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PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro Novelli BIBLIOTECA
Tommaso Campanella
APPENDICE DELLA POLITICA
Note critiche
a cura di Laura Barberi
La città del sole fu scritta dal filosofo
italiano Tommaso Campanella (Stilo di Calabria 1568 - Parigi 1639), appartenente
all’Ordine dei Domenicani, nel
L’opera consiste in un dialogo
tra un cavaliere di Malta e un ammiraglio genovese, il quale ha appena fatto
ritorno dal giro del mondo ed espone al suo interlocutore la vita di una
città, chiamata Città del sole, che si
trova sulla linea dell’Equatore. Il dialogo, che si ricollega alla tradizione
della Repubblica di Platone e di Utopia di Tommaso Moro, serve a
Campanella per illustrare la sua teoria ideale sulla migliore forma di governo.
La città, spiega l’ammiraglio, si trova sull’isola di Taprobana (che i
critici fanno corrispondere all’isola di Ceylon) ed è eretta su un alto
colle; è circondata da sette cerchia di mura,
praticamente inespugnabili, ognuna delle quali porta il nome di uno dei sette
pianeti, mentre le entrate per accedere alla città sono quattro, situate
in corrispondenza dei quattro punti cardinali. Alla sommità del monte si
trova un tempio di forma circolare, consacrato al Sole, sulla cui volta sono
dipinte le stelle maggiori.
Sole, o Metafisico, è
anche il nome del sacerdote capo della città che esercita un potere
assoluto, civile e religioso, anche se è assistito da tre principi: Pon
(Potenza), Sin (Sapienza) e Mor (Amore). Pon si occupa delle
arti militari e della guerra; Sin si occupa dell’istruzione; Mor presiede a
tutto ciò che riguarda la generazione, ma anche la salute,
l’alimentazione, il vestiario. La società si basa sulla comunione
dei beni (le donne vengono di fatto incluse, da
Campanella, in questa categoria, visto che il filosofo parla del loro “uso
comune” e “commerzio”). Secondo il filosofo è infatti
la proprietà privata a scatenare i conflitti tra diversi membri della
società: eliminata la proprietà si eliminano anche tutti i reati
legati ad essa. Nella Città del sole non esistono servi e padroni, a
tutti si insegnano le stesse arti che hanno tutte pari dignità; le
mense, così come i dormitori, i posti di ricreazione, i vestiti, sono
comuni. Anche i figli vengono cresciuti in comune.
Particolarmente seguite sono
l’educazione e la generazione. La prima è rivolta a tutti i membri della
società ed inizia all’età di tre anni per proseguire poi
nell’arco di tutta la vita: i solari, infatti, lavorano solo quattro ore al giorno per dedicarsi poi all’apprendimento e alla
preghiera. Qualunque sia la professione di un solare,
questi deve comunque avere conoscenze di agricoltura, pastorizia e arti
militari (uomini e donne sono ugualmente addestrati alle armi e istruiti allo
stesso modo, con la sola differenza che alle donne si riserva la parte meno
faticosa). Disprezzato è invece il commercio e i pochi scambi che
avvengono sono sotto forma di baratto. La generazione è regolata da
leggi molto precise: le donne non possono dedicarvisi prima dei diciannove
anni, gli uomini prima dei venti. Vari funzionari hanno poi l’incarico di
combinare gli accoppiamenti al fine di migliorare la razza sotto l’aspetto
fisico.
Per quel che riguarda la
politica, tutti i solari con più di vent’anni partecipano alle assemblee
e possono esprimere le loro rimostranze; le leggi sono brevi e chiare e non
esistono lunghi processi o pene detentive: per punire si ricorre alla legge del
taglione. La religione dei solari è, invece, una specie di cristianesimo
naturale: essi onorano l’universo perché testimonianza di Dio, credono
nell’immortalità dell’anima, ma non hanno certezze in merito a eventuali
luoghi di pena o di premio.
Come si vede ne
La città del sole ogni singolo aspetto della vita è
rigidamente regolato, un dato che l’opera di Campanella condivide con pressoché
tutte gli scritti concernenti società utopiche: un eccessiva insistenza
sull’ordine e la disciplina che quasi annienta le libertà individuali
(basti pensare, ne La città del sole, all’atto della generazione:
non solo gli accoppiamenti sono decisi dai funzionari, persino le ore degli
incontri sono determinate). Una volontà i controllare tutti gli aspetti
della vita umana che agli occhi moderni possono far apparire le varie isole
utopiche ben poco attraenti.
Sarebbe però un errore
decontestualizzare lo scritto del filosofo calabrese, come quelli di Moro o
Bacone, per esempio, dal periodo storico nel quale essi vennero
alla luce. Queste opere rappresentano il grande fermento culturale, politico e
sociale di quegli anni; sono il risultato concreto di una grande aspirazione al
cambiamento, al rinnovamento della società dell’epoca. Nel caso
specifico di Campanella, non va dimenticato come, pochi mesi prima della
stesura del libro, egli avesse organizzato una
congiura che mirava alla liberazione della Calabria dal dominio spagnolo,
all’abolizione della proprietà, all’instaurazione di una democrazia di
tipo comunistico e teocratico, proprio come esposta nelle pagine de La
città del sole. La congiura fu però presto scoperta e il suo
artefice evitò la condanna a morte soltanto fingendo la pazzia;
sopportando le torture a cui fu sottoposto per
smascherare la sua finta follia, riuscì a commutare la condanna nel
carcere a vita. Rimase in galera per ventisette anni, nei quali scrisse le sue
opere maggiori.
L’opera del filosofo domenicano
è quindi una preziosa testimonianza della sua passione e delle sue speranze di fronte ad una realtà presente dal
carattere tragico. È un’opera che registra alla
perfezione le ambizioni delle menti più pronte d’Europa nel
diciassettesimo secolo, di fronte al declino irreversibile del sistema feudale
(cancellato dai nuovi processi economici che stavano per dare origine al
capitalismo); di fronte alle nuove scoperte geografiche; di fronte alla fine
dell’unità spirituale dovuta alla Riforma; di fronte al progresso
scientifico delle teorie di Copernico, di Galilei, di Bruno.
OSPITALARIO
e
GENOVESE NOCHIERO DEL COLOMBO
OSPITALARIO - Dimmi, di grazia, tutto quello che t'avvenne in questa navigazione.
GENOVESE - Già t'ho detto come girai il mondo tutto e poi come arrivai alla
Taprobana, e fui forzato metter in terra, e poi, fuggendo la furia di
terrazzani, mi rinselvai, ed uscii in un gran piano proprio sotto
l'equinoziale.
OSPITALARIO - Qui che t'occorse?
GENOVESE - Subito incontrai un gran squadrone d'uomini e donne armate, e molti di
loro intendevano la lingua mia, li quali mi condussero
alla Città del Sole.
OSPITALARIO - Di', come è fatta questa città? e
come si governa?
GENOVESE - Sorge nell'alta campagna un colle, sopra il
quale sta la maggior parte della città; ma arrivano i suoi giri molto
spazio fuor delle radici del monte, il quale è tanto, che la
città fa due miglia di diametro e più, e viene ad essere sette
miglia di circolo; ma, per la levatura, più abitazioni ha, che si fosse
in piano.
E' la
città distinta in sette gironi grandissimi, nominati dalli sette
pianeti, e s'entra dall'uno all'altro per quattro strade e per quattro porte,
alli quattro angoli del mondo spettanti; ma sta in modo che, se fosse espugnato
il primo girone, bisogna più travaglio al secondo
e poi più; talché sette fiate bisogna espugnarla per vincerla. Ma io son
di parere, che neanche il primo si può, tanto è grosso e
terrapieno, ed ha valguardi, torrioni, artelleria e fossati di fuora.
Entrando dunque
per la porta Tramontana, di ferro coperta, fatta che s'alza e cala con bello
ingegno, si vede un piano di cinquanta passi tra la muraglia prima e l'altra.
Appresso stanno palazzi tutti uniti per giro col muro, che puoi dir che tutti
siano uno; e di sopra han li rivellini sopra a
colonne, come chiostri di frati, e di sotto non vi è introito, se non
dalla parte concava delli palazzi. Poi son le stanze belle con le fenestre al
convesso ed al concavo, e son distinte con piccole mura tra loro. Solo il muro
convesso è spesso otto palmi, il concavo tre, li
mezzani uno o poco più.
Appresso poi
s'arriva al secondo piano, ch'è dui passi o tre
manco, e si vedono le seconde mura con li rivellini in fuora e passeggiatori; e
della parte dentro, l'altro muro, che serra i palazzi in mezzo, ha il chiostro
con le colonne di sotto, e di sopra belle pitture.
E così
s'arriva fin al supremo e sempre per piani. Solo quando s'entran le porte, che
son doppie per le mura interiori ed esteriori, si ascende per gradi tali, che
non si conosce, perché vanno obliquamente, e son d'altura quasi invisibile
distinte le scale.
Nella
sommità del monte vi è un gran piano ed un gran
tempio in mezzo, di stupendo artifizio.
OSPITALARIO - Di', di' mo, per vita tua.
GENOVESE - Il tempio è tondo perfettamente, e non ha muraglia che lo
circondi; ma sta situato sopra colonne grosse e belle assai. La cupola grande
ha in mezzo una cupoletta con uno spiraglio, che pende sopra l'altare,
ch'è uno solo e sta nel mezzo del tempio. Girano le colonne trecento
passi e più, e fuor delle colonne della cupola vi son per otto passi li chiostri con mura poco elevate sopra le sedie, che stan
d'intorno al concavo dell'esterior muro, benché in tutte le colonne interiori,
che senza muro fraposto tengono il tempio insieme, non manchino sedili
portatili assai.
Sopra l'altare
non vi è altro ch'un mappamondo assai grande, dove tutto il cielo
è dipinto, ed un altro dove è la terra. Poi sul cielo della
cupola vi stanno tutte le stelle maggiori del cielo, notati coi nomi loro e
virtù, c'hanno sopra le cose terrene, con tre versi per una; ci sono i
poli e i circoli signati non del tutto, perché manca il muro a basso, ma si
vedono finiti in corrispondenza alli globbi dell'altare. Vi sono sempre accese
sette lampade nominate dalli sette pianeti.
Sopra il tempio
vi stanno alcune celle nella cupoletta attorno, e molte altre grandi sopra gli chiostri, e qui abitano li religiosi, che son da
quaranta.
Vi è sopra
la cupola una banderuola per mostrare i venti, e ne signano trentasei; e sanno quando spira ogni vento che stagione porta. E qui sta
anco un libro in lettere d'oro di cose importantissime.
OSPITALARIO - Per tua fé dimmi tutto il modo del governo, ché qui t'aspettavo.
GENOVESE - E' un Principe Sacerdote tra loro, che s'appella Sole, e in lingua
nostra si dice Metafisico: questo è capo di tutti in spirituale e
temporale, e tutti li negozi in lui si terminano.
Ha tre Principi collaterali: Pon, Sin, Mor, che vuol dir: Potestà,
Sapienza e Amore.
Il Potestà ha cura delle guerre e delle
paci e dell'arte militare; è supremo nella guerra, ma non sopra Sole; ha
cura dell'offiziali, guerrieri, soldati, munizioni, fortificazioni ed
espugnazioni.
Il Sapienza ha cura di tutte le scienze e delli dottori
e magistrati dell'arti liberali e meccaniche, tiene sotto di sé tanti offiziali
quante son le scienze: ci è l'Astrologo, il Cosmografo, il Geometra, il
Loico, il Rettorico, il Grammatico, il Medico, il Fisico, il Politico, il
Morale; e tiene un libro solo, dove stan tutte le scienze, che fa leggere a
tutto il popolo ad usanza di Pitagorici. E questo ha fatto pingere in tutte le
muraglie, su li rivellini, dentro e di fuori, tutte le
scienze.
Nelle mura del
tempio esteriori e nelle cortine, che si calano quando
si predica per non perdersi la voce, vi sta ogni stella ordinatamente con tre
versi per una.
Nelle mura del
primo girone tutte le figure matematiche, più che non scrisse Euclide ed
Archimede, con la lor proposizione significante. Nel di
fuore, vi è la carta della terra tutta, e poi le tavole d'ogni provinzia
con li riti e costumi e leggi loro, e con l'alfabeti ordinari sopra il loro
alfabeto.
Nel dentro del
secondo girone vi son tutte le pietre preziose e non preziose,
e minerali, e metalli veri e pinti, con le dichiarazioni di due versi per uno. Nel di fuore vi son tutte sorti di laghi, mari e fiumi, vini
ed ogli ed altri liquori, e loro virtù ed origini e qualità; e ci
son le caraffe piene di diversi liquori di cento e trecento anni, con li quali
sanano tutte l'infirmità quasi.
Nel dentro del
terzo vi son tutte le sorti di erbe ed arbori del mondo pinte,
e pur in teste di terra sopra il rivellino e le dichiarazioni dove prima si
ritrovaro, e le virtù loro, e le simiglianze c'hanno con le stelle e con
li metalli e con le membra umane, e l'uso loro in medicina. Nel
di fuora tutte maniere di pesci di fiumi, laghi e mari, e le
virtù loro, e 'l modo di vivere, di generarsi e allevarsi, a che
serveno; e le simiglianze c'hanno con le cose celesti e terrestri e dell'arte e
della natura; sì che mi stupii, quando trovai pesce vescovo e catena e
chiodo e stella, appunto come son queste cose tra noi. Ci sono ancini, rizzi,
spondoli e tutto quanto è degno di sapere con mirabil arte di pittura e
di scrittura che dichiara.
Nel quarto,
dentro vi son tutte sorti di augelli pinti e lor qualità, grandezze e
costumi, e la fenice è verissima appresso loro. Nel di
fuora stanno tutte sorti di animali rettili, serpi, draghi, vermini, e
l'insetti, mosche, tafani ecc., con le loro condizioni, veneni e virtuti; e son
più che non pensamo.
Nel quinto,
dentro vi son l'animali perfetti terrestri di tante
sorti che è stupore. Non sappiamo noi la millesima parte, e però,
sendo grandi di corpo, l'han pinti ancora nel fuore rivellino; e quante maniere
di cavalli solamente, o belle figure dichiarate dottamente!
Nel sesto, dentro
vi sono tutte l'arti meccaniche, e l'inventori loro, e
li diversi modi, come s'usano in diverse regioni del mondo. Nel
di fuori vi son tutti l'inventori delle leggi e delle scienze e dell'armi.
Trovai Moisè, Osiri, Giove, Mercurio, Macometto ed altri assai; e in
luoco assai onorato era Gesù Cristo e li dodici
Apostoli, che ne tengono gran conto, Cesare, Alessandro, Pirro e tutti li
Romani; onde io ammirato come sapeano quelle istorie, mi mostraro che essi
teneano di tutte nazioni lingua, e che mandavano apposta per il mondo
ambasciatori, e s'informavano del bene e del male di tutti; e godeno assai in
questo. Viddi che nella China le bombarde e le stampe furo prima ch'a noi. Ci
son poi li maestri di queste cose; e li figliuoli,
senza fastidio, giocando, si trovano saper tutte le scienze istoricamente prima
che abbin dieci anni.
Il Amore ha cura della generazione, con unir li
maschi e le femine in modo che faccin buona razza; e si riden di noi che
attendemo alla razza de cani e cavalli, e trascuramo la nostra. Tien cura
dell'educazione, delle medicine, spezierie, del seminare e raccogliere li
frutti, delle biade, delle mense e d'ogni altra cosa pertinente al vitto e
vestito e coito, ed ha molti maestri e maestre dedicate a queste arti.
Il Metafisico
tratta tutti questi negozi con loro, ché senza lui
nulla si fa, ed ogni cosa la communicano essi quattro, e dove il Metafisico
inchina, son d'accordo.
OSPITALARIO - Or dimmi degli offizi e dell'educazione e del modo come si vive; si
è republica o monarchia o stato di pochi.
GENOVESE - Questa è una gente ch'arrivò là dall'Indie,
ed erano molti filosofi, che fuggiro la rovina di Mogori e d'altri predoni e
tiranni; onde si risolsero di vivere alla filosofica in commune, si ben la
communità delle donne non si usa tra le genti della provinzia loro; ma
essi l'usano, ed è questo il modo. Tutte cose son communi; ma stan in
man di offiziali le dispense, onde non solo il vitto,
ma le scienze e onori e spassi son communi, ma in maniera che non si può
appropriare cosa alcuna.
Dicono essi che tutta la proprietà nasce da far casa appartata, e
figli e moglie propria, onde nasce l'amor proprio; ché per sublimar a ricchezze
o a dignità il figlio o lasciarlo erede, ognuno diventa o rapace
publico, se non ha timore, sendo potente; o avaro ed insidioso ed ippocrita, si
è impotente. Ma quando perdono l'amor
proprio, resta il commune solo.
OSPITALARIO - Dunque nullo vorrà fatigare, mentre aspetta che l'altro fatighi,
come Aristotile dice contra Platone.
GENOVESE - Io non so disputare, ma ti dico c'hanno tanto amore alla patria loro,
che è una cosa stupenda, più che si dice delli Romani,
quanto son più spropriati. E credo che li
preti e monaci nostri, se non avessero li parenti e li amici, o l'ambizione di
crescere più a dignità, seriano più spropriati e santi e
caritativi con tutti.
OSPITALARIO - Dunque là non ci è amicizia, poiché non si
fan piacere l'un l'altro.
GENOVESE - Anzi grandissima: perché è bello a vedere, che tra loro non
possono donarsi cosa alcuna, perché tutto hanno del commune, e molto guardano
gli offiziali, che nullo abbia più che merita. Però quanto
è bisogno tutti l'hanno. E l'amico si conosce tra loro nelle guerre,
nell'infirmità, nelle scienze, dove s'aiutano e s'insegnano l'un l'altro. E tutti li gioveni s'appellan frati e quei che
son quindici anni più di loro, padri, e quindici meno figli. E poi vi
stanno l'offiziali a tutte cose attenti, che nullo possa
all'altro far torto nella fratellanza.
OSPITALARIO - E come?
GENOVESE - Di quante virtù noi abbiamo, essi hanno l'offiziale: ci è
un che si chiama Liberalità, un Magnanimità,
un Castità, un Fortezza, un Giustizia, criminale e civile, un Solerzia,
un Verità, Beneficienza, Gratitudine, Misericordia, ecc.; e a ciascuno
di questi si elegge quello, che da fanciullo nelle scole si conosce inclinato a
tal virtù. E però, non sendo tra loro latrocini, né assassinii,
né stupri ed incesti, adultèri, delli quali noi ci accusamo, essi si
accusano d'ingratitudine, di malignità, quando un non vuol far piacere
onesto, di bugia, che abborriscono più che la peste; e di questi rei per
pena son privati della mensa commune, o del commerzio delle donne, e d'alcuni
onori, finché pare al giudice, per ammendarli.
OSPITALARIO - Or dimmi, come fan gli offiziali?
GENOVESE - Questo non si può dire, se non sai la vita loro. Prima è
da sapere che gli uomini e le donne vestono d'un modo atto a guerreggiare,
benché le donne hanno la sopravveste fin sotto al ginocchio, e l'uomini sopra.
E s'allevan tutti
in tutte l'arti. Dopo gli tre
anni li fanciulli imparano la lingua e l'alfabeto nelle mura, caminando in
quattro schiere; e quattro vecchi li guidano e insegnano, e poi li fan giocare
e correre, per rinforzarli, e sempre scalzi e scapigli, fin alli sette anni, e
li conducono nell'officine dell'arti, cosidori, pittori, orefici, ecc.; e
mirano l'inclinazione. Dopo li sette anni vanno alle
lezioni delle scienze naturali, tutti; ché son quattro lettori della medesima
lezione, e in quattro ore tutte quattro le squadre si spediscono; perché,
mentre gli altri si esercitano col corpo, o fan gli pubblici servizi, gli altri
stanno alla lezione. Poi tutti si mettono alle matematiche, medicine ed altre
scienze, e ci è continua disputa tra di loro e
concorrenza; e quelli poi diventano offiziali di quella scienza, dove miglior
profitto fanno, o di quell'arte meccanica, perché ognuna ha il suo capo. Ed in
campagna, nei lavori e nella pastura delle bestie pur vanno a imparare; e
quello è tenuto di più gran nobiltà, che più arti
impara, e meglio le fa. Onde si ridono di noi, che gli artefici appellamo
ignobili, e diciamo nobili quelli, che null'arte imparano e stanno oziosi e
tengon in ozio e lascivia tanti servitori con roina della republica.
Gli offiziali poi
s'eleggono da quelli quattro capi, e dalli mastri di quell'arte, li quali molto bene sanno chi è più atto a
quell'arte o virtù, in cui ha da reggere, e propongono in Consiglio, e
ognuno oppone quel che sa di loro. Però non può essere Sole se
non quello che sa tutte l'istorie delle genti e riti e
sacrifizi e republiche ed inventori di leggi ed arti. Poi bisogna che sappia tutte l'arti meccaniche, perché ogni due giorni se n'impara
una, ma l'uso qui le fa saper tutte, e la pittura. E tutte le scienze ha da sapere, matematiche, fisiche, astrologiche. Delle lingue
non si cura, perché ha l'interpreti, che son i
grammatici loro. Ma più di tutti bisogna che sia Metafisico e Teologo,
che sappia ben la radice e prova d'ogni arte e scienza, e le similitudini e
differenze delle cose, la Necessità, il Fato, e l'Armonia del mondo, la
Possanza, Sapienza e Amor divino e d'ogni cosa, e li
gradi degli enti e corrispondenze loro con le cose celesti, terrestri e marine,
e studia molto bene nei Profeti ed astrologia. Dunque si sa chi ha da esser
Sole, e se non passa trentacinque anni, non arriva a tal grado; e questo
offizio è perpetuo, mentre non si trova chi sappia più di lui e
sia più atto al governo.
OSPITALARIO - E chi può saper tanto? Anzi non può saper governare chi
attende alle scienze.
GENOVESE - Io dissi a loro questo, e mi risposero: "Più certi semo noi,
che un tanto letterato sa governare, che voi che sublimate l'ignoranti,
pensando che siano atti perché son nati signori, o eletti da fazione potente.
Ma il nostro Sole sia pur tristo in governo, non sarà mai crudele, né
scelerato, né tiranno un chi tanto sa. Ma sappiate che questo è
argomento che può tra voi, dove pensate che sia dotto chi sa più
grammatica e logica d'Aristotile o di questo o quello autore; al che ci vol sol
memoria servile, onde l'uomo si fa inerte, perché non contempla le cose ma li libri, e s'avvilisce l'anima in quelle cose
morte; né sa come Dio regga le cose, e gli usi della natura e delle nazioni. Il
che non può avvenire al nostro Sole, perché non può arrivare a
tante scienze chi non è scaltro d'ingegno ad ogni cosa, onde è
sempre attivissimo al governo. Noi pur sappiamo che chi sa una scienza sola,
non sa quella né l'altre bene; e che colui che
è atto a una sola, studiata in libro, è inerte e grosso. Ma non
così avviene alli pronti d'ingegno e facili ad ogni conoscenza, come
è bisogno che sia il Sole. E nella città nostra s'imparano le scienze con facilità tale, come tu vedi,
che più in un anno qui si sa, che in diece o quindici tra voi, e mira in
questi fanciulli."
Nel che io restai
confuso per le ragioni sue e la prova di quelli fanciulli, che intendevano la
mia lingua; perché d'ogni lingua sempre han d'esser
tre che la sappiano. E tra loro non ci è ozio nullo, se non quello che
li fa dotti; che però vanno in campagna a correre, a tirar dardo, sparar
archibugi, seguitar fiere, lavorare, conoscer l'erbe,
mo una schiera, mo l'altra di loro.
Li tre offiziali primi non bisogna che
sappiano se non quell'arti che all'offizio loro partengono. Onde sanno l'arti communi a tutti, istoricamente imparandole, e poi le
proprie, dove più si dà uno che un altro: così il
Potestà saperà l'arte cavalieresca, fabricar ogni sorte d'armi,
cose di guerra, machine, arte militare, ecc. Ma tutti questi offiziali han
d'essere filosofi, e più, ed istorici, naturalisti ed umanisti.
OSPITALARIO - Vorrei che dicessi l'offizi tutti, e li distinguessi; e s'è
bisogno l'educazion commune.
GENOVESE - Sono prima le stanze communi, dormitori, letti e bisogni; ma ogni sei
mesi si distinguono dalli mastri, chi ha da dormire in questo girone o in
quell'altro, e nella stanza prima o seconda, notate per alfabeto.
Poi son l'arti communi agli uomini e donne, le speculative e
meccaniche; con questa distinzione, che quelle dove ci va fatica grande e
viaggio, le fan gli uomini, come arare, seminare, cogliere i frutti, pascer le
pecore, operar nell'aia, nella vendemmia. Ma nel formar il cascio e mungere si
soleno le donne mandare, e nell'orti vicini alla
città per erbe e servizi facili. Universalmente, le arti che si fanno
sedendo e stando, per lo più son delle donne,
come tessere, cuscire, tagliar i capelli e le barbe, la speziaria, fare tutte
le sorti di vestimenti; altro che l'arte del ferraro e delle armi. Pur chi
è atta a pingere, non se le vieta. La musica è solo delle donne,
perché più dilettano, e de' fanciulli, ma non di trombe e tamburi. Fanno anche le vivande; apparecchiano le mense; ma il servire a
tavola è proprio delli gioveni, maschi e femine, finché sono di
vint'anni.
Hanno in ogni
girone le publiche cucine e le dispense della robba. E ad ogni officio
soprastante è un vecchio ed una vecchia, che comandano ed han
potestà di battere o far battere da altri li
negligenti e disobedienti, e notano ognuno ed ognuna in che esercizio meglio
riesce. Tutta la gioventù serve alli vecchi che passano quarant'anni; ma
il mastro o maestra han cura la sera, quando vanno a dormire, e la mattina di
mandar alli servizi di quelli a chi tocca, uno o due
ad ogni stanza, ed essi gioveni si servono tra loro, e chi ricusa, guai a lui!
Vi son prime e seconde mense; d'una parte mangiano le donne, dall'altra gli
uomini, e stanno come in refettori di frati. Si fa senza strepito, ed un sempre
legge a tavola, cantando, e spesso l'offiziale parla sopra qualche passo della
lezione. E' una dolce cosa vedersi servire di tanta bella gioventù, in
abito succinto, così a tempo, e vedersi a canto tanti amici, frati,
figli e madri vivere con tanto rispetto ed amore.
Si dona a ciascuno,
secondo il suo esercizio, piatto di pitanza e menestra, frutti, cascio; e li
medici hanno cura di dire alli cochi in quel giorno, qual sorte di vivanda
conviene, e quale alli vecchi e quale alli giovani e quale all'ammalati.
Gli offiziali hanno la miglior parte; questi mandano spesso della loro a tavola
a chi più si ha fatto onore la mattina nelle
lezioni e dispute di scienze ed armi, e questo si stima per grande onore e
favore. E nelle feste fanno cantar una musica pur in tavola; e perché tutti metteno
mano alli servizi, mai non si trova che manchi cosa
alcuna, Son vecchi savi soprastanti a chi cucina ed alli refettori, e stimano
assai la nettezza nelle strade, nelle stanze e nelli vasi e nelle vestimenta e
nella persona.
Vesteno dentro
camisa bianca di lino, poi un vestito, ch'è giubbone e calza insieme,
senza pieghe e spaccato per mezzo, dal lato e di sotto, e poi imbottonato. Ed
arriva la calza sin al tallone, a cui si pone un
pedale grande come un bolzacchino, e la scarpa sopra. E son ben attillate, che
quando si spogliano la sopravveste, si scerneno tutte le fattezze della
persona. Si mutano le vesti quattro volte varie, quando il Sole entra in Cancro
e Capricorno, Ariete e Libra. E, secondo la complessione e la procerità,
sta al Medico di distribuirle col Vestiario di ciascun girone. Ed è cosa
mirabile che in un punto hanno quante vesti vogliono, grosse, sottili, secondo
il tempo. Veston tutti di bianco, ed ogni mese si
lavan le vesti col sapone, o bucato quelle di tela.
Tutte le stanze
sottane, sono officine, cucine, granari, guardarobbe, dispense, refettori,
lavatori; ma si lavano nelle pile delli chiostri. L'acqua si getta per le
latrine o per canali, che vanno a quelle. Hanno in tutte le piazze delli gironi
le lor fontane, che tirano l'acque dal fondo solo con
muover un legno, onde esse spicciano per li canali. Vi è acqua sorgente,
e molta nelle conserve a cui vanno le piogge per li
canali delle case, passando per arenosi acquedotti. Si lavano le persone loro
spesso, secondo il maestro e 'l medico ordina. L'arti si fanno tutte nei chiostri di sotto, e le
speculative di sopra, dove sono le pitture, e nel tempio si leggono.
Negli atri di
fuora son orologi di sole e di squille per tutti i gironi, e banderuole per
saper i venti.
OSPITALARIO - Or dimmi della generazione.
GENOVESE - Nulla femina si sottopone al maschio, se non arriva a dicinov'anni né
maschio si mette alla generazione inanti alli vintiuno, e più si
è di complessione bianco. Nel tempo inanti
è ad alcuno lecito il coito con le donne sterili o pregne, per non far
in vaso indebito; e le maestre matrone con gli seniori
della generazione han cura di provederli, secondo a loro è detto in
secreto da quelli più molestati da Venere. Li provedono, ma non lo fanno
senza far parola al maestro maggiore, che è un
gran medico, e sottostà ad Amore, Prencipe offiziale. Se si trovano in
sodomia, sono vituperati, e li fan portare due giorni
legata al collo una scarpa, significando che pervertiro l'ordine e posero li
piedi in testa, e la seconda volta crescen la pena finché diventa capitale. Ma
chi si astiene fin a ventun anno d'ogni coito è celebrato con alcuni
onori e canzoni.
perché quando si esercitano alla lotta, come i
Greci antichi, son nudi tutti maschi e femine, li mastri conoscono chi è
impotente o no al coito, e quali membra con quali si confanno. E così,
sendo ben lavati, si donano al coito ogni tre sere; e non accoppiano se non le
femine grandi e belle alli grandi e virtuosi, e le
grasse a' macri, e le macre alli grassi, per far temperie. La sera vanno i
fanciulli e si conciano i letti, e poi vanno a dormire, secondo ordina il
mastro e la maestra. né si pongono al coito se non
quando hanno digerito, e prima fanno orazione, ed hanno belle statue di uomini
illustri, dove le donne mirano. Poi escono alla fenestra, e pregono Dio del
Cielo, che li doni prole buona. E dormeno in due celle, sparti fin a quell'ora
che si han da congiungere, ed allora va la maestra, ed
apre l'uscio dell'una e l'altra cella. Questa ora è determinata
dall'Astrologo e Medico; e si forzan sempre di pigliar
tempo, che Mercurio e Venere siano orientali dal Sole in casa benigna e che
sian mirati da Giove di buono aspetto e da Saturno e Marte. E così il
Sole come la Luna, che spesso sono afete. E per lo più vogliono Vergine
in ascendente; ma assai si guardano che Saturno e Marte non stiano in angolo,
perché tutti quattro angoli con opposizioni e quadrati infettano, e da essi angoli è la radice della virtù vitale e
della sorte, dependente dall'armonia del tutto con le parti. Non si curano del
satellizio, ma solo degli aspetti buoni. Ma il satellizio solo nella fondazione
della città e della legge ricercano, che però non abbia prencipe Marte o Saturno, se non con buone
disposizioni. Ed han per peccato li generatori non
trovarsi mondi tre giorni avanti di coito e d'azioni prave, e di non esser
devoti al Creatore. Gli altri, che per delizia o per servire alla
necessità si donano al coito con sterili o pregne o con donne di poco
valore, non osservan queste sottigliezze. E gli offiziali, che son tutti
sacerdoti, e li sapienti non si fanno generatori, se
non osservano molti giorni più condizioni; perché essi, per la molta
speculazione, han debole lo spirito animale, e non transfondeno il valor della
testa, perché pensano sempre a qualche cosa; onde trista razza fanno. Talché si
guarda bene, e si donano questi a donne vive, gagliarde e belle; e gli uomini
fantastichi e capricciosi a donne grasse, temperate, di costumi blandi. E
dicono che la purità della complessione, onde le virtù fruttano, non
si può acquistare con arte, e che difficilmente senza disposizion
naturale può la virtù morale allignare, e che gli uomini di mala
natura per timor della legge fanno bene, e, quella cessante, struggon la
republica con manifesti o segreti modi. Però tutto lo studio principale
deve essere nella generazione, e mirar gli metodi
naturali, e non la dote e la fallace nobiltà-
Se alcune di
queste donne non concipeno con uno, le mettono con
altri; se poi si trova sterile, si può accomunare, ma non ha l'onor delle
matrone in Consiglio della generazione e nella mensa e nel tempio; e questo lo
fanno perché essa non procuri la sterilità per lussuriare. Quelle che
hanno conceputo, per quindici giorni non si esercitano; poi fanno leggeri
esercizi per rinforzar la prole, ed aprir li meati del
nutrimento a quella. Partorito che hanno, esse stesse allevano i figli in
luoghi communi, per due anni lattando e più, secondo pare al Fisico.
Dopo si smamma la prole, e si dona in guardia delle mastre, se son femine, o
delli maestri. E con gli altri fanciulli qui si esercitano all'alfabeto, a
caminare, correre, lottare, ed alle figure istoriate; ed han vesti di color
vario e bello. Alli sette anni si donano alle scienze naturali, e poi all'altre, secondo pare alli offiziali, e poi si mettono in
meccanica. Ma li figli di poco valore si mandano alle ville e, quando riescono,
poi si riducono alla città. Ma per lo più, sendo generati nella
medesima costellazione, li contemporanei son di
virtù consimili e di fattezze e di costumi. E questa è concordia
stabile nella republica, e s'amano grandemente ed aiutano l'un
l'altro.
Li nomi loro non si mettono a caso, ma dal
Metafisico, secondo la proprietà, come usavan li Romani: onde altri si
chiamano il Bello, altri il Nasuto, altri il Peduto, altri Bieco, altri Crasso,
ecc.; ma quando poi diventano valenti nell'arte loro o fanno qualche prova in
guerra, s'aggiunge il cognome dall'arte, come Pittor Magno, Aureo, Eccellente,
Gagliardo, dicendo Crasso Aureo, ecc.; o pur dall'atto dicendo: Crasso Forte,
Astuto, Vincitore, Magno Massimo, ecc., e dal nemico vinto, come Africano,
Asiano, Tosco, ecc.; Manfredi, Tortelio dall'aver superato Manfredi o Tortelio
o simili altri. e questi cognomi s'aggiungono
dall'offiziali grandi, e si donano conveniente all'atto o arte sua, con
applauso e musica. E si vanno a perdere per questi applausi, perché oro e
argento non si stima, se non come materia di vasi o di guarnimenti communi a
tutti.
OSPITALARIO - Non ci è gelosia tra loro o dolore a chi non sia
fatto generatore o quel che ambisce?
GENOVESE - Signor no, perché a nullo manca il necessario loro quanto al gusto; e la
generazione è osservata religiosamente per ben pubblico, non privato, ed
è bisogno stare al detto dell'offiziali. Platone disse che si dovean gabbare li pretendenti a belle donne
immeritatamente, con far uscir la sorte destramente secondo il merito; il che
qui non bisogna far con inganno di ballotte per contentarsi delle brutte i
brutti, perché tra loro non ci è bruttezza; ché esercitandosi esse
donne, diventano di color vivo e di membra forti e grandi, e nella gagliardia e
vivezza e grandezza consiste la beltà appresso a loro. Però
è pena di vita imbellettarsi la faccia, o portar pianelle, o vesti con
le code per coprir i piedi di legno, ma non averiano commodità manco di
far questo, perché chi ci li daria? E dicono che
questo abuso in noi viene dall'ozio delle donne, che le fa scolorite e fiacche
e piccole; e però han bisogno di colori ed alte pianelle, e di farsi
belle per tenerezza, e così guastano la propria complessione e della
prole. Di più, s'uno s'innamora di qualche donna, è lecito tra
loro parlare, far versi, scherzi, imprese di fiori e di piante. Ma se si guasta
la generazione, in nullo modo si dispensa tra loro il coito, se non quando ella
è pregna o sterile. Però non si conosce tra loro se non amor
d'amicizia per lo più, non di concupiscenza ardente.
La robba non si
stima, perché ognuno ha quanto li bisogna, salvo per segno d'onore. Onde agli
eroi ed eroisse la republica fa certi doni, in tavola o in feste publiche, di
ghirlande o di vestimenta belle fregiate; benché tutti di bianco il giorno e
nella città, ma di notte e fuor della città vestono a rosso, o di
seta o di lana. Aborreno il color nero, come feccia delle cose, e però
odiano i Giapponesi, amici di quello. La superbia è tenuta per gran
peccato, e si punisce un atto di superbia in quel modo che l'ha commesso. Onde nullo reputa viltà lo servire in mensa, in
cucina o altrove, ma lo chiamano imparare; e dicono che così è
onore al piede caminare, come allo occhio guardare; onde chi è deputato
a qualche offizio, lo fa come cosa onoratissima, e non tengono schiavi, perché
essi bastano a se stessi, anzi soverchiano. Ma noi non così, perché in
Napoli son da trecento mila anime, e non faticano cinquanta milia; e questi
patiscono fatica assai e si struggono; e l'oziosi si
perdono anche per l'ozio, avarizia, lascivia ed usura, e molta gente guastano
tenendoli in servitù e povertà, o fandoli partecipi di lor vizi,
talché manca il servizio publico, e non si può il campo, la milizia e
l'arti fare, se non male e con stento. Ma tra loro, partendosi l'offizi a tutti
e le arti e fatiche, non tocca faticar quattro ore il giorno per uno; sì
ben tutto il resto è imparare giocando, disputando, leggendo, insegnando,
caminando, e sempre con gaudio. E non s'usa gioco che si faccia
sedendo, né scacchi, né dadi, né carte o simili, ma ben la palla, pallone,
rollo, lotta, tirar palo, dardo, archibugio.
Dicono ancora che
la povertà grande fa gli uomini vili, astuti, ladri, insidiosi,
fuorasciti, bugiardi, testimoni falsi; e le ricchezze insolenti, superbi,
ignoranti, traditori, disamorati, presumitori di quel che non sanno.
Però la communità tutti li fa ricchi e poveri: ricchi, ch'ogni
cosa hanno e possedono; poveri, perché non s'attaccano a servire alle cose, ma ogni cosa serve a loro. E molto laudano in questo
le religioni della cristianità e la vita dell'Apostoli.
OSPITALARIO - E' bella cosa questa e santa; ma quella delle donne communi pare dura e
ardua. S. Clemente Romano dice che le donne pur sian communi, ma la glosa
intende quanto all'ossequio, non al letto, e Tertulliano consente alla glosa;
ché i Cristiani antichi tutto ebbero commune, altro che le mogli, ma queste pur
furo communi nell'ossequio.
GENOVESE - Io non so di questo; e ben so che essi han l'ossequio commune delle
donne e 'l letto, ma non sempre, se non per generare.
E credo che si possano ingannare ancora; ma essi si difendono con Socrate,
Catone, Platone ed altri. Potria stare che lasciassero quest'uso un giorno,
perché nelle città soggette a loro non accomunano se non le robbe, e le
donne quanto all'ossequio ed all'arti, ma non al
letto; e questo l'ascrivono all'imperfezione di quelli che non ha filosofato.
Però vanno spiando di tutte nazioni l'usanze, e
sempre migliorano; e quando sapranno le ragioni vive del cristianesimo provate
con miracoli, consentiranno, perché son dolcissimi. Ma fin mo trattano
naturalmente senza fede rivelata; né ponno a più sormontare.
Di più
questo è bello, che fra loro non ci è difetto che faccia l'uomo
ozioso, se non l'età decrepita, quando serve solo per consiglio. Ma chi
è zoppo serve alle sentinelle con gli occhi; chi non ha occhi serve a
carminar la lana e levar il pelo dal nervo delle penne per li
matarazzi, chi non ha mani, ad altro esercizio; e se un membro solo ha, con
quello serve nelle ville, e son governati bene, e son spie che avvisano alla
republica ogni cosa.
OSPITALARIO - Di' mo della guerra; ché poi dell'arti e vitto
mi dirai, poi delle scienze, e al fine della religione.
GENOVESE - Il Potestà tiene sotto di sé un
offiziale dell'armi, un altro dell'artellaria, un delli cavalieri, un delli
ingegneri; ed ognuno di questi ha sotto di sé molti capi mastri di quell'arte.
Ma di più ci sono gli atleti, che a tutti insegnano l'esercizio della
guerra. Questi sono attempati, prudenti capitani, che esercitano li gioveni e
di dodici anni in suso all'arme; benché prima nella lotta e correre e tirar
pietre erano avvezzi da mastri inferiori. Or questi insegnano a ferire, a
guadagnar l'inimico con arte, a giocar di spada, di lancia, a saettare, a
cavalcare, a seguire, a fuggire, a star nell'ordine militare. E le donne pure
imparano queste arti sotto maestre e mastri loro, per quando fusse bisogno
aiutar gli uomini nelle guerre vicine alla città; e, se venisse assalto,
difendono le mura. Onde ben sanno sparar l'archibugio, far balle, gittar
pietre, andar incontro. E si sforzano t“r da loro ogni timore, ed hanno gran
pene quei che mostran codardia. Non temono la morte, perché tutti credono
l'immortalità dell'anima, e che, morendo, s'accompagnino con li spiriti buoni e rei, secondo li meriti. Benché essi siano
stati Bragmani Pitagorici, non credono trasmigrazione d'anima, se non per
qualche giudizio di Dio. né s'astengono di ferir il
nemico ribello della ragione, che non merita esser uomo.
Fanno la mostra
ogni dui mesi, ed ogni giorno ci è l'esercizio
dell'arme, o in campagna, cavalcando, o dentro, ed una lezione d'arte militare,
e fanno sempre leggere l'istorie di Cesare, d'Alessandro, di Scipione e
d'Annibale, e poi donano il giudizio loro quasi tutti, dicendo: "Qui
fecero bene, qui male"; e poi risponde il mastro e determina.
OSPITALARIO - Con chi fan le guerre? e per che causa, se son
tanto felici?
GENOVESE - Se mai non avessero guerra, pure s'esercitano
all'arte di guerra ed alla caccia per non impoltronire e per quel che potria
succedere. Di più, vi son quattro regni nell'isola, li
quali han grande invidia della felicità loro, perché li popoli
desiderariano vivere come questi Solari, e vorriano star più soggetti ad
essi, che non a' propri regi. Onde spesso loro è mossa guerra, sotto
color d'usurpar confini e di viver empiamente, perché non sequeno le
superstizioni di Gentili, né dell'altri Bragmani; e spesso li
fan guerra, come ribelli che prima erano soggetti. E con tutto questo perdono
sempre. Or essi Solari, subito che patiscono preda, insulto o altro disonore, o
son travagliati l'amici loro, o pure son chiamati
d'alcune città tiranneggiate come liberatori, essi si mettono a
consiglio, e prima s'inginocchiano a Dio e pregano che li faccia ben
consigliarsi, poi s'esamina il merito del negozio, e così si bandisce la
guerra. Mandano un sacerdote detto il Forense: costui dimanda a' nemici che
rendano il tolto o lascino la tirannia; e se quelli negano, li bandiscono la
guerra., chiamando Dio delle vendette a testimonio
contra di chi ha il torto; e si quelli prolungano il negozio, non li danno
tempo, si è re, più d'un ora, si è republica, tre ore a
deliberar la risposta, per non esser burlati; e così si piglia la
guerra, se quelli son contumaci alla ragione. Ma dopo ch'è pigliata,
ogni cosa esequisce il locotenente del Potestà;
ed esso comanda senza consiglio d'altri; ma si è cosa di momento,
domanda il Amor e 'l Sapienza e 'l Sole. Si propone in Consiglio grande, dove
entra tutto il popolo di venti anni in su, e le donne
ancora, e si dichiara la giustizia dell'impresa dal Predicatore, e mettono in
ordine ogni cosa.
Devesi sapere
ch'essi hanno tutte le sorti d'arme apparecchiate nell'armari, e spesso si
provano quelle in guerre finte. Han per tutti li
gironi, nell'esteriore muro, l'artellerie e l'artiglieri preparati e molti
altri cannoni di campagna che portano in guerra, e n'han pur di legno, nonché
di metallo; e così sopra le carra li conducono, l'altre munizioni nelle
mule, e bagaglie. E se sono in campo aperto, serrano le bagaglie in mezzo e
l'artellerie, e combattono gran pezzo, e poi fan ritirata. E 'l nemico, credendo che cedano, s'inganna; perché essi fanno
ala, pigliano fiato e lasciano l'artiglierie sparare, e poi tornano alla zuffa
contra nemici scompigliati. Usano far i padiglioni alla romana con steccati e
fosse intorno con gran prestezza. Ci son li mastri di
bagaglie, d'artellerie e dell'opere. Tutti soldati san
maneggiar la zappa e la secure. Vi son cinque, otto o diece capitani di
consiglio di guerra e di stratagemme, che comandano
alle squadre loro secondo prima insieme si consigliarono. Soleno
portar seco una squadra di fanciulli a cavallo per imparar la guerra, ed
incarnarsi, come lupicini al sangue; e nei pericoli si ritirano, e molte donne
e fanciulli fanno carezze alli guerrieri, li medicano, servano, abbracciano e
confortano; e quelli, per mostrarsi valenti alle donne e figli loro, fanno gran
prove. Nell'assalti, chi prima saglie il muro
ha dopo in onore una corona di gramigna con applauso militare delle donne e
fanciulli. Chi aiuta il compagno ha la corona civica di quercia; chi uccide il
tiranno, le spoglie opime, che porta al tempio, e si dona al Sole il cognome
dell'impresa.
Usano i cavalieri
una lancia, due pistole avanti cavallo, di mirabil tempra, strette in bocca,
che per questo passano ogni armatura, ed hanno anco lo scocco. Altri portano la
mazza, e questi son gli uomini d'arme, perché, non potendo un'armatura ferrea
penetrare con spada o con pistola, sempre assaltano il nemico con la mazza,
come Achille contra Cigno, e lo sconquassano e gittano. Ha due catene la mazza
in punta, a cui pendeno due palle, che, menando,
circondano il collo del nemico, lo cingeno, tirano e gettano; e, per poterla
maneggiare, non tengono briglia con mano, ma con li piedi, incrocchiata nella
sella, ed avvinchiata nell'estremo alle staffe, non alli piedi, per non
impedirsi; e le staffe han di fuori la sfera e dentro il triangolo, onde il
piè torcendo ne' lati, le fan girare, ché stan affibbiate alli staffili,
e così tirano a sé o allungano il freno con mirabil prestezza, e con la
destra torceno a sinistra ed a contrario. Questo secreto manco i Tartari
hanno inteso, ché stirare e torcere non usano con le staffe. Li
cavalli leggeri cominciano con li schioppi, e poi entrano l'aste e le frombole,
delle quali tengono gran conto. E usano combattere per fila intessute, andando
altri, ed altri ritirandosi a vicenda; e le spade sono l'ultima prova.
Ci son poi li
trionfi militari ad uso di Romani, e più belli, e le supplicazioni
ringraziatorie. E si presenta al tempio il capitano, e si narrano li gesti dal poeta o istorico ch'andò con lui. E 'l Principe lo corona, ed a tutti soldati fa qualche regalo
ed onore, e per molti dì sono esenti dalle fatiche publiche. Ma essi
l'hanno a male, perché non sanno stare oziosi ed aiutano gli altri. E
all'incontro quei che per loro colpa han perduto, si ricevono con vituperio, e
chi fu il primo a fuggire non può scampar la morte, se non quando tutto
l'esercito domanda in grazia la sua vita, ed ognuno piglia parte della pena. Ma
poco s'ammette tal indulgenza, si non quando ci
è gran ragione. Chi non aiutò l'amico o fe' atto vile, è
frustato; chi fu disobediente, si mette a morire dentro a un palco di bestie
con un bastone in mano, e se vince i leoni e l'orsi,
che è quasi impossibile, torna in grazia.
Le città
superate o date a loro subito mettono ogni avere in commune, e riceveno gli
offiziali solari e la guardia, e si van sempre
acconciando all'uso della Città del Sole, maestra loro; e mandano li
figli ad imparare in quella, senza contribuire a spese.
Saria lungo a
dirti del mastro delle spie e sentinelle, degli ordini loro dentro e fuore la
città, che te li puoi pensare, ché son eletti da bambini secondo
l'inclinazione e costellazione vista nella genitura loro. Onde ognuno, oprando
secondo la proprietà sua naturale, fa bene quell'esercizio e con piacere
per esserli naturale; così dico delle stratagemme ed altri. La
città di notte e di giorno ha le guardie nelle quattro porte e nelle
mura estreme, su li torrioni e valguardi: e lo girone
il dì le femine, la notte li maschi guardano; e questo lo fanno per non
impoltronire e per li casi fortuiti. Han le veglie, come i nostri soldati,
divise di tre in tre ore; la sera entrano in guardia.
Usano le cacce
per imagini di guerra, e li giochi in piazza a cavallo e a piede ogni festa, e
poi segue la musica.
Perdonano
volentieri a' nemici e dopo la vittoria li fanno bene. Se gettano mura o
vogliono occider i capi o altro danno a' vinti, tutto
fanno in un giorno, e poi li fanno bene, e dicono che non si deve far guerra se
non per far gli uomini buoni, non per estinguerli. Se tra loro ci è
qualche gara d'ingiuria o d'altro, perché essi non contendono se non di onore,
il Principe ed i suoi offiziali puniscono il reo secretamente, s'incorse ad
ingiuria di fatto dopo le prime ire; se di parole, aspettano in guerra a
diffinirle, dicendo che l'ira si deve sfogare contra l'inimici. E chi fa poi in
guerra più atti eroici, quello è tenuto c'abbia raggione
nell'onoranza, e l'altro cede. Ma nelle cose del giusto ci son le pene;
però in duello di mano non ponno venire, e chi vuol mostrarsi megliore,
faccilo in guerra publica.
OSPITALARIO - Bella cosa per non fomentar fazioni a roina della patria e schifar le
guerre civili, onde nasce il tiranno, come fu in Roma e Atene. Narra or, ti
prego, dell'artifici loro.
GENOVESE - Devi avere inteso come commune a tutti
è l'arte militare, l'agricoltura, la pastorale; ch'ognuno è
obbligato a saperle, e queste son le più nobili tra loro; ma chi
più arti sa, più nobile è, e nell'esercitarla quello
è posto, che è più atto. L'arti fatigose, ed utili son di più
laude, come il ferraro, il fabricatore; e non si schifa nullo a pigliarle,
tanto più che nella natività loro si vede l'inclinazione, e tra
loro, per lo compartimento delle fatiche, nullo viene a participar fatica
destruttiva dell'individuo, ma solo conservativa. L'arti
che sono di manco fatica son delle femine. Le speculative son di tutti, e chi
più è eccellente si fa lettore; e questo è più
onorato che nelle meccaniche, e si fa sacerdote. Saper natare è a tutti
necessario, e ci sono a posta le piscine fuor delle fosse della città, e
dentro vi son le fontane.
La mercatura a
loro poco serve, ma però conoscono il valor delle monete, e battono
moneta per l'ambasciatori loro, acciocché possano
commutare con le pecunia il vitto che non ponno portare, e fanno venire d'ogni
parte del mondo mercanti a loro per smaltir le cose soverchie, e non vogliono
danari, se non merci di quelle cose che essi non hanno. E si ridono
quando vedeno i fanciulli, che quelli donano tanta robba per poco
argento, ma non li vecchi. Non vogliono che schiavi o forastieri infettino la
città di mali costumi; però vendono quelli che pigliano in
guerra, o li mettono a cavar fosse o far esercizi faticosi fuor della
città, dove sempre vanno quattro squadre di soldati a guardare il
territorio e quelli che lavorano, uscendo dalle quattro porte, le quali hanno
le strade di mattoni fin al mare per condotta delle robbe e facilità
delli forastieri. Alli quali fanno gran carezze, li donano da mangiare per tre
giorni, li lavano li piedi, li fan veder la
città e l'ordine loro, entrare a Consiglio ed a mensa. E ci son uomini
deputati a guardarli, e se voglion farsi cittadini, li provano un mese nelle
ville ed uno nella città, e così poi risolveno, e li ricevono con
certe cerimonie e giuramenti.
L'agricoltura
è in gran stima: non ci è palmo di terra che non frutti.
Osservano li venti e le stelle propizie, ed escono
tutti in campo armati ad arare, seminare, zappare, metere, raccogliere,
vindemmiare, con musiche, trombe e stendardi; ed ogni cosa fanno tra pochissime
ore. Hanno le carra a vela, che caminano con il vento, e quando non ci è
vento, una bestia tira un gran carro, bella cosa, ed han li
guardiani del territorio armati, che per li campi sempre van girando. Poco
usano letame all'orti ed a' campi, dicendo che li semi
diventano putridi e fan vita breve, come le donne imbellettate e non belle per
esercizio fanno prole fiacca. Onde né pur la terra imbellettano, ma ben
l'esercitano, ed hanno gran secreti di far nascer presto e multiplicare, e non
perder seme. E tengon un libro a posta di tal esercizio, che si chiama la Georgica.
Una parte del territorio, quanto basta, si ara; l'altra serve per pascolo delle
bestie. Or questa nobil arte di far cavalli, bovi, pecore, cani ed ogni sorte
d'animali domestici è in sommo pregio appresso loro, come fu in tempo
antico d'Abramo; e con modi magici li fanno venire al coito, che possan ben
generare, inanzi a cavalli pinti o bovi o pecore; e non lasciano andar in
campagna li stalloni con le giumente, ma li donano a
tempo opportuno inanzi alle stalle di campagna. Osservano Sagittario in
ascendente, con buono aspetto di Marte e Giove: per li
bovi, Tauro, per le pecore, Ariete, secondo l'arte. Hanno poi mandre di galline
sotto le Pleiadi e papare e anatre, guidate a pascere dalle donne con gusto
loro presso alla città e li luochi, dove la sera son serrate a far il
cascio e latticini, butiri e simili. Molto attendono a' caponi ed a' castrati
ed al frutto, e ci è un libro di quest'arte detto la Bucolica. Ed
abbondano d'ogni cosa, perché ognuno desidera esser primo alla fatica per la
docilità delli costumi e per esser poca e fruttuosa; ed ognun di loro,
che è capo di questo esercizio, s'appella Re, dicendo che questo
è nome loro proprio, e di chi non sa. Gran
cosa, che le donne ed uomini sempre vanno in squadroni, né mai soli, e sempre
all'obedienza del capo si trovano senza nullo disgusto; e ciò perché
l'hanno come padre o frate maggiore.
Han poi le
montagne e le cacce d'animali, e spesso s'esercitano.
La marineria
è di molta reputazione, e tengono alcuni vascelli, che senza vento e
senza remi caminano, ed altri con vento e remi. Intendono assai le stelle, e
flussi e reflussi del mare, e navigano per conoscer genti e paesi. A nullo fan
torto; senza esser stimolati non combattono. Dicono che il mondo averà
da riducersi a vivere come essi fanno, però
cercano sempre sapere se altri vivono meglio di loro. Hanno confederazione con gli Chinesi, e con più popoli isolani e del
continente, di Siam di Cancacina e di Calicut, solo per spiare.
Hanno anche gran
secreti di fuochi artifiziali per le guerre marine e terrestri, e stratagemme,
che mai non restan di vincere.
OSPITALARIO - Che e come mangiano? e quanto è lunga la
vita loro?
GENOVESE - Essi dicono che prima bisogna mirar la vita del tutto e poi delle parti;
onde quando edificaro la città, posero i segni fissi nelli quattro
angoli del mondo. Il Sole in ascendente in Leone, e Giove in Leone orientale
dal Sole, e Mercurio e Venere in Cancro, ma vicini,
che facean satellizio; Marte nella nona in Ariete, che mirava di sua casa con
felice aspetto l'ascendente e l'afeta. e la Luna in
Tauro, che mirava di buono aspetto Mercurio e Venere, e non facea aspetto
quadrato al Sole. Stava Saturno entrando nella quarta, senza far malo aspetto a
Marte ed al Sole. La Fortuna con il capo di Medusa in decima quasi era, onde
essi s'augurano signoria, fermezza e grandezza. E Mercurio, sendo in buono
aspetto di Vergine e nella triplicità dell'asside
suo, illuminato dalla Luna, non può esser tristo; ma, sendo gioviale, la
scienza loro non mendica; poco curando d'aspettarlo in Vergine e la
congiunzione.
Or essi mangiano
carne, butiri, mele, cascio, dattili, erbe diverse, e prima non volean uccidere
gli animali, parendo crudeltà; ma poi vedendo che era crudeltà
ammazzar l'erbe, che han senso, onde bisognava morire,
consideraro che le cose ignobili son fatte per le nobili, e magnano ogni cosa.
Non però uccidono volentieri l'animali fruttuosi,
come bovi e cavalli. Hanno però distinto li
cibi utili dalli disutili, e secondo la medicina si serveno; una fiata mangiano
carne, una pesce ed una erbe, e poi tornano alla carne per circolo, per non
gravare né estenuare la natura. Li vecchi han cibi
più digestibili, e mangiano tre volte il giorno e poco, li fanciulli
quattro, la communità due. Vivono almeno cento anni, al più centosettanta,
o duecento al rarissimo. E son molto temperati nel bevere: vino non si dona a'
fanciulli sino alli diciannove anni senza necessità grandissima, e
bevono con acqua poi, e così le donne; li
vecchi di cinquanta anni in su beveno senz'acqua. Mangiano, secondo la stagione
dell'anno, quel che è più utile e proprio, secondo provisto viene
dal capo medico, che ha cura. Usano assai l'odori: la
mattina, quando si levano, si pettinano e lavano con acqua fresca tutti; poi
masticano maiorana e petroselino o menta, e se la frecano nelle mani, e li
vecchi usano incenso; e fanno l'orazione brevissima a levante come il Pater
Noster; ed escono e vanno chi a servire i vecchi, chi in coro, chi ad
apparecchiare le cose del commune; e poi escono all'esercizio, poi riposano
poco, sedendo, e vanno a magnare.
Tra loro non ci
è podagre, né chiragre, né catarri, né sciatiche, né doglie coliche, né
flati, perché questi nascono dalla distillazione ed inflazione, ed essi per
l'esercizio purgano ogni flato ed umore. Onde è tenuto a vergogna che uno si vegga sputare, dicendo che questo nasce da poco
esercizio, da poltroneria o da mangiar ingordo. Patiscono più tosto
d'infiammazioni e spasmi secchi alli quali con la copia del buon cibo e bagni
sovvengono; ed all'etica con bagni dolci e latticini,
e star in campagne amene in bello esercizio. Morbo venereo non può
allignare, perché si lavano spesso li corpi con vino
ed ogli aromatici; e il sudore anche leva quell'infetto vapore, che
putrefà il sangue e le midolle. né tisici si
fanno, per non essere distillazione che cali al petto, e molto meno asma,
poiché umor grosso ci vuole a farla. Curano le febri ardenti con acqua fresca,
e l'efimere solo con odori e brodi grassi o con dormire o con suoni ed
allegrie; le terzane con levar sangue e con reubarbaro o simili attrattivi, e
con bevere acque di radici d'erbe purganti ed acetose. Di rado vengono a
medicina purgante. Le quartane son facili a sanare per paure sùbite, per
erbe simili all'umore od opposite; e mi mostraro certi secreti mirabili di
quelle. Delle continue tengono conto assai, e fanno osservanza di stelle e
d'erbe, e preghiere a Dio per sanarle. Quintane, ottane, settane poche si
trovano, dove non ci sono umori grossi. Usano li bagni e l'olei all'usanza
antica, e ci trovaro molti più secreti per star netto, sano, gagliardo.
Si sforzano con questi ed altri modi aiutarsi contra il morbo sacro che ne
pateno spesso.
OSPITALARIO - Segno d'ingegno grande, onde Ercole, Socrate, Macometto, Scoto e
Callimaco ne patiro.
GENOVESE - E s'aiutano con preghiere al cielo e con odori e confortanti della testa
e cose acide ed allegrezze e brodi grassi, sparsi di fiori di farina. Nel
condir le vivande non han pari: pongono macis, mele, butiro e con aromati
assai, che ti confortano gradevolmente. Non beveno annevato, come i Napolitani,
neanche caldo, come li Chinesi, perché non han bisogno d'aiutarsi contra l'umori grossi in favor del natio calore, ma lo confortano
con aglio pesto ed aceto, serpillo, menta, basilico, l'estate e nella stanchezza;
né contra il soverchio calor dell'aromati aumentato, perché non escono di
regola. Hanno pur un secreto di rinovar la vita ogni sette anni, senza
afflizione, con bell'arte.
OSPITALARIO - Non hai ancora detto delle scienze e degli offiziali.
GENOVESE - Sì, ma poiché sei tanto curioso, ti dirò più. Ogni
nove luna ed ogni opposizione sua fanno Consiglio dopo
il sacrifizio; e qui entrano tutti di venti anni in suso, e si dimanda ad
ognuno che cosa manca alla città, e chi offiziale è buono e chi
è tristo. Dopo ogn'otto dì, si congregano tutti gli offiziali,
che con il Sole, Pon, Sir, Mor; ed ognun di questi ha tre offiziali sotto di sé
che son tredici, ed ognun di questi tre altri, che son tutti quaranta; e quelli
han l'offizi dell'arti convenienti a loro, il
Potestà della milizia, il Sapienza delle scienze, il Amore del vitto,
generazione e vestito ed educazione; e li mastri d'ogni squadra, cioè
caporioni, decurioni, centurioni sì delle donne come degli uomini. E si
ragiona di quel che bisogna al publico, e si eleggon
gli offiziali, pria nominati in Consiglio grande. Dopo ogni dì fa
consiglio Sole e li tre Principi delle cose
occorrenti, e confirmano e conciano quel che si è trattato nell'elezione
e gli altri bisogni. Non usano sorti, se non quando son dubbi in modo che non
sanno a qual parte pendere. Questi offiziali si mutano secondo la
volontà del popolo inchina, ma li quattro primi
no, se non quando essi stessi, per consiglio fatto tra loro, cedono a chi
veggono saper più di loro, ed aver più purgato ingegno; e son
tanto docili e buoni, che volentieri cedeno a chi più sa ed imparano da
quelli; ma questo è di rado assai.
Li capi principali delle scienze son soggetti
al Sapienza, altri che il Metafisico che è esso Sole, che a tutte le
scienze comanda, come architetto, ed ha vergogna ignorare cosa alcuna al mondo
umano. Sotto a lui sta il Grammatico, il Logico, il Fisico, il Medico, il
Politico, l'Economico, il Morale, l'Astronomo, l'Astrologo, il Geometra, il
Cosmografo, il Musico, il Prospettivo, l'Aritmetico, il Poeta, l'Oratore, il
Pittore, il Scultore. Sotto Amore, sta il Genitario,
l'Educatore, il Vestiario, l'Agricola, l'Armentario, il Pastore, il Cicurario,
il Gran Coquinario. Sotto Podestà il
Stratagemmario, il Ferrario, l'Armario, l'Argentario, il Monetario,
l'Ingegnero, Mastro spia, Mastro cavallerizzo, il Gladiatore, l'Artegliero, il
Frombolario, il Giustiziero. E tutti questi han li
particolari artefici soggetti.
Or qui hai da
sapere che ognun è giudicato da quello dell'arte sua; talché ogni capo
dell'arte è giudice, e punisce d'esilio, di
frusta, di vituperio, di non mangiar in mensa commune, di non andar in chiesa,
non parlar alle donne. Ma quando occorre caso ingiurioso, l'omicidio si punisce
con morte, ed occhio per occhio, naso per naso si paga
la pena della pariglia, quando è caso pensato. Quando è rissa
subitanea, si mitiga la sentenza, ma non dal giudice, perché condanna subito secondo la legge, ma dalli tre Principi. E s'appella pure al
Metafisico per grazia, non per giustizia, e quello può far la grazia.
Non tengono carceri, se non per qualche ribello nemico un torrione. Non si
scrive processo, ma in presenza del giudice e del
Potestà si dice il pro e il contra; e subito si condanna dal giudice; e
poi dal Potestà, se s'appella, il sequente dì si condanna; e poi
dal Sole il terzo dì si condanna, o s'aggrazia dopo molti dì con
consenso del popolo. E nessuno può morire, se tutto il popolo a man
comune non l'uccide; ché boia non hanno, ma tutti lo lapidano o brugiano,
facendo che esso s'elegga la polvere per morir subito. E
tutti piangono e pregano Dio, che plachi l'ira sua, dolendosi che sian venuti a
resecare un membro infetto dal corpo della republica; e fanno di modo che esso
stesso accetti la sentenza, e disputano con lui fin tanto che esso, convinto,
dica che la merita; ma quando è cosa contra la libertà o contra
Dio, o contra gli offiziali maggiori, senza misericordia si esequisce.
Questi soli si puniscono con morte; e quel che more ha da dire tutte le cause
perché non deve morire, e li peccati degli altri e
dell'offiziali, dicendo quelli meritano peggio; e se vince, lo mandano in
esilio e purgano la città con preghiere e sacrifizi ed ammende; ma non
però travagliano li nominati.
Li falli di fragilità e d'ignoranza si
puniscono solo con vituperi, e con farlo imparare a contenersi, e quell'arte in
cui peccò, o altra, e si trattano in modo, che paiono l'un membro
dell'altro.
Qui è da
sapere, che se un peccatore, senza aspettare accusa, va da sé all'offiziali
accusandosi e dimandando ammenda, lo liberano dalla pena dell'occulto peccato e
la commutano mentre non fu accusato.
Si guardano assai
dalla calunnia per non patir la medesima pena. E perché sempre stanno
accompagnati quasi, ci vuole cinque testimoni a convincere, se non si libera
col giuramento il reo. Ma se due altre volte è accusato da dui o tre
testimoni, al doppio paga le pena.
Le leggi son
pochissime, tutte scritte in una tavola di rame alla porta del tempio,
cioè nelle colonne, nelle quali ci son scritte tutte le quiddità
delle cose in breve: che cosa è Dio, che cosa è angelo, che cosa
è mondo, stella, uomo, ecc., con gran sale, e
d'ogni virtù la diffinizione. E li giudici
d'ogni virtù hanno la sedia in quel loco, quando giudicano, e dicono:
"Ecco, tu peccasti contra questa diffinizione: leggi"; e così
poi lo condanna o d'ingratitudine o di pigrizia o d'ignoranza; e le condanne
son certe vere medicine, più che pene, e di soavità grande.
OSPITALARIO - Or dire ti bisogna delli sacerdoti e sacrifizi e credenza loro.
GENOVESE - Sommo sacerdote è il Sole; e tutti gli offiziali son sacerdoti,
parlando delli capi, ed offizio loro è purgar le conscienze. Talché
tutti si confessano a quelli, ed essi imparano che sorti di peccati regnano. E
si confessano alli tre maggiori tanto li peccati
propri, quanto gli strani in genere, senza nominare gli peccatori, e li tre poi
si confessano al Sole. Il quale conosce che sorti di errori corrono e sovviene
alli bisogni della città e fa a Dio sacrifizio ed orazioni, a cui esso confessa li peccati suoi e di tutto il popolo
publicamente in su l'altare, ogni volta che sia necessario per amendarli, senza
nominar alcuno. E così assolve il popolo, ammonendo che si guardi in
quelli errori, e confessa i suoi in publico e poi fa sacrifizio a Dio, che
voglia assolvere tutta la città ed ammaestrarla e difenderla. Il
sacrifizio è questo, che dimanda al popolo chi si
vol sacrificare per gli suoi membri, e così un di quelli più
buoni si sacrifica. E 'l sacerdote lo pone sopra una
tavola, che è tenuta da quattro funi, che stanno a quattro girelle della
cupola, e, fatta l'orazione a Dio che riceva quel sacrifizio nobile e
voluntario umano (non di bestie involuntarie, come fanno i Gentili), fa tirar
le funi; e questo saglie in alto alla cupoletta e qui si mette in orazione; e
li si dà da magnare parcamente, sino a tanto che la città
è espiata. Ed esso con orazioni e digiuni prega Dio, che riceva il pronto sacrifizio suo; e così, dopo venti o
trenta giorni, placata l'ira di Dio, torna a basso per le parti di fuore o si
fa sacerdote; e questo è sempre onorato e ben voluto, perché esso si
dà per morto, ma Dio non vuol che mora.
Di più vi
stanno vintiquattro sacerdoti sopra il tempio, li
quali a mezzanotte, a mezzodì, la mattina e la sera cantano alcuni salmi
a Dio; e l'offizio loro è di guardar le stelle e notare con astrolabi
tutti li movimenti loro e gli effetti che producono, onde sanno in che paese
che mutazione è stata e ha da essere. E questi dicono l'ora della
generazione e li giorni del seminare e raccogliere, e
serveno come mezzani tra Dio e gli uomini; e di essi per lo più si fanno
li Soli e scriveno gran cose ed investigano scienze. Non vengono a basso, se
non per mangiare; con donne non si impacciano, se non qualche volta per
medicina del corpo. Va ogni dì Sole in alto e
parla con loro di quel che hanno investigato sopra il benefizio della
città e di tutte le nazioni del mondo. In tempio a basso sempre ha da
esser uno che faccia orazione a Dio, ed ogni ora si
muta, come noi facciamo le quarant'ore, e questo si dice continuo sacrifizio.
Dopo mangiare si rendon grazie a Dio con musica, e poi si cantano gesti di
eroi cristiani, ebrei, gentili, di tutte nazioni, per spasso e per godere. Si
cantano inni d'amore e di sapienza e virtù. Si piglia ognuno quella che
più ama, e fanno alcuni balli sotto li
chiostri, bellissimi. Le donne portano li capelli
lunghi, inghirlandati ed uniti in un groppo in mezzo la testa con una treccia.
Gli uomini solo un cerro, un velo e berrettino. Usano cappelli in campagna, in
casa berrette bianche o rosse o varie, secondo l'offizio ed arte che fanno, e
gli officiali più grandi e pompose.
Tutte le cose loro son quattro principali, cioè quando entra il
sole in Ariete, in Cancro, in Libra, il Capricorno; e fanno gran
rappresentazioni belle e dotte; ed in ogni congiunzione ed opposizione di luna
fanno certe feste. E nelli giorni che fondaro la città
e quando ebbero vittoria, fanno il medesimo con musica di voci feminine e con
trombe e tamburi ed artiglierie; e li poeti cantano le laudi
delli più virtuosi. Ma chi dice bugia in laude
è punito; non si può dir poeta chi finge menzogna tra loro; e
questa licenza dicono che è ruina del mondo, che toglie il premio alle
virtù e lo dona altrui per paura o adulazione.
Non si fa statua
a nullo, se non dopo che more; ma, vivendo, si scrive nel libro delli eroi chi
ha trovato arti nove o secreti d'importanza, o fatto gran benefizio in guerra o
pace al publico.
Non si atterrano li corpi morti, ma si bruggiano per levar la peste e per
convertirsi in fuoco, cosa tanto nobile e viva, che vien dal sole ed a lui
torna, e per non restar sospetto d'idolatria. Restano pitture solo o statue di grand'uomini, e quelle che mirano le donne formose, che
s'applicano all'uso della razza.
L'orazioni si fan alli quattro angoli del mondo
orizzontali, e la mattina prima a levante, poi a ponente, poi ad austro, poi a
settentrione; la sera al riverso, prima a ponente, poi a levante, poi a
settentrione, poi ad austro. E replicano solo un verso, che dimanda corpo sano
e mente sana al loro ed a tutte le gente, e
beatitudine, e conclude: "come par meglio a Dio." Ma l'orazione
attentamente e lunga si fa in cielo; però l'altare è tondo e in croce spartito, per dove entra Sole dopo le quattro
repetizioni, e prega mirando in suso. Questo lo fan
per gran misterio. Le vesti pontificali son stupende di bellezza e di
significato a guisa di quelle d'Aron.
Distinguono li tempi secondo l'anno tropico, non sidereo, ma sempre
notano quanto anticipa questo di tempo. Credono che il sole cali a basso, e
però facendo più stretti circoli arriva alli tropici ed equinozi
che l'anno passato; o vero pare arrivare, ché
l'occhio, vedendolo più basso in obliquo, lo vede prima giungere ed
obliquare. Misurano li mesi con la luna e l'anno con
il sole; e però non accordano questa con quello fino alli diciannove
anni, quando pur il capo del Drago finisce il suo corso; del che han fatto nova
astronomia. Laudano Tolomeo ed ammirano Copernico, benché Aristarco e Filolao
prima di lui; ma dicono che l'uno fa il conto con le pietre, l'altro con le fave, ma nullo con le stesse cose contate, e pagano il mondo
con li scudi di conto, non d'oro. Però essi cercano assai sottilmente
questo negozio, perché importa a saper la fabbrica del mondo, e se
perirà e quando, e la sostanza delle stelle e chi ci sta dentro a loro. E credono esser vero quel che disse Cristo delli
segni delle stelle, sole e luna, li quali alli stolti
non pareno veri, ma li venirà, come ladro di notte, il fin delle cose.
Onde aspettano la renovazione del secolo, e forsi il fine. Dicono che è
gran dubbio sapere se 'l mondo fu fatto di nulla o
delle rovine d'altri mondi o del caos; ma par verosimile che sia fatto, anzi
certo. Son nemici d'Aristotile, l'appellano pedante.
Onorano il sole e
le stelle come cose viventi e statue di Dio e tempi celesti; ma non l'adorano,
e più onorano il sole. Nulla creatura adorano di latria, altro che Dio,
e però a lui serveno solo sotto l'insegna del sole, ch'è insegna
e volto di Dio, da cui viene la luce e 'l calore ed
ogni altra cosa. Però l'altare è come un sole fatto, e li sacerdoti pregano Dio nel sole e nelle stelle, com'in
altari, e nel cielo, come tempio; e chiamano gli angeli buoni per intercessori,
che stanno nelle stelle, vive case loro, e che le bellezze sue Dio più
le mostrò in cielo e nel sole, come suo trofeo e statua.
Negano gli
eccentrici ed epicicli di Tolomeo e di Copernico; affermano che sia un solo
cielo, e che li pianeti da sé si movano ed alzino,
quando al sole si congiungeno per la luce maggiore che riceveno; e abbassino
nelle quadrature e nell'opposizioni per avvicinarsi a lui. E la luna in
congiunzione ed opposizione s'alza per stare sotto il sole e ricever la luce in
questi siti assai che la sublima. E per questo le stelle, benché vadano sempre
di levante in ponente, nell'alzare paion gir a dietro; e così si
veggono, perché il stellato cielo corre velocemente in
ventiquattr'ore, ed esse ogni dì, camminando meno, restano più a
dietro; talché sendo passate dal cielo, paion tornare. E quando son
nell'opposito del sole, piglian breve circolo per la bassezza, ché si inchinano
a pigliar luce da lui, e però caminano inante assai; e quando vanno a
par delle stelle fisse, si dicon stazionari; quando
più veloci, retrogradi, secondo li volgari astrologi; e quando meno,
diretti. Ma la luna, tardissima e in congiunzione ed opposizione, non par
tornare, ma solo avanzare inanti poco, perché il primo cielo non è tanto
più di lei veloce allora c'ha lume assai o di sopra o di
sotto, onde non par retrograda, ma solo tarda indietro e veloce inanti.
E così si vede che né epicicli, né eccentrici ci voleno a farli alzare e
retrocedere. Vero è ch'in alcune parti del mondo han consenso con le
cose sopracelesti, e si fermano, e però diconsi alzar in eccentrico.
Del sole poi
rendono la causa fisica, che nel settentrione s'alza per contrastar la terra,
dove essa prese forza, mentre esso scorse nel merigge, quando fu il principio
del mondo. Talché in settembre bisogna dire che sia stato fatto il mondo, come
gli Ebrei e Caldei antiqui, non li moderni,
escogitaro: e così, alzando per rifar il suo, sta più giorni in
settentrione che in austro, e par salire in eccentrico.
Tengono dui
princìpi fisici: il sole padre e la terra madre; e l'aere essere cielo
impuro, e 'l fuoco venir dal sole, e 'l mar essere
sudore della terra liquefatta dal sole e unir l'aere con la terra, come il
sangue lo spirito col corpo umano; e 'l mondo essere animal grande, e noi star
intra lui, come i vermi nel nostro corpo; e però noi appartenemo alla
providenza di Dio, e non del mondo e delle stelle, perché rispetto a loro siamo
casuali; ma rispetto a Dio, di cui essi son stromenti, siamo antevisti e
provisti; però a Dio solo avemo l'obligo di signore, di padre e di
tutto.
Tengono per cosa
certa l'immortalità dell'anima, e che s'accompagni,
morendo, con spiriti buoni o rei, secondo il merito. Ma li
luoghi delle pene e premi non l'han tanto per certi; ma assai ragionevole pare
che sia il cielo e i luochi sotterranei. Stanno anche molto curiosi di sapere
se queste sono eterne o no. Di più son certi che vi siano angeli buoni e
tristi, come avviene tra gli uomini, ma quel che
sarà di loro aspettano avviso dal cielo. Stanno in dubbio se ci siano altri mondi fuori di questo, ma stimano pazzia dir che
non ci sia niente, perché il niente né dentro né fuori del mondo è, e
Dio, infinito ente, non comporta il niente seco.
Fanno metafisici
princìpi delle cose l'ente, ch'è Dio, e 'l niente, ch'è il
mancamento dell'essere, come condizione senza cui
nulla si fa: perché non se faria si fosse, dunque non era quel che si fa. Dal
correre al niente nasce il male e 'l peccato;
però il peccatore si dice annichilarsi e il peccato ha causa deficiente,
non efficiente. La deficienza è il medesimo che mancanza, cioè o
di potere o di sapere o di volere, e in questo ultimo metteno il peccato. perché chi può e sa ben fare, deve volere, perché la
volontà nasce da loro, ma non e contra. Qui ti stupisci
ch'adorano Dio in Trinitate, dicendo ch'è somma Possanza, da cui procede
somma Sapienza, e d'essi entrambi, sommo Amore. Ma non conosceno le persone distinte e nominate al modo nostro,
perché non ebbero revelazione, ma sanno ch'in Dio ci è processione e
relazione di sé a sé; e così tutte cose compongono di possanza, sapienza
ed amore, in quanto han l'essere; d'impotenza, insipienza e disamore, in quanto
pendeno dal non essere. E per quelle meritano, per queste peccano, o di
peccato di natura nelli primi, o d'arte in tutti tre. E così la natura
particolare pecca nel far mostri per impotenza o ignoranza. Ma tutte queste
cose son intese da Dio potentissimo, sapientissimo ed ottimo,
onde in lui nullo ente pecca e fuor di lui sì; ma non si va fuor
di lui, se non per noi, non per lui, perché in noi la deficienza è, in
lui l'efficienza. Onde il peccare è atto di Dio, in quanto ha essere ed
efficienza; ma in quanto ha non essere e deficienza, nel che consiste la
quidità d'esso peccare è in noi, ch'al
non essere e disordine decliniamo.
OSPITALARIO - Oh, come sono arguti!
GENOVESE - S'io avesse tenuto a mente, e non avesse pressa e paura, io ti sfondacaria
gran cose; ma perdo la nave, se non mi parto.
OSPITALARIO - Per tua fé dimmi questo solo: che dicono del
peccato d'Adamo?
GENOVESE - Essi confessano che nel mondo ci sia gran
corruttela, e che gli uomini si reggono follemente e non con ragione; e che i
buoni pateno e i tristi reggono; benché chiamano infelicità quella loro,
perché è annichilirsi il mostrarsi quel che non sei, cioè d'esser
re, d'essere buono, d'esser savio, e non esser in verità. Dal che
argomentano che ci sia stato gran scompiglio nelle cose umane, e stavano per
dire con Platone, che li cieli prima giravano
dall'occaso, là dove mo è il levante, e poi variano. Dissero anco
che può essere che governi qualche inferior Virtù, e la prima lo
permetta, ma questo pur stimano pazzia. Più pazzia è dire che
prima resse Saturno bene, e poi Giove, e poi gli altri pianeti; ma confessano
che l'età del mondo succedono secondo l'ordine di pianeti, e credeno che
la mutanza degli assidi ogni mille anni o mille
seicento variano il mondo. E questa nostra età par che sia di Mercurio, si bene le congiunzioni magne
l'intravariano, e l'anomalie han gran forza fatale.
Finalmente dicono
ch'è felice il cristiano, che si contenta di credere che sia avvenuto
per il peccato d'Adamo tanto scompiglio, e credono che dai padri a' figli corre il male più della pena che della
colpa. Ma dai figli al padre torna la colpa, perché trascuraro la generazione,
la fecero fuor di tempo e luoco, in peccato e senza scelta di genitori, e
trascuraro l'educazione, ché mal l'indottrinaro. Però essi attendeno
assai a questi due punti, generazione ed educazione; e
dicono che la pena e la colpa redonda alla città, tanto de' figli,
quanto de' padri; però non si vedeno bene e par che il mondo si regga a
caso. Ma chi mira la costruzione del mondo, l'anatomia dell'uomo (come essi fan de' condannati a morte; anatomizzandoli) e delle
bestie e delle piante, e gli usi delle parti e particelle loro, è
forzato a confessare la providenza di Dio ad alta voce. Però si deve
l'uomo molto dedicare alla vera religione, ed onorar l'autor suo; e questo non
può ben fare chi non investiga l'opere sue e
non attende a ben filosofare, e chi non osserva le sue leggi sante: "Quel
che non vuoi per te non far ad altri, e quel che vuoi per te fa' tu il
medesimo." Dal che ne segue, che si dai figli e dalle genti noi onor
cercamo, alli quali poco damo, assai più dovemo noi a Dio, da cui tutto
ricevemo, in tutto siamo e per tutto. Sia sempre lodato.
OSPITALARIO - Se questi, che seguon solo la legge della natura, sono tanto vicini al
cristianesimo, che nulla cosa aggiunge alla legge naturale si
non i sacramenti, io cavo argumento di questa relazione che la vera legge
è la cristiana, e che, tolti gli abusi, sarà signora del mondo. E
che però gli Spagnuoli trovaro il resto del mondo, benché il primo
trovatore fu il Colombo vostro genovese, per unirlo tutto ad una legge; e
questi filosofi saran testimoni della verità, eletti da Dio. E vedo che
noi non sappiamo quel che facemo, ma siamo instromenti di Dio. Quelli vanno per
avarizia di danari cercando nuovi paesi, ma Dio
intende più alto fine. Il sole cerca strugger la terra, non far piante
ed uomini; ma Dio si serve di loro in questo. Sia laudato.
GENOVESE - Oh, se sapessi che cosa dicono per astrologia e per l'istessi profeti
nostri ed ebrei e d'altre genti di questo secolo nostro, c'ha più storia
in cento anni che non ebbe il mondo in quattro mila; e più libri si
fecero in questi cento che in cinque mila: e dell'invenzioni
stupende della calamita e stampe ed archibugi, gran segni dell'union del
mondo; e come, stando nella triplicità quarta l'asside di Mercurio a
tempo che le congiunzioni magne si faceano in Cancro, fece queste cose
inventare per la Luna e Marte, che in quel segno valeno al navigar novo, novi
regni e nove armi. Ma entrando l'asside di Saturno in Capricorno, e di Mercurio
in Sagittario, e di Marte in Vergine, e le congiunzioni magne tornando alla
triplicità prima dopo l'apparizion della stella nova in Cassiopea,
sarà grande monarchia nova, e di leggi riforma
e d'arti, e profeti e rinovazione. E dicono che a' cristiani questo
apporterà grand'utile; ma prima si svelle e monda, poi s'edifica e
pianta.
Abbi pazienza,
che ho da fare.
Questo sappi,
c'han trovato l'arte del volare, che sola manca al mondo, ed aspettano un
occhiale di veder le stelle occulte ed un oricchiale d'udir l'armonia delli
moti di pianeti.
OSPITALARIO - Oh! oh! oh! mi piace. Ma Cancro è segno
feminile di Venere e di Luna, e che può far di bene?
GENOVESE - Essi dicono che la femina apporta fecondità di cose in cielo, e
virtù manco gagliarda rispetto a noi aver dominio. Onde si vede che in
questo secolo regnaro le donne, come l'Amazoni tra la Nubbia e 'l Monopotapa, e tra gli Europei la Rossa in Turchia, la Bona
in Polonia, Maria in Ongheria, Elisabetta in Inghilterra, Catarina in Francia,
Margherita in Fiandra, la Bianca in Toscana, Maria in Scozia, Camilla in Roma
ed Isabella in Spagna, inventrice del mondo novo. E 'l
poeta di questo secolo incominciò dalle donne dicendo: "Le donne, i
cavalier, l'armi e l'amori." E tutti son maledici li poeti d'ogge per
Marte; e per Venere e per la Luna parlano di bardascismo e puttanesmo. E gli
uomini si effemminano e si chiamano "Vossignoria"; ed in Africa, dove
regna Cancro, oltre l'Amazoni, ci sono in Fez e Marocco li
bordelli degli effeminati publici, e mille sporchezze.
Non però
restò, per esser tropico segno Cancro ed esaltazion di Giove ed
apogìo del Sole e di Marte trigono, sì come per la Luna e Marte e
Venere ha fatto la nova invenzion del mondo e la stupenda
maniera di girar tutta la terra e l'imperio donnesco, e per Mercurio e Marte e
Giove le stampe ed archibugi, di non far anche de leggi gran mutamento. Ché del
mondo nono e in tutte le marine d'Africa e Asia australi è entrato il
cristianesimo per Giove e Sole, ed in Africa la legge del Seriffo per la Luna,
e per Marte in Persia quella d'Alle, renovata dal
Sofì, con mutarsi imperio in tutte quelle parti ed in Tartaria. Ma in
Germania, Francia ed Inghilterra entrò l'eresia per esser esse a Marte
ed alla Luna inchinate; e Spagna per Giove ed Italia per il Sole, a cui sottostanno, per Sagittario e Leone, segni loro,
restaro nella bellezza della legge cristiana pura. E quante cose saran
più di mo inanzi, e quanto imparai da questi savi circa la mutazion
dell'assidi de' pianeti e dell'eccentricità e
solstizi ed equinozi ed obliquitati, e poli variati e confuse figure nello
spazio immenso; e del simbolo c'hanno le cose nostrali con quelle di fuori del
mondo; e quanto seque di mutamento dopo la congiunzion magna e l'eclissi, che
sequeno dopo la congiunzion magna in Ariete e Libra, segni equinoziali, con la
renovazione dell'anomalie, faran cose stupende in confirmar il decreto della
congiunzion magna e mutar tutto il mondo e rinovarlo!
Ma per tua fé non
mi trattener più, c'ho da fare. Sai come sto di pressa. Un'altra volta.
Questo si sappi,
che essi tengon la libertà dell'arbitrio. E dicono che, se in quaranta
ore di tormento un uomo non si lascia dire quel che si risolve tacere, manco le
stelle, che inchinano con modi lontani, ponno sforzare. Ma perché nel senso
soavemente fan mutanza, chi segue più il senso che la ragione è
soggetto a loro. Onde la costellazione che da Lutero cadavero cavò
vapori infetti, da' Gesuini nostri che furo al suo tempo cavò odorose
esalazioni di virtù, e da Fernando Cortese che promulgò il
cristianesimo in Messico nel medesimo tempo.
Ma di quanto
è per sequire presto nel mondo io te 'l
dirò un'altra fiata.
L'eresia è
opera sensuale, come dice S. Paolo, e le stelle nelli sensuali inchinano a
quella, nelli razionali alla vera legge santa della prima Raggione, sempre
laudanda. Amen.
OSPITALARIO - Aspetta, aspetta.
GENOVESE - Non posso, non posso.
Tommaso
Campanella (1568-1639). Frate domenicano e filosofo. Autore di numerosi
trattati teologici, filosofici e politici. Contemporaneo di Giordano Bruno e
Galileo Galilei, fu anch'egli perseguitato e incarcerato dall'Inquisizione.