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di Mauro Novelli BIBLIOTECA
Paola Cosentino
Il Rinascimento negli studi degli storici e come categoria storiografica
Da http://www.italica.rai.it/rinascimento/monografie/rinascimento_studi_storici/index.htm
INDICE
L’interpretazione degli illuministi
La storiografia del Settecento e William Roscoe
Michelet e l’invenzione del Rinascimento
Burckhardt e la fondazione del nuovo paradigma
storiografico
Il Rinascimento come moda culturale diffusa
La storiografia di primo Novecento
La nuova storiografia italiana
Le nuove linee internazionali di ricerca
La lezione di Eugenio Garin e Carlo Dionisotti
Aspetti e tendenze della ricerca contemporanea
Negli anni che precedono e preparano la frattura della
Rivoluzione, gli illuministi francesi rielaborano il paradigma storiografico –
ancora validissimo – con cui Giorgio Vasari aveva costruito
la prima e straordinaria storia dell’arte italiana (nelle Vite de’ più eccellenti architetti, pittori e scultori
italiani da Cimabue insino a’ nostri tempi, in prima edizione nel 1550 e poi ampliate
nell’edizione del 1568), fissando i tempi e sui modi della sua Rinascita, come
esperienza tutta prodotta, pur nelle sue differenziatissime
tipologie, dall’imitazione degli Antichi: per gli illuministi occorre estendere
l’efficacia di questo paradigma anche oltre la immediata pertinenza alle
lettere e alle arti.
Voltaire e d’Alembert, infatti,
propongono il Rinascimento come origine complessiva dell’età moderna:
è la prima fase di un processo culturale, anche e soprattutto filosofico
e scientifico, che porta direttamente al secolo dei Lumi, soprattutto per i
suoi aspetti di cosmopolitismo e di razionalismo. In questo contesto, la
discussione illuministica sul Rinascimento sollecita una riflessione profonda
sul rapporto dell’uomo con la storia e con la natura: l’età
dell’Umanesimo è il momento di recupero del principio stesso di civiltà, quello che si era smarrito nei secoli barbari
del Medioevo.
Per gli illuministi il Rinascimento rappresenta il
risorgere definitivo, in Italia prima e poi in Europa, della
razionalità, anche se sono consapevoli dell’esistenza, nella cultura
rinascimentale, di forti e radicate tradizioni magiche ed ermetiche che
ovviamente respingono. E anche per gli illuministi la nascita del Rinascimento
consegue dalla caduta di Costantinopoli, e dal suo correlarsi agli altri
fattori costitutivi del mecenatismo e dell’invenzione del libro tipografico,
secondo uno schema storiografico antico: "l’impero
bizantino è distrutto – scrive d’Alembert nel Discours préliminaire à l’Encyclopédie (1750) -, e la sua rovina fa affluire in
Europa quel poco di conoscenze che restavano ancora nel mondo. L’invenzione
della stampa e il mecenatismo dei Medici rianimano gli spiriti. La luce rinasce
da ogni parte".
E dal Rinascimento questa luce della riacquistata
civiltà arriva sino al secolo dei Lumi.
La consapevolezza della sostanziale continuità fra
Rinascimento e Illuminismo, sulla base del comune Classicismo, è
avvertita da tutta la cultura del Settecento, già dall’inizio del
secolo.
In Italia, la visione storica prodotta
da Ludovico Antonio Muratori e Girolamo Tiraboschi
contribuisce a ribadire l’immagine paradigmatica di un Rinascimento tutto
"umanistico": è proprio la nascita della filologia e del culto
degli Antichi a caratterizzare compiutamente la cultura italiana del
Quattrocento e del Cinquecento. Si conferma e precisa un’immagine della
rinascita in cui trionfa l’entusiasmo per una rinnovata sensibilità nei
confronti delle lettere e delle arti, per la ricerca, lo studio e la
valorizzazione dei loro monumenti antichi:
Scrive Tiraboschi: "Ecco
dunque sin dal principio del secolo XV tutta l’Italia rivolta ardentemente a
ravvivare le scienze e a richiamare dal lungo esilio le belle arti. Si
ricercano in ogni angolo i codici, e s’intraprendono a tal
fine lunghi e disastrosi viaggi, si confrontan
tra loro, si correggon, si copiano, si spargon per ogni parte, si forman
con essi magnifiche biblioteche, e queste a comune vantaggio si rendon pubbliche; si aprono cattedre per insegnare le
lingue greca e latina, e in ogni città si veggon
rinomatissimi professori d’eloquenza invitati a gara dalle università
più famose, e premiati con amplissime ricompense" (Storia della
letteratura italiana, tomo VI).
Ma il più appassionato affresco del Rinascimento
italiano, il capolavoro davvero conclusivo di questo paradigma classicistico,
è nelle opere di uno scrittore inglese, William Roscoe,
nelle sue ampie biografie di Lorenzo il Magnifico (The Life of Lorenzo de’ Medici
called the Magnificent: La
vita di Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico) e di
papa Leone X (The Life and Pontificate of Leo the Tenth:
La vita e il pontificato di Leone X), pubblicate in prima edizione
rispettivamente nel 1796 e nel 1805, e più volte ristampate e tradotte
in Italia e in tutt’Europa: la felicità della loro scrittura (ma anche
la ricchezza documentaria) è la ragione del loro grande successo.
L’esplodere della nuova cultura del Romanticismo europeo
fa subito i conti con questa eredità del Classicismo e della sua
consolidata immagine del Rinascimento. Dalla Rivoluzione, infatti, emerge una
nuova idea generale della storia d’Europa: il luogo di fondazione e nascita
dell’identità delle sue tante e tanto diverse "nazioni"
è proprio quel Medioevo che gli umanisti avevano riconosciuto come
l’età che aveva barbaramente interrotto il tempo degli Antichi. Un
Medioevo, ora, non più barbarico e oscuro, bensì da rivendicare
con orgoglio anche patriottico.
Di questa nuova idea generale della storia d’Europa, del
suo fare i conti con le idee generali che l’hanno preceduta, la cultura
italiana resta ai margini: i protagonisti sono francesi, tedeschi, inglesi.
Intellettuali e critici, teorici e scrittori fondano i presupposti teorici e
producono le esperienze comunicative che ancora oggi sono alla base della
nostra cultura: in primo luogo sbarazzandosi del patrimonio della tradizione
classicistica, come illustra la polemica che attraversa tutta l’Europa e che
nei primi anni dell’Ottocento vede impegnati su fronti opposti gli schieramenti
dei romantici e dei classicisti.
Solo qualche tempo dopo l’esaurirsi di questa polemica, il
nuovo – e vincente - paradigma culturale del Romanticismo elabora compiute
ricostruzioni storiografiche dell’Umanesimo e del Rinascimento, come pure
interpretazioni delle esperienze di alcuni grandi protagonisti, che ne esaltano
gli elementi di individualismo e di creatività eroica: Dante rimpiazza
Petrarca e Michelangelo prende il sopravvento su Raffaello. L’eroismo titanico
di Dante e Michelangelo è del tutto assimilato ai nuovi valori estetici
e politici dei romantici, mentre la levigata grazia di Petrarca e Raffaello
risulta priva di senso e superficiale.
Per quanto riguarda, in particolare, la ricostruzione
della storia italiana, se trova conferma che l’età del Rinascimento –
pur nei limiti delle sue regole aristoteliche e più ancora nonostante la
gravissima crisi istituzionale e morale degli stati italiani, ridotti in
servitù dalle potenze straniere - aveva portato alla riscoperta di
valori antichi e a una nuova cultura, questa sua validità è
retrodatata: il "Risorgimento" d’Italia – esattamente quello in corso nel primo Ottocento – ha radici antiche, che
risalgono al rinnovamento politico e culturale che si produsse in Italia dopo
l’anno Mille, con il consolidarsi della società dei Comuni.
Il primo innovatore della storiografia sul Rinascimento
è Jules Michelet:
nella sua monumentale storia della Francia, solo dopo
aver trattato del Medioevo e della Rivoluzione, dedica un volume, pubblicato
nel
Lutero e Galileo, ma anche Rabelais
e Cervantes, sono i protagonisti di una rivoluzione
che opera il definitivo distacco dalla cultura medioevale. E proprio la
necessità di una visione organica conduce Michelet
a elaborare un quadro omogeneo incentrato su un ideale eroico fondato sulla
libertà e sul dominio dell’uomo sul mondo.
Michelet è illustre rappresentante della corrente democratica della storiografia di primo Ottocento, che si colloca su una
linea diversa rispetto alle posizioni storiografiche dei romantici: anche per
questa ragione la sua impostazione critica avrà diretta influenza sulle
successive proposte interpretative del Rinascimento.
A questa stessa attenzione nei confronti della componente
antropocentrica del Rinascimento è la riflessione storica di Georg Voigt, che riprende
l’analisi del mondo intellettuale dell’Umanesimo nella sua opera maggiore Die Wiederbelebung del classischen Altertums. Oder das erste
Jahrundert des Humanismus, in prima edizione nel 1859 (Il risorgimento
dell’antichità classica, ovvero il primo secolo dell’Umanismo): vi
riconosce i tratti inequivocabili di un nuovo habitus mentale laico, in netto
contrasto con la tradizione medievale scolastica. Il mondo moderno nasce dal
lavoro delle generazioni di intellettuali (gli umanisti) che assumono Petrarca
come modello, per affermare un diverso modo di leggere il passato e di
concepire il presente; la forza critica proveniente dalle loro opere dà
uno straordinario impulso non solo alla rinascita delle lettere, ma anche al
perseguimento di quella dignitas hominis
("dignità dell’uomo") terrena che costituisce la vera eredità
del mondo classico.
L’immagine del Rinascimento elaborata da Michelet implica una prospettiva europea che colloca sullo
stesso piano Galilei e Cervantes,
Copernico e Shakespeare: circoscritto all’Italia
è invece il quadro di riferimento dell’opera ottocentesca più
rappresentativa della riflessione sul Rinascimento, Die
Kultur der Renaissance in Italien (La civiltà del Rinascimento in Italia) di Jakob Burckhardt. Pubblicata per
la prima volta nel 1860, questa opera è diventata un grande classico della storiografia, ancor oggi continuamente ristampata: ed
è l’opera che ha delineato il nuovo paradigma interpretativo del
Rinascimento, con cui è indispensabile ancora confrontarsi.
Burckhardt descrive i caratteri di un Rinascimento eroico e individualista
fondato su di un nuovo "tipo" di uomo, portatore di una coscienza
culturale e storica radicalmente antitetica a quella che aveva
contraddistinto l’uomo medioevale. Il Rinascimento è pertanto
rappresentato come il primo atto dell’età moderna, che profila anche una
nuova concezione politica dello stato e, quindi, del cittadino che in esso si riconosce. E l’autonomia della politica è
considerata il fondamento del modello statuale posto alla base dello sviluppo
della civiltà europea: Burckhardt individua
nella nuova concezione dello stato (anch’esso un’opera d’arte) uno dei
postulati dai quali prende avvio la storia rinascimentale italiana, che
sancisce la definitiva trasformazione dell’organizzazione feudale della
società del Medioevo.
Nel rapido e impetuoso fiorire di principati e signorie,
secondo Burckhardt è riconoscibile "lo
spirito dello stato europeo moderno abbandonarsi per la prima volta liberamente
a’ suoi propri impulsi, trascorrendo assai frequente
ai più terribili eccessi di uno sfrenato egoismo, conculcando ogni
diritto e soffocando il germe di ogni più sana cultura; ma dove queste
tendenze vengono arrestate od almeno in parte
controbilanciate, quivi si ha subito qualche cosa di nuovo e di vivo nella
storia, si ha lo Stato quale creazione di calcolo consapevole, lo Stato come
opera d’arte" (La cultura del Rinascimento in Italia, Firenze, Sansoni, 1968).
Le innovazioni politiche e istituzionali che conducono
alla comparsa dei principati e delle signorie - come pure al progressivo
allontanamento dal concetto di cristianità universale appartenuto al
Medioevo e messo in crisi dall’avvento della Riforma protestante, definiscono -
secondo Burckhardt - un sistema organico che assimila
elementi di natura eterogenea e consente la codificazione di un mito in cui il
tema della rinascita costituisce il nucleo centrale di un’epoca eccezionalmente
poliedrica e dai risvolti complessi e contraddittori.
La politica, la morale e la religione sono il punto di
partenza per un’approfondita riflessione che consente a Burckhardt
di creare un quadro articolato e capace di rappresentare le caratteristiche di
un’epoca con intensità ed efficacia. Il Rinascimento italiano si
presenta, infatti, come una fase storica dai contorni netti e definiti, in cui
è agevole riconoscere la portata rivoluzionaria di elementi nuovi che si
collocano all’origine della moderna storia europea: "gli
Italiani, prima d’ogni altro popolo, si trasformarono in uomini moderni e
meritarono per questo di esser detti i figli primogeniti della presente
Europa" (La cultura del Rinascimento in Italia, p.125).
Il mito della rinascita trova dunque una sua risolutiva
sistemazione: la scoperta della natura, la valorizzazione della componente
individualistica dell’uomo, lo scardinamento del dogmatismo religioso,
l’avvento di un nuovo canone di bellezza fondato sul recupero della
classicità, vanno a formare un unico disegno articolato, alla base del
quale si riconosce la necessità di individuare i motivi fondativi
dell’età moderna, anche per contrapposizione con il Medioevo.
In Burckhardt la lettura
parallela dei singoli aspetti di un’intera epoca s’incentra sempre sulla
consapevolezza di un radicale rinnovamento dei costumi e delle idee, che
culmina nella progressiva affermazione delle grandi personalità del
secolo. Il carattere di questo rinascimento è, dunque, specificatamente
culturale e delinea una figura di "uomo moderno" che assume su di sé
tutti i tratti dell’esemplarità.
L’opera di Burckhardt, non
è un tentativo isolato di interpretazione di un’epoca: è invece
la coerente (e magistrale) conclusione di una ricerca sulle ragioni del
Rinascimento cominciata già dai suoi stessi protagonisti storici, gli
umanisti, sin dal Trecento, e al tempo stesso è il punto di partenza per
tutti gli interventi storiografici successivi, che dovranno in primo luogo fare
i conti con Burckhardt, per aderire o dissentire da
questo suo modello.
Ha scritto Eugenio Garin: "Burckhardt, nella sua opera, non fece che portare al limite
di un distacco estremo la ribellione rinascimentale, accettando in pieno i miti
che il Rinascimento stesso aveva elaborato. Staccato e contrapposto al Medioevo,
il nuovo mondo trova il suo tono nell’imitazione dell’antichità
riscoperta, e rinnovata soprattutto nel piano dell’arte. Quello che gli
umanisti dissero, e il modo in cui si videro, Burckhardt
accetta e ripete. Non di rado egli vede non solo l’età di mezzo, ma
anche il mondo classico, con gli occhi dei dotti del Quattrocento e del
Cinquecento".
La descrizione di una civiltà evocata attraverso la
costante definizione di un prototipo ideale all’interno di una società
di cui pur s’indagano le componenti istituzionali e materiali (politica,
religione, mode, divertimenti), diviene il manifesto eloquente di un
Rinascimento della cultura, isolato nel tempo e nello spazio, in cui il ritorno
all’antico testimonia la volontà di affermare una nuova concezione del
mondo.
Il libro di Burckhardt è
subito un grande successo editoriale e contribuisce a fissare il quadro
interpretativo generale del Rinascimento (rimpiazzando quello di Roscoe) in termini che non riguardano soltanto il mondo
scientifico della ricerca storica, ma anche il modo con cui la cultura europea
della fine dell’Ottocento e del Novecento ha vissuto l’idea stessa di
Rinascimento: una vera e propria moda, che si nutre di eroi e di capolavori,
che inventa le forme del loro culto, che rilancia – in chiave borghese – la
grande istituzione del Grand Tour dell’aristocrazia
europea di Antico regime.
Una moda che rafforza il mito di Firenze culla e patria
del Rinascimento (ma anche, seppure in dimensioni minori, di Venezia), punto di
approdo di schiere di inglesi entusiasti, pronti a
prendere casa, anche nella campagna toscana; una moda che contagia i nuovi
ricchi della nazione americana, e si trasforma in rilancio del collezionismo.
Ovviamente, anche dal punto di vista degli studi storici,
il libro di Burckhardt è subito un modello di
riferimento: da approfondire ma anche da discutere. Il punto fondamentale di
tutte le ricerche e riflessioni diventa proprio il rapporto diretto – di derivazione
illuministica, ma che Burckhardt esalta – tra
rinascita degli Antichi (il Rinascimento) e nascita della modernità e,
quindi, la radicalizzazione della frattura che oppone
il Rinascimento al Medioevo.
Soprattutto su questa frattura si è concentrata la
discussione: per contestare che l’Umanesimo avesse inaugurato un’età
nuova, molti studiosi si sono impegnati a documentare tutti gli elementi di
continuità fra Medio Evo e Rinascimento, e per retrodatare all’anno mille la nascita del mondo moderno, che quindi non
coinciderebbe affatto con il Rinascimento. Questa prospettiva storiografica
"medievistica" intende ridimensionare
proprio il valore di quella rottura con il passato attribuita
al Rinascimento degli umanisti e dei loro prìncipi.
Il più noto sostenitore di questa tesi è Konrad Burdach: nel libro
intitolato Reformation, Renaissance, Humanismus (Riforma, Rinascimento, Umanesimo), pubblicato
nel 1918, si sforza di smantellare l’intera costruzione di Burckhardt
e della tradizione illuministica. Esaltando i caratteri pagani della nuova
età, e quindi marginalizzando la forte componente religiosa che pervade l’Europa
cristiana, e proponendo l’Umanesimo come una cultura caratterizzata dalla
restaurazione dell’antico, si perde – secondo Burdach
- ogni legame con il Medioevo e con i movimenti riformistici legati, in Italia,
a Francesco d’Assisi e a Gioacchino da Fiore, e ampiamente diffusi nella
Germania prima di Lutero: per questo, a una visione tutta laica del
Rinascimento, oppone quelle radicate e continue tradizioni spirituali e
mistiche, che sollecitano un nuovo criterio di periodizzazione
storiografica.
Burdach richiama la linea che congiunge Dante a Petrarca e a Cola di
Rienzo, per porre la rinascita umanistica in relazione con la nuova
sensibilità religiosa: e proprio l’asprirazione
a una renovatio spirituale è il nesso
più profondo fra Medioevo ed Età moderna. In questo modo Burdach si fa sostenitore di una tesi fortemente
ideologica, che mira a marcare la contrapposizione fra Rinascimento e
Rivoluzione, fra Umanesimo e Illuminismo, e in questo modo intende riaprire la
questione della modernità.
Il quadro novecentesco della ricerca storiografica sull’Umanesimo
e il Rinascimento non si esaurisce, certo, nella contrapposizione tra modelli
generali d’interpretazione: sia il modello Burckhardt che il modello Burdach
sollecitano, invece, nuove ricerche e riflessioni che spesso li contaminano.
Di grande rilievo diventa, negli anni tra la fine
dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo, l’esplorazione delle esperienze
culturali fuori dall’Italia, per illustrare i tanti
rinascimenti della cultura europea: a esempio, la rinascita in Germania
è descritta da Heinrich Hermelink
in rapporto con la Riforma (Die religiösen
Reformbestrebungen des deutschen Humanismus, 1907:
"L’aspirazione alla riforma religiosa dell’Umanesimo tedesco") e da Kuno Franke (Personality
in German Literature before Luther, 1916:
"Personalità nella letteratura tedesca prima di Lutero); ma anche
nella sua autonomia francese, sempre in riferimento alle vicende religiose
della Riforma, da Henri Hauser
(De l’humanisme et de la Réforme en France, 1897:
"Umanesimo e Riforma in Francia") e Augustin
Renaudet (Préréforme et humanisme à Paris
pendant les premières
guerres d’Italie, 1916:
"Preriforma e Umanesimo a Parigi durante le
guerre d’Italia").
Un altro aspetto essenziale delle nuove ricerche storiche
sul Rinascimento di questo periodo è nello sviluppo degli studi di
storia economica, sulla nascita del capitalismo e sull’origine della
società borghese: le ricerche sociologiche di Alfred
Von Martin, autore di due
importanti lavori su Coluccio Salutati, colgono nella
società italiana del Quattrocento gli elementi propri di quella fase
d’ascesa della borghesia culminata nei rivolgimenti di fine Settecento.
Un altro produttivo nuovo ambito di
ricerca è quello relativo al pensiero filosofico-scientifico
del Rinascimento: l’indagine svolta da Ernst Cassirer (Individuum und Cosmos in der Philosophie
der Renaissance, 1927: "Individuo e cosmo nella
filosofia del Rinascimento") propone un sistema culturale in cui
platonismo e aristotelismo, schematismi scolastici e principi matematici,
contribuiscono a fondare i presupposti di una scienza nuova, ovvero di una
moderna teoria della conoscenza. La
speculazione rinascimentale determina un mutamento radicale nella storia del
pensiero occidentale, ponendo l’uomo al centro delle sue riflessioni.
Per diretta conseguenza del modello
proposto da Burdach, particolarmente forte è
stata nel Novecento la ricerca sugli elementi che propongono il Medioevo come
luogo di avvio della rinascita: Charles Homer Haskins (The Renaissance of
the Twelfth Century, 1927:
"La rinascita del dodicesimo secolo"), ha messo in rilievo la
presenza di un classicismo preumanistico nella
rinascita intellettuale che caratterizza profondamente il secolo XII; Etienne Gilson (La philosophie au Moyen Age,
1922: "La filosofia nel Medioevo"; Humanisme
médiéval et Renaissance,
1930: "Umanesimo medievale e Rinascimento"), partendo da una critica
al mito della Rinascita, insiste sull’importanza del processo di rinnovamento
delle arti e del pensiero che ebbe luogo nel XII secolo e che continuò
nei secoli successivi: la cultura tardo-medioevale ha numerosi tratti in comune
con la civiltà dell’Umanesimo, della quale, peraltro, non può
essere sottovalutata la componente cristiana; e la presenza di una solida
religiosità accanto al manifestarsi di istanze paganeggianti caratterizza
il quadro rinascimentale tracciato da Ludwig von Pastor nella sua monumentale
storia del Papato (Geschichte der
Päpste seit dem Ausgang des
Mittelalters, 1886-1933: "Storia dei papi dalla
fine del Medioevo").
In Italia queste posizioni sono proposte da Vladimiro Zabughin (Storia del Rinascimento
cristiano in Italia, 1924) e da Giuseppe Toffanin
(Che cosa fu l’Umanesimo, 1919; Che cosa fu l’Umanesimo, 1920), che presentano
l’Umanesimo classicistico italiano come un movimento in tutto e per tutto
conforme all’ortodossia cattolica, che difende la Chiesa dall’individualismo
eretico che lo aveva preceduto e che doveva poi fargli seguito.
All’ultima fase della reazione dei "medievisti" appartiene il celebre libro di Johan Huizinga, Herfsttij Der Middeleeuwen,
pubblicato nel 1919 ("Autunno del Medioevo): all’idea che l’origine del
Rinascimento sia anticipabile ai secoli XI e XII,
contrappone una diversa ipotesi storiografica, secondo la quale è
possibile riconoscere nell’età umanistica i tratti della decadenza
(nella metafora autunnale del titolo) dei valori un tempo fondativi dello
spirito medievale. La civiltà cavalleresca, la cui ideologia si basa
sulla fama e sull’onore, volge al tramonto: il Rinascimento, generato da un
fecondo intreccio di motivi cortesi, classici e religiosi, non è dunque
l’inizio dell’età moderna, ma la conclusione di un lento evolversi del
costume medievale culminato nell’esaurimento della sua spinta propulsiva
proprio durante il Quattrocento e il Cinquecento. L’analisi storica di Huizinga, concentrata soprattutto sulla civiltà dei
Paesi Bassi, riprende consapevolmente l’estetismo burckhardtiano,
quando descrive il declino, fastoso e ancora ricco di fermenti, degli ultimi
secoli di una civiltà feudale che avrà fine solo con l’avvento
del Puritanesimo.
Il revisionismo dei "medievisti"
ha soprattutto mirato a rivendicare una linea di continuità fra Medioevo
e Rinascimento, operando non solo un sostanziale ridimensionamento di quanto si
era ritenuto proprio del Quattrocento e del Cinquecento, ma anche criticando
radicalmente il concetto stesso di "rinascita".
Il problema del Rinascimento non si risolve, però,
in questo lavoro di revisione del paradigma di Burckhardt: a partire dagli anni Trenta del Novecento, in
particolare modo nella cultura italiana, torna a imporsi l’esigenza di una periodizzazione della storia d’Italia e d’Europa tra il
Medioevo e la Rivoluzione francese, in grado di dare autonomo senso ai
formidabili eventi della cultura e della politica che caratterizzano la
"prima età moderna" (per usare una categoria neutra, di
origine angloamericana).
Delio Cantimori e Federico Chabod sono i protagonisti di questa ripresa del problema
storiografico del Rinascimento: rispettivamente in un
saggio del 1932 (Sulla storia del concetto di Rinascimento) e del 1933 (Il
Rinascimento nelle recenti interpretazioni), e poi in numerose altre opere, di
fondamentale rilievo, tornano a considerare i fattori della
"modernità" rinascimentale, inaugurata dalla nuova cultura
umanistica (l’individualismo, il ritorno agli antichi, la coscienza del
rinnovamento), collocando al centro dell’analisi il problema dello stato
moderno, nelle sue istituzioni giuridiche, politiche e materiali, e nella
riflessione teorica (da Machiavelli alla "ragion
di stato"), ma anche l’esigenza di contestualizzare
e distinguere, evitando di impiegare la categoria di Rinascimento in modo
generico e onnicomprensivo. A esempio, se la sua storia culturale (artistica e
letteraria) è assolutamente eccezionale, la sua storia economica
dimostra, invece, una drammatica e pericolosa recessione.
Per queste ragioni è opportuno procedere a periodizzamenti differenziati per ogni aspetto della
società e della cultura italiana tra Medioevo e Rivoluzione francese. E
per questo, Cantimori nel 1955 scrive che il
Rinascimento è una categoria pseudo-storiografica,
astratta, scarsamente utile per un efficace inquadramento del periodo storico
cui si è applicata: preferisce riferirsi a una più generale
"età umanistica", che si estende dal Trecento al Settecento,
all’interno della quale si possono individuare e descrivere storie diverse (istituzionale, religiosa, economica, sociale, culturale, eccetera).
Queste nuove indicazioni di metodo maturate nei primi
decenni del Novecento hanno contribuito alla definizione di un quadro
conoscitivo dell’Umanesimo e del Rinascimento non più globalmente
unitario: nei diversi settori in cui la ricerca si è specializzata si sono
avuti formidabili incrementi conoscitivi, di cui è impossibile dare
analitico rendiconto.
Nel settore della storia culturale, fondamentali sono
stati gli studi di storia del pensiero filosofico compiute da Paul Oskar Kristeller, e
soprattutto l’allestimento di essenziali strumenti generali di documentazione
bibliografica: Iter italicum ("Viaggio in
Italia") è lo straordinario risultato della paziente esplorazione
nelle biblioteche di tutto il mondo alla ricerca di tutti
i manoscritti originari pertinenti alla storia culturale dell’Umanesimo e del
Rinascimento.
Nel settore della storia politica, notevole è stato
l’impatto del libro di Hans Baron,
del 1955, The Crisis of the Early Italian Renaissance
("La crisi del primo Rinascimento italiano"), centrato sulla storia
della Repubblica fiorentina, e volto a rivalutare lo spirito civile della sua
borghesia, che è il fondamento della stessa cultura dell’Umanesimo, che Baron connota come "umanesimo civile". A Firenze
la virtus repubblicana, derivata dalle pagine dei
classici, è alla base della formazione dell’intellettuale umanista,
campione di impegno civico e partecipe attivo della vita cittadina.
Fondamentale per il rinnovamento degli studi
rinascimentali è stata soprattutto la parte degli studi iconologici che hanno radicalmente trasformato il panorama
della cultura artistica e figurativa dell’Umanesimo e del Rinascimento: sulla
scia del magistero di Aby Warburg,
e dei suoi saggi scritti tra il 1893 e il 1920 (raccolti in edizione italiana
con il titolo di La rinascita del paganesimo antico),
fondamentali sono le ricerche di Erwin Panofsky (dagli Studies in Iconology, editi nel 1939: "Studi di iconologia";
a Renaissance and Renaissances in Western Art del
1960: "Rinascimento e rinascenze nell’arte occidentale"), e quindi
dei diversi studiosi formatisi presso l’IstitutoWarburg
di Londra (Fritz Saxl, Rudolf Wittkower, Otto Kurz, Jean Seznec,
Edgar Wind, Gertrud Bing, Frances
Yates).
Riconosciuto maestro degli studi sull’Umanesimo e il
Rinascimento italiano è Eugenio Garin, che ha
dedicato i suoi studi a illustrarne tutti i molteplici aspetti culturali, anche
quelli ermetici e astrologici, e a caratterizzare l’esperienza dei grandi
protagonisti: Valla, Bruni, Salutati, eccetera. La chiave interpretativa del
lavoro di Garin è volta a riconoscere
l’unità del Rinascimento, su scala europea: pur nelle sue diverse
manifestazioni, la sua radice comune è fornita
dall’esperienza umanistica ed è fondata sui suoi valori etici ed
estetici.
Già nel saggio sull’Umanesimo italiano, pubblicato nel 1947, Garin aveva polemizzato
con il tentativo di ridimensionamento della cultura rinascimentale attuato
dagli storici medievisti: la riforma umanistica aveva
agito, infatti, sulle coscienze di generazioni di intellettuali, contribuendo a
rinnovare la consapevolezza delle possibilità dell’uomo nel mondo. Negli
scritti posteriori, quali, a esempio, la raccolta di saggi del 1954, Medioevo e
Rinascimento, o La cultura filosofica del Rinascimento
italiano (del 1961), o ancora La cultura del Rinascimento (del 1967), restano
validi i postulati di fondo precedentemente individuati che si richiamano alla
stretta connessione di metodo filologico e nuova logica scientifica.
L’attenzione rivolta dall’Umanesimo ai problemi dell’educazione e della
formazione, il profondo spirito pratico che animava la reazione alla
mentalità del passato, la consapevolezza di costruire un nuovo sapere
costituiscono un sistema di valori che saranno tramandati fino alla civiltà
dell’Illuminismo. Alla base della questione rinascimentale c’è dunque la
presa di coscienza definitiva di un’avvenuta svolta storica, di un passaggio
determinante che sarà confermato dal formarsi di nuove, rivoluzionarie
ideologie.
Nel Discorso sull’Umanesimo (1956) di Carlo Dionisotti cogliamo, invece, un orientamento diverso,
dettato da una differente impostazione metodologica che conduce a una radicale
revisione della categoria critica e storiografica di Rinascimento. Partendo
dalla constatazione che non possibile ridurre a unità le molteplici
tipologie degli elementi che compongono la cultura del Quattrocento e del
Cinquecento, Dionisotti riconosce le
difficoltà di recuperare il senso pieno "una realtà
consegnata alla storia e proprio per questo irriducibilmente diversa dalla
nostra": i suoi studi sono rivolti alla ricostruzione filologica e
documentaria di opere e personaggi della complessità umanistica e
rinascimentale, per coniugare produttivamente la storia culturale con la
geografia istituzionale e politica, a segnalare la necessità di
descrivere le discontinuità tra Umanesimo (latino) e Rinascimento
(volgare), e soprattutto a tenere conto dei diversi fattori in gioco nella
cultura tra Quattrocento e Cinquecento, come la tipografia e l’accademia.
Negli ultimi decenni, dall’incrocio delle esperienze sopra
descritte, si è accentuato il rinnovamento degli studi sul Rinascimento,
sia in senso storico che culturale. La complessità del quadro si
è andata arricchendo di contributi relativi sia alle tradizioni
filosofiche magico-occultistiche che alle istituzioni
e alle pratiche religiose (con al centro il grande
problema della Riforma e della Controrifoma,
dell’eresia e della simulazione "nicodemitica"),
con una particolare attenzione alle istituzioni della vita culturale (il libro,
le accademie), oltre che con rilevanti approfondimenti iconologici.
Di particolare rilievo gli studi sulla Riforma protestante
e il suo impatto in Italia: precursore in tal senso è stato Cantimori, autore del famoso volume Eretici italiani nel
Cinquecento (1939). Obiettivo di queste ricerche è stato quello di
descrivere analiticamente la storia del protestantesimo in Italia, ma anche di
chiarire le autonome vicende del gruppo degli "spirituali" che fecero capo al cardinale Reginald
Pole, impostando in modo radicalmente innovativo il vecchio schema
storiografico della Controriforma (o Riforma) cattolica conseguente al Concilio
di Trento. L’attenzione alla vita religiosa nel Rinascimento è variamente
attestata: infatti accanto ai fondamentali studi di
Antonio Rotondò, Carlo Ginzburg,
Adriano Prosperi, Massimo Firpo, Gigliola Fragnito,
è necessario indicare l’importanza di uno strumento di documentazione
quale il Corpus reformatorum italicorum,
diretto da Luigi Firpo e Giorgio Spini.
La storiografia politica, soprattutto inglese e americana,
ha sviluppato insistentemente le indicazioni di Baron,
insistendo nella valutazione della centralità di Firenze, e lavorando
nella direzione di un approfondimento degli aspetti politici ed istituzionali
relativi alla tradizione storica della Repubblica fiorentina: a esempio Felix Gilbert ha descritto i
legami che intercorrono fra la trattatistica
umanistica e il pensiero machiavelliano.
Nel corso degli anni ‘60, gli studi di storia politica di
Gene Bruker e Lauro Martines
riaffermano con convinzione l’importanza della civiltà fiorentina,
medievale e rinascimentale, quale radice dei valori fondamentali della cultura
occidentale. Altri studiosi hanno illustrato aspetti più circostanziati,
sempre, però, inquadrati all’interno della più generale
prospettiva dell’Umanesimo "civile" fiorentino: a tale proposito, si
possono menzionare le ricerche di Ronald Witt su Coluccio Salutati, quelle
di Anthony Molho sulla
Firenze di Cosimo il Vecchio o ancora il saggio su Savonarola di Donald Weinstein.
Particolarmente innovativa è
stata l’esplorazione delle istituzioni proprie dell’Antico Regime, e
soprattutto della Corte: proposta (da Cesare Mozzarelli,
a esempio), in consapevole polemica con il consolidato paradigma della
"nascita dello stato moderno", come luogo centrale di tutto il
complesso produttivo e comunicativo sia della politica che delle arti; e quindi
la restituzione dell’articolatissima dinamica delle grandi città capitali
dell’Umanesimo e del Rinascimento: ben oltre la presunta centralità di
Firenze, il sistema delle Corti ha assunto una sua definizione analitica e
problematica. Da questa tendenza degli studi, il
Rinascimento si costituisce come cultura propria dell’Antico Regime
(dell’Europa delle Corti), forma storica della sua costitutiva opzione
classicistica.
In questa direzione, si è venuta affermando negli
studi più recenti una visione del Rinascimento in rapporto con
l’evoluzione in senso aristocratico della società. Il mancato sviluppo
in senso capitalistico della società italiana del Cinquecento secolo
è stata correlata (da Ruggiero Romano, a esempio) alla costituzione di
un sistema neo-feudale che è alla base dei regimi assolutistici: i
possedimenti terrieri costituiscono la principale fonte di ricchezza dei
patrimoni dei principi e degli ecclesiastici. Si
tratta di un fenomeno involutivo derivato dalla crisi prodottasi nei secoli
precedenti che in Italia determina un sistema di sfruttamento delle campagne da
parte di una classe nobiliare prevalentemente urbana.
A livello geografico, la rifeudalizzazione (descritta
da Rosario Villari nella storia del regno di Napoli)
riduce le distanze fra Nord e Sud e sancisce il trionfo del costume
aristocratico.
Nel corso del Cinquecento, l’affermarsi progressivo di
un’etica comportamentale di Antico Regime si collega al risorgere di una serie
di cerimoniali di origine medievale che procedono di
pari passo ad una generale rifeudalizzazione: alla
città-stato si sostituisce il sistema della corte che eredita insieme la
tradizione classica e quella cavalleresca. Attraverso il mecenatismo, ovvero
attraverso il controllo che ristretti gruppi sociali estendono all’arte, alla
letteratura, alla vita religiosa, prende forma una cultura di carattere
"aulico" tendente a farsi portatrice di valori aristocratici. In
questo senso, grande rilievo hanno avuto le ricerche del sociologo Norbert Elias, che tracciano un quadro all’interno del
quale si precisa l’importanza del processo di civilizzazione contemporaneo alla trasformazione "gentilizia" che ebbe luogo
proprio a partire dal Quattrocento. L’etica delle "buone maniere" si
afferma progressivamente all’interno della società rinascimentale:
questa evoluzione è strettamente legata alla centralizzazione della vita
politica.
Tra Quattro e Cinquecento, come ha insegnato Dionisotti, il sistema delle Corti si afferma come punto di
riferimento fondamentale anche per tutti quegli intellettuali che non siano legati ai quadri ecclesiastici: il letterato contribuisce
al processo di diffusione di quell’ideologia cortigiana che va propagandosi
attraverso la stampa, la produzione di libri e la conseguente alfabetizzazione.
Una rilettura critica della storia culturale e letteraria cinquecentesca entro
questi parametri è stata sviluppata dai saggi di Giancarlo Mazzacurati.
In questi ultimi trent’anni, la
ricerca si è confrontata con l’emergere di nuove istanze interpretative
che hanno privilegiato ambiti più definiti e circoscritti:
all’accanimento teorico in merito al "Rinascimento" come categoria
storiografica si è sostituita un’indagine ad ampio raggio che presuppone
l’esistenza di più rinascimenti e di diverse proposte culturali di
Classicismo.
Alla ridefinizione del quadro
hanno contribuito, oltre agli italiani, studiosi inglesi, tedeschi, francesi e
americani: il Rinascimento è, oggi, un compiuto patrimonio universale.
Se ne investigano senza sosta i più minuti episodi e protagonisti, le
diversissime forme ed esperienze. Con un dato metodologico di grande rilevanza:
la pluralità dei processi avvenuti all’interno della civiltà
rinascimentale viene ora letta senza condizionamenti
gerarchici e ideologici (di luoghi: Firenze; e di modelli: "umanesimo
civile"), e si impongono soprattutto problemi di catalogazione e di
descrizione analitica dell’insieme dei documenti, nell’ottica di un recupero
complessivo (e polifonico) delle differenziatissime
dinamiche culturali e storiche rinascimentali.
La descrizione e interpretazione della storia europea
dalla crisi del mondo comunale all’instaurazione dell’assolutismo ha preso atto
dell’esistenza di una galassia di forme e di teorie, e
delle loro autonome storie: negli studiosi è ormai prevalente la
consapevolezza che ogni concezione totalizzante del Rinascimento è ormai
improponibile, anche se il paradigma ereditato dai modelli ottocenteschi di Burckhardt è tutt’altro che esaurito.
Possiamo concludere dunque con un’affermazione di Alberto
Tenenti, il quale scrive: "La singolare sorte dei rinascimenti fu dunque
di essere un fascio di tendenze deliberatamente novatrici che, paradossalmente,
riuscirono ad esserlo effettivamente proponendosi di rinnovare tornando
all’antico e sviluppandosi in un’Europa il cui Ancien régime continuava a
resistere pressoché immutato - socialmente, economicamente e perfino
tecnologicamente - appunto fra il XIII ed il XVII secolo" (I rinascimenti
1350-1630, Firenze, Le Monnier, 1981, p.63).
Per gli opportuni approfondimenti è utile ricorrere
a questi strumenti di descrizione analitica della storiografia sul Rinascimento
tra Otto e Novecento.
Michele Ciliberto, Il Rinascimento. Storia di un
dibattito, Firenze, La Nuova Italia, 1975.
Wallace
K. Ferguson, The Renaissance in Historical Thought, trad
it. Il Rinascimento nella critica storica, Bologna, Il Mulino, 1969.
Interpretazioni del Rinascimento, a cura di Alfonso Prandi, Bologna, Il Mulino, 1971.
Autori vari, Il Rinascimento. Interpretazioni e problemi,
Bari, Laterza, 1979.
Umanesimo e Rinascimento, a cura di Cesare Vasoli, Palermo, Palumbo, 1969.