condotti a pensare dall'analogia di tutti gli altri mammiferi, compreso
l'elefante che si propaga lentamente, e dalla storia della naturalizzazione del
cavallo domestico nell'America meridionale, che sotto le più favorevoli
condizioni avrebbe in pochi anni popolato l'intero continente. Ma noi non
avremmo potuto valutare quali fossero quelle condizioni sfavorevoli che
contrastarono il suo accrescimento, se una sola circostanza o diverse
circostanze abbiano agito, e così a quale periodo della vita del cavallo
e in qual grado. Se queste condizioni divennero sempre meno favorevoli,
benchè lentamente, noi al certo non ci saremmo accorti del fatto;
benchè il cavallo fossile sia divenuto sempre più raro, prima di
estinguersi, essendo poi occupato il suo posto da qualche più fortunato
competitore,
È
sempre assai difficile il ricordare che l'accrescimento di ogni essere vivente
è costantemente impedito da circostanze nocive impercettibili, e che
queste stesse circostanze sconosciute sono bastevoli a produrre la
rarità e a cagionare da ultimo la estinzione. Questa legge è
sì male interpretata, che spesso si è notato con stupore come
sì grandi mostri, quali sono il mastodonte e i più antichi
dinosauri, rimanessero estinti; quasi che la forza del corpo assicurasse la
vittoria nella lotta per la vita. La grande statura dovrebbe al contrario
determinare in certi casi la distruzione più rapida delle specie, in
quanto che richiede una maggiore quantità di nutrimento. Prima che
l'uomo abitasse l'India o l'Africa, alcune cause debbono essersi opposte alla
continua moltiplicazione degli elefanti che colà esistevano. Uno
scienziato molto competente, il Falconer, opina che attualmente gli insetti,
tormentando incessantemente e indebolendo l'elefante, formino il principale
ostacolo al suo accrescimento (come notava Bruce nell'Abissinia). È
certo che insetti di varie sorta, e i pipistrelli che succhiano il sangue,
decidono dell'esistenza dei più grandi quadrupedi, naturalizzati in
diverse parti dell'America meridionale.
In
molti casi delle più recenti formazioni terziarie noi osserviamo che la
rarità delle specie precede l'estinzione; e sappiamo che questo appunto
fu il progresso degli eventi in quegli animali che furono distrutti pel fatto
dell'uomo o in una determinata località, o nel mondo intero.
Ripeterò qui ciò che pubblicai nel 1845; ammettere che le specie
si facciano più rare prima di estinguersi e non rimanere meravigliati
della rarità di una specie, mentre si fanno le maggiori meraviglie
quando essa ha finito di esistere, sarebbe precisamente la stessa cosa come
supporre che la malattia nell'individuo sia il precursore della Morte, indi non
dimostrare alcuna sorpresa per la malattia, ma soltanto quando l'ammalato
muore, ed in tal caso sospettare che la morte sia stata violenta, per qualche
ignota causa.
La
teoria dell'elezione naturale si fonda sulla opinione che ogni nuova
varietà, ed infine ogni nuova specie, si produca e si conservi per avere
ottenuto qualche vantaggio sopra quelle con cui entrò in lotta; e ne
deriva la conseguente estinzione, quasi inevitabile, delle forme meno favorite.
Altrettanto avviene nelle nostre produzioni domestiche; quando si è
allevata una varietà nuova e leggermente perfezionata, essa in sulle
prime subentra alle varietà meno perfezionate negli stessi contorni;
quando si perfeziona maggiormente, viene trasportata più lontano: come
abbiamo veduto nei nostri buoi a corna corte che in molti paesi presero il
posto di altre razze. Così l'introduzione di nuove forme e la scomparsa
delle vecchie, sia che avvengano naturalmente o artificialmente, si limitano
scambievolmente. In certi gruppi prosperosi, il numero delle nuove forme
specifiche che furono prodotte in un dato tempo è probabilmente maggiore
di quello delle vecchie forme specifiche che furono esterminate; ma noi
sappiamo altresì che il numero delle specie non andò crescendo
indefinitamente, almeno negli ultimi periodi geologici; cosicchè, in
quanto concerne gli ultimi tempi, possiamo ritenere che la produzione di forme nuove ha cagionato l'estinzione di un numero quasi
uguale di vecchie forme.
La
lotta sarà in generale più severa, come abbiamo spiegato e
dimostrato cogli esempi, fra quelle forme che sono più simili fra loro
sotto ogni rapporto. Perciò i discendenti perfezionati e modificati di
una specie cagioneranno generalmente la distruzione della specie-madre; e se
molte forme nuove si sono sviluppate da una specie qualsiasi, le prossime
affini di questa specie, cioè le specie del medesimo genere, saranno le
più esposte alla distruzione. Per tal modo io credo che un gran numero
di specie nuove, provenienti da una sola specie, il che vale quanto dire un
nuovo genere, arrivino a prendere il posto di un genere antico, appartenente
alla medesima famiglia. Ma spesso sarà avvenuto che una nuova specie
spettante ad un dato gruppo avrà surrogato una specie appartenente ad un
gruppo distinto, e così ne avrà cagionato la distruzione, e se
molte forme affini saranno derivate dal vittorioso invasore, molte altre
avranno abbandonato i loro posti; e generalmente saranno le forme affini che
soffriranno in comune per le inferiorità ereditate. Del resto, sia che
le specie appartengano alla medesima classe o ad una classe distinta, quando
sono surrogate da altre specie che furono modificate e perfezionate, alcune
delle medesime possono pure conservarsi per lungo tempo, per essere dotate di
qualche speciale abitudine di vita e per abitare qualche stazione distante ed
isolata, dove possono sfuggire alla severa concorrenza. Per esempio, una sola
specie di Trigonia, grande genere di conchiglie delle formazioni
secondarie, sopravvive nei mari dell'Australia; e pochi individui del gruppo
vasto e quasi estinto dei pesci ganoidi abitano ancora le nostre acque dolci.
Perciò la totale estinzione di un gruppo è generalmente, come
abbiamo veduto, un processo più lento della sua produzione.
Riguardo alla apparente subitanea distruzione di intere
famiglie od ordini, come delle trilobiti al termine del periodo paleozoico e
delle ammoniti nel fine del periodo secondario, ricorderemo ciò che
dicemmo altrove dei probabili intervalli di riposo fra le nostre formazioni
consecutive; e in questi intervalli possono essere avvenute molte lente
distruzioni. Inoltre quando molte specie di un gruppo nuovo hanno preso possesso
di una nuova regione, sia per una improvvisa immigrazione, sia per uno sviluppo
straordinariamente rapido: esse avranno esterminato in un modo ugualmente
sollecito molti degli antichi abitanti, e le forme così sostituite
saranno comunemente affini, partecipando in comune a qualche svantaggio.
Mi
sembra quindi che il procedimento, con cui una singola specie ed interi gruppi
di specie rimangono estinti, armonizzi bene colla teoria della elezione
naturale. Non fa d'uopo che noi ci meravigliamo della loro estinzione: ma
bensì della nostra presunzione, quando immaginiamo per un momento di
sapere qualche cosa delle molte circostanze complesse da cui dipende
l'esistenza di ogni specie. Se noi dimentichiamo che ogni specie tende a
moltiplicarsi disordinatamente, o che qualche ostacolo è sempre in
azione, benchè di rado sia da noi avvertito, tutta l'economia della
natura ci diviene completamente oscura. Finchè non sapremo precisare
perchè questa specie possegga un maggior numero di individui di quella;
perchè questa specie e non l'altra possa naturalizzarsi in un dato
paese; allora, e non prima, potremo giustamente meravigliarci di non sapere
spiegare l'estinzione di una data specie o di un dato gruppo di specie.
DEL CAMBIAMENTO QUASI CONTEMPORANEO DELLE FORME
DELLA VITA IN TUTTO IL MONDO
Forse nessuna scoperta della paleontologia è più
sorprendente di quella, che le forme di vita si trasformano quasi
simultaneamente nel mondo intero. Così la nostra formazione cretacea
d'Europa può riconoscersi in molte parti del mondo assai distanti l'una
dall'altra, sotto i climi più differenti, ed anche dove non può
trovarsi un solo frammento della stessa creta minerale; e specialmente
nell'America settentrionale, nell'America meridionale equatoriale, nella Terra
del Fuoco, al Capo di Buona Speranza e nella penisola dell'India. In questi
paesi, infatti, benchè tanto lontani, gli avanzi organici di certi
strati presentano un certo grado di evidente rassomiglianza con quelli del
periodo cretaceo. Non vi si trovano però le medesime specie;
perchè in alcuni casi non vi è alcuna specie che sia identica, ma
appartengono bensì alle medesime famiglie, generi e sezioni di generi, e
talvolta sono caratterizzati analogamente in certi punti di poca importanza,
come la semplice scultura superficiale. Di più le altre forme, che non
fanno parte della creta di Europa, ma che si incontrano nelle formazioni
inferiori o superiori, mancano parimenti in quelle distanti regioni della
terra. Un parallelismo simile nelle forme della vita fu osservato da alcuni
autori in parecchie successive formazioni paleozoiche della Russia, dell'Europa
occidentale e dell'America del Nord: e ciò si avvera anche in diversi
depositi terziari dell'Europa e dell'America del Nord, secondo Lyell.
Ancorchè le nuove specie fossili che sono comuni al Vecchio Mondo e al
Nuovo, fossero messe in disparte, il parallelismo generale nelle forme
consecutive sarebbe pure evidente negli strati dei periodi paleozoici e
terziari, e le varie formazioni potrebbero facilmente trovarsi corrispondenti
anche nei loro singoli substrati.
Queste
osservazioni però si riferiscono soltanto agli abitanti del mare in
parti del mondo molto distanti; nè abbiamo dati sufficienti per
giudicare se le produzioni terrestri e d'acqua dolce si trasformino col medesimo
parallelismo in punti molto discosti. Noi anzi possiamo
dubitare che esse siansi modificate in questo modo; perchè se il
megaterio, il milodonte, la macrauchenia e il toxodonte sono stati trasportati
dalla Plata in Europa, senza che rimanga alcuna informazione rispetto alla loro
posizione geologica, niuno avrebbe sospettato che questi animali siano stati
contemporanei di alcuni molluschi marini esistenti ancora. Ma questi mostri
anomali convissero insieme al mastodonte e al cavallo, e quindi potrebbe almeno
dedursi che essi esistettero durante una delle ultime epoche terziarie.
Quando si dice che le forme marine si modificarono
simultaneamente per tutto il mondo, non si deve supporre che questa espressione
si riferisca al medesimo intervallo di mille o di centomila anni, od anche che
abbia un significato rigorosamente geologico. Perchè se tutti gli
animali marini che vivono oggi in Europa e tutti quelli che esistettero in
Europa durante il periodo pleistocenico (periodo enormemente lontano, se si
misuri la sua antichità cogli anni e comprendente tutta l'epoca
glaciale) fossero paragonati con quelli che ora stanno nell'America meridionale
o in Australia, il più abile naturalista non sarebbe al certo capace di
decidere se gli abitanti esistenti in Europa o quelli del periodo pleistocenico
siano più somiglianti a quelli dell'emisfero australe. Così,
anche parecchi osservatori dei più competenti credono che le produzioni
attuali degli Stati Uniti siano più strettamente analoghe a quelle che
si trovarono in Europa in alcuni degli ultimi periodi terziari che non a quelle
che presentemente vi abitano; se ciò sussiste, è evidente che gli
strati fossiliferi depositati nell'epoca attuale sulle coste dell'America
settentrionale sarebbero in seguito classificati con altri strati europei
alquanto più antichi. Nondimeno, se guardiamo a un'epoca futura molto
lontana, non potrà sorgere il minimo dubbio che tutte le formazioni marine
più moderne, vale a dire il terreno pliocenico superiore, il
pleistocenico e gli strati completamente moderni dell'Europa, dell'America
settentrionale e meridionale e dell'Australia potranno ragionevolmente
considerarsi come simultanei, nel senso geologico, perchè conterranno
avanzi fossili affini sino ad un certo grado, e perchè non comprenderanno
quelle forme che si trovano soltanto nei depositi inferiori più antichi.
Il
fatto delle forme viventi che si modificano simultaneamente, nel senso lato di
cui parlammo, in parti distanti del mondo, fissò grandemente
l'attenzione di due grandi osservatori, De Verneuil e D'Archiac. Dopo di aver
trattato del parallelismo delle forme paleozoiche di vita in vari punti dell'Europa, essi aggiungono: «Se noi, colpiti da
questa strana coincidenza, ci rivolgiamo all'America settentrionale e quivi
scopriamo una serie di fenomeni analoghi, sembrerà certamente che tutte
queste modificazioni di specie, la loro estinzione, e l'introduzione di specie
nuove, non si debbano attribuire alle sole deviazioni delle correnti marine o
ad altre cause più o meno temporarie, ma dipendano da leggi generali che
governano l'intero regno animale». Il Barrande fece altre gravissime
osservazioni per constatare il medesimo effetto. In realtà sarebbe cosa
molto futile il considerare i cambiamenti delle correnti, del clima, o di altre
condizioni fisiche, come la causa di queste grandi trasformazioni delle forme
viventi, per tutto il mondo, sotto i climi più differenti. Dobbiamo al
contrario, come dice Barrande, ricorrere a qualche legge speciale. Noi lo
vedremo più chiaramente allorchè tratteremo della distribuzione
attuale degli esseri organizzati, e dimostreremo quanto sia piccola la
relazione che passa fra le condizioni fisiche delle varie regioni e la natura
dei loro abitanti.
Questo
grande fatto della successione parallela delle forme di vita nel mondo intero,
può spiegarsi colla teoria della elezione naturale. Le nuove specie sono
formate con quelle nuove varietà che nascono con qualche vantaggio sulle
forme più antiche; e quelle forme che già sono dominanti, o
posseggono qualche vantaggio sopra le altre forme del loro paese proprio,
dovrebbero naturalmente dare origine più spesso alle varietà
nuove o specie incipienti. Queste ultime debbono riuscire vittoriose in un
grado anche più elevato sia per essere conservate, sia per sopravvivere.
A questo riguardo noi abbiamo una prova evidente nelle piante dominanti, vale a
dire in quelle che sono più comuni e più ampiamente diffuse,
confrontate con altre piante nella loro patria rispettiva, perchè esse
producono un numero più grande di varietà nuove. È inoltre
naturale che le specie dominanti, variabili, e molto sparse, le quali hanno
invaso fino ad una certa estensione i territori di altre specie, sarebbero
quelle che avrebbero la maggiore probabilità di diffondersi anche ulteriormente,
e di dare origine nei nuovi paesi a varietà e specie nuove.
Questo processo di diffusione può essere talvolta molto lento,
perchè dipendente da mutazioni climatologiche e geografiche, o da
accidenti straordinari, o infine dalla graduale acclimazione delle specie nuove
ai diversi climi attraverso ai quali esse debbono passare; ma a lungo andare le
forme dominanti generalmente si estenderanno più facilmente. È
probabile che la diffusione sia più lenta negli abitanti terrestri di
distinti continenti, che negli organismi di mari comunicanti. Noi possiamo
però aspettarci di trovare, come infatti troviamo, un grado meno stretto
di successione parallela nelle produzioni della terra, che nelle produzioni del
mare.
Mi
sembra quindi che la successione parallela e (in un senso largo) simultanea
delle medesime forme di vita per tutto il mondo, si accordi bene col principio
delle specie nuove, formate per mezzo delle specie dominanti, ampiamente disseminate e varianti; le nuove specie poi, così
prodotte, essendo esse medesime dominanti pei caratteri ereditati, ed avendo
già goduto di qualche vantaggio sopra i loro progenitori, o sopra altre
specie, si diffonderanno di più, varieranno e daranno origine a specie
nuove. Le forme che sono battute e che lasciano i loro posti alle forme nuove e
vittoriose, saranno generalmente affini per gruppi, ereditando qualche
svantaggio in comune; e perciò come i gruppi nuovi e perfezionati si
spargeranno pel mondo, i vecchi gruppi ne scompariranno; e la successione delle
forme in ambe le vie tenderà dappertutto a corrispondersi.
Abbiamo qui a far menzione di un altro fatto, che riguarda
questo argomento. Ho esposto le ragioni che m'inducono a pensare che la maggior
parte delle nostre più grandi formazioni, ricche di fossili, dovette
depositarsi nei periodi di abbassamento; e che gli intervalli di lunga durata,
in cui non avveniva alcun deposito, dovettero verificarsi in quei periodi, nei
quali il letto del mare fu stazionario, oppure si elevò, od anche quando
il sedimento non era abbastanza abbondante e pronto, da rivestire e conservare
gli avanzi organizzati. In queste lunghe lacune suppongo che gli abitanti di
ogni regione soggiacessero ad una considerevole quantità di
modificazioni e avvenissero molte estinzioni e che vi fossero anche molte
migrazioni dalle altre parti del mondo. Siccome abbiamo ragione di credere che
vaste superfici del globo subiscano contemporaneamente il medesimo movimento,
gli è probabile che delle formazioni esattamente simultanee siano state
spesso accumulate sopra estesi spazi nella medesima parte del mondo; ma non
possiamo rettamente conchiudere che ciò abbia dovuto accadere
invariabilmente, e che le grandi aree siano state costantemente affette da
movimenti conformi.
Quando
due formazioni furono depositate in due regioni quasi, ma non esattamente,
nello stesso periodo: noi dovremmo trovare in ambedue, per le ragioni
dimostrate nei paragrafi precedenti, la medesima successione generale nelle
forme di vita, ma le specie non si corrisponderebbero
esattamente; perchè esse avrebbero disposto di un tempo un po' maggiore
nell'una regione che nell'altra per le modificazioni, l'estinzione e
l'immigrazione.
Io credo che in Europa avvengano casi di questo genere.
Prestwich, nelle sue stupende Memorie sui depositi eocenici dell'Inghilterra e
della Francia, ha potuto stabilire uno stretto parallelismo generale fra gli
strati successivi dei due paesi; ma quando egli istituisce il confronto di
certe epoche in Inghilterra con quelle della Francia, benchè egli trovi
nei due paesi una curiosa coincidenza nei numeri delle specie appartenenti ai
medesimi generi, nondimeno le specie stesse differiscono in un modo molto
difficile a spiegarsi quando si consideri la prossimità delle due aree;
a meno che non si creda che un istmo separasse due mari popolati da due forme
distinte, ma contemporanee. Lyell ha fatto delle osservazioni analoghe in
alcune delle ultime formazioni terziarie. Anche Barrande dimostra esservi un
preciso parallelismo generale nei successivi depositi siluriani della Boemia e
della Scandinavia; nondimeno egli trova una grande quantità di
differenze nelle specie. Se le diverse formazioni in queste regioni non furono
depositate esattamente negli stessi periodi, verificandosi talvolta che una
formazione di un paese corrisponde a un intervallo di riposo in un altro, e se
in ambe le regioni le specie andarono lentamente cambiandosi, durante
l'accumulazione delle diverse formazioni e nei lunghi intervalli di tempo che
passarono fra una formazione e la successiva; in tal caso le varie formazioni
delle due regioni potrebbero essere disposte col medesimo ordine, in accordo
colla successione generale delle forme di vita e parrebbe falsamente che questo
ordine fosse rigorosamente parallelo; ciò non ostante le specie non
sarebbero tutte le stesse, negli strati in apparenza corrispondenti delle due
regioni.
SULLA AFFINITÀ DELLE SPECIE ESTINTE FRA LORO
E COLLE FORME VIVENTI
Facciamoci
ora a considerare le mutue affinità delle specie estinte colle viventi.
Esse cadono tutte insieme in un grande sistema naturale; e questo fatto
può spiegarsi col principio di una comune discendenza.
Quanto più antica è una forma, tanto più differisce
generalmente dalle forme viventi. Ma tutti i fossili, come notava molto tempo
fa il Buckland, possono classificarsi sia comprendendoli nei gruppi ora
esistenti, sia collocandoli fra un gruppo e l'altro. Non può mettersi in
dubbio che le forme di vita estinte concorrano a riempire le ampie lacune
esistenti fra i generi, le famiglie e gli ordini attuali. Infatti, se noi portiamo
la nostra attenzione sulle forme viventi soltanto, ovvero sulle forme estinte,
la serie diviene assai meno perfetta che quando le combiniamo tutte in un
sistema generale. Negli scritti del professor Owen noi troviamo spesso il
termine «forme generalizzate» applicato agli animali estinti, e l'Agassiz parla
di tipi profetici o sintetici. Queste espressioni dicono appunto che tali forme
sono in realtà anelli intermediari o di congiunzione. Un altro distinto
paleontologo, il Gaudry, ha dimostrato che molti mammiferi fossili da lui
scoperti nell'Attica tolgono evidentemente la distanza che separa dei generi
attualmente viventi. Il Cuvier considerava i ruminanti ed i pachidermi come due
ordini distintissimi di mammiferi; ma si scavarono tanti anelli intermedi, che
l'Owen ha cambiato l'intera classificazione ed ha collocato certi pachidermi in
uno stesso sottordine con dei ruminanti; ad esempio, egli ha colmato la lacuna
apparentemente grande fra il cignale ed il camello con forme estinte. Gli
ungulati o mammiferi a zoccoli si dividono ora in bisulci e solipedi; ma la Macrauchenia
dell'America meridionale congiunge insieme in certo grado queste due grandi
divisioni. Nessuno può negare che l'Hipparion si trovi nel mezzo
fra il cavallo attuale e certe altre forme ungulate. Quale meraviglioso anello
intermediario nella catena dei mammiferi non è il Typotherium dell'America
meridionale, come lo indica il nome che gli fu dato dal professor Gervais, e
che non trova posto in nessuno degli ordini ora esistenti dei mammiferi! Le
sirene formano un gruppo assai distinto tra i mammiferi, ed una delle
particolarità più notevoli nel dugongo e nel lamantino, ora
viventi, si è la completa mancanza di arti posteriori, di cui non esiste
nemmeno un rudimento. Ma secondo il professore Flower l'estinto Halitherium aveva
un femore ossificato, «il quale articolava in un acetabolo ben circoscritto
della pelvi», e si avvicina così ai quadrupedi ungulati ordinari, coi
quali le sirene sono affini per altri riguardi. I cetacei o balene sono molto
diversi da tutti gli altri mammiferi; tuttavia lo Zeuglodon e Squalodon
dell'epoca terziaria, i quali da alcuni naturalisti sono posti in un ordine
speciale, vengono dall'Huxley considerati indubbiamente come cetacei che
«costituiscono degli anelli di congiunzione coi carnivori acquatici».
Perfino la lacuna tra gli uccelli ed i rettili, come fu
dimostrato dal naturalista predetto, è colmata nel modo([23])
più inaspettato, e cioè per una parte dallo struzzo e dall'Archæopterix,
per l'altra parte dal Compsognathus, un dinosauro, ossia un gruppo
che abbraccia le forme gigantesche dei rettili terrestri. Riguardo agli
Invertebrati, il Barrande asserisce, nè potrebbe citarsi un'autorità
più elevata, che ogni giorno si riconosce, come gli animali paleozoici,
quantunque appartenenti ai medesimi ordini, famiglie e generi di quelli che
presentemente esistono, non siano stati separati nelle epoche primitive in
gruppi tanto distinti, come ora li troviamo.
Alcuni scrittori hanno obbiettato che ogni specie estinta od
ogni gruppo di specie estinte non può considerarsi come intermedio fra
le specie o gruppi viventi. Se con questo termine si intende che una forma
estinta sia direttamente intermedia in tutti i suoi caratteri fra due forme
viventi, l'obbiezione è fondata. Ma io pretendo solamente che, in una
classificazione perfettamente naturale, molte specie fossili abbiano a
collocarsi fra le specie esistenti, ed alcuni generi estinti fra i generi viventi,
ed anche fra generi appartenenti a famiglie distinte. Il caso più
comune, specialmente riguardo ai gruppi molto distinti, come i pesci e i
rettili, mi sembra sia quello di supporre che i medesimi siano presentemente
distinti fra loro per una dozzina di caratteri e che gli antichi membri dei
medesimi due gruppi fossero invece differenti per un numero alquanto minore di
caratteri; per modo che i due gruppi, benchè affatto distinti anche
anticamente, erano allora un po' più vicini l'uno all'altro.
È
una opinione comune quella che quanto più antica sia una forma, essa
tende maggiormente a collegare, per mezzo di alcuni dei suoi caratteri, dei
gruppi che ora sono interamente separati l'uno dall'altro. Questa osservazione
senza dubbio deve restringersi a quei gruppi che furono soggetti a molti
cambiamenti, nel corso delle epoche geologiche; ma sarebbe difficile provare la
verità di questa proposizione, perchè si incontra qua e là
qualche animale vivente, come la Lepidosirena,
che ha delle affinità dirette con gruppi affatto distinti. Tuttavia
se noi paragoniamo i rettili più antichi, i batraci, i pesci più
antichi e i più antichi cefalopodi, nonchè i mammiferi eocenici,
coi membri più recenti delle medesime classi, conviene ammettere che in
questa osservazione vi è qualche fondamento di verità.
Vediamo frattanto come questi fatti diversi e queste deduzioni
siano in armonia colla teoria della discendenza modificata. Essendo il soggetto
alquanto complicato, debbo pregare il lettore a voler richiamare il diagramma
del capo quarto. Possiamo supporre che le lettere numerizzate rappresentino dei
generi e le linee punteggiate, divergenti da quelle, raffigurino le specie di
ogni genere. Il diagramma è troppo ristretto perchè non
rappresenta che pochi generi e poche specie, ma ciò non è di
alcuna importanza per noi. Le linee orizzontali ponno rappresentare le
formazioni geologiche successive e tutte le forme al disotto delle linee
superiori si considereranno come estinte. I tre generi esistenti a14,
q14, p14, formeranno una piccola famiglia; b14
ed f14 una famiglia molto affine o una sotto-famiglia; ed o14,
e14, m14 una terza famiglia. Queste tre
famiglie, insieme ai molti generi estinti nelle diverse linee di discendenza
che partono dalla forma-stipite A, formeranno un ordine; perchè
tutte avranno ereditato in comune qualche particolarità del progenitore
antico e comune. A tenore del principio della continua tendenza alla divergenza
del carattere, il quale fu già dimostrato per mezzo del diagramma, tutte
le forme più recenti saranno in generale le più differenti dal
loro antico progenitore. Da ciò possiamo comprendere la regola che i
fossili più antichi sono quelli che maggiormente differiscono dalle
forme esistenti. Noi non dobbiamo però riguardare la divergenza di carattere
come una contingenza necessaria; la medesima opera soltanto allorchè i
discendenti di una specie divengono adatti ad occupare molti posti diversi
nell'economia della natura. Perciò è cosa possibilissima che una
specie, come vedemmo nel caso di alcune forme siluriane, possa leggermente
modificarsi in relazione alle sue condizioni di vita leggermente alterate, e
conservare nondimeno per un vasto periodo le stesse caratteristiche, generali.
Nel diagramma questo caso è raffigurato colla lettera F14.
Tutte
le molte forme, estinte e recenti, che provengono da A costituiscono,
come si è detto, un ordine; e quest'ordine, per gli effetti continui
dell'estinzione o della divergenza di carattere, viene diviso in parecchie
sotto-famiglie e famiglie, alcune delle quali si suppongono perite in periodi diversi, ed altre suppongonsi conservate fino al
presente.
Esaminando il diagramma, possiamo riconoscere che se molte
forme estinte, avvolte nelle formazioni successive, fossero scoperte in vari
punti inferiori della serie, le tre famiglie esistenti sulla linea superiore
diverrebbero per ciò meno distinte fra loro. Se, per esempio, i generi a1,
a5, a10, f8, m3,
m6, m9, fossero dissotterrati, queste tre
famiglie sarebbero tanto strettamente collegate insieme, che probabilmente
dovrebbero unirsi in una sola grande famiglia, quasi nella stessa guisa come
avviene coi ruminanti e con certi pachidermi. Qui però alcuno potrebbe
contestare che i generi estinti possono chiamarsi intermedi pei caratteri,
servendo essi a connettere i generi viventi di tre famiglie, e non sarebbe
fuori di proposito, perchè quei generi non sarebbero intermedi
direttamente, ma bensì per lungo ed involuto andamento attraverso a
molte forme affatto differenti. Se molte forme estinte fossero scoperte sopra
una delle linee orizzontali di mezzo, vale a dire, sopra una delle formazioni
geologiche (per esempio, sopra il num. VI), ma non se ne trovasse alcuna al
disotto di questa linea, allora soltanto le due famiglie a sinistra (cioè
a14, ecc., b14, ecc.) dovrebbero
riunirsi in una sola famiglia; e le altre due famiglie (cioè a14
ad f14, comprendenti cinque generi, ed o14
ad m14) rimarrebbero distinte. Queste due famiglie
però sarebbero meno distinte fra loro di quel che fossero prima della scoperta
dei fossili. Se, per modo d'esempio, supponiamo che i generi estinti delle due
famiglie differiscano fra loro per una dozzina di caratteri, in tal caso quei
generi avrebbero differito per un numero minore di caratteri, nel periodo
antico segnato col numero VI; perchè, a questo stadio più remoto
di sviluppo, essi non differivano tanto dal comune progenitore dell'ordine
quanto se ne allontanarono posteriormente. Così è avvenuto che i
generi antichi ed estinti sono spesso, di qualche piccolo grado, intermedi nel
carattere fra i loro discendenti modificati o fra i loro parenti collaterali.
Allo
stato di natura questo quadro sarebbe assai più complicato di quello che
apparisce dal diagramma; perchè i gruppi saranno stati molto più
numerosi, avranno durato per intervalli di tempo molto disuguali, e si saranno
modificati in diverso grado. Siccome noi possediamo solamente l'ultimo volume
delle Memorie geologiche e in una condizione molto imperfetta, non abbiamo
alcun motivo di aspettarci, eccettuati pochissimi casi rari, di completare i
grandi vuoti che si hanno nel sistema naturale e così legare insieme le
famiglie e gli ordini distinti. Tutto ciò che noi possiamo sperare si
è di trovare che questi gruppi, i quali in certi noti periodi geologici
furono soggetti a molte modificazioni, si ravvicinano qualche poco fra loro
nelle formazioni più antiche; per modo che i membri più antichi
differiscono fra loro, in alcuni dei loro caratteri, meno dei membri attuali
dei medesimi gruppi; appunto sembra che ciò si verifichi frequentemente,
dalla concorde testimonianza de' migliori nostri paleontologi.
Così, secondo la teoria della discendenza modificata, i
fatti principali che riguardano le mutue affinità delle forme di vita
estinte, sia fra loro, sia colle forme viventi, mi sembra ricevano una
soddisfacente spiegazione. Ma essi sono inesplicabili affatto, secondo
qualsiasi altra ipotesi.
Adottando questa teoria, è manifesto che la fauna di
ogni grande periodo della storia terrestre sarà intermedia, nei
caratteri generali, fra quella che la precedette e quella che la seguì.
Così quelle specie che esistettero al sesto grande periodo di
discendenza del diagramma sono la posterità modificata di quelle altre
che vissero al quinto periodo e sono le madri di quelle che rimasero anche
ulteriormente modificate nel settimo periodo; quindi esse non potrebbero
certamente mancare di essere approssimativamente intermedie, nei loro
caratteri, fra le forme di vita precedenti e le posteriori. Ma noi dobbiamo
inoltre tener conto dell'intera estinzione di alcune forme anteriori, e della
immigrazione in ciascuna regione di nuove forme provenienti da altre regioni, e
così anche del grande complesso di modificazioni avvenute nei lunghi
intervalli di riposo fra le successive formazioni. Fatte queste restrizioni, la
fauna di ogni periodo geologico è senza dubbio intermedia, nei
caratteri, fra la fauna anteriore e la posteriore. Per darne un solo esempio,
basterà ricordare il modo con cui i fossili del sistema devoniano furono
fin da principio, quando tale sistema fu scoperto, riconosciuti di carattere
intermedio fra quelli degli strati carboniferi sovrapposti e quelli del
sottoposto sistema siluriano. Ma ogni fauna non è di necessità
esattamente intermedia, perchè fra le formazioni consecutive passarono
periodi di tempo disuguali.
Alla
verità di questo principio, che la fauna cioè di ogni periodo
è nel suo complesso di carattere quasi intermedio fra la fauna
precedente e la susseguente, non si può opporre che certi generi offrono
eccezione alla regola. Per esempio, i mastodonti e gli elefanti
furono classificati dal dott. Falconer in due serie, la prima dietro le loro
mutue affinità e l'altra secondo i periodi della loro esistenza, e queste
due serie non sono disposte in conformità. La specie che possiede un
carattere estremo non è nè la più antica, nè la
più recente: e neppure quelle che hanno un carattere intermedio, sono
intermedie per l'età. Ma posto per un momento, in questo caso e in altri
analoghi, che le nostre cognizioni sulla prima comparsa e sulla estinzione
della specie siano perfettamente esatte, noi non abbiamo alcuna ragione di
credere che le forme prodotte successivamente debbano durare di
necessità per intervalli di tempo corrispondenti. Una forma antichissima
può accidentalmente conservarsi più lungamente di una forma
prodotta posteriormente in altro luogo, e specialmente nel caso di produzioni
terrestri che si trovano in distretti separati. Confrontiamo le cose piccole colle
grandi; se le razze principali viventi ed estinte del colombo domestico fossero
disposte nel miglior modo possibile secondo la loro affinità in serie:
questa serie non sarebbe esattamente in accordo coll'ordine dell'epoca della
loro produzione ed anche meno coll'ordine della loro scomparsa; perchè
il loro progenitore, il colombo torraiuolo, vive presentemente: e molte
varietà fra il colombo torraiuolo e il messaggero rimasero estinte; e i
messaggeri, che sono estremi per il carattere importante della lunghezza del
becco, hanno un'origine più antica di quella dei giratori a faccia
corta, che sono all'estremo opposto della serie a questo riguardo.
Il
fatto ammesso da tutti i paleontologi che i fossili di due formazioni
consecutive sono assai più connessi fra loro dei fossili di due remote
formazioni, è intimamente collegato col principio che gli avanzi
organici di ogni formazione intermedia hanno in certo grado caratteri
intermedi. Pictet ce ne offre un esempio bene conosciuto nella generale rassomiglianza
degli avanzi organici dei diversi strati della formazione cretacea,
benchè le specie siano distinte in ogni strato. Questo solo fatto, per la sua generalità, sembra abbia scosso il prof. Pictet
dalla sua ferma credenza sulla immutabilità delle specie. Conoscitore
della distribuzione delle specie esistenti sul globo, egli non cercherà
di spiegare la stretta somiglianza delle specie distinte nelle formazioni
consecutive, per mezzo delle condizioni fisiche delle antiche superfici,
essendo queste condizioni rimaste quasi identiche. E qui ricorderemo che le
forme di vita, almeno quelle che abitano il mare, si cambiarono quasi
simultaneamente per tutto il mondo e perciò sotto i climi più
diversi e in condizioni opposte. Basta considerare le prodigiose vicissitudini
del clima durante il periodo pleistocenico, che racchiude l'intero periodo
glaciale, ed osservare quanto poco furono affette le forme specifiche degli
abitatori del mare.
Secondo la teoria della discendenza, è facile
comprendere pienamente il fatto degli avanzi fossili appartenenti a formazioni
consecutive che si trovano in istretti rapporti, quantunque siano riguardati
come specie distinte. Siccome l'accumulazione di ogni formazione è stata
spesso interrotta e sono intervenuti degli intervalli di inazione fra le
successive formazioni, non dobbiamo trovare, come cercai di provare nell'ultimo
capitolo, in ciascuna formazione o in due formazioni tutte le varietà
intermedie fra le specie che apparvero al principio e alla fine di questi
periodi; ma solo troveremo ad intervalli molto lunghi, se misurati cogli anni,
e ad intervalli mediocri, se valutati geologicamente, delle forme strettamente
affini o specie rappresentative, come furono chiamate da alcuni autori; e
queste sicuramente si trovano. In breve, noi abbiamo, rispetto alle lente e
quasi insensibili mutazioni delle forme specifiche, tutte quelle prove che
possiamo giustamente aspettarci.
SUL GRADO DI SVILUPPO DELLE ANTICHE FORME
RISPETTO ALLE FORME VIVENTI
Abbiamo
veduto nel quarto capo che il grado di differenza e di specialità delle
parti di tutti gli esseri organizzati, quando sono adulti, è la migliore
norma che siasi mai suggerita della loro perfezione e della loro elevatezza.
Abbiamo anche notato che, quando le parti e gli organi si rendono più speciali
per date funzioni, ne deriva un vantaggio ad ogni essere; per tal modo
l'elezione naturale tenderà costantemente a rendere l'organizzazione di
ogni essere più speciale e perfetta e in questo senso più
elevata; essa tuttavia può lasciare e lascia semplici e immutate molte
forme adatte a condizioni di vita molto semplici; anzi in certi casi essa
degraderà e semplificherà l'organizzazione, lasciando così
questi esseri degradati meglio adatti alle nuove loro circostanze. In altro modo
più generale possiamo vedere che, secondo la teoria della elezione
naturale, le forme più recenti tenderanno ad essere più elevate
dei loro progenitori; perchè ogni nuova specie si forma coll'ottenere qualche vantaggio sulle altre forme preesistenti nella lotta per l'esistenza.
Se gli abitanti eocenici di una parte del mondo, sotto un clima quasi uguale,
fossero entrati in concorrenza cogli abitanti esistenti nella medesima o
qualche altra parte del mondo, la fauna o la flora eocenica sarebbe certamente
stata vinta ed esterminata, e così la fauna secondaria sarebbe dominata
dalla fauna eocenica e la fauna paleozoica dalla secondaria. Così
è per questa prova radicale della vittoria nella lotta per la vita, come
per il grado di specialità degli organi, le forme moderne debbono essere
più elevate delle forme antiche dipendentemente dalla teoria della
elezione naturale. Questo fatto si verifica? La grande maggioranza dei
paleontologi risponderebbe affermativamente; ma dopo aver letto le discussioni
sostenute su questo argomento dal Lyell e le opinioni di Hooker riguardo alle
piante, nel mio apprezzamento credo che ciò avvenga soltanto in una
estensione limitata. Nulladimeno può presumersi che si avranno prove
più decisive nelle future ricerche geologiche.
Contro questa
conclusione non vale l'obbiettare che certi brachiopodi non furono che assai
leggermente modificati da un periodo geologico assai remoto in poi; e che certi
molluschi terrestri e di acqua dolce dall'epoca in cui, per quanto si sappia,
sono apparsi per la prima volta, rimasero pressochè inalterati.
Nè può opporsi come difficoltà insuperabile il fatto, su
cui ha insistito il Carpenter, che cioè i foraminiferi dopo la
formazione lorenzina non fecero alcun progresso: imperocchè alcuni
organismi debbano appunto essere adattati a semplici condizioni di vita; e
quali potevano esserlo meglio di quei protozoi di bassa organizzazione?
Siffatte obbiezioni sarebbero fatali alla mia teoria, se includessero un
progresso nella organizzazione come elemento necessario. Le nuocerebbe anche
se, ad esempio, potesse provarsi che i suddetti foraminiferi siano apparsi la
prima volta nell'epoca lorenzina, o i citati brachiopodi nella formazione
cambriana; giacchè, se ciò fosse provato, non vi sarebbe stato il
tempo sufficiente a raggiungere quel grado di sviluppo, a cui di poi questi
organismi arrivarono. Quando lo sviluppo è arrivato ad un certo punto,
secondo la teoria della elezione naturale, non sussiste la necessità che
il processo sia continuato; tuttavia gli organismi saranno leggermente modificati
in ciascuna delle età successive, affinchè possano conservare il
loro posto tra le varianti condizioni di vita. Tutte queste obbiezioni si
aggirano intorno alla domanda, se noi realmente sappiamo
quanto vecchio sia il mondo ed in quali periodi le varie forme di vita siano
apparse per la prima volta; e la risposta può ben essere negativa.
Il problema, se l'organizzazione nel complesso sia progredita,
è sotto molti aspetti grandemente intricato. Le memorie geologiche,
imperfette in ogni tempo, non si estendono abbastanza nel passato, a mio
avviso, per dimostrare con evidenza incontrovertibile che, nei limiti della
storia conosciuta del mondo, l'organizzazione ha progredito immensamente. Anche
al presente, considerando i membri di una medesima classe, i naturalisti non
sono unanimi nello stabilire quali sian le forme più elevate:
così alcuni riguardano i selaci come i pesci più perfetti,
perchè si avvicinano ai rettili in alcuni punti importanti della loro
struttura; altri invece riguardano come più elevati i teleostei. I
ganoidi sono intermedi fra i selaci e i teleostei; questi ultimi sono al
presente largamente preponderanti in numero; ma anticamente esistevano soltanto
i selaci e i ganoidi; e in tal caso secondo il tipo dl perfezione prescelto, potrà
dirsi che i pesci hanno progredito o regredito nell'organizzazione. Sembra
inutile lo studiarsi di paragonare nella scala progressiva degli esseri i
membri dei tipi distinti; chi vorrà decidere se la seppia sia più
elevata dell'ape - di quell'insetto che il grande Von Baer credeva essere, «in
fatto di una organizzazione più perfetta del pesce, benchè sopra
un atro tipo?». È credibile che nella complessa lotta per la vita i
crostacei, per esempio, anche fra quelli che non sono i più elevati
nella propria classe, possano battere i cefalopodi che sono i più
perfetti fra i molluschi; e questi crostacei, benchè non abbiano uno
sviluppo molto elevato, potrebbero occupare un posto molto alto nella scala
degli animali invertebrati, se si giudicasse dietro il più decisivo di
tutti gli altri indizi, cioè la legge della lotta. Prescindendo dalla
difficoltà che incontriamo nel decidere quali forme siano le più
avanzate nella organizzazione, noi dovremo paragonare fra loro, non solo i
membri più elevati di una classe in due diversi periodi - benchè
questo sia certamente uno dei più importanti elementi e forse il
principale nel confronto, - ma anche tutti gli individui, superiori ed
inferiori di questi due periodi. In un'epoca antica i molluschi più
elevati e gli inferiori, vale a dire, i cefalopodi e i brachiopodi,
formicolavano in gran numero; mentre al presente questi ordini furono ridotti
immensamente; quando all'opposto altri ordini, intermedi nel grado
dell'organizzazione, si accrebbero in vaste proporzioni. Conseguentemente
alcuni naturalisti hanno sostenuto che i molluschi erano una volta assai
più sviluppati e perfetti che oggi non siano; ma d'altronde potrebbe
addursi un caso contrario e più fondato, quando si consideri la grande
diminuzione avvenuta nei molluschi inferiori, e tanto più che i
cefalopodi esistenti, benchè sì ristretti in numero, hanno una
organizzazione più elevata dei loro antichi rappresentanti. Inoltre fa
d'uopo considerare i numeri proporzionali rispettivi delle classi superiori ed
inferiori nella popolazione del mondo corrispondenti ai due periodi; se, per
esempio, oggi abbiamo cinquantamila specie di animali vertebrati e se sappiamo
che a un'epoca anteriore non ne esistevano che diecimila, noi dobbiamo ritenere
che codesto aumento nel numero delle classi più elevate implica un
grande spostamento delle forme inferiori; e ciò forma un deciso
progresso nell'organizzazione sul globo. Noi possiamo quindi desumere quanto
insormontabile sia la difficoltà che si opporrà sempre nel
confrontare con perfetta esattezza, sotto queste relazioni estremamente
complesse, il grado dell'organizzazione delle faune imperfettamente conosciute
dei successivi periodi della storia terrestre.
Si potrà apprezzare da un punto di vista più
importante questa difficoltà con maggiore chiarezza, esaminando certe
faune e flore ora esistenti. Dal modo veramente straordinario, con cui le
produzioni europee si estesero sopra la Nuova Zelanda ed occuparono luoghi che
prima dovevano contenere altre produzioni, possiamo supporre che, se tutti gli
animali e tutte le piante della Gran Bretagna fossero collocati liberamente
nella Nuova Zelanda, una moltitudine di forme dell'Inghilterra sarebbero nel
corso del tempo naturalizzate in quella regione e distruggerebbero molte delle
forme native. D'altra parte possiamo dubitare, da ciò che vediamo
avvenire nella Nuova Zelanda e dal non trovarsi un solo abitante nell'emisfero
meridionale divenuto selvaggio in qualche parte dell'Europa, che, se tutte le
produzioni della Nuova Zelanda fossero allevate liberamente in Inghilterra, un
numero considerevole di esse sarebbe per subentrare nei luoghi ora occupati
dalle nostre piante e dai nostri animali indigeni. Sotto questo aspetto le
produzioni della Gran Bretagna possono dirsi più elevate di quelle della
Nuova Zelanda. Però il più abile naturalista non avrebbe potuto
prevedere questo risultato, dietro l'esame delle specie dei due paesi.
Agassiz
sostiene che gli animali antichi somigliano fino ad una certa estensione agli
embrioni degli animali recenti della stessa classe; ossia che la successione
geologica delle forme estinte è in certo grado parallela allo sviluppo
embriologico delle forme recenti. Questa dottrina si accorda bene colla teoria
dell'elezione naturale. In un prossimo capitolo io cercherò di provare
che l'adulto differisce dal suo embrione, per variazioni sopravvenute nel corso
della vita ed ereditate ad una età corrispondente. Questo processo,
mentre lascia l'embrione quasi inalterato, aggiunge continuamente nuove
differenze coll'adulto nel corso delle generazioni successive. Così
l'embrione rimane come una specie di pittura, preservata dalla natura delle
antiche condizioni meno modificate dell'animale. Questo concetto può
essere vero, ma nondimeno non potrà mai aversene una piena prova. Quando
si vede, per esempio, che i più antichi mammiferi conosciuti, i rettili
e i pesci appartengono rigorosamente alle proprie classi, quantunque alcune di
queste forme primitive siano in piccolo grado meno distinte fra loro dei membri
tipici dei medesimi gruppi attualmente, sarebbe vano il cercare animali aventi
il carattere embriologico comune dei vertebrati, finchè non si scoprano
altri strati al disotto dei letti inferiori del periodo siluriano, - scoperta
in vero poco probabile.
SULLA SUCCESSIONE DEI MEDESIMI TIPI NELLE STESSE AREE
NEGLI ULTIMI PERIODI TERZIARI
Clift ha dimostrato, parecchi anni fa, che i mammiferi fossili
delle caverne dell'Australia sono strettamente affini ai marsupiali di questo
continente. Nell'America del Sud tale parentela è manifesta, anche ad un
occhio inesperto, nei frammenti giganteschi di armature simili a quelle
dell'armadillo, trovate in varie parti della Plata; e il prof. Owen ha
dimostrato nel modo più convincente che la maggior parte dei mammiferi
fossili sepolti colà in gran numero, sono analoghi ai tipi dell'America
del Sud. Questa affinità apparisce anche più evidente nella
stupenda collezione di ossa fossili fatta da Lund e Clausen nelle caverne del
Brasile. Questi fatti mi fecero tanta impressione, che nel 1839 e nel 1845 io
insistetti a tutt'uomo su questa «legge della successione dei tipi», - sopra
«questa portentosa relazione nel medesimo continente fra le forme estinte e le
viventi». Il prof. Owen ha poscia estesa la stessa generalizzazione ai
mammiferi del vecchio mondo. Noi osserviamo la medesima legge nelle
ricomposizioni, fatte da questo autore, degli uccelli estinti e giganteschi
della Nuova Zelanda: come pure noi lo vediamo negli uccelli delle caverne del
Brasile. Woodward ha provato che la stessa legge si verifica nelle conchiglie
marine; ma per la vasta distribuzione della maggior parte dei generi dei
molluschi essa non sussiste con uguale certezza pei medesimi. Potrebbero
inoltre aggiungersi altri casi, come la relazione fra i molluschi terrestri
estinti e viventi di Madera e fra i molluschi estinti e gli esistenti delle
acque salmastre del mare Aral-Caspio.
Ora che cosa significa questa legge rimarchevole della
successione dei medesimi tipi nelle medesime superfici? Dovrebbe essere un uomo
ben ardito colui, che, dopo di aver confrontato il presente clima
dell'Australia e delle parti dell'America meridionale che hanno la stessa
latitudine, tentasse di spiegare, da una parte colle dissimili condizioni
fisiche la dissomiglianza degli abitanti di questi due continenti, e dall'altra
parte la uniformità degli stessi tipi in ciascuno di essi durante gli
ultimi periodi terziari colla parità delle condizioni fisiche. Nè
potrebbe pretendersi che sia una legge invariabile quella, per cui i marsupiali
debbano essere stati principalmente od esclusivamente propri dell'Australia; o
che gli sdentati ed altri tipi americani si siano solamente prodotti
nell'America meridionale. Perchè noi sappiamo che l'Europa nei tempi
antichi era popolata da numerosi marsupiali; ed io ho dimostrato, nelle
pubblicazioni precedentemente citate, che nell'America la legge di
distribuzione dei mammiferi terrestri era anticamente diversa da quella che
oggi si osserva. L'America settentrionale presentava in altri tempi molti dei
caratteri attuali della metà meridionale di questo continente; e la
metà meridionale era una volta più strettamente affine che oggi
non sia, alla metà settentrionale. Così sappiamo dalle scoperte
di Falconer e di Cautley, che i mammiferi dell'India settentrionale erano nei
tempi primitivi più prossimi a quelli dell'Africa che non siano al
presente. Abbiamo inoltre dei fatti analoghi rispetto alla distribuzione degli
animali marini.
Secondo
la teoria della discendenza con modificazioni, la grande legge della
successione prolungata, ma non immutabile degli stessi tipi sulle medesime
regioni, viene tosto chiarita; perchè gli abitanti di ogni parte del
mondo tenderanno facilmente a rimanere e propagarsi in quelle parti, nei
periodi immediatamente posteriori, lasciando una progenie strettamente affine,
benchè modificata di qualche grado. Se gli abitanti di un continente anticamente erano molto diversi da quelli di un altro continente,
anche i loro discendenti modificati differiranno quasi nella stessa maniera e
al medesimo grado. Ma dopo intervalli di tempo molto lunghi, e dopo i grandi
cambiamenti geografici che permettano molte migrazioni da una regione
all'altra, le forme più deboli cederanno il posto alle più
dominanti, e non vi sarà nulla di immutabile nelle leggi della
distribuzione passata e presente.
Potrebbe chiedersi ironicamente se io supponga che il
megaterio ed altri mostri giganteschi affini abbiano lasciato dietro di
sè nell'America meridionale l'armadillo pigro e il formichiere quali
discendenti degeneri. Ciò non potrebbe ammettersi in modo alcuno. Questi
giganteschi animali rimasero estinti interamente e non lasciarono veruna
progenie. Ma nelle caverne del Brasile vi sono molte specie estinte che sono in
relazione intima, per la loro grandezza e per gli altri caratteri, colle specie
che attualmente esistono nell'America meridionale: e alcuni di questi fossili
possono essere i diretti progenitori delle specie viventi. Nè deve
dimenticarsi che, secondo la mia teoria, tutte le specie di un medesimo genere
sono derivate da una sola specie anteriore; per modo che se si trovassero in
una formazione geologica dei generi, comprendenti otto specie per ciascuno,
nella formazione immediatamente vicina si avessero sei altri generi affini o
rappresentativi, col medesimo numero di specie, allora noi potremmo concludere
che una specie sola, di ciascuno dei sei generi precedenti produsse dei
discendenti modificati, che costituirono i sei nuovi generi. Le altre sette
specie di generi antichi si sarebbero spente e non avrebbero lasciato progenie.
Ora, probabilmente, potrebbe avvenire un caso più comune, cioè
che due o tre specie, di due o tre soltanto dei sei generi primitivi, fossero
state i progenitori dei sei nuovi generi: essendosi estinte le altre specie
antiche e tutti gli altri generi primitivi. Negli ordini che sono in decadenza,
i generi e le specie dei quali diminuiscono di numero, come pare sia il caso
degli sdentati dell'America meridionale, saranno anche meno numerosi i generi e
le specie che avranno lasciato dei discendenti diretti modificati.
SOMMARIO DI QUESTO CAPO E DEL PRECEDENTE
Mi sono studiato di provare che le memorie e gli avanzi
geologici sono sommamente imperfetti; che solo una piccola porzione del globo
fu esplorata geologicamente a dovere; che certe classi soltanto di esseri
organizzati furono largamente conservate in uno stato fossile; che il numero
degli avanzi fossili e delle specie che si custodiscono nei nostri musei
è assolutamente un nulla, in confronto del numero incalcolabile di
generazioni che debbono essere passate, anche durante una sola formazione; che
enormi intervalli di tempo separano quasi tutte le nostre formazioni
consecutive, per essere l'abbassamento del suolo quasi necessario perchè
si accumulino depositi ricchi di fossili e abbastanza elevati da resistere alle
degradazioni future; che probabilmente l'estinzione doveva essere maggiore nei
periodi di abbassamento, e la variazione più forte nei periodi di
sollevamento, nei quali i resti fossili si saranno conservati meno
perfettamente; che ogni singola formazione non si è accumulata per mezzo
di una deposizione continua; che la durata di ogni formazione forse è
corta in confronto della durata media delle forme specifiche; che la migrazione
ha esercitato una influenza importante sulla prima apparizione di forme nuove
in ogni regione e in ogni formazione; che le specie ampiamente diffuse sono
quelle che variarono maggiormente e che più spesso diedero origine a
nuove specie; e che le varietà furono dapprima semplicemente locali. E
finalmente, sebbene ogni specie abbia dovuto passare per molti stadii
transitorii, è probabile che i periodi, nei quali ciascuna abbia
subìto delle modificazioni, siano stati numerosi e lunghi misurandoli
cogli anni, ma invece brevi se si confrontino coi periodi, nei quali rimase
inalterata. Tutte queste cause insieme possono spiegare in massima parte
perchè tra le specie di un gruppo noi troviamo bensì molte forme
intermedie, ma non si rinvengono infinite serie di varietà che a gradi
insensibili collegano insieme le forme estinte e le attuali. Non si deve poi
dimenticare che se fossero trovate delle varietà intermedie tra due o
più forme, esse sarebbero considerate come altrettante specie nuove e
distinte, ove non si potesse stabilire l'intera catena; giacchè non
possiamo sostenere di conoscere un esatto criterio per distinguere le specie
dalle varietà.
Chi
respingerà queste idee sulla natura delle memorie geologiche, non
ammetterà per certo la mia teoria. Perchè invano si chiederebbe
dove siano i legami transitorii infiniti che dovettero connettere fin da
principio le specie strettamente affini o rappresentative, trovate nei vari
strati di una stessa grande formazione. Egli potrà negare gli enormi
intervalli di tempo trascorsi fra le nostre formazioni
consecutive; egli non terrà conto dell'importanza degli effetti della
migrazione; quando si considerano isolatamente le formazioni di qualche grande
regione, come quelle dell'Europa; egli potrà da ultimo opporre la venuta
improvvisa ed apparente, ma spesso falsamente apparente, di interi gruppi di
specie. Egli chiederà dove siano gli avanzi di questi organismi
infinitamente numerosi che esistettero molto tempo prima che lo strato
più antico del sistema siluriano fosse depositato. Io non posso
rispondere che in via d'ipotesi a quest'ultima questione, cioè col dire
che, per quanto noi possiamo vedere, i nostri oceani rimasero per un periodo
enorme dove oggi si estendono, e che dove ora abbiamo i nostri continenti
oscillanti, questi vi si trovavano fino dall'epoca siluriana; ma che, assai
prima di questo periodo, il mondo può avere presentato un aspetto
interamente diverso; e che i continenti più antichi, composti di
formazioni più vecchie di quelle che conosciamo, possono essere tutti al
presente in uno stato metamorfico, o trovarsi sepolti sotto l'Oceano.
Oltrepassando
queste difficoltà, gli altri fatti principali della paleontologia mi
sembrano facili a dedurre dalla teoria della discendenza con modificazioni per
mezzo dell'elezione naturale. Per tal modo noi comprendiamo come si formino
lentamente e successivamente le specie nuove; come le specie delle diverse
classi non debbano di necessità trasformarsi simultaneamente sia colla
stessa rapidità, sia fino ad uno stesso grado, quantunque tutte nel
lungo corso dei tempi siano soggette a modificazioni di qualche importanza. La
estinzione di forme antiche è la conseguenza inevitabile della
produzione di nuove forme. Possiamo comprendere per qual motivo, quando una
specie sia scomparsa una volta, più non ritorni. I gruppi di specie
crescono di numero lentamente e durano per intervalli di tempo disuguali, e
così il processo di modificazione è necessariamente lento e
dipende da molte circostanze complesse. Le specie dominanti dei gruppi
più vasti tendono a lasciare molti discendenti modificati, e così
si formano nuovi sotto-gruppi e nuovi gruppi. Quando questi nuovi gruppi sono
formati, le specie dei gruppi meno vigorosi, per la inferiorità loro
trasmessa dal progenitore comune, tendono ad estinguersi insieme e non lasciano
una progenie modificata sulla faccia della terra. Ma l'estinzione completa di
un intero gruppo di specie può spesso avvenire mediante un processo molto
più lento, perchè alcuni discendenti potranno sopravvivere stentatamente in una situazione isolata e protetta. Quando un gruppo è
scomparso completamente, non può rinnovarsi, per essersi interrotta la
sequela della generazione.
È facile comprendere come le forme di vita dominanti,
che sono ampiamente diffuse e quelle che variano più di sovente, a lungo
andare tenderanno a popolare il mondo coi discendenti affini ma modificati; e
questi generalmente riusciranno a surrogare quei gruppi di specie che sono ad
essi inferiori nella lotta per l'esistenza. Quindi, dopo lunghi intervalli di
tempo, le produzioni del mondo sembreranno cambiate simultaneamente.
Così possiamo arguire come avvenga che tutte le forme
di vita antiche e recenti, formino assieme un grande sistema; perchè tutte
sono collegate per mezzo della generazione. Per la continua tendenza alla
divergenza dei caratteri si spiega per qual motivo quanto più antica
è una forma, essa generalmente differisce tanto più dalle forme
attuali. Perchè le forme antiche ed estinte spesso servono a riempire le
lacune fra le forme viventi, talvolta anche rannodando due gruppi in un solo,
mentre prima si riguardavano come distinti; ma più comunemente soltanto
riaccostandoli un po' più strettamente fra loro. Le forme più
antiche apparentemente spiegano più spesso dei caratteri in certo grado
intermedi fra quei gruppi che oggi sono distinti; perchè quanto
più antica è una forma, ha delle relazioni più strette col
progenitore comune dei gruppi, e per conseguenza ha col medesimo una somiglianza
maggiore, essendo poscia divenuta più divergente. Le forme estinte di
rado sono direttamente intermedie fra le forme esistenti; ma lo sono soltanto
dietro un passaggio lungo e tortuoso per molte altre forme estinte e
differenti. È chiara da ciò la ragione del trovarsi gli avanzi
organici delle formazioni immediatamente consecutive più affini fra loro
di quelli delle formazioni separate; perchè le forme sono più
strettamente collegate insieme per mezzo della generazione: e quindi è
evidente che gli avanzi di una formazione intermedia debbono essere intermedi
nei loro caratteri.
Gli
abitanti di ogni periodo successivo nella storia del mondo debbono aver
dominato i loro predecessori nella lotta per l'esistenza, essi perciò
sono più elevati nella scala della natura e la loro struttura
sarà divenuta generalmente più speciale ad ogni funzione; e
ciò vale a spiegare l'opinione generalmente professata dai paleontologi, che cioè l'organizzazione nel suo complesso abbia
progredito. Gli animali estinti e geologicamente antichi somigliano fino ad un
certo punto agli embrioni degli animali più recenti della medesima
classe, e questo fatto maraviglioso trova una facile spiegazione nella nostra
teoria. La successione dei medesimi tipi di struttura sulle medesime superfici
negli ultimi periodi geologici non è più misteriosa e si spiega
semplicemente per mezzo della ereditabilità.
Se le memorie geologiche sono dunque imperfette, come molti credono (e
potrebbe almeno dirsi che non è possibile provare che tali memorie siano
molto più perfette), le obbiezioni principali contro la teoria
dell'elezione naturale sono grandemente diminuite e confutate interamente. Del
resto tutte le principali leggi della paleontologia proclamano esplicitamente,
a mio avviso, che le specie furono prodotte per mezzo della generazione
ordinaria; le vecchie forme essendo state supplantate da nuove forme di vita
perfezionate, prodotte dalla variazione e dalla sopravvivenza del più
adatto.
CAPO XII
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA
La presente distribuzione non può spiegarsi per mezzo
delle differenti condizioni fisiche - Importanza delle barriere -
Affinità delle produzioni del medesimo continente - Centri di creazione
- Mezzi di dispersione per cambiamenti del clima e del livello della terra e
per circostanze accidentali - Dispersione avvenuta durante il periodo glaciale
- Alternanza dei periodi glaciali al Nord e al Sud.
Considerando
la distribuzione degli esseri organizzati sulla superficie del globo, il primo
fatto rilevante che richiama la nostra attenzione è quello che la
somiglianza o la diversità degli abitanti delle varie regioni non
può attribuirsi alle loro condizioni climatologiche, nè ad altre
condizioni fisiche. Quasi tutti gli autori che recentemente studiarono codesto
argomento pervennero a questa conclusione. Il solo caso dell'America basterebbe
a provare la verità di questa proposizione, perchè se escludiamo
le parti settentrionali, in cui le terre circumpolari sono quasi continue,
tutti gli autori convengono che una delle divisioni più fondamentali
nella distribuzione geografica è quella che esiste fra il nuovo mondo e
il vecchio. Però se noi viaggiamo sopra il vasto continente americano,
dalle parti centrali degli Stati Uniti fino all'estremo punto meridionale di
quel continente, noi incontriamo le condizioni più disparate; distretti
umidissimi, aridi deserti, alte montagne, pianure erbose, foreste, paludi,
laghi e grandi fiumi, con tutte le temperature possibili. Nel vecchio
continente non vi è certamente un clima, nè una condizione che
non abbia il suo riscontro nel nuovo mondo, - almeno con quelle relazioni
più intime che generalmente esige la medesima specie; perchè gli
è uno dei casi più rari quello di trovare un gruppo di organismi
confinati in un luogo piccolo, il quale abbia delle condizioni peculiari, anche
solo in menomo grado; per esempio, potrebbero citarsi delle piccole superfici
nel vecchio mondo assai più calde di qualunque altra
dell'America, le quali ciò non ostante non sono abitate da una fauna o
da una flora speciale. Nonostante questo parallelismo nelle condizioni del
vecchio mondo e del nuovo, quanto non sono differenti le loro produzioni
attuali!
Quando
noi confrontiamo sull'emisfero meridionale dei grandi tratti di terra
dell'Australia, dell'Africa meridionale, e dell'America meridionale
occidentale, fra le latitudini di 25° e 35°, noi troviamo quelle parti estremamente conformi in tutte le loro condizioni, quantunque non sia possibile
indicare tre faune e tre flore più dissimili. Se facciasi il paragone
delle produzioni dell'America meridionale al 35° di latitudine sud, con quelle
al 25° di latitudine nord, le quali conseguentemente stanno sotto un clima
molto diverso, si osserva che esse sono assai più strettamente connesse
fra loro che non lo siano le produzioni dell'Australia e dell'Africa, sotto un
clima quasi uguale. Altri fatti analoghi si notano rispetto agli abitanti del
mare.
Un
secondo fatto segnalato che si presenta nella nostra rivista generale è
che le barriere d'ogni sorta e gli ostacoli alla libera migrazione sono in
rapporti stretti ed importanti colle differenze fra le produzioni delle varie
regioni. Noi lo vediamo nella differenza grande di quasi tutte le produzioni
terrestri dei due mondi, tranne le parti settentrionali dove le terre sono
quasi congiunte e dove, sotto un clima leggermente diverso, debbono essere
avvenute libere migrazioni per le forme adatte alle regioni temperate del nord,
come oggi può verificarsi per le produzioni esclusivamente artiche. Lo
stesso fatto si osserva nella differenza notevole esistente fra gli abitanti
dell'Australia, dell'Africa e dell'America meridionale alle medesime
latitudini: perchè queste contrade sono isolate fra loro nel miglior
modo possibile. Anche sopra ciascun continente si trova il medesimo fatto;
perchè sui lati opposti di una catena di montagne alte e continue, sui termini dei grandi deserti, e talora anche alle
due sponde dei larghi fiumi si incontrano produzioni differenti. Ma
poichè le catene di montagne, i deserti, ecc., non sono barriere
insormontabili e non esistono da sì lungo tempo come i mari che si
frappongono ai continenti, le differenze sono in grado inferiore a quelle che
riscontransi nei diversi continenti.
Se
ora esaminiamo il mare, troviamo la stessa legge. Le faune marine delle coste
orientali ed occidentali dell'America meridionale e centrale sono assai
diverse; assai poche specie di molluschi, di crostacei e di echinodermi sono
loro comuni; il Günther però ha recentemente dimostrato che ai lati
opposti dell'istmo di Panama circa il 30 per 100 delle specie sono le medesime,
e questo fatto ha condotto alcuni naturalisti all'idea che l'istmo fosse prima
aperto. A ponente delle coste di America si estende la vasta superficie di un
oceano aperto, senza un'isola che possa servire di stazione agli emigranti; al
di là abbiamo delle barriere di un'altra fatta e, non appena
oltrepassato questo mare, noi incontriamo nelle isole orientali del Pacifico
un'altra fauna totalmente distinta. Per modo che noi vediamo qui tre faune
marine distribuite dal nord al sud in linee parallele, non lontane l'una
dall'altra, e in climi corrispondenti; ma, essendo separate da barriere
insuperabili di terra o di mare aperto, esse sono affatto distinte. Procedendo
poi più verso ponente, oltre le isole orientali delle parti tropicali
del Pacifico, non incontriamo barriere insuperabili ed invece troviamo
innumerevoli isole come luoghi di fermata, o coste continue, finchè
giungiamo alle coste d'Africa dopo di avere traversato un emisfero; e in questo
vasto spazio noi vediamo delle faune marine non bene definite nè
distinte. Benchè sì pochi animali marini siano comuni alle tre
faune prossime, ora nominate, dell'America orientale ed occidentale e delle
isole del Pacifico orientale, pure molti pesci si estendono dal mare Pacifico
fino al mare delle Indie, e molti molluschi sono comuni alle isole orientali
del Pacifico ed alle coste orientali dell'Africa, sotto meridiani quasi
esattamente opposti.
Un terzo
fatto grande, che in parte si comprende nei riflessi precedenti, è
l'affinità delle produzioni del medesimo continente o di uno stesso
mare, quantunque le specie siano distinte nei loro vari punti e nelle loro
varie stazioni. È questa una legge della maggiore generalità, ed
ogni continente ne offre innumerevoli esempi. Nondimeno il
naturalista viaggiando, per esempio, dal nord al sud, non può mancare di
riflettere al modo, secondo il quale i gruppi successivi degli esseri
specificamente distinti, ed evidentemente affini, si rimpiazzano l'uno
coll'altro. Egli vedrà delle razze distinte di uccelli, fra loro molto
affini, dotati di un canto simile, che costruiscono i loro nidi in un modo
analogo, e che hanno uova colorate quasi nello stesso modo. Le pianure vicine
allo stretto di Magellano sono abitate da una specie di Rhea (struzzo
americano), e al nord delle pianure della Plata vive un'altra specie del
medesimo genere; e non vi si trova alcuno struzzo vero, nè casoar
elmuto, i quali stanno sotto la medesima latitudine in Africa ed in Australia.
In queste medesime pianure della Plata noi vediamo l'Agouti e il Bizcacha,
animali che hanno abitudini quasi uguali a quelle delle nostre lepri e dei
nostri conigli e appartengono al medesimo ordine dei roditori, ma posseggono un
tipo d'organizzazione perfettamente americano. Se ascendiamo gli alti picchi
delle Cordigliere, troviamo una specie alpina di Bizcacha; e se
esaminiamo le acque noi non troviamo il castoro o il tipo muschiato, ma il Coypu
ed il Capybara, che sono roditori del tipo americano. Si potrebbero
citare moltissimi altri esempi. Se consideriamo le isole lungo le coste
americane per quanto esse differiscano nella struttura geologica, i loro
abitanti, sebbene possano formare altrettante specie particolari, sono essenzialmente
del tipo americano. Or risaliamo addietro fino alle epoche passate, e vedremo
(come si dimostrò nel capo precedente) che i tipi americani saranno
prevalenti sul continente e nei mari dell'America. In questi fatti noi
ravvisiamo qualche profonda connessione organica, la quale prevale nello spazio
e nel tempo, sopra le regioni terrestri ed acquee, e rimane indipendente dalle
loro condizioni fisiche. Dovrebbe essere ben poco curioso quel naturalista che
non si sentisse ispirato a ricercare quale sia questa relazione.
Secondo
la mia teoria, questa connessione è semplicemente la
ereditabilità, la quale produce, per quanto noi sappiamo positivamente,
organismi affatto simili, ovvero, come avviene nel caso delle varietà,
quasi simili fra loro. La dissomiglianza degli abitanti di diverse regioni
può attribuirsi alle modificazioni ottenute mediante l'elezione naturale
e, in grado assai minore, all'influenza diretta delle condizioni fisiche. Il
grado di tale dissomiglianza dipenderà dalla migrazione delle forme di
vita più dominanti da una regione in un'altra, dall'essere avvenuta
questa migrazione più o meno rapidamente e in tempi più o meno
remoti, - dalla natura e dal numero delle forme che più anticamente
immigrarono - e dalla loro azione o reazione nelle mutue loro lotte per
l'esistenza, essendo la relazione fra organismo ed organismo la più
rilevante di tutte le relazioni, come ho notato altrove. Così la grande
importanza delle barriere consiste negl'impedimenti che esse frappongono alla
migrazione; sono dunque un elemento non meno essenziale di quello del tempo,
per il lento processo delle modificazioni mediante l'elezione
naturale. Le specie molto estese, ricche di individui, che già
trionfarono contro molti competitori nelle vaste regioni da esse occupate,
avranno quindi una probabilità maggiore di prendere nuovi posti, quando
si diffondessero in nuovi paesi. Nel nuovo loro soggiorno saranno esposte a
condizioni nuove, e frequentemente andranno soggette ad ulteriori modificazioni
e perfezionamenti; per tal modo diverranno sempre più vittoriose e
produrranno nuovi gruppi di discendenti modificati. Con questo principio della
ereditabilità delle modificazioni, è facile intendere
perchè alcune sezioni di generi, come pure dei generi interi, ed anche
delle famiglie, siano confinate nelle stesse aree, come si osserva comunemente.
Io non credo che esista una legge di sviluppo necessario, come
notai nell'ultimo capo. Siccome la variabilità di ogni specie è
una facoltà indipendente, e contribuirà colla elezione naturale
al miglioramento dell'individuo sol quando sia vantaggiosa all'individuo stesso
nella sua lotta complessa per l'esistenza, così il grado di
modificazione nelle specie differenti non sarà uniforme. Se, per
esempio, un certo numero di specie, che sono in concorrenza diretta con tutte
le altre, emigrasse in corpo in una nuova regione la quale in seguito divenisse
isolata, esse non sarebbero soggette a modificazioni che in piccolo grado;
perchè nè la migrazione, nè l'isolamento in sè
possono recare alcuna conseguenza. Questi principii influiscono solamente nel
mettere gli organismi in nuove relazioni scambievoli e, in grado assai minore,
per le loro relazioni colle condizioni fisiche della regione. Nell'ultimo
capitolo abbiamo veduto che alcune forme hanno conservato caratteri quasi
uguali, fino da un periodo geologico immensamente remoto; nello stesso modo
certe specie emigrarono sopra vasti paesi e non si modificarono gran fatto, o
rimasero inalterate.
Secondo
questi concetti è chiaro che le diverse specie di un medesimo genere,
benchè dimorino nelle parti più distanti del mondo, debbono in
origine essere partite da una stessa sorgente, essere prodotte dal medesimo
progenitore. Rispetto poi a quelle specie, che negli interi periodi geologici
non subirono che piccole modificazioni, non è improbabile che
emigrassero da una stessa regione; perchè nei grandi cambiamenti
geografici e climatologici che avvennero dai tempi più antichi, tali
migrazioni poterono effettuarsi. Ma in molti altri casi, nei quali abbiamo
ragione di pensare che le specie di un genere furono prodotte in epoche
relativamente più vicine a noi, questa
difficoltà diviene molto grave. Ora è anche evidente che
gl'individui della medesima specie, benchè oggi si trovino in regioni
distanti ed isolate, debbono essere partiti da un luogo solo, quello
cioè in cui i loro progenitori furono prodotti; perchè, come si
disse nell'ultimo capitolo, è incredibile che individui identici possano
essersi formati, mediante la elezione naturale, da parenti specificamente
diversi.
SINGOLI CENTRI DI SUPPOSTA CREAZIONE
Frattanto noi
siamo giunti alla questione se le specie siano state create in un solo punto o
in diversi punti della superficie della terra; questione che è stata
ampiamente discussa dai naturalisti. Certamente vi sono molti casi, nei quali
riesce assai difficile il comprendere, come una medesima specie possa avere
emigrato da qualche punto nei diversi luoghi distanti ed isolati in cui
attualmente si trova. Eppure la semplicità dell'idea che ogni specie fu
in origine prodotta in una sola regione appaga lo spirito. Chi la respinge nega
la vera causa della generazione ordinaria, insieme alla migrazione
susseguente, e ricorre all'azione di un miracolo. Generalmente si ammette che,
nella pluralità dei casi, l'area abitata da una specie sia continua; e
quando una pianta o un animale abita due punti tanto lontani l'uno dall'altro,
o separati da un intervallo di tal sorta che non può essere agevolmente
sorpassato colla migrazione, questo fatto si riguarda come una cosa
rimarchevole ed eccezionale. La capacità di emigrare attraverso il mare
è forse limitata più distintamente nei mammiferi terrestri che in
tutti gli altri esseri organizzati; e perciò non abbiamo alcun caso di
mammiferi che abitino luoghi assai distanti sul globo. Non vi sarà
geologo che dubiti, riguardo a questo soggetto, che la Gran Bretagna non fosse
un tempo unita all'Europa, e per questo motivo possieda i medesimi quadrupedi.
Ma se le stesse specie possono essere prodotte in due punti separati,
perchè non troveremo noi un solo mammifero comune all'Europa e
all'Australia, o all'America meridionale? Le condizioni della vita sono quasi
uguali, per modo che una moltitudine di animali europei e di piante furono naturalizzati
in America e nell'Australia, ed alcune di queste piante aborigene sono
assolutamente identiche nei luoghi più distanti dell'emisfero boreale e
dell'australe? La risposta, che credo sia calzante, consiste in ciò, che
i mammiferi non sono atti ad emigrare, e che per l'opposto alcune piante, coi
loro diversi mezzi di dispersione, valicarono gli estesi ed interrotti spazi
frapposti. La grande e decisa influenza che le barriere d'ogni fatta
esercitarono sulla distribuzione, si spiega soltanto nell'ipotesi che la grande
maggioranza delle specie avesse origine da una parte sola, e che non fossero
tutte capaci di emigrare dall'altra parte. Alcune poche famiglie, molte
sotto-famiglie, un gran numero di generi e una quantità anche maggiore
di sezioni di generi, sono circoscritte in una sola regione; e parecchi
naturalisti hanno osservato che i generi più naturali, vale a dire quei
generi in cui le specie sono più affini fra loro, generalmente sono
locali, oppure che, ove siano molto estesi, la loro estensione è continua.
Quale strana anomalia non sarebbe, se, discendendo di un grado più basso
nella serie fino agl'individui di una stessa specie, una regola direttamente
opposta prevalesse; e le specie non fossero locali, ma bensì prodotte in
due o più aree affatto distinte!
Quindi mi sembra, e in ciò concordemente con molti
altri naturalisti, che la supposizione più probabile sia che ogni specie
sia stata prodotta in una sola regione, dalla quale abbia poi emigrato di mano
in mano che lo permisero le sue attitudini ad emigrare e i suoi mezzi di
esistenza, sotto le condizioni passate e presenti. Certamente conosciamo molti
casi in cui non si sa spiegare in che modo una medesima specie possa essere
passata da un punto ad un altro. Ma i cambiamenti geografici e climatologici,
che avvennero certamente nelle recenti epoche geologiche, debbono avere
interrotta o avere resa discontinua la estensione di molte specie che in
origine era continua. Per modo che noi siamo ridotti a considerare se le
eccezioni alla continuità della estensione siano tanto frequenti e
sì gravi che ci costringano ad abbandonare l'opinione, resa probabile
dalle considerazioni generali, che ogni specie fu prodotta in una sola area e
da quella emigrò fin dove potè giungere. Sarebbe inutilmente
tedioso il discutere tutti i casi eccezionali di quelle specie che ora vivono
in luoghi separati e distinti; nè pel momento pretendo che possa darsi
qualche spiegazione a molti di questi casi. Ma, dopo alcune osservazioni
preliminari, discuterò alquanto sopra parecchie delle più
stringenti categorie di fatti; vale a dire l'esistenza di una stessa specie
sulle cime delle catene di monti molto lontane, e in luoghi distanti delle
regioni artiche ed antartiche; indi (nel capo seguente) la vasta distribuzione
delle produzioni di acqua dolce; in terzo luogo la presenza delle medesime
specie terrestri sulle isole e nei continenti, benchè separate da
centinaia di miglia di mare aperto. Se la esistenza delle stesse specie in
punti distanti ed isolati della superficie terrestre può in molti casi
spiegarsi, partendo dal principio che ogni specie abbia migrato da un solo
centro di origine: allora, ove si rifletta alla nostra ignoranza riguardo agli
antichi mutamenti climatologici e geografici e ai diversi mezzi accidentali di
trasporto, mi pare incomparabilmente più sicura l'opinione che questa
sia la regola generale.
Nel discutere questo argomento potremo nel medesimo tempo considerare un
punto ugualmente importante per noi, cioè, se le varie specie distinte
di un genere, le quali secondo la mia teoria sono tutte derivate da un
progenitore comune, possano essersi allontanate dall'area abitata dal loro
progenitore (soggiacendo a modificazioni durante qualche fase della loro
migrazione). Se potesse dimostrarsi che avviene quasi invariabilmente che una
regione, in cui la massima parte degli abitanti si trova in stretti rapporti od
appartiene ai medesimi generi delle specie di una seconda regione,
probabilmente ricevette in qualche antico periodo degli immigranti provenienti
da questa regione, la mia teoria ne sarebbe rafforzata; perchè allora
sarebbe assai facile capire, seguendo il principio delle modificazioni
ereditarie, in che modo gli abitanti di una regione potessero presentare
qualche affinità con quelli di un'altra dalla quale trassero origine.
Un'isola vulcanica, per esempio, sollevata e formata a poche centinaia di
miglia dal continente, probabilmente ne riceverebbe nel corso dei tempi alcuni
abitatori, e i loro discendenti, benchè modificati, sarebbero ancora
affini manifestamente, per l'eredità, cogli abitanti di quel continente.
I fatti di tal natura sono comuni e rimangono inesplicabili secondo l'ipotesi
delle creazioni indipendenti, come vedremo in seguito più completamente.
Questa idea delle relazioni esistenti fra le specie di una regione e quelle di
un'altra, non differisce molto (sostituendo alla parola specie la parola
varietà) da quella che recentemente fu esposta in uno scritto
ingegnoso del Wallace, nel quale egli concludeva: «Ogni specie ha avuto
un'origine coincidente, vuoi per il luogo, vuoi per il tempo, con quella di una
specie molto affine». Ed io ora so, per una corrispondenza scambiata con lui,
che egli attribuisce questa coincidenza alla generazione diretta, con
successive modificazioni.
Le precedenti osservazioni sui «centri di creazione singoli e
multipli» non risolvono direttamente un'altra questione congenere, cioè,
se tutti gl'individui di una stessa specie siano provenuti da una sola coppia,
o da un solo ermafrodito, oppure se discendano da molti individui creati
simultaneamente, come alcuni autori hanno supposto. Rispetto a quegli esseri
organici che non s'incrociano mai (quando ciò sussista), seconda la mia
teoria, le specie debbono essersi formate per una successione di varietà
perfezionate, che non si saranno mai congiunte con altri individui o
varietà, ma che si saranno surrogate l'una dopo l'altra;
cosicchè, ad ogni successivo stadio di modificazione e di
perfezionamento, tutti gli individui di ogni varietà sarebbero derivati
da un solo parente. Ma nel maggior numero dei casi, cioè riguardo a
tutti quegli organismi che abitualmente si accoppiano per ogni riproduzione o
che spesso si incrociano, io credo che durante il lento processo di
modificazione gl'individui di ogni specie si saranno conservati quasi uniformi
coll'incrociamento, per modo che molti individui si saranno modificati
simultaneamente, e tutto il complesso delle loro modificazioni non dovrà
attribuirsi, in ogni stadio, alla discendenza da un solo progenitore. Per
chiarire il mio concetto dirò che i nostri cavalli inglesi da corsa
differiscono leggermente da quelli delle altre razze; ma essi non debbono la
loro differenza e la loro superiorità alla provenienza da una sola
coppia, ma alla cura continua nello scegliere ed addestrare molti individui nel
corso di molte generazioni.
Prima di discutere le tre classi di fatti da me scelti
perchè offrono la maggiore difficoltà nella teoria dei «singoli
centri di creazione», debbo dire poche parole sui mezzi della dispersione.
MEZZI DI DISPERSIONE
C.
Lyell ed altri autori trattarono abilmente di questo soggetto. Qui posso fare
soltanto un brevissimo estratto dei fatti più importanti. Il cambiamento
di clima deve avere esercitato una grande influenza sulla migrazione. Quando il
clima era diverso in una regione, la migrazione poteva compiersi in una grande
scala, mentre attualmente il passaggio è impedito; io dovrò
nullameno discutere questo ramo del soggetto con qualche dettaglio. I mutamenti
di livello nel suolo avranno potuto riescire altamente efficaci. Uno stretto
istmo, ad esempio, attualmente separa due faune marine; supponiamo che si sommerga o che sia stato sommerso in altre epoche e le due faune si
mescoleranno o potranno essersi confuse anticamente. Dove oggi si estende il
mare possono essere state congiunte le isole ed anche i continenti fra loro, e
così le produzioni terrestri erano libere di passare da un luogo
all'altro. Nessun geologo contesterà che nel periodo degli organismi
esistenti avvennero grandi oscillazioni di livello. Edoardo Forbes sostiene che
tutte le isole dell'Atlantico erano recentemente unite all'Europa o all'Africa,
e così che l'Europa si congiungeva coll'America. Alcuni autori hanno
anche supposto che esistettero delle terre a guisa di ponti in ogni mare le
quali legavano quasi tutte le isole ai continenti. Se dovessero confermarsi gli
argomenti addotti dal Forbes, si dovrebbe ammettere che non esiste forse
un'isola sola che non fosse in epoca recente unita a qualche continente. Questa
opinione taglia il nodo Gordiano della dispersione delle medesime specie nei
punti più distanti e rimuove molte difficoltà; ma, per quanto mi
è dato giudicare, noi non siamo autorizzati ad ammettere queste enormi
mutazioni geografiche nel periodo recente delle specie attuali. Mi sembra che
non ci manchino molte prove delle grandi oscillazioni di livello dei nostri
continenti; ma non già di cambiamenti così vasti nella loro
posizione ed estensione quali avrebbero per fermo dovuto verificarsi, quando
nel periodo recente essi fossero stati congiunti l'uno coll'altro e colle
diverse isole oceaniche interposte. Io ammetto pienamente l'esistenza primitiva
di molte isole che ora giacciono sotto il mare, le quali possono aver servito
come luoghi di riposo alle piante e a molti animali nella loro migrazione. Nei
mari in cui si produce il corallo, queste isole sommerse sono presentemente
indicate dai banchi circolari di corallo o dagli atolli che lo sormontano.
Quando si potrà stabilire completamente, e credo che un giorno vi
giungeremo, che ciascuna specie è partita da un solo punto di origine, e
quando, nel corso del tempo, noi impareremo qualche cosa di preciso intorno ai
mezzi di distribuzione, allora saremo in caso di speculare con sicurezza quale
sia stata la primitiva estensione delle terre.
Ma non credo che si arriverà mai a provare che i
continenti, che sono al presente affatto separati, abbiano potuto in un'epoca
ancora recente essere uniti fra loro senza interruzione o quasi in
continuità; e che si congiungessero inoltre colle molte isole oceaniche
esistenti. Parecchi fatti riguardanti la distribuzione mi sembrano contrari
all'opinione di quelle prodigiose rivoluzioni geografiche nel periodo recente,
considerate necessarie secondo le idee esposte dal Forbes ed appoggiate dai
molti suoi seguaci. Questi fatti sono: la grande differenza delle faune marine
sui lati opposti di ogni continente, l'intima relazione degli abitanti terziari
di parecchie terre ed anche di diversi mari coi loro abitanti attuali; un certo
grado di relazione fra la distribuzione dei mammiferi e la profondità
del mare (come vedremo fra poco), ed altri fatti analoghi. La natura e le
proporzioni relative degli abitanti delle isole oceaniche mi sembrano pure in
opposizione coll'ipotesi dell'antica loro continuità coi continenti.
Anche la loro composizione, quasi universalmente vulcanica, viene a contrastare
coll'idea che esse siano frammenti di continenti sommersi; e quando esse
fossero esistite come catene di monti sulle terre, alcune almeno di queste
isole sarebbero formate di granito, di schisti metamorfici, di antiche roccie
fossilifere ed altre roccie consimili, come le altre elevazioni montuose,
invece di essere semplici coni di materie vulcaniche.
Debbo ore
dire qualche cosa di quelli che furono chiamati mezzi accidentali, e che
più propriamente avrebbero a dirsi mezzi occasionali di distribuzione.
Mi limiterò alle sole piante. Nelle opere di botanica certe piante si
riguardano come le più adatte ad una estesa diffusione; ma la maggiore o
minore difficoltà di essere trasportate a traverso del mare può
dirsi quasi completamente ignota. Prima delle poche esperienze da me istituite
coll'aiuto di Berkeley, non si sapeva come i semi delle piante potessero
resistere alla dannosa azione dell'acqua del mare. Con molta sorpresa trovai che,
sopra 87 sorta di semi, 64 germogliarono dopo una immersione di 28 giorni, e
alcuni pochi sopravvissero ad una immersione di 137 giorni. Fa d'uopo notare
che certi ordini ne soffrono assai più di altri; si provarono nove
leguminose, le quali resistettero malamente all'acqua salata, ad eccezione di
una sola; sette specie degli ordini affini delle idrofillee e delle
polemoniacee rimasero tutte estinte dopo l'immersione di un mese. Per maggiore
sicurezza, avevo scelto principalmente i semi piccoli, spogliati della loro
capsula o del frutto; ma siccome tutti questi semi scendevano al fondo in pochi
giorni, non avrebbero potuto attraversare grandi tratti di mare galleggiando,
sia che rimanessero offesi dall'acqua del mare, sia che non ne risentissero
alcun danno. In seguito esperimentai alcuni frutti con capsule più
grandi ed alcuni galleggiarono per lungo tempo. È noto che il legno verde sta a galla meno facilmente del legno secco; e pensai che le onde
potevano gettare a terra delle piante e dei rami e deporli sui banchi ove si
sarebbero disseccati; indi una nuova marea li avrebbe ripresi e restituiti al
mare. Perciò feci disseccare i tronchi e i rami di 94 piante coi loro
frutti maturi e li abbandonai all'acqua del mare. La maggior parte calò
a fondo rapidamente, ma alcuni, che quando erano verdi rimanevano alla
superficie per un tempo molto breve, se si disseccavano vi rimanevano
più lungamente; per esempio, delle nocciuole mature si affondarono
immediatamente, ma secche galleggiarono per 90 giorni, indi essendo piantate
germogliarono. Una pianta di asparago colle bacche mature galleggiò per
23 giorni, se invece era secca galleggiava per 90 giorni, e dopo i suoi semi
germogliavano. I semi maturi di Helosciadium andarono al fondo in due
giorni, ma se erano secchi restavano a galla per circa 90 giorni e in seguito
vegetavano. Infine, sopra 94 piante secche, 18 galleggiarono pei primi 28
giorni ed alcune di esse stettero alla superficie per un periodo molto
più lungo. Così 64/87 semi diversi germogliarono dopo
un'immersione di 28 giorni, e 18/94 piante con frutta mature galleggiarono (ma
non tutte appartenenti alla medesima specie, come nell'esperienza precedente)
per 28 giorni circa, dopo il disseccamento; e per quanto possiamo arguire da un
numero sì scarso di fatti, sarebbe a concludersi che i semi di 14/100
piante di ogni paese possono essere trasportati dalle correnti del mare per 28
giorni e conservare ad onta di ciò la loro facoltà di
germogliare. Nell'Atlante fisico di Johnston la velocità media delle
varie correnti dell'Atlantico è di
Posteriormente
alle mie esperienze, Martens ne fece alcune altre consimili, ma in un modo
molto migliore, perchè egli riponeva i semi entro una cassetta in
balìa delle onde, cosicchè si trovavano alternativamente bagnati
ed esposti all'aria, come le piante galleggianti. Egli provò 98 sorta di
semi, quasi tutti diversi da quelli che furono da me sperimentati; ma scelse molti
frutti grossi e semi di piante che vegetano in vicinanza al mare; locchè
deve aver contribuito ad aumentare la durata media del tempo, durante il quale
essi possono galleggiare e resistere all'azione nociva dell'acqua salsa. Ma
egli d'altronde non fece in precedenza disseccare le piante o i rami colle loro
frutta; locchè avrebbe permesso, come abbiamo osservato, ad alcune di
esse il conservarsi alla superficie più lungamente. Ne risultò
che 18/98 di quei semi galleggiarono per 42 giorni e furono poscia capaci di
germogliare. Ma non dubito che le piante esposte ai flutti non debbano
galleggiare per un tempo minore di quelle che nei nostri esperimenti erano
protette contro i moti violenti. Perciò potrebbe forse ammettersi con
sicurezza che i semi di 10/100 delle piante di una flora, dopo di essere stati
disseccati, potrebbero essere trasportati sul mare per uno spazio di
Ma i semi possono essere occasionalmente trasportati in un altro modo. Dei
legni galleggianti sono gettati dal mare sopra quasi tutte le isole, anche su
quelle che stanno nel mezzo degli oceani più vasti; e i nativi delle
isole di corallo del Pacifico si procurano le pietre, di cui formano i loro
utensili, solamente dalle radici degli alberi che vengono alla spiaggia, e su
queste pietre viene imposta una tassa importante da quei governi. Ho trovato
che, se nelle radici degli alberi sono penetrate delle pietre di forme
irregolari, negl'interstizi si racchiudono spessissimo delle piccole particelle
di terra, e con tale perfezione, che non se ne potrebbe perdere una sola nei
tragitti più lunghi. Da una piccola porzione di terra, così
completamente rinchiusa nel tronco di una quercia dell'età di 50 anni
circa, germogliarono tre piante di cotiledoni; e io sono ben certo
dell'accuratezza di questa osservazione. Posso anche dimostrare che gli uccelli
morti, quando sono così trasportati sul mare, sfuggono talvolta
all'immediata distruzione; e molte sorta di sementi conservano per molto tempo
la loro vitalità, nel gozzo di questi uccelli galleggianti. I piselli e
le veccie, per esempio, muoiono in pochi giorni quando siano immersi nell'acqua
del mare; ma alcuni di questi semi che stavano raccolti nel gozzo di un colombo
che aveva galleggiato sopra un'acqua salata artificiale per 30 giorni, con mia
meraviglia germogliarono quasi tutti.
Gli uccelli viventi possono certamente essere gli agenti più
efficaci pel trasporto delle sementi. Conosco molti fatti che provano quanto
spesso avvenga che uccelli di molte specie siano trasportati dai venti a grandi
distanze sopra l'oceano. In tali circostanze possiamo fondatamente valutare la
rapidità del loro volo a
Le locuste talvolta vengono portate dal vento a grande
distanza da terra; io stesso ne presi una a
Benchè
i becchi ed i piedi degli uccelli siano generalmente molto netti, pure talvolta
la terra vi aderisce. Una volta io levai 61 grani ed un'altra volta 22 grani di
terra secca argillosa dal piede di una pernice, ed in essa trovai una
pietruccia grossa come un seme di veccia. Il seguente esempio è ancora
migliore. Da un amico mi fu spedito il piede di una beccaccia, a cui aderiva un
poco di terra secca, che pesava soli 9 grani, ma questa conteneva il seme del Juncus
bufonius, il quale germogliò e fiorì. Il signor Swaysland di
Brighton, il quale durante gli scorsi quarant'anni ha prestato molta attenzione
ai nostri uccelli di passaggio, mi assicura di avere ucciso più volte
delle cutrettole, dei mignattini e delle sassaiuole al loro arrivo prima che si
poggiassero sopra il terreno inglese, e di aver trovato più volte ai
loro piedi dei piccoli grumi di terra. Molti fatti potrebbero addursi per
dimostrare come il terreno sia dappertutto zeppo di semi. Porterò un
esempio. Il prof. Newton mi mandò la gamba della Caccabis rufa che
era ferita e non poteva volare; intorno alla gamba ferita ed al piede erasi
raccolto un grumo di terra indurita, il quale, quando fu levato, pesava sei
once e mezza. Questa terra era stata conservata per tre anni; e dopo che fu
sminuzzata, annacquata e posta sotto una campana di vetro, spuntarono non meno
di 82 piante. V'erano 12 monocotiledoni, tra cui l'avena comune ed almeno una
graminacea, e 70 dicotiledoni, le quali, a giudicare dalle giovani foglie,
appartenevano almeno a tre diverse specie. Di fronte a questi fatti possiamo
noi dubitare che i molti uccelli che annualmente dalle burrasche vengono
portati a grande distanza sul mare, e che ogni anno migrano, ad esempio, i
milioni di quaglie attraverso al Mediterraneo, portino occasionalmente un paio
di semi ai loro piedi nascosti nel sucidume? Ma tra poco dovrò ritornare
su questo argomento.
Sappiamo che i grandi ghiacci galleggianti contengono talvolta
terra e sassi, ed hanno anche trasportato dei rami, delle ossa e dei nidi di
uccelli terrestri; quindi è assai probabile che essi possano trasportare
accidentalmente anche dei semi da una parte all'altra delle regioni artiche ed
antartiche come Lyell osservava; e durante il periodo glaciale da un luogo
all'altro delle attuali regioni temperate. Il numero straordinario di specie di
piante che sono comuni all'Europa e che si trovano nelle isole Azzorre, in
confronto delle piante di altre isole oceaniche più vicine al continente
e, come notava il Watson, il carattere in certo modo settentrionale della flora
di quelle isole, rispetto alla latitudine, mi fece nascere il sospetto che esse
siano state parzialmente popolate da semi portati dai ghiacci nell'epoca
glaciale. Dietro un mio suggerimento, sir C. Lyell scrisse all'Hartung per
chiedergli se egli avesse osservato dei massi erratici sopra queste isole, ed
egli rispose di aver trovato dei grandi frammenti di roccie granitiche e di
altre roccie, che non sono proprie dell'Arcipelago. Quindi noi possiamo
fondatamente dedurre che i ghiacci trasportarono nei tempi primitivi le loro
pesanti roccie sulle coste di queste isole, ed è almeno possibile che
essi vi abbiano anche trasportato i semi delle piante nordiche.
Pensando
che questi vari mezzi di trasporto, e parecchi altri che senza dubbio sono a
scoprirsi, furono in azione un anno dopo l'altro per secoli e per centinaia di
migliaia d'anni, a mio avviso sarebbe un fatto portentoso se molte piante non
fossero in tal modo ampiamente disseminate. Questi mezzi di trasporto sono
detti talvolta accidentali, ma ciò non è esatto; le correnti del
mare non sono accidentali, nè accidentale è la direzione dei
venti prevalenti. Potrebbe osservarsi che questi mezzi di trasporto non
sarebbero atti a spargere i semi a distanze molto grandi; perchè i semi
non conservano la loro vitalità, quando siano esposti per lungo tempo
all'azione dell'acqua del mare: nè potrebbero conservarsi a lungo nel
gozzo o negli intestini degli uccelli. Questi mezzi però basterebbero
per trasporti occasionali, per tratti di mare di parecchie centinaia di miglia,
da un'isola all'altra, o da un continente alle isole vicine, ma non già
fra due continenti lontani. Le flore di continenti discosi l'uno dall'altro non
potrebbero frammischiarsi, con questi mezzi, ad un alto grado; ma rimarrebbero
distinte, come lo sono presentemente. Le correnti nel loro corso non potrebbero
mai trasportare semi dall'America settentrionale alla Gran Bretagna, quantunque
esse li trasportino dall'India occidentale alle nostre coste occidentali, ove
giunti, quando non siano stati estinti per la lunga immersione nelle acque
salate, non possono sostenere il nostro clima. Quasi ogni anno uno o due
uccelli di terra vengono tradotti sopra l'intero Oceano Atlantico dall'America
settentrionale alle coste occidentali dell'Irlanda o dell'Inghilterra; ma i
semi non possono trasportarsi da questi viaggiatori che con un solo mezzo,
cioè uniti alla terra, che si attacca ai loro piedi, il qual caso
è in se stesso molto raro. Ma anche allora, quanto piccola non sarebbe
la probabilità che il seme cadesse sopra un terreno favorevole, e
potesse giungere a maturità! Ma sarebbe un grande errore l'arguire che
un'isola poco popolata non potrebbe ricevere nuovi abitanti con mezzi analoghi,
benchè situata più lontana dal continente, dal fatto che un'isola
bene popolata, come la Gran Bretagna, non ha ricevuto negli ultimi pochi
secoli, per quanto ci è noto, alcuni immigranti
dall'Europa (e ciò sarebbe assai difficile a provarsi) o da qualche
altro continente, per mezzo di occasionali circostanze. Di venti semi od
animali trasportati in un'isola, anche meno popolata di forme della Gran
Bretagna, forse uno solo sarebbe stato adatto alla nuova sua dimora da
rimanervi naturalizzato. Ma questo non sarebbe, mi sembra, un argomento valido
contro gli effetti dei mezzi di trasporto occasionali, nel lungo corso delle
epoche geologiche, in un'isola che si fosse sollevata e prima che il numero de'
suoi abitanti fosse divenuto completo. Sopra qualunque terra sterile, in cui
vivano pochi insetti ed uccelli distruggitori, oppure che ne sia affatto priva,
non v'ha dubbio che ogni seme che vi giunga fortuitamente, se sia adatto al
nuovo clima, vi germoglierà e sopravviverà.
DISPERSIONE
NEL PERIODO GLACIALE
L'identità
di molte piante ed animali sulle cime di monti separati da centinaia di miglia
di pianure, dove queste specie alpine non potrebbero vivere, è uno dei
più segnalati casi noti della esistenza delle medesime specie in punti
distanti, senza che via sia un'apparente possibilità che esse abbiano
emigrato da un sito all'altro. Invero è un fatto rimarchevole il vedere
tante piante della stessa specie vivere sulle regioni nevose delle Alpi o dei
Pirenei, e insieme nelle estreme parti settentrionali dell'Europa; ma è
assai più singolare che le piante delle Montagne Bianche negli Stati
Uniti di America siano tutte uguali a quelle del Labrador, e quasi le medesime
di quelle delle più alte montagne d'Europa, come osservò il dott.
Asa Gray. Fino dal 1747 questi fatti persuasero il Gmelin che le stesse specie
dovevano essere state create indipendentemente, in parecchi punti distinti; e
noi avremmo potuto conservare quest'opinione, se l'Agassiz ed altri non
avessero richiamato la più viva attenzione sul periodo glaciale, che ci
porge una semplice spiegazione di questi fatti, come ora vedremo. Noi abbiamo
ogni sorta di prove immaginabili, nel regno organico e nell'inorganico, che in
un periodo geologico molto recente l'Europa centrale e l'America settentrionale
soggiacquero ad un clima artico. Le rovine di una casa incendiata non ce ne narrano
la storia più esattamente di ciò che vediamo nelle montagne della
Scozia e della Gallia coi loro fianchi striati, colle loro superfici liscie, e
coi loro massi erratici, trasportati dalle correnti di ghiaccio che riempivano
totalmente le vallate vicine. Il clima d'Europa si è cambiato tanto
profondamente, che nell'Italia settentrionale le gigantesche morene,
abbandonate dagli antichi ghiacciai, sono ricoperte di vigne e di grano. Sopra
una gran parte degli Stati Uniti i massi erratici e le roccie striate dai
ghiacci galleggianti o da quelli di costa ci rivelano chiaramente un antico
periodo freddo.
La influenza
del clima glaciale sulla distribuzione degli abitanti dell'Europa, quale fu
esposta con mirabile chiarezza da Edoardo Forbes fu considerevole. Ma noi ne
seguiremo più facilmente gli effetti supponendo che un nuovo periodo
glaciale sia cominciato e si sia compiuto lentamente, come accadde in epoca
remota. A misura che il freddo aumenterà e che ogni zona più settentrionale
si renderà più adatta agli esseri delle regioni artiche, e meno
acconcia agli antichi abitanti che vi trovavano un clima
più temperato, questi ultimi saranno cacciati dalle artiche produzioni,
che occuperanno il loro posto. Gli abitanti dei paesi più temperati saranno
costretti nel medesimo tempo ad incamminarsi verso il sud, finchè non
incontrino barriere insormontabili, nel qual caso periranno. Le montagne
saranno coperte di neve e di ghiaccio, e i loro antichi abitanti alpini
scenderanno nelle pianure. Per tutto quel tempo in cui il freddo avrà
raggiunto il suo massimo grado, avremo una fauna e una flora artica uniforme,
che si estenderà sulle parti centrali dell'Europa fino al sud delle Alpi
e dei Pirenei, e penetrerà anche nella Spagna. Le attuali regioni temperate
degli Stati Uniti saranno pure invase dalle piante e dagli animali del nord, e
questi saranno quasi uguali a quelli dell'Europa; perchè gli abitanti
circumpolari, che noi supponiamo abbiano viaggiato dappertutto verso il
mezzogiorno, sono singolarmente uniformi tutto all'intorno del globo.
Non appena il caldo ritorni, le forme artiche retrocederanno
verso il nord, e saranno seguite nella loro ritirala dalle produzioni delle
regioni più temperate. E di mano in mano che la neve si
scioglierà alle basi dei monti le forme artiche occuperanno il suolo
scoperto e non gelato, ascendendo nei monti ad altezze sempre maggiori quanto
più il calore aumenti, mentre le altre forme identiche continueranno il
loro viaggio al nord. Perciò quando la temperatura sia ridivenuta
completamente calda, le medesime specie artiche, le quali ultimamente avevano
vissuto riunite in corpo sulle pianure del Vecchio Mondo e del Nuovo,
rimarranno isolate sulle cime delle montagne fra loro distanti (essendo state
estinte su tutte le altezze minori) e nelle regioni artiche dei due emisferi.
Così
possiamo spiegare l'identità di molte piante in luoghi tanto lontani,
come le montagne degli Stati Uniti e quelle d'Europa. Inoltre possiamo
intendere il fatto che le piante alpine di ogni catena di monti sono più
specialmente conformi alle specie che vivono in linea retta al nord, o quasi al
nord, delle medesime; perchè la prima migrazione al crescere del freddo,
e la seconda migrazione al ritornare del caldo, generalmente saranno accadute
verso il sud e verso il nord. Le piante alpine di Scozia, per esempio, secondo
H. C. Watson, e quelle dei Pirenei, secondo Ramond, sono più
specialmente affini alle piante della Scandinavia settentrionale, quelle degli
Stati Uniti a quelle del Labrador, e finalmente quelle delle
montagne della Siberia alle specie delle regioni artiche di questo paese.
Queste viste essendo appoggiate sull'avvenimento perfettamente constatato di un
antico periodo glaciale, mi pare che ci spieghino in un modo soddisfacente la
presente distribuzione delle produzioni alpine ed artiche([25])
di Europa e d'America; così quando noi trovassimo in altre regioni le
medesime specie sulle cime di monti distanti, potremmo quasi conchiudere, senza
altre prove, che un clima più freddo permise la loro antica migrazione a
traverso dei bassi tratti interposti, divenuti in seguito troppo caldi per la
loro esistenza.
Le
forme artiche, durante la loro lunga migrazione al sud e la loro retrogressione
al nord, saranno state esposte ad un clima quasi uguale e si saranno conservate
in corpo tutte insieme, particolarità che merita di essere menzionata.
Per conseguenza le loro mutue relazioni non saranno state molto disturbate e
quindi non saranno andate soggette a molte modificazioni, in accordo ai
principii inculcati in questo libro. Ma il caso sarà stato alquanto
diverso nelle nostre produzioni alpine che rimasero isolate, dopo che il calore
cominciò ad elevarsi, sulle prime al piede dei monti e da ultimo alla
loro cima; perchè non può dirsi ugualmente che tutte le identiche
specie del nord siano restate sulle catene dei monti lontane le une dalle
altre, ed abbiano potuto sopravvivere colà dopo quell'epoca; anzi esse
si saranno probabilmente confuse colle antiche specie alpine, le quali
esistevano sulle montagne prima del principio dell'epoca glaciale, e che
durante il periodo più freddo di quest'epoca saranno state
temporaneamente spinte abbasso verso la pianura; e saranno anche state esposte
ad influenze climatologiche alquanto diverse. Le loro mutue relazioni si
saranno quindi turbate in qualche grado; e perciò avranno subìto
delle modificazioni, come troviamo in realtà; mentre
confrontando le attuali piante alpine e gli animali delle varie grandi catene
di montagne dell'Europa, quantunque molte specie siano identicamente le stesse,
alcune presentano delle varietà, altre sono considerate come forme
dubbie, e molte altre specie sono distinte, ma tuttavia strettamente affini o
rappresentative.
Nel
dimostrare ciò che, a mio avviso, deve essere avvenuto effettivamente
nell'epoca glaciale, supposi che al principio di quest'epoca le produzioni
artiche fossero uniformi, come oggi, intorno alle regioni polari. Ma le
considerazioni che precedono sulla distribuzione non si applicano solamente
alle forme artiche, ma bensì anche a molte forme sub-artiche e ad alcune
poche delle zone temperate settentrionali, perchè alcune di queste sono
uguali nelle montagne più basse e nelle pianure dell'America
settentrionale e dell'Europa; e potrebbe chiedersi con ragione come io dimostri
la necessaria uniformità delle forme sub-artiche e di quelle delle zone
settentrionali temperate intorno al globo, al principio del periodo glaciale.
Presentemente le produzioni sub-artiche e quelle delle zone temperate
settentrionali del Vecchio Mondo e del Nuovo sono disgiunte fra loro
dall'Oceano Atlantico e dall'estrema porzione settentrionale del Pacifico.
Durante il periodo glaciale, allorchè gli abitanti dei due mondi vivevano
molto più verso il sud che al giorno d'oggi, essi dovevano essere anche
più completamente separati da mari più vasti. Io credo che la
precedente difficoltà possa togliersi, ove si rifletta ai più
antichi cambiamenti di clima che accaddero in senso opposto. Abbiamo buoni
argomenti per ritenere che nel periodo pliocenico più recente, prima
dell'epoca glaciale, e quando la maggior parte degli abitanti del mondo erano
specificamente i medesimi dell'epoca attuale, il clima era più caldo
dell'odierno. Quindi possiamo supporre che gli organismi ora viventi sotto il
clima della latitudine di 60°, nel periodo pliocenico abitassero molto
più verso il nord, sotto il circolo polare, alla latitudine di 66° -
67°; e che le produzioni rigorosamente artiche allora vivessero nelle terre interrotte che sono anche più vicine al polo. Ora
se noi guardiamo una sfera, troveremo che sotto il cerchio polare le terre sono
quasi continue dall'Europa occidentale, per la Siberia, fino all'America
orientale. Io attribuisco a questa continuità delle terre circumpolari e
alla conseguente libera intermigrazione sotto un clima più favorevole,
la uniformità necessaria nelle produzioni sub-artiche e settentrionali
delle zone temperate del Vecchio Mondo e del Nuovo, in un periodo anteriore
all'epoca glaciale.
Credendo,
per le ragioni alle quali accennai, che i nostri continenti siano rimasti per
lungo tempo in una posizione relativa quasi uguale, benchè soggetti a
grandi e parziali oscillazioni di livello, io sono assai propenso ad estendere
le precedenti idee e a dedurne che durante qualche periodo più antico e
più caldo, come il periodo pliocenico primitivo, un gran numero delle
medesime piante e degli stessi animali abitavano le quasi continue terre
circumpolari; e che queste piante e questi animali, nel vecchio e nel Nuovo
Mondo, cominciarono lentamente a rivolgersi verso il sud, quando il clima
diveniva meno caldo assai prima del periodo glaciale. Io penso che noi ora
vediamo i loro discendenti, quasi tutti in una condizione modificata, nelle
parti centrali dell'Europa e degli Stati Uniti. Con questi concetti possiamo
intendere la relazione di affinità esistente fra le produzioni
dell'America settentrionale e dell'Europa, relazione che è tanto
più rimarchevole se si consideri la distanza dei due continenti e la
loro separazione per mezzo dell'Oceano Atlantico. Ci è facile inoltre
spiegare il fatto singolare, avvertito da parecchi osservatori, che le
produzioni dell'Europa e dell'America erano più strettamente affini fra
loro negli ultimi periodi terziari, che nell'epoca attuale; perchè in
questi periodi più caldi le parti settentrionali del Vecchio Mondo e del
Nuovo debbono essere state unite quasi in continuità delle terre, che
avranno servito a guisa di ponte per congiungere le due regioni, finchè
il freddo impedì completamente l'intermigrazione dei loro abitatori.
Durante il
calore lentamente diminuente del periodo pliocenico, non appena le specie che
abitavano i due mondi emigrarono in comune al sud del circolo polare, esse
dovettero separarsi interamente le une dalle altre. Questa separazione deve
essersi effettuata in epoca molto remota, per quanto riguarda le produzioni
delle zone più temperate. E siccome queste piante e questi animali
migravano verso il sud, essi saranno stati frammisti in una delle due grandi
regioni colle produzioni native dell'America e avranno lottato con esse; e
nell'altra con quelle del Vecchio Mondo. Perciò qui tutto era favorevole
alla produzione di molte modificazioni, di modificazioni maggiori di quelle che
si ebbero nelle produzioni alpine, rimaste isolate, in un periodo assai
più recente, sopra diverse catene di montagne e sulle terre artiche dei
due mondi. Quindi avviene che se noi confrontiamo le produzioni ora esistenti
nelle regioni temperate del Nuovo Mondo e del Vecchio, noi troviamo pochissime
specie identiche (quantunque Asa Gray abbia ultimamente dimostrato che un
maggior numero di piante, di quel che prima si era supposto, sono identiche);
ma noi troviamo in ogni grande classe molte forme che alcuni naturalisti
collocano tra le razze geografiche e che altri considerano quali specie
distinte, ed una schiera di forme strettamente affini o rappresentative, che
sono classificate da tutti i naturalisti come specificamente distinte.
Come
nelle terre, anche nelle acque del mare, una lenta migrazione verso il sud di
una fauna marina che, durante il periodo pliocenico od anche qualche periodo
più remoto, era quasi uniforme lungo le coste continue del circolo
polare, potrebbe dimostrare, secondo la teoria delle modificazioni, in che modo
molte forme strettamente affini vivano attualmente in aree completamente
staccate. Così può anche spiegarsi, a mio avviso, la presenza di
molte forme rappresentative esistenti e terziarie sulle coste orientali ed
occidentali dell'America settentrionale temperata; e il caso anche più
singolare di molti crostacei strettamente affini (come furono descritti nella
stupenda opera del Dana), di alcuni pesci e di altri animali marini nel
Mediterraneo e nei mari del Giappone, mari che ora sono divisi da un continente
e da quasi un emisfero di oceano equatoriale.
Questi
casi di parentela, senza identità, degli abitanti di mari attualmente
separati, come pure degli abitanti passati e presenti delle terre temperate
dell'America settentrionale e dell'Europa, sono inesplicabili secondo la teoria
della creazione. Non si può dire che essi siano stati creati simili, in
ragione delle condizioni fisiche quasi simili delle aree; perchè se noi
paragoniamo, per esempio, certe parti dell'America meridionale coi continenti
meridionali del Vecchio Mondo, noi vediamo delle contrade perfettamente
rispondenti in tutte le loro condizioni fisiche, ma coi loro abitanti
completamente dissimili.
ALTERNANZA
DEI PERIODI GLACIALI AL NORD E AL SUD
Ma
fa mestieri che noi torniamo al nostro soggetto più immediato,
cioè il periodo glaciale. Sono convinto che l'idea di Forbes può
essere estesa largamente. In Europa noi abbiamo le prove più evidenti
del periodo freddo, dalle coste occidentali della Gran Bretagna fino alla
catena dell'Oural e verso il sud fino ai Pirenei. Dai mammiferi gelati e dalla
natura della vegetazione dei monti, possiamo dedurre che la Siberia fu colpita
nello stesso modo. Nel Libano, secondo il dott. Hooker, le nevi perpetue
coprivano l'asse centrale e nutrivano dei ghiacciai che discendevano nelle
vallate fino a
Rivolgiamoci
all'America; nella metà settentrionale si sono osservati frammenti di
roccia trasportati dai ghiacci sul lato orientale fino ad una latitudine sud di
36° - 37°, e sulle coste del Pacifico, dove il clima è al presente tanto
diverso, se ne sono trovati fino al 46° di latitudine sud; si sono anche veduti
dei massi erratici sulle Montagne Rocciose. Nelle Cordigliere dell'America
meridionale equatoriale, i ghiacci una volta si estendevano molto al disotto del
loro limite presente. Nel Chilì centrale io ho esaminato un vasto
ammasso di tritumi, che giacciono trasversalmente sulla vallata di Portillo, e
li attribuisco interamente all'azione glaciale; ma noi avremo più
innanzi delle notizie preziose su questo argomento dal([26])
dott. Forbes, il quale mi annunzia di aver trovato sulle Cordigliere da 13° -
30° di latitudine sud, ad un'altezza di circa
Questi
fatti diversi, e cioè che l'effetto del ghiaccio si è esteso
attorno all'emisfero boreale ed all'australe; che questo periodo fu in ambedue
gli emisferi recente in senso geologico; che, a giudicare dagli effetti, esso
è durato lungamente in ambedue; ed infine che ancora recentemente i
ghiacciai sono discesi ad un basso livello lungo tutta la catena delle
Cordigliere: - mi aveano condotto alla conclusione che durante l'epoca glaciale
la temperatura si fosse abbassata contemporaneamente su tutta la superficie
terrestre. Ma il Croll ha dimostrato in una serie di memorie interessantissime
che una condizione glaciale del clima è il risultato di varie cause
fisiche, che entrano in azione per l'aumento delle eccentricità
dell'orbita terrestre. Tutte queste cause tendono allo stesso fine; ma la
più potente sembra l'influenza indiretta delle eccentricità
dell'orbita sulle correnti oceaniche. Secondo il Croll i periodi freddi
ritornano regolarmente ogni dieci o quindicimila anni, ed essi si fanno
estremamente severi ad intervalli più lunghi pel concorso di determinate
circostanze, tra cui, come ha dimostrato C. Lyell, la più importante
è la relativa posizione della terraferma e dell'acqua. Il Croll calcola
che l'ultimo grande periodo glaciale risalga a circa 240.000 anni ed abbia
durato con leggiere alterazioni di clima circa 160.000 anni. Quanto a periodi
glaciali più antichi, parecchi geologi furono indotti a ritenere, da
prove dirette, che ne siano esistiti durante le formazioni miocenica ed
eocenica, per non parlare di formazioni più antiche. Ma il risultato per
noi più importante, a cui giunse il Croll, si è questo, che
mentre l'emisfero boreale attraversa un periodo freddo, la temperatura
dell'emisfero australe è di fatto elevata con inverni più miti,
principalmente in seguito al cambiamento nella direzione delle correnti marine.
E viceversa ciò accade nell'emisfero boreale, quando l'australe passa
per un periodo glaciale. Queste conclusioni gettano tanta luce sulla
distribuzione geografica, che io inclino a ritenerle vere. Ma innanzi tutto io
voglio esporre i fatti che richiedono una spiegazione.
Nell'America
meridionale, il dott. Hooker ha provato che 40 o 50 specie di piante fanerogame
della Terra del Fuoco, le quali costituiscono una parte non piccola di quella
scarsa flora, sono comuni all'Europa, non ostante la distanza enorme che separa
questi due luoghi; e vi sono anche molte specie strettamente affini. Sulle
più elevate montagne del Brasile il Gardener trovò alcuni generi
europei che non esistono nelle vaste ed ardenti contrade interposte.
Così l'illustre Humboldt trovò, molti anni sono, sulla Sila di
Caracas delle specie di generi caratteristici delle Cordigliere.
Nell'Africa,
e precisamente sulle montagne dell'Abissinia, si hanno alcune forme
caratteristiche dell'Europa ed altre poche rappresentative della flora del Capo
di Buona Speranza. Nello stesso Capo di Buona Speranza si trovano alcune specie
europee che non si credono introdotte colà dall'uomo, e sulle montagne
si trovano parecchie forme rappresentative dell'Europa che non furono scoperte
nelle parti intertropicali dell'Africa. Il dott. Hooker ha anche dimostrato recentemente
che parecchie piante viventi nelle parti superiori dell'alta isola Fernando Po
e sugli attigui monti Cameroon nel golfo di Guinea sono strettamente affini con
quelle dei monti dell'Abissinia e con quelli dell'Europa temperata. A quanto
sembra, secondo una comunicazione fattami dal dott. Hooker, R. T. Lowe avrebbe
scoperto alcune di queste forme temperate sui monti delle isole del Capo Verde.
Tale distribuzione delle medesime forme temperate, pressochè sotto
all'equatore, attraverso all'intero continente africano fino ai monti delle
isole del Capo Verde, costituisce uno dei fatti più sorprendenti che si
conoscano intorno alla distribuzione delle piante.
Sull'Himalaya
e sulle catene di monti isolate della penisola dell'India, sulle alture di
Ceylan, e sui coni vulcanici di Java, si rinvengono molte piante o identiche
fra loro, o rappresentative le une delle altre e nello stesso tempo
rappresentative di quelle d'Europa, le quali mancano nelle pianure calde
frapposte. Una lista dei generi raccolti sui picchi più elevati di Java
presenta l'immagine di una collezione fatta sopra una collina d'Europa! Anche
più stringente è il fatto che le forme dell'Australia meridionale
sono chiaramente rappresentate dalle piante che crescono sulle sommità
delle montagne di Borneo. Alcune di queste forme australiane, secondo il dott.
Hooker, si estendono lungo le alture della penisola di Malacca e sono rade e
sparpagliate da una parte sopra l'India e dall'altra verso il nord sino al
Giappone.
Sulle
montagne meridionali dell'Australia il dott. F. Müller ha scoperto varie specie
europee; nelle pianure si trovano delle specie che non furono introdotte
dall'uomo in quella regione; e si potrebbe formare una lunga lista, da quanto
mi comunicò il dott. Hooker, di generi europei trovati in Australia, ma
non nelle intermedie regioni torride. Nella
mirabile opera Introduction to the Flora of New Zealand
Questo breve ragionamento si applica alle sole piante; ma
potrebbero esporsi alcuni fatti analoghi sulla distribuzione degli animali
terrestri. Nelle produzioni marine si trovano dei casi consimili; così,
per esempio, posso citare un'osservazione tratta dalla più alta autorità,
il prof. Dana, cioè che «certamente è un fatto straordinario che
nella Nuova Zelanda si abbiano crostacei assai più somiglianti a quelli
della Gran Bretagna, sua antipode, che a quelli di ogni altra parte del mondo».
Anche J. Richardson parla della ricomparsa di forme nordiche di pesci sulle
coste della Nuova Zelanda, della Tasmania, ecc. E il dott. Hooker mi narrava
che venticinque specie di alghe sono comuni alla Nuova Zelanda ed all'Europa,
ma non sono state trovate nei mari tropicali intermedi.
Stando ai fatti suesposti, e cioè alla presenza di forme
temperate sulle alture traverso tutta l'Africa equatoriale, e lungo la penisola
dell'India, il Ceylan e l'Arcipelago Malese, e in modo meno marcato traverso il
vasto spazio dell'America meridionale tropicale, sembra cosa quasi certa, che
in un periodo passato e precisamente durante la parte più fredda
dell'epoca glaciale le pianure di questi grandi continenti sotto all'equatore
siano state abitate da un numero considerevole di forme temperate. In
quell'epoca il clima equatoriale al livello del mare era probabilmente uguale a
quello che ora domina alle stesse latitudini ad un'altezza di cinque a seimila
piedi, e forse anche più freddo. Durante quel tempo freddissimo le
pianure sotto all'equatore saranno state vestite di una vegetazione mista,
tropica cioè e temperata, simile a quella descritta dall'Hooker, che ora
prospera sulle basse pendici dell'Himalaya ad un'altezza di quattro a
cinquemila piedi, solo che in quella v'era forse maggiore prevalenza delle
forme temperate. Anche il Mann ha trovato che nell'isola montuosa Fernando Po
nel golfo di Guinea ad un'altezza di circa cinquemila piedi incominciano a
comparire le forme temperate europee. Sui monti del Panama il dott. Seemann ha
trovato ad un'altezza di soli duemila piedi la vegetazione uguale a quella del
Messico, «forme della zona torrida armonicamente unite con quelle della
temperata».
Ora vogliamo
vedere se la conclusione del Croll, secondo cui nel tempo, nel quale l'emisfero
boreale era dominato dal maggior freddo dell'epoca glaciale, lo emisfero
australe era in fatto più caldo, rischiari alquanto la presente,
apparentemente inesplicabile, distribuzione geografica di diversi organismi
nelle parti temperate d'ambedue gli emisferi e sulle montagne dei tropici. L'epoca
glaciale, misurata con un numero di anni, deve aver durato lungamente; e se
pensiamo che alcune piante ed animali naturalizzati in pochi secoli si sono
estesi sopra vaste superfici, quel tempo apparirà lungo abbastanza per
qualsiasi grado di migrazione. Man mano che il freddo aumentava, le forme
artiche invadevano le regioni temperate; e pei fatti su citati non può
sussistere alcun dubbio che alcune delle forme dominanti temperate più
vigorose e più diffuse abbiano invaso le bassure equatoriali. Allo
stesso tempo gli abitanti di queste bassure calde saranno migrati verso le
regioni tropiche e subtropiche del Sud, giacchè in quel periodo
l'emisfero australe era più caldo. Non appena col declinare dell'epoca
glaciale i due emisferi riacquistarono la primitiva temperatura, le forme
nordiche temperate, le quali abitavano nelle bassure sotto all'equatore,
saranno state cacciate nell'antica loro patria, o saranno state distrutte, e
sostituite dalle forme equatoriali reduci dal Sud. Frattanto alcune delle forme
nordiche temperate avranno quasi certamente, ascendendo, raggiunto il
più vicino altipiano, e se questo era sufficientemente elevato, vi si
saranno lungamente conservate, a guisa delle forme artiche sulle montagne
dell'Europa. E saranno sopravvissute anche colà, dove il clima non era
loro interamente favorevole; imperocchè il mutamento di temperatura
sarà avvenuto assai lentamente, e senza dubbio le piante posseggono una
certa capacità di acclimazione, come risulta dal fatto ch'esse trasmettono
ai loro discendenti un diverso potere costituzionale di resistere al caldo ed
al freddo.
Secondo il
corso regolare delle cose, l'emisfero australe sarà alla sua volta
soggetto ad un intenso periodo glaciale, mentre il boreale si renderà
più caldo; allora, inversamente, saranno le forme temperate australi che
immigreranno nelle bassure equatoriali. Le forme nordiche, le quali erano
rimaste sulle montagne, discenderanno e si mescoleranno colle forme
meridionali. Queste ultime, ritornato il caldo, si saranno recate nell'antica loro
patria, lasciando sulle montagne alcune poche specie, e conducendo seco verso
il Sud alcune forme nordiche temperate che erano discese dalle loro stazioni
montuose. Noi troveremo quindi identiche alcune poche specie nelle zone
temperate nordiche ed australi e sulle montagne delle regioni tropiche
interposte. Ma le specie lasciate per lungo tempo su questi monti o sugli
opposti emisferi avranno dovuto lottare con molte forme nuove, e saranno state
esposte a condizioni fisiche alquanto diverse; avranno quindi subìto
delle modificazioni in alto grado, ed appariranno in generale come
varietà o come specie rappresentative, ciò che appunto succede.
Nè dobbiamo dimenticare che già prima in ambedue gli emisferi vi
furono dei periodi glaciali, da che potremo comprendere, come, in accordo colle
idee suesposte, avvenga che tante specie affatto distinte abitino le stesse
aree ampiamente separate ed appartengano a certi generi che ora non si
rinvengono più nelle zone torride intermedie.
Abbiamo
un fatto rimarchevole, sul quale insistettero assai il dottore Hooker riguardo
all'America e Alfonso De Candolle rispetto all'Australia, cioè che
sembra molto maggiore il numero delle piante identiche e dalle forme affini che
migrarono dal Nord al Sud, di quelle che seguirono una direzione opposta.
Perciò noi vediamo solamente poche forme vegetali del Sud sui monti di
Borneo e dell'Abissinia. Io penso che questa migrazione preponderante dal Nord
al Sud sia dovuta alla maggiore estensione delle terre del Nord ed all'essere
state più copiose nella loro patria le forme nordiche e quindi all'avere
le medesime progredito, per mezzo della elezione naturale e della concorrenza
fino ad un grado più elevato di perfezione od una facoltà di
predominio più forte di quelle forme meridionali. Per conseguenza,
quando le medesime nel periodo glaciale furono frammiste colle altre, le forme
settentrionali saranno state più capaci di vincere le forme meridionali
meno vigorose. Precisamente come oggi noi osserviamo che molte produzioni europee
coprono il terreno della Plata e in grado minore quello dell'Africa, avendo
fino ad una certa estensione battuto le produzioni indigene; al contrario,
pochissime forme del mezzogiorno si sono naturalizzate in qualche parte di
Europa, benchè delle pelli, della lana ed altri oggetti facili a
trasportare semi siano stati largamente importati nell'Europa dalla Plata negli
ultimi due o tre secoli e dall'Australia negli ultimi trenta o quarant'anni.
Qualche cosa di consimile deve essere avvenuto sulle montagne intertropicali.
Senza dubbio prima del periodo glaciale quelle montagne erano popolate di forme
alpine indigene; ma queste dovettero quasi dappertutto cedere il posto alle
forme più dominanti, sorte nelle superfici più vaste e nelle
contrade più produttive del settentrione. In molte isole le produzioni
native sono quasi uguagliate od anche sorpassate dalle produzioni
naturalizzate; e se le native non sono state totalmente distrutte, però
furono grandemente ridotte di numero, e questo è il primo stadio verso
l'estinzione. Un monte è un'isola sul continente; e le montagne
intertropicali debbono essere state completamente isolate prima del periodo
glaciale; ed io credo che le produzioni di queste isole sul continente
cedettero ad altre, generate nelle regioni più estese del Nord,
esattamente nella stessa guisa con cui le produzioni delle isole furono
recentemente surrogate in ogni luogo dalle forme continentali naturalizzate per
opera dell'uomo.
I medesimi
principii servono anche a spiegare la distribuzione degli animali terrestri e
dei prodotti marini nelle zone temperate nordica e meridionale e sulle montagne
intertropicali. Se durante il culmine del periodo glaciale le correnti marine
erano molto diverse dalle attuali, alcuni abitatori dei mari temperati possono
bene aver raggiunto l'equatore; di essi alcuni pochi, giovandosi delle correnti
più fredde, avranno forse potuto migrare verso il Sud, mentre gli altri
avranno cercato i fondi più freddi e vi saranno sopravvissuti
finchè l'emisfero australe alla sua volta sarà stato soggetto ad
un clima glaciale ed avrà permesso il loro progresso; nello stesso modo
circa, come, al dire del Forbes, esistono anche oggi nelle maggiori
profondità dei mari temperati boreali degli spazi isolati abitati da
forme artiche.
Sono ben
lontano dal supporre che siano eliminate tutte le difficoltà per le
considerazioni qui esposte, riguardo alla distribuzione e alle affinità
delle specie affini che vivono nelle zone temperate settentrionali e
meridionali, e sulle montagne delle regioni intertropicali. Restano ancora
molte obbiezioni da risolvere. Nè pretendo descrivere le linee esatte e
i mezzi delle migrazioni o le ragioni per cui certe specie emigrano ed altre
no; o per qual motivo certe specie si sono modificate ed hanno dato origine a
nuovi gruppi di forme ed altre rimasero inalterate. Noi non possiamo sperare di
spiegare questi fatti, finchè non sapremo dire come si naturalizzi una
specie e non un'altra, per fatto dell'uomo, in una regione nuova; e come l'una
si estenda il doppio o il triplo, od anche sia più comune e numerosa due
o tre volte dell'altra, nelle loro dimore naturali.
Restano
tuttora da risolversi molte difficoltà; come, ad esempio, la presenza,
dimostrata dal dott. Hooker, di specie identiche in luoghi tanto lontani tra
loro, come la Terra di Kerguelen, la Nuova Zelanda e la Terra del Fuoco; ma
credo che verso la fine del periodo glaciale, i ghiacci abbiano contribuito in
gran parte alla loro dispersione, come fu notato da Lyell. Ma l'esistenza di
parecchie specie affatto distinte, appartenenti a generi esclusivamente
confinati nel mezzogiorno, in questi ed altrettanti punti distanti
dell'emisfero meridionale, è una difficoltà assai più
notevole, secondo la mia teoria della discendenza modificata. Perchè
alcune di codeste specie sono tanto distinte, che non possiamo supporre che il
tempo trascorso dal principio del periodo glaciale fosse sufficiente per le
loro migrazioni e per le consecutive modificazioni fino al grado necessario. Mi
sembra che i fatti indichino che le specie particolari e molto distinte
partirono da qualche centro comune, spandendosi intorno a guisa di raggi da
quel centro. Sono poi disposto ad ammettere nell'emisfero boreale e
nell'australe un antico periodo più caldo, anteriore all'epoca glaciale,
in cui le terre antartiche, oggi coperte di ghiaccio, alimentarono una flora
affatto speciale ed isolata. Io suppongo che, prima che questa flora fosse
distrutta dall'epoca glaciale, alcune di queste forme fossero disperse fino a
raggiungere diversi punti dell'emisfero australe, con mezzi occasionali di
trasporto e coll'aiuto di isole già esistenti ed ora sommerse, che
servirono da luoghi di riposo. Con questi mezzi credo che le coste meridionali
dell'America, dell'Australia e della Nuova Zelanda prendessero un carattere
leggermente analogo, mediante le medesime forme particolari di vita vegetativa.
C.
Lyell, in un passo importante, ha trattato, con un linguaggio quasi identico al
mio, degli effetti delle grandi alternative del clima sopra la distribuzione
geografica. E noi abbiamo visto, come le conclusioni del Croll, che cioè
i successivi periodi glaciali di un emisfero coincidevano con periodi
più caldi nell'opposto emisfero, unitamente alle modificazioni
effettuate dalla elezione naturale, possano aiutarci a spiegare una moltitudine
di fatti nella distribuzione attuale delle stesse forme di vita e delle forme
affini. I flutti della vita durante un periodo sono partiti dal Nord, durante
un altro periodo dal Sud, ed in ambedue i casi hanno raggiunto l'equatore; ma
essi scorsero con maggior impeto dal Nord, in modo da inondare liberamente il
Sud. Come il flusso depone in linee orizzontali le materie che trasporta,
benchè elevate a maggior altezza in quelle coste in cui la marea
è più forte, così anche le onde viventi lasciarono i loro
depositi animati sopra le cime dei nostri monti, seguendo una linea che
insensibilmente si innalza dalle pianure artiche ad una grande altezza sotto
l'equatore. I vari esseri, così abbandonati a diverse altezze, possono
paragonarsi alle razze selvagge dell'uomo, che furono cacciate sui monti di
quasi tutti i paesi in cui si trovano e colà sopravvivono servendoci di
memoria, piena d'interesse per noi, degli antichi abitatori delle pianure
circonvicine.
CAPO XIII
DISTRIBUZIONE
GEOGRAFICA
(continuazione)
Distribuzione delle produzioni d'acqua dolce - Degli abitanti
delle isole oceaniche - Assenza dei batraci e dei mammiferi terrestri - Sulla
relazione degli abitanti delle isole con quelli dei continenti più
vicini - Sulle colonie provenienti dalla sorgente più vicina, colle
modificazioni susseguenti - Sommario del presente capo e del precedente.
PRODUZIONI DI
ACQUA DOLCE
Siccome i
laghi e i sistemi dei fiumi sono separati fra loro da barriere di terra, si
potrebbe ritenere che le produzioni d'acqua dolce non si fossero estese
ampiamente niella stessa regione; e sembrando che il mare sia una barriera
anche più insuperabile, si potrebbe credere che quelle produzioni non
siano mai state estese in paesi lontani. Ma i fatti provano esattamente il
contrario. Non solamente molte specie di acqua dolce, appartenenti a classi
affatto differenti, hanno una enorme estensione, ma alcune delle specie affini
prevalgono in un modo singolare per tutto il mondo. Io ricordo ancora da quanta
meraviglia fui preso, quando, raccogliendo per la prima volta degli animali
nelle acque dolci del Brasile, trovai tanta somiglianza negli insetti,
molluschi, ecc., con quelli della Gran Bretagna; mentre le specie terrestri di
quei contorni erano molto differenti.
Ma questa
facoltà che posseggono le produzioni d'acqua dolce, di estendersi
ampiamente, benchè inaspettata, può in molti casi spiegarsi
considerando che esse divennero più atte, in una maniera molto utile ad
esse, alle migrazioni brevi e frequenti da stagno a stagno o da corrente a
corrente. Questa attitudine alla dispersione produce, come conseguenza quasi
necessaria, la diffusione delle specie. Possiamo ora esaminare soltanto pochi
casi, tra cui i pesci ne offrono alcuni di difficilissima spiegazione. Si
riteneva, prima, che la medesima specie di acqua dolce non si trovi mai in due
continenti tra loro molto distanti. Ma il dott. Günther ha dimostrato recentemente
che il Galaxias attenuatus vive nella Tasmania, nella Nuova Zelanda,
nelle isole Falkland e sul continente dell'America meridionale. È questo
un caso maraviglioso, il quale probabilmente accenna ad una dispersione da un
centro antartico durante un caldo periodo passato. Questo uso è reso
però alquanto meno sorprendente dal fatto che le specie di questo genere
hanno la facoltà di attraversare, con mezzi non conosciuti,
considerevoli spazi di mare; così trovasi una specie che è comune
alla Nuova Zelanda ed alle isole Aukland, che ne distano circa
Alcune
specie di molluschi d'acqua dolce hanno una estensione molto grande e le specie
affini che, secondo la mia teoria, sono discese da un progenitore comune e
debbono derivare da una sola sorgente, prevalgono sopra tutto il globo. La loro
distribuzione mi fece sulle prime rimanere molto perplesso, mentre le loro uova
non sono facilmente trasportate dagli uccelli ed esse sono immediatamente
uccise dall'acqua del mare, come gli adulti. Nè potevo rendermi ragione
del modo con cui alcune specie naturalizzate si sono diffuse rapidamente nella
medesima regione. Ma due fatti da me osservati spargono qualche luce su questo
argomento (e certamente molti altri fatti analoghi si scopriranno). Io ho
veduto per due volte un'anitra uscire improvvisamente da uno stagno coperto di lenti
palustri, rimanendo queste piccole piante attaccate al suo dorso; ora mi
è avvenuto che nel levare da un acquario una piccola lente palustre per
metterla in un altro, involontariamente ho popolato quest'ultimo coi molluschi
di acqua dolce del primo. Ma un'altra influenza è forse più
efficace; io ho sospeso una zampa di anitra in un acquario in cui stavano
schiudendosi molte uova di molluschi di acqua dolce e trovai che un grandissimo
numero di molluschi, estremamente piccoli ed appena sbucciati dall'uovo, si
erano portati sul piede e vi stavano attaccati con tanta forza che anche
scuotendoli fuori dell'acqua non potevano levarsi, quantunque se fossero stati
di un'età più adulta si sarebbero lasciati cadere spontaneamente.
Questi molluschi appena sviluppati, benchè acquatici per natura,
sopravvissero sul piede dell'anitra nell'aria umida, da dodici a venti ore; in
questo intervallo di tempo un'anitra, o un airone può volare ad una
distanza di sei o settecento miglia e non mancherebbe di arrestarsi sopra uno
stagno o presso un ruscello di un'isola oceanica o di qualunque altro luogo
distante, in cui il vento lo trasportasse attraverso l'oceano. Sir Carlo Lyell
mi ha narrato che un Dyticus è stato colto nel mentre trasportava
un Ancylus (mollusco d'acqua dolce simile alle patelle) che fortemente
aderiva al primo; e un coleottero acquatico della stessa famiglia, un Colymbetes,
volò una volta a bordo del Beagle che era lontano
Riguardo
alle piante, tutti sanno da lungo tempo quanto sia enorme l'estensione di molte
specie d'acqua dolce ed anche di quelle delle paludi, tanto nei continenti,
quanto sulle isole oceaniche più lontane. Questo fatto, come fu notato
da Alfonso De Candolle, si osserva segnatamente in quei grandi gruppi di piante
terrestri, i quali non hanno che specie acquatiche; perchè pare che
queste ultime acquistino immediatamente una estensione molto vasta, come se
fosse una conseguenza diretta. A mio avviso i mezzi favorevoli di dispersione
bastano a spiegare il fatto. Ho già ricordato prima che la terra,
sebbene di rado, pure occasionalmente si attacca ai piedi e ai becchi degli
uccelli. Ora le gralle che frequentano le sponde melmose delle paludi, se
prendono la fuga improvvisamente, esporteranno più facilmente la melma
coi loro piedi. E può dimostrarsi che gli uccelli di quest'ordine sono
quelli che viaggiano più degli altri, e si trovano talvolta sulle isole
più remote e più sterili, in alto mare. Essi non possono posarsi
sulla superficie del mare, per cui il fango non potrebbe essere sciolto
dall'acqua che ne laverebbe le zampe; e quando prendessero terra, essi
certamente volerebbero ai naturali serbatoi d'acqua dolce, che sogliono
preferire. Non credo che i botanici sappiano di quanti semi sia pieno il
pantano delle paludi; ho fatto alcuni esperimenti, ma non esporrò in
questa occasione che il risultato più notevole. Nel mese di febbraio io
ho preso tre cucchiaiate di melma sotto l'acqua da tre punti diversi, sul
margine di un piccolo stagno; questo fango secco pesava soltanto sei oncie e
tre quarti; lo conservai coperto nel mio studio per sei mesi, staccando e
contando ogni pianta che nasceva. Le piante appartenevano a molte specie e
salirono al numero di 537; eppure la melma densa, che le conteneva tutte, stava
in una tazza! Considerando questi fatti, mi parrebbe invero una circostanza
inesplicabile se avvenisse che gli uccelli acquatici non trasportassero i semi
delle piante d'acqua dolce a grandi distanze, e che per conseguenza
l'estensione di queste piante non fosse immensa.
I medesimi
risultati possono attendersi anche riguardo alle uova di alcuni degli animali
più piccoli d'acqua dolce.
Ma
probabilmente altre cause ignote avranno anche la loro influenza. Io ho detto
che i pesci d'acqua dolce mangiano certe sorta di semi, sebbene ne rigettino
molte altre specie dopo averli ingoiati; anche i piccoli pesci mangiano semi di
moderate dimensioni, come quelli del giglio d'acqua giallo e del Potamogeton.
Gli aironi ed altri uccelli vanno tutti i giorni alla caccia dei pesci;
essi, dopo di averli mangiati, riprendono il volo e si volgono verso altre
acque o sono trasportati dal vento a traverso del mare. Abbiamo veduto che i
semi conservano la loro facoltà germinativa dopo molte ore, quando sono
emessi colle pallottole, ovvero negli escrementi. Quando io vidi la grandezza
dei semi dell'elegante giglio d'acqua, il Nelembium, e mi
ricordai le osservazioni di Alfonso de Candolle su questa pianta, io pensavo
che la distribuzione di essa dovesse rimanere affatto inesplicabile; ma Audubon
dichiara di aver trovato i semi del gran giglio acquatico meridionale
(probabilmente il Nelumbium luteum, secondo il dott. Hooker)
nello stomaco di un airone. Quantunque io non abbia constatato il fatto, pure
l'analogia mi fa credere che un airone, volando da una palude all'altra e
prendendo un pasto abbondante di pesci, probabilmente rigetterà dal suo
stomaco una pallottola contenente dei semi di Nelumbium non digeriti;
oppure che i semi possano cadere, mentre quest'uccello alimenta i suoi piccoli,
nello stesso modo con cui talvolta cadono i pesci.
Riflettendo a
questi vari mezzi di distribuzione, non deve dimenticarsi che quando uno stagno
o un fiume si formano per la prima volta, per esempio sopra un'isoletta
nascente, non vi sarà alcuna produzione; ed ogni seme od uovo che vi
cada avrà una forte probabilità di prosperare. Sebbene vi abbia
sempre la lotta per l'esistenza fra gli individui delle varie specie, per
quanto siano scarse, in ogni stagno già occupato, pure essendo piccolo
il numero delle specie in confronto di quelle della terra, la concorrenza
sarà probabilmente meno severa fra le specie acquatiche che fra le
terrestri; per conseguenza una forma venuta dalle acque di un'altra regione
avrà maggiore probabilità di stabilirsi nella nuova dimora di
quel che non abbiano i coloni terrestri. Fa d'uopo inoltre rammentare che molte
produzioni d'acqua dolce sono molto basse nella scala della natura e che vi
sono motivi di ritenere che questi esseri inferiori si trasformino o restino
modificati meno rapidamente degli esseri elevati; per cui la stessa specie
acquatica disporrà di un tempo più lungo per le sue migrazioni.
Non dobbiamo poi dimenticare che probabilmente molte specie, anticamente
disseminate sopra una immensa estensione continua, siano rimaste estinte nelle
regioni intermedie. Ma credo che la vasta distruzione delle piante di acqua
dolce e degli animali inferiori, sia che conservino la stessa identica forma,
sia che si modifichino di qualche grado, dipenda in principal modo dalla
dispersione grande dei loro semi e delle uova fatte dagli animali e più
specialmente dagli uccelli d'acqua dolce che hanno molta potenza di volo: i quali
naturalmente passano da un bacino d'acqua all'altro.
SUGLI
ABITANTI DELLE ISOLE OCEANICHE
Passiamo
ora all'ultima delle tre classi di fatti da me prescelti, come quelle che
presentano le obbiezioni più forti contro l'ipotesi che tutti gli
individui d'una medesima specie e delle specie affini siano derivati da un solo
progenitore; e perciò siano tutti usciti da un luogo di origine loro
comune, nonostante che nel corso del tempo essi siano giunti ad abitare dei
punti distanti del globo. Ho già dichiarato che non potrei ammettere
l'idea di Forbes sulle estensioni continentali, opinione che quando fosse
razionalmente abbracciata ci condurrebbe a stabilire che, in un periodo
recente, tutte le isole esistenti erano più o meno perfettamente
congiunte a qualche continente. Questa opinione eliminerebbe molte
difficoltà, ma non servirebbe a spiegare tutti i fatti che riguardano le
produzioni isolane. Nelle considerazioni che seguono non mi limiterò
alla sola questione della dispersione, ma tratterò di alcuni altri fatti
che possono determinare la verità di una delle due teorie, cioè
di quella delle creazioni indipendenti, o dell'altra della discendenza con
modificazioni.
Le
specie d'ogni sorta che stanno nelle isole oceaniche sono poche, in confronto
di quelle che abitano sopra una uguale superficie continentale; Alfonso De
Candolle ammette questo fatto rispetto alle piante, e Wollaston in quanto agli
insetti. Se noi riflettiamo alla vasta superficie e alle svariate regioni della
Nuova Zelanda, la quale si estende per
Sebbene il
numero delle specie degli abitanti nelle isole oceaniche sia scarso, la
proporzione delle specie endemiche (cioè di quelle che non si trovano in
qualunque altra parte del mondo) è, spesso estremamente grande. Se noi
paragoniamo, per esempio, il numero dei molluschi terrestri endemici di Madera
o degli uccelli endemici dell'Arcipelago Galapagos col numero delle specie
trovate in un continente, e si paragoni la superficie di quelle isole con
quella del continente stesso, vedremo quanto sia fondata questa proposizione.
Questo fatto poteva prevedersi, seguendo la mia dottrina, perchè, come
spiegai altrove, quelle specie che dopo lunghi intervalli arrivano
occasionalmente in un distretto nuovo ed isolato, e debbono competere con altre
specie associate, saranno soggette a modificazioni in modo eminente, e daranno
spesso origine a gruppi di discendenti modificati. Ma perchè in un'isola
quasi tutte le specie di una classe sono peculiari, non ne segue che quelle di
un'altra classe, o di un'altra sezione della medesima classe siano pure
particolari a quella regione. Questa differenza sembra dipendere in parte
dall'aver immigrato con facilità ed in massa quelle specie che non si
erano modificate: per modo che le loro mutue relazioni non furono molto
turbate; ed in parte dal frequente arrivo di immigranti non modificati dalla
madre-patria e dal loro conseguente incrociamento con essi. Rispetto agli
effetti di questo incrociamento, deve ricordarsi che la progenie che ne nasce
quasi certamente acquista maggior vigore; cosicchè anche un
incrociamento occasionale produrrà un effetto maggiore di quello che
dapprima poteva aspettarsi. Diamone alcuni esempi. Nelle isole Galapagos vi
sono 26 uccelli terrestri; 21 di questi (e forse 23) sono particolari di quelle
isole; al contrario sopra 11 uccelli marini, 2 soli sono peculari; ed è
ovvio che gli uccelli marini possono giungere più facilmente a queste
isole degli uccelli terrestri. La Bermuda, dall'altra parte, che giace quasi
alla medesima distanza dall'America settentrionale, come le isole Galapagos
dall'America meridionale, e che ha un suolo affatto particolare, non possiede
alcun uccello terrestre endemico. E noi sappiamo dalla mirabile descrizione
della Bermuda di J. M. Jones che moltissimi uccelli dell'America
settentrionale, nelle loro grandi migrazioni annue, visitano quest'isola o
periodicamente, o accidentalmente. Anche Madera non possiede alcun uccello
speciale, e tuttavia molti uccelli europei ed africani sono quasi tutti gli
anni trasportati colà, come ho saputo da E. V. Harcourt. L'isola
è abitata da 99 specie di uccelli, di cui una sola è propria
dell'isola, ma strettamente affine con una forma europea; 3-4 altre sono
limitate ad essa ed alle isole Canarie. Per modo che queste due isole, la
Bermuda e Madera, furono popolate da uccelli, i quali per lunghe età
avevano lottato insieme nelle antiche loro dimore e divennero scambievolmente
adatti fra loro; e quando si stabilirono nelle nuove regioni, ogni razza
sarà stata mantenuta dalle altre nel proprio posto e in
conformità delle sue abitudini, e quindi sarà stata poco soggetta
a modificazioni. Qualunque tendenza a modificarsi sarà anche stata
impedita dagli incrociamenti cogli immigranti non alterati della madre-patria.
Madera è anche abitata da un numero portentoso di molluschi terrestri
particolari, al contrario nessuna specie di conchiglie marine è
confinata nelle sue coste. Ora, sebbene non sappiamo come siansi disperse
colà le conchiglie marine, pure si può presumere che le loro uova
o le larve, attaccate forse alle piante marine o ai legni galleggianti, ovvero
ai piedi delle gralle, siano trasportate più facilmente delle conchiglie
terrestri fino a 300 o
Alle
isole oceaniche mancano talvolta animali di intere classi, ed i loro posti sono
occupati da altre classi; nelle isole Galapagos i rettili e nella Nuova Zelanda
gli uccelli giganteschi senz'ali stanno nel posto dei mammiferi. Sebbene qui la
Nuova Zelanda sia menzionata tra le isole oceaniche, è dubbio se ad esse
appartenga, poichè è di grandezza ragguardevole e non separata
dall'Australia da un mare profondo. Stando al suo carattere geologico ed alla
direzione delle catene di montagne W. B. Clarke ha recentemente sostenuto che
quest'isola, insieme colla Nuova Caledonia, debbasi considerare come
un'appendice all'Australia. Quanto alle isole Galapagos il dott. Hooker ha
dimostrato che i numeri proporzionali dei diversi ordini di piante differiscono
assai da quelli che si hanno altrove. Questi fatti si attribuiscono
generalmente alle condizioni fisiche delle isole; ma questa spiegazione mi pare
molto incerta. Mi sembra che la facilità delle immigrazioni debba
riguardarsi almeno altrettanto importante, come la natura delle condizioni
locali.
Potrebbero
citarsi molti fatti singolari concernenti gli abitanti d'isole molto lontane.
Così in certe isole, non abitate dai mammiferi, alcune piante endemiche
hanno dei magnifici semi ad uncini; eppure poche relazioni sono più
sorprendenti della proprietà dei semi ad uncini di essere trasportati
dalla lana o dal pelo dei quadrupedi. Questo caso, secondo le mie idee, non
offre alcuna difficoltà, perchè un seme ad uncini può
essere tradotto in un'isola con alcuni altri mezzi; e anche se la pianta si
modifichi leggermente, ma conservi ancora i suoi semi ad uncini, formerebbe una
specie endemica dotata di un'appendice inutile, come lo sarebbe un organo
rudimentale, per esempio come lo sono le ali ripiegate sotto le elitre saldate
di molti coleotteri isolani. Le isole posseggono spesso alberi ed arbusti
appartenenti ad ordini che altrove non comprendono che specie erbacee; ora gli
alberi generalmente hanno una estensione molto ristretta, qualunque ne sia la
cagione, come ha dimostrato Alfonso De Candolle. Perciò gli alberi sono
poco adatti ad emigrare verso lontane isole oceaniche; ed una pianta erbacea,
sebbene abbia poca probabilità di competere con successo in statura con
un albero pienamente sviluppato, quando si stabilisca in un'isola ed abbia a
lottare colle sole piante erbacee, può facilmente ottenere un vantaggio
su queste, crescendo ad una maggiore altezza e superando le altre piante. Se
l'elezione naturale deve tendere in tal modo ad accrescere la statura delle
piante erbacee che si sviluppano in un'isola oceanica, a qualunque ordine
appartengano, essa può cambiarle prima in arbusti e infine formarne
degli alberi.
MANCANZA DEI
BATRACI E DEI MAMMIFERI TERRESTRI
NELLE ISOLE
OCEANICHE
In
quanto alla mancanza di ordini interi sulle isole oceaniche, Bory de
Saint-Vincent da molto tempo ha osservato che i batraci (rane, rospi,
salamandre) non furono mai trovati sopra alcune delle molte isole che sono
sparse in tutti i grandi oceani. Mi sono impegnato a verificare questa
asserzione ed ho constatato che sussiste pienamente, se si prescinde dalla
Nuova Zelanda, dalla Nuova Caledonia, dalle isole Andaman e forse dalle isole
di Salomone e dalle Seychelles. Ma dissi già essere cosa dubbia, se la
Nuova Zelanda e la Nuova Caledonia possansi annoverare tra le isole oceaniche,
e maggiore è ancora il dubbio a riguardo del gruppo delle Andaman e di
Salomone e delle Seychelles. Questa generale assenza delle rane, dei rospi e delle
salamandre in tante isole oceaniche non potrebbe attribuirsi alle loro
condizioni fisiche; infatti sembra che le isole siano particolarmente
convenienti a questi animali: perchè le rane furono introdotte a Madera,
nelle Azzorre e all'Isola Maurizio, e vi si moltiplicarono in modo da divenire
dannose. Ma sapendosi che questi animali e le loro uova fecondate sono
immediatamente uccisi dall'acqua del mare, deve essere assai difficile il loro
trasporto a traverso del mare, e da ciò risulta, secondo le mie idee, il
motivo per cui non esistono in ogni isola oceanica. Del resto sarebbe molto
arduo lo spiegare per quale ragione non siano state create colà,
seguendo la teoria delle creazioni indipendenti.
I mammiferi presentano un altro caso simile. Ho riveduto
diligentemente i viaggi più antichi e non ho ancora compiute le mie
ricerche, ma non ho finora trovato un solo esempio bene accertato di mammiferi
terrestri (eccettuati gli animali domestici che si conservano dagli abitanti)
che abitano un'isola situata a
Oltre l'assenza dei mammiferi terrestri, in relazione alla
distanza delle isole dai continenti, vi è anche un'altra relazione, fino
ad un certo punto indipendente dalla distanza, fra la profondità del
mare che separa un'isola dal continente più vicino e la presenza in
entrambi della medesima specie di mammiferi o di specie affini, in condizioni
più o meno modificate. Windsor Earl ha fatto alcune notevoli
osservazioni, a questo riguardo, sul grande Arcipelago Malese che è
attraversato presso Celebes da una striscia di mare molto profondo; questo
spazio divide due faune mammologiche completamente diverse. Da un lato di questo
spazio le isole giacciono sopra banchi sottomarini non molto profondi e sono
abitate da quadrupedi identici, o almeno molto affini. Senza dubbio in questo
grande arcipelago si notano alcune anomalie, e in certi casi è molto
difficile formare un giudizio intorno alla probabile naturalizzazione di alcuni
mammiferi e decidere se abbia da attribuirsi all'opera dell'uomo; ma noi avremo
presto molte notizie sulla storia generale di quell'arcipelago, per le ricerche
e lo zelo mirabile del Wallace. Io non ebbi ancora tempo di continuare l'esame
di tale soggetto per tutte le parti del mondo; ma per quanto potei osservare,
la relazione ora detta generalmente si verifica. Noi vediamo la Gran Bretagna
separata dall'Europa mediante un Canale poco profondo e i mammiferi sono i
medesimi da ambe le parti dello stretto; e troviamo dei fatti analoghi sopra
molte isole divise dall'Australia per mezzo di consimili canali. Le isole delle
Indie Occidentali giacciono sopra un banco sommerso, alla profondità di
1000 braccia, e vi troviamo le forme americane; ma le specie ed anche i generi
sono molto distinti. Siccome il complesso delle modificazioni in ogni caso
dipende fino ad un certo grado dal tempo trascorso, ed è chiaro che nei
cambiamenti di livello le isole separate da canali poco profondi possono essere
state unite più facilmente in continuità della terraferma in un
periodo recente di quelle isole che sono separate da canali profondi, ci
sarà facile intendere la frequente relazione che si nota fra la profondità
del mare e il grado di affinità dei mammiferi abitanti le isole con
quelli del continente più vicino, - relazione che sarebbe inesplicabile
secondo la teoria degli atti indipendenti di creazione.
Tutte
le precedenti considerazioni sugli abitanti delle isole oceaniche, vale a dire
la scarsezza delle specie, - la ricchezza delle forme endemiche in particolari
classi o sezioni di classi, - la mancanza di interi gruppi, come di quello dei
batraci e dei mammiferi terrestri, non ostante la presenza dei pipistrelli, -
le proporzioni singolari di certi ordini di piante, - lo sviluppo delle forme
erbacee in alberi, ecc.,- mi sembra che concordino meglio coll'idea dei mezzi
occasionali di trasporto, i quali ebbero una grande influenza nel lungo corso
dei tempi, di quello che coll'opinione che tutte le isole oceaniche siano state
anticamente unite per mezzo di terre continue col continente più vicino;
perchè in questa seconda ipotesi la migrazione probabilmente sarebbe
stata assai più completa; e se si ammettano le modificazioni, tutte le
forme viventi sarebbero state più equabilmente modificate, in tal caso,
in ragione della importanza superiore delle relazioni fra organismo ed
organismo.
Non
nego che esistano ancora molte e gravi difficoltà per dimostrare in che
modo diversi abitanti delle isole più remote possano essere giunti nelle
loro attuali dimore, sia conservando ancora la stessa forma specifica, sia
modificandosi dopo il loro arrivo. Ma non deve trascurarsi la
probabilità dell'antica esistenza di molte isole come luoghi di stazione,
delle quali non rimane oggi alcun avanzo. Darò qui un solo esempio di
questi casi difficili. Quasi tutte le isole oceaniche, anche le più
isolate e le più piccole, contengono dei molluschi terrestri che
generalmente appartengono a specie endemiche, ma talvolta anche a specie che
trovansi altrove. Il dott. Augusto A. Gould ha esposto vari fatti interessanti
riguardo ai molluschi terrestri delle isole del Pacifico. Ora è cosa
nota che i molluschi terrestri sono facilmente uccisi dall'acqua salata; le loro
uova, quelle almeno che furono da me sperimentate, si affondano nell'acqua del
mare e vi muoiono. Devono dunque esistere, secondo la mia teoria, alcuni mezzi
ignoti ma altamente efficaci pel trasporto delle medesime. Non potrebbero i
giovani molluschi, appena usciti dall'uovo, accidentalmente arrampicarsi e
restare attaccati ai piedi degli uccelli che si fermarono sul terreno ed essere
così trasportati da essi? Mi sono immaginato che i molluschi terrestri,
quando passano l'inverno ed hanno la bocca della loro conchiglia munita di un
opercolo membranoso, possano trovarsi nascosti nelle fessure dei legni
galleggianti e traversare dei bracci di mare di qualche larghezza. Ho trovato
che varie specie possono sostenere, senza danno, in questo stato un'immersione
di sette giorni nell'acqua del mare; uno di questi molluschi era l'Helix
pomatia, la quale, dopo un riposo invernale, venne immersa di nuovo
per venti giorni nell'acqua marina e la ricuperai in uno stato perfetto. In
questo tempo essa avrebbe potuto essere trasportata da una corrente marina di
mediocre celerità fino alla distanza di
RELAZIONE
DEGLI ABITANTI DELLE ISOLE
CON QUELLI
DEI CONTINENTI PIÙ VICINI
Il
fatto per noi più importante e singolare, riguardo agli abitanti delle
isole, sta nella loro affinità con quelli dei continenti più
vicini, quantunque non siano le medesime specie. Potrebbero citarsi moltissimi
esempi di questa legge. Ne prenderò un solo dall'Arcipelago Galapagos,
posto sotto l'equatore fra 500 e
Potrebbero
constatarsi molti altri fatti analoghi; ma è questa una regola quasi
universale, che cioè le produzioni endemiche delle isole hanno molti
rapporti con quelle dei continenti vicini o delle altre isole prossime. Le
eccezioni sono poche e la maggior parte può spiegarsi. Così le
piante della terra di Kerguelen, benchè questa regione sia più
vicina all'Africa che all'America, sono maggiormente affini a quelle
dell'America, come si conosce dalle descrizioni del dott. Hooker; ma quando si
ammetta che quest'isola sia stata popolata principalmente di semi misti alla
terra e alle pietre trasportate dai ghiacci galleggianti condotti dalle
correnti predominanti, quest'anomalia scompare. Le piante endemiche della Nuova
Zelanda sono in affinità più stretta coll'Australia, che è
il continente più vicino, che con qualsiasi altra regione: ciò
è naturale e doveva prevedersi; ma esse hanno anche una evidente
affinità con l'America meridionale, la quale, sebbene sia il continente
più vicino dopo l'Australia, è tanto distante che il fatto
diventa anomalia. Ma codesta difficoltà è quasi eliminata quando
si rifletta che la Nuova Zelanda, l'America meridionale ed altre isole
meridionali furono, in epoca remota, popolate parzialmente da un punto quasi
intermedio ma lontano, cioè dalle isole antartiche, quando esse erano
coperte di vegetazione prima che cominciasse il periodo glaciale.
L'affinità fra la flora dell'angolo sud-ovest dell'Australia e quella
del Capo di Buona Speranza, la quale, sebbene sia poca, pure è reale,
come mi assicurò il dott. Hooker, è un fatto assai più rimarchevole
e presentemente non può darsene alcuna spiegazione; ma questa
affinità si limita alle sole piante e certamente potrà in seguito
esserne rivelata la cagione.
La
legge per cui gli abitanti di un arcipelago, quantunque distinti
specificamente, sono strettamente affini a quelli del continente più
vicino, talvolta si applica in una piccola scala, benchè in una maniera
più interessante; nei limiti del medesimo arcipelago. Così le
diverse isole dell'Arcipelago Galapagos sono occupate da specie che sono in rapporti
molto stretti in modo meraviglioso, come altrove ho dimostrato; cosicchè
gli abitanti di ogni isola separata, sebbene distinti in gran parte, sono
connessi fra loro in grado incomparabilmente maggiore di quello che cogli
abitanti di ogni altra parte del mondo. E ciò doveva precisamente
prevedersi, secondo le mie idee, perchè quelle isole sono così
vicine, che debbono quasi inevitabilmente ricevere degli immigrati dalla stessa
sorgente originale, o l'una dall'altra. Ma questa dissomiglianza fra gli
abitanti endemici delle isole può usarsi come un argomento contrario
alla mia teoria; perchè potrebbe chiedersi come mai sia avvenuto che in
diverse isole, situate a poco distanza fra loro, aventi la stessa natura
geologica, la stessa altezza, il medesimo clima, ecc., molti immigranti sieno
stati modificati differentemente, benchè soltanto leggermente. Questa mi
è sembrata per molto tempo una grave obbiezione: ma essa è
fondata principalmente sull'errore, profondamente radicato, di considerare le
condizioni fisiche di un paese come le più importanti per i suoi
abitatori; al contrario credo non possa contrastarsi che la natura degli
abitanti, coi quali ogni altro deve lottare, sia un elemento di successo almeno
ugualmente importante e in generale assai più influente. Ora se noi consideriamo
quegli abitanti delle isole Galapagos che trovansi in altre parti del mondo
(lasciando in disparte pel momento le specie endemiche, che non possono
comprendersi qui rettamente, mentre dobbiamo ricercare come esse si siano
modificate dopo il loro arrivo), noi troviamo un complesso considerevole di
differenza nelle varie isole. Questa differenza doveva infatti ammettersi
secondo l'ipotesi che le isole siano state popolate con mezzi occasionali di
trasporto; un seme di una pianta, per esempio, essendo stato portato sopra una
di quelle isole e quello di un'altra sopra un'isola diversa. Quindi
allorchè nei tempi antichi una specie immigrante si stabilì in
una di queste isole o in parecchie, ovvero quando posteriormente si sparse da
un'isola all'altra, si sarà trovato esposto certamente a condizioni di
vita diverse nelle differenti isole, perchè avrà dovuto competere
con differenti gruppi di organismi. Una pianta, per esempio, avrà
trovato un terreno più conveniente per essa, occupato più
completamente da piante distinte in un'isola che nell'altra, e sarà
stata in balìa degli attacchi di nemici alquanto differenti. Se quindi
essa variava, l'elezione naturale avrà favorito probabilmente delle
varietà diverse nelle varie isole. Alcune specie però poterono
estendersi e conservare non pertanto il medesimo carattere in tutto il gruppo,
precisamente come si osserva nei continenti in cui certe specie si diffondono
assai e rimangono inalterate.
Il fatto in
realtà sorprendente, che si nota nelle isole dell'Arcipelago Galapagos e
in grado minore in alcuni altri casi analoghi, è che le nuove specie
formate in ogni isola separata non si sono rapidamente sparse nelle altre
isole. Ma queste isole, sebbene siano in vista l'una dell'altra, sono divise da
profondi canali, in molti punti più larghi del canale della Manica, e
non abbiamo ragione di supporre che in un periodo antico siano state congiunte.
Le correnti del mare sono rapide e traversano l'arcipelago, e i venti forti vi
sono molto rari; per cui queste isole sono in fatto molto più
efficacemente separate fra loro di quel che apparisce dalla carta geografica.
Nondimeno un buon numero di specie, sia di quelle che trovansi anche in altre
parti del mondo, sia di quelle che sono confinate nell'arcipelago, sono comuni
a diverse isole; e possiamo dedurre da certi fatti che queste specie
probabilmente passarono da qualcuna di esse nelle altre. Ma noi ci facciamo
spesso, io credo, un concetto erroneo della probabilità che le specie
affini invadano i territori delle altre, quando si stabilisca fra le medesime
una libera comunicazione. Senza dubbio se una specie ha un vantaggio qualunque
sopra un'altra, essa in breve tempo la soppianterà interamente, o almeno
in parte; ma se ambedue sono ugualmente bene adatte ai loro posti rispettivi
nella natura, esse probabilmente vi rimarranno e si conserveranno separate
quasi indefinitamente. Essendoci familiare il fatto che molte specie,
naturalizzate per opera dell'uomo, si sono sparse con meravigliosa
rapidità sopra nuovi paesi, siamo disposti ad inferirne che la maggior
parte delle specie debba diffondersi così; ma dovremmo rammentare che le
forme naturalizzate in nuove regioni non sono generalmente molto affini cogli
abitanti indigeni, ma sono specie molto distinte, appartenenti a generi distinti
nella pluralità dei casi, come fu dimostrato da Alfonso De Candolle.
Anche molti uccelli dell'Arcipelago Galapagos, sebbene tanto adatti per volare
da un'isola all'altra, sono distinti in ciascuna di esse; così vi sono
tre specie strettamente affini di tordo poliglotto, ciascuna delle quali
è confinata nella propria isola. Ora ci sia permesso supporre che il
tordo poliglotto dall'isola Chatham sia spinto dal vento sull'isola Charles,
che ha il proprio tordo poliglotto; per qual motivo riuscirà a
stabilirsi nella nuova dimora? Noi possiamo sicuramente sostenere che l'isola
Charles è ben popolata colla specie propria, perchè annualmente
questa depone uova in quantità maggiore di quelle che possono essere
allevate; e possiamo anche inferire che il tordo poliglotto speciale dell'isola
Charles sia almeno tanto adatto alla sua patria, quanto lo è la specie
particolare all'isola Chatham.
C. Lyel e
Wollaston mi hanno comunicato un fatto rimarchevole che si riferisce a questo
argomento; vale a dire, che Madera e la vicina isoletta di Porto Santo
possiedono molti molluschi terrestri distinti ma rappresentativi, alcuni dei
quali vivono nei crepacci delle roccie, e sebbene una quantità
considerevole di questi sia trasportata annualmente da Porto Santo a Madera,
pure in quest'ultima isola non si è colonizzata la specie di Porto
Santo; ciò non ostante le due isole ricevettero alcuni molluschi
terrestri europei, i quali certamente hanno qualche vantaggio sopra le specie
indigene. Io credo che dietro questi riflessi noi non dobbiamo farci le
meraviglie se le specie endemiche e rappresentative dell'Arcipelago Galapagos
non si sono sparse da un'isola all'altra. In molti altri casi, come in vari
distretti di un medesimo continente, le prime occupazioni avranno probabilmente
esercitato un'influenza importante, coll'impedire la mescolanza delle specie
sotto le medesime condizioni di vita. Così gli angoli sud-est e
sud-ovest dell'Australia sono in condizioni fisiche quasi identiche e sono
congiunti da una terra continua, però sono abitati da un grande numero
di mammiferi, di uccelli e di piante distinte; e secondo il Bates la stessa
cosa avviene coi lepidotteri, e cogli altri animali che abitano la vallata
grande, aperta e continua del fiume delle Amazzoni.
Il principio che determina il carattere generale della fauna e
della flora delle isole oceaniche, cioè, che gli abitanti, quando non
sono identici, sono tuttavia evidentemente connessi cogli altri abitanti di
quella regione dalla quale possono più prontamente essere venuti i
coloni, essendo poi questi successivamente modificati e meglio conformati alle
nuove loro dimore, questo principio è applicabile universalmente a tutta
la natura. Noi vediamo che ciò si verifica in ogni montagna, in ogni
lago e in ogni palude. Perchè le specie alpine sono affini a quelle
delle pianure che le circondano, eccettuate però quelle forme,
principalmente di piante, che si sono disseminate ampiamente per tutto il mondo
nella recente epoca glaciale; così abbiamo nell'America meridionale i
colibri alpini, i roditori alpini, le piante alpine, ecc., tutti di forme
esclusivamente americane; ed è manifesto che una montagna, di mano in
mano che lentamente si sollevava, doveva naturalmente essere colonizzata dalle
pianure circonvicine. Altrettanto dicasi degli abitanti dei laghi e degli
stagni, colla riserva che le grandi facilitazioni dei trasporti diedero le
medesime forme generali al mondo intero. Noi vediamo il medesimo principio in
alcuni animali ciechi che abitano nelle caverne dell'America e dell'Europa.
Potrebbero
anche citarsi altri fatti analoghi. Infine io credo si riconoscerà
universalmente la verità del fatto, che quando in due regioni, a
qualsiasi distanza si trovino, si incontrano molte specie strettamente affini o
rappresentative, vi si dovranno trovare ugualmente alcune specie identiche; e
laddove si trovano molte specie affini, si incontreranno molte forme che alcuni
naturalisti considerano quali specie distinte ed altri quali varietà;
queste forme dubbie ci rappresentano i diversi gradi del processo di
modificazione.
Questa
relazione fra la facoltà di emigrare e l'estensione delle migrazioni di
una specie, sia nel tempo attuale, sia in qualche antico periodo sotto
condizioni fisiche differenti, colla esistenza in punti distanti del mondo di
altre specie affini si prova anche in un altro modo più generale. Il
Gould mi ha fatto osservare da molto tempo che in quei generi d'uccelli che
sono molto estesi pel mondo, molte specie hanno pure una grande diffusione. Non
dubito che questa regola sia generalmente fondata, ma sarebbe difficile
provarla. Fra i mammiferi la vediamo chiaramente spiegata nei pipistrelli, e in
grado minore nei felidi e nei canidi. Noi la riscontriamo anche se paragoniamo
la distribuzione delle farfalle e dei coleotteri. Essa si applica altresì
alla maggior parte delle produzioni d'acqua dolce, di cui tanti generi sono
sparsi sopra tutto il globo; e molte specie hanno una estensione enorme.
Ciò non vuol dire che nei generi sparsi pel mondo intero tutte le specie
abbiano una vasta estensione, od anche in media siano molto estese; ma
solamente che alcune di esse hanno la prerogativa di spargersi ampiamente;
perchè la facilità con cui le specie largamente sparse variano e
danno origine a nuove forme deve in gran parte determinare la loro media
estensione. Per esempio, due varietà di una medesima specie abitano
l'America e l'Europa, e la specie ha perciò una immensa estensione; ma
se la variazione fosse stata un po' più forte, le due varietà
sarebbero state riguardate come specie distinte, e l'estensione comune sarebbe
stata grandemente diminuita. Nè tanto meno si vuol significare che una
specie, la quale evidentemente sia dotata della facoltà di attraversare
le barriere e di estendersi in vaste proporzioni, come sarebbe il caso di certi
uccelli, che hanno un volo portentoso, debba di necessità diffondersi
ampiamente; perchè non bisogna mai dimenticare che una vasta estensione
non suppone soltanto la facoltà di oltrepassare le barriere, ma l'altra
facoltà più importante di ottenere la vittoria in lontane regioni
nella lotta per l'esistenza coi nuovi competitori. Partendo dal principio che
tutte le specie di un genere sono derivate da un solo progenitore, quantunque
al presente esse siano distribuite nei luoghi più distanti del mondo,
noi dobbiamo trovare, e credo che in regola generale troveremo, che almeno
alcune di queste specie si estendono grandemente.
Non
dobbiamo dimenticare che molti generi di tutte le classi sono estremamente
antichi, per cui in tali casi vi fu il tempo sufficiente per la dispersione e
per una successiva modificazione. Vi sono anche alcune ragioni fondate sulle
prove geologiche per credere che gli organismi di ogni grande classe, inferiori
nella scala naturale, generalmente si modificano con minore prontezza delle
forme superiori; e quindi le forme inferiori avranno una probabilità
più grande di estendersi largamente e di conservare altresì il
medesimo carattere specifico. Questo fatto, unito all'altro che i semi e le
uova di molte forme inferiori sono assai piccoli e meglio adatti ai trasporti
in luoghi lontani, probabilmente serve a chiarire la legge, conosciuta
già da lungo tempo e che fu recentemente discussa con grande scienza da
Alfonso De Candolle rispetto alle piante, vale a dire, che quanto più un
gruppo di organismi è basso nella scala naturale, tanto più
è atto ad estendersi ampiamente.
Le
relazioni fin qui esaminate, cioè - che gli organismi inferiori che si
modificano lentamente prendono una estensione maggiore degli organismi elevati;
- che alcune specie di generi molto estesi si diffondono grandemente; - che le
produzioni alpine, lacustri e quelle degli stagni sono in rapporti
d'affinità con quelle delle pianure vicine e delle terre secche; - che
esiste un'intima connessione fra le specie distinte che vivono nelle isole di
uno stesso arcipelago; - e specialmente che si nota una relazione singolare fra
gli abitanti di ogni intero arcipelago o di ogni isola e quelli del continente
più vicino; tutte queste relazioni sono, a mio credere, completamente
inesplicabili, secondo l'opinione ordinaria della creazione indipendente di
ogni specie, ma sono invece suscettibili di spiegazione nell'ipotesi della
colonizzazione dalla sorgente più vicina e più pronta, combinata
colle modificazioni susseguenti e coll'adattamento migliore dei coloni alle
nuove loro dimore.
SOMMARIO DI
QUESTO CAPO E DEL PRECEDENTE
In
questi due capi io mi sono studiato di dimostrare che se facciamo il debito
calcolo della nostra ignoranza sugli effetti complessivi di tutti i cambiamenti
nel clima e nell'altezza delle terre, che certamente avvennero nel periodo
recente, e degli altri cambiamenti consimili che possono essersi verificati nel
medesimo periodo; se noi ricorderemo come siamo profondamente ignoranti
rispetto ai molti mezzi curiosi di trasporto occasionale, - soggetto sul quale
non si istituirono ancora esperienze accurate; se riflettiamo (e questa
è una riflessione importante) che una specie può spesso essersi
estesa senza interruzione sopra una vasta superficie, e quindi essere rimasta
estinta in alcuni tratti intermedi, non sono più insuperabili le
difficoltà che si oppongono all'opinione che tutti gli individui di una
medesima specie, comunque disposti in qualsiasi luogo, sono derivati dai
medesimi parenti. E noi giungiamo a questa conclusione che fu già
adottata da molti naturalisti sotto la denominazione di «centri singoli di
creazione», mediante alcune considerazioni generali e segnatamente desunte
dall'importanza delle barriere e dalla distribuzione analoga dei sotto-generi,
dei generi e delle famiglie.
Riguardo alle
specie distinte del medesimo genere, le quali, secondo la mia teoria, debbono
essere state prodotte da una sola sorgente paterna; quando si facciano le
stesse riflessioni, come sopra, sulla nostra ignoranza e si ricordino che alcune
forme di vita si trasformano più lentamente, richiedendo così
degli enormi periodi di tempo per le loro migrazioni, non credo che le
difficoltà siano invincibili; sebbene queste difficoltà siano in
tal caso molto gravi, come in quello della dispersione degl'individui di una
medesima specie.
Per chiarire
con un esempio gli effetti dei mutamenti climatologici sulla distribuzione, ho
cercato di dimostrare come sia stata efficace l'influenza del periodo glaciale
moderno, che io sono pienamente convinto agisse simultaneamente sul mondo
intero, o almeno sopra grandi zone longitudinali. Per dimostrare quanto siano
diversi i mezzi di trasporto occasionali, ho discusso con qualche ampiezza i
mezzi di dispersione delle produzioni d'acqua dolce.
Se
non si trovasse alcuna difficoltà invincibile nell'ammettere che
gl'individui di una medesima specie e delle specie affini, nel lungo corso dei
tempi, procedettero da una stessa sorgente; allora tutti i fatti principali
della distribuzione geografica potrebbero spiegarsi colla teoria delle
migrazioni, in uno colle modificazioni posteriori e colla moltiplicazione delle
forme nuove. Possiamo così valutare l'alta importanza delle barriere,
sì di terra che d'acqua, le quali dividono le nostre varie provincie
zoologiche e botaniche. Possiamo inoltre spiegare la localizzazione dei
sotto-generi, dei generi e delle famiglie; e come avvenga che sotto latitudini
diverse, per esempio, nell'America meridionale, gli abitanti delle pianure e
delle montagne, delle foreste, degli stagni e dei deserti, siano in modo tanto
misterioso collegati insieme per un certo grado di affinità, e siano
parimenti connessi agli esseri estinti che anticamente esistevano sul medesimo
continente. Richiamando alla mente che le mutue relazioni da organismo ad
organismo sono della più alta importanza, possiamo riconoscere
perchè due superfici, poste in condizioni fisiche quasi uguali, siano di
sovente abitate da forme di vita affatto differenti. Imperocchè, a
seconda della lunghezza del tempo trascorso, dacchè i nuovi abitanti si
introdussero in una regione; a seconda della natura della comunicazione che
permetteva il passaggio a certe forme e non ad altre, in maggiore o minor
numero; secondochè gli immigranti entrarono o no in una lotta più
o meno diretta gli uni cogli altri e cogli indigeni; ed anche secondo che gli
immigranti furono capaci di variare più o meno rapidamente, dovettero
seguirne nelle differenti regioni, indipendentemente dalle loro condizioni
fisiche, delle condizioni di vita infinitamente diverse, - e un insieme quasi
infinito di azioni e di reazioni organiche; - e noi dobbiamo trovare, come
infatti troviamo, nelle varie grandi provincie geografiche del mondo, alcuni
gruppi di esseri modificati in sommo grado ed altri soltanto leggermente,
alcuni sviluppati ed estesi con grande vigore, altri invece esistenti in
piccolo numero.
In
base di questi medesimi principii possiamo intendere, come ho tentato di
dimostrare, per qual motivo le isole oceaniche debbano possedere pochi abitanti,
la maggior parte dei quali debba essere endemica o particolare; e così
per qual ragione, rispetto ai mezzi di migrazione, un gruppo di esseri, anche
restrittivamente ad una sola classe, debba avere tutte le sue specie endemiche
e un altro gruppo invece le abbia comuni con altre parti del mondo. Possiamo
dimostrare come interi gruppi di organismi siano assenti dalle isole oceaniche,
ad esempio, i batraci e i mammiferi terrestri, mentre le isole più
appartate posseggano le loro specie di mammiferi volanti o pipistrelli.
Possiamo dimostrare come vi sia qualche relazione fra la presenza dei
mammiferi, in una condizione più o meno modificata, e la
profondità del mare fra un'isola e il continente. Noi possiamo vedere
chiaramente in che modo tutti gli abitanti di un arcipelago, sebbene
specificamente distinti sulle diverse isole che lo compongono, siano
strettamente affini fra loro e parimenti siano in qualche rapporto, meno
intimo, con quelli del continente più vicino o probabilmente di
quell'altra sorgente da cui gli immigranti sono probabilmente partiti. Infine
sappiamo dire come avvenga che in due regioni, comunque distanti fra loro, vi
sia una correlazione nella presenza di specie identiche, di varietà, di
specie dubbie e di specie distinte, ma rappresentative.
Havvi
un parallelismo stupendo fra le leggi della vita nel tempo e nello spazio, sul
quale spesso ha insistito Edoardo Forbes; le leggi che governarono la
successione delle forme nei tempi passati essendo quasi identiche a quelle che
reggono presentemente le differenze che si trovano nelle diverse regioni. Noi
vediamo questa analogia in molti fatti. La durata di ogni specie e di ogni
gruppo di specie è continua nella successione dei secoli; perchè
le eccezioni a questa regola sono tanto poche, che possono a ragione
attribuirsi al non essersi peranco scoperte in un deposito intermedio le forme
che vi mancano, ma che s'incontrano, nelle formazioni inferiori e superiori.
Così, quanto allo spazio, è al certo una regola generale che la
superficie abitata da una sola specie, o da un gruppo di specie, è
continua; e le eccezioni, che non sono rare, possono spiegarsi, come mi sono
adoperato a dimostrare, colle migrazioni in qualche antico periodo sotto
condizioni differenti, e coi mezzi occasionali di trasporto, essendosi estinta
la specie nei tratti intermedi. Nel tempo e nello spazio, le specie e i gruppi
di specie hanno i loro punti di massimo sviluppo. I gruppi di specie che
appartengono ad un certo periodo di tempo, o ad una certa superficie, sono
spesso caratterizzati da particolarità poco importanti che sono comuni a
essi, come le forme esterne e il colore. Nel riflettere alla lunga successione
delle età, come nell'esaminare le provincie lontane del globo, noi
troviamo che parecchi organismi differiscono poco, mentre altri appartenenti a
classi differenti, o ad un ordine diverso od anche soltanto ad una famiglia
diversa del medesimo ordine, differiscono grandemente. Nel tempo come nello
spazio i membri inferiori di ogni classe generalmente si modificano meno dei
superiori; ma in ambi i casi vi sono delle forti eccezioni alla regola. Secondo
la mia teoria, queste varie relazioni corrispondenti sia per il tempo, sia per
lo spazio, si spiegano facilmente; perchè se consideriamo le forme di
vita che si cambiarono nelle epoche successive nella medesima parte del mondo,
e quelle che si cambiarono dopo di avere migrato in luoghi distanti, nell'uno e
nell'altro caso le forme di ciascuna classe furono collegate dal medesimo
processo della generazione ordinaria, e quanto più due forme qualsiasi
sono prossime fra loro, pel grado di parentela, esse saranno anche generalmente
più vicine fra loro, nel tempo e nello spazio; in ambi i casi le leggi
della variazione saranno state le medesime, e le modificazioni saranno state
accumulate dal medesimo potere della elezione naturale.
CAPO XIV
MUTUE
AFFINITÀ DEGLI ESSERI ORGANIZZATI
MORFOLOGIA -
EMBRIOLOGIA
ORGANI
RUDIMENTALI
Classificazione;
gruppi subordinati ad altri gruppi - Sistema naturale - Regole e
difficoltà della classificazione, spiegate per mezzo della teoria della
discendenza con modificazioni - Classificazione delle varietà - La
discendenza sempre impiegata nelle classificazioni - Caratteri di analogia o di
adattamento - Affinità generali, complesse e divergenti - L'estinzione
separa e definisce i gruppi - Morfologia; fra i membri di una stessa classe,
fra le parti di un medesimo individuo - Embriologia; sue leggi spiegate per
mezzo di quelle variazioni che non hanno luogo nella prima età e che
vengono ereditate ad un'età corrispondente - Organi rudimentali; loro
origine spiegata - Sommario.
CLASSIFICAZIONE
Dalla
prima alba della vita tutti gli esseri organizzati rassomigliano gli uni agli
altri secondo gradi discendenti, per cui possono classificarsi in gruppi
subordinati ad altri gruppi. Questa classificazione evidentemente non è
arbitraria, come quella dei gruppi di stelle nelle costellazioni. L'esistenza
dei gruppi non avrebbe avuto che un significato molto semplice, se un gruppo
fosse stato destinato esclusivamente ad abitare la terra ed un altro a vivere
nelle acque: uno a nutrirsi di carne, un altro di materie vegetali, e
così di seguito. Ma ciò non ha luogo menomamente nella natura:
perchè tutti sanno che comunemente anche i membri del medesimo
sotto-gruppo hanno abitudini differenti. Nei Capi secondo e quarto sulle
Variazioni e sulla Elezione naturale ho procurato di dimostrare che in
qualsiasi paese le specie più variabili sono quelle che si estendono
ampiamente, che sono molto diffuse e comuni, in una parola le specie dominanti,
appartenenti ai generi più ricchi di ogni classe. Io credo che le
varietà o specie incipienti, così prodotte, da ultimo divengano
specie nuove e distinte; e queste, pel principio di eredità, tendano a
produrre altre specie nuove e dominanti. Perciò quei gruppi che sono
ricchi, e che generalmente comprendono molte specie dominanti, tendono ad
aumentare. Ho cercato inoltre di provare che, in seguito ai continui sforzi dei
discendenti variabili di ogni specie per occupare il maggior numero possibile
di posti differenti nell'economia della natura, i loro caratteri hanno una
tendenza costante a divergere. Questo risultato emergeva dal considerare la
diversità grande delle forme di vita, le quali in ogni piccola
superficie si fanno una concorrenza molto viva, e dalla cognizione di certi
fatti nella naturalizzazione.
Mi
sono anche adoperato a constatare che nelle forme, le quali aumentano di numero
e divergono nei caratteri, vi è una tendenza costante a surrogare ed
esterminare le forme meno divergenti, meno perfezionate e più antiche.
Prego il lettore ad esaminare di nuovo il diagramma che descrive l'azione di
questi vari principii, come fu spiegato precedentemente, ed egli si
accorgerà che il risultato inevitabile consiste in ciò, che i
discendenti modificati, procedenti da un solo progenitore, rimarranno spezzati
in gruppi subordinati ad altri gruppi. Ogni lettera della linea superiore di
quella figura può rappresentare un genere comprendente varie specie; e
tutti i generi di questa stessa linea formano insieme una classe, perchè
tutti sono provenienti da un antico parente e per conseguenza ereditarono
qualche cosa in comune. Ma i tre generi della parte sinistra hanno, pel
medesimo principio, molte particolarità comuni, e formano una sotto-famiglia,
distinta da quella che comprende i due generi immediatamente vicini sulla
destra, i quali si scostarono dal parente comune al quinto stadio della
progenie. Questi cinque generi hanno ancora qualche carattere comune e formano
insieme una famiglia distinta da quella di cui fanno parte i tre generi che si
trovano anche più a destra, i quali cominciarono a divergere in un'epoca
più antica. Tutti questi generi poi derivati da A formano un
ordine distinto da quello dei generi derivati da I. Per cui noi abbiamo
qui molte specie discendenti da un solo progenitore aggruppate in generi; e
questi generi sono pur essi compresi e subordinati a sotto-famiglie, famiglie e
ordini tutti riuniti in una sola classe. Così a mio giudizio rimane
chiarito il grande fatto della storia naturale, della subordinazione dei gruppi
sotto altri gruppi, fatto sul quale non portiamo sempre sufficiente attenzione,
perchè ci è molto familiare. Gli esseri organici, come tutti gli
altri oggetti, si lasciano senza dubbio disporre a gruppi in varia guisa, sia
artificialmente col mezzo di singoli caratteri, od in modo più naturale
col mezzo di un complesso di caratteri. Noi sappiamo che così si possono
classificare i minerali e perfino le sostanze elementari. In questo caso la
classificazione non ha alcuna attinenza alla successione genealogica, ed al
presente non può indicarsi la causa, per cui si scindono in gruppi. Ma
negli esseri organici le cose stanno ben diversamente, ed il suesposto concetto
ci dà la ragione della suddivisione in gruppi e sotto-gruppi, nè
altra spiegazione fu mai tentata.
I
naturalisti si studiano di coordinare le specie, i generi e le famiglie di ogni
classe in un sistema naturale. Ma che cosa significa questo sistema? Alcuni
autori lo riguardavano puramente come uno schema per disporre insieme quegli
esseri viventi che sono più somiglianti e per separare quelli che sono
più differenti: oppure anche come un mezzo artificiale di enunciare,
colla maggiore brevità possibile, certe proposizioni generali, cioè
di raccogliere con una sola sentenza i caratteri comuni a tutti i mammiferi,
per esempio, e di dare con un'altra proposizione quelli comuni a tutti i
carnivori, con un'altra quelli comuni al genere cane, ed infine, aggiungendo
una sola sentenza, fare una descrizione completa di ogni razza dei cani. La
semplicità e l'utilità di questo sistema sono incontestabili. Ma
molti naturalisti pensano che l'espressione «Sistema naturale» denoti qualche
cosa di più; essi credono che riveli il piano del Creatore; però
finchè non sia meglio specificato se le parole «il piano del Creatore»
significano l'ordine nel tempo o nello spazio, o in ambedue, ovvero denotino
qualche altra cosa, mi sembra che con esse nulla si aggiunga alla nostra
scienza. Tali espressioni che noi incontriamo spesso, sotto una forma
più o meno oscura, come quel famoso detto di Linneo, che «i caratteri
non formano il genere, ma che il genere fornisce i caratteri», mi sembra che
nelle nostre classificazioni implicitamente includano qualche cosa di
più della semplice rassomiglianza. Credo che infatti si sottintenda
qualche cosa e che la prossimità di discendenza, - la sola causa
conosciuta della somiglianza degli esseri organizzati, - sia il legame che in
parte è manifestato dalle nostre classificazioni, e che ci è
nascosto dai diversi gradi di modificazione.
Veniamo
ora a considerare le norme seguite nella classificazione e le difficoltà
che si incontrano, nel supposto che la classificazione ci presenti qualche
ignoto piano di creazione, ovvero altro non sia che uno schema per enunciare
delle proposizioni generali e per collocare insieme le forme più
somiglianti fra loro. Si potrebbe forse ammettere (e negli antichi tempi si
ammetteva) che quelle parti della struttura che determinano le abitudini della
vita e la situazione generale di ogni essere nell'economia della natura siano
di una grande importanza nella classificazione. Nulla può esservi di
più falso. Niuno riguarda come di qualche importanza la somiglianza
esterna del sorcio col topo-ragno, del ducongo colla balena, della balena col
pesce. Queste rassomiglianze, sebbene intimamente connesse colla vita intera
dell'essere, sono considerate semplicemente come «caratteri analogici o di
adattamento»; ma avremo occasione di ritornare su queste relazioni. Potrebbe
anzi porsi come regola generale che quanto meno una parte dell'organismo
è destinata a scopi ed abitudini speciali, tanto più diviene
importante per la classificazione. Per darne un esempio, Owen, trattando del
ducongo, si esprime in questi termini: «Gli organi della generazione, essendo
quelli che hanno le relazioni più lontane colle abitudini e col
nutrimento di un animale, furono sempre riguardati da me come i più
confacenti a fornire delle indicazioni chiare sulle sue vere affinità.
Nelle modificazioni di questi organi siamo meno esposti a scambiare un
carattere essenziale con un carattere di semplice adattamento». Così
nelle piante; quanto è rimarchevole il fatto che gli organi di
vegetazione, da cui dipende la loro vita intera, sono di poca significazione,
mentre gli organi riproduttivi, coi loro prodotti, il seme e l'embrione, sono
della massima importanza! Parlando delle differenze morfologiche, le quali non
sono di alcuna importanza fisiologica, noi abbiamo visto come siano spesso del
massimo valore per la classificazione. Ciò dipende dalla costanza con
cui appariscono in molti gruppi affini; e tale costanza, alla sua volta,
dipende da ciò che le eventuali leggere variazioni di struttura in
siffatte parti non sono conservate ed aumentate dalla elezione naturale, la
quale agisce solamente sui caratteri utili.
Che,
la sola importanza fisiologica di un organo non valga a determinare il suo
pregio nella classificazione, è quasi dimostrato dal fatto che nei
gruppi affini, in cui il medesimo organo ha quasi il medesimo valore
fisiologico, come abbiamo ogni ragione di ammettere, il valore di
classificazione è interamente diverso. Niun naturalista può
essersi occupato di qualche gruppo speciale senza rimanere colpito da questo
fatto, che fu espressamente notato negli scritti di quasi tutti gli autori.
Basterà citare l'autorità più stimata, Roberto Brown, il
quale, nel parlare di certi organi delle proteacee, dice che la loro importanza
generica, «come quella di tutte le loro parti, non solamente in questa, ma
credo in quasi tutte le famiglie naturali, è molto disuguale ed in certi
casi mi sembra completamente nulla». Anche in un'altra opera dice che i generi
delle connaracee «differiscono nel possedere uno o più ovari, nella
presenza o mancanza di albume, nella estivazione embriciata o valvare. Ognuno
di questi caratteri, preso isolatamente, è spesso di una importanza
più che generica, quantunque anche quando si prendano tutti in una volta
sembrino insufficienti a separare il Cnestis dal Connarus». Per
darne un esempio negli insetti, in una grande divisione degli imenotteri, le
antenne sono le più costanti nella struttura, come ha osservato
Westwood; in un'altra divisione esse differiscono assai e le loro differenze
sono di un valore affatto secondario nella classificazione; eppure niuno
probabilmente potrebbe dire che le antenne siano di un'importanza fisiologica
diversa in queste due divisioni del medesimo ordine. Ma potrebbero darsi
moltissimi esempi della importanza variabile di un medesimo organo essenziale
in un gruppo di esseri, rispetto alla classificazione.
Così
niuno potrà sostenere che gli organi rudimentali od atrofizzati siano di
un alto valore fisiologico o vitale; ciò non ostante alcuni organi in
questa condizione sono spesso di una grande importanza nella classificazione.
Niuno contesterà che il dente rudimentale della mascella superiore dei
ruminanti giovani e certe ossa rudimentali delle loro gambe non siano altamente
utili per stabilire la stretta affinità che esiste fra i ruminanti e i
pachidermi. Roberto Brown ha sostenuto con molta forza il fatto che la
posizione dei fiori imperfetti è della più alta significazione
nella classificazione delle graminacee.
Si hanno
parecchi casi nei quali certi caratteri, tratti da quelle parti che debbono
considerarsi di pochissima importanza fisiologica, sono generalmente
riconosciuti di una utilità immensa nella definizione di gruppi interi.
Per esempio, se esista o no una comunicazione libera fra le narici e la bocca,
carattere che secondo Owen è il solo che distingue assolutamente i pesci
dai rettili. - l'inflessione del margine inferiore della mascella inferiore nei
marsupiali, - il modo con cui sono ripiegate le ali degli insetti, - lo
sbiadito colore di certe alghe, - la pubescenza di certe parti del fiore delle
graminacee, - la natura della veste dermica, come il pelo o le penne, dei
vertebrati. Se l'ornitorinco fosse stato coperto di penne, anzichè di
peli, questo carattere esterno e di poco rilievo sarebbe stato riguardato dai
naturalisti come un importante aiuto, per determinare il grado di
affinità di questa singolare creatura cogli uccelli.
La
importanza dei caratteri meno rilevanti, in relazione alla classificazione,
dipende principalmente dai loro rapporti con vari caratteri di maggiore o
minore conseguenza. Infatti, nella storia naturale è evidente
l'importanza di un certo aggregato di caratteri. Quindi, come spesso fu notato,
una specie può allontanarsi dalle sue affini per certe
particolarità, che sono di un alto valore fisiologico e di una prevalenza
quasi universale, e tuttavia non lasciarci alcun dubbio sul posto che la
medesima deve occupare. Perciò si è anche osservato che una
classificazione stabilita sopra qualche carattere isolato, per quanto
importante, pure non può mai sussistere; perchè nessuna parte
dell'organizzazione è costante universalmente. L'importanza di un cumulo
di caratteri, anche quando niuno di essi è importante, può solo
spiegare l'aforisma di Linneo, che «i caratteri non danno il genere, ma il
genere fornisce i caratteri»; perchè questa sentenza sembra fondata
sopra un apprezzamento di molti piccoli punti di rassomiglianza, troppo
insignificanti per essere definiti. Certe piante, appartenenti alle
malpighiacee, portano contemporaneamente dei fiori perfetti e dei fiori
rudimentali; riguardo a questi ultimi, come opinava A. De Jussieu, «il maggior
numero dei caratteri propri della specie, del genere, della famiglia, della
classe scompariscono, e così ci guastano la nostra classificazione». Ma
allorchè l'Aspicarpa produsse in Francia per diversi anni
soltanto dei fiori degeneri, allontanandosi in un modo tanto straordinario per
moltissimi dei più importanti punti di struttura dal tipo dell'ordine,
pure M. Richard sagacemente osservava col Jussieu che questo genere poteva
rimanere nel gruppo delle malpighiacee. Questo fatto mi pare molto acconcio a
provare con quale metodo siano talvolta formate le nostre classificazioni.
Praticamente
i naturalisti non si preoccupano del valore fisiologico dei caratteri che
intendono impiegare per definire un gruppo o per assegnare un posto a qualche
specie particolare. Se essi trovano un carattere quasi uniforme e comune ad un
gran numero di forme e non comune alle altre, gli attribuiscono molta
importanza; se invece non sia comune che a un numero minore di forme, lo
giudicano di un valore secondario. Questo principio fu apertamente dichiarato
come il solo da seguirsi; e niuno lo espose con più chiarezza
dell'illustre botanico Aug. St-Hilaire. Se certi caratteri si trovano sempre in
relazione con altri, quantunque non possa scoprirsi una connessione palese fra
essi, si ritengono di un valore speciale. Così trovandosi in quasi tutti
i gruppi di animali certi organi importanti quasi uniformi, come quelli che
servono alla circolazione o alla respirazione o alla riproduzione, si
considerano molto utili per la classificazione; ma in altri gruppi di animali
tutti questi organi, della massima importanza vitale, offrono soltanto dei
caratteri di un valore secondario. Fritz Müller ha osservato recentemente che
entro lo stesso gruppo di crostacei la Cypridina è fornita di un
cuore, mentre manca in due generi affini, Cypris e Cytherea; una
specie di Cypridina possiede branchie, le quali mancano in altre specie.
È
facile riconoscere che i caratteri desunti dall'embrione debbono presentare
un'importanza uguale a quelli che si desumono dall'adulto, perchè le
nostre classificazioni, naturalmente, comprendono tutte le età delle
specie. Ma non è ugualmente chiaro, secondo le opinioni comunemente
accettate, come la struttura dell'embrione possa essere più importante,
a questo scopo, di quella dell'adulto, il quale soltanto compie interamente il
proprio ufficio nell'economia della natura. Pure due naturalisti eminenti,
Milne Edwards e Agassiz, hanno vivamente propugnato il principio che i
caratteri embrionali siano i più importanti di tutti nella
classificazione degli animali; e questo fu generalmente ammesso. Ma la loro
importanza venne talvolta esagerata, giacchè non furono esclusi i
caratteri di adattamento delle larve; così Fritz Müller, per
dimostrarlo, ha classificato la grande classe dei crostacei unicamente secondo
le differenze embriologiche, ed ha trovato che tale classificazione non sarebbe
naturale. Però in generale può sostenersi che i caratteri desunti
dall'embrione sono di grandissimo valore non solo negli animali, ma anche nelle
piante. Il medesimo fatto si verifica nelle piante fanerogame, delle quali le
due principali divisioni vennero fondate sui caratteri tratti dall'embrione, -
sul numero e sulla posizione delle foglie embrionali o dei cotiledoni, e sul
modo di svilupparsi della piumetta e della radichetta. Nella nostra discussione
sull'embriologia vedremo per quale motivo questi caratteri siano di tanta
importanza, nel concetto che la classificazione tacitamente include l'idea
della discendenza.
Le nostre
classificazioni sono spesso influenzate manifestamente dalla catena delle
affinità. Nulla può essere più facile del definire un
certo numero di caratteri comuni a tutti gli uccelli; ma nel caso dei crostacei
questa definizione si è finora trovata impossibile. Vi sono crostacei
agli estremi opposti della serie che hanno a stento un solo carattere comune.
Ciò non ostante le specie che sono a questi punti estremi, essendo
chiaramente affini ad altre e queste ad altre ancora, e così di seguito,
possono senza alcun equivoco riconoscersi come appartenenti a questa e non ad
altra classe degli articolati.
La
distribuzione geografica è stata usata spesso, sebbene forse non troppo
logicamente, nella classificazione; e più specialmente nei gruppi molto
vasti di forme strettamente affini. Temminck insistè sull'utilità
e sulla necessità di questo metodo per certi gruppi d'uccelli; ed alcuni
entomologi e botanici vi si attennero.
Da ultimo,
rispetto al valore comparativo dei vari gruppi di specie, come ordini,
sotto-ordini, famiglie, sotto-famiglie, e generi, pare che, almeno
presentemente, esso sia quasi arbitrario. Parecchi dei migliori botanici, come
il Bentham ed altri, hanno vivamente sostenuto che questo loro valore è
appunto incerto. Si potrebbero citare degli esempi, tanto nelle piante quanto
negli insetti, di un gruppo di forme, prima classificate dai naturalisti
pratici come generi e poscia innalzate al rango di sotto-famiglie o di
famiglie; e ciò non deve attribuirsi all'essersi scoperte importanti
differenze di struttura, dietro ulteriori ricerche, differenze che prima si
erano trascurate, ma bensì alla scoperta posteriormente fatta di molte
specie affini con gradi leggieri di differenza.
Tutte
le regole precedenti, non che le norme e difficoltà della
classificazione si spiegano, se non mi inganno, coll'ipotesi che il sistema
naturale sia fondato sulla discendenza con modificazioni; che quei caratteri,
che sono riguardati dai naturalisti come tali da provare la vera
affinità esistente fra due o più specie, sono stati ereditati da
un progenitore comune, e sotto questo aspetto ogni classificazione esatta
è genealogica; che la discendenza comune è il segreto legame che
i naturalisti vanno cercando inavvertitamente e non già qualche ignoto
piano di creazione, ovvero l'enunciato di proposizione generali, o il solo
scopo di riunire insieme e di separare oggetti più o meno simili.
Ma fa d'uopo
che io dimostri più ampiamente il mio concetto. Io credo che la
disposizione dei gruppi in ogni classe, essendo subordinata e relativa ad altri
gruppi, debba essere anche strettamente genealogica per essere naturale; ma che
il complesso delle differenze nei diversi rami o gruppi, benchè affini
per qualche grado di consanguineità al loro comune progenitore, possa
variare assai, dipendendo dai diversi gradi di modificazione a cui furono
soggetti; ciò si ammette quando si classificano le forme sotto diversi generi,
famiglie, sezioni od ordini. Il lettore intenderà meglio il mio
concetto, se si prenderà la pena di consultare di nuovo il diagramma del
capo quarto. Supponiamo che le lettere da A ad L rappresentino
dei generi affini, che vissero nell'epoca siluriana, e che questi siano
provenuti da una specie esistente in un periodo anteriore ignoto. Le specie di
tre generi fra questi (cioè A, F ed I) trasmisero
dei discendenti modificati all'epoca presente, che sono raffigurati nei 15
generi (a14 a z14) della linea orizzontale
superiore. Ora tutti questi discendenti modificati, derivanti da una sola
specie, sono rappresentati come affini di sangue o di progenie nel medesimo
grado; potrebbero metaforicamente dirsi cugini allo stesso milionesimo grado;
tuttavia essi differiscono grandemente e in grado diverso fra loro. Le forme
derivanti da A, ora divise in due o tre famiglie, costituiscono un
ordine distinto da quelle che partirono da I, e che sono pure spezzate
in due famiglie. Le specie esistenti, che discesero da A, non possono
collocarsi nel medesimo genere della madre-specie A; nè quelle
provenienti da I colla forma madre I. Ma possiamo supporre che il
genere F14 sia stato leggermente modificato e possa ancora
collocarsi nella classificazione presso il genere originario F; appunto
come è avvenuto di pochi esseri organizzati ora esistenti che
appartengono ai generi siluriani. Per modo che l'insieme, o il valore, delle
differenze esistenti fra gli esseri organizzati che sono tutti affini fra loro
nello stesso grado di consanguineità, è divenuto molto
differente. Ciò non ostante la loro disposizione genealogica rimane
rigorosamente esatta, non solo nei tempi attuali, ma anche ad ogni periodo
successivo della discendenza. Tutti i discendenti di A modificati,
avranno ereditato qualche cosa in comune dal loro parente primitivo, come pure
tutti i discendenti di I; ed altrettanto sarà avvenuto in ogni
ramo subordinato di discendenti, ad ogni periodo successivo. Se però noi
preferiamo di supporre che qualcuno dei discendenti di A o di I si
siano modificati, al punto da perdere più o meno completamente le
traccie della loro parentela, in tal caso i loro posti mancheranno, più
o meno completamente, nella classificazione naturale, come sembra sia avvenuto
talvolta negli organismi esistenti. Ora si è supposto che tutti i
discendenti del genere F, per tutta la linea genealogica, siano stati
modificati solo leggermente, ed essi formano perciò un solo genere. Ma
questo genere, sebbene molto isolato, conserverà tuttora la sua posizione
intermedia; perchè F era in origine intermedio pei suoi caratteri
fra A ed I, e i vari generi derivati da questi ultimi
avranno ereditato, fino ad una certa estensione, i loro caratteri. Questa
naturale distribuzione viene raffigurata sul diagramma, per quanto può
farsi in una figura dimostrativa, però in una maniera troppo semplice.
Se non si fosse impiegato un diagramma a ramificazioni e si fossero scritti
soltanto i nomi dei gruppi in una serie lineare, sarebbe stato anche meno
possibile il disporli secondo il sistema naturale; e sappiamo essere
impossibile il rappresentare sopra una superficie piana, mediante una serie, le
affinità che scopriamo nella natura presso gli esseri di uno stesso
gruppo. Così, secondo le mie idee, il sistema naturale è ramificato
nella sua disposizione, come una genealogia; ma i gradi di modificazione, che i
diversi gruppi hanno subìto, debbono esprimersi ordinandoli sotto
differenti generi, sotto-famiglie, famiglie, sezioni, ordini e classi.
Non
sarà senza qualche utilità lo spiegare questo concetto sulla
classificazione, prendendo il caso delle lingue. Se noi possedessimo una
genealogia perfetta della stirpe umana, una disposizione genealogica delle
razze umane ci darebbe la migliore classificazione delle diverse lingue attualmente
parlate in tutto il mondo; e quando tutte le lingue estinte e tutti i dialetti
intermedi e lentamente variabili vi fossero compresi, questa disposizione
sarebbe la più completa. Però potrebbe darsi che qualche lingua
molto antica si fosse poco alterata e che non avesse dato origine che a poche
lingue nuove, mentre altre lingue, avendo variato grandemente, avrebbero
prodotto molte lingue e molti dialetti nuovi (in seguito alla diffusione e
all'isolamento successivo delle diverse razze, derivanti da una razza
primitiva, non che pel loro stato di civiltà). I vari gradi di
differenza nelle lingue di un medesimo stipite sarebbero espressi per mezzo di
gruppi subordinati ad altri gruppi; ma la disposizione più conveniente,
od anzi la sola possibile, sarebbe la genealogica. Questa disposizione sarebbe
rigorosamente naturale, in quanto collegherebbe fra loro tutte le lingue
estinte e moderne mediante le affinità più strette e ci darebbe
la figliazione e l'origine di ogni lingua.
A conferma di
queste opinioni, diamo uno sguardo alla classificazione delle varietà,
che si credono, o si conoscono, derivate da qualche specie. Queste
varietà sono raccolte sotto le specie, come le sotto-varietà sono
riunite sotto le varietà. Nelle nostre produzioni domestiche si richiedono
diversi altri gradi di differenza, come abbiamo veduto nei colombi. L'origine
dell'esistenza di gruppi subordinati ad altri gruppi è la medesima per
le varietà come per le specie, cioè la prossimità della
discendenza con diversi gradi di modificazione. Nel classificare le
varietà si seguono quasi le stesse norme come nel classificare le
specie. Alcuni autori hanno insistito sulla necessità di classificare le
varietà secondo un sistema naturale, invece di seguire un sistema artificiale.
Così noi ci guardiamo, per esempio, dal collocare insieme due
varietà di ananasso, semplicemente pel riflesso che il loro frutto,
benchè sia la parte più importante, si trova quasi identico; e
niuno porrà insieme la rapa svedese e la rapa comune, quantunque i
grossi steli alimentari siano tanto simili. Quella parte che si trova essere la
più costante viene scelta nel classificare le varietà:
perciò il grande agricoltore Marshall dice che le corna sono molto utili
per la classificazione del bestiame, in quanto che sono meno variabili della
forma o del colore del corpo, ecc.; al contrario nelle pecore le corna sono
molto meno utili, perchè meno costanti. Nel classificare le
varietà, io ritengo che se noi avessimo la discendenza reale, sarebbe
universalmente preferita una classificazione genealogica, come tentarono di
fare alcuni autori. Perchè noi potremmo essere sicuri che, a onta di
qualsiasi modificazione, il principio dell'eredità conserverebbe tra
loro unite quelle forme che erano affini nel maggior numero di punti. Nei
colombi giratori, sebbene alcune varietà differiscano dalle altre pel
carattere importante di avere un becco più lungo, pure sono tutte
conservate nello stesso gruppo, in causa della comune abitudine di fare il
capitombolo; ma le razze a faccia corta hanno quasi perduta od anche
interamente perduta quest'abitudine; ciò non ostante, senza altri
ragionamenti o riflessioni su questo soggetto, questi colombi giratori si
lasciano nel medesimo gruppo, perchè consanguinei e somiglianti per
certi altri rapporti.
Riguardo alle
specie nello stato di natura, ogni naturalista introduce sempre la discendenza
nelle sue classificazioni; perchè egli include i due sessi nel grado
più basso, cioè in quello della specie; eppure tutti i
naturalisti sanno quanto sia grande talvolta la differenza dei due sessi nei
caratteri più importanti. A stento conosciamo un solo caso di un
attributo comune ai maschi e agli ermafroditi di certi cirripedi adulti, e
nondimeno niuno sogna di separarli. Non appena si riconobbe che le tre forme di
orchidee Monachanthus, Myanthus e Catasetum, le
quali si erano precedentemente classificate come tre generi distinti, sono
talvolta prodotte sulla medesima pianta, furono tosto considerate come
varietà; ma mi fu impossibile dimostrare che rappresentano le forme
maschile, femminile ed ermafroditica di una medesima specie. Il naturalista
comprende in una sola specie i diversi stadii di larva di uno stesso individuo,
per quanto possano differire fra loro e dall'animale adulto; così egli
vi comprende le così dette generazioni alternanti di Steenstrup, le
quali possono considerarsi come appartenenti al medesimo individuo soltanto nel
senso tecnico. Egli vi include i mostri; vi include le varietà, non solo
perchè rassomigliano strettamente alla madre-forma, ma perchè
derivano da essa.
Come
la genealogia è stata generalmente adoperata per classificare insieme
gli individui della medesima specie, sebbene i maschi, le femmine e le larve
siano qualche volta estremamente differenti; e come si è anche impiegata
per classificare delle varietà che furono soggette ad una certa
quantità e talvolta a un grande complesso di modificazioni: non potrebbe
forse questo medesimo elemento della discendenza essere stato usato
inconsciamente, nel riunire le specie sotto i generi e i generi sotto gruppi
più elevati, benchè in questi casi la modificazione sia stata
più forte ed abbia impiegato un tempo più lungo per effettuarsi?
Io credo che appunto questo elemento si sia seguìto inavvertentemente; e
soltanto in questo modo io posso intendere le varie regole e norme che si sono
adottate dai migliori nostri sistematici. Noi non abbiamo scritto delle
genealogie; noi abbiamo dedotta la discendenza comune dalle rassomiglianze di
ogni sorta. Perciò preferiamo quei caratteri che, a nostro giudizio,
debbono essere stati meno facilmente modificati, in relazione alle condizioni
di vita, a cui ogni specie fu esposta recentemente. Sotto questo aspetto gli
organi rudimentali sono ugualmente utili e talvolta anche migliori di altre
parti dell'organizzazione. Noi non ci occupiamo della poca importanza di un
carattere; - come la sola inflessione dell'angolo della mascella, il modo con
cui è piegata l'ala di un insetto, e così se la pelle sia coperta
di peli o, di penne: - ma se esso prevalga in molte specie differenti, e
specialmente in quelle aventi abitudini di vita molto diverse, assume un alto
valore; perchè noi non possiamo spiegare la sua presenza in tante forme
dotate di abitudini sì diverse, che per mezzo della eredità da un
progenitore comune. Possiamo errare a questo riguardo in alcuni punti della
struttura, ma quando parecchi caratteri, anche poco rilevanti, si presentano
riuniti in un vasto gruppo di esseri dotati di abitudini differenti, possiamo
rimanere quasi certi, per la teoria della discendenza, che questi caratteri
furono ereditati da un antenato comune. E sappiamo che questi caratteri
accumulati e correlativi hanno una speciale importanza nella classificazione.
Possiamo
anche intendere in che modo una specie, o un gruppo di specie, possa allontanarsi,
in parecchie delle sue caratteristiche più importanti, dalle specie
affini ed essere nullameno classificato colle medesime. Questa classificazione
può farsi con sicurezza e spesso viene adottata finchè un numero
sufficiente di caratteri, anche di pochissima importanza, tradisce il nascosto
legame della discendenza comune. Ove due forme non abbiano un solo carattere
comune, ma nondimeno queste due forme estreme siano connesse fra loro da una
serie di gruppi intermedi, possiamo inferirne la comune loro discendenza e
porle tutte nella medesima classe. Siccome troviamo che gli organi del
più alto valore fisiologico, quelli che servono a preservare la vita
sotto le condizioni di esistenza più diverse, sono generalmente i
più costanti, noi annettiamo ai medesimi una speciale importanza; ma se
questi medesimi organi in un altro gruppo o in una sezione di esso si
presentano molto differenti, noi attribuiamo ai medesimi una importanza minore
nella nostra classificazione. Sono d'avviso che noi potremo perciò
chiaramente riconoscere come i caratteri embriologici siano di tanta importanza
nella classificazione. Anche la distribuzione geografica può giovarci
talvolta, nel classificare i generi ricchi ed ampiamente sparsi, perchè
tutte le specie del medesimo genere, le quali abitano una regione distinta ed
isolata, sono derivate probabilmente dai medesimi parenti.
SOMIGLIANZE
ANALOGHE
Secondo
queste idee, ci è facile spiegare la disposizione importante che passa
fra le affinità reali e le rassomiglianze analogiche o di adattamento.
Il Lamarck pel primo pose in rilievo codesta distinzione e venne seguito
abilmente dal Macleay e da altri. La rassomiglianza nella forma del corpo e
nelle estremità anteriori foggiate a guisa di pinne, fra il ducongo,
animale che offre qualche affinità coi pachidermi, e la balena, non che
fra questi due mammiferi e i pesci è soltanto analogica. Così
pure è analogica la somiglianza che esiste fra un topo ed un musaragno (Sorex),
i quali appartengono ad ordini diversi; e dicasi altrettanto di un'altra
somiglianza, su cui ha insistito il Mivart, fra un topo ed un piccolo
marsupiale dell'Australia (Antechinus). A quanto mi sembra,
queste ultime somiglianze si possono spiegare coll'adattazione a movimenti in
simil modo attivi traverso le folte macchie e i luoghi erbosi, ed a nascondersi
davanti ai nemici.
Negli insetti
si trovano innumerevoli esempi di questo genere: così il Linneo, sedotto
dall'apparenza esterna, ha classificato un omottero tra le tignuole. Qualche
cosa di simile noi troviamo presso le nostre varietà coltivate nella
forma del corpo sorprendentemente simile del maiale cinese e del maiale comune,
e nel caule ingrossato della rapa comune e della rapa svedese. La somiglianza
tra il levriere ed il corsiere inglese è difficilmente più
bizzarra delle analogie che alcuni autori hanno stabilito tra animali fra loro
molto discosti.
Secondo
il mio concetto, che i caratteri sono di una importanza reale per la
classificazione solo in quanto essi ci fanno conoscere la discendenza, possiamo
facilmente intendere, come avvenga che i caratteri analogici o di adattamento
siano quasi in niun valore pei sistematici, sebbene siano della massima
importanza per la prosperità dell'essere. Perchè gli animali
appartenenti a due linee di discendenza delle più distinte possono
rapidamente uniformarsi a condizioni simili, ed assumere per conseguenza una
forte rassomiglianza esterna; ma queste rassomiglianze non ci riveleranno la
loro consanguineità colle proprie linee di discendenza, che anzi
tenderanno a celarla. Così sapremo anche risolvere il paradosso
apparente che gli stessi caratteri sono analogici, quando si confronta una
classe o un ordine con un altro, ma ci danno invece delle vere affinità
quando si paragonino fra loro i membri di una classe o di un ordine. Per tal
modo la forma del corpo e le estremità foggiate a guisa di natatoie sono
soltanto analogiche, quando si confrontino le balene coi pesci, non essendo che
opportuni adattamenti in ambe le classi per muoversi a nuoto nell'acqua; ma la
forma del corpo e le estremità simili alle pinne servono come caratteri
che stabiliscono una vera affinità tra i diversi membri dell'intera
famiglia: perchè questi cetacei sono conformi in tanti caratteri, grandi
e piccoli, per cui non può dubitarsi che abbiano ereditato la loro forma
generale del corpo e la struttura delle estremità da un progenitore
comune. Altrettanto si osserva riguardo ai pesci.
Si potrebbero
citare numerosi esseri affatto distinti che offrono una somiglianza
sorprendente in singole parti od organi che furono adattati ad una medesima
funzione. Un buon esempio ci è dato dalla grande somiglianza delle
mascelle nel cane e nel lupo della Tasmania (Thylacinus), animali
che trovansi molto discosti fra loro nel sistema naturale. Ma questa
somiglianza è limitata all'apparenza generale, cioè alla
prominenza dei canini ed alla forma tagliente dei molari. In realtà i
denti diversificano molto in quei due animali; così il cane porta in
ciascun lato della mascella superiore quattro molari spurii e solamente due
molari veri, mentre il Thylacinus possiede tre molari spurii e quattro
veri. I molari nei due animali differiscono anche nella relativa grandezza e
nella struttura. Alla dentiera stabile precede una dentiera caduca assai
diversa. Naturalmente, ognuno può negare in ambedue i casi che i denti
siano stati adattati alla dilaniazione delle carni colla scelta naturale di
variazioni successive; ma se ciò si ammetta per un caso, non si
comprende come lo si possa negare per l'altro. Vedo con piacere che un uomo
così autorevole come il Flower è arrivato alla medesima
conclusione.
Gli
esempi straordinari citati in un campo precedente, che cioè pesci molto
diversi possiedono organi elettrici, che insetti molto differenti hanno organi
luminosi, e che le orchidee e le asclepiadee portano delle masse polliniche con
dischi viscidi, appartengono alla stessa categoria delle somiglianze analoghe.
Ma questi esempi sono così maravigliosi, che furono citati come
difficoltà od obbiezioni alla mia teoria. In tutti questi casi
può dimostrarsi che esistono determinate differenze fondamentali
nell'accrescimento, o nello sviluppo delle parti, ed in generale anche nella
struttura maturata. Lo scopo che deve essere raggiunto è il medesimo, ma
i mezzi sono sostanzialmente diversi, sebbene possano apparire uguali all'esame
superficiale. Il principio già menzionato sotto il nome di «variazione
analoga» ha probabilmente avuto una parte in questi casi, voglio dire che i
membri di una medesima classe, benchè siano di lontana parentela, hanno
ereditato tanto di comune nella loro costituzione, che sotto l'azione di cause
simili tendono a variare in modo simile; e ciò evidentemente
favorirà l'acquisto, a mezzo dell'elezione naturale, di parti ed organi,
che tra loro si somigliano in modo manifesto, indipendentemente da una diretta
eredità da un comune progenitore.
Siccome i
membri di classi distinte sono stati spesso adattati, per mezzo di piccole
modificazioni successive, a vivere sotto circostanze quasi consimili, - ad
abitare, per esempio, la terra, l'aria e l'acqua, così potremo forse
spiegare come avvenga che talvolta si osserva un parallelismo numerico fra i
sottogruppi di classi distinte. Un naturalista, colpito da un tale parallelismo
in una classe qualsiasi, alzando o abbassando arbitrariamente il valore dei
gruppi in altre classi (e tutta la nostra esperienza dimostra che questa
valutazione è stata fin qui arbitraria), può facilmente estendere
il parallelismo sopra una vasta scala; ed in tal modo si sono formate probabilmente
le classificazioni settenarie, quinarie, quaternarie e ternarie.
Vi ha
un'altra ed interessante classe di casi, ne' quali una grande somiglianza
esterna non dipende da adattamento a simili abitudini di vita, ma fu acquistata
allo scopo di protezione. Alludo al modo maraviglioso, col quale certe farfalle
imitano altre specie molto diverse, come pel primo ci fece conoscere il Bates.
Questo distinto osservatore ha trovato che in alcuni distretti dell'America
meridionale, dove, ad esempio, una Ithomia abbonda in magnifici stormi,
un'altra farfalla del genere Leptalis si rinviene mescolata nello
stormo, e talmente somiglia ad una Ithomia in ogni gradazione e
dettaglio di colore, che il Bates, sebbene avesse l'occhio esercitato colla
pratica di undici anni e facesse sempre grande attenzione, fu nondimeno
continuamente ingannato. Se le forme imitanti ed imitate siano prese e tra loro
confrontate, si vede che diversificano assai nella struttura essenziale, ed
appartengono non solo ad altri generi, ma spesso perfino ad altre famiglie. Se
questo mimismo fosse occorso solamente una o due volte, si avrebbe potuto
considerarlo come una singolare coincidenza e passarvi sopra. Ma se ci
allontaniamo da un distretto, in cui una Leptalis imita una Ithomia,
si troverà un'altra forma imitata da una imitante, comprese negli
stessi due generi, ed ugualmente simili tra di loro. In complesso si citano non
meno di dieci generi, i quali comprendono delle specie che imitano farfalle. La
forma imitata e la imitante abitano sempre la medesima regione; non conosciamo
alcuna forma imitante che abiti a distanza dalla imitata. Le forme imitanti
sono quasi senza eccezione insetti rari; le imitate vivono quasi sempre a
grandi stormi. Nello stesso distretto, in cui una Leptalis imita una Ithomia,
trovansi talvolta altri lepidotteri che imitano la stessa Ithomia;
così che nella stessa località si possono trovare specie di tre
generi di farfalle, e perfino di una tignuola, le quali tutte somigliano in
modo straordinario ad una specie di un quarto genere. Merita qui di essere
particolarmente notato, che tanto molte delle forme imitanti di Leptalis,
come molte delle forme imitate possono essere riconosciute col mezzo delle
serie graduate come semplici varietà di una medesima specie, mentre
altre sono senza dubbio specie distinte. Ma perchè, potrà
domandarsi, certe forme sono considerate come imitate, ed altre come imitanti?
Il Bates risponde a questa domanda in modo soddisfacente, dicendo che la forma
imitata conserva l'abito generale del gruppo cui appartiene; mentre la imitante
ha cambiato il suo abito e non somiglia più ai suoi prossimi parenti.
Ora si tratta
di sapere a quale causa si possa ascrivere che certe farfalle e tignuole
assumono sì spesso l'abito di altre forme affatto distinte; per quale
motivo la natura, a confusione del naturalista, si abbassi a manovre da scena!
Il Bates ha dato senza dubbio la vera spiegazione. Le forme imitate, che vivono
sempre assai numerose, devono in generale sfuggire in alto grado alla
distruzione, altrimenti non potrebbero apparire in tali stormi; le numerose
prove ora raccolte ci dicono che gli uccelli ed altri animali insettivori hanno
per esse ripugnanza. Al contrario le forme imitanti, che abitano il medesimo
distretto, sono relativamente rare, ed appartengono a gruppi rari. Esse devono
quindi ordinariamente essere esposte ad una certa distruzione, perchè
altrimenti, giudicando dal numero delle uova che depongono tutte le farfalle,
dopo tre o quattro generazioni si troverebbero a stormi nell'intera regione. Se
quindi un membro di un gruppo perseguitato e raro assumesse tale abito da
somigliare ad una specie ben protetta, a segno da ingannare continuamente
l'occhio esperto di un entomologo, esso ingannerebbe al certo spesso anche gli
uccelli da preda e gli insetti, e sfuggirebbe quindi a completa distruzione. Si
può quasi dire che il Bates ha veramente spiato il processo, col quale
la forma imitante diventa nei caratteri esterni così simile alla
imitata, poichè ha osservato che alcune tra le forme di Leptalis,
le quali imitano parecchie altre farfalle, variano assai. In un distretto
hannovi parecchie varietà, delle quali una sola somiglia in un certo
grado alla comune Ithomia dello stesso distretto. In un altro distretto
vivono due o tre varietà, di cui una è molto più frequente
dell'altra e somiglia assai ad un'altra forma di Ithomia. Da questi
fatti il Bates conclude che la Leptalis ha dapprima variato, e che una
varietà, la quale accidentalmente somigliava fino ad un certo grado ad
una farfalla dello stesso distretto, in seguito a tale somiglianza con una
specie fiorente e poco perseguitata, aveva maggiore probabilità di
sfuggire alla distruzione prodotta dagli uccelli da preda e dagli insetti, e fu
quindi più spesso conservata; «i gradi meno perfetti di somiglianza
saranno stati eliminati nel corso delle generazioni, e solo gli altri saranno
stati preservati per la propagazione della specie». Noi abbiamo quindi nel
fatto presente un bell'esempio di elezione naturale.
Anche il
Wallace ed il Trimen hanno descritto parecchi casi ugualmente stringenti di
imitazione nei lepidotteri dell'Arcipelago Malese, ed in alcuni altri insetti.
Il Wallace ha scoperto un esempio di imitazione anche negli uccelli; ma nei
mammiferi maggiori nulla fu trovato di questo genere. La maggiore frequenza
della imitazione degli insetti, di fronte ad altri animali, è
probabilmente dipendente dalla loro minore statura; gli insetti non possono
difendersi da sè, eccettuate le specie che sono armate di pungiglione,
ed io non ho mai udito che un tale insetto imiti un'altra forma, sì bene
che sia imitato. Gli insetti non possono sfuggire agli animali maggiori col
volo, e quindi, come il maggior numero delle creature deboli, devono ricorrere
all'artifizio ed alla simulazione.
Si
deve notare che il processo di imitazione probabilmente non ha mai cominciato
in forme tra loro molto dissimili nel colore. Ma se incomincia in specie tra
loro già simili, la massima somiglianza, se è utile, può
facilmente essere raggiunta coi mezzi su descritti; e se la forma imitata
subisse in seguito per qualsiasi causa delle lente modificazioni, la forma
imitante dovrebbe percorrere la medesima via e cambiarsi ampiamente,
cosicchè in fine avrà un aspetto o colore affatto diverso da
quello degli altri membri della famiglia cui appartiene. Qui, però, si
presenta qualche difficoltà, giacchè è necessario supporre
che in alcuni casi gli antichi membri, appartenenti a parecchi gruppi distinti,
prima di divergere tra loro nella estensione presente, somigliassero
accidentalmente ad un membro di un altro gruppo, protetto in grado sufficiente,
per ottenere una leggiera protezione. E questo fu il punto di partenza per
giungere più tardi alla perfetta somiglianza.
NATURA DELLE
AFFINITÀ CHE COLLEGANO INSIEME
GLI ESSERI
ORGANICI
I discendenti
modificati delle specie dominanti, che appartengono ai generi più
ricchi, avendo la tendenza di ereditare quei vantaggi che rendono vasti i
gruppi delle medesime e che rendono dominanti i loro parenti, sono quasi certi
di diffondersi ampiamente e di occupare dei luoghi sempre più vasti
nell'economia della natura. I gruppi più estesi e più dominanti
d'ogni classe tenderanno quindi ad aumentare ulteriormente: e per conseguenza,
soppianteranno molti gruppi più piccoli e più deboli. Così
possiamo dare la spiegazione del fatto, che tutti gli organismi, recenti ed
estinti, sono compresi in pochi ordini grandi e sotto un numero di classi anche
minore, e infine in un solo grande sistema naturale. A provare quanto sia
piccolo il numero dei gruppi più elevati e come siano ampiamente sparsi
per tutto il mondo, abbiamo il fatto rimarchevole che la scoperta
dell'Australia non aggiunse un solo insetto che spettasse ad una classe nuova;
e che nel regno vegetale, come imparai dal dott. Hooker, si aggiunsero soltanto
due o tre famiglie poco estese.
Nel capo
della Successione geologica ho voluto dimostrare, appoggiandomi al principio
che ogni gruppo si fa generalmente assai divergente nel suo carattere, durante
il processo di modificazione lungamente continuato, da che cosa provenga che le
più antiche forme di vita presentano spesso dei caratteri in qualche
lieve grado intermedi fra i gruppi esistenti. Una piccola quantità di
forme primitive, antiche ed intermedie, essendo stata trasmessa fino all'epoca
attuale occasionalmente, ci darà i così detti gruppi oscillanti
od aberranti. Quanto più aberrante è una data forma, tanto
maggiore deve essere il numero delle forme intermedie di collegamento, le
quali, secondo la mia teoria, furono esterminate e perdute completamente.
Abbiamo qualche prova che le forme aberranti hanno sofferto gravemente gli
effetti della estinzione, perchè esse sono generalmente rappresentate da
pochissime specie, e queste specie sono in generale molto distinte fra loro, il
che suppone che l'estinzione di altre forme sia avvenuta. I generi ornitorinco
e lepidosirena, per esempio, non sarebbero meno aberranti, se ognuno di essi
fosse rappresentato da una dozzina di specie invece di una sola; ma questa
abbondanza di specie, come ho trovato dopo alcune investigazioni, non si trova
comunemente nei generi aberranti. Io credo che possiamo dar ragione di questo
fatto solo col riguardare le forme aberranti come gruppi in decadenza,
conquistati da competitori più fortunati, dei quali solo pochi membri
furono conservati, per qualche coincidenza straordinaria di circostanze
favorevoli.
Il
Waterhouse ha osservato che, quando un individuo appartenente ad un gruppo di
animali offre qualche affinità con un gruppo affatto distinto,
quest'affinità in molti casi è generale, anzichè speciale;
così, secondo Waterhouse, il Bizcacha è, fra tutti
i roditori, il più affine ai marsupiali; ma nei punti in cui si avvicina
a quest'ordine le sue relazioni sono generali e non già connesse a
qualche data specie di marsupiali piuttosto che ad un'altra. Siccome i punti di
affinità del Bizcacha coi marsupiali si credono reali e non di
semplice adattamento, essi debbonsi attribuire, secondo la mia teoria,
all'eredità comune. Perciò fa d'uopo supporre o che tutti i
roditori, compreso il Bizcacha, si siano diramati da qualche
marsupiale molto antico, che avrà posseduto un carattere molto antico in
qualche grado intermedio, riguardo a tutti i marsupiali esistenti; oppure che i
roditori e i marsupiali siano derivati da un progenitore comune e che questi
due gruppi fossero poi soggetti a molte modificazioni in direzioni divergenti.
In ambe le ipotesi possiamo ritenere che il Bizcacha ha conservato per
l'eredità maggiori rassomiglianze al carattere dell'antico progenitore
che gli altri roditori; e perciò non avrà speciali rapporti con
ciascuno dei marsupiali esistenti, ma indirettamente con tutti o quasi tutti i
marsupiali stessi, avendo in parte serbato il carattere del loro progenitore
comune o di un antico individuo del gruppo. D'altra parte di tutti i
marsupiali, come fu notato dal Waterhouse, il Phascolomys ha una
rassomiglianza più stretta non ad una data specie, ma a tutto l'ordine
generale dei roditori. In tal caso però può nascere il sospetto
che la rassomiglianza sia semplicemente analogica, e dipenda dall'essersi il Phascolomys
adattato ad abitudini consimili a quelle di un roditore. Il vecchio De
Candolle ha fatto delle osservazioni quasi simili sulla natura generale delle
affinità di famiglie distinte di piante.
Partendo dal
principio della moltiplicazione e della graduale divergenza nei caratteri delle
specie derivanti da un parente comune, mentre esse conservano per
eredità alcuni caratteri in comune, possiamo giungere a spiegare le
affinità eccessivamente complesse e divergenti, per mezzo delle quali
tutti i membri di una stessa famiglia, o di un gruppo più elevato, sono
collegati insieme. Perchè il parente comune di un'intera famiglia di
specie, ora spezzata per la estinzione in gruppi e sotto-gruppi, avrà
trasmesso alcuni de' suoi caratteri, modificati in vari modi e in diversi gradi
a tutti; e le varie specie saranno per conseguenza collegate l'una coll'altra
per mezzo di linee tortuose di affinità, linee di varia lunghezza (come
può vedersi nel diagramma sì di sovente da noi citato), le quali
risalgono passando per mezzo ai molti predecessori. Come riesce difficile
dimostrare la parentela esistente fra la numerosa progenie di un'antica e
nobile famiglia, anche coll'aiuto di un albero genealogico, ed è quasi
impossibile farlo senza questa scorta: ne possiamo dedurre l'immensa
difficoltà che i naturalisti incontrano, nel descrivere, senza l'aiuto
di un diagramma, le varie affinità che essi riscontrano fra i molti
membri viventi ed estinti di una stessa grande classe naturale.
Abbiamo veduto
nel capo quarto che l'estinzione ebbe una parte importante nel definire ed
estendere gli intervalli fra i diversi gruppi d'ogni classe. Così noi
possiamo spiegare la separazione esistente fra certe classi, per esempio,
quella che si osserva fra gli uccelli e tutti gli altri animali vertebrati, -
colla ipotesi che si sono perdute interamente molte antiche forme di vita, le
quali servivano anticamente a collegare i primi progenitori degli uccelli con
quelli delle altre classi dei vertebrati. Sembra che l'estinzione sia stata
meno completa fra le forme di vita che rannodavano una volta i pesci coi
batraci; e sarà stata anche più ristretta in certe altre classi,
come in quella dei crostacei, perchè le forme più diverse vi sono
ancora legate insieme da una catena di affinità lunga, sebbene
discontinua. La estinzione ha separato i gruppi: essa non li ha formati;
perchè se ogni forma che un giorno esistette sulla terra fosse
improvvisamente ricomparsa, quantunque sarebbe stato affatto impossibile il
dare definizioni per le quali ogni gruppo potesse distinguersi dagli altri
gruppi, mentre si confonderebbero insieme per gradazioni tanto minute, quanto
lo sono quelle che vediamo fra le varietà esistenti, ciò
nonostante potrebbe farsi una classificazione naturale o almeno una
disposizione naturale. Sarà facile dimostrarlo avendo sott'occhio il
diagramma. Le lettere da A ad L possono rappresentare undici
generi siluriani, dei quali alcuni produssero vasti gruppi di discendenti
modificati; ogni forma intermedia fra questi undici generi e il loro parente
primordiale, e così ogni legame intermedio in ogni ramo e sotto-ramo dei
loro discendenti, può supporsi ancora vivente; e può ammettersi
che tali legami siano tanto insensibili come quelli che troviamo tra le
varietà più strette. In tal caso sarebbe affatto impossibile il
dare qualunque definizione, con cui potessero distinguersi i vari membri dei
diversi gruppi dai loro parenti più immediati; oppure questi parenti dal
loro antico ed ignoto progenitore. Tuttavia la disposizione naturale del
diagramma sarebbe ancora giusta; e tutte le forme derivanti da A o da I
dovrebbero, pel principio di eredità, avere qualche cosa di comune. In
un albero possiamo specificare questo o quel ramo, sebbene siano tutti uniti e
frammisti nella biforcazione dal tronco. Noi non potremmo definire, come dissi,
i diversi gruppi; ma potremmo bensì scegliere dei tipi o delle forme che
riunissero la maggior parte dei caratteri d'ogni gruppo, grande o piccolo, e
dare in tal modo un'idea generale del valore delle differenze che passano fra
gli uni e gli altri. Noi potremmo giungere a ciò, se riuscissimo a
raccogliere tutte le forme di ogni classe che vissero in tutti i tempi nello
spazio. Noi certamente non arriveremo giammai a fare una collezione così
perfetta: nondimeno in certe classi si tende a questo risultato; e Milne
Edwards ha ultimamente insistito, in un pregevole scritto, sull'alta importanza
dello studio dei tipi, possano o no separarsi o definirsi i gruppi a cui questi
tipi appartengono.
Finalmente
abbiamo veduto che l'elezione naturale, che deriva dalla lotta per l'esistenza,
e che quasi inevitabilmente produce l'estinzione di alcune specie e la
divergenza del carattere in molti discendenti di una madre-specie dominante,
spiega la grande caratteristica universale delle affinità di tutti gli
esseri organizzati, vale a dire la loro distribuzione in gruppi subordinati ad
altri gruppi. Noi ci serviamo dell'elemento della discendenza nel classificare
gli individui di ambi i sessi e di tutte le età sotto una sola specie,
sebbene abbiano pochi caratteri comuni; impieghiamo anche lo stesso elemento
della discendenza nel classificare le varietà conosciute, per quanto
siano differenti dal loro progenitore; ed io credo che questo elemento della discendenza
sia il segreto anello di congiunzione che i naturalisti vanno cercando col
termine Sistema naturale. Secondo questa idea che il sistema naturale, per
quanto potè perfezionarsi, è genealogico nelle sue disposizioni,
con vari gradi di differenza fra i discendenti da un parente comune, che
vennero espressi mediante le parole generi, famiglie, ordini, ecc., possiamo
intendere le regole che siamo costretti a seguire nelle nostre classificazioni.
Possiamo spiegare i motivi per cui valutiamo certe rassomiglianze più di
certe altre; come ci permettiamo di servirci di certi organi rudimentali ed
inutili, o di altri organi di poca importanza fisiologica; come nel paragonare
un gruppo con altro gruppo distinto, noi trascuriamo sommariamente i caratteri
analogici o di adattamento, e ciò non pertanto adoperiamo gli stessi
caratteri nei limiti di uno stesso gruppo. Possiamo infine dimostrare con
evidenza come avvenga che tutte le forme viventi ed estinte possano riunirsi
insieme in un grande sistema; e come i diversi individui d'ogni classe siano
collegati fra loro dalle linee di affinità più complesse o
divergenti. Probabilmente non potremo mai svolgere la tela inestricabile delle
affinità esistenti fra i membri di ogni classe; ma quando noi abbiamo in
vista un oggetto distinto, senza ricorrere a qualche ignoto piano di creazione,
possiamo sperare di fare dei progressi lenti ma sicuri.
Il prof.
Häekel, nella sua Morfologia generale ed in parecchie altre opere, ha
impiegato recentemente la grande sua scienza ed abilità per rintracciare
la filogenesi, ovvero le linee di discendenza di tutti gli esseri organici. Nel
seguire le singole serie egli si affida principalmente ai caratteri
embriologici, ma si giova anche degli organi omologhi e rudimentali, e dei
periodi, durante i quali si ammette che le diverse forme di vita siano
successivamente apparse nelle nostre formazioni geologiche. Egli fece
così un primo grande tentativo, e ci mostrò come in avvenire la
classificazione dovrà essere trattata.
MORFOLOGIA
Abbiamo
veduto che i membri di una medesima classe, indipendentemente dalle loro
abitudini di vita, si rassomigliano nel piano generale della loro
organizzazione. Questa rassomiglianza viene spesso indicata col termine Unità
di tipo, oppure col dire che le varie parti ed organi sono omologhi
nelle differenti specie della classe. Questo argomento si abbraccia interamente
col nome generale di Morfologia. Questa è la parte più
interessante della storia naturale, e potrebbe dirsi che ne è l'anima.
Quale cosa potrebbe essere più singolare della mano dell'uomo fatta per
afferrare, della zampa della talpa destinata a scavare la terra, della gamba
del cavallo, della natatoia della testuggine marina, e delle ali del
pipistrello, organi che furono tutti costrutti sullo stesso modello e che sono
formati di ossa consimili e disposte similmente le une rispetto alle altre? E
per citare un esempio pure interessante, benchè di minore importanza,
non è forse degno di considerazione il fatto che il piede posteriore del
canguro, il quale è atto a saltare nelle aperte pianure, e quello del
caola rampicante e fillofago, il quale è atto ad abbracciare i rami,
come anche quello del bandicoot che vive al suolo e si nutre di insetti e di
radici, e quello di alcuni altri marsupiali australesi sono conformati sul
medesimo tipo straordinario, e cioè colle falangi del secondo e terzo
dito assai sottili ed involte nella medesima cute, cosicchè sembrano
formare un dito solo finito da due artigli? Malgrado questa somiglianza di
costruzione, i piedi posteriori di questi animali assai diversi sono
evidentemente impiegati agli scopi più differenti che si possano
immaginare. L'esempio è tanto più sorprendente, perchè gli
opossum dell'America, i quali hanno quasi le stesse abitudini di vita come
alcuni de' loro parenti australesi, hanno i piedi conformati secondo il tipo
ordinario. Il prof. Flower, cui devo queste notizie, osserva nella conclusione:
«noi possiamo ciò chiamare uniformità di tipo, con che non ci
accostiamo molto alla spiegazione del fenomeno»; e poi soggiunge «non ci
suggerisce questo fenomeno con molta forza l'idea di una reale affinità,
di una eredità da un comune antenato?».
Geoffroy
St-Hilaire ha sostenuto con tutto lo zelo l'alta importanza della connessione
relativa degli organi omologhi; le parti possono cambiare quasi indefinitamente
nella forma e nella grandezza, quantunque rimangano sempre insieme collegate e
riunite nel medesimo ordine. Noi non troviamo mai, per esempio, che siano
collocate inversamente le ossa del braccio e dell'avambraccio, o quelle della
coscia e della gamba. Quindi si danno gli stessi nomi alle ossa omologhe di
animali completamente diversi. Noi osserviamo la stessa grande legge nella
costruzione della bocca degli insetti. Che cosa infatti potrebbe darsi di
più differente della proboscide spirale immensamente lunga di un
lepidottero crepuscolario, del rostro rivolto indietro in modo particolare
della cimice e delle grandi mascelle del cervo volante? - eppure tutti questi
organi, inservienti a scopi tanto diversi, sono formati da modificazioni
infinitamente numerose di un labbro superiore, delle mandibole e di due paia di
mascelle. Analoghe leggi governano la conformazione della bocca e delle
estremità dei crostacei; e si osservano altresì nei fiori delle
piante.
Sarebbe affatto
inattendibile l'indagare la somiglianza delle forme nei membri di una medesima
classe, cercando di spiegarla colla loro utilità o mediante la dottrina
delle cause finali. L'impossibilità di raggiungere questo intento fu
ammessa chiaramente dall'Owen, nella sua opera, assai interessante, intitolata Nature
of Limbs. Secondo l'opinione ordinaria della creazione indipendente di ogni
essere, non possiamo far altro che constatare il fatto: e dire - che piacque al
Creatore di costruire in questo modo ogni animale ed ogni pianta.
Invece,
stando alla teoria della elezione naturale di piccole modificazioni successive,
la spiegazione di questo fatto è chiara, perchè ogni
modificazione è vantaggiosa in qualche modo alla forma modificata, ma
spesso agisce anche sopra altre parti dell'organizzazione, in seguito alla
correlazione di sviluppo. Nei cambiamenti di tal natura vi sarà poca o
nessuna tendenza a modificare il modello originale ed a traslocare le varie
parti. Le ossa di un arto possono essere accorciate od ingrossate in ogni
proporzione ed anche rimanere a poco a poco avviluppate da una grossa membrana,
in modo da servire come una natatoia; ovvero possono allungarsi tutte le ossa,
o soltanto certe ossa di un piede palmato, in modo che la membrana che le
congiunge si allarghi al punto da servire a guisa di un'ala; nondimeno in
questo grande complesso di modificazioni non vi sarà alcuna tendenza ad
alterare il sistema delle ossa o la disposizione e connessione relativa delle
diverse parti. Se noi supponiamo che l'antico progenitore, l'archetipo, come
potrebbe chiamarsi, di tutti i mammiferi, avesse le sue estremità
costrutte sul modello generale attuale, qualunque ne fosse l'uso, possiamo
tosto comprendere la significazione chiara della costruzione omologa delle membra
in tutta la classe. Così riguardo alla bocca degl'insetti, non abbiamo
che da supporre che il loro comune progenitore avesse un labbro superiore,
delle mandibole e due paia di mascelle, queste parti essendo forse molto
semplici nella forma; e allora la elezione naturale ci renderà conto
della infinita diversità nella struttura e nelle funzioni della bocca
degl'insetti. Tuttavia può concepirsi che il piano generale di un organo
può rimanere oscurato, al punto che se ne perda ogni traccia, per mezzo
dell'atrofia, ed infine per il completo assorbimento di certe parti, per la
fusione di altre parti e pel raddoppiamento o la moltiplicazione di altre, -
variazioni che sappiamo essere nei limiti della possibilità. Nelle
natatoie degli estinti sauri marini giganteschi (Ichthyosaurus) e
nella bocca di certi crostacei succhianti, sembra che il sistema generale sia
stato in questo modo alterato fino ad un certo punto.
Ora passiamo
ad un altro ramo di questo soggetto, il quale è ugualmente notevole;
cioè il confronto che può istituirsi, non più fra le parti
omologhe dei vari membri della classe, ma fra le diversi parti e gli organi
diversi di uno stesso individuo. Si crede dalla maggior parte dei fisiologi che
le ossa del cranio siano omologhe colle parti elementari di un certo numero di
vertebre, - cioè siano corrispondenti nel numero e nella situazione
rispettiva. Le estremità anteriori e posteriori in ogni individuo delle
classi dei vertebrati sono evidentemente omologhe. La stessa legge ha luogo, se
poniamo a confronto le mascelle tanto complicate e le zampe dei crostacei.
Quasi tutti sanno che in un fiore la posizione relativa dei sepali, dei petali,
degli stami e dei pistilli, non meno che la loro struttura interna, possono
spiegarsi dal punto di vista che queste parti risultano da foglie
metamorfosate, disposte in una spirale. Nelle piante mostruose abbiamo una
prova diretta delle possibilità che un organo sia trasformato in un
altro; e ci sarà facile ravvisare negli embrioni dei crostacei e in molti
altri animali, non che nei fiori, che alcuni organi, i quali quando sono
interamente sviluppati sono molto differenti, nel primo stadio di sviluppo sono
invece esattamente simili.
Questi fatti
non sono forse inesplicabili, partendo dall'ipotesi ordinaria della creazione?
Per quale motivo è racchiuso il cervello in una scatola, composta di
tanti pezzi d'osso; sì stranamente conformati? Come fu notato dall'Owen,
l'utile derivante dallo spostamento di pezzi separati, nell'atto del parto dei
mammiferi, non serve a spiegare la stessa costruzione nei cranii degli uccelli.
Come dovrebbero essere state create delle ossa consimili a quelle di altri
mammiferi nella formazione dell'ala e della gamba del pipistrello, mentre sono
destinate ad usi totalmente diversi. Come potrebbe darsi che un crostaceo che
abbia una bocca estremamente complessa, formata di molte parti, debba sempre
avere, per conseguenza, un numero minore di zampe; oppure inversamente, quelli
che posseggono molte zampe, debbano presentare delle bocche più semplici?
Perchè dovrebbero i sepali, i petali, gli stami ed i pistilli di ogni
fiore individuale essere tutti costrutti secondo il medesimo sistema, sebbene
siano destinati ad uno scopo affatto diverso?
Al contrario,
in base della teoria dell'elezione naturale, potremo rispondere in modo
soddisfacente a codeste questioni. Nei vertebrati noi osserviamo una serie di
vertebre interne che portano certi processi e certe appendici; negli annulosi
noi vediamo il corpo diviso in una serie di segmenti che sostengono delle appendici
esterne; e nelle piante fanerogame troviamo una serie di foglie successive, a
spirale. Una ripetizione indefinita della stessa parte o del medesimo organo
è la caratteristica comune di tutte le forme inferiori o poco modificate
(come fu osservato dall'Owen); perciò noi possiamo ragionevolmente
supporre che l'ignoto progenitore dei vertebrati avesse molte vertebre:
l'ignoto progenitore degli annulosi molti segmenti: e quello delle piante
fanerogame molte foglie, inserite sopra una linea spirale. Abbiamo veduto
superiormente che le parti ripetute molte volte sono eminentemente soggette a
variare di numero e di struttura; è quindi assai probabile che
l'elezione naturale, durante il lungo e continuo processo di modificazione,
siasi esercitata sopra un certo numero di elementi che erano somiglianti da
principio, e ripetuti molte volte, e li abbia resi atti agli uffici più
differenti. E siccome l'intero insieme delle modificazioni si sarà
effettuato per gradazioni lente e successive, non dobbiamo stupirci di rinvenire
in queste parti ed in questi organi un certo grado di rassomiglianza
fondamentale, che fu conservata pel principio di eredità. E tale
somiglianza sarà tanto più conservata, perchè le
variazioni, le quali costituiscono la base delle susseguenti modificazioni col
mezzo della elezione naturale, tendono ad essere simili fino dal principio,
essendo uguali le parti in uno stadio precoce di sviluppo, ed esposte a
condizioni quasi identiche. Siffatte parti, siano più o meno modificate,
presenteranno delle serie omologhe, a meno che la comune origine non sia
interamente celata.
Nella grande
classe dei molluschi, sebbene possiamo omologare le parti di una specie con
quelle di un'altra specie distinta, non riscontriamo che poche omologie di
serie; cioè di rado siamo capaci di dire che una parte o un organo sia
omologo con un altro del medesimo individuo. Questo fatto può
comprendersi facilmente; perchè nei molluschi, anche nei membri
più bassi della classe, non troviamo quasi mai tante ripetizioni
indefinite di qualche organo, quante ne troviamo nelle altre grandi classi dei
regni animale e vegetale.
La
morfologia peraltro è un argomento assai più complicato di quanto
possa sembrare a prima vista, come ha dimostrato recentemente Ray Lankester in
una memoria interessante. Egli stabilisce un limite importante fra certe classi
di casi che sono dai naturalisti indistintamente classificati tra le omologie.
E propone di chiamare omogene quelle strutture che nei diversi animali
si somigliano per effetto della discendenza da un comune progenitore con
susseguente modificazione; ed omoplastiche quelle somiglianze che non
possono essere spiegate nel modo citato. Egli crede, ad esempio, che il cuore
degli uccelli e quello dei mammiferi siano omogenei, ossiano derivati da un comune
progenitore; ma considera le quattro cavità in quelle due classi come
omoplastiche, cioè come sviluppatesi indipendentemente. Il Lankester
menziona anche la grande somiglianza delle parti al lato destro ed al lato
sinistro del corpo, ed i segmenti che si succedono in un medesimo individuo; ed
in tali casi trattasi di parti che generalmente si chiamano omologhe, che non
hanno alcuna relazione colla discendenza di specie diverse da un comune
progenitore. Le strutture omoplastiche sono quelle che io, in modo imperfetto,
ho classificato come modificazioni o somiglianze analoghe. La loro formazione
può attribuirsi in parte a ciò che organismi diversi o diverse
parti di un medesimo organismo hanno variato in modo analogo; in parte a ciò
che le simili modificazioni furono conservate allo stesso scopo generale od
alla medesima funzione, come potrebbe dimostrarsi con molti esempi.
I
naturalisti parlano frequentemente del cranio, come costituito di vertebre
trasformate; riguardano le mascelle dei granchi quali zampe trasformate; gli
stami e i pistilli dei fiori quali foglie trasformate; ma in questi casi
sarebbe necessario esprimersi con maggiore esattezza, come osservava il prof.
Huxley, parlando del cranio e delle vertebre, delle mascelle e delle zampe,
ecc. - come di membri trasformati, derivanti da uno stesso elemento comune,
anzichè prodotti l'uno dall'altro. Nullameno i naturalisti adoprano
queste frasi soltanto in un senso metaforico; essi sono bene lontani dal voler
significare che, in un lungo tratto della discendenza, gli organi primordiali
d'ogni fatta - le vertebre in un caso, le zampe nell'altro caso - siano stati
effettivamente trasformati in crani ed in mascelle. Pure la verosimiglianza del
fatto, che siano avvenute modificazioni di tal sorta, è sì forte,
che i naturalisti non possono evitare di impiegare delle espressioni che
abbiano questo evidente significato. Secondo le mie idee, questi termini
possono usarsi alla lettera; e viene spiegato il fatto meraviglioso, per
esempio, delle mascelle di un granchio, le quali conservano molti caratteri,
probabilmente trasmessi mediante la eredità, se furono realmente
trasformate nel lungo corso della discendenza per metamorfosi di zampe vere,
sebbene straordinariamente semplici.
SVILUPPO ED
EMBRIOLOGIA
Questo
è uno degli argomenti più importanti nel campo della storia
naturale. Le metamorfosi degli insetti, come ognuno sa, sono generalmente
percorse in modo rapido, con un paio di stadii; ma le trasformazioni,
benchè siano nascoste, sono in realtà numerose e graduate.
Così il Lubbock ha dimostrato che un certo insetto effemero (Chloëon)
cambia più che venti volte la cute durante il suo sviluppo, ed ogni
volta subisce un certo grado di cambiamenti; in tale caso abbiamo innanzi a noi
la metamorfosi nel suo corso primitivo e graduale. Quanto siano grandi i
cambiamenti di struttura che percorrono alcuni animali durante il loro
sviluppo, ce lo dimostrano molti insetti, e più chiaramente ancora molti
crostacei. Siffatti cambiamenti raggiungono il loro apice nella così
detta metagenesi di alcuni animali inferiori. Che cosa può destare la
maraviglia maggiormente di un corallario delicato e ramoso, portante dei polipi
e fissato sopra una roccia sottomarina, il quale dapprima per gemmazione e poi
per divisione trasversale produce una quantità di grandi libere meduse,
le quali generano uova, da cui dapprima nascono animaletti liberamente nuotanti
che si fissano sulle pietre e diventano polipai ramificati, e così di
seguito in cicli senza fine? L'idea della sostanziale identità della
metagenesi colla comune metamorfosi trovò recentemente un valido
appoggio nella scoperta del Wagner, secondo cui la larva di una cecidomia,
ossia di un moscherino, genera in via organica altre larve, e queste altre
ancora, le quali in fine si trasformano in maschi e femmine mature che
riproducono la specie nel solito modo col mezzo delle uova.
Credo
opportuno menzionare, che quando si conobbe la scoperta del Wagner, io venni
domandato, come si possa spiegare che le larve di queste mosche hanno la
facoltà di riprodursi per via agamica. Finchè non si conosceva
che un unico caso, non poteva darsi alcuna risposta. Ma il Grimm ha ora
dimostrato che un'altra mosca, un Chironomus, si riproduce in modo
affatto simile; ed egli crede che ciò avvenga spesso nello stesso
ordine. Si è la crisalide, e non la larva del Chironomus che ha
tale facoltà; ed il Grimm dimostra inoltre che questo caso congiunge
insieme quello della cecidomia colla partenogenesi dei coccidi, ritenendo come
partenogenesi quel fenomeno, in seguito a cui le femmine mature dei coccidi
possono deporre uova feconde senza l'intervento dei maschi. Si conoscono ora
parecchi animali, appartenenti a classi diverse, che possiedono la
facoltà di riprodursi nel solito modo in età molto precoce. Se
noi facciamo risalire la riproduzione partenogenetica per mezzo di stadii graduati
ad un'età sempre più giovane - offrendoci il Chironomus
colla sua crisalide uno stadio quasi esattamente intermedio, - noi possiamo
forse spiegare il fenomeno maraviglioso della cecidomia.
Fu
già notato incidentemente che certi organi sono nell'embrione
esattamente simili, quantunque, allorchè sono perfettamente sviluppati,
divengano affatto differenti e servano a diversi usi. Anche gli embrioni di
animali distinti di una stessa classe sono spesso singolarmente simili. Non se
ne potrebbe addurre una prova migliore di quella che si contiene nelle seguenti
dichiarazioni di Von Baer, vale a dire, che «gli embrioni dei mammiferi, degli
uccelli, dei rettili e serpenti, e probabilmente anche dei chelonii sono
perfettamente somiglianti l'uno all'altro, tanto nel complesso delle loro parti
quanto nel modo di svilupparsi delle medesime; a tal punto, che in pratica
spesso non possiamo distinguere gli embrioni se non dalla loro grandezza. Io
posseggo due piccoli embrioni nell'alcool, cui ho dimenticato di attaccare i
nomi, ed ora sono affatto incapace di dire a quale classe appartengano. Questi
embrioni possono essere lucertole o piccoli uccelli, o mammiferi assai giovani,
tanto è completa la somiglianza nel modo di formazione della testa e del
tronco di questi animali. Però in essi mancano anche le
estremità. Ma supposto che le medesime vi fossero, nello stadio
primitivo del loro sviluppo, non ci indicherebbero nulla; perchè il
piede delle lucertole e dei mammiferi, le ali ed i piedi degli uccelli, non
meno delle mani e dei piedi dell'uomo, derivano tutti dalla medesima forma
fondamentale». Le larve dei crostacei si somigliano assai tra loro negli stadii
corrispondenti di sviluppo, comunque grande sia la differenza tra le forme
adulte; ed altrettanto avviene in molti altri animali. Talvolta appare anche in
una più tarda età qualche traccia della legge della
rassomiglianza embrionale: così gli uccelli del medesimo genere, o di
generi strettamente affini, spesso si rassomigliano fra loro, nel loro primo e
secondo abito giovanile, come vediamo nelle penne macchiate del gruppo dei
tordi. Nella famiglia dei gatti la maggior parte delle specie sono rigate o
macchiate a linee punteggiate; queste righe e macchie si distinguono
chiaramente nei leoncini e nei piccoli puma. Talvolta, quantunque di rado, si
osserva alcun che di tal sorta nelle piante: così le prime foglie dell'Ulex
e le prime foglie delle acacie della Nuova Olanda, che invecchiando non
producono che fillodi, sono pennate o divise, come le foglie ordinarie delle
leguminose.
Quei
punti della struttura, in cui gli embrioni di animali della stessa classe
interamente diversi si rassomigliano, non hanno spesso alcuna relazione diretta
colle loro condizioni di esistenza. Per esempio, non possiamo supporre che
negli embrioni dei vertebrati gli archi branchiali arteriosi, scorrenti lungo
le fessure branchiali, siano in relazione colle condizioni di vita consimili,
nel giovane mammifero che si nutre nell'utero della madre, nell'uovo
dell'uccello che viene covato nel nido, e nelle uova della rana sotto l'acqua.
Noi non abbiamo maggiori motivi di ammettere questa relazione, di quello che se
ne abbiano a credere che le ossa simili nella mano dell'uomo, nell'ala del
pipistrello e nella natatoia di una testuggine siano riferite a condizioni di
vita analoghe. Non vi sarà alcun osservatore abile che supponga che le
righe dei leoncini, o le macchie del merlo giovine, siano di qualche
utilità a questi animali.
Il
caso però è diverso quando un animale, in qualche fase della sua
vita embrionale, è attivo e deve provvedere a se stesso. Il periodo di
attività può subentrare più o meno presto nella vita: ma
in qualunque fase avvenga l'adattamento della larva alle sue condizioni vitali,
esso è perfetto ed ammirabile, quanto in un animale adulto. Il modo
importante, col quale ciò avviene, fu recentemente dimostrato dal
Lubbock nelle sue osservazioni sulla grande somiglianza delle larve
appartenenti ad insetti di ordini assai diversi, e sulla dissomiglianza di
altre larve di uno stesso ordine di insetti per effetto delle abitudini di
vita. In seguito a questi speciali adattamenti, la somiglianza delle larve o
degli embrioni attivi degli animali affini tra loro, è talvolta molto
diminuita; e si potrebbero citare dei casi di alcune larve, appartenenti a due specie
o a due gruppi di specie, le quali differiscono fra loro non meno dei loro
parenti adulti od anche maggiormente. Nella pluralità dei casi,
però, le larve, quantunque attive, obbediscono ancora, più o meno
rigorosamente, alla legge della comune rassomiglianza embrionale. I cirripedi
ce ne somministrano un ottimo esempio: anche l'illustre Cuvier non si accorse
che il Lepas fosse un crostaceo, com'è di fatto; ma basta uno
sguardo sulla larva per dimostrare questa verità in modo
incontrastabile. Così anche le due principali divisioni dei cirripedi,
cioè i peduncolati ed i sessili, che differiscono immensamente nella
loro esterna apparenza, hanno le larve in tutti i loro stadii appena
distinguibili.
Nel
processo di sviluppo l'embrione generalmente si eleva nell'organizzazione; io
mi valgo di questa espressione, quantunque sia certo che non è possibile
definire chiaramente che cosa s'intenda per organizzazione superiore od
inferiore. Nessuno probabilmente disputerà che la farfalla sia
più elevata della crisalide. In alcuni casi però l'animale adulto
si ritiene generalmente inferiore alla sua larva nella scala naturale, come in
certi crostacei parassiti. Tornando ancora ai cirripedi, le larve, nel primo
stadio, hanno tre paia di gambe, un solo occhio semplice e una bocca a forma di
proboscide, colla quale esse si nutrono abbondantemente, per crescere molto in
grandezza. Nel secondo stadio, corrispondente allo stadio di crisalide delle
farfalle, esse hanno sei paia di piedi natatorii stupendamente costrutti, un
paio di occhi mirabilmente composti e delle antenne estremamente complicate; ma
esse hanno allora una bocca chiusa ed imperfetta, e non possono prendere
alimento. La loro funzione in questo stadio è di cercare coi loro organi
sensitivi molto sviluppati un luogo conveniente al quale fissarsi, per compiere
la loro metamorfosi ultima, e di giungervi per mezzo della loro grande
attitudine al nuoto. Allorchè questa fase è compiuta, esse
rimangono attaccate nel luogo scelto per tutta la vita: le loro natatoie si
cambiano in organi da presa; riacquistano una bocca bene costrutta; ma non
hanno antenne e i loro due occhi si trasformano di nuovo in un occhio solo,
piccolo o molto semplice a guisa di un punto. In quest'ultimo stadio completo i
cirripedi possono essere considerati indifferentemente come dotati di
un'organizzazione più elevata od inferiore a quella che presentano nella
condizione di larve. Ma in alcuni generi le larve producono degli ermafroditi
che hanno la struttura ordinaria, oppure quei maschi che furono da me chiamati
complementari e in questi lo sviluppo diviene certamente retrogrado;
perchè il maschio è un semplice sacco che vive per poco tempo, ed
è privo di bocca, di stomaco e di altri organi importanti, eccettuati
quelli della riproduzione.
Noi
siamo tanto abituati a trovare delle differenze di struttura fra l'embrione e
l'adulto, come pure una stretta somiglianza negli embrioni di animali affatto
differenti nella medesima classe, che possiamo essere indotti a considerare
questi fatti come una contingenza necessaria, dipendente in qualche modo dallo
sviluppo. Ma non abbiamo alcuna ragione plausibile per spiegare, ad esempio,
per qual motivo l'ala del pipistrello, o la natatoia della testuggine marina
non abbia ad essere scolpita nella debita proporzione con tutte le sue parti,
tosto che qualche struttura diviene visibile nell'embrione. In alcuni gruppi
interi di animali ed in certi individui d'altri gruppi l'embrione non
differisce molto dall'adulto in alcun periodo; Owen ha osservato questo fatto
nei cefalopodi, «nei quali non si ha metamorfosi alcuna, e il carattere di
cefalopode si manifesta molto tempo prima che l'embrione sia completo». I
molluschi terrestri ed i crostacei di acqua dolce nascono colla forma loro
propria, mentre le specie marine di queste due grandi classi subiscono spesso
nel loro sviluppo dei cambiamenti notevoli od anche assai rilevanti. Inoltre,
nemmeno i ragni vanno veramente soggetti ad una metamorfosi. Le larve degli
insetti, siano esse adatte alle abitudini attive più differenti, siano
affatto inattive, essendo nutrite dai loro parenti o trovandosi in mezzo al
proprio nutrimento, pure passano quasi tutte per uno stadio vermiforme; ma in
alcuni casi, per esempio in quello degli afidi, come risulta dalle figure
mirabili del professore Huxley, colle quali descrisse lo sviluppo di questi
insetti, non troviamo alcuna traccia di uno stadio vermiforme.
In
alcuni casi mancano solamente i primi stadii di sviluppo. Così Fritz
Müller ha fatto l'interessante scoperta che alcuni crostacei affini al Penœus
si mostrano dapprima nella semplice forma di Nauplius, poi
attraverso due o tre stadii di Zoea, poi quello di Mysis,
ed infine raggiungono la forma matura. Ora nell'intera grande classe dei
malacostracei, a cui questi crostacei appartengono, non si conosce alcuna
specie che dapprima apparisca colla forma di Nauplius, sebbene
molti si presentino in quella di Zoea. Nondimeno il Müller sostiene con
argomenti che tutti i crostacei comparirebbero sotto forma di Nauplii,
se non avvenisse alcuna soppressione nello sviluppo.
Come
possiamo noi spiegare tutti questi fatti dell'embrologia? cioè - la
differenza molto generale, ma non universale, fra la struttura dell'embrione e
quella dell'adulto; - il fatto che alcune parti dell'embrione medesimo
individuale divengono infine dissimili e servono per uno scopo diverso, mentre
nel primo periodo dello sviluppo erano consimili; - la scambievole
rassomiglianza degli embrioni delle differenti specie e di una medesima classe,
rassomiglianza che si trova in generale, ma non sempre; - la struttura
dell'embrione, la quale non è in relazione stretta colle sue condizioni
d'esistenza, quando se ne eccettui qualche periodo della vita, in cui esso
diviene attivo e provvede al proprio sostentamento; - quei casi in cui l'embrione
presenta una organizzazione più elevata dell'animale adulto nel quale si
trasforma. Io credo che tutti questi fatti possano spiegarsi, partendo dal
principio della discendenza modificata.
Comunemente
si pensa che le piccole variazioni necessariamente si producono nelle prime
fasi dell'embrione, forse perchè le mostruosità si manifestano
nell'embrione in questo periodo primitivo. Ma questo fatto non è
abbastanza fondato; al contrario abbiamo delle prove maggiori nel senso
opposto: mentre sappiamo che gli allevatori dei bovini, dei cavalli e di
parecchi animali di lusso, non possono stabilire positivamente, se non qualche
tempo dopo la nascita, quali saranno i pregi o la forma definitiva di un
animale. Noi lo vediamo manifestamente nei nostri stessi fanciulli; infatti non
possiamo mai conoscere se diverranno grandi o piccoli, nè quali saranno
le loro fattezze precise. La questione non consiste nel sapere a quale periodo
della vita ogni variazione sia stata prodotta, ma bensì quando si sia
spiegata interamente. La causa può aver agito, e credo che in generale
abbia agito anche prima che l'embrione fosse formato; e la variazione
può attribuirsi all'azione delle condizioni, alle quali l'uno o l'altro
parente, od anche i loro antenati furono esposti, sugli elementi sessuali del
maschio e della femmina. Deve essere affatto indifferente pel benessere di un
animale giovane che egli acquisti la maggior parte de' suoi caratteri un poco
prima od un poco più tardi nella sua vita, finchè egli rimane
nell'utero della madre o nell'uovo, e finchè viene nutrito e protetto
da' suoi genitori. Non sarebbe, per esempio, di alcuna importanza per un
uccello, che prende più facilmente il proprio alimento quanto più
lungo ne sia il becco, il possedere o no un becco di questa lunghezza particolare,
finchè continuano a nutrirlo i suoi genitori.
Nel
primo capo fu detto che si hanno delle prove per ritenere probabile che, in
qualunque età si produca per la prima volta una variazione nei genitori,
essa tenda a ripetersi nella prole all'età corrispondente. Certe
variazioni possono apparire soltanto in età corrispondenti, come, per
esempio, le particolarità della farfalla del baco da seta, allo stato di
bruco e di crisalide; od anche quelle delle corna del bestiame quasi completamente
sviluppato. Ma oltre tutto questo, le variazioni che, per quanto si conosce,
possono manifestarsi prima o dopo nel corso della vita, tendono a riapparire in
un'età corrispondente nella prole e nei parenti. Ciò non ostante
io sono alieno dall'ammettere che questo fatto si verifichi costantemente; e
potrei citare molti casi indubitati di variazioni (prendendo questa parola pel
suo senso più largo) che sopravvennero più presto nei figli che
nei genitori.
Quando
fosse riconosciuta la verità di questi due principii, credo che si
dimostrerebbero facilmente tutti i fatti principali della embriologia
precedentemente enumerati. Ma consideriamo prima alcuni casi analoghi delle
varietà domestiche. Alcuni autori che scrissero intorno al cane, hanno
sostenuto che il levriere e l'alano, quantunque sembrino tanto differenti, sono
realmente due varietà molto affini, e probabilmente traggono origine dal
medesimo stipite selvaggio, quindi io era bramoso di vedere se i loro piccoli
differiscano molto fra loro. Gli allevatori mi assicuravano che differiscono
appunto quanto i loro genitori, e giudicando coll'occhio mi pareva quasi che
così fosse; ma, per le misure prese accuratamente sui cani adulti e sui
loro cagnolini di sei giorni, mi accorsi che questi non possedevano tutte le
loro differenze proporzionali. Inoltre mi era stato detto che i puledri dei
cavalli da tiro e da corsa fossero differenti, come quando questi animali
raggiungono il loro sviluppo completo; ciò mi sorprendeva grandemente,
ritenendo probabile che la differenza fra queste due razze fosse dovuta
interamente alla elezione, nello stato di domesticità; ma avendo fatto
del rilievi precisi sopra una cavalla e sopra un puledro di tre giorni di una
razza di cavalli da corsa e di un'altra razza di pesanti cavalli da tiro, trovai
che i puledri non avevano acquistato tutto l'insieme delle loro differenze
proporzionali.
Parendomi
concludenti le prove della discendenza delle varie razze domestiche di colombi
da una sola specie selvatica, paragonai i colombi giovani di varie razze, entro
le dodici ore dopo la nascita; ne misurai accuratamente le proporzioni (ma non
darò qui alcun dettaglio) del becco, lo squarcio della bocca, la
lunghezza delle narici e delle palpebre, la grandezza dei piedi e la lunghezza
delle gambe nella specie selvatica originale, nel colombo gozzuto, nel colombo
pavone, nel romano, nel barbo, nel colombo dragone, nel messaggere e nel
colombo giratore. Ora alcuni di questi uccelli, quando sono adulti, presentano
delle differenze tanto straordinarie, nella lunghezza e nella forma del becco,
che dovrebbero certamente classificarsi in generi distinti, se fossero
produzioni naturali. Ma quando gli uccelli nidiaci di queste razze diverse
furono posti l'uno presso l'altro in una linea, sebbene la maggior parte di
essi potesse distinguersi, pure le loro differenze proporzionali, nei diversi
punti sopra specificati, erano incomparabilmente minori che nei colombi
interamente sviluppati. Certi punti caratteristici di differenza - per esempio
quella dello squarcio della bocca - possono a stento scoprirsi nei colombi
presi dal nido. Ma si riscontra una notevole eccezione a questa regola,
perchè i figli del colombo giratore a faccia corta differiscono da
quelli del piccione torraiuolo selvatico e delle altre razze, in tutte le proporzioni,
quasi esattamente quanto diversificano gli adulti.
I
due principii, precedentemente esposti, mi pare che spieghino questi fatti,
riguardo all'ultimo stadio embrionale delle nostre varietà domestiche.
Gli amatori scelgono i loro cavalli, i loro cani e i loro colombi per la
riproduzione, quando questi animali sono quasi completamente sviluppati; per
essi è indifferente che le qualità e le strutture desiderate
siano state acquistate nei primi o negli ultimi periodi della vita dell'animale,
purchè le possegga quando sia giunto alla età matura. Gli esempi
che abbiamo dati, e più particolarmente quello dei colombi, dimostrano
che le differenze caratteristiche, le quali accrescono il pregio di ogni razza
e furono accumulate mediante l'elezione dell'uomo, non comparvero in generale
nel primo periodo della vita, ma furono ereditate dalla prole ad un'epoca
corrispondente ed ugualmente inoltrata. Il caso del colombo giratore a faccia
corta, che dodici ore dopo la nascita assume le proprie proporzioni, prova che
codesta regola non è universale; perchè le differenze
caratteristiche debbono essersi manifestate prima del periodo ordinario in cui
hanno luogo, oppure debbono essere state ereditate in un'età tenera,
anzichè in quella corrispondente.
Ora
applichiamo alle specie che vivono nello stato di natura questi fatti ed i due
principii precedenti, l'ultimo dei quali, sebbene non possa provarsene la
verità, può dimostrarsi probabile. Prendiamo un genere di uccelli
derivanti, secondo la mia teoria, da una sola specie-madre, della quale le
varie specie nuove si modificarono, mediante l'elezione naturale, in relazione
alle diverse loro abitudini. In seguito ai molti gradi piccoli e consecutivi
delle variazioni, sopraggiunte in un'età più avanzata, ed ereditate
in un'età corrispondente, gl'individui giovani delle nuove specie del
nostro genere supposto, tenderanno manifestamente a rassomigliarsi l'uno
all'altro assai più strettamente degli adulti, come appunto abbiamo
verificato nel caso dei colombi. Noi possiamo estendere l'idea ad intere
famiglie od anche alle intere classi. Le estremità, per esempio, che
fanno l'ufficio di gambe nella specie-madre, possono essersi trasformate, per
un lungo processo di modificazioni, in uno dei discendenti, in modo da agire come
mani, in un altro come natatoie, in un altro come ali; e partendo dai due
principii menzionati, - cioè, che ogni modificazione successiva si
manifesta in una età inoltrata, e che si eredita in una età
avanzata corrispondente, - le estremità anteriori negli embrioni dei
diversi discendenti della specie-madre dovranno essere molto rassomiglianti,
perchè non ancora modificate. E perciò in ciascuna delle nostre
specie nuove le estremità anteriori dell'embrione differiranno
grandemente da quelle dell'animale adulto; perchè in quest'ultimo le
estremità furono soggette a molte modificazioni in un periodo avanzato
della vita e furono conseguentemente cambiate in mani, in natatoie o in ali.
Qualunque sia l'influenza che l'esercizio lungamente continuato o l'uso da una
parte e il non-uso dall'altra possono avere nel modificare un organo, questa
influenza si risentirà principalmente dall'animale maturo, il quale
acquistò tutte le sue forze attive e deve provvedere alla propria
esistenza; e gli effetti così prodotti saranno ereditati nell'età
matura corrispondente. Al contrario l'embrione o l'animale giovane
resterà inalterato; o sarà modificato in grado minore, per gli
effetti dell'uso e del non-uso.
In certi casi
i successivi gradi di variazioni possono derivare da cause che ci sono ignote
completamente, nella prima fase della vita; oppure ogni grado di variazione
può ereditarsi in un periodo anteriore a quello in cui dapprima si
manifestò. In ambe le ipotesi (come nel colombo giratore a faccia
corta), l'animale giovane o l'embrione sarebbe molto somigliante alla
madre-forma adulta. Abbiamo veduto che questa è la regola dello sviluppo
di certi gruppi interi di animali, come nelle seppie, nei molluschi terrestri,
nei crostacei di acqua dolce, nei ragni, e in alcuni membri della grande classe
degli insetti. Rispetto alla causa finale per cui il giovane in questi casi non
soggiace ad alcuna metamorfosi o rassomiglia perfettamente ai suoi genitori
fino dalla prima età, possiamo ritenere che ciò risulti dalle due
circostanze che seguono: primieramente perchè l'animale giovane, nel
corso delle modificazioni subite dalla specie per molte generazioni, dovette
provvedere ai propri bisogni fino dai primi stadii dello sviluppo, e in secondo
luogo perchè gli animali debbono seguire esattamente le stesse abitudini
di vita dei loro genitori; mentre in tal caso sarebbe indispensabile per
l'esistenza della specie che i piccoli animali si modifichino nella prima
età in una maniera identica a quella con cui si modificarono i loro
genitori, in consonanza delle loro abitudini simili. Quanto al fatto singolare
che tante forme terrestri o di acqua dolce non subiscono alcuna metamorfosi,
mentre le specie marine degli stessi gruppi soggiacciono a parecchi
cambiamenti, Fritz Müller ha manifestato la supposizione che il processo di
lenta modificazione e di adattamento di un animale alla vita in terraferma o
nell'acqua dolce, anzichè nel mare, sia notevolmente semplificato colla
soppressione dello stadio larvale; imperocchè non è probabile che
vi siano in natura molti posti disoccupati o male occupati da altri organismi;
adatti tanto per le larve come per le immagini, in condizioni di vita sì
nuove e notevolmente cambiate. In tal caso l'acquisto graduato della struttura
adulta in età sempre più tenera sarebbe favorito dall'elezione
naturale, e tutte le traccie di un'antica metamorfosi sarebbero alfine
cancellate.
Se, d'altra
parte, sia utile per la forma giovanile differire alquanto dai genitori nelle
abitudini di vita, ed avere in conseguenza una struttura alquanto diversa;
oppure se per le larve, che già differiscono dai loro genitori, torni di
vantaggio differire maggiormente, il giovane o la larva, secondo il principio
della eredità in epoche di vita corrispondenti, potranno col mezzo della
elezione naturale differire sempre più dai loro genitori fino ad un
grado considerevole. Le differenze nelle larve possono essere correlative con
quelle delle fasi successive di sviluppo, così che la larva alla prima
fase può differire assai da quella della seconda fase, come avviene in
molti animali. Anche l'adulto può acquistarsi stazioni ed abitudini, in
cui gli organi di locomozione, dei sensi ed altri gli siano inutili, nel qual
caso la metamorfosi potrebbe dirsi regressiva.
Secondo le
osservazioni ora esposte può comprendersi come coi cambiamenti di
struttura dei giovani, combinati colla trasmissione in epoche di vita
corrispondenti, gli animali possono giungere a percorrere delle fasi di
sviluppo affatto diverse dallo stato primitivo dei loro genitori adulti. Le migliori
nostre autorità sono ora concordi nel ritenere che i diversi stadii di
larva e di crisalide degli insetti siano apparsi in tale modo per adattamento,
e non per eredità da una forma antica. L'esempio interessante della Sitaris,
di un coleottero che percorre certe fasi non comuni di sviluppo, può
chiarire come ciò avvenga. La prima forma larvale, come ce la descrisse
il Fabre, è un insetto piccolo, vivace, con sei piedi, due lunghe
antenne e quattro occhi. Queste larve nascono in un'arnia, ed appena i fuchi
escono in primavera dalle loro cellule, ed escono prima delle femmine, vi si
attaccano, e passano poi sulle femmine durante l'accoppiamento. Quando queste
depongono le uova sul miele che si trova nelle cellule, la larva passa
sull'uovo e lo divora. Più tardi essa subisce un cambiamento completo;
gli occhi scompariscono, i piedi e le antenne diventano rudimentali, e la
medesima si pasce di miele. A questo punta essa somiglia ad una solita larva di
insetto. Infine subisce altri mutamenti e si fa coleottero perfetto. Se un
insetto con metamorfosi simile a quella della Sitaris divenisse il
progenitore di una nuova classe di insetti, il corso generale dello sviluppo e
soprattutto delle prime fasi sarebbe probabilmente assai diverso da quello
degli insetti ora esistenti; ed al certo i primi stadii di larva non
rappresenterebbero la passata condizione di una forma adulta ed antica.
Dall'altro
canto è assai probabile che in molti gruppi di animali gli stadii
embrionali o larvali ci mostrino più o meno completamente la forma
adulta del progenitore dell'intero gruppo. Nell'immensa classe dei crostacei le
forme più diverse, come i parassiti succhianti, i cirripedi, gli
entomostracei e perfino i malacostracei appariscono al loro primo stadio
larvale sotto la forma simile del Nauplius; e siccome queste larve si
nutrono e vivono in aperto mare e non sono adatte a peculiari condizioni di
vita, è probabile, anche per altre ragioni esposte da Fritz Müller, che
in una lontana epoca trascorsa sia esistito un animale adulto indipendente
simile al Nauplius, ed abbia generato su molte linee divergenti
di discendenza i succitati grandi gruppi di crostacei. È anco probabile,
in seguito a quanto abbiamo detto intorno agli embrioni dei mammiferi, degli
uccelli, dei pesci e dei rettili, che questi animali siano i discendenti
modificati di un antico progenitore, il quale allo stato adulto era fornito di
branchie, di una vescica natatoria, di quattro arti pinniformi e di una coda
lunga, organi tutti utili per un animale acquatico.
Siccome
tutti gli esseri organizzati, estinti e recenti, che esistettero sulla terra
debbono classificarsi insieme in un solo sistema e furono tutti collegati da
fine gradazioni, se le nostre collezioni fossero perfette, la disposizione
migliore ed anzi la sola possibile sarebbe la genealogica; essendo la
discendenza il segreto legame di connessione, secondo le mie idee; quello che i
naturalisti hanno cercato sotto la denominazione di sistema naturale. Sotto
questo aspetto noi possiamo intendere come avvenga che, per la maggior parte
dei naturalisti, la struttura dell'embrione sia anche più importante di
quella dell'adulto nella classificazione. Perchè l'embrione è
l'animale nel suo stato meno modificato: e quindi ci fa conoscere la struttura
del suo progenitore. Quando due gruppi d'animali, per quanto differiscano
attualmente fra loro nella struttura o nelle abitudini, passano per i medesimi
o per consimili stadii embrionali, possiamo ritenere per certo che entrambi
sono provenuti dai medesimi o da quasi simili progenitori e sono per
conseguenza nel medesimo grado di affinità. Così la struttura
embrionale comune rivela una comune discendenza, ed essa rivela questa comune
discendenza, anche se la struttura dell'adulto sia stata modificata ed alterata
grandemente; abbiamo veduto, per esempio, che a prima vista i cirripedi possono
riconoscersi, per mezzo delle loro larve, come appartenenti alla grande classe
dei crostacei. Siccome lo stato embrionale di ogni specie e di ogni gruppo di
specie ci dimostra in parte la struttura dei loro antichi progenitori meno
modificati, ci è facile desumere la ragione per cui le forme di vita
antiche ed estinte debbono rassomigliare agli embrioni dei loro discendenti([27]),
- cioè delle nostre specie esistenti. Agassiz crede che questa sia una
legge di natura; ma io mi limito a dichiarare che spero di vedere in seguito
confermata la verità di questa legge. Essa può provarsi soltanto
in quei casi in cui lo stato antico che ora si suppone rappresentato dagli
embrioni esistenti, non sia stato mascherato dalle successive variazioni,
avvenute in una prima fase dello sviluppo, durante una lunga sequela di
modificazioni; oppure per le variazioni ereditate in un periodo anteriore a
quello in cui si produssero per la prima volta. Non devesi però
dimenticare che la supposta legge di rassomiglianza delle antiche forme di vita
alle fasi embrionali delle forme recenti può essere vera, e nullameno
restare per lungo tempo od anche per sempre senza alcuna dimostrazione, per non
essere le nostre memorie geologiche abbastanza estese nelle epoche trascorse.
In alcuni casi la legge non si troverà confermata, quando cioè in
una forma antica nel suo stato di larva si è adattata ad una speciale
condizione di vita, ed ha trasmesso il medesimo stato larvale ad un intero
gruppo di discendenti, imperocchè questi allo stadio di larva non
somiglieranno allo stato adulto di una forma ancor più antica.
I fatti
principali dell'embriologia, che non sono inferiori a qualunque altro fenomeno
nella storia naturale, mi sembrano dunque chiariti mediante il principio delle
leggere modificazioni, le quali non si manifestano nei molti discendenti di
qualche antico progenitore nel primo periodo della vita dei medesimi, sebbene
le loro cause abbiano agito fin dal principio; modificazioni che furono
ereditate ad un periodo corrispondente della vita, anzichè nelle prime
fasi di essa. L'embriologia presenta quindi un interesse maggiore, quando noi
consideriamo in tal modo un embrione come una pittura, più o meno
offuscata, della madre-forma comune di ogni grande classe d'animali.
ORGANI RUDIMENTALI, ATROFIZZATI OD ABORTITI
Gli organi o
le parti che si trovano in questa strana condizione, e che portano l'impronta
della loro inutilità, sono estremamente comuni in tutta la natura.
È impossibile citare alcuno degli animali superiori in cui non si
rinvenga una qualche parte in istato rudimentale. Per esempio, le mammelle
rudimentali sono molto generali nei maschi dei mammiferi; nei serpenti un
polmone è rudimentale; e l'ala spuria di alcuni uccelli può
sicuramente riguardarsi come un dito in uno stato rudimentale; ed in alcune specie
tutta l'ala è così rudimentale che non può essere
impiegata al volo. Alcuni casi di organi rudimentali sono molto curiosi; per
esempio, la presenza dei denti nei feti delle balene, che, quando sono
sviluppate, non hanno un solo dente nella loro bocca; e così la presenza
dei denti che non escono mai dalle gengive nelle mascelle superiori dei nostri
vitelli, prima della nascita.
Il
significato degli organi rudimentali spesso è evidente: vi sono, per
esempio, dei coleotteri di un medesimo genere (od anche di una medesima
specie), che si rassomigliano perfettamente per ogni rispetto; uno dei quali ha
delle ali pienamente sviluppate ed un altro presenta dei semplici lobi
membranosi; qui sarebbe impossibile dubitare che tali rudimenti non
rappresentino le ali. Gli organi rudimentali conservano talvolta la loro
potenzialità e mancano semplicemente di sviluppo: come sarebbe il caso
delle mammelle dei mammiferi maschi, ricordandosi molti esempi del completo
sviluppo di questi organi in maschi adulti, fino al punto da secernere il
latte. Così nelle mammelle del genere Bos, vi sono
normalmente quattro capezzoli sviluppati e due rudimentali; ma nelle nostre
vacche domestiche anche questi ultimi sono talvolta sviluppati e producono
latte. Nelle piante di una medesima specie i petali ora sono semplici rudimenti
e ora sono interamente sviluppati. Nelle piante a sessi separati i fiori maschi
spesso hanno un pistillo rudimentale; e Kölreuter scoperse che, incrociando
queste piante maschi con una specie ermafrodita, il rudimento del pistillo
cresce di grandezza nella prole ibrida; ciò prova che il rudimento del
pistillo ed il pistillo perfetto sono essenzialmente simili per natura. Un
animale può possedere diverse parti che siano in istato perfetto, ed in
un certo senso nondimeno rudimentali, perchè inutili. Così G. H.
Lewes osserva che la larva del tritone comune possiede «delle branchie e passa
la sua vita nell'acqua, ma la Salamandra atra, la quale vive
nell'alta montagna, genera dei figli perfettamente sviluppati. L'animale non va
mai nell'acqua». Tuttavia, se noi apriamo una femmina gravida, vi troviamo
dentro delle larve con branchie distintamente pinnate, e se queste larve siano
poste nell'acqua, esse nuotano così bene come quelle del tritone.
Evidentemente questa organizzazione per una vita acquatica non allude alla vita
futura dell'animale, nè è un adattamento ad una condizione
embrionale; essa si riferisce solamente agli adattamenti degli avi, e ripete
una fase di sviluppo dei progenitori.
Un organo che
adempie a due funzioni può divenire rudimentale o abortire completamente
per una di esse, anche se sia la più importante, e rimanere
perfettamente efficace per l'altra. Così nelle piante l'ufficio del
pistillo è quello di permettere ai tubi del polline di penetrare negli
ovuli protetti nella sua base dall'ovario. Il pistillo è costituito di
uno stimma sostenuto da uno stilo; ma in alcune composte i fiori maschi, che
naturalmente non potrebbero essere fecondati, hanno un pistillo in uno stato
rudimentale, perchè non è sormontato da uno stimma; ma lo stilo
rimane bene sviluppato ed è rivestito di peli, come nelle altre
composte, all'oggetto di staccare il polline dalle antere vicine. Un organo
può anche divenire rudimentale per la funzione a cui è destinato
e servire per un uso differente: in certi pesci la vescica natatoria sembra
quasi rudimentale per la propria funzione, di aiutare i movimenti dell'animale
rendendolo specificamente più leggero, e trasformata in un organo
respiratorio o polmone. Potrebbero citarsi altri esempi consimili.
Gli organi
che sono utili, per quanto piccolo sia il loro sviluppo, non potrebbero
riguardarsi come rudimentali: essi possono chiamarsi organi nascenti, e possono
acquistare, mediante l'elezione naturale, uno sviluppo ulteriore. Al contrario,
gli organi rudimentali sono affatto inutili essenzialmente, come quei denti che
mai non forano le gengive. Siccome sarebbero anche più inutili, se
fossero in una condizione di minore sviluppo, quegli organi non possono, nello
stato presente delle cose, essere stati formati per mezzo dell'elezione
naturale, che agisce soltanto per la conservazione delle modificazioni utili.
Quindi essi debbono avere qualche rapporto con una condizione più antica
del loro attuale possessore, essendosi pur conservati per eredità, come
esporremo. È difficile conoscere quali siano gli organi nascenti; se si
consideri l'avvenire, non possiamo stabilire in che modo qualche parte si
svilupperà e se ora quella parte sia nascente; se guardiamo al passato,
la creature dotate di un organo in uno stato nascente saranno state
generalmente soppiantate e distrutte dai loro successori, provvisti di
quell'organo in una condizione più perfetta e maggiormente sviluppato.
L'ala del pinguino è molto utile, esso l'adopera come una natatoia;
potrebbe perciò rappresentare lo stato nascente delle ali degli uccelli.
Non già che io creda che ciò sussista, anzi è più
probabile che sia un organo ridotto e modificato, per una nuova funzione; l'ala
dell'apterice gli è inutile ed è veramente rudimentale. Le
glandole mammarie dell'ornitorinco possono forse considerarsi come in uno stato
nascente, in confronto alle poppe della vacca; ed i ferni ovigeri di certi
cirripedi, che sono leggermente sviluppati e che più non servono a
trattenere le uova, sono branchie nascenti.
Gli
organi rudimentali degl'individui d'una medesima specie sono molto soggetti a
variare nel grado del loro sviluppo e per altri rapporti. Di più, nelle
specie strettamente affini, lo stesso organo si rese rudimentale, in gradi
talvolta assai diversi. Quest'ultimo fatto si verifica, per es., nello stato
delle ali delle farfalle notturne di certi gruppi. Gli organi rudimentali
possono anche abortire completamente; e ciò deve supporsi quando non
troviamo in un animale o in una pianta alcuna traccia di un organo che
l'analogia ci avrebbe indicato e che occasionalmente si incontra negli
individui mostruosi della specie. Così nella bocca di leone (Antirrhinum)
non si trova generalmente il rudimento di un quinto stame, pure qualche
volta questo rudimento esiste. Nella ricerca delle omologie di una stessa
parte, nei diversi membri di una stessa classe, nulla è più
comune o più necessario dell'uso e della scoperta dei rudimenti.
Ciò viene dimostrato evidentemente nei disegni dati dall'Owen delle ossa
della gamba del cavallo, del bue e del rinoceronte.
È
molto importante il fatto, che alcuni organi rudimentali si scoprano spesso
nell'embrione, mentre in seguito scompariscono interamente, come i denti delle
mascelle superiori delle balene e dei ruminanti. Io credo che sia anche una
regola universale quella, che le parti o gli organi rudimentali sono di una
grandezza maggiore, relativamente alle parti vicine, nell'embrione che
nell'adulto; per modo che questi organi nella prima età sono meno
rudimentali od anche può dirsi che non lo sono menomamente.
Perciò suol dirsi che un organo rudimentale ha conservato nell'adulto la
sua condizione embrionale.
Noi
abbiamo esposto i fatti principali riguardanti gli organi rudimentali,
Riflettendo ai medesimi, ognuno deve rimanerne compreso di meraviglia;
perchè quel medesimo ragionamento, il quale ci attesta con tanta
chiarezza che quasi tutte le parti e quasi tutti gli organi sono stupendamente
adatti a certe funzioni, ci dimostra con uguale semplicità l'imperfezione
o l'inutilità degli organi rudimentali, od atrofizzati. Nelle opere di
storia naturale generalmente si legge che gli organi rudimentali sono stati
creati «per amore di simmetria» o pel fine di «completare lo schema della
natura»; ma codesta non mi pare una spiegazione, bensì una semplice
riconferma del fatto. Nè può sostenersi a rigore di logica;
così il Boa constrictor possiede i rudimenti degli arti
posteriori e della pelvi e se si dice che queste ossa siano state conservate
«per completare lo schema della natura»; perchè, domanda il Weismann,
non si conservarono in altri serpenti che non ne hanno nemmeno una traccia? Si
crederebbe forse sufficiente il dichiarare che, siccome i pianeti si muovono in
orbite elittiche intorno al sole, i satelliti seguono un andamento consimile
intorno ai pianeti, per amore di simmetria e per completare lo schema della
natura? Un fisiologo eminente spiega la presenza degli organi rudimentali,
supponendo che servano ad eliminare le materie eccedenti o dannose al sistema;
ma potremo noi supporre che le minute papille, che spesso rappresentano il
pistillo nei fiori maschi e che sono formate semplicemente di tessuto
cellulare, abbiano questo scopo? Possiamo noi supporre che i denti rudimentali,
che rimangono assorbiti posteriormente, possano essere, per effetto della
secrezione del prezioso fosfato di calce, di qualche utilità al vitello
che nello stato di embrione rapidamente si sviluppa? Quando le dita dell'uomo
vengono amputate, talvolta sulle estremità monche appariscono delle
unghie imperfette; ora si potrebbe credere, con uguale ragione, che queste
traccie di unghie si siano formate per la secrezione della materia cornea, come
che per questo scopo siano fatte le unghie rudimentali che crescono sulle
natatoie del manato.
Secondo
la mia teoria della discendenza modificata, l'origine degli organi rudimentali
è molto semplice. Noi abbiamo una quantità di casi di organi
rudimentali nelle nostre produzioni domestiche, - come il moncone di una coda
nelle razze prive di coda, - la traccia di un orecchio nelle razze che non
hanno orecchie, - il ritorno di piccole corna pendenti nelle razze dei bestiami
senza corna e in particolare, secondo Yonatt, negli animali giovani, - e lo
stato generale del fiore intero nel cavolo-fiore. Spesso noi osserviamo nei
mostri i rudimenti di varie parti. Ma io dubito che alcuno di questi casi possa
spargere qualche luce sulla origine degli organi rudimentali nello stato di
natura, oltre la prova che ne ricaviamo che i rudimenti si producono:
perchè se si pesino bene le ragioni da un lato e dall'altro si
propenderà a ritenere che allo stato di natura le specie non subiscano
mai dei cambiamenti grandi e repentini. Dallo studio poi dei nostri prodotti
domestici noi impariamo che il non-uso delle parti conduce ad una riduzione
della grandezza, e che questo risultato è trasmissibile per
eredità.
A
quanto pare, si fu principalmente il non-uso che rese gli organi rudimentali.
Dapprima egli conduce gli organi a lenti passi ad una riduzione sempre
crescente, finchè diventano rudimentali. Ciò è accaduto
cogli occhi degli animali viventi in oscure caverne, e colle ali degli uccelli
che abitavano isole oceaniche, dove raramente venivano costrette dai carnivori
a volare, e perdettero in fine completamente questa facoltà. Inoltre un
organo, utile in determinate condizioni, può in altre diventare perfino
dannoso; così le ali degli insetti che abitano in isole piccole ed
aperte. In tale caso l'elezione naturale tenderà a ridurre lentamente
questo organo, fino a renderlo innocuo e rudimentale.
Ogni
cambiamento di funzione che possa effettuarsi per gradi insensibilmente piccoli
entra nel dominio della elezione naturale; per modo che un organo, reso inutile
o dannoso per un dato scopo, per le cambiate abitudini di vita, può
essere modificato ed impiegato ad un fine diverso. Oppure un organo può
essere conservato per una sola delle sue funzioni primitive. Se un organo
divenga inutile, può essere molto variabile, perchè le sue
variazioni non sarebbero contrastate dalla elezione naturale. Qualunque sia il
periodo della vita, in cui il non-uso o la elezione riduca un organo a minori
dimensioni (e ciò si verificherà generalmente quando l'individuo
giunse a maturità e nella sua piena facoltà di agire), il
principio di eredità nelle età corrispondenti riprodurrà
nella stessa fase della vita quest'organo nel suo stato ridotto; e per
conseguenza, non potrà alterarlo o ridurlo nell'embrione che assai di
rado. In questo modo possiamo intendere come si abbia una maggiore grandezza
relativa degli organi rudimentali nell'embrione, una minore grandezza relativa
dei medesimi nell'adulto. Se, ad esempio, un dito negli animali adulti di una
specie sia stato sempre meno adoperato in molte generazioni in seguito a
qualche cambiamento nelle abitudini, o se un organo o ghiandola abbia
funzionato con intensità decrescente, noi possiamo aspettarci di trovare
quella parte ridotta di grandezza([28])
nei discendenti adulti della specie, e pressochè allo stato originale di
sviluppo nell'embrione.
Ma
sussiste ancora una difficoltà. Se un organo non è più
oltre adoperato e per ciò viene notevolmente ridotto, come accade che la
riduzione continua, finchè dell'organo non rimane che un vestigio, e
come può finalmente scomparire affatto? Non sembra possibile che il
non-uso eserciti ancora una influenza, quando un organo sia reso inattivo. Qui
è necessaria una ulteriore spiegazione ch'io non posso dare. Se, ad
esempio, potesse provarsi che ogni parte della organizzazione tenda a variare
piuttosto verso una diminuzione di grandezza che verso un aumento, noi potremmo
comprendere in quale modo un organo reso inutile possa farsi rudimentale,
indipendentemente dagli effetti del non-uso, ed in fine, scomparire, imperocchè
le variazioni conducenti ad una diminuzione di grandezza non sarebbero
ulteriormente inceppate nel cammino dalla elezione naturale. Il principio di
economia, di cui parlai in un capitolo precedente, e secondo il quale sono
risparmiati i materiali che sarebbero necessari per la formazione di un organo
inutile al possessore, ha forse una qualche parte nel rendere rudimentali le
parti superflue. Ma questo principio sarà limitato alle prime fasi del
processo di riduzione; imperocchè non possiamo ammettere che, ad
esempio, una piccolissima papilla, la quale in un fiore maschile rappresenta il
pistillo del fiore femminile e consta di tessuto cellulare, sia più
oltre ridotta od assorbita per risparmiare nutrimento.
Siccome
gli organi rudimentali, quali che siano i gradini pei quali furono degradati
fino alla presente inutile loro condizione, ci raccontano lo stato passato
delle cose e furono conservati solamente in forza del potere della
ereditarietà: - ci sarà facile riconoscere, nel concetto che ogni
classificazione debba essere genealogica, per qual motivo i sistematici abbiano
trovate le parti rudimentali altrettanto utili e forse più utili di
quelle parti che sono di un'alta importanza fisiologica. Gli organi rudimentali
potrebbero paragonarsi alle lettere di una parola, che si conservano nel
compitare, ma non vengono pronunciate, le quali tuttavia ci guidano nella
ricerca della sua etimologia. Possiamo concludere, in base della dottrina della
discendenza con modificazioni, che l'esistenza di organi in una condizione
rudimentale, imperfetta ed inutile, oppure di organi pienamente abortiti, lungi
dal presentare una difficoltà insuperabile, come sicuramente sarebbe
secondo la teoria ordinaria delle creazioni indipendenti, si sarebbe potuta
prevedere; e trova una spiegazione nelle leggi di eredità.
SOMMARIO
Nel presente capo mi sono studiato di dimostrare che la
subordinazione di un gruppo all'altro, in tutti gli organismi e in ogni tempo,
la natura delle affinità per mezzo delle quali tutti gli esseri viventi
ed estinti sono congiunti in un grande sistema da relazioni complesse,
divergenti ed involute; le regole adottate e le difficoltà incontrate
dai naturalisti nelle loro classificazioni; il valore attribuito ai caratteri
più costanti e prevalenti, siano essi di alta importanza vitale o di
poca entità; la differenza grandissima di valore fra i caratteri
analogici e di adattamento e quelli di vera affinità, ed altrettali
regole - derivano tutte naturalmente dall'ipotesi della parentela comune di
quelle forme che i naturalisti considerano come affini, combinata colle loro
modificazioni per elezione naturale, colle loro contingenze d'estinzione e
colla divergenza dei caratteri. Riflettendo a queste idee sulla
classificazione, fa d'uopo ricordare che l'elemento della discendenza fu
impiegato universalmente nel disporre insieme i sessi, le età e le
varietà conosciute di una specie, per quanto possano essere differenti
nella struttura. Se si estendesse l'uso di questo elemento della discendenza, -
la sola causa certamente conosciuta della somiglianza degli esseri organizzati,
- non giungeremmo a spiegare il significato delle parole sistema naturale;
questo sistema è genealogico nella disposizione che si va cercando, e i
gradi delle differenze acquistate sono espressi coi termini varietà,
specie, generi, famiglie, ordini e classi.
Partendo da
questo principio della discendenza modificata, tutti i grandi fatti della
morfologia divengono facili ad intendersi, - sia che si consideri il medesimo
piano applicato negli ordini omologhi delle diverse specie di una classe,
qualunque sia la funzione che compiono; sia che si considerino le parti
omologhe, disposte secondo un sistema uniforme in ogni animale e in ogni
pianta.
Il
principio delle variazioni leggiere e successive, che non sopravvengono
necessariamente, nè generalmente nella prima età della vita e
sono ereditati in periodo corrispondente dai discendenti, porta molta luce sui
fatti più rilevanti della embriologia; vale a dire con esso si può
spiegare la rassomiglianza delle parti omologhe di un embrione individuale, le
quali, quando siano pienamente sviluppate, divengono affatto differenti fra
loro nella struttura e nelle funzioni: e la rassomiglianza delle parti ed
organi omologhi nelle differenti specie di una classe, sebbene appropriate
negli individui adulti alle funzioni più disparate. Le larve sono
embrioni attivi che si modificarono specialmente in relazione alle loro
abitudini di vita, mediante il principio della trasmissione delle modificazioni
ad un'età corrispondente. Per questo principio la presenza degli organi
rudimentali e il loro aborto finale non ci offrono alcuna difficoltà
inesplicabile; quando si pensi che se gli organi si atrofizzano pel non-uso o
per l'elezione ciò avverrà generalmente in quel periodo della
vita in cui l'individuo deve provvedere ai propri bisogni, e si tenga conto
della grande efficacia del principio di eredità; - al contrario, la loro
presenza deve prevedersi. L'importanza dei caratteri embriologici e degli
organi rudimentali nella classificazione emerge dal concetto che una
classificazione è naturale solo in quanto è genealogica.
Finalmente mi
sembra che le varie classi di fatti, da noi trattati in questo capo,
stabiliscano che le innumerevoli specie, i molti generi e le famiglie degli
esseri organizzati (dei quali è popolato il mondo) sono derivati tutti
da progenitori comuni, ciascuno nella propria classe o nel proprio gruppo, e
tutti furono modificati nel corso della discendenza; e ciò si dimostra
con tanta chiarezza, che io adotterei senza esitazione questa teoria, anche se
non fosse sostenuta da altri fatti ed argomenti.
CAPO XV
RICAPITOLAZIONE
E CONCLUSIONE
Ricapitolazione
delle difficoltà che si oppongono alla teoria della Elezione naturale -
Ricapitolazione delle circostanze generali e speciali in favore di essa -
Cagioni della credenza generale nella immutabilità delle specie - Come
possa estendersi la teoria dell'Elezione naturale - Effetti dell'adozione di
essa nello studio della Storia naturale - Osservazioni finali.
Non
essendo questo volume che una lunga argomentazione, il lettore potrà
desiderare una breve ricapitolazione dei fatti e delle deduzioni principali.
Non
posso negare che si sono sollevate molte gravi obbiezioni contro la teoria
della discendenza modificata mediante l'elezione naturale. Io mi sono ingegnato
di dare a queste obbiezioni tutta la loro forza. Non vi ha certamente cosa che
si possa ammettere più difficilmente di quella, che gli organi e gli
istinti più complessi non siano stati perfezionati con mezzi che sono
superiori alla ragione dell'uomo, sebbene analoghi alla medesima, ma invece
mediante l'accumulazione di piccole variazioni, ciascuna delle quali fosse
proficua all'individuo che la possiede. Ciò non ostante questa
difficoltà, quantunque sembri insuperabile alla nostra immaginazione,
non può considerarsi di qualche valore, se si accettino le seguenti
proposizioni: cioè, che gli organi e gli istinti sono variabili in grado
leggero quanto si voglia, - che esiste una lotta per l'esistenza, la quale
conduce alla conservazione di ogni deviazione di struttura o d'istinto che sia
vantaggiosa, - e infine, che vi sono state delle gradazioni nel perfezionamento
di ogni organo, le quali erano utili alla specie. Io credo che la verità
di queste proposizioni non possa impugnarsi.
Certamente
è assai difficile congetturare quali fossero le gradazioni per mezzo
delle quali molte strutture si perfezionarono, più specialmente nei
gruppi degli esseri organizzati che sono interrotti e in decadenza, e che
soffrirono molte estinzioni; ma noi osserviamo nella natura tante straordinarie
gradazioni, che dobbiamo essere molto guardinghi nell'affermare che un organo
od istinto, od anche un individuo completo non potrebbe essere giunto al suo
stato presente, per mezzo di molti cambiamenti graduali. Bisogna convenire che
nella teoria della elezione naturale vi sono alcuni casi di una speciale
difficoltà; uno dei più curiosi è l'esistenza di due o tre
caste definite sterili o di operaie, nella stessa colonia di formiche; tuttavia
ho procurato di far vedere come si possano vincere.
Riguardo
alla quasi universale sterilità delle specie quando si incrociano, la
quale forma un contrasto tanto rimarchevole colla fecondità quasi
universale delle varietà incrociate, debbo richiamare alla mente del
lettore la ricapitolazione dei fatti posti sulla fine del capo nono, che mi
sembra valga a dimostrare concludentemente che la sterilità non è
una qualità speciale innata, più di quello che lo sia
l'incapacità dell'innesto fra due alberi; ma che dipende da differenze
incidentali o costituzionali nei sistemi riproduttivi delle specie incrociate.
La verità di questa conclusione emerge dalla vasta differenza nel
risultato degli incrociamenti reciproci delle medesime due specie; vale a dire,
quando da ciascuna delle due specie si prende prima il padre, indi la madre. Lo
studio delle piante dimorfe e trimorfe ci conduce per analogia alla medesima
conclusione; imperocchè le forme che vengono fecondate in modo
illegittimo non danno semi, oppure ne danno pochi, e i discendenti sono
più o meno sterili; e tali forme appartengono indubbiamente ad una
medesima specie, nè differiscono tra loro altrimenti che negli organi e
nelle funzioni della riproduzione.
Quantunque
molti autori abbiano affermato che la fecondità delle varietà,
quando sono incrociate, e della loro prole meticcia, è generale, non si
può ritenere esatta questa opinione, dopo i fatti citati
sull'autorità di Gärtner e di Kölreuter. La maggior parte delle
varietà, sulle quali si fecero esperienze, furono prodotte allo stato di
domesticità; ed appunto perchè la domesticità (non intendo
la sola reclusione) tende ad eliminare la sterilità, la quale, a
giudicare dall'analogia, avrebbe colpito le specie-madri al loro incrociamento,
non dobbiamo aspettarci che essa produca sterilità nell'incrociamento
dei loro discendenti modificati. La sterilità poi, a quanto pare, viene
tolta dalla stessa causa, la quale permette ai nostri animali domestici di
riprodursi ampiamente sotto svariate circostanze; e ciò sembra
dipendente dal fatto che essi animali si abituano gradatamente a frequenti
cambiamenti delle condizioni di vita.
Due
serie parallele di fatti sembrano gettare un po' di luce sulla sterilità
delle specie al loro primo incrociamento e sui discendenti ibridi. Da un lato
abbiamo buone ragioni per credere che i leggeri cambiamenti nelle condizioni di
vita diano forza e fecondità agli esseri organici; noi sappiamo anche
che l'incrociamento fra individui diversi di una medesima varietà e fra
varietà diverse accresce il numero dei discendenti e reca loro
certamente un aumento di vigore e di statura. Ciò dipende principalmente
dal trovarsi esposte le forme incrociate a condizioni di vita alquanto diverse;
imperocchè io mi sono accertato con una serie di difficili esperimenti
che, se tutti gl'individui di una stessa varietà sono esposti per
parecchie generazioni alle medesime condizioni, il vantaggio dell'incrociamento
è spesso scemato od anche tolto. Questo è un lato della
questione. Dall'altro canto, noi sappiamo che le specie, le quali per lungo
tempo siano state esposte a condizioni pressochè uniformi, ed in captività
vengano sottoposte a condizioni nuove e notevolmente cambiate, o periscono,
oppure, se restano in vita, si fanno sterili, benchè altrimenti siano
perfettamente sane. Ciò non avviene, oppure avviene in grado leggero,
nei nostri prodotti domestici, i quali lungamente sono stati esposti a
condizioni fluttuanti. Se quindi gli ibridi, i quali derivano
dall'incrociamento di due specie diverse, sono scarsi di numero, perchè
muoiono subito dopo la concezione od in età assai precoce, e perchè,
anche vivendo, sono più o meno sterili, la ragione assai probabile
è questa, che essi, essendo il prodotto di due organizzazioni diverse
confuse insieme, furono assoggettati ad un grande cambiamento nelle condizioni
di vita. Chi sapesse spiegare in modo preciso perchè, ad esempio, un
elefante od una volpe nella loro patria non si riproducano allo stato di
captività, mentre il maiale ed il cane generano riccamente nelle
più diverse condizioni, quello saprà dare una risposta precisa
anche alla domanda, perchè due distinte specie nel loro incrociamento ed
i loro discendenti ibridi siano più o meno colpiti dalla
sterilità, mentre due varietà domestiche nel loro incrociamento
ed i loro figli meticci sono perfettamente fecondi.
Passando
alla distribuzione geografica, le difficoltà che si incontrano nella
teoria della discendenza modificata sono abbastanza serie. Tutti gli individui
della stessa specie e, tutte le specie del medesimo genere e perfino i gruppi
più elevati debbono derivare da parenti comuni; e perciò per
quanto distanti ed isolate siano le parti del mondo in cui si trovano
attualmente, essi debbono essere passati, nel corso delle generazioni
successive, da un qualche luogo a tutti gli altri. Spesso siamo affatto
incapaci di congetturare come questo passaggio possa essere avvenuto. Tuttavia
abbiamo dei motivi di credere che qualche specie conservasse la medesima forma
specifica per lunghi periodi, per epoche enormemente lunghe, se misurate cogli
anni, e quindi non dobbiamo dare troppa importanza alla vasta diffusione occasionale
di una medesima specie; perchè nei periodi molto lunghi vi sarà
sempre stata una maggiore probabilità per le grandi migrazioni, con
mezzi d'ogni sorta. Una estensione discontinua ed interrotta può
spiegarsi frequentemente coll'estinzione delle specie nelle regioni intermedie.
Non si potrà negare che noi siamo tuttora molto ignoranti quanto alla
portata dei diversi cambiamenti climatologici e geografici che si fecero sulla
terra nei periodi moderni; questi cambiamenti avranno facilmente agevolato le
migrazioni. Ho voluto darne un esempio, procurando di dimostrare quanto sia
stata efficace la influenza del periodo glaciale sulla distribuzione delle
medesime specie e delle specie rappresentative in tutto il mondo. Ma ci sono
ancora affatto ignoti i molti mezzi occasionali di trasporto. Riguardo poi alle
specie distinte che abitano in regioni molto distanti ed isolate, siccome il
processo di modificazione fu necessariamente assai lento, tutti i mezzi di
migrazione saranno stati possibili, durante un periodo di tempo molto lungo;
per conseguenza la difficoltà della vasta diffusione delle specie di uno
stesso genere viene alquanto diminuita.
Nella teoria
dell'elezione naturale si suppone che sia esistito un numero interminabile di
forme intermedie, le quali collegavano insieme tutte le specie di ogni gruppo,
per mezzo di gradazioni tanto minute quanto le nostre varietà attuali.
Ora potrebbe domandarsi: perchè non troviamo queste forme transitorie
intorno a noi? Perchè tutti gli esseri organizzati non sono commisti fra
loro in un caos inestricabile? Quanto alle forme esistenti, ricorderemo che non
abbiamo alcuna ragione per sperare (eccettuati alcuni casi rari) di scoprire i
legami che direttamente le connettono, ma soltanto quelli che le
congiungevano a qualche forma estinta o soppiantata. Anche in un'area molto
estesa, che rimase continua per un lungo periodo, e nella quale il clima e le
altre condizioni di vita variano insensibilmente, quando si passa da un
distretto occupato da una data specie in un altro distretto abitato da una
specie strettamente affine, non possiamo ragionevolmente aspettarci di trovare
spesso delle varietà intermedie nella zona intermedia. Perchè
abbiamo qualche fondamento di credere che soltanto poche specie di un genere
siano quelle soggette a cambiamenti; mentre le altre specie si estinguono
interamente e non lasciano altre progenie modificata. Di quelle specie che si
trasformano, poche si cambiano contemporaneamente nello stesso paese; e tutte
le modificazioni si effettuano lentamente. Ho anche dimostrato che le
varietà intermedie, dapprima esistenti probabilmente nelle zone
intermedie, saranno state surrogate dalle forme affini da una parte e
dall'altra; queste ultime, trovandosi in maggior numero, si saranno modificate
e perfezionate generalmente, molto più presto delle varietà
intermedie che erano più scarse; per modo che le varietà
intermedie, a lungo andare, saranno state soppiantate ed esterminate.
Ammessa
questa dottrina della distruzione di una infinità di legami intermedi fra
gli abitanti viventi e gli estinti del mondo: e in ogni periodo successivo fra
le specie estinte e le specie anche più antiche, perchè ogni
formazione geologica non contiene queste forme transitorie? Perchè tutte
le collezioni di avanzi fossili non presenteranno le prove evidenti della
gradazione e del mutamento delle forme di vita? Quantunque le ricerche
geologiche abbiano certamente rivelato la esistenza anteriore di molte forme
transitorie, che riuniscono più strettamente fra loro molte forme di
vita; esse non ci dànno le gradazioni insensibili ed infinite fra le
specie passate e presenti che si richiedono nella mia teoria, e
quest'obbiezione è la più ovvia e la più rilevante di
quelle che possono sollevarsi contro di essa. Come avviene che certi gruppi di
specie affini si mostrano talvolta apparentemente d'improvviso (ed è
spesso certamente una falsa apparenza) nei diversi strati geologici? Siccome
è noto che la vita organica su questa terra è apparsa in un tempo
incalcolabilmente remoto, assai anteriore alla deposizione degli intimi strati
cambriani, perchè non troviamo noi dei grandi depositi sotto questo
sistema, pieni di avanzi dei progenitori dei gruppi di fossili cambrici?
Imperocchè questi strati debbono essere stati depositati altrove,
secondo la mia teoria, in quelle epoche antiche ed affatto ignote della storia
del mondo.
A
codeste questioni ed obbiezioni io rispondo solamente col supporre che le
memorie geologiche sono assai più imperfette di quel che pensi la
maggior parte dei geologi. Il numero degli oggetti che si conservano nei nostri
musei è assolutamente un nulla in confronto delle innumerevoli
generazioni di specie innumerevoli, che senza dubbio esistettero. La
madre-forma di due o più specie non sarebbe in tutti i suoi caratteri
direttamente intermedia fra i vari suoi discendenti modificati, più di
quello che lo sia il colombo gozzuto ed il colombo pavone. Noi non saremmo
capaci di riconoscere una specie come lo stipite di un'altra, anche se
potessimo esaminarle accuratamente, finchè non possedessimo parimenti
molte delle forme intermedie fra il loro stato passato e l'attuale; ora non
possiamo sperare di scoprire queste forme, attesa la imperfezione degli avanzi
geologici. Se due, tre o più forme transitorie fossero scoperte, sarebbero
riguardate semplicemente come altrettante specie nuove, tanto più se
trovate in differenti substrati geolologici, anche se le loro differenze
fossero leggere. Potrebbero nominarsi molte forme dubbie esistenti, le quali
non sono probabilmente che semplici varietà; ma chi vorrà
sostenere che nelle età future si scopriranno tante forme transitorie
fossili che i naturalisti arriveranno a stabilire, secondo le regole comuni, se
queste forme dubbie siano varietà? Soltanto una piccola porzione del
mondo è stata geologicamente esplorata. Inoltre i soli esseri
organizzati di certe classi possono essere conservati nello stato di fossili,
almeno in una quantità abbastanza grande. Molte specie, una volta
formate, non subiscono mai ulteriori cambiamenti, ma si estinguono senza
lasciare dei discendenti modificati; e i tempi, durante i quali le specie
soggiacquero a certe modificazioni, furono lunghi sì, se calcolati con
un numero di anni, ma probabilmente corti al confronto di quelli, durante i
quali le specie rimasero inalterate. Le specie molto sparse variano più
delle altre, e di sovente le varietà sono dapprima locali, - e queste
due cause rendono meno facile la scoperta delle forme intermedie. Le
varietà locali non si diffondono in altre regioni lontane, finchè
non siano state modificate e perfezionate notevolmente; e quando passano in
nuove contrade, e che vi siano poi scoperte in una formazione geologica, si
crederà che vi fossero create improvvisamente e saranno classificate
semplicemente quali specie nuove. Le formazioni furono in generale
intermittenti nella loro accumulazione; ed io sarei per vedere che la loro
durata fosse più breve della durata media delle forme specifiche. Le
formazioni successive sono separate generalmente l'una dall'altra da periodi
enormi in cui non avveniva alcuna deposizione; perchè le formazioni
fossilifere abbastanza profonde da resistere alle future corrosioni possono
generalmente accumularsi soltanto là dove si depone molto sedimento, sul
letto del mare che si abbassa. Negli alterni periodi di elevazione e di livello
stazionario, le memorie geologiche generalmente mancano. In questi ultimi
periodi si avrà probabilmente maggiore variabilità nelle forme
viventi; mentre in quelli di abbassamento sarà maggiore l'estinzione.
Quanto
all'assenza di formazioni fossilifere sotto gli strati cambriani, mi
basterà richiamare l'ipotesi fatta nel capo nono: sebbene cioè i
nostri continenti ed oceani abbiano passato un tempo lunghissimo nelle relative
loro posizioni quasi uguali alle presenti, non abbiamo ragioni per ammettere
che queste fossero sempre tali; per conseguenza sotto al grande Oceano possono
trovarsi sepolte delle formazioni assai più antiche che qualsiasi altra
di quelle che oggi conosciamo. Relativamente all'obbiezione che il tempo trascorso
dopo la solidificazione del nostro pianeta non sia stato sufficiente a produrre
tanta somma di cambiamenti organici - obbiezione su cui ha insistito V.
Thompson, e che è una delle più gravi! - io posso solamente
rispondere, in primo luogo, che noi non sappiamo con quanta prestezza, misurata
cogli anni, le specie si cambino; in secondo luogo che molti filosofi non
vogliono ammettere che noi sappiamo tanto intorno alla costituzione
dell'universo e quella della terra per giudicare della loro trascorsa durata.
Tutti
ammetteranno la imperfezione delle memorie geologiche; ma pochi saranno
disposti a convenire che siano imperfette al punto che si richiede dalla mia
teoria. Se si considerino degl'intervalli di tempo abbastanza lunghi; la
geologia manifestamente dichiara che tutte le specie si sono cambiate: e che si
sono trasformate nel modo stabilito dalla mia teoria, perchè si
cambiarono lentamente e gradatamente. Questo fatto risulta chiaramente
dall'osservazione che gli avanzi fossili delle formazioni consecutive sono
invariabilmente assai più affini fra loro, di quelli delle formazioni
separate da un lungo periodo.
Sono
queste in somma le diverse obbiezioni e difficoltà principali che
possono giustamente sollevarsi contro la mia teoria; ed io ho esposto
brevemente le risposte e le spiegazioni che si possono fare. Ho sentito per
molti anni troppo profondamente queste difficoltà per dubitare del loro
peso. Ma fa d'uopo riflettere che le obbiezioni più importanti si
riferiscono a questioni, sulle quali noi confessiamo la nostra ignoranza,
nè sappiamo quanto essa sia. Noi non conosciamo tutte le gradazioni
transitorie possibili fra gli organi più semplici e i più
perfetti; nè possiamo pretendere di sapere tutti i mezzi variati della
distribuzione nel lungo corso degli anni, e quanto siano imperfette le memorie
geologiche. Sebbene queste difficoltà siano molto gravi, esse non sono
tali, a mio avviso, da rovesciare la teoria della discendenza da poche forme
primordiali con modificazioni consecutive.
Ora passiamo
all'altro lato della questione. Nello stato di domesticità noi troviamo
una grande variabilità. Sembra che ciò debba attribuirsi
principalmente al sistema riproduttivo, il quale è assai sensibile ai
cambiamenti delle condizioni esterne della vita; per modo che questo sistema,
quando non sia divenuto impotente, non riproduce più una prole
esattamente simile alla madre-forma. La variabilità è diretta da
molte leggi complesse, - dalla correlazione di sviluppo, dall'uso e dal
non-uso, e dall'azione diretta delle condizioni fisiche della vita. È
assai difficile il constatare a quante modificazioni siano andate soggette le
nostre produzioni domestiche; ma possiamo inferire con sicurezza che l'insieme
di queste modificazioni fu molto grande e che esse sono ereditabili per lunghi
periodi. Finchè le condizioni della vita rimangono inalterate, abbiamo
ragione di credere che una modificazione, già ereditata per molte
generazioni, possa continuare ad essere trasmessa per un numero quasi infinito
di generazioni. D'altra parte, noi abbiamo delle prove che la
variabilità, quando si sia manifestata una volta, non cessa interamente,
perchè anche le nostre più antiche produzioni domestiche
producono occasionalmente delle varietà nuove.
L'uomo
non produce effettivamente la variabilità; egli espone soltanto
inavvertitamente gli esseri organizzati a nuove condizioni di vita, e allora la
natura agisce sull'organizzazione e cagiona la variabilità. Ma l'uomo
può scegliere e sceglie di fatto le variazioni che la natura gli presenta,
e così le accumula in una data direzione. Egli adatta quindi gli animali
e le piante al proprio vantaggio o diletto. Egli può farlo
metodicamente, od anche inavvertitamente, preservando quegli individui che gli
sono maggiormente utili, senza alcuna intenzione di alterare la razza. È
indubitato che egli può trasformare i caratteri di una specie,
scegliendo in ogni generazione successiva delle differenze individuali tanto
piccole da sfuggire persino agli occhi esperti. Questo procedimento di elezione
è stato l'agente principale nella produzione delle razze domestiche
più distinte e più utili. Che molte delle razze prodotte
dall'uomo abbiano in gran parte il carattere di specie naturali, risulta
dagl'inestricabili dubbi, in cui cadono i naturalisti, se esse siano
varietà o specie originali distinte.
Non
esiste alcun motivo plausibile per ritenere che i principii, che agirono con
tanta efficacia nello stato di domesticità, non abbiano agito anche
nello stato di natura. Noi vediamo il più potente mezzo, sempre attivo,
di elezione nella conservazione degli individui e delle razze favorite, durante
la lotta per l'esistenza che continuamente si rinnova. La lotta per l'esistenza
deriva immancabilmente dalla ragione geometrica di accrescimento, con cui si
moltiplicano tutti gli esseri organizzati. Questo rapido aumento è
provato dal calcolo, - e dall'osservazione della pronta propagazione di molti
animali e di molte piante, in una successione di stagioni particolarmente
favorevoli, o quando siano naturalizzati in una nuova regione. Nascono assai
più individui di quanti ne possono vivere. Un solo grano nella bilancia
deciderà quale individuo debba campare e quale debba morire, - quale
varietà o specie crescerà di numero e quale altra
diminuirà o finalmente rimarrà estinta. Siccome gli individui
della medesima specie entrano fra loro per tutti i rapporti nella più
stretta concorrenza, la lotta sarà in generale assai severa fra i
medesimi; questa lotta sarà quasi ugualmente viva fra le varietà
della medesima specie ed un po' meno severa fra le specie del medesimo genere.
Ma la lotta sarà spesso assai forte anche fra gli esseri che sono molto
lontani nella scala naturale. Il più piccolo vantaggio in favore di un
essere, in qualunque età e in ogni stagione, sopra quello con cui egli
si trova in lotta, oppure un migliore adattamento alle condizioni fisiche,
anche in grado leggero, farà traboccare la bilancia.
Negli
animali aventi sessi separati avrà luogo generalmente una lotta fra i
maschi pel possedimento delle femmine. Gli individui più vigorosi, o
quelli che lottarono con maggiore successo contro le loro condizioni di vita,
lasceranno in generale una progenie più numerosa. Ma tale risultato
dipenderà spesso dalla presenza di armi speciali o di mezzi difensivi,
od anche dalle attrattive dei maschi; il più piccolo vantaggio
assicurerà la vittoria.
Siccome la
geologia dimostra evidentemente che ogni paese fu soggetto a grandi cambiamenti
fisici, noi possiamo prevedere che gli esseri organizzati avranno variato nello
stato di natura, allo stesso modo con cui generalmente variarono sotto le
mutate condizioni di domesticità. Ora se vi abbia qualche
variabilità allo stato di natura, sarebbe un fatto strano che l'elezione
naturale non avesse agito. Si è affermato di sovente, quantunque l'asserzione
sia destituita di prove, che la quantità delle variazioni allo stato di
natura è rigorosamente limitata. L'uomo, sebbene agisca soltanto pei
caratteri esterni e spesso a capriccio, può ottenere in breve tempo un
grande risultato aggiungendo delle semplici differenze individuali alle sue
produzioni domestiche; e tutti ammetteranno che nelle specie allo stato di
natura vi sono almeno delle differenze individuali. Ma oltre queste differenze,
tutti i naturalisti hanno riconosciuto esistere anche delle varietà che
furono considerate abbastanza distinte da meritare una speciale menzione nelle
loro opere sistematiche. Nessuno può tracciare una chiara distinzione
fra le differenze individuali e le piccole varietà poco distinte, oppure
fra le diverse varietà bene distinte, le sottospecie e le specie. Nei
diversi continenti, o nelle diverse parti di un medesimo continente separate
tra loro da barriere di qualsiasi genere, e sulle isole prossime ad un
continente, quante forme non esistono che alcuni esperti naturalisti
considerano come semplici varietà, altri come razze geografiche o
sottospecie, altri ancora come specie distinte sebbene affini!
Se dunque gli
animali e le piante variano realmente, sia pure con lentezza ed in grado
leggero, perchè dubiteremo che col mezzo della elezione naturale o
sopravvivenza del più adatto possano preservarsi, accumularsi ed
ereditarsi quelle variazioni o differenze individuali che riescono in qualche
modo utili agli esseri? Perchè la natura non potrà giungere a
scegliere le variazioni vantaggiose ai suoi prodotti, viventi in condizioni di
vita mutabili, quando l'uomo è in facoltà di prescegliere colla
pazienza le variazioni che gli recano qualche utilità? Qual limite
possiamo noi assegnare a questo potere che opera per lunghe epoche e scruta
rigorosamente l'intera costituzione, la struttura e le abitudini di ogni
creatura, - favorendo il buono e rigettando il dannoso? Io non saprei vedere
alcun confine a questo potere, nello adattare con lentezza e mirabilmente ogni
forma alle più complesse relazioni della vita. La teoria dell'elezione
naturale, anche senza inoltrarci maggiormente in queste considerazioni, mi
sembra probabile in se stessa. Ho già ricapitolato le difficoltà
ed obbiezioni affacciate, colla maggiore precisione che potei: ora veniamo ai
fatti speciali ed agli argomenti in favore della teoria.
Dal punto di
vista che le specie non sono altro che varietà molto distinte e
permanenti, e che ogni specie esistette dapprima come varietà, possiamo
riconoscere come non si possa stabilire alcuna linea di demarcazione fra le
specie, che comunemente si suppongono prodotte da atti speciali di creazione, e
le varietà, la cui formazione si attribuisce a leggi secondarie. Dietro
questa ipotesi possiamo anche spiegare il fatto, che laddove ebbero origine
molte specie di un genere, e dove esse presentemente fioriscono, queste
medesime specie debbono presentare molte varietà; perchè nei
luoghi in cui la formazione delle specie fu molto attiva, dobbiamo ritenere,
come regola generale, che sia tuttora in azione; e ciò appunto si
verifica, se le varietà sono specie incipienti. Inoltre le specie dei
generi più ricchi, che contengono un numero maggiore di varietà o
specie incipienti, conservano fino ad un certo grado il carattere di
varietà; perchè esse differiscono fra loro per un insieme di
differenze minore di quello che esiste fra le specie dei generi più
scarsi. Anche le specie strettamente affini dei generi più grandi hanno
in apparenza un'estensione più limitata, e nelle loro affinità
sono raccolte in piccoli gruppi intorno ad altre specie, - rispetto alle quali
esse rassomigliano alle varietà. Queste relazioni sono strane, se si
crede che ogni specie sia stata creata indipendentemente, ma divengono chiare
se tutte le specie siano già esistite quali varietà.
Siccome ogni
specie tende ad aumentare straordinariamente per la sua riproduzione in ragione
geometrica, e siccome i discendenti modificati di ogni specie si
moltiplicheranno tanto più, quanto diversificheranno maggiormente nelle
abitudini e nella struttura, e diverranno atti ad occupare molti posti, affatto
differenti, nell'economia della natura; vi sarà nell'elezione naturale
una tendenza costante di preservare la prole più divergente di ogni
specie. Perciò, durante un corso prolungato di modificazioni, le piccole
differenze caratteristiche delle varietà di una medesima specie
tenderanno ad aumentare, fino a divenire le differenze più grandi che
caratterizzano le specie del medesimo genere. Le varietà nuove e perfezionate
soppianteranno inevitabilmente e distruggeranno quelle meno perfette ed
intermedie; e così le specie diveranno oggetti meglio definiti e
distinti. Le specie dominanti, appartenenti ai gruppi più ricchi in ogni
classe, tenderanno a dare origine a nuove forme dominanti; per modo che ogni
gruppo grande tenderà a farsi sempre maggiore e simultaneamente
più divergente nel carattere. Ma tutti i gruppi non possono riuscire
ugualmente ad estendersi in questo modo, perchè il mondo non potrebbe
contenerli, e per conseguenza i gruppi più dominanti abbattono i meno
dominanti. Questa tendenza nei gruppi più ricchi di espandersi e
divergere nel carattere, congiunta colla conseguenza quasi immancabile di molte
estinzioni, spiega la disposizione di tutte le forme della vita in gruppi subordinati
ad altri gruppi, tutti in poche grandi classi che prevalsero in ogni tempo.
Questo grande fatto della classificazione dei gruppi di tutti gli esseri
organizzati è affatto inesplicabile secondo la teoria delle creazioni.
Siccome
l'elezione naturale agisce soltanto accumulando delle variazioni piccole,
successive e favorevoli, non può produrre modificazioni grandi od
improvvise; essa non può operare che per gradi molto brevi e molto
lenti. Perciò il canone Natura non facit saltum, che viene
confermato da ogni nuova conquista della nostra scienza, s'intende facilmente
secondo questa teoria. Noi possiamo inoltre comprendere perchè in natura
lo stesso scopo generale sia raggiunto con una infinita varietà di
mezzi, imperocchè ogni particolarità, acquistata che sia,
è per lungo tempo trasmessa per eredità, e le strutture in varia
guisa modificate devono essere adottate allo stesso scopo generale. In breve,
noi comprendiamo perchè la natura sia prodiga di varietà, sebbene
parca d'innovazioni. Ma niuno potrebbe spiegare come questa sia una legge di
natura, nell'ipotesi che ogni specie sia stata creata indipendentemente.
Mi
sembra che molti altri fatti siano facili a spiegarsi in questa teoria. Quanto
non sarebbe strano che un uccello, della forma del picchio, sia stato creato
per nutrirsi di insetti colti sul terreno; che l'oca terrestre, la quale non
nuota mai, o almeno assai di rado, sia stata provvista di piedi palmati; che
sia stato creato un merlo che si tuffa nell'acqua e si ciba di insetti
acquatici, e che si trovi una procellaria creata colle abitudini e la struttura
convenienti alla vita di un pinguino! E così dicasi di infiniti altri
casi. Ma nel concetto, secondo il quale ogni specie tende costantemente ad
aumentare di numero, e la elezione naturale è sempre pronta ad adattare
i discendenti lentamente variabili di ciascuna specie ad ogni posto vuoto o
imperfettamente occupato nella natura, questi fatti perdono la loro
singolarità, ed anzi si sarebbero potuti prevedere.
Noi possiamo comprendere perchè in generale nella natura
esista quella bellezza che vi regna, giacchè nel complesso noi possiamo
considerarla come un effetto della elezione naturale. Che la bellezza, secondo
le nostre idee, soffra delle eccezioni, nessuno negherà il quale voglia
dare uno sguardo a certi serpenti velenosi, ad alcuni pesci, e a qualche
schifoso pipistrello avente una somiglianza contraffatta con un volto umano.
Presso molti uccelli, lepidotteri ed altri animali la elezione sessuale ha dato
al maschio, talvolta ad ambedue i sessi, i colori più brillanti ed altri
ornamenti. Essa ha reso anche la voce di molti uccelli maschi armoniosa per le
loro femmine, nonchè pel nostro orecchio. I fiori ed i frutti risaltano
pe' loro magnifici colori di fronte alle foglie verdi, affinchè i fiori
siano visti, visitati e fecondati dagli insetti, ed affinchè i semi dei
frutti siano dispersi dagli uccelli. La ragione per la quale certi colori,
suoni o forme producono piacere nell'uomo e nei sottoposti animali - ossia come
dapprima sia stato raggiunto il sentimento della bellezza nella sua forma
più semplice, - è cosa non meno oscura del modo col quale
dapprincipio certi odori e sapori furono resi grati.
Posto che la
elezione naturale agisca per mezzo della concorrenza, essa adatta e perfeziona
gli abitanti d'ogni paese solo in relazione a quelli che convivono con essi,
per modo che non dobbiamo fare le meraviglie se gli abitanti di qualche paese,
quantunque secondo l'opinione ordinaria siano stati specialmente creati in
rapporto col paese stesso, saranno battuti e sostituiti dalle produzioni
naturalizzate importate da un'altra regione. Inoltre non possiamo meravigliarci
se tutte le combinazioni della natura non sono perfette, almeno per quanto
può desumersi dal nostro giudizio, e se alcune di queste disposizioni
naturali ripugnano alle nostre idee sull'adattamento delle forme. Nè ci
sorprenderà che l'aculeo dell'ape cagioni la morte dell'ape stessa; che
i fuchi siano prodotti in sì gran numero per un solo atto, e che la
maggior parte di essi sia uccisa dalle sterili operaie; che le nostre conifere
producano una quantità enorme di polline; che l'ape regina abbia un odio
istintivo per le proprie figlie feconde; che l'icneumone si nutra del corpo
vivente dei bruchi; ed altri casi analoghi. Al contrario, secondo la teoria
dell'elezione naturale, noi dovremmo stupirci di non trovare un maggior numero
di casi, in cui manchi l'assoluta perfezione di adattamento.
Le
leggi complesse e poco note che governano le variazioni sono, per quanto ci
è dato giudicare, le medesime di quelle che governano la produzione
delle forme specifiche. Nell'uno e nell'altro caso pare che le condizioni
fisiche abbiano prodotto un effetto diretto di poca entità: tuttavia
quando le varietà entrano in una zona, esse assumono occasionalmente
alcuni dei caratteri delle specie proprie di questa zona. Nelle varietà
come nelle specie, qualche risultato deve attribuirsi all'uso ed al non-uso;
perchè quando si consideri, per esempio, il microttero di Eyton, le ali
del quale sono inette al volo quasi nel medesimo stato di quelle dell'anitra
domestica; e quando si pensi al tucotuco che vive sotterra ed è cieco
occasionalmente, e a certe talpe che sono cieche abitualmente ed hanno i loro
occhi rudimentali coperti dalla pelle, oppure si rifletta agli animali ciechi
che abitano nelle caverne oscure dell'America e dell'Europa, è d'uopo
riconoscere la efficacia di questo principio. Tanto nelle varietà quanto
nelle specie, sembra che la correlazione di sviluppo abbia esercitato
un'influenza più grande, in tal modo che quando una parte rimase
modificata, le altre parti si modificarono necessariamente. Nelle
varietà e nelle specie avvengono delle riversioni a caratteri perduti da
lungo tempo. Secondo la teoria delle creazioni, quanto non è inesplicabile
la comparsa delle righe sulle spalle e sulle gambe di diverse specie del genere
cavallo e su quelle dei loro ibridi! Invece con quanta semplicità non
spieghiamo noi questo fatto, quando ammettiamo che tutte queste specie sono
derivate da un animale rigato, nella stessa maniera con cui le varie razze di
colombi domestici provengono dal piccione torraiuolo ceruleo e rigato!
Secondo
l'opinione ordinaria della creazione indipendente di ogni specie, perchè
dovrebbero i caratteri specifici, o quelli per cui le specie di uno stesso
genere differiscono fra loro, essere più variabili dei caratteri
generici che sono comuni alle medesime? Per qual motivo, per esempio, il colore
di un fiore sarebbe più soggetto a variare in qualche specie di un
genere, se le altre specie, che suppongonsi create indipendentemente, hanno
fiori diversamente colorati, di quello che se tutte le specie del genere
producono fiori dello stesso colore? Se le specie non sono altro che
varietà ben marcate, i caratteri delle quali divennero permanenti in
alto grado, ci sarà facile intendere questo fatto; perchè esse
variarono già in certi caratteri fino dall'epoca in cui si staccarono
dal progenitore comune, e per queste modificazioni divennero specificamente
distinte fra loro; e per conseguenza codesti caratteri sono più
facilmente soggetti a nuove variazioni che i caratteri generici, i quali furono
trasmessi per eredità senza cambiamenti, per un periodo enorme.
Attenendoci alla dottrina delle creazioni, rimane inesplicabile come sia eminentemente
suscettibile di variazione una parte sviluppata in modo straordinario in
qualche specie di un genere, e perciò sia di grande importanza per la
medesima specie, come si può naturalmente inferire; ma secondo la mia
teoria questa parte, dacchè le diverse specie si diramarono dal
progenitore comune, dovette subire un insolito complesso di variabilità
e di modificazioni, e quindi possiamo arguire che questa parte sia in generale
variabile ancora. Ma una data parte può svilupparsi nel modo più
anormale, come l'ala del pipistrello, e nondimeno non essere più
variabile di qualsiasi altra struttura, se quella parte sia comune a molte
forme subordinate, vale a dire, se sia stata ereditata per un periodo molto
lungo; dappoichè in tal caso sarà divenuta costante, per la elezione
naturale continuata per lungo tempo.
Se
ora passiamo agli istinti, alcuni dei quali sono tanto meravigliosi, essi non
presentano una maggiore difficoltà di quella che possiamo trovare nelle
strutture organiche per le modificazioni piccole o consecutive, ma vantaggiose
che si presuppongono nella teoria dell'elezione naturale. Possiamo quindi farci
un'idea del processo seguito dalla natura, per mezzo di lente gradazioni, nel
dotare i differenti animali della stessa classe dei loro vari istinti. Ho procurato
di far conoscere in quanta luce possano mettersi le mirabili facoltà
architettoniche dell'ape domestica, mediante il principio del perfezionamento
graduale. Senza dubbio l'abitudine influisce tal volta nel modificare gli
istinti; ma essa non è certamente indispensabile, come si osserva negli
insetti neutri che non lasciano alcuna progenie che erediti gli effetti
dell'abitudine lungamente continuata. Secondo l'opinione che tutte le specie
del medesimo genere derivano da uno stipite comune ed hanno ereditato molti
caratteri in comune, possiamo spiegare come avvenga che le specie affini,
quando sono poste in condizioni di vita notevolmente diverse, pure seguono i
medesimi istinti; e per qual motivo, per esempio, il merlo dell'America
meridionale rivesta il suo nido col fango, come le nostre specie inglesi. Se
gli istinti si acquistano lentamente, per mezzo della elezione naturale, non
dobbiamo meravigliarci che alcuni siano ancora imperfetti e soggetti ad errori,
e che molti siano dannosi ad altri animali.
Quando
le specie altro non siano che varietà bene distinte e permanenti,
vedremo immediatamente per quale ragione la loro prole incrociata debba seguire
le medesime leggi complesse nel grado di rassomiglianza ai parenti, nel
rimanere assorbita dall'una o dall'altra specie-madre, per gl'incrociamenti
successivi ed in altri punti analoghi, come la prole incrociata delle
varietà conosciute. Questi fatti sarebbero al contrario molto strani, se
le specie fossero state create indipendentemente, e le varietà fossero
state prodotte da leggi secondarie.
Se
noi ammettiamo che le memorie geologiche sono imperfette in estremo grado,
allora quei fatti che esse ci presentano sono in armonia colla dottrina della
discendenza modificata. Le nuove specie sono state formate lentamente e ad
intervalli successivi; e la quantità delle modificazioni, dopo uguali
intervalli di tempo, è affatto diversa nei differenti gruppi.
L'estinzione delle specie e di interi gruppi di specie, che ebbe una parte
tanto cospicua nella storia del mondo organico, segue quasi necessariamente dal
principio della elezione naturale; perchè le forme antiche saranno
sostituite da forme nuove e perfezionate. Nè le singole specie,
nè i gruppi delle specie riappariranno, quando siasi interrotta una
volta la catena della generazione ordinaria. La diffusione graduale delle forme
dominanti e le modificazioni lente dei loro discendenti fanno sì che,
dopo lunghi intervalli di tempo, le forme della vita sembrano cambiate
simultaneamente per tutto il mondo. Il fatto di quegli avanzi fossili di ogni
formazione, che sono in qualche grado intermedi di carattere fra i fossili
della formazione anteriore e della posteriore, viene spiegato con
semplicità per la posizione intermedia nella catena della discendenza.
Il gran fatto che tutti gli esseri organizzati estinti appartengono al medesimo
sistema degli esseri recenti e si trovano o nello stesso gruppo, o in gruppi
intermedi, deriva dall'essere tanto gli esseri viventi, quanto gli estinti la
progenie di parenti comuni. Siccome i gruppi che derivano da un antico
progenitore si allontanarono generalmente pei loro caratteri, così il
progenitore co' suoi primi discendenti sarà di sovente intermedio nel
carattere rispetto agli ultimi suoi discendenti; e così siamo in grado
di desumere la ragione del fatto che quanto più antico è un
fossile, esso presenta più spesso una struttura intermedia fra i gruppi
esistenti ed affini. Le forme recenti si considerano generalmente come
più elevate delle forme antiche ed estinte, nel loro insieme, e le
medesime sono tanto più elevate in quanto che le forme più
recenti e più perfezionate distrussero gli esseri più antichi e
meno perfetti, nella lotta per l'esistenza; esse avranno anche in generale i
loro organi più specialmente destinati alle singole diverse funzioni.
Questo fatto è perfettamente compatibile cogli esseri numerosi che
conservano tuttora una organizzazione semplice e poco avanzata, conveniente a
condizioni di vita molto semplice; inoltre è compatibile con alcune
forme che retrocedettero nell'organizzazione, sebbene in ogni grado della
discendenza divenissero più adatte alle loro abitudini di vita cambiate
e degradate. Da ultimo, la legge della lunga durata delle forme affini sul
medesimo continente, - dei marsupiali in Australia, degli sdentati in America,
ed altrettali casi, diviene facile a concepirsi, perchè in una regione
isolata le forme recenti e le estinte saranno affini naturalmente a cagione
della discendenza.
Considerando
la distribuzione geografica, se si ammetta che nel lungo corso della età
fuvvi molta migrazione da una parte del mondo all'altra, dovuta agli antichi
cambiamenti climatologici e geografici, ed ai molti mezzi occasionali ed
occulti di dispersione, allora possiamo spiegare la maggior parte dei
principali fatti della Distribuzione, seguendo la teoria della discendenza con
modificazioni. Possiamo riconoscere perchè vi sia un parallelismo tanto
singolare fra la distribuzione degli esseri organizzati nello spazio e la loro
successione geologica nel tempo; poichè in ambi i casi gli esseri furono
congiunti dal legame della generazione ordinaria, e i mezzi di modificazione
furono i medesimi. Noi troviamo la piena significazione del fatto meraviglioso
che deve essere stato notato da ogni viaggiatore, vale a dire, che sullo stesso
continente, nelle condizioni le più diverse, in climi caldi o freddi,
sulle montagne e nelle pianure, nei deserti e nelle paludi, quasi tutti gli
abitanti di ogni grande classe hanno rapporti manifesti fra loro; perchè
essi saranno in generale i discendenti dei medesimi progenitori e delle prime
colonie. Con questo principio della migrazione anteriore, associato nella
pluralità dei casi con quello delle modificazioni, possiamo spiegare
insieme la identità di alcune piante, e la stretta affinità di
molte altre sulle montagne più lontane nei climi più differenti,
ricorrendo anche all'azione del periodo glaciale; e parimenti possiamo
intendere come esista una mutua affinità in certi abitanti del mare
nelle zone temperate settentrionali e meridionali, quantunque separate
dall'intero oceano intertropicale. Sebbene due regioni possano presentare delle
condizioni fisiche tanto simili quanto lo richieda la esistenza delle medesime
specie, non dobbiamo farci caso che i loro abitanti siano interamente diversi, se
furono separati gli uni dagli altri per un lungo periodo; perchè essendo
la relazione di un organismo all'altro la più importante di tutte le
relazioni, siccome le due regioni saranno state popolate da coloni provenienti
da un terzo punto, ovvero l'una dall'altra, in diversi periodi e con
proporzioni diverse, il processo di modificazione delle due aree deve essere
stato differente inevitabilmente.
Il principio
di migrazione, colle modificazioni susseguenti, ci servirà a spiegare
perchè le isole oceaniche siano abitate da poche specie, molte delle
quali sono affatto particolari e proprie di quelle isole. Noi vediamo
chiaramente perchè questi animali che non possono attraversare grandi
spazi di mare, come i batraci ed i mammiferi terrestri, non si trovino nelle
isole oceaniche; e perchè, d'altra parte, nuove e particolari specie di
pipistrelli, animali che possono portarsi al di là dei mari, si
incontrino tanto spesso sulle isole più lontane dai continenti. Questi
fatti, non meno che la presenza di peculiari specie di pipistrelli e l'assenza
di altri mammiferi sulle isole dell'oceano, sono affatto inesplicabili nella
teoria degli atti indipendenti di creazione.
L'esistenza
di specie molto affini o rappresentative, in due regioni qualsiasi, implica,
secondo la teoria della discendenza modificata, che le stesse forme-madri
abitassero anticamente nelle due regioni, e noi troviamo quasi costantemente
che, quando in due aree lontane si incontrano molte specie strettamente affini,
vi esistono altresì alcune specie identiche, comuni ai due luoghi. In
tutti quei paesi in cui stanno delle specie molto affini, quantunque distinte,
si presentano anche molte forme dubbie e varietà della medesima specie.
Dobbiamo poi considerare come una regola molto generale quella, che gli abitanti
d'ogni regione hanno qualche rapporto con quelli della sorgente più
vicina, da cui gl'immigranti possono essere partiti. Noi osserviamo questa
regola in tutte le piante e negli animali dell'Arcipelago Galapagos, di Juan
Fernandez e delle altre isole dell'America, che sono affini, nel modo
più evidente, alle piante e agli animali del vicino continente
americano; e quelli dell'arcipelago di Capo Verde e delle altre isole africane
agli altri del continente africano. Bisogna ammettere che questi fatti non
trovano alcuna spiegazione nella teoria delle creazioni.
Il fatto, che
abbiamo constatato, che tutti gli esseri passati e presenti costituiscono un
solo grande sistema naturale, formato di gruppi subordinati ad altri gruppi, i
gruppi estinti del quale cadono spesso fra i gruppi recenti, si spiega nella
teoria dell'elezione naturale colle sue contingenze dell'estinzione della
divergenza dei caratteri. Per questi medesimi principii noi dimostriamo come
siano tanto complesse ed involute le mutue affinità delle specie e dei
generi di ogni classe. Noi vediamo la ragione, per cui certi caratteri sono
assai più vantaggiosi di alcuni altri per la classificazione; come i
caratteri di adattamento siano di ben poca importanza per la classificazione,
sebbene siano di una importanza rilevante per l'individuo; come i caratteri
desunti dalle parti rudimentali, quantunque non siano in alcun modo utili
all'essere, sono spesso di molto valore nella classificazione; e infine come i
più importanti fra tutti i caratteri siano gli embriologici. Le
affinità reali di tutti gli esseri organizzati sono dovute
all'eredità, ossia alla discendenza comune. Il sistema naturale è
una disposizione genealogica, nella quale noi dobbiamo scoprire le linee di
discendenza mediante i caratteri più permanenti, comunque sia piccola la
loro importanza vitale.
La
disposizione delle ossa essendo simile nella mano dell'uomo, nell'ala del
pipistrello, nella natatoia della testuggine marina e nella gamba del cavallo,
- lo stesso numero di vertebre formando il collo della giraffa e quello
dell'elefante, - questi e moltissimi altri fatti analoghi si spiegano tosto da
se stessi, secondo la teoria della discendenza, con successive modificazioni
piccole e lente. La somiglianza nel modello dell'ala e della gamba di un
pipistrello, sebbene usate per fini diversi, - delle mascelle e delle zampe di
un granchio, - e così quella dei petali, stami e pistilli di un fiore,
si intende parimenti, quando si pensi alle modificazioni graduali delle parti o
degli organi, che erano consimili nel primo progenitore di ogni classe.
Partendo dal principio delle variazioni successive, che non si manifestano
sempre nella prima età e che si ereditano nell'età corrispondente
e non già nel periodo primiero della vita, noi possiamo spiegare
chiaramente il fatto che gli embrioni dei mammiferi, degli uccelli, dei rettili
e dei pesci sono tanto somiglianti, mentre le forme adulte sono affatto
diverse. Finalmente dobbiamo desistere dal maravigliarci di trovare
nell'embrione di un mammifero o di un uccello a respirazione aerea, delle
aperture branchiali e degli archi branchiali arteriosi simili a quelli del
pesce, che deve respirare l'aria sciolta nell'acqua, coll'aiuto di branchie
bene sviluppate.
Il non-uso,
in concorso talvolta della elezione naturale, tenderà spesso a diminuire
un organo, quando questo sia divenuto inutile per le abitudini cambiate, oppure
per le mutate condizioni di vita; da questo punto di vista rileveremo
chiaramente il significato degli organi rudimentali. Ma il non-uso e l'elezione
agiranno generalmente sopra ogni creatura, quando essa sia giunta a
maturità e cominci a prendere molta parte nella lotta per l'esistenza e
non avranno quindi che pochissima influenza sopra qualche organo nella prima
età; perciò un organo non sarà ridotto, nè reso
rudimentale in questa medesima età. Il vitello, per esempio, ha
ereditato dei denti che mai non forano le gengive della mascella superiore, da
un progenitore antico che aveva i suoi denti bene sviluppati; e possiamo
ritenere che i denti dell'animale adulto furono ridotti, nelle successive
generazioni, dal non-uso o dalla modificazione della lingua e del palato od
anche delle labbra, organi che mediante l'elezione naturale si resero
più adatti a masticare, senza il loro aiuto; al contrario nel vitello i
denti rimasero inalterati dall'elezione e dal non-uso; e pel principio di
eredità nelle età corrispondenti, furono ereditati da un periodo
remoto fino al presente. Se invece si volesse ammettere che ogni essere
organizzato ed ogni organo separato sia stato particolarmente creato, sarebbe
completamente inesplicabile la presenza di tali parti, come i denti del vitello
embrionale e le ali ripiegate sotto le elitre insieme congiunte di alcuni
coleotteri, le quali portano con tanta frequenza l'evidente impronta della
inutilità. Può affermarsi che la natura abbia cercato di
rivelarci il suo schema di modificazione, per mezzo degli organi rudimentali e
delle strutture omologhe, mentre sembra che per parte nostra ostinatamente non si
voglia comprendere.
Ormai ho
ricapitolato i fatti e le considerazioni principali che mi convinsero
profondamente che le specie sono state modificate nel lungo corso delle
generazioni. Ciò avvenne principalmente in seguito alla elezione
naturale delle numerose variazioni utili, successive, leggere, aiutata in modo
efficace dagli effetti ereditari dell'uso e non-uso delle parti ed in modo meno
importante, in relazione cioè alle strutture di adattamento,
indifferentemente se ora od in passato, dalla diretta azione delle condizioni
esterne e dall'apparsa delle variazioni che alla nostra ignoranza apparisce
spontanea. Sembra ch'io abbia prima troppo poco apprezzato la frequenza ed il
valore di queste ultime forme di variazioni, non considerandole capaci di
condurre a modificazioni stabili di struttura, indipendentemente dalla elezione
naturale. Ma siccome le mie deduzioni furono di recente mal comprese, e si
è affermato che io attribuisca la modificazione delle specie
esclusivamente alla elezione naturale, mi sia permesso di citare le seguenti
mie parole che trovansi nella prima edizione dell'opera in luogo molto
emergente, e cioè alla fine della introduzione: «io sono convinto che
l'elezione naturale è, se non l'unico, almeno il principale mezzo di
modificazione». Ma ciò non valse. Grande è la forza della erronea
interpretazione, ma la storia della scienza c'insegna che fortunatamente questa
forza non persiste a lungo.
Non
posso credere che una teoria falsa valga a spiegare le diverse grandi classi di
fatti che abbiamo specificati superiormente, come può farsi, a mio
avviso, colla teoria dell'elezione naturale. Si è detto recentemente che
questo sia un modo incerto di argomentazione; ma è il metodo che si
impiega nel giudicare gli avvenimenti comuni della vita, e di cui spesso si
valsero i più eminenti naturalisti. Per tali vie si giunse alla teoria
ondulatoria della luce, e fino a questi ultimi tempi l'idea della rivoluzione
della terra intorno al proprio asse, difficilmente poteva sostenersi con una
prova diretta. Non si può opporre l'obbiezione che la scienza nello
stato attuale non getta alcuna luce sul problema assai più elevato
dell'essenza o dell'origine della vita. Chi giungerà a scoprire quale
sia l'essenza dell'attrazione di gravità? Ma non vi ha alcuno che non
accetti i risultati che emergono da codesto ignoto elemento dell'attrazione;
non ostante che Leibnitz accusasse Newton di introdurre «nella filosofia delle
qualità occulte e dei miracoli».
Io
non trovo alcuna ragione per pensare che le opinioni espresse in questo volume
possano ferire i sentimenti religiosi di chicchessia. Del resto per dimostrare
quanto siano fugaci queste impressioni, ci piace ricordare che la più
grande scoperta che sia mai stata fatta dall'uomo, vale a dire la legge
dell'attrazione di gravità, fu anche attaccata dal Leibnitz «come
sovversiva della religione naturale e, conseguentemente, della religione
rivelata». Un celebre autore ed eminente teologo mi scrisse «che egli aveva
gradatamente imparato a riconoscere che possiamo formarci un giusto e nobile
concetto della Divinità, pensando che Essa abbia create poche forme
originali, capaci di svilupparsi da se stesse in altre forme utili,
anzichè professando l'opinione che Essa debba ricorrere a nuovi atti di
creazione, per riempiere i vuoti cagionati dall'azione delle sue leggi».
Potrebbe
chiedersi quale sia il motivo, per cui tutti i più grandi naturalisti e
geologi viventi respingano l'idea della mutabilità delle specie. Non
può sostenersi che gli esseri organizzati nello stato di natura non
vadano soggetti ad alcuna variazione; nè può provarsi che
l'insieme delle variazioni, prodotte nel corso di lunghe età, sia
limitato nella quantità; non si è posta, nè poteva porsi,
alcuna distinzione chiara fra le specie e le varietà bene marcate.
Così non può ammettersi che le specie, quando sono incrociate,
sono sterili invariabilmente, e le varietà sono in tal caso
costantemente feconde, o pure che la sterilità è una dote speciale
e un segno della creazione indipendente. La credenza che le specie fossero
produzioni immutabili era quasi inevitabile, finchè si ritenne che la
storia del mondo fosse di una breve durata; ma ora che abbiamo acquistato
qualche idea del corso dei tempi, noi non siamo troppo disposti a credere,
senza prove, che le memorie geologiche siano abbastanza complete da fornirci
una chiara dimostrazione della trasformazione delle specie, se queste furono
soggette a variazioni.
Ma
la cagione principale della nostra ripugnanza naturale nell'ammettere che una
specie abbia dato origine ad un'altra specie distinta, è quella che noi
siamo sempre poco facili a credere ad ogni grande cambiamento, di cui non si
vedano i gradi intermedi. Tale difficoltà è simile a quelle che
molti geologi esternarono, quando Lyell per il primo stabiliva che le lunghe
catene di roccie interne sui continenti furono formate dall'azione lenta dei
flutti contro le coste, e che questi flutti stessi escavarono le grandi
vallate. La mente non può farsi un concetto adeguato dell'espressione,
cento milioni d'anni; nè può riunire e percepire gli effetti
complessivi di molte piccole variazioni accumulate per un numero quasi infinito
di generazioni.
Quantunque
io sia pienamente convinto della verità delle idee esposte in questo
libro sotto forma di compendio, non ho alcuna speranza di convincere gli abili
naturalisti che hanno la mente preoccupata da una moltitudine di fatti
considerati, per molti anni, da un punto di vista direttamente opposto al mio.
Egli è tanto facile capire la nostra ignoranza, nelle espressioni
analoghe a queste: il piano della creazione, l'unità di tipo,
ecc., e credere per questo di dare una spiegazione, quando invece altro non si
fa che constatare un fatto. Chiunque propende ad ammettere un peso maggiore
alle difficoltà non spiegate, che alla dimostrazione di un certo numero
di fatti, respingerà senza dubbio la mia teoria. Pochi naturalisti
soltanto, dotati di molta flessibilità di spirito, e che hanno
già cominciato a dubitare dell'immutabilità delle specie, possono
tener conto di questo libro; ma io guardo con calma e fiducia l'avvenire, e
quei giovani naturalisti che ora si formano, i quali saranno capaci di
esaminare ambi i lati della questione con imparzialità. Coloro che
professano i principii della mutabilità delle specie presteranno un
ottimo servigio esprimendo coscienziosamente la loro opinione; perchè in
questo modo soltanto potranno dissipare tutti i pregiudizi che circondano
questo argomento.
Parecchi
naturalisti eminenti hanno pubblicato recentemente l'opinione che una
quantità di specie credute tali in ogni genere non sono specie reali; ma
che altre specie sono appunto reali, vale a dire, sono state create
indipendentemente. Mi pare che questa conclusione sia singolare. Essi ammettono
che una moltitudine di forme, le quali fino ad ora essi avevano riguardate
quali creazioni speciali che anche la maggior parte dei naturalisti considerano
tuttora come tali, le quali hanno per conseguenza ogni esterna apparenza
caratteristica di vere specie, - essi ammettono che queste forme siano state
prodotte per mezzo della variazione, ma ricusano di estendere il medesimo
concetto alle altre forme leggermente diverse. Tuttavia essi non pretendono di
poter definire o congetturare quali siano le forme della vita create, e quali quelle
prodotte da leggi secondarie. Essi ammettono la variazione come una vera
causa nell'un caso, ma la respingono arbitrariamente nell'altro, senza
porre alcuna distinzione fra i due casi. Verrà un giorno in cui questa
idea sarà riguardata come un comico esempio della cecità delle
opinioni preconcette. Questi autori non mi sembrano maggiormente sorpresi da un
atto miracoloso di creazione, che da una nascita ordinaria. Ma credono essi
realmente che, nei periodi innumerevoli della storia della terra, certi atomi
elementari siano stati improvvisamente riuniti a formare dei tessuti viventi?
Credono essi che ad ogni supposto atto di creazione si sia prodotto un solo
individuo ovvero molti? Tutte le innumerevoli sorta di animali e di piante
furono create allo stato di uova e di semi, oppure interamente sviluppate? Nel
caso dei mammiferi, dobbiamo credere che questi fossero creati coi falsi
contrassegni degli organi, per mezzo dei quali traggono il loro nutrimento
dall'utero della madre? Senza dubbio codeste questioni non possono risolversi
nemmeno da coloro che, nello stato presente della scienza, credono alla
creazione di poche forme originali od anche di una forma di vita qualsiasi. Fu
detto da diversi autori che non è meno facile il credere alla creazione
di cento milioni di esseri, che a quella di uno solo; ma l'assioma filosofico
di Maupertuis della minima azione dispone lo spirito ad
accogliere più volentieri il numero più piccolo; e certamente non
dobbiamo pensare che gli esseri innumerevoli di ogni grande classe siano stati
creati con caratteri evidenti, ma ingannevoli, che proverebbero la loro
provenienza da un solo parente.
Come
ricordo ad uno stato passato di cose io ho conservato nei paragrafi che
precedono ed altrove parecchie proposizioni, da cui risulta che i naturalisti
credono ad una separata creazione di ciascuna specie, e fui molto censurato
perchè così mi espressi. Ma tale era indubbiamente l'opinione
generale, quand'io pubblicai la prima edizione dell'opera presente. Io avevo
parlato prima con molti naturalisti sul tema della evoluzione, e non avevo
trovato nemmeno una simpatica accoglienza. Probabilmente alcuni credevano
allora ad una evoluzione; ma, o se ne tacquero, o si espressero in modo
così ambiguo, che tornava difficile capire le loro idee. Ora le cose
sono affatto cambiate, e quasi ogni naturalista ammette il grande principio
della evoluzione. Ve ne hanno tuttavia ancora alcuni, i quali ritengono che le
specie abbiano potuto produrre repentinamente, con mezzi del tutto sconosciuti,
delle forme affatto diverse; ma come io ho dimostrato, si possono opporre delle
prove valenti all'idea di modificazioni grandi e repentine. La ipotesi che
nuove forme siansi sviluppate dalle vecchie e interamente diverse in modo
subitaneo e con mezzi sconosciuti, considerata come punto di vista scientifico
e come introduzione ad ulteriori indagini, non può recare che un ben
piccolo vantaggio di fronte alla credenza che le specie siano nate dal fango
della terra.
Potrebbe
chiedersi quale sia l'estensione che io attribuisco alla dottrina della
modificazione delle specie. A tale questione difficilmente può
rispondersi, perchè quanto più distinte sono le forme da noi
considerate, tanto più gli argomenti divengono deboli. Ma certi
argomenti del massimo valore si estendono assai. Tutti i membri di intere
classi possono collegarsi insieme con vincoli di affinità, e tutti
possono classificarsi, pel medesimo principio, in gruppi subordinati ad altri
gruppi. Gli avanzi fossili tendono talvolta a riempire le vaste lacune che si
trovano fra gli ordini esistenti.
Gli organi
rudimentali dimostrano evidentemente che un antico progenitore li possedeva in
uno stato di completo sviluppo; e ciò implica in alcuni casi una enorme
quantità di modificazioni nei discendenti. In certe classi varie
strutture sono formate col medesimo sistema, e nell'età embrionale le
specie si rassomigliano molto fra loro. Perciò non posso dubitare che la
teoria della discendenza modificata abbracci tutti i membri della medesima
classe. Io credo che gli animali derivino da quattro o cinque progenitori al
più e le piante da un numero uguale o minore di forme.
L'analogia mi
condurrebbe anche più avanti, cioè alla opinione che tutti gli
animali e le piante derivino da un solo prototipo. Ma l'analogia può
essere una guida ingannevole. Nondimeno tutti gli esseri viventi hanno molte
qualità comuni, - la loro composizione chimica, la loro struttura
cellulare, le leggi del loro sviluppo e la facoltà di essere affetti
dalle influenze dannose. Noi lo vediamo anche nelle circostanze meno
importanti; per esempio, il medesimo veleno colpisce ugualmente le piante e gli
animali; eppure il veleno che si depone dal Cynips produce delle
protuberanze mostruose nei rosai e nelle quercie. In tutti gli esseri
organizzati la unione di cellule elementari del maschio e della femmina sembra
necessaria occasionalmente per la formazione di un essere nuovo. In tutti, per
quanto oggi sappiamo, la vescichetta germinativa è la stessa. Per modo
che ogni essere organico individuale parte da un'origine comune. Anche se
consideriamo le due divisioni principali, - cioè il regno animale e il
regno vegetale, - certe forme inferiori sono intermedie pei loro caratteri, al
punto che i naturalisti disputarono a quale dei due regni dovessero riferirsi;
e come osservò il professore Asa Gray, «le spore ed altri corpi
riproduttivi di molte alghe inferiori possono condurre sulle prime una vita
decisamente animale, indi una indubitata esistenza vegetale». Perciò,
secondo il principio della elezione naturale colla divergenza di carattere, non
può sembrare incredibile, che da una di queste forme inferiori ed
intermedie siano sorti gli animali e le piante; e se noi ammettiamo ciò,
dobbiamo anche concedere che tutti gli esseri organizzati, che esistettero
sulla terra, possono essere stati prodotti da una qualche forma primordiale. Ma
questa deduzione è principalmente fondata sull'analogia e poco monta che
sia accettata o respinta. Il caso è differente nei membri di ogni grande
classe, come i vertebrati, gli articolati, ecc., perchè qui, come
abbiamo osservato, abbiamo nelle leggi della omologia e della embriologia,
ecc., diverse prove, che tutti sono provenuti da un solo stipite.
Quando
le idee da me esposte in questo libro e sostenute da Wallace nel Linnean
Jornal, o idee analoghe sull'origine delle specie, saranno
generalmente accettate, possiamo vagamente prevedere che avverrà una
notevole rivoluzione nella storia naturale. I sistematici potranno continuare i
loro lavori come al presente; ma essi non saranno più molestati
continuamente dal dubbio insolubile se questa o quella forma sia in essenza una
specie. Sono certo, e parlo per esperienza, che questo non sarà un
piccolo vantaggio. Si porrà fine alle molte discussioni che si sono
fatte, per decidere se una cinquantina di rovi inglesi siano vere specie. I
sistematici avranno solo da decidere (e ciò non sarà sempre
facile) se ogni data forma sia abbastanza costante e distinta dalle altre
forme, da essere suscettibile di una definizione; e quando possa definirsi, se
le differenze siano abbastanza importanti da meritare un nome specifico.
Quest'ultimo punto diverrà una considerazione assai più
essenziale che oggi non sia; perchè le differenze, per quanto piccole,
fra due forme qualsiasi, quando non siano connesse da gradazioni intermedie,
sono considerate dalla maggior parte dei naturalisti come sufficienti ad
elevare le due forme al rango di specie. Quindi noi saremo costretti a
riconoscere che la sola distinzione possibile fra le specie e le varietà
ben marcate consiste in ciò: che queste ultime sono attualmente
collegate da gradazioni intermedie, mentre al contrario le specie furono in tal
guisa collegate in epoca più antica. Per conseguenza, senza rigettare la
considerazione della esistenza presente di gradazioni intermedie fra due forme
qualsiansi, noi saremo condotti a pesare con maggior accuratezza e a dare un
valore più forte all'attuale complesso delle differenze che passano fra
le medesime. Egli è molto probabile che le forme, ora conosciute
generalmente come semplici varietà, possono in seguito meritare un nome
specifico, come la Primula vulgaris e la Primula veris; ed in tal
caso il linguaggio comune ed il linguaggio scientifico saranno in armonia. In
somma avremo da trattare le specie come si trattano i generi da quei
naturalisti che ammettono essere i generi combinazioni puramente artificiali,
fatte per comodità. Questa non può essere una prospettiva molto
lieta; ma noi almeno saremo liberi dalla vana ricerca dell'essenza ignota del
termine specie.
Gli
altri rami più generali della storia naturale presenteranno allora un
interesse maggiore. I termini impiegati dai naturalisti, come: affinità,
parentela, unità di tipo comune, paternità, morfologia, caratteri
di adattamento, organi rudimentali ed abortiti, ecc., non saranno più
metaforici, ma avranno un significato evidente. Quando non riguarderemo
più un essere organizzato nel modo con cui un selvaggio considera un
vascello come una cosa interamente superiore alla sua intelligenza; quando
conosceremo([29])
che ogni produzione della natura ebbe la sua storia; quando contempleremo ogni
struttura complicata ed ogni istinto come il risultato di molti adattamenti,
ciascuno dei quali fu vantaggioso all'individuo, quasi nella stessa guisa con
cui consideriamo ogni grande invenzione meccanica come il prodotto del lavoro,
dell'esperienza, della ragione ed anche degli errori di numerosi operai; quando
noi prendiamo ad esaminare ogni essere organizzato da questo punto di vista,
posso dirlo per esperienza, quanto diverrà più interessante lo
studio della storia naturale!
Un
vasto campo di osservazione, quasi inesplorato, sarà aperto sulle cause
e sulle leggi della variazione, sulla correlazione di sviluppo, sugli effetti
dell'uso e del non-uso, sull'azione diretta delle condizioni esterne, ecc. Lo
studio delle produzioni domestiche crescerà di valore immensamente. Una
varietà nuova, allevata dall'uomo, formerà un soggetto più
importante ed interessante di studio che una specie di più, aggiunta
alla moltitudine di specie già conosciute. Le nostre classificazioni
diverranno, per quanto si potrà fare, altrettante genealogie; e
così ci daranno veramente ciò che può chiamarsi il piano
della creazione. Quando avranno in vista un oggetto definito, le regole di
classificazione diverranno certamente più semplici. Noi non abbiamo in
tal caso nè alberi genealogici, ne prosapie araldiche; e dobbiamo
scoprire e tracciare le molte linee divergenti della discendenza delle nostre
genealogie naturali, per mezzo dei caratteri d'ogni sorta che furono ereditati
da lungo tempo. Gli organi rudimentali ci indicheranno infallibilmente la
natura delle strutture perdute in epoche remote. Le specie e gruppi di specie,
dette aberranti, e che possono fantasticamente chiamarsi fossili viventi, ci
aiuteranno a compiere il disegno delle antiche forme della vita. L'embriologia
ci rivelerà la struttura, che rimase alterata, dei prototipi di ogni
grande classe.
Quando
potremo essere certi che tutti gli individui della medesima specie e tutte le
specie strettamente affini della maggior parte dei generi, sono derivate in un
periodo non molto lontano da un solo progenitore ed emigrarono da un dato luogo
di origine; e quando saremo più addentro nella cognizione dei molti
mezzi di migrazione, allora, pei lumi che ci fornisce attualmente e che
continuerà a fornirci la geologia, sugli antichi cambiamenti di clima e
di livello delle terre, noi saremo in grado sicuramente di seguire, in un modo
mirabile, le antiche migrazioni degli abitanti del mondo intero. Anche al
presente paragonando le differenze che presentano gli animali marini sui lati
opposti di un continente e la natura dei diversi abitanti del continente
stesso, in relazione ai loro mezzi apparenti di migrazione, potrà darsi
qualche nozione sull'antica geografia.
La nobile
scienza della geologia perde la sua gloria per l'estrema imperfezione delle
memorie. La crosta della terra, co' suoi avanzi sepolti, non deve riguardarsi
come un museo completo, ma come una scarsa collezione fatta a caso o ad
intervalli rari. Si riconoscerà che l'accumulazione di ogni grande
formazione fossilifera dovette dipendere da uno straordinario concorso di circostanze
e che gl'intervalli di riposo e di inazione fra gli stadii successivi furono di
una lunga durata. Ma noi giungeremo ad apprezzare la durata di questi
intervalli con qualche sicurezza, facendo il confronto fra le forme organizzate
anteriori e le posteriori. Noi dobbiamo essere molto cauti nel cercare di
stabilire una correlazione di esatta contemporaneità fra due formazioni,
le quali racchiudono poche specie identiche, mediante la successione generale
delle loro forme di vita. Siccome le specie si producono e si estinguono, per
cause che agiscono lentamente e che esistono ancora, e non già per atti
miracolosi di creazione e col mezzo di catastrofi: e siccome la più
importante di tutte le cause dei cambiamenti organici è quasi indipendente
dalle condizioni fisiche alterate, e forse anche improvvisamente alterate,
voglio dire, la mutua relazione di un organismo all'altro, - poichè il
perfezionamento di un essere determina il perfezionamento o l'esterminio degli
altri; ne segue che l'insieme dei cambiamenti organici nei fossili delle
formazioni consecutive, probabilmente può darci una precisa misura della
durata del tempo che effettivamente trascorse. Tuttavia un certo numero di
specie, che si conservano riunite, possono continuare per un lungo periodo senza
modificarsi; mentre durante il medesimo periodo alcune di queste specie,
emigrando in nuovi paesi ed entrando in concorrenza colle specie straniere
associate ad esse, possono subire delle modificazioni; per modo che non
dobbiamo esagerare l'applicazione dei mutamenti organici nella misura del
tempo.
In un lontano
avvenire io veggo dei campi aperti alle più importanti ricerche. La
psicologia sarà fondata sopra il principio già bene propugnato da
Herbert Spencer, che cioè ogni facoltà e capacità mentale
siasi necessariamente sviluppata a gradi. Si spanderà una viva luce
sull'origine dell'uomo e sulla sua storia.
Alcuni autori
fra i più eminenti sembrano pienamente soddisfatti dell'opinione che
ogni specie sia stata creata indipendentemente. Nel mio concetto, si accorda
meglio con ciò che noi sappiamo, intorno alle leggi impresse dal
Creatore alla materia, l'idea, che la produzione e l'estinzione degli abitanti
passati e presenti del mondo siano dovute a cagioni secondarie, simili a quelle
che determinano la nascita e la morte degl'individui. Allorquando io riguardo
tutti gli esseri non come creazioni speciali, ma come i discendenti diretti di
pochi esseri, che esistettero molto tempo prima che si formasse lo strato
più antico del sistema siluriano, mi sembra che quegli esseri si
nobilitino. Giudicando dal passato, possiamo inferire con sicurezza che niuna
delle specie viventi trasmetterà la sua configurazione identica alle
future età. Pochissime specie, ora esistenti, trasmetteranno una
progenie qualsiasi alle epoche avvenire; perchè il modo con cui tutti
gli esseri organizzati sono insieme congiunti, dimostra che la maggior parte
delle specie di ciascun genere e tutte le specie appartenenti a molti generi,
non hanno lasciato alcun discendente, ma rimasero interamente estinte. Noi
possiamo anche penetrare nel futuro, con uno sguardo profetico, fino a predire
che le specie comuni e più ampiamente diffuse, appartenenti ai gruppi
più vasti e dominanti di ogni classe, saranno quelle che in ultimo
prevarranno e procreeranno delle specie nuove e dominanti. Siccome tutte le
forme viventi della vita sono i discendenti diretti di quelle che esistettero
molto tempo prima dell'epoca siluriana, possiamo essere certi che la
successione ordinaria, per mezzo della generazione, non è mai stata
interrotta e che nessun cataclisma non venne mai a desolare il mondo intero.
Quindi possiamo pensare con qualche confidenza ad un tranquillo avvenire, di
una lunghezza egualmente incalcolabile. Se riflettiamo che l'elezione naturale
agisce soltanto per il vantaggio di ogni essere, col mezzo delle variazioni
utili, tutte le qualità del corpo e dello spirito tenderanno a
progredire verso la perfezione.
È cosa
molto interessante il contemplare una spiaggia ridente, coperta di molte piante
d'ogni sorta, cogli uccelli che cantano nei cespugli, con diversi insetti che
ronzano da ogni parte e coi vermi che strisciano sull'umido terreno: ed il
considerare che queste forme elaborate con tanta maestria, tanto differenti fra
loro e dipendenti l'una dall'altra, in maniera così complicata, furono
tutte prodotte per effetto delle leggi che agiscono continuamente intorno a
noi. Queste leggi, prese nel senso più largo, sono: lo Sviluppo colla
Riproduzione; l'Eredità che è quasi implicitamente compresa nella
Riproduzione; la Variabilità derivante dall'azione diretta e indiretta
delle condizioni esterne della vita e dall'uso o dal non-uso; la legge di
Moltiplicazione in una proporzione tanto forte da rendere necessaria una Lotta
per l'Esistenza, dalla quale deriva l'Elezione naturale, la quale richiede la
Divergenza del Carattere e l'Estinzione delle forme meno perfezionate.
Così dalla guerra della natura, dalla carestia e dalla morte segue
direttamente l'effetto più stupendo che possiamo concepire, cioè
la produzione degli animali più elevati. Vi ha certamente del grandioso
in queste considerazioni sulla vita e sulle varie facoltà di essa, che
furono in origine impresse dal Creatore in poche forme od anche in una sola; e
nel pensare che, mentre il nostro pianeta si aggirò nella sua orbita,
obbedendo alla legge immutabile della gravità, si svilupparono da un
principio tanto semplice, e si sviluppano ancora infinite forme, vieppiù
belle e meravigliose.
FINE