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Paola Cosentino

 

Il Rinascimento negli studi degli storici e come categoria storiografica

 

Da http://www.italica.rai.it/rinascimento/monografie/rinascimento_studi_storici/index.htm

 

INDICE

L’interpretazione degli illuministi 1

La storiografia del Settecento e William Roscoe. 2

L’interpretazione romantica. 3

Michelet e l’invenzione del Rinascimento. 4

Burckhardt e la fondazione del nuovo paradigma storiografico. 6

Il Rinascimento come moda culturale diffusa. 8

Rinascimento e Medioevo. 9

La storiografia di primo Novecento. 10

La nuova storiografia italiana. 12

Le nuove linee internazionali di ricerca. 13

La lezione di Eugenio Garin e Carlo Dionisotti 14

Aspetti e tendenze della ricerca contemporanea. 15

Riferimenti bibliografici 19

 

 

 

 

L’interpretazione degli illuministi

         

 

Negli anni che precedono e preparano la frattura della Rivoluzione, gli illuministi francesi rielaborano il paradigma storiografico – ancora validissimo – con cui Giorgio Vasari aveva costruito la prima e straordinaria storia dell’arte italiana (nelle Vite de’ più eccellenti architetti, pittori e scultori italiani da Cimabue insino a’ nostri tempi, in prima edizione nel 1550 e poi ampliate nell’edizione del 1568), fissando i tempi e sui modi della sua Rinascita, come esperienza tutta prodotta, pur nelle sue differenziatissime tipologie, dall’imitazione degli Antichi: per gli illuministi occorre estendere l’efficacia di questo paradigma anche oltre la immediata pertinenza alle lettere e alle arti.

Voltaire e d’Alembert, infatti, propongono il Rinascimento come origine complessiva dell’età moderna: è la prima fase di un processo culturale, anche e soprattutto filosofico e scientifico, che porta direttamente al secolo dei Lumi, soprattutto per i suoi aspetti di cosmopolitismo e di razionalismo. In questo contesto, la discussione illuministica sul Rinascimento sollecita una riflessione profonda sul rapporto dell’uomo con la storia e con la natura: l’età dell’Umanesimo è il momento di recupero del principio stesso di civiltà, quello che si era smarrito nei secoli barbari del Medioevo.

Per gli illuministi il Rinascimento rappresenta il risorgere definitivo, in Italia prima e poi in Europa, della razionalità, anche se sono consapevoli dell’esistenza, nella cultura rinascimentale, di forti e radicate tradizioni magiche ed ermetiche che ovviamente respingono. E anche per gli illuministi la nascita del Rinascimento consegue dalla caduta di Costantinopoli, e dal suo correlarsi agli altri fattori costitutivi del mecenatismo e dell’invenzione del libro tipografico, secondo uno schema storiografico antico: "l’impero bizantino è distrutto – scrive d’Alembert nel Discours préliminaire à l’Encyclopédie (1750) -, e la sua rovina fa affluire in Europa quel poco di conoscenze che restavano ancora nel mondo. L’invenzione della stampa e il mecenatismo dei Medici rianimano gli spiriti. La luce rinasce da ogni parte".

E dal Rinascimento questa luce della riacquistata civiltà arriva sino al secolo dei Lumi.

 

 

La storiografia del Settecento e William Roscoe

         

 

La consapevolezza della sostanziale continuità fra Rinascimento e Illuminismo, sulla base del comune Classicismo, è avvertita da tutta la cultura del Settecento, già dall’inizio del secolo.

In Italia, la visione storica prodotta da Ludovico Antonio Muratori e Girolamo Tiraboschi contribuisce a ribadire l’immagine paradigmatica di un Rinascimento tutto "umanistico": è proprio la nascita della filologia e del culto degli Antichi a caratterizzare compiutamente la cultura italiana del Quattrocento e del Cinquecento. Si conferma e precisa un’immagine della rinascita in cui trionfa l’entusiasmo per una rinnovata sensibilità nei confronti delle lettere e delle arti, per la ricerca, lo studio e la valorizzazione dei loro monumenti antichi:

Scrive Tiraboschi: "Ecco dunque sin dal principio del secolo XV tutta l’Italia rivolta ardentemente a ravvivare le scienze e a richiamare dal lungo esilio le belle arti. Si ricercano in ogni angolo i codici, e s’intraprendono a tal fine lunghi e disastrosi viaggi, si confrontan tra loro, si correggon, si copiano, si spargon per ogni parte, si forman con essi magnifiche biblioteche, e queste a comune vantaggio si rendon pubbliche; si aprono cattedre per insegnare le lingue greca e latina, e in ogni città si veggon rinomatissimi professori d’eloquenza invitati a gara dalle università più famose, e premiati con amplissime ricompense" (Storia della letteratura italiana, tomo VI).

Ma il più appassionato affresco del Rinascimento italiano, il capolavoro davvero conclusivo di questo paradigma classicistico, è nelle opere di uno scrittore inglese, William Roscoe, nelle sue ampie biografie di Lorenzo il Magnifico (The Life of Lorenzo de’ Medici called the Magnificent: La vita di Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico) e di papa Leone X (The Life and Pontificate of Leo the Tenth: La vita e il pontificato di Leone X), pubblicate in prima edizione rispettivamente nel 1796 e nel 1805, e più volte ristampate e tradotte in Italia e in tutt’Europa: la felicità della loro scrittura (ma anche la ricchezza documentaria) è la ragione del loro grande successo.

 

L’interpretazione romantica

         

 

L’esplodere della nuova cultura del Romanticismo europeo fa subito i conti con questa eredità del Classicismo e della sua consolidata immagine del Rinascimento. Dalla Rivoluzione, infatti, emerge una nuova idea generale della storia d’Europa: il luogo di fondazione e nascita dell’identità delle sue tante e tanto diverse "nazioni" è proprio quel Medioevo che gli umanisti avevano riconosciuto come l’età che aveva barbaramente interrotto il tempo degli Antichi. Un Medioevo, ora, non più barbarico e oscuro, bensì da rivendicare con orgoglio anche patriottico.

 

Di questa nuova idea generale della storia d’Europa, del suo fare i conti con le idee generali che l’hanno preceduta, la cultura italiana resta ai margini: i protagonisti sono francesi, tedeschi, inglesi. Intellettuali e critici, teorici e scrittori fondano i presupposti teorici e producono le esperienze comunicative che ancora oggi sono alla base della nostra cultura: in primo luogo sbarazzandosi del patrimonio della tradizione classicistica, come illustra la polemica che attraversa tutta l’Europa e che nei primi anni dell’Ottocento vede impegnati su fronti opposti gli schieramenti dei romantici e dei classicisti.

 

Solo qualche tempo dopo l’esaurirsi di questa polemica, il nuovo – e vincente - paradigma culturale del Romanticismo elabora compiute ricostruzioni storiografiche dell’Umanesimo e del Rinascimento, come pure interpretazioni delle esperienze di alcuni grandi protagonisti, che ne esaltano gli elementi di individualismo e di creatività eroica: Dante rimpiazza Petrarca e Michelangelo prende il sopravvento su Raffaello. L’eroismo titanico di Dante e Michelangelo è del tutto assimilato ai nuovi valori estetici e politici dei romantici, mentre la levigata grazia di Petrarca e Raffaello risulta priva di senso e superficiale.

 

Per quanto riguarda, in particolare, la ricostruzione della storia italiana, se trova conferma che l’età del Rinascimento – pur nei limiti delle sue regole aristoteliche e più ancora nonostante la gravissima crisi istituzionale e morale degli stati italiani, ridotti in servitù dalle potenze straniere - aveva portato alla riscoperta di valori antichi e a una nuova cultura, questa sua validità è retrodatata: il "Risorgimento" d’Italia – esattamente quello in corso nel primo Ottocento – ha radici antiche, che risalgono al rinnovamento politico e culturale che si produsse in Italia dopo l’anno Mille, con il consolidarsi della società dei Comuni.

 

Michelet e l’invenzione del Rinascimento

         

 

Il primo innovatore della storiografia sul Rinascimento è Jules Michelet: nella sua monumentale storia della Francia, solo dopo aver trattato del Medioevo e della Rivoluzione, dedica un volume, pubblicato nel 1855, a Renaissance et Réforme. Histoire de France au XVI siècle (Rinascimento e Riforma. Storia di Francia nel Cinquecento). L’importanza di Michelet non solo è nella proposta del termine stesso di Rinascimento (Renaissance in francese), che per la prima volta appare nel titolo di un’opera storica, ma soprattutto nell’impianto della sua ricostruzione, che supera definitivamente l’antica perimetrazione del Rinascimento come umanistica "instauratio studiorum" a vantaggio di un’interpretazione globale di lunga durata - e su scala europea -, che assume nel suo quadro di riferimento anche la Riforma religiosa e lo sperimentalismo scientifico, per costituirsi come fase di formazione della modernità: "Il XVI secolo, nella sua grande e legittima estensione, va da Colombo a Copernico, da Copernico a Galileo, dalla scoperta della terra a quella del cielo. L’uomo ha ritrovato se stesso. Mentre Vesalio e Serveto gli hanno svelato la vita, con Lutero e Calvino, Dumoulin e Cujas, Rabelais, Montaigne, Shakespeare, Cervantes è penetrato nel suo mistero morale. Ha sondato le basi profonde della sua natura. Ha cominciato ad assidersi sul trono della Giustizia e della Religione" (Renaissance et Réforme, p. 13-14).

 

Lutero e Galileo, ma anche Rabelais e Cervantes, sono i protagonisti di una rivoluzione che opera il definitivo distacco dalla cultura medioevale. E proprio la necessità di una visione organica conduce Michelet a elaborare un quadro omogeneo incentrato su un ideale eroico fondato sulla libertà e sul dominio dell’uomo sul mondo.

 

Michelet è illustre rappresentante della corrente democratica della storiografia di primo Ottocento, che si colloca su una linea diversa rispetto alle posizioni storiografiche dei romantici: anche per questa ragione la sua impostazione critica avrà diretta influenza sulle successive proposte interpretative del Rinascimento.

 

A questa stessa attenzione nei confronti della componente antropocentrica del Rinascimento è la riflessione storica di Georg Voigt, che riprende l’analisi del mondo intellettuale dell’Umanesimo nella sua opera maggiore Die Wiederbelebung del classischen Altertums. Oder das erste Jahrundert des Humanismus, in prima edizione nel 1859 (Il risorgimento dell’antichità classica, ovvero il primo secolo dell’Umanismo): vi riconosce i tratti inequivocabili di un nuovo habitus mentale laico, in netto contrasto con la tradizione medievale scolastica. Il mondo moderno nasce dal lavoro delle generazioni di intellettuali (gli umanisti) che assumono Petrarca come modello, per affermare un diverso modo di leggere il passato e di concepire il presente; la forza critica proveniente dalle loro opere dà uno straordinario impulso non solo alla rinascita delle lettere, ma anche al perseguimento di quella dignitas hominis ("dignità dell’uomo") terrena che costituisce la vera eredità del mondo classico.

 

Burckhardt e la fondazione del nuovo paradigma storiografico

         

 

L’immagine del Rinascimento elaborata da Michelet implica una prospettiva europea che colloca sullo stesso piano Galilei e Cervantes, Copernico e Shakespeare: circoscritto all’Italia è invece il quadro di riferimento dell’opera ottocentesca più rappresentativa della riflessione sul Rinascimento, Die Kultur der Renaissance in Italien (La civiltà del Rinascimento in Italia) di Jakob Burckhardt. Pubblicata per la prima volta nel 1860, questa opera è diventata un grande classico della storiografia, ancor oggi continuamente ristampata: ed è l’opera che ha delineato il nuovo paradigma interpretativo del Rinascimento, con cui è indispensabile ancora confrontarsi.

 

Burckhardt descrive i caratteri di un Rinascimento eroico e individualista fondato su di un nuovo "tipo" di uomo, portatore di una coscienza culturale e storica radicalmente antitetica a quella che aveva contraddistinto l’uomo medioevale. Il Rinascimento è pertanto rappresentato come il primo atto dell’età moderna, che profila anche una nuova concezione politica dello stato e, quindi, del cittadino che in esso si riconosce. E l’autonomia della politica è considerata il fondamento del modello statuale posto alla base dello sviluppo della civiltà europea: Burckhardt individua nella nuova concezione dello stato (anch’esso un’opera d’arte) uno dei postulati dai quali prende avvio la storia rinascimentale italiana, che sancisce la definitiva trasformazione dell’organizzazione feudale della società del Medioevo.

 

Nel rapido e impetuoso fiorire di principati e signorie, secondo Burckhardt è riconoscibile "lo spirito dello stato europeo moderno abbandonarsi per la prima volta liberamente a’ suoi propri impulsi, trascorrendo assai frequente ai più terribili eccessi di uno sfrenato egoismo, conculcando ogni diritto e soffocando il germe di ogni più sana cultura; ma dove queste tendenze vengono arrestate od almeno in parte controbilanciate, quivi si ha subito qualche cosa di nuovo e di vivo nella storia, si ha lo Stato quale creazione di calcolo consapevole, lo Stato come opera d’arte" (La cultura del Rinascimento in Italia, Firenze, Sansoni, 1968).

 

Le innovazioni politiche e istituzionali che conducono alla comparsa dei principati e delle signorie - come pure al progressivo allontanamento dal concetto di cristianità universale appartenuto al Medioevo e messo in crisi dall’avvento della Riforma protestante, definiscono - secondo Burckhardt - un sistema organico che assimila elementi di natura eterogenea e consente la codificazione di un mito in cui il tema della rinascita costituisce il nucleo centrale di un’epoca eccezionalmente poliedrica e dai risvolti complessi e contraddittori.

 

La politica, la morale e la religione sono il punto di partenza per un’approfondita riflessione che consente a Burckhardt di creare un quadro articolato e capace di rappresentare le caratteristiche di un’epoca con intensità ed efficacia. Il Rinascimento italiano si presenta, infatti, come una fase storica dai contorni netti e definiti, in cui è agevole riconoscere la portata rivoluzionaria di elementi nuovi che si collocano all’origine della moderna storia europea: "gli Italiani, prima d’ogni altro popolo, si trasformarono in uomini moderni e meritarono per questo di esser detti i figli primogeniti della presente Europa" (La cultura del Rinascimento in Italia, p.125).

 

Il mito della rinascita trova dunque una sua risolutiva sistemazione: la scoperta della natura, la valorizzazione della componente individualistica dell’uomo, lo scardinamento del dogmatismo religioso, l’avvento di un nuovo canone di bellezza fondato sul recupero della classicità, vanno a formare un unico disegno articolato, alla base del quale si riconosce la necessità di individuare i motivi fondativi dell’età moderna, anche per contrapposizione con il Medioevo.

 

In Burckhardt la lettura parallela dei singoli aspetti di un’intera epoca s’incentra sempre sulla consapevolezza di un radicale rinnovamento dei costumi e delle idee, che culmina nella progressiva affermazione delle grandi personalità del secolo. Il carattere di questo rinascimento è, dunque, specificatamente culturale e delinea una figura di "uomo moderno" che assume su di sé tutti i tratti dell’esemplarità.

 

L’opera di Burckhardt, non è un tentativo isolato di interpretazione di un’epoca: è invece la coerente (e magistrale) conclusione di una ricerca sulle ragioni del Rinascimento cominciata già dai suoi stessi protagonisti storici, gli umanisti, sin dal Trecento, e al tempo stesso è il punto di partenza per tutti gli interventi storiografici successivi, che dovranno in primo luogo fare i conti con Burckhardt, per aderire o dissentire da questo suo modello.

 

Ha scritto Eugenio Garin: "Burckhardt, nella sua opera, non fece che portare al limite di un distacco estremo la ribellione rinascimentale, accettando in pieno i miti che il Rinascimento stesso aveva elaborato. Staccato e contrapposto al Medioevo, il nuovo mondo trova il suo tono nell’imitazione dell’antichità riscoperta, e rinnovata soprattutto nel piano dell’arte. Quello che gli umanisti dissero, e il modo in cui si videro, Burckhardt accetta e ripete. Non di rado egli vede non solo l’età di mezzo, ma anche il mondo classico, con gli occhi dei dotti del Quattrocento e del Cinquecento".

 

La descrizione di una civiltà evocata attraverso la costante definizione di un prototipo ideale all’interno di una società di cui pur s’indagano le componenti istituzionali e materiali (politica, religione, mode, divertimenti), diviene il manifesto eloquente di un Rinascimento della cultura, isolato nel tempo e nello spazio, in cui il ritorno all’antico testimonia la volontà di affermare una nuova concezione del mondo.

 

Il Rinascimento come moda culturale diffusa

         

 

Il libro di Burckhardt è subito un grande successo editoriale e contribuisce a fissare il quadro interpretativo generale del Rinascimento (rimpiazzando quello di Roscoe) in termini che non riguardano soltanto il mondo scientifico della ricerca storica, ma anche il modo con cui la cultura europea della fine dell’Ottocento e del Novecento ha vissuto l’idea stessa di Rinascimento: una vera e propria moda, che si nutre di eroi e di capolavori, che inventa le forme del loro culto, che rilancia – in chiave borghese – la grande istituzione del Grand Tour dell’aristocrazia europea di Antico regime.

Una moda che rafforza il mito di Firenze culla e patria del Rinascimento (ma anche, seppure in dimensioni minori, di Venezia), punto di approdo di schiere di inglesi entusiasti, pronti a prendere casa, anche nella campagna toscana; una moda che contagia i nuovi ricchi della nazione americana, e si trasforma in rilancio del collezionismo.

 

Rinascimento e Medioevo

         

 

Ovviamente, anche dal punto di vista degli studi storici, il libro di Burckhardt è subito un modello di riferimento: da approfondire ma anche da discutere. Il punto fondamentale di tutte le ricerche e riflessioni diventa proprio il rapporto diretto – di derivazione illuministica, ma che Burckhardt esalta – tra rinascita degli Antichi (il Rinascimento) e nascita della modernità e, quindi, la radicalizzazione della frattura che oppone il Rinascimento al Medioevo.

Soprattutto su questa frattura si è concentrata la discussione: per contestare che l’Umanesimo avesse inaugurato un’età nuova, molti studiosi si sono impegnati a documentare tutti gli elementi di continuità fra Medio Evo e Rinascimento, e per retrodatare all’anno mille la nascita del mondo moderno, che quindi non coinciderebbe affatto con il Rinascimento. Questa prospettiva storiografica "medievistica" intende ridimensionare proprio il valore di quella rottura con il passato attribuita al Rinascimento degli umanisti e dei loro prìncipi.

Il più noto sostenitore di questa tesi è Konrad Burdach: nel libro intitolato Reformation, Renaissance, Humanismus (Riforma, Rinascimento, Umanesimo), pubblicato nel 1918, si sforza di smantellare l’intera costruzione di Burckhardt e della tradizione illuministica. Esaltando i caratteri pagani della nuova età, e quindi marginalizzando la forte componente religiosa che pervade l’Europa cristiana, e proponendo l’Umanesimo come una cultura caratterizzata dalla restaurazione dell’antico, si perde – secondo Burdach - ogni legame con il Medioevo e con i movimenti riformistici legati, in Italia, a Francesco d’Assisi e a Gioacchino da Fiore, e ampiamente diffusi nella Germania prima di Lutero: per questo, a una visione tutta laica del Rinascimento, oppone quelle radicate e continue tradizioni spirituali e mistiche, che sollecitano un nuovo criterio di periodizzazione storiografica.

Burdach richiama la linea che congiunge Dante a Petrarca e a Cola di Rienzo, per porre la rinascita umanistica in relazione con la nuova sensibilità religiosa: e proprio l’asprirazione a una renovatio spirituale è il nesso più profondo fra Medioevo ed Età moderna. In questo modo Burdach si fa sostenitore di una tesi fortemente ideologica, che mira a marcare la contrapposizione fra Rinascimento e Rivoluzione, fra Umanesimo e Illuminismo, e in questo modo intende riaprire la questione della modernità.

 

La storiografia di primo Novecento

         

 

Il quadro novecentesco della ricerca storiografica sull’Umanesimo e il Rinascimento non si esaurisce, certo, nella contrapposizione tra modelli generali d’interpretazione: sia il modello Burckhardt che il modello Burdach sollecitano, invece, nuove ricerche e riflessioni che spesso li contaminano.

Di grande rilievo diventa, negli anni tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo, l’esplorazione delle esperienze culturali fuori dall’Italia, per illustrare i tanti rinascimenti della cultura europea: a esempio, la rinascita in Germania è descritta da Heinrich Hermelink in rapporto con la Riforma (Die religiösen Reformbestrebungen des deutschen Humanismus, 1907: "L’aspirazione alla riforma religiosa dell’Umanesimo tedesco") e da Kuno Franke (Personality in German Literature before Luther, 1916: "Personalità nella letteratura tedesca prima di Lutero); ma anche nella sua autonomia francese, sempre in riferimento alle vicende religiose della Riforma, da Henri Hauser (De l’humanisme et de la Réforme en France, 1897: "Umanesimo e Riforma in Francia") e Augustin Renaudet (Préréforme et humanisme à Paris pendant les premières guerres d’Italie, 1916: "Preriforma e Umanesimo a Parigi durante le guerre d’Italia").

Un altro aspetto essenziale delle nuove ricerche storiche sul Rinascimento di questo periodo è nello sviluppo degli studi di storia economica, sulla nascita del capitalismo e sull’origine della società borghese: le ricerche sociologiche di Alfred Von Martin, autore di due importanti lavori su Coluccio Salutati, colgono nella società italiana del Quattrocento gli elementi propri di quella fase d’ascesa della borghesia culminata nei rivolgimenti di fine Settecento.

Un altro produttivo nuovo ambito di ricerca è quello relativo al pensiero filosofico-scientifico del Rinascimento: l’indagine svolta da Ernst Cassirer (Individuum und Cosmos in der Philosophie der Renaissance, 1927: "Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento") propone un sistema culturale in cui platonismo e aristotelismo, schematismi scolastici e principi matematici, contribuiscono a fondare i presupposti di una scienza nuova, ovvero di una moderna teoria della conoscenza. La speculazione rinascimentale determina un mutamento radicale nella storia del pensiero occidentale, ponendo l’uomo al centro delle sue riflessioni.

Per diretta conseguenza del modello proposto da Burdach, particolarmente forte è stata nel Novecento la ricerca sugli elementi che propongono il Medioevo come luogo di avvio della rinascita: Charles Homer Haskins (The Renaissance of the Twelfth Century, 1927: "La rinascita del dodicesimo secolo"), ha messo in rilievo la presenza di un classicismo preumanistico nella rinascita intellettuale che caratterizza profondamente il secolo XII; Etienne Gilson (La philosophie au Moyen Age, 1922: "La filosofia nel Medioevo"; Humanisme médiéval et Renaissance, 1930: "Umanesimo medievale e Rinascimento"), partendo da una critica al mito della Rinascita, insiste sull’importanza del processo di rinnovamento delle arti e del pensiero che ebbe luogo nel XII secolo e che continuò nei secoli successivi: la cultura tardo-medioevale ha numerosi tratti in comune con la civiltà dell’Umanesimo, della quale, peraltro, non può essere sottovalutata la componente cristiana; e la presenza di una solida religiosità accanto al manifestarsi di istanze paganeggianti caratterizza il quadro rinascimentale tracciato da Ludwig von Pastor nella sua monumentale storia del Papato (Geschichte der Päpste seit dem Ausgang des Mittelalters, 1886-1933: "Storia dei papi dalla fine del Medioevo").

In Italia queste posizioni sono proposte da Vladimiro Zabughin (Storia del Rinascimento cristiano in Italia, 1924) e da Giuseppe Toffanin (Che cosa fu l’Umanesimo, 1919; Che cosa fu l’Umanesimo, 1920), che presentano l’Umanesimo classicistico italiano come un movimento in tutto e per tutto conforme all’ortodossia cattolica, che difende la Chiesa dall’individualismo eretico che lo aveva preceduto e che doveva poi fargli seguito.

All’ultima fase della reazione dei "medievisti" appartiene il celebre libro di Johan Huizinga, Herfsttij Der Middeleeuwen, pubblicato nel 1919 ("Autunno del Medioevo): all’idea che l’origine del Rinascimento sia anticipabile ai secoli XI e XII, contrappone una diversa ipotesi storiografica, secondo la quale è possibile riconoscere nell’età umanistica i tratti della decadenza (nella metafora autunnale del titolo) dei valori un tempo fondativi dello spirito medievale. La civiltà cavalleresca, la cui ideologia si basa sulla fama e sull’onore, volge al tramonto: il Rinascimento, generato da un fecondo intreccio di motivi cortesi, classici e religiosi, non è dunque l’inizio dell’età moderna, ma la conclusione di un lento evolversi del costume medievale culminato nell’esaurimento della sua spinta propulsiva proprio durante il Quattrocento e il Cinquecento. L’analisi storica di Huizinga, concentrata soprattutto sulla civiltà dei Paesi Bassi, riprende consapevolmente l’estetismo burckhardtiano, quando descrive il declino, fastoso e ancora ricco di fermenti, degli ultimi secoli di una civiltà feudale che avrà fine solo con l’avvento del Puritanesimo.

 

La nuova storiografia italiana

         

 

Il revisionismo dei "medievisti" ha soprattutto mirato a rivendicare una linea di continuità fra Medioevo e Rinascimento, operando non solo un sostanziale ridimensionamento di quanto si era ritenuto proprio del Quattrocento e del Cinquecento, ma anche criticando radicalmente il concetto stesso di "rinascita".

Il problema del Rinascimento non si risolve, però, in questo lavoro di revisione del paradigma di Burckhardt: a partire dagli anni Trenta del Novecento, in particolare modo nella cultura italiana, torna a imporsi l’esigenza di una periodizzazione della storia d’Italia e d’Europa tra il Medioevo e la Rivoluzione francese, in grado di dare autonomo senso ai formidabili eventi della cultura e della politica che caratterizzano la "prima età moderna" (per usare una categoria neutra, di origine angloamericana).

Delio Cantimori e Federico Chabod sono i protagonisti di questa ripresa del problema storiografico del Rinascimento: rispettivamente in un saggio del 1932 (Sulla storia del concetto di Rinascimento) e del 1933 (Il Rinascimento nelle recenti interpretazioni), e poi in numerose altre opere, di fondamentale rilievo, tornano a considerare i fattori della "modernità" rinascimentale, inaugurata dalla nuova cultura umanistica (l’individualismo, il ritorno agli antichi, la coscienza del rinnovamento), collocando al centro dell’analisi il problema dello stato moderno, nelle sue istituzioni giuridiche, politiche e materiali, e nella riflessione teorica (da Machiavelli alla "ragion di stato"), ma anche l’esigenza di contestualizzare e distinguere, evitando di impiegare la categoria di Rinascimento in modo generico e onnicomprensivo. A esempio, se la sua storia culturale (artistica e letteraria) è assolutamente eccezionale, la sua storia economica dimostra, invece, una drammatica e pericolosa recessione.

Per queste ragioni è opportuno procedere a periodizzamenti differenziati per ogni aspetto della società e della cultura italiana tra Medioevo e Rivoluzione francese. E per questo, Cantimori nel 1955 scrive che il Rinascimento è una categoria pseudo-storiografica, astratta, scarsamente utile per un efficace inquadramento del periodo storico cui si è applicata: preferisce riferirsi a una più generale "età umanistica", che si estende dal Trecento al Settecento, all’interno della quale si possono individuare e descrivere storie diverse (istituzionale, religiosa, economica, sociale, culturale, eccetera).

 

Le nuove linee internazionali di ricerca

         

 

Queste nuove indicazioni di metodo maturate nei primi decenni del Novecento hanno contribuito alla definizione di un quadro conoscitivo dell’Umanesimo e del Rinascimento non più globalmente unitario: nei diversi settori in cui la ricerca si è specializzata si sono avuti formidabili incrementi conoscitivi, di cui è impossibile dare analitico rendiconto.

Nel settore della storia culturale, fondamentali sono stati gli studi di storia del pensiero filosofico compiute da Paul Oskar Kristeller, e soprattutto l’allestimento di essenziali strumenti generali di documentazione bibliografica: Iter italicum ("Viaggio in Italia") è lo straordinario risultato della paziente esplorazione nelle biblioteche di tutto il mondo alla ricerca di tutti i manoscritti originari pertinenti alla storia culturale dell’Umanesimo e del Rinascimento.

Nel settore della storia politica, notevole è stato l’impatto del libro di Hans Baron, del 1955, The Crisis of the Early Italian Renaissance ("La crisi del primo Rinascimento italiano"), centrato sulla storia della Repubblica fiorentina, e volto a rivalutare lo spirito civile della sua borghesia, che è il fondamento della stessa cultura dell’Umanesimo, che Baron connota come "umanesimo civile". A Firenze la virtus repubblicana, derivata dalle pagine dei classici, è alla base della formazione dell’intellettuale umanista, campione di impegno civico e partecipe attivo della vita cittadina.

Fondamentale per il rinnovamento degli studi rinascimentali è stata soprattutto la parte degli studi iconologici che hanno radicalmente trasformato il panorama della cultura artistica e figurativa dell’Umanesimo e del Rinascimento: sulla scia del magistero di Aby Warburg, e dei suoi saggi scritti tra il 1893 e il 1920 (raccolti in edizione italiana con il titolo di La rinascita del paganesimo antico), fondamentali sono le ricerche di Erwin Panofsky (dagli Studies in Iconology, editi nel 1939: "Studi di iconologia"; a Renaissance and Renaissances in Western Art del 1960: "Rinascimento e rinascenze nell’arte occidentale"), e quindi dei diversi studiosi formatisi presso l’IstitutoWarburg di Londra (Fritz Saxl, Rudolf Wittkower, Otto Kurz, Jean Seznec, Edgar Wind, Gertrud Bing, Frances Yates).

 

La lezione di Eugenio Garin e Carlo Dionisotti

         

 

Riconosciuto maestro degli studi sull’Umanesimo e il Rinascimento italiano è Eugenio Garin, che ha dedicato i suoi studi a illustrarne tutti i molteplici aspetti culturali, anche quelli ermetici e astrologici, e a caratterizzare l’esperienza dei grandi protagonisti: Valla, Bruni, Salutati, eccetera. La chiave interpretativa del lavoro di Garin è volta a riconoscere l’unità del Rinascimento, su scala europea: pur nelle sue diverse manifestazioni, la sua radice comune è fornita dall’esperienza umanistica ed è fondata sui suoi valori etici ed estetici.

Già nel saggio sull’Umanesimo italiano, pubblicato nel 1947, Garin aveva polemizzato con il tentativo di ridimensionamento della cultura rinascimentale attuato dagli storici medievisti: la riforma umanistica aveva agito, infatti, sulle coscienze di generazioni di intellettuali, contribuendo a rinnovare la consapevolezza delle possibilità dell’uomo nel mondo. Negli scritti posteriori, quali, a esempio, la raccolta di saggi del 1954, Medioevo e Rinascimento, o La cultura filosofica del Rinascimento italiano (del 1961), o ancora La cultura del Rinascimento (del 1967), restano validi i postulati di fondo precedentemente individuati che si richiamano alla stretta connessione di metodo filologico e nuova logica scientifica. L’attenzione rivolta dall’Umanesimo ai problemi dell’educazione e della formazione, il profondo spirito pratico che animava la reazione alla mentalità del passato, la consapevolezza di costruire un nuovo sapere costituiscono un sistema di valori che saranno tramandati fino alla civiltà dell’Illuminismo. Alla base della questione rinascimentale c’è dunque la presa di coscienza definitiva di un’avvenuta svolta storica, di un passaggio determinante che sarà confermato dal formarsi di nuove, rivoluzionarie ideologie.

Nel Discorso sull’Umanesimo (1956) di Carlo Dionisotti cogliamo, invece, un orientamento diverso, dettato da una differente impostazione metodologica che conduce a una radicale revisione della categoria critica e storiografica di Rinascimento. Partendo dalla constatazione che non possibile ridurre a unità le molteplici tipologie degli elementi che compongono la cultura del Quattrocento e del Cinquecento, Dionisotti riconosce le difficoltà di recuperare il senso pieno "una realtà consegnata alla storia e proprio per questo irriducibilmente diversa dalla nostra": i suoi studi sono rivolti alla ricostruzione filologica e documentaria di opere e personaggi della complessità umanistica e rinascimentale, per coniugare produttivamente la storia culturale con la geografia istituzionale e politica, a segnalare la necessità di descrivere le discontinuità tra Umanesimo (latino) e Rinascimento (volgare), e soprattutto a tenere conto dei diversi fattori in gioco nella cultura tra Quattrocento e Cinquecento, come la tipografia e l’accademia.

 

Aspetti e tendenze della ricerca contemporanea

         

 

Negli ultimi decenni, dall’incrocio delle esperienze sopra descritte, si è accentuato il rinnovamento degli studi sul Rinascimento, sia in senso storico che culturale. La complessità del quadro si è andata arricchendo di contributi relativi sia alle tradizioni filosofiche magico-occultistiche che alle istituzioni e alle pratiche religiose (con al centro il grande problema della Riforma e della Controrifoma, dell’eresia e della simulazione "nicodemitica"), con una particolare attenzione alle istituzioni della vita culturale (il libro, le accademie), oltre che con rilevanti approfondimenti iconologici.

Di particolare rilievo gli studi sulla Riforma protestante e il suo impatto in Italia: precursore in tal senso è stato Cantimori, autore del famoso volume Eretici italiani nel Cinquecento (1939). Obiettivo di queste ricerche è stato quello di descrivere analiticamente la storia del protestantesimo in Italia, ma anche di chiarire le autonome vicende del gruppo degli "spirituali" che fecero capo al cardinale Reginald Pole, impostando in modo radicalmente innovativo il vecchio schema storiografico della Controriforma (o Riforma) cattolica conseguente al Concilio di Trento. L’attenzione alla vita religiosa nel Rinascimento è variamente attestata: infatti accanto ai fondamentali studi di Antonio Rotondò, Carlo Ginzburg, Adriano Prosperi, Massimo Firpo, Gigliola Fragnito, è necessario indicare l’importanza di uno strumento di documentazione quale il Corpus reformatorum italicorum, diretto da Luigi Firpo e Giorgio Spini.

La storiografia politica, soprattutto inglese e americana, ha sviluppato insistentemente le indicazioni di Baron, insistendo nella valutazione della centralità di Firenze, e lavorando nella direzione di un approfondimento degli aspetti politici ed istituzionali relativi alla tradizione storica della Repubblica fiorentina: a esempio Felix Gilbert ha descritto i legami che intercorrono fra la trattatistica umanistica e il pensiero machiavelliano.

Nel corso degli anni ‘60, gli studi di storia politica di Gene Bruker e Lauro Martines riaffermano con convinzione l’importanza della civiltà fiorentina, medievale e rinascimentale, quale radice dei valori fondamentali della cultura occidentale. Altri studiosi hanno illustrato aspetti più circostanziati, sempre, però, inquadrati all’interno della più generale prospettiva dell’Umanesimo "civile" fiorentino: a tale proposito, si possono menzionare le ricerche di Ronald Witt su Coluccio Salutati, quelle di Anthony Molho sulla Firenze di Cosimo il Vecchio o ancora il saggio su Savonarola di Donald Weinstein.

Particolarmente innovativa è stata l’esplorazione delle istituzioni proprie dell’Antico Regime, e soprattutto della Corte: proposta (da Cesare Mozzarelli, a esempio), in consapevole polemica con il consolidato paradigma della "nascita dello stato moderno", come luogo centrale di tutto il complesso produttivo e comunicativo sia della politica che delle arti; e quindi la restituzione dell’articolatissima dinamica delle grandi città capitali dell’Umanesimo e del Rinascimento: ben oltre la presunta centralità di Firenze, il sistema delle Corti ha assunto una sua definizione analitica e problematica. Da questa tendenza degli studi, il Rinascimento si costituisce come cultura propria dell’Antico Regime (dell’Europa delle Corti), forma storica della sua costitutiva opzione classicistica.

In questa direzione, si è venuta affermando negli studi più recenti una visione del Rinascimento in rapporto con l’evoluzione in senso aristocratico della società. Il mancato sviluppo in senso capitalistico della società italiana del Cinquecento secolo è stata correlata (da Ruggiero Romano, a esempio) alla costituzione di un sistema neo-feudale che è alla base dei regimi assolutistici: i possedimenti terrieri costituiscono la principale fonte di ricchezza dei patrimoni dei principi e degli ecclesiastici. Si tratta di un fenomeno involutivo derivato dalla crisi prodottasi nei secoli precedenti che in Italia determina un sistema di sfruttamento delle campagne da parte di una classe nobiliare prevalentemente urbana. A livello geografico, la rifeudalizzazione (descritta da Rosario Villari nella storia del regno di Napoli) riduce le distanze fra Nord e Sud e sancisce il trionfo del costume aristocratico.

Nel corso del Cinquecento, l’affermarsi progressivo di un’etica comportamentale di Antico Regime si collega al risorgere di una serie di cerimoniali di origine medievale che procedono di pari passo ad una generale rifeudalizzazione: alla città-stato si sostituisce il sistema della corte che eredita insieme la tradizione classica e quella cavalleresca. Attraverso il mecenatismo, ovvero attraverso il controllo che ristretti gruppi sociali estendono all’arte, alla letteratura, alla vita religiosa, prende forma una cultura di carattere "aulico" tendente a farsi portatrice di valori aristocratici. In questo senso, grande rilievo hanno avuto le ricerche del sociologo Norbert Elias, che tracciano un quadro all’interno del quale si precisa l’importanza del processo di civilizzazione contemporaneo alla trasformazione "gentilizia" che ebbe luogo proprio a partire dal Quattrocento. L’etica delle "buone maniere" si afferma progressivamente all’interno della società rinascimentale: questa evoluzione è strettamente legata alla centralizzazione della vita politica.

Tra Quattro e Cinquecento, come ha insegnato Dionisotti, il sistema delle Corti si afferma come punto di riferimento fondamentale anche per tutti quegli intellettuali che non siano legati ai quadri ecclesiastici: il letterato contribuisce al processo di diffusione di quell’ideologia cortigiana che va propagandosi attraverso la stampa, la produzione di libri e la conseguente alfabetizzazione. Una rilettura critica della storia culturale e letteraria cinquecentesca entro questi parametri è stata sviluppata dai saggi di Giancarlo Mazzacurati.

In questi ultimi trent’anni, la ricerca si è confrontata con l’emergere di nuove istanze interpretative che hanno privilegiato ambiti più definiti e circoscritti: all’accanimento teorico in merito al "Rinascimento" come categoria storiografica si è sostituita un’indagine ad ampio raggio che presuppone l’esistenza di più rinascimenti e di diverse proposte culturali di Classicismo.

Alla ridefinizione del quadro hanno contribuito, oltre agli italiani, studiosi inglesi, tedeschi, francesi e americani: il Rinascimento è, oggi, un compiuto patrimonio universale. Se ne investigano senza sosta i più minuti episodi e protagonisti, le diversissime forme ed esperienze. Con un dato metodologico di grande rilevanza: la pluralità dei processi avvenuti all’interno della civiltà rinascimentale viene ora letta senza condizionamenti gerarchici e ideologici (di luoghi: Firenze; e di modelli: "umanesimo civile"), e si impongono soprattutto problemi di catalogazione e di descrizione analitica dell’insieme dei documenti, nell’ottica di un recupero complessivo (e polifonico) delle differenziatissime dinamiche culturali e storiche rinascimentali.

La descrizione e interpretazione della storia europea dalla crisi del mondo comunale all’instaurazione dell’assolutismo ha preso atto dell’esistenza di una galassia di forme e di teorie, e delle loro autonome storie: negli studiosi è ormai prevalente la consapevolezza che ogni concezione totalizzante del Rinascimento è ormai improponibile, anche se il paradigma ereditato dai modelli ottocenteschi di Burckhardt è tutt’altro che esaurito.

Possiamo concludere dunque con un’affermazione di Alberto Tenenti, il quale scrive: "La singolare sorte dei rinascimenti fu dunque di essere un fascio di tendenze deliberatamente novatrici che, paradossalmente, riuscirono ad esserlo effettivamente proponendosi di rinnovare tornando all’antico e sviluppandosi in un’Europa il cui Ancien régime continuava a resistere pressoché immutato - socialmente, economicamente e perfino tecnologicamente - appunto fra il XIII ed il XVII secolo" (I rinascimenti 1350-1630, Firenze, Le Monnier, 1981, p.63).

 

Riferimenti bibliografici

 

Per gli opportuni approfondimenti è utile ricorrere a questi strumenti di descrizione analitica della storiografia sul Rinascimento tra Otto e Novecento.

 

Michele Ciliberto, Il Rinascimento. Storia di un dibattito, Firenze, La Nuova Italia, 1975.

 

Wallace K. Ferguson, The Renaissance in Historical Thought, trad it. Il Rinascimento nella critica storica, Bologna, Il Mulino, 1969.

 

Interpretazioni del Rinascimento, a cura di Alfonso Prandi, Bologna, Il Mulino, 1971.

 

Autori vari, Il Rinascimento. Interpretazioni e problemi, Bari, Laterza, 1979.

 

Umanesimo e Rinascimento, a cura di Cesare Vasoli, Palermo, Palumbo, 1969.