HOME PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro Novelli BIBLIOTECA
Manuale
pratico per le famiglie compilato da
PELLEGRINO
ARTUSI
La scienza in
cucina e
L’ARTE DI
MANGIAR BENE
(790 ricette)
e in
appendice
“La cucina
per gli stomachi deboli”
Vedi giudizio uman come spesso erra
Avevo data l’ultima mano al mio libro La scienza in cucina e
l’Arte di mangiar bene, quando capitò in Firenze il mio dotto amico
Francesco Trevisan, professore di belle lettere al liceo Scipione Maffei di
Verona. Appassionato cultore degli studi foscoliani, fu egli eletto a far parte
del Comitato per erigere un monumento in Santa Croce al Cantor dei Sepolcri. In
quella occasione avendo avuto il piacere di ospitarlo in casa mia, mi parve
opportuno chiedergli il suo savio parere intorno a quel mio culinario lavoro;
ma ohimé! che, dopo averlo esaminato, alle mie povere fatiche di tanti anni
pronunziò la brutta sentenza: Questo è un libro che
avrà poco esito.
Sgomento, ma non del tutto convinto della sua opinione, mi
pungeva il desiderio di appellarmi al giudizio del pubblico; quindi pensai di
rivolgermi per la stampa a una ben nota casa editrice di Firenze, nella
speranza che, essendo coi proprietari in relazione quasi d’amicizia per avere
anni addietro spesovi una somma rilevante per diverse mie pubblicazioni, avrei
trovato in loro una qualche condiscendenza. Anzi, per dar loro coraggio,
proposi a questi Signori di far l’operazione in conto sociale e perché fosse
fatta a ragion veduta, dopo aver loro mostrato il manoscritto, volli che
avessero un saggio pratico della mia cucina invitandoli un giorno a pranzo, il
quale parve soddisfacente tanto ad essi quanto agli altri commensali invitati a
tener loro buona compagnia.
Lusinghe vane, perocché dopo averci pensato sopra e tentennato
parecchio, uno di essi ebbe a dirmi: - Se il suo lavoro l’avesse fatto Doney,
allora solo se ne potrebbe parlar sul serio. - Se l’avesse compilato Doney - io
gli risposi - probabilmente nessuno capirebbe nulla come avviene del grosso
volume Il re de’ cuochi; mentre con questo Manuale pratico basta si
sappia tenere un mestolo in mano, che qualche cosa si annaspa.
Qui è bene a sapersi che gli editori generalmente non si
curano più che tanto se un libro è buono o cattivo, utile o
dannoso; per essi basta, onde poterlo smerciar facilmente, che porti in fronte
un nome celebre o conosciutissimo, perché questo serva a dargli la spinta e
sotto le ali del suo patrocinio possa far grandi voli.
Da capo dunque in cerca di un più facile intraprenditore,
e conoscendo per fama un'altra importante casa editrice di Milano, mi rivolsi
ad essa, perché pubblicando d'omnia generis musicorum, pensavo che in
quella farragine potesse trovare un posticino il mio modesto lavoro. Fu per me
molto umiliante questa risposta asciutta asciutta: - Di libri di cucina non ci
occupiamo.
- Finiamola una buona volta - dissi allora fra me - di mendicare
l'aiuto altrui e si pubblichi a tutto mio rischio e pericolo; - e infatti ne
affidai la stampa al tipografo Salvadore Landi; ma mentre ne trattavo le
condizioni mi venne l'idea di farlo offrire ad un altro editore in grande,
più idoneo per simili pubblicazioni. A dire il vero trovai lui
più propenso di tutti; ma, ohimé (di nuovo) a quali patti! L.200 prezzo
dell'opera e la cessione dei diritti d'autore. Ciò, e la riluttanza
degli altri, provi in quale discredito erano caduti i libri di cucina in
Italia!
A sì umiliante proposta uscii in una escandescenza, che
non occorre ripetere, e mi avventurai a tutte mie spese e rischio; ma
scoraggiato come ero, nella prevenzione di fare un fiasco solenne, ne feci
tirare mille copie soltanto.
Accadde poco dopo che a Forlimpopoli, mio paese nativo, erasi
indetta una gran fiera di beneficenza e un amico mi scrisse di contribuirvi con
due esemplari della vita del Foscolo; ma questa essendo allora presso di me
esaurita, supplii con due copie della Scienza in cucina e l' Arte di
mangiar bene. Non l'avessi mai fatto, poiché mi fu riferito che quelli che
le vinsero invece di apprezzarle le misero alla berlina e le andarono a vendere
al tabaccaio.
Ma né anche questa fu l'ultima delle mortificazioni subite,
perocché avendone mandata una copia a una Rivista di Roma, a cui ero
associato, non che dire due parole sul merito del lavoro e fargli un poco di
critica, come prometteva un avviso dello stesso giornale pei libri mandati in
dono, lo notò soltanto nella rubrica di quelli ricevuti, sbagliandone
perfino il titolo.
Finalmente dopo tante bastonature, sorse spontaneamente un uomo
di genio a perorar la mia causa. Il professor Paolo Mantegazza, con
quell’intuito pronto e sicuro che lo distingueva, conobbe subito che quel mio
lavoro qualche merito lo aveva, potendo esser utile alle famiglie; e,
rallegrandosi meco, disse: - Col darci questo libro voi avete fatto un’opera
buona e perciò vi auguro cento edizioni.
- Troppe, troppe! - risposi - sarei contento di due. - Poi con
molta mia meraviglia e sorpresa, che mi confusero, lo elogiò e lo
raccomandò all’uditorio in due delle sue conferenze.
Cominciai allora a prender coraggio e vedendo che il libro
propendeva ad aver esito, benché lento da prima, scrissi all’ amico di
Forlimpopoli, lagnandomi dell’offesa fatta ad un libro che forse un giorno
avrebbe recato onore al loro paese; la stizza non mi fece dir mio.
Esitata la prima edizione, sempre con titubanza, perché ancora
non ci credevo, misi mano alla seconda, anche questa di soli mille esemplari;
la quale avendo avuto smercio più sollecito dell’antecedente, mi
diè coraggio d’intraprender la terza di copie duemila e poi la quarta e
quinta di tremila ciascuna. A queste seguono, a intervalli relativamente brevi,
sei altre edizioni di quattromila ciascuna e finalmente, vedendo che questo
manuale, quanto più invecchiava più acquistava favore e la
richiesta si faceva sempre più viva, mi decisi a portare a seimila, a
diecimila, poi a quindicimila, il numero delle copie di ciascuna delle
successive edizioni. Con questa trentacinquesima edizione si è giunti in
tutto al numero di 283.000 copie date alla luce finora, e quasi sempre con
l’aggiunta di nuove ricette (perché quest’arte è inesauribile); la qual
cosa mi è di grande conforto specialmente vedendo che il libro è
comprato anche da gente autorevole e da professori di vaglia.
Punzecchiato nell’amor proprio da questo risultato felice, mi
premeva rendermi grato al pubblico con edizioni sempre più eleganti e
corrette e sembrandomi di non vedere in chi presiedeva alla stampa tutto
l’impegno per riuscirvi, gli dissi un giorno in tono di scherzo: - Dunque anche
lei, perché questo mio lavoro sa di stufato, sdegna forse di prenderlo in
considerazione? Sappia però, e lo dico a malincuore, che con le tendenze
del secolo al materialismo e ai godimenti della vita, verrà giorno, e
non è lontano, che saranno maggiormente ricercati e letti gli scritti di
questa specie; cioè di quelli che recano diletto alla mente e danno
pascolo al corpo, a preferenza delle opere, molto più utili
all'umanità, dei grandi scienziati.
Cieco chi non lo vede! Stanno per finire i tempi delle seducenti
e lusinghiere ideali illusioni e degli anacoreti; il mondo corre assetato,
anche più che non dovrebbe, alle vive fonti del piacere, e però
chi potesse e sapesse temperare queste pericolose tendenze con una sana morale
avrebbe vinto la palma.
Pongo fine a questa mia cicalata non senza tributare un elogio e
un ringraziamento ben meritati alla Casa Editrice Bemporad di Firenze, la quale
si è data ogni cura di far conoscere questo mio Manuale al pubblico e di
divulgarlo.
La cucina è una bricconcella; spesso e volentieri fa
disperare, ma dà anche piacere, perché quelle volte che riuscite o che
avete superata una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria.
Diffidate dei libri che trattano di quest'arte: Sono la maggior
parte fallaci o incomprensibili, specialmente quelli italiani; meno peggio i
francesi: al più al più, tanto dagli uni che dagli altri potrete
attingere qualche nozione utile quando l’arte la conoscete.
Se non si ha la pretesa di diventare un cuoco di baldacchino non
credo sia necessario per riuscire, di nascere con una cazzaruola in capo basta
la passione, molta attenzione e l'avvezzarsi precisi: poi scegliete sempre per
materia prima roba della più fine, che questa vi farà figurare.
Il miglior maestro è la pratica sotto un esercente
capace; ma anche senza di esso, con una scorta simile a questa mia, mettendovi
con molto impegno al lavoro, potrete, io spero, annaspar qualche cosa.
Vinto dalle insistenze di molti miei conoscenti e di signore,
che mi onorano della loro amicizia, mi decisi finalmente di pubblicare il
presente volume, la cui materia, già preparata da lungo tempo, serviva
per solo mio uso e consumo. Ve l'offro dunque da semplice dilettante qual sono,
sicuro di non ingannarvi, avendo provati e riprovati più volte questi
piatti da me medesimo; se poi voi non vi riuscirete alla prima, non vi
sgomentate; buona volontà ed insistenza vuol essere, e vi garantisco che
giungerete a farli bene e potrete anche migliorarli, imperocché io non presumo
di aver toccato l'apice della perfezione.
Ma, vedendo che si è giunti con questa alla trentacinquesima
edizione e alla tiratura di duecentottantatremila esemplari, mi giova credere
che nella generalità a queste mie pietanze venga fatto buon viso e che
pochi, per mia fortuna, mi abbiano mandato finora in quel paese per imbarazzo
di stomaco o per altri fenomeni che la decenza mi vieta di nominare.
Non vorrei però che per essermi occupato di culinaria mi
gabellaste per un ghiottone o per un gran pappatore; protesto, se mai, contro
questa taccia poco onorevole, perché non sono né l'una né l'altra cosa. Amo il
bello ed il buono ovunque si trovino e mi ripugna di vedere straziata, come
suol dirsi, la grazia di Dio. Amen.
Due sono le funzioni principali della vita: la nutrizione e la
propagazione della specie; a coloro quindi che, rivolgendo la mente a questi
due bisogni dell'esistenza, li studiano e suggeriscono norme onde vengano
sodisfatti nel miglior modo possibile, per render meno triste la vita stessa, e
per giovare all'umanità, sia lecito sperare che questa, pur se non apprezza
le loro fatiche, sia almeno prodiga di un benigno compatimento.
Il senso racchiuso in queste poche righe, premesse alla terza
edizione, essendo stato svolto con più competenza in una lettera
familiare a me diretta dal chiarissimo poeta Lorenzo Stecchetti, mi procuro il
piacere di trascrivervi le sue parole.
Il genere umano - egli dice - dura solo perché l'uomo ha
l'istinto della conservazione e quello della riproduzione e sente vivissimo il
bisogno di sodisfarvi. Alla sodisfazione di un bisogno va sempre unito un
piacere e il piacere della conservazione si ha nel senso del gusto e quello
della riproduzione nel senso del tatto. Se l'uomo non appetisse il cibo o non
provasse stimoli sessuali, il genere umano finirebbe subito.
Il gusto e il tatto sono quindi i sensi più necessari,
anzi indispensabili alla vita dell'individuo e della specie. Gli altri aiutano
soltanto e si può vivere ciechi e sordi, ma non senza l'attività
funzionale degli organi del gusto.
Come è dunque che nella scala dei sensi i due più
necessari alla vita ed alla sua trasmissione sono reputati più vili?
Perché quel che sodisfa gli altri sensi, pittura, musica, ecc., si dice arte,
si ritiene cosa nobile, ed ignobile invece quel che sodisfa il gusto? Perché
chi gode vedendo un bel quadro o sentendo una bella sinfonia è reputato
superiore a chi gode mangiando un'eccellente vivanda? Ci sono dunque tali
ineguaglianze anche tra i sensi che chi lavora ha una camicia e chi non lavora
ne ha due?
Deve essere pel tirannico regno che il cervello esercita ora su
tutti gli organi del corpo. Al tempo di Menenio Agrippa dominava lo stomaco,
ora non serve nemmeno più, o almeno serve male. Tra questi eccessivi
lavoratori di cervello ce n'è uno che digerisca bene? Tutto è nervi,
nevrosi, nevrastenia, e la statura, la circonferenza toracica, la forza di
resistenza e di riproduzione calano ogni giorno in questa razza di saggi e di
artisti pieni d'ingegno e di rachitide, di delicatezze e di glandule, che non
si nutre, ma si eccita e si regge a forza di caffè, di alcool e di
morfina. Perciò i sensi che si dirigono alla cerebrazione sono stimati
più nobili di quelli che presiedono alla conservazione, e sarebbe ora di
cassare questa ingiusta sentenza.
O santa bicicletta che ci fa provare la gioia di un robusto
appetito a dispetto dei decadenti e dei decaduti, sognanti la clorosi, la tabe
e i gavoccioli dell'arte ideale! All'aria, all'aria libera e sana, a far rosso
il sangue e forti i muscoli! Non vergogniamoci dunque di mangiare il meglio che
si può e ridiamo il suo posto anche alla gastronomia. Infine anche il
tiranno cervello ci guadagnerà, e questa società malata di nervi
finirà per capire che, anche in arte, una discussione sul cucinare
l'anguilla, vale una dissertazione sul sorriso di Beatrice.
Non si vive di solo pane, è vero; ci vuole anche il
companatico; e l'arte di renderlo più economico, più sapido,
più sano, lo dico e lo sostengo, è vera arte. Riabilitiamo il
senso del gusto e non vergogniamoci di sodisfarlo onestamente, ma il meglio che
si può, come ella ce ne dà i precetti.
Tiberio imperatore diceva che l'uomo, giunto all'età di
trentacinque anni, non dovrebbe avere più bisogno di medico. Se questo
aforismo, preso in senso largo è vero, non è men vero che il
medico, chiamato a tempo, può troncare sul bel principio una malattia ed
anche salvarvi da immatura morte; il medico poi se non guarisce, solleva
spesso, consola sempre.
La massima dell'imperatore Tiberio è vera in quanto che
l'uomo arrivato a metà del corso della vita dovrebbe avere acquistata
tanta esperienza sopra sé stesso da conoscere ciò che gli nuoce e
ciò che gli giova e con un buon regime dietetico governarsi in modo da
tenere in bilico la salute, la qual cosa non è difficile se questa non
è minacciata da vizii organici o da qualche viscerale lesione. Oltre a
ciò dovrebbe l'uomo, giunto a quell'età, essersi persuaso che la
cura profilattica, ossia preventiva, è la migliore, che ben poco evvi a
sperare dalle medicine e che il medico più abile è colui che ordina
poco e cose semplici.
Le persone nervose e troppo sensibili, specialmente se
disoccupate ed apprensive, si figurano di aver mille mali che hanno sede solo
nella loro immaginazione. Una di queste, parlando di sé stessa, diceva un
giorno al suo medico: “Io non capisco come possa campare un uomo con tanti
malanni addosso”. Eppure non solo è campata con qualche incomoduccio
comune a tanti altri; ma essa ha raggiunto una tarda età.
Questi infelici ipocondriaci, che altro non sono, meritano tutto
il nostro compatimento imperocché non sanno svincolarsi dalle pastoie in cui li
tiene una esagerata e continua paura, e non c'è modo a persuaderli,
ritenendosi ingannati dallo zelo di coloro che cercano di confortarli. Spesso
li vedrete coll'occhio torvo e col polso in mano gettar sospiri, guardarsi con
ribrezzo allo specchio ed osservare la lingua; la notte di soprassalto balzar
dal letto, spaventati per palpitar del cuore in sussulto. Il vitto per essi
è una pena, non solo per la scelta de' cibi; ma ora temendo di aver
mangiato troppo, stanno in apprensione di qualche accidente, ora volendo
correggersi con astinenza eccessiva hanno insonnia la notte e sogni molesti.
Col pensiero sempre a sé stessi pel timore di prendere un raffreddore o un mal
di petto, escono ravvolti in modo che sembrano fegatelli nella rete, e ad ogni
po' d'impressione fredda che sentono soprammettono involucri sopra involucri da
disgradarne, sto per dir, le cipolle. Per questi tali non c'è medicina
che valga e un medico coscienzioso dirà loro: divagatevi, distraetevi,
passeggiate spesso all'aria aperta per quanto le vostre forze il comportano,
viaggiate, se avete quattrini, in buona compagnia e guarirete. S'intende bene
che io in questo scritto parlo alle classi agiate, ché i diseredati dalla fortuna
sono costretti, loro malgrado, a fare di necessità virtù e
consolarsi riflettendo che la vita attiva e frugale contribuisce alla
robustezza dei corpo e alla conservazione della salute. Da questi preliminari
passando alla generalità di una buona igiene, permettetemi vi rammenti
alcuni precetti che godono da lungo tempo la sanzione scientifica, ma che non
sono ripetuti mai abbastanza; e per primo, parlandovi del vestiario, mi rivolgo
alle signore mamme e dico ad esse: cominciate a vestir leggieri, fino dall'infanzia,
i vostri bambini, che poi fatti adulti con questo metodo risentiranno meno le
brusche variazioni dell'atmosfera e andranno meno soggetti alle infreddature,
alle bronchiti. Se poi, durante l'inverno, non eleverete ne' vostri
appartamenti il calore delle stufe oltre ai 12 o 14 gradi, vi salverete
probabilmente dalle polmoniti che sono così frequenti oggigiorno.
Alle prime frescure non vi aggravate, a un tratto, di troppi
panni, basta un indumento esterno e precario per poterlo deporre e riprendere a
piacere nel frequente alternarsi della stagione fino a che non saremo entrati
nel freddo costante. Quando poi vi avvicinate alla primavera rammentatevi
allora del seguente proverbio che io trovo di una verità indiscutibile:
Di aprile non ti alleggerire,
Di maggio va' adagio,
Di giugno getta via lo cotticugno,
Ma non lo impegnare
Ché potrebbe abbisognare.
Cercate di abitar case sane con molta luce e ventilate:
dov’entra il sole fuggono le malattie. Compassionate quelle signore che
ricevono quasi all'oscuro, che quando andate a visitarle inciampate nei mobili
e non sapete dove posare il cappello. Per questo loro costume di vivere quasi
sempre nella penombra, di non far moto a piedi e all'aria libera ed aperta, e
perché tende naturalmente il loro sesso a ber poco vino e a cibarsi scarsamente
di carne, preferendo i vegetali e i dolciumi, non trovate fra loro le guance
rosee, indizio di prospera salute, le belle carnagioni tutto sangue e latte,
non cicce sode, ma floscie e visi come le vecce fatte nascere al buio per
adornare i sepolcri il giovedì santo. Qual maraviglia allora di veder
fra le donne tante isteriche, nevrotiche ed anemiche?
Avvezzatevi a mangiare d'ogni cosa se non volete
divenire incresciosi alla famiglia. Chi fa delle esclusioni parecchie offende
gli altri e il capo di casa, costretti a seguirlo per non raddoppiar le
pietanze. Non vi fate schiavi del vostro stomaco: questo viscere capriccioso,
che si sdegna per poco, pare si diletti di tormentare specialmente coloro che
mangiano più del bisogno, vizio comune di chi non è costretto
dalla necessita al vitto frugale. A dargli retta, ora con le sue nausee ora col
rimandarvi alla gola il sapore de' cibi ricevuti ed ora con moleste
acidità, vi ridurrebbe al regime de' convalescenti. In questi casi, se non
avete nulla a rimproverarvi per istravizio, muovetegli guerra; combattetelo
corpo a corpo per vedere di vincerlo; ma se poi assolutamente la natura si
ribella ad un dato alimento, allora solo concedetegli la vittoria e smettete.
Chi non esercita attività muscolare deve vivere
più parco degli altri e a questo proposito Agnolo Pandolfini nel Trattato
del governo della famiglia, dice: “Trovo che molto giova la dieta, la
sobrietà, non mangiare, non bere, se non vi sentite fame o sete. E provo
in me questo, per cosa cruda e dura che sia a digestire, vecchio come io sono,
dall'un sole all'altro mi trovo averla digestita. Figliuoli miei, prendete
questa regola brieve, generale e molto perfetta. Ponete cura in conoscere qual
cosa v'è nociva, e da quella vi guardate; e quale vi giova e fa pro
quella seguite e continuate”.
Allo svegliarvi la mattina consultate ciò che più
si confà al vostro stomaco; se non lo sentite del tutto libero
limitatevi ad una tazza di caffè nero, e se la fate precedere da mezzo
bicchier d'acqua frammista a caffè servirà meglio a sbarazzarvi
dai residui di una imperfetta digestione. Se poi vi trovate in perfetto stato e
(avvertendo di non pigliare abbaglio perché c'è anche la falsa fame)
sentite subito bisogno di cibo, indizio certo di buona salute e pronostico di
lunga vita, allora viene opportuno, a seconda del vostro gusto, col
caffè nero un crostino imburrato, o il caffè col latte, oppure la
cioccolata. Dopo quattr'ore circa, che tante occorrono per digerire una
colazione ancorché scarsa e liquida, si passa secondo l'uso moderno alla
colazione solida delle 11 o del mezzogiorno.
Questo pasto, per essere il primo della giornata, è
sempre il più appetitoso, e perciò non conviene levarsi del tutto
la fame, se volete gustare il pranzo e, ammenoché non conduciate vita attiva e
di lavoro muscolare, non è bene il pasteggiar col vino, perché il rosso
non è di facile digestione e il bianco essendo alcoolico, turba la mente
se questa deve stare applicata.
Meglio è il pasteggiar la mattina con acqua pura e bere
in fine un bicchierino o due di vino da bottiglia, oppure il far uso di the
semplice o col latte che io trovo molto omogeneo; non aggrava lo stomaco e,
come alimento nervoso e caldo aiuta a digerire.
Nel pranzo, che è il pasto principale della giornata e,
direi, quasi una festa di famiglia, si può scialare, ma più
durante l'inverno che nell'estate, perché nel caldo si richiedono alimenti
leggieri e facili a digerirsi. Più e diverse qualità di cibi, dei
due regni della natura, ove predomini l'elemento carneo, contribuiscono meglio
a una buona digestione specialmente se annaffiati da vino vecchio ed asciutto;
ma guardatevi dalle scorpacciate come pure da quei cibi che sono soliti a
sciogliervi il corpo, e non dilavate lo stomaco col troppo bere. A questo
proposito alcuni igienisti consigliano il pasteggiar coll'acqua anche durante
il pranzo, serbando il vino alla fine. Fatelo se ve ne sentite il coraggio; a
me sembra un troppo pretendere.
Se volete una buona regola, nel pranzo arrestatevi al primo boccone
che vi fa nausea e senz'altro passate al dessert. Un'altra buona
consuetudine contro le indigestioni e all'esuberanza di nutrimento è di
mangiar leggiero il giorno appresso a quello in cui vi siete nutriti di cibi
gravi e pesanti.
Il gelato non nuoce alla fine del pranzo, anzi giova, perché
richiama al ventricolo il calore opportuno a ben digerire; ma guardatevi
sempre, se la sete non ve lo impone, di bere tra un pasto e l'altro, per non
disturbare la digestione, avendo bisogno questo lavoro di alta chimica della
natura di non essere molestato.
Fra la colazione e il pranzo lasciate correre un intervallo di
sette ore, che tante occorrono per una completa digestione, anzi non bastano
per quelli che l'hanno lenta, cosicché avendo luogo la colazione alle undici,
meglio è trasportare il pranzo alle sette; ma veramente non si dovrebbe
ritornare al cibo altro che quando lo stomaco chiama con insistenza soccorso, e
questo bisogno tanto più presto si farà imperioso se lo provocate
con una passeggiata all'aria libera oppure con qualche esercizio temperato e
piacevole.
“L’esercizio, dice il precitato Agnolo Pandolfini, conserva la
vita, accende il caldo e il vigore naturale, schiuma superchie e cattive
materie e umori, fortifica ogni virtù del corpo e de' nervi; è
necessario a' giovani, utile a' vecchi. Colui non faccia esercizio, che non
vuole vivere sano e lieto. Socrate, si legge, in casa ballava e saltava per
esercitarsi. La vita modesta, riposata e lieta fu sempre ottima medicina alla
sanità”.
La temperanza e l'esercizio dei corpo sono dunque i due perni su
cui la salute si aggira; ma avvertite che quando eccede, cangiata in vizio
la virtù si vede, imperocché le perdite continue dell'organismo
hanno bisogno di riparazione. Dalla pletora per troppo nutrimento guardatevi
dal cadere nell'eccesso opposto di una scarsa e insufficiente alimentazione per
non lasciarvi indebolire.
Durante l'adolescenza ossia nel crescere, l'uomo ha bisogno di
molto nutrimento; per l'adulto e specialmente pel vecchio la moderazione nel cibo
è indispensabile virtù per prolungare la vita.
A coloro che hanno conservata ancora la beata usanza de' nostri
padri di pranzare a mezzogiorno o al tocco, rammenterò l'antichissimo
adagio: Post prandium stabis et post cenam ambulabis; a tutti poi, che la
prima digestione si fa in bocca, quindi non si potrebbe mai abbastanza
raccomandare la conservazione dei denti, per triturare e macinare
convenientemente i cibi, che coll'aiuto della saliva, si digeriscono assai
meglio di quelli tritati e pestati in cucina, i quali richiedono poca
masticazione, riescono pesanti allo stomaco, come se questo viscere sentisse
sdegno per avergli tolto parte del suo lavoro; anzi molti cibi riputati
indigesti possono riescire digeribili e gustati meglio mediante una forte masticazione.
Se con la guida di queste norme saprete regolar bene il vostro
stomaco, da debole che era il renderete forte, e se forte di natura, tale il
conserverete senza ricorrere ai medicamenti. Rifuggite dai purganti, che sono
una rovina se usati di frequente, e ricorrete ad essi ben di rado e soltanto
quando la necessità il richieda. Molte volte le bestie col loro istinto
naturale e fors'anche col raziocinio insegnano a noi come regolarci: il mio
carissimo amico Sibillone, quando prendeva un'indigestione, stava un giorno o
due senza mangiare e l'andava a smaltire sui tetti. Sono quindi da deplorare
quelle pietose mamme che, per un'esagerazione del sentimento materno, tengono
gli occhi sempre intenti alla salute de' loro piccini e ad ogni istante che li
vedono un po' mogi o non obbedienti al secesso, con quella fisima sempre in
capo de' bachi, i quali il più sovente non sono che nella loro
immaginazione, non lasciano agir la natura che, in quella età rigogliosa
ed esuberante di vita, fa prodigi lasciata a se stessa; ma ricorrono subito al
medicamento, al clistere.
L'uso de' liquori che, a non istare in guardia diventa abuso,
è riprovato da tutti gli igienisti pei guasti irreparabili che cagionano
nell'organismo umano. Può fare eccezione soltanto un qualche leggero
poncino di cognac (sia pure con l'odore del rhum) nelle fredde serate
d'inverno, perché aiuta nella notte la digestione e vi trovate la mattina con
lo stomaco più libero e la bocca migliore.
Male, male assai poi fanno coloro che si lasciano
vincere dal vino. A poco a poco, sentono nausea al cibo e si nutrono quasi
esclusivamente di quello; indi si degradano agli occhi del mondo, diventando
ridicoli, pericolosi e bestiali. C'era un mercante che quando arrivava in una
città si fermava ad una cantonata per osservar la gente che passava e
quando vedeva uno col naso rosso era sollecito a chiedergli dove si vendeva il
vino buono. Anche passando sopra al marchio d'intemperanza che questo vizio
imprime spesso sul viso, e a certe scene che destano soltanto un senso
d'ilarità - come quella di un cuoco il quale, mentre i suoi padroni
aspettavano a cena, teneva la padella sopra l'acquaio e furiosamente faceva
vento al di sotto - è certo che quando vedete questi beoni, che cogli
occhi imbambolati, mal pronunciando l'erre dicono e fanno sciocchezze spesso
compromettenti, vi sentite serrare il cuore nel timore che non si passi alle
risse e dalle risse al coltello come avviene sovente. Persistendo ancora in
questo vizio brutale, che si fa sempre più imperioso, si diventa
ubriaconi incorreggibili; i quali tutti finiscono miseramente.
Neppure sono da lodarsi coloro che cercano di procrastinare
l'appetito cogli eccitanti, imperocché se avvezzate il ventricolo ad aver
bisogno di agenti esterni per aiutarlo a digerire finirete per isnervare la sua
vitalità e l'elaborazione de' succhi gastrici diverrà difettosa.
Quanto al sonno e il riposo sono funzioni assolutamente relative da conformarle
al bisogno dell'individuo, poiché tutti non siamo ugualmente conformati, e
segue talvolta che uno si senta un malessere generale e indefinibile senza
potersene rendere ragione e questo da altro non deriva che da mancanza di
riposo riparatore.
Chiudo la serie di questi precetti, gettati giù
così alla buona e senza pretese, coi seguenti due proverbi, tolti dalla
letteratura straniera, non senza augurare al lettore felicità e lunga
vita.
PROVERBIO INGLESE
Early to bed and early to rise
Makes a man healthy, wealthy and wise
Coricarsi
presto ed alzarsi presto
Fanno l'uomo
sano, ricco e saggio.
PROVERBIO
FRANCESE
Se lever à six, déjeuner a dix
Diner à six, se coucher à dix,
Fait vivre l’homme dix fois dix.
Alzarsi alle sei, far colazione alle dieci,
Pranzare alle sei, coricarsi alle dieci
Fa viver l'uomo dieci volte dieci.
X
Lettera del poeta Lorenzo Stecchetti (Olindo Guerrini) a cui
mandai in dono una copia del mio libro di cucina, terza edizione:
On. Signor mio,
Ella non
può immaginare che gradita sorpresa mi abbia fatto il suo volume, dove
si compiacque di ricordarmi! Io sono stato e sono uno degli apostoli più
ferventi ed antichi dell'opera sua che ho trovato la migliore, la più
pratica, e la più bella, non dico di tutte le italiane che sono vere
birbonate, ma anche delle straniere. Ricorda ella il Vialardi che fa testo in
Piemonte?
“GILLÒ
ABBRAGIATO. - La volaglia spennata si abbrustia, non si sboglienta, ma
la longia di bue piccata di trifola cesellata e di giambone, si ruola a forma
di valigia in una braciera con butirro. Umiditela soventemente con grassa e
sgorgate e imbianchite due animelle e fatene una farcia da chenelle grosse un
turacciolo, da bordare la longia. Cotta che sia, giusta di sale, verniciatela
con salsa di tomatiche ridotta spessa da velare e fate per guarnitura una
macedonia di mellonetti e zuccotti e servite in terrina ben caldo”.
Non è nel libro, ma i termini ci sono tutti.
Quanto agli altri Re dei Cuochi, Regina delle Cuoche ed altre
maestà culinarie, non abbiamo che traduzioni dal francese o compilazioni
sgangherate. Per trovare una ricetta pratica e adatta per una famiglia bisogna
andare a tentone, indovinare, sbagliare. Quindi benedetto l’Artusi! È un
coro questo, un coro che le viene di Romagna, dove ho predicato con vero
entusiasmo il suo volume. Da ogni parte me ne vennero elogi. Un mio caro
parente mi scriveva: “Finalmente abbiamo un libro di cucina e non di
cannibalismo, perché tutti gli altri dicono: prendete il vostro fegato,
tagliatelo a fette, ecc.” e mi ringraziava.
Avevo anch’io l’idea di fare un libro di cucina da mettere nei
manuali dell’Hoepli. Avrei voluto fare un libro, come si dice di
volgarizzazione; ma un poco il tempo mi mancò, un poco ragioni di
bilancio mi rendevano difficile la parte sperimentale e finalmente venne il suo
libro che mi scoraggiò affatto. L’idea mi passò, ma mi è
rimasta una discreta collezione di libri di cucina che fa bella mostra di sé in
uno scaffale della sala da pranzo. La prima edizione del suo libro, rilegata,
interfogliata ed arricchita (?) di parecchie ricette, vi ha il posto d’onore.
La seconda serve alla consultazione quotidiana e la terza ruberà ora il
posto d’onore alla prima perché superba dell’autografo dell’Autore.
Così, come Ella vede, da un pezzo conosco, stimo e
consiglio l’opera sua ed Ella intenda perciò con che vivissimo piacere
abbia accolto l’esemplare cortesemente inviatomi. Prima il mio stomaco solo
provava una doverosa riconoscenza verso di Lei; ora allo stomaco si aggiunge
l’animo. È perciò, Egregio Signore, che rendendole vivissime
grazie del dono e della cortesia, mi onoro di rassegnarmi colla dovuta
gratitudine e stima.
Bologna, 19-XII-96
Suo Dev.mo
Olindo Guerrini
X
La contessa Maria Fantoni, ora vedova dell’illustre professor
Paolo Mantegazza, mi fece la inaspettata sorpresa di onorarmi dell’infrascritta
lettera, la quale serbo in conto di gradito premio alle mie povere fatiche.
San Terenzo (Golfo della
Spezia)
14 novembre ’97
Gentil.mo Signor Artusi,
Mi scusi la sfacciataggine, ma sento proprio il bisogno di
dirle, quanto il suo libro mi sia utile e caro; sì, caro, perché nemmeno
uno dei piatti che ho fatto mi è riuscito poco bene, e anzi
taluni così perfetti da riceverne elogi, e siccome il merito è suo,
voglio dirglielo per ringraziarlo sinceramente.
Ho fatto una sua gelatina di
cotogne che anderà in America; l'ho mandata a mio figliastro a Buenos
Ayres e sono sicura che sarà apprezzata al suo giusto valore. E poi lei
scrive e descrive così chiaramente che il mettere in esecuzione le sue
ricette è un vero piacere e io ne provo soddisfazione.
Tutto questo volevo dirle e
per questo mi sono permessa indirizzarle questa lettera.
Mio marito vuole esserle
rammentato con affetto.
Ed io le stringo la mano
riconoscentissima.
Maria Mantegazza
X
Le commedie della cucina,
ossia la disperazione dei poveri cuochi, quando i loro padroni invitano gli
amici a pranzo (scena tolta dal vero, soltanto i nomi cambiati):
Dice il padrone al suo cuoco:
- Bada Francesco che la
signora Carli non mangia pesce, né fresco né salato, e non tollera neanche
l'odore de' suoi derivati. Lo sai già che il marchese Gandi sente
disgusto all'odore della vainiglia. Guardati bene dalla noce moscata e dalle
spezie, perché l'avvocato Cesari questi aromi li detesta. Nei dolci che farai
avverti di escludere le mandorle amare, ché non li mangerebbe Donna Matilde
d'Alcantara. Già sai che il mio buon amico Moscardi non fa mai uso nella
sua cucina di prosciutto, lardo, carnesecca e lardone, perché questi condimenti
gli promuovono le flatulenze; dunque non ne usare in questo pranzo onde non si
dovesse ammalare.
Francesco, che sta ad
ascoltare il padrone a bocca aperta, finalmente esclama:
- Ne ha più delle
esclusioni da fare, sior padrone?
- A dirti il vero, io che conosco il gusto de' miei invitati, ne
avrei qualche altra su cui metterti in guardia. So che qualcuno di loro fa
eccezione alla carne di castrato e dice che sa di sego, altri che l'agnello non
è di facile digestione; diversi poi mi asserirono, accademicamente
parlando, che quando mangiano cavolo o patate sono presi da timpanite,
cioè portano il corpo gonfio tutta la notte e fanno sognacci; ma per
questi tiriamo via, passiamoci sopra.
- Allora ho capito - soggiunge il cuoco, e partendo borbotta tra
sé: - Per contentare tutti questi signori e scongiurare la timpanite, mi
recherò alla residenza di Marco (il ciuco di casa) a chiedergli, per
grazia, il suo savio parere e un vassoio de' suoi prodotti, senza il relativo
condimento!
Bianchire. Vedi imbiancare.
Bietola. Erba comune per uso di cucina, a foglie grandi
lanceolate, conosciuta in alcuni luoghi col nome di erbe o erbette.
Caldana. Quella stanzetta sopra la volta del forno, dove i
fornai mettono a lievitare il pane.
Carnesecca. Pancetta del maiale salata.
Cipolla. Parlando di polli, vale ventriglio.
Costoletta. Braciuola colla costola, di vitella di latte, di
agnello, di castrato e simili.
Cotoletta. Parola francese di uso comune per indicare un
pezzo di carne magra, ordinariamente di vitella di latte, non più grande
della palma di una mano, battuta e stiacciata, panata e dorata.
Crema pasticcera. Crema con la farina onde riesca meno
liquida.
Fagiuoli sgranati. Fagiuoli quasi giunti a
maturazione e levati freschi dal baccello.
Farina d'Ungheria. È farina di grano finissima
che trovasi in commercio nelle grandi città.
Filetto. Muscolo carnoso e tenero che resta sotto la
groppa dei quadrupedi; ma per estensione, dicesi anche della polpa dei pesci e
dei volatili.
Frattagliaio. Venditore di frattaglie,
Frattaglie. Tutte le interiora e le cose minute dell'animale
macellato.
Fumetto. Liquore cori estratto di anaci chiamato mistrò
in alcune provincie d'Italia.
Imbiancare. Lessare a metà.
Lardatoio. Arnese di cucina per lo più di ottone in
forma di grosso punteruolo per steccare la carne con lardone o prosciutto.
Lardo. Strutto di maiale che serve a vari usi, ma
più che altro per friggere. (A Napoli nzogna).
Lardone. Falda grassa e salata della schiena del maiale.
Lardo vergine. Lardo non ancora adoperato.
Lunetta o mezzaluna. Arnese di ferro tagliente
dalla parte esteriore ad uso di cucina per tritare carne, erbe o simili, fatto
a foggia di mezza luna, con manichi di legno alle due estremità.
Matterello. Legno lungo circa un metro e ben rotondo, col
quale si spiana e si assottiglia la pasta per far tagliatelle od altro.
Mestolo. Specie di cucchiaio di legno, pochissimo incavato
e di lungo manico, che serve a rimestar le vivande nei vasi da cucina.
Odori o mazzetto guarnito. Erbaggi odorosi, come carota,
sedano, prezzemolo, basilico, ecc. Il mazzetto si lega con un filo.
Panare. Involgere pezzetti di carne, come sarebbero le cotolette
od altro, nel pangrattato prima di cuocerli.
Pasto. Polmone dei quadrupedi.
Pietra. Rognone, arnione.
Sauté. Così chiamasi con nome francese quel vaso
di rame in forma di cazzaruola larga, ma assai più bassa, con manico
lungo, che serve per friggere a fuoco lento.
Scaloppe o
scaloppine. Fette di carne magra di vitella piccole, ben battute e cotte
senza dorarle.
Spianatoia. Asse di abete
larga e levigata sopra la quale si lavorano le paste. In alcuni luoghi, fuori
della Toscana, si chiama impropriamente tagliere; ma il tagliere è
quell'arnese di legno, grosso, quadrilatero e col manico, sul quale si batte la
carne, si trita il battuto, ecc.
Staccio. Lo staccio da
passar sughi o carne pestata è di crino nero doppio o di sottil filo di
ferro e molto più rado degli stacci comuni.
Tagliere. Vedi Spianatoia.
Tritacarne. Ho adottato anch'io, nella mia cucina, questo strumento
che risparmia la fatica di tritare col coltello e pestar nel mortaio la carne.
Vassoio. Piatto di
forma ovale sul quale si portano le vivande in tavola.
Vitella o carne di
vitella. Carne di bestia grossa, non invecchiata nel lavoro. Nell'uso
comune la confondono col manzo.
Zucchero a velo. Zucchero
bianco pestato fine e passato per uno staccio di velo.
Zucchero
vanigliato. Zucchero biondo a cui è stato dato l'odore della
vainiglia.
Sento che alcuni trovano qualche difficoltà a
raccapezzarsi per la misura dei liquidi. Davvero che questo si chiamerebbe
affogare in un bicchier d'acqua. Per bacco baccone!... comperate il misurino
bollato del decilitro e con esso troverete tutte le misure di capacità
segnate in questo volume.
La misura del
decilitro corrisponde a
Tre decilitri fanno un bicchiere comune, misura di cui qualche
volta mi servo.
Prima di entrare in materia, credo opportuno, senza pretendere
di essere scientificamente esatto, di porre qui in ordine decrescente per forza
di nutrizione, le carni di diversi animali.
1° Cacciagione, ossia selvaggina di penna e piccione.
2° Manzo.
3° Vitella.
4° Pollame.
5° Vitella di latte.
6° Castrato.
7° Selvaggina di pelo.
8° Agnello.
9° Maiale.
10° Pesce.
Ma questo prospetto può dare argomento a molte obiezioni,
perocché l'età, l'ambiente in cui gli animali vivono, e il genere di
alimentazione, possono modificare sensibilmente la natura delle carni, non solo
tra individui della stessa specie, ma render vani in parte gli apprezzamenti
addotti tra le specie diverse.
La vecchia gallina, ad esempio, fa un brodo migliore del manzo,
e il montone, che si pasce delle erbe aromatiche delle alte montagne,
può dare una carne più saporita e sostanziosa di quella della
vitella di latte. Tra i pesci poi ve ne ha alcuni, fra i quali il carpione
(specie di trota), che nutriscono quanto, e più, dei quadrupedi.
Il mondo ipocrita non vuoi dare importanza al mangiare; ma poi
non si fa festa, civile o religiosa, che non si distenda la tovaglia e non si
cerchi di pappare del meglio.
Il Pananti dice:
Tutte le società, tutte le feste
Cominciano e finiscono in pappate,
E prima che s'accomodin le teste
Voglion esser le pance accomodate.
I preti che non son dei meno accorti,
Fan dieci miglia per un desinare.
O che si faccia l'uffizio dei morti,
O la festa del santo titolare,
Se non c'è dopo la sua pappatoria
Il salmo non finisce con la gloria.
1. BRODO
Lo sa il popolo e il comune che per ottenere il brodo buono
bisogna mettere la carne ad acqua diaccia e far bollire la pentola adagino
adagino e che non trabocchi mai. Se poi, invece di un buon brodo preferiste un
buon lesso, allora mettete la carne ad acqua bollente senza tanti riguardi.
È noto pur anche che le ossa spugnose danno sapore e fragranza al brodo;
ma il brodo di ossa non è nutriente.
In Toscana è uso quasi generale di dare odore al brodo
con un mazzettino di erbe aromatiche. Lo si compone non con le foglie che si
disfarebbero, ma coi gambi del sedano, della carota, del prezzemolo e del
basilico, il tutto in piccolissime proporzioni. Alcuni aggiungono una sfoglia
di cipolla arrostita sulla brace; ma questa essendo ventosa non fa per tutti
gli stomachi. Se poi vi piacesse di colorire il brodo all'uso francese, non
avete altro a fare che mettere dello zucchero al fuoco, e quando esso
avrà preso il color bruno, diluirlo con acqua fresca. Si fa bollire per
iscioglierlo completamente e si conserva in bottiglia.
Per serbare il brodo da un giorno all'altro durante i calori
estivi fategli alzare il bollore sera e mattina.
La schiuma della pentola è il prodotto di due sostanze:
dell'albumina superficiale della carne che si coagula col calore e si unisce
all'ematosina, materia colorante del sangue.
Le pentole di terra essendo poco conduttrici del calorico sono
da preferirsi a quelle di ferro o di rame, perché meglio si possono regolare
col fuoco, fatta eccezione forse per le pentole in ghisa smaltata, di fabbrica
inglese, con la valvola in mezzo al coperchio.
Si è sempre creduto che il brodo fosse un ottimo ed
omogeneo nutrimento atto a dar vigore alle forze; ma ora i medici spacciano che
il brodo non nutrisce e serve più che ad altro a promuovere nello
stomaco i sughi gastrici. Io, non essendo giudice competente in tal materia,
lascierò ad essi la responsabilità di questa nuova teoria che ha
tutta l'apparenza di ripugnare al buon senso.
2. BRODO PER GLI AMMALATI
Un professore di vaglia che curava una signora di mia
conoscenza, gravemente malata, le aveva ordinato un brodo fatto nella seguente
maniera:
“Tagliate
magro di vitella o di manzo in bracioline sottili e mettetele distese una sopra
l'altra in un largo tegame; salatele alquanto e versate sulle medesime tanta
acqua diaccia che vi stiano sommerse. Coprite il tegame con un piatto che lo
chiuda e sul quale sia mantenuta sempre dell'acqua e fate bollire la carne per
sei ore continue, ma in modo che il bollore appena apparisca. Per ultimo fate
bollire forte per dieci minuti e passate il brodo da un pannolino.”
Con due chilogrammi di carne si otteneva così due terzi o
tre quarti di litro di un brodo di bel colore e di molta sostanza.
3. GELATINA
Muscolo senz'osso (vedi n. 323), grammi 500.
Una zampa di vitella di latte, oppure grammi 150 di zampa di
vitella.
Le zampe di due o tre polli.
Due teste di pollo coi colli.
Le zampe dei polli sbucciatele al fuoco e tagliatele a pezzi;
poi mettete ogni cosa al fuoco in due litri d'acqua diaccia; salatela a
sufficienza e fatela bollire, schiumandola, adagio adagio per sette od otto ore
continue, talché il liquido scemi della metà. Allora versate il brodo in
una catinella, e quando sarà rappreso levate il grasso della superficie;
se non si rappiglia, rimettetelo al fuoco per restringerlo di più, oppure
aggiungete due fogli di colla di pesce. Ora la gelatina è fatta, ma
bisogna chiarificarla e darle colore d'ambra. Per riuscire a questo tritate
finissima col coltello e poi pestatela nel mortaio, grammi 70 carne magra di
vitella, mettetela in una cazzaruola con un uovo e un dito (di bicchiere)
d'acqua, mescolate il tutto ben bene e versateci la gelatina diaccia. Non
ismettete di batterla con la frusta sul fuoco finché non avrà alzato il
bollore, e poi fatela bollire adagio per circa venti minuti, durante i quali
assaggiate se sta bene a sale e datele il colore.
A questo scopo basta che poniate in un cucchiaio di metallo non
stagnato due prese di zucchero e un gocciolo d'acqua, lo teniate sul fuoco
finché lo zucchero sia divenuto quasi nero, versandolo poi a pochino per volta,
onde avere la giusta gradazione del colore, nella gelatina bollente. Alcuni ci
versano anche un bicchierino di marsala.
Ora, prendete un asciugamano, bagnatelo nell’acqua, strizzatelo
bene e pel medesimo passate la detta gelatina, ancora ben calda senza spremere
e versatela subito negli stampi; d'estate, qualora non si rappigli bene, ponete
questi sul ghiaccio. Quando la vorrete sformare, passate leggermente intorno
agli stampi un cencio bagnato nell'acqua bollente. Il bello della gelatina
è che riesca chiara, non dura, trasparente e del colore del topazio.
Essa ordinariamente si serve col cappone in galantina o con qualunque altro
rifreddo. È poi un ottimo alimento per gli ammalati. Se prendesse
l'agro, per non averla consumata presto, rimettetela al fuoco e fatele spiccare
il bollore. Anche il brodo comune si rende limpido nella stessa maniera od
anche colla carne soltanto.
4. SUGO DI CARNE
La Romagna, che è a due passi dalla Toscana, avendo in
tasca la Crusca, chiama il sugo di carne brodo scuro, forse
dal colore, che tira al marrone.
Questo sugo bisognerebbe vederlo fare da un bravo cuoco; ma
spero vi riuscirà, se non squisito, discreto almeno, con queste mie
indicazioni.
Coprite il fondo di una cazzaruola con fettine
sottili di lardone o di carnesecca (quest'ultima è da preferirsi) e
sopra alle medesime trinciate una grossa cipolla, una carota e una costola di
sedano. Aggiungete qua e là qualche pezzetto di burro, e sopra questi
ingredienti distendete carne magra di manzo a pezzetti o a bracioline. Qualunque
carne di manzo è buona; anzi per meno spesa si suoi prendere quella
insanguinata del collo o altra più scadente che i macellari in Firenze
chiamano parature. Aggiungere ritagli di carne di cucina, se ne avete,
cotenne o altro, che tutto serve, purché sia roba sana. Condite con solo sale e
due chiodi di garofani e ponete la cazzaruola al fuoco senza mai toccarla.
Quando vi giungerà al
naso l'odore della cipolla bruciata rivoltate la carne, e quando la vedrete
tutta rosolata per bene, anzi quasi nera, versate acqua fredda quanta ne sta in
un piccolo ramaiuolo, replicando per tre volte l'operazione di mano in mano che
l'acqua va prosciugandosi. Per ultimo, se la quantità della carne fosse
di grammi 500 circa, versate nella cazzaruola un litro e mezzo di acqua calda,
o, ciò che meglio sarebbe, un brodo di ossa spugnose, e fatelo bollire
adagino per cinque o sei ore di seguito onde ristringere il sugo ed estrarre
dalla carne tutta la sua sostanza. Passatelo poi per istaccio, e quando il suo
grasso sarà rappreso, formando un grosso velo al disopra, levatelo tutto
per rendere il sugo meno grave allo stomaco. Questo sugo, conservandosi per
diversi giorni, può servire a molti usi e con esso si possono fare dei
buoni pasticci di maccheroni.
I colli e le teste di pollo
spezzate, uniti alla carne di manzo, daranno al sugo un sapore più
grato.
I resti della carne, benché dissugati, si possono utilizzare in
famiglia facendo delle polpette.
5. SUGO DI CARNE CHE I FRANCESI CHIAMANO SALSA
SPAGNUOLA
Questo trovato culinario dal quale si ottiene il lesso, un umido
ed un buon sugo, mi sembra bene indovinato ed economico, imperocché si utilizza
ogni cosa e il sugo può servire in tutti quei piatti in cui fa d'uopo.
Prendete un chilogrammo, compreso l'osso o la giunta, di carne
magra di manzo e da questa levatene grammi 400 tagliata in bracioline; col
resto fate, come di consueto, il brodo con litri 1 1/2, a buona misura, di
acqua.
Coprite il fondo di una cazzaruola con fettine di lardone e
prosciutto e di alcuni pezzetti di burro, trinciateci sopra una cipolla e su
questa collocate distese le bracioline. Quando la carne avrà preso
colore, a fuoco vivo, dalla parte sottostante, bagnatela con un ramaiuolo del
detto brodo, poi voltatela onde colorisca anche dall'altra parte, e dopo
versate un altro ramaiuolo di brodo, indi condite con sale, un chiodo di
garofano oppure nove o dieci chicchi di pepe contuso e un cucchiaino di
zucchero. Versate ora tutto il resto del brodo, aggiungete una carota tagliata
a fette e un mazzetto guarnito che può essere composto di prezzemolo,
sedano e di qualche altra erba odorosa. Fate bollire adagio per circa due ore,
poi levate le bracioline, passate il sugo e digrassatelo. Con questo potete
bagnare la zuppa del n. 38 e servirvene per dar sapore ad erbaggi oppure,
condensandolo con un intriso di farina di patate e burro, condire minestre
asciutte.
La farina di patate si presta meglio di quella di grano per
legare qualunque sugo.
6. SUGO DI POMODORO
Vi parlerò più avanti della salsa di
pomodoro che bisogna distinguere dal sugo il quale dev'essere semplice e
cioè di soli pomodori cotti e passati. Tutt'al più potrete unire
ai medesimi qualche pezzetto di sedano e qualche foglia di prezzemolo e di
basilico quando crediate questi odori confacenti al bisogno.
Una volta si diceva che la minestra era la biada dell'uomo; oggi
i medici consigliano di mangiarne poca per non dilatare troppo lo stomaco e per
lasciare la prevalenza al nutrimento carneo, il quale rinforza la fibra, mentre
i farinacei, di cui le minestre ordinariamente si compongono, risolvendosi in
tessuto adiposo, la rilassano. A questa teoria non contraddico: ma se mi fosse
permessa un'osservazione, direi: Poca minestra a chi non trovandosi nella
pienezza delle sue forze, né in perfetta salute, ha bisogno di un trattamento
speciale; poca minestra a coloro che avendo tendenza alla pinguedine ne
vogliono rattener lo sviluppo; poca minestra, e leggiera, ne’ pranzi di parata
se i commensali devono far onore alle varie pietanze che le vengono appresso;
ma all'infuori di questi casi una buona e generosa minestra per chi ha uno
scarso desinare sarà sempre la benvenuta, e però fatele festa.
Penetrato da questa ragione mi farò un dovere d'indicare tutte quelle
minestre che via via l'esperienza mi verrà suggerendo.
I piselli del n. 427 possono dar sapore e grazia, come tutti
sanno, alle minestre in brodo di riso, pastine e malfattini; ma si prestano
ancora meglio per improvvisare, se manca il brodo, il risotto del n. 75.
7. CAPPELLETTI ALL’USO DI ROMAGNA
Sono così chiamati per la loro forma a cappello. Ecco il
modo più semplice di farli onde riescano meno gravi allo stomaco.
Ricotta, oppure metà ricotta e metà cacio
raviggiolo, grammi 180.
Mezzo petto di cappone cotto nel burro, condito con sale e pepe,
e tritato fine fine colla lunetta.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Uova, uno intero e un rosso.
Odore di noce moscata, poche spezie, scorza di limone a chi
piace.
Un pizzico di sale.
Assaggiate il composto per poterlo al caso correggere, perché
gl'ingredienti non corrispondono sempre a un modo. Mancando il petto di
cappone, supplite con grammi 100 di magro di maiale nella lombata, cotto e
condizionato nella stessa maniera.
Se la
ricotta o il raviggiolo fossero troppo morbidi, lasciate addietro la chiara
d'uovo oppure aggiungete un altro rosso se il composto riescisse troppo sodo.
Per chiuderlo fate una sfoglia piuttosto tenera di farina spenta con sole uova
servendovi anche di qualche chiara rimasta, e tagliatela con un disco rotondo
della grandezza come quello segnato. Ponete il composto in mezzo ai dischi e
piegateli in due formando così una mezza luna; poi prendete le due
estremità della medesima, riunitele insieme ed avrete il cappelletto compito.
Se la sfoglia vi si risecca fra mano, bagnate, con un dito
intinto nell'acqua, gli orli dei dischi. Questa minestra per rendersi
più grata al gusto richiede il brodo di cappone; di quel rimminchionito
animale che per sua bontà si offre nella solennità di Natale in
olocausto agli uomini. Cuocete dunque i cappelletti nel suo brodo come
si usa in Romagna, ove trovereste nel citato giorno degli eroi che si vantano
di averne mangiati cento; ma c'è il caso però di crepare, come
avvenne ad un mio conoscente. A un mangiatore discreto bastano due dozzine.
A proposito di questa minestra vi narrerò un fatterello,
se vogliamo di poca importanza, ma che può dare argomento a riflettere.
Avete dunque a sapere che di lambiccarsi il cervello su' libri i
signori di Romagna non ne vogliono saper buccicata, forse perché fino
dall'infanzia i figli si avvezzano a vedere i genitori a tutt'altro intenti che
a sfogliar libri e fors’anche perché, essendo paese ove si può far vita
gaudente con poco, non si crede necessaria tanta istruzione; quindi il novanta
per cento, a dir poco, dei giovanetti, quando hanno fatto le ginnasiali, si
buttano sull'imbraca, e avete un bel tirare per la cavezza ché non si muovono.
Fino a questo punto arrivarono col figlio Carlino, marito e moglie, in un
villaggio della bassa Romagna; ma il padre che la pretendeva a progressista,
benché potesse lasciare il figliuolo a sufficienza provvisto avrebbe pur
desiderato di farne un avvocato e, chi sa, fors'anche un deputato, perché da
quello a questo è breve il passo. Dopo molti discorsi, consigli e
contrasti in famiglia fu deciso il gran distacco per mandar Carlino a
proseguire gli studi in una grande città, e siccome Ferrara era la
più vicina per questo fu preferita. Il padre ve lo condusse, ma col
cuore gonfio di duolo avendolo dovuto strappare dal seno della tenera mamma che
lo bagnava di pianto. Non era anco scorsa intera la settimana quando i genitori
si erano messi a tavola sopra una minestra di cappelletti, e dopo un lungo
silenzio e qualche sospiro la buona madre proruppe:
- Oh se ci fosse stato il nostro Carlino cui i cappelletti piacevano
tanto! - Erano appena proferite queste parole che si sente picchiare all'uscio
di strada, e dopo un momento, ecco Carlino slanciarsi tutto festevole in mezzo
alla sala.
- Oh! cavallo di ritorno,
esclama il babbo, cos'è stato? - È stato, risponde Carlino, che
il marcire sui libri non è affare per me e che mi farò tagliare a
pezzi piuttosto che ritornare in quella galera. - La buona mamma gongolante di
gioia corse ad abbracciare il figliuolo e rivolta al marito: - Lascialo fare,
disse, meglio un asino vivo che un dottore morto; avrà abbastanza di che
occuparsi co' suoi interessi. - Infatti, d'allora in poi gl'interessi di
Carlino furono un fucile e un cane da caccia, un focoso cavallo attaccato a un
bel baroccino e continui assalti alle giovani contadine.
8. TORTELLINI ALL’ITALIANA (AGNELLOTTI)
Braciuole di maiale nella lombata, circa grammi 300.
Un cervello di agnello o mezzo di bestia più grossa.
Midollo di bue, grammi 50.
Parmigiano grattato, grammi 50.
Rossi d'uovo n. 3 e, al bisogno, aggiungete una chiara.
Odore di noce moscata.
Disossate
e digrassate le braciuole di maiale, e poi tiratele a cottura in una cazzaruola
con burro, sale e una presina di pepe. In mancanza del maiale può
servire il magro del petto di tacchino nella proporzione di grammi 200, cotto
nella stessa maniera. Pestate o tritate finissima la carne con la lunetta; poi
unite alla medesima il cervello lessato e spellato, il midollo crudo e tutti
gli altri ingredienti, mescolandoli bene insieme. Quindi i tortellini si
chiudono in una sfoglia come i cappelletti e si ripiegano nella stessa
guisa, se non che questi si fanno assai più piccoli. Ecco, per norma, il
loro disco.
9. TORTELLINI
ALLA BOLOGNESE
Quando sentite parlare della cucina bolognese fate una
riverenza, ché se la merita. È un modo di cucinare un po’ grave, se
vogliamo, perché il clima così richiede; ma succulento, di buon gusto e
salubre, tanto è vero che colà le longevità di ottanta e
novant’anni sono più comuni che altrove. I seguenti tortellini, benché
più semplici e meno dispendiosi degli antecedenti, non sono per
bontà inferiori, e ve ne convincerete alla prova.
Prosciutto grasso e magro, grammi 30.
Mortadella di Bologna, grammi 20.
Midollo di bue, grammi 60.
Parmigiano grattato, grammi 60.
Uova, n. 1.
Odore di noce moscata.
Sale e pepe, niente.
Tritate ben fini colla lunetta il prosciutto e la mortadella,
tritate egualmente il midollo senza disfarlo al fuoco, aggiungetelo agli altri
ingredienti ed intridete il tutto coll'uovo mescolando bene. Si chiudono nella
sfoglia d'uovo come gli altri, tagliandola col piccolo stampo del n. 8. Non
patiscono conservandoli per giorni ed anche per qualche settimana e se
desiderate che conservino un bel color giallo metteteli, appena fatti, ad
asciugare nella caldana. Con questa dose ne farete poco meno di 300, e ci
vorrà una sfoglia di tre uova.
Bologna
è un gran castellazzo dove si fanno continue magnazze, diceva un
tale che a quando a quando colà si recava a banchettare cogli amici.
Nell'iperbole di questa sentenza c'è un fondo di vero, del quale, un
filantropo che vagheggiasse di legare il suo nome a un'opera di beneficenza
nuova in Italia, potrebbe giovarsi. Parlo di un Istituto culinario, ossia
scuola di cucina a cui Bologna si presterebbe più di qualunque altra
città pei suo grande consumo, per l'eccellenza dei cibi e pel modo di
cucinarli. Nessuno apparentemente vuol dare importanza al mangiare, e la
ragione è facile a comprendersi: ma poi, messa da parte l'ipocrisia,
tutti si lagnano di un desinare cattivo o di una indigestione per cibi mal
preparati. La nutrizione essendo il primo bisogno della vita, è cosa
ragionevole l'occuparsene per soddisfarlo meno peggio che sia possibile.
Uno scrittore straniero dice: “La salute, la morale, le gioie
della famiglia si collegano colla cucina, quindi sarebbe ottima cosa che ogni
donna, popolana o signora, conoscesse un'arte che è feconda di
benessere, di salute, di ricchezza e di pace alla famiglia”; e il nostro
Lorenzo Stecchetti (Olindo Guerrini) in una conferenza tenuta all'Esposizione
di Torino il 21 giugno 1884 diceva: “È necessario che cessi il
pregiudizio che accusa di volgarità la cucina, poiché non è
volgare quel che serve ad una voluttà intelligente ed elegante. Un
produttore di vini che manipola l'uva e qualche volta il campeggio per cavarne
una bevanda grata, è accarezzato, invidiato e fatto commendatore. Un
cuoco che manipola anch'esso la materia prima per ottenerne un cibo piacevole,
nonché onorato e stimato, non è nemmeno ammesso in anticamera. Bacco
è figlio di Giove, Como (il Dio delle mense) di ignoti genitori. Eppure
il savio dice: Dimmi quel che tu mangi e ti dirò chi sei. Eppure
i popoli stessi hanno una indole loro, forte o vile, grande o miserabile, in
gran parte dagli alimenti che usano. Non c'è dunque giustizia
distributiva. Bisogna riabilitare la cucina”.
Dico dunque che il mio
Istituto dovrebbe servire per allevare delle giovani cuoche le quali,
naturalmente più economiche degli uomini e di minore dispendio,
troverebbero facile impiego e possederebbero un'arte, che portata nelle case
borghesi, sarebbe un farmaco alle tante arrabbiature che spesso avvengono nelle
famiglie a cagione di un pessimo desinare; e perché ciò non accada sento
che una giudiziosa signora, di una città toscana, ha fatto ingrandire la
sua troppo piccola cucina per aver più agio a divertirsi col mio libro
alla mano.
Ho lasciato cader questa idea così in embrione ed
informe; la raccatti altri, la svolga e ne faccia suo pro qualora creda l'opera
meritoria. Io sono d'avviso che una simile istituzione ben diretta, accettante
le ordinazioni dei privati e vendendo le pietanze già cucinate, si
potrebbe impiantare, condurre e far prosperare con un capitale e con una spesa
relativamente piccoli.
Se vorrete i
tortellini anche più gentili aggiungete alla presente ricetta un mezzo
petto di cappone cotto nel burro, un rosso d'uovo e la buona misura di tutto il
resto.
10. TORTELLINI DI CARNE DI PICCIONE
Questi tortellini merita il conto ve li descriva, perché
riescono eccellenti nella loro semplicità.
Prendete un
piccione giovane e, dato che sia bell'e pelato del peso di mezzo chilogrammo
all'incirca, corredatelo con
Parmigiano grattato, grammi 80.
Prosciutto
grasso e magro, grammi 70.
Odore di noce
moscata.
Vuotate il piccione dalle interiora, ché il fegatino e il
ventriglio non servono in questo caso, e lessatelo. Per lessarlo gettatelo
nell'acqua quando bolle e salatela; mezz’ora di bollitura è sufficiente,
perché dev'essere poco cotto. Tolto dal fuoco disossatelo, poi tanto questa
carne che il prosciutto tritateli finissimi prima col coltello indi colla
lunetta, e per ultimo, aggiuntovi il parmigiano e la noce moscata, lavorate il
composto con la lama del coltello per ridurlo tutto omogeneo.
Per chiuderli servitevi del disco n. 8, e con tre uova di sfoglia
ne otterrete 260 circa. Potete servirli in brodo, per minestra, oppure asciutti
conditi con cacio e burro, o meglio con sugo e rigaglie.
11. PANATA
Questa minestra, con cui si solennizza in Romagna la Pasqua
d'uovo, è colà chiamata tridura, parola della quale si
è perduto in Toscana il significato, ma che era in uso al principio del
secolo XIV, come apparisce da un'antica pergamena in cui si accenna a una
funzione di riconoscimento di patronato, che consisteva nell'inviare ogni anno
alla casa de' frati di Settimo posta in Cafaggiolo (Firenze) un catino nuovo di
legno pieno di tridura e sopra al medesimo alcune verghe di legno per
sostenere dieci libbre di carne di porco guarnita d'alloro. Tutto s'invecchia e
si trasforma nel mondo, anche le lingue e le parole; non però gli
elementi di cui le cose si compongono, i quali, per questa minestra sono:
Pane del giorno avanti, grattato, non pestato, gr. 130.
Uova, n. 4.
Cacio parmigiano, grammi 50.
Odore di noce moscata.
Sale, un pizzico.
Prendete una cazzaruola larga e formate in essa un composto non
tanto sodo con gl'ingredienti suddetti, aggiungendo del pangrattato se occorre.
Stemperatelo con brodo caldo, ma non bollente, e lasciatene addietro alquanto
per aggiungerlo dopo.
Cuocetelo con brace all'ingiro, poco o punto fuoco sotto e con
un mestolo, mentre entra in bollore, cercate di radunarlo nel mezzo scostandolo
dalle pareti del vaso senza scomporlo. Quando lo vedrete assodato, versatelo
nella zuppiera e servitelo.
Questa dose può bastare per sei persone.
Se la panata è venuta bene la vedrete tutta in grappoli
col suo brodo chiaro all'intorno. Piacendovi mista con erbe o con piselli
cuocerete queste cose a parte, e le mescolerete nel composto prima di
scioglierlo col brodo.
12. MINESTRA DI PANGRATTATO
I pezzetti di pane avanzato, divenuti secchi, in Toscana si
chiamano seccherelli; pestati e stacciati, servono in cucina da pangrattato e
si possono anche adoperare per una minestra. Versate questo pangrattato nel
brodo, quando bolle, nella stessa proporzione di un semolino. A seconda della
quantità, disfate due o più uova nella zuppiera, uniteci una
cucchiaiata colma di parmigiano per ogni uovo e versateci la minestra bollente
a poco per volta.
13. TAGLIERINI DI SEMOLINO
Non sono
molto dissimili da quelli fatti di farina, ma reggono di più alla
cottura, essendo la sodezza un pregio di questa minestra. Oltre a ciò
lasciano il brodo chiaro e pare che lo stomaco rimanga più leggiero.
Occorre semolino di grana fine; ed ha bisogno di essere intriso
colle uova qualche ora prima di tirare la sfoglia. Se quando siete per tirarla,
vi riuscisse troppo morbida, aggiungete qualche pizzico di semolino asciutto
per ridurre l'impasto alla durezza necessaria, onde non si attacchi al
matterello. Non occorre né sale, né altri ingredienti.
14. GNOCCHI
È una
minestra da farsene onore; ma se non volete consumare appositamente per lei un
petto di pollastra o di cappone, aspettate che vi capiti d'occasione.
Cuocete nell'acqua, o meglio a vapore, grammi 200
di patate grosse e farinacee e passatele per istaccio, A queste unite il petto
di pollo lesso tritato finissimo colla lunetta, grammi 40 di parmigiano
grattato, due rossi d'uovo, sale quanto basta e odore di noce moscata.
Mescolate e versate il composto sulla spianatoia sopra a grammi 30 o 40 (che
tanti devono bastare) di farina per legarlo, e poterlo tirare a bastoncini
grossi quanto il dito mignolo. Tagliate questi a tocchetti e gettateli nel
brodo bollente ove una cottura di cinque o sei minuti sarà sufficiente.
Questa dose
potrà bastare per sette od otto persone.
Se il petto
di pollo è grosso, due soli rossi non saranno sufficienti.
15. MINESTRA DI SEMOLINO COMPOSTA (I)
Cuocete
semolino di grana fine nel latte e gettatene tanto che riesca ben sodo. Quando
lo ritirate dal fuoco conditelo con sale, parmigiano grattato, un pezzetto di
burro e odore di noce moscata e lasciatelo diacciare. Allora stemperate il
composto con uova fino a ridurlo come una liquida crema. Prendete una forma
liscia di latta, ungetene bene il fondo col burro, aderitegli un foglio
ugualmente unto e versate il detto composto nella medesima per assodarlo a
bagnomaria con fuoco sopra. Cotto e diaccio che sia, una lama di coltello
passata all'intorno e la carta del fondo vi daranno aiuto a sformarlo.
Tagliatelo a mattoncini o a mostaccioli della grossezza di uno scudo e della
larghezza di un centimetro o due e gettateli nel brodo facendoli bollire
qualche minuto.
Basta un
bicchiere di latte e due uova a fare una minestra per quattro o cinque persone.
Con un bicchiere e due dita di latte e tre uova ho fatto una minestra che
è bastata per otto persone.
16. MINESTRA DI SEMOLINO COMPOSTA (II)
La minestra di semolino fatta nella seguente maniera mi piace
più dell'antecedente, ma è questione di gusto.
Per ogni uovo:
Semolino,
grammi 30.
Parmigiano grattato, grammi 20.
Burro, grammi 20.
Sale, una presa.
Odore di noce moscata.
Il burro scioglietelo al fuoco e, tolto via dal fuoco, versateci
sopra il semolino e il parmigiano, sciogliendo bene il composto colle uova. Poi
versatelo in una cazzaruola con un foglio imburrato sotto per assodarlo fra due
fuochi, badando che non rosoli. Sformato e diaccio che sia, tagliatelo a piccoli
dadi o in altro modo, facendolo bollire nel brodo per dieci minuti.
Tre uova basteranno per cinque persone.
17. MINESTRA DI KRAPFEN
Meno lo zucchero è la stessa composizione del n. 182.
Ecco le dosi di una minestra per sette od otto persone.
Farina d'Ungheria, grammi 100.
Burro, grammi 20.
Lievito di birra, quanto una noce.
Uova, n. 1
Sale, una presa.
Tirato il pastone a stiacciata della grossezza alquanto meno di
mezzo dito, tagliatelo con un cannello di latta del diametro segnato per farne
come tante pasticche che porrete a lievitare. Le vedrete crescere in forma di
pallottole e allora friggetele nell'olio, se lo avete eccellente, altrimenti
nel lardo o nel burro. Quando siete per mandare in tavola collocatele nella
zuppiera e versate sulle medesime il brodo bollente.
18. MINESTRA DEL PARADISO
È una minestra sostanziosa e delicata; ma il Paradiso, fosse
pur quello di Maometto, non ci ha nulla che fare.
Montate sode quattro chiare d'uovo, incorporateci dentro i
rossi, poi versateci quattro cucchiaiate non tanto colme di pangrattato fine di
pane duro, altrettanto di parmigiano grattato e l'odore della noce moscata.
Mescolate adagino onde il composto resti soffice e gettatelo nel
brodo bollente a cucchiaini. Fatelo bollire per sette od otto minuti e
servitelo.
Questa dose potrà bastare per sei persone.
19. MINESTRA DI CARNE PASSATA
Vitella di latte magra, grammi 150.
Prosciutto grasso, grammi 25.
Parmigiano
grattato, grammi 25.
Pappa fatta con midolla di pane, acqua e un pezzetto di burro
due cucchiaiate.
Uova n. 1
Odore di noce moscata
Sale quanto basta.
Tritate prima la carne e il prosciutto con un coltello a colpo,
dopo colla lunetta, poi pestateli nel mortaio e passateli per istaccio. Fatene
quindi tutto un impasto coll'uovo e gli altri ingredienti: quando bolle il
brodo gettatelo a cucchiaini o passatelo da una siringa per dargli forma
graziosa, e dopo una bollitura sufficiente a cuocerlo, servite la minestra.
Questa quantità basta per quattro o cinque persone, ma
potete farla servire anche per dodici mescolandola in una zuppa. Prendete
allora pane finissimo del giorno avanti, tagliatelo a piccoli dadi e rosolatelo
in padella alla svelta con molto unto. Quando siete per mandare in tavola
ponete il detto pane nella zuppiera e versate sul medesimo la sopra descritta
minestra di carne passata.
20. MINESTRA DI PASSATELLI
Eccovi due ricette che, ad eccezione della quantità, poco
differiscono l'una dall'altra.
Prima:
Pangrattato, grammi 100.
Midollo di bue, grammi 20.
Parmigiano grattato, grammi 40.
Uova, n. 2.
Odore di noce moscata o di scorza di limone, oppure dell'una e
dell'altra insieme.
Questa dose può bastare per quattro persone.
Seconda:
Pangrattato, grammi 170.
Midollo di bue, grammi 30.
Parmigiano grattato, grammi 70.
Uova n. 3 e un rosso.
Odore come sopra.
Può bastare per sette od otto persone.
Il midollo serve per renderli più teneri, e non è
necessario scioglierlo al fuoco; basta stiacciarlo e disfarlo colla lama di un
coltello. Impastate ogni cosa insieme per formare un pane piuttosto sodo; ma lasciate
addietro alquanto pangrattato per aggiungerlo dopo, se occorre.
Si chiamano passatelli perché
prendono la forma loro speciale passando a forza dai buchi di un ferro fatto
appositamente, poche essendo le famiglie in Romagna che non l'abbiano, per la
ragione che questa minestra vi è tenuta in buon conto come, in generale,
a cagione del clima, sono colà apprezzate tutte le minestre intrise
colle uova delle quali si fa uso quasi quotidiano. Si possono passare anche
dalla siringa.
21. MINESTRA DI PASSATELLI DI
CARNE
Filetto di manzo, grammi 150.
Pangrattato, grammi 50.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Midollo di bue, grammi 15.
Burro, grammi 15.
Rossi d'uovo, n. 2.
Sale, quanto basta.
Odore di noce moscata.
Il filetto pestatelo nel mortaio e passatelo dallo staccio.
Il midollo e il burro stiacciateli insieme con la lama di un
coltello e uniteli alla carne. Aggiungere il resto per fare un pastone che
riescirà sodo da poterci premere sopra il ferro come ai passatelli del
numero precedente.
Fateli bollire nel brodo per dieci minuti e serviteli per sei
persone.
Anche un petto di pollo o un pezzo di petto di tacchino lessati
o crudi, possono servire a quest'uso invece del filetto.
22. MINESTRA
A BASE DI RICOTTA
Prendete il composto dei cappelletti n. 7, ma invece di
chiuderlo nella sfoglia gettatelo a cucchiaini nel brodo quando bolle, e appena
assodato versatelo nella zuppiera e servitelo.
23. MINESTRA
DI NOCCIUOLE DI SEMOLINO
Latte, decilitri 3.
Semolino, grammi 100.
Parmigiano grattato, grammi 20.
Uova, uno intero e un torlo.
Burro, quanto una noce.
Sale, quanto basta.
Farina, idem.
Odore di noce moscata.
Mettete il latte al fuoco col
burro e quando bolle versate il semolino a poco a poco. Salatelo; quando
è cotto e caldo ancora, ma non bollente, scocciategli dentro le uova,
aggiungete il parmigiano e l’odore e mescolate. Lasciatelo diacciar bene e poi
versatelo sulla spianatoia sopra a uno strato di farina. Avvoltolatelo
leggermente sulla medesima tirandone un bastoncino che taglierete a pezzetti
uguali per fame tante pallottole della grandezza di una nocciuola. Gettatele
nel brodo quando bolle e, poco dopo, versatele nella zuppiera e mandatele in
tavola. A vostra norma, vedrete che assorbiranno da
Questa dose potrà bastare per cinque o sei persone.
24. MINESTRA DI BOMBOLINE DI FARINA
Sono le bombe composte del n.
184 meno la mortadella; per eseguirle guardate quindi quella ricetta, la cui
quantità può bastare per otto o dieci persone, tanto rigonfiano
per uso di minestra, anche se le terrete piccole quanto una nocciuola. Per
gettarle in padella prendete su il composto col mestolo, e colla punta di un
coltello da tavola, intinto nell'unto a bollore, distaccatelo a pezzettini
rotondeggianti. Friggetele nel lardo vergine o nel burro, ponetele nella
zuppiera, versateci sopra il brodo bollente e mandatele subito in tavola.
Per avvantaggiarvi, se avete
un pranzo, potete fare il composto il giorno innanzi e friggere le bomboline la
mattina dipoi; ma d'inverno non patiscono anche se stanno fritte per qualche
giorno.
25. MINESTRA DI MATTONCINI DI RICOTTA
Ricotta, grammi 200.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Uova, n. 2.
Sale, quanto basta.
Odori di scorza di limone e di noce moscata,
Disfate la ricotta passandola
per istaccio, aggiungere il resto e le uova uno alla volta. Mescolate bene e
versate il composto in uno stampo liscio per cuocerlo a bagnomaria. Sformatelo
diaccio, levategli la carta colla quale avrete coperto il fondo dello stampo e
tagliatelo a dadini della dimensione di un centimetro circa. Collocateli poi
nella zuppiera, versate sui medesimi il brodo bollente e mandateli in tavola.
Questa dose
basterà per cinque o sei persone.
26. MINESTRA DI MILLE FANTI
Mezzo uovo per persona è più che sufficiente per
questa minestra, quando si è in parecchi.
Prendete un
pentolo e in fondo al medesimo ponete tanti cucchiaini colmi di farina quante
sono le uova; aggiungete parmigiano grattato, odore di noce moscata, una presa
di sale e per ultimo le uova. Frullate ogni cosa insieme ben bene e versate il
composto nel brodo quando bolle, facendolo passare da un colino di latta a buchi
larghi, rimestando in pari tempo il brodo. Lasciate bollire alquanto e servite.
27. MINESTRA DI LATTE COMPOSTA
Farina,
grammi 60.
Burro, grammi
40.
Parmigiano, grammi 30.
Latte, decilitri 4.
Uova, n. 4.
Sale, quanto
basta.
Odore di noce
moscata, se piace.
Mettete il burro al fuoco e
appena squagliato versate la farina; mescolate, e quando comincia a prendere
colore versate il latte a poco per volta. Fate bollire alquanto, poi ritirate
il composto dal fuoco e conditelo aggiungendo le uova per ultimo quando
sarà diaccio. cuocetelo a bagnomaria come la minestra di semolino n. 15
e regolatevi come per la medesima.
Questa dose
potrà servire per otto o dieci persone.
28. MINESTRA DI PANE ANGELICO
Midolla di pane fine, grammi 150.
Prosciutto
grasso e magro, grammi 50.
Midollo di
bue, grammi 40.
Parmigiano,
grammi 40.
Farina, quanto basta.
Uova, n. 2, meno una chiara.
Odore di noce moscata.
La midolla di pane bagnatela col brodo bollente tanto che
s'inzuppi appena appena e spremetela forte entro a un canovaccio. Il prosciutto
tritatelo finissimo; il midollo di bue stiacciatelo colla lama piatta di un
coltello, e con essa rimestatelo tanto da ridurlo come un unguento. Mescolate
queste tre cose insieme col parmigiano ed aggiungete le uova.
Distendete un velo di farina sulla spianatoia, versategli sopra
il composto, copritelo con altra farina e fategliene prender tanta (qualcosa
meno di
Questa dose potrà bastare per dieci o dodici persone.
29. MINESTRA DI BOMBOLINE DI PATATE
Patate, grammi 500.
Burro, grammi 40.
Parmigiano grattato, grammi 40.
Rossi d'uovo, n. 3.
Odore di noce moscata.
Cuocete le patate nell'acqua o, meglio, a vapore, sbucciatele,
passatele calde dallo staccio e salatele. Aggiungete gl’ingredienti suddetti e
lavoratele alquanto. Distendete un velo di farina sulla spianatoia e sopra la
medesima versate il composto per poterlo tirare a bastoncini senza che la
farina penetri nell'interno, e con questi formate delle palline grosse come le
nocciuole. Friggetele nell'olio o nel lardo ove sguazzino e mettetele nella
zuppiera versandovi il brodo bollente.
Questa dose potrà bastare per otto o dieci persone.
30. MINESTRA DI BOMBOLINE DI RISO
Riso, grammi 100.
Burro, grammi 20.
Parmigiano grattato, grammi 20.
Un rosso d'uovo.
Odore di noce moscata.
Sale, quanto basta.
Cuocete molto e ben sodo il riso nel latte (mezzo litro
potrà bastare); prima di levarlo dal fuoco aggiungete il burro e il sale
e quando non è più a bollore metteteci il rimanente; pel resto
regolatevi come alla ricetta antecedente. Queste bomboline riescono al gusto
migliori di quelle di patate.
Questa dose basterà per sei persone.
31. MINESTRA DI DUE COLORI
Questa è una minestra delicata e leggiera che può
piacere in Toscana specialmente alle signore; ma non sarebbe da presentarsi a
un pranzo in Romagna ove il morbidume sotto ai denti non è punto del
gusto di quel paese delle tagliatelle per eccellenza; meno poi lo sarebbe
quella moccicaglia di minestra di tapioca, la quale, salvo pochissime eccezioni,
al solo vederla promuoverebbe colà il mal di stomaco.
Farina, grammi 180.
Burro, grammi 60.
Parmigiano, grammi 40.
Latte, decilitri 4.
Uova, due intere e due rossi.
Sale, quanto basta.
Odore di noce moscata.
Un pugno di spinaci.
Lessate gli spinaci, strizzateli bene dall'acqua e passateli
dallo staccio. Mettete il burro al fuoco e quando è sciolto gettateci la
farina mescolando bene; poi versateci il latte caldo a poco per volta, salatela
e mentre cuoce lavoratela col mestolo per farne una pasta omogenea.
Levatela e quando sarà tiepida
stemperatela colle uova aggiungendo il parmigiano e la noce moscata. Poi questo
composto dividetelo in due parti uguali, in una delle quali mescolerete i detti
spinaci in quantità sufficiente a farle prendere il color verde e non di
più.
Ponete il composto nella siringa con lo stampino a buchi rotondi
e spingetelo nel brodo bollente come i passatelli del n. 48; ma questa
operazione occorre farla in due volte, prima col composto giallo e dopo col
verde.
Questa dose sarà sufficiente per otto o dieci persone.
32. ZUPPA RIPIENA
Prendete mezzo petto di cappone o di un pollo grosso, una
fettina di prosciutto grasso e magro, un pezzetto di midollo; fatene un
battuto, conditelo con parmigiano grattato, dategli l'odore della noce moscata
e legatelo con un uovo. Il sale, essendovi il prosciutto, non occorre.
Prendete un filoncino di pane raffermo, affettatelo in tondo
alla grossezza di mezzo dito, levate alle fette la corteccia e sulla
metà del numero delle medesime spalmate il composto suddetto; ad ognuna
di queste fette spalmate, sovrapponete una fetta senza battuto e pigiatele
insieme onde si attacchino. Poi queste fette così appaiate, tagliatele a
piccoli dadi, e friggeteli nel lardo vergine o nell'olio o nel burro, conforme
al gusto del paese o vostro.
Quando è ora di servir la zuppa in tavola, ponete i dadi
fritti nella zuppiera e versateci sopra il brodo bollente.
33. ZUPPA DI OVOLI
Al tempo dei funghi potete servire questa minestra in un pranzo
anche signorile che non vi farà sfigurare.
Gli ovoli sono que' funghi di colore arancione descritti al n.
396. Prendetene grammi 600, che quando saranno nettati e spellati rimarranno
grammi 500 circa. Lavateli interi e tagliateli a fette piccole e sottili o a pezzetti.
Fate un battuto con
Questa dose potrà bastare per sei o sette persone.
Se ne fate la metà, può bastare soltanto l'uovo
intero.
34. ZUPPA DI ZUCCA GIALLA
Zucca gialla, sbucciata e tagliata a fette sottili, un
chilogrammo. Mettetela a cuocere con due ramaiuoli di brodo e poi passatela
dallo staccio.
Fate al fuoco un intriso con grammi 60 di burro e due
cucchiaiate rase di farina, e quando avrà preso il colore biondo
fermatelo col brodo; aggiungete la zucca passata e il resto del brodo che basti
per sei persone. Poi versatelo bollente sopra a dadini di pane fritto e mandate
la zuppa in tavola con parmigiano grattato a parte.
Se farete questa zuppa a dovere e con brodo buono, potrà
comparire su qualunque tavola ed avrà anche il merito di essere
rinfrescante.
35. ZUPPA DI PURÈ DI PISELLI, DI GRASSO
Trattandosi qui di piselli da
passare non occorre sieno de' più teneri. Grammi 400 di piselli sgranati
possono bastare per sei persone che pranzino alla moda, cioè con poca
minestra. Cuoceteli nel brodo con un mazzetto, che poi getterete via, composto
di prezzemolo, sedano, carota e qualche foglia di basilico. Quando i piselli
saranno cotti gettate fra i medesimi, per inzupparle, due fette di pane fritto
nel burro e passate per istaccio ogni cosa. Diluite questo composto col brodo
occorrente, aggiungete un po’ di sugo di carne se ne avete e bagnate la zuppa,
la quale dovrà essere di pane sopraffine raffermo, tagliato a dadini e
fritto nel burro.
36. ZUPPA SANTÉ
Questa zuppa si fa con diverse qualità di
ortaggio qualunque. Dato che vi serviate, per esempio, di carote, acetosa,
sedano e cavolo bianco, tagliate questo a mo’ di taglierini e fategli far
l'acqua sopra al fuoco, strizzandolo bene. Le carote e il sedano tagliateli a
filetti lunghi tre centimetri circa, e insieme col cavolo e con l'acetosa
nettata dai gambi, poneteli al fuoco con poco sale, una presa di pepe e un
pezzetto di burro. Quando l'erbaggio avrà tirato l'unto, finite di
cuocerlo col brodo. Frattanto preparate il pane, il quale è bene sia di
qualità fine e raffermo di un giorno almeno; tagliatelo a piccoli dadi e
friggetelo nel burro o anche nell'olio vergine o nel lardo; ma perché assorba
poco unto tenete quest'ultimo abbondante e gettateci il pane quando è
bene a bollore altrimenti arrostitelo soltanto a fette grosse mezzo dito e
tagliatelo dopo a dadi. Ponete il pane nella zuppiera, versategli sopra il
brodo a bollore insieme coll'erbaggio, e mandate la zuppa subito in tavola.
Usando i ferri del mestiere si possono dare agli ortaggi forme
graziose ed eleganti.
37. ZUPPA DI
ACETOSA
Acetosa,
grammi 200.
Un cesto
(cespo) di lattuga.
Dopo aver tenuto in molle questi erbaggi, sgrondateli ben bene,
tagliateli a striscioline e metteteli al fuoco. Quando saranno cotti, date loro
sapore con una presa di sale e grammi 30 di burro. Mettete nella zuppiera due
rossi d'uovo con un po' di brodo tiepido, unitevi i detti erbaggi e quindi, a
poco per volta e mescolando, aggiungetevi tutto il brodo bollente necessario
per la zuppa; gettate poi il pane tagliato a dadini e fritto, e mandate in
tavola con parmigiano a parte. Così preparata, questa minestra
potrà servire per cinque persone.
38. ZUPPA SUL SUGO DI CARNE
Certi cuochi, per darsi aria, strapazzano il frasario dei nostri
poco benevoli vicini con nomi che rimbombano e che non dicono nulla, quindi,
secondo loro, questa che sto descrivendo, avrei dovuto chiamarla zuppa mitonnée.
Se per dar nel gusto a costoro e a quei tanti che si mostrano servili alle
usanze straniere, avessi infarcito il mio libro di tali esotiche e scorbutiche
voci, chi sa di qual prestigio maggiore avrebbe goduto! Ma io, per la
dignità di noi stessi, sforzandomi a tutto potere di usare la nostra
bella ed armoniosa lingua paesana, mi è piaciuto di chiamarla col suo
nome semplice e naturale.
La buona riuscita di questa zuppa dipende dal saper tirare un
buon sugo (vedi n. 5), la qual cosa non è da tutti.
Per quattro persone crederei sufficienti grammi 500 circa di
carne di manzo da sugo, con qualche collo di pollo, e ritagli di cucina se ve
ne sono. Oltre al sugo, questa zuppa richiede ortaggi in buona misura e, a
seconda della stagione, un misto di sedano, carota, cavolo verzotto, acetosa,
zucchini, piselli, ecc., non che una patata: questa e gli zucchini tagliati a
tocchetti, tutti gli altri a filetti. Lessateli tutti e soffriggeteli poscia
nel burro bagnandoli col detto sugo. Le fette del pane tenetele grosse mezzo
dito, arrostitele e tagliatele a dadi. Prendete un tegame o, meglio, un vaso
consimile, ben decente perché dev'essere portato in tavola, e in questo bagnate
la zuppa nella seguente maniera: un suolo di pane, uno di erbaggi e sopra una
spolverizzata di parmigiano, e così di seguito. Per ultimo versateci
sopra il sugo e, senza toccarla, copritela con un piatto e un tovagliuolo e
tenetela per mezz'ora in caldo presso al fuoco avanti di servirla.
Vi avverto che questa zuppa deve rimanere quasi asciutta, laonde
è bene tener addietro un po' di sugo per aggiungerlo quando la mandate
in tavola, nel caso riuscisse troppo asciutta.
39. ZUPPA REGINA
Dal nome si dovrebbe giudicare per la migliore di tutte le
zuppe. Certamente si può collocare fra le più signorili, ma
c’è esagerazione nel titolo.
Si fa colle carni bianche del pollo arrosto
nettate dalla pelle e dai tendini. Tritatele bene colla lunetta, poi pestatele
in un mortaio con cinque o sei mandorle dolci sbucciate, e con una midolla di
pane inzuppata nel brodo o nel latte, in proporzione di un quinto o di un sesto
della quantità della carne. Quando il composto sarà pestato ben
bene, passatelo dallo staccio, ponetelo nella zuppiera e scioglietelo con un
ramaiuolo di brodo caldo.
Tagliate il pane a dadini,
friggetelo nel burro e gettate anche questo nella zuppiera. Dopo versateci il
brodo bollente, mescolate e mandate la zuppa in tavola col parmigiano a parte.
Questa minestra può
venire opportuna quando, dopo un pranzo, rimangono avanzi di pollo arrosto, o
lessi, benché sia migliore quando è fatta di tutto arrosto.
Le mandorle servono per dar
maggiormente al brodo l'aspetto latteo, ma il liquido non deve riuscir troppo
denso. Alcuni aggiungono qualche rosso d'uovo sodo stemperato nel brodo.
40. ZUPPA ALLA SPAGNUOLA
Prendete un petto di pollastra
o di cappone, tagliatelo a pezzetti e mettetelo a cuocere nel burro a fuoco
lento; conditelo con sale e pepe. Se non basta il burro bagnatelo col brodo.
Levate il petto asciutto e nell'intinto che resta gettate una midolla di pane,
grande quanto un pugno, e con brodo fate un poco di pappa soda. Questa col
petto cotto versateli nel mortaio e, aggiuntivi due rossi d'uovo e poco odore
di noce moscata, pestate ogni cosa ben fine e il composto lasciatelo in luogo
fresco onde assodi. Al momento di adoperarlo, che può essere anche il
giorno appresso, fate cadere sulla spianatola un velo di farina e sopra alla
medesima tritate col composto un bastoncino grosso un dito o meno e con un
coltello infarinato tagliatelo in tanti pezzetti, tutti uguali, che
arrotonderete colle mani imbrattate di farina, per farne tante pallottole della
grandezza di una nocciuola o meno. Gettatele nel brodo bollente e dopo cinque o
sei minuti di bollitura versatele nella zuppiera dove avrete collocato avanti
del pane a dadini soffritto nel burro o nel lardo vergine; oppure, che
sarà anche meglio, se, per pane, vi servite della zuppa ripiena del
numero 32.
Potrete così ottenere una minestra signorile bastevole
per dieci o dodici persone.
41. ZUPPA DI PANE D’UOVO
Questa minestra sa di poco, ma vedendola usata non di rado ne'
pranzi di gusto straniero, ve la descrivo.
Uova, n. 3.
Farina, grammi 30.
Burro, quanto una noce.
Lavorate prima i tre rossi con la farina e il burro, aggiungete
le tre chiare montate e cuocere il composto al forno o al forno da campagna
entro a uno stampo liscio il cui fondo sia coperto di una carta unta.
Quando questo pane sarà cotto e diacciato, tagliatelo a
dadi o a piccole mandorle, versategli il brodo bollente sopra e mandatelo in
tavola con parmigiano a parte.
Dose per sei o sette persone.
42. RISI E
LUGANIGHE
Le popolazioni del Veneto, non conoscono, si può dire
altra minestra che il riso, e però lo cucinano bene e in tante svariate
maniere. Una è il riso sul brodo colla salsiccia; ma colà le
salsicce le lasciano intere; io preferisco di sminuzzarle nel brodo quando vi
si mette a cuocere il riso, il quale non è bene lavare, ma soltanto
nettare e strofinare in un canovaccio per levargli la polvere. A me piace di
unire al riso colle salsicce, o rapa o cavolo cappuccio. Sia l'una che l'altro
vanno prima imbiancati, ossia mezzo lessati; tagliate la rapa a dadi, il
cavolo a fettuccine e metteteli a soffriggere nel burro. Poco avanti di levare
il riso dal fuoco aggiungete un buon pizzico di parmigiano per legarlo meglio e
dargli più grato sapore.
43. RISO ALLA
CACCIATORA
Un negoziante di cavalli ed
io, giovanotto allora, ci avviammo al lungo viaggio, per que' tempi, di una
fiera a Rovigo. Alla sera del secondo giorno, un sabato, dopo molte ore di una
lunga corsa con un cavallo, il quale sotto le abilissime mani del mio compagno,
divorava la via, giungemmo stanchi ed affamati alla Polesella. Com'è
naturale, le prime cure furono rivolte al valoroso nostro animale; poi entrati
nello stanzone terreno che in molte di simili locande serve da cucina e da sala
da pranzo: - Che c'è da mangiare? - domandò il mio amico
all'ostessa. - Non ci ho nulla, - rispose; poi pensandoci un poco soggiunse: -
Ho tirato il collo a diversi polli per domani e potrei fare i risi. -
Fate i risi e fateli subito - si rispose - che l'appetito non manca. -
L'ostessa si mise all'opera ed io lì fermo ed attento a vedere come
faceva a improvvisar questi risi.
Spezzettò un pollo escludendone la testa e le zampe, poi
lo mise in padella quando un soffritto di lardone, aglio e prezzemolo aveva
preso colore. Vi aggiunse di poi un pezzo di burro, lo condí con sale e pepe, e
allorché il pollo fu rosolato, lo versò in una pentola d'acqua a bollore,
poi vi gettò il riso, e prima di levarlo dal fuoco gli diede sapore con
un buon pugno di parmigiano. Bisognava vedere che immenso piatto di riso
c'imbandí dinanzi; ma ne trovammo il fondo, poiché esso doveva servire da
minestra, da principii e da companatico.
Ora, per ricamo ai risi dell'ostessa di Polesella,
è bene il dire che invece del lardone, se non è squisito e di
quello roseo, può servire la carnesecca tritata fine, che il sugo di
pomodoro, o la conserva, non ci sta male e perché il riso leghi bene col pollo,
non deve essere troppo cotto, né brodoso.
44. QUAGLIE COL RISO
Fate un battuto con prosciutto e un quarto di una cipolla
comune: mettetelo al fuoco con burro, e quando la cipolla avrà preso
colore, collocateci le quaglie pulite, sventrate ed intere. Conditele con sale
e pepe e, rosolate che sieno, tiratele a mezza cottura col brodo, indi versate
il riso per cuocerlo con quel tanto di brodo che occorre, insieme colle
quaglie. Conditelo quando è cotto, col parmigiano e servitelo, brodoso od
asciutto, come più piace, frammisto alle quaglie.
Quattro quaglie e grammi 400 di riso potranno bastare per
quattro persone.
45. MALFATTINI
In que' paesi dove si fa uso quasi giornaliero di paste d'uova
fatte in casa, non vi è servuccia che non ne sia maestra; e molto
più di questa che è semplicissima. Non è quindi per loro
che la noto, ma per gli abitanti di quelle province ove non si conoscono, si
può dire, altre minestre in brodo che di zuppa, riso e paste comprate.
I malfattini più semplici sono di farina.
Intridetela colle uova e lavoratela colle mani sulla spianatoia per formarne un
pane ben sodo: tagliatelo a fette grosse mezzo dito e lasciatele esposte
all'aria perché si rasciughino. Tritatele colla lunetta fino a ridurle in minuzzoli
minuti quanto la metà di un chicco di riso, facendoli passare da un
vagliettino onde ottenerli eguali, oppure grattateli dal pane intero; ma non
imitate coloro che li lasciano grossi come il becco dei passerotti se non
volete che vi riescano di difficile digestione; anzi, per questo motivo, invece
di farina si possono fare di pangrattato semplice, oppure aggraziato con un
pizzico di parmigiano e l'odore di spezie. In tutte le maniere, al tempo dei
piselli potete, piacendovi, unirli con quelli della ricetta n. 427, oppure
colla bietola tritata minuta o cogli uni e coll'altra insieme. A proposito di
quest'ortaggio ho notato che, in Firenze, dove si fa grande uso di erbe
aromatiche nella cucina, non si conosce l'aneto, che mescolato alla bietola,
come si fa in altri paesi, le dà molta grazia. Anzi l'aneto, pel suo
grato odore, tentai diverse volte d'introdurlo a Firenze, ma non vi riuscii
forse perché la bietola si vende a mazzetti mentre in Romagna si porta sciolta
al mercato e già frammista all'aneto.
46. CUSCUSSÙ
Il Cuscussù è un piatto di origine araba che i
discendenti di Mosè e di Giacobbe hanno, nelle loro peregrinazioni,
portato in giro pei mondo, ma chi sa quante e quali modificazioni avrà
subite dal tempo e dal lungo cammino percorso. Ora è usato in Italia per
minestra dagli israeliti, due de' quali ebbero la gentilezza di farmelo
assaggiare e di farmi vedere come si manipola. Io poi l'ho rifatto nella mia
cucina per prova, quindi della sua legittimità garantisco; ma non
garantisco di farvelo ben capire:
Che non è impresa da
pigliar a gabbo
Descriver bene questo
grande intruglio,
Né da lingua che chiami mamma
e babbo.
La dose seguente potrà bastare per sei o sette persone:
Spicchio di petto di vitella,
grammi 750.
Vitella magra, senz'osso, grammi
150.
Semolino di grana grossa,
grammi 300.
Un fegatino di pollo.
Un uovo sodo.
Un rosso d'uovo.
Erbaggi di
qualità diverse come cipolla, cavolo verzotto, sedano, carota, spinaci,
bietola od altro.
Mettete il semolino in un vaso di terra piano e molto largo,
oppure in una teglia di rame stagnata, conditelo con un pizzico di sale e una
presa di pepe e, versandogli sopra a gocciolini per volta due dita (di
bicchiere) scarse di acqua, macinatelo colla palma della mano per farlo divenir
gonfio, grandioso e sciolto. Finita l'acqua versategli sopra, a poco per volta,
una cucchiaiata d'olio e seguitate a manipolarlo nella stessa maniera, durando
fra la prima e la seconda operazione più di mezz'ora. Condizionato il
semolino in tal modo, mettetelo in una scodella da minestra e copritelo con un
pannolino, il sopravanzo del quale, passandolo al disotto, legherete stretto
con uno spago.
Mettete al
fuoco lo spicchio di petto con tre litri d'acqua per fare il brodo e dopo
schiumata la pentola copritene la bocca colla scodella, già preparata,
in modo che il brodo resti a qualche distanza; ma badate che le bocche dei due
vasi combacino insieme e non lascino uscir fumo. Lasciato così il
semolino per un'ora e un quarto onde abbia il tempo di cuocere a vapore, aprite
l'involto a mezza cottura per mescolarlo e poi rimetterlo com’era prima.
Tritate col
coltello i
Tritate alquanto gli erbaggi e mettete per prima la cipolla a
soffriggere nell'olio e quando questa avrà preso colore gettate
giù gli altri, conditeli con sale e pepe, rimestate spesso e lasciate
che ritirino l'acqua che fanno. Ridotti quasi all'asciutto, bagnateli con sugo
di carne, oppure con brodo e sugo di pomodoro o conserva, per tirarli a cottura
insieme col fegatino di pollo tagliato a pezzetti e colle polpettine.
Levate il semolino
dall'involto, mettetelo al fuoco in una cazzaruola e senza farlo bollire
scioglietegli dentro il rosso d'uovo, versate nel medesimo una parte del detto
intingolo, mescolate e versatelo in un vassoio, ma quasi asciutto onde presenti
la colma, la quale fiorirete coll'uovo sodo tagliato a piccoli spicchi. Il
resto dell'intingolo mescolatelo nel brodo della pentola e questo brodo
mandatelo in tavola diviso in tante tazze quanti sono i commensali,
accompagnate, s'intende, dal vassoio del semolino; così ognuno tira
giù nel suo piatto una porzione di semolino e gli beve dietro il brodo a
cuccchiaiate.
Lo spicchio di petto si serve
dopo per lesso.
Fatta questa lunga
descrizione, sembrami verrà spontaneo nel lettore il desiderio di due
domande:
l° Perché tutto quell’olio e
sempre olio per condimento?
2° Il merito intrinseco di
questo piatto merita poi l'impazzamento che esso richiede?
La risposta
alla prima domanda, trattandosi di una vivanda israelita, la dà il
Deuteronomio, cap. XIV, ver. 21: Tu non cuocerai il capretto nel latte di
sua madre; i meno scrupolosi però aggiungono un pizzico di
parmigiano alle polpettine per renderle più saporite. Alla seconda posso
rispondere io e dire che a parer mio, non è piatto da fargli grandi
feste; ma può piacere anche a chi non ha il palato avvezzo a tali
vivande, massime se manipolato con attenzione.
47. MINESTRONE
Il minestrone mi richiama alla
memoria un anno di pubbliche angoscie e un caso mio singolare.
Mi trovavo a Livorno al tempo
delle bagnature l'anno di grazia 1855, e il colera che serpeggiava qua e
là in qualche provincia d'Italia, teneva ognuno in timore di
un'invasione generale che poi non si fece aspettare a lungo. Un sabato sera
entro in una trattoria e dimando: - Che c'è di minestra? - Il
minestrone, - mi fu risposto. - Ben venga il minestrone, - diss'io. Pranzai e,
fatta una passeggiata, me ne andai a dormire. Avevo preso alloggio in Piazza
del Voltone in una palazzina tutta bianca e nuovissima tenuta da un certo
Domenici; ma la notte cominciai a sentirmi una rivoluzione in corpo da fare
spavento; laonde passeggiate continue a quel gabinetto che più
propriamente in Italia si dovrebbe chiamar luogo scomodo e non luogo
comodo. - Maledetto minestrone, non mi buscheri più! - andavo spesso
esclamando pieno di mal animo contro di lui che era forse del tutto innocente e
senza colpa veruna.
Fatto giorno e sentendomi estenuato, presi la corsa del primo
treno e scappai a Firenze ove mi sentii subito riavere. Il lunedì giunge
la triste notizia che il colera è scoppiato a Livorno e per primo
n'è stato colpito a morte il Domenici. - Altro che minestrone! - Dopo
tre prove, perfezionandolo sempre, ecco come lo avrei composto a gusto mio: padronissimi
di modificarlo a modo vostro a seconda del gusto d'ogni paese e degli ortaggi
che vi si trovano.
Mettete il solito lesso e per primo cuocete a parte nel brodo un
pugnello di fagiuoli sgranati ossia freschi: se sono secchi date loro mezza
cottura nell'acqua. Trinciate a striscie sottili cavolo verzotto, spinaci e
poca bietola, teneteli in molle nell'acqua fresca, poi metteteli in una
cazzaruola all'asciutto e fatta che abbiano l'acqua sul fuoco, scolateli bene
strizzandoli col mestolo. Se trattasi di una minestra per quattro o cinque
persone, preparate un battuto con grammi 40 di prosciutto grasso, uno spicchio
d'aglio, un pizzico di prezzemolo, fatelo soffriggere, poi versatelo nella
detta cazzaruola insieme con sedano, carota, una patata, uno zucchino e
pochissima cipolla, il tutto tagliato a sottili e corti filetti. Aggiungete i
fagiuoli, e, se credete, qualche cotenna di maiale come alcuni usano, un poco
di sugo di pomodoro, o conserva, condite con pepe e sale e fate cuocere il
tutto con brodo. Per ultimo versate riso in quantità sufficiente onde il
minestrone riesca quasi asciutto e prima di levarlo gettate nel medesimo un
buon pizzico di parmigiano.
Vi avverto però che questa non è minestra per gli
stomachi deboli.
48. PASSATELLI DI SEMOLINO
Semolino di grana fine, grammi 150.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Latte, decilitri 6.
Uova, due intere e due rossi.
Sale, odore di noce moscata e scorza di limone.
Cuocete il
semolino nel latte, e se vedete che non riesca ben sodo, aggiungetene un altro
pizzico. Salatelo quando è cotto ed aspettate che abbia perduto il
calore per gettarvi le uova e il resto.
Ponete il composto nella siringa con uno stampino a buchi
rotondi piuttosto larghi, e spingetelo nel brodo bollente, tenendo la siringa
perpendicolare e fatelo bollire finché i passatelli siensi assodati.
Questa dose potrà bastare per sei o sette persone.
49. RISO CON ZUCCHINI
Prendete zucchini piccoli del peso del riso che avrete a cuocere
e tagliateli a tocchetti grossi quanto le nocciuole. Metteteli a soffriggere
nel burro, conditeli con sale e pepe, e rosolati appena gettateli così
durettini nel riso quando sarà arrivato a mezza cottura, onde finiscano
di cuocere insieme.
Il riso è bene che resti poco brodoso e gli zucchini non
si devono disfare. Invece di brodo potete servirvi di acqua e farlo asciutto:
ma allora dategli grazia colla salsa di pomodoro n. 125, versatela anch'essa
nel riso a mezza cottura, e con parmigiano.
50. ZUPPA CON LE CIPOLLE ALLA FRANCESE
Questa zuppa si può fare col brodo o col latte, e le
seguenti dosi sono sufficienti per cinque persone.
Pane bianco, grammi 250.
Gruiera grattato, grammi 80.
Burro, grammi 50.
Parmigiano grattato, grammi 40.
Uova frullate, n. 3.
Cipolle bianche grosse, n. 2.
Brodo o latte, circa litri 1 e mezzo.
Tagliate a fette sottilissime le cipolle e mettetele al fuoco
col burro suddetto; quando cominciano a prender colore tiratele a molta cottura
col brodo, o col latte se la fate con questo, per poterle passare bene dal
setaccio, poi mescolate il passato nel restante liquido per bagnare la zuppa.
Il pane tagliato a fette o a dadini, arrostitelo e, collocatolo a strati nella
zuppiera, conditelo via via colle uova, il gruiera e il parmigiano. Per ultimo
versate bollente il brodo od il latte e mandatela in tavola.
Se la fate col latte sarà bene salare abbondantemente le
uova. A motivo della cipolla, chi patisce di scioglimenti non farà male
di astenersi da questa zuppa.
51. STRICHETTI ALLA BOLOGNESE
Intridete la farina con due uova, grammi 40 di parmigiano
grattato fine e l'odore della noce moscata. Tiratene una sfoglia non tanto
sottile e tagliatela con la rotella smerlata in tante striscie larghe un dito e
mezzo. Poi, con la stessa rotella, tagliate queste striscie in isbieco e alla
medesima distanza di un dito e mezzo per farne tanti pezzetti in forma di
mandorla. Prendeteli uno alla volta e stringete colle dita le quattro punte,
due al disopra e due al disotto per formarne come due anellini attaccati
insieme. Cuoceteli nel brodo con poca cottura. La dose di due uova potrà
bastare per cinque persone.
Se questa minestra vi piace, siatene grati ad una giovane
simpatica bolognese, chiamata la Rondinella, che si compiacque di
insegnarmela.
52. ZUPPA DI GAMBERI COL SUGO DI CARNE
Prendendo per norma una zuppa che dovesse servire
a sole quattro persone, bastano grammi 150 di gamberi. Lavateli e metteteli al
fuoco con due ramaiuoli di brodo; cotti che sieno, levateli asciutti e nel
liquido che resta sciogliete grammi 30 di midolla di pane soffritta nel burro,
per bagnarli quando li passerete dallo staccio, dopo averli pestati nel
mortaio. Estrattane così tutta la polpa, unitela a sugo di carne come
quello della ricetta n. 4 e se non lo avete in cucina potete farlo con soli
centesimi 30 di carne adatta per quell'uso. Mescolate ora questo composto al
resto del brodo per bagnare la zuppa, che può essere di pane
semplicemente arrostito, o a dadini, fritto nel lardo o nell'olio.
Servitela con parmigiano grattato.
53. ZUPPA ALLA STEFANI
L'illustre poeta dott. Olindo Guerrini, essendo bibliotecario
dell'Università di Bologna, ha modo di prendersi il gusto istruttivo, a
quanto pare, di andare scavando le ossa dei Paladini dell'arte culinaria antica
per trarne forse delle illazioni strabilianti a far ridere i cuochi moderni. Si
è compiaciuto perciò di favorirmi la seguente ricetta tolta da un
libriccino a stampa, intitolato: L’arte di ben cucinare, del signor
Bartolomeo Stefani bolognese, cuoco del Serenissimo Duca di Mantova alla
metà del 1600, epoca nella quale si faceva in cucina grande uso ed abuso
di tutti gli odori e sapori, e lo zucchero e la cannella si mettevano nel
brodo, nel lesso e nell'arrosto. Derogando per questa zuppa dai suoi precetti
io mi limiterò, in quanto a odori, a un poco di prezzemolo e di
basilico; e se l'antico cuoco bolognese, incontrandomi all’altro mondo, me ne
facesse rimprovero, mi difenderò col dirgli che i gusti sono cangiati in
meglio; ma che, come avviene in tutte le cose, si passa da un estremo all'altro
e si comincia anche in questa ad esagerare fino al punto di volere escludere
gli aromi e gli odori anche dove sarebbero più opportuni e necessari. E
gli dirò altresì che delle signore alla mia tavola, per un poco
di odore di noce moscata, facevano boccacce da spaventare. Ecco la
RICETTA DI
DETTA ZUPPA PER SEI PERSONE
Cervello di vitella, o di agnello, o di altra bestia consimile,
grammi 120.
Fegatini di pollo, n. 3.
Uova, n. 3.
Un pizzico di prezzemolo ed uno di basilico.
Il sugo di un quarto di limone.
Scottate il cervello per poterlo spellare e, tanto questo che i
fegatini, soffriggeteli nel burro e tirateli a cottura col sugo di carne; sale
e pepe per condimento.
Ponete le uova in un pentolo,
uniteci il prezzemolo e il basilico tritati, l'agro di limone, un poco di sale
e pepe e frullatele; poi col brodo diaccio, che deve servire per bagnare la
zuppa, diluite il composto poco per volta. Versateci in ultimo il cervello e i
fegatini tagliati a pezzetti, e mettetelo a condensare a fuoco leggero,
muovendolo continuamente col mestolo, ma senza farlo bollire. Condensato che
sia, versatelo nella zuppiera sopra il pane, che già avrete tagliato a
dadi e soffritto nel burro o nell'olio, ma prima spargete sul pane stesso un
pugno di parmigiano grattato.
Questa minestra riesce
delicata e sostanziosa; ma io che coi morbidumi non me la dico punto, invece
del cervello, in questo caso, supplirei con le animelle e in proposito vi
dirò che in certe città, e m'intend'io, dove per ragione del
clima non si può scherzare troppo coi cibi, a forza di mangiar leggero e
preferibilmente cose morbide e liquide, si sono gli abitanti di esse snervato
lo stomaco in modo che questo viscere non può più sopportare
alcun nutrimento un po' grave.
54. ANOLINI ALLA PARMIGIANA
Una signora di Parma, che non
ho il bene di conoscere, andata sposa a Milano, mi scrive: “Mi prendo la
libertà d’inviarle la ricetta di una minestra che a Parma, mia amata
città natale, è di rito nelle solennità famigliari; e non
c'è casa, io credo, ove nei giorni di Natale e Pasqua non si facciano i
tradizionali Anolini”. Mi dichiaro obbligato alla prefata signora
perché avendo messo in prova la detta minestra è riuscita di tale mia
soddisfazione da poter rendermi grato al pubblico e all'inclita guarnigione.
Dosi per una minestra sufficiente a quattro o cinque persone:
Magro di manzo nella coscia, senz'osso, grammi 500
Lardone, circa grammi 20.
Burro, grammi 50.
Un quarto di una cipolla mezzana.
Il pezzo della carne
steccatelo col lardone, legatelo e conditelo con sale, pepe e l'odore di
spezie, poi mettetelo al fuoco in un vaso di terra o in una cazzaruola col
burro e la cipolla tritata all'ingrosso per rosolarlo col detto burro. Fatto
questo, versare due ramaiuoli di brodo nel vaso e chiudetelo con diversi fogli
di carta tenuta ferma da una scodella contenente alquanto vino rosso; e perché
poi vino e non acqua non lo sa spiegare neanche la detta signora. Ora fate
bollire dolcemente la carne così preparata per otto o nove ore, onde
ottenere quattro o cinque cucchiaiate di un sugo ristretto e saporito che
passerete dal setaccio strizzando bene e che serberete per il giorno appresso.
Allora formate il composto per riempire gli Anolini con:
Pangrattato
di pane di un giorno, tostato leggermente, grammi 100.
Parmigiano grattato, grammi 50.
Odore di noce moscata
Un uovo e il sugo della carne.
Fate tutto un impasto omogeneo e tirando tre uova di sfoglia
tenuta alquanto tenera riempite il disco smerlato del n. 162 che ripiegherete
in due per ottenere la forma di una piccola mezza luna. Con questa dose ne
otterrete un centinaio che saranno buoni in brodo o asciutti come i tortellini
e riescono leggeri allo stomaco più di questi. La carne rimasta poi la
mangerete sola o con un contorno d'erbaggi e figurerà come uno
stracotto.
55. TORTELLI
Ricotta o raviggiuolo, oppure l'una e l'altro uniti, grammi200.
Parmigiano, grammi 40.
Uova intere n.1 e un rosso.
Odore di noce moscata e di spezie.
Un pizzico di sale.
Un po’ di prezzemolo tritato.
Si chiudono in una sfoglia fatta come quella dei cappelletti e
tagliata con un disco rotondo alquanto più grande. Io mi servo del disco
n. 195. Si possono lasciare colla prima piegatura a mezza luna, ma è da
preferirsi la forma dei cappelletti. Si cuociono nell'acqua
salata a sufficienza, si levano asciutti e si condiscono a cacio e burro.
Con questa dose ne otterrete 24 o 25 e possono bastare, essendo
grandi, per tre persone.
56. ZUPPA DI PURÈ DI PISELLI DI MAGRO
Piselli freschi sgranati, grammi 400.
Prosciutto grasso e magro, grammi 40.
Burro, grammi 40.
Una cipolla novellina non più grossa di un uovo.
Una piccola carota.
Un pizzico tra prezzemolo, sedano e qualche foglia di basilico.
Tritate fine il prosciutto con un coltello e fate un battuto con
questo e con gli altri ingredienti. Mettetelo al fuoco col burro, poco sale e
una presa di pepe. Allorché sarà rosolato versate l'acqua che
giudicherete sufficiente per bagnare la zuppa e quando essa avrà alzato
il bollore gettate giù i piselli per cuocerli insieme con due fette di
pane fritte nel burro; poi passate ogni cosa per istaccio.
Ottenuto in questo modo un purè per sei persone, bagnate
col medesimo il pane che avrete già messo in pronto come nei purè
di grasso.
57. ZUPPA DI FAGIUOLI
Si dice, e a ragione, che i fagiuoli sono la
carne del povero, e infatti quando l'operaio frugandosi in tasca,
vede con occhio malinconico che non arriva a comprare un pezzo di carne
bastante per fare una buona minestra alla famigliuola, trova nei fagiuoli un
alimento sano, nutriente e di poca spesa. C'è di più; i fagiuoli
restano molto in corpo, quetano per un pezzo gli stimoli della fame; ma...
anche qui c'è un ma, come ce ne sono tanti nelle cose del mondo, e
già mi avete capito. Per ripararvi, in parte, scegliete fagiuoli di
buccia fine o passateli; quelli dall'occhio hanno meno degli altri questo
peccato.
Per rendere poi la zuppa di fagiuoli più
grata al gusto e più saporita, dato che debba essere una quantità
sufficiente a quattro o cinque persone, fatele un soffritto in questa
proporzione: prendete un quarto di cipolla, uno spicchio d'aglio, un pizzico di
prezzemolo e un bel pezzo di sedano bianco. Tritate finissimi questi odori
colla lunetta e metteteli al fuoco con olio a buona misura; siate generosi a
pepe. Quando il soffritto avrà preso colore, unitevi due ramaiuoli della
broda dei fagiuoli, aggiungete un poco di sugo di pomodoro o di conserva,
fateli alzare il bollore e versatelo nella pentola de' fagiuoli.
Per chi aggradisce nella zuppa
un poco d'erbaggio può mettete in questa il cavolo nero, prima lessato e
fatto bollire alquanto nel liquido del soffritto suddetto. Ora non resta che
bagnare il pane, già preparato avanti con fette arrostite, grosse un
dito e poi tagliate a dadi.
58. ZUPPA TOSCANA DI MAGRO ALLA CONTADINA
Questa zuppa che, per
modestia, si fa dare l'epiteto di contadina, sono persuaso che sarà
gradita da tutti, anche dai signori, se fatta con la dovuta attenzione.
Pane bruno raffermo, di pasta
molle, grammi 400.
Fagiuoli bianchi, grammi 300.
Olio, grammi 150.
Acqua, litri due.
Cavolo cappuccio o verzotto,
mezza palla di mezzana grandezza.
Cavolo nero, altrettante in
volume ed anche più.
Un mazzo di bietola e un poco
di pepolino.
Una patata.
Alcune cotenne di carnesecca o
di prosciutto tagliate a striscie.
Mettete i fagiuoli al fuoco
con l'acqua suddetta unendovi le cotenne. Già saprete che i fagiuoli
vanno messi ad acqua diaccia e se restano in secco vi si aggiunge acqua calda.
Mentre bollono fate un battuto con un quarto di una grossa cipolla e due
spicchi d'aglio, due pezzi di sedano lunghi un palmo e un buon pizzico di
prezzemolo. Tritatelo fine, mettetelo al fuoco con l'olio soprindicato e quando
avrà preso colore versate nel medesimo gli erbaggi tagliati
all'ingrosso, prima i cavoli, poi la bietola e la patata tagliata a tocchetti.
Conditeli con sale e pepe e poi aggiungete sugo di pomodoro o conserva, e se
nel bollire restassero alquanto asciutti bagnateli con la broda dei fagiuoli.
Quando questi saranno cotti gettatene una quarta parte, lasciati interi, fra
gli erbaggi unendovi le cotenne; gli altri passateli dallo staccio e scioglieteli
nella broda, versando anche questa nel vaso dove sono gli erbaggi. Mescolate,
fate bollire ancora un poco e versate ogni cosa nella zuppiera ove avrete
già collocato il pane tagliato a fette sottili e copritela per servirla
dopo una ventina di minuti.
Questa quantità
può bastare per sei persone; è buona calda e meglio diaccia.
59. FARINATA GIALLA DI MAGRO
Come minestra ordinaria, si
può collocare fra le buone. Mettete al fuoco con acqua proporzionata
quattro decilitri di fagiuoli bianchi, che tanti bastano per quattro persone.
Dopo cotti passateli dallo staccio e il passato mescolatelo nella broda degli
stessi fagiuoli e nella medesima mettete a bollire, per due ore circa, mezza
palla tritata di cavolo bianco o verzotto che condirete con sale, pepe e foglie
di pepolino, detto altrimenti timo.
Ponete un tegame al fuoco con olio a buona misura e due spicchi
d'aglio interi sbucciati; quando questi saranno ben rosolati gettateli via e
aggiungete all'olio sugo di pomodoro, o conserva sciolta nell'acqua e anche qui
un altro poco di sale e pepe; bollito che abbia alquanto, versate anche questo
condimento nella pentola ov'è la broda e il cavolo. Per ultimo, quando
questo sarà cotto, versate con una mano, a poco per volta, la farina di
granturco; coll'altra mescolate bene, onde non si formino bozzoli, e giunta che
sia a una certa consistenza, cioè alquanto liquida, fatela bollire
ancora un poco e servitela.
60. SEMOLINO DI MAGRO
Questa minestra non si può, a tutto rigore, dirsi di
magro se c'entrano le uova, il burro, e il parmigiano; ma può venire
opportuna quando manca il brodo. Cuocere il semolino nell'acqua e prima di
levarlo dal fuoco salatelo, scioglietevi dentro un pezzo di burro proporzionato
alla quantità del semolino ed aggraziatelo con un poco di sugo di
pomodoro o conserva. Disfate nella zuppiera due o tre uova miste a parmigiano
grattato e versateci il semolino. Se trattasi di minestra per una persona
soltanto può bastare un solo rosso d'uovo con due cucchiaiate di
parmigiano.
61. ZUPPA DI LENTICCHIE
Se Esaù vendé la primogenitura per un piatto di
lenticchie, bisogna dire che il loro uso, come alimento, è antichissimo,
e che egli o n'era ghiotto all'eccesso o soffriva di bulimia. A me sembra che
il sapore delle lenticchie sia più delicato di quello de' fagiuoli in
genere, e che, quanto a minaccia di bombardite, esse sieno meno
pericolose dei fagiuoli comuni ed eguali a quelli dall'occhio.
Questa zuppa potete farla nella stessa guisa della zuppa di
fagiuoli; però la broda delle lenticchie e dei fagiuoli dall'occhio si
presta bene anche per una minestra di riso, che si prepara e si condisce nello
stesso modo; soltanto bisogna tener la broda più sciolta perché il riso
ne tira molta. Per regolarvi meglio circa alla densità, aspettate che il
riso sia cotto per aggiungere nella broda la quantità che occorre di
lenticchie passate.
62. ZUPPA DI MAGRO COLLE TELLINE
Regolatevi come per il risotto colle telline n. 72.
Due spicchi d'aglio e il quarto di una cipolla potranno bastare
se trattasi di una quantità sufficiente a sette od otto persone, e senza
bisogno di ricorrere a burro e parmigiano sentirete una zuppa eccellente, se
saprete tirar bene il soffritto. Il pane arrostitelo a fette che taglierete a
dadi. Anche qui ci sta bene qualche pezzetto di funghi secchi.
63. SPAGHETTI CON LE TELLINE
Poiché si sentono ricordare spesso, come minestra asciutta di
magro, anche gli spaghetti con le telline, mi converrà indicarveli,
sebbene, a gusto mio, sia da preferirsi il riso. Se vi piace provarli,
tritateli minuti per poterli portare alla bocca col cucchiaio e servitevi della
ricetta n. 72 cuocendoli nell'acqua dove sono state schiuse le telline. Scolate
l'acqua superflua, conditeli con quell'intingolo unito ad alquanto burro e
parmigiano.
64. ZUPPA DI RANOCCHI
Certi usi del mercato di Firenze non mi vanno. Quando vi nettano
i ranocchi, se non ci badate, gettano via le uova che sono le migliori. Le
anguille si spellano. Le coscie e le lombate di castrato si vogliono vendere
intere. Delle interiora del maiale si serba il fegato e la rete; di quelle
della vitella di latte, il fegato e le animelle; il resto, compreso il polmone
che, essendo tenero potrebbe servire, come in altri paesi, a fritto misto, si
cede ai frattagliai che ordinariamente vendono queste frattaglie ai brodai.
Forse in mano loro cascherà anche la così detta trippa di vitella
di latte non avendola mai vista su quel mercato; ma essa in Romagna si
dà per giunta, e al tempo dei piselli, messa arrosto morto con un pezzo
di lombata, riesce tanto buona da preferirsi a questa.
Avanti di descrivervi la zuppa di ranocchi voglio dirvi
qualche cosa di questo anfibio dell'ordine de' batraci (rana esculenta), perché,
veramente, merita di essere notata la metamorfosi ch'esso subisce. Nel primo periodo
della loro esistenza si vedono i ranocchi guizzare nelle acque in figura di un
pesciolino tutto testa e coda che gli zoologi chiamano girino. Come i pesci,
respira per branchie prima esterne, in forma di due pennacchietti, poscia
interne, e nutrendosi in questo stato di vegetali ha l'intestino come quello di
tutti gli erbivori, comparativamente ai carnivori, assai più lungo. A un
certo punto del suo sviluppo, circa a due mesi dalla nascita, perde, per
riassorbimento, la coda, sostituisce alle branchie i polmoni e mandando fuori
gli arti, cioè le quattro zampe che prima non apparivano, si trasforma
completamente e diventa una rana. Nutrendosi allora di sostanze animali, ossia
di insetti, l'intestino si accorcia per adattarsi a questa sorta di cibo.
È dunque erronea l'opinione volgare che i ranocchi siano più
grassi nel mese di maggio perché mangiano il grano.
Gli anfibi tutti, i rospi compresi, sono a torto perseguitati
dal volgo essendo essi di grande utilità all'agricoltura, agli orti e ai
giardini in ispecie, per la distruzione de' vermi, delle lumache e de' tanti
insetti di cui si cibano. La pelle del rospo e della salamandra trasuda,
è vero, un umore acre e velenoso; ma in sì piccola dose rispetto
alla mucosità a cui si unisce, che non può recare nessun
nocumento. Ed è appunto per questa mucosità, che la salamandra
secerne in gran copia, che la medesima, potendo reggere per qualche istante
all'ardore del fuoco, diede origine alla favola che tale anfibio sia dotato
della virtù di restare incolume in mezzo alle fiamme.
Il brodo dei ranocchi essendo rinfrescante e dolcificante viene
raccomandato nelle malattie di petto, nelle infiammazioni lente degl'intestini
ed è opportunamente usato sul finire delle malattie infiammatorie e in
tutti quei casi in cui l'infermo ha bisogno di un nutrimento non stimolante.
Le carni bianche, come quelle dei ranocchi, agnelli, capretti,
pollastri, fagiani, ecc., essendo povere di fibrina e ricche di albumina,
convengono alle persone di apparecchio digestivo delicato e molto
impressionabili e a chi non affatica i muscoli col lavoro materiale.
Ma veniamo alla zuppa di ranocchi: due dozzine di ranocchi, se
sono grossi, potrebbero forse bastare per quattro o cinque persone, ma meglio
è abbondare.
Levate loro le coscie e mettetele da parte. Fate un battuto
abbondante con due spicchi d'aglio, prezzemolo, carota, sedano e basilico se vi
piace: se avete in orrore l'aglio, servitevi di cipolla. Mettetelo al fuoco con
sale, pepe e olio a buona misura e quando l'aglio comincia a prender colore
gettate giù i ranocchi. Rimoveteli di quando in quando onde non
s'attacchino, e, tirato che abbiano buona parte dell'umido, buttate dentro
pomodori a pezzi o, mancando questi, conserva allungata coll'acqua. Fate
bollire ancora, e per ultima versate l'acqua occorrente per bagnare la zuppa,
tenendo il tutto sul fuoco fin tanto che i ranocchi sieno cotti e disfatti.
Allora passate ogni cosa dal lo staccio, premendo bene onde non restino che le
ossicine. Mettete a bollire le coscie, lasciate addietro, in un poco di questo
brodo passato e disossatele quando saranno cotte per mescolarle nella zuppa
insieme con pezzetti di funghi secchi fatti rammollire. Il pane arrostitelo a
fette che taglierete a dadi piuttosto grossi.
65. ZUPPA COL BRODO DI MUGGINE
Uno dei pesci che meglio si presta per ottenere un buon brodo
è il muggine che nell'Adriatico comincia ad essere bello e grasso
nell'agosto e raggiunge colà il peso di oltre due chilogrammi. In
mancanza di questo può servire l'ombrina, il ragno ed il rospo le cui
carni, se non daranno il brodo saporito del muggine, saranno in compenso di
qualità più fine e più digeribile.
Se trattasi di una zuppa per sette od otto persone prendete un
muggine, ossia una baldigara (come chiamasi in alcuni paesi di mare),
del peso di un chilogrammo almeno, raschiategli via le squame, vuotatelo e
lessatelo con acqua in proporzione.
Fate un battuto alquanto generoso con cipolla, aglio,
prezzemolo, carota, sedano e mettetelo al fuoco con olio, sale e pepe. Quando
avrà preso colore fermatelo con sugo di pomodoro e fatelo bollire col
brodo del pesce.
Poi questo brodo colatelo e con un po’ del medesimo cuocete una
piccola quantità di sedano, carota e funghi secchi, che servono per dare
odore, il tutto tagliato a pezzetti.
Il pane per la zuppa arrostitelo e tagliatelo a dadi, poi
mettetelo nella zuppiera e versateci sopra il brodo bollente insieme coi detti
odori, servendola in tavola con parmigiano a parte.
La famiglia delle mugginidee ha lo stomaco a forti pareti
muscolari a simiglianza del ventriglio degli uccelli, e il rospo di mare, Lofus
pescatorius, della famiglia delle lofidee, con una pinna inargentata e
movibile del capo attira i piccoli pesci per divorarli. Chiamasi in alcuni
luoghi volgarmente grattale ed è anch'esso in pregio pel brodo da
bagnare la zuppa.
66. ZUPPA ALLA CERTOSINA
Grammi 500 di pesce minuto di diverse specie potranno bastare
per una zuppa da servirsi a quattro o cinque persone.
Fate un battuto con un quarto di cipolla, prezzemolo e
sedano; mettetelo al fuoco con olio, e colorito che sia, versateci il pesce,
bagnandolo quando è asciutto con acqua, sugo di pomodoro o conserva;
sale e pepe per condimento. Lasciatelo cuocer bene e poi versate l'acqua
occorrente per la zuppa: un litro o poco più fra prima e dopo
potrà bastare. Passate il tutto dallo staccio o da un colino, strizzando
bene, e rimettetelo al fuoco per fargli alzare il bollore e per versarlo adagio
adagio nella zuppiera, ove avrete disfatte avanti due uova con tre cucchiaiate
di parmigiano. Prima di mandare la zuppa in tavola, gettateci il pane, il
quale, a piccoli dadi, può essere soltanto arrostito, oppure fritto
nell'unto che più vi aggrada: burro, olio o lardo. Le uova col
parmigiano, se non vi dispiace di vederle rapprese a stracci, si possono anche
frullare a parte e versarle nella pentola, mescolandole fortemente, quando il
brodo è a bollore.
Si dice che il Granduca di Toscana, avendo trovata eccellente
questa zuppa in un convento di frati, mandò colà il suo cuoco ad
impararla; ma il cuoco, benché molto abile fosse, non riusciva a farla buona
come quella dei frati, perché questi non volevano far sapere al Granduca che
usavano il brodo di cappone invece dell'acqua.
67. PASTINE O CAPELLINI SUL BRODO DI OMBRINA
L'ombrina, per essere un pesce de' più fini, lessata
naturalmente, cioè senza odori di sorta, vi somministra un brodo che,
quasi come quello di carne, si presta per una minestra leggiera di magro.
Le seguenti dosi saranno sufficienti per tre persone e forse
anche per quattro.
Ombrina, grammi 500.
Pastine o capellini, grammi 120.
Burro, grammi 30.
Acqua, un litro.
Mettete al fuoco l'ombrina nella detta acqua diaccia, e
salatela. Quando è cotta passate il brodo dal colino ed in esso cuocete
la minestra aggraziandola col sugo di pomodoro per occultare il puzzo del
pesce; indi versatela nella zuppiera ove avrete collocato il pezzo del burro.
Servitela con parmigiano a parte come si usa per le minestre di grasso.
68. ZUPPA DI PURÈ DI PISELLI SECCHI
Dato che i piselli siano mezzo litro metteteli al fuoco in due
litri d'acqua e frattanto fate un soffritto con mezza cipolla, una carota, due
pezzi di sedano lunghi un dito e qualche gambo di aneto, se lo avete, e,
tritato il tutto, mettetelo al fuoco con un pezzo di burro e fategli prendere
il rosso. Versate allora i piselli mezzo cotti e scolati dall'acqua conditeli
con sale e pepe e fate loro suzzare tutto il soffritto, poi versate sugo di
pomodoro e l'acqua degli stessi piselli per tirarli a cottura. Passate ogni
cosa per istaccio e, se il purè riescisse troppo denso, aggiungete acqua
calda; assaggiatelo per aggiungere un altro pezzetto di burro che probabilmente
occorre. Il pane tagliatelo a quadrettini e friggetelo nel burro.
Se vi porrete attenzione sentirete una minestra
che sembra fatta sul brodo.
Questa dose potrà servire per dieci o
dodici persone.
69. TAGLIATELLE COL PROSCIUTTO
Le chiamo tagliatelle, perché dovendo esser cotte
nell'acqua e condite asciutte, va tirata la sfoglia alquanto più grossa
e tagliata a striscie più larghe dei taglierini. Si tratta sempre di un
impasto d'uova e farina, senza punta acqua se le desiderate ben sode e buone.
Tagliate a piccoli dadi una fetta grossa di
prosciutto grasso e magro: tritate bene sedano e carota in tal quantità
che ambedue facciano il volume del prosciutto all'incirca. Ponete al fuoco
queste tre cose insieme, con un pezzo di burro proporzionato al condimento delle
tagliatelle. Quando il battuto avrà preso colore, aggiungete sugo di
pomodoro oppure conserva, ma con questa occorre un ramaiolino di brodo o,
mancando questo, di acqua.
Le tagliatelle cuocetele poco e salatele
pochissimo a motivo del prosciutto: levatele asciutte, conditele col detto
intingolo e con parmigiano.
Al tempo delle salsicce potete sostituirle, bene
sminuzzate al prosciutto, trattandole nella stessa guisa.
Chi ama il gusto del burro crudo ne serbi la
metà per metterlo nell'intingolo quando lo ritira dal fuoco.
Anche gli spaghetti sono buoni conditi con le
salsicce nella stessa maniera.
70. TAGLIATELLE VERDI
Si usano per minestra asciutta e sono più
leggiere e più digeribili di quelle intrise di tutte uova. Per dar loro
il color verde cuocete spinaci lessi, strizzateli bene e tritateli colla
lunetta. Con due uova e un pugno di questi spinaci intridete sulla spianatoia
quanta farina potete per ottenere una pasta ben soda che lavorerete molto colle
mani. Poi, col matterello, tiratela a sfoglia sottile e quando dà cenno
d'appiccicarsi, a motivo dell'erba che produce viscosità, spruzzatela
leggermente di farina. Avvolgete la sfoglia in un canovaccio, e quando
sarà asciutta tagliatela alquanto più larga de' taglierini da
brodo, avvertendo che il bello di tali paste è la loro lunghezza il che
indica l'abilità di chi le fece. Appena alzato il bollore levatele
asciutte e conditele come gli spaghetti alla rustica n. 104, oppure come i
maccheroni o le tagliatelle dei n. 87 e 69; o semplicemente con cacio e burro.
Questa dose potrà bastare per quattro o
cinque persone.
71. TAGLIATELLE ALL’USO DI ROMAGNA
Conti corti e tagliatelle lunghe, dicono i
Bolognesi, e dicono bene, perché i conti lunghi spaventano i poveri mariti e le
tagliatelle corte attestano l'imperizia di chi le fece e, servite in tal modo,
sembrano un avanzo di cucina; perciò non approvo l'uso invalso, per
uniformarsi al gusto degli stranieri, di triturare minutissimi nel brodo i
capellini, i taglierini, e minestre consimili le quali per essere speciali
all'Italia, debbono serbare il carattere della nazione.
Fate la sfoglia e tagliatela come quella del n.
69. Cuocetele poco, scolatele bene dall'acqua e mettetele in una cazzaruola
sopra al fuoco per un momento, onde far loro prendere il condimento che
è quello degli spaghetti alla rustica n. 104; più un pezzo di
burro proporzionato alla quantità della minestra. Mescolate adagino e
servitele. A parer mio questa è una minestra molto gustosa, ma per ben
digerirla ci vuole un'aria come quella di Romagna. Mi ricordo che viaggiai una
volta con certi Fiorentini (un vecchietto sdentato, un uomo di mezza età
e un giovine avvocato) che andavano a prender possesso di una eredità a
Modigliana. Smontammo a una locanda che si può immaginare qual fosse, in
quel luogo, quaranta e più anni sono. L'oste non ci dava per minestra
che tagliatelle, e per principio della coppa di maiale, la quale, benché dura
assai ed ingrata, bisognava vedere come il vecchietto si affaticava per
roderla. Era però tale l'appetito di lui e degli altri che quella e
tutto il resto pareva molto buono, anzi eccellente; e li sentii più
volte esclamare: - Oh se potessimo portarci con noi di quest'aria a Firenze! -
Poiché siamo in questi paraggi, permettetemi vi
racconti che dimorava a Firenze, al tempo che correvano i francesconi, un
conte di Romagna, il quale, facendo il paio col marchese di Forlimpopoli del
Goldoni, aveva molta boria, pochi quattrini e uno stomaco a prova di bomba.
Eran tempi in cui si viveva con poco a Firenze, che fra le città
capitali, andava famosa per buon mercato. C'erano parecchie trattorie
coll'ordinario di minestra, tre piatti a scelta, frutta o dolce, pane e vino
per una lira toscana (84 centesimi). Quelle porzioni, benché piccole, pure
sfamavano chiunque non fosse allupato, e frequentavano tali trattorie anche i
signori; ma il conte in queste non si degnava. Che industria credete ch'egli
avesse trovato per figurare e spender poco? Andava un giorno sì e un
giorno no alla tavola rotonda di uno de' principali alberghi ove con mezzo
francescone (lire 2,80), il trattamento era lautissimo, e là, tirando
giù a strame, s'impinzava lo stomaco per due giorni facendo dieta in
casa, il secondo, con pane, cacio ed affettato. Siavi di esempio e di ricetta.
72. RISOTTO COLLE TELLINE
Noto questo risotto nelle proporzioni che
è stato fatto più volte nella mia cucina, e cioè:
Telline col guscio, chilogrammi 1,350.
Riso, grammi 500.
Per levare la sabbia che le telline racchiudono,
lavatele prima, poi ponetele in acqua fresca salata, o meglio, acqua di mare,
in un catino con un piatto rovesciato sotto alle medesime, e dopo due ore
almeno, levatele asciutte e mettetele al fuoco con acqua in proporzione del
riso da cuocere. Quando saranno aperte, levatene i gusci e serbate l'acqua, ma
badate che in fondo alla medesima si sarà formata una qualche posatura
di sabbia che va gettata via.
Fate un
soffritto con olio, aglio, poca cipolla, prezzemolo, carota e sedano, il tutto
tritato finissimo colla lunetta, e quando sarà rosolato bene, gettatevi
le telline tolte dal guscio, qualche pezzetto di funghi secchi rinvenuti, una
presa di pepe e un po' di quell'acqua serbata. Dopo qualche minuto gettate il
riso in questo intingolo e tiratelo a cottura soda col resto dell'acqua
suddetta. Assaggiatelo se sta bene di sapore col solo sale naturale delle
telline e dei condimenti datigli; se non fosse così, aggiungeteglielo
con sugo di pomodoro o conserva, ed anche con un pezzetto di burro e un pizzico
di parmigiano.
Alle telline si possono sostituire le arselle o i
peocci (cozze nere, muscoli) come a Venezia, nelle cui trattorie se il
riso co' peocci (specialità del paese) fosse cucinato in questa
maniera, sarebbe assai più gradito. Per conservare alcun poco i
molluschi a conchiglia bivalve, vanno tenuti in luogo fresco, legati assai
stretti in un sacchetto o in un canovaccio. D'inverno ho così conservate
fresche le telline fino a sei giorni, ma non è da azzardare perché i
molluschi riescono molto indigesti se non sono freschi.
73. RISOTTO COLLE TINCHE
Non vi spaventate nel sentire che le tinche
possono prestarsi per una buona minestra, la quale saprà naturalmente di
pesce e riuscirà un po' grave agli stomachi deboli; ma sarà grata
al gusto, e fors'anche lodata, se avrete la prudenza di non nominare la specie
del pesce usato.
Ecco le dosi di una minestra per sei o sette
persone:
Riso, grammi 500;
Tinche, circa grammi 400.
Fate un battuto con due spicchi d'aglio, un
pizzico di prezzemolo, qualche foglia di basilico, se vi piace il suo odore,
una grossa carota e due pezzi di sedano bianco lunghi un palmo. Mettetelo al
fuoco in una cazzaruola con olio, sale e pepe, aggiungendovi in pari tempo le
tinche già sbuzzate e tagliate a pezzi, le teste comprese. Voltatele
spesso onde non si attacchino al fondo, e quando saranno ben rosolate
cominciate a bagnarle prima con sugo di pomodoro o conserva, poi con acqua
versata a poco per volta in principio e in ultimo, in quantità tale da
cuocere il riso, ma tenendovi piuttosto scarsi che abbondanti. Fate bollire
finché le tinche non sieno spappolate, e allora passate dallo staccio ogni
cosa, in modo che non restino se non le lische e gli ossicini. Questo è
il sugo che servirà per cuocere il riso, tirandolo asciutto e di giusta
cottura. Per aggraziarlo potete aggiungere qualche pezzetto di funghi secchi e
un pezzetto di burro e poi servirlo in tavola con parmigiano grattato per chi
lo vuole.
Al tempo dei piselli questi sono da preferirsi ai
funghi; grammi 200, sgranati, bastano. Cuoceteli a parte con un po' d'olio, un
po' di burro e una cipolla novellina intera. Versate i piselli quando la
cipolla comincia a rosolare, fateli soffriggere alquanto, conditeli con sale e
pepe e tirateli a cottura con poca acqua. La cipolla gettatela via e mescolate
i piselli col riso quando questo sarà quasi cotto.
74. RISOTTO NERO COLLE SEPPIE ALLA FIORENTINA
Questo invertebrato (Sepia officinalis) dell'ordine
dei molluschi e della famiglia dei cefalopodi è chiamato calamaio in
Firenze, forse perché (formando spesso la bella lingua toscana i sui vocaboli
colle similitudini) esso racchiude nel suo sacco una vescichetta, che la natura
gli ha dato a difesa, contenente un liquido nero che può servire da
inchiostro.
I Toscani, i Fiorentini in ispecie, sono
così vaghi degli ortaggi, che vorrebbero cacciarli per tutto e per
conseguenza in questo piatto mettono la bietola che, mi pare, ci stia come il
pancotto nel credo. Questo eccessivo uso di vegetali non vorrei fosse
una, e non ultima, delle cagioni della flaccida costituzione di alcune classi
di persone, che, durante l'influenza di qualche malore, mal potendo reggerne
l'urto, si vedono cadere fitte come le foglie nel tardo autunno.
Spellate e sparate le seppie per nettarle delle
parti inservibili che sono l'osso, l'apparato della bocca, gli occhi e il tubo
digerente; mettete da parte la vescichetta dell'inchiostro, e dopo averle
lavate bene tagliatele a quadrettino e le code a pezzetti.
Tritate minutamente due cipolle non grandi, o
meglio una sola e due spicchi d'aglio, e ponetele al fuoco in una cazzaruola
con olio finissimo e in abbondanza. Quando il soffritto avrà preso il
rosso buttateci le seppie ed aspettate che queste, bollendo, comincino a
divenir gialle per gettarvi grammi 600 circa di bietola, netta dalle costole
più grosse e tritata alquanto. Mescolate e lasciate bollire per circa
mezz'ora; poi versate grammi 600 di riso (che sarà il peso delle seppie
in natura) e il loro inchiostro e, quando il riso si sarà bene
impregnato di quel sugo, tiratelo a cottura con acqua calda. Il riso, per
regola generale, dev'essere poco cotto, e quando si dice asciutto deve
far la colma sul vassoio in cui lo servite. Accompagnatelo sempre col
parmigiano grattato; ma se avete lo stomaco delicato astenetevi dal farne uso,
quando è cucinato con questi e simili ingredienti di non facile
digestione.
Ora v'indicherò un'altra maniera di fare
questo risotto per scegliere fra i due quello che più vi aggrada. Niente
bietola, niente inchiostro, e quando le seppie, come si è detto,
cominciano a prendere il giallo, versate il riso e tiratelo a cottura con acqua
calda e sugo di pomodoro o conserva, dandogli più grazia e sapore con un
pezzetto di burro; quando è quasi cotto unite del parmigiano.
Se lo volete ancora migliore aggiungete a due
terzi di cottura, i piselli accennati nel risotto colle tinche.
75. RISOTTO COI PISELLI
Il riso! Ecco
giusto un alimento ingrassante che i Turchi somministrano alle loro donne onde
facciano, come direbbe un illustre professore a tutti noto, i cuscinetti
adiposi.
Riso, grammi
500.
Burro, grammi
100.
Parmigiano, quanto basta.
Una cipolla di mediocre grossezza
Il riso, come già vi ho detto altra volta,
non conviene lavarlo; basta nettarlo e strofinarlo entro a un canovaccio.
Trinciate la cipolla ben fine colla lunetta e mettetela al fuoco colla
metà del burro. Quando avrà preso il colore rosso versate il riso
e rimuovetelo continuamente col mestolo finché abbia succhiato tutto il
soffritto. Allora cominciate a versar acqua calda a un ramaiuolo per volta, ma
badate che se bolle troppo ristretto, resta duro nel centro e si sfarina alla
superficie; salatelo e tiratelo a cottura asciutta, aggiungendo il resto del
burro. Prima di levarlo dal fuoco, unitevi i piselli del n.
Questa dose basterà per cinque persone.
76. RISOTTO COI FUNGHI
Per questo risotto io mi servo dei funghi
porcini, i quali in alcuni paesi chiamansi morecci.
Funghi in natura, perché vanno poi nettati e
scattivati, metà peso del riso. Fate un battuto con poca cipolla,
prezzemolo, sedano, carota e mettetelo al fuoco con tre cucchiaiate d'olio, se
il riso fosse grammi 300, da servirsi cioè a tre persone. Quando il
battuto avrà preso colore, fermatelo con sugo di pomodoro e acqua,
conditelo con sale e pepe e fatevi bollir dentro uno spicchio d'aglio intero,
che poi getterete via prima di passare il soffritto, il quale rimetterete al fuoco,
per cuocervi i funghi, prima tritati alla grossezza poco meno del granturco;
cotti che sieno metteteli da parte. Il riso fatelo, così crudo,
soffriggere con un pezzo di burro, poi tirate a cuocerlo con acqua calda
versata a un ramaiuolo per volta; a mezza cottura mescolateci dentro i funghi e
prima di servirlo dategli sapore col parmigiano.
Sarà mangiato volentieri anche fatto con
un pugno di funghi secchi invece di quelli freschi.
77. RISOTTO COI POMODORI
Riso, grammi 500.
Burro, grammi 100.
Parmigiano, quanto basta.
Versate il riso sul burro strutto e quando
l'avrà succhiato cominciate ad aggiungere acqua calda, poca per volta;
poi, giunto a mezza cottura, dategli sapore colla salsa di pomodoro del n. 125
e prima di levarlo dal fuoco aggiungete un buon pugno di parmigiano grattato.
Nella detta salsa, per condire il risotto, potete, piacendovi, sostituire
all'olio la carnesecca, od anche servirvi del sugo di pomodoro descritto al n.
6.
78. RISOTTO ALLA MILANESE I
Riso, grammi 500.
Burro, grammi 80.
Zafferano, quanto basta a renderlo ben giallo.
Mezza cipolla di mediocre grossezza.
Per la cottura regolatevi come al n. 75.
Per rendere
questo risotto più sostanzioso e più grato al gusto occorre il
brodo.
Lo zafferano, se in casa avete un mortaio di
bronzo, comperatelo in natura, pestatelo fine e scioglietelo in un gocciolo di
brodo caldo prima di gettarlo nel riso, che servirete con parmigiano.
Lo zafferano ha un'azione eccitante, stimola
l'appetito e promuove la digestione. Questa quantità può bastare
per cinque persone.
79. RISOTTO ALLA MILANESE II
Questo risotto è più complicato e
più grave allo stomaco di quello precedente, ma più saporito.
Eccovi la dose per cinque persone.
Riso, grammi 500.
Burro, grammi 80.
Midollo di bue, grammi 40
Mezza cipolla.
Vino bianco buono, due terzi di bicchiere.
Zafferano, quanto basta.
Parmigiano, idem.
Tritate la
cipolla e mettetela al fuoco col midollo e con la metà del burro. Quando
sarà ben rosolata versate il riso e dopo qualche minuto aggiungete il vino
e tiratelo a cottura col brodo. Prima di ritirarlo dal fuoco aggraziatelo con
l'altra metà del burro e col parmigiano e mandatelo in tavola con altro
parmigiano a parte.
80. RISOTTO ALLA MILANESE III
Potete scegliere! Eccovi un altro risotto alla milanese;
ma senza la pretensione di prender la mano ai cuochi ambrosiani, dotti e
ingegnosi in questa materia.
Riso, grammi 300.
Burro, grammi 50.
Un quarto di cipolla mezzana di grandezza.
Marsala, due dita di bicchiere comune.
Zafferano, quanto basta.
Rosolate la cipolla, tritata fine, con la
metà del burro; versate il riso e dopo qualche minuto la marsala.
Tiratelo a cottura col brodo e quando sarà cotto aggiungete il resto del
burro e lo zafferano sciolto in un poco di brodo; per ultimo il pugnello di
parmigiano.
Basta per tre persone.
81. RISOTTO COI RANOCCHI
Dice un famoso cuoco che per render tenera la
carne dei ranocchi bisogna gettarli nell’acqua calda appena scorticati e dopo
passarli in quella fresca: ma badate, appena mezzo minuto, se no li cuocete. Se
sono grossi, dodici ranocchi ritengo che basteranno per grammi 300 di riso.
Lasciate addietro le coscie; le uova, in questo caso, direi fosse meglio non
adoperarle. Fate un battuto con un quarto di una grossa cipolla, uno spicchio
d’aglio, carota, sedano, prezzemolo, basilico e mettetelo al fuoco con olio,
pepe e sale. Allorché avrà preso colore buttate giù i ranocchi,
rimestate a quando a quando e rosolati che sieno buttate dentro pomodori a
pezzi, che lascerete disfare; allora versate tanta acqua calda quanta
potrà occorrerne. Fate bollire adagio finché i ranocchi siano ben cotti
e poi passate ogni cosa strizzando bene. In un po’ di questo sugo cuocete le
coscie lasciate da parte, disossatele ed unitele al resto.
Mettete il riso al fuoco con un pezzetto di
burro, rimestate, e quando il burro sarà stato tutto suzzato, versate il
sugo caldo dei ranocchi a un ramaiuolo per volta fino a cottura completa. Prima
di levare il riso gettategli dentro un pugno di parmigiano e servitelo.
82. RISOTTO COI GAMBERI
Si racconta che una gamberessa, rimproverando
un giorno la sua figliuola, le diceva: - Mio Dio, come vai torta! Non puoi
camminare diritta? - E voi, mamma, come camminate? - rispose la figliuola; -
posso andar diritta quando qui, tutti, vedo che vanno storti? - La figliuola
aveva ragione.
Grammi 300 circa di gamberi potranno bastare per
grammi 700 di riso e servire per otto persone.
Fate un battuto abbondante con mezza cipolla, tre
spicchi d'aglio, carota, sedano e prezzemolo e mettetelo al fuoco con olio in
proporzione. Credo che l'aglio, in questo caso, sia necessario per correggere
il dolce dei gamberi. Quando il soffritto avrà preso colore buttategli
dentro i gamberi e conditeli con sale e pepe. Rivoltateli spesso e quando tutti
saranno divenuti rossi, bagnateli con sugo di pomodoro o conserva e poco dopo
versate tanta acqua calda che possa bastare pel riso. Lasciate bollire non
tanto, perocché i gamberi cuociono presto, poi levateli asciutti e una quarta
parte, scegliendo i più grossi, sbucciateli e metteteli da parte. Gli
altri pestateli nel mortaio, passateli dallo staccio e la polpa passata
mescolatela al brodo dove sono stati cotti.
Mettete al fuoco un pezzetto di burro in una
cazzaruola e versatevi il riso nettato senza lavarlo; rimestate continuamente e
quando il riso avrà preso il lustro del burro versate il brodo caldo a
poco per volta; a più di mezza cottura uniteci i gamberi interi,
già sbucciati, e prima di servirlo dategli grazia con un pugno di
parmigiano.
Se, quando fate questi risotti di magro, avete in
serbo del brodo di carne, servitevene ché con esso riusciranno più
sostanziosi e più delicati.
83. RISOTTO COL BRODO DI PESCE
Quando avrete lessato un pesce di qualità
fina od anche un grosso muggine nel modo descritto al n. 459, potrete servirvi
del brodo colato per ottenerne un risotto, o una zuppa. Fate un battuto con un
quarto di cipolla, uno o due spicchi d'aglio, prezzemolo, carota e sedano e
mettetelo al fuoco con olio, sale e pepe. Quando avrà preso colore
fermatelo con sugo di pomodoro o conserva sciolta in un ramaiuolo del detto
brodo. Lasciate bollire un poco e poi versate il riso che tirerete a cottura
con lo stesso brodo bollente, versato poco per volta. A mezza cottura aggiungete
un pezzo di burro, e quando il riso è cotto, un pugnello di parmigiano.
Nella zuppa potete unire un pizzico di funghi secchi e il parmigiano servirlo a
parte.
84.
MACCHERONI ALLA FRANCESE
Li dico alla francese perché li trovai in
un trattato culinario di quella nazione; ma come pur troppo accade con certe
ricette stampate, che non corrispondono quasi mai alla pratica, ho dovuto
modificare le dosi nelle seguenti proporzioni:
Maccheroni lunghi alla napoletana, grammi 300.
Burro, grammi 70.
Gruiera, grammi 70.
Parmigiano, grammi 40.
Un pentolino di brodo.
Date due terzi di cottura ai maccheroni in acqua
non troppo salata. Mettete il brodo al fuoco e quando bolle gettateci il
gruiera grattato e il burro per scioglierli bene col mestolo; ciò
ottenuto, versatelo subito sui maccheroni già sgrondati dall'acqua e
dico subito, perché altrimenti il gruiera cala a fondo e si appasta.
Tenete i maccheroni al fuoco fino a cottura completa procurando che resti un
po' di sugo. Quando li levate, conditeli col suddetto parmigiano e serviteli
con altro parmigiano a parte, per chi, non avendo il gusto al delicato, ama il
piccante.
Questa, come i maccheroni alla bolognese,
è una minestra che fa molto comodo nelle famiglie, perché risparmia il
lesso, bastando un pentolino di brodo del giorno avanti. Volendoli di magro, al
brodo si sostituisca il latte.
Il gruiera, conosciuto in commercio anche col
nome di emmenthal, è quel cacio a forme grandissime, di
pasta tenera, gialla e bucherellata. Alcuni non amano il suo odore speciale che
sa di ribollito; ma fo riflettere che questo odore nella stagione fredda
è poco sensibile e che nella minestra si avverte appena.
85. MACCHERONI ALLA NAPOLETANA
Ve li garantisco genuini e provati colla scorta
di una ricetta che mi sono procurato da una famiglia di Santa Maria Capua
Vetere; vi dirò anche di essere stato lungo tempo incerto avanti di
metterla in esecuzione non persuadendomi troppo quel guazzabuglio di
condimenti. A dir vero questi maccheroni non riescon cattivi, anzi possono
incontrare il gusto di chi non è esclusivista del semplice.
Prendete un pezzo di carne nel lucertolo e
steccatelo con fettine di prosciutto grasso e magro, zibibbo, pinoli e con un
battutino di lardone, aglio, prezzemolo, sale e pepe. Accomodata la carne in
questa maniera, e legata collo spago per tenerla più unita, ponetela al
fuoco con un battuto di lardone e cipolla finemente tritata; rivoltatela spesso
e bucatela a quando a quando col lardatoio. Rosolata che sia la carne e
consumato il battuto, aggiungetevi tre o quattro pezzi di pomodoro sbucciati e
quando questi siano distrutti, unitevi, a poco per volta, del sugo di pomodoro
passato. Aspettate che questo siasi alquanto ristretto, poi versate tanta acqua
che copra il pezzo, condite con sale e pepe e fate bollire a fuoco lento. in
mancanza di pomodori freschi servitevi di conserva. Col sugo e con formaggio
piccante, come usano i Napoletani, si condiscono i maccheroni, e la carne serve
di companatico.
Quanto ai maccheroni, insegnano di farli bollire
in un recipiente largo, con molt'acqua, e di non cuocerli troppo.
86. MACCHERONI ALLA NAPOLETANA
Sono molto
più semplici de' precedenti e buoni tanto che vi consiglio a provarli.
Per grammi
300 di maccheroni lunghi, che sono sufficienti per tre persone, mettete a
soffriggere in un tegame o in una cazzaruola due grosse fette di cipolla con
grammi 30 di burro e due cucchiaiate d'olio. Quando la cipolla, che bollendo
naturalmente si sfalda, sarà ben rosolata, strizzatela col mestolo e
gettatela via. In quell'unto a bollore versate grammi 500 di pomodori e un buon
pizzico di basilico tritato all'ingrosso; condite con sale e pepe, ma i
pomodori preparateli avanti perché vanno sbucciati, tagliati a pezzi e nettati
dai semi più che si può, non facendo difetto se ve ne restano.
Col sugo condensato, con grammi 50 di burro crudo
e parmigiano, condite i maccheroni e mandateli in tavola, che saranno aggraditi
specialmente da chi nel sugo di pomodoro ci nuoterebbe dentro.
Invece dei maccheroni lunghi, possono servire le
penne, anzi queste prenderanno meglio il condimento.
87. MACCHERONI ALLA BOLOGNESE
I Bolognesi, per questa minestra, fanno uso dei
così detti denti di cavallo di mezzana grandezza, e questa pare anche a
me la forma che meglio si presta, se cucinati in tal modo; avvertite
però che siano di sfoglia alquanto grossa, onde nel bollire non si
schiaccino; al qual difetto poco si bada in Toscana ove per la predilezione che
sempre si dà ai cibi leggeri vengono fabbricate certe qualità di
paste così dette gentili, a buco largo e a pareti tanto sottili
che non reggono punto alla cottura e si schiacciano bollendo, il che fa
disgusto a vederle non che a mangiarle.
Come ognuno sa, le migliori paste da minestra
sono quelle di grano duro, che si fanno distinguere pel colore naturale di
cera. Diffidate di quelle gialle, di cui si tenta mascherare l'origine
ordinaria di grano comune, per mezzo di una tinta artificiale, che una volta
era data almeno con sostanze innocue, quali lo zafferano o il croco.
Le seguenti proporzioni sono approssimative per
condire grammi 500 e più di minestra:
Carne magra di vitella (meglio se nel filetto),
gr. 150.
Carnesecca, grammi 50.
Burro, grammi 40.
Un quarto di una cipolla comune.
Una mezza carota.
Due costole di sedano bianco lunghe un palmo, oppure
l'odore del sedano verde.
Un pizzico di farina, ma scarso assai.
Un pentolino di brodo.
Sale pochissimo o punto, a motivo della
carnesecca e del brodo che sono saporiti.
Pepe e, a chi piace, l'odore della noce moscata.
Tagliate la
carne a piccoli dadi, tritate fine colla lunetta la carnesecca, la cipolla e
gli odori, poi mettete al fuoco ogni cosa insieme, compreso il burro, e quando
la carne avrà preso colore aggiungete il pizzico della farina, bagnando
col brodo fino a cottura intera.
Scolate bene i maccheroni dall'acqua e conditeli
col parmigiano e con questo intingolo, il quale si può rendere anche
più grato o con dei pezzetti di funghi secchi o con qualche fettina di
tartufi, o con un fegatino cotto fra la carne e tagliato a pezzetti; unite,
infine, quando è fatto l'intingolo, se volete renderli anche più
delicati, mezzo bicchiere di panna; in ogni modo è bene che i maccheroni
vengano in tavola non asciutti arrabbiati, ma diguazzanti in un poco di sugo.
Trattandosi di paste asciutte, qui viene a proposito
una osservazione, e cioè che queste minestre è bene cuocerle
poco; ma badiamo, modus in rebus. Se le paste si sentono durettine,
riescono più grate al gusto e si digeriscono meglio. Sembra questo un
paradosso, ma pure è così, perché la minestra troppo cotta,
masticandosi poco, scende compatta a pesar sullo stomaco e vi fa palla, mentre
se ha bisogno di essere triturata, la masticazione produce saliva e questa
contiene un fermento detto ptialina che serve a convertire l'amido o la fecola
in zucchero ed in destrina.
L'azione fisiologica della saliva è poi
importantissima giacché oltre all'effetto di ammollire e di sciogliere i cibi,
facilitandone l'inghiottimento, promuove per la sua natura alcalina la
secrezione del succo gastrico allorché i cibi scendono nello stomaco. Per
questa ragione le bambinaie usano a fin di bene un atto schifoso come quello di
fare i bocconi e masticare la pappa ai bambini.
Si dice che i Napoletani, gran mangiatori di
paste asciutte, vi bevano sopra un bicchier d'acqua per digerirle meglio. Io
non so se l'acqua, in questo caso, agisca come dissolvente o piuttosto sia
utile perché, prendendo il posto di un bicchier di vino o di altro alimento,
faccia, naturalmente, rimaner lo stomaco più leggero. I denti di cavallo,
quando sono più grossi e più lunghi, si chiamano in Toscana
cannelloni e in altri luoghi d'Italia buconotti o strozzapreti.
88. MACCHERONI CON LE SARDE ALLA SICILIANA
Di questa minestra vo debitore a una vedova e
spiritosa signora il cui marito, siciliano, si divertiva a manipolare alcuni
piatti del suo paese, fra i quali il nasello alla palermitana e il pesce a
taglio in umido.
Maccheroni lunghi alla napoletana, grammi 500.
Sarde fresche, grammi 500.
Acciughe salate, n. 6.
Finocchio selvatico, detto finocchio novellino,
gr. 300. Olio, quanto basta.
Alle sarde
levate la testa, la coda e la spina dividendole in due parti, infarinatele,
friggetele, salatele alquanto e mettetele da parte.
I finocchi lessateli, spremeteli dall'acqua,
tritateli minuti e metteteli da parte.
I maccheroni, dopo averli cotti così
interi nell'acqua salata, scolateli bene e mettete anche questi da parte.
Ponete al fuoco in un tegame dell'olio in abbondanza e in esso disfate le sei
acciughe, ben inteso dopo averle nettate e tolta la spina; versate in questa
salsa i finocchi, conditeli con poco sale e pepe e fateli bollire per dieci
minuti con sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua. Ora che avete tutto
in pronto, prendete un piatto che regga al fuoco o una teglia e condite i
maccheroni a suolo a suolo con le sarde e con l'acciugata di finocchi in modo
che facciano la colma; metteteli a rosolare tra due fuochi e serviteli caldi.
Crederei dovessero bastare per sei o sette
persone.
89. GNOCCHI DI PATATE
La famiglia de' gnocchi è numerosa. Vi ho
già descritto gli gnocchi in brodo del n. 14: ora v'indicherò gli
gnocchi di patate e di farina gialla per minestra e più avanti quelli di
semolino e alla romana per tramesso o per contorno, e quelli di latte per
dolce.
Patate grosse e gialle, grammi 400.
Farina di grano, grammi 150.
Vi noto la
proporzione della farina per intriderli, onde non avesse ad accadervi come ad
una signora che, me presente, appena affondato il mestolo per muoverli nella
pentola non trovò più nulla; gli gnocchi erano spariti. - O
dov'erano andati? - mi domandò con premurosa curiosità un'altra
signora, a cui per ridere raccontai il fatto, credendo forse che il folletto li
avesse portati via.
- Non inarchi le ciglia, signora - risposi io -
ché lo strano fenomeno è naturale: quelli gnocchi erano stati intrisi
con poca farina e appena furono nell'acqua bollente si liquefecero.
Cuocete le patate nell'acqua o, meglio, a vapore
e, calde bollenti, spellatele e passatele per istaccio. Poi intridetele colla
detta farina e lavorate alquanto l'impasto colle mani, tirandolo a cilindro
sottile per poterlo tagliare a tocchetti lunghi tre centimetri circa.
Spolverizzateli leggermente di farina e, prendendoli uno alla volta, scavateli
col pollice sul rovescio di una grattugia. Metteteli a cuocere nell'acqua
salata per dieci minuti, levateli asciutti e conditeli con cacio, burro e sugo
di pomodoro, piacendovi.
Se li volete più delicati cuoceteli nel
latte e serviteli senza scolarli; se il latte è di buona qualità,
all'infuori del sale, non è necessario condimento alcuno o tutt'al
più un pizzico di parmigiano.
90. GNOCCHI DI FARINA GIALLA
Quando vi sentite una certa ripienezza prodotta
da esuberanza di nutrizione, se ricorrete a una minestra di questi gnocchi
potrete, per la loro leggerezza e poca sostanza, neutralizzarla; e più
ancora se farete seguire ad essa un piatto di pesce di facile digestione.
La farina, per quest'uso, è bene sia
macinata grossa; se no è meglio ricorrere al semolino fine di granturco,
che ora trovasi in commercio. Salate l'acqua e, quando bolle, versate colla
mano sinistra la farina un po' per volta e col mestolo nella destra, mescolate
continuamente. È necessario che questa farina bolla molto, e quando essa
è ristretta in modo da reggere bene sul mestolo, gettatela, con un
coltello da tavola, a tocchetti entro a un vassoio e ad ogni strato conditela con
cacio, burro, sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua. Colmatene il
vassoio e mandatela calda in tavola.
Se poi vi piacessero più conditi potete
trattarli come la polenta con le salsicce del n. 232 o come i maccheroni alla
bolognese del n. 87.
91. PAPPARDELLE ALL’ARETINA
Non ve le do come piatto fine, ma per famiglia
può andare.
Prendete un'anatra domestica, mettetela in
cazzaruola con un pezzetto di burro, conditela con sale e pepe e, quando
avrà preso colore, aggiungete un battuto, tritato ben fine, di prosciutto,
cipolla, sedano e carota. Lasciatelo struggere sotto l'anatra, rivoltandola
spesso; poi levate via buona parte dell'unto come cosa indigesta, e tiratela a
cottura con brodo ed acqua versata poca per volta, ma in quantità tale
che vi resti il sugo per condire la minestra di pappardelle.
Procuratevi un pezzetto di milza di vitella o di
manzo, apritela e raschiatene col coltello la parte interna per metterla a
bollire sotto l'anatra quando questa sarà cotta e servirà per
ingrediente al sugo a cui non sarà male aggiungere anche pomodoro e
odore di noce moscata. Tirate una sfoglia di tutte uova, grossetta come quella
delle tagliatelle e colla rotellina smerlata tagliate le strisce più
larghe di un dito. Cuocetele poco e conditele col detto sugo, col fegatino
dell'anatra a pezzetti, parmigiano e un poco di burro se occorre. Queste
pappardelle servono per minestra e l'anatra per secondo piatto.
92. PASTE ALLA CACCIATORA
Così chiamano in Toscana una minestra di
paste asciutte, (nocette, paternostri, penne e simili) condite con la carne
delle arzavole. Le arzavole sono uccelli di padule, dal piede palmato, dal
becco a spatola, somigliantissimi alle anatre se non che sono più
piccole, da pesare in natura grammi
Gettate via la testa, le zampe, la stizza, e gli
intestini per farle bollire con un mazzetto guarnito di sedano, carota e gambi
di prezzemolo in tanta acqua salata che basti per cuocervi la minestra. Cotte
che sieno disossatele e tritatele con la lunetta insieme coi fegatini e i
ventrigli vuotati che avrete cotti con le arzavole. Cotta la pasta nel detto
brodo scolatela bene e conditela a suoli con questa carne tritata, burro e
parmigiano a buona misura.
Riesce una minestra gustosa e, ciò che
più conta, di non difficile digestione.
93. PASTE CON LE ARZAVOLE
La precedente minestra Paste alla cacciatora mi
ha suggerito questa che non riesce men buona. Prendete un'arzavola e, vuotata e
pulita come le suddette, mettetela a cuocere insieme con un battuto di cipolla
(un quarto o mezza se è piccola), un bel pezzo di sedano, mezza carota,
grammi 40 di prosciutto grasso e magro e un pezzetto di burro; sale e pepe per
condimento. Rosolata che sia, tiratela a cottura con del buon brodo e un po' di
sugo di pomodoro o conserva. Poi disossatela e tritatela insieme con qualche
pezzetto di funghi secchi, se li avete uniti all'arzavola mentre cuoceva.
Rimettete al fuoco questo intingolo con l'odore delle spezie o della noce
moscata e un pezzo di burro impiastricciato di farina per legarlo, e con esso e
parmigiano condite grammi 350 di paste che possono essere maccheroni, strisce,
denti di cavallo od altre simili.
Questa quantità può bastare per
cinque persone se non sono gran mangiatori.
Se unirete all'arzavola grammi 50 di filetto di
manzo avrete l'intingolo più sostanzioso.
Dopo aver lavato il coniglio, tagliatelo a pezzi
più grossi di quello da friggere e mettetelo al fuoco in una cazzaruola
per fargli far l'acqua che poi scolerete; quando sarà bene asciutto
gettateci un pezzetto di burro, un poco d'olio e un battuto tritato fine e
composto del fegato dell'animale, di un pezzetto di carnesecca e di tutti gli
odori, cioè: cipolla, sedano, carota e prezzemolo. Conditelo con sale e
pepe. Rimuovetelo spesso e quando sarà rosolato bagnatelo con acqua e
sugo di pomodoro, o conserva, per tirarlo a cottura, aggiungendo per ultimo un
altro poco di burro.
Servitevi del sugo per condire con questo e con
parmigiano una minestra di pappardelle o di strisce, e mandate in tavola per
secondo piatto il coniglio con alcun poco del suo intinto.
Se non volete condir la minestra non occorre nel
battuto la carnesecca.
95. PAPPARDELLE COLLA LEPRE I
La carne della lepre, essendo arida e di poco
sapore, ha bisogno in questo caso, di venire sussidiata da un sugo di carne di
molta sostanza per ottenere una minestra signorile. Eccovi le dosi di una minestra
per cinque persone che, per tante, a mio avviso, deve bastare una sfoglia di
tre uova, tagliata a forma di pappardelle larghe un dito, con la rotella
smerlata, oppure per grammi 500 o 600 di strisce di pasta comprata.
I due filetti di una lepre, che possono pesare in
tutto grammi
Burro, grammi 50.
Carnesecca, grammi 40.
Mezza cipolla di mediocre grandezza.
Mezza carota.
Un pezzo di sedano lungo un palmo.
Odore di noce moscata.
Parmigiano, quanto basta.
Una cucchiaiata di farina.
Sugo di carne, decilitri 6.
I filetti spellateli da quella pellicola che li
avvolge e tagliateli a piccoli dadi, poi fate un battuto con la carnesecca, la
cipolla, il sedano e la carota. Tritatelo ben fine con la lunetta e mettetelo
al fuoco con la terza parte del detto burro e con la carne di lepre, condendola
con sale e pepe. Quando la carne sarà rosolata, spargeteci sopra la
farina e poco dopo bagnatela e tiratela a cottura coi detto sugo. Prima di
servirvi di questo intingolo aggiungete il resto del burro e la noce moscata.
Le pappardelle o strisce che siano, cotte
nell'acqua salata, levatele bene asciutte e conditele sul vassoio, senza
rimetterle al fuoco, con parmigiano e l'intingolo suddetto.
In mancanza dei filetti servitevi dei coscetti.
96. PAPPARDELLE COLLA LEPRE II
Eccovi un'altra ricetta più semplice per
condire con la stessa quantità di carne di lepre la medesima
quantità di paste.
Fate un battuto con grammi 50 di prosciutto,
più grasso che magro, un quarto di cipolla, sedano, carota e pochissimo
prezzemolo. Mettetelo al fuoco con grammi 40 di burro e quando avrà
soffritto, buttateci i pezzi della carne interi e conditeli con sale e pepe.
Fatela rosolare e poi, per cuocerla, bagnatela a poco a poco con brodo e sugo
di pomodoro o conserva, in modo che vi resti abbondante liquido; quando la
carne è cotta levatela asciutta e tritatela non tanto minuta con la
lunetta.
Fate, come dicono i Francesi, un roux o,
come io direi, un intriso con grammi 30 di burro e una cucchiaiata di farina e
quando avrà preso sul fuoco il color biondo, versate nel medesimo la
carne tritata e il suo sugo, aggiungendo altri
97. RAVIOLI
Ricotta, grammi 300.
Parmigiano grattato, grammi 50.
Uova, n. 2.
Bietola cotta, quanta ne sta in un pugno. Odore
di noce moscata e spezie.
Sale, quanto basta.
La ricotta
passatela, e se è sierosa strizzatela prima in un tovagliuolo. La
bietola nettatela dai gambi, lessatela senz'acqua, strizzatela bene e tritatela
fine colla lunetta Fate un impasto di tutto, prendete il composto a cucchiaiate
e mettendolo sopra a della farina, che avrete distesa sulla spianatoia,
avvolgetelo bene dandogli la forma tonda e bislunga delle crocchette. Con
questa dose farete circa due dozzine di ravioli. Per cuocerli gettateli in
acqua, non salata, che bolla forte e levateli colla mestola forata perché
restino asciutti. Conditeli o col sugo o a cacio e burro e serviteli per
minestra o per contorno a un umido di carne.
Siccome la cottura ne è sollecita,
bastando che assodino, cuoceteli pochi alla volta onde non si rompano.
98. RAVIOLI ALL’USO DI ROMAGNA
I Romagnoli, per ragione del clima che richiede
un vitto di molta sostanza e un poco fors'anche per lunga consuetudine a cibi gravi,
hanno generalmente gli ortaggi cotti in quella grazia che si avrebbe il fumo
negli occhi, talché spesse volte ho udito nelle trattorie: - Cameriere, una
porzione di lesso; ma bada, senza spinaci. - Oppure: - Di questi (indicando gli
spinaci) ti puoi fare un impiastro sul sedere. - Esclusa quindi la bietola o
gli spinaci, eccovi la ricetta dei ravioli all'uso di Romagna:
Ricotta, grammi 150.
Farina, grammi 50.
Parmigiano grattato, grammi 40.
Uova, uno e un rosso.
Sale, quanto basta.
Fate tutto un impasto e versatelo sulla
spianatoia sopra un velo di farina per dargli la forma cilindrica che taglie
rete in quattordici o quindici pezzi eguali foggiandoli a modo. Lessateli poi
per due o tre minuti in acqua non salata e conditeli con cacio e sugo di carne,
oppure serviteli per contorno a uno stracotto o a un fricandò.
99. RAVIOLI ALLA GENOVESE
Questi, veramente, non si dovrebbero chiamar
ravioli, perché i veri ravioli non si fanno di carne e non si involgono nella
sfoglia.
Mezzo petto di cappone o di pollastra.
Un cervello d'agnello con alcune animelle
Un fegatino di pollo.
Mettete
queste cose al fuoco con un pezzetto di burro e quando cominciano a prender
colore tiratele a cottura col sugo di carne. Levatele asciutte e tritatele
finissime colla lunetta insieme con una fettina di prosciutto grasso e magro;
poi aggiungete pochi spinaci lessati e passati, parmigiano grattato, noce
moscata e due rossi d'uovo. Mescolate, e chiudeteli come i cappelletti all'uso
di Romagna n. 7, o in modo più semplice; con questa dose ne farete
sessanta circa.
Cuoceteli nel brodo per minestra, o asciutti con
cacio e burro, oppure col sugo.
100. SPAGHETTI COLLE ACCIUGHE
Per minestra di magro è appetitosa.
Prendete spaghetti mezzani che sono da preferirsi a quelle corde da
contrabbasso, eccellenti per gli stomachi degli spaccalegne. Grammi 350 sono
più che sufficienti per quattro persone di pasto ordinario, e per questa
quantità bastano cinque acciughe.
Lavatele, nettatele bene dalle spine e dalle
lische, tritatele alquanto colla lunetta e ponetele al fuoco con olio buono in
abbondanza e una presa di pepe. Non le fate bollire, ma quando cominciano a
scaldarsi aggiungete grammi 50 di burro, un poco di sugo di pomodoro o conserva
e levatele. Condite con questo intingolo gli spaghetti cotti in acqua poco
salata, procurando che restino durettini.
101. SPAGHETTI COI NASELLI
Spaghetti, grammi 500.
Naselli (merluzzi), grammi 300.
Burro, grammi 60.
Olio, cucchiaiate n. 4.
Marsala, cucchiaiate n. 4.
Odore di noce moscata.
Tritate una cipolla di mediocre grossezza e
strizzatela fra le mani per toglierle l'acredine. Mettetela al fuoco con l'olio
suddetto e quando comincia a rosolare gettateci i naselli tagliati a pezzi e
conditeli con sale e pepe. Rosolati che siano versate sugo di pomodoro, o
conserva sciolta nell'acqua per cuocerli, e poi passateli da uno staccio di fil
di ferro, bagnandoli con un poco di acqua calda se occorre, per estrarne tutta
la polpa. Rimettete il passato al fuoco col burro, la marsala, la noce moscata
e quando avrà alzato il bollore, se il sugo non avrà bisogno di
essere ristretto per ridurlo a giusta consistenza, condite con questo intingolo
e parmigiano gli spaghetti cotti in acqua salata.
È questa una dose per cinque persone ed
è minestra che piacerà perché non è un intruglio come
sembrerebbe alla descrizione.
102. SPAGHETTI COL SUGO DI SEPPIE
Eccovi le norme approssimative per fare questa
minestra che basterà per cinque persone.
Prendete tre seppie di media grandezza, che potranno
pesare, in complesso, dai 650 ai
Le seppie, che in questo modo rimangono tenere e
perciò di non difficile digestione, servitele dopo come piatto di pesce
in umido.
103. SPAGHETTI DA QUARESIMA
Molti leggendo questa ricetta esclameranno: - Oh
che minestra ridicola! - eppure a me non dispiace; si usa in Romagna e, se la
servirete a dei giovanotti, sarete quasi certi del loro aggradimento.
Pestate delle noci framezzo a pangrattato,
uniteci dello zucchero a velo e l'odore delle spezie e, levati asciutti gli
spaghetti dall'acqua, conditeli prima con olio e pepe, poi con questo pesto a
buona misura.
Per grammi 400 di spaghetti, che possono bastare
per cinque persone:
Noci sgusciate, grammi 60.
Pangrattato, grammi 60.
Zucchero bianco a velo, grammi 30.
Spezie fini, un cucchiaino colmo.
104. SPAGHETTI ALLA RUSTICA
Gli antichi Romani lasciavano mangiare l'aglio
all'infima gente, e Alfonso re di Castiglia tanto l'odiava da infliggere una
punizione a chi fosse comparso a Corte col puzzo dell'aglio in bocca.
Più saggi gli antichi Egizi lo adoravano in forma di nume, forse perché
ne avevano sperimentate le medicinali virtù, e infatti si vuole che
l'aglio sia di qualche giovamento agl'isterici, che promuova la secrezione
delle orine, rinforzi lo stomaco, aiuti la digestione e, essendo anche
vermifugo, serva di preservativo contro le malattie epidemiche e pestilenziali.
Però, ne' soffritti, state attenti che non si cuocia troppo, ché allora
prende assai di cattivo. Ci sono molte persone, le quali, ignare della preparazione
dei cibi, hanno in orrore l'aglio per la sola ragione che lo sentono puzzare
nel fiato di chi lo ha mangiato crudo o mal preparato; quindi, quale condimento
plebeo, lo bandiscono affatto dalla loro cucina; ma questa fisima li priva di
vivande igieniche e gustose, come la seguente minestra, la quale spesso mi
accomoda lo stomaco quando l'ho disturbato. Fate un battutino con due spicchi
d'aglio e un buon pizzico di prezzemolo e l'odore del basilico se piace;
mettetelo al fuoco con olio a buona misura e appena l'aglio comincia a colorire
gettate nel detto battuto sei o sette pomodori a pezzi condendoli con sale e
pepe. Quando saranno ben cotti passatene il sugo, che potrà servire per
quattro o cinque persone, e col medesimo unito a parmigiano grattato, condite
gli spaghetti, ossia i vermicelli, asciutti, ma abbiate l'avvertenza di
cuocerli poco, in molta acqua, e di mandarli subito in tavola, onde non avendo
tempo di succhiar l'umido, restino succosi.
Anche le tagliatelle sono buonissime così
condite.
105. SPAGHETTI COI PISELLI
È una
minestra da famiglia, ma buona e gustosa se preparata con attenzione; del resto
queste minestre asciutte vengono opportune per alternare con quell'eterno e
spesso tiglioso e insipido lesso.
Spaghetti, grammi 500.
Piselli sgranati, grammi 500.
Carnesecca, grammi 70.
Fate un battuto con la suddetta carnesecca, una
cipolla novellina, un aglio fresco e qualche costola di sedano e prezzemolo.
Mettetelo al fuoco con olio e, quando comincia a prender colore, versate i
piselli insieme con qualche gambo di aneto tritato, se lo avete; conditeli con
sale e pepe e cuoceteli.
Gli spaghetti tritateli con le mani per ridurli
corti meno di mezzo dito, cuoceteli nell'acqua salata, scolateli bene,
mescolateli coi piselli e serviteli con parmigiano a parte.
Questa quantità potrà bastare per
sei o sette persone.
106. SPAGHETTI CON LA BALSAMELLA
Tolti asciutti dall'acqua e conditi sul vassoio
con parmigiano e burro, né più né meno come siete soliti a fare,
versateci sopra, se gli spaghetti fossero grammi 300, una balsamella composta
di
Latte molto buono decilitri n. 3.
Burro, grammi 20.
Farina, grammi 5 che corrispondono a una mezza
cucchiaiata.
È una
minestra che potrà bastare a quattro persone.
107. MINESTRA DI ERBE PASSATE
Prendete un mazzo di bietola, uno di spinaci, un
cesto (cespo) di lattuga e uno spicchio di cavolo cappuccio. Alla bietola
togliete le costole più grosse, trinciate tutte queste erbe all'ingrosso
e tenetele per alcune ore nell'acqua fresca.
Fate un battuto con un quarto di cipolla e tutti
gli odori, cioè, prezzemolo, sedano, carota e qualche foglia di
basilico, oppure di aneto; mettetelo al fuoco con un pezzetto di burro e quando
sarà ben colorito, versate sul medesimo le dette erbe alquanto
grondanti, insieme con alcuni pomodori a pezzi e con una patata tagliata a
fette. Condite con sale e pepe e lasciate bollire rimescolando spesso. Quando
le erbe saranno ristrette, versate acqua calda e fatele cuocer tanto che
divengan disfatte. Allora passatele per istaccio, sul quale rimarrà lo
scarto di bucce e filamenti, e servitevi del sugo passato per cuocervi del riso
o per bagnare una zuppa; ma prima assaggiatelo, per aggiungere condimento, e
specialmente del burro, che sarà quasi sempre necessario.
Le dette minestre servitele con parmigiano a
parte, ma vi prevengo di non tenerle troppo dense onde non sembrino impiastri.
Principii o antipasto sono propriamente quelle
cosette appetitose che s'imbandiscono per mangiarle o dopo la minestra, come si
usa in Toscana, cosa che mi sembra più ragionevole, o prima, come si
pratica in altre parti d'Italia. Le ostriche, i salumi, tanto di grasso, come
prosciutto, salame, mortadella, lingua; quanto di magro: acciughe, sardine,
caviale, mosciame (che è la schiena salata del tonno), ecc., possono
servire da principio tanto soli che accompagnati col burro. Oltre a ciò
i crostini, che vi descriverò qui appresso, servono benissimo all'uopo.
108. CROSTINI DI CAPPERI
Capperi sotto aceto, grammi 50.
Zucchero in polvere, grammi 50.
Uva passolina, grammi 30.
Pinoli, grammi 20.
Candito, grammi 20.
I capperi tritateli all'ingrosso, l'uva passolina
nettatela dai gambi e lavatela bene, i pinoli tagliateli per traverso in tre
parti, il prosciutto foggiatelo a piccolissimi dadi e il candito riducetelo a
pezzettini. Mettete al fuoco, in una piccola cazzaruola, un cucchiaino colmo di
farina e due del detto zucchero e quando questa miscela avrà preso il
color marrone, versate nella medesima mezzo bicchier d'acqua mista a pochissimo
aceto. Quando avrà bollito tanto che i grumi siensi sciolti, gettate
nella cazzaruola tutti gli ingredienti in una volta e fateli bollire per dieci
minuti, assaggiandoli nel frattempo, per sentire se il sapore dolce e forte sta
bene; non v'ho precisato la quantità di aceto necessaria, perché tutte
le qualità di aceto non hanno la stessa forza. Quando il composto
è ancora caldo distendetelo sopra fettine di pane fritte in olio buono o
semplicemente arrostite appena. Potete servire questi crostini diacci anche a
metà del pranzo, per eccitare l'appetito dei vostri commensali. Il
miglior pane per questi crostini è quello in forma all'uso inglese.
109. CROSTINI DI TARTUFI
Prendete a preferenza i bastoncini di pane e
tagliateli a fette diagonali: in mancanza di essi preparate fettine di pane a
forma elegante, arrostitele appena e così a bollore ungetele col burro.
Sopra di esse distendete i tartufi preparati nel modo descritto al n. 269 e
bagnateli coll'intinto che resta.
110. CROSTINI DI FEGATINI DI POLLO
Sapete già che ai fegatini va levata la
vescichetta del fiele senza romperla, operazione questa che eseguirete meglio
operando dentro a una catinella d'acqua. Mettete i fegatini al fuoco insieme
con un battutino composto di uno scalogno, e in mancanza di questo di uno
spicchio di cipollina bianca, un pezzetto di grasso di prosciutto, alcune
foglie di prezzemolo, sedano e carota, un poco d'olio e di burro, sale e pepe;
ma ogni cosa in poca quantità per non rendere il composto piccante o
nauseante. A mezza cottura levate i fegatini asciutti e, con due o tre pezzi di
funghi secchi rammolliti, tritateli fini colla lunetta. Rimetteteli al fuoco
nell'intinto rimasto della mezza cottura e con un poco di brodo finite di
cuocerli, ma prima di servirvene legateli con un pizzico di pangrattato fine e
uniteci un po' d'agro di limone.
Vi avverto che questi crostini devono esser
teneri e però fate il composto alquanto liquido, oppure intingete prima,
appena appena, le fettine di pane nel brodo.
111. CROSTINI DI FEGATINI DI POLLO CON LA SALVIA
Fate un battutino con pochissima cipolla e
prosciutto grasso e magro. Mettetelo al fuoco con un pezzetto di burro e quando
sarà ben rosolato gettateci i fegatini tritati fini insieme con delle
foglie di salvia (quattro o cinque per tre fegatini potranno bastare).
Conditeli con sale e pepe e, tirato che abbiano l'umido, aggiungete un altro
poco di burro e legateli con un cucchiaino di farina; poi bagnateli col brodo
per cuocerli, ma prima di ritirarli dal fuoco versateci tre o quattro
cucchiaini di parmigiano grattato e assaggiateli se stanno bene di condimento.
I crostini formateli di midolla di pane raffermo,
grossi poco meno di un centimetro e spalmateli generosamente da una sola parte
col composto quando non sarà più a bollore. Dopo diverse ore,
allorché sarete per servirli, o soli o per contorno all'arrosto, frullate un
uovo misto a un gocciolo d'acqua e, prendendo i crostini a uno a uno, fate loro
toccar la farina dalla sola parte del composto, poi immergeteli nell'uovo e
buttateli in padella dalla parte del composto medesimo.
112. CROSTINI DI BECCACCIA
Sbuzzate le beccacce e levatene le interiora
gettando via soltanto la estremità del budello che confina coll'ano.
Unite alle medesime i ventrigli, senza vuotarli; qualche foglia di prezzemolo e
la polpa di due acciughe per ogni tre interiora. Sale non occorre. Tritate il
tutto ben fine colla lunetta, poi mettetelo al fuoco con un pezzetto di burro e
una presa di pepe, bagnandolo con sugo di carne.
Spalmate con questo composto fettine di pane a
forma gentile, arrostite appena, e mandate questi crostini in tavola
accompagnati dalle beccacce che avrete cotto arrosto con qualche ciocchettina
di salvia e fasciate con una fetta sottile di lardone.
113. CROSTINI DIVERSI
Il pane che meglio si presta per questi crostini
è quello bianco fine, in forma, all'uso inglese. Non avendone, prendete
pane di un giorno, con molta midolla, e riducetelo a fette quadre, grosse un
centimetro, che spalmerete co' seguenti composti ridotti come ad unguento:
CROSTINI DI CAVIALE. Tanto caviale e tanto burro
mescolati insieme; e se il caviale è duro lavorateli un poco al fuoco,
con un mestolo, a moderato calore.
Se invece del burro vorrete servirvi di olio,
aggiungete qualche goccia d'agro di limone e immedesimate bene i tre
ingredienti.
CROSTINI DI ACCIUGHE. Lavate le acciughe e
togliete loro la spina e le lische; poi tritatele colla lunetta, aggiungete
burro in proporzione, e stiacciate il composto con la lama di un coltello da
tavola per ridurlo una pasta omogenea.
CROSTINI DI CAVIALE, ACCIUGHE E BURRO. Mi
servirei delle seguenti proporzioni, salvo a modificarle secondo il gusto:
Burro, grammi 60.
Caviale, grammi 40.
Acciughe, grammi 20.
Fate un miscuglio di tutto e lavoratelo per
ridurlo fine e liscio.
114. SANDWICHS
Possono servir di principio alla colazione o di
accompagnamento a una tazza di the. Prendete pane finissimo di un giorno, o
pane di segale, levategli la corteccia e tagliatelo a fettine grosse mezzo
centimetro e all'incirca lunghe 6 e larghe 4. Spalmatele di burro fresco da una
sola parte e appiccicatele insieme mettendovi framezzo una fetta sottile o di
prosciutto cotto grasso e magro, o di lingua salata.
115. CROSTINI DI FEGATINI E ACCIUGHE
Fegatini di pollo, n. 2.
Acciughe, n. 1.
Cuocete i
fegatini nel burro e quando l'avranno tirato bagnateli con brodo; unite una
presa di pepe, ma punto sale. Quando sono cotti tritateli fini insieme
coll'acciuga lavata e nettata; poi rimettete il battuto nel tegamino dove sono
stati cotti i fegatini, aggiungete un altro po' di burro, scaldate il composto
al fuoco senza farlo bollire, e spalmate con esso delle fettine di midolla di
pane fresco.
116. CROSTINI DI MILZA
Milza di castrato, grammi 120.
Acciughe, n. 2.
Levate la pelle alla milza e cuocetela col burro
e sugo di carne. In mancanza di questo, servitevi di un battutino di poca
cipolla, olio, burro, sale, pepe e spezie per condimento. Tritate poi ben fine
questi ingredienti insieme colle acciughe, rimetteteli al fuoco nell'intinto
che resta, unendovi un cucchiaino di pangrattato per legarli insieme, e, senza
farli più bollire, spalmate con essi delle fettine di pane, fatte prima
asciugare al fuoco senz'arrostire ed unte col burro.
117. CROSTINI FIORITI
Questi crostini sono di facile fattura, belli a
vedersi e discretamente buoni.
Tagliate della midolla di pane finissimo alla
grossezza di un centimetro, dandole la forma di mandorle o di quadretti.
Spalmateli di burro fresco e distendeteci sopra due o tre foglie di prezzemolo,
contornandole con filetti di acciuga, in forma di biscioline.
118. BACCALÀ MONTEBIANCO
Com'è bizzarra la nomenclatura della
cucina! Perché montebianco e non montegiallo, come apparisce dal suo colore
quando questo piatto è formato? E i Francesi come hanno potuto,
facendosi belli di un traslato de' più arditi, stiracchiare il vocabolo
corrispondente in Brandade de morue? Brandade, dicono essi, deriva da brandir,
muovere, scuotere, vibrare una spada, un'alabarda, una lancia ed armi
simili, e infatti qui si brandisce; ma che cosa? Un povero mestolo di legno.
Non si può negare che i Francesi non sieno ingegnosi in tutto!
Comunque sia, è un piatto che merita tutta
la vostra attenzione, perché il baccalà così trattato perde la
sua natura triviale e diventa gentile in modo da poter figurare, come principio
o tramesso, in una tavola signorile.
Baccalà polputo, ammollito, grammi 500.
Olio sopraffino, grammi 200.
Panna o latte eccellente, decilitri l.
La detta
quantità nettata dalla spina, dalle lische, dalla pelle e dai nerbetti,
che si presentano come fili, rimarrà al pulito grammi 340 circa.
Dopo averlo così curato, pestatelo nel
mortaio e poi ponetelo in una cazzaruola, insieme con la panna, sopra a un
fuoco non troppo ardente, rimestando continuamente. Quando avrà
assorbito la panna, o latte che sia, cominciate a versar l'olio a centellini
per volta, come fareste per la maionese, sempre lavorandolo molto con l'arma
brandita, cioè col mestolo, onde si affini e non impazzisca.
Levatelo quando vi parrà cotto al punto e servitelo freddo con un
contorno di tartufi crudi tagliati a fette sottilissime, oppure con crostini di
pane fritto, o crostini di caviale. Se è venuto bene non deve ributtar
l'olio quando è nel piatto.
Questa quantità potrà bastare per
otto persone.
La migliore salsa che possiate offrire ai vostri
invitati è un buon viso e una schietta cordialità. Brillat
Savarin diceva: “Invitare qualcuno è lo stesso che incaricarsi della sua
felicità per tutto il tempo che dimora sotto il vostro tetto”.
Le poche ore che vorreste rendere piacevoli
all'amico ospitato, vengono oggigiorno preventivamente turbate da certe cattive
usanze che cominciano ad introdursi e minacciano di generalizzarsi; intendo della
così detta visita di digestione entro gli otto giorni e della
mancia ai servitori della casa per un pranzo ricevuto. Quando si abbia a
spendere per un pranzo, meglio è di pagarlo al trattore, che così
non si contraggono obblighi con nessuno; di più, quella seccatura di una
visita a termine fisso e a rima obbligata, che non parte spontanea dal cuore,
è una vera balordaggine.
119. SALSA VERDE
Per fare la salsa verde, tritate tutto insieme
colla lunetta, capperi spremuti dall'aceto, un'acciuga, poca cipolla e
pochissimo aglio. Stiacciate il composto colla lama di un coltello per renderlo
fine e ponetelo in una salsiera. Aggiungete una buona dose di prezzemolo,
tritato con qualche foglia di basilico, e sciogliete il tutto, con olio fine e
agro di limone. Questa salsa si presta bene coi lessi di pollo o di pesce
freddi, e colle uova sode o affogate.
Mancando i capperi, possono servire i peperoni.
120. SALSA VERDE, CHE I FRANCESI CHIAMANO “SAUCE
RAVIGOTE”
Questa salsa merita di far parte della cucina
italiana perché si presta bene a condire il pesce lesso, le uova affogate ed
altre simili cose.
Si compone di prezzemolo, basilico, cerfoglio,
pimpinella, detta anche salvestrella, di qualche foglia di sedano, di due o tre
scalogni e, in mancanza di questi, una cipollina. Poi un'acciuga o due se sono
piccole, e capperi indolciti. Tritate ogni cosa ben fine, oppure pestatela e
passatela dallo staccio, indi mettetela in una salsiera con un rosso d'uovo
crudo, conditela con olio, aceto, sale e pepe; mescolatela bene e servitela. Io
la compongo con grammi 20 di capperi, il rosso dell'uovo e tutto il resto a
discrezione.
121. SALSA DI CAPPERI E ACCIUGHE
Questa salsa, alquanto ribelle agli stomachi
deboli, si usa ordinariamente colla bistecca. Prendete un pizzico di capperi
indolciti, spremeteli dall'aceto e tritateli colla lunetta insieme con
un'acciuga che avrete prima nettata dalle scaglie e dalla spina. Mettete questo
battuto a scaldare al fuoco con dell'olio, e versatelo sulla bistecca che
appena levata dalla gratella, avrete condita con sale e pepe ed unta col burro;
in questo caso, però, ungetela poco, perché altrimenti il burro farebbe,
nello stomaco, a’ pugni coll'aceto dei capperi.
122. SALSA DI MAGRO PER PASTE ASCIUTTE
Questa salsa, se mi fosse lecito fare un paragone
tra i due sensi della vista e del palato, la rassomiglierei ad una di quelle
giovani donne la cui fisionomia non avventa, né vi colpisce; ma che, osservata
bene, può entrarvi in grazia pe' suoi lineamenti delicati e modesti.
Spaghetti, grammi 500.
Funghi freschi, grammi 100.
Burro, grammi 70.
Pinoli, grammi 60.
Acciughe salate, n. 6.
Pomodori, n. 7 o 8
Un quarto di una grossa cipolla.
Farina, un cucchiaino.
Ponete in una
cazzaruola la metà del burro e con esso rosolate i pinoli: levateli
asciutti e pestateli in un mortaio coll'indicata farina. Trinciate la cipolla
ben fine, mettetela nell'intinto rimasto e quando avrà preso molto
colore buttateci i pomodori a pezzi, conditeli con pepe e poco sale, e quando saranno
cotti passateli. Rimettete il sugo al fuoco coi funghi tagliati a fettine,
sottili non più grandi di un seme di zucca, la pasta dei pinoli che
prima potete sciogliere con un po' d'acqua, e il resto del burro. Fate bollire
per mezz'ora aggiungendo acqua per render la salsa più liquida, e per
ultimo sciogliete le acciughe al fuoco con un poco di questa salsa, senza farle
bollire, ed unitele alla medesima.
Levate gli spaghetti asciutti, conditeli con
questa salsa e se li volete migliori aggiungete del parmigiano.
Bastano per cinque persone.
123. SALSA ALLA MAÎTRE D’HÔTEL
Sentite che nome ampolloso per una briccica da
nulla!
Ma pure i Francesi si sono arrogati il diritto in
questo e in altre cose di dettar legge; l'uso ha prevalso, ed è
giocoforza subirlo. Anche questa è una salsa che serve per la bistecca.
Tritate un pizzico di prezzemolo e per levargli l'acredine (come suggerisce
qualcuno) mettetelo entro la punta di un tovagliuolo e spremetelo leggermente
nell'acqua fresca. Poi formatene un impasto con burro, sale, pepe e agro di
limone; mettetelo sopra al fuoco in una teglia o in un piatto e, senza farlo
bollire, intingetevi la bistecca quando la levate dalla gratella, oppure delle cotolette
fritte.
124. SALSA BIANCA
È una salsa da servire cogli sparagi
lessati, o col cavolfiore.
Burro, grammi 100.
Farina, una cucchiaiata.
Aceto, una cucchiaiata.
Un rosso d'uovo.
Sale e pepe.
Brodo o acqua, quanto basta
Mettete prima
al fuoco la farina colla metà del burro e quando avrà preso il
color nocciuola versate il brodo o l'acqua a poco per volta girando il mestolo
e, senza farla troppo bollire, aggiungete il resto del burro e l'aceto. Tolta
dal fuoco, scioglieteci il rosso d'uovo e servitela. La sua consistenza
dev'essere eguale a quella della crema fatta senza farina. Per un mazzo comune
di sparagi possono bastare grammi 70 di burro colla farina e l'aceto in
proporzione.
125. SALSA DI POMODORO
C'era un prete in una città di Romagna che
cacciava il naso per tutto e, introducendosi nelle famiglie, in ogni affare
domestico voleva metter lo zampino. Era, d'altra parte, un onest'uomo e poiché
dal suo zelo scaturiva del bene più che del male, lo lasciavano fare; ma
il popolo arguto lo aveva battezzato Don Pomodoro, per indicare che i
pomodori entrano per tutto; quindi una buona salsa di questo frutto sarà
nella cucina un aiuto pregevole.
Fate un battuto con un quarto di cipolla, uno
spicchio d'aglio, un pezzo di sedano lungo un dito, alcune foglie di basilico e
prezzemolo a sufficienza. Conditelo con un poco d'olio, sale e pepe, spezzate
sette o otto pomodori, e mettete al fuoco ogni cosa insieme. Mescolate di
quando in quando e allorché vedrete il sugo condensato come una crema liquida,
passatelo dallo staccio e servitevene.
Questa salsa si presta a moltissimi usi, come
v'indicherò a suo luogo; è buona col lesso, è ottima per
aggraziare le paste asciutte condite a cacio e burro, come anche per fare il
risotto n. 77.
126. SALSA MAIONESE
Questa è una delle migliori salse,
specialmente per condire il pesce lesso. Ponete in una ciotola due torli d'uovo
crudi e freschi e, dopo averli frullati alquanto, lasciate cadere sui medesimi
a poco per volta e quasi a goccia a goccia, specialmente da principio, sei o
sette cucchiaiate od anche più, se lo assorbono, d'olio d'oliva; quindi
fate loro assorbire il sugo di un limone. Se la salsa riesce bene deve avere
l'apparenza di una densa crema; ma occorre lavorarla per più di 20
minuti.
Per ultimo conditela con sale e pepe bianco a
buona misura.
Per essere più sicuri dell'esito, ai due
rossi d'uovo crudi si usa aggiungerne un altro assodato.
127. SALSA PICCANTE I
Prendete due cucchiaiate di capperi sotto aceto,
due acciughe e un pizzico di prezzemolo. Tritate finissimo ogni cosa insieme e
ponete questo battuto in una salsiera con un'abbondante presa di pepe e molto
olio. Se non riuscisse acida abbastanza, aggiungete aceto o agro di limone, e
servitela col pesce lesso.
128. SALSA PICCANTE II
Fate un battutino trinciato ben fine con poca
cipolla, prezzemolo, qualche foglia di basilico, prosciutto tutto magro e
capperi spremuti dall'aceto. Mettetelo al fuoco con olio buono, fatelo bollire
adagio e quando la cipolla sarà rosolata fermatelo con un poco di brodo.
Lasciatelo dare ancora qualche bollore, poi levatelo aggiungendovi una o due
acciughe tritate e agro di limone.
Questa salsa può servire per le uova
affogate, per le bistecche, le quali in questo caso non occorre salare, ed
anche per le cotolette.
129. SALSA GIALLA PER PESCE LESSO
La seguente dose potrà bastare per un
pezzo di pesce a taglio o per un pesce intero del peso di grammi
Mettete al fuoco in una piccola cazzaruola grammi
20 di burro con un cucchiaino colmo di farina e dopo che questa avrà
preso il color nocciuola, versatele sopra a poco per volta due ramaiuoli di
brodo del pesce medesimo. Quando vedrete che la farina, nel bollire, non
ricresce più, ritirate la salsa dal fuoco e versateci due cucchiaiate
d'olio e un rosso d'uovo, mescolando bene. Per ultimo aggiungete l'agro di
mezzo limone, sale e pepe a buona misura. Lasciatela diacciare e poi versatela
sopra il pesce che manderete in tavola contornato di prezzemolo naturale.
Questa salsa deve avere l'apparenza di una crema
non tanto liquida per restare attaccata al pesce. Sentirete che è buona
e delicata. Per chi non ama il pesce diaccio servitela calda.
130. SALSA OLANDESE
Burro, grammi 70.
Rossi d'uovo, n. 2.
Agro di limone, una cucchiaiata.
Acqua, un mezzo guscio d'uovo.
Sale e pepe.
Sciogliete il burro a parte senza scaldarlo
troppo.
Mettete i rossi coll'acqua in una bacinella, e sopra a un fuoco
leggiero o sull'orlo del fornello cominciate a batterli con la frusta e a un
po' per volta versate il burro; quando il composto si sarà condensato
aggiungete il limone e per ultimo il sale e il pepe.
Va preparata al momento di servirla; è una
salsa delicata per pesce lesso o per altra cosa consimile, e sarà
sufficiente per un quantitativo di grammi 500 circa.
131. SALSA PER PESCE IN GRATELLA
Questa salsa, semplice, ma buona e sana, si
compone di rossi d'uovo, acciughe salate, olio fine e agro di limone. Fate
bollire le uova col guscio per 10 minuti e per ogni rosso d'uovo così
assodato prendete un'acciuga grossa o due piccole. Levate loro la spina e
passatele dallo staccio insieme coi rossi, poi diluite il composto coll'olio e
il limone per ridurlo come una crema. Coprite con questa salsa il pesce
già cotto in gratella, prima di mandarlo in tavola, oppure servitela a
parte in una salsiera.
132. SALSA CON CAPPERI PER PESCE LESSO
Burro, grammi 50.
Capperi spremuti dall'aceto, grammi 50.
Farina, un cucchiaino colmo.
Sale, pepe e aceto.
Questa dose
basta per un pesce di circa grammi 500. Il burro come sostanza grassa, è
già per sé stesso un condimento non confacente a tutti gli stomachi,
specialmente quando è soffritto; quando poi si unisce agli acidi, come
in questo e in altri casi consimili, si rende spesso ribelle agli stomachi che
non sieno a tutta prova.
Cuocete il pesce e, mentre lo lasciate in caldo
nel suo brodo, preparate la salsa. Ponete al fuoco la farina colla metà
del burro, mescolate, e quando comincia a prender colore aggiungete il burro
rimasto.
Lasciate bollire un poco e poi versate un
ramaiuolo di brodo del pesce; condite abbondantemente con sale e pepe e
ritirate la cazzaruola dal fuoco. Gettateci allora i capperi metà interi
e metà tritati, più un gocciolo d'aceto; ma assaggiate per dosare
la salsa in modo che riesca di buon gusto e della densità di una crema
liquida.
Collocate il pesce asciutto e caldo entro a un
vassoio, versategli sopra la salsa, calda anch'essa, contornatelo di prezzemolo
intero e servitelo.
133. SALSA TONNATA
È una
salsa da potersi servire coi lessi tanto di carne che di pesce.
Tonno sott'olio, grammi 50.
Capperi spremuti dall'aceto, grammi 50.
Acciughe, n. 2.
Rossi d'uova sode, n. 2.
Un buon pizzico di prezzemolo.
L'agro di mezzo limone.
Una presa di pepe. olio, quanto basta.
Nettate le acciughe e poi tritatele con la
lunetta insieme col tonno, i capperi e il prezzemolo; pestateli dopo nel
mortaio coi rossi d'uovo e qualche poco d'olio per rammorbidire il composto e
poterlo passar meglio dallo staccio. Indi diluitelo con molt'olio e il sugo di
limone, per ridurlo come una crema liquida.
134. SALSA GENOVESE PER PESCE LESSO
Pinoli, grammi 40.
Capperi spremuti dall'aceto, grammi 15.
Un'acciuga salata.
Un rosso d'uovo sodo.
La polpa di tre olive in salamoia.
Mezzo spicchio d'aglio.
Un buon pizzico di prezzemolo, non esclusi i
gambi.
Una midolla di pane grossa quanto un uovo,
inzuppata nell'aceto.
Una presa di sale ed una di pepe.
Tritate
finissimo con la lunetta il prezzemolo e l'aglio e poi mettete questi e tutto
il resto in un mortaio e dopo aver ridotto il composto finissimo passatelo
dallo staccio e diluitelo con grammi 60 d'olio e un gocciolo d'aceto; ma
assaggiatelo prima per dosarlo giusto. È una salsa eccellente e bastante
a grammi 600 di pesce.
135. SALSA DEL PAPA
Non crediate che questa salsa prenda il nome dal
Papa del Vaticano, ritenendola perciò una delizia in ghiottoneria;
nonostante è discretamente buona per condire le cotolette fritte.
Prendete un pugnello di capperi e spremeteli
dall'aceto; prendete tante olive indolcite che levando loro il nocciolo
riescano in quantità eguale ai capperi e tritate gli uni e le altre
minutamente colla lunetta. Mettete al fuoco un battutino di cipolla tritata
fine con un pezzetto di burro e quando avrà preso colore, bagnatelo a
poco per volta con acqua perché si disfaccia. Versateci dentro il miscuglio di
capperi e olive e fate bollire alquanto; unite infine un gocciolo d'aceto, una
presa di farina e un altro pezzetto di burro. Per ultimo aggiungete un'acciuga
tritata, e senza più far bollire la salsa, servitela.
136. SALSA TARTUFATA
Fate un battutino ben trito con un pezzetto di
cipolla grosso quanto una noce, mezzo spicchio d'aglio e un poco di prezzemolo.
Mettetelo al fuoco con grammi 20 di burro e quando avrà preso colore
versateci due dita di marsala o di vino bianco nel quale avrete prima
stemperato un cucchiaino colmo di farina. Condite la salsa con una presa di
sale, una di pepe e una di spezie e rimuovetela sempre col mestolo.
Quando la farina avrà legato, aggiungete
un poco di brodo e poi gettate in questa salsa fettine sottilissime di tartufi.
Lasciatela ancora un momento sul fuoco e servitevene per guarnire cotolette di
vitella di latte fritte, bistecche o altra carne arrostita.
Vi avverto, che il vino, come condimento, non si
confà a tutti gli stomachi.
137. BALSAMELLA
Questa salsa equivale alla béchamel dei
Francesi, se non che quella è più complicata.
Ponete al fuoco in una cazzaruola una cucchiaiata
di farina e un pezzo di burro del volume di un uovo. Servitevi di un mestolo
per isciogliere il burro e la farina insieme e quando questa comincia a
prendere il colore nocciuola, versateci a poco per volta mezzo litro di latte
del migliore, girando continuamente il mestolo finché non vedrete il liquido condensato
come una crema di color latteo. Questa è la balsamella. Se
verrà troppo soda aggiungete del latte, se troppo liquida rimettetela al
fuoco con un altro pezzetto di burro intriso di farina. La dose è
abbondante, ma potete proporzionarla secondo i casi.
Una buona balsamella e un sugo di carne
tirato a dovere, sono la base, il segreto principale della cucina fine.
138. SALSA DI PEPERONI
Prendete peperoni grossi e verdi, apriteli,
nettateli dai semi e tagliateli per il lungo in quattro o cinque strisce. Date
loro una piccola scottatura in padella con poco olio per poterli sbucciare.
Dopo sbucciati, mettete al fuoco uno spicchio d'aglio tritato fine con olio e
burro e quando sarà rosolato gettatevi i peperoni, salateli, lasciateli
tirare un poco il sapore ed aggiungete sugo di pomodoro.
Non cuoceteli troppo perché perderebbero il loro
piccante, che è quello che dà grazia, e serviteli col lesso.
Le uova, dopo la carne, tengono il primo posto
fra le sostanze nutritive. L'illustre fisiologo Maurizio Schiff, quando teneva
cattedra a Firenze, dimostrava che la chiara è più nutriente del
torlo, il quale è composto di sostanze grasse e che le uova crude o
pochissimo cotte sono meno facili a digerirsi delle altre, perché lo stomaco
deve fare due operazioni invece di una: la prima di coagularle, la seconda di
elaborarle per disporle all'assimilazione. Meglio è dunque attenersi
alla via di mezzo, e cioè: né poco, né troppo cotte.
La primavera è la stagione in cui le uova
sono di più grato sapore. Le uova fresche si danno a bere alle puerpere
e il popolo giudica sia cibo conveniente anche agli sposi novelli.
Ci fu una volta il figlio di un locandiere da me
conosciuto, un giovinastro grande, grosso e minchione, il quale essendosi
sciupata la salute nel vizio, ricorse al medico che gli ordinò due uova
fresche a bere ogni mattina. Datosi il caso favorevole e sfavorevole, insieme,
che nella locanda v'era un grande pollaio, ivi si recava e beveva le uova
appena uscite dalla gallina; ma, come accade, il tempo dando consiglio, dopo
qualche giorno di questa cura il baccellone cominciò a ragionare: “Se
due uova fanno bene, quattro faranno meglio” e giù quattro uova. Poi:
“Se quattro fanno bene, sei faranno meglio che mai” e giù sei uova per
mattina; e con questo crescendo arrivò fino al numero di dodici o
quattordici al giorno; ma finalmente gli fecero fogo, e un forte gastricismo lo
tenne in letto non so quanto tempo a covar le uova bevute.
139. UOVA A BERE E SODE
Le uova a bere fatele bollire due minuti, le uova
sode dieci, cominciando a contare dal momento che le gettate nell'acqua
bollente; se vi piacciono bazzotte, bastano sei o sette minuti, e in ambedue i
casi, appena tolte dal fuoco, le metterete nell'acqua fredda.
140. UOVA AFFOGATE
Scocciatele quando l'acqua bolle e fatele cadere
da poca altezza. Quando la chiara è ben rappresa e il torlo non è
più tremolante, levatele con la mestola forata e conditele con sale,
pepe, cacio e burro. Se ci volete una salsa può servire quella di
pomodoro, la salsa verde del n. 119, quella del n. 127, oppure una
appositamente fatta che comporrete disfacendo un'acciuga nel burro caldo e
aggiungendovi capperi spremuti dall'aceto e alquanto tritati; ma questa salsa
non è per tutti gli stomachi.
Ho veduto servirle anche sopra uno strato, alto
un dito, di purè di patate, oppure sopra spinaci rifatti al
burro.
141. UOVA STRACCIATE
Questo
è un piatto di compenso o da servirsi per principio a una colazione, ed
è dose bastevole per tre persone.
Uova, n. 4.
Burro, grammi 40.
Panna, un decilitro.
Mettete il burro al fuoco e quando soffrigge
versate le uova frullate, conditele con sale e pepe e girando sempre il
mestolo, unite la panna a poco per volta. Assodato che sia il composto, coprite
con esso tre fette di pane arrostito, grosse quasi un dito e senza corteccia,
che avrete disposte prima sopra un vassoio, dopo averle unte calde col burro.
Spolverizzatele sopra di cacio parmigiano e
mandatele in tavola.
142. ROSSI D’UOVO AL CANAPÈ
Come mi ripugna di dare alle pietanze questi
titoli stupidi e spesso ridicoli! Ma è giuocoforza seguire l'uso comune
per farsi intendere.
È un piatto da servire per principio a una
colazione, se prendete norma da questa ricetta, che fu servita a cinque
persone. Formate cinque fette di midolla di pane quadrate, grosse un dito
abbondante, larghe quasi quanto la palma di una mano e fate ad ognuna una buca
nel mezzo, ma che non isfondi; soffriggetele nel burro e collocatele in un
vassoio che regga al fuoco. Ponete nella buca di ognuna un rosso d'uovo crudo
ed intero e poi fate una balsamella con decilitri tre scarsi di latte,
grammi 40 di farina e grammi 40 di burro. Tolta dal fuoco aggiungeteci tre
cucchiaiate colme di parmigiano, l'odore della cannella o della noce moscata e
salatela. Lasciatela freddare e poi versatela sul vassoio per coprire i rossi
d'uovo e i crostoni. Rosolatela alquanto sotto il coperchio del forno da
campagna in modo che non induriscano troppo le uova, e mandatela calda in
tavola.
Dove si trova il pane inglese, cotto in forma,
meglio è servirsi di questo.
143. UOVA RIPIENE I
Dopo avere assodate le uova come quelle del n.
139 tagliatele a metà per il lungo ed estraetene i rossi. Prendete
un'acciuga per ogni due uova, lavatele, nettatele dalla spina, e tritatele con
poco prezzemolo e pochissima cipolla; uniteci poi i rossi e tanto burro da
potere, con la lama di un coltello, impastare ogni cosa insieme. Con questo
composto colmate i vuoti lasciati dai rossi, e le mezze uova così
ripiene ponetele pari pari sopra un vassoio e copritele con la salsa maionese
n. 126.
Si possono mangiare anche semplicemente condite
con sale, pepe, olio e aceto, ché non sono da disprezzarsi; ed anche pare che
lo stomaco non se ne mostri offeso.
144. UOVA RIPIENE II
Per principio a una colazione possono bastare a
sei persone:
Uova, n. 6.
Burro, grammi 30.
Midolla di pane, grammi 20.
Parmigiano, due cucchiaiate colme.
Funghi secchi, un pizzico.
Prezzemolo, alcune foglie.
Sale, quanto basta.
Le uova assodatele, tagliatele per il lungo e
mettete i rossi da parte.
La midolla di pane inzuppatela bene nel latte e
spremetela.
I funghi rammolliteli nell'acqua tiepida.
Pestate il
tutto finissimo per riempire, anzi colmare i vuoti delle chiare, e queste 12
mezze uova ricolme collocatele in un vassoio, dalla parte convessa, sopra a uno
strato di patate passate come alla ricetta del n. 443, ma nella quantità
di grammi 350 da crude. Invece di patate potete posarle sopra uno strato di
spinaci, di piselli o di altri legumi. Prima di mandarle in tavola scaldatele
col fuoco, che porrete sul coperchio del forno da campagna.
145. FRITTATE DIVERSE
Chi è che non sappia far le frittate? E
chi è nel mondo che in vita sua non abbia fatta una qualche frittata?
Pure non sarà del tutto superfluo il dirne due parole.
Le uova per le frittate non è bene
frullarle troppo: disfatele in una scodella colla forchetta e quando vedrete le
chiare sciolte e immedesimate col torlo, smettete. Le frittate si fanno
semplici e composte; semplice, per esempio, è quella in foglio alla
fiorentina che quando un tale l'ebbe attorcigliata tutta sulla forchetta e
fattone un boccone, si dice ne chiedesse una risma. Però riesce molto
buona nell'eccellente olio toscano, anche perché non si cuoce che da una sola
parte, il qual uso è sempre da preferirsi in quasi tutte. Quando
è assodata la parte disotto, si rovescia la padella sopra un piatto
sostenuto colla mano e si manda in tavola.
Ogni erbaggio o semplicemente lessato o tirato a
sapore col burro, serve per le frittate, come può servire un pizzico di
parmigiano solo o mescolato con prezzemolo. Se non fosse indigesta, grata
è la frittata colle cipolle. Due delle più delicate, a gusto mio,
sono quelle di sparagi e di zucchini. Se di sparagi, lessateli e tirate a
sapore la parte verde con un poco di burro, mescolando un pizzico di parmigiano
nelle uova; se di zucchini, servitevi di quelli piccoli e lunghi, tagliateli a
fette rotonde, salateli alquanto e quando avranno buttato l'acqua infarinateli
e friggeteli nel lardo o nell'olio, aspettando che sieno rosolati per versare
le uova. Anche i piselli del n. 427, mescolati tra le uova, si prestano per
un'eccellente frittata.
Si fanno anche frittate alla confettura, spargendovi
sopra della conserva di frutta qualsiasi, ridotta liquida, quando la frittata
è cotta. Esse saranno buone, ma non mi garbano; e vi dirò che
quando le vedo segnate sole fra i piatti dolci di una trattoria, comincio a
prendere cattivo concetto della medesima.
146. FRITTATA IN ZOCCOLI
Questa frittata merita una menzione speciale
perché richiede un trattamento alquanto diverso. Prendete fette di prosciutto
sottili, grasse e magre, tagliatele a pezzi larghi quanto una moneta di 10
centesimi, mettetele in padella col burro, e quando avranno soffritto un poco
versateci le uova pochissimo salate. Quando la frittata ha cominciato ad
assodare, ripiegatela per metà, onde prenda più propriamente il
nome di pesce d'uova, ed aggiungete altro burro per finire di cuocerla.
147. FRITTATA DI CIPOLLE
Preferite cipolle bianche e grosse, tagliatele a
costole larghe mezzo dito e gettatele nell'acqua fresca per lasciarvele almeno
un'ora. Prima di buttarle in padella con lardo od olio, asciugatele bene in un
canovaccio e quando cominciano a prendere colore salatele alquanto, come
salerete le uova prima di versarle sopra la cipolla che avvertirete non prenda
il nero per troppa cottura.
148. FRITTATA DI SPINACI
Gli spinaci, tolti dall'acqua, lessateli,
grondanti, e appena levati dal fuoco rimetteteli nell'acqua fresca. Spremeteli
bene, tritateli all'ingrosso, gettateli in padella con un pezzo di burro e
conditeli con sale e pepe. Rivoltateli spesso e quando avranno tirato l'unto
versate le uova sbattute e salate alquanto. Rosolata da una parte, rivoltatela
con un piatto per rimetterla in padella con un altro pezzetto di burro. Alle uova,
piacendovi, potete unire un pizzico di parmigiano.
Grammi 200 di spinaci crudi,
Grammi 40 di burro, tra prima e dopo, e
Quattro uova, mi sembra la proporzione più
giusta.
149. FRITTATA DI FAGIOLINI IN ERBA
Lessate i fagiolini in acqua salata e tagliateli
in due o tre parti. Poi trascinateli in padella con burro e olio condendoli con
sale e pepe. Sbattete le uova con un pizzico di parmigiano e una presa di sale
per versarle sui fagiolini quando li vedrete aggrinziti.
150. FRITTATA DI CAVOLFIORE
Per fare
questa frittata di un erbaggio de' più insipidi, com'è il
cavolfiore, è necessario, onde renderla grata al gusto, ve ne indichi le
dosi.
Cavolfiore lessato, privo delle foglie e del
gambo, grammi 300.
Burro, grammi 60.
Parmigiano grattato, due cucchiaiate ben colme.
Olio, una cucchiaiata.
Uova, n. 6.
Tritate minuto il cavolfiore e mettetelo in
padella col burro e l'olio, condendolo con sale e pepe. Sbattete le uova col
parmigiano, salatele e versatele sopra il cavolo quando avrà ritirato
l'unto.
Tenete sottile la frittata, per non rivoltarla, e
se la padella è piccola fatene piuttosto due.
151. FRITTATA IN RICCIOLI PER CONTORNO
Lessate un mazzetto di spinaci e passateli dallo staccio.
Sbattete due uova, conditele con sale e pepe e
mescolate fra le medesime i detti spinaci in tal quantità da renderle
soltanto verdi. Mettete la padella al fuoco con un gocciolo d'olio, tanto per
ungerla, e quando è ben calda versate porzione delle dette uova, girando
la padella per ogni verso onde la frittata riesca sottile come la carta. Quando
sarà bene assodata ed asciutta, voltandola se occorre, levatela, e col
resto delle uova ripetete o triplicate l'operazione. Ora queste due o tre
frittate arrocchiatele insieme, tagliatele fini a forma di taglierini, che metterete
a soffriggere un poco nel burro, dando loro sapore con parmigiano, servendovi
poi di questi taglierini per contorno al fricandò o ad altro piatto
consimile. oltre a fare bella mostra di sé, questo contorno, che riesce bene
anche senza gli spinaci, farà strologare qualcuno dei commensali per
sapere di che sia composto.
152. FRITTATA COLLA PIETRA DI VITELLA DI LATTE
Prendete una pietra (rognone) di vitella di
latte, apritela dal lato della sua lunghezza e lasciatele tutto il suo grasso.
Conditela con olio, pepe e sale, cuocetela in gratella e tagliatela a fettine
sottili per traverso. Sbattete delle uova in proporzione della pietra, condite
anche queste con sale e pepe e mescolate fra le medesime un pizzico di
prezzemolo tritato e un poco di parmigiano.
Gettate la pietra nelle uova, mescolate e fatene
una frittata cotta nel burro, che, quando la parte disotto è assodata,
ripiegherete per metà onde resti tenera.
153. PASTA MATTA
Si chiama matta non perché sia capace di
qualche pazzia, ma per la semplicità colla quale si presta a far la
parte di stival che manca in diversi piatti, come vedrete. Spegnete farina con
acqua e sale in proporzione e formate un pane da potersi tirare a sfoglia col
matterello.
154. PASTA SFOGLIA
La bellezza di questa pasta è che,
gonfiando, sfogli bene e riesca leggiera, quindi è di difficile fattura
per chi non vi ha molta pratica. Bisognerebbe vederla fare da un maestro
capace; ma nonostante mi proverò di insegnarvela alla meglio, se mi
riesce.
Farina fine o d'Ungheria, grammi 200.
Burro, grammi 150.
Oppure:
Farina, grammi 300.
Burro, grammi 200.
Spegnete
d'inverno la farina con acqua calda, ma non bollente; sale quanto basta, una
cucchiaiata di acquavite e burro quanto una noce, levandolo dai suddetti 150 o
Formato che ne avrete un pane non troppo sodo né
troppo tenero, lavoratelo moltissimo, mezz'ora almeno, prima colle mani, poi
gettandolo con forza contro la spianatoia. Fatene un pane rettangolare,
involtatelo in un canovaccio e lasciatelo un poco in riposo. Frattanto lavorate
il burro, se è sodo, con una mano bagnata nell'acqua, sopra la
spianatoia per renderlo pastoso e tenero tutto ugualmente; poi formatene un
pane come quello della farina e gettatelo in una catinella d'acqua fresca.
Quando la pasta sarà riposata, levate il burro dall'acqua, asciugatelo
con un pannolino e infarinatelo tutto per bene.
Spianate la pasta col matterello soltanto quanto
è necessario per rinchiudervi dentro il pane di burro. Questo si pone
nel mezzo e gli si tirano sopra i lembi della pasta unendoli insieme colle dita
e procurando che aderisca al burro in tutte le parti onde non resti aria
framezzo. Cominciate ora a spianarla prima colle mani, poi col matterello
assottigliandola la prima volta più che potete, avvertendo che il burro
non isbuzzi. Se questo avviene gettate subito, dove il burro apparisce, un po'
di farina, e di farina spolverizzare pure spesso la spianatoia e il matterello
a ciò che la pasta scorra e si distenda sotto al medesimo. Eseguita la
prima spianatura, ripiegate la pasta in tre, come sarebbero tre sfoglie
soprammesse e di nuovo spianatela a una discreta grossezza. Questa operazione
ripetetela per sei volte in tutto, lasciando di tratto in tratto riposare la pasta
per dieci minuti. All'ultima, che sarebbe la settima, ripiegatela in due e
riducetela alla grossezza che occorre, cioè qualcosa meno di un
centimetro. Eccettuata quest'ultima piegatura, procurate di dare alla pasta,
ogni volta che la tirate, la forma rettangolare, tre volte più lunga che
larga, e se apparissero delle gallozze, per aria rimasta, bucatele con uno
spillo.
Meglio della spianatoia comune, servirebbe una
tavola di marmo che è più fredda e più levigata.
Nell'estate è necessario il ghiaccio, tanto per assodare il burro prima
di adoperarlo, quanto per tirar meglio la pasta, il che si ottiene passando il
ghiaccio, quando occorra, sopra la pasta stessa entro a un canovaccio ben fitto
o, meglio, messa fra due piatti coperti di ghiaccio.
Con la pasta sfoglia si fanno, come sapete, i vol-au-vent,
i pasticcini con marmellata o conserve, e torte ripiene di marzapane. Se
volete servirvi dei pasticcini per tramesso, allora riempiteli con un battuto
delicato di carne, fegatini e animelle; ma in tutte le maniere queste paste
vanno dorate col rosso d'uovo alla superficie ma non sugli orli per non
impedire il rigonfiamento.
Se servono per dolce, spolverizzatele calde con
zucchero a velo.
155. PASTA SFOGLIA A METÀ
Metà burro del peso della farina e di
più un pezzetto dentro la pasta. Pel resto vedi il numero precedente.
156. PASTELLA PER LE FRITTURE
Farina, grammi 100.
Olio fine, una cucchiaiata.
Acquavite, una cucchiaiata.
Uova, n. l.
Sale, quanto occorre.
Acqua diaccia, quanto basta.
Spegnete la farina col rosso d'uovo e cogli altri
ingredienti, versando l'acqua a poco per volta per farne una pasta non troppo
liquida. Lavoratela bene col mestolo, per intriderla, e lasciatela in riposo
per diverse ore. Quando siete per adoperarla aggiungete la chiara montata.
Questa pastella può servire per molti fritti e specialmente per quelli
di frutta ed erbaggio.
157. PASTELLA PER FRITTI DI CARNE
Stemperate tre cucchiaini colmi di farina con due
cucchiaini d'olio, aggiungete due uova, una presa di sale e mescolate bene.
Questo composto prenderà l'aspetto di una
crema scorrevole e servirà per dorare i fritti di cervello, schienali,
animelle, granelli, testicciuole d'agnello, testa di vitella di latte e simili.
Queste cose, quali più, quali meno, secondo la natura loro, scottatele
tutte, compresi il cervello e gli schienali che bollendo assodano; salate
l'acqua e aggiungete un pizzico di sale e una presa di pepe quando le ritirate
dall'acqua. I granelli tagliateli a filetti nella loro lunghezza; gli schienali
teneteli lunghi mezzo dito all'incirca; le animelle, se sono d'agnello,
lasciatele intere; i cervelli fateli a tocchetti grossi quanto una noce, e
tenetevi per le teste a un volume alquanto maggiore. Gettate i pezzi nella
pastella dopo averli infarinati e friggeteli nello strutto vergine o nell'olio.
Questi fritti bianchi si uniscono spesso a fegato
o a cotolette di vitella di latte. Il fegato tagliatelo a fette
sottilissime, le cotolette battetele colla costola del
coltello o tritate la carne con la lunetta per riunirla dopo a forma elegante;
tanto l'uno che le altre li condirete con sale e pepe, li metterete in
infusione nell'uovo frullato e dopo qualche ora, prima di friggerli, li
involterete nel pangrattato fine, ripetendo l'operazione anche due volte se occorre.
Accompagnate sempre questi fritti con spicchi di limone.
158. PASTA PER PASTICCI DIACCI DI CARNE
Farina, grammi 250.
Burro, grammi 70.
Sale, un pizzico generoso.
Latte, quanto basta per intriderla e ridurla di
giusta consistenza.
Non occorre lavorarla soverchiamente: formatene
un pane e lasciatelo in riposo per circa mezz'ora involtato in un
panno umido e infarinato.
Questa dose potrà bastare per un pasticcio
anche più grande di quello di cacciagione descritto alla ricetta n. 370.
159. PASTA PER PASTICCI DI CACCIAGIONE
Per questa pasta vedi il Pasticcio di lepre descritto
al n. 372.
160. RIPIENO PEI POLLI
Magro di vitella di latte, grammi 100
all'incirca, un pezzetto di poppa di vitella e le rigaglie dello stesso pollo.
Alla vitella di latte e alla poppa si può sostituire magro di maiale,
petto di tacchino o semplicemente vitella.
Cuocete questa carne insieme con un piccolo
battuto di scalogno o cipolla, prezzemolo, sedano, carota e burro;
conditela con sale, pepe e spezie, bagnandola con brodo. Levatela asciutta
dal fuoco, togliete al ventriglio il tenerume, aggiungete alcuni pezzetti di
funghi secchi rammolliti, una fettina di prosciutto grasso e magro e tritate
ogni cosa ben fine colla lunetta. Nell'intinto rimasto della cottura della
carne gettate una midolla di pane per fare una cucchiaiata di pappa soda
Mescolatela al composto, aggiungete un buon
pizzico di parmigiano e due uova, e con tutto questo riempite il pollo e
cucitelo. Potrete cuocerlo a lesso o in umido. Se lo cuocete lesso sentirete un
brodo eccellente; ma ponete attenzione a scalcarlo per estrarre il ripieno
tutto in un pezzo che poi taglierete a fette.
Un altro ripieno pei polli è quello del
pollo arrosto n. 539.
161. RIPIENO DI CARNE PER PASTICCINI DI PASTA
SFOGLIA
Si può fare questo ripieno o con vitella
di latte stracottata, o con fegatini di pollo, o con animelle. Io preferirei le
animelle come cosa più delicata d'ogni altra; ma comunque sia non
mancherei di dare a questo ripieno l'odore de' tartufi alla loro stagione. Se
trattasi di animelle mettetele al fuoco con un pezzetto di burro, conditele con
sale e pepe, e quando avran preso colore finite di cuocerle col sugo n. 4, poi
tagliatele alla grossezza di un cece o meno. Alle medesime unite un cucchiaio o
due di balsamella n. 137, un po' di lingua salata, oppure un poco di
prosciutto grasso e magro tagliato a piccoli dadi, un pizzico di parmigiano e
una presa di noce moscata, procurando che gli ingredienti sieno in dose tale da
rendere il composto di grato e delicato sapore. Lasciatelo ghiacciare bene che
così assoda e si adopra meglio.
Per chiuderlo
nella pasta sfoglia n. 154 ci sono due modi, potendovi servire in ambedue dello
stampo delle offelle di marmellata n. 614, od anche di uno stampo ovale. Il
primo sarebbe di cuocere la pasta col composto framezzo, il secondo di
riempirla dopo cotta. Nel primo caso ponete il composto in mezzo al disco,
inumiditene l'orlo con un dito bagnato, copritelo con altro disco simile e
cuoceteli. Nel secondo caso, che riesce più comodo per chi, avendo un
pranzo da allestire, può cuocere la pasta sfoglia un giorno avanti, si
uniscono i due dischi insieme senza il composto; ma nel disco di sopra, prima
di sovrapporlo, s'incide con un cerchietto di latta un tondo della grandezza di
una moneta da 10 centesimi. Il pasticcino cuocendo rigonfia naturalmente e
lascia un vuoto nell'interno; sollevando poi colla punta di un coltello il
cerchietto inciso di sopra, che ha la forma di un piccolo coperchio, potete
alquanto ampliare, volendo, il vuoto stesso, riempirlo e riporvi il suo
coperchio. In tal modo, per mandarli in tavola, basta scaldarli; ma la pasta
sfoglia prima di esser cotta va sempre dorata coi rosso d'uovo, solo alla
superficie.
Se si trattasse di riempire un vol-au-vent va
tirato invece un intingolo con rigaglie di pollo ed animelle, il tutto tagliato
a pezzi grossi.
162. FRITTO DI PASTA RIPIENA
Prendete la pasta n. 212 oppure la pasta sfoglia
n. 154, distendetela alla grossezza di uno scudo, tagliatela a dischi smerlati
della grandezza all'incirca di quello qui segnato, ponete nei medesimi il
ripieno del numero antecedente, copriteli con altrettanti dischi della stessa
pasta, bagnandoli all'ingiro affinché si attacchino insieme, friggeteli e
serviteli caldi.
163.
FRITTO DI RICOTTA
Ricotta, grammi 200.
Farina, grammi 40.
Uova, n. 2.
Zucchero, due cucchiaini scarsi.
Odore di scorza di limone.
Sale, un pizzico e due cucchiaiate d'acquavite.
Ogni
qualità di ricotta è buona purché non abbia preso il forte; ma
adoperando quelle di Roma e di Maremma, che sono eccellenti, sarete sicuri di
farvene onore.
Lasciate il composto in riposo per parecchie ore
prima di friggerlo. Colle dosi suddette il composto riescirà sodettino e
questo è bene onde il fritto prenda la forma di bombe della grandezza di
una noce all'incirca. Spolverizzatele di zucchero a velo e servitele calde per
contorno a un fritto di carne. Dello zucchero dentro, come vedete, ce ne va
poco, perché esso brucia e il fritto non prenderebbe allora un bel giallo
dorato.
Per dare a queste e simili bombe la forma
possibilmente rotonda, va preso su il composto con un cucchiaio unto col
liquido bollente della padella, dandogli la forma coll'estremità di un
coltello da tavola, intinto esso pure nell'unto medesimo.
164. FRITTO RIPIENO DI MOSTARDA
Questo fritto si può fare in Romagna ove
d'inverno è messa in commercio la mostarda di Savignano o fatta all'uso
di quel paese, che una volta era molto apprezzata; ma non saprei dirvi se siasi
mantenuta in credito.
Mancandovi questa, potete servirvi di quella
fatta in casa, descritta al n. 788.
Formate una pasta piuttosto tenera coi seguenti
ingredienti, lavorandola molto colle mani sulla spianatoia.
Farina, grammi 220.
Burro, grammi 30.
Sale, un pizzico.
Latte, quanto basta per intriderla.
Lasciatela in
riposo mezz'ora, poi tiratela col matterello alla grossezza di uno scudo
scarso.
Tagliatene tanti dischi con lo stampino del n.
162, ed ammesso che ne riuscissero 80, ponete sopra a 40 un po' di mostarda e
cogli altri 40 copriteli bagnandone prima gli orli con un dito intinto
nell'acqua per appiccicarli insieme.
Friggeteli e spolverizzateli di zucchero avanti
di mandarli in tavola.
165. FRITTO DI MELE
Prendete mele grosse, di buona qualità,
non troppo mature; levatene il torsolo col cannello di latta fatto a quest'uso,
che lascia il buco in mezzo, sbucciatele e tagliatele a fette grosse poco meno
di un centimetro. Mettetele nella pastella n. 156 quando siete per friggerle e
se non vi dispiace l'odor degli anaci, che qui sta bene, mettetene un pizzico.
Spolverizzatele di zucchero a velo e servitele
calde.
166. FRITTO DI CARDONI
Dopo aver tolto i filamenti ai cardoni, lessateli
in acqua salata, tagliateli a pezzetti e fateli soffriggere nel burro salandoli
ancora un poco. Poi infarinateli, poneteli nella pastella n. 156 e friggeteli.
Possono far comodo per contorno a un fritto di carne o a un umido.
167. FRITTO DI FINOCCHI
Tagliateli a spicchi, nettateli dalle foglie
più dure e lessateli in acqua salata. Prima di metterli nella pastella
n.156 asciugateli e infarinateli.
168. CAROTE FRITTE
Queste carote possono servire di contorno a un
fritto, quando non ci sono più gli zucchini.
Senza sbucciarle tagliatele a filetti sottili
lunghi un dito, salatele e dopo qualche ora, prese su così umide,
passatele nella farina e, scosse da questa, mettetele nell'uovo, rivoltatele
nel medesimo e, presi con le dita i filetti a uno a uno, gettateli in padella.
169. FRITTO DI PESCHE
Prendete pesche burrone non tanto mature,
tagliatele a spicchi non troppo grossi e, come le mele e i finocchi,
avvolgetele nella pastella n. 156 e spolverizzatele di zucchero dopo cotte. Non
è necessario sbucciarle.
170. FRITTO DI SEMOLINO
Semolino di grana fine, grammi
Latte, decilitri 3.
Uova, n. l.
Zucchero, tre cucchiaini.
Burro, quanto una noce.
Sale, un pizzico.
Odore di scorza di limone.
Ponete il
latte al fuoco col burro e lo zucchero e quando comincia a bollire versate il
semolino a poco a poco, girando in pari tempo il mestolo. Salatelo e
scocciategli dentro l'uovo; mescolate e quando l'uovo si è incorporato
levate il semolino dal fuoco e distendetelo sopra a un vassoio unto col burro o
sulla spianatoia infarinata, all'altezza di un dito. Tagliatelo a mandorle e
mettetelo prima nell'uovo sbattuto poi nel pangrattato fine e friggetelo.
Spolverizzatelo di zucchero a velo, se lo desiderate più dolce, e
servitelo solo o, meglio, per contorno a un fritto di carne.
171. PALLOTTOLE DI SEMOLINO
A me sembra che questo fritto riesca assai bene e
che compensi la fatica che si fa a pestarlo.
Semolino, grammi 120.
Burro, grammi 15.
Farina di patate, una cucchiaiata colma, pari a
gr. 25.
Uova, uno intero e due rossi.
Zucchero, un cucchiaino colmo.
Odore di scorza di limone.
Latte, decilitri 4.
Cuocete bene
il semolino nel latte col detto zucchero, aggiungendo il burro, l'odore e una
presa di sale, quando lo ritirate dal fuoco. Quando sarà ben diaccio
pestatelo nel mortaio con le uova, prima i rossi uno alla volta poi l'uovo
intero. Versate per ultima la farina di patate, lavorando molto col pestello il
composto. Versatelo poi in un piatto e gettatelo in padella a cucchiaini per
ottener le pallottole alquanto più grosse delle noci, che servirete
spolverizzate di zucchero a velo quando avranno perduto il forte calore.
È un fritto leggiero, delicato e di
bell'aspetto.
172. FRITTELLE DI POLENTA ALLA LODIGIANA
Latte, mezzo litro.
Farina gialla, grammi 100.
Fatene una polenta e, prima di ritirarla dal
fuoco, salatela; così a bollore versatela sulla spianatoia e con un
coltello da tavola intinto nell'acqua distendetela alla grossezza di mezzo dito
scarso. Diaccia che sia, servendovi dello stampino della ricetta n. 182, o di
altro consimile, tagliatene tanti dischi che riusciranno 30 o 32 se vi
aggiungete i ritagli impastandoli e stiacciandoli con le mani. Questi dischi
appaiateli, mettendovi in mezzo una fettina di gruiera, per ottenere
così da
Frullate ora due uova, ché tante occorrono per
poterle dorare con queste e col pangrattato, e friggetele nello strutto o
nell'olio.
Servitele calde per contorno a un arrosto.
173. FEGATO DI MAIALE FRITTO
Gli animali superiori sono forniti di una
glandola biancastra (il pancreas) che, collocata fra il fegato e la milza,
sbocca col suo condotto escretore nel duodeno. L'umor pancreatico, di natura
alcalina, vischioso come l'albumina, contribuisce con la bile, a sciogliere le
sostanze alimentari; ma la sua azione è più specialmente rivolta
a convertire le sostanze grasse in una emulsione che le rende più
digeribili. Codeste secrezioni, i succhi gastrici e la saliva contribuiscono
poi tutti insieme a compiere una digestione perfetta. Per la sua somiglianza
alle glandole salivari (le comuni animelle) e pel suo delicato sapore, il pancreas
è conosciuto da molti col nome di animella del fegato; in
Toscana, quello del maiale, vien chiamato stomachino.
A mio parere, per sentire il vero gusto del
fegato di maiale bisogna friggerlo naturale, a fette sottili, nel lardo vergine
e mescolato collo stomachino a pezzetti. In questa maniera va levato dalla
padella con un poco del suo unto, condito con sale e pepe e mentre è
ancora bollente gli va strizzato sopra un limone, il cui agro serve a smorzare
il grassume. Le fette sottili di fegato si possono anche infarinare prima di
friggerle.
174. GRANELLI FRITTI
Ho sentito dire che quando nella Maremma toscana
viene il giorno della castratura dei puledri, s'invitano gli amici ad un pranzo
ove il piatto che fa i primi onori è un magnifico fritto di granelli.
Del sapore di quelli non posso dir nulla non avendoli assaggiati, benché del
cavallo, ed anche dell'asino, chi sa quante volte, senza saperlo, voi ed io ne
avremo mangiato.
Vi parlerò bensì di quelli di
montone che per bontà non devono valer di meno, perché offrono un gusto
come di animelle, ma più gentile ancora.
Lessateli in acqua salata, poi fate loro
un'incisione superficiale per il lungo onde togliere l'involucro esteriore che
è composto, come dicono i fisiologi, della tunica e dell'epididimo.
Tagliateli a filetti sottili, salateli ancora un
poco, infarinateli bene, passateli nell'uovo sbattuto e friggeteli.
175. FRITTO COMPOSTO ALLA BOLOGNESE
A questo fritto si potrebbe più
propriamente dare il nome di crocchette fini. Prendete un pezzo di magro
di vitella di latte stracottata, un piccolo cervello lessato o cotto nel sugo,
e una fettina di prosciutto grasso e magro. Tritate ogni cosa colla lunetta e
poi pestatela ben fine nel mortaio. Dopo aggiungete un rosso d'uovo o un uovo
intero, secondo la quantità, e un poco di balsamella n. 137.
Mettete il composto al fuoco e rimestando sempre lasciate che l'uovo si cuocia.
Aggiungete per ultimo parmigiano grattato,
l'odore della noce moscata, dei tartufi tritati finissimi e versatelo in un piatto.
Quando sarà ben diaccio fatene tante pallottole rotonde della grossezza
di una piccola noce e infarinatele. Poi mettetele nell'uovo e dopo nel
pangrattato finissimo, ripetendo per due volte l'operazione e friggetele.
176. FRITTO ALLA ROMANA I
Mettete al fuoco un battutino di cipolla e burro,
e quando sarà ben colorito cuoceteci un pezzo di magro di vitella di
latte condendolo con sale e pepe. Allorché la carne sarà rosolata
bagnatela con marsala per tirarla a cottura. Pestatela nel mortaio e per
rammorbidirla alquanto servitevi dell'intinto rimasto, e se questo non basta
aggiungete un gocciolo di brodo e per ultimo un rosso d'uovo; ma badate che il
composto deve rimaner sodettino.
Ora prendete delle cialde, ossia ostie, non
troppo sottili, e tagliatele a quadretti consimili a quelli che usano i
farmacisti per le presine.
Frullate un uovo e la chiara rimasta; poi
prendete su con le dita un'ostia, intingetela nell'uovo e posatela sopra uno
strato di pangrattato; sulla medesima ponete tanto composto quanto una piccola
noce, intingete nell'uovo un'altra ostia, fatela toccare il pangrattato da una
sola parte, cioè da quella che deve rimanere all'esterno, e con essa
coprite il composto appiccicandola all'ostia sottostante, panatela ancora, se occorre,
e mettete il pezzo da parte, ripetendo l'operazione fino a roba finita.
Friggetelo nell'olio o nel lardo e servite questo
fritto come piatto di tramesso. Con grammi 200 di carne senz'osso, otterrete
una ventina di questi bocconi.
177. FRITTO ALLA ROMANA II
Questo fritto potrete farlo quando avrete
d'occasione un petto di pollo arrostito e, per una quantità all'incirca
eguale all'antecedente, eccovi le proporzioni:
Petto di pollo, grammi 50.
Lingua salata, grammi 40.
Prosciutto grasso e magro, grammi 30.
Parmigiano, una cucchiaiata.
Un piccolo tartufo o, mancando questo, odore di
noce moscata.
Al pollo
levate la pelle e tagliatelo a piccolissimi dadi e così pure la lingua e
il prosciutto; il tartufo a fettine.
Fate una balsamella con:
Latte, decilitri 2;
Burro, grammi 30;
Farina, grammi 30.
Quando questa sarà cotta versateci
gl'ingredienti suddetti e lasciatela diacciar bene per servirvene usando le
ostie come nel precedente.
178. FRITTELLE DI RISO I
Latte, mezzo litro.
Riso, grammi 100.
Farina, grammi 100.
Uva sultanina, grammi 50.
Pinoli tritati alla grossezza del riso, grammi
15.
Uova, tre rossi e una chiara.
Burro, quanto una noce.
Zucchero, due piccoli cucchiaini.
Rhum, una cucchiaiata.
Odore di scorza di limone.
Lievito di birra, grammi 30.
Un pizzico di sale.
Preparate il lievito di birra come pei Krapfen n.
182, intridendolo con grammi 40 della detta farina.
Cuocete il riso nel latte in modo che riesca sodo
e però lasciate da parte alquanto latte per aggiungerlo se occorre; ma
per evitare che si attacchi, rimestate spesso e ritirate la cazzaruola sopra un
angolo del fornello.
Tolto dal fuoco e tiepido che sia versateci il
lievito già rigonfiato, le uova, il resto della farina, cioè i
179. FRITTELLE DI RISO II
Queste sono più semplici delle descritte
al numero precedente e riescono anch'esse buone e leggiere.
Cuocete molto, o meglio moltissimo, in mezzo
litro circa di latte, grammi 100 di riso dandogli sapore e grazia con burro
quanto una noce, poco sale, un cucchiaino scarso di zucchero e l'odore della
scorza di limone. Diaccio che sia aggiungete una cucchiaiata di rhum, tre rossi
d'uovo e grammi 50 di farina. Mescolate bene e lasciate riposare il composto
per diverse ore. Allorché sarete per friggerlo montate le chiare quanto
più potete, aggiungetele mescolando adagio e gettatelo in padella a
cucchiaiate. Spolverizzatele al solito di zucchero a velo e servitele calde.
180. FRITTELLE DI SEMOLINO
Latte, mezzo litro.
Semolino, grammi 130.
Burro, quanto una noce.
Rhum, una cucchiaiata.
Odore di scorza di limone.
Sale, quanto basta.
Uova, n. 3.
Cuocete il
semolino nel latte, salatelo quando è cotto e, diaccio che sia,
aggiungete le uova e il rhum. Friggetele nell'olio o nel lardo e mandatele in
tavola spolverizzate di zucchero a velo.
Questa quantità può bastare per
quattro o cinque persone.
181. FRITTELLE DI TONDONE
Se non sapete
cosa sia un tondone, chiedetelo a Stenterello che ne mangia spesso perché gli
piace.
Farina, grammi 250.
Uova, n. 6.
Acqua, decilitri 3.
Un pizzico di sale.
Odore di scorza di limone.
Stemperate la farina con la detta acqua versata a
poco per volta e salatela. Gettate questo intriso in padella per cuocerlo in
bianco con burro, olio o lardo e quando è assodato da una parte
voltatelo con un piatto dall'altra, ed eccovi il tondone.
Ora pestatelo nel mortaio con l'odore suddetto e
rammorbiditelo con le uova: due a un tratto, le altre quattro una alla volta
con le chiare montate, lavorando molto il composto. Friggetelo a cucchiaiate
per ottener le frittelle che, gonfiando molto, prendono l'aspetto di bombe.
Spolverizzatele di zucchero a velo.
Al composto potete unire, piacendovi, grammi 100
di uva malaga, ma allora questa tenetela prima in molle per ventiquattr'ore
nell'acqua fresca e dopo toglietele i semi. Potranno bastare per sei persone, o
per quattro se fate la metà della dose.
182. KRAPFEN I
Proviamoci di descrivere il piatto che porta
questo nome di tedescheria ed andiamo pure in cerca del buono e del
bello in qualunque luogo si trovino; ma per decoro di noi stessi e della patria
nostra non imitiamo mai ciecamente le altre nazioni per solo spirito di stranieromania.
Farina d'Ungheria, grammi 150.
Burro, grammi 40.
Lievito di birra, quanto una grossa noce.
Uova, uno intero e un rosso.
Zucchero, un cucchiaino.
Sale, una buona presa.
Prendete un pugno della detta farina, ponetela
sulla spianatoia e, fattale una buca in mezzo, stemperateci dentro il lievito
di birra con latte tiepido e formatene un pane di giusta sodezza, sul quale
inciderete un taglio in croce per poi conoscer meglio se ha rigonfiato. Ponete
questo pane in un tegamino o in una cazzarolina nel cui fondo sia un
sottilissimo strato di latte, copritela e lasciatela vicino al fuoco onde il
pane lieviti a moderatissimo calore: vedrete che basterà una ventina di minuti.
Lievitato che sia mettetelo in mezzo alla farina rimasta ed intridetela colle
uova, col burro liquefatto, collo zucchero e col sale. Se questo pastone riesce
troppo morbido, aggiungete tanta farina da ridurlo in modo che si possa
distendere col matterello alla grossezza di mezzo dito. Così avrete una
stiacciata dalla quale con un cerchio di latta taglierete tanti dischi della
grandezza di quello soprassegnato.
Ammesso che ne facciate 24, prendete un uovo o
altro arnese di forma consimile e colla punta del medesimo pigiate nel mezzo di
ognuno dei dischi per imprimergli una buca. In 12 di detti dischi ponete un
cucchiaino di un battutino tirato col sugo e la balsamella, composto di
fegatini, animelle, prosciutto, lingua salata, odore di tartufi o di funghi, il
tutto tagliato a piccoli dadi.
Bagnate i dischi all'intorno con un dito intinto
nell'acqua e sopra ciascuno sovrapponete un altro disco dei 12 rimasti vuoti;
quando saranno tutti coperti premete sopra ai medesimi un altro cerchio di
latta di dimensione eguale a quello qui delineato, onde si formi un'incisione
tutto all'ingiro.
Ora che avete questi 12 pasticcini ripieni
bisogna lievitarli, ma a lieve calore, e ciò otterrete facilmente
ponendoli vicino al fuoco, o dentro a una stufa. Quando saranno rigonfiati bene
friggeteli nel lardo o nell'olio in modo che sieno ricoperti dall'unto e
serviteli caldi come fritto o piatto di tramesso, il quale, per la sua
apparenza e bontà sarà giudicato piatto di cucina fine.
Se volete che servano per dolce non avrete altro
a fare che riempirli di una crema alquanto soda o di conserva di frutta,
spolverizzandoli, dopo cotti, di zucchero a velo.
Per un'altra ricetta di questi Krapfen, vedi
il n. 562.
183. BOMBE E PASTA SIRINGA
Questa ricetta che può servire ugualmente
bene per le bombe e per la pasta siringa, è un po' faticosa, ma non
è di difficile esecuzione.
Acqua, grammi 150.
Farina d'Ungheria o finissima, grammi 100.
Burro, quanto una noce.
Sale, una presa.
Odore di scorza di limone.
Uova, n. 2 e un rosso.
Mettete
al fuoco l'acqua col burro e il sale e quando bolle versate la farina tutta a
un tratto e rimestatela forte. Tenete la pasta sul fuoco fino a che la farina
sia ben cotta (10 minuti) rimovendola sempre; poi levatela dalla cazzaruola e
stiacciatela alla grossezza di un dito perché si diacci bene.
Cominciate a lavorarla per tempo da prima con un
rosso d'uovo e quando l'ha incorporato aggiungete una chiara ben montata, poi
un altro rosso e, lavorandola sempre col mestolo, un'altra chiara montata e
così di seguito se la dose fosse doppia o tripla della presente. A forza
di lavorarlo il composto deve riuscire in ultimo fine come un unguento. Se si
tratta di bombe gettatelo in padella a cucchiaini dandogli la forma rotonda; se
desiderate la pasta siringa fatelo passare per la canna a traverso a un disco
stellato, come la figura riportata qui sopra, e tagliatelo via via alla
lunghezza di
Queste bombe possono anche servire come fritto
composto praticandovi una piccola incisione quando son cotte per introdur nell'interno
un poco di battuto delicato di carne; ma allora non vanno spolverizzare di
zucchero.
184. BOMBE COMPOSTE
Queste bombe
devono essere scoppiate la prima volta a Bologna. La carica che contengono di
cacio e mortadella me lo fanno supporre. Comunque sia, aggraditele perché fanno
onore all'inventore.
Acqua, grammi 180.
Farina, grammi 120.
Formaggio gruiera, grammi 30.
Burro, quanto una noce.
Mortadella di Bologna, grammi 30.
Uova, n. 3.
Un pizzico di sale.
Mettete l'acqua al fuoco col burro e col sale e
quando comincia a bollire gettate in essa il formaggio a pezzettini e subito la
farina tutta in un tratto rimestando forte. Tenete la pasta al fuoco 10 minuti
circa rimuovendola sempre, poi lasciatela diacciare. Lavoratela moltissimo ed a
riprese col mestolo gettandovi un uovo per volta, prima il rosso poi la chiara
montata, e quando sarete per friggerla aggiungete la mortadella a dadi larghi
un centimetro e grossettini. Qualora l'impasto riuscisse un po' troppo sodo per
la qualità della farina, o perché le uova erano piccole, aggiungetene un
altro e ne otterrete tante che basteranno per sei persone. Se queste bombe sono
venute bene, le vedrete gonfiare e rimaner vuote dentro, ma ci vuol forza in
chi le lavora.
Servitele calde per contorno a un fritto di carne
o di fegato, oppure miste a qualunque altro fritto.
185. BOMBE DI SEMOLINO
Latte,
Semolino di grana fine, grammi 130.
Burro, quanto una noce.
Zucchero, un cucchiaino.
Sale, quanto basta.
Odore di scorza di limone.
Uova, n. 3.
Mettete al
fuoco il latte col burro e lo zucchero e quando comincia a bollire versate il
semolino a poco a poco onde non abbia a far bozzoli. Tenetelo sul fuoco fino a
che non sia ben sodo, agitandolo sempre col mestolo perché non si attacchi al
fondo. Ritiratelo dal fuoco, salatelo e subito scocciategli dentro il primo
uovo, poi quando sarete per friggerlo, gli altri due, uno alla volta, montando
le chiare e lavorandolo sempre molto col mestolo. Quando lo gettate in padella
dategli la forma di pallottole le quali rigonfieranno per divenir bombe
leggerissime che vanno spolverizzare di zucchero a velo, perduto che abbiano il
forte calore. Usate fuoco leggiero e dimenate la padella.
186. CARCIOFI FRITTI
Questo è un fritto molto semplice; ma pure,
pare incredibile, non tutti lo sanno. fare. In alcuni paesi lessano i carciofi
prima di friggerli, il che non va bene: in altri li avvolgono in una pastella
la quale non solo non è necessaria, ma leva al frutto il suo gusto
naturale. Eccovi il metodo usato in Toscana che è il migliore.
Colà, facendosi grande uso ed abuso di legumi ed erbaggi, si cucinano
meglio che altrove.
Prendete, per esempio, due carciofi, nettateli
dalle foglie coriacee, spuntateli, mondatene il gambo e tagliateli in due
parti; poi questi mezzi carciofi tagliateli a spicchi o per meglio dire a fette
da cavarne 8 o 10 per carciofo anche se non è molto grosso. Di mano in
mano che li tagliate, gettateli nell'acqua fresca e quando si saranno ben
rinfrescati, levateli ed asciugateli così all'ingrosso o spremeteli
soltanto, gettandoli subito nella farina perché vi resti bene attaccata.
Montate a mezzo la chiara di un uovo, ché uno
solo basta per due carciofi, poi nella chiara mescolate il torlo e salatelo.
Mettete i carciofi in un vagliettino per scuoterne la farina superflua e dopo
passateli nell'uovo, mescolate e lasciateceli qualche poco onde l'uovo
s'incorpori. Gettate i pezzi a uno a uno in padella con l'unto a bollore e
quando avranno preso un bel colore dorato levateli e mandateli in tavola con
spicchi di limone perché, come ognun sa, l'agro sui fritti che non sono dolci
dà sempre grazia ed eccitamento al buon bere.
Se desiderate che i carciofi restino bianchi,
è meglio friggerli nell'olio e strizzare mezzo limone nell'acqua quando
li mettete in molle.
187. COTOLETTE DI CARCIOFI
Certe signore si dolevano di non trovare nel mio
libro questo fritto, ed eccole appagate.
Prendete due carciofi grossi, nettateli dalle
foglie dure e raschiatene il gambo, poi lessateli, ma non troppo, e così
bollenti tagliateli per il lungo in cinque fette ciascuno, lasciandoci un po'
di gambo, e conditeli con sale e pepe.
Fate una balsamella così:
Farina, grammi 30.
Burro, grammi 30.
Parmigiano grattato, grammi 20.
Latte, decilitri 2.
Tolta dal fuoco mescolateci un rosso d'uovo, il
parmigiano e una presa di sale, e prese su ad una ad una pel gambo le fette dei
carciofi immergetele nella balsamella, distendetele su un vassoio e, con
un cucchiaio, ricopritele con la balsamella rimasta. Dopo diverse ore, quando
saranno ben diacce, doratele con un uovo frullato, impanatele e friggetele
nell'olio o nello strutto.
188. ZUCCHINI FRITTI I
Gli zucchini fritti bene piacciono generalmente a
tutti e si prestano a meraviglia per rifiorire o contornare un altro fritto
qualunque.
Prendete zucchini di forma allungata della
dimensione di un dito e più; lavateli e tagliateli a filetti larghi un
centimetro o meno, levate loro una parte del midollo e salateli non troppo.
Dopo un'ora o due da questa preparazione scolateli dall'acquosità che
hanno gettata e, senza asciugarli punto, buttateli nella farina e da questa nel
vagliettino, scuotendoli bene dalla farina superflua; subito dopo gettateli in
padella ove l'unto, olio o lardo che sia, si trovi in abbondanza e bollente. Da
principio non li toccate per non romperli e solo quando si sono assodati
rimuoveteli colla mestola forata e levateli quando cominciano a prendere
colore.
Si possono anche cucinare come i carciofi in
teglia del n. 246, ma allora bisogna tagliarli a fette rotonde e prepararli
come quelli da friggere.
189. ZUCCHINI FRITTI II
Questi riusciranno migliori e più
appariscenti di quelli della ricetta antecedente. Prendete zucchini grandi e
grossi da non potersi abbrancare con una mano. Sbucciateli per rendere il
fritto più bello, apriteli in due parti per il lungo e levate loro il
midollo in quella parte che mostrano i semi. Poi tagliateli a strisce lunghe e
sottili, larghe un dito buono e poneteli col sale a far l'acqua lasciandoveli per
qualche ora. Quando sarete per friggerli prendeteli su con ambedue le mani e
stringeteli forte per ispremerne l'acqua che ancora contengono, poi gettateli
nella farina sciogliendoli colle dita, indi nel vagliettino e buttateli subito
in padella con molto unto.
190. CIAMBELLINE
Anche questo piatto, se non si vede manipolare,
è difficile che riesca bene; mi proverò a descriverlo, ma non
garantisco di farmi capire. A me queste ciambelline furono insegnate col nome
di beignets; ma la loro forma mi suggerisce quello più
proprio di ciambellíne, e per tali ve le offro.
Mettete al fuoco in una cazzaruola grammi 180 di
acqua, un pezzetto di burro quanto una grossa noce, due cucchiaini di zucchero
e un pizzico di sale. Quando il liquido bolle, stemperateci grammi 120 di farina
gettandola tutta a un tratto onde non si formino bozzoli e dimenate subito col
mestolo. Levatela presto dal fuoco e mentre è così a bollore
scocciate nella medesima un uovo e mescolate forte finché sia bene incorporato;
poi ad intervalli, quando il composto è diaccio, aggiungete altre due
uova lavorando sempre e molto col mestolo finché sia ben mantecato; e
ciò si conosce dall'azione del mestolo stesso, il quale, nei vuoti che
lascia, si tira dietro un sottil velo di pasta. Datele l'odore di vainiglia e
preparate sulla spianatoia una certa quantità di farina sulla quale
verserete la detta pasta. Allora cominciate a palparla colle mani imbrattate
nella stessa farina e avvoltolatevela entro in modo che della farina se ne
appropri tanta da rendersi maneggevole, ma però morbida alquanto.
Dividete questo pastone in 16 o 18 parti,
formando tante pallottole che riusciranno grosse poco più di una noce:
ad ognuna di queste pallottole fate un buco in mezzo premendole colla punta di
un dito contro la spianatoia e girandole sopra sé stesse; rivoltatele e fate
altrettanto dalla parte opposta onde il buco diventi largo ed aggraziato;
così queste pallottole prenderanno la forma di ciambelline. Ora mettete
al fuoco un vaso d'acqua di bocca larga, e quando l'acqua sarà ben
calda, ma non bollente, gettatevi le ciambelline a tre o quattro per volta. Se
si attaccano al fondo sollevatele leggermente colla mestola forata, voltatele
ed allorché vengono a galla levatele asciutte e ponetele sopra un pannolino,
poi colla punta di un coltello, fate ad ognuna giro giro, tanto dalla parte
esterna che interna, un'incisione od anche due a una certa distanza, perché
possan rigonfiar meglio.
In questo stato potrete lasciarle anche per delle
ore se vi fa comodo. Friggetele con molto unto, lardo od olio che sia, a fuoco
lento, dimenando spesso la padella; se saranno venute bene le vedrete crescere
a un volume straordinario, restando asciutte. Calde ancora, ma non bollenti,
spolverizzatele di zucchero a velo e servitele, augurandosi lo scrivente che
esse, per la loro bontà ed eleganza di forma, siano gustate da bocche
gentili e da belle e giovani signore; e così sia.
191. DONZELLINE
Farina, grammi 100.
Burro, quanto una noce.
Latte, quanto basta.
Un pizzico di sale.
Formatene un
intriso né troppo sodo, né troppo morbido, lavoratelo molto colle mani sulla
spianatoia e tiratene una sfoglia della grossezza di uno scudo. Tagliatela a
piccole mandorle, friggetela nel lardo o nell'olio, e la vedrete gonfiare,
riuscendo tenera e delicata al gusto.
Così avrete le donzelline, che vanno
spolverizzare con zucchero a velo quando non saranno più bollenti.
192. FRITTO DI CHIFELS
È un
fritto di poco conto, ma per contorno a un fritto di carne può servire
da pane.
Chifels, n. 2.
Latte, decilitri 2.
Zucchero, grammi 20.
Levate le punte ai chifels e tagliateli a
rotelline grosse un centimetro che collocherete sopra un vassoio. Ponete il
latte al fuoco col detto zucchero e quando sarà a bollore versatelo
sulle medesime per inzupparle non molto. Diacce che sieno bagnatele in due uova
frullate, panatele e friggetele. Per signore facili a contentarsi possono
servire come piatto dolce, se date loro l'odore della vainiglia
spolverizzandole, dopo cotte, di zucchero a velo.
193. AMARETTI FRITTI
Prendete 20 amaretti piccoli, bagnateli
leggermente, onde non rammolliscano troppo, di rhum o di cognac, involtateli
nella pastella del n. 156, che è dose bastante, e friggeteli nello
strutto, nel burro o nell'olio. Spolverizzateli leggermente di zucchero a velo
e serviteli caldi.
Non è fritto da fargli le furie e da
andarlo a cercare; ma può servir di compenso quando capiti il caso.
194. CRESCENTE
Che linguaggio strano si parla nella dotta
Bologna!
I tappeti (da terra) li chiamano i panni; i
fiaschi, i fiaschetti (di vino), zucche, zucchette; le animelle, i
latti. Dicono zigàre per piangere, e ad una donna malsana,
brutta ed uggiosa, che si direbbe una calía o una scamonea, danno il nome di sagoma.
Nelle trattorie poi trovate la trifola, la costata alla
fiorentina ed altre siffatte cose da spiritare i cani. Fu là, io credo,
che s'inventarono le batterie per significare le corse di gara a
baroccino o a sediolo e dove si era trovato il vocabolo zona per
indicare una corsa in tranvai. Quando sentii la prima volta nominare la crescente,
credei si parlasse della luna; si trattava invece della schiacciata, o
focaccia, o pasta fritta comune che tutti conoscono e tutti sanno fare, con la
sola differenza che i Bolognesi, per renderla più tenera e digeribile,
nell'intridere la farina coll'acqua diaccia e il sale, aggiungono un poco di
lardo.
Pare che la stiacciata gonfi meglio se la gettate
in padella coll'unto a bollore, fuori del fuoco.
Sono per altro i Bolognesi gente attiva,
industriosa, affabile e cordiale e però, tanto con gli uomini che con le
donne, si parla volentieri, perché piace la loro franca conversazione. Codesta,
se io avessi a giudicare, è la vera educazione e civiltà di un
popolo, non quella di certe città i cui abitanti son di un carattere del
tutto diverso.
Il Boccaccio in una delle sue novelle, parlando
delle donne bolognesi, esclama:
“O singolar dolcezza del sangue bolognese! quanto
se' tu sempre stata da commendare in così fatti casi! (casi d'amore)
mai di lagrime né di sospir fosti vaga; e continuamente a' prieghi pieghevole e
agli amorosi desiderio arrendevol fosti; se io avesse degne lodi da
commendarti, mai sazia non se ne vedrebbe la voce mia”.
195. CRESCIONI
Perché
si chiamino crescioni e non tortelli di spinaci vattel'a pesca. So che
si lessano degli spinaci secondo l'uso comune, cioè senz'acqua e,
spremuti bene, si mettono, tagliati all'ingrosso, in umido con un soffritto di
olio, aglio, prezzemolo, sale e pepe; poi si aggraziano con un po' di sapa e
con uva secca, a cui siano stati levati gli acini. In mancanza della sapa e
dell'uva secca si supplisce con lo zucchero e l'uva passolina.
Poi questi spinaci, così conditi, si
chiudono nella pasta matta n. 153 intrisa con qualche goccia d'olio, tirata a
sfoglia sottile e tagliata con un disco all'incirca di quello segnato in questa
pagina. Questi dischi si piegano in due per far prender loro la forma di mezza
luna, si stringe bene la piegatura e si friggono nell'olio. Servono come piatto
di tramesso.
196. CROCCHETTE
Si possono fare con ogni sorta di carne avanzata
e si preparano come le polpette del n. 314, senza però l'uva passolina e
i pinoli. Invece si può dar loro, piacendo, l'odore dell'aglio unendovi
anche qualche foglia di prezzemolo. A queste crocchette convien meglio dare la
forma a rocchetti e generalmente si mangiano soltanto fritte.
197. CROCCHETTE DI ANIMELLE
Prendete grammi 150 di animelle, cuocetele nel
sugo oppure con un battutino di cipolla e burro, e conditele con sale, pepe e
l'odore della noce moscata. Poi tagliatele a piccoli dadi e mescolatele a due
cucchiaiate di balsamella piuttosto soda aggiungendo un rosso d'uovo e
un buon pizzico di parmigiano. Prendete su il composto a piccole cucchiaiate,
versatelo nel pangrattato dandogli la forma bislunga ad uso rocchetto. Dopo
immergetele nell'uovo sbattuto, poi un'altra volta nel pangrattato e
friggetele. Potrete renderle di gusto più grato se nel composto
aggiungete prosciutto grasso e magro, lingua salata a piccoli dadi e se, invece
della noce moscata, date loro l'odore dei tartufi a pezzettini.
Col suddetto quantitativo di animelle otterrete
dieci o dodici crocchette le quali potete unire ad altra qualità di
fritto per fare un piatto di fritto misto.
198. CROCCHETTE DI RISO SEMPLICI
Latte, mezzo litro.
Riso, grammi 100.
Burro, grammi 20.
Parmigiano grattato, grammi 20.
Uova, n. 2.
Cuocete molto
sodo il riso nel latte, e a mezza cottura aggiungete il burro e salatelo.
Levatelo dal
fuoco, versateci il parmigiano e così a bollore scocciateci dentro un
uovo mescolando subito per incorporarlo. Quando sarà ben diaccio
prendetelo su a cucchiaiate ed involtatelo nel pangrattato dandogli forma
cilindrica; con questa dose otterrete dodici crocchette. Frullate l'uovo
rimasto, gettateci dentro le crocchette a una a una, involtatele di nuovo nel
pangrattato e friggetele.
Si possono servir sole; ma meglio accompagnate
con altra qualità di fritto.
199. CROCCHETTE DI RISO COMPOSTE
Servitevi della ricetta antecedente e mescolate
framezzo al riso, quando sarà cotto e dosato, le rigaglie di un pollo
tirate a cottura con burro e sugo, e se questo vi manca, supplite con un
battutino di cipolla.
Le rigaglie tagliatele dopo cotte alla grossezza
di un cece.
200. CROCCHETTE DI PATATE
Patate, grammi 300.
Burro, grammi 30.
Parmigiano grattato, grammi 20.
Rossi d'uovo, n. 2.
Zucchero, un cucchiaino.
Odore di noce moscata.
Le patate
sbucciatele e se sono grosse tagliatele in quattro parti e mettetele a bollire
in acqua salata per passarle dallo staccio asciutte quando saranno cotte ed
ancora bollenti. Al passato aggiungete il burro, sciolto d'inverno, e tutto il
resto, mescolando.
Lasciate che il composto diacci bene, dividetelo
in dieci o dodici parti e, sopra uno strato leggiero di farina, date loro la
forma di rocchetto per ottener le crocchette. Frullate un uovo e nel medesimo
immergetele ad una ad una, panatele e friggetele in olio o lardo onde servirle
per contorno a un fritto di carne o ad un arrosto.
201. PALLOTTOLE DI PATATE RIPIENE
Patate, grammi 300.
Parmigiano, due cucchiaiate ben colme.
Uova, n. 2.
Odore di noce moscata.
Farina, quanto basta.
Lessate le
patate, sbucciatele e passatele calde dallo staccio sopra a un velo di farina.
Fate una buca sul monte delle patate, salatele, date loro l'odore della noce
moscata e versateci le uova e il parmigiano. Poi, con meno farina che potete,
formatene un pastone morbido e lungo che dividerete in 18 parti e ad ognuna di
queste, con le dita infarinate, fate una piccola buca per riempirla con un
battuto di carne. Tirateci sopra i lembi per coprirlo e, con le mani
infarinate, formate palle rotonde che friggerete nello strutto o nell'olio,
mandandole in tavola per contorno a un fritto di carne.
È un piatto appariscente, buono e di poca
spesa perché il ripieno potete formarlo anche con le rigaglie di una sola
gallina, quando vi capita, se vi comprenderete la cresta, il ventriglio lessato
prima e le uova non nate tirate a cottura con un piccolo battutino di cipolla e
burro, unendovi dopo una fettina di prosciutto grasso e magro tagliato a dadini
e tutto il resto tritato.
Se non avete la gallina formate il ripieno in
altra maniera.
202. PERINE DI RISO
Riso, grammi 100.
Latte, mezzo litro.
Burro, poco più di una noce.
Parmigiano, un buon pizzico.
Uova, n. l.
Cuocete
il riso ben sodo nel latte aggiungendovi il burro e, quando è cotto,
salatelo ed aspettate che abbia perduto il forte calore per scocciarvi l'uovo e
mettervi il parmigiano. Tirate poi a cottura due fegatini di pollo e due
animelle di agnello, facendone un umidino delicato, e dategli l'odore della
noce moscata; tagliatelo a pezzetti grossi meno di una nocciuola e uniteci dei
pezzetti di prosciutto, di tartufi o di funghi che gli donano molta grazia.
Per dare a questo riso ripieno la forma di
perette fatevi fare un imbutino di latta del quale vi disegnerei la forma e la
grandezza, se ne fossi capace, ma non conoscendo il disegno contentatevi del
cerchio già delineato che ne rappresenta la bocca, la parte opposta
della quale termina col suo cannoncino che ha due centimetri di lunghezza.
Ungetelo col burro liquido e spolverizzatelo di pangrattato fine, poi
riempitelo per metà di riso, poneteci due o tre pezzetti dell'umido
descritto e finite di riempirlo con altro riso. Formata la pera, per estrarla
soffiate dal cannoncino, ripetendo l'operazione finché avrete roba. Già
s'intende che per friggerle queste perette bisogna dorarle con uova e
pangrattato.
203. FRITTO NEGLI STECCHINI
Fegatini grossi di pollo, n. 2.
Lingua salata, grammi 40.
Gruiera, grammi 40.
I fegatini cuoceteli nel burro e conditeli con
sale e pepe. Dopo cotti tagliateli in 12 pezzetti e lo stesso fate del gruiera
e della lingua. Prendete 12 stecchini da denti ed infilate nei medesimi i
suddetti 36 pezzi; prima la lingua, in mezzo il gruiera e in cima il fegatino a
una certa distanza tra loro. Poi, servendovi della balsamella del n. 220
intonacate con la medesima i tre pezzetti in modo che restino ben coperti; indi
passateli nell'uovo frullato, panateli e friggeteli.
Potete ai detti ingredienti aggiungere, volendo,
pezzetti di animelle cotte come i fegatini e pezzetti di tartufi crudi.
204. AGNELLO IN FRITTATA
Spezzettate
una lombata d'agnello, che è la parte che meglio si presta per questo
piatto, e friggetela nel lardo vergine; poco basta, perché in quel posto la
carne è piuttosto grassa. A mezza cottura condite l'agnello con sale e
pepe e quando sarà totalmente cotto versateci quattro o cinque uova
frullate e leggermente condite anch'esse con sale e pepe. Mescolate, badando
che le uova assodino poco.
205. POLLO DORATO I
Prendete un pollastro giovane, vuotatelo,
levategli la testa e le zampe, lavatelo bene e tenetelo nell'acqua bollente per
un minuto. Poi tagliatelo a pezzi nelle sue giunture, infarinatelo, conditelo
con sale e pepe e versategli sopra due uova frullate. Dopo mezz'ora almeno di
infusione involtate i pezzi nel pangrattato, ripetendo per due volte
l'operazione se occorre e cuoceteli a brace in questa maniera: prendete una sauté
o una teglia di rame stagnata, ponete in essa olio, o meglio lardo vergine,
e quando comincia a grillettare buttate giù i pezzi del pollo facendoli
rosolare da ambedue le parti a moderato calore onde la cottura penetri
nell'interno. Serviteli bollenti con spicchi di limone. L'ala di tacchino, che
lessa è la parte più delicata, si presta egualmente bene per
essere tagliata a pezzetti e così cucinata.
La punta del
petto e le zampe dei polli, compreso il tacchino, possono darvi una norma della
tenerezza delle loro carni perché, quando invecchiano, la punta del petto
indurisce e non cede alla pressione delle dita, e le zampe, da nere che erano,
si fanno giallastre.
206. POLLO DORATO II
Dopo averlo trattato come il precedente,
tagliatelo a pezzi più piccoli, infarinatelo, immergetelo in due uova
frullate e salate a buona misura; friggetelo in padella, conditelo ancora un
poco con sale e pepe, e servitelo con spicchi di limone.
207. PETTI DI POLLO ALLA SCARLATTA
Da un petto di cappone o di una grossa pollastra
potrete cavare sei fette sottili, che in un pranzo basteranno per quattro o
cinque persone. Cuocetele col burro e conditele con sale e pepe.
Fate una balsamella con: burro, grammi 20;
farina, grammi 40; latte, decilitri 2.
Quando è cotta uniteci grammi 50 di lingua
salata tritata fine con la lunetta e, diaccia che sia, spalmate con la medesima
i petti di pollo da tutte le parti. Tuffateli poi nell'uovo frullato, un solo
uovo sarà sufficiente, panateli e rosolateli nel burro o nel lardo alla sauté,
e serviteli con spicchi di limone
208. POLLO ALLA CACCIATORA
Trinciate una grossa cipolla e tenetela per
più di mezz'ora nell'acqua fresca, indi asciugatela e gettatela in
padella con olio o lardo. Quando è cotta mettetela da parte. Spezzettate
un pollastro, friggetelo nell'unto che resta e, rosolato che sia, uniteci la
detta cipolla, conditelo con sale e pepe e annaffiatelo con mezzo bicchiere di
San Giovese od altro vino rosso del migliore e alquanto sugo di pomodoro e,
dopo cinque minuti di bollitura, servitelo. Vi avverto che non è piatto
per gli stomachi deboli.
209. POLLO FRITTO COI POMODORI
Ogni popolo usa per friggere quell'unto che si
produce migliore nel proprio paese. In Toscana si dà la preferenza
all'olio, in Lombardia al burro, e nell'Emilia al lardo che vi si prepara
eccellente, cioè bianchissimo, sodo e con un odorino di alloro che
consola annusandolo. Da ciò la strage inaudita, in quella regione, di
giovani pollastri fritti nel lardo, coi pomodori.
Nelle fritture di grasso io preferisco il lardo
perché mi sembra dia un gusto più grato e più saporito dell'olio.
Il pollo si taglia a piccoli pezzi, si mette in padella così naturale
con sufficiente quantità di lardo, condendolo con sale e pepe. Quando
è cotto si scola dall'unto superfluo e vi si gettano i pomodori a
pezzetti dopo averne tolti i semi. Si rimesta continuamente finché i pomodori
siensi quasi strutti e si manda in tavola.
210. FEGATO COL VINO BIANCO
Il vino, come condimento, non è molto
nelle mie grazie, ammenoché non si tratti di vino da bottiglia e di certi
piatti in cui è necessario pel carattere loro speciale. Ma poiché i
gusti sono tanti diversi, che quel che non piace ad uno potrebbe piacere ad
altri, eccovi un piatto col vino.
Tagliate il fegato a fette sottili e così
naturale friggetelo in padella con olio e burro. Frullate in un pentolino un
cucchiaio di farina con vino bianco ottimo ed asciutto, per formare un intriso
molto liquido; quando il fegato sarà a due terzi di cottura
versateglielo sopra. Finite di cuocerlo e conditelo con sale e pepe.
211. FEGATO ALLA CACCIATORA
Se il fegato fosse grammi 300 circa, trinciate
tre grosse cipolle e tenetele in molle nell'acqua fresca per un'ora o due.
Sgrondata dall'acqua, gettate la cipolla in padella per asciugarla; asciutta
che sia versateci il lardo per friggerla, e quando avrà preso il color
marrone uniteci il fegato tagliato a fette sottili. Lasciatelo soffriggere
alquanto, frammisto alla cipolla; versate poi nella padella poco meno di mezzo
bicchiere di vino rosso buono e dopo cinque minuti, movendolo sempre, servitelo
condito con sale e pepe. Non è piatto per gli stomachi delicati.
212. CASTAGNOLE I
Questo piatto particolare alle Romagne,
specialmente di carnevale, è, a dir vero, di genere non troppo fine, ma
può piacere.
Intridete sulla spianatoia una pasta soda con
farina, due uova, una cucchiaiata di fumetto, odore di scorza di limone e sale
quanto basta. Lavoratela molto e con forza colle mani come fareste del pane
comune, facendole a poco per volta assorbire una cucchiaiata di olio fine. Per
ultimo tiratela a bastoncini, tagliateli a pezzetti del volume di una noce e
gettateli subito in padella a lento fuoco dimenandola continuamente. Cotte che
sieno le castagnole, spolverizzatele di zucchero a velo e servitele
diaccie; ché sono migliori che calde.
Se invece di fumetto vi servirete di cognac o di
acquavite, il che sembra lo stesso, vi prevengo che non otterrete il medesimo
effetto e che rigonfieranno poco.
213. CASTAGNOLE II
Eccovi una seconda ricetta di castagnole. Provatele
tutt'e due ed attenetevi a quella che più vi garba.
Uova, n. 2.
Acqua, due cucchiaiate.
Fumetto, due cucchiaiate.
Burro, grammi 20.
Zucchero, grammi 20.
Un pizzico di sale.
Mettete in un vaso i rossi d'uovo, lo zucchero,
il fumetto, l'acqua e il sale. Mescolate, montate le chiare e con questi
ingredienti e il burro intridete tanta farina sulla spianatoia da formare un
pastone che si possa lavorar colle mani. Dimenatelo molto perché si affini, poi
fatene delle pallottole grosse quanto una piccola noce e friggetele come le
antecedenti a fuoco lento e in molto unto.
214. CREMA FRITTA I
Amido, grammi 100.
Zucchero, grammi 30.
Burro, grammi 20.
Latte, decilitri 4.
Uova, due intere.
Odore di scorza di limone.
Sale, una presa.
Lavorate le uova collo zucchero, poi aggiungete
l'amido ridotto in polvere, la scorza di limone grattata, il latte versato a
poco per volta e il burro. Mettete il composto al fuoco rimestando
continuamente come fareste per una crema comune e quando sarà condensato
da non crescer più, gettate la presa di sale e versatelo in un vassoio o
sopra un'asse, distendendolo alla grossezza di un dito.
Tagliatelo a mandorle quando sarà ben
diaccio, doratelo coll'uovo e pangrattato, friggetelo nel lardo o nell'olio e
servitelo caldo per contorno ad altro fritto.
215. CREMA FRITTA II
Farina, grammi 100.
Zucchero, grammi 20.
Uova intere, n. 2.
Latte, decilitri 5.
Odore di vainiglia o di scorza di limone.
Per la cottura tenetela sul fuoco finché la
farina non abbia perduto il crudo. In quanto al resto regolatevi come quella
del numero precedente. Metà dose, mista ad altro fritto, potrà
bastare per quattro o cinque persone.
216. TESTICCIUOLA D’AGNELLO
La testicciuola d'agnello, quando non si voglia
mangiar lessa, io non conosco che due modi di cucinarla; fritta e in umido
(vedi n. 321). Per friggerla tanto sola che col cervello, vedi la Pastella
per fritti di carne, n. 157.
217. CORATELLA D’AGNELLO ALLA BOLOGNESE
Tagliate il fegato a fettine e il pasto a
pezzetti e così naturali buttateli in padella con del lardo. Quando la
coratella sarà quasi cotta scolatela da tutto l'unto e gettatevi dentro
un pezzetto di burro; continuate a friggere e poco dopo versate in padella sugo
di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua o nel brodo. Conditela con sale e
pepe, mandatela in tavola con questa sua salsa, e state sicuri che sarà
lodata.
218. FRITTO D’AGNELLO ALLA BOLOGNESE
Il meglio posto dell'agnello per friggere
è la lombata: ma può servire benissimo anche la spalla, compreso
il collo. Spezzettatelo e friggetelo come la coratella del numero precedente.
219. CONIGLIO FRITTO
La ripugnanza che molti in Italia sentono pel
coniglio (Lepus cuniculus) non mi sembra giustificata. È una carne
di non molta sostanza e di poco sapore al che si può supplire coi
condimenti; ma è tutt'altro che cattiva e non ha odore disgustoso, anzi
è sana e non indigesta come quella d'agnello. Si offre poi opportuna per
chi non avendo mezzi sufficienti a procurarsi carne di manzo, è
costretto a cibarsi di legumi ed erbaggi. Il miglior modo è di friggerlo
come la coratella del n. 217.
Dicono poi che il coniglio lesso fa un brodo
eccellente.
La domesticità del coniglio rimonta ad
un'epoca assai antica, giacché Confucio, 500 anni avanti l'era cristiana, parla
di questi animali, come degni di essere immolati agli Dei, e della loro
propagazione.
220. COTOLETTE IMBOTTITE
Formate delle cotolette di vitella di
latte oppure di petti di pollo o di tacchino, tagliate sottili e, se tenete a
dar loro una forma elegante, tritatele e riunitele dopo, schiacciandole. Se
trattasi di vitella di latte basteranno grammi 170 di magro senz'osso, per
ottenerne 6 o 7. Soffriggetele, così a nudo, nel burro, salatele e
mettetele da parte.
Fate una balsamella con grammi 70 di
farina, 20 di burro e
Servitele con spicchi di limone.
221. BRACIOLINE DI VITELLA DI LATTE
ALL’UCCELLETTO
Prendete carne magra di vitella di latte,
tagliatela a bracioline sottili e battetele bene con la costola del coltello.
Ponete al fuoco in una cazzaruola o nella sauté olio e burro in
proporzione con alcune foglie intere di salvia e quando queste avranno
soffritto un poco gettateci le bracioline, conditele con sale e pepe e quando
avranno bollito a fuoco vivo per cinque o sei minuti spremeteci del limone e
mandatele in tavola.
È un piatto da servire per colazione.
222. SALTIMBOCCA ALLA ROMANA
Li ho mangiati a Roma, alla trattoria Le
Venete, e perciò posso descriverli con esattezza.
Sono bracioline di vitella di latte, condite
leggermente con sale e pepe, sopra ognuna delle quali si pone mezza foglia di
salvia (una intera sarebbe di troppo) e sulla salvia una fettina di prosciutto
grasso e magro. Per tenere unite insieme queste tre cose s'infilzano con uno
stecchino da denti e si cuociono col burro alla sauté; ma vanno
lasciate poco sul fuoco dalla parte del prosciutto perché questo non indurisca.
Come vedete è un piatto semplice e sano.
Con
Le bracioline tenetele alla grossezza di mezzo
dito, e prima di prepararle bagnatele e spianatele.
Potete servirle con un contorno qualunque.
223. BOCCONI DI PANE RIPIENI
Se scrivessi in francese, seguendo lo stile
ampolloso di quella lingua, potrei chiamare questi bocconi: bouchées de
dames; e allora forse avrebbero maggior pregio che col loro modesto nome.
Prendete un fegatino o due, di pollo, qualche
animella e, se lo avete, un ventriglio di pollo o di tacchino, che non
guastano; ma quest'ultimi, che sono duri, lessateli prima a metà e
levatene il tenerume. Tritate il tutto colla lunetta, mettetelo al fuoco con un
battutino di cipolla, prosciutto, un pezzetto di burro e conditelo con poco
sale, pepe, e odore di noce moscata o di spezie. Quando comincia a grillettare
versate un cucchiaino scarso di farina, mescolate perché s'incorpori e poi
bagnatelo con sugo di carne o col brodo. Fate bollire e quindi versateci dentro
a poco per volta un uovo frullato e, rimestando sempre, lasciate che il
composto assodi. Ritiratelo dal fuoco, aggiungete un pizzico di parmigiano e
versatelo in un piatto.
Ora prendete una pagnotta di pane raffermo,
tagliatela a fette grosse un centimetro scarso, levatene la corteccia e fatene
dei dadi larghi come un pezzo da 10 centesimi o poco più. Mettete
abbondantemente il composto sopra ai medesimi da una sola parte, e questa,
mezz'ora prima di friggere, infarinatela, e distendete i pezzetti di pane sopra
un vassoio. Versate loro sopra dell'uovo frullato in abbondanza onde il pane
s'inzuppi e il composto resti coperto e ben dorato: gettateli in padella dalla
parte del composto stesso.
Vi prevengo che questo fritto fa molta comparita,
talché colle rigaglie di un pollo, e due o tre animelle di agnello, potrete
ottenere una ventina di bocconi i quali misti a un fritto di cervello o d'altro
piaceranno molto. Si può fare anche a meno delle animelle; l'odore dei
tartufi, se li avete, non potrà far che bene.
224. FRITTO ALLA GARISENDA
Signore che vi dilettate alla cucina non mettete
questo fritto nel dimenticatoio, perché piacerà ai vostri sposi e, per
gl'ingredienti che contiene, forse sarete da essi rimeritate. Prendete pane
raffermo, non troppo spugnoso, levategli la corteccia e tagliatelo a mandorle o
a quadretti di quattro centimetri circa per ogni lato, tutti di un'eguale
misura. Distendete sopra ad ognuno prima una fetta di prosciutto grasso e
magro, poi fettine di tartufi e sopra a questi una fetta di cacio gruiera.
Coprite il ripieno con altrettanti pezzetti di pane che combacino premendoli
insieme perché stieno uniti; ma tagliate ogni cosa sottile onde i pezzi del
fritto non riescano troppo grossolani.
Ora che lo avete preparato, bagnatelo leggermente
col latte diaccio e quando lo avrà assorbito tuffate ogni pezzo
nell'uovo frullato indi nel pangrattato ripetendo due volte l'operazione onde
anche gli orli restino dorati e chiusi. Friggetelo nel lardo o nell'olio e
servitelo solo o misto a qualche altro fritto.
225. CERVELLO, ANIMELLE, SCHIENALI, TESTICCIUOLA,
ECC.
Per questi fritti, vedi la Pastella per fritti
di carne, n. 157.
LESSO
226. POLLO LESSO
Il pollame lesso, specialmente i capponi e le
pollastre ingrassate, riusciranno più bianchi e più puliti senza
che la sostanza del brodo ne soffra, se li cuocete entro a un pannolino sottile
e legato.
Pei lessi rifatti vedi i numeri 355, 356 e 357.
TRAMESSI
Sono gli entremets dei Francesi; piatti di
minor conto, che si servono tra una portata e l'altra.
227. CRESCENTINE
Se l'aglio è un vermifugo, come si reputa
generalmente, questo è un cibo semplice e appetitoso pei bambini.
Arrostite delle fette di pane da ambedue le parti e così calde
strofinatele con uno spicchio d'aglio. Poi conditele con sale, olio, aceto e
zucchero.
228. DONZELLINE RIPIENE DI ACCIUGHE SALATE
Farina, grammi 220.
Burro, grammi 30.
Latte, quanto basta.
Sale, un pizzico.
Acciughe salate, n. 4.
Intridete la farina col burro, il latte e il sale
formandone un pane di giusta consistenza, lavorandolo moltissimo se volete che
la pasta rigonfi in padella.
Lasciatelo un poco in riposo, tagliatelo a
metà ed allargate alquanto le due parti.
Nettate le acciughe, dividetele a metà per
il lungo, levate loro la spina e tagliatele a pezzetti quadri e questi
collocateli distesi sopra una delle dette porzioni di pasta, copritela con
quell'altra per appiccicarle insieme e così unite tiratele col
matterello a sfoglia sottile che taglierete a mandorle per friggerle nell'olio.
Questa dose basterà per sei persone e potrà servire per principio
in una colazione o per contorno a un fritto di pesce.
229. DONZELLINE AROMATICHE
Farina, grammi 180 circa.
Olio, due cucchiaiate.
Vino bianco o marsala, due cucchiaiate.
Salvia, cinque o sei foglie.
Un uovo.
Sale, quanto basta.
La salvia tritatela con la lunetta e poi
intridete la farina con tutti gl'ingredienti lavorandola bene e procurando che
la pasta resti piuttosto morbida. Poi tiratela col matterello alla grossezza di
uno scudo spolverizzandola con farina, se occorre, e tagliata a mandorle
friggetela nell'olio o nel lardo. Sento dire che qualcuno le mangia insieme ai
fichi e al prosciutto.
Ritengo questa quantità sufficiente per
quattro persone.
230. GNOCCHI DI SEMOLINO
Latte, decilitri 4.
Semolino, grammi 120.
Burro, grammi 50.
Parmigiano grattato, grammi 40.
Uova, n. 2.
Sale, quanto basta.
Cuocete il semolino nel latte e quando siete per
ritirarlo dal fuoco salatelo e versatevi metà del burro e metà
del parmigiano. Poi, quando è ancora ben caldo, aggiungete le uova e
mescolate, indi versatelo sulla spianatoia, o sopra un vassoio, distendetelo
alla grossezza di un dito e mezzo e lasciate che diacci per tagliarlo a
mandorle. Eccovi gli gnocchi che collocherete uno sopra l'altro in bella mostra
entro un vassoio proporzionato, intramezzandoli col resto del burro a pezzetti
e spolverizzandoli, suolo per suolo, ma non alla superficie, col resto del
parmigiano. Per ultimo, rosolateli al forno da campagna e serviteli caldi o
soli o per contorno ad un piatto di carne stracottata o fatta in altra maniera.
231. GNOCCHI ALLA ROMANA
Questi gnocchi, che io ho modificato e dosati
nella seguente maniera, spero vi piaceranno come sono piaciuti a quelli cui li
ho imbanditi. Se ciò avviene fate un brindisi alla mia salute se
sarò vivo, o mandatemi un requiescat se sarò andato a
rincalzare i cavoli.
Farina, grammi 150.
Burro, grammi 50.
Cacio gruiera, grammi 40.
Parmigiano, grammi 20.
Latte, mezzo litro.
Uova, n. 2.
Si dice che a tavola non si dovrebbe essere in
meno del numero delle Grazie, né in più del numero delle Muse. Se vi
aggirate intorno al numero delle Muse, raddoppiate la dose.
Intridete la farina colle uova e col latte
versato a poco per volta entro una cazzaruola, aggiungete il cacio gruiera a
pezzettini e mettete l'intriso al fuoco mescolando continuamente. Quando
sarà assodato per la cottura della farina, salatelo e aggiungete la
metà del detto burro. Lasciate che il composto diacci e poi, nella
stessa guisa degli gnocchi di farina gialla, mettetelo a tocchetti in un
vassoio che regga al fuoco e conditeli via via col resto del burro a pezzetti e
col parmigiano suddetto grattato; ma non alla superficie, perché il parmigiano
col fuoco sopra prende l'amaro. Rosolateli sotto a un coperchio di ferro o nel
forno da campagna e serviteli caldi.
232. POLENTA DI FARINA GIALLA COLLE SALSICCE
Fate una polenta piuttosto tenera di farina di
granturco, distendetela sulla spianatoia alla grossezza di un dito e tagliatela
a mandorle.
Ponete in un tegamino diverse salsicce intere con
un gocciolo d'acqua e quando saranno cotte spellatele, sbriciolatele ed
aggiungete sugo o conserva di pomodoro. Collocate la polenta in una teglia o in
un vassoio che regga al fuoco, conditela a suoli col parmigiano, queste
salsicce e qualche pezzetto di burro sparso qua e là, poi mettetela fra
due fuochi e quando sarà ben calda servitela, specialmente per primo
piatto di una colazione alla forchetta. La detta polenta si può fare
anche dura per tagliarla a fette.
233. POLENTA PASTICCIATA
Fate una polenta soda di farina di granturco
cotta nel latte. Salatela quando siete per ritirarla dal fuoco e versatela
sopra la spianatoia, alta due dita circa. Diaccia che sia, tagliatela a
mandorle grosse mezzo centimetro, che disporrete nella seguente maniera in un
vassoio di metallo o di porcellana che regga al fuoco. Fate un intingolo come
quello per condire i maccheroni alla bolognese n. 87 o consimile, e fate un
poco di balsamella n. 137, spolverizzare il fondo del vassoio con
parmigiano grattato e distendete un suolo di polenta; conditela con parmigiano,
l'intingolo e la balsamella; poi sopra a questo ponete un altro suolo di
polenta e conditela egualmente; e così di seguito finché avrete roba.
Anche qualche pezzettino di burro qua e là non ci farà male:
però mettetene poco se non volete che stucchi per soverchio condimento.
Preparato così il vassoio colla sua colma,
ponetelo nel forno da campagna per rosolare la polenta e servitela calda per
tramesso in un pranzo durante l'autunno e l'inverno. Se viene bene sarà
lodata per la sua delicatezza. Nel tempo della cacciagione un abile cuoco
può metterla in forma riempiendola di uccelletti cotti in umido.
234. MACCHERONI COLLA BALSAMELLA
Prendete maccheroni lunghi alla napoletana e
cuoceteli per due terzi nell'acqua salata. Levateli asciutti e rimetteteli al
fuoco con un pezzetto di burro e quando l'avranno assorbito aggiungete tanto
latte che finisca di cuocerli a moderato calore. Preparate intanto una balsamella
come al n. 137 e quando non sarà più a bollore legatela con
un rosso d'uovo e poi versatela sui maccheroni insieme con parmigiano grattato
in proporzione. Maccheroni così preparati sono molto opportuni per
contorno a un pezzo di stracotto o a un pezzo di vitella di latte in
fricandò. Potete in questo caso prendere un vassoio che regga al fuoco,
collocarvi una forma di latta in mezzo e i maccheroni all'ingiro.
Ponete il vassoio nel forno da campagna o sotto a
un coperchio di ferro col fuoco sopra, e quando i maccheroni saranno
leggermente rosolati, ritirateli dal fuoco e, levata la forma di latta, ponete
nel suo posto la carne e serviteli. Potete anche mandarli in tavola separati,
ma sempre leggermente rosolati al di sopra per più bellezza; badate che
restino sugosi.
235. MACCHERONI COL PANGRATTATO
Se è vero, come dice Alessandro Dumas padre,
che gli Inglesi non vivono che di roast-beef e di budino; gli olandesi
di carne cotta in forno, di patate e di formaggio; i Tedeschi di sauer-kraut
e di lardone affumicato; gli Spagnuoli di ceci, di cioccolata e di lardone
rancido; gl'ltaliani di maccheroni, non ci sarà da fare le meraviglie se
io ritorno spesso e volentieri sopra ai medesimi, anche perché mi sono sempre
piaciuti; anzi poco mancò che per essi non mi acquistassi il bel titolo
di Mangia maccheroni, e vi dirò in che modo.
Mi trovavo nella trattoria dei Tre Re a
Bologna, nel
Mi par di vederlo ora quel giovane simpatico, di
statura mezzana, snello della persona, viso pallido rotondo, lineamenti
delicati, occhi nerissimi, capelli crespi, un po' bleso nella pronunzia.
Un'altra volta, molti anni dopo, lo combinai in un caffè a Meldola nel
momento che fremente d'ira contro un tale che, abusando della sua fiducia,
l'aveva offeso nell'onore, invitava un giovane a seguirlo a Firenze, per
aiutarlo, diceva egli, a compiere una vendetta esemplare.
Una sequela di fatti e di vicende, una più
strana dell'altra, lo trassero dopo a quella tragica fine che tutti conoscono e
tutti deplorano, ma che fu forse una spinta a Napoleone III per calare in
Italia.
Ritorniamo a bomba.
Maccheroni lunghi e che reggano bene alla
cottura, grammi 300.
Farina, grammi 15.
Burro, grammi 60.
Formaggio gruiera, grammi 60.
Parmigiano, grammi 40.
Latte, decilitri 6.
Pangrattato, quanto basta.
Se vi piacessero più saporiti aumentate la
dose del condimento.
Ai maccheroni date mezza cottura, salateli e
versateli sullo staccio a scolare. Mettete al fuoco in una cazzaruola
metà del burro e la farina, mescolando continuamente; quando questa
comincia a prender colore versate il latte a poco per volta e fatelo bollire
per una diecina di minuti; indi gettate in questa balsamella i
maccheroni e il gruiera grattato o a pezzettini e ritirate la cazzaruola
sull'orlo del fornello onde, bollendo adagino, ritirino il latte. Allora
aggiungete il resto del burro e il parmigiano grattato; versateli poi in un
vassoio che regga al fuoco e su cui faccian la colma e copriteli tutti di
pangrattato.
Preparati in questa maniera metteteli nel forno
da campagna o sotto un coperchio di ferro col fuoco sopra e quando saranno
rosolati serviteli caldi per tramesso o, meglio, accompagnati da un piatto di
carne.
236. COSTOLETTE D’AGNELLO VESTITE
Prendete costolette d'agnello di carne fina,
denudate l'osso della costola, stiacciatele, pareggiatele, cuocetele,
così naturali, alla sauté col burro, conditele calde con sale e
pepe e mettetele da parte.
Fate una balsamella sodettina e nella
medesima gettate prosciutto e lingua salata a piccolissimi dadi, un pizzico di
parmigiano, una presa di noce moscata e un tartufo a fettine oppure funghi
secchi rammolliti e tritati, e mettete anche questo composto da parte perché
diacci bene.
Fate una pasta sfoglia, n. 154, proporzionata
alla quantità delle costolette e colla medesima avvolgetele una per una,
lasciando fuori l'osso della costola, ma prima spalmatele da una parte e
dall'altra abbondantemente col detto composto. Quando le avrete chiuse doratele
col rosso d'uovo, collocatele ritte intorno all'orlo di una teglia, cuocetele
nel forno da campagna e servitele calde. Saranno generalmente aggradite e
tenute in conto di piatto fine.
La pasta sfoglia potrete tagliarla con un
modellino di carta, che così l'involucro vi verrà più
preciso; per più pulizia ed eleganza, prima di mandarle in tavola,
fasciate l'estremità di ogni costola con carta bianca smerlata.
Queste costolette, che i Francesi chiamano côtelettes
en papillote, si possono condizionare nella seguente maniera che è
la più semplice e da non disprezzarsi. Prendete costolette di vitella di
latte, denudate l'osso della costola, levandone la carne, cuocetele nel burro
alla sauté e conditele con sale e pepe. Fate un composto proporzionato
di prosciutto grasso e magro e prezzemolo, tritatelo fine, aggiungete burro e
midolla di pangrattato per tenerlo unito e con questo spalmate da ambedue le
parti le costolette, poi rifioritele con fettine di tartufi crudi. Tagliate a
modello della carta bianca grossettina per quante sono le costolette, ungetela
col burro o coll'olio da ambedue le parti e con essa involtatele strette con
l'osso della costola fuori. Ora ponetele in gratella a fuoco leggero avvertendo
che la carta non bruci e mandatele in tavola, per più pulizia, con
l'estremità della costola fasciata di carta bianca smerlata. Possono
servire a quest'uso anche le costolette d'agnello se sono grandi.
238. SALAMI DAL SUGO DI FERRARA
I salami dal sugo di Ferrara sono una
specialità di quel paese. Hanno la forma di bondiole del peso di
grammi 500 circa e sono di sapore piccante e appetitoso. A differenza degli
altri salumi della loro specie migliorano invecchiando ed ordinariamente questi
si mangiano quando quelli hanno fatto la loro stagione. Allorché vorrete
servirvene lavateli diverse volte con acqua tiepida per nettarli da quella
patina untuosa che li ricopre e metteteli al fuoco in acqua diaccia abbondante
per farli bollire lentamente un'ora e mezzo soltanto, chiusi stretti in un pannolino
onde evitare che la pelle schianti. Serviteli caldi con contorno come i
coteghini; ma il sugo di cui si vantano talvolta non apparisce, o se pure, non
è molto copioso.
239. PAGNOTTELLE RIPIENE
Nelle grandi città un bravo cuoco
è, a male agguagliare, come un generale d'armata in un vasto campo ben
trincerato con numerose ed agguerrite legioni ove può far valere tutte
le sue prodezze. Le grandi città oltre all'esser sempre ben provvedute
d'ogni grazia di Dio, hanno chi pensa a fornirvi anche le più piccole
cose, le quali, benché di poca importanza, contribuiscono alla varietà,
all'eleganza e alla precisione de' vostri lavori. Così, come vi si
trovano bastoncini di pane che, tagliati a fette, s'infilano nello spiedo cogli
uccelli, vi si fabbricano pagnottelle della grandezza di una mela comune per
farle ripiene.
Raspatene leggermente la corteccia colla
grattugia e fate in mezzo ad ognuna un tassello rotondo della dimensione di una
moneta da 10 centesimi. Vuotatele del midollo lasciando le pareti all'intorno
alquanto grossette. Bagnatele dentro e fuori con latte bollente e quando
saranno discretamente inzuppate chiudetele col loro tassello, inzuppato
anch'esso, immergetele nell'uovo per dorarle e friggetele nel lardo o
nell'olio, ma buttatele in padella dalla parte del coperchio perché vi resti
aderente. Distaccate dopo, colla punta di un temperino, il tassello, riempitele
di un battuto di carne delicato e ben caldo, richiudetele e mandatele in
tavola. Se le fate accuratamente possono benissimo figurare in qualunque
pranzo.
Il battuto di carne, a pezzetti grossi quanto i
ceci, sarà bene farlo con fegatini, petti di pollo, animelle e cose
simili tirate col sugo di carne e legate con una presa di farina; ma ciò
che sarebbe indispensabile, per rendere il composto più grato, sono i
tartufi.
240. MIGLIACCIO DI FARINA DOLCE VOLGARMENTE DETTO
CASTAGNACCIO
Anche qui non posso frenarmi dal declamare contro
la poca inclinazione che abbiamo noi Italiani all'industria. In alcune province
d'Italia non si conosce per nulla la farina di castagne e credo che nessuno
abbia mai tentato d'introdurne l'uso; eppure pel popolo, e per chi non ha paura
della ventosità, è un alimento poco costoso, sano e nutriente.
Interrogai in proposito una rivendugliola in Romagna descrivendole questo
migliaccio e le dimandai perché non tentava di guadagnare qualche soldo con
questo commercio. - Che vuole, mi rispose, è roba troppo dolce, non la
mangerebbe nessuno. - o le cottarone che voi vendete non sono dolci?
eppure hanno dello smercio, diss' io. Provatevi, almeno, soggiunsi; da
principio volgetevi ai ragazzi, datene loro qualche pezzo in regalo per vedere
se cominciassero a gustarlo, e poi dietro ad essi è probabile che a poco
a poco si accostino i grandi. Ebbi un bel dire; fu lo stesso che parlare al
muro.
Le cottarone, per chi non lo sa, sono mele
o pere, per lo più cascaticce, cotte in forno entro una pentola nella
quale si versa un gocciolo d'acqua, coprendone la bocca con un cencio bagnato.
Veniamo ora alla semplicissima fattura di questo migliaccio.
Prendete grammi 500 di farina di castagne e
siccome questa farina si appasta facilmente passatela dal setaccio prima di
adoperarla per renderla soffice; poi mettetela in un recipiente e conditela con
uno scarso pizzico di sale. Fatto questo, intridetela con
Ora prendete una teglia ove il migliaccio venga
grosso un dito e mezzo all'incirca, copritene il fondo con un leggiero strato
d'olio, ed altr' olio, due cucchiaiate, spargetelo sulla farinata quando
è nella teglia. Cuocetelo in forno o anche in casa fra due fuochi e
sformatelo caldo.
Con questa farinata si possono fare anche delle
frittelle.
241. MIGLIACCIO DI FARINA GIALLA I
Questo è un piatto de' più
ordinari, ma non è disgradevole a quelli cui la farina di granturco
piace, e non produce acidi allo stomaco. I bambini poi salteranno
dall'allegrezza se qualche volta la mamma lo darà loro caldo caldo per
colazione nell'inverno.
La farina gialla è sempre bene che sia
macinata piuttosto grossa.
Ponete in un recipiente qualunque quella quantità
di farina di cui volete servirvi, salatela bene ed intridetela soda con acqua
bollente; quando sarà mescolata in modo che in fondo al vaso non resti
farina asciutta, unitevi uva secca o zibibbo in giusta dose; l'uva secca
nostrale è preferibile, in certi casi, allo zibibbo perché conserva un
acidetto che le dà grazia. Prendete una teglia di rame e mettetela al
fuoco con lardo vergine in abbondanza e, quando questo comincia a grillettare,
versate l'impasto, il quale, per averlo intriso consistente, fa d'uopo
distendere e pareggiare col mestolo. Poi spalmatene la superficie con un altro
poco di lardo e rifioritelo con ciocchettine di ramerino fresco. Cuocetelo al
forno o tra due fuochi, fate che rosoli alquanto e sformatelo. Col detto
impasto potete anche far frittelle, ma senza ramerino. La miglior farina gialla
che io abbia sentito è quella d'Arezzo, ove il granturco viene curato
molto e seccato in forno.
242. MIGLIACCIO DI FARINA GIALLA II
Questo piatto è più signorile del
precedente.
Farina di granturco, grammi 300.
Zibibbo o uva secca, grammi 100.
Strutto, grammi 40.
Pinoli, grammi 30.
Zucchero, tre cucchiaini.
All'uva levate i semi, i pinoli tagliateli in due
parti per traverso. La teglia ungetela collo strutto e infarinatela. Pel resto
regolatevi come per l'antecedente.
243. SALSICCIA COLLE UOVA
Le uova e la salsiccia messe insieme pare non si
trovino in cattiva compagnia, come non vi si trova la carnesecca tagliata a
dadi; se le prime sono sciocche, le seconde sono saporite e si forma una lega
che piace a molti, benché si tratti di piatti ordinari.
Se la salsiccia è fresca spaccatela in due
parti per il lungo e mettetela a cuocere in un tegame senz'unto né condimento,
perché ne contiene di per sé stessa; se è stagionata tagliatela a fette
e levatene la pelle. Appena la salsiccia sarà cotta, scocciate le uova e
servitela quando queste saranno rapprese. Per ogni rocchio comune di salsiccia,
basta un solo uovo o al più due.
Se le salsicce fossero troppo magre sarà
bene cuocerle con un po' di burro o di lardo. Se invece di salsiccia si tratta
di carnesecca, aggiungete un pezzettino di burro e le uova versatele dopo
averle frullate a parte.
244. SALSICCIA COLL’UVA
È un piatto triviale e comune, ma lo noto
perché la salsiccia, con quel dolce acidetto dell'uva, potrebbe dar nel gusto a
qualcuno.
Bucate le salsicce colla punta di una forchetta e
mettetele in tegame così intere con un poco di lardo o burro. Quando
saranno cotte unite l'uva, non in quantità, a chicchi interi e fatela
bollire finché si strugga a metà. La salsiccia sola poi, oltreché in
gratella, può cuocersi intera in un tegame, con un gocciolo d'acqua.
245. RISO PER CONTORNO
Quando avrete per lesso una pollastra o un
cappone mandateli in tavola con un contorno di riso che vi sta bene. Per non
consumar tanto brodo imbiancate il riso nell'acqua e terminate di
cuocerlo col brodo dei detti polli. Tiratelo sodo e, quando è quasi
cotto, dategli sapore con burro e parmigiano in poca quantità; posto che
il riso sia grammi 200, quando lo ritirate dal fuoco legatelo con un uovo o, meglio,
con due rossi.
Se il riso, invece che al lesso di pollo dovesse
servire di contorno a uno stracotto di vitella di latte o a bracioline,
aggiungete agl'ingredienti sopra indicati due o tre cucchiaiate di spinaci
lessati e passati per istaccio. Avrete allora un riso verde e più
delicato.
Si può dare migliore aspetto a questi
contorni restringendo il riso a bagno-maria entro a uno stampo; ma badate non
indurisca troppo, che sarebbe un grave difetto.
246. CARCIOFI IN TEGLIA
Anche questo è un piatto di uso famigliare
in Toscana, di poca spesa e relativamente buono. Potendo servire da colazione,
per principio o per tramesso in un desinare di famiglia, non so comprendere
come non sia conosciuto in altri luoghi d'Italia.
Preparate i carciofi nel modo descritto al n.
186, e dopo averli scossi dalla farina superflua, distendeteli in una teglia
ove abbia cominciato a grillettare olio buono e in quantità sufficiente.
Quando le fette dei carciofi saranno rosolate da ambe le parti, versate sulle
medesime delle uova sbattute, ma avvertite di non cuocerle troppo. Il
condimento di sale e pepe spargetelo parte sui carciofi e parte nelle uova
prima di versarle.
Invece della teglia potete servirvi della
padella; ma allora otterrete una frittata il cui gusto riuscirà alquanto
diverso e inferiore.
247. CACIMPERIO
Chi frequenta le trattorie può formarsi
un'idea della grande varietà dei gusti nelle persone. Astrazion fatta da
quei divoratori, come lupi, che non sanno distinguere, sto per dire, una torta
di marzapane da un piatto di scardiccioni, sentirete talvolta portare al cielo
una vivanda da alcuni giudicata mediocre e da altri perfino, come pessima,
rigettata. Allora vi tornerà in mente la gran verità di quella
sentenza che dice: De gustibus non est dísputandum.
A questo proposito Giuseppe Averani, trattando Del
vitto e delle cene degli antichi, scrive: “Vario ed incostante sopra
tutti gli altri sentimenti si è il gusto. Imperocché gli organi della
lingua, per cui gustiamo i sapori, non sono d'una maniera in tutti gli uomini e
in tutti i climi, e s'alterano sovente o per mutazione d'età o per
infermità o per altra più possente cagione. Per la qual cosa
molti di quei cibi che di soverchio appetiscono i fanciulli, non allettano gli
uomini; e quelle vivande e quelle bevande che gustevoli e delicate solleticano
con diletto e soavità il palato de' sani, non rade volte, come
spiacevoli e sazievoli, sono abbominate dagli infermi. Accade ancora bene
spesso, che una certa fantastica apprensione ci rende più o meno
aggradevoli e piacenti le vivande, secondoché la stravolta immaginazione ce le
rappresenta. I cibi e le vivande rare e strane sono più piacevoli al
gusto che le comunali e nostrali non sono. La carestia e l'abbondanza, il caro
e la viltà dà e toglie il sapore alle vivande: e la comune
approvazione de' ghiotti le fa saporite e dilettevoli. Quindi è avvenuto
che tutti i tempi e tutte le nazioni gli stessi cibi non pregiarono, né buoni e
delicati medesimamente gli reputarono”.
Io, per esempio, non sono del parere di Brillat
Savarin, che nella sua Physiologie du goût fa gran caso
della fondue (cacimperio) e ne dà la seguente ricetta:
“Pesate, egli dice, le uova e prendete un terzo
del loro peso di formaggio gruiera e un sesto del loro peso di burro, sale ben
poco e pepe a buona misura”.
Io, in opposizione a Savarin, di questo piatto ho
poco conto, sembrandomi non possa servire che come principio in una colazione o
per ripiego quando manca di meglio.
In Italia essendo questo un piatto speciale ai
Torinesi, ritenuto perciò che essi lo facciano alla perfezione, mi sono
procurato da Torino la seguente ricetta la quale, avendo corrisposto alla
prova, ve la descrivo. Basta per sei persone.
Fontina, netta dalla corteccia, grammi 400.
Burro, grammi 80.
Rossi d'uovo, n. 4.
Latte, quanto basta.
La fontina è un formaggio poco dissimile
dal gruiera, ma alquanto più grasso.
Tagliatelo a piccoli dadi e tenetelo per due ore
in infusione nel latte. Mettete il burro al fuoco e quando avrà preso
colore versateci la fontina, ma del latte, ove è stata in molle,
lasciatecene due sole cucchiaiate. Lavoratela molto col mestolo senza farla
bollire e quando il formaggio sarà tutto sciolto ritiratela dal fuoco
per aggiungervi i rossi. Rimettetela per un poco sul fuoco rimestandola ancora
e, d'inverno, versatela in un vassoio caldo.
Se è venuta bene non dev'essere né
granulosa, né far le fila; ma aver l'apparenza di una densa crema. A Torino ho
visto servirla con uno strato superficiale di tartufi bianchi crudi tagliati a
fettine sottili come un velo.
248. TORTINO DI POMODORI
Fate bollire dei pomodori tagliati a pezzi in un
soffritto di aglio, prezzemolo e olio; sale e pepe per condimento.
Quando saranno cotti in maniera che il loro sugo
si sia condensato, passatelo e rimettetelo al fuoco con uova in proporzione,
frullate avanti. Aggiungete un pizzico di parmigiano, mescolate e quando le
uova saranno assodate, versatele in un vassoio e contornatele di crostini
tagliati a mandorle e fritti nel burro o nel lardo.
Qualche foglia di nepitella, o un pizzico di
regamo, dopo passato il sugo, dà al tortino un odore gradevole.
249. TORTINI DI RICOTTA
Ricotta, grammi 200.
Parmigiano grattato, grammi 50.
Farina, grammi 30.
Uova, n. 2.
Prezzemolo tritato, un pizzico.
Odore di spezie.
Sale, quanto occorre.
Formate un impasto coi suddetti ingredienti,
versatelo sulla spianatoia sopra a un leggiero strato di farina e fategliene
prender tanta, con le mani infarinate, da poter formare dodici crocchette
morbide che schiaccerete alquanto. Mettete una sauté o una teglia al
fuoco con un pezzo di burro per rosolarle, e quando avranno preso colore da
ambedue le parti bagnatele con sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua.
Possono servir da tramesso e possono esser
portate in tavola accompagnate da una bistecca o da un pezzo di rosbiffe caldo.
250. CROSTINI DI TRE COLORI
Prendete due chifels e tagliateli a rotelline
grosse un centimetro che friggerete nel burro o nell'olio. Prendete degli
spinaci tirati col sugo o col burro e parmigiano, tritati fini, e coprite le
fette del chifel con uno strato dei medesimi. Prendete due uova sode,
sgusciatele, tagliatele a metà per traverso e mettete da parte i torli.
Del bianco tagliate tanti cerchietti concentrici e poneteli sopra lo strato
degli spinaci. Del torlo fatene tanti pezzetti o dadi grossetti e
poneteli in mezzo ai cerchietti del bianco. Così formerete dei crostini
che potranno contornare un piatto d'arrosto i quali avendo per base il pane
fritto coperto dal verde degli spinaci, col bianco e il giallo-rosso delle uova
figureranno di tre colori; ma sono più belli che buoni.
251. INSALATA MAIONESE
Certi cuochi di cattivo gusto vi presentano
questa insalata composta di tanti intrugli da dovervi raccomandare il giorno
appresso all'olio di ricino o all'acqua ungherese. Alcuni la fanno col pollo
lesso, altri perfino con avanzi di carne qualunque arrostita; ma è da
preferirsi sempre il pesce, specialmente se di qualità fine come sarebbe
il dentice, l'ombrina, il ragno, lo storione, oppure i gamberi sbucciati,
l'arigusta, e, per ultimo, il palombo. Io vi indicherò la seguente che,
a mio parere, per essere la più semplice è la più buona.
Prendete insalata romana o lattuga, tagliatela a
strisce larghe un dito, mescolateci barbabietole e patate lesse tagliate a
fette sottili, alcune acciughe lavate, nettate dalla spina e tagliate in
quattro o cinque parti, ed infine pesce lesso a pezzetti. Potete aggiungere al
più alcuni capperi e la polpa di due o tre olive indolcite. Condite ogni
cosa insieme con sale, olio e non molto aceto, rivoltatela onde prenda bene il
condimento ed ammucchiatela tutta insieme che faccia la colma.
Fate una salsa maionese come quella del n. 126
che, nella dose ivi indicata, potrà bastare per sette od otto persone;
ma invece del pepe datele il piccante con un cucchiaino di senapa ed al limone
aggiungete un gocciolo di aceto, in cui potete stemperare la senapa. Con questa
salsa spalmate tutta l'insalata alla superficie e poi fioritela con altre fette
di barbabietole e patate intercalate in modo che facciano bella mostra; se
avete uno stampino adatto collocate in cima all'insalata, per bellezza, non per
mangiarlo, un fiore fatto col burro.
A proposito d'insalata, a me sembra che il
radicchio cotto, col suo sapore amarognolo, stia molto bene insieme colla
barbabietola, la quale è dolce.
252. PIZZA A LIBRETTI
Una signora mi scrive: “Voglio insegnarle, come
mi ero proposta, una buona ed elegante pizza fritta; ma guai a lei se la
chiamerà stiacciata, perché deve riuscire tutt'altro. La chiami pizza a
libretti e sarà nel vero”.
In obbedienza all'ordine della signora, avendo
fatto due prove di questa pizza a libretti, che sono riescite bene, ve la
descrivo.
Tirate una sfoglia non troppo soda e quanto
più potrete sottile intridendo la farina con due uova, un pizzico di
sale e tre cucchiaiate di cognac o di spirito, e forse meglio di fumetto. Fatta
la sfoglia ungetela con grammi 20 di burro sciolto e arrotolatela, ossia
piegatela sopra sé stessa alla larghezza di
Questa dose potrà bastare per quattro
persone.
UMIDI
Gli umidi, generalmente, sono i piatti che
più appetiscono; quindi è bene darsi per essi una cura speciale,
onde riescano delicati, di buon gusto e di facile digestione. Sono in mala voce
di esser nocivi alla salute; ma io non lo credo. Questa cattiva opinione deriva
più che altro da non saperli ben fare; non si pensa, cioè, a
digrassarli, si è troppo generosi cogli aromi e coi soffritti e,
ciò che è il peggio, se ne abusa.
Nelle grandi cucine, ove il sugo di carne non
manca mai, molti umidi si possono tirare con questo insieme col burro; e allora
riescono semplici e leggieri; ma quando il sugo manca, ed è necessario
ricorrere ai soffritti, bisogna usarli con parsimonia e farli con esattezza
tanto nella quantità, che nel grado di cottura.
253. STRACOTTO DI VITELLA
Lo stracotto
di vitella per condire la minestra di maccheroni o per fare un risotto col
sugo, è d'uso comune nelle famiglie della borghesia fiorentina; la cosa
non è mal pensata se si considera che esso in tal modo serve a doppio
scopo, cioè di minestra e di companatico. Guardatevi però dal
dissugar troppo la carne per voler molto sugo e sostituite in tutto o in parte
l'olio, come si usa in Toscana, colla carnesecca, che dà un sapore
più spiccato e più grato. Eccovi le proporzioni per condire
Carne magra di vitella, compreso l'osso o la
giunta, grammi 500.
Carnesecca, grammi 50.
Burro, grammi 30.
Un quarto di una cipolla grossa; una piccola
carota; due pezzi di sedano.
Questi tre ultimi capi tagliateli all'ingrosso e
la carnesecca a piccoli dadi.
Mettete al
fuoco ogni cosa insieme e condite con sale e pepe. Voltate la carne spesso e
quando sarà rosolata, spargete sulla medesima un pizzico di farina,
annaffiatela con sugo di pomodoro o conserva e tiratela a cottura con acqua
versata a poco per volta. La farina serve per legare il sugo e per dargli un
po' di colore; ma badate ch'essa non bruci che altrimenti gli comunicherebbe un
ingrato sapore e un colore quasi nero che il sugo non deve avere. Passatelo, e
se gli darete odore con alcuni pezzetti di funghi secchi, rammolliti prima
nell'acqua calda e bolliti un poco nel sugo, non farete che bene.
I maccheroni
cotti in acqua salata, scolateli bene, ma prima di servirli teneteli un poco
nel sugo vicini al fuoco e conditeli con burro e con parmigiano a scarsa
misura, perché questo si può aggiungere in tavola.
Se trattasi di riso, cuocetelo nell'acqua versandola
a poco per volta, a mezza cottura aggiungete il sugo e un
pezzetto di burro e, prima di levarlo, un po' di parmigiano.
È bene mandare in tavola il pezzo dello
stracotto con un contorno di erbaggi o legumi. Il lucertolo è il taglio
migliore. Se vi servite di olio basteranno circa grammi 20 di carnesecca.
254. STRACOTTO ALLA BIZZARRA
Se avete, puta caso, un pezzo di magro di vitella
del peso, senz'osso, di grammi
255. FRICANDÒ
Prendete un pezzo di vitella di latte tutto
unito, levato dalla coscia, e lardellatelo con prosciutto grasso e magro.
Legate il pezzo e salatelo poco o meglio punto perché il troppo salato è
il peggior difetto delle vivande. Steccate una cipolla con due chiodi di
garofani e componete un mazzetto con carota tagliata a strisce, sedano e
prezzemolo. Mettete ogni cosa in una cazzaruola con un pezzetto di burro, fate
rosolare la carne e tiratela a cottura col brodo.
Quando è cotta gettate via la cipolla e il
mazzetto, passate il sugo, digrassatelo e restringetelo a parte fino a ridurlo
una gelatina che unirete al fricandò quando lo mandate in tavola.
Qui è bene avvertire che il brodo (il
quale ha tanta parte alla preparazione delle pietanze) può talvolta
mancare: perciò alcuni stanno provvisti dell'estratto di carne Liebig
che, lì per lì, sciolto nell'acqua, può sostituirlo. Ogni
sorta di carne va lardellata per il lungo della fibra, dovendosi scalcare per
traverso.
256. FRICASSEA
La fricassea si può fare di petto o di
muscolo di vitella di latte, d'agnello e di pollo. Prendiamo ad esempio il
primo, cioè il petto, e questo, in proporzioni all'incirca eguali, serva
per le altre qualità di carne indicata.
Petto di vitella di latte, grammi 500.
Burro, grammi 50.
Farina, grammi 5, ossia una cucchiaiata scarsa.
Acqua calda, non bollente, decilitri 2.
Due rossi d'uovo.
Mezzo limone.
Un mazzetto odoroso.
Spezzettate il petto lasciandolo con tutte le sue
ossa. Mettete una cazzaruola al fuoco colla metà del burro e, quando
comincia a liquefarsi, versate la farina mescolando finché questa abbia preso
il color nocciuola. Allora cominciate a versare a poco per volta l'acqua e poi
il mazzetto che potete comporre di alcune strisce di cipolla e di carota, di
fili di prezzemolo, di sedano e di basilico, il tutto legato insieme, escluse
le foglie perché queste potrebbero disfarsi e far bruttura alla fricassea, un pregio
della quale è di avere un bel colore paglia unito. Quando l'acqua bolle
gettate giù la carne e il resto del burro e condite con sale e pepe
bianco, il quale è il fiore del pepe comune. Coprite la cazzaruola con
un foglio tenuto fermo dal coperchio e fate bollire adagio. A due terzi di
cottura levate il mazzetto e, se fosse la stagione dei funghi freschi, la
potete rendere più grata con grammi 100 o 150 di questi tagliati a fette
sottili; se no, un pizzico di funghi secchi.
Quando siete per mandarla in tavola ritirate la
cazzaruola dal fuoco e versateci a poco per volta, mescolando, i rossi d'uovo
frullati coll'agro di limone.
Se la fricassea fosse di pollo, tagliatelo a
pezzi nelle giunture, escludendo la testa, il collo e le zampe; pel resto
regolatevi nello stesso modo.
La fricassea fatta in questa maniera è un
piatto sano e delicato che piace specialmente a chi non ha il gusto viziato a
sapori forti e piccanti.
257. CIBREO
Il cibreo è un intingolo semplice, ma
delicato e gentile, opportuno alle signore di stomaco svogliato e ai
convalescenti. Prendete fegatini (levando loro la vescichetta del fiele
com'è indicato nel n. 110), creste e fagiuoli di pollo; le creste
spellatele con acqua bollente, tagliatele in due o tre pezzi e i fegatini in due.
Mettete al fuoco, con burro in proporzione, prima le creste, poi i fegatini e
per ultimo i fagiuoli e condite con sale e pepe, poi brodo se occorre per
tirare queste cose a cottura.
A tenore della quantità, ponete in un
pentolino un rosso o due d'uova con un cucchiaino, o mezzo soltanto, di farina,
agro di limone e brodo bollente frullando onde l'uovo non impazzisca. Versate
questa salsa nelle rigaglie quando saranno cotte, fate bollire alquanto ed
aggiungete altro brodo, se fa d'uopo, per renderla più sciolta, e
servitelo. Per tre o quattro creste, altrettanti fegatini e sei o sette
fagiuoli, porzione sufficiente a una sola persona, bastano un rosso d'uovo,
mezzo cucchiaino di farina e mezzo limone.
I granelli del n. 174, lessati e tagliati a
filetti, riescono buoni anch'essi cucinati in questa maniera.
258. POLLO DISOSSATO RIPIENO
Per disossare un pollo il modo più
semplice è il seguente:
Tagliategli il collo a metà, la punta
delle ali e le zampe alla giuntura della coscia; poi, senza vuotarlo, apritelo
lungo il dorso superficialmente, dalle ali al codrione, e con un coltellino ben
tagliente cominciate a levar dall'interno le ossa delle ali scarnendole bene.
Dopo, sempre dall'interno, levate quelle delle anche e delle coscie, quindi,
radendo via via col coltello le ossa esterne della carcassa, vi riescirà
di levarla tutta intera, comprese le interiora. I piccoli ossicini della stizza
lasciateli, oppure levatela tutta e levate la forcella del petto.
Fatto questo, rovesciate le coscie e le ali,
già spoglie d'ossa, ritirandole all'interno e portate via tutti i
tendini che trovate framezzo alla carne.
Ora che il pollo è disossato, se fosse
alquanto grosso, formate il composto per riempirlo, con grammi 300 circa di
magro di vitella di latte; se piccolo, regolatevi in proporzione. Tritatelo
prima, poi pestatelo nel mortaio per ridurlo ben fine, e a questa carne
aggiungete una grossa midolla di pane inzuppata nel brodo, un pugno di
parmigiano grattato, tre rossi d'uovo, sale, pepe e, se vi piace, odore di noce
moscata. Per ultimo mescolate nel composto, grammi 20 di prosciutto grasso e
magro, e grammi 20 di lingua salata, tagliati l'uno e l'altra a piccoli dadi;
riempito che abbiate il pollo cucitelo, involtatelo stretto in un pannolino e
legatelo. Mettetelo a cuocere nell'acqua per un paio d'ore a fuoco lento, poi
toglietegli l'involucro e fatelo prender colore prima col burro poi in un sugo
tirato nella seguente maniera:
Spezzate tutte le ossa levate dal pollo, il collo
e la testa compresi, e con carnesecca a pezzetti, burro, cipolla, sedano e
carota mettetele al fuoco in una cazzaruola, condite con sale e pepe, tiratene
il sugo con l'acqua in cui ha bollito il pollo, la quale è già
divenuta un buon brodo. Prima di mandarlo in tavola, da solo o con un contorno,
levategli il filo con cui fu cucito.
259. SOUFFLET DI POLLO
Questo piatto nutriente, leggero e poco eccitante
può venire opportuno se, dopo un pranzo, restano degli avanzi di pollo
arrosto (petti ed anche); specialmente poi se nella famiglia si trovasse
qualche persona vecchia. o di stomaco delicato e debole.
Polpa di pollo priva della pelle, grammi 80.
Farina, grammi 50.
Burro, grammi 30.
Parmigiano grattato, grammi 20.
Latte, decilitri 2 ½.
Uova, n. 4.
Sale, una presa.
Fate una balsamella col burro, la farina e il
latte, dopo cotta e non più a bollore, uniteci il parmigiano, il sale, i
rossi d'uovo e il pollo tritato fine con la lunetta. Poi montate ben sode le
chiare, aggiungete in bel modo al composto anche queste per versarlo in un
vassoio che regga al fuoco, rosolatelo leggermente al forno da campagna e
servitelo caldo, benché sia buono anche diaccio.
260. POLLASTRA IN UMIDO COL CONTORNO DI RISO
Una pollastra del peso, vuota, di circa grammi
700.
Riso, grammi 300.
Burro, grammi 100.
Prosciutto grasso e magro, grammi 40.
Una cipolla più che di mezzana grandezza.
Un pezzo di carota.
Un pugnello di funghi secchi.
Legate la pollastra per tenerne unite le parti,
poi ponete in una cazzaruola grammi 30 del detto burro e il prosciutto tagliato
a striscioline; trinciateci sopra la cipolla e la carota, indi collocateci la
pollastra dalla parte del petto condendola con sale e pepe. Tenetela coperta e,
colorita che sia da ambedue le parti, bagnatela via via con acqua calda fino a
cottura completa, lasciandoci il sugo sufficiente per dar sapore al riso, ma il
sugo passatelo.
Il riso mettetelo al fuoco così naturale
con la metà del burro rimasto, poi tiratelo a cottura con acqua calda e
per ultimo col sugo della pollastro. A cottura completa aggiungete il resto del
burro e dategli maggior sapore con un buon pugno di parmigiano grattato.
Il fegatino e il ventriglio cuoceteli insieme con
la pollastra e tagliati a pezzetti, mescolateli fra il riso. Il risotto
così preparato può anche servire per minestra e bastare a tre
persone, ma allora servite la pollastra a parte con alquanto del suo sugo e i
funghi per contorno.
261. BRACIUOLA DI MANZO RIPIENA IN UMIDO
La braciuola di manzo ripiena arrosto del n. 537
potete cuocerla anche in umido col burro tirandola a cottura con acqua e sugo
di pomodoro e servirla con un contorno qualunque.
262. BRACIUOLA DI MANZO ALLA SAUTÉ
Quando, per colazione, vi piacesse di sostituire
alla bistecca una braciuola di manzo, che cotta in gratella, potrebbe riuscire
troppo arida, cucinatela nella seguente maniera, che riesce molto bene.
Battetela ben bene con la costola di un coltello e mettetela al fuoco con un
pezzetto di burro proporzionato. Conditela con sale e pepe, voltatela spesso
onde ròsoli da ambedue le parti e quando avrà ritirato quasi
tutto il burro bagnatela per due volte con un gocciolo d'acqua e, cotta che
sia, spargetele sopra un pizzico di prezzemolo tritato, tenetela ancora un
momento sul fuoco e servitela col suo sugo.
Potete contornarla, piacendovi, con patate fritte
263. POLLO ALLA CONTADINA
Prendete un pollastro e steccatelo con alcune
ciocchette di ramerino e con uno spicchio d'aglio diviso in quattro o cinque
pezzi. Mettetelo al fuoco con un battutino di lardone e conditelo con sale e
pepe di fuori e di dentro. Quando sarà rosolato da tutte le parti,
aggiungete pomodori a pezzi, toltine i semi, e quando questi saranno disfatti,
bagnatelo con brodo od acqua. Rosolate a parte nell'olio, nel lardo o nel burro
alcune patate crude tagliate a spicchi, fate loro prendere sapore nell'intinto
del pollo, e servitele per contorno. Al lardone sostituite il burro, se volete
il pollo di gusto più delicato.
264. POLLO COLLA MARSALA
Tagliate il pollo a grossi pezzi e mettetelo in
cazzaruola con un battutino di cipolla tritata fine e un pezzetto di
burro. Conditelo con sale e pepe e quando sarà ben rosolato, aggiungete
del brodo e tiratelo a cottura. Passate il sugo, digrassatelo se occorre e
rimettete il pollo al fuoco con un po' di marsala, levandolo appena abbia
ripreso il bollore.
265. POLLO COLLE SALSICCE
Tritate minutamente mezza cipolla e mettetela in
una cazzaruola con un pezzetto di burro e quattro o cinque fettine di
prosciutto larghe un dito. Sopra questi ingredienti ponete un pollo intero,
conditelo con pepe e poco sale e mettetelo al fuoco. Fatelo prender colore da
tutte le parti e quando la cipolla sarà tutta strutta, bagnatelo con
brodo o con acqua e aggiungete tre o quattro salsicce intere fatte di fresco;
lasciate cuocere a lento fuoco procurando che in ultimo resti dell'umido.
266. POLLO IN SALSA D’UOVO
Spezzettate
un pollastro giovane e mettetelo nella cazzaruola con grammi 50 di burro.
Conditelo con sale e pepe. Quando avrà soffritto alquanto spargetegli
sopra un pizzico di farina per fargli prender colore e poi tiratelo a cottura
col brodo. Levatelo asciutto in un vassoio, tenendolo in caldo, e nell'intinto
che resta versate un rosso d'uovo, frullato avanti con l'agro di mezzo limone,
per formare la salsa. Rimestatela alquanto sopra al fuoco, versatela sul pollo
e servitelo.
267. POLLO CON LA PANNA
Infilate allo spiedo un busto di pollo giovane
per dargli due terzi di cottura arrosto; ungetelo con l'olio, salatelo e
fategli prender colore. Poi dividetelo nelle sue giunture e del petto fatene
due pezzi per terminare di cuocerlo nella seguente maniera.
Tritate un quarto di cipolla di media grossezza e
mettetela al fuoco con grammi 50 di burro; quando sarà ben rosolata
buttateci grammi 10 di farina e dopo, a poco per volta, tre decilitri di panna
oppure, se questa manca, altrettanto latte buonissimo. Quando crederete che la
farina sia cotta versateci i pezzi del pollo per terminare di cuocerli.
268. POLLO ALLA MARENGO
La sera della battaglia di Marengo, nel
sottosopra di quella giornata non trovandosi i carri della cucina, il cuoco al
primo Console e ai Generali improvvisò, con galline rubate, un piatto
che manipolato all'incirca come quello che qui vi descrivo, fu chiamato Pollo
alla Marengo; e si dice che esso fu poi sempre nelle grazie di Napoleone,
se non pel merito suo, ma perché gli rammentava quella gloriosa vittoria.
Prendete un pollo giovane ed escludendone il
collo e le zampe, tagliatelo a pezzi grossi nelle giunture. Mettetelo alla sauté
con grammi 30 di burro, una cucchiaiata d'olio e conditelo con sale, pepe e
una presa di noce moscata. Rosolati che sieno i pezzi da una parte e dall'altra
scolate via l'unto e gettate nella sauté una cucchiaiata rasa di farina e un
decilitro di vino bianco. Aggiungete brodo per tirare il pollo a cottura,
coperto, e a fuoco lento. Prima di levarlo dal fuoco fioritelo con un pizzico
di prezzemolo tritato e quando è nel vassoio strizzategli sopra mezzo
limone. Riesce una vivanda appetitosa.
269. PETTI DI POLLO ALLA SAUTÉ
Il miglior
modo di cucinare i petti di pollo mi pare che sia il seguente, perché riescono
delicati al gusto e fanno tale comparita che un petto di cappone può
bastare in un pranzo per quattro o cinque persone. Tagliate i petti a fette
sottili quasi come la carta, date loro la miglior forma che sarà
possibile e dei minuzzoli che ricavate nel ripulir bene lo sterno, formatene un
intero pezzo, unendoli insieme e schiacciandoli. Poi conditeli con sale e pepe
e metteteli in infusione nelle uova frullate. Dopo qualche ora passateli nel
pangrattato fine e cuoceteli col burro nella sauté o in teglia. Se li
aggradite naturali basta l'agro di limone; se poi li volete coi tartufi potete
trattarli come le cotolette del n. 312, oppure nella maniera che segue:
Prendete un tegamino di metallo, versate nel
medesimo tant'olio che appena ne ricuopra il fondo, distendete un suolo di
fettine di tartufi, spargendovi sopra pochissimo parmigiano grattato e una
presa di pangrattato. Ripetete la stessa operazione per tre o quattro volte,
secondo la quantità, e per ultimo condite con olio, sale, pepe e qualche
pezzettino di burro, il tutto a piccole dosi perché non nausei. Mettete il
tegame al fuoco e quando avrà alzato il bollore annaffiate con un
ramaiolino di sugo di carne o di brodo e un po' d'agro di limone. Ritirate
presto dal fuoco questo intingolo e versatelo sopra i petti già rosolati
nel modo anzidetto.
Non avendo i tartufi, servitevi di funghi secchi
rammolliti tritati all'ingrosso, e se manca l'agro di limone ricorrete al sugo
di pomodoro o alla conserva.
270. GERMANO OSSIA ANATRA SELVATICA I
Quando comperate un germano (Anas boscas)
in mercato, apritegli il becco per osservare la lingua. Se la trovate molto
risecchita dite pure che l'animale è morto da lunga data e allora
annusatelo per accertarvi che non puzzi.
Alcuni suggeriscono di lavare questi uccelli
coll'aceto prima di cuocerli, oppure di scottarli nell'acqua per toglier loro
il selvatico; ma siccome quel puzzo disgustoso, se troppo forte, risiede
principalmente nella glandola urupigiale, io ritengo che basti il recider
questa. Essa trovasi all'estremità del codrione, volgarmente chiamato
stizza, e racchiude un umore giallastro e vischioso, abbondante negli uccelli
acquatici col quale essi spalmansi le penne per renderle impermeabili.
Vuotate il germano serbando il fegatino, il cuore
e la cipolla; levategli la testa, e la pelle del collo, dopo averla aperta per
estrarne le vertebre, ripiegatela sul petto dell'animale. A questi uccelli,
quando si fanno in umido, si addice un contorno di cavolo nero o di lenticchie
intere; in ogni modo, si adoperi l'uno o l'altro, preparate un soffritto nella
seguente maniera:
Se il germano pesa circa un chilogrammo tritate
fine col coltello grammi 30 di prosciutto grasso e magro insieme con tutti gli
odori, cioè sedano, prezzemolo, carota e un quarto di una grossa
cipolla; mettete ogni cosa insieme con dell'olio in una cazzaruola e sopra al
battuto adagiate il germano, condendolo con sale e pepe. Fatelo prender colore
da tutte le parti e poi aggiungete acqua per tirarlo a cottura.
Cuocete nell'acqua il contorno di cavolo nero o
di lenticchie e, sia l'uno o l'altro, rifatelo nel suddetto intinto:
assaggiatelo per aggiungervi, se occorre, un pezzetto di burro, che lo renda
più grato e saporito, e unitelo al germano quando lo mandate in tavola.
Il cavolo tagliatelo all'ingrosso e conditelo pure con sale e pepe.
271. GERMANO IN UMIDO II
Mettete il germano nella cazzaruola con grammi 30
di burro e fategli prender colore. Levatelo e gettate nell'unto rimasto un
cucchiaio di farina per farle prendere, rimuovendola col mestolo, il color
marrone. Tolto dal fuoco e non più a bollore, versate su quell'intriso
mezzo litro di acqua e rimetteteci il germano; conditelo con sale e pepe e
fatelo bollire coperto fino a cottura completa con un quarto di una buccia
d'arancio in un sol pezzo, una costola di sedano lunga un palmo e un pezzo di
carota, l'uno e l'altra trinciati all'ingrosso. Per ultimo passate il sugo,
spezzettate il germano nelle sue giunture, rimettetelo nel suo intinto
spremendogli sopra il sugo del ricordato arancio per farlo bollire ancora pochi
minuti e servitelo.
Nella stessa guisa si può trattare
l'anatra domestica, ma questa essendo molto grassa, sarà bene togliere
dallo intinto il soverchio unto prima di mandarla in tavola. Uno dei modi per
toglierlo è di versare l'intinto in una scodella e di posarci sopra
qualche pezzo di carta straccia sugante la quale ha la proprietà di
assorbirlo.
272. ANATRA DOMESTICA
Preparatela come il germano del n. 270 e
mettetela al fuoco con un battuto simile a quello. Quando l'anatra avrà
preso colore bagnatela con sugo di pomodoro o conserva e tiratela a cottura con
acqua o brodo. Passate il sugo, digrassatelo e rimettetelo al fuoco con
l'anatra e un pezzetto di burro. Con questo sugo e parmigiano potete condire
una minestra di strisce o di lasagne fatte in casa e l'anatra servirla con un
contorno d'erbaggi rifatti in un poco di quel sugo medesimo.
273. ANATRA DOMESTICA COL CONTORNO DI RISO
Questo mi sembra un buon umido e che meriti una
menzione speciale.
Fate un battuto con un quarto di una grossa
cipolla e tutti gli odori, cioè prezzemolo, carota e sedano tritato
insieme con grammi 50 di prosciutto grasso e magro.
Mettetelo al fuoco con due cucchiaiate d'olio e
l'anatra sopra, condita con sale e pepe. Rosolata che sia, bagnatela con sugo
di pomodoro, o conserva, e l'acqua occorrente per tirarla a cottura, gettandoci
in pari tempo un pizzico di funghi secchi per cuocerli in quell'intinto che poi
va passato dallo staccio e digrassato, serbando i funghi per unirli al riso.
Questo, nella quantità di grammi 200, mettetelo, così crudo, in
una cazzaruola con grammi 40 di burro e quando accenna a prender colore versate
acqua calda a poco per volta, dandogli sapore coll'intinto dell'anatra e
parmigiano quando siete per levarlo dal fuoco.
274. FEGATO D’OCA
Leggete l'articolo Oca domestica n. 548 e
vi troverete in ultimo il modo di cucinare il fegato della medesima; ma
essendomene capitato un altro, l'ho cucinato diversamente ed essendo, a mio
avviso, riuscito migliore del primo ve lo descrivo. Dopo cotto nel modo ivi
indicato levatelo asciutto e legatelo con un intriso composto di gr. 20 di
burro messo al fuoco con un cucchiaino colmo di farina e, allorché questa
avrà preso il color nocciuola, diluitela con un ramaiuolo di brodo e tre
cucchiaiate di marsala, versateci il fegato, fatelo di nuovo bollire alquanto e
servitelo.
275. FOLAGHE IN UMIDO
La folaga (Fulica Atra) si potrebbe
chiamare uccello pesce, visto che la Chiesa permette di cibarsene ne' giorni
magri senza infrangere il precetto. La sua patria sono i paesi temperati e
caldi dell'Europa e dell'Africa settentrionale, e come uccello anche migratorio
viaggia di notte. Abita i paduli e i laghi, è nuotatore, nutrendosi di
piante acquatiche, d'insetti e di piccoli molluschi. Due sole specie trovansi
in Europa. Fuori del tempo della cova le folaghe stanno unite in branchi
numerosissimi, il che dà luogo a cacce divertenti e micidiali. È
assai cognita quella con barchetti, chiamata la tela, nelle vicinanze di
Pisa sul lago di Massaciuccoli, di proprietà del marchese Ginori Lisci,
che ha luogo diverse volte nell'autunno inoltrato e nell'inverno. Nella caccia
del novembre 1903, alla quale presero parte con cento barche cacciatori di ogni
parte d'Italia, furono abbattute circa seimila folaghe; così riferirono
i giornali.
La carne della folaga è nera e di poco
sapore, e pel selvatico che contiene bisogna, in cucina, trattarla così:
Prendiamo, ad esempio (come ho fatto io), quattro
folaghe e, dopo averle pelate e strinate alla fiamma per tor via la gran
caluggine che hanno, vuotatele e lavatele bene. Dopo trapassatele per la
lunghezza del corpo con uno spiedo infuocato, poi tagliatele in quattro parti
gettando via la testa, le zampe e le punte delle ali; indi tenetele in
infusione nell'aceto per un'ora e dopo lavatele diverse volte nell'acqua
fresca. Dei fegatini non me ne sono servito; ma le cipolle, che sono grosse e
muscolose come quelle della gallina, dopo averle vuotate, lavate e tagliate in
quattro pezzi, le ho messe pure nell'infusione.
Ora, fate un battuto, tritato fine, con una
grossa cipolla e tutti gli odori in proporzione, cioè sedano, carota e
prezzemolo, e mettetelo al fuoco con grammi 80 di burro, e nello stesso tempo
le folaghe e i ventrigli condendole con sale, pepe e odore di spezie. Quando
saranno asciutte bagnatele con sugo di pomodoro o conserva sciolta in acqua
abbondante per cuocerle e perché vi resti molto intinto. Cotte che sieno,
passate il sugo e in questo unite un petto e mezzo di folaga tritato fine e
altri grammi 40 di burro, per condire con esso e con parmigiano tre uova di
pappardelle o grammi 500 di strisce che, pel loro gusto particolare, saranno lodate.
Le folaghe, con alquanto del loro intinto, servitele dopo come piatto di
companatico che non saranno da disprezzarsi. Tutta questa roba credo
potrà bastare per cinque o sei persone.
Ho inteso dire che si ottiene anche un discreto
brodo cuocendole a lesso con due salsicce in corpo.
276. PICCIONI IN UMIDO
A proposito di piccioni sentite questa che vi do
per vera, benché sembri incredibile, e valga come riprova di ciò che vi
dicevo sulle bizzarrie dello stomaco.
Una signora prega un uomo, che le capita per
caso, di ucciderle un paio di piccioni, ed egli, lei presente, li annega in un
catino d'acqua. La signora ne ricevé una tale impressione che d'allora in poi
non ha più potuto mangiar la carne di quel volatile.
Guarnite i piccioni con foglie di salvia intere,
poneteli in un tegame o in una cazzaruola sopra a fettine di prosciutto grasso
e magro e conditeli con olio, sale e pepe. Quando essi avranno preso colore,
aggiungete un pezzo di burro e tirateli a cottura con brodo. Prima di ritirarli
dal fuoco spremeteci sopra un limone e adoperate il loro sugo per servirli con
fette di pane arrostito postevi sotto. Avvertite di salarli pochissimo a motivo
del prosciutto e del brodo. Al tempo dell'agresto, potete usare quest'ultimo
invece del limone, seguendo il dettato:
Quando Sol est in leone,
Bonum vinum cum popone,
Et agrestum cum pipione.
277. PICCIONE ALL’INGLESE O PICCION PAIO
Avverto qui una volta per tutte che nella mia
cucina non si fa questione di nomi e che io non do importanza ai titoli
ampollosi. Se un inglese dicesse che questo piatto, il quale chiamasi anche con
lo strano nome di piccion paio, non è cucinato secondo l'usanza
della sua nazione, non me ne importa un fico; mi basta che sia giudicato buono,
e tutti pari. Prendete:
Un piccione giovane, ma grosso.
Vitella di latte magra, gr. 1 00, oppure un petto
di pollo.
Fette sottili di prosciutto grasso e magro,
grammi 40.
Fette di lingua salata, grammi 30.
Burro, grammi 40.
Mezzo bicchiere di brodo buono digrassato.
Un uovo sodo.
Tagliate il piccione a piccoli pezzi nelle sue
giunture scartando la testa e le zampe. Tagliate la vitella di latte o il petto
di pollo a bracioline e battetele colla costola del coltello. Tagliate il
prosciutto e la lingua a strisce larghe un dito. Tagliate l'uovo in otto
spicchi.
Prendete un piatto ovale di metallo o di
porcellana che regga al fuoco e distendetevi a strati uno sopra all'altro,
prima la metà del piccione e della vitella, poi la metà del
prosciutto e della lingua, la metà del burro sparso qua e là a
pezzettini e la metà, ossia quattro spicchi, dell'uovo; condite con
pochissimo sale, pepe e odore di spezie, e ripetete l'operazione col rimanente
in modo che tutto l'insieme faccia la colma. Per ultimo annaffiate col brodo
suddetto, ma diaccio, che vedrete galleggiare sul primo orlo del piatto e che
rimarrà in gran parte dopo la cottura. ora formate una pasta per
ricoprirlo, nelle seguenti proporzioni:
Farina, grammi 150.
Burro, grammi 50.
Spirito di vino, un cucchiaino
Zucchero, un cucchiaino.
Agro di limone, uno spicchio.
Un rosso d'uovo.
Sale, quanto basta.
Intridete la farina coi suddetti ingredienti e,
se non bastano, aggiungete acqua tiepida per fare una pasta alquanto morbida.
Lavoratela molto gettandola con forza contro la spianatoia, lasciatela un poco
in riposo e tiratene una sfoglia addoppiandola quattro o cinque volte,
riducendola, per ultimo, grossa come uno scudo, col matterello rigato. Con essa
coprite il piatto adornandolo, se è possibile, coi ritagli della stessa
pasta, indi doratela con rosso d'uovo; cuocete questo pasticcio (che tale si
può chiamare) al forno da campagna e servitelo caldo.
A me pare che questo piatto venga meglio
ammannito nella seguente maniera per dargli un carattere e un gusto più
nazionale. Date prima mezza cottura al piccione e alle altre carni col detto
burro, condendole col sale, il pepe e le spezie. Poi disponetele sul vassoio
nel modo indicato, non escludendo l'intinto dell'umido e il brodo. Aumentando
il condimento potrete unirvi anche rigaglie di pollo, animelle e tartufi.
278. MANICARETTO DI PICCIONI
Tagliateli a quarti o a pezzi grossi nelle
giunture e metteteli al fuoco con una fetta di prosciutto, un pezzetto di burro
e un mazzetto guarnito, condendoli con sale e pepe. Quando cominciano ad
asciugare bagnateli con brodo e, a mezza cottura, aggiungete le loro rigaglie,
delle animelle a pezzi, e funghi freschi tagliati a fette, od anche secchi ma
fatti prima rinvenire nell'acqua calda, oppure tartufi; questi però
vanno messi a cottura quasi compita. Dopo averli bagnati con del brodo,
versateci, se i piccioni son due, mezzo bicchiere di vino bianco che avrete
prima fatto scemare di metà al fuoco, in un vaso a parte. Continuate a farli
bollire dolcemente, poi aggiungete altro pezzetto di burro intriso nella
farina, oppure farina sola, per legarne la salsa, e per ultimo, avanti di
mandarli in tavola, levate il prosciutto e il mazzetto, e strizzate sui
piccioni un limone. Le animelle scottatele prima e spellatele se sono di bestia
grossa.
In questo stesso modo si possono cucinare i
pollastri giovani, guarnendoli di rigaglie invece che di animelle.
279. TIMBALLO DI PICCIONI
Questa pietanza dicesi timballo, forse
dalla forma che si approssima all'istrumento musicale di questo nome.
Fate un battuto con prosciutto, cipolla, sedano e
carota, aggiungete un pezzetto di burro e mettetelo al fuoco con un piccione o
due, a seconda del numero delle persone che dovranno fargli la festa. Unite ai
medesimi le loro rigaglie con altre di pollo, se ne avete. Condite con sale e
pepe e, quando i piccioni saranno rosolati, bagnateli con brodo per tirarli a
cottura, ma procurate che vi resti del sugo. Passate questo e gettatevi dei
maccheroni che avrete già cotti, ma non del tutto, in acqua salata e
teneteli presso al fuoco rimovendoli di quando in quando. Fate un poco di balsamella,
poi spezzate i piccioni nelle loro giunture, escludendone il collo, la
testa, le zampe e le ossa del groppone quando non vi piacesse di disossarli del
tutto, il che sarebbe meglio. Le rigaglie tagliatele a pezzi piuttosto grossi e
alle cipolle levate il tenerume. Allorché i maccheroni avranno succhiato il
sugo, conditeli con parmigiano, pezzettini di burro, dadini o, meglio, fettine
di prosciutto grasso e magro, noce moscata, fettine di tartufi o, mancando
questi, un pugnello di funghi secchi rammolliti. Unite infine la belsamella e
mescolate.
Prendete una cazzaruola di grandezza
proporzionata, ungetela tutta con burro diaccio e foderatela di pasta frolla.
Versate il composto, copritelo della stessa pasta e cuocetelo al forno;
sformatelo caldo e servitelo subito.
Con grammi 300 di maccheroni e due piccioni
farete un timballo per dieci o dodici persone se non sono forti
mangiatori. Volendo potete anche dargli la forma di pasticcio come quello del
n. 349.
280. TORDI COLLE OLIVE
I tordi e gli altri uccelli minuti in umido si
possono fare come i piccioni n. 276; anzi ve li raccomando cucinati in quella
maniera che sono buonissimi. Le olive indolcite, state cioè in salamoia,
si usano mettere intere coi loro nocciolo quando i tordi sono a mezza cottura.
Il nocciolo però è meglio levarlo: con un temperino si fa della
polpa un nastrino, che, avvolto a spirale sopra sé stesso, par che formi un'oliva
intera.
Una volta furono regalati sei tordi a un signore,
il quale, avendo in quei giorni la famiglia in campagna, pensò di
mangiarseli arrostiti a una trattoria. Erano belli, freschi e grassi come i
beccafichi e però, stando in timore non glieli barattassero, li
contrassegnò tagliando loro la lingua. I camerieri entrati in sospetto
cominciarono ad esaminarli se segno alcuno apparisse e, guarda guarda, aiutati
dalla loro scaltrezza, lo ritrovarono. Per non la cedere a furberia, o forse
perché con essi quel signore si mostrava soltanto largo in cintura, “gliela
vogliamo fare” gridarono ad una voce; e, tagliata la lingua a sei tordi dei
più magri che fossero in cucina, gli prepararono quelli, serbando i suoi
per gli avventori che più premevano. Venuto l'amico coll'ansietà
di fare in quel giorno un ghiotto mangiare e vedutili secchi allampanati,
cominciò a stralunare gli occhi e voltandoli e rivoltandoli fra sé
diceva: - Io resto! ma che sono proprio i miei tordi questi? - Poi, riscontrato
che la lingua mancava, tutto dolente, si dette a credere che avessero operata
la metamorfosi lo spiedo e il fuoco.
Agli avventori che capitarono dopo, la prima
offerta che in aria di trionfo facevano quei camerieri, era: - Vuol ella oggi
un bellissimo tordo? - e qui a raccontar la loro bella prodezza, come fu
narrata a me da uno che li aveva mangiati.
281. TORDI FINTI
Tordi finti perché li rammenta l'odore del
ginepro e un poco anche il sapore della composizione. È un piatto che
può piacere e farete bene a provarlo.
Magro di vitella di latte senz'osso per sei
tordi, gr. 300.
Coccole di ginepro, n. 6.
Fegatini di pollo, n. 3.
Acciughe salate, n. 3.
Olio, cucchiaiate n. 3.
Lardone, quanto basta.
Questi finti tordi devono aver l'apparenza di
bracioline ripiene, quindi della vitella di latte fatene sei fette sottili,
spianatele, date loro una bella forma e mettete da parte i ritagli. Questi coi
fegatini, un pezzetto di lardone, le coccole di ginepro, le acciughe nettate, e
una foglia di salvia, formeranno il composto per riempirle; e però
tritate il tutto finissimo e conditelo con poco sale e pepe. Dopo avere
arrocchiate le bracioline con questo composto, fasciatele con una fetta sottile
del detto lardone, frapponendo fra questo e la carne mezza foglia di salvia, e
legatele in croce. Grammi 60 di lardone in tutto, credo potrà bastare.
Ora che avete preparato le bracioline, ponetele a
fuoco vivo in una sauté oppure in una cazzaruola scoperta con le dette
tre cucchiaiate d'olio, e conditele ancora leggermente con sale e pepe. Quando
saranno rosolate da tutte le parti, scolate l'unto, lasciando però il
bruciaticcio in fondo al vaso, e tiratele a cottura col brodo versato a pochino
per volta, perché devono rimanere in ultimo quasi asciutte.
Mandatele in tavola slegate, sopra a sei fette di
pane appena arrostito e bagnate coll'intinto ristretto rimasto dopo la cottura.
Sono buone anche diacce.
282. STORNI IN ISTUFA
Gli storni, essendo uccelli di carne ordinaria e
dura, hanno bisogno del seguente trattamento per renderli mangiabili.
Per numero sei storni fate un battuto, tritato
fine, con un quarto di una grossa cipolla e grammi 30 di grasso di prosciutto.
Mettetelo al fuoco con grammi 20 di burro, tre o quattro striscioline di
prosciutto grasso e magro e due coccole di ginepro. Collocateci sopra gli
storni senza sventrarli e, guarniti con foglie di salvia, conditeli con sale e
pepe. Quando avranno tirato il sapore del battuto, voltandoli spesso, e che la
cipolla sarà ben colorita, bagnateli con un poco di vino bianco asciutto
e poi versatecene tanto che fra la prima e la seconda volta sia tre decilitri.
Mancandovi il vino bianco supplite con due decilitri d'acqua ed uno di marsala.
Coprite la cazzaruola con un foglio di carta a quattro doppi tenuto fermo da un
coperchio pesante e fate bollire a fuoco dolce fino a cottura completa.
Levateli col loro sugo e serviteli.
283. UCCELLI IN SALMÌ
Cuoceteli, non del tutto, arrosto allo spiedo
conditi con sale e olio. Dopo levati, se sono uccelli piccoli o tordi,
lasciateli interi; se sono grossi tagliateli in quattro parti, e levate loro
tutte le teste che pesterete in un mortaio insieme con qualche uccellino pure
arrostito o con qualche ritaglio di uccelli grossi. Mettete una cazzarolina al
fuoco con un battuto composto di burro, qualche pezzetto di prosciutto, sugo di
carne, oppure brodo, madera o marsala nella quantità all'incirca del
brodo, uno scalogno trinciato, una coccola o due di ginepro, se sono tordi, o
una foglia d'alloro se sono uccelli di altra specie. Condite con sale e pepe e
quando questo intingolo avrà bollito mezz'ora passatelo dallo staccio, e
collocatevi gli uccelli arrostiti; fateli bollire fino a cottura completa e
mandateli in tavola con fettine di pane arrostito sotto.
284. STUFATO DI LEPRE
Vi descriverò più avanti il
pasticcio di lepre, e vi dirò anche come questa si cuoce arrosto;
aggiungo ora che per farla dolce-forte potete servirvi della ricetta del
cignale n. 285, e che si può mettere in istufato nella seguente maniera:
Prendiamo, per esempio, la metà di una
lepre, e dopo averla spezzettata tritate fine un battuto con una cipolla di
mediocre grandezza, due spicchi d'aglio, un pezzo di sedano lungo un palmo e
diverse foglie di ramerino. Mettetelo al fuoco con un pezzetto di burro, due
cucchiaiate d'olio e quattro o cinque strisce di prosciutto larghe un dito.
Quando avrà soffritto per cinque minuti, gettateci la lepre e conditela
con sale, pepe e spezie. Rosolata che sia, bagnatela con mezzo bicchiere di
vino bianco o marsala, poi buttateci un pugnello di funghi freschi, o secchi
rammolliti, e tiratela a cottura con brodo e sugo di pomodoro o conserva; ma
prima di servirla, assaggiatela per aggiungere un altro poco di burro, se
occorre.
285. CIGNALE DOLCE-FORTE
A me pare sia bene che il cignale da fare
dolce-forte debba avere la sua cotenna con un dito di grasso, perché il grasso
di questo porco selvatico, quando è cotto, resta duro, non nausea ed ha
un sapore di callo piacevolissimo.
Supposto che il pezzo sia di un chilogrammo
all'incirca, eccovi le proporzioni del condimento.
Fate un battuto con mezza cipolla, la metà
di una grossa carota, due costole di sedano bianco lunghe un palmo, un pizzico
di prezzemolo e grammi 30 di prosciutto grasso e magro. Tritatelo fine colla
lunetta e ponetelo in una cazzaruola con olio, sale e pepe sotto al cignale per
cuocerlo in pari tempo. Quando il pezzo ha preso colore da tutte le parti,
scolate buona parte dell'unto, spargetegli sopra un pizzico di farina, e
tiratelo a cottura con acqua calda versata di quando in quando. Preparate
intanto il dolce-forte in un bicchiere coi seguenti ingredienti e gettatelo
nella cazzaruola; ma prima passate il sugo.
Uva passolina, grammi 40.
Cioccolata, grammi 30.
Pinoli, grammi 30.
Candito a pezzetti, grammi 20.
Zucchero, grammi 50.
Aceto quanto basta; ma di questo mettetene poco,
perché avete tempo di aggiungerlo dopo. Prima di portarlo in tavola fatelo
bollire ancora onde il condimento s'incorpori, anzi debbo dirvi che il
dolce-forte viene meglio se fatto un giorno per l'altro. Se lo amate più
semplice componete il dolce-forte di zucchero e aceto soltanto.
Nello stesso modo potete cucinare la lepre.
286. CIGNALE FRA DUE FUOCHI
Tenetelo in una marinata come quella della lepre
n. 531 per 12 o 14 ore. Levato da questa, asciugatelo con un canovaccio e poi
preparatelo nella seguente maniera. Collocate nel fondo di una cazzaruola tre o
quattro fette di lardone sottili come la carta, ponete il pezzo del cignale
sopra alle medesime, conditelo con sale e pepe e aggiungete una cipolla intera,
un mazzetto guarnito, un pezzetto di burro e, se il cignale fosse un
chilogrammo circa, mezzo bicchiere di vino bianco. Distendete sul pezzo della
carne altre tre o quattro fette dello stesso lardone e copritelo con un foglio
unto col burro, che vi stia aderente. Cuocetelo con fuoco sotto e sopra e
quando accenna a prosciugarsi, bagnatelo con brodo. Cotto che sia, passate il
sugo senza spremerlo, digrassatelo e unitelo al cignale quando lo mandate in
tavola.
287. COSTOLETTE DI DAINO ALLA CACCIATORA
Le carni del daino, del capriolo e di simili
bestie di selvaggina sono aride e dure, quindi è necessario che il tempo
le frolli per essere meglio gustate.
Servitevi per questo piatto della lombata, da cui
taglie rete le costolette tenendole sottili. Mettete al fuoco olio e burro in
proporzione della quantità che avrete a cuocere, uno spicchio d'aglio
intero e diverse foglie di salvia. Quando l'aglio avrà preso colore
collocateci sopra le costolette, conditele con sale e pepe e cuocetele a fuoco
ardente, alla svelta, annaffiandole col marsala.
288. CONIGLIO IN UMIDO
Per cucinare questo piatto, vedi le Pappardelle
col sugo di coniglio, n. 94.
289. LINGUA DOLCE-FORTE
Prendete una lingua di vitella di latte tutta
intera colla sua pappagorgia, perché questa è la parte più
delicata; spellatela e lessatela a mezza cottura. Regolatevi del resto come per
il cignale del n. 285, servendovi dell'acqua dove ha bollito per finire di
cuocerla. Per spellare la lingua arroventate una paletta e ponetegliela sopra ripetendo
l'operazione diverse volte, se occorre.
290. LINGUA DI BUE AL SUGO DI CARNE
Eccovi un'altra maniera di cucinare una lingua di
bue del peso, senza la pappagorgia, di oltre un chilogrammo.
Spellatela come è indicato nella ricetta
n. 289 e steccatela con grammi 60 di lardone tagliato in lardelli conditi con
sale e pepe. Legatela perché resti distesa e mettetela al fuoco con grammi 30
di burro; conditela con altro sale e pepe rosolandola alquanto, e poi tiratela
a cottura col sugo di carne versato un poco per volta. Cotta che sia, il sugo
che resta passatelo e condensatelo al fuoco con un pezzetto di burro e meno di
mezza cucchiaiata di farina per unirlo alla lingua, che manderete in tavola
tagliata a fette contornata di erbaggi lessati e rifatti col burro ed il sugo.
291. ARNIONI SALTATI
Prendete una pietra, come la chiamano a Firenze,
cioè un arnione o rognone di bestia grossa oppure diversi di bestie
piccole, apritelo e digrassatelo tutto perché quel grasso ha un odore
sgradevole. Tagliatelo per traverso a fette sottili, ponetelo in un vaso,
salatelo e versate sul medesimo tanta acqua bollente che lo ricopra. Quando
l'acqua sarà diacciata levatelo asciutto e mettetelo in padella per
farlo ributtar l'acqua che getterete via. Spargetegli sopra un pizzico di
farina, buttateci un pezzetto di burro e rimovendolo spesso fatelo grillettare
per soli cinque minuti. Conditelo con sale, pepe e mezzo bicchiere scarso di
vino bianco: lasciatelo ancora per poco sul fuoco e quando siete per levarlo
aggiungete un altro pezzetto di burro, un pizzico di prezzemolo tritato e un
po' di brodo, se occorre.
Per vostra regola gli arnioni tenuti troppo sul
fuoco induriscono. Il vino è bene farlo prima bollire a parte finché sia
scemato di un terzo; se invece di vino bianco farete uso di marsala o di champagne,
tanto meglio.
292. ARNIONI PER COLAZIONE
Arnioni di vitella di latte, di castrato, di
maiale e simili si prestano bene per una colazione cucinati nella seguente
maniera. Tenete in pronto un battutino tritato fine, composto di prezzemolo,
mezzo spicchio d'aglio, il sugo di mezzo limone e cinque o sei fette di midolla
di pane, asciugato al fuoco.
Aprite gli arnioni per digrassarli e tagliateli a
fettine sottili per traverso. Dato che siano in tutto del peso di 400 o
L'operazione deve farsi in cinque minuti circa e
prima di mandarli in tavola versateli sulle fette del pane. Basteranno per
quattro persone.
293. ARNIONI ALLA FIORENTINA
Aprite e digrassate gli arnioni come nella
ricetta n. 291 e così spaccati a metà per il lungo, cuoceteli nel
modo seguente. Ponete un tegame al fuoco con un pezzo di burro proporzionato e
quando accenna a bollire, poneteci l'arnione lasciandovelo un poco, poi ritiratelo
dal fuoco e conditelo con sale, pepe e un pizzico di prezzemolo tritato.
Involtatelo bene nel condimento e, dopo parecchie ore, cuocetelo nello stesso
tegame, oppure in gratella, involtato nel pan grattato.
294. COSCIOTTO O SPALLA DI CASTRATO IN CAZZARUOLA
I
Per associazione d'idee, la parola castrato mi
presenta alla memoria quei servitori, i quali, per un'esigenza ridicola de'
loro padroni (sono sfoghi di vanità rientrata), si tagliano i baffi e le
ledine da sembrare tanti castratoni, e facce da zoccolanti.
Per lo stesso motivo, cioè per la
vanità delle loro padrone, sbuffano e mal si prestano le cameriere a
portare in capo quelle berrette bianche, chiamate altrimenti cuffie; infatti
quando non sono più giovani e non sono belle, con quell'aggeggio in capo
sembrano la bertuccia. Le balie, al contrario, gente di campagna, che sente
poco la dignità di sé stessa, con quei tanti fiocchi e nastri di vario
colore adornate (indegne pompe, di servitù misere insegne), se ne
tengono, gonfiando impettite e non s'avvedono che risvegliano l'idea della
mucca quando è condotta al mercato.
Entrando in materia, dico che la buona fine di
questi due pezzi di carne a me sembra di ottenerla nella seguente maniera.
Prendiamo, ad esempio, la spalla e sulla medesima regolatevi nelle debite
proporzioni per il cosciotto. Non ho bisogno di dirvi che il castrato deve
essere di qualità fine e ben grasso, Supponiamo che la spalla sia del
peso di un chilogrammo, benché possa essere anche di chilogrammi 1½.
Disossatela, steccatela con lardone, e conditela di dentro e di fuori con sale
e pepe, poi arrocchiatela e legatela onde prenda una bella forma; indi
mettetela in una cazzaruola con grammi 40 di burro per rosolarla, e dopo
aggiungete i seguenti ingredienti:
Alcune cotenne di lardone o di prosciutto.
Un mazzetto legato composto di prezzemolo, sedano
e carota.
Una cipolla intera di mezzana grossezza.
Le ossa spezzate che avrete levate dalla spalla o
dal cosciotto che sia.
Dei ritagli di carne cruda, se ne avete.
Un bicchiere di brodo o mezzo soltanto.
Due o tre cucchiaiate di acquavite.
Tanta acqua fredda che il liquido arrivi poco
sotto alla superficie del castrato. Coprite bene la cazzaruola e fatela bollire
a fuoco lento finché il pezzo sia cotto, per la qual cosa ci vorranno da
quattro e più ore se la bestia è dura. Allora passate il sugo,
digrassatelo e gettate via il superfluo, cioè mandate in tavola soltanto
il castrato.
Questo piatto si suol guarnire o di carote o di
rape o di fagiuoli sgranati; se di carote, mettetene due grosse intere fra la
carne e quando saranno cotte levatele e tagliatele a fette rotonde per
aggiungerle dopo; se di rape, avvertite che non sappiano di forte per non avere
ancora sentito il freddo. Dividetele in quattro parti, imbiancatele,
tagliatele a dadi, rosolatele appena nel burro ed unitele al sugo, il quale
deve vedersi piuttosto abbondante; se di fagiuoli, cuoceteli prima e rifateli
in questo sugo.
295. COSCIOTTO O SPALLA DI CASTRATO IN CAZZARUOLA
II
Questa è una ricetta più semplice e
da preferirsi a quella del numero precedente, quando non si richieda contorno
alcuno di erbaggi e di legumi.
Prendete una spalla di castrato e dopo averla
disossata steccatela con lardelli di lardone involtati nel sale e nel pepe.
Salatela alquanto, poi arrocchiata e legata stretta, mettetela al fuoco con
grammi 40 di burro e una mezza cipolla steccata con un chiodo di garofano e
fatele prender colore. Ritirata la cazzaruola dal fuoco, versateci un bicchiere
d'acqua, o meglio brodo, una cucchiaiata di acquavite, un mazzetto odoroso e,
se è il tempo dei pomodori, alcuni di questi spezzati. Fate bollire
adagio per circa tre ore colla cazzaruola tenuta chiusa con doppio foglio di
carta, rivoltando spesso il pezzo della carne. Quando sarà cotta,
gettate via la cipolla, passate il sugo, digrassatelo ed unitelo alla carne
quando la mandate in tavola.
Vi avverto di non cuocerla troppo ché allora non
si potrebbe tagliare a fette.
Nella stessa maniera, colle debite proporzioni
nel condimento, si può fare il cosciotto. Se vi nausea il puzzo speciale
al montone, digrassate la carne anche da cruda.
296. LOMBATA DI CASTRATO RIPIENA
Prendete un pezzo di lombata di castrato col suo
pannicolo attaccato, del peso di un chilogrammo, digrassatela, ma non del
tutto, disossatela e conditela con sale e pepe. Formate il composto per
riempirla con
Magro di vitella di latte, grammi 150.
Prosciutto grasso e magro, grammi 50.
Parmigiano grattato, grammi 40.
Un uovo.
Sale e pepe.
Tritatelo ben fine e, dopo avere spalmata con
questo tutta la lombata nell'interno, arrocchiatela tirandole sopra il
pannicolo, e cucitela onde non isbuzzi il ripieno. Ora mettetela al fuoco con
grammi 50 di burro e quando sarà rosolata bagnatela con un dito (di
bicchiere) di marsala, poi gettate nella cazzaruola a crogiolare con lei a
fuoco lento, mezza cipolla piuttosto piccola, tagliata in due pezzi, due o tre
pezzi di sedano, altrettanti di una carota e dei gambi di prezzemolo,
bagnandola con acqua o brodo per tirarla a cottura. Infine passate il sugo e il
resto, digrassatelo e servitela. È un piatto che potrà bastare
per otto persone e merita di essere raccomandato. Già sapete che per
digrassare un sugo basta posargli sopra qualche pezzo di carta straccia
sugante.
297. BUE ALLA MODA
Questo piatto va trattato poco diversamente da
quello del n. 294.
Prendete non meno di un chilogrammo di magro
della coscia o del culaccio di bestia grossa e steccatelo con lardelli grossi
un dito di buon lardone che avrete involtati nel sale e nel pepe. Legate il
pezzo della carne perché prenda una bella forma, salatelo a sufficienza e
ponetelo in una cazzaruola con grammi 50 di burro per rosolarlo; poi aggiungete
gl'ingredienti qui appresso: mezza zampa di vitella di latte, oppure un pezzo
di zampa di vitella grossa, una grossa cipolla intera, due o tre carote intere,
un mazzetto legato di erbe odorose come prezzemolo, sedano, basilico e simili;
alcune cotenne di lardone, un bicchiere ardito d'acqua, o meglio un bicchiere di
brodo digrassato, e per ultimo mezzo bicchiere di vino bianco, oppure due
cucchiaiate di acquavite. Mettete al fuoco la cazzaruola ben coperta e fate
bollire adagio finché la carne sia cotta, ma le carote cuocendosi per le prime,
levatele onde restino intere. Gettate via il mazzetto odoroso, poi passate il
sugo e digrassatelo se occorre. Servite la carne non troppo cotta unicamente
alla zampa e contornate il piatto colle carote tagliate a fette rotonde. Se vi
riesce bene, sentirete un umido delicato e leggiero.
Alcuni steccano la cipolla con chiodi di
garofano; ma questo aroma non è da consigliarsi che agli stomachi forti.
Meglio delle carote giudico il contorno di fagiuoli sgranati cotti rifatti nel
sugo del bue.
298. BUE ALLA BRACE
Sarebbe il boeuf braisé dei Francesi.
Procuratevi un bel tocco di carne magra e frolla e, dato che sia del peso di
grammi 500 senz'osso, steccatelo con grammi 50 di lardone tagliato a lardelli
grossi e lunghi un dito scarso, ma conditeli prima con sale e pepe.
Fate un battuto con un quarto di cipolla di media
grandezza, mezza carota e una costola di sedano lunga un palmo. Tritatelo
all'ingrosso con la lunetta e mettetelo al fuoco con grammi 30 di burro e sopra
al medesimo il pezzo della carne legato e condito con sale e pepe.
Quando il battuto sta per consumarsi, bagnatelo
per due volte con un gocciolo d'acqua fredda; consumata che sia e colorita la
carne, versate due ramaiuoli di acqua calda, coprite la cazzaruola con foglio
doppio di carta e fate bollire adagio finché la carne sia cotta. Allora passate
il sugo, digrassatelo e rimettetelo al fuoco con un altro pezzetto di burro per
dar maggior grazia alla carne e all'intinto, col quale potrete tirare a sapore
un contorno di erbaggi, come sarebbero spinaci, cavoli di Bruxelles, carote,
finocchi, quello che più vi piace di questi.
299. GIRELLO ALLA BRACE (GARETTO)
Volete un piatto di carne della cucina bolognese
e dei più semplici che si possano immaginare? Fate il garetto.
Così chiamano a Bologna il girello, che è quel pezzo di carne di
manzo, senz'osso, situata quasi alla estremità della coscia, tra il
muscolo e lo scannello, che può essere del peso di grammi 700
all'incirca ed è il solo che si presti per quest'uso. Mettetelo al fuoco
senz'altro condimento che sale e pepe; niente acqua e niun altro ingrediente.
Chiudete la bocca della cazzaruola con un foglio di carta a diversi doppi,
tenuto fermo dal suo coperchio, e lasciatelo cuocere molto lentamente. Vedrete
che getta una copiosa quantità di sugo che poi riassorbe a poco a poco;
quando lo avrà ritirato tutto levatelo e servitelo. È quasi
migliore diaccio che caldo.
Che sia un piatto sano e nutriente, nessuno
può dubitarne; ma che, per la sua troppa semplicità, possa
piacere a tutti non saprei dirlo.
300. BUE ALLA CALIFORNIA
Chi studiò questo piatto, non sapendo
forse come chiamarlo, gli applicò questo strano titolo; del resto poi,
strani o ridicoli sono quasi tutti i termini culinari.
Le seguenti dosi sono quelle da me prescritte in
seguito a diverse prove.
Carne magra senz'osso, di vitella o di manzo,
nella groppa, nella lombata o nel filetto, grammi 700.
Burro, grammi 50.
Panna, decilitri 2.
Acqua, decilitri 2.
Aceto forte, una cucchiaiata, o più d'una,
se è debole.
Mettete la carne al fuoco col detto burro, mezza
cipolla tagliata in quattro spicchi e una carota a pezzetti; sale e pepe per
condimento. Quando la carne sarà ben rosolata versate l'aceto, dopo
alquanto l'acqua e indi la panna. Fate bollire adagio circa tre ore, ma se il
sugo venisse a scarseggiare aggiungete un'altra po' d'acqua.
Mandate la carne in tavola tagliata a fette e col
suo sugo passato dallo staccio. In un pranzo di vari piatti potrà
bastare per cinque o sei persone.
301. SCANNELLO ANNEGATO
Non sapendo come chiamare quest'umido semplice e
sano, gli ho dato il titolo di scannello annegato.
Un pezzo di carne di manzo o di vitella, tutto
magro e senz'osso, tolto dallo scannello, di circa grammi 800.
Grasso di prosciutto, grammi 80.
Una grossa carota o due mezzane.
Tre o quattro costole di sedano lunghe un palmo.
Mezzo bicchiere di vino bianco asciutto, e
mancando questo, due dita di marsala.
Steccate il pezzo della carne col suddetto grasso
di prosciutto, tagliato in lardelli involtati nel sale e nel pepe; salatelo e
legatelo onde stia unito.
Tagliate a pezzetti la carota e il sedano e
metteteli in fondo a una cazzaruola piuttosto piccola ponendoci sopra il pezzo
della carne e copritela d'acqua.
Fate bollire adagio a cazzaruola coperta, e
quando avrà ritirato l'acqua passate dallo staccio il sugo e gli
erbaggi, che poi rimetterete al fuoco insieme con la carne e col vino. Cotto
che sia servitelo affettato con sopra il suo intinto.
Potrà bastare per sei persone.
Come avrete notato in questa e in molte altre
ricette della presente raccolta, la mia cucina inclina al semplice e al
delicato, sfuggendo io quanto più posso quelle vivande che, troppo
complicate e composte di elementi eterogenei, recano imbarazzo allo stomaco.
Ciò non ostante un mio buon amico, per iscambio, la calunniava. Essendo
egli stato colpito da paralisi progressiva, che lo tenne infermo per oltre tre
anni, non trovava altro conforto alla sua disgrazia che quello di mangiar bene,
e quando ordinava il pranzo alla sua figliuola non mancava di dirle: - Bada di
non darmi gl'intrugli dell'Artusi. - Questa signorina, che era la massaia di
casa, avendo ricevuta la sua educazione in un collegio svizzero del cantone
francese, si era colà provveduta del trattato di cucina di Madame
Roubinet; e volgendo a questo tutta la sua simpatia, poco o punto si curava del
mio. Gl'intrugli lamentati dal padre erano dunque di questa madama dal rubinetto,
la quale, si vede, dava con questo la via, più che non farei io, alle acque
torbe della cucina.
302. SCALOPPINE ALLA LIVORNESE
Perché si chiamino scaloppine non lo so, e non so
nemmeno perché sia stato dato loro il battesimo a Livorno. Comunque sia,
prendete delle bracioline di carne grossa, battetele bene per renderle tenere e
buttatele in padella, con un pezzo di burro. Quando l'avranno ritirato
bagnatele con qualche cucchiaiata di brodo per portarle a cottura, conditele
con sale e pepe, legatele con un pizzico di farina, date loro l'odore della
marsala, e prima di levarle, rendetele più grate con un pizzico di
prezzemolo tritato.
303. SCALOPPINE DI CARNE BATTUTA
Prendete carne magra di bestia grossa, nettatela
dai tendini e dalle pelletiche e, se non avete il tritacarne, tritatela ben
fine prima col coltello poi colla lunetta. Conditela con sale, pepe e
parmigiano grattato; aggiungete l'odore delle spezie, piacendovi, ma c'è
il caso allora che sappia di piatto rimpolpettato. Mescolate bene e date alla
carne la forma di una palla; poi con pangrattato sotto e sopra, onde non
s'attacchi, tiratela col matterello sulla spianatoia, rimuovendola spesso per
farne una stiacciata sottile poco più di uno scudo. Tagliatela a pezzi
quadri e larghi quanto la palma di una mano e cuoceteli in una teglia col
burro. Quando le scaloppine avran preso colore, annaffiatele con sugo di
pomodoro o conserva diluita nel brodo o nell'acqua e servitele. Potete anche,
senza far uso del matterello, stiacciarle colle mani e dar loro, per più
eleganza, la forma di un cuore.
Avendo carne stracottata avanzata, è
conveniente il farle con questa e con carne cruda mescolate insieme.
304. SCALOPPINE ALLA GENOVESE
Formate bracioline con carne magra di vitella e,
dato che sia grammi 500 senz'osso, tritate un quarto di cipolla di mezzana
grandezza e mettetela nel fondo di una cazzaruola con olio e un pezzetto di
burro. Distendete sul battuto le bracioline, uno strato sopra l'altro,
conditele con sale e pepe e mettetele al fuoco senza toccarle che così
attaccandosi insieme non si aggrinzano. Quando avrà preso colore la
parte di sotto, versate un cucchiaino di farina e dopo poco un pizzico di
prezzemolo e mezzo spicchio d'aglio tritati e due dita scarse,(di bicchiere) di
vino bianco buono, o, mancando questo, marsala. Poi distaccate le bracioline
l'una dall'altra, mescolate, lasciatele tirar l'umido, indi versate acqua calda
e un poco di sugo di pomodoro o conserva. Fatele bollire adagio e non molto per
terminare di cuocerle e servitele con intinto abbondante, e con fette di pane
arrostito sotto, oppure, se più vi piace, con un contorno di riso cotto
nell'acqua, tirato asciutto e condito leggermente con burro, parmigiano e
l'intinto medesimo. Anzi, il riso ci sta molto bene e così piacciono a
tutti.
305. SCALOPPINE CON LA PANNA ACIDA
La panna acida è la panna comune, ossia il
fior di latte, quando ha preso l'agro, il qual difetto non nuoce anzi migliora
il piatto che riesce delicatissimo.
Prendete carne magra di vitella o di vitella di
latte, tagliatela a bracioline, battetele, infarinatele e mettetele al fuoco con
un pezzo proporzionato di burro. Conditele con sale e pepe e fatele bollire
adagio finché abbiano preso colore da ambedue le parti. Allora bagnatele con la
detta panna e per ultimo con un poco d'acqua o brodo, se trattasi di vitella di
latte, onde la salsa non riesca troppo densa e possano cuocer meglio.
Servitele con spicchi di limone a parte.
Per quattro persone:
Grammi 500 di magro senz'osso,
Grammi 70 di burro
Due decilitri di panna.
306. SCALOPPINE DI VITELLA DI LATTE IN TORTINO
Vitella di latte magra senz'osso, tagliata a
scaloppine sottilissime del peso, nette dalle pelletiche, di grammi 300,
lardone a fettine sottili, grammi 70.
Sciogliete al fuoco, in una cazzaruola
proporzionata, un poco di burro e sul fondo e all'ingiro della medesima
distendete il lardone, sopra al quale collocherete un primo strato di
scaloppine condendole con sale, pepe, l'odore delle spezie, parmigiano grattato
e prezzemolo tritato. Poi un altro strato di scaloppine condite nella stessa
maniera, e così di seguito finché avrete roba. Sull'ultimo strato di
scaloppine spargete diversi pezzetti di burro e cuoceteli tra due fuochi,
più sotto che sopra, finché restino quasi asciutte e rosolato il
lardone. Versate il tortino sopra a uno strato di spinaci tirati al burro e
servitelo a quattro persone.
307. BRACIOLINE RIPIENE
Bracioline sottili di vitella, grammi 300.
Carne magra di vitella o di vitella di latte,
grammi 70.
Prosciutto piuttosto magro, grammi 40.
Midollo di vitella, grammi 30.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Uova, n. l.
Delle bracioline ne usciranno 6 o 7 se le tenete
larghe quanto una mano: battetele ben bene col batticarne oppure con un manico
di coltello intinto spesso nell'acqua per allargarle. Poi tritate fine il
prosciutto coi grammi 70 della seconda carne e a questo battuto unite il
parmigiano e il midollo ridotto prima pastoso colla lama di un coltello; per
ultimo aggiungete l'uovo per legare il composto e una presa di pepe, non
occorrendo il sale a motivo del prosciutto e del parmigiano. Distendete le
bracioline e sul mezzo delle medesime distribuite il detto composto; poi
arrocchiatele e col refe legatele in croce.
Ora che hanno già preso la forma
occorrente, preparate un leggiero battuto con un po' di cipolla, un pezzetto di
sedano bianco, un pezzetto di carota e grammi 20 di carnesecca, e mettetelo al
fuoco in una cazzaruola con grammi 20 di burro, in pari tempo che vi porrete le
bracioline. Conditele con sale e pepe, e quando avranno preso colore versate
sugo di pomodoro o conserva e tiratele a cottura coll'acqua. Potete anche
aggiungere, piacendovi, un gocciolo di vino bianco.
Quando le mandate in tavola togliete il refe con
cui le avevate legate.
308. BRACIOLINE ALLA BARTOLA
La carne di vitella o di manzo che meglio si
presta per questo piatto sarebbe il filetto o il girello, ma può servire
anche il culaccio e la coscia.
Carne suddetta, peso netto senz'osso, grammi 500.
Prosciutto grasso e magro, grammi 50.
Un piccolo spicchio d'aglio.
Un piccolo spicchio di cipolla.
Una costola di sedano lunga un palmo.
Un buon pezzo di carota.
Un pizzico di prezzemolo.
Tagliate la carne a fette grosse quasi un dito
per ottenere non più di sette od otto bracioline alle quali procurate di
dar bella forma, e battetele con la costola del coltello. Fate un battuto
tritato molto fine col prosciutto e gl'ingredienti sopra descritti, poi versate
in una sauté o teglia di rame sei cucchiaiate d'olio sul quale, a
freddo, collocherete le bracioline spalmando sopra ad ognuna un pizzico del
detto battuto. Conditele con poco sale, pepe e il solo fiore di quattro o
cinque chiodi di garofano, e a fuoco vivo fatele rosolare dalla parte di sotto,
poi voltatele ad una ad una col suo battuto per rosolare anche questo, e quando
avrà soffritto a sufficienza tornatele a rivoltare onde il battuto
ritorni al disopra raccattando quello che è rimasto attaccato alla
teglia, ora bagnatele con sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua,
cuopritele e fatele bollire adagio per quasi due ore; ma mezz'ora prima di mandarle
in tavola cuocete nell'intinto delle medesime una grossa patata sbucciata e
tagliata in dieci o dodici tocchetti collocandoli nei vuoti fra una braciolina
e l'altra.
Meglio sarebbe mandarle in tavola nel recipiente
dove sono state cotte; ma se questo è indecente mettetele pari pari in
un vassoio con le patate all'intorno. Questa quantità basta per quattro
o cinque persone, e non è piatto da disprezzarsi, perché non lascia lo
stomaco aggravato.
309. BRACIOLINE ALLA CONTADINA
Per me, che si ribellano al mio gusto, le lascio
mangiare ai contadini; ma, poiché ad altri potrebbero non dispiacere, ve le
descrivo.
Preparate le bracioline con carne magra di
vitella battuta bene, ungetele coll'olio e conditele con poco sale e pepe. Fate
un composto di olive in salamoia, capperi strizzati dall'aceto e un'acciuga,
tritando il tutto ben fine. Lasciatelo così semplice, oppure aggiungete
un rosso d'uovo e un pizzico di parmigiano; riempitene le bracioline, legatele
e quindi cuocetele con burro e sugo di pomodoro, oppure in un soffritto di
cipolla.
310. BRACIUOLE NELLA SCAMERITA
Eccovi un piatto di tipo tutto fiorentino. La
scamerita è quella parte del maiale macellato ove, finita la lombata,
comincia la coscia; essa è marmorizzata di magro e grasso, quest’ultimo
in quantità tale che piace senza nauseare. Ponete le braciuole in
un tegame con pochissimo olio, due o tre spicchi d'aglio, con la loro buccia,
un po' stiacciati, e conditele con sale e pepe. Quando avranno preso colore da
ambedue le parti, versate nel tegame due o tre dita (di bicchiere) di vino
rosso e lasciate che, bollendo, l'umido prosciughi di metà. Allora
mettetele da parte asciutte conservandole calde, e in quell'intinto tirate a
sapore del cavolo nero già lessato, spremuto dall'acqua, tagliato non
tanto minutamente e condito anch'esso con sale e pepe. Mandatele in tavola col
cavolo sotto.
311. COTOLETTE DI VITELLA DI LATTE IN SALSA
D’UOVO
Dopo averle dorate e cotte alla sauté,
come quelle dei n. 312 e 313, spargete sopra alle medesime una salsa di rossi
d'uovo, burro e agro di limone, tenetele ancora un poco sul fuoco e servitele.
Per sette od otto cotolette basteranno tre rossi d'uovo, grammi 30 di
burro e mezzo limone, frullati in un pentolino prima di versarli.
312. COTOLETTE DI VITELLA DI LATTE COI TARTUFI
ALLA BOLOGNESE
Il posto migliore per questo piatto è il sotto-noce,
ma può servire anche il magro del resto della coscia o del culaccio.
Tagliatele sottili e della dimensione della palma di una mano: battetele e date
loro una forma smussata ed elegante come, ad esempio, la figura del cuore,
cioè larga da capo e restringentesi in fondo, il che si ottiene
più facilmente tritando prima la carne colla lunetta. Poi preparatele in
un piatto con agro di limone, pepe, sale e pochissimo parmigiano grattato. Dopo
essere state un'ora o due in questa infusione, passatele nell'uovo sbattuto e
tenetecele altrettanto. Poi panatele con pangrattato fine, mettetele a
soffriggere col burro in una teglia di rame, e quando saranno appena rosolate
da una parte voltatele e sopra la parte cotta distendete prima delle fette di
tartufi e sopra queste delle fette di parmigiano o di gruiera; ma sì le
une che le altre tagliatele sottili il più che potete. Fatto questo,
terminate di cuocerle con fuoco sotto e sopra aggiungendo brodo o sugo di
carne; poi levatele pari pari e disponetele in un vassoio col loro sugo
all'intorno strizzandoci l'agro di un limone, o mezzo solo se sono poche.
Nella stessa maniera si possono cucinare le
costolette di agnello dopo aver ripulito, raschiandolo, l'osso della costola.
313. COTOLETTE COL PROSCIUTTO
Preparate le cotolette come quelle del
numero precedente e mettetele nell'uovo con una fetta sottilissima di
prosciutto grasso e magro della dimensione della cotoletta stessa. Panatele col
prosciutto appiccicato sopra, salatele poco e rosolatele nel burro dalla parte
dove non è il prosciutto. Sopra al prosciutto, invece de' tartufi,
distendete fette sottilissime di parmigiano o di gruiera, finite di cuocerle col
fuoco sopra e servitele con sugo di carne ed agro di limone, oppure con sugo di
pomodoro.
314. POLPETTE
Non crediate che io abbia la pretensione
d'insegnarvi a far le polpette. Questo è un piatto che tutti lo sanno
fare cominciando dal ciuco, il quale fu forse il primo a darne il modello al
genere umano. Intendo soltanto dirvi come esse si preparino da qualcuno con
carne lessa avanzata; se poi le voleste fare più semplici o di carne
cruda, non è necessario tanto condimento.
Tritate il lesso colla lunetta e tritate a parte
una fetta di prosciutto grasso e magro per unirla al medesimo. Condite con
parmigiano, sale, pepe, odore di spezie, uva passolina, pinoli, alcune
cucchiaiate di pappa, fatta con una midolla di pane cotta nel brodo o nel
latte, legando il composto con un uovo o due a seconda della quantità.
Formate tante pallottole del volume di un uovo, schiacciate ai poli come il
globo terrestre, panatele e friggetele nell'olio o nel lardo. Poi
con un soffrittino d'aglio e prezzemolo e l'unto rimasto nella padella
passatele in una teglia, ornandole con una salsa d'uova e agro di limone.
Se non tollerate i soffritti mettetele nella
teglia con un pezzetto di burro, ma vi avverto che i soffritti, quando siano
ben fatti, non sono nocivi, anzi eccitano lo stomaco a digerir meglio. Mi
rammento che una volta fui a pranzo con alcune signore in una trattoria di
grido la quale pretendeva di cucinare alla francese - troppo alla francese! -
ove ci fu dato un piatto di animelle coi piselli. Tanto quelle che questi erano
freschi e di primissima qualità, ma essendo stati tirati a cottura
nell'umido del solo burro senza soffritto, e almeno un buon sugo, e senza aromi
di sorta, nel mangiare quella pietanza, che poteva riuscire un eccellente
manicaretto, si sentiva che lo stomaco non l'abbracciava e a tutti
riuscì pesante nella digestione.
315. POLPETTONE
Signor polpettone, venite avanti, non vi
peritate; voglio presentare anche voi ai miei lettori.
Lo so che siete modesto ed umile perché, veduta
la vostra origine, vi sapete da meno di molti altri; ma fatevi coraggio e non
dubitate che con qualche parola detta in vostro favore troverete qualcuno che
vorrà assaggiarvi e che vi farà forse anche buon viso.
Questo
polpettone si fa col lesso avanzato, e, nella sua semplicità, si mangia
pur volentieri. Levatene il grasso e tritate il magro colla lunetta; conditelo
e dosatelo in proporzione con sale, pepe, parmigiano, un uovo o due, e due o
tre cucchiaiate di pappa. Questa può essere di midolla di pane cotta nel
latte, o nel brodo, o semplicemente nell'acqua aggraziata con un po' di burro.
Mescolate ogni cosa insieme, formatene un pane ovale, infarinatelo; indi
friggetelo nel lardo o nell'olio e vedrete che da morbido qual era da prima,
diverrà sodo e formerà alla superficie una crosticina. Tolto
dalla padella, mettetelo a soffriggere nel burro da ambedue le parti entro a un
tegame, e quando siete per mandarlo in tavola, legatelo con due uova frullate,
una presa di sale e mezzo limone. Questa salsa fatela a parte in una cazzarolina,
regolandovi come si trattasse di una crema, e versatela sopra il polpettone
quando l'avrete messo in un vassoio.
Per non sciuparlo, se è grosso, quando
l'avete in padella rivoltatelo con un piatto o con un coperchio di rame come
fareste per una frittata.
316. POLPETTONE DI CARNE CRUDA ALLA FIORENTINA
Prendete mezzo chilogrammo, senz'osso, di carne
magra di vitella, nettatela dalle pelletiche e dalle callosità e prima
con un coltello a colpo, poi colla lunetta tritatela fine insieme con una fetta
di prosciutto grasso e magro. Conditela con poco sale, pepe e spezie,
aggiungete un uovo, mescolate bene e colle mani bagnate formatene una palla e
infarinatela.
Fate un battutino con poca cipolla (quanto una
noce), prezzemolo, sedano e carota, mettetelo al fuoco con un pezzetto di burro
e quando avrà preso colore gettate dentro il polpettone. Rosolatelo da
tutte le parti e poi versate nel recipiente mezzo bicchiere abbondante d'acqua
in cui avrete stemperata mezza cucchiaiata di farina; copritelo e fatelo
bollire a lentissimo fuoco badando che non si attacchi. Quando lo servite, col
suo intinto denso all'intorno, strizzategli sopra mezzo limone.
Se lo volete alla piemontese, altro non resta a
fare che collocare nel centro della palla, quando la formate, un uovo sodo
sgusciato, il quale serve a dar bellezza al polpettone quando si taglia a
fette. Non è piatto da disprezzarsi.
317. QUENELLES
Le quenelles costituiscono un piatto di origine e
di natura francese, come apparisce dal nome, che non ha corrispondente nella
lingua italiana, e fu inventato forse da un cuoco il cui padrone non aveva
denti.
Vitella di latte, grammi 120.
Grasso di rognone di vitella di latte, grammi 80,
Farina, grammi 50.
Burro, grammi 30.
Uova, uno e un rosso.
Latte, decilitri 2.
Nettate bene la carne dalle pelletiche e il
grasso dalle pellicine che lo investono e, dopo averli pesati, tritateli
più che potete col coltello e con la lunetta, indi pestateli nel mortaio
finché non sian ridotti a una pasta finissima.
Fate una balsamella con la farina, il
burro e il latte soprannotati e quando sarà diaccia uniteci la roba
pestata, le uova, il condimento di solo sale e mescolate ben bene ogni cosa
insieme. Distendete sulla spianatoia un velo di farina, versateci sopra il
composto e, leggermente infarinato, tiratelo a bastoncino in modo da ottenere
18 o 20 rocchi, simili alle salsicce, lunghi un dito.
Mettete dell'acqua al fuoco in un vaso largo e
quando bolle gettateci le quenelles; fatele bollire 8 o 10 minuti e le
vedrete rigonfiare. Allora con la mestola un po' forata levatele asciutte e
servitele sguazzanti nella salsa di pomodoro n.
Se vi servite della salsa di pomodoro, che
è la più opportuna per questo piatto di gusto molto delicato,
legatela con un intriso composto di grammi 30 di burro e un cucchiaio di
farina, versandola nel medesimo quando avrà preso sul fuoco il color
nocciuola.
318. AGNELLO TRIPPATO
Spezzettate grammi 500 di agnello nella lombata e
friggetelo con lardo vergine. Fate quindi in un tegame un soffritto coll'unto
rimasto in padella, aglio e prezzemolo e, quando l'aglio avrà preso
colore, gettateci l'agnello già fritto, conditelo con sale e pepe,
rivoltatelo bene e lasciatelo alquanto sopra al fuoco perché s'incorpori il
condimento. Poi legatelo con la seguente salsa: frullate in un pentolo due uova
con un buon pizzico di parmigiano grattato e mezzo limone. Versatela
nell'agnello, mescolate, e quando l'uovo sarà alquanto rappreso, servite
in tavola.
319. AGNELLO COI PISELLI ALL’USO DI ROMAGNA
Prendete un quarto d'agnello dalla parte di
dietro, steccatelo con due spicchi d'aglio tagliato a striscioline e con
qualche ciocca di ramerino; dico ciocche e non foglie, perché le prime si
possono levare, volendo, quando l'agnello è cotto. Prendete un pezzo di
lardone o una fetta di carnesecca e tritateli fini col coltello. Mettete
l'agnello al fuoco in un tegame con questo battuto e un poco d'olio; conditelo
con sale e pepe e fatelo rosolare. Allorché avrà preso colore,
aggiungete un pezzetto di burro, sugo di pomodoro oppure conserva sciolta nel
brodo o nell'acqua e tiratelo a cottura perfetta. Ritirate per un momento
l'agnello, versate nell'intinto i piselli e quando avranno bollito un poco,
rimettetelo sui medesimi, fateli cuocere e serviteli per contorno.
Si può cucinare nella stessa maniera un
pezzo di vitella di latte nella lombata o nel culaccio.
In Toscana questi piatti si manipolano nella
stessa guisa, ma si fa uso del solo olio.
320. SPALLA D’AGNELLO ALL’UNGHERESE
Se non è all'ungherese sarà alla
spagnola o alla fiamminga; il nome poco importa, purché incontri, come credo,
il gusto di chi la mangia.
Tagliate la spalla a pezzi sottili e larghi tre
dita in quadro. Trinciate due cipolle novelline oppure tre o quattro cipolline
bianche; mettetele a soffriggere con un pezzetto di burro e quando avranno
preso il rosso cupo buttate giù l'agnello e conditelo con sale e pepe.
Aspettate che la carne cominci a colorire ed aggiungete un altro pezzetto di
burro intriso nella farina; mescolate e fategli prendere un bel colore, poi
tiratelo a cottura con brodo versato a poco per volta. Non mandatelo in tavola
asciutto, ma con una certa quantità del suo sugo.
321. TESTICCIUOLA D’AGNELLO
Per mettere in umido la testicciuola d'agnello
non fate come quella serva a cui il padrone avendo detto che la dividesse in
due parti la tagliò per traverso; fu la stessa brava ragazza che
un'altra volta aveva infilato i tordi nello spiedo dal di dietro al davanti.
Tagliate dunque la testicciuola per la sua lunghezza e così come stanno
i due pezzi naturalmente, metteteli a cuocere in un largo tegame; ma fate prima
un soffritto d'aglio, prezzemolo e olio, e quando avrà preso colore,
fermatelo con un ramaiuolo di brodo. Buttata giù la testicciuola,
conditela con sale e pepe, aggiungete a mezza cottura un pezzetto di burro, un
poco di sugo o conserva di pomodoro e tiratela a cottura con altro brodo, se
occorre.
È un piatto da non presentarsi ad
estranei, ma per famiglia è di poca spesa e gustoso; la parte intorno
all'occhio è la più delicata.
322. COTEGHINO FASCIATO
Non ve lo do per un piatto fine, ma come piatto
di famiglia può benissimo andare, anzi potrete anche imbandirlo agli
amici di confidenza. A proposito di questi, il Giusti dice che coloro i quali
sono in grado di poterlo fare, devono di quando in quando invitarli ad ungersi
i baffi alla loro tavola. Ed io sono dello stesso parere, anche nel supposto
che gli invitati vadano poi a lavarsi la bocca di voi, come è probabile,
sul trattamento avuto.
Prendete un coteghino del peso di grammi 300
circa e spellatelo da crudo.
Prendete una braciuola di magro di vitella o di
manzo del peso di grammi
Involtate con essa il coteghino, ammagliatelo
tutto col refe e mettetelo al fuoco in una cazzaruola insieme con un pezzetto
di burro, sedano, carota e un quarto di cipolla, il tutto tagliato
all'ingrosso.
Sale e pepe non occorrono perché il coteghino
contiene ad esuberanza questi condimenti.
Se col sugo vi piacesse di condire una minestra
di maccheroni, aggiungete alcune fettine di prosciutto grasso e magro, oppure
di carnesecca. Quando il pezzo avrà preso colore da tutte le parti,
versate acqua bastante a ricoprirlo per metà e alcuni pezzetti di funghi
secchi, facendolo bollire adagino fino a cottura completa. Passate il sugo,
unite al medesimo i funghi anzidetti e con questo, cacio e burro condite i
maccheroni, servendo il coteghino fasciato, sciolto dal refe, con alquanto del
suo sugo all'intorno, per companatico.
Il sugo per condire la minestra sarà bene
condensarlo alquanto con un pizzico di farina. Mettetela in una cazzaruola con
un pezzetto di burro e quando comincia a prender colore versateci il sugo e
fatelo bollire un poco.
A questo piatto si addice molto il contorno di
carote, prima lessate a due terzi di cottura, poi rifatte in quel sugo.
323. STUFATINO DI MUSCOLO
Ognun sa che i muscoli di tutte le bestie,
compresa la bestia uomo, sono fasci di fibre che costituiscono la carne
in genere; ma muscolo volgarmente si chiama in Firenze quella carne di
vitella che, per essere alla estremità della coscia o della spalla verso
le gambe, contiene tendini morbidi e gelatinosi che si addicono a questa
cucinatura. Tagliate a pezzetti grammi 500 di muscolo di vitella o di
vitella di latte. Mettete al fuoco dell'olio con due spicchi d'aglio senza
sbucciarli, ma alquanto ammaccati; lasciate soffriggere e quindi gettateci la
carne, condendola con sale e pepe. Rosolata che sia, spargetele sopra mezza cucchiaiata
di farina, aggiungete sugo di pomodoro o conserva e un pezzetto di burro;
quindi acqua o brodo, a poco per volta, e tiratela a cottura; ma fate in
maniera che vi resti dell'intinto. Disponete sopra un vassoio delle fette di
pane arrostito, versate sopra le medesime lo stufatino e mandatelo in tavola.
Potete anche servirlo senza crostini e metterci dei funghi freschi, tagliati a
fette, oppure delle patate quando la carne sarà quasi cotta.
324. STUFATINO DI PETTO DI VITELLA DI LATTE COI
FINOCCHI
Spezzettate
il petto di vitella di latte lasciandogli le sue ossa. Fate un battuto con
aglio, prezzemolo, sedano, carota e una fetta proporzionata di carnesecca;
aggiungete olio, pepe, sale e mettetelo al fuoco insieme colla carne suddetta.
Rivoltatela spesso, e quando sarà rosolata alquanto, spargete sulla
medesima un pizzico di farina, un po' di sugo di pomodoro o conserva e tiratela
a cottura con brodo o acqua. Per ultimo aggiungete un pezzetto di burro e i
finocchi tagliati a grossi spicchi già ridotti a mezza cottura
nell'acqua e soffritti nel burro. La cazzaruola, tanto in questo che negli
altri stufati, tenetela sempre coperta.
Quando parlo di cazzaruole intendo quelle di rame
bene stagnate. Hanno a dir quel che vogliono, ma il rame, tenuto pulito, è
da preferirsi sempre ai vasi di ferro e di terra, perché quelli si arroventano
e bruciano le vivande; questa screpola e suzza gli untumi e col troppo uso
comunica qualcosa che sa di lezzo.
325. VITELLA DI LATTE IN GUAZZETTO
Riesce un umido di non molto sapore, ma semplice
e sano, perciò lo descrivo. Prendete vitella di latte nel sottonoce o
nel culaccio, battetela, legatela perché stia raccolta e ponetela in cazzaruola
come appresso.
Ammesso che
il pezzo della carne sia grammi 500 senz'osso, coprite il fondo della
cazzaruola con grammi 30 di carnesecca a fette sottilissime e grammi 30 di
burro e sopra a questo strato collocate meno di mezzo limone tagliato in
quattro fette sottili alle quali leverete la corteccia e i semi. Sopra a queste
cose ponete la vitella per rosolarla ben bene da tutte le parti; ma badate che
non prenda di bruciato a motivo del poco umido che vi si trova. Fatto questo,
scolate l'unto superfluo, conditela con sale e pepe e poco dopo bagnatela con
un bicchiere di latte caldo, che avrete prima fatto alquanto bollire a parte,
ma non vi sgomentate se questo impazzirà, com'è probabile.
Coprite la cazzaruola con carta a doppio e, a
fuoco lento, tirate il pezzo della carne a cottura; quando sarete per servirla
passate il sugo.
Questa dose potrà bastare per quattro
persone.
326. PETTO DI VITELLA DI LATTE RIPIENO
In termine culinario si chiamerebbe petto
farsito.
Petto di vitella di latte tutto in un pezzo,
grammi 500.
Magro di vitella di latte senz'osso, grammi 170.
Prosciutto grasso e magro, grammi 40.
Mortadella di Bologna, grammi 40.
Parmigiano, grammi 15.
Uova, n. l.
Un quarto appena di spicchio d'aglio e 4 o 5
foglie di prezzemolo.
Fate un composto col suddetto magro di vitella di
latte in questa maniera: nettatelo dai tendini e dalle pelletiche, se vi sono,
e tritatelo finissimo con un pezzetto di grasso di prosciutto levato dai
suddetti
Disossate il petto dalle ossa dure e lasciategli
le tenere; apritelo nel tessuto connettente passando il coltello al di sotto
delle costole sì che diventi doppio di superficie come si fa di un libro
quando si apre. Sopra la metà del petto dove sono rimaste le ossa
tenere, distendete parte del composto e sopra a questo disponete parte del prosciutto
o della mortadella tagliati a strisce larghe un dito intercalandole a poca
distanza tra loro. Sopra a questo primo strato ponetene un secondo e un terzo,
se avete roba sufficiente, tramezzando sempre il composto e i salumi. Finita
l'operazione tirate sopra al ripieno l'altra metà del petto rimasta
nuda, per chiudere, come sarebbe a dire, il libro e con un ago grosso e refe
cucite gli orli perché il ripieno non ischizzi fuori; oltre a ciò
legatelo stretto in croce con lo spago. Così acconciato mettetelo al
fuoco in una cazzaruola con un pezzo di burro, sale e pepe, e quando
avrà preso colore da ambedue le parti, portatelo a cottura con acqua
versata a poco per volta.
Servitelo caldo col suo sugo ristretto; ma prima
scioglietelo dallo spago e dal refe. Se è venuto bene deve potersi
tagliare a fette e far bella mostra di sé coi suoi lardelli. Potete contornarlo
di piselli freschi cotti nel suo sugo, o di finocchi tagliati a spicchi, ma
prima lessati.
327. ARROSTINI DI VITELLA DI LATTE ALLA SALVIA
Questo piatto si forma con la lombata di vitella
di latte priva di pelletiche e col suo osso attaccato, e tagliata a braciuole
sottili. Servitevi di una sauté o di una teglia di rame, e mettetela al
fuoco con alcune foglie intere di salvia e un pezzo di burro proporzionato. Quando
avrà soffritto un poco gettateci le braciuole e mentre rosolano, a fuoco
vivo, salatele da ambedue le parti, poi spargeteci un po' di farina e terminate
di cuocerle con la marsala. Devono restare con poco umido.
Dato che con grammi 500 circa di lombata, pulita
dal superfluo, formiate sei di dette braciuole, basterà un dito scarso
(di bicchiere) di marsala, e se mai un po' di sugo di pomodoro; della farina un
cucchiaino.
328. LOMBO DI MAIALE RIPIENO
Per lombo qui s'intende un pezzo di lombata dalla
parte che non ha costole.
Lombo di maiale, chilogrammi l.
Rete di maiale, grammi 100.
Magro di vitella di latte, grammi 100.
Prosciutto grasso e magro, grammi 50.
Mortadella, grammi 50.
Midollo, grammi 30.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Un rosso d'uovo.
Odore di noce moscata a chi piace.
Rosolate nel burro la vitella di latte e tanto
questa che il prosciutto e la mortadella tritateli coi coltello e poi pestateli
nel mortaio per ridurli finissimi. Versate questo pesto sul tagliere, unitevi
il midollo, il parmigiano e il rosso d'uovo, conditelo scarsamente con sale,
pepe e noce moscata, e con la lama di un coltello riducetelo a poltiglia tutta
eguale. Ora levate il grasso superficiale alla lombata, disossatela e poi
tagliatela in sette od otto braciuole, ma in modo che restino tutte unite alla
base per poterle aprire come i fogli di un libro e sopra ad ognuna di queste
appiccicate una cucchiaiata della detta poltiglia; poi unitele insieme per
formarne un rotolo che spolverizzerete di sale e pepe e legherete stretto con
lo spago. Fatto ciò copritelo con la rete di maiale, legandola con un
filo onde vi stia aderente, e cuocetelo a lento fuoco in cazzaruola senza
null'altro. Tre ore di cottura potranno bastare e servirà per otto
persone.
È un piatto buono, tanto caldo che freddo,
e non grave; ma servito caldo potrete mandarlo in tavola accompagnato da un
erbaggio rifatto nel suo unto. Per tagliarlo a fette devesi trinciare non nel
senso delle divisioni, ma pel contrario, che così farà bella
mostra.
329. BUE GAROFANATO
Per bue, intendo carne grossa, comprendendovi
cioè il manzo e la vitella.
Prendete un
bel tocco di magro nella coscia o nel culaccio, battetelo, e ponetelo in
infusione nel vino la sera per la mattina di poi. Dato che il pezzo sia di un
chilogrammo all'incirca, steccatelo con lardone e quattro chiodi di garofani,
legatelo e mettetelo al fuoco con mezza cipolla tagliata a fette sottili, burro
e olio in quantità eguali e salatelo. Rosolatelo da tutte le parti e
strutta la cipolla, versate un bicchier d'acqua e, coperta la bocca della
cazzaruola con un foglio di carta a due o tre doppi tenuti fermi dal coperchio,
fatelo bollire adagio fino a cottura. Scioglietelo e servitelo coi suo sugo
all'intorno, passato e digrassato. I lardelli di lardone, come vi ho detto
altre volte, è bene tenerli grossi un dito e condirli con sale e pepe.
Non lo credo cibo confacente agli stomachi
deboli.
330. ANIMELLE ALLA BOTTIGLIA
Quelle d'agnello non hanno bisogno di alcuna
preparazione; a quelle di bestia più grossa bisogna dare mezza cottura
nell'acqua, spellandole, se occorre. Le prime lasciatele intere, le seconde
tagliatele a pezzi e sì le une che le altre infarinatele bene e
mettetele a rosolare nel burro condendole con sale e pepe. Poi bagnatele con
vino di Marsala o di Madera, e dopo fate loro alzare un solo bollore. Si
può anche tirare la salsa a parte con una presa di farina, un pezzetto
di burro e il vino.
Se poi le aggraziate col sugo di carne, da buone
che sono, diventeranno squisite.
331. TRIPPA COL SUGO
La trippa, comunque cucinata e condita, è
sempre un piatto ordinario. La giudico poco confacente agli stomachi deboli e
delicati, meno forse quella cucinata dai Milanesi, i quali hanno trovato modo
di renderla tenera e leggiera, non che quella alla côrsa che vi
descriverò più sotto. In alcune città si vende lessata e
questo fa comodo; non trovandola tale, lessatela in casa e preferite quella
grossa cordonata. Lessata che sia, tagliatela a strisce larghe mezzo dito ed
asciugatela fra le pieghe di un canovaccio. Mettetela poi in una cazzaruola a
soffriggere nel burro e quando lo avrà tirato, aggiungete sugo di carne
o, non avendo questo, sugo di pomodoro; conditela con sale e pepe, tiratela a
cottura più che potete e quando siete per levarla, gettateci un pizzico
di parmigiano.
332. TRIPPA LEGATA COLLE UOVA
Lessate e tagliate la trippa come quella della
ricetta precedente, poi mettetela al fuoco in un soffritto di aglio, prezzemolo
e burro, conditela con sale e pepe, e quando la credete cotta legatela con uova
frullate, agro di limone e parmigiano.
333. TRIPPA ALLA CÔRSA
Sentirete una trippa unica nel suo genere, di
grato sapore e facile a digerirsi, superiore a tutte le altre fin qui
conosciute; ma il segreto sta nel trattarla con sugo di carne ben fatto e in
grande abbondanza, perché ne assorbe molto. Oltre a ciò, è un
piatto che non può farsi che in quei paesi ove si usa vendere le zampe
delle bestie bovine rasate dal pelo, per la ragione che quella cotenna collosa
è necessaria a legare il sugo.
Trippa cruda, grammi 700.
Zampa senz'osso, grammi 100.
Burro, grammi 80.
Lardone, grammi 70.
La metà di una grossa cipolla.
Due piccoli spicchi d'aglio.
Odore di noce moscata e spezie.
Sugo di carne, quanto basta.
Un pugnello di parmigiano.
Dico cruda la trippa, perché in molti
paesi si usa di venderla lessata.
Dopo averla lavata ben bene, tagliatela a strisce
non più larghe di mezzo dito e così pure la zampa. Fatto questo,
trinciate minuta la cipolla e mettetela al fuoco col burro, e quando comincia a
prender colore aggiungete il lardone tritato fine colla lunetta insieme
coll'aglio. Allorché questo soffritto avrà preso il color nocciuola,
gettateci la trippa e la zampa condendole con sale, pepe e gli aromi indicati,
ma questi ultimi a scarsa misura. Fatela bollire finché sarà asciutta,
indi bagnatela col sugo e col medesimo finite di cuocerla a fuoco lento onde
ridurla tenera, per il che ci vorranno in tutto da
334. POLPETTE DI TRIPPA
Questo piatto, tolto da un trattato di cucina del
1694, vi parrà strano e il solo nome di trippa vi renderà
titubanti a provarlo; ma pure, sebbene di carattere triviale, coi condimenti
che lo aiutano, riesce gradito e non grave allo stomaco.
Trippa lessata, grammi 350.
Prosciutto più magro che grasso, grammi
100.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Midollo di bue, grammi 20.
Uova, n. 2.
Un buon pizzico di prezzemolo.
Odore di spezie o di noce moscata.
Pappa non liquida, fatta di pane bagnato col
brodo o col latte, due cucchiaiate.
Tritate con la lunetta la trippa quanto
più potete finissima. Fate lo stesso del prosciutto, del midollo e del
prezzemolo, aggiungete le uova, il resto, un poco di sale e mescolate. Con
questo composto formate 12 o 13 polpette, che potranno bastare per quattro
persone, infarinatele bene e friggetele nell'olio o nel lardo.
Ora fate un battutino con un quarto scarso di
cipolla di mediocre grossezza e mettetelo in una teglia proporzionata con gr.
60 di burro e, colorito che sia, collocateci le polpette, annaffiatele dopo
poco con sugo di pomodoro o conserva sciolta nel brodo, copritele e fatele
bollire adagio una diecina di minuti, rivoltandole; quindi mandatele in tavola
con un po' del loro intinto e spolverizzate di parmigiano. L'autore aggiunge al
composto uva passolina e pinoli, ma se ne può fare a meno.
335. ZAMPA BURRATA
La trippa, per analogia di cucinatura e
d'aspetto, richiama alla memoria la zampa burrata che è un piatto di
carattere e di fisonomia del tutto fiorentina che va lodato perché nutriente e
di natura gentile. Usandosi in Firenze di macellare bestie bovine giovani, se
n'è tirato partito per far servire come alimento quello che in altri
paesi si lascia unito alla pelle per farne cuoio; intendo dire delle zampe,
che, dal ginocchio in giù, vengon rase dal pelo e così belle e
bianche son vendute a pezzi od intere.
Prendasi dunque un buon pezzo di questa zampa e
si lessi, poi si disossi, si tagli a pezzetti e si metta al fuoco con burro,
sale e pepe, un po' di sugo di carne e parmigiano quando si leva. Mancando il
sugo di carne, può supplire discretamente il sugo o la conserva di
pomodoro.
Di questo piatto prese una solenne indigestione
una signora attempata che era in casa mia, forse perché ne mangiò troppa
e la molta cottura che richiede non la rese abbastanza morbida.
336. LINGUA IN UMIDO
Prendete una lingua di manzo che, senza la
pappagorgia, potrà pesare un chilogrammo all'incirca. Lessatela quel
tanto che basti per poterla spellare, e poi trattatela come appresso:
Fate un battuto generoso con grammi 50 di
prosciutto grasso e magro, la metà di una cipolla di mezzana grandezza,
sedano, carota e prezzemolo, e mettetelo al fuoco con grammi 50 di burro
insieme con la lingua condita con sale e pepe. Rosolata che sia, tiratela a
cottura con brodo versato a poco per volta e sugo di pomodoro o conserva; poi
passate il sugo. Fate a parte un intriso con grammi 20 di burro e una
cucchiaiata rasa di farina e quando avrà preso il color nocciuola
versateci dentro il detto sugo e nel medesimo rimettete la lingua per tenerla
ancora alquanto sul fuoco e poi servitela tagliata a fette grosse un centimetro
con un contorno di sedano o altro erbaggio rifatto nel medesimo sugo.
È un piatto che potrà bastare per
sette od otto persone.
337. FEGATO DI VITELLA DI LATTE ALLA MILITARE
Tritate ben fine uno scalogno o una cipolla
novellina, fatela soffriggere in olio e burro, e quando avrà preso il
colore rosso carico, gettateci il fegato tagliato a fette sottili. A mezza
cottura conditelo con sale, pepe e un pizzico di prezzemolo trito. Fatelo
bollire adagio onde resti sugoso, e servitelo col suo sugo, unendovi l'agro di
un limone quando lo mandate in tavola.
338. BRACIUOLE DI CASTRATO E FILETTO DI VITELLA
ALLA FINANZIERA
Ponete nel fondo di una cazzaruola una fetta di
prosciutto, alquanto burro, un mazzettino composto di carota, sedano e gambi di
prezzemolo, e sopra a queste cose delle braciuole intere di castrato nella
lombata, che condirete con sale e pepe. Fatele rosolare da ambedue le parti,
aggiungete un altro pezzetto di burro, se occorre, e unite alle braciuole
ventrigli di pollo, e dopo fegatini, animelle e funghi freschi o secchi,
già rammolliti, il tutto tagliato a pezzi; quando anche queste cose
avranno preso colore, bagnate con brodo e fate cuocere a fuoco lento. Legate
l'umido con un po' di farina, e per ultimo versate mezzo bicchiere, od anche
meno, di vino bianco buono, fatto prima scemare di metà al fuoco, in un
vaso a parte, e fate bollire ancora un poco perché s'incorpori. Quando siete
per mandarlo in tavola levate il prosciutto e il mazzetto, passate il sugo dal
colino e digrassatelo.
Nella stessa maniera si può fare un pezzo
di filetto di vitella, invece del castrato, aggiungendo ai detti ingredienti
anche dei piselli. Se farete questi due piatti con attenzione, sentirete che
sono squisiti.
339. BRACIOLINE RIPIENE CON CARCIOFI
Ai carciofi levate tutte le foglie dure e
tagliateli in quattro o cinque spicchi. Prendete una fetta di prosciutto grasso
e magro, tritatelo fine fine, mescolatelo con un poco di burro e con questo
composto spalmate gli spicchi dei carciofi. Battete e spianate le bracioline,
che possono essere di vitella o di manzo, conditele con sale e pepe e ponete in
mezzo a ciascuna due o tre dei detti spicchi, poi avvolgetele e legatele in
croce con un filo. Fate un battutino con poca cipolla, mettetelo in una
cazzaruola con burro e olio e quando la cipolla sarà ben rosolata
collocateci le bracioline e conditele ancora con sale e pepe. Rosolate che
sieno, tiratele a cottura con sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua, e
quando le mandate in tavola scioglietele dal filo.
340. FILETTO COLLA MARSALA
La carne del filetto è la più
tenera, ma se quel briccone del macellaio vi dà la parte tendinosa,
andate franco che ne resterà la metà pel gatto.
Arrocchiatelo, legatelo, e, dato che sia un
chilogrammo all'incirca, mettetelo al fuoco con una cipolla di mediocre
grandezza tagliata a fette sottili, insieme con alcune fettine di prosciutto e
un pezzo di burro: conditelo poco con sale e pepe. Quando sarà rosolato
da tutte le parti e consumata la cipolla, spargetegli sopra un pizzico di
farina, lasciatelo prender colore e poi bagnatelo con brodo o acqua. Fate
bollire adagio, indi passate il sugo, digrassatelo e con questo e tre dita (di
bicchiere) di marsala rimettetelo al fuoco a bollire ancora, ma lentamente;
mandatelo in tavola con sugo ristretto, ma non denso per troppa farina.
Si può anche steccare il filetto con
lardone e cuocerlo con solo burro e marsala.
341. FILETTO ALLA PARIGINA
Poiché spesso sentesi chiedere nelle trattorie il
filetto alla parigina, forse perché piatto semplice, sano e nutriente,
bisognerà pure dirne due parole e indicare come viene cucinato. Fatevi
tagliare dal macellaio, nel miglior posto del filetto di manzo, delle braciole
rotonde, grosse circa mezzo dito, e queste mettetele a soffriggere nel burro
dopo che esso avrà preso colore a fuoco ben vivo; sale e pepe per
condimento, e quando avranno fatto la crosticina da tutte le parti onde dentro
restino succose e poco cotte, spargeteci sopra un pizzico di prezzemolo tritato
e levatele subito: ma prima di portarle in tavola copritele con sugo di carne o
con una salsa consimile, oppure, che è cosa più semplice, nel
sugo rimasto dopo la cottura gettateci un pizzico di farina e con brodo, fate
un intriso e servitevi di questo invece del sugo.
342. CARNE ALLA GENOVESE
Prendete una braciuola magra di vitella del peso
di grammi
Quando
sarà ben rosolata da tutte le parti, bagnatela con brodo per finire di
cuocerla e servitela col suo sugo, che a motivo della farina riuscirà
alquanto denso.
343. SFORMATO DI SEMOLINO RIPIENO DI CARNE
Gli sformati ripieni di bracioline o di rigaglie
si fanno ordinariamente di erbaggi, di riso o di semolino; se di quest'ultimo,
servitevi della ricetta n. 230, mescolate tutto il burro e il parmigiano entro
al composto, versatelo in una forma liscia, oppure col buco in mezzo che avrete
prima imburrata, coprendone il fondo con carta unta egualmente col burro. Il
ripieno di carne, che porrete in mezzo al semolino o nel buco dello stampo,
tiratelo a sapor delicato con odore di tartufi o di funghi secchi. Cuocetelo a
bagno-maria e servitelo caldo con alquanto sugo sopra, per dargli migliore
apparenza.
344. SFORMATO DI PASTA LIEVITA
Questo sformato di pasta lievita serve come di
pane per mangiare con esso il suo contenuto, che può essere un umido
qualunque di carne o di funghi.
Farina d'Ungheria, grammi 300.
Burro, grammi 70.
Altro burro, grammi 30.
Lievito di birra, grammi 30.
Rossi d'uovo, n. 3.
Panna, o latte buonissimo, decilitri 2.
Sale, quanto basta.
Vi avverto che la panna sarà troppa al bisogno.
Con un quarto della detta farina, il lievito di
birra e un poco della detta panna tiepida formate un panino come quello dei
Krapfen e mettetelo a lievitare. Intridete il resto della farina, coi grammi 70
di burro, sciolto d'inverno, i rossi d'uovo, il sale, il panino quando
sarà cresciuto del doppio e tanta panna tiepida da ottenerne una pasta
di giusta consistenza da potersi lavorare col mestolo entro a una catinella.
Quando con la lavorazione darà cenno di distaccarsi dalle pareti del
vaso, mettetela a lievitare in luogo tiepido e, ciò ottenuto, versatela
sulla spianatoia sopra a un velo di farina e con le mani infarinate spianatela
alla grossezza di mezzo centimetro.
Prendete uno stampo liscio col buco in mezzo
della capacità di circa un litro e mezzo di acqua, perché con la pasta
deve riempirsi solo per metà, ungetelo e infarinatelo e, tagliata la
pasta a strisce, disponetele in questa maniera. Ad ogni suolo di strisce,
finché ne avrete, ungetele coi grammi 30 di burro soprindicato servendovi di un
pennello. Coprite lo stampo e messo nuovamente a lievitare il composto, quando
sarà arrivato alla bocca, cuocetelo al forno o al forno da campagna.
Riempitelo dopo averlo sformato e mandatelo in
tavola per servire cinque o sei persone.
345. SFORMATO DI RISO COL SUGO GUARNITO DI
RIGAGLIE
Tirate un buon sugo di carne e servitevi del
medesimo tanto pel riso che per le rigaglie. Queste, a cui potete aggiungere
qualche fettina di prosciutto, fatele dapprima soffriggere nel burro, conditele
con sale e pepe e tiratele a cottura col detto sugo. L'odore dei funghi o dei
tartufi non fa che bene.
Il riso fatelo soffriggere ugualmente nel burro
così all'asciutto, poi tiratelo a cottura coll'acqua bollente e dategli
grazia e sapore col detto sugo, e per ultimo col parmigiano. Ammesso che il
riso sia grammi 300, uniteci due uova frullate quando avrà perduto il
forte calore.
Prendete una forma liscia, tonda od ovale,
ungetela col burro, copritene il fondo con una carta imburrata e versateci il
riso per assodarlo al forno da campagna. Quando lo avrete sformato versateci
sopra il sugo delle rigaglie, che avrete prima condensato alquanto con un
pizzico di farina, e servitelo colle sue rigaglie in giro, avvertendovi che
queste devono diguazzare nel sugo.
346. SFORMATO DELLA SIGNORA ADELE
La bella e gentilissima signora Adele desidera vi
faccia conoscere questo suo sformato di gusto assai delicato.
Burro, grammi 100.
Farina, grammi 80.
Gruiera, grammi 70.
Latte, mezzo litro.
Uova, n. 4.
Fate una balsamella con la farina, il
latte e il burro, e prima di levarla dal fuoco aggiungete il gruiera grattato o
a pezzettini e salatela. Non più a bollore gettateci le uova, prima i
rossi, uno alla volta, poi le chiare montate. Versatelo in uno stampo liscio col
buco in mezzo dopo averlo unto col burro e spolverizzato di pangrattato, e
cuocetelo al forno da campagna per mandarlo in tavola ripieno di un umido di
rigaglie di pollo e di animelle. Potrà bastare per sei persone.
347. BUDINO ALLA GENOVESE
Vitella di latte, grammi 150.
Un petto di pollo di circa grammi 130.
Prosciutto grasso e magro, grammi 50.
Burro, grammi 30.
Parmigiano grattato, grammi 20.
Uova, n. 3.
Odore di noce moscata.
Un pizzico di sale.
Tritate colla lunetta la vitella, il petto e il
prosciutto e poi metteteli in un mortaio insieme col burro, col parmigiano, con
un pezzetto di midolla di pane inzuppata nel latte e pestate moltissimo il
tutto per poterlo passare dallo staccio. Ponete il passato in una catinella ed
aggiungete tre cucchiaiate di balsamella n. 137, che, per questo piatto,
farete della consistenza di una pappa; unite al medesimo le uova e l'odore e
mescolate bene.
Prendete uno stampo liscio di latta, ungetelo
tutto con burro e ponete in fondo al medesimo, tagliato a misura, un foglio di
carta ugualmente unto col burro; versateci il composto e cuocetelo a
bagno-maria.
Dopo sformato, levate il foglio e sul posto di
quello spargete un intingolo composto di un fegatino di pollo tritato e cotto
nel sugo. Servitelo caldo e se vi verrà ben fatto, lo sentirete da tutti
lodare per la sua delicatezza.
Però qui viene opportuno il dire che tutti
i ripieni di carni pestate riescono più pesanti allo stomaco di quelle
vivande che hanno bisogno di essere masticate perché, come dissi in altro
luogo, la saliva è uno degli elementi che contribuiscono alla
digestione.
348. BUDINO DI CERVELLI DI MAIALE
Per le sostanze che lo compongono è un
budino nutriente ed atto ad appagare, io credo, il gusto delicato delle
signore.
Cervelli di maiale, n. 3.
Questi, che possono arrivare al peso di grammi
400 circa, richiedono:
Uova, n. 2 e un rosso.
Panna, grammi 240.
Parmigiano grattato, grammi 50.
Burro, grammi 30.
Odore di noce moscata.
Sale, quanto basta.
Per panna intendo quella densa che i lattai
preparano per montare.
Mettete al fuoco i cervelli col suddetto burro,
salateli e, rimovendoli spesso perché s'attaccano, cuoceteli; ma avvertite di
non rosolarli, indi passateli dallo staccio. Aggiungete dopo il parmigiano, la
noce moscata, le uova frullate, la panna e, mescolato bene ogni cosa, versate
il composto in uno stampo liscio, che avrete unto con burro diaccio e mettetelo
al fuoco per restringerlo a bagno-maria.
È quasi migliore freddo che caldo e questa
dose potrà bastare a sei persone.
349. PASTICCIO DI MACCHERONI
I cuochi di Romagna sono generalmente molto abili
per questo piatto complicatissimo e costoso, ma eccellente se viene fatto a
dovere, il che non è tanto facile. In quei paesi questo è il
piatto che s'imbandisce nel carnevale, durante il quale si può dire non
siavi pranzo o cena che non cominci con esso, facendolo servire, il più
delle volte, per minestra.
Ho conosciuto un famoso mangiatore romagnolo che,
giunto una sera non aspettato fra una brigata di amici, mentre essa stava con
bramosia per dar sotto a un pasticcio per dodici persone che faceva bella
mostra di sé sulla tavola, esclamò: - Come! per tante persone un
pasticcio che appena basterebbe per me? - Ebbene, gli fu risposto, se voi ve lo
mangiate tutto, noi ve lo pagheremo. - Il brav'uomo non intese a sordo e
messosi subito all'opra lo finì per intero. Allora tutti quelli della
brigata a tale spettacolo strabiliando, dissero: - Costui per certo stanotte
schianta! - Fortunatamente non fu nulla di serio; però il corpo gli si
era gonfiato in modo che la pelle tirava come quella di un tamburo, smaniava,
si contorceva, nicchiava, nicchiava forte come se avesse da partorire; ma
accorse un uomo armato di un matterello, e manovrandolo sul paziente a guisa di
chi lavora la cioccolata, gli sgonfiò il ventre, nel quale chi sa poi
quanti altri pasticci saranno entrati.
Questi grandi mangiatori e i parassiti non sono
a’ tempi nostri così comuni come nell'antichità, a mio credere,
per due ragioni: l'una, che la costituzione dei corpi umani si è
affievolita; l'altra, che certi piaceri morali, i quali sono un portato della
civiltà, subentrarono ai piaceri dei sensi.
A mio giudizio, i maccheroni che meglio si
prestano per questa pietanza sono quelli lunghi all'uso napoletano, di pasta
sopraffine e a pareti grosse e foro stretto perché reggono molto alla cottura e
succhiano più condimento.
Eccovi le dosi di un pasticcio all'uso di
Romagna, per dodici persone, che voi potrete modificare a piacere, poiché, in
tutti i modi, un pasticcio vi riuscirà sempre:
Maccheroni, grammi 350.
Parmigiano, grammi 170.
Animelle, grammi 150.
Burro, grammi 60.
Tartufi, grammi 70.
Prosciutto grasso e magro, grammi 30.
Un pugnello di funghi secchi.
Le rigaglie di 3 o 4 polli, e i loro ventrigli, i
quali possono pur anche servire, se li scattivate dai tenerumi.
Se avete oltre a ciò creste, fagiuoli e
uova non nate, meglio che mai.
Odore di noce moscata.
Tutto questo gran condimento non vi spaventi,
poiché esso sparirà sotto alla pasta frolla.
Imbiancate i maccheroni, ossia date loro
mezza cottura nell'acqua salata, levateli asciutti e passateli nel sugo n. 4, e
lì, a leggerissimo calore, lasciateli ritirare il sugo stesso, finché
sieno cotti.
Frattanto avrete fatta una balsamella metà
dose del n. 137 e tirate a cottura le rigaglie col burro, sale e una presina di
pepe, annaffiandole col sugo. Tagliate le medesime e le animelle a pezzetti
grossi quanto una piccola noce e dopo cotte, aggiungete il prosciutto a piccole
strisce, i tartufi a fettine sottili, i funghi fatti prima rinvenire nell'acqua
calda e qualche presa di noce moscata, mescolando ogni cosa insieme.
La pasta frolla suppongo l'abbiate già
pronta, avendo essa bisogno di qualche ora di riposo. Per questa servitevi della
intera dose del n. 589, ricetta A, dandole odore colla scorza di limone; ed ora
che avete preparato ogni cosa, cominciate ad incassare il vostro pasticcio, il
che si può fare in più modi; io, però, mi attengo a quello
praticato in Romagna ove si usano piatti di rame fatti appositamente e bene
stagnati. Prendetene dunque uno di grandezza proporzionata ed ungetelo tutto
col burro; sgrondate i maccheroni dal sugo superfluo e distendetene un primo
suolo che condirete con parmigiano grattato, con pezzetti di burro sparsi qua e
là e con qualche cucchiaiata di balsamella e rigaglie; ripetete
la stessa operazione finché avrete roba, colmandone il piatto.
Tirate ora, prima col matterello liscio, poi con
quello rigato, una sfoglia di pasta frolla grossa uno scudo e coprite con essa
i maccheroni fino alla base, poi tiratene due strisce larghe due dita e colle
medesime formanti una croce a traverso, rinforzate la copritura; cingetelo
all'intorno con una fasciatura larga quanto gli orli del piatto e se avete
gusto per gli ornamenti, fatene tanti quanti n'entrano colla pasta che vi
rimane, non dimenticando di guarnire la cima con un bel fiocco. Dorate l'intera
superficie con rosso d'uovo, mandate il pasticcio in forno, e in mancanza di
questo cuocetelo in casa nel forno da campagna; infine imbanditelo caldo a chi
sta col desiderio di farne una buona satolla.
350. UMIDO INCASSATO
Fate una balsamella con:
Farina, grammi 150.
Burro, grammi 70.
Parmigiano, grammi 30,
Latte, decilitri 6.
Prendete poi:
Uova, n. 3.
Sale, quanto basta.
Spinaci, un mazzetto.
Gli spinaci lessateli, spremeteli e passateli dal
setaccio. Le uova scocciatele quando ritirate la balsamella dal fuoco, e
alla metà della medesima date il color verde coi detti spinaci.
Prendete uno stampo di rame fatto a ciambella,
col buco in mezzo e scannellato all'ingiro, ungetelo bene con burro diaccio e
riempitelo prima colla balsamella verde, poi colla gialla e fatela
ristringere a bagno-maria. Sformatela calda e riempitela nel mezzo con un
intingolo ben fatto di rigaglie di pollo e di animelle, oppure di bracioline di
vitella di latte con odore di funghi o tartufi. Il manicaretto tiratelo a
cottura col burro e col sugo di carne oppure in altra maniera, facendo in modo
che riesca delicato, e vedrete che questo piatto farà bellissima figura
e sarà lodato.
351. SFORMATO DI RISO COLLE RIGAGLIE
Riso, grammi 150.
Parmigiano, grammi 30.
Burro, grammi 20.
Latte, circa decilitri 7.
Uova, n. 3.
Sale, quanto basta.
Cuocete il riso nel latte unendovi il burro,
salatelo e in ultimo, quando è diaccio, aggiungete il resto. Versatelo
in uno stampo liscio col buco in mezzo e la carta imburrata sotto, mettetelo
per poco tempo, onde non indurisca, a bagno-maria, sformatelo caldo e
guarnitelo colle rigaglie in mezzo. Questa dose potrà bastare per cinque
persone.
352. UMIDO DI RIGAGLIE DI POLLO COL SEDANO
Quando alle rigaglie di pollo si uniscono i
colli, le teste e le zampe, diventa un piatto da famiglia che tutti conoscono;
ma quando si tratta di farlo più gentile coi soli fegatini, creste, uova
non nate, fagiuoli e anche ventrigli (purché questi li scottiate prima nel
brodo e li nettiate dal tenerume), per renderlo di grato sapore e delicato,
potete regolarvi nella seguente maniera:
Prima date un terzo di cottura nell'acqua salata
al sedano tagliato lungo mezzo dito all'incirca. Poi fate un battutino di
prosciutto grasso e magro e poca cipolla, mettetelo al fuoco con burro e quando
sarà ben rosolato, versate prima i ventrigli, tagliati in tre pezzi, poi
un pizzico di farina di patate, indi i fegatini in due pezzi e tutto il resto.
Conditelo con sale, pepe e odore di spezie e quando avrà tirato il
sapore annaffiatelo con brodo e poco sugo di pomodoro o conserva. Mettete a
soffriggere a parte il sedano nel burro e quando sarà cotto versateci
dentro le rigaglie, fatelo bollire ancora alquanto, se occorre brodo
versatecene e servitele.
353. SCALOPPINE ALLA BOLOGNESE
Questo è un piatto semplice e sano che
può servire da colazione o per tramesso in un pranzo famigliare.
Magro di vitella di latte senz'osso, grammi 300.
Patate, grammi 300.
Prosciutto grasso e magro tagliato fine, grammi
80.
Burro, grammi 70.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Odore di noce moscata.
Lessate le patate non troppo cotte, o cuocetele a
vapore, il che sarebbe meglio, e dopo tagliatele a fette sottili più che
potete. Tagliate il prosciutto per traverso a striscioline larghe un dito
scarso.
Tritate minutissima la carne con un coltello a
colpo, e conditela con sale, pepe e un poco di noce moscata, perché questa e le
droghe in genere, come già sapete, sono opportune nei cibi ventosi.
Dividete questa carne in dodici parti per formarne altrettante scaloppine,
schiacciandole con la lama del coltello, poi cuocetele in bianco, cioè senza
rosolarle, con la metà del detto burro.
Prendete un piatto o un vassoio di metallo,
versateci l'unto che può esser rimasto dalla cottura e quattro
scaloppine, coprendole con la terza parte del prosciutto e sopra questo
collocate la terza parte delle patate che condirete col parmigiano e con
pezzetti del burro rimasto. Ripetete la stessa operazione per tre volte, e per
ultimo ponete il piatto a crogiolar fra due fuochi e servitelo. È un
quantitativo che può bastare per quattro o cinque persone.
354. PICCIONE COI PISELLI
Vogliono dire che la miglior morte dei piccioni
sia in umido coi piselli. Fateli dunque in umido con un battutino di cipolla,
prosciutto, olio e burro collocandovi i piccioni sopra, bagnandoli con acqua o
brodo quando avranno preso colore da tutte le parti per finirli di cuocere.
Passatene il sugo, digrassatelo e nel medesimo cuocete i piselli co' quali
contornerete i piccioni nel mandarli in tavola.
355. LESSO RIFATTO
Talvolta per mangiare il lesso più
volentieri, si usa rifarlo in umido; ma allora aspettate di avere un tocco di
carne corto e grosso, del peso non minore di mezzo chilogrammo. Levatelo dal
brodo avanti che sia cotto del tutto e mettetelo in cazzaruola sopra un battuto
di carnesecca, cipolla, sedano, carota e un pezzetto di burro, condendolo con
sale, pepe e spezie. Quando il battuto sarà strutto, tirate la carne a
cottura con sugo di pomodoro o conserva sciolta nel brodo. Passate l'intinto,
digrassatelo e rimettetelo al fuoco col pezzo della carne e con un pugnello di
funghi secchi rammolliti.
356. LESSO RIFATTO ALL’INGLESE
L'arte culinaria si potrebbe chiamare l'arte dei
nomi capricciosi e strani. Toad ín the bole, rospo nella tana;
così chiamasi questo lesso rifatto, il quale, come osserverete dalla
ricetta, e come sentirete mangiandolo, se non è un piatto squisito
sarebbe ingiuria dargli del rospo.
A Firenze mezzo chilogrammo di carne da lesso,
che può bastare per tre persone, resta, netta dell'osso, gr. 350 circa
e, prendendo questa quantità per base, frullate in un pentolo un uovo
con grammi 20 di farina e due decilitri di latte. Tagliate il lesso in fette
sottili e, preso un vassoio che regga al fuoco, scioglieteci dentro grammi 50
di burro e distendetelo sopra questo, poi conditelo con sale, pepe e spezie.
Quando avrà soffritto da una parte e dall'altra spargetegli sopra una
cucchiaiata colma di parmigiano e poi versate sul medesimo il contenuto del
pentolo. Lasciate che il liquido assodi e mandatelo in tavola.
357. LESSO RIFATTO ALL’ITALIANA
Se non vi dà noia la cipolla, questo
riesce migliore del precedente. Per la stessa quantità di lesso
trinciate gr. 150 di cipolline, mettetele in padella con grammi 50 di burro e
allorché cominciano a rosolare buttateci il lesso tagliato a fette sottili, uno
spicchio d'aglio intero, vestito e leggermente stiacciato, che poi leverete, e
conditelo con sale e pepe. Via via che accenna a prosciugare bagnatelo col
brodo e dopo sette od otto minuti uniteci un pizzico di prezzemolo tritato e il
sugo di mezzo limone, e servitelo.
358. OSSO BUCO
Questo è un piatto che bisogna lasciarlo
fare ai Milanesi, essendo una specialità della cucina lombarda. intendo
quindi descriverlo senza pretensione alcuna, nel timore di essere canzonato.
È l'osso buco un pezzo d'osso
muscoloso e bucato dell'estremità della coscia o della spalla della
vitella di latte, il quale si cuoce in umido in modo che riesca delicato e
gustoso. Mettetene al fuoco tanti pezzi quante sono le persone che dovranno
mangiarlo, sopra a un battuto crudo e tritato di cipolla, sedano, carota e un
pezzo di burro; conditelo con sale e pepe. Quando avrà preso sapore
aggiungete un altro pezzetto di burro intriso nella farina per dargli colore e
per legare il sugo e tiratelo a cottura con acqua e sugo di pomodoro o
conserva. Il sugo passatelo, digrassatelo e rimesso al fuoco, dategli odore con
buccia di limone tagliata a pezzettini, unendovi un pizzico di prezzemolo
tritato prima di levarlo dal fuoco.
359. CARNE ALL’IMPERATRICE
Vi è molta ampollosità nel titolo,
ma come piatto famigliare da colazione può andare; le dosi qui indicate
bastano per cinque persone.
Carne magra di manzo nello scannello, grammi 500.
Prosciutto grasso e magro, grammi 50.
Parmigiano grattato, cucchiaiate colme n. 3.
Uova, n. 2.
Se non avete il tritacarne per ridurre in
poltiglia tanto la carne che il prosciutto, servitevi del coltello e del
mortaio. Uniteci il parmigiano e le uova, condite il composto con sale e pepe,
mescolatelo bene, e con le mani bagnate fatene una stiacciata alta due dita.
Ponete al fuoco in una teglia o in un tegame
RIFREDDI
360. LINGUA ALLA SCARLATTA
Alla scarlatta perché prende un bel color
rosso; ed è, per aspetto e gusto, un piatto ben indovinato.
Dovendovi parlar di lingua, mi sono venuti alla
memoria questi versi del Leopardi:
Cose alfin sente sazietà, del sonno,
Della danza, del canto e dell'amore,
Piacer più cari che il parlar di lingua,
Ma sazietà di lingua il cor non sente.
È
vero, il prurito della loquacità non si sazia cogli anni, anzi cresce in
proporzione, come cresce il desiderio di una buona tavola, unico conforto ai
vecchi, ai quali però le inesorabili leggi della natura impongono di non
abusarne sotto pena di gravi malanni; l'uomo nella vecchiaia consuma meno e
l'azione degli organi facendosi via via meno attiva e le secrezioni imperfette,
si generano nel corpo umano umori superflui e malefici, quindi dolori
reumatici, gotta, colpi apoplettici e simile progenie uscita dal vaso di
madonna Pandora.
Tornando alla lingua, di cui devo parlarvi,
prendetene una di bestia grossa, cioè di vitella o di manzo, e con
grammi 20 o 30 di salnitro, a seconda del volume, strofinatela tutta finché
l'abbia tirato a sé. Dopo ventiquattr'ore lavatela con acqua fredda diverse
volte e così umida strofinatela con molto sale e lasciatela sul medesimo
otto giorni, avvertendo di voltarla ogni mattina sulla sua salamoia, prodotta
dal sale che si scioglie in acqua. Il modo migliore di cucinarla essendo di
farla lessa, mettetela al fuoco con acqua diaccia, la sua salamoia naturale, un
mazzetto guarnito e mezza cipolla steccata con due chiodi di garofani,
facendola bollire per tre o quattro ore. Spellatela quando è ancora a
bollore, lasciatela freddare e mandatela in tavola; sarà poi un rifreddo
eccellente e signorile se la contornerete con la gelatina n. 3.
Si può servire anche calda, o sola, o
accompagnata da patate oppure da spinaci.
È un piatto da non tentarsi nei grandi
calori estivi perché c'è il caso che il sale non basti per conservarla.
361. LINGUA DI VITELLA DI LATTE IN SALSA PICCANTE
Prendete una lingua tutta intera di vitella di
latte e lessatela in acqua salata, al che accorreranno circa due ore. Fate un
battutino di sedano e carota tritato fine, mettetelo a bollire con olio a buona
misura per cinque minuti e lasciatelo da parte. Fate un altro battuto con due
acciughe salate, lavate e nettate dalla spina, gr. 50 di capperi strizzati
dall'aceto, un buon pizzico di prezzemolo, una midolla di pane quanto un uovo,
bagnata appena nell'aceto, cipolla quanto una nocciuola, meno della metà
di uno spicchio d'aglio e, quando il tutto sarà ben tritato, lavoratelo
con la lama di un coltello e un gocciolo d'olio per ridurlo unito e pastoso e
poi mescolatelo col precedente battuto di sedano e carota. Per ridurlo liquido
aggiungete altr'olio e il sugo di mezzo limone, conditelo col pepe e salatelo,
se occorre. Questa è la salsa.
Spellate la lingua ancora calda, scartate la
pappagorgia co' suoi ossicini, che è buona mangiata lessa, e il resto
della lingua tagliatelo a fette sottili per coprirle con la descritta salsa e
servitela fredda.
È un piatto appetitoso, opportuno nei
calori estivi quando lo stomaco si sente svogliato.
362. SCALOPPE DI LINGUA FARSITE IN BELLA VISTA
Fra i rifreddi questo è uno dei migliori e
di bella apparenza.
Fatevi tagliare dal vostro salumaio dieci fettine
di lingua salata nella parte più grossa, il cui peso in tutto riesca
grammi 130 circa. Fatevi anche tagliare in fette sottili grammi 100 di
prosciutto cotto grasso e magro. Tagliate giro giro i bordi della lingua per
dare alle fette una forma elegante e i ritagli metteteli da parte. Poi levate
dal prosciutto dieci fettine della dimensione di quelle della lingua e i
ritagli tanto del prosciutto che della lingua gettateli nel mortaio con grammi
70 di burro e grammi 20 di un tartufo bianco e odoroso. Pestate queste cose
insieme per ridurle fini come un unguento, di cui vi servirete per ispalmare le
fette della lingua da una sola parte, ed appiccicatevi sopra le fettine del
prosciutto.
Ora che avete così composto questi dieci
pezzi, vi danno tutto il tempo che volete per metterli in gelatina. Questa
è descritta nella ricetta n. 3 e può bastar quella dose; ma due
sono le maniere per adornar con essa i pezzi suddetti. La prima consiste nel
prendere un largo piatto o una teglia, versarvi un leggero strato di gelatina
sciolta e quando comincia a condensare collocarvi sopra i pezzi e questi
coprirli con un altro strato di gelatina sciolta per levarli dopo a uno a uno
allorché siasi assodata.
La seconda sarebbe di collocare i pezzi ritti in
uno stampo a qualche distanza tra loro dopo averci colato in fondo un leggero
strato di gelatina sciolta, e di coprirli poi tutti della stessa gelatina per
isformare quindi lo stampo e mandarli in tavola tutti in un pezzo, che
così faranno più bella mostra.
In un pranzo di parecchie portate io credo che
questa dose potrebbe bastare anche per dieci persone, ma per istar sul sicuro
meglio sarà di non servirla a più di otto.
363. VITELLO TONNATO
Prendete un chilogrammo di vitella di latte,
nella coscia o nel culaccio, tutto unito e senz'osso, levategli le pelletiche e
il grasso, poi steccatelo con due acciughe. Queste lavatele, apritele in due,
levate loro la spina e tagliatele per traverso facendone in tutto otto pezzi.
Legate la carne non molto stretta e mettetela a bollire per un'ora e mezzo in
tanta acqua che vi stia sommersa e in cui avrete messo un quarto di cipolla
steccata con due chiodi di garofani, una foglia d'alloro, sedano, carota e
prezzemolo. L'acqua salatela generosamente e aspettate che bolla per gettarvi
la carne. Dopo cotta scioglietela, asciugatela e, diaccia che sia tagliatela a
fette sottili e tenetela in infusione un giorno o due in un vaso stretto, nella
seguente salsa in quantità sufficiente da ricoprirla.
Pestate grammi 100 di tonno sott'olio e due
acciughe; disfateli bene colla lama di un coltello o, meglio, passateli dallo
staccio aggiungendo olio fine in abbondanza a poco per volta e l'agro di un
limone od anche più, in modo che la salsa riesca liquida; per ultimo
mescolateci un pugnello di capperi spremuti dall'aceto. Servite il vitello
tonnato con la sua salsa e con spicchi di limone.
Il brodo colatelo e servitevene per un risotto.
364. RIFREDDO DI VITELLA DI LATTE
Una braciuola senz'osso, tutta magra, di vitella
di latte, del peso di circa grammi 400.
Altro magro della stessa carne, grammi 120.
Una grossa fetta di prosciutto grasso e magro, di
gr. 50.
Altro prosciutto come sopra, grammi 20.
Una fetta di mortadella, di grammi 50.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Burro, grammi 20.
Un petto di pollo crudo.
Un uovo.
La braciuola bagnatela coll'acqua e battetela col
batticarne per ridurla alla grossezza di un centimetro circa.
Tritate con la lunetta i suddetti gr. 120 di
magro, insieme coi suddetti gr. 20 di prosciutto e dopo pestateli nel mortaio
aggiungendo il parmigiano, il burro, l'uovo, poco sale e poco pepe per fare con
questi ingredienti il composto da tenere unito il ripieno che formerete come
appresso.
Tagliate a filetti, grossi più di un
centimetro, il petto di pollo e le due fette di mortadella e prosciutto e poi
col composto spalmate una parte della braciuola e sopra al medesimo collocate
una terza parte dei filetti, intercalandoli, poi spalmateli di sopra e
così per altre due volte. Fatto questo arrocchiate la braciuola con
entro il ripieno e ammagliatela ad uso salame per metterla al fuoco con grammi
30 di burro, sale e pepe a scarsa misura. Quando avrà preso colore,
scolate l'unto, il quale potrà servire per qualche altro piatto, e
tiratela a cottura per circa tre ore col brodo versato a poco per volta.
Diaccia che sia scioglietela dallo spago, tagliatela a fette e servitela.
Potrà bastare per 10 o 12 persone,
specialmente se la guarnite di gelatina di carne che qui ci sta a pennello.
365. POLLO IN SALSA TONNATA
Prendete un busto di pollo giovane (per busto
s'intende un pollo al quale siano state levate le interiora, il collo e le
zampe), gettatelo nella pentola quando bolle e fatelo bollire mezz'ora che
basta per cuocerlo. Quando lo levate toglietegli la pelle, ché non serve per
questo piatto, disossatelo tutto e mettetelo in pezzi per condirli con sale,
non tanto, pepe e due cucchiaiate d'olio. Dopo diverse ore che è rimasto
ammucchiato sopra un vassoio, copritelo con la seguente salsa. Dato che il
busto da crudo sia del peso di grammi 600 circa, prendete:
Tonno sott'olio, grammi 50.
Capperi strizzati dall'aceto, grammi 30.
Acciughe, n. 3.
Prezzemolo un pugno, ossia tanto che dia il
colore verde alla salsa.
Le acciughe nettatele dalle scaglie e dalle
spine. Il prezzemolo tritatelo fine con la lunetta e poi pestatelo nel mortaio
con tutto il resto per ridurre il composto della salsa finissimo. Tolto dal
mortaio mettetelo in una scodella e diluitelo con quattro cucchiaiate d'olio e
mezzo cucchiaio d'aceto. Con la metà di questa salsa inzafardate il
pollo e con l'altra metà copritelo onde faccia più bella mostra,
ma con tutto ciò, rimanendo sempre un piatto di poco grata apparenza,
potete adornarlo, quando lo mandate in tavola, con due uova sode tagliate a
spicchi messevi per contorno. Potrà bastare per sei persone ed è
un cibo appetitoso, opportuno per principio a una colazione o ad un pranzo per
gente di poco appetito, nei giorni caldi, quando lo stomaco trovasi svogliato.
Per raschiare e pulir bene il mortaio di cose
morbide o liquide, come questa salsa, è molto a proposito una grossa
fetta di patata cruda.
366. CAPPONE IN GALANTINA
Vi descriverò un cappone in galantina
fatto in casa mia e servito a un pranzo di dieci persone; ma poteva bastare per
venti, poiché, pelato, risultò chilogrammi 1,500.
Vuotato e disossato (per disossare un pollo vedi
il n. 258) rimase chilogrammi 0,700 e fu riempito con la quantità di
ingredienti che qui appresso vi descrivo:
Magro di vitella di latte, grammi 200.
Detto di maiale, grammi 200.
Mezzo petto di pollastra.
Lardone, grammi 100.
Lingua salata, grammi 80.
Prosciutto grasso e magro, grammi 40.
Tartufi neri, grammi 40.
Pistacchi, grammi 20.
Mancandovi il maiale, può servire il petto
di tacchino. I tartufi tagliateli a pezzi grossi come le nocciuole e i
pistacchi sbucciateli nell'acqua calda. Tutto il resto tagliatelo a filetti
della grossezza di un dito scarso e mettetelo da parte salando le carni.
Fate un battuto con altro maiale e con altra
vitella di latte, grammi 200 di carne in tutto, pestatelo fine in un mortaio
con grammi 60 di midolla di pane bagnata nel brodo; aggiungete un uovo, le
bucce dei tartufi, i ritagli della lingua e del prosciutto, conditelo con sale
e pepe e, quando ogni cosa è ben pesta, passatelo per istaccio.
Ora, allargate il cappone, salatelo alquanto e
cominciate a distendervi sopra un poco di battuto e poi un suolo di filetti
intercalati nelle diverse qualità, qualche pezzetto di tartufo e qualche
pistacchio; e così di seguito un suolo di filetti e una spalmatura di
battuto finché avrete roba, avvertendo che i filetti del petto di pollastra
è meglio collocarli verso la coda del cappone per non accumulare sul
petto di questo la stessa qualità di carne. Ciò eseguito tirate
su i lembi del cappone dalle due parti laterali, non badando se non si uniscono
perfettamente, che ciò non importa, e cucitelo. Legatelo per il lungo
con uno spago, involtatelo stretto in un pannolino, che avrete prima lavato,
onde togliergli l'odore di bucato, legate le due estremità del medesimo
e mettetelo a bollire nell'acqua per due ore e mezzo. Dopo scioglietelo, lavate
il pannolino, poi di nuovo rinvoltatelo e mettetelo sotto un peso in piano e in
modo che il petto del cappone resti al disotto o al disopra e in questa
posizione tenetelo per un paio d'ore almeno, onde prenda una forma alquanto
schiacciata.
L'acqua dove ha bollito il cappone può
servire per brodo e anche per la gelatina n. 3.
367. CAPPONE IN VESCICA
Si dirà che io sono armato della
virtù dell'asino, la pazienza, quando si sappia che dopo quattro prove
non riuscite, ho finalmente potuto alla quinta ed alla sesta, cuocer bene un
cappone in vescica. I primi quattro furono sacrificati a Como, il dio delle
mense, perché non avendo prese tutte le necessarie precauzioni, le vesciche si
rompevano bollendo. È un piatto però che merita di occuparsene,
visto che il cappone, già ottimo per sé stesso, diventa squisito cotto
in tale maniera.
Prendete una vescica di bue, meglio di maiale che
sembra più resistente, grande, grossa e senza difetti; lavatela bene con
acqua tiepida e tenetela in molle per un giorno o due. Sbuzzate il cappone,
levategli il collo e le zampe, gettategli nell'interno un buon pugnello di
sale, internate le estremità delle coscie, e piegate le ali aderenti al
corpo onde le punte non isfondino la vescica. Poi cucite le aperture del buzzo
e del collo e fasciatelo tutto con grammi 150 di prosciutto più magro
che grasso a fette sottilissime, legandole aderenti al cappone. Acconciato in
questa maniera ponetelo nella vescica, facendo a questa un'incisione per quel
tanto che basta e dopo cucitela fitta.
Ora prendete un cannello lungo un palmo almeno,
che serve di sfiatatoio, fategli un becco in cima a mo' di fischietto e
un'intaccatura in fondo per infilarlo e legarlo nel collo della vescica e con
questo apparecchio mettete il cappone al fuoco entro a una pentola di acqua
tiepida e lasciatelo bollire per tre ore continue col cannello di fuori, ma
badiamo bene, perché qui sta il busillis: deve bollire in modo da
veder solamente quelle piccole e rade bollicine che vengono a galla. Se il
cannello gettasse grasso o altro liquido non ne fate caso e raccoglietelo in un
tegamino. Cotto che sia il cappone lasciatelo diacciare nella sua acqua e
servitelo il giorno appresso scartando il prosciutto che ha già perduto
tutto il sapore. Entro al cappone troverete della gelatina ed altra ne potrete
aggiungere se vorrete fargli un conveniente contorno e sarà allora un
rifreddo da principe. Anche una pollastra ingrassata, se manca il cappone, si
presta all'uopo.
Sarà bene vi prevenga che l'ultima vescica
mi fu assicurato che era di maiale e che avrebbe resistito al fuoco più
di quella di bue.
368. TORDI DISOSSATI IN GELATINA
Per sei tordi prendete:
Magro di vitella di latte, grammi 100.
Lingua salata, grammi 40.
Prosciutto grasso e magro, grammi 30.
Una palla di tartufi neri di circa grammi 30.
Lasciate da parte la metà della lingua e
un terzo del prosciutto, più grasso che magro, e la carne suddetta col
resto della lingua e del prosciutto tritateli e pestateli nel mortaio insieme
con la corteccia del tartufo, rammorbidendo il composto con un gocciolo di
marsala. Poi passatelo dallo staccio ed uniteci un rosso d'uovo.
Disossate i tordi come fareste pel pollo ripieno
n. 258 e lasciate ad essi il collo e la testa attaccati; poi riempiteli col
composto descritto nel quale avrete già mescolato il tartufo, la lingua
e il prosciutto messi da parte, il tutto tagliato a dadini. Ora cuciteli in
modo da poter levare il filo quando saranno cotti, e per cuocerli avvolgete
ciascun tordo in un pezzo di velo e fateli bollire per un'ora nel brodo della
gelatina n. 3.
Serviteli per rifreddo sopra alla gelatina
medesima e se con questa formate sei stampini, grandi a modo di nido,
sembrerà che il tordo vi stia sopra a covare.
Riesce un piatto fine e delicato.
369. ÀRISTA
Si chiama àrista in Toscana la schiena di
maiale cotta arrosto o in forno, e si usa mangiarla fredda, essendo assai
migliore che calda. Per schiena di maiale s'intende, in questo caso, quel pezzo
della lombata che conserva le costole, e che può pesare anche 3 o
Steccatela con aglio, ciocche di ramerino e
qualche chiodo di garofano, ma con parsimonia, essendo odori che tornano
facilmente a gola, e conditela con sale e pepe.
Cuocetela arrosto allo spiede, che è
meglio, o mandatela al forno senz'altro, e servitevi dell'unto che butta per
rosolar patate o per rifare erbaggi.
È un piatto che può far comodo
nelle famiglie, perché d'inverno si conserva a lungo.
Durante il Concilio del 1430, convocato in
Firenze onde appianare alcune differenze tra la Chiesa romana e la greca, fu ai
vescovi e al loro seguito imbandita questa pietanza conosciuta allora con altro
nome. Trovatala di loro gusto cominciarono a dire: àrista,
àrista (buona, buona!), e quella parola greca serve ancora, dopo
quattro secoli e mezzo a significare la parte di costato del maiale cucinato in
quel modo.
370. PASTICCIO FREDDO DI CACCIAGIONE
Prendiamo, per esempio, una starna o una pernice
e con essa facciamo un pasticcio che potrà bastare per sei o sette
persone. La starna (Perdrix cinerea) si distingue dalla pernice (Perdrix
rubra) perché questa ha i piedi e il becco rosso ed è alquanto
più grossa.
Sono gallinacei dell'ordine dei Rasores;
si nutrono di vegetali, particolarmente di granaglie, e però hanno il
ventriglio a pareti molto muscolose, ed abitano i monti dei paesi temperati. Le
loro carni sono ottime, di sapor delicato; ma fra le due specie, la pernice
è da preferirsi. Eccovi gli ingredienti per questo pasticcio:
Una starna oppure una pernice alquanto frolla.
Fegatini di pollo, n. 3.
Rossi d'uovo, n. l.
Foglie d'alloro, n. 2.
Marsala, due dita di bicchiere comune.
Tartufi neri, grammi 50.
Lingua salata, grammi 50.
Prosciutto grasso e magro, grammi 30.
Burro, grammi 30.
Una midolla di pane grossa quanto un pugno.
Un piccolo battuto di cipolla, carota e sedano.
Un poco di brodo.
La starna vuotatela, lavatela e mettetela al
fuoco col detto battuto, col burro, col prosciutto tagliato a fettine, con le
foglie d'alloro intere, e conditela con sale e pepe. Quando la cipolla
avrà preso colore, bagnatela con la marsala versata poco per volta, e se
non basta per tirar la starna a mezza cottura servitevi di brodo. Tolta la
starna dal fuoco, levatele il petto e formatene otto filetti che lascierete in
disparte. Il resto tagliatelo a piccoli pezzi per tirarli a cottura intera,
unicamente ai fegatini, quello della starna compresovi.
Cotta che sia questa roba, levatela asciutta e
mettetela in un mortaio, gettando via le foglie dell'alloro. Nell'intinto che
ancora resta gettate la midolla del pane e con un poco di brodo, rimestando,
fate una pappa che verserete anch'essa nel mortaio, come pure la raschiatura
dei tartufi, e pesterete ogni cosa ben fine per passarla dallo staccio. In
questo passato stemperate il rosso d'uovo e lavoratelo bene col mestolo per
mantecarlo.
Ora, formate la pasta per coprirlo servendovi
della ricetta n. 372. Prendete uno di quegli stampi speciali per questi
pasticci, che sono fatti a barchetta o rotondi, scannellati, di ferro bianco, a
cerniera che si apre. Ungetelo col burro e, tirata la pasta sottile poco
più di uno scudo, foderatelo con la medesima e fategli il fondo che poserete
sopra una teglia di rame unta anch'essa col burro.
Prima gettate nel fondo parte del composto e
disponetevi sopra una parte dei filetti (petto della starna e lingua) ed alcuni
pezzetti di tartufi grossi quanto le nocciuole e crudi; poi altro composto intramezzato
di tartufi e filetti e così di seguito se il pasticcio fosse voluminoso.
Pigiatelo bene perché venga tutto unito e compatto e fategli il coperchio della
stessa pasta con qualche ornamento, lasciandovi nel mezzo un buco onde sfiati
il vapore.
Dorate il di fuori e cuocetelo in forno o nel
forno da campagna, e quando lo levate coprite il buco con un fiocco della
stessa pasta, fatto a misura e cotto a parte.
La stessa regola potete tenere per un pasticcio
di due beccacce le quali non hanno bisogno di essere vuotate, né degli
intestini, né del ventriglio; soltanto verificherete che nelle parti basse non
vi sia qualcosa di poco odoroso.
371. PASTICCIO DI CARNE
Magro di vitella di latte, grammi 200
Magro di maiale, grammi 100
Burro, grammi 60.
Prosciutto cotto tagliato grosso, grammi 60.
Lingua salata tagliata grossa, grammi 50.
Midolla di pane, grammi 50.
Un petto di pollo.
Un fegatino di pollo.
Un'allodola o un uccello consimile.
Un tartufo.
Marsala, un decilitro.
Mettete al fuoco col detto burro e conditeli con
sale e pepe, la vitella, il maiale, l'uccello (a cui leverete il becco e le
zampe), il petto di pollo e per ultimo il fegatino, bagnandoli con la marsala e
poi con brodo per tirarli a cottura, e prima di levarli lasciateci per un poco il
tartufo. Poi nell'intinto che resta gettateci la midolla del pane per fare un
poco di pappa e questa messa in un mortaio con l'uccelletto, un rosso d'uovo,
la quarta parte circa della vitella e del maiale, fate un composto passandolo
da uno staccio di fil di ferro, ma se riuscisse troppo sodo diluitelo con
brodo.
Tutta la carne rimasta, il prosciutto, la lingua,
il fegatino e il tartufo tagliateli a quadretti grossi come le nocciuole e
mescolate ogni cosa insieme unicamente col composto passato. Ora prendete uno
degli stampi appositi da pasticcio, di forma rotonda, e servendovi della pasta
descritta al n. 372, incassatelo; ma quando avrete distesa per bene la pasta
tanto sul fondo che intorno allo stampo foderatela con fettine di lardone
sottili come un velo e dopo riempito fategli il suo coperchio regolandovi pel
resto come il pasticcio di cacciagione n. 370.
Se lo desideraste più signorile non
riempite lo stampo fino alla bocca e nel vuoto versateci, dopo cotto, un po' di
gelatina n. 3 e servitelo freddo con altra gelatina a parte.
Basterà per otto persone.
372. PASTICCIO DI LEPRE
Chi non ha buone braccia non si provi intorno a
questo pasticcio. La natura arida delle carni della bestia di cui si tratta e
il molto ossame, richiedono una fatica improba per estrarne tutta la sostanza
possibile, senza di che non fareste nulla di veramente buono.
Quello che qui vi descrivo fu fatto alla mia
presenza, nelle seguenti dosi e proporzioni sulle quali, regolandovi, ritengo
non sia il caso di sciupare i vostri quattrini.
Mezza lepre, senza testa e gli zampucci, un
chilogrammo.
Magro di vitella di latte, grammi 230.
Burro, grammi 90.
Lingua salata, grammi 80.
Grasso di prosciutto, grammi 80.
Prosciutto grasso e magro, tagliato grosso mezzo
dito, grammi 50.
Detto, tagliato fine, grammi 30.
Tartufi neri, grammi 60.
Farina per la balsamella, grammi 30.
Marsala, decilitri 3.
Uova, n. 2.
Latte, mezzo bicchiere.
Brodo, quanto basta.
Dalla lepre, dopo averla lavata ed asciugata,
levate grammi 80 di magro dal filetto o altrove e ponetelo da parte. Poi
scarnite tutte le ossa, per separarle dalla carne, rompetele e ponete anche
queste da parte. La carne tagliatela a pezzi, e coi suddetti grammi 80 di
magro, lasciato intero, mettetela in infusione con due terzi circa della detta
marsala e coi seguenti odori tagliati all'ingrosso: un quarto di una grossa
cipolla, mezza carota, una costola di sedano lunga un palmo, diversi gambi di
prezzemolo e due foglie di alloro. Conditela con sale e pepe, rivoltate bene
ogni cosa e lasciatela in riposo diverse ore. Frattanto nettate dalle
pelletiche la carne di vitella di latte, sminuzzatela col coltello e pestatela
nel mortaio quanto più fine potete.
Scolate dalla marsala la carne messa in infusione
e con tutte le ossa, gli odori indicati, il grasso di prosciutto, tagliato a
pezzettini e grammi 30 del detto burro, ponetela in una cazzaruola coperta e, a
fuoco vivo, lasciatela rosolar bene, rimuovendola spesso col mestolo e
bagnandola, quando sarà asciutta, con marsala, servendovi anche di
quella rimasta dell'infusione, e con brodo fino a cottura completa. Allora
separate nuovamente la carne dalle ossa e rimettete da parte gli
Pestate prima tutta la carne della lepre nel
mortaio, bagnandola di quando in quando per renderla più pastosa, ma non
troppo liquida, col resto della marsala e con brodo e passatela; poi pestate le
ossa e procurate che passi di queste tutto quel che più potete,
avvertendovi però occorrervi a quest'uopo uno staccio di fil di ferro.
Ora, fate una balsamella con grammi 30 del
detto burro, la farina e il latte indicati e, cotta che sia, versate nella
stessa cazzaruola tutta la carne passata, tanto quella della lepre che della
vitella di latte cruda, aggiungete le due uova, mescolate bene ed assaggiate il
composto se è dosato giusto di condimenti, per aggiungere, se occorre,
sale e il resto del burro.
Adesso incassate il pasticcio colla pasta qui sotto
descritta e per riempirlo regolatevi come nel n. 370. I tartufi tagliateli a
tocchetti grossi come le nocciuole e così crudi e con tutti i filetti
descritti disponeteli a tre suoli alternati col composto ben pigiato onde
vengano sparsi regolarmente, e facciano bella mostra quando il pasticcio si
taglia. Per ultimo distendetegli sopra i grammi 30 di prosciutto a fette
piuttosto sottili e copritelo.
Potete coprirlo con pasta sfoglia a metà,
come quella della ricetta n. 155, oppure con la seguente:
Farina, grammi 250.
Burro, grammi 80.
Spirito di vino, cucchiaini n. 2.
Zucchero, cucchiaini n. 2.
Rossi d'uovo, n. 2.
L'agro di uno spicchio di limone.
Sale, grammi 5.
Acqua fredda, se occorre.
Con la norma di questo, salvo qualche variazione
del caso, potete fare diversi altri pasticci di selvaggina, come sarebbe di
cignale, daino e capriolo. Questo ritengo possa bastare per un pranzo anche di
venti persone.
373. PANE DI LEPRE
Eccovi un altro rifreddo.
Magro di lepre senz'osso, grammi 250,
Burro, grammi 100.
Farina, grammi 50.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Rossi d'uovo, n. 6.
Latte, mezzo litro.
Fate un battutino tritato ben fine con grammi 20
circa di prosciutto e un pezzetto di cipolla, mettetelo al fuoco colla
metà del detto burro e con la lepre tagliata a piccoli pezzi, salandola.
Quando l'unto sarà quasi consumato e prima che la carne ròsoli,
versate del buon brodo per tirarla a cottura. Cotta che sia, pestatela nel
mortaio bagnandola col suo sugo, poi passatela per istaccio.
Colla farina indicata, col resto del burro e col
latte fate una balsamella e quando sarà diaccia frullate bene i
rossi d'uovo e mescolate ogni cosa insieme. Mettete il composto in uno stampo
liscio con una carta imburrata nel fondo e cuocetelo a bagno-maria. Servitelo
freddo, contornato e coperto di gelatina; ma poiché oggigiorno nei pranzi si
cerca molto la bellezza e l'eleganza nei piatti, ed anche qualche grata
sorpresa, meglio sarebbe in questo caso che il pan di lepre fosse coperto da
una veste tutta unita di gelatina, il che si ottiene facilmente. Si prende uno
stampo più grande di quello che ha servito al pan di lepre, se ne copre
il fondo di gelatina e quando questa è rappresa vi si colloca il
rifreddo in mezzo e si riempie con altra gelatina liquida il vuoto all'intorno.
374. PAN DI FEGATO
Tra i rifreddi, questo che vi descrivo, è
uno dei migliori ed ha il diritto, pel suo delicato sapore, di comparire su
qualunque tavola.
Fegato di vitella di latte, grammi 500.
Burro, grammi 70.
Midolla di pane fresco, grammi 50,
Parmigiano grattato, grammi 20.
Fegatini di pollo, n. 4.
Marsala, decilitri 1.
Sugo di carne, oppure brodo, cucchiaiate n. 6.
Uova, uno intero e due rossi.
Una foglia di alloro.
Sale e pepe, quanto basta.
Tagliate il fegato a fette sottili e i fegatini
in due parti, e gettate queste due cose in padella con la foglia di alloro e la
metà del burro e quando lo avranno assorbito aggiungete l'altra
metà e condite con sale e pepe. Poi versate la marsala e dopo 4 o 5
minuti al più di fuoco vivo, dovendo il fegato rimaner tenero, levatelo
asciutto e insieme con l'alloro pestatelo nel mortaio. Nell'intinto che resta
in padella sminuzzate la midolla del pane e fatene una pappa che getterete
anch'essa nel mortaio, poi passate ogni cosa dallo staccio; indi aggiungete il
parmigiano e le uova, diluendo il composto col detto sugo o brodo. Per ultimo
collocatelo in uno stampo liscio con foglio sotto, unto col burro, ed
assodatelo a bagno-maria.
Sformatelo tiepido e quando sarà diaccio
copritelo tutto di gelatina del n. 3, entro a uno stampo di circonferenza
maggiore del primo. Potrà bastare per dodici persone.
375. PASTICCIO DI FEGATO
Servitevi del composto n. 374, aggiungendo
soltanto grammi 30 di tartufi neri tagliati a spicchi e facendo loro alzare il
bollore nella marsala prima di spargerli nel pasticcio. Copritelo con la pasta
da pasticcio n. 372, cuocetelo in forno o nel forno da campagna, e servitelo
freddo. Potrà bastare anche questo per dodici persone.
ERBAGGI E
LEGUMI
Gli erbaggi, purché non se ne abusi, sono un
elemento di igiene nella cucina. Diluiscono il sangue, e, amalgamati alla
carne, rendono questa meno nauseabonda; ma il più o meno uso dei
medesimi, in un paese qualsiasi, dipende in gran parte dal clima.
376. ZUCCHINI COL REGAMO
Il regamo (Origanum volgare) è il
seme odoroso di una pianticella selvatica della famiglia delle labiate.
Prendete zucchini lunghi, non a piccola
quantità perché scemano molto, e tagliateli a fette rotonde della
grossezza di uno scudo. Mettete al fuoco una sauté o una teglia di rame
con olio a buona misura e quando comincia a bollire gettateci gli zucchini
così naturali e, a fuoco ardente, rimuoveteli spesso. Conditeli a mezza
cottura con sale e pepe e quando accennano a rosolare spargeteci sopra un buon
pizzico di regamo e levateli subito colla mestola forata. Potranno servirsi
soli o per contorno e piaceranno.
Il regamo si presta a rendere odorose anche altre
vivande, come i funghi in umido, le uova nel tegame. le acciughe, ecc.
377. ZUCCHINI RIPIENI
Gli zucchini per farli ripieni si possono
tagliare o a metà per il lungo, o a metà per traverso, o anche
lasciarli interi. Io preferisco quest'ultimo modo come più elegante e
perché gli zucchini fanno di sé bella mostra. Comunque sia, vanno vuotati per
far posto al ripieno. Per vuotarli interi meglio è il servirsi di un
cannello di latta che si fa passare dal basso all'alto; ma se per la maggior
grossezza dello zucchino, il vuoto non paresse grande a sufficienza,
allargatelo con un coltellino sottile.
Per fare il ripieno prendete del magro di vitella
di latte, tagliatelo a pezzi e mettetelo al fuoco in una cazzaruola con un
battutino di cipolla, prezzemolo, sedano, carota, un poco di carnesecca
tagliata a pezzettini, un poco d'olio, sale e pepe. Rivoltatela di frequente
coi mestolo e quando la carne avrà tirato tutto l'umido e preso colore,
versate un ramaiolino d'acqua; dopo che avrà tirato anche questa,
versatene un altro e dopo poco un altro ancora, per finire di cuocerla,
avvertendo che vi resti del sugo. Allora questo passatelo e lasciatelo in
disparte.
Tritate la carne asciutta ben fine colla lunetta,
e con un uovo, un poco di parmigiano grattato, una midolla di pane bollita nel
brodo o nel latte e l'odore delle spezie, fate tutto un composto e servitevene
per ripieno. Preparati così gli zucchini, metteteli a soffriggere nel
burro cui farete prima prendere il color nocciuola e per ultimo tirateli a
cottura col sugo già messo da parte.
Gli zucchini si possono riempire anche col
composto del n. 347 e mancandovi il sugo di carne potete cuocerli o col solo
burro o con burro e salsa di pomodoro n. 125.
378. ZUCCHINI RIPIENI DI MAGRO
Preparateli come i precedenti e riempiteli con un
composto fatto con tonno sott'olio tritato fine colla lunetta ed intriso con
uova, un pizzico di parmigiano e un poco di quel midollo levato dagli zucchini,
l'odore delle spezie, una presa di pepe e punto sale. Metteteli a cuocere nel
burro quando questo avrà preso il color nocciuola e aggraziateli colla
salsa di pomodoro n. 125. Se li farete con attenzione vi riusciranno tanto
buoni da non credersi.
379. FAGIUOLINI E ZUCCHINE ALLA SAUTÉ
Questi erbaggi così cucinati servono per
lo più di contorno. ora la così detta cucina fine ha ridotto
l'uso dei condimenti a una grande semplicità. Sarà più
igienica, se vogliamo, e lo stomaco si sentirà più leggiero; ma
il gusto ne scapita alquanto e viene a mancare quel certo stimolo che a molte
persone è necessario per eccitare la digestione. Qui siamo in questo
caso. Se trattasi di fagiuolini lessateli a metà, se di zucchini
lasciateli crudi tagliati a spicchi o a tocchetti, metteteli a soffriggere nel
burro quando questo, bollendo, avrà preso il color nocciuola. Per
condimento mettete soltanto sale e pepe in poca quantità.
Se dopo cotti in questa maniera vi aggiungerete
un poco di sugo di carne oppure un poco della salsa di pomodoro n. 125 non
sarete più nelle regole della cucina forestiera o moderna; ma sentirete,
a mio parere, un gusto migliore e lo stomaco resterà più
soddisfatto. Se il sugo di carne o la salsa di pomodoro vi mancano,
spolverizzateli almeno di parmigiano quando li ritirate dal fuoco.
380. FAGIUOLINI IN SALSA D’UOVO
Prendete grammi 300 circa di fagiuolini in erba,
togliete loro le due punte e il filo e poi, come dicono i cuochi in gergo
francioso, imbianchiteli, cioè date loro mezza cottura in acqua
alquanto salata. Levateli asciutti, tagliateli in tre pezzi e tirateli a sapore
col burro, sale e pepe. Frullate in un pentolo un rosso d'uovo con un
cucchiaino di farina e il sugo di un quarto di limone, allungate il miscuglio
con un ramaiuolo di brodo ghiaccio digrassato e ponete questo liquido al fuoco
in una cazzarolina girando sempre il mestolo e quando, per la cottura, sarà
divenuto come una crema scorrevole, versatelo sui fagiuolini: tenete questi
ancora un poco sul fuoco perché la salsa s'incorpori e serviteli per contorno
al lesso.
Per far prendere ai fagiuolini e agli zucchini un
bel verde, gettate nell'acqua, quando bolle, oltre al sale, un cucchiaino di
soda.
381. FAGIUOLINI COLLA BALSAMELLA
Lessate i fagiuolini in modo che (mediante un
cucchiaino di soda) restino ben verdi. Poi soffriggeteli nel burro, ma
leggermente onde non perdano il bel colore e conditeli con sale e pepe.
Versateci sopra una balsamella scorrevole, ma non troppo copiosa, fatta
con panna, burro e farina, e mandateli in tavola con un contorno di pane fritto
tagliato a mandorle. Possono servire per tramesso in un pranzo.
382. FAGIUOLINI CON L’ODORE DI VAINIGLIA
Ponete i fagiuolini in molle nell'acqua fresca e
se sono teneri metteteli crudi e interi, senza sgrondarli troppo, in umido, nel
seguente modo.
Fate un soffritto con olio, uno scalogno,
prezzemolo, carota e sedano, il tutto tritato fine. Invece dello scalogno
può servire la cipolla novellina o la cipolla comune. Conditelo con sale
e pepe e quando avrà preso colore, allungatelo con brodo o passatelo
spremendolo bene. A questo sugo passato, aggiungete sugo di pomodoro e nel
medesimo gettate i fagiuolini per cuocerli; prima di levarli aggraziateli con
due cucchiaini di zucchero vanigliato e se questo odore non piace, sostituite
la nepitella.
383. FAGIUOLINI DALL’OCCHIO IN ERBA ALL’ARETINA
Spuntateli alle due estremità e tagliateli
in tre parti. Metteteli in una cazzaruola con due spicchi d'aglio interi, sugo
di pomodoro crudo e con tant'acqua diaccia che li ricopra. Conditeli con olio,
sale e pepe; poi metteteli al fuoco e fateli bollire adagio fino a cottura
completa avvertendo che vi resti alquanto sugo ristretto per renderli
più gradevoli. Possono servire come piatto di tramesso o di contorno al
lesso.
384. FAGIUOLI A GUISA D’UCCELLINI
Nelle trattorie di Firenze ho sentito chiamare fagiuoli
all'uccelletto i fagiuoli sgranati cucinati così:
Cuoceteli prima nell'acqua e levateli asciutti.
Mettete un tegame al fuoco con l'olio in proporzione e diverse foglie di
salvia; quando l'olio grilletta forte buttate giù i fagiuoli e conditeli
con sale e pepe. Fateli soffriggere tanto che tirino l'unto e di quando in
quando scuotete il vaso per mescolarli; poi versate sui medesimi un poco di
sugo semplice di pomodoro e allorché questo si sarà incorporato,
levateli. Anche i fagiuoli secchi di buccia fine possono servire al caso dopo
lessati.
Questi fagiuoli si prestano molto bene per
contorno al lesso, se non si vogliono mangiar da soli.
385. FAGIUOLI SGRANATI PER CONTORNO AL LESSO
Fagiuoli sgranati, grammi 300.
Carnesecca intera, grammi 30.
Acqua, decilitri 2.
Olio, cucchiaiate 4.
Una ciocchettina di 4 o 5 foglie di salvia.
Sale e pepe bianco.
Mettete al fuoco i fagiuoli con tutti
gl'ingredienti suddetti, fateli bollire adagio e scuoteteli spesso. Levate la
salvia e la carnesecca e serviteli. È un contorno che potrà
bastare per quattro persone.
386. SFORMATO DI FAGIUOLINI
Prendete grammi 500 di fagiuolini ben teneri e
levate loro le punte e il filo se l'hanno. Gettateli nell'acqua bollente con un
pizzico di sale ed appena avranno ripreso il bollore levateli asciutti e
buttateli nell'acqua fresca.
Se avete sugo di carne tirateli a sapore con
questo e col burro, se no fate un soffritto con un quarto di cipolla, alcune
foglie di prezzemolo, un pezzo di sedano e olio, e quando la cipolla
avrà preso colore, buttate giù i fagiuolini condendoli con sale e
pepe e tirandoli a cottura con un po’ d'acqua, se occorre.
Preparate una balsamella con grammi 30 di
burro, una cucchiaiata scarsa di farina e due decilitri di latte. Con questa,
con un pugno di parmigiano grattato e con quattro uova frullate, legate i detti
fagiuolini, già diacciati, mescolate e versate il composto in uno stampo
liscio, imburrato prima e il cui fondo sia coperto di un foglio. Cuocetelo al
fuoco o a bagno-maria e servitelo caldo.
387. SFORMATO DI CAVOLFIORE
Prendete una palla di cavolfiore e, ammesso che
questa sia, per esempio, del peso di grammi 350 netta dal gambo e dalle foglie,
adoperate per condimento le seguenti dosi all'incirca:
Latte, decilitri 3.
Uova, n. 3.
Burro, grammi 60.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Date mezza cottura nell'acqua alla palla del
cavolfiore e dopo tagliatela a pezzetti. Poneteli a soffriggere, colla
metà del detto burro, salandoli, e quando l'avranno tirato, finite di
cuocerli con un poco del detto latte: poi potete lasciarli così o passarli
dallo staccio. Colla rimanenza del burro e del latte e con una cucchiaiata di
farina non colma fate una balsamella e aggiungetela al composto insieme
colle uova, prima frullate, e col parmigiano. Cuocetelo in uno stampo liscio
come lo sformato di fagiuolini e servitelo caldo.
Questa quantità può bastare per sei
persone.
388. CAVOLFIORE ALL’USO DI ROMAGNA
Dividete una grossa palla di cavolfiore, o due se
sono piccole, in spicchiettini che laverete; e così crudi, senza
asciugarli, cuoceteli in questo modo: ponete al fuoco un battuto proporzionato
di aglio, prezzemolo e olio, e quando sarà rosolato fermatelo con un
gocciolo d'acqua. Gettateci allora il cavolfiore condendolo con sale e pepe e
quando avrà assorbito il battuto tiratelo a cottura mediante conserva di
pomodoro sciolta nell'acqua calda. Dategli grazia e più sapore col
parmigiano quando lo mandate in tavola, ove può servir per contorno al
lesso, a un umido o ad un coteghino.
389. SFORMATO DI CARDONI
Regolatevi in tutto come per lo sformato di
cavolfiore del numero 387. Tagliate il cardone a piccoli pezzi, onde vengano
penetrati bene dal condimento; prima di metterlo nello stampo, assaggiatelo.
390. SFORMATO DI SPINACI
Lessate gli spinaci in pochissima acqua o
soltanto con quella che sgronda dai medesimi quando li levate dall'acqua fresca
dov'erano in molle. Passateli dallo staccio e, regolandovi sulla
quantità, condizionateli con sale, pepe, cannella in polvere, alcune
cucchiaiate di balsamella n. 137, burro, uova, parmigiano, un pugnello
di uva secca o zibibbo ai quali siansi tolti i semi, oppure uva passolina.
Mescolate per bene e versate il composto in una forma liscia, bucata nel mezzo,
cuocendolo a bagnomaria. Sformatelo quand'è tuttora caldo e mandatelo in
tavola riempito di un umido delicato di rigaglie di pollo oppure di animelle, o
di vitella di latte, o anche di tutte queste cose insieme, frammiste a pezzetti
di funghi secchi
391. SFORMATO DI CARCIOFI
Questo è uno sformato da farsi quando i
carciofi costano poco e ve lo do per uno de' più delicati.
Levate ai carciofi le foglie più dure,
spuntateli e sbucciatene i gambi, lasciandoli tutti, anche se sono lunghi.
Tagliateli in quattro spicchi e fateli bollire nell'acqua salata per soli
cinque minuti. Se li lasciate di più sopra al fuoco, oltre ad inzupparsi
troppo di acqua, perdono molto del loro aroma. Levateli asciutti, pestateli nel
mortaio e passateli per istaccio. Dosate la polpa così ottenuta con
tutti quegli ingredienti soliti negli altri sformati di erbaggio, e
cioè: uova, non facendo avarizia d'uno di più, onde restringa,
due o tre cucchiaiate di balsamella ove non iscarseggi il burro;
parmigiano, sale e odore di noce moscata, ma assaggiate il composto più
volte per ridurlo a giusto sapore.
Se avete sugo di carne o di stracotto non
è male l'unirci un poco anche di questo e, se i carciofi sono teneri,
anziché passarli potete lasciarli a piccoli spicchi.
Cuocetelo a bagno-maria in uno stampo bucato, se
avete un intingolo di carne per riempirlo; se no, mettetelo in uno stampo
liscio e servitelo per tramesso.
392. SFORMATO DI FINOCCHI
Questo sformato, per ragione del grato odore e
del sapore dolcigno de' finocchi, riesce uno de' più gentili.
Levate ai finocchi le foglie più dure,
tagliateli a piccoli spicchi e cuoceteli per due terzi nell'acqua salata, poi
scolateli bene e metteteli a soffriggere con un pezzetto di burro. Conditeli
con sale e quando avranno succhiato il burro, bagnateli con un poco di latte;
allorché avranno tirato anche questo, aggiungete un po' di balsamella. Ritirateli
dal fuoco e lasciateli come sono, o passateli dallo staccio; quando saranno
diacci uniteci parmigiano grattato e, a seconda della quantità, tre o
quattro uova frullate. Versate il composto in uno stampo liscio, o col buco nel
mezzo, regolandovi come per gli altri sformati; cuocetelo a bagno-maria e
servitelo caldo come piatto di tramesso o in compagnia di un cappone lessato.
Potete anche guarnirlo di un manicaretto di rigaglie e animelle.
393. FUNGHI MANGERECCI
I funghi, pei principii azotati che contengono
sono, fra i vegetali, i più nutrienti. Il fungo, pel suo profumo
particolare, è un cibo gratissimo ed è gran peccato che fra le
tante sue specie se ne trovino delle velenose, le quali solo un occhio esercitato
e pratico può distinguere dalle innocue; una certa garanzia possono
darla le località riconosciute per lunga esperienza esenti da pericolo.
In Firenze, ad esempio, si fa un uso enorme di
funghi che scendono dai boschi delle circostanti montagne, e se la stagione
è piovosa, cominciano ad apparire nel giugno; ma il forte della
produzione è in settembre. A lode del vero, bisogna dire che la
città non è mai stata funestata da disgrazie cagionate da questi
vegetali, forse perché le due specie che quasi esclusivamente vi si consumano
sono i porcini di color bronzato e gli ovoli. Tanta è la fiducia nella
loro innocuità che non si prende nessuna precauzione in proposito,
neppur quella che suggeriscono alcuni, di far loro alzare il bollore in acqua
acidulata d'aceto, cautela che per altro sarebbe a carico della loro
bontà.
Delle due specie sopraindicate, i porcini si
prestano meglio fritti e in umido; gli ovoli trippati e in gratella.
394. FUNGHI FRITTI
Scegliete funghi di mezzana grandezza che sono
anche di giusta maturazione; più grandi riescono molliconi e molto
piccoli sarebbero troppo duri.
Raschiatene il gambo, nettateli dalla terra e
lavateli interi senza tenerli in molle, che spenderebbero nell'acqua il loro
grato profumo. Poi tagliateli a fette piuttosto grosse e infarinateli prima di
gettarli in padella. L'olio è il migliore degli unti per questa
frittura, e il condimento si compone esclusivamente di sale e pepe che vi si
sparge quando sono ancora a bollore. Si possono anche dorare gettandoli
nell'uovo dopo infarinati, ma ciò è superfluo.
395. FUNGHI IN UMIDO
Per l'umido sono da preferirsi quelli che stanno
sotto la grandezza mediocre. Nettateli, lavateli e tagliateli a fette
più sottili dei precedenti. Mettete un tegame al fuoco con olio, qualche
spicchio di aglio intero, un po' ammaccato, e un buon pizzico di foglie di
nepitella. Quando l'olio comincia a grillettare gettate giù i funghi
senza infarinarli, conditeli con sale e pepe e, a mezza cottura, bagnateli con
sugo di pomodoro semplice; siate però parchi coi condimenti perché i
funghi non li assorbono,
396. FUNGHI TRIPPATI
A questa cucinatura si prestano bene gli ovoli e
si dicono trippati forse perché vengono trattati come la trippa. Gli
ovoli, come sapete, sono di color giallo-arancione; i più giovani sono
chiusi in forma d'uovo, i più maturi sono aperti e spianati. Preferite i
primi e dopo averli nettati e lavati, tagliateli a fette sottili. Cuoceteli nel
burro e conditeli con sale, pepe e parmigiano grattato. Se aggiungete sugo di
carne riusciranno anche migliori.
397. FUNGHI IN GRATELLA
Gli ovoli aperti sono i più atti a questa
cucinatura. Dopo averli nettati e lavati, asciugateli fra le pieghe di un
canovaccio e conditeli con olio, sale e pepe. Servono molto bene per contorno
alla bistecca o a un arrosto qualunque.
398. FUNGHI SECCHI
Ogni anno in settembre, quando costano poco, io
fo la mia provvista di funghi porcini e li secco in casa. Per questa operazione
aspettate una vela di tempo buono perché, essendo indispensabile il calore del
sole, vi potrebbero andare a male. Preferite funghi giovani, duri, di mezzana
grandezza ed anche grossi, ma non molliconi. Raschiatene il gambo, nettateli
bene dalla terra senza lavarli e tagliateli a pezzi molto grossi perché,
seccando, diminuiscono un visibilio. Se nell'aprirli troverete dei bacolini nel
gambo, tagliate via soltanto quella parte che essi avevano cominciato a
guastare.
Teneteli esposti continuamente al sole per due o
tre giorni, poi infilateli e teneteli all'aria ventilata ed anche nuovamente al
sole finché non saranno secchi del tutto. Allora riponeteli e teneteli ben
chiusi in un cartoccio o in un sacchetto di carta; ma a lunghi intervalli non
mancate di visitarli, perché i funghi hanno il vizio di rinvenire; se
ciò accadesse, bisogna di nuovo esporli per qualche ora alla
ventilazione. Senza questo custodimento c'è il caso che li troviate
tutti bacati.
Per servirsene vanno rammolliti nell'acqua calda;
ma teneteceli il meno possibile, onde non perdano l'odore.
399. PETONCIANI
Il petonciano o melanzana è un ortaggio da
non disprezzarsi per la ragione che non è né ventoso, né indigesto. Si
presta molto bene ai contorni ed anche mangiato solo, come piatto d'erbaggi,
è tutt'altro che sgradevole, specialmente in quei paesi dove il suo
gusto amarognolo non riesce troppo sensibile. Sono da preferirsi i petonciani
piccoli e di mezzana grandezza, nel timore che i grossi non siano amari per
troppa maturazione.
Petonciani e finocchi, quarant'anni or sono, si
vedevano appena sul mercato di Firenze; vi erano tenuti a vile come cibo da
ebrei, i quali dimostrerebbero in questo, come in altre cose di maggior
rilievo, che hanno sempre avuto buon naso più de' cristiani.
I petonciani fritti possono servire di contorno a
un piatto di pesce fritto; fatti in umido, al lesso; in gratella, alla
bistecca, alle braciole di vitella di latte o a un arrosto qualunque.
400. PETONCIANI FRITTI
Sbucciateli, tagliateli a tocchetti piuttosto
grossi, salateli e lasciateli stare per qualche ora.
Asciugateli dall'umido che hanno buttato,
infarinateli e friggeteli nell'olio.
401. PETONCIANI IN UMIDO
Sbucciateli, tagliateli a tocchetti e metteteli
al fuoco con un po' di burro. Quando lo avranno succhiato tirateli a cottura
colla salsa di pomodoro n. 125.
402. PETONCIANI IN GRATELLA
Tagliateli a metà per il lungo senza
sbucciarli, fate loro delle incisioni graticolate sulla parte bianca, conditeli
con sale, pepe e olio, poneteli in gratella dalla parte della buccia; poi
copriteli con un coperchio o tegame di ferro e cuoceteli fra due fuochi, che
così non hanno bisogno d'esser voltati; a mezza cottura date loro
un'altra untatina d'olio. Saranno cotti quando la polpa è diventata
morbida.
403. TORTINO DI PETONCIANI
Sbucciate sette od otto petonciani, tagliateli a
fettine rotonde e salateli onde buttino fuori l'acqua. Dopo qualche ora
infarinateli e friggeteli nell'olio.
Prendete un vassoio che regga al fuoco e, suolo
per suolo, conditeli con parmigiano grattato e colla salsa di pomodoro n. 125,
disponendoli in modo che facciano una bella colma. Frullate un uovo con una
presa di sale, una cucchiaiata di detta salsa, un cucchiaino di parmigiano, due
di pangrattato, e con questo composto copritene la superficie. Ponete il
vassoio sotto al coperchio del forno da campagna, col fuoco sopra, e quando
l'uovo sarà rappreso, mandate il tortino in tavola. Può servire solo,
per tramesso o accompagnato da un piatto di carne. La copertura d'uovo serve a
dare al piatto migliore apparenza.
404. CARDONI IN TEGLIA
I cardoni, detti volgarmente gobbi, per la loro
affinità coi carciofi, si possono cucinare come questi (n. 246), se non
che, dopo aver nettati bene i cardoni dai filamenti di cui è intessuta
la parte esterna, si deve dar loro metà cottura in acqua salata,
gettandoli subito dopo nell'acqua fresca, onde non anneriscano.
Tagliateli a pezzetti, infarinateli e quando
l'olio comincia a bollire, buttateli giù e conditeli con sale e pepe. Le
uova frullatele prima e aspettate di versarle quando i cardoni saranno rosolati
da ambedue le parti.
Il cardone è un erbaggio sano, di facile
digestione, rinfrescante, poco nutritivo ed insipido; perciò è
bene dargli molto condimento, come è indicato al n. 407.
È poi tale la sua affinità coi
carciofi, che sotterrando i fusti di quest'ultima pianta, quando non dà
più frutti, si ottengono i così detti carducci.
405. CARDONI IN UMIDO
Dopo averli lessati come i precedenti, metteteli
in umido con un battutino d'aglio e prezzemolo; olio, sale e pepe.
Se li desiderate più grati al gusto e di
più bella apparenza, copriteli di una salsa d'uovo e limone quando sono
già sul vassoio. Frullate qualche uovo con agro di limone, mettete il
liquido al fuoco in una cazzarolina girando il mestolo, e versatelo quando
comincia a condensarsi. Se non usate la salsa conditeli almeno con un pizzico
di parmigiano.
406. CARDONI IN GRATELLA
Non è un piatto da raccomandarsi molto, ma
se volete provarlo, dopo aver lessati i cardoni, asciugateli bene, lasciate le
costole lunghe un palmo, conditeli generosamente con olio, pepe e sale e
rosolateli in gratella. Possono servir per contorno a una bistecca o ad un
pesce in gratella.
407. CARDONI CON LA BALSAMELLA
Scartate le costole più dure, le altre
nettatele dai filamenti e lessatele a mezza cottura. Qui, sia detto una volta
per tutte, gli erbaggi vanno messi al fuoco ad acqua bollente e i legumi ad
acqua diaccia. Tagliate le costole dei cardoni a pezzetti lunghi tre dita circa
e tirateli a sapore con burro e sale a sufficienza, terminate di cuocerli
aggiungendo latte, o meglio panna, poi legateli con un poco di balsamella n.
137. Aggiungete un pizzico di parmigiano grattato e levateli subito senza
più farli bollire. Questo è un eccellente contorno agli
stracotti, alle bracioline, allo stufatino di rigaglie e ad altri simili
piatti. Nella stessa maniera si possono cucinare le rape a dadi grossi, le
patate e gli zucchini a spicchi, ma questi ultimi non vanno lessati.
408. TARTUFI ALLA BOLOGNESE, CRUDI, ECC.
La gran questione dei Bianchi e dei Neri che fece
seguito a quella dei Guelfi e dei Ghibellini e che desolò per tanto
tempo l'Italia, minaccia di riaccendersi a proposito dei tartufi, ma
consolatevi, lettori miei, che questa volta non ci sarà spargimento di
sangue; i partigiani dei bianchi e dei neri, di cui ora si
tratta, sono di natura molto più benevola di quei feroci d'allora.
Io mi schiero dalla parte dei bianchi e dico e
sostengo che il tartufo nero è il peggiore di tutti; gli altri
non sono del mio avviso e sentenziano che il nero è più odoroso e
il bianco è di sapore più delicato: ma non riflettono che i neri
perdono presto l'odore. I bianchi di Piemonte sono da tutti riconosciuti
pregevoli, e i bianchi di Romagna, che nascono in terreno sabbioso, benché
sappiano d'aglio, hanno molto profumo. Comunque sia, lasciamo in sospeso la
gran questione per dirvi come si preferisce di cucinarli a Bologna, Bologna
la grassa per chi vi sta, ma non per chi vi passa.
Dopo averli bagnati e nettati, come si usa
generalmente, con uno spazzolino tuffato nell'acqua fresca, li tagliano a fette
sottilissime e, alternandoli con altrettante fette sottilissime di parmigiano,
li dispongono a suoli in un vassoio di rame stagnato, cominciando dai tartufi.
Li condiscono con sale, pepe e molto olio del migliore, e appena hanno alzato
il bollore, spremono sui medesimi un limone togliendoli subito dal fuoco.
Alcuni aggiungono qualche pezzetto di burro; se mai mettetene ben poco per non
renderli troppo gravi. Si usa pure mangiare i tartufi crudi tagliati a fette
sottilissime e conditi con sale, pepe e agro di limone.
Legano bene anche con le uova. Queste frullatele
e conditele con sale e pepe. Mettete al fuoco burro in proporzione e quando
sarà strutto versateci le uova e dopo poco i tartufi a fette sottili,
mescolando.
A tutti è nota la natura calida di questo
cibo, quindi mi astengo dal parlarne perché potrei dirne delle graziose. Pare
che i tartufi venissero per la prima volta conosciuti in Francia nel Périgord
sotto Carlo V.
Io li ho conservati a lungo nel seguente modo, ma
non sempre mi è riuscito: tagliati a fette sottili, asciugati al fuoco,
conditi con sale e pepe, coperti d'olio e messi al fuoco per far loro alzare il
bollore. Da crudi si usa tenerli fra il riso per comunicare a questo il loro
profumo.
409. CIPOLLINE AGRO-DOLCI
Non è piatto che richieda molto studio, ma
solo buon gusto per poterlo dosare convenientemente; se fatto bene,
riuscirà un eccellente contorno al lesso.
Per cipolline intendo quelle bianche, grosse poco
più di una noce. Sbucciatele, nettatele dal superfluo e date loro una
scottatura in acqua salata. Per un quantitativo di grammi 300 circa mettete al
fuoco all'asciutto, in una cazzaruola, grammi 40 di zucchero e, quando è
liquefatto, grammi 15 di farina; rimuovete continuamente col mestolo e quando
l'intriso sarà divenuto rosso, gettateci a poco per volta due terzi di
bicchier d'acqua con aceto e lasciate bollire il liquido tanto che se si
formano dei grumi si possano sciogliere tutti. Allora buttate giù le
cipolline e scuotete spesso la cazzaruola, avvertendo di non toccarle col
mestolo per non guastarle. Assaggiatele prima di servirle, perché se occorre
zucchero o aceto siete sempre in tempo ad aggiungerli.
410. CIPOLLINE IN ISTUFA
Spellatele e, pareggiatone il capo e la parte
inferiore, gettatele nell'acqua bollente salata e fatele bollire per dieci
minuti. Mettete a soffriggere un pezzetto di burro e quando avrà preso
il color nocciuola, collocateci le cipolline tutte a un pari, condite con sale
e pepe; dopo che saranno rosolate da una parte voltatele dall'altra, quindi
bagnatele con sugo di carne, legandole con una presa di farina impastata nel
burro.
Mancandovi il sugo, cucinatele in bianco nella
seguente maniera: dopo lessate e tenute nell'acqua fresca mettetele in una
cazzaruola con un mazzetto guarnito, una piccola fetta di prosciutto, un
pezzetto di burro e un ramaiuolo di brodo. Conditele con pepe e poco sale,
copritele con fette sottilissime di lardone e sopra queste accostate un foglio
di carta unto di burro. Terminate di cuocerle fra due fuochi e servitele per
contorno insieme col sugo ristretto che resta.
411. CIPOLLINE PER CONTORNO AI COTEGHINI
Dopo averle lessate, come nella ricetta
precedente, mettetele a soffriggere nel burro, conditele con sale e pepe,
bagnatele col brodo del coteghino ed aggraziatele con aceto e zucchero. Per 28
o 30 cipolline basteranno grammi 50 di burro, mezzo ramaiuolo di brodo
digrassato di coteghino, mezzo cucchiaio d'aceto e un cucchiaino di zucchero.
412. SEDANI PER CONTORNO
Gli antichi, ne' banchetti, s'incoronavano colla
pianta del sedano, credendo di neutralizzare con essa i fumi del vino. Il
sedano è grato al gusto per quel suo aroma speciale; per questo e per
non esser ventoso merita un posto fra gli erbaggi salubri. Preferite quello di
costola piena e servitevi solo delle costole bianche e del gambo, che sono le
parti più tenere.
Eccovi tre maniere diverse per cucinarlo; per le
prime due sarà bene che diate ai pezzi la lunghezza di
l°. Mettetelo a soffriggere nel burro, poi
tiratelo a cottura col sugo di carne e uniteci del parmigiano quando lo mandate
in tavola.
2°. Ammesso che i sedani da crudi. siano dai
grammi 200 ai 250, ponete in una cazzaruola grammi 30 di burro e un battutino
con grammi 30 di prosciutto, grasso e magro, tritato fine insieme con un quarto
di cipolla di media grandezza. Aggiungete due chiodi di garofano e fate
bollire. Quando la cipolla avrà preso colore, versate brodo e tirate il
soffritto a cottura. Allora passate ogni cosa e ponete il sugo in un tegame ove
i sedani stiano distesi, conditeli con una presa di pepe, perché il sale non
occorre, e mandateli in tavola col loro sugo.
3°. Infarinatelo, immergetelo nella pastella n.
156 e friggetelo nello strutto o nell'olio; oppure, che è meglio, dopo
averlo infarinato, immergetelo nell'uovo, panatelo e friggetelo. Quest'ultima
cucinatura de' sedani si presta più delle altre per contorno agli umidi
di carne coll'intinto dei quali li bagnerete.
413. SEDANI PER CONTORNO AL LESSO
Servitevi delle costole bianche e tagliatele a
pezzetti di due centimetri circa. Lessateli per cinque minuti nell'acqua salata
e metteteli a soffriggere nel burro. Poi legateli con la balsamella del
n. 137, tenuta piuttosto soda, e date loro sapore col parmigiano.
414. LENTICCHIE INTERE PER CONTORNO
Le lenticchie per contorno agli zamponi si
dovrebbero tirare a sapore, dopo cotte nell'acqua, col burro e sugo di carne.
In mancanza di questo, mettetele a bollire con un mazzetto odoroso e dopo cotte
e scolate bene dall'acqua, rifatele con un battutino di prosciutto grasso e
magro, un pezzetto di burro e poca cipolla. Quando questa sarà ben
rosolata, versate nel soffritto un ramaiuolo o due di brodo digrassato del
coteghino o dello zampone. Lasciatelo bollire un poco, passatelo, e in questo
sugo rifate le lenticchie aggiungendo un altro pezzetto di burro, sale e pepe.
Se il coteghino non è ben fresco, servitevi di brodo.
415. LENTICCHIE PASSATE PER CONTORNO
Questo si chiamerebbe alla francese purée di
lenticchie; ma il Rigutini ci avverte che la vera parola italiana è passato,
applicabile ad ogni specie di legumi, le patate inclusive. Dunque, per fare
un passato, e non un presente, colle lenticchie, mettetele a
cuocere nell'acqua con un pezzetto di burro e quando saranno cotte, ma non
spappolate, passatele per istaccio. Fate un battutino di cipolla (poca
però, perché non si deve sentire), prezzemolo, sedano e carota;
mettetelo al fuoco con burro quanto basta e quando sarà ben rosolato,
fermatelo con un ramaiuolo di brodo che può anche essere quello
digrassato del coteghino. Colatelo e servitevi di quel sugo per dar sapore al passato,
non dimenticando il sale ed il pepe ed avvertite che è bene resti
sodo il più possibile.
416. CARCIOFI IN SALSA
Levate ai carciofi le foglie dure, spuntateli e
sbucciatene il gambo. Divideteli in quattro parti, o al più in sei se
sono grossi, metteteli al fuoco con burro in proporzione e conditeli con sale e
pepe. Scuotete la cazzaruola per voltarli e quando avranno tirato a sé buona
parte dell'umido, bagnateli con brodo per cuocerli del tutto. Levateli
asciutti, e nell'intinto che resta versate un pizzico di prezzemolo tritato, un
cucchiaino o due di pangrattato ben fine, sugo di limone, altro sale e pepe se
occorrono e, mescolando, fate bollire alquanto; poi ritirate la salsa dal fuoco
e quando non sarà più a bollore, aggiungete un rosso d'uovo o
due, secondo la quantità, e rimettetela per poco al fuoco con altro
brodo per renderla sciolta. Versateci i carciofi per riscaldarli e serviteli
specialmente per contorno al lesso.
417. CARCIOFI IN UMIDO COLLA NEPITELLA
Se vi piacesse di sentire questi carciofi con
l'odore della nepitella, ecco come dovete regolarvi. Levate ai carciofi tutte
le foglie non mangiabili e divideteli in quattro spicchi ognuno, od anche in
sei se sono grossi; infarinateli e poneteli al fuoco in una teglia di rame, con
olio in proporzione, condendoli con sale e pepe. Quando li avrete rosolati
uniteci un battutino composto di uno spicchio d'aglio, o di mezzo soltanto se i
carciofi sono pochi, e un buon pizzico di nepitella fresca. Quando avranno
tirato l'umido terminate di cuocerli con sugo di pomodoro o conserva sciolta
nell'acqua.
Possono servir di contorno o esser mangiati soli.
418. CARCIOFI RITTI
Così chiamassi a Firenze i carciofi
cucinati semplicemente nella seguente maniera: levate loro soltanto le piccole
e inutili foglie vicine al gambo tagliando quest'ultimo. Svettate col coltello
la cima e allargate alquanto le foglie interne. Collocateli ritti in un tegame,
insieme coi gambi sbucciati e interi; conditeli con sale, pepe e olio, il tutto
a buona misura. Fateli soffriggere tenendoli coperti, e, quando saranno ben
rosolati, versate nel tegame un po' d'acqua e con la medesima finite di
cuocerli.
419. CARCIOFI RIPIENI
Tagliate loro il gambo alla base, levate le
piccole foglie esterne e lavateli. Poi svettateli come i precedenti ed aprite
le loro foglie interne in maniera da poter recidere con un temperino il
grumolino di mezzo, e toltogli il pelo se vi fosse nel centro, serbate soltanto
le tenere foglioline per unirle al ripieno. Questo, se dovesse, ad esempio,
servire per sei carciofi, componetelo delle foglioline anzidette, di
Tritate prima il prosciutto con un coltello, poi
ogni cosa insieme colla lunetta e con questo composto riempite i carciofi che
condirete e cuocerete come i precedenti. Alcuni libri francesi suggeriscono di
dare ai carciofi mezza cottura nell'acqua prima di riempirli, il che non
approvo, sembrandomi che vadano a perdere allora la sostanza migliore,
cioè il loro aroma speciale.
420. CARCIOFI RIPIENI DI CARNE
Per sei carciofi, componete il seguente ripieno:
Magro di vitella di latte, grammi 100.
Prosciutto più grasso che magro, grammi
30.
Un grumolino dei carciofi.
Un quarto di cipolla novellina.
Alcune foglie di prezzemolo.
Un pizzico di funghi secchi rammolliti.
Un pizzico di midolla di pane in bricioli.
Un pizzico di parmigiano grattato.
Sale, pepe e odore di spezie.
Quando i carciofi avranno preso colore col solo
olio, versate un poco d'acqua e copriteli con un cencio bagnato tenuto fermo
dal coperchio. Il vapore che emana, investendoli da tutte le parti, li cuoce
meglio.
421. PASTICCIO DI CARCIOFI E PISELLI
È un pasticcio strano, ma potrebbe piacere
a molti e perciò lo descrivo.
Carciofi, n. 12.
Piselli sgranati, grammi 150.
Burro, grammi 50.
Parmigiano grattato, grammi 50.
Sugo di carne, quanto basta.
Mondate i carciofi da tutte le foglie dure non
mangiabili, divideteli in due parti e levate loro il pelo del centro se
l'hanno. Date ad essi ed ai piselli mezza cottura di pochi minuti nell'acqua
salata, gettateli dopo nell'acqua fresca, levateli, asciugateli bene ed i
carciofi divideteli ancora in due parti. Tanto essi che i piselli metteteli al
fuoco con grammi 40 del detto burro, conditeli con sale e pepe e tirateli col
sugo di carne a giusta cottura. Coi restanti grammi 10 di burro, una
cucchiaiata di farina e sugo suddetto fate una specie di balsamella per
legare il composto, il quale, messo in un vassoio che regga al fuoco, lo
condirete a strati con questa e col parmigiano.
Ora copritelo con la pasta frolla sottosegnata;
doratela col rosso d'uovo, cuocete il pasticcio nel forno da campagna e
servitelo caldo perché perde molto lasciandolo diacciare. Questa
quantità può bastare a sette od otto persone.
PASTA FROLLA
Farina, grammi 230.
Zucchero a velo, grammi 85.
Burro, grammi 70.
Lardo, grammi 30.
Uova, n. l.
422. CARCIOFI IN GRATELLA
A tutti è noto come si possono cuocere i
carciofi in gratella e contornar coi medesimi una bistecca o un arrosto
qualunque. In questo caso scegliete carciofi teneri, svettateli, tagliatene il
gambo alla base e lasciateli con tutte le loro foglie. Allargateli alquanto
perché prendano bene il condimento, il quale d'altro non deve essere composto
che d'olio, pepe e sale. Collocateli ritti sulla gratella e se occorre per
tenerli fermi, infilzateli in uno stecco verso il gambo a due o tre insieme.
Date loro un'altra untatina a mezza cottura e lasciateli sul fuoco finché le
foglie esterne non siano bruciate.
423. CARCIOFI SECCATI PER L’INVERNO
Nelle città meridionali, dove i carciofi
si trovano quasi in tutti i mesi dell'anno, è inutile prendersi il
disturbo di seccarli, tanto più che tra il carciofo fresco e il secco la
differenza è grande; ma fanno comodo in que' paesi dove, passata la
stagione, più non si trovano.
Preparateli nel colmo della raccolta quando
costano poco; però vanno scelti di buona qualità e giusti di maturazione.
Levate loro tutte le foglie coriacee, spuntateli, mondate un buon tratto del
loro gambo e tagliateli in quattro spicchi recidendone il pelo, se qualcuno
l'avesse. Via via che li tagliate gettateli nell'acqua fresca acidulata con
aceto o limone onde non diventino neri e per lo stesso motivo metteteli al
fuoco in un vaso di terra contenente acqua bollente alla quale sarà bene
dare odore con un mazzetto di erbe aromatiche, come pepolino, basilico, foglie
di sedano e simili. Dieci minuti di bollitura, ed anche soli cinque se sono
teneri, saranno sufficienti per cuocerli a metà. Scolateli e metteteli
in un graticcio ad asciugare al sole; poi infilateli e finite di seccarli
all'ombra in luogo ventilato. Possibilmente non teneteli tanto al sole
onde non prendano odore di fieno.
Quando si adoperano per fritto o per contorno
agli umidi, si rammolliscono nell'acqua bollente.
424. PISELLI ALLA FRANCESE I
Questa che vi do è la dose per un litro di
piselli freschi.
Prendete due cipolle novelline, tagliatele a
metà per la loro lunghezza, richiudetele con alcuni gambi di prezzemolo
in mezzo e legatele. Ciò fatto, mettetele al fuoco con grammi 30 di
burro e rosolate che sieno, versate sulle medesime un buon ramaiuolo di brodo.
Fate bollire e quando le cipolle saranno
spappolate, passatele, spremendole, insieme col sugo che rimetterete al fuoco
coi piselli e con due grumoli interi di lattuga. Conditeli con sale e pepe e
fateli bollire adagio. A mezza cottura aggiungete altri grammi 30
di burro intriso in una cucchiaiata non colma di farina e versate brodo, se
occorre. Prima di mandarli in tavola legateli con due rossi d'uovo sciolti in
un po' di brodo. In questo modo riescono assai delicati.
425. PISELLI ALLA FRANCESE II
Questa
ricetta è più semplice e più sbrigativa della precedente,
ma non è però così fine. Trinciate alquanta cipolla a
fette sottilissime e mettetela al fuoco in una cazzaruola con un pezzo di
burro. Quando sarà bene rosolata versate un pizzico di farina, mescolate,
e dopo aggiungete, a seconda della quantità, un ramaiuolo o due di brodo
e lasciate cuocere la farina. Versate i piselli, conditeli con sale e pepe e, a
mezza cottura, aggiungete un grumolo o due interi di lattuga. Fate bollire
adagio badando che il sugo non riesca troppo denso.
Alcuni indolciscono i piselli con un cucchiaino
di zucchero; ma in questo caso mettetene poco, perché il dolce deve sembrar
naturale e non messo ad arte.
Quando li servite levate la lattuga.
426. PISELLI COL PROSCIUTTO
Lasciamo agl’Inglesi il gusto di mangiare i
legumi lessati senza condimento o, al più, con un poco di burro; noi,
popoli meridionali, abbiamo bisogno che il sapore delle vivande ecciti
alquanto.
In nessun altro luogo ho trovato buoni i piselli
come nelle trattorie di Roma, non tanto per l'eccellente qualità degli
ortaggi di quella città, quanto perché colà ai piselli si
dà il grato sapore del prosciutto affumicato. Avendo con qualche prova
tentato d'indovinare come si preparino, se non ho raggiunto quella stessa
bontà mi ci sono appressato, ed ecco come:
Dividete in due parti per il lungo, secondo la
quantità dei piselli, una o due cipolle novelline e mettetele al fuoco
con olio e alquanto prosciutto grasso e magro tagliato a piccoli dadi. Fate
soffriggere finché il prosciutto sia raggrinzito; allora gettate dentro i
piselli, conditeli con poco o punto sale e una presa di pepe; mescolate e
finiteli di cuocere col brodo, aggiungendovi un poco di burro.
Serviteli, o soli come piatto di legume, o per
contorno; ma prima gettate via tutta la cipolla.
427. PISELLI COLLA CARNESECCA
I piselli vengono bene anche nella seguente
maniera, ma gli antecedenti appartengono di più alla cucina fine.
Mettete al fuoco un battutino di carnesecca, aglio, prezzemolo e olio;
conditelo con poco sale e pepe, e quando l'aglio avrà preso colore,
buttate giù i piselli. Tirato che abbiano l'unto, finite di cuocerli con
brodo o, in mancanza di questo, con acqua.
I gusci dei piselli, se sono teneri e freschi, si
possono utilizzare cotti nell'acqua e passati dallo staccio. Si ottiene
così una purée, cioè un passato che, sciolto nel brodo,
aggiunge delicatezza a una zuppa di erbaggi o ad una minestra di riso e cavolo.
Si può anche mescolarlo all'acqua del risotto coi piselli n. 75.
428. SFORMATO DI PISELLI FRESCHI
Piselli sgranati, grammi 600.
Prosciutto grasso e magro, grammi 50.
Burro, grammi 30.
Farina, grammi 20.
Uova, n. 3.
Parmigiano, una cucchiaiata.
Fate un battutino col prosciutto suddetto, una
piccola cipolla novellina e un pizzico di prezzemolo. Mettetelo al fuoco con
olio e quando avrà preso colore versate i piselli condendoli con sale e
pepe. Cotti che siano passatene una quarta parte e il passato unitelo a un
intriso composto col burro e la farina indicati e diluito sul fuoco con sugo di
carne o brodo. Poi mescolate ogni cosa insieme, il parmigiano compreso, e
cuocete il composto a bagno-maria in uno stampo liscio col foglio imburrato
sotto.
429. FAVE FRESCHE IN STUFA
Prendete baccelli di fave grosse e granite;
sgranatele e sbucciatele.
Tritate fine una cipolla novellina, mettetela al
fuoco con olio, e quando comincia a rosolare, gettate nel soffritto prosciutto
grasso e magro tagliato a dadini. Dopo poco versate le fave, conditele con pepe
e poco sale e quando avranno preso il condimento, aggiungete un grumolo o due,
a seconda della quantità delle fave, di lattuga tagliata all'ingrosso e
finite di cuocerle con brodo, se occorre.
430. POMODORI RIPIENI
Prendete pomodori di mezzana grandezza e maturi;
tagliateli in due parti eguali, levatene i semi, conditeli con sale e pepe e
riempite i buchi formati col seguente composto, in modo che sopravanzi e faccia
la colma sulla superficie del pomodoro medesimo.
Fate un battutino con cipolla, prezzemolo e
sedano, mettetelo al fuoco con un pezzetto di burro e quando avrà preso
colore, versateci un pugnello di funghi secchi rammolliti e tritati finissimi;
aggiungete un cucchiaio di pappa col latte, condite con sale e pepe, e fate
bollire alquanto, bagnando il composto col latte, se occorre. Tolto dal fuoco
aggiungete, quando sarà tiepido, parmigiano grattato e un uovo oppure il
rosso soltanto, se è sufficiente a rendere il composto non troppo
liquido. Preparati così i pomodori, cuoceteli in una teglia fra due
fuochi con un po' di burro e olio insieme e serviteli per contorno a un arrosto
qualunque o a una bistecca in gratella. Si posson fare più semplici con
un battutino di aglio e prezzemolo mescolato con pochissimo pangrattato, sale e
pepe e conditi coll'olio quando sono nella teglia.
Per contorno al lesso vengono eccellenti nella
seguente maniera. Prendete un tegame largo oppure una teglia, spargete sulla
medesima dei pezzettini di burro e sopra questi collocate, dalla parte della
buccia, pomodori tagliati a metà dopo averne levati i semi. Conditeli
con sale, pepe e un poco d'olio, spargete sui medesimi altri pezzettini di
burro e cuoceteli a vaso scoperto.
431. CAVOLFIORE COLLA BALSAMELLA
I cavoli tutti, siano bianchi, neri, gialli o
verdi, sono figliuoli o figliastri di Eolo, dio dei venti, e però coloro
che il vento non possono sopportare rammentino che per essi queste piante sono
vere crocifere, così chiamate perché i loro fiori portano quattro
petali in forma di croce. Levate a una grossa palla di cavolfiore le foglie e
le costole verdi, fatele un profondo taglio in croce nel gambo e cuocetela in
acqua salata. Tagliatela poscia a spicchiettini e tiratela a sapore con burro,
sale e pepe. Mettetela in un vassoio che regga al fuoco, buttateci sopra un
pizzico scarso di parmigiano, copritela tutta colla balsamella del n.
137 e rosolatene la superficie. Servite questo cavolfiore caldo come tramesso
o, meglio, accompagnato da un umido di carne o da un pollo lessato.
432. SAUER-KRAUT I
Non è questo il vero sauer-kraut, il
quale bisogna lasciar fare ai tedeschi: è una pallida imitazione di
quello, che però non riesce sgradevole come contorno ai coteghini, agli
zamponi ed anche al lesso comune.
Prendete una palla di cavolo bianco, nettatela
dalle foglie verdi a grosse costole e tagliatela, in quattro spicchi,
cominciando dal gambo. Lavateli bene nell'acqua fresca e poi, con un coltello
lungo ed affilato, tagliateli per traverso ben sottili come fareste pei
taglierini. Ridotto il cavolo a questo modo, ponetelo in un vaso di terra con
un pizzico di sale e versategli sopra acqua bollente fino a coprirlo. Quando
sarà diaccio levatelo via strizzandolo bene, poi rimettetelo nel vaso
asciutto con un dito di aceto forte mescolato in un bicchier d'acqua fresca. Se
la palla di cavolo sarà molto grossa, raddoppiate la dose. Lasciatelo in
infusione diverse ore, tornate a strizzarlo bene e mettetelo a cuocere nella
seguente maniera.
Tritate fine una fetta proporzionata di
prosciutto grasso o di carnesecca e mettetela con un pezzetto di burro in una
cazzaruola; quando avranno soffritto un poco, gettateci il cavolo e tiratelo a
cottura con brodo di coteghino o di zampone, se questi sono insaccati di fresco
e non troppo piccanti, altrimenti servitevi di brodo. Prima di mandarlo in
tavola assaggiatelo se sta bene di aceto, il quale deve leggermente sentirsi, e
di sale.
A proposito di salumi, in qualche provincia
d'Italia, avendo il popolo preso il vizio delle abbondanti e frequenti
libazioni a Bacco, si è guasto il senso del palato; per conseguenza i
pizzicagnoli dovendo uniformarsi a un gusto pervertito, impinzano le carni
porcine di sale, di pepe e di droghe piccanti a dispetto de' buongustai che le
aggredirebbero leggiere di condimento e di sapore delicato come quelle, ad
esempio, che si manipolano, più che altrove, nel modenese.
433. SAUER-KRAUT II
Può servire per contorno ai coteghini e al
lesso come quello del numero precedente. Prendete una palla di cavolo cappuccio
o verzotto, tagliatelo a listarelle della larghezza di un centimetro circa e
tenetelo in molle nell'acqua fresca. Levatelo dall'acqua senza spremerlo e
pigiatelo in una cazzaruola sopra al fuoco per fargli far l'acqua, che poi
scolerete strizzandolo col mestolo. Fate un battuto con un quarto di una grossa
cipolla, un po' di carnesecca tritata fine, e un pezzetto di burro; quando
avrà preso colore versate il cavolo anzidetto con un pezzo di carnesecca
intera tramezzo, che poi leverete, e conditelo con sale e pepe. Fatelo bollire
adagio, bagnandolo con brodo per tirarlo a cottura e per ultimo aggiungete un
poco d'aceto e un cucchiaino di zucchero, ma in modo che l'aceto si faccia
appena sentire.
434. BROCCOLI O TALLI DI RAPE ALLA FIORENTINA
I broccoli di rapa non sono altro che le messe o
i talli delle rape, le quali soglionsi portare al mercato con qualche foglia
attaccata. È un erbaggio dei più sani, usatissimo in Toscana; ma
per la sua insipidezza e sapore amarognolo non è apprezzato in altre
parti d'Italia, e nemmeno è portato sulla mensa del povero.
Nettate i broccoli dalle foglie più dure,
lessateli, spremeteli dall'acqua e tagliateli all'ingrosso. Tritate due o tre
spicchi d'aglio o lasciateli interi, e preso che abbiano colore con olio
abbondante in padella, gettateci i broccoli, conditeli con sale e pepe,
rimestateli spesso e lasciateli soffrigger molto. Possono servirsi per contorno
al lesso o anche per mangiarli soli.
Se non vi piaccion così, lessateli e
conditeli con olio e aceto. Nel febbraio e nel marzo si mettono in vendita i
talli di questa pianta che sono teneri e delicati.
Nei paesi ove l'olio non è perfetto si
può supplire col lardo; anzi, a gusto mio, soffritti con questo sono
migliori.
435. BROCCOLI ROMANI
Questi broccoli, di cui a Roma si fa gran
consumo, hanno le foglie di un verde cupo e il fiore nero o paonazzo.
Nettateli dalle foglie più dure e
lessateli. Tolti dall'acqua bollente gettateli nella fredda e, dopo strizzati
bene, tritateli all'ingrosso e gettateli in padella con lardo vergine
(strutto), condendoli con sale e pepe. Tirato che abbiano tutto l'unto,
annaffiateli con vino bianco dolce, continuate a strascinarli in padella finché
l'abbiano tutto assorbito ed evaporato, indi serviteli ché saranno lodati.
Eccovi un altro modo di cucinar questi broccoli
che così, senza lessarli, riescono migliori. Servitevi soltanto del
fiore e delle foglie più tenere; queste tagliatele all'ingrosso e il
fiore a piccoli spicchi. Mettete la padella al fuoco con olio in proporzione e
uno spicchio d'aglio tagliato a fettine per traverso. Quando l'aglio comincia a
rosolare gettate da crude in padella prima le foglie e poi il fiore, sale e
pepe per condimento, e via via che, bollendo, si prosciugano rimestandoli
sempre, andateli bagnando con un gocciolo d'acqua calda e, quasi a cottura
completa, col vino bianco. Non potendo darvi di questo piatto le dosi precise
abbiate la pazienza di far qualche prova (ne fo tante io!) per accertarvi del
suo gusto migliore.
436. CAVOLO RIPIENO
Prendete una grossa palla di cavolo cappuccio o
verzotto, nettatela dalle foglie dure della superficie, pareggiatele il gambo e
datele mezza cottura in acqua salata. Mettetela capovolta a scolare, poi aprite
le foglie ad una ad una fino al grumolo di mezzo e sul medesimo versate il
ripieno; tirategli sopra tutte le foglie per benino, chiudetelo tutto e fategli
una legatura in croce.
Il ripieno potete farlo con vitella di latte
stracottata sola, od unita a fegatini e animelle, il tutto tritato fine. Per
aggraziare e render delicato il composto, aggiungete un poco di balsamella, un
pizzico di parmigiano, un rosso d'uovo e l'odore di noce moscata. Terminate di
cuocere il cavolo nel sugo del detto stracotto, aggiungendovi un pezzetto di
burro, con fuoco leggiero sotto e sopra.
Non volendo riempire il cavolo intero, si possono
riempire le foglie più larghe ad una ad una avvolgendole sopra sé stesse
a guisa di tanti rocchi.
Alla balsamella può supplire una
midolla di pane inzuppata nel brodo o nel sugo.
437. CAVOLO BIANCO PER CONTORNO
Prendete una palla di cavolo cappuccio o
verzotto, tagliatela in croce dalla parte del gambo per formarne quattro parti
ed ognuna di queste tagliatela a piccoli spicchi. Tenetelo in molle nell'acqua
fresca, e scottatelo in acqua salata e, tolto dal fuoco, scolatelo bene senza
spremerlo. Fate un battuto di prosciutto e cipolla e mettetelo al fuoco con un
pezzo di burro. Quando la cipolla avrà preso il rosso fermatela con un
ramaiuolo di brodo, fate bollire un poco e poi passate il sugo. In questo sugo
rimettete il cavolo con un pezzetto di prosciutto, conditelo con pepe e poco
sale e fatelo bollire adagio per terminare di cuocerlo. Levate il prosciutto e
mandatelo in tavola per contorno al lesso.
438. CAVOLO NERO PER CONTORNO
Levategli le costole dure, lessatelo e tritatelo
fine. Se non avete sugo di carne fate un battutino di prosciutto e cipolla,
mettetelo al fuoco con un pezzetto di burro e quando la cipolla sarà ben
rosolata, bagnatela con un gocciolo di brodo e passate il sugo formatosi. In
esso gettate il cavolo, conditelo con pepe, poco o punto sale, aggiungete un
altro pezzetto di burro e altro brodo, se occorre, e servitelo per contorno al
lesso o al coteghino. Alcuni usano per minestra, di arrostire fette di pane grosse
un dito, di strofinarle coll'aglio, d'intingerle appena nell'acqua in cui ha
bollito il cavolo nero, ponendoci sopra il cavolo stesso, ancora caldo, e
condendolo con sale, pepe e olio. Questo, che chiamasi a Firenze cavolo con
le fette, è un piatto da Certosini o da infliggersi per penitenza ad
un ghiottone.
439. FINOCCHI COLLA BALSAMELLA
Prendete finocchi polputi, nettateli dalle foglie
dure, tagliateli a piccoli spicchi, lavateli e scottateli nell'acqua salata.
Metteteli a soffriggere nel burro e, quando l'avranno succhiato, tirateli a
cottura intera col latte. Assaggiateli se stanno bene a sale, poi levateli
asciutti e poneteli in un vassoio che regga al fuoco. Spolverizzateli di
parmigiano e copriteli di balsamella. Rosolateli col fuoco sopra e serviteli
col lesso o coll'umido.
440. FINOCCHI PER CONTORNO
Questa ricetta è più semplice della
precedente, ed è egualmente opportuna per contorno al lesso.
Dopo averli tagliati a spicchi e scottati
nell'acqua salata, soffriggeteli nel burro, tirateli a cottura col brodo,
legateli con un pizzico di farina e quando li levate, date loro sapore con un
poco di parmigiano.
441. PATATE ALLA SAUTÉ
Ciò vuol dire, in buono italiano, patate
rosolate nel burro. Sbucciate le patate crude e tagliatele a fette sottili che
porrete al fuoco in una teglia col burro, condendole con sale e pepe. Si addice
molto il metterle sotto la bistecca quando questa si manda in tavola. Si
possono anche friggere in padella coll'olio nella seguente maniera. Se sono
patate novelline non occorre sbucciarle; basta strofinarle con un canovaccio
ruvido. Tagliatele a fettine sottilissime e lasciatele nell'acqua fresca per
un'ora circa; poi asciugatele bene fra le pieghe di un canovaccio e
infarinatele. Avvertite di non arrostirle troppo e salatele dopo cotte.
442. PATATE TARTUFATE
Tagliate a fette sottili delle patate già
mezzo lessate e ponetele a suoli in una tegliettina, intramezzate da tartufi,
anch'essi a fette sottili, e da parmigiano grattato. Aggiungete qualche
pezzetto di burro, sale e pepe, e quando cominciano a grillettare, annaffiatele
con brodo o con sugo di carne. Prima di ritirarle dal fuoco strizzate sulle
medesime un po' d'agro di limone e servitele calde.
443. PASSATO DI PATATE
Ormai in Italia se non si parla barbaro, trattandosi
specialmente di mode e di cucina, nessuno v'intende; quindi per esser capito
bisognerà ch'io chiami questo piatto di contorno non passato di...; ma purée
di... o più barbaramente ancora patate mâchées.
Patate belle, grosse, farinacee, grammi 500.
Burro, grammi 50.
Latte buono, o panna, mezzo bicchiere.
Sale, quanto basta.
Lessate le patate, sbucciatele e, calde bollenti,
passatele per istaccio. Poi mettetele al fuoco in una cazzaruola coi suddetti
ingredienti, lavorandole molto col mestolo onde si affinino. Si conosce se le
patate son cotte bucandole con uno stecco appuntato che deve passare da parte a
parte liberamente.
444. INSALATA DI PATATE
Benché si tratti di patate vi dico che questo
piatto, nella sua modestia, è degno di essere elogiato, ma non è
per tutti gli stomachi.
Lessate grammi 500 di patate o cuocetele a
vapore, sbucciatele calde, tagliatele a fette sottili e mettetele in
un'insalatiera. Prendete:
Capperi sotto aceto, grammi 30.
Peperoni sotto aceto, n. 2.
Cetriolini sotto aceto, n. 5.
Cipolline sotto aceto, n. 4.
Acciughe salate e pulite, n. 4.
Una costola di sedano lunga un palmo.
Un pizzico di basilico; e tutte queste cose
insieme tritatele minutissime e mettetele in una scodella.
Prendete due uova sode, tritatele egualmente, poi
stiacciatele con la lama di un coltello ed unitele al detto battuto.
Conditelo con olio a buona misura, poco aceto,
sale e pepe e, mescolato ben bene, servitevi di questa poltiglia, divenuta
quasi liquida, per condir le patate, alle quali potete aggiungere, se vi piace,
l'odore del regamo.
Questa dose può bastare per sei o sette
persone ed è un piatto che può conservarsi anche per diversi
giorni.
445. TORTINO DI ZUCCHINI
Tagliate gli zucchini a tocchetti grossi poco
più delle nocciuole, rosolateli nel burro e conditeli con sale e pepe.
Poi versateli in un vassoio che regga al fuoco, spolverizzateli leggermente di
parmigiano in cui avrete mescolato una presa di noce moscata e copriteli di una
balsamella sodettina. Rosolate alquanto la superficie col coperchio del
forno da campagna e serviteli per tramesso o in compagnia del lesso o di un
umido di carne.
446. TORTINO DI PATATE I
Questo piatto, come quello del n. 443, può
servire per tramesso o solo o in compagnia di coteghini e zamponi.
Patate belle, grosse, farinacee, grammi 500.
Burro, grammi 50.
Latte buono, o panna, mezzo bicchiere.
Parmigiano grattato, due cucchiaiate.
Uova, n. 2.
Sale, quanto basta.
Eseguita che avrete la stessa fattura del n. 443,
lasciatele diacciare ed aggiungete il parmigiano e le uova.
Prendete un piatto di rame da pasticcio o una
teglia proporzionata, ungetela col burro, spolverizzatela di pangrattato fine e
versatevi il composto dopo averlo ben mescolato. Dategli la forma di una
schiacciata alta un dito o un dito e mezzo e ponetelo sotto il forno da
campagna per rosolarlo. Servitelo caldo dalla parte sotto stante o superiore,
dove è più appariscente. Invece di un tortino grande potete farne
molti dei piccoli, od anche, per dar loro una forma elegante, porre il composto
negli stampini.
447. TORTINO DI PATATE II
Il tortino di patate fatto nel seguente modo, mi
sembra che venga meglio del precedente.
Patate, grammi 500.
Burro, grattami 50.
Farina, grammi 30.
Uova, n. 2.
Parmigiano, due cucchiaiate.
Latte, quanto basta.
Sale, quanto basta.
Fate una balsamella con la detta farina,
con la metà del burro e il latte che occorre. Versate nella medesima le
patate già cotte e passate. Lavoratele sopra al fuoco versando il burro
rimanente, il sale e tanto altro latte che basti a farne una pasta non troppo
morbida. Diaccia, aggiungete il resto e rosolate il composto come il
precedente.
448. SPINACI PER CONTORNO
Lo spinacio è un erbaggio salubre, rinfrescante,
emolliente, alquanto lassativo e di facile digestione quando è tritato.
Dopo averli lessati e tritati fini colla lunetta si possono cucinare gli
spinaci in questi diversi modi:
l°. Con solo burro, sale e pepe, aggiungendo un
poco di sugo di carne, se lo avete, o qualche cucchiaiata di brodo od anche di
panna.
2°. Con un piccolissimo soffritto di cipolla
tritata fine e tirato col burro.
3°. Con solo burro, sale e pepe come i primi,
aggiungendo un pizzico di parmigiano.
4°. Con burro, un gocciolo d'olio appena e sugo
di pomodoro o conserva.
449. SPINACI DI MAGRO ALL’USO DI ROMAGNA
Lessateli con la sola acqua che grondano
dall'averli tenuti in molle, spremeteli bene e metteteli in umido con un
soffritto di olio, aglio, prezzemolo, sale e pepe, lasciandoli interi ed
aggraziandoli con una presa di zucchero e alcuni chicchi d'uva secca a cui
siano stati tolti gli acini.
450. SPARAGI
Per dare agli sparagi aspetto più bello,
prima di cuocerli, raschiate con un coltello la parte bianca e pareggiate
l'estremità del gambo; poi legateli con uno spago in mazzi non troppo
grossi, e perché restino verdi, salate l'acqua, immergendoli quando bolle forte
e facendo vento onde il bollore riprenda subito. La cottura è giusta
allorché gli sparagi cominciano a piegare il capo; ma accertatevi meglio colle
dita se cedono a una giusta pressione, essendo bene che sieno piuttosto poco
che troppo cotti. Quando li levate, gettateli nell'acqua fresca, ma poi
toglieteli subito per servirli caldi come i più li desiderano. Questo erbaggio,
prezioso non solo per le sue qualità diuretiche e digestive, ma anche
per l'alto prezzo a cui si vende, lessato che sia si può preparare in
diverse maniere, ma la più semplice e la migliore è quella comune
di condirli con olio finissimo e aceto o agro di limone. Nonostante, per
variare, eccovi altri modi di prepararli, dopo averli lessati a metà.
Metteteli interi a soffriggere alquanto con la parte verde nel burro e, dopo
averli conditi con sale, pepe e un pizzico assai scarso di parmigiano, levateli
versandoci sopra il burro quando avrà preso il rosso. Oppure, dividete
la parte verde dalla bianca e, prendendo un piatto che regga al fuoco,
disponeteli in questa guisa: spolverizzatene il fondo con parmigiano grattato e
distendeteci sopra le punte degli sparagi le une accosto alle altre, conditele
con sale, pepe, parmigiano e pezzetti di burro; fate un altro suolo di sparagi
e conditeli al modo istesso proseguendo finché ne avrete; ma andate scarsi a
condimento onde non riescano nauseanti. Gli strati degli sparagi incrociateli
come un fitto graticolato, metteteli sotto a un coperchio col fuoco sopra per
scioglierne il condimento, e serviteli caldi. Se avete sugo di carne, lessateli
a metà e tirateli a cottura con quello, aggiungendo un poco di burro e una
leggiera fioritura di parmigiano. In un fritto misto potete anche servirvi
delle punte verdi degli sparagi avvolgendole nella pastella del n. 156.
Altri e diversi modi di prepararli vengono
indicati nei libri di cucina; ma il più sovente riescono intrugli non
graditi dai buongustai. Nonostante v'indico la salsa del n. 124, che può
piacere, se è mandata calda in tavola in una salsiera a parte, per
condire con essa tanto gli sparagi quanto i carciofi tagliati in quarti e
lessati.
Il cattivo odore prodotto dagli sparagi si
può convertire in grato olezzo di viola mammola, versando nel vaso da
notte alcune gocce di trementina.
451. SFORMATO DI ZUCCHINI PASSATI
Zucchini, grammi 600.
Parmigiano, grammi 40.
Uova, n. 4.
Fate un battuto con un quarto di cipolla, sedano,
carota e prezzemolo. Mettetelo al fuoco con olio e quando avrà preso
colore versate gli zucchini tagliati a tocchetti conditi con sale e pepe.
Allorché saranno rosolati tirateli a cottura con acqua, passateli asciutti
dallo staccio ed aggiungete il parmigiano e le uova.
Fate una balsamella con grammi 60 di
burro, due cucchiaiate di farina e
Questa dose potrà bastare per otto o dieci
persone
452. SFORMATO DI FUNGHI
Tutte le qualità di funghi possono fare al
caso; ma io ritengo che i porcini sieno da preferirsi, esclusi però i
grossissimi. Nettateli bene dalla terra e lavateli, poi tritateli minuti alla
grossezza di un cece o anche meno. Metteteli al fuoco con burro, sale e pepe e
quando avranno soffritto alquanto, tirateli a cottura con sugo di carne.
Ritirati dal fuoco, legateli con balsamella, uova e parmigiano e
assodate il composto a bagno-maria.
Grammi 600 di funghi in natura con cinque uova
faranno uno sformato bastante per dieci persone.
Servitelo caldo e per tramesso.
453. CAVOLO VERZOTTO PER CONTORNO
Lessatelo a metà, strizzatelo dall'acqua,
tritatelo colla lunetta, mettetelo al fuoco con burro e latte per tirarlo a
cottura e salatelo. Quando sarà ben cotto unitegli della balsamella piuttosto
soda; fate che s'incorpori bene sul fuoco col cavolo e aggiungete parmigiano
grattato. Assaggiatelo per sentire se ha sapore e se è giusto di
condimenti e servitelo per contorno al lesso o a un umido di carne; vedrete che
piacerà molto per la sua delicatezza.
454. INSALATA RUSSA
La così detta insalata russa, ora di moda nei
pranzi, conservatone il carattere fondamentale, i cuochi la intrugliano a loro
piacere. La presente, fatta nella mia cucina, nella sua complicazione, è
una delle più semplici.
Insalata, grammi 120.
Barbabietole, grammi 100.
Fagiuolini in erba, grammi 70.
Patate, grammi 50.
Carote, grammi 20.
Capperi sotto aceto, grammi 20.
Cetriolini sotto aceto, grammi 20.
Acciughe salate, n. 3.
Uova sode, n. 2.
L'insalata, che può essere di due o tre
qualità, come sarebbe insalata romana (lattugoni), radicchio,
lattuga, tagliatela a striscioline. Le barbabietole, i fagiuolini, le patate e
le carote pesatele dopo lessate e tagliatele a piccoli dadi grossi meno di un
cece e così pure le chiare e un rosso delle due uova assodate. I capperi
lasciateli interi e i cetriolini tagliateli alla grossezza dei medesimi.
Le acciughe, pulite e toltane la spina,
tagliatele a pezzettini, e fatto tutto questo mescolate ogni cosa insieme.
Ora preparate una maionese (vedi n. 126) con due
rossi crudi e quello sodo rimasto e
Sciogliete al fuoco tre fogli di colla di pesce
in due dita, di bicchiere, d'acqua dopo di averla tenuta in molle qualche ora
e, sciolta che sia, versatene quanto è grosso un soldo sul fondo di uno
stampo liscio e il resto mescolatelo nel composto che poi verserete nel detto
stampo per metterlo in ghiaccio. Per isformarla facilmente, bagnate lo stampo
con acqua calda e se volete darle un'apparenza più bella ed elegante,
quando nello stampo avrete versato lo strato sottile di colla di pesce, prima
d'aggiungere il composto ci potrete fare sopra un ornato a diversi colori
coll'erbaggio, le chiare e il rosso delle uova sode sopraccennate.
Questa dose potrà bastare per otto o dieci
persone.
PIATTI DI
PESCE
Tra i pesci comuni, i più fini sono: lo
storione, il dentice, l'ombrina, il ragno, la sogliola, il rombo, il pesce San
Pietro, l'orata, la triglia di scoglio, la trota d'acqua dolce; ottimi tutto
l'anno, ma la sogliola e il rombo specialmente d'inverno.
Le stagioni per gli altri pesci più
conosciuti sono: pel nasello, l'anguilla e i totani, tutto l'anno; ma
l'anguilla è più adatta l'inverno e i totani sono migliori
l'estate.
Pel muggine grosso di mare, il luglio e l'agosto;
pel muggine piccolo (cefalo), l'ottobre e il novembre, ed anche tutto
l'inverno. Pei ghiozzi, frittura e seppie, il marzo, l'aprile e il maggio. Pei
polpi, l'ottobre. Per le sarde e le acciughe, tutto l'inverno fino all'aprile.
Per le triglie (barboni), il settembre e l'ottobre. Pel tonno, dal marzo
all'ottobre. Per lo sgombro, la primavera, specialmente il maggio; questo
pesce, per la sua carne dura e tigliosa, si usa cuocerlo in umido; volendolo
fare in gratella sarà bene metterlo al fuoco sopra un foglio grosso di
carta unto e condirlo con olio, sale, pepe e qualche foglia di ramerino.
Tra i crostacei, uno de' più stimati
è l'arigusta, o aragosta, buona tutto l'anno, ma meglio in primavera, e
tra le conchiglie, l'ostrica, la quale ne' luoghi di ostricultura si raccoglie
dall'ottobre all'aprile.
Il pesce, se è fresco, ha l'occhio vivace
e lucido; lo ha pallido ed appannato se non è fresco. Un altro indizio
della sua freschezza è il colore rosso delle branchie; ma queste potendo
essere state colorite ad arte col sangue, toccatele con un dito e portatevelo
al naso: l'odore vi farà la spia. Un altro carattere del pesce fresco
è la sodezza delle carni, perché se sta molto nel ghiaccio diventa
frollo e morbido al tatto.
I marinai dicono che, i crostacei e i ricci di
mare, sono più pieni pescati durante il chiaro di luna.
455. CACCIUCCO I
Cacciucco! Lasciatemi far due chiacchiere su
questa parola la quale forse non è intesa che in Toscana e sulle spiagge
del Mediterraneo, per la ragione che ne' paesi che costeggiano l'Adriatico
è sostituita dalla voce brodetto. A Firenze, invece, il brodetto
è una minestra che s'usa per Pasqua d'uova, cioè una zuppa di
pane in brodo, legata con uova frullate e agro di limone. La confusione di
questi e simili termini fra provincia e provincia, in Italia, è tale che
poco manca a formare una seconda Babele. Dopo l'unità della patria mi
sembrava logica conseguenza il pensare all'unità della lingua parlata,
che pochi curano e molti osteggiano, forse per un falso amor proprio e forse
anche per la lunga e inveterata consuetudine ai propri dialetti.
Tornando al cacciucco, dirò che questo,
naturalmente, è un piatto in uso più che altrove nei porti di
mare, ove il pesce si trova fresco e delle specie occorrente al bisogno. Ogni
pescivendolo è in grado di indicarvi le qualità che meglio si
addicono a un buon cacciucco; ma buono quanto si voglia, è sempre un
cibo assai grave e bisogna guardarsi dal farne una scorpacciata.
Per grammi 700 di pesce, trinciate fine mezza
cipolla e mettetela a soffriggere con olio, prezzemolo e due spicchi d'aglio
intero. Appena che la cipolla avrà preso colore, aggiungete grammi 300
di pomodori a pezzi, o conserva, e condite con sale e pepe. Cotti che siano i
pomodori, versate sui medesimi un dito d'aceto se è forte, e due se
è debole, diluito in un buon bicchier d'acqua. Lasciate bollire ancora
per qualche minuto, poi gettate via l'aglio e passate il resto spremendo bene.
Rimettete al fuoco il succo passato, insieme col pesce che avrete in pronto,
come sarebbero, parlando dei più comuni, sogliole, triglie, pesce
cappone, palombo, ghiozzi, canocchie, che in Toscana chiamassi cicale,
ed altre varietà della stagione, lasciando interi i pesci piccoli e
tagliando a pezzi i grossi. Assaggiate se sta bene il condimento; ma in ogni
caso non sarà male aggiungere un po' d'olio tenendosi piuttosto scarsi
nel soffritto. Giunto il pesce a cottura e fatto il cacciucco, si usa portarlo
in tavola in due vassoi separati; in uno il pesce asciutto, nell'altro tante
fette di pane, grosse un dito, quante ne può intingere il succo che
resta, ma prima asciugatele al fuoco senza arrostirle.
456. CACCIUCCO II
Questo cacciucco, imparato a Viareggio, è
assai meno gustoso dell'antecedente, ma più leggiero e più
digeribile.
Per la stessa quantità di pesce pestate in
un mortaio tre grossi spicchi d'aglio e dello zenzero fresco, oppure secco, per
ridurlo in polvere. Per zenzero colà s'intende il peperone rosso
piccante, quindi va escluso il pepe. Mettete questo composto al fuoco in un
tegame o pentola di terra con olio in proporzione e quando avrà soffritto
versateci un bicchiere di liquido composto di un terzo di vino bianco asciutto
oppure rosso e il resto acqua. Collocateci il pesce, salatelo e poco dopo sugo
di pomodoro o conserva sciolta in un gocciolo d'acqua. Fate bollire a fuoco
ardente tenendo sempre il vaso coperto, non toccate mai il pesce per non
romperlo, e lo troverete cotto in pochi minuti.
Servitelo come il precedente, con fette di pane a
parte che asciugherete prima al fuoco senza arrostirle.
Se il pesce, prima di cuocerlo, resta crudo per
diverse ore, si conserva meglio salandolo; ma allora è bene di lavarlo
avanti di metterlo al fuoco.
457. PESCE AL PIATTO
Ritengo che il pesce, per essere alimento poco
nutritivo, sia più igienico usarlo promiscuamente alla carne anziché
cibarsi esclusivamente di esso ne' giorni magri, ammenoché non vi sentiate il
bisogno di equilibrare il corpo per ripienezza di cibi troppo succolenti. Di
più il pesce, in ispecie i così detti frutti di mare e i
crostacei, per la quantità notevole d'idrogeno e di fosforo che
contengono, sono eccitanti e non sarebbero indicati per chi vuol vivere in
continenza.
Meglio è il servirsi per questo piatto di
qualità diverse di pesce minuto; ma si può cucinare nella stessa
maniera anche il pesce a taglio in fette sottili. Quando io l'ho fatto di
sogliole e triglie, ho diviso le prime in tre parti. Dopo che avrete nettato,
lavato e asciugato il pesce, ponetelo in un vaso di metallo o di porcellana che
regga al fuoco e conditelo con un battuto d'aglio e prezzemolo, sale e pepe, olio,
agro di limone e vino bianco buono.
Ponete in fondo metà del battuto con un
po' d'olio, distendetegli sopra il pesce, e poi, versando dell'altro olio e il
resto degli ingredienti, fate che il pesce vi sguazzi entro. Cuocetelo con
fuoco sotto e sopra; se il vassoio è di porcellana posatelo sulla
cinigia.
Non è piatto difficile a farsi e
però vi consiglio di provarlo, persuaso che ve ne troverete contenti.
458. PESCE MARINATO
Sono parecchie le specie de' pesci che si possono
marinare; ma io preferisco le sogliole e le anguille grosse. Se trattasi di
sogliole friggetele prima nell'olio e salatele; se di anguilla tagliatela a
pezzi lunghi circa mezzo dito e, senza spellarli, cuoceteli in gratella o allo
spiedo. Quando hanno gettato il grasso conditeli con sale e pepe.
Prendete una cazzaruola e in essa versate, in
proporzione del pesce, aceto, sapa (che qui ci sta come il cacio su'
maccheroni), foglie di salvia intere, pinoli interi, uva passolina, qualche
spicchio d'aglio tagliato in due per traverso e del candito a pezzettini.
Mancandovi la sapa supplite collo zucchero e assaggiate per correggere il
sapore dell'aceto, se fosse troppo forte. Fate che questo composto alzi il
bollore e poi versatelo sul pesce che avrete collocato in un tegame di terra,
disteso in modo che il liquido lo investa da tutte le parti. Fategli spiccare
un'altra volta il bollore col pesce dentro, poi coprite il vaso e riponetelo.
Quando lo servite in tavola prendetene quella
quantità che vi abbisogna con un poco dei suo intinto, unendovi anche
porzione degli ingredienti che vi sono. Se col tempo il pesce prosciugasse,
rinfrescatelo con un altro poco di marinato. Anche l'anguilla scorpionata che
è messa in commercio, potete prepararla in questa maniera.
459. PESCE LESSO
Non sarà male avvertire che si usa cuocere
il pesce lesso nella seguente maniera: si mette l'acqua occorrente, non
però in molta quantità, al fuoco; si sala e prima di gettarvi il
pesce si fa bollire per circa un quarto d'ora coi seguenti odori: un quarto o
mezza cipolla, a seconda della quantità del pesce, steccata con due
chiodi di garofani, pezzi di sedano e di carota, prezzemolo e due o tre fettine
di limone; oppure (come alcuni credono meglio) si mette al fuoco con acqua
diaccia e con gli odori indicati e, dopo cotto, si lascia in caldo nel suo
brodo fino all'ora di servirlo. Con le fettine di limone strofinatelo prima
tutto da crudo, che così rimane con la pelle più unita.
Il punto della cottura si conosce dagli occhi che
schizzano fuori, dalla pelle che si distacca toccandola e dalla tenerezza che
acquista il pesce bollendo. Mandatelo caldo in tavola, non del tutto asciutto
dall'acqua in cui è stato cotto, e se desiderate vi faccia miglior
figura, copritelo di prezzemolo naturale e collocatelo in mezzo a un contorno
misto di barbabietole cotte nell'acqua se piccole, o in forno se grosse, e di
patate lesse, tanto le une che le altre tagliate a fette sottilissime perché
prendano meglio il condimento; unite, infine, qualche spicchio di uova sode.
Non facendogli il contorno potete servirlo con le salse dei numeri 128, 129,
130, 132, 133 e 134.
Si può anche mandare in tavola il pesce
lesso decorato nella seguente maniera che farà di sé bella mostra.
Tagliato a pezzetti e colmatone un vassoio, intonacarlo tutto di maionese n.
126 e questa ornarla a disegno con filetti di acciughe salate e di capperi
interi.
460. PESCE COL PANGRATTATO
Questo piatto, che può servire anche di
tramesso, si fa specialmente quando rimane del pesce lessato di qualità
fine. Tagliatelo a pezzetti, nettatelo bene dalle spine e dalle lische, poi
ponetelo nella balsamella n. 137 e dategli sapore con sale quanto basta,
parmigiano grattato e tartufi tagliati fini. Mancandovi questi ultimi,
servitevi di un pizzico di funghi secchi rammolliti. Poi prendete un vassoio
che regga al fuoco, ungetelo con burro e spolverizzatelo di pangrattato;
versateci il composto e copritelo con un sottile strato pure di pangrattato.
Per ultimo mettete sul mezzo del colmo un pezzetto di burro, rosolatelo al
forno da campagna e servitelo caldo.
461. PESCE A TAGLIO IN UMIDO
Il pesce a taglio di cui potete servirvi per
questo piatto di ottimo gusto, può essere il tonno, l'ombrina, il
dentice o il ragno, chiamato impropriamente bronzino lungo le coste
dell'Adriatico. Qualunque sia prendetene un pezzo di circa grammi 6oo che
potrà bastare per cinque persone.
Levategli le scaglie e, lavato ed asciugato,
infarinatelo tutto e mettetelo a rosolare con poco olio. Levatelo asciutto,
gettate via il poco olio rimasto e pulite la cazzaruola. Fate un battuto,
tritato molto minuto, con mezza cipolla di mediocre grandezza, un pezzo di
sedano bianco lungo un palmo e un buon pizzico di prezzemolo; mettetelo al
fuoco con olio a sufficienza e conditelo con sale, pepe e un chiodo di garofano
intero. Quando avrà preso colore fermatelo con molto sugo di pomodoro o
conserva sciolta nell'acqua. Lasciatelo bollire un poco e poi collocateci il
pesce per finirne la cottura, voltandolo spesso, ma vi prevengo di servirlo con
molto del suo denso intinto onde vi sguazzi dentro.
462. PESCE SQUADRO IN UMIDO
Il pesce squadro o pesce angelo (Rhína
Squatina) è affine alle razze per avere il corpo depresso. La sua
pelle, aspra e resistente, serve per pulimentare il legno e l'avorio e per
foderare astucci, guaine di coltelli o di spade e cose simili. La sua carne
è ordinaria, ma trattata nella seguente maniera riesce un piatto da
famiglia non solo mangiabile, ma più che discretamente buono e di poca
spesa, perché trovasi comune da noi.
Componete un battuto, tritato fine, con un buon
pizzico di prezzemolo, mezza carota, un pezzo di sedano, mezzo spicchio d'aglio
e, se il pesce fosse grammi 600 circa, cipolla quanto una grossa noce. Ponete il
battuto al fuoco con olio in proporzione e quando sarà rosolato
fermatelo con sugo di pomodoro o conserva sciolta in un mezzo bicchiere
d'acqua. Conditelo con sale e pepe e collocateci sopra il pezzo del pesce che
preferibilmente dev'essere dalla parte della coda, la quale è molto
grossa. Cuocetelo adagio e quando sarà giunto a due terzi di cottura
aggiungete, per legare la salsa e per dargli un gusto più delicato, un
pezzetto di burro bene impiastricciato di farina e finite di cuocerlo.
463. NASELLO ALLA PALERMITANA
Prendete un nasello (merluzzo) del peso di grammi
Prendete tre grosse acciughe salate, o quattro,
se sono piccole, nettatele dalle scaglie e dalle spine, tritatele e mettetele
al fuoco con due cucchiaiate d'olio per disfarle, badando che non bollano. Con
questa salsa spalmate il pesce nella parte di sopra, cioè sulla pancia e
copritela tutta di pangrattato spargendovi sopra qualche foglia di ramerino,
piacendovi. Cuocetelo fra due fuochi e fategli fare la crosticina, ma badate
non risecchisca troppo, anzi perciò spargetegli sopra dell'altro olio e
prima di levarlo strizzategli sopra un grosso mezzo limone. Credo potrà
bastare per quattro o cinque persone se io servite in tavola contornato da
crostini di caviale o di acciughe e burro.
464. ROTELLE DI PALOMBO IN SALSA
Il palombo (Mustelus) è un pesce
della famiglia degli squali ossia de' pescicani, e perciò in alcuni
paesi il palombo si chiama pescecane. Questa spiegazione serva per chi non
sapesse cosa è il palombo, il quale prende grandi dimensioni e la sua
carne è forse la migliore tra i pesci del sott'ordine dei selachi cui
appartiene.
Prendete rotelle di palombo grosse mezzo dito; se
le lavate, asciugatele dopo in un canovaccio, spellatele con un coltello che
tagli bene, conditele con sale e pepe e tenetele per diverse ore in infusione
nell'uovo frullato. Friggetele nell'olio, ma prima copritele di pangrattato
rituffandole per due volte nell'uovo.
Ora fate la salsa componendola nella seguente
maniera:
Prendete una teglia o un tegame largo ove possano
star distese e nel medesimo ponete olio in proporzione, un pezzetto di burro
intriso bene nella farina, la quale serve per legare la salsa, un pizzico di
prezzemolo tritato, sugo di pomodoro, oppure conserva diluita coll'acqua e una
presa di sale e pepe. Quando questa salsa avrà soffritto un poco sul
fuoco, mettete nella medesima le rotelle di palombo, fritte, voltatele dalle
due parti ed aggiungete acqua onde la salsa riesca liquida. Levatele dal fuoco,
spargete sulle medesime un poco di parmigiano grattato e mandatele in tavola
ove saranno molto lodate.
465. SOGLIOLE IN GRATELLA
Quando le sogliole (Solea vulgaris) sono
grosse, meglio è cuocerle in gratella e condirle col lardo invece
dell'olio; acquistano in questo modo un gusto più grato. Sbuzzatele,
raschiatene le scaglie, lavatele e poi asciugatele bene. Dopo spalmatele
leggermente di lardo vergine diaccio e che non sappia di rancido; conditele con
sale e pepe ed involtatele nel pangrattato. Sciogliete in un tegamino un altro
poco di lardo ed ungetele con una penna anche quando le rivoltate sulla
gratella.
Le sogliole da friggere quando sono grosse, si
possono spellare da ambedue le parti o anche solo dalla parte scura,
infarinandole e tenendole nell'uovo per qualche ora, prima di gettarle in
padella.
Una singolarità di questo pesce,
meritevole di essere menzionata, è che esso nasce, come tutti gli
animali bene architettati, con un occhio a destra ed uno a sinistra; ma a un
certo periodo della sua vita l'occhio che era nella parte bianca, cioè a
sinistra, si trasporta a destra e si fissa come quell'altro nella parte scura.
Le sogliole e i rombi nuotano collocati sul lato cieco. Alla sogliola, per la
bontà e delicatezza della sua carne, i Francesi danno il titolo di pernice
di mare; è un pesce facile a digerirsi, regge più di tanti
altri alla putrefazione e non perde stagione. Si trova abbondante
nell'Adriatico ove viene pescato di nottetempo con grandi reti a sacco,
fortemente piombate alla bocca, le quali raschiando il fondo del mare sollevano
il pesce insieme colla sabbia e col fango in cui giace.
Il rombo, la cui carne è poco dissimile da
quella della sogliola ed anche più delicata, è chiamato fagiano
del mare.
466. FILETTI DI SOGLIOLE COL VINO
Prendete sogliole che non sieno meno di grammi
150 ciascuna, levate loro la testa e spellatele. Poi con un coltello che tagli
bene separate dalle spine la carne per ottenere quattro lunghi filetti per ogni
sogliola od anche otto se le sogliole fossero molto grosse. Con la costola del
coltello batteteli leggermente e con la lama del medesimo spianateli per
renderli sottili e così conciati lasciateli per diverse ore nell'uovo
frullato condito con sale e pepe. involtateli poi nel pangrattato e friggeteli
nell'olio. Dopo versate in un tegame o in una teglia, ove possano star distesi,
un gocciolo di quell'olio rimasto nella padella e un pezzetto di burro,
disponeteci sopra i filetti, conditeli ancora un poco con sale e pepe e quando
avranno soffritto alquanto, bagnateli col vino bianco asciutto, fate bollire
per cinque minuti insieme con un poco di prezzemolo tritato e serviteli con la
salsa che hanno, spargendoci sopra un pizzico di parmigiano. È un piatto
di molta comparita. Servitelo con spicchi di limone. Anche i naselli si possono
cucinare nella stessa maniera.
La parola asciutto applicata al vino, in
questo caso è di rigore perché altrimenti la pietanza saprebbe troppo di
dolce. Una sogliola di comune grandezza può servire per una persona.
467. CONTORNO DI FILETTI DI SOGLIOLE A UN FRITTO
DELLO STESSO PESCE
Prendete un paio di sogliole mezzane oppure una
sola, staccatene i filetti dopo averle spellate, che saranno quattro, e
tagliateli per traverso a listarelle fini come fiammiferi. Se li tagliate in
isbieco li otterrete alquanto più lunghi e sarà meglio. Metteteli
in una scodella col sugo di un limone o più se occorre, e lasciateli
così marinare per due o tre ore il che li farà irrigidire, ché
altrimenti riuscirebbero mosci. Poco prima di servire in tavola asciugateli con
un canovaccio, immergeteli nel latte, infarinateli, cercate che non facciano
gomitolo e friggeteli nell'olio; poi salateli leggermente.
468. TRIGLIE COL PROSCIUTTO
Non è sempre vero il proverbio: Muto
come un pesce, perché la triglia, l'ombrina e qualche altro, emettono suoni
speciali che derivano dalle oscillazioni di appositi muscoli, rafforzate da
quelle dell'aria contenuta nella vescica natatoria.
Le triglie più grosse e saporose sono
quelle di scoglio; ma per cucinarle in questa maniera, possono servire triglie
di mezzana grandezza che nella regione adriatica chiamassi rossioli o barboni.
Dopo averle nettate e lavate asciugatele bene con un canovaccio e poi
ponetele in una scodella da tavola e conditele con sale, pepe, olio e agro di
limone. Lasciatele così per qualche ora e quando sarete per cuocerle,
tagliate tante fettine sottili di prosciutto grasso e magro larghe come le
triglie e in quantità uguale al numero di esse. Prendete un vassoio o un
tegame di metallo, spargete in fondo al medesimo qualche foglia di salvia
intera, involtate bene le triglie nel pangrattato e disponetele in questa
guisa: addossatele insieme ritte e frapponete le fettine di prosciutto fra
l'una e l'altra, spargendovi sopra altre foglie di salvia.
Per ultimo versate sopra le medesime il
condimento rimasto e cuocetele fra due fuochi. Se volete che questo piatto
riesca più signorile, levate la spina alle triglie da crude aprendole
dalla parte davanti, richiudendole poscia.
469. TRIGLIE IN GRATELLA ALLA MARINARA
Dopo averne estratto l'intestino, con la punta di
un coltello, dalle branchie, lavatele ed asciugatele e nel posto dov'era
l'intestino collocate un pezzetto d'aglio. Conditele con sale, pepe, olio,
foglie di ramerino e lasciatele così condite. Quando sarete per cuocerle
involtatele nel pangrattato ed ungetele col condimento allorché saranno sul
fuoco. Oppure, dopo averle nettate, lavate ed asciugate, conditele con poco
sale e pepe e cuocetele così naturali a fuoco ardente. Collocate poi sul
vassoio, conditele solo allora con olio, un altro po' di sale e pepe.
Servitele con spicchi di limone.
470. TRIGLIE DI SCOGLIO IN GRATELLA
Questo bellissimo pesce di color rosso vivace,
che raggiunge il peso di
Conditelo con olio, sale e pepe, cuocetelo a
fuoco ardente e quando lo levate spalmatelo così a bollore con un
composto di burro, prezzemolo trito e agro di limone preparato avanti.
Trattamento questo che può servire anche per altri pesci grossi cotti in
gratella.
Gli antichi Romani stimavano il pesce più
delizioso della carne e le specie che maggiormente apprezzavano erano: lo
storione, il ragno, la lampreda, la triglia di scoglio e il nasello pescato nel
mar della Siria senza annoverar le murene che alimentavano in modo grandioso in
appositi vivai e che nutrivano anche con la carne dei loro schiavi.
Vedio Pollione, noto nella storia per la sua
ricchezza e per la sua crudeltà, mentre cenava con Augusto
comandò fosse gettato nel vivaio, alle murene, uno sventurato servo che aveva
rotto disavvedutamente un bicchiere di cristallo. Augusto, ai cui piedi cadde
lo schiavo, invocando la sua intercessione, poté salvarlo a stento con un
ingegnoso suo strattagemma.
Le triglie grosse di scoglio, che raggiungevano
il peso non mica di soli grammi
471. TRIGLIE ALLA LIVORNESE
Fate un battutino con aglio, prezzemolo e un
pezzo di sedano; mettetelo al fuoco con olio a buona misura e quando l'aglio
avrà preso colore, unitevi pomodori a pezzi e condite con sale e pepe.
Lasciate che i pomodori cuociano bene, rimestateli spesso e passatene il sugo.
In questo sugo collocate le triglie e cuocetele. Se sono piccole non hanno
bisogno d'esser voltate e se il vaso dove hanno bollito distese non è
abbastanza decente prendetele su a una a una per non romperle e collocatele in
un vassoio.
Poco prima di levarle dal fuoco fioritele
leggermente di prezzemolo tritato.
La pesca di questo pesce è più
facile e più produttiva di giorno che di notte e la sua stagione, quando
cioè è più grasso, è, come si disse, il settembre e
l'ottobre.
472. TRIGLIE ALLA VIAREGGINA
Se le triglie fossero in quantità di circa
mezzo chilogrammo fate un battutino con due spicchi d'aglio e un buon pizzico
di prezzemolo. Mettetelo al fuoco con olio a buona misura in un tegame o in una
teglia ove le triglie possano star distese e quando il soffritto sarà
rosolato fermatelo con sugo di pomodoro semplice. Lasciate bollire alquanto,
poi collocateci le triglie rivoltandole nell'intinto a una a una. Copritele e
fatele bollire adagio e quando avranno ritirato buona parte dell'umido
versateci un dito (di bicchiere) di vino rosso annacquato con due dita di
acqua.
Fatele bollire ancora un poco e servitele.
473. TONNO FRESCO
Il tonno, pesce della famiglia degli sgombri,
è proprio del bacino mediterraneo. In certe stagioni abita le parti
più profonde del mare, in altre invece si accosta alle spiagge, ove ha
luogo la pesca che riesce abbondantissima. La sua carne, per l'oleosità
che contiene, rammenta quella del maiale, e perciò non è di
facile digestione. Si vuole che si trovino dei tonni il cui peso raggiunga fino
i
Tagliatelo a fette grosse mezzo dito e mettetelo
al fuoco, sopra un abbondante soffritto d'aglio, prezzemolo e olio, quando
l'aglio comincia a prender colore. Conditelo con sale e pepe, voltate le fette
dalle due parti e, a mezza cottura, aggiungete sugo di pomodoro o conserva
sciolta nell'acqua. Cotto che sia levatelo asciutto e nel suo sugo cuocete i
piselli, poi rimettetelo sopra i medesimi per riscaldarlo e mandatelo in tavola
con questo contorno.
474. TONNO IN GRATELLA
Tagliatelo a fette come il precedente, ma
preferite la sorra; conditelo con olio, sale e pepe, involgetelo nel
pangrattato e cuocetelo, servendolo con spicchi di limone.
475. TONNO SOTT’OLIO IN SALSA ALLA BOLOGNESE
Prendete un pezzo tutto unito di tonno sott'olio
del peso di grammi 150, mettetelo al fuoco con acqua bollente e fatelo bollire
adagio per mezz'ora cambiandogli l'acqua ogni dieci minuti, cioè tre
volte. Frattanto fate un battuto tritato fine con mezza cipollina di quelle
indicate al n. 409, un quarto di spicchio d'aglio, due costole di sedano bianco
lunghe un palmo ciascuna, un bel pezzo di carota e un pugno abbondante di
prezzemolo.
Ponetelo al fuoco con tre cucchiaiate d'olio e
grammi 15 di burro e quando avrà preso colore fermatelo con due dita (di
bicchiere) d'acqua e lasciatelo bollire un poco. Il tonno, diaccio che sia,
tagliatelo a fette più sottili che potete e, preso un tegame,
distendetelo nel medesimo a strati, intercalandolo con la salsa e grammi 15 di
burro sparso a pezzetti. Fategli alzare il bollore al fuoco per liquefare il
burro, strizzategli sopra mezzo limone e servitelo caldo. Potrà bastare
per quattro persone come principio a una colazione di magro o come tramesso a
un desinare di famiglia e non è piatto da disprezzarsi, perché non
aggrava né anche molto lo stomaco.
476. ARIGUSTA
L'aragosta o arigusta è un crostaceo dei
più fini e delicati, comune sulle coste del Mediterraneo. È
indizio della freschezza e della buona qualità delle ariguste, degli
astaci e de' crostacei in genere, il loro peso in proporzione della grossezza;
ma sempre è da preferirsi che siano vivi ancora, o almeno che diano
qualche segno di vitalità, nel qual caso si usa ripiegare la coda
dell'arigusta alla parte sottostante e legarla avanti di gettarla nell'acqua
bollente per cuocerla.
A seconda della sua grossezza fatela bollire dai
30 ai 40 minuti; ma prima aromatizzate l'acqua in cui deve bollire con un
mazzetto composto di cipolla, carote, prezzemolo e due foglie d'alloro,
aggiungendo a questo due cucchiai di aceto e un pizzico di sale. Lasciate che
l'arigusta diacci nel suo brodo e quando la levate, sgrondatela dall'acqua
strizzandone la coda e dopo averla asciugata strofinatela con qualche goccia
d'olio per renderla lucida.
Mandatela in tavola con una incisione dal capo
alla coda per poterne estrarre facilmente la polpa e, se non si volesse
mangiare condita semplicemente con olio e agro di limone, accompagnatela con la
salsa maionese o con altra salsa piccante; ma potete servirla pur anche con una
salsa fatta con lo stesso pesce nel seguente modo:
Levate la polpa della testa e questa tritatela
ben fine con un rosso d'uovo assodato e alcune foglie di prezzemolo. Ponete il
composto in una salsiera, conditelo con pepe, poco o punto sale e diluitelo con
olio fine e l'agro di mezzo limone, o aceto.
477. COTOLETTE DI ARIGUSTA
Prendete un'arigusta del peso di grammi 650
circa, lessatela come è indicato nella ricetta precedente, poi
sgusciatela per estrarne tutta la parte interna che triterete all'ingrosso con
la lunetta. Fate una balsamella nelle proporzioni e come quella
del n. 220 e quando la ritirate dal fuoco gettateci dentro l'arigusta, salatela
e dopo aver mescolato bene il composto, versatelo in un piatto e lasciatelo,
per qualche ora, raffreddar bene
Quando sarete per formare le cotolette dividete
il composto in dieci parti eguali e facendole toccare il pangrattato
modellatele fra la palma delle mani alla grossezza un po' più di mezzo
dito; tuffatele nell'uovo frullato, panatele ancora e friggetele nell'olio.
Delle lunghe corna dell'arigusta fatene dieci pezzi che infilerete nelle
cotolette quando le mandate in tavola onde facciano fede della nobile materia
di cui le cotolette sono composte. Possono bastare per cinque persone ed
è un piatto molto delicato.
478. CONCHIGLIE RIPIENE
È un piatto delicato di pesce che
può servire per principio a una colazione.
I gusci delle conchiglie marine per quest'uso
devono essere, nella parte concava, larghi quanto la palma di una mano onde
ognuno, col contenuto suo, possa bastare a una persona. Appartengono al genere Pecten
Iacobaeus, Pettine, detto volgarmente cappa santa perché si usava dai
pellegrini. La carne di questa conchiglia, buona a mangiarsi, è molto
apprezzata pel suo delicato sapore. In qualche casa signorile usansi conchiglie
d'argento e allora possono servire anche per gelati, ma in questo caso,
trattandosi di pesce, mi sembrano più opportune quelle naturali marine.
Prendete la polpa di un pesce fine lessato,
benché possa prestarsi anche il nasello, il muggine e il palombo, e con questa
dose, che potrà bastare per riempire sei conchiglie, formate il seguente
composto:
Pesce lesso, grammi 130.
Parmigiano grattato, grammi 20.
Farina, grammi 20.
Burro, grammi 20.
Rossi d'uovo, n. 2.
Latte, decilitri 2 1/2.
Fate una balsamella col latte, il burro e
la farina e quando la ritirate dal fuoco uniteci il parmigiano e, non
più a bollore, i rossi d'uovo e il pesce tritato, condendolo con sale e
pepe. Versatelo nelle conchiglie unte prima col burro diaccio, rosolatelo
appena nel forno da campagna e servitelo.
Si potrebbero riempir le conchiglie anche con la
polpa del pollo lesso tritato conservando le stesse proporzioni.
479. STORIONE
Mi permetta il lettore di fare un po' di storia
su questo pesce interessantissimo.
Lo storione appartiene all'ordine dei Ganoidi, da
Ganus che vuol dire lucente, per la lucentezza delle squame, e al
sott'ordine dei Chondrostei per avere lo scheletro cartilagineo. Costituisce la
famiglia degli Acipenser che si qualifica appunto per questi due
distintivi e per la pelle a cinque serie longitudinali di placche a smalto.
È un pesce che ha la bocca posta alla faccia inferiore del capo, priva
di denti e in forma di succhiatoio protrattile, con cirri nasali ossia
tentacoli, per cercare sotto le acque, nel fango, il nutrimento che pare
consista di piccoli animalucci.
Sono animali molto in pregio per le loro carni,
per le uova che costituiscono il caviale e per l'enorme vescica natatoria con
cui si forma l'ittiocolla o colla di pesce. In primavera rimontano i fiumi per
deporre le uova in luoghi tranquilli lungo le sponde.
L'Italia ne alberga diverse specie, la più
stimata delle quali, come cibo, è l’Acipenser sturio (storione
comune); lo si riconosce pel muso acuto, pel labbro inferiore carnoso e nel
mezzo diviso, non che pei cirri nasali semplici e tutti eguali tra loro.
Frequenta a preferenza le foci del Ticino e del Po ove, non è gran
tempo, ne fu pescato uno che pesava Kg. 215; ma la specie che prende maggior
sviluppo è l’Acipenser huso, il quale raggiunge fino a due metri
e più di lunghezza, con ovaia grandi un terzo dell'animale, ed è
questa particolarmente che somministra il caviale e l'ittiocolla. Il primo
è formato dalle uova crude degli storioni, passate per setaccio onde
levarne i filamenti che le inviluppano, indi salate e fortemente compresse; la
seconda preparasi sulle spiagge del mar Caspio o sulle coste dei fiumi che vi
sboccano, ma più che altrove ad Astrachan. Non farà meraviglia la
quantità straordinaria che se ne trova in commercio (servendo
l'ittiocolla a molti usi) se si considera che talvolta nel Volga si pescano da
quindici a ventimila storioni al giorno; e di là, cioè dalle
provincie meridionali della Russia, ci viene anche il caviale. Fu annunziato
che dei pescatori dei Danubio presero, non ha guari, uno storione del peso di
otto quintali e che la spoglia di questo enorme pesce, lungo metri 3,30, figura
nel Museo di Vienna.
Fra le specie estinte si annovera il Magadictis,
che raggiungeva la lunghezza di
480. STORIONE IN FRICANDÒ
Lo storione è buono in tutte le maniere:
lesso, in umido, in gratella. Quanto all'umido, potete trattarlo nel seguente
modo: prendetene un pezzo grosso del peso almeno di grammi 500, spellatelo e
steccatelo con lardelli di lardone conditi avanti con sale e pepe; poi legatelo
in croce, infarinatelo, mettetelo al fuoco con olio e burro e conditelo ancora
con sale e pepe. Quando sarà rosolato da tutte le parti bagnatelo con
brodo per tirarlo a cottura e prima di levarlo strizzategli sopra un limone per
mandarlo in tavola col suo sugo.
481. ACCIUGHE ALLA MARINARA
Questo piccolo pesce dalla pelle turchiniccia e
quasi argentata, conosciuto sulle spiagge dell'Adriatico col nome di
sardone, differisce dalla sarda o sardella in quanto che questa è
stiacciata, mentre l'acciuga è rotonda e di sapor più gentile.
Ambedue le specie appartengono alla stessa famiglia, e quando son fresche,
ordinariamente si mangiano fritte. Le acciughe però sono più
appetitose in umido con un battutino d'aglio, prezzemolo, sale, pepe e olio;
quando son quasi cotte si aggiunge un po' d'acqua mista ad aceto.
Già saprete che i pesci turchini sono i
meno digeribili fra le specie vertebrate.
482. ACCIUGHE FRITTE
Se volete dare più bell'aspetto alle
acciughe e alle sardine fritte, dopo aver levata loro la testa e averle
infarinate, prendetele a una a una per la coda, immergetele nell'uovo sbattuto
e ben salato, poi di nuovo nella farina, e buttatele in padella nell'olio a
bollore. Meglio ancora se, essendo grosse, le aprite per la schiena incidendole
con un coltello di taglio fine e levate loro la spina, lasciandole unite per la
coda.
483. SARDE RIPIENE
Per questo piatto ci vogliono sarde delle
più grosse.
Prendetene da
Formate un composto con:
Midolla di pane, gr. 30;
acciughe salate, n. 3;
un rosso d'uovo;
mezzo spicchio d'aglio;
un pizzico di regamo.
La midolla di pane inzuppatela nel latte e poi
strizzatela. Le acciughe nettatele dalle scaglie e dalla spina, e poi tritate e
mescolate ogni cosa insieme servendovi per ultimo della lama di un coltello per
ridurre il composto ben fine. Spalmate con esso le sarde e richiudetele; indi
tuffatele ad una ad una nella chiara d'uovo rimasta, dopo averla sbattuta,
avvolgetele nel pangrattato, friggetele nell'olio, salatele alquanto e servitele
con spicchi di limone.
484. BROCCIOLI FRITTI
Se vi trovate sulla montagna pistoiese in cerca
di clima fresco, di aria pura e di paesaggi incantevoli, chiedete i broccioli,
un pesce d'acqua dolce, dalla forma del ghiozzo di mare e di sapore delicato
quanto ed anche più della trota. Una signora di mia conoscenza, dopo una
lunga passeggiata per quelle montagne, trovava tanto buone le polpette del
prete di Piansinatico che le divorava.
485. TOTANI IN GRATELLA
I totani (Loligo) appartengono all'ordine
de' cefalopodi e sono conosciuti nel litorale adriatico col nome di calamaretti.
Siccome quel mare li produce piccoli, ma polputi e saporiti, cucinati
fritti, sono giudicati dai buongustai un piatto eccellente. Il Mediterraneo,
messe a confronto le stesse specie, dà pesce più grosso, ed ho
visto de' totani dell'apparente peso di grammi
Tagliate al totano i tentacoli, che sono le sue
braccia lasciandogli il sacco e la testa, e tritateli colla lunetta insieme con
prezzemolo e pochissimo aglio. Mescolate questo battutino con molto
pangrattato, conditelo con olio, pepe e sale, e servitevi di tal composto per
riempire il sacco del pesce; per chiudere la bocca del detto sacco infilzatela
con uno stecchino, che poi leverete. Conditelo con olio, pepe e sale e
cuocetelo, come si è detto, in gratella.
Se vi trovate a Napoli non mancate di fare una
visita all'Acquario nei giardini della Villa Nazionale ove, fra le tante
meraviglie zoologiche, osserverete con piacere questo cefalopodo di forme
snelle ed eleganti nuotare e guizzare con moltissima grazia ed ammirerete pur
anche la sveltezza e la destrezza che hanno le sogliole di scomparire a un
tratto fra la sabbia, di cui si ricoprono, per occultarsi forse al nemico che
le insegue.
Tornando ai calamaretti, che è
un pesce alquanto indigesto, ma ottimo in tutte le stagioni dell'anno, dopo
aver loro levata la penna e strizzati gli occhi, lavateli, asciugateli,
infarinateli e friggeteli nell'olio: ma avvertite non vi passino di cottura, la
qual cosa è facile se non si sta molto attenti. Streminziscono allora e
si rendono ancora più indigesti. Conditeli caldi con sale e pepe.
486. CICALE RIPIENE
Non crediate che voglia parlarvi delle cicale che
cantano su per gli alberi; intendo dire invece di quel crostaceo, squilla (Squilla
mantis), tanto comune nell'Adriatico e colà cognito col nome di cannocchia.
È un crostaceo sempre gustoso a mangiarsi;
ma migliore assai quando in certi mesi dell'anno, dalla metà di febbraio
all'aprile, è più polputo del solito, e racchiude allora un
cannello rosso lungo il dorso, detto volgarmente cera o corallo, il
quale non è altro che il ricettacolo delle uova di quel pesce. È
buono lesso, entra con vantaggio, tagliato a pezzi, nella composizione di un
buon cacciucco ed eccellente è in gratella, condito con olio, pepe e
sale; se lo aggradite anche più appetitoso, sparatelo lungo il dorso,
riempitelo con un battutino di pangrattato, prezzemolo e odore d'aglio e
condite tanto il ripieno che il pesce con olio, pepe e sale.
487. CICALE FRITTE
Alla loro stagione, cioè quando hanno la cera,
com'è detto al numero precedente, si possono friggere nel seguente
modo e ne merita il conto.
Dopo averle lavate, lessatele in poca acqua,
coperte da un pannolino con un peso sopra; 15 minuti di bollitura ritengo siano
sufficienti. Sbucciatele dopo cotte e, messa a nudo la polpa, tagliatela in due
pezzi, infarinatela, doratela nell'uovo frullato e salato, e friggetela
nell'olio.
488. CICALE IN UMIDO
Se non vi rincresce di adoperare le unghie,
d'insudiciarvi le dita e di bucarvi fors'anche le labbra, eccovi un gustoso e piacevole
trastullino.
Prima di cuocerle tenete le cicale nell'acqua
fresca, che così non iscolano, anzi rigonfiano. Fate un battuto con
aglio, prezzemolo e olio; rosolato che sia collocateci le cicale intere e
conditele con sale e pepe. Quando avranno preso il condimento bagnatele con
sugo di pomodoro o conserva e servitele sopra a fette di pane asciugate al
fuoco. Prima di mandarle in tavola fate loro un'incisione con le forbici lungo
il dorso per poterle sbucciare più facilmente.
489. SPARNOCCHIE
Le cicale mi rammentano le sparnocchie che, a
prima vista, le rassomigliano; ma esaminato bene questo crostaceo ha la forma
di un grosso gambero di mare del peso comunemente di 50 o
490. ANGUILLA
L’Anguilla vulgaris è un pesce dei
più singolari. Benché il valligiano di Comacchio pretenda di conoscere,
da certi caratteri esterni, il maschio e la femmina non si è riusciti
ancora per quanto lo si sia studiato, a distinguerne il sesso, forse perché la
borsa spermatica del maschio è simile all'ovario della femmina.
L'anguilla comune abita le acque dolci; ma per
generare ha bisogno di scendere in mare. Questa discesa, che chiamasi la calata,
ha luogo nelle notti oscure e principalmente nelle burrascose dei mesi di
ottobre, novembre e dicembre, e n'è allora più facile ed
abbondante la pesca. Le anguille neonate lasciano il mare ed entrano nelle
paludi o nei fiumi verso la fine di gennaio e in febbraio, e in questo
ingresso, che dicesi la montata, vengono pescate alla foce de' fiumi in
gran quantità col nome di cieche e la piscicoltura se ne giova
per ripopolare con esse gli stagni ed i laghi, nei quali, se manca la comunicazione
con le acque salse del mare, non si possono riprodurre.
Recenti studi nello stretto di Messina hanno
rilevato che questo pesce, e i murenoidi congeneri, hanno bisogno di deporre le
uova negli abissi del mare a una profondità non minore di
Un'altra singolarità dei murenoidi in
genere è quella del loro sangue, che iniettato nel torrente della
circolazione dell'uomo è velenoso e mortale, mentre cotto e mangiato
è innocuo.
L'anguilla, per la conformazione speciale delle
sue branchie, a semplice fessura, per la sua forma cilindrica e per le squamme
assai minute e delicate può vivere molto tempo fuori dell'acqua: ma ogni
qualvolta si sono incontrate a strisciar sulla terra, il che avviene
specialmente di notte, si sono viste proceder sempre nella direzione di un
corso d'acqua, per tramutarsi forse da un luogo ad un altro, o per cercare, nei
prati circostanti alla loro dimora, il cibo che consta di piccoli animali.
Sono celebri le anguille delle valli di
Comacchio, paese della bassa Romagna, il quale si può dire viva della
pesca di questo pesce che, fresco o marinato, si spaccia non solo in Italia, ma
si spedisce anche fuori. È così produttivo quel luogo che in una
sola notte buia e burrascosa dell'ottobre 1905 furono pescati chilogrammi
150.000 di anguille, e più meraviglioso ancora è il risultato
finale della pesca di quell'annata che troverete descritto alla ricetta n. 688.
In alcuni luoghi d'Italia chiamassi capitoni
quando son grosse, e bisatti quando son piccole ed abitano tutti i fiumi
di Europa meno quelli che si versano nel Mar Nero, non eccettuato il Danubio e
i suoi affluenti.
La sola differenza di forma tra l'anguilla
d'acqua dolce e quella di mare, conosciuta col nome di conger o congro, è
che la prima ha la mascella superiore più breve dell'inferiore e
l'individuo prende meno sviluppo, imperocché trovansi dei conger fin di
tre metri di lunghezza. Forse, da questo grosso pesce serpentiniforme, è
derivata la favola del serpente di mare, sostenuta un tempo anche da persone
degne di fede che ne esageravano la grandezza, probabilmente per effetto di
allucinazione.
491. ANGUILLA ARROSTO
Potendo, preferite sempre le anguille di
Comacchio che sono le migliori d'Italia se non le superano quelle del lago di
Bolsena rammentate da Dante.
Quando l'anguilla è grossa e si voglia
cuocere allo spiedo è meglio spellarla. Tagliatela a rocchi lunghi tre
centimetri ed infilateli tra due crostini con qualche foglia di salvia oppure
di alloro se non temete che questo, pel suo odore troppo acuto, vi torni a
gola. Cuocetela in bianco a fuoco moderato e per ultimo datele una bella
fiammata per farle fare la crosticina croccante. Per condimento sale soltanto e
spicchi di limone quando si manda in tavola.
L'anguilla mezzana, a parer mio, riesce
più gustosa cotta in gratella con la sua pelle, la quale, rammollita con
agro di limone quando è portata in tavola, può offrire,
succhiandola, un sapore non sgradito. Per condimento sale e pepe soltanto. I
Comacchiesi, per la gratella adoperano anguille mezzane, le spellano se sono un
po' grosse, le ripuliscono soltanto se sottili, le inchiodano con la testa
sopra un'asse, le sparano con un coltello tagliente, levano la spina e
così aperte con le due mezze teste, le mettono in gratella, condite solo
di sale e pepe a mezza cottura. Le mangiano bollenti.
L'anguilla richiede nel pasteggiare vino rosso ed
asciutto.
492. ANGUILLE ALLA FIORENTINA
Prendete anguille di mezzana grandezza,
sbuzzatele e spellatele praticando una incisione circolare sotto alla testa,
che terrete ferma con un canovaccio onde non isgusci per l'abbondante
mucosità di questo pesce, e tirate giù la pelle che verrà
via tutta intera. Allora tagliatela a pezzi lunghi un dito o poco meno, che
condirete con olio, sale e pepe, lasciandoli stare per un'ora o due.
Per cuocerle servitevi di una teglia o di un
tegame di ferro, copritene il fondo con un velo d'olio, due spicchi d'aglio
interi e foglie di salvia; fate soffriggere per un poco e, presi i pezzi
dell'anguilla uno alla volta, involgeteli nel pangrattato e disponeteli nel
tegame uno accanto all'altro versando lor sopra il resto del condimento. Cuoceteli
fra due fuochi e quando avranno preso colore, versate nel tegame un gocciolo
d'acqua.
La carne di questo pesce, assai delicato e
gustoso, riesce alquanto indigesta per la sua soverchia oleosità.
493. ANGUILLA IN UMIDO
Meglio è che per questo piatto le anguille
sieno grosse anzi che no, e, senza spellarle, tagliatele a pezzetti corti.
Tritate un battuto piuttosto generoso di cipolla e prezzemolo, mettetelo al
fuoco con poco olio, pepe e sale e quando la cipolla avrà preso colore
gettateci l'anguilla. Aspettate che abbia succhiato il sapore del soffritto per
tirarla a cottura con sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua. Procurate
che vi rimanga dell'intinto in abbondanza se volete servirla in tavola sopra a
crostini di pane arrostito appena. Sentirete un manicaretto delicato, ma non
confacente a tutti gli stomachi.
494. ANGUILLA COL VINO
Prendete un'anguilla di circa mezzo chilogrammo,
o più d'una, dello stesso peso in complesso, non essendo necessario per
questo piatto che sieno grosse; strofinatele con la rena per nettarle dalla
mucosità, lavatele e tagliatele a rocchi. Ponete in un tegame uno
spicchio d'aglio tagliato a fettine, tre o quattro foglie di salvia tritata
all'ingrosso, la corteccia di un quarto di limone e non molto olio. Mettetelo
al fuoco e, quando il soffritto avrà preso colore, collocateci le
anguille e conditele con sale e pepe. Allorché l'umido comincia a scemare
andate scalzandole con la punta di un coltello onde non si attacchino e
rosolate che sieno versateci sugo di pomodoro o conserva, e rivoltatele.
Rosolate anche dall'altra parte, versateci un buon dito di vino rosso o bianco
asciutto mischiato a due dita d'acqua, copritele e lasciatele finir di cuocere
a fuoco lento. Mandatele in tavola con alquanto del loro intinto e servitele a
quattro persone, a cui potranno bastare.
495. ANGUILLA IN UMIDO ALL’USO DI COMACCHIO
I Comacchiesi non fanno mai uso d'olio per condir
l'anguilla in qualunque modo essa venga cucinata, il che si vede anche da
questo umido che potrebbe pur chiamarsi zuppa o cacciucco di anguille. Infatti
codesto pesce contiene tanto olio in sé stesso che l'aggiungerne guasta anziché
giovare. La prova fattane avendo corrisposto alla ricetta favoritami, ve la
descrivo tal quale.
“Per un chilogrammo di anguille prendete tre
cipolle, un sedano, una bella carota, prezzemolo e la buccia di mezzo limone.
Tagliate tutto, meno il limone, a pezzi grossi e fate bollire con acqua, sale e
pepe. Tagliate le anguille a rocchi, lasciando però i rocchi uniti tra
loro da un lembo di carne. Prendete un pentolo adatto e fategli in fondo uno
strato di anguilla cui sopraporrete uno strato delle verdure dette di sopra e
quasi cotte (gettando via il limone), poi un altro strato d'anguilla, un altro
di verdura, ecc., fin che ce ne cape. Coprite tutto coll'acqua dove le verdure
bollirono; mettete il pentolo ben turato a bollire adagio, scuotendolo,
girandolo, ma non frugando mai col mestolo perché spappolereste ogni cosa. Noi
usiamo circondare il pentolo di cenere e brace fin più che a mezzo,
davanti a un fuoco chiaro di legna, sempre scuotendo e girando. Quando i
rocchi, che erano uniti per un lembo, si staccano l'un dall'altro, son presso
che cotti. Aggiungete allora un buon cucchiaio di aceto forte, conserva di pomodoro
e assaggiate il brodo per correggerlo di sale e di pepe (siate generosi); fate
dare altri pochi bollori e mandate magari il pentolo in tavola, perché è
vivanda di confidenza. Servite in piatti caldi, su fette di pane”. Avverto io
che qui si tratta di anguille mezzane e non ispellate, che le cipolle, se sono
grosse, due bastano e che due bicchieri d'acqua saranno sufficienti per cuocere
le verdure. Le fette del pane sarà bene di asciugarle al fuoco senza
arrostirle.
496. ANGUILLA COI PISELLI
Mettetela in umido come quella del n. 493 e
quando è cotta levatela asciutta per cuocere i piselli nel suo intinto.
Rimettetela poi fra i medesimi per riscaldarla e servitela. Qui non ha luogo
sugo di pomodoro, ma acqua se occorre.
497. CEFALI IN GRATELLA
Le anguille di Comacchio richiamano alla memoria
i cefali abitatori delle stesse valli i quali, quando sono portati ai mercati
verso la fine di autunno, sono belli, grassi e di ottimo sapore. I Comacchiesi
li trattano nella seguente maniera che persuade. Levano a questo pesce le
scaglie e le branchie ma non li sbuzzano perché le interiora, come nella
beccaccia, dicono che sono il meglio. Li condiscono con sale e pepe soltanto, e
li pongono sulla gratella a fuoco ardente. Cotti che siano li mettono tra due piatti
caldi non lontani dal fuoco per cinque minuti. Al momento di servirli rivolgono
i piatti, che quel di sopra vada sotto e il grasso colato rimanga così
sparso e steso sopra il pesce, mandandolo in tavola con limone da strizzare.
Al n. 688 è dato un cenno come li servono
in Romagna.
498. TELLINE O ARSELLE IN SALSA D’UOVO
Le arselle non racchiudono sabbia come le telline
e però a quelle basta una buona lavatura nell'acqua fresca.
Tanto le une che le altre mettetele al fuoco con
un soffritto di aglio, olio, prezzemolo e una presa di pepe, scuotetele e
tenete coperto il vaso onde non si prosciughino. Levatele quando saranno aperte
ed aggraziatele con la seguente salsa: uno o più rossi d'uovo, secondo
la quantità, agro di limone, un cucchiaino di farina, brodo e un po' di
quel sugo uscito dalle telline. Cuocetela ad uso crema e versatela sulle
medesime quando le mandate in tavola.
Io le preferisco senza salsa e le fo versare
sopra fette di pane asciugate al fuoco. Così si sente più
naturale il gusto del frutto di mare. Per la stessa ragione non lo mettere il
pomodoro nel risotto con le telline.
499. ARSELLE O TELLINE ALLA LIVORNESE
Fate un battutino di cipolla e mettetelo al fuoco
con olio e una presa di pepe. Quando la cipolla avrà preso colore unite
un pizzico di prezzemolo tritato non tanto fine e dopo poco gettateci le
arselle o le telline con sugo di pomodoro o conserva. Scuotetele spesso e
quando saranno aperte, versatele sopra a fette di pane arrostito, preparate
avanti sopra un vassoio. Le arselle così cucinate sono buone; ma, a
gusto mio, sono inferiori a quelle del numero precedente.
500. SEPPIE COI PISELLI
Fate un battuto piuttosto generoso con cipolla,
uno spicchio d'aglio e prezzemolo. Mettetelo al fuoco con olio, sale e pepe, e
quando avrà preso colore passatelo da un colino strizzando bene. In
questo soffritto gettate le seppie tagliate a filetti, ma prima nettatele
com'è indicato al n. 74, bagnatele con acqua, se occorre, e quando
saranno quasi cotte versate i piselli grondanti dall'acqua fresca in cui li
avrete tenuti in molle.
501. TINCHE ALLA SAUTÉ
Questo pesce (Tinca vulgaris) della
famiglia dei ciprinoidi, ossia dei carpi, benché si trovi anche ne' laghi e ne'
fiumi profondi, abita di preferenza, come ognuno sa, le acque stagnanti dei
paduli; ma ciò che ignorasi forse da molti si è che esso, nonché
il carpio, offrono un esempio della ruminazione fra i pesci. Il cibo arrivato
nel ventricolo è rimandato nella faringe coi movimenti antiperistaltici
e dai denti faringei, speciali a quest'uso, ulteriormente sminuzzato e
triturato.
Prendete tinche grosse (nel mercato di Firenze
vendonsi vive e sono, nella loro inferiorità fra i pesci, delle
migliori), tagliate loro le pinne, la testa e la coda; apritele per la schiena,
levatene la spina e le lische e dividetele in due parti per il lungo.
Infarinatele, poi tuffatele nell'uovo frullato, che avrete prima condito con
sale e pepe; involgetele nel pangrattato, ripetendo per due volte quest'ultima
operazione. Cuocetele nella sauté col burro e servitele in tavola con
spicchi di limone e con un contorno di funghi fritti, alla loro stagione.
Qui viene opportuno indicare il modo di togliere
o attenuare il lezzo dei pesci di padule. Si gettano nell'acqua bollente,
tenendoveli alcuni minuti finché la pelle comincia a screpolare, e si
rinfrescano poi nell'acqua diaccia prima di cuocerli. Questa operazione
è chiamata dai francesi limoner, da limon, fango.
502. PASTICCIO DI MAGRO
Mancherei a un dovere di riconoscenza se non
dichiarassi che parecchie ricette del presente volume le devo alla cortesia di
alcune signore che mi favorirono anche questa, la quale, benché in apparenza
accenni ad un vero e proprio pasticcio, alla prova è riuscita
degna di figurare in qualunque pranzo, se eseguita a dovere.
Un pesce del peso di grammi
Riso, grammi 200.
Funghi freschi, grammi 150.
Piselli verdi, grammi 300.
Pinoli tostati, grammi 50.
Burro, quanto basta.
Parmigiano, idem.
Carciofi, n. 6.
Uova, n. 2.
Cuocete il riso con grammi 40 di burro e un
quarto di cipolla tritata, salatelo, e quando è cotto con l'acqua
occorrente legatelo con le dette uova e grammi 30 di parmigiano.
Fate un
soffritto con cipolla, burro, sedano, carota e prezzemolo e in esso cuocete i
funghi tagliati a fette, i piselli, e i carciofi tagliati a spicchi e mezzo
lessati. Tirate queste cose a cottura con qualche cucchiaiata d'acqua calda e
conditele con sale, pepe e gr, 50 di parmigiano grattato quando le avrete
ritirate dal fuoco.
Cuocete il pesce, che può essere un
muggine, un ragno o anche pesce a taglio, in un soffritto d'olio, aglio,
prezzemolo, sugo di pomodoro o conserva e conditelo con sale e pepe. Levate il
pesce, passate il suo intinto e in questo sciogliete i pinoli che prima avrete
abbrustoliti e pestati. Togliete al pesce la testa, la spina e le lische,
tagliatelo a pezzetti, rimettetelo nel suo intinto e uniteci ogni cosa meno che
il riso.
Ora che gli elementi del pasticcio sono tutti
pronti, fate la pasta per rinchiudervelo, di cui eccovi le dosi:
Farina, grammi 400.
Burro, grammi 80
Uova, n. 2.
Vino bianco o marsala, due cucchiaiate
Sale, un pizzico.
Prendete uno stampo qualunque, ungetelo col burro
e foderatelo colla detta pasta tirata a sfoglia; poi riempitelo versandovi
prima la metà del riso, indi tutto il ripieno e sopra il ripieno il
resto del riso, ricoprendolo alla bocca colla stessa pasta. Cuocetelo al forno,
sformatelo e servitelo tiepido o freddo.
Eseguito nelle dosi indicate basterà per
dodici persone.
503. RANOCCHI IN UMIDO
Il modo più semplice è di farli con
un soffritto di olio, aglio e prezzemolo, sale e pepe, e quando sono cotti,
agro di limone. Alcuni, invece del limone, usano il sugo di pomodoro, ma il
primo è da preferirsi.
Non li spogliate mai delle uova che sono il
meglio.
504. RANOCCHI ALLA FIORENTINA
Togliete i ranocchi dall'acqua fresca dove li
avrete posti dopo averli tenuti per un momento appena nell'acqua calda se sono
stati uccisi d'allora. Asciugateli bene fra le pieghe d'un canovaccio e
infarinateli. Ponete una teglia al fuoco con olio buono e quando questo
comincia a grillettare buttate giù i ranocchi; conditeli con sale e pepe
rimuovendoli spesso perché si attaccano facilmente. Quando saranno rosolati da
ambedue le parti, versate sui medesimi delle uova frullate, condite anch'esse
con sale e pepe e sugo di limone piacendovi; senza toccarle, lasciatele
assodare a guisa di frittata e mandate la teglia in tavola.
Ai ranocchi va sempre tolta la vescichetta del
fiele.
Volendoli fritti, infarinateli e, prima di
buttarli in padella, teneteli per qualche ora in infusione nell'uovo, condito
con sale e pepe; oppure, dopo infarinati, rosolateli appena da ambedue le parti
e, presi uno alla volta, immergeteli nell'uovo condito con pepe, sale e agro di
limone, rimettendoli poscia in padella per finire di cuocerli.
505. ARINGA INGENTILITA
Signori bevitori, a questa aringa (Clupea
harengus) posate la forchetta; non è fatta per voi che avete il
gusto grossolano.
Ordinariamente
si ricerca l'aringa femmina come più appariscente per la copiosa
quantità delle uova; ma è da preferirsi il maschio che, co' suoi
spermatofori lattiginosi, ossia borsa spermatica, è più delicato.
Maschio o femmina che sia, aprite l'aringa dalla parte della schiena, gettatene
via la testa e spianatela; poi mettetela in infusione nel latte bollente e
lasciatevela dalle otto alle dieci ore. Sarebbe bene che in questo spazio di
tempo si cambiasse il latte una volta. Dopo averla asciugata con un canovaccio,
cuocetela in gratella come l'aringa comune e conditela con olio e pochissimo
aceto o, se più vi piace, con olio e agro di limone.
C'è anche quest'altra maniera per togliere
all'aringa il sapore troppo salato. Mettetela al fuoco con acqua diaccia,
fatela bollire per tre minuti, poi tenetela per un momento nell'acqua fresca;
asciugatela, gettatene via la testa, apritela dalla parte della schiena e
conditela come la precedente.
La Clupea harengus è il genere
tipico dell'importantissima famiglia dei Clupeini, la quale comprende, oltre
alle aringhe, le salacche, i salacchini, le acciughe, le sarde e l’Alosa
vulgaris, o Clupea comune, chiamata cheppia in Toscana. Questa, in
primavera, rimontando i fiumi per deporre le uova, viene pescata anche in Arno
a Firenze.
Le aringhe
vivono in numero sterminato nelle profondità dei mari dell'estrema
Europa e si fanno vedere alla superficie solo al tempo della riproduzione,
cioè nei mesi di aprile, maggio e giugno, e dopo deposte le uova
scompariscono nella profondità della loro abituale dimora. Si vede il
mare talora per diverse miglia di seguito luccicante e l'acqua divenir torbida
per la fregola e per le squame che si distaccano. In Inghilterra arrivano dal
luglio al settembre e la pesca, che si fa con reti circolari, n'è
sì abbondante sulle spiagge di Yarmouth che talvolta se ne sono
preparate fino a 500 mila barili.
506. BACCALÀ ALLA FIORENTINA
Il baccalà appartiene alla famiglia delle
Gadidee il cui tipo è il merluzzo. Le specie più comuni de'
nostri mari sono il Gadus minutus e il Merlucius esculentus, o
nasello, pesce alquanto insipido, ma di facile digestione per la leggerezza
delle sue carni, e indicato ai convalescenti, specialmente se lesso e condito
con olio e agro di limone.
Il genere Gadus morrhua è il
merluzzo delle regioni artiche ed antartiche il quale, dalla diversa maniera di
acconciarlo, prende il nome di baccalà o stoccafisso e, come ognun sa,
è dal fegato di questo pesce che si estrae l'olio usato in medicina. La
pesca del medesimo si fa all'amo e un solo uomo ne prende in un giorno fino a
500, ed è forse il più fecondo tra i pesci, essendosi in un solo
individuo contate nove milioni di uova.
In commercio si conoscono più comunemente
due qualità di baccalari, Gaspy e Labrador. La prima proveniente
dalla Gaspesia, ossia dai Banchi di Terra Nuova (ove sì pescano ogni
anno più di 100 milioni di chilogrammi di merluzzi), è secca,
tigliosa e regge molto alla macerazione; la seconda, che si pesca sulle coste
del Labrador, forse a motivo di un pascolo più copioso, essendo grassa e
tenera, rammollisce con facilità ed è assai migliore al gusto.
Il baccalà di Firenze gode buona
reputazione e si può dir meritata perché si sa macerar bene, nettandolo
spesso con un granatino di scopa, e perché essendo Labrador di prima
qualità, quello che preferibilmente vi si consuma, grasso di sua natura,
è anche tenero, tenuto conto della fibra tigliosa di questo pesce non
confacente agli stomachi deboli; per ciò io non l'ho potuto mai
digerire. Questo salume supplisce su quel mercato, nei giorni magri, con molto
vantaggio il pesce, che è insufficiente al consumo, caro di prezzo e
spesso non fresco.
Tagliate il baccalà a pezzi larghi quanto
la palma della mano e infarinatelo bene. Poi mettete un tegame o una teglia al
fuoco con parecchio olio e due o tre spicchi d'aglio interi, ma un po'
stiacciati. Quando questi cominciano a prender colore buttate giù il
baccalà e fatelo rosolare da ambedue le parti, rimuovendolo spesso affinché
non si attacchi. Sale non ne occorre o almeno ben poco previo l'assaggio, ma
una presa di pepe non ci fa male. Per ultimo versategli sopra qualche
cucchiaiata di sugo di pomodoro n. 6, o conserva diluita nell'acqua; fatelo
bollire ancora un poco e servitelo.
507. BACCALÀ ALLA BOLOGNESE
Tagliatelo a pezzi grossi come il precedente e
così nudo e crudo mettetelo in un tegame o in una teglia unta coll'olio.
Fioritelo di sopra con un battutino di aglio e prezzemolo e conditelo con
qualche presa di pepe, olio e pezzetti di burro. Fatelo cuocere a fuoco ardente
e voltatelo adagio perché, non essendo stato infarinato, facilmente si rompe.
Quando è cotto strizzategli sopra del limone e mandatelo al suo destino.
508. BACCALÀ DOLCE-FORTE
Cuocetelo come il baccalà n. 506, meno
l'aglio, e quando sarà rosolato da ambe le parti, versateci su il
dolce-forte, fatelo bollire ancora un poco e servitelo caldo.
Il dolce-forte o l'agro-dolce, se così vi
piace chiamarlo, preparatelo avanti in un bicchiere, e se il baccalà
fosse grammi 500 all'incirca, basteranno un dito di aceto forte, due dita di
acqua, zucchero a sufficienza, pinoli e uva passolina in proporzione.
Prima di versarlo sul baccalà non è male il farlo alquanto
bollire a parte. Se vi vien bene sentirete che nel suo genere sarà
gradito.
509. BACCALÀ IN GRATELLA
Onde riesca meno risecchito si può cuocere
a fuoco lento sopra un foglio di carta bianca, consistente, unta avanti.
Conditelo con olio, pepe e, se vi piace, qualche ciocchettina di ramerino.
510. BACCALÀ FRITTO
La padella è l'arnese che in cucina si
presta a molte belle cose; ma il baccalà a me pare vi trovi la fine
più deplorevole perché, dovendo prima esser lessato e involtato in una
pastella, non vi è condimento che basti a dargli conveniente sapore, e
però alcuni, non sapendo forse come meglio trattarlo, lo intrugliano
nella maniera che sto per dire. Per lessarlo mettetelo al fuoco in acqua
diaccia e appena abbia alzato il primo bollore levatelo che già è
cotto. Senz'altra manipolazione si può mangiar così condito con
olio e aceto; ma veniamo ora all'intruglio che vi ho menzionato, padronissimi
poi di provarlo o di mandare al diavolo la ricetta e chi l'ha scritta. Dopo
lessato mettete in infusione il pezzo del baccalà tutto intero nel vino
rosso e tenetecelo per qualche ora; poi asciugatelo in un canovaccio e
tagliatelo a pezzetti nettandolo dalle spine e dalle lische. Infarinatelo
leggermente e gettatelo in una pastella semplice di acqua, farina e un gocciolo
d'olio senza salarla. Friggetelo nell'olio e spolverizzatelo di zucchero quando
avrà perduto il primo bollore. Mangiato caldo, l'odor del vino si
avverte appena; non pertanto, se lo trovate un piatto ordinario, la colpa
sarà vostra che l'avete voluto provare.
511. COTOLETTE DI BACCALÀ
Si tratta sempre di baccalà, quindi non vi
aspettate gran belle cose; però, preparato in questa maniera sarà
meno disprezzabile del precedente; non foss'altro vi lusingherà la vista
col suo aspetto giallo-dorato a somiglianza delle cotolette di vitella
di latte.
Cuocetelo lesso come l'antecedente e, se la
quantità fosse di grammi 500, dategli per compagnia due acciughe e un
pizzico di prezzemolo, tritando fine fine ogni cosa insieme colla lunetta. Poi
aggiungerete qualche presa di pepe, un pugno di parmigiano grattato, tre o
quattro cucchiaiate di pappa, composta di midolla di pane, acqua e burro, per
renderlo più tenero, e due uova. Formato così il composto,
prendetelo su a cucchiaiate, buttatelo nel pangrattato, stiacciatelo colle mani
per dargli la forma di cotolette che intingerete nell'uovo sbattuto, e
poi un'altra volta avvolgerete nel pangrattato.
Friggetelo nell'olio e mandatelo in tavola con
spicchi di limone o salsa di pomodoro. Basterà la metà di questa
dose per nove o dieci cotolette.
512. BACCALÀ IN SALSA BIANCA
Baccalà ammollito, grammi 400.
Burro, grammi 70.
Farina, grammi 30.
Una patata del peso di circa grammi 150.
Latte, decilitri 3 ½.
Lessate il baccalà e nettatelo dalla
pelle, dalle lische e dalla spina. Lessate anche la patata e tagliatela a
tocchetti. Fate una balsamella col latte e la farina e quando è
cotta uniteci un poco di prezzemolo tritato, datele l'odore della noce moscata,
versateci dentro la patata e salatela. Poi aggiungete il baccalà a
pezzi, mescolate e dopo un poco di riposo servitelo che piacerà e
sarà lodato. Se non si tratta di forti mangiatori potrà bastare
per quattro persone. Per adornarlo un poco potreste contornarlo con degli
spicchi di uova sode.
513. STOCCAFISSO IN UMIDO
Stoccafisso ammollito, grammi 500 così
diviso:
Schiena, grammi 300; pancette, grammi 200.
Levategli la pelle e tutte le lische, poi
tagliate la parte della schiena a fettine sottili e le pancette a quadretti
larghi due dita. Fate un soffritto con olio in abbondanza, un grosso spicchio
d'aglio o due piccoli e un buon pizzico di prezzemolo. Quando sarà
colorito gettateci lo stoccafisso, conditelo con sale e pepe, rimestate per
fargli prendere sapore e dopo poco versateci sei o sette cucchiaiate della
salsa di pomodoro del n. 125, oppure pomodori a pezzi senza la buccia e i semi,
fate bollire adagio per tre ore almeno, bagnandolo con acqua calda versata poco
per volta ed unendovi dopo due ore di bollitura una patata tagliata a
tocchetti. Questa quantità è sufficiente per tre o quattro
persone. È piatto appetitoso, ma non per gli stomachi deboli. Un amico
mio, certo di fare cosa gradita, non si perita d'invitare dei gran signori a
mangiare questo piatto da colazione.
514. CIECHE ALLA PISANA
Vedi Anguilla n. 490.
Lavatele diverse volte e quando non faranno
più la schiuma, versatele sullo staccio per scolarle.
Ponete al fuoco, olio, uno spicchio o due d'aglio
interi, ma un po' stiacciati, e alcune foglie di salvia. Quando l'aglio
sarà colorito versate le cieche e, se sono ancor vive, copritele con un
testo onde non saltino via. Conditele con sale e pepe, rimuovetele spesso col
mestolo e bagnatele con un poco d'acqua, se prosciugassero troppo. Cotte che
siano, legatele con uova frullate a parte, mescolate con parmigiano,
pangrattato e limone.
Se la quantità delle cieche fosse di
grammi
Uova, n. 2.
Parmigiano, due cucchiaiate.
Pangrattato, una cucchiaiata.
Mezzo limone e un po' d'acqua.
Se le servite nel vaso ove sono state cotte,
ponetele per ultimo fra due fuochi onde facciano alla superficie la crosticina
in bianco.
Il chiarissimo prof. Renato Fucini (l'ameno Neri
Tanfucio) il quale, a quanto pare, è un grande amatore di cieche
alla salvia, si compiace farmi sapere che sarebbe una profanazione, un
sacrilegio, se queste - benché sembrino teneri pesciolini - si tenessero a
cuocere per un tempo minore di una ventina di minuti almeno.
515. CIECHE FRITTE I
Cuocetele in umido con olio, aglio intero e
salvia, come quelle descritte al numero precedente; poi, levato l'aglio,
tritatele minute. Frullate delle uova in proporzione, salatele, aggiungete
parmigiano, un poco di pangrattato e mescolateci dentro le cieche per friggerle
a cucchiaiate e farne frittelle che servirete con limone a spicchi, e pochi,
mangiandole, si accorgeranno che sia un piatto di pesce.
516. CIECHE FRITTE II
Ho visto a
Viareggio che le cieche si possono friggere come l'altro pesce; infarinate
soltanto con farina di grano o di granturco e gettate in padella. In questa
maniera le avrete più semplici, ma assai meno buone di quelle descritte
al numero antecedente.
517. TINCHE IN ZIMINO
La tinca disse al luccio: - Vai più la mia
testa che il tuo buccio. - Buccio per busto, licenza poetica, per
far la rima. Poi c'è il proverbio: “Tinca di maggio e luccio di
settembre”.
Fate un battutino con tutti gli odori, e
cioè: cipolla, aglio, prezzemolo, sedano e carota; mettetelo al fuoco
con olio e quando avrà preso colore, versate le teste delle
tinche a pezzettini e conditele con sale e pepe. Fatele cuocer bene, bagnandole
con sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua, poi passate il sugo e
mettetelo da parte. Nettate le tinche, tagliate loro le pinne e la coda e
così intere, ponetele al fuoco con olio quando comincia a soffriggere.
Conditele con sale e pepe e tiratele a cottura col detto sugo versato a poco
per volta. Potrete mangiarle così che sono eccellenti; ma per
dare al zimino il suo vero carattere ci vuole un contorno d'erbaggi, bietola o
spinaci a cui, dopo lessati, farete prender sapore nell'intinto di questo
umido. I piselli pure vi stanno bene. Anche il baccalà in zimino va
cucinato così.
518. LUCCIO IN UMIDO
Il luccio
è un pesce comune nelle nostre acque dolci che si fa notare per certe
sue particolarità. È molto vorace e siccome si nutre
esclusivamente di pesce, la sua carne riesce assai delicata al gusto;
però, essendo fornito di molte lische, bisogna scegliere sempre
individui del peso di
Ammesso che abbiate da cucinare un luccio
dell'indicato peso all'incirca, raschiategli le scaglie, vuotatelo, tagliate
via la testa e la coda e dividetelo in quattro o cinque pezzi, che potranno
bastare ad altrettante persone. Ogni pezzo steccatelo per il lungo con due
lardelli di lardone conditi con sale e pepe, e poi fate un battuto
proporzionato con cipolla quanto una grossa noce, un piccolo spicchio d'aglio,
una costola di sedano, un pezzetto di carota e un pizzico di prezzemolo, il
tutto tritato fine perché non occorre passarlo. Mettetelo al fuoco con olio e
quando avrà preso colore fermatelo con sugo di pomodoro o conserva
sciolta nell'acqua, sale e pepe per condimento. Poi condensate alquanto questo
intinto con un pezzetto di burro intriso nella farina, mescolate bene e
collocateci il pesce facendolo bollire adagio e rivoltandolo; per ultimo
versateci una cucchiaiata di marsala o, mancando questa, un gocciolo di vino, e
lasciatelo bollire ancora un poco prima di mandarlo in tavola in mezzo alla sua
salsa.
519. PALOMBO FRITTO
Tagliate il palombo in rotelle non tanto grosse e
lasciatele in infusione nell'uovo alquanto salato per qualche ora. Mezz'ora
avanti di friggerle involtatele in un miscuglio formato di pangrattato,
parmigiano, aglio e prezzemolo tritati, sale e pepe. Un piccolo spicchio
d'aglio basterà per grammi 500 di pesce. Contornatelo con spicchi di
limone.
520. PALOMBO IN UMIDO
Tagliatelo a pezzi piuttosto grossi e poi fate un
battuto con aglio, prezzemolo e pochissima cipolla. Mettetelo al fuoco con olio
e, quando avrà soffritto a sufficienza, collocateci il palombo e
conditelo con sale e pepe. Rosolato che sia versateci un po' di vino rosso, o
bianco asciutto, e sugo di pomodoro o conserva per tirarlo a cottura.
ARROSTI
Gli arrosti allo spiede, eccezion fatta degli uccelli e dei
piccioni, ne' quali sta bene la salvia intera, non si usa più di
lardellarli né di pillottarli, né di steccarli con aglio, ramerino od altri
odori consimili che facilmente stuccano o tornano a gola. Dove l'olio è
buono ungeteli con questo liquido, altrimenti usate lardo o burro ove, per
qualche ragione locale, si suol dar la preferenza all'uno più che
all'altro di questi condimenti.
L'arrosto, in
generale, si preferisce saporito e però largheggiate alquanto col sale
per le carni di vitella di latte, agnello, capretto, pollame e maiale: tenetevi
più scarsi colle carni grosse e coll'uccellame perché queste sono carni
per sé stesse assai saporite; ma salate sempre a mezza o anche a due terzi di
cottura. Commettono grave errore coloro che salano un arrosto qualunque prima
di infilarlo nello spiede perché il fuoco allora lo prosciuga, anzi lo
risecchisce.
Il maiale e le carni di bestie lattanti, come
vitella di latte, agnello, capretto e simili, debbono esser ben cotte per
prosciugare la soverchia loro umidità. Il manzo e il castrato cuoceteli
assai meno perché, essendo queste carni molto asciutte devono restare sugose.
Gli uccelli cuoceteli a fiamma, ma badate di non arrivarli troppo, ché quelle
carni perderebbero allora gran parte del loro aroma; però avvertite che
non sanguinino il che potrete conoscere pungendoli sotto l'ala. Anche dei polli
si può conoscere la giusta cottura quando, pungendoli nella stessa
maniera, non esce più sugo.
Le carni di pollo risulteranno più tenere
e di miglior colore se le arrostirete involtate dentro ad un foglio la cui
parte aderente alla carne sia prima stata unta di burro; per evitare che la
carta bruci, ungetela spesso all'esterno. A mezza cottura levate il foglio e
terminate di cuocere il pollo, il tacchino o altro che sia, salandoli ed
ungendoli.
In questo caso sarà bene di mettere un po'
di sale nel loro interno prima d'infilarli allo spiede e di steccar con lardone
il petto de' tacchini e delle galline di Faraone. Qui è bene avvertire
che il piccione giovane e il cappone ingrassato, sia arrosto che lesso, sono
migliori diacci che caldi e stuccano meno.
Le carni arrostite conservano meglio, che
preparate in qualunque altra maniera, le loro proprietà alimentari e si
digeriscono più facilmente.
521. ROAST-BEEF I
Questa voce inglese è penetrata in Italia
col nome volgare di rosbiffe, che vuoi dire bue arrosto. Un buon rosbíffe
è un piatto di gran compenso in un pranzo ove predomini il genere
maschile, il quale non si appaga di bricciche come le donne, ma vuoi ficcare il
dente in qualche cosa di sodo e di sostanzioso.
Il pezzo che meglio si presta è la lombata
indicata per la bistecca alla fiorentina n. 556. Onde riesca tenero, deve
essere di bestia giovane e deve superare il peso di un chilogrammo, perché il
fuoco non lo prosciughi, derivando la bellezza e bontà sua dal punto
giusto della cottura indicato dal color roseo all'interno e dalla
quantità del sugo che emette affettandolo. Per ottenerlo in codesto modo
cuocetelo a fuoco ardente e bene acceso fin da principio onde sia preso subito
alla superficie; ungetelo con l'olio, che poi scolerete dalla leccarda, e per
ultimo passategli sopra un ramaiuolo di brodo, il quale, unito all'unto caduto
dal rosbiffe, servirà di sugo al pezzo quando lo mandate in
tavola. Salatelo a mezza cottura tenendovi un po' scarsi perché questa
qualità di carne, come già dissi, è per sé saporita, e
abbiate sempre presente che il benefico sale è il più fiero
nemico di una buona cucina.
Mettetelo al fuoco mezz'ora prima di mandare la
minestra in tavola, il che è sufficiente se il pezzo non è molto
grosso, e per conoscerne la cottura pungetelo nella patte più grossa con
un sottile lardatoio, ma non bucatelo spesso perché non dissughi. Il sugo che
n'esce non dev'essere né di color del sangue, né cupo. Le patate per contorno
rosolatele a parte nell'olio da crude e sbucciate, intere se sono piccole, e a
quarti se sono grosse.
Il rosbiffe si può anche mandare al
forno, ma non viene buono come allo spiede. In questo caso conditelo con sale,
olio e un pezzo di burro, contornatelo di patate crude sbucciate,
e versate nel tegame un bicchiere d'acqua.
Se il rosbiffe avanzato non vi piace
freddo, tagliatelo a fette, rifatelo con burro e sugo di carne o di pomodoro.
522. ROAST-BEEF II
Questa seconda maniera di cuocere il rosbiffe mi
sembra che sia da preferirsi alla prima, perché rimane più sugoso e
più profumato. Dopo averlo infilato nello spiede, involtatelo in un
foglio bianco non troppo sottile e bene imburrato con burro diaccío: legatelo
alle due estremità onde resti ben chiuso e mettetelo al fuoco di carbone
molto acceso. Giratelo e quando sarà quasi cotto strappate via la carta,
salatelo e fategli prendere il colore. Tolto dal fuoco, chiudetelo tra due
piatti e dopo dieci minuti servitelo.
523. SFILETTATO TARTUFATO
I macellari di Firenze chiamano sfilettato
la lombata di manzo o di vitella a cui sia stato levato il filetto.
Prendete dunque un pezzo grosso di sfilettato e
steccatelo tutto con pezzetti di tartufi, meglio bianchi che neri, tagliati a
punta e lunghi tre centimetri circa, unendo ad ognuno di questi un pezzetto di
burro per riempire il buco che avrete aperto con la punta del coltello per
inserirli. Fate delle incisioni a traverso la cotenna onde non si ritiri,
legatelo ed infilatelo nello spiede per cuocerlo. A due terzi di cottura
dategli un'untatina con olio e salatelo scarsamente, perché queste carni di
bestie grosse sono assai saporite e non hanno bisogno di molto condimento.
524. ARROSTO DI VITELLA DI LATTE
La vitella di latte si macella in tutti i mesi
dell'anno; ma nella primavera e nell'estate la troverete più grassa,
più nutrita e di miglior sapore. I pezzi che più si prestano per
l'arrosto allo spiede sono la lombata e il culaccio, e non hanno bisogno che
d'olio e sale per condimento.
Gli stessi pezzi si possono cuocere in tegame,
leggermente steccati d'aglio e ramerino, con olio, burro e un battutino di
carnesecca, sale, pepe e sugo di pomodoro per cuocere nell'intinto piselli
freschi. E questo un piatto che piace a molti.
525. PETTO DI VITELLA DI LATTE IN FORNO
Se io sapessi chi inventò il forno vorrei
erigergli un monumento a mie spese; in questo secolo di monumentomania credo
che ei lo meriterebbe più di qualcun altro.
Trattandosi di un piatto di famiglia lasciate il
pezzo come sta, con tutte le sue ossa, e se non eccedesse il peso di
Invece dello strutto potete servirvi di burro e
olio e invece del prosciutto salarlo generosamente.
526. ARROSTO MORTO
Potete fare nella maniera che sto per dire ogni
sorta di carne; ma quella che più si presta, a parer mio, è la
vitella di latte. Prendetene un bel pezzo nella lombata che abbia unita anche
la pietra. Arrocchiatelo e legatelo con uno spago perché stia più
raccolto e mettetelo al fuoco in una cazzaruola con olio fine e burro, ambedue
in poca quantità. Rosolatelo da tutte le parti, salatelo a mezza cottura
e finite di cuocerlo col brodo in guisa che vi resti poco o punto sugo.
Sentirete un arrosto che se non ha il profumo e
il sapore di quello fatto allo spiede avrà in compenso il tenero e la
delicatezza. Se non avete il brodo servitevi del sugo di pomodoro o conserva
sciolta nell'acqua. Se vi piace più saporito aggiungete carnesecca
tritata fine.
527. ARROSTO MORTO COLL’ODORE DELL’AGLIO E DEL
RAMERINO
Se,
piacendovi questi odori, non amate che tornino a gola, non fate come coloro che
steccano un pollo, un pezzo di filetto o altra carne qualunque con pezzi
d'aglio e ramerino; ma regolandovi, quanto alla cucinatura, come nel caso
precedente, gettate nella cazzaruola uno spicchio di aglio intero e due ciocche
di ramerino. Quando mandate l'arrosto in tavola passate il suo sugo ristretto
senza spremerlo e contornate, se credete, il pezzo della carne con patate, od
erbaggi rifatti a parte. In questo caso, piacendovi, potete anche aggraziare la
carne con pochissimo sugo di pomodoro o conserva.
Il cosciotto d'agnello viene assai bene in questa
maniera, cotto tra due fuochi.
528. UCCELLI ARROSTO
Gli uccelli devono essere freschi e grassi; ma
soprattutto freschi. In que' paesi dove si vendono già pelati bisogna
essere tondi bene per farsi mettere in mezzo. Se li vedete verdi o col
brachiere, cioè col buzzo nero, girate largo; ma se qualche volta
rimaneste ingannati, cucinateli come il piccione in umido n. 276, perché se li
mettete allo spiede, oltreché aprirsi tutti durante la cottura, tramandano,
molto più che fatti in umido, quel fetore della putrefazione, ossia
della carne faisandée come la chiamano i Francesi: puzzo intollerabile
alle persone di buon gusto, ma che purtroppo non dispiace in qualche provincia
d'Italia ove il gusto, per lunga consuetudine, si è depravato fors'anche
a scapito della salute.
Un'eccezione potrebbe farsi per le carni del
fagiano e della beccaccia, le quali, quando sono frolle, pare acquistino, oltre
alla tenerezza, un profumo particolare, specialmente poi se il fagiano lasciasi
frollare senza pelarlo. Ma badiamo di non far loro oltrepassare il primo
indizio della putrefazione perché altrimenti potrebbe accadervi come accadde a
me quando avendomi un signore invitato a pranzo in una trattoria molto
rinomata, ordinò, fra le altre cose per farmi onore, una beccaccia coi
crostini; ebbene questa tramandava dal bel mezzo della tavola un tale fetore che,
sentendomi rivoltar lo stomaco, non fui capace neppure di appressarmela alla
bocca, lasciando lui mortificato ed io col dolore di non aver potuto aggradire
la cortesia dell'amico.
Gli uccelli dunque, siano tordi, allodole o altri
più minuti, non vuotateli mai e prima d'infilarli acconciateli in questa
guisa: rovesciate loro le ali sul dorso onde ognuna di esse tenga ferme una o
due foglie di salvia; le zampe tagliatele all'estremità ed incrociatele
facendone passare una sopra il ginocchio dell'altra, forando il tendine, e in
questa incrociatura ponete una ciocchettina di salvia. Poi infilateli
collocando i più grossi nel mezzo tramezzandoli con un crostino, ossia
una fettina di pane di un giorno grossa un centimetro e mezzo, oppure, se
trovasi, un bastoncino tagliato a sbieco.
Con fettine di lardone, salate avanti e sottili
quanto la carta, fasciate il petto dell'uccello in modo che si possa infilare
nello spiede insieme col pane.
Cuoceteli a fiamma e se il loro becco non l'avete
confitto nello sterno, teneteli prima fermi alquanto col capo penzoloni onde
facciano, come suol dirsi, il collo; ungeteli una volta sola coll'olio quando
cominciano a rosolare servendovi di un pennello o di una penna per non toccare
i crostini, i quali sono già a sufficienza conditi dai due lardelli e
salateli una volta sola. Metteteli al fuoco ben tardi perché dovendo cuocere
alla svelta c'è il caso che arrivino presto e risecchiscano. Quando li
mandate in tavola sfilateli pari pari, onde restino uniti sul vassoio e
composti in fila, che così faranno più bella mostra.
Quanto all'arrosto d'anatra o di germano, che sa
di selvatico, alcuni gli spremono sopra un limone quando comincia a colorire e
l'ungono con quell'agro e coll'olio insieme raccolto nella ghiotta.
529. ARROSTO D’AGNELLO ALL’ARETINA
L'agnello comincia ad esser buono in
dicembre, e per Pasqua o è cominciata o sta per cominciare la sua
decadenza.
Prendete un cosciotto o un quarto d'agnello,
conditelo con sale, pepe, olio e un gocciolo d'aceto. Bucatelo qua e là
colla punta di un coltello e lasciatelo in questo guazzo per diverse ore.
Infilatelo nello spiede e con un ramoscello di ramerino ungetelo spesso fino a
cottura con questo liquido, il quale serve a levare all'agnello il sito di
stalla, se temete che l'abbia, e a dargli un gusto non disgradevole.
Piacendovi più pronunziato l'odore del
ramerino potete steccare il pezzo con alcune ciocche del medesimo, levandole
prima di mandarlo in tavola.
530. COSCIOTTO DI CASTRATO ARROSTO
La stagione del castrato è dall'ottobre al
maggio. Dicesi che si deve preferire quello di gamba corta e di carne color
rosso bruno. Il cosciotto arrostito offre un nutrimento sano e nutriente,
opportuno specialmente a chi ha tendenza alla pinguedine.
Prima di cuocerlo lasciatelo frollare diversi
giorni, più o meno a seconda della temperatura. Prima d'infilarlo allo
spiede battetelo ben bene con un mazzuolo di legno, poi spellatelo e levategli,
senza troppo straziarlo, l'osso di mezzo. Dopo, perché resti tutto raccolto,
legatelo e dategli fuoco ardente da principio, e a mezza cottura diminuite il
calore. Quando comincia a gettare il sugo, che raccoglierete nella leccarda,
bagnatelo col medesimo e con brodo digrassato, nient'altro. Salatelo a cottura
quasi completa; ma badate che non riesca troppo cotto né che sanguini e
servitelo in tavola col suo sugo in una salsiera e perché faccia miglior figura
involgete l'estremità dell'osso della gamba in carta bianca
frastagliata.
531. ARROSTO DI LEPRE I
Le parti della lepre (Lepus timidus)
adatte per fare allo spiede sono i quarti di dietro; ma le membra di questa
selvaggina sono coperte di pellicole che bisogna accuratamente levare, prima di
cucinarle, senza troppo intaccare i muscoli.
Avanti di arrostirla tenetela in infusione per
dodici o quattordici ore in un liquido così preparato: mettete al fuoco
in una cazzaruola tre bicchieri d'acqua con mezzo bicchier d'aceto o anche meno
in proporzione del pezzo, tre o quattro scalogni troncati, una o due foglie
d'alloro, un mazzettino di prezzemolo, un pochino di sale e una presa di pepe;
fatelo bollire per cinque o sei minuti e versatelo diaccio sulla lepre. Tolta
dall'infusione asciugatela e steccatela tutta col lardatoio con fettine di
lardone di qualità fine. Cuocetela a fuoco lento, salatela a sufficienza
ed ungetela con panna di latte e nient'altro.
Dicono che il fegato della lepre non si deve
mangiare perché nocivo alla salute.
532. ARROSTO DI LEPRE II
Se la lepre sarà ben frolla potete
arrostire i quarti di dietro senza farli precedere dall'infusione nella seguente
maniera. Levate le pellicole più grosse dai muscoli esterni e steccate
tutto il pezzo di lardelli di lardone che avrete salati avanti. Infilato allo
spiede, avvolgetelo in una carta imburrata e cosparsa di sale. Quando
sarà cotto togliete la carta e con un ramoscello di ramerino intinto nel
burro, ungetelo e fatelo colorire, salandolo ancora un poco.
533. CONIGLIO ARROSTO
Anche per un arrosto di coniglio allo spiede non
si prestano che i quarti di dietro. Steccatelo di lardone, ungetelo con olio o,
meglio, col burro e salatelo a cottura quasi completa.
534. ARROSTO MORTO LARDELLATO
Prendete, mettiamo, un pezzo corto e grosso di
magro, di vitella o di manzo, nella coscia o nel culaccio, ben frollo e del
peso di un chilogrammo all'incirca; steccatelo con grammi 30 di prosciutto
grasso e magro tagliato a fettine. Legatelo collo spago per tenerlo raccolto e
mettetelo in una cazzaruola con grammi 30 di burro, un quarto di una cipolla
diviso in due pezzi, tre o quattro costole di sedano lunghe meno di un dito ed
altrettante strisce di carota. Condite con sale e pepe e quando la carne avrà
preso colore, voltandola spesso, annaffiatela con due piccoli ramaiuoli d'acqua
e tiratela a cottura con fuoco lento, lasciandole prosciugare molta parte
dell'umido, ma badate non vi si risecchi e diventi nera. Quando la mandate in
tavola passate il poco succo rimasto e versatelo sulla carne che potrete
contornar di patate a spicchi, rosolati nel burro o nell'olio.
Potete anche
metter l'arrosto morto al fuoco col solo burro e tirarlo a cottura con la
cazzaruola coperta da una scodella piena d'acqua.
535. PICCIONE A SORPRESA
È una sorpresa de' miei stivali; ma
comunque sia è bene conoscerla perché non è cosa da disprezzarsi.
Se avete un piccione da mettere allo spiede e
volete farlo bastare a più di una persona, riempitelo con una braciuola
di vitella o di vitella di latte. S'intende che questa braciuola dev'essere di
grandezza proporzionata.
Battetela bene per renderla più sottile e
più morbida, conditela con sale, pepe, una presina di spezie e qualche
pezzetto di burro, arrocchiatela e mettetela dentro al piccione cucendone
l'apertura. Se al condimento suddetto aggiungerete delle fettine di tartufi
sarà meglio che mai. Potete anche cuocere a parte la cipollina e il
fegatino del piccione nel sugo o nel burro, pestarli e con essi spalmare la
braciuola; così l'aroma differente delle due qualità di carne si
amalgama e si forma un gusto migliore.
Ciò che si è detto pel piccione
valga per un pollastro.
536. QUAGLIETTE
Servitevi delle bracioline ripiene del n. 307,
oppure fate l'involucro con vitella di latte e quando saranno ripiene,
fasciatele con una fettina sottilissima di lardone e legatele in croce col
refe. Infilatele nello spiede per cuocerle arrosto, ognuna fra due crostini e
con qualche foglia di salvia, ungetele coll'olio, salatele, bagnatele con qualche
cucchiaiata di brodo e scioglietele quando le mandate in tavola.
Anche col filetto di manzo a pezzetti, fasciato
di lardone, coll'odore della salvia e fra due crostini, si ottiene un
buonissimo arrosto.
537. BRACIUOLA DI MANZO RIPIENA ARROSTO
Una braciuola di manzo grossa un dito del peso di
grammi 500.
Magro di vitella di latte, grammi 200.
Prosciutto grasso e magro, grammi 30.
Lingua salata, grammi 30.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Burro, grammi 30.
Fegatini di pollo, n. 2.
Uova, n. l.
Una midolla di pane fresco grossa un pugno
Fate un battutino con cipolla quanto una noce, un
poco di sedano, carota e prezzemolo; mettetelo al fuoco col detto burro e,
rosolato che sia, gettateci la vitella di latte a pezzetti e i fegatini, poco
sale e pepe per condimento, tirando la carne a cottura con un po' di brodo.
Levatela asciutta per tritarla fine colla lunetta e nell'intinto che resta fate
una pappa soda con la midolla del pane, bagnandola con brodo se occorre. Ora,
fate tutto un impasto, con la carne tritata, la pappa, l'uovo, il parmigiano,
il prosciutto e la lingua tagliata a dadini. Composto così il ripieno,
tuffate appena la braciuola di manzo nell'acqua, per poterla distender meglio,
battetela con la costola del coltello e spianatela con la lama. Collocateci il
ripieno in mezzo e formatene un rotolo che legherete stretto a guisa di salame
prima dalla parte lunga e poi per traverso. Infilatela nello spiede per la sua
lunghezza e arrostitela con olio e sale. Sentirete un arrosto delicato, il quale
potrà bastare per sei o sette persone.
538. COSTOLETTE DI VITELLA DI LATTE ALLA MILANESE
Tutti conoscete le costolette semplici alla
milanese, ma se le aggradite più saporite trattatele in questa guisa.
Dopo aver denudato l'osso della costola e scartatine
i ritagli, spianatele con la lama di un grosso coltello per allargarle e
ridurle sottili. Poi fate un battuto con prosciutto più grasso che
magro, un poco di prezzemolo, parmigiano grattato, l'odor dei tartufi, se li
avete, e poco sale e pepe. Con questo composto spalmate le costolette da una
sola parte, mettetele in infusione nell'uovo, poi panatele e cuocetele alla sauté
col burro, servendole con spicchi di limone. Per cinque costolette, se non
sono molto grosse, basteranno grammi 50 di prosciutto e due cucchiaiate colme
di parmigiano.
539. POLLO RIPIENO ARROSTO
Non è un ripieno da cucina fine, ma da
famiglia. Per un pollo di mediocre grandezza eccovi all'incirca la dose
degli ingredienti:
Due salsicce.
Il fegatino, la cresta e i bargigli del pollo
medesimo.
Otto o dieci marroni bene arrostiti.
Una pallina di tartufi o, in mancanza di questi,
alcuni pezzetti di funghi secchi.
L'odore di noce moscata.
Un uovo.
Se invece di un pollo fosse un tacchino,
duplicate la dose.
Cominciate col dare alle salsicce e alle rigaglie
mezza cottura nel burro, bagnandole con un po' di brodo se occorre; conditele
con poco sale e poco pepe a motivo delle salsicce. Levatele asciutte e
nell'umido che resta gettate una midolla di pane, per ottenere con un po' di
brodo due cucchiaiate di pappa soda. Spellate le salsicce, tritate con la
lunetta le rigaglie e i funghi rammolliti, e insieme colle bruciate, coll'uovo
e la pappa pestate ogni cosa ben fine in un mortaio, meno i tartufi che vanno
tagliati a fettine e lasciati crudi. Questo è il composto col quale
riempirete il pollo, il cui ripieno si lascierà tagliar meglio diaccio
che caldo e sarà anche più grato al gusto.
540. CAPPONE ARROSTO TARTUFATO
La cucina è estrosa, dicono i fiorentini,
e sta bene perché tutte le pietanze si possono condizionare in vari modi
secondo l'estro di chi le manipola; ma modificandole a piacere non si deve
però mai perder di vista il semplice, il delicato e il sapore gradevole,
quindi tutta la questione sta nel buon gusto di chi le prepara. Io
nell'eseguire questo piatto costoso ho cercato di attenermi ai precetti
suddetti, lasciando la cura ad altri d'indicare un modo migliore. Ammesso che
un cappone col solo busto, cioè vuoto, senza il collo e le zampe, ucciso
il giorno innanzi, sia del peso di grammi 800 circa, lo riempirei nella maniera
seguente:
Tartufi, neri o bianchi che siano poco importa,
purché odorosi, grammi 250.
Burro, grammi 80.
Marsala, cucchiaiate n. 5.
I tartufi, che terrete grossi come le noci, sbucciateli
leggermente e la buccia gettatela così cruda dentro al cappone; anche
qualche fettina di tartufo crudo si può inserire sotto la pelle. Mettete
il burro al fuoco e quando è sciolto buttateci i tartufi con la marsala,
sale e pepe per condimento e, a fuoco ardente, fateli bollire per due soli
minuti rimuovendoli sempre. Levati dalla cazzaruola, lasciateli diacciare
finché l'unto sia rappreso e poi versate il tutto nel cappone, per cucirlo
tanto nella parte inferiore che nell'anteriore dove è stato levato il
collo.
Serbatelo in luogo fresco per cuocerlo dopo 24
ore dandogli così tre giorni di frollatura.
Se si trattasse di un fagiano o di un tacchino
regolatevi in proporzione. Questi, d'inverno, è bene conservarli ripieni
tre o quattro giorni prima di cuocerli, anzi pel fagiano bisogna aspettare i
primi accenni della putrefazione, ché allora la carne acquista quel profumo
speciale che la distingue. Per la cottura avvolgeteli in un foglio e trattateli
come la gallina di Faraone n. 546.
541. POLLO AL DIAVOLO
Si chiama così perché si dovrebbe condire
con pepe forte di Caienna e servire con una salsa molto piccante, cosicché, a
chi lo mangia, nel sentirsi accendere la bocca, verrebbe la tentazione di
mandare al diavolo il pollo e chi l'ha cucinato. Io indicherò il modo
seguente che è più semplice e più da cristiano.
Prendete un galletto o un pollastro giovane,
levategli il collo e le zampe e, apertolo tutto sul davanti, schiacciatelo
più che potete. Lavatelo ed asciugatelo bene con un canovaccio, poi
mettetelo in gratella e quando comincia a rosolare, voltatelo, ungetelo col
burro sciolto oppure con olio mediante un pennello e conditelo con sale e pepe.
Quando avrà cominciato a prender colore la parte opposta, voltatelo e
trattatelo nella stessa maniera; e continuando ad ungerlo e condirlo a
sufficienza, tenetelo sul fuoco finché sia cotto.
Il pepe di Caienna si vende sotto forma di una
polvere rossa, che viene dall'Inghilterra in boccette di vetro.
542. POLLO IN PORCHETTA
Non è piatto signorile, ma da famiglia.
Riempite un pollo qualunque con fettine di prosciutto grasso e magro, larghe
poco più di un dito, aggiungete tre spicchi d'aglio interi, due
ciocchettine di finocchio e qualche chicco di pepe. Conditelo all'esterno con
sale e pepe e cuocetelo in cazzaruola con solo burro e fra due fuochi. Al tempo
delle salsicce potete sostituire queste al prosciutto introducendole spaccate
per il lungo.
543. ARROSTO MORTO DI POLLO ALLA BOLOGNESE
Mettetelo al fuoco con olio, burro, una fetta di
prosciutto grasso e magro tritato fine, qualche pezzetto d'aglio e una
ciocchettina di ramerino. Quando sarà rosolato, aggiungete pomodori a
pezzi netti dai semi, oppure conserva sciolta nell'acqua. Cotto che sia levatelo
e in quell'intinto cuocete patate a tocchetti, indi rimettetelo al fuoco per
riscaldarlo.
544. POLLO ALLA RUDINÌ
Questo pollo, battezzato non si sa perché con tal
nome, riesce un piatto semplice, sano e di sapore delicato, perciò lo
descrivo. Prendete un pollastro giovane, levategli il collo, le punte delle
ali, e le zampe tagliatele a due dita dal ginocchio; poi fatene sei pezzi: due
colle ali a ciascuna delle quali lascerete unita la metà del petto, due
colle coscie compresavi l'anca e due col groppone toltane la parte anteriore.
Levate le ossa delle anche e la forcella del petto; i due pezzi del groppone
schiacciateli. Frullate un uovo con acqua quanta ne stia in un mezzo guscio
d'uovo, metteteci in infusione il pollo dopo averlo infarinato e conditelo col
pepe e col sale a buona misura lasciandovelo fino al momento di cuocerlo.
Allora prendete i pezzi a uno per uno, panateli e, messa la sauté o una
teglia di rame al fuoco con gr. 100 di burro, cuoceteli in questa maniera.
Quando comincia a soffriggere il burro collocateci per un momento i pezzi del
pollo dalla parte della pelle, poi rivoltateli, coprite la sauté con un
coperchio e con molto fuoco sopra e poco sotto, lasciateli per circa dieci
minuti. Servitelo con spicchi di limone e sentirete che sarà buono tanto
caldo che freddo.
Per parlare
un linguaggio da tutti compreso, la Sacra Scrittura dice che Giosuè
fermò il sole e non la terra e noi si fa lo stesso quando si parla di
polli, perché l'anca dovrebbesi chiamar coscia, la coscia gamba e la gamba
tarso: infatti l'anca ha un osso solo che corrisponde al femore degli uomini,
la coscia ne ha due che corrispondono alla tibia e alla fibula e la zampa
rappresenta il primo osso dei piede, cioè il tarso. Così le ali,
per la conformità delle ossa, corrispondono alle braccia che, dalla
spalla al gomito sono di un sol pezzo (omero) e di due pezzi (radio e ulna)
nell'avambraccio; le punte delle ali poi sono i primi accenni di una mano in
via di formazione.
Pare, e se è vero potete accertarvene alla
prova, che il pollo cotto appena ucciso sia più tenero che quando
è sopraggiunta la rigidità cadaverica.
545. POLLO VESTITO
Non è piatto da farne gran caso, ma
può recare sorpresa in un pranzo famigliare.
Prendete il busto di un pollastro giovane,
cioè privo delle zampe, del collo e delle interiora; ungetelo tutto con
burro diaccio, spolverizzatelo di sale, e un pizzico di questo versatelo
nell'interno. Poi, colle ali piegate, lasciatelo con due larghe e sottili fette
di prosciutto più magro che grasso e copritelo con la pasta descritta
nella ricetta n. 277, tirata col matterello alla grossezza di uno scudo
all'incirca. Doratela col rosso d'uovo e cuocete il pollo così vestito a
moderato calore nel forno o nel forno da campagna. Servitelo come sta per essere
aperto e trinciato sulla tavola.
A me sembra migliore diaccio che caldo.
546. GALLINA DI FARAONE
Questo gallinaceo originario della Numidia,
quindi erroneamente chiamato gallina d'India, era presso gli antichi il simbolo
dell'amor fraterno. Meleagro, re di Calidone, essendo venuto a morte, le
sorelle lo piansero tanto che furono da Diana trasformate in galline di
Faraone. La Numida meleagris, che è la specie domestica,
mezza selvatica ancora, forastica ed irrequieta, partecipa della pernice sia
nei costumi che nel gusto della carne saporita e delicata. Povere bestie, tanto
belline! Si usa farle morire scannate, o, come alcuni vogliono, annegate
nell'acqua tenendovele sommerse a forza; crudeltà questa, come tante
altre inventate dalla ghiottoneria dell'uomo. La carne di questo volatile ha
bisogno di molta frollatura e, nell'inverno, può conservarsi pieno per
cinque o sei giorni almeno.
Il modo migliore di cucinare le galline di
Faraone è arrosto allo spiede. Ponete loro nell'interno una pallottola
di burro impastata nel sale, steccate il petto con lardone ed involtatele in un
foglio spalmato di burro diaccio spolverizzato di sale, che poi leverete a due
terzi di cottura per finire di cuocerle e di colorirle al fuoco, ungendole
coll'olio e salandole ancora.
Al modo istesso può cucinarsi un
tacchinotto.
547. ANATRA DOMESTICA ARROSTO
Salatela nell'interno e fasciatele tutto il petto
con larghe e sottili fette di lardone tenute aderenti con lo spago.
Ungetela coll'olio e salatela a cottura quasi
completa. Il germano, ossia l'anatra selvatica, essendo naturalmente magra,
getta poco sugo e quindi meglio sarà di ungerla col burro.
548. OCA DOMESTICA
L'oca era già domestica ai tempi di Omero
e i Romani (388 anni av. C.) la tenevano in Campidoglio come animale sacro a
Giunone.
L'oca domestica, in confronto delle specie
selvatiche, è cresciuta in volume, si è resa più feconda e
pingue in modo da sostituire il maiale presso gl’Israeliti. Come cibo io non l'ho
molto in pratica, perché sul mercato di Firenze non è in vendita e in
Toscana poco o punto si usa la sua carne; ma l'ho mangiata a lesso e mi
piacque. Da essa sola si otterrebbe un brodo troppo dolce; ma mista al manzo
contribuisce a renderlo migliore se ben digrassato.
Mi dicono che in umido e arrosto si può
trattare come l'anatra domestica e che il petto in gratella si usa steccarlo
col prosciutto o con le acciughe salate, per chi si fa un divieto di quello, e
condito con olio, pepe e sale.
In Germania si cuoce arrosto ripiena di mele,
vivanda codesta non confacente per noi Italiani, che non possiamo troppo
scherzare coi cibi grassi e pesanti allo stomaco, come rileverete dal seguente
aneddoto.
Un mio contadino, uso a solennizzare la festa di
Sant’Antonio abate, volle un anno, meglio del consueto, riconoscerla
coll'imbandire un buon desinare a' suoi amici, non escludendo il fattore.
Tutto andò bene perché le cose furono
fatte a dovere; ma un contadino benestante, che era degli invitati, sentendosi
il cuore allargato, perché al bere e al mangiare aveva fatto del meglio suo,
disse ai commensali:
- Per San Giuseppe, che è il titolare
della mia parrocchia, vi voglio tutti a casa mia e in quel giorno s'ha da stare
allegri. - Fu accettato volentieri l'invito e nessuno mancò al convegno.
Giunta l'ora più desiderata per tali
feste, che è quella di sedersi a tavola, cominciò il bello,
perocché si diede principio col brodo che era d'oca; il fritto era d'oca, il
lesso era d'oca, l'umido era d'oca, e l'arrosto di che credete che fosse? era
d'oca!! Non so quel che avvenisse degli altri, ma il fattore verso sera
cominciò a sentirsi qualche cosa in corpo che non gli permetteva di
cenare e la notte gli scoppiò dentro un uragano tale di tuoni, vento,
acqua e gragnuola che ad averlo visto il giorno appresso, così sconfitto
e abbattuto di spirito, faceva dubitare non fosse divenuto anch'esso un'oca.
Sono rinomati i pasticci di Strasburgo di fegato
d'oca reso voluminoso mediante un trattamento speciale lungo e crudele,
inflitto a queste povere bestie.
A proposito di fegato d'oca me ne fu regalato
uno, proveniente dal veneto, che col suo abbondante grasso attaccato pesava
grammi 600, il cuore compreso, e seguendo l'istruzione ricevuta, lo cucinai
semplicemente in questa maniera. Prima misi al fuoco il grasso, tagliato
all'ingrosso, poi il cuore a spicchi e per ultimo il fegato a grosse fette.
Condimento, sale e pepe soltanto; servito in tavola, scolato dal soverchio
unto, con spicchi di limone. Bisogna convenire che è un boccone molto
delicato.
Vedi fegato d'oca n. 274.
549. TACCHINO
Il tacchino appartiene all'ordine dei Rasores,
ossia gallinacci, alla famiglia della Phasanidae e al genere Meleagris.
È originario dell'America settentrionale, estendendosi la sua dimora dal
nord ovest degli Stati Uniti allo stretto di Panama, ed ha il nome di pollo
d'India perché Colombo credendo di potersi aprire una via per le Indie
orientali, navigando a ponente, quelle terre da lui scoperte furono poi
denominate Indie occidentali. Pare accertato che gli Spagnuoli portassero
quell'uccello in Europa al principio nel 1500 e dicesi che i primi tacchini
introdotti in Francia furono pagati un luigi d'oro.
Siccome
quest'animale si ciba di ogni sudiceria in cui si abbatte, la sua carne, se
è mal nutrito, acquista talvolta un gusto nauseante, ma diviene ottima e
saporosa se alimentato di granturco e di pastoni caldi di crusca. Si può
cucinare in tutti i modi: a lesso, in umido, in gratella e arrosto; la carne
della femmina è più gentile di quella del maschio. Dicono che il
brodo di questo volatile sia caloroso, il che può essere, ma è
molto saporito e si presta bene per le minestre di malfattini, riso con cavolo
o rapa, gran farro e farinata di granturco aggraziate e rese più gustose
e saporite con due salsicce sminuzzate dentro. La parte da preferirsi per lesso
è l'anteriore compresa l'ala, che è il pezzo più delicato.
Per l'arrosto morto e per l'arrosto allo spiede si prestano meglio i quarti di
dietro. Trattandosi del primo è bene steccarlo leggermente di aglio e
ramerino e condirlo con un battuto di carnesecca o lardone, un poco di burro,
sale e pepe, sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua, onde poter
rosolare nel suo intinto delle patate per contorno. Arrosto allo spiede si unge
coll'olio e, piacendo, si serve con un contorno di polenta fritta. Il petto
poi, spianato alla grossezza di un dito e condito qualche ora avanti a buona
misura, con olio, sale e pepe, è ottimo anche in gratella, anzi è
un piatto gradito ai bevitori, i quali vi aggiungono, conciati nella stessa
maniera, il fegatino e il ventriglio tagliuzzato perché prenda meglio il
condimento.
Vi dirò per ultimo che un tacchinotto
giovane del peso di due chilogrammi all'incirca, cotto intero, allo spiede come
la gallina di Faraone, può fare eccellente figura in qualsiasi pranzo,
specialmente se è primiticcio.
550. PAVONE
Ora che nella serie degli arrosti vi ho nominati
alcuni volatili di origine esotica, mi accorgo di non avervi parlato del
pavone, Pavo cristatus, che mi lasciò ricordo di carne eccellente
per individui di giovane età.
Il più splendido, per lo sfarzo dei
colori, fra gli uccelli dell'ordine dei gallinacei, il pavone abita le foreste
delle Indie orientali e trovasi in stato selvatico a Guzerate nell'Indostan, a
Cambogia sulle coste del Malabar, nel regno di Siam e nell'isola di Giava.
Quando Alessandro il Macedone, invasa l'Asia minore, vide questi uccelli la
prima volta dicesi rimanesse così colpito dalla loro bellezza da
interdire con severe pene di ucciderli. Fu quel monarca che li introdusse in
Grecia ove furono oggetto di tale curiosità che tutti correvano a
vederli; ma poscia, trasportati a Roma sulla decadenza della repubblica, il
primo a cibarsene fu Quinto Ortensio l'oratore, emulo di Cicerone e, piaciuti
assai, montarono in grande stima dopo che Aufidio Lurcone insegnò la
maniera d'ingrassarli, tenendone un pollaio dal quale traeva una rendita di
millecinquecento scudi la qual cosa non è lontana dal vero se si
vendevano a ragguaglio di cinque scudi l'uno.
551. MAIALE ARROSTITO NEL LATTE
Prendete un pezzo di maiale nella lombata del
peso di grammi 500 circa, salatelo e mettetelo in cazzaruola con decilitri
2½ di latte. Copritelo e fatelo bollire adagio, finché il latte
sarà consumato; allora aumentate il fuoco per rosolarlo e, ottenuto
questo, scolate via il grasso e levate il pezzo della carne per aggiungere in
quei rimasugli di latte coagulato un gocciolo di latte fresco. Mescolate,
fategli alzare il bollore e servitevene per ispalmare delle fettine di pane,
appena arrostite, onde servirle per contorno al maiale quando lo manderete
caldo in tavola.
Tre decilitri di latte in tutto potranno bastare.
Cucinato così il maiale riesce di gusto delicato e non istucca.
552. PESCE DI MAIALE ARROSTO
Il pesce di maiale è quel muscolo bislungo
posto ai lati della spina dorsale, che a Firenze si chiama lombo di maiale. Colà
si usa distaccarlo insieme colla pietra e in cotesto modo si presta per un
arrosto eccellente. Tagliatelo a pezzetti e infilatelo nello spiede, tramezzandolo
di crostini e salvia come si usa cogli uccelli, e ungetelo, come questi,
coll'olio.
553. AGNELLO ALL’ORIENTALE
Dicono che la spalla d'agnello arrostita ed unta
con burro e latte, era e sia tuttavia una delle più ghiotte leccornie
per gli Orientali; perciò io l'ho provata e ho dovuto convenire che si
ottiene tanto da essa che dal cosciotto un arrosto allo spiede tenero e
delicato. Trattandosi del cosciotto, io lo preparerei in questa maniera, la
quale mi sembra la più adatta: steccatelo tutto col lardatoio di
lardelli di lardone conditi con sale e pepe, ungetelo con burro e latte o con
latte soltanto e salatelo a mezza cottura.
554. PICCIONE IN GRATELLA
La carne di piccione per la quantità
grande di fibrina e di albumina che contiene, è molto nutriente ed
è prescritta alle persone deboli per malattia o per altra qualunque
cagione. Il vecchio Nicomaco nella Clizia del Machiavelli, per trovarsi
abile a una giostra amorosa, proponevasi di mangiare uno pippíone grosso,
arrosto così verdemezzo che sanguigni un poco.
Prendete un piccione grosso, ma giovine,
dividetelo in due parti per la sua lunghezza e stiacciatele bene colle mani.
Poi mettetele a soffriggere nell'olio per quattro o cinque minuti, tanto per
assodarne la carne. Conditelo così caldo con sale e pepe, e poi
condizionatelo in questa maniera: disfate al fuoco, senza farlo bollire,
555. FEGATELLI IN CONSERVA
Tutti sanno fare i fegatelli di maiale conditi
con olio, pepe e sale, involtati nella rete e cotti in gratella, allo spiede o
in una teglia; ma molti non sapranno che sì possono conservare per
qualche mese come si pratica nella campagna Aretina e forse anche altrove,
ponendoli dopo cotti in un tegame e riempiendo questo di lardo strutto e a
bollore. Si levano poi via via che se ne vuoi far uso e si riscaldano. È
una cosa che può far comodo a chi sala il maiale in casa, perché si
avranno allora meno frattaglie da consumare.
Alcuni usano cuocere i fegatelli fra due foglie
di alloro, oppure, come in Toscana, di aggiungere al condimento un po' di seme
di finocchio; ma sono odori acuti che molti stomachi non tollerano, e tornano a
gola.
556. BISTECCA ALLA FIORENTINA
Da beef-steak parola inglese che vale costola
di bue, è derivato il nome della nostra bistecca, la quale non
è altro che una braciuola col suo osso, grossa un dito o un dito e
mezzo, tagliata dalla lombata di vitella. I macellari di Firenze chiamano
vitella il sopranno non che le altre bestie bovine di due anni all'incirca; ma,
se potessero parlare, molte di esse vi direbbero non soltanto che non sono
più fanciulle, ma che hanno avuto marito e qualche figliuolo.
L'uso di questo piatto eccellente, perché sano,
gustoso e ricostituente, non si è ancora generalizzato in Italia, forse
a motivo che in molte delle sue provincie si macellano quasi esclusivamente
bestie vecchie e da lavoro. In tal caso colà si servono del filetto, che
è la parte più tenera, ed impropriamente chiamano bistecca una
rotella del medesimo cotta in gratella.
Venendo dunque al merito della vera bistecca
fiorentina, mettetela in gratella a fuoco ardente di carbone, così
naturale come viene dalla bestia o tutt'al più lavandola e asciugandola;
rivoltatela più volte, conditela con sale e pepe quando è cotta,
e mandatela in tavola con un pezzetto di burro sopra. Non deve essere troppo
cotta perché il suo bello è che, tagliandola, getti abbondante sugo nel
piatto. Se la salate prima di cuocere, il fuoco la risecchisce, e se la condite
avanti con olio o altro, come molti usano, saprà di moccolaia e
sarà nauseante.
557. BISTECCA NEL TEGAME
Se avete una grossa bistecca che, per esser di
bestia non tanto giovane o macellata di fresco, vi faccia dubitare della sua
morbidezza, invece di cuocerla in gratella, mettetela in un tegame con un
pezzetto di burro e un gocciolino d'olio, e regolandovi come al n. 527, datele
odore di aglio e ramerino. Aggiungete, se occorre, un gocciolo di brodo o
d'acqua, oppure sugo di pomodoro e servitela in tavola con patate a tocchetti
cotti nel suo intinto, e se questo non basta, aggiungete altro brodo, burro e
conserva di pomodoro.
558. ARNIONI ALLA PARIGINA
Prendete un rognone, ossia una pietra di vitella,
digrassatela, apritela e copritela d'acqua bollente. Quando l'acqua sarà
diacciata, asciugatela bene con un canovaccio ed infilatela per lungo e per
traverso con degli stecchi puliti onde stia aperta (a Parigi si usano spilloni
di argento), conditela con grammi 30 di burro liquefatto, sale e pepe, e
lasciatela così preparata per un'ora o due.
Dato che la
pietra sia del peso di 600 o
PASTICCERIA
559. STRUDEL
Non vi sgomentate se questo dolce vi pare un
intruglio nella sua composizione e se dopo cotto vi sembrerà qualche
cosa di brutto come un'enorme sanguisuga, o un informe serpentaccio, perché poi
al gusto vi piacerà.
Mele reínettes, o mele tenere di buona
qualità, gr. 500.
Farina, grammi 250.
Burro, grammi 100.
Uva di Corinto, grammi 85.
Zucchero in polvere, grammi 85.
Raschiatura di un limone.
Cannella in polvere due o tre prese.
Spegnete la farina con latte caldo, burro, quanto
una noce, un uovo e un pizzico di sale per farne una pasta piuttosto soda che
lascerete riposare un poco prima di servirvene. Tirate con questa pasta una
sfoglia sottile come quella dei taglierini e, lasciando gli orli scoperti,
distendetevi sopra le mele che avrete prima sbucciate, nettate dai torsoli e
tagliate a fette sottili. Sul suolo delle mele spargete l'uva, la raschiatura
di limone, la cannella, lo zucchero e infine i
560. PRESNITZ
Eccovi un altro dolce di tedescheria e come
buono! Ne vidi uno che era fattura della prima pasticceria di Trieste, lo
assaggiai e mi piacque. Chiestane la ricetta la misi alla prova e riuscì
perfettamente; quindi, mentre ve lo descrivo, mi dichiaro gratissimo alla
gentilezza di chi mi fece questo favore.
Uva sultanina, grammi 160.
Zucchero, grammi 130.
Noci sgusciate, grammi 130.
Focaccia
rafferma, grammi 110.
Mandorle dolci sbucciate, grammi 60.
Pinoli, grammi 60.
Cedro candito, grammi 35.
Arancio candito, grammi 35.
Spezie composte di cannella, garofani e macis,
grammi 5.
Sale, grammi 2.
Cipro, decilitri l.
Rhum, decilitri l.
L'uva sultanina, dopo averla nettata, mettetela
in infusione nel cipro e nel rhum mescolati insieme; lasciatela così
diverse ore e levatela quando comincia a gonfiare. I pinoli tagliateli in tre
parti per traverso, i frutti canditi tagliateli a piccolissimi dadi, le noci e
le mandorle tritatele con la lunetta alla grossezza del riso all'incirca, e la
focaccia, che può essere una pasta della natura dei brioches o
del panettone di Milano, grattatela o sbriciolatela. L'uva lasciatela intera e
poi mescolate ogni cosa insieme, il rhum e il cipro compresivi.
Questo è il ripieno; ora bisogna chiuderlo
in una pasta sfoglia per la quale può servirvi la ricetta del n. 155
nella proporzione di farina gr. 160 e burro gr. 80. Tiratela stretta, lunga e
della grossezza poco più di uno scudo.
Distendete
sulla medesima il ripieno e fatene un rocchio a guisa di salsicciotto tirando
la sfoglia sugli orli per congiungerla. Dategli la circonferenza di
Invece di uno potete farne due, se vi pare, con
questa stessa dose, la metà della quale io ritengo che basterebbe per
sette od otto persone.
561. KUGELHUPF
Farina d'Ungheria o finissima, grammi 200.
Burro, grammi 100.
Zucchero, grammi 50.
Uva sultanina, grammi 50.
Lievito di birra, grammi 30.
Uova, uno intero e due rossi.
Sale, un pizzico.
Odore di scorza di limone.
Latte, quanto basta.
Intridete il lievito col latte tiepido e un pugno
della detta farina per formare un piccolo pane piuttosto sodo; fategli un
taglio in croce e ponetelo in una cazzarolina con un velo di latte sotto,
coperta e vicina al fuoco, badando che questo non la scaldi troppo.
D'inverno sciogliete il burro a bagno-maria poi
lavoratelo alquanto coll'uovo intero, indi versate lo zucchero e poi la farina,
i rossi d'uovo, il sale e l'odore, mescolando bene. Ora, aggiungete il lievito
che nel frattempo avrà già gonfiato e con cucchiaiate di latte
tiepido, versate una alla volta, lavorate il composto con un mestolo entro a
una catinella per più di mezz'ora riducendolo a una consistenza alquanto
liquida, non però troppo. Per ultimo versate l'uva e mettetelo in uno
stampo liscio imburrato e spolverizzato di zucchero a velo misto a farina, ove
il composto non raggiunga la metà del vaso che porrete ben coperto in
caldana o in un luogo di temperatura tiepida a lievitare, al che ci vorranno
due o tre ore.
Quando sarà ben cresciuto da arrivare alla
bocca del vaso, mettetelo in forno a calore non troppo ardente, sformatelo
diaccio, spolverizzatelo di zucchero a velo o se credete (questo è a
piacere) annaffiatelo col rhum.
562. KRAPFEN II
Fatti nel seguente modo riescono più
gentili di quelli del n. 182, specialmente se devono servire come piatto dolce,
e prenderanno la figura di palle lisce senza alcuna impressione sopra.
Farina d'Ungheria, grammi 200.
Burro, grammi 50.
Lievito di birra, grammi 20.
Latte o panna meno di un decilitro, onde il
composto riesca sodettino.
Rossi d'uovo, n. 3.
Zucchero, un cucchiaino.
Sale, una buona presa.
Mettete in
una tazza il lievito con una cucchiaiata della farina e, stemperandolo con un
poco del detto latte tiepido, ponetelo a lievitare vicino al fuoco. Poi in una
catinella versate il burro, sciolto d'inverno a bagnomaria, e lavoratelo con un
mestolo, gettandovi i rossi d'uovo uno alla volta, indi versate il resto della
farina, il lievito quando sarà cresciuto del doppio, il latte a poco per
volta, il sale e lo zucchero, lavorando il composto con una mano fino a che non
si distacchi dalla catinella. Fatto ciò stacciatevi sopra un sottil velo
di farina comune e mettetelo a lievitare in luogo tiepido entro al suo vaso e
quando il composto sarà cresciuto versatelo sulla spianatoia sopra a un
velo di farina e leggermente col matterello assottigliatelo alla grossezza di
mezzo dito; indi, servendovi dello stampo della ricetta n. 7, tagliatelo in 24
dischi sulla metà dei quali porrete, quanto una piccola noce, conserva
di frutta o crema pasticcera. Bagnate questi dischi all'ingiro con un dito
intinto nel latte per coprirli e appiccicarli coi 12 rimasti vuoti; lievitateli
e friggeteli in molto unto, olio o strutto che sia, spolverizzateli di zucchero
a velo quando non saranno più a bollore e serviteli. Se trattasi di
doppia dose, grammi 30 di lievito potranno bastare.
563. SAVARIN
Ad onore forse di Brillat-Savarin fu applicato a
questo dolce un tal nome. Contentiamoci dunque di chiamarlo alla francese, e di
raccomandarlo per la sua bontà ed eleganza di forma, ad ottenere la
quale occorre uno stampo a forma rotonda, col buco nel mezzo, convesso alla
parte esterna e di capacità doppia del composto che deve entrarvi.
Farina d'Ungheria o finissima, grammi 180.
Burro, grammi 60.
Zucchero, grammi 40.
Mandorle dolci, grammi 40,
Latte, decilitri 2.
Uova, due rossi e una chiara.
Una presa di sale.
Lievito di birra, quanto un piccolo uovo.
Ungete lo stampo con burro diaccio,
spolverizzatelo di farina comune mista con zucchero a velo e spargete in fondo
al medesimo le dette mandorle sbucciate e tagliate a filetti corti. Se le
tostate, farete meglio.
Stemperate ed impastate il lievito con un gocciolo
del detto latte tiepido e con un buon pizzico della farina d'Ungheria per fare
un piccolo pane che porrete a lievitare come quello del Babà n. 565.
Ponete il resto della farina e gli altri ingredienti meno il latte che va
aggiunto a poco per volta in una catinella, e cominciate a lavorarli col
mestolo; poi uniteci il lievito e quando il composto sarà lavorato in
modo che si distacchi bene dalla catinella, versatelo nello stampo sopra le
mandorle. Ora mettetelo a lievitare in luogo appena tiepido e ben riparato
dall'aria, prevenendovi che per questa seconda lievitatura occorreranno quattro
o cinque ore. Cuocetelo al forno comune o al forno da campagna e frattanto
preparate il seguente composto: fate bollire grammi 30 di zucchero in due dita,
di bicchiere, d'acqua e quando l'avrete ridotto a sciroppo denso, ritiratelo
dal fuoco e, diaccio che sia, aggiungete un cucchiaino di zucchero vanigliato e
due cucchiaiate di rhum oppure di kirsch; poi sformate il savarin e
così caldo, con un pennello, spalmatelo tutto di questo sciroppo, finché
ne avrete. Servite il dolce caldo o diaccio a piacere.
Questa dose, benché piccola, può bastare
per cinque o sei persone. Se vedete che l'impasto diventasse troppo liquido con
l'intera dose del latte, lasciatene indietro un poco. Si può fare anche
senza le mandorle.
564. GÂTEAU
À LA NOISETTE
A questo dolce diamogli un titolo pomposo alla
francese, che non sarà del tutto demeritato.
Farina di riso, grammi 125.
Zucchero, grammi 170.
Burro, grammi 100.
Mandorle dolci, grammi 50.
Nocciuole sgusciate, grammi 50.
Uova, n. 4.
Odore di vainiglia.
Le nocciuole (avellane) sbucciatele coll'acqua
calda come le mandorle e le une e le altre asciugatele bene al sole o al
fuoco. Poi, dopo averle pestate finissime, con due cucchiaiate del detto
zucchero mescolatele alla farina di riso. Lavorate bene le uova col resto dello
zucchero, indi versateci dentro la detta miscela e dimenate molto colla frusta
il composto. Infine aggiungete il burro liquefatto e tornate a lavorarlo.
Ponetelo in uno stampo liscio di forma rotonda e alquanto stretta onde venga
alto quattro o cinque dita, e cuocetelo in forno a moderato calore. Servitelo
freddo.
Questa dose potrà bastare per sei o sette
persone.
565. BABÀ
Questo
è un dolce che vuol vedere la persona in viso, cioè per riuscir
bene richiede pazienza ed attenzione. Ecco le dosi:
Farina d'Ungheria o finissima, grammi 250.
Burro, grammi 70.
Zucchero in polvere, grammi 50.
Uva sultanina, detta anche uva di Corinto, grammi
50.
Uva malaga a cui vanno levati gli acini, grammi
30.
Lievito di birra, grammi 30.
Latte o,
meglio, panna, decilitri 1 circa.
Uova, n. 2 e un rosso.
Marsala, una cucchiaiata.
Rhum o cognac, una cucchiaiata.
Candito tagliato a filetti, grammi 10.
Sale, un pizzico.
Odore di vainiglia.
Con un quarto della detta farina e con un
gocciolo del detto latte tiepido, s'intrida il lievito di birra e se ne formi
un pane di giusta sodezza. A questo s'incida col coltello una croce, non perché
esso e gli altri così fregiati abbiano paura delle streghe; ma perché a
suo tempo diano segno del rigonfiamento necessario, ad ottenere il quale si
pone a lievitare vicino al fuoco, a moderatissimo calore, entro a un vaso
coperto in cui sia un gocciolo di latte. Intanto che esso lievita, per il che
ci vorrà mezz'ora circa, scocciate le uova in una catinella e lavoratele
collo zucchero; aggiungete dipoi il resto della farina, il panino lievitato, il
burro sciolto e tiepido, la marsala e il rhum, e se l'impasto riuscisse troppo
sodo, rammorbiditelo col latte tiepido. Lavoratelo molto col mestolo finché il
composto non si distacchi dalla catinella, per ultimo gettateci l'uva e il
candito, e mettetelo a lievitare. Quando avrà rigonfiato rimuovetelo un
poco col mestolo e versatelo in uno stampo unto col burro e spolverizzato di
zucchero a velo misto a farina.
La forma migliore di stampo, per questo dolce,
è quella di rame a costole; ma badate ch'esso dev'essere il doppio
più grande del contenuto. Copritelo con un testo onde non prenda aria e
ponetelo in caldana o entro un forno da campagna, pochissimo caldo, per
lievitarlo; al che non basteranno forse due ore. Se la lievitatura riesce
perfetta si vedrà il composto crescere del doppio, e cioè
arrivare alla bocca dello stampo. Allora tirate a cuocerlo, avvertendo che nel
frattempo non prenda aria. La cottura si conosce immergendo un fuscello di
granata che devesi estrarre asciutto; nonostante lasciatelo ancora a
prosciugare in forno a discreto calore, cosa questa necessaria a motivo della
sua grossezza. Quando il Babà è sformato, se è ben cotto,
deve avere il colore della corteccia del pane; spolverizzatelo di zucchero a
velo.
Servitelo freddo.
566. SFOGLIATA DI MARZAPANE
Fate una pasta sfoglia nella quantità e
proporzione del n. 154. Quando è spianata tagliatene due tondi della
dimensione di un piatto comune, a grandi smerli sugli orli. Sopra ad uno di
essi, lasciandovi un po' di margine, distendete il composto di marzapane del n.
579, che dovrebbe riuscire dell'altezza di un centimetro circa; poi
sovrapponetegli l'altro tondo di pasta sfoglia, attaccandoli insieme sugli orli
con un dito intinto nell'acqua.
Dorate la superficie della sfogliata coi rosso
d'uovo, cuocetela al forno o al forno da campagna e dopo spolverizzatela di
zucchero a velo. Questa dose basterà a sette od otto persone e sentirete
che questo dolce sarà molto lodato per la sua delicatezza.
567. BUDINO DI NOCCIUOLE (AVELLANE)
Latte, decilitri 7.
Uova, n. 6.
Nocciuole sgusciate, grammi 200.
Zucchero, grammi 180.
Savoiardi, grammi 150.
Burro, grammi 20.
Odore di vainiglia.
Sbucciate le nocciuole nell'acqua calda ed
asciugatele bene al sole o al fuoco, indi pestatele finissime nel mortaio collo
zucchero versato poco per volta.
Mettete il latte al fuoco e quando sarà
entrato in bollore sminuzzateci dentro i savoiardi e fateli bollire per cinque
minuti, aggiungendovi il burro. Passate il composto dallo staccio e rimettetelo
al fuoco con le nocciuole pestate per isciogliervi dentro lo zucchero.
Lasciatelo poi ghiacciare per aggiungervi le uova, prima i rossi, dopo le
chiare montate; versatelo in uno stampo unto di burro e spolverizzato di
pangrattato, che non venga del tutto pieno, cuocetelo in forno o nel fornello e
servitelo freddo.
Questa dose potrà bastare per nove o dieci
persone.
568. BISCOTTI CROCCANTI I
Farina, grammi 500.
Zucchero in polvere, grammi 220.
Mandorle dolci, intere e sbucciate frammiste a
qualche pinolo, grammi 120.
Burro, grammi 30.
Anaci, un pizzico.
Uova, n. 5.
Sale, una presa.
Lasciate indietro le mandorle e i pinoli per
aggiungerli dopo ed intridete il tutto con quattro uova, essendo così
sempre in tempo di servirvi del quinto, se occorre per formare una pasta
alquanto morbida. Fatene quattro pani della grossezza di un dito e larghi
quanto una mano; collocateli in una teglia unta col burro e infarinata, e
dorateli sopra.
Non cuoceteli tanto per poterli tagliare a fette,
il che verrà meglio fatto il giorno appresso, ché la corteccia
rammollisce. Rimettete le fette al forno per tostarle appena dalle due parti,
ed eccovi i biscotti croccanti.
569. BISCOTTI CROCCANTI II
Farina, grammi 400.
Zucchero, grammi 200.
Burro, grammi 80.
Mandorle, grammi 40.
Uva sultanina, grammi 30.
Pinoli, grammi 20.
Cedro, o zucca candita, grammi 20.
Anaci, un pizzico.
Spirito di vino, cucchiaiate n. 2.
Bicarbonato di soda, un cucchiaino scarso.
Uova, uno intero e tre rossi.
Questi biscotti sono più fini dei
precedenti; e ritengo non lascino nulla a desiderare. Le mandorle sbucciatele,
e tanto queste che i pinoli lasciateli interi. Il candito tagliatelo a
pezzettini. Fate una buca nel monte della farina e collocateci le uova, lo
zucchero, il burro, lo spirito e il bicarbonato. Intridete il composto senza
troppo lavorarlo, poi apritelo ed allargatelo per aggiungervi il resto, e
tirate un bastone alquanto compresso, lungo un metro, che dividerete in quattro
o cinque parti, onde possa entrar nella teglia; doratelo e cuocetelo al forno.
Cotto che sia tagliatelo nella forma dei biscotti a fette poco più
grosse di un centimetro. e tostateli leggermente da ambe le parti.
570. BASTONCELLI CROCCANTI
Farina, grammi 150.
Burro, grammi 60.
Zucchero a velo, grammi 60.
Un uovo.
Odore di buccia di limone grattata.
Fatene un pastone senza dimenarlo troppo, poi
tiratelo sottile per poter ottenere due dozzine di bastoncelli della lunghezza
di dieci centimetri che cuocerete al forno da campagna, entro a una teglia,
senza alcuna preparazione. Si possono accompagnare col the o col vino da
bottiglia.
571. BISCOTTI TENERI
Per questi biscotti bisognerebbe vi faceste fare
una cassettina di latta larga
Farina di grano, grammi 40.
Farina di patate, grammi 30.
Zucchero, grammi 90.
Mandorle dolci, grammi 40.
Candito (cedro o arancio), grammi 20.
Conserva di frutte, grammi 20.
Uova, n. 3.
Le mandorle sbucciatele, tagliatele a metà
per traverso ed asciugatele al sole o al fuoco. I pasticcieri, per solito, le
lasciano colla buccia, ma non è uso da imitarsi perché spesso quella si
attacca al palato ed è indigesta. Il candito e la conserva, che
può essere di cotogne o d'altra frutta, ma soda, tagliateli a piccoli
dadi.
Lavorate prima molto, ossia più di
mezz'ora, i rossi d'uovo collo zucchero e un poco della detta farina, poi
aggiungete le chiare montate ben sode e dopo averle immedesimate uniteci la
farina, facendola cadere da un vagliettino. Mescolate adagio e spargete nel
composto le mandorle, il candito e la conserva. La cassettina di latta ungetela
con burro e infarinatela; i biscotti tagliateli il giorno appresso, tostandoli,
se vi piace, dalle due parti.
572. BISCOTTI DA FAMIGLIA
Sono biscotti di poca spesa, facili a farsi e non
privi di qualche merito perché posson servire sia pel the sia per qualunque
altro liquido, inzuppandosi a maraviglia.
Farina, grammi 250.
Burro, grammi 50.
Zucchero a velo, grammi 50.
Ammoniaca in polvere, grammi 5.
Una presa di sale.
Odore di vainiglia con zucchero vanigliato.
Latte tiepido, un decilitro circa.
Fate una buca nel monte della farina, poneteci
gl'ingredienti suddetti meno il latte, del quale vi servirete per intridere
questa pasta, che deve riuscir morbida e deve essere dimenata molto onde si
affini; poi tiratene una sfoglia grossa uno scudo, spolverizzandola di farina,
se occorre, e per ultimo passateci sopra il mattarello rigato, oppure servitevi
della grattugia o di una forchetta per farle qualche ornamento. Dopo tagliate i
biscotti nella forma che più vi piace, se non volete farne delle strisce
lunghe poco più di un dito e larghe due centimetri come fo io.
Collocateli senz'altro in una teglia di rame e cuoceteli al forno o al forno da
campagna.
573. BISCOTTI DELLA SALUTE
State allegri, dunque, ché con questi biscotti
non morirete mai o camperete gli anni di Mathusalem. Infatti io, che ne mangio
spesso, se qualche indiscreto, vedendomi arzillo più che non
comporterebbe la mia grave età mi dimanda quanti anni ho, rispondo che
ho gli anni di Mathusalem, figliuolo di Enoch.
Farina, grammi 350.
Zucchero rosso, grammi 100.
Burro, grammi 50.
Cremor di tartaro, grammi 10.
Bicarbonato di soda, grammi 5.
Uova, n. 2.
Odore di zucchero vanigliato.
Latte, quanto basta.
Mescolate lo zucchero alla farina, fate a questa
una buca per porvi il resto e intridetela con l'aggiunta di un poco di latte
per ottenere una pasta alquanto morbida, a cui darete la forma cilindrica un
po' stiacciata e lunga mezzo metro. Per cuocerla al forno o al forno da
campagna ungete una teglia col burro, e questo bastone perché possa entrarvi,
dividetelo in due pezzi, tenendoli discosti poiché gonfiano molto. il giorno
appresso, tagliateli in forma di biscotti, di cui ne otterrete una trentina, e
tostateli.
574. BISCOTTO ALLA SULTANA
Il nome è ampolloso, ma non del tutto
demeritato.
Zucchero in polvere, grammi 150.
Farina di grano, grammi 100.
Farina di patate, grammi 50.
Uva sultanina, grammi 80.
Candito, grammi 20.
Uova, n. 5.
Odore di scorza di limone.
Rhum o cognac, due cucchiaiate.
Ponete prima al fuoco l'uva e il candito tagliato
della grandezza dei semi di cocomero con tanto cognac o rhum quanto basta a
coprirli; quando questo bolle, accendetelo e lasciatelo bruciare fuori del
fuoco finché il liquore sia consumato; poi levate questa roba e mettetela ad
asciugare fra le pieghe di un tovagliuolo. Fatta tale operazione, lavorate ben
bene con un mestolo per mezz'ora lo zucchero e i rossi d'uovo ove avrete posta
la raschiatura di limone. Montate sode le chiare colla frusta, e versatele nel
composto; indi aggiungete le due farine facendole cadere da un vagliettino e in
pari tempo mescolate adagio adagio perché si amalgami il tutto, senza
tormentarlo troppo. Aggiungete per ultimo l'uva, il candito e le due
cucchiaiate di rhum o di cognac menzionate e versate il miscuglio in uno stampo
liscio o in una cazzaruola che diano al dolce una forma alta e rotonda. Ungete
lo stampo col burro e spolverizzatelo di zucchero a velo e farina, avvertendo
di metterlo subito in forno onde evitare che l'uva e il candito precipitino al
fondo. Se ciò avviene, un'altra volta lasciate indietro una chiara. Si
serve freddo.
575. BRIOCHES
Farina d'Ungheria, grammi 300.
Burro, grammi 150.
Lievito di birra, grammi 30.
Zucchero, grammi 20.
Sale, grammi 5.
Uova, n. 6
Stemperate il lievito di birra con acqua tiepida
nella quarta parte della detta farina; formatene un panino rotondo di giusta
consistenza, fategli un taglio in croce e ponetelo a lievitare in luogo tiepido
entro una cazzarolina con un velo di farina sotto.
Alla farina che resta fateci una buca in mezzo,
poneteci lo zucchero, il sale e un uovo, e con le dita assimilate insieme
queste tre cose, poi aggiungete il burro a pezzetti e incominciate a intridere
la farina, prima servendovi della lama di un coltello e poi delle mani, per
formare un pastone che porrete in una catinella per lavorarlo meglio. Unite a
questo il panino lievitato, quando sarà cresciuto del doppio, e
servendovi della mano per lavorarlo molto, aggiungete le altre uova una alla
volta. Poi la catinella ponetela in luogo tiepido e ben chiuso, e quando
l'impasto sarà lievitato disfatelo alquanto e con esso riempite a
metà una ventina di stampini di latta rigati, che avanti avrete unti con
burro liquido o lardo e spolverizzati con farina mista a zucchero a velo.
Rimetteteli a lievitare, poi dorateli e cuoceteli
al forno o al forno da campagna.
576. PASTA MARGHERITA
Avendo un giorno, il mio povero amico Antonio
Mattei di Prato (del quale avrò occasione di riparlare), mangiata in
casa mia questa pasta ne volle la ricetta, e subito, da quell'uomo industrioso
ch'egli era, portandola a un grado maggiore di perfezione e riducendola
finissima, la mise in vendita nella sua bottega. Mi raccontava poi essere stato
tale l'incontro di questo dolce che quasi non si faceva pranzo per quelle
campagne che non gli fosse ordinato. Così la gente volenterosa di
aprirsi una via nel mondo coglie a volo qualunque occasione per tentar la
fortuna, la quale, benché dispensi talvolta i suoi favori a capriccio, non si
mostra però mai amica agl'infingardi e ai poltroni.
Farina di patate, grammi 120.
Zucchero, in polvere, grammi 120.
Uova, n. 4.
Agro di un limone.
Sbattete prima ben bene i rossi d'uovo collo
zucchero, aggiungete la farina e il succo di limone e lavorate per più
di mezz'ora il tutto. Montate per ultimo le chiare, unitele al resto mescolando
con delicatezza per non ismontar la fiocca. Versate il composto
in uno stampo liscio e rotondo, ossia in una teglia proporzionata, imburrata e
spolverizzata di zucchero a velo e farina, e mettetela subito in forno.
Sformatela diaccia e spolverizzatela di zucchero a velo vanigliato.
577. TORTA MANTOVANA
Farina, grammi 170.
Zucchero, grammi 170.
Burro, grammi 150.
Mandorle dolci e pinoli, grammi 50.
Uova intere, n. l.
Rossi d'uovo, n. 4.
Odore di scorza di limone.
Si lavorano prima per bene col mestolo, entro una
catinella, le uova collo zucchero; poi vi si versa a poco per volta la farina,
lavorandola ancora, e per ultimo il burro liquefatto a bagno-maria. Si mette il
composto in una teglia di rame unta col burro e spolverizzata di zucchero a
velo e farina o di pangrattato e si rifiorisce al disopra con le mandorle e i
pinoli. I pinoli tagliateli in due pel traverso e le mandorle, dopo averle
sbucciate coll'acqua calda e spaccate per il lungo, tagliatele di traverso,
facendone d'ogni metà quattro o cinque pezzetti. Badate che questa torta
non riesca più grossa di un dito e mezzo o due al più onde abbia
modo di rasciugarsi bene nel forno, che va tenuto a moderato calore.
Spolverizzatela di zucchero a velo e servitela
diaccia, che sarà molto aggradita.
578. TORTA RICCIOLINA I
Vi descrivo la torta ricciolina con due ricette
distinte perché la prima avendola fatta fare, me presente, da un cuoco di
professione, pensai di modificarla, in modo che riescisse più gentile di
aspetto e di gusto più delicato.
Mandorle dolci con alcune amare, sbucciate,
grammi 120.
Zucchero in polvere, grammi 170.
Candito, grammi 70
Burro, grammi 60.
Scorza di limone.
Intridete due uova di farina e fatene taglierini
eguali a quelli più fini che cuocereste per la minestra nel brodo. In un
angolo della spianatoia fate un monte colle mandorle, collo zucchero, col
candito tagliato a pezzetti e colla buccia del limone raschiata e questo
monticello di roba, servendovi della lunetta e del matterello, stiacciatelo e
tritatelo in modo da ridurlo minuto come i chicchi del grano. Prendete allora
una teglia di rame e così al naturale, senza ungerla, cominciate a
distendere in mezzo alla medesima, se è grande, un suolo di taglierini e
conditeli cogl'ingredienti sopra descritti, distendete un altro suolo di
taglierini e conditeli ancora, replicando l'operazione finché vi resta roba e
procurando che la torta risulti rotonda e grossa due dita almeno. Quando
sarà così preparata versatele sopra il burro liquefatto
servendovi di un pennello per ungerla bene alla superficie e perché il burro
penetri eguale in tutte le parti.
Cuocetela in forno o nel forno da campagna; anzi,
per risparmio di carbone, può bastare il solo coperchio di questo.
Spolverizzatela abbondantemente di zucchero a velo quando è calda e
servitela diaccia.
579. TORTA RICCIOLINA II
Fate una pasta frolla con:
Farina, grammi 170.
Zucchero, grammi 70.
Burro, grammi 60.
Lardo, grammi 25.
Uova, n. l.
Distendetene una parte, alla grossezza di uno
scudo, nel fondo di una teglia di rame del diametro di 20 o
Mandorle dolci con tre amare, sbucciate, grammi
120.
Zucchero, grammi 100.
Burro, grammi 15.
Arancio candito, grammi 15.
Un rosso d'uovo.
Pestate nel mortaio le mandorle collo zucchero,
aggiungete dopo l'arancio a pezzettini, e col burro, il rosso d'uovo e una cucchiaiata
d'acqua fate tutto un impasto. Col resto della pasta frolla formate un cerchio
e con un dito intinto nell'acqua attaccatelo giro giro agli orli della teglia;
distendete il marzapane tutto eguale e copritelo con un suolo alto mezzo dito
di taglierini sottilissimi perché questi devono essere come una fioritura, non
la base del dolce, ed ungeteli con grammi 20 di burro liquefatto, servendovi di
un pennello. Cuocete la torta in forno a moderato calore e dopo spargetele
sopra grammi 10 di cedro candito a piccoli pezzettini; spolverizzatela con
zucchero a velo vanigliato e servitela un giorno o due dopo cotta, perché il
tempo la rammorbidisce e la rende più gentile. Dei taglierini fatene per
un uovo, ma poco più della metà basteranno.
580. TORTA FRANGIPANE
Un signore veneziano, dai tratti di vero
gentiluomo, mi suggerisce questa torta, che è di grato e delicato
sapore.
Farina di patate, grammi 120.
Zucchero a velo, grammi 120.
Burro, grammi 80.
Uova, n. 4.
Cremor di tartaro, grammi 5.
Bicarbonato di soda, grammi 3.
Odore di scorza di limone grattata.
Lavorate da prima i rossi d'uovo con lo zucchero,
dopo uniteci la farina di patate e proseguite a dimenare col mestolo; versateci
poi il burro sciolto e per ultimo le chiare montate e le polveri. Servitevi di
una teglia piccola onde possa restar alta due dita; ungetela col burro e
spolverizzatela di farina mista con lo zucchero. Potete cuocerla in casa nel
forno da campagna.
581. TORTA ALLA MARENGO
Fate una pasta frolla metà dose del n.
589, ricetta A.
Fate una crema nelle seguenti proporzioni:
Latte, decilitri 4.
Zucchero, grammi 60.
Farina, grammi 30.
Rossi d'uovo, n. 3.
Odore di vainiglia.
Prendete grammi 100 di pan di Spagna e tagliatelo
a fette della grossezza di mezzo centimetro. Servitevi di una teglia di rame di
mezzana grandezza, ungetela col burro e copritene il fondo con una sfoglia
della detta pasta; poi sovrapponete giro giro a questa un orlo della stessa
pasta largo un dito ed alto due e, per attaccarlo bene, bagnate il giro con un
dito intinto nell'acqua.
Dopo aver fatto alla teglia questa armatura,
coprite la pasta del fondo colla metà delle fette di pan di Spagna
intinte leggermente in rosolio di cedro. Sopra le medesime distendete la crema
e coprite questa con le rimanenti fette di pan di Spagna egualmente asperse di
rosolio. Ora montate colla frusta due delle tre chiare rimaste dalla crema e
quando saranno ben sode unitevi a poco per volta grammi 130 di zucchero a velo
e mescolate adagio per aver così la marenga colla quale coprirete la
superficie del dolce, lasciando scoperto l'orlo della pasta frolla per dorarlo
col rosso d'uovo. Cuocetela al forno o al forno da campagna e quando la marenga
si sarà assodata copritela con un foglio onde non prenda colore.
La torta sformatela fredda e spolverizzatela
leggermente di zucchero a velo. Coloro a cui non istucca il dolciume,
giudicheranno questo piatto squisito.
582. TORTA COI PINOLI
Questa è una torta che alcuni pasticcieri
vendono a ruba. Chi non è pratico di tali cose crederà che
l'abbia inventata un dottore della Sorbona; io ve la do qui imitata
perfettamente.
Latte, mezzo litro.
Semolino di grana mezzana, grammi 100.
Zucchero, grammi 65
Pinoli, grammi 50.
Burro, grammi 10.
Uova, n. 2.
Sale, una presa.
Odore di vainiglia.
La quantità del semolino non è di
tutto rigore, ma procurate che riesca alquanto sodo. I pinoli tritateli colla
lunetta alla grossezza di un mezzo granello di riso.
Quando il semolino è cotto nel latte
aggiungete tutto il resto e per ultimo le uova mescolandole con sveltezza.
Fate una pasta frolla con:
Farina, grammi 200.
Burro, grammi 100.
Zucchero, grammi 100.
Uova, n. 1.
Se questo non basta per intridere la farina,
servitevi di un gocciolo di vino bianco o marsala.
Prendete una teglia nella quale il dolce non
venga più alto di due dita, ungetela col burro e copritene il fondo con
una sfoglia sottile di detta pasta; versateci il composto e fategli sopra colla
stessa pasta tagliata a listarelle un reticolato a mandorle. Doratelo, cuocete
la torta al forno e servitela diaccia spolverizzata di zucchero a velo.
583. TORTA SVIZZERA
Sia o non sia svizzera, io ve la do per tale e
sentirete che non è cattiva.
Fate una pasta di giusta consistenza con:
Farina, grammi 300.
Burro, grammi 100,
Sale, quanto basta.
Odore di scorza di limone.
Latte, quanto basta per intriderla, e lasciatela
per un poco in riposo.
Prendete una teglia di mezzana grandezza,
ungetela col burro e copritene il fondo colla detta pasta tirata alla grossezza
di due monete da 5 lire. Col resto della pasta formate un orlo all'ingiro e
collocatevi dentro grammi 500 di mele reinettes, o altre di
qualità tenera, sbucciate e tagliate a tocchetti grossi quanto le noci.
Sopra le medesime spargete grammi 100 di zucchero mescolato a due prese di
cannella in polvere e grammi 20 di burro liquefatto. Mandatela in forno e
servitela calda o diaccia a sette od otto persone, ché a tante potrà
bastare.
La cannella in polvere, l'odore della scorza di
limone e il burro liquefatto sopra alle mele sono aggiunte mie; ma stando a
rigore, non ci vorrebbero.
584. BOCCA DI DAMA I
La faccia chi vuole senza farina: io la credo
necessaria per darle più consistenza.
Zucchero in polvere, grammi 250.
Farina d'Ungheria o finissima, grammi 150.
Mandorle dolci con alcune amare, grammi 50.
Uova intere, n. 6, e rossi n. 3.
Odore di scorza di limone.
Le mandorle, dopo averle sbucciate e asciugate
bene, pestatele in un mortaio con una cucchiaiata del detto zucchero e mescolatele
alla farina in modo che non appariscano bozzoli. Il resto dello zucchero
ponetelo in una catinella coi rossi d'uovo e la raschiatura del limone,
lavorandoli con un mestolo per un quarto d'ora; versate la farina e lavorate
ancora per più di mezz'ora. Montate con la frusta, in un vaso a parte,
le sei chiare e quando saranno ben sode da sostenere un pezzo da due lire
d'argento, versatele nella menzionata catinella e mescolate adagino adagino
ogni cosa insieme.
Per cuocerla versatela in una teglia di rame unta
col burro e spolverizzata di zucchero a velo e farina, oppure in un cerchio di
legno da staccio, il cui fondo sia stato chiuso con un foglio.
585. BOCCA DI DAMA II
Zucchero, grammi 250.
Farina finissima, grammi 100.
Mandorle dolci con tre amare, grammi 50.
Uova, n. 9.
Odore di scorza di limone.
Sbucciate le mandorle, asciugatele bene al sole o
al fuoco, pestatele finissime con una cucchiaiata del detto zucchero e
mescolatele alla farina.
Il resto dello zucchero e i rossi delle uova
uniteli insieme in una bacinella di rame o di ottone, e sopra al fuoco, a poco
calore, batteteli colla frusta per più di un quarto d'ora. Versateci
poscia, fuori del fuoco, la farina preparata con le mandorle, la scorza di limone
grattata e, dopo averla lavorata ancora, aggiungete le chiare ben montate e
mescolate adagio. Ponete il composto in una teglia unta col burro e
spolverizzata di farina mista con zucchero a velo per mandarla in forno.
586. DOLCE ALLA NAPOLETANA
Questo è un dolce di bell'apparenza e
molto gentile.
Zucchero, grammi 120.
Farina d'Ungheria, grammi 120.
Mandorle dolci, grammi 100.
Uova, n. 4.
Le mandorle sbucciatele, asciugatele al sole o al
fuoco e, scegliendone un terzo delle più grosse, dividete queste in due
parti nei due lobi naturali; le altre tagliatele in filetti sottili. Montate le
uova e lo zucchero in una bacinella di rame o di ottone, sul fuoco, alla
temperatura di 20 gradi, battendole con la frusta più di un quarto
d'ora. Ritirato il composto dal fuoco uniteci la farina mescolando leggermente
e versatelo in uno stampo liscio, tondo od ovale poco importa, che avrete prima
imburrato e spolverizzato con un cucchiaino di zucchero a velo ed uno di farina
uniti insieme; ma sarebbe bene che lo stampo fosse di grandezza tale che il
dolce, quando è cotto, riuscisse alto quattro dita circa. Cuocetelo al
forno o al forno da campagna a moderato calore e dopo corto e ben diaccio
tagliatelo all'ingiro a fette sottili un centimetro. Fate una crema con:
Rossi d'uovo, n. 2.
Latte, decilitri 3.
Zucchero, grammi 60.
Farina, grammi 15.
Burro, grammi 10.
Odore di vainiglia,
e con questa a bollore spalmate da una sola parte le fette del
dolce e ricomponetelo, cioè collocatele insieme una sopra l'altra.
Verrà meglio la crema se metterete al
fuoco prima il burro con la farina per cuocerla senza farle prender colore;
poi, resa tiepida, vi aggiungerete i rossi, il latte e lo zucchero rimettendola
al fuoco.
Ora bisogna intonacare tutta la parte esterna del
dolce con una glassa, ossia crosta, e a questo effetto mettete a bollire
in una piccola cazzaruola grammi 230 di zucchero in un decilitro di acqua fino
al punto che, preso il liquido fra le dita, appiccichi un poco, ma senza filo,
ed avrete un altro indizio della sua giusta cottura quando avrà cessato
di fumare e produrrà larghe gallozzole. Allora ritiratelo dal fuoco e
quando comincia a diacciare spremetegli un quarto di limone e lavoratelo molto
col mestolo per ridurlo bianco come la neve; ma se v'indurisse fra mano
versateci un poco d'acqua per ridurlo scorrevole come una crema alquanto densa.
Preparata così la glassa, buttateci dentro le mandorle a filetti,
mescolate e intonacate il dolce, e colle altre divise in due parti rifioritelo
al disopra infilandole ritte.
Invece della crema potete usare una conserva di
frutta, ma con la crema riesce un dolce squisito e perciò vi consiglio a
provarlo.
587. DOLCE TEDESCO
Farina d'Ungheria, grammi 250.
Burro, grammi 100.
Zucchero in polvere, grammi 100.
Uova, n. 4.
Latte, cucchiaiate n. 4.
Odore di zucchero vanigliato.
Lavorate dapprima ed insieme per mezz'ora il
burro, lo zucchero e i rossi d'uovo. Aggiungete la farina e il latte e lavorate
ancora bene il composto.
Per fare alzare nella cottura questo e consimili
dolci ora viene dalla Germania e dall’Inghilterra una polvere bianca, inodora,
che in quantità di grammi 10 si mescola nel composto insieme con le
chiare montate. Se nel vostro paese non la trovate supplite con grammi 5 di
bicarbonato di soda e grammi 5 di cremor di tartaro mescolati insieme. Versate
il dolce in uno stampo liscio, imburrato soltanto, e di doppia tenuta, e
cuocetelo in forno o nel forno da campagna. Si serve diaccio.
588. PASTA GENOVESE
Zucchero, grammi 200.
Burro, grammi 150.
Farina di patate, grammi 170.
Farina di grano, grammi 110.
Rossi d'uovo, n. 12.
Chiare, n. 7.
Odore di scorza di limone.
Si lavorano primieramente ben bene in una
catinella i rossi d'uovo col burro e lo zucchero, poi si aggiungono le due
farine e quando queste avranno avuto mezz'ora circa di lavorazione, si versano
nel composto le chiare montate. Mandate al forno la pasta in una teglia di rame
preparata al solito con una untatina di burro e infarinata. Tenetela
all'altezza di un dito circa, tagliatela a mandorle quando è cotta e
spolverizzatela di zucchero a velo.
589. PASTA FROLLA
Vi descrivo tre differenti ricette di pasta
frolla per lasciare a voi la scelta a seconda dell'uso che ne farete; ma, come
più fine, vi raccomando specialmente la terza per le crostate.
RICETTA A
Farina, grammi 500.
Zucchero bianco, grammi 220.
Burro, grammi 180.
Lardo, grammi 70.
Uova intere, n. 2 e un torlo.
RICETTA B
Farina, grammi 250.
Burro, grammi 125.
Zucchero bianco, grammi 110.
Uova intere, n. 1 e un torlo.
RICETTA C
Farina, grammi 270.
Zucchero, grammi 115.
Burro, grammi 90.
Lardo, grammi 45.
Rossi d'uovo, n. 4.
Odore di scorza di arancio.
Se volete tirar la pasta frolla senza
impazzamento, lo zucchero pestatelo finissimo (io mi servo dello zucchero a
velo) e mescolatelo alla farina; e il burro, se è sodo, rendetelo
pastoso lavorandolo prima, con una mano bagnata, sulla spianatoia. Il lardo,
ossia strutto, badate che non sappia di rancido. Fate di tutto un pastone
maneggiandolo il meno possibile, ché altrimenti vi si brucia, come
dicono i cuochi; perciò, per intriderla, meglio è il servirsi da
principio della lama di un coltello. Se vi tornasse comodo fate pure un giorno
avanti questa pasta, la quale cruda non soffre, e cotta migliora col tempo
perché frolla sempre di più.
Nel servirvene per pasticci, crostate, torte,
ecc., assottigliatela da prima col matterello liscio e dopo, per più
bellezza, lavorate con quello rigato la parte che deve stare di sopra,
dorandola col rosso d'uovo. Se vi servite dello zucchero a velo la tirerete
meglio. Per lavorarla meno, se in ultimo restano dei pastelli, uniteli insieme
con un gocciolo di vino bianco o di marsala, il quale serve anche a rendere la
pasta più frolla.
590. PASTE DI FARINA GIALLA I
Farina di granturco, grammi 200.
Detta di grano, grammi 150.
Zucchero in polvere, grammi 150.
Burro, grammi 100.
Lardo, ossia strutto, grammi 50.
Anaci, grammi 10.
Uova, n. l.
Mescolate insieme le due farine, lo zucchero e
gli anaci ed intridete col burro, il lardo e l'uovo, quella quantità che
potrete, formandone un pane che metterete da parte. I rimasugli intrideteli con
un poco di vino bianco e un poco d'acqua e formatene un altro pane, poi
mescolate insieme i due pani e lavorateli il meno possibile, procurando che la
pasta riesca piuttosto morbida. Spianatela col matterello alla grossezza di
mezzo dito, spolverizzandola di farina mista, onde non si attacchi sulla
spianatoia, e tagliatela cogli stampini di latta a diverse forme e grandezze.
Ungete una teglia col lardo, infarinatela e collocateci le paste, doratele
coll'uovo, cuocetele al forno e spolverizzatele di zucchero a velo.
591. PASTE DI FARINA GIALLA II
Queste riescono assai più gentili delle
precedenti.
Farina di granturco, grammi 200.
Burro, grammi 100.
Zucchero a velo, grammi 80.
Fiori secchi del sambuco comune, grammi l0.
Rossi d'uovo, n. 2.
Se nell'intridere la pasta riuscisse troppo soda,
rammorbiditela con un gocciolo d'acqua. Spianatela col matterello alla
grossezza poco più di uno scudo e tagliatela a dischetti come quelli del
n. 634, perché anche questi si possono servire col the, e per renderli
più appariscenti si possono nella stessa maniera screziare alla
superficie con le punte di una forchetta o con la grattugia.
I fiori e le foglie del sambuco hanno
virtù diuretica e diaforetica, e cioè, perché tutti intendano
senza tanto velo di pudicizia, fanno orinare e sudare e si trovano in vendita
dai semplicisti.
592. GIALLETTI I
Signore mamme, trastullate i vostri bambini con
questi gialletti; ma avvertite di non assaggiarli se non volete sentirli
piangere pel caso molto probabile che a loro ne tocchi la minor parte.
Farina di granturco, grammi 300.
Detta di grano, grammi 100.
Zibibbo, grammi 100.
Zucchero, grammi 50.
Burro, grammi 30.
Lardo, grammi 30.
Lievito di birra, grammi 20.
Un pizzico di sale.
Con la metà della farina di grano e col
lievito di birra, intrisi con acqua tiepida, formate un panino e ponetelo a
lievitare. Frattanto impastate con acqua calda le due farine mescolate insieme
con tutti gl'ingredienti suddetti, eccetto l'uva. Aggiungete al pastone il
panino quando sarà lievitato, lavoratelo alquanto e per ultimo uniteci
l'uva. Dividetelo in quindici o sedici parti formandone tanti panini in forma
di spola, e con la costola di un coltello incidete sulla superficie d'ognuno un
graticolato a mandorla. Poneteli a lievitare in luogo tiepido, poi cuoceteli al
forno o al forno da campagna a moderato calore onde restino teneri.
593. GIALLETTI II
Se non vi grava la spesa potete farli più
gentili con la seguente ricetta nella quale non occorre né il lievito, né
l'acqua per impastarli.
Farina di granturco, grammi 300.
Detta di grano, grammi 150.
Zucchero in polvere, grammi 200.
Burro, grammi 150.
Lardo, grammi 70.
Zibibbo, grammi 100.
Uova, n. 2.
Odore di scorza di limone.
Di questi, tenendoli della grossezza di mezzo
dito, ne farete una ventina; ma potete anche dar loro la forma che più
vi piace e invece di 20, tenendoli piccoli, farne 40. Cuoceteli come i
precedenti e per impastarli regolatevi come se si trattasse di pasta frolla.
594. ROSCHETTI
Farina, grammi 200.
Zucchero a velo, grammi 100.
Mandorle dolci, grammi 100.
Burro, grammi 80.
Strutto, grammi 30.
Uova, uno intero e un rosso.
Sbucciate le mandorle, asciugatele bene al sole o
al fuoco, tostatele color nocciuola e tritatele alla grossezza di mezzo chicco
di riso; poi mescolate tanto queste che lo zucchero fra la farina.
Nella massa così formata fate una buca per
metterci il resto, ed intridetela lavorandola il meno possibile; indi
lasciatela qualche ora in riposo nella forma di un pane rotondo.
Infarinate leggermente la spianatoia e tirate il
pane suddetto, prima col matterello liscio poi con quello rigato, alla
grossezza poco meno di un centimetro.
Se lo tagliate col disco del n. 162 o con altro
consimile otterrete circa 50 di queste pastine che potrete cuocere nel forno da
campagna, dopo averle collocate in una teglia unta appena col burro diaccio.
595. CENCI
Farina, grammi 240.
Burro, grammi 20.
Zucchero in polvere, grammi 20.
Uova, n. 2.
Acquavite, cucchiaiate n. l.
Sale, un pizzico.
Fate con questi ingredienti una pasta piuttosto
soda, lavoratela moltissimo con le mani e lasciatela un poco in riposo,
infarinata e involtata in un canovaccio. Se vi riuscisse tenera in modo da non
poterla lavorare, aggiungete altra farina. Tiratene una sfoglia della grossezza
d'uno scudo, e col coltello o colla rotellina a smerli, tagliatela a strisce
lunghe un palmo circa e larghe due o tre dita. Fate in codeste strisce qualche
incisione per ripiegarle o intrecciarle o accartocciarle onde vadano in padella
(ove l'unto, olio o lardo, deve galleggiare) con forme bizzarre.
Spolverizzatele con zucchero a velo quando non saranno più bollenti.
Basta questa dose per farne un gran piatto. Se il pane lasciato in riposo
avesse fatta la crosticina, tornatelo a lavorare.
596. STIACCIATA COI SICCIOLI
Nel mondo bisognerebbe rispettar tutti e non
disprezzare nessuno per da poco ch'ei sia, perché, se ben vorrete considerarla,
può pure codesta persona da poco essere dotata di qualche qualità
morale che non la renda indegna.
Questo in massima generale; ma venendo al
particolare, benché il paragone non regga e si tratti di cosa meschina, vi
dirò che della stiacciata di cui mi pregio parlarvi sono debitore a una
rozza serva che la faceva a perfezione.
Lievito, grammi 650.
Zucchero in polvere, grammi 200.
Siccioli, grammi 100.
Burro, grammi 40.
Lardo, grammi 40.
Uova, n. 5.
Odore di scorza di arancio o di limone.
Per lievito qui intendo quello che serve per
impastare il pane.
Lavoratela la sera avanti; prima sulla spianatoia
il lievito senza i condimenti, poi in una catinella per più di mezz'ora
con una mano, aggiungendo a poco per volta gli ingredienti e le uova. Poi
copritela bene e ponetela in luogo tiepido perché lieviti durante la notte. La
mattina appresso rimpastatela e poi versatela in una teglia di rame unta e
infarinata ove stia nella grossezza non maggiore di due dita. Fatto questo,
mandatela in caldana per la seconda lievitatura e passatela al forno. Si
può anche compiere tutta l'operazione in casa e cuocerla nel forno da
campagna; ma vi prevengo che questa è una pasta alquanto difficile a
riuscir bene, specialmente se la stagione è molto fredda. Meglio
è che per farla aspettiate il dolco ma non vi sgomentate alla prima
prova.
Nel brutto caso che la mattina avesse lievitato
poco o punto, aggiungete lievito di birra in quantità poco maggiore di
una noce, facendolo prima lievitare a parte con un pizzico di farina e acqua
tiepida.
597. STIACCIATA UNTA
La chiameremo stiacciata unta per distinguerla
dalla precedente. Se quella ha il merito di riuscire più grata al gusto,
questa ha l'altro di una più facile esecuzione.
La dose di questa stiacciata e la ricetta della
torta mantovana mi furono favorite da quel brav'uomo, già rammentato,
che fu Antonio Mattei di Prato; e dico bravo, perch'egli aveva il genio
dell'arte sua ed era uomo onesto e molto industrioso; ma questo mio caro amico,
che mi rammentava sempre il Cisti fornaio di messer Giovanni Boccaccio, morì
l'anno 1885, lasciandomi addoloratissimo. Non sempre sono necessarie le lettere
e le scienze per guadagnarsi la pubblica stima; anche un'arte assai umile,
accompagnata da un cuor gentile ed esercitata con perizia e decoro, ci
può far degni del rispetto e dell'amore del nostro simile.
Sotto rozze maniere e tratti umili
Stanno spesso i bei cuori e i sensi
puri;
Degli uomini temiam troppo gentili,
Quai marmi son: lucidi, lisci e duri.
Ma veniamo all'ergo:
Pasta lievita da pane, grammi 700.
Lardo, grammi 120.
Zucchero, grammi 100.
Siccioli, grammi 60.
Rossi d'uovo, n. 4.
Un pizzico di sale.
Odore della scorza d'arancio o di limone.
Si lavori moderatamente perché potrebbe perder la
forza. Fatta la sera e lasciata in luogo tiepido si lievita da sé; fatta la
mattina avrà bisogno di tre ore di caldana in terra.
Se la volete senza siccioli aggiungete altri due
rossi d'uovo ed altri grammi 30 di lardo.
Metà di questa dose basta per cinque o sei
persone.
598. STIACCIATA ALLA LIVORNESE
Le stiacciate alla livornese usansi per Pasqua
d'uovo forse perché il tepore della stagione viene in aiuto a farle lievitar
bene e le uova in quel tempo abbondano. Richiedono una lavorazione lunga, forse
di quattro giorni, perché vanno rimaneggiate parecchie volte. Eccovi la nota
degl'ingredienti necessari per farne tre di media grandezza, o quattro
più piccole:
Uova, n. 12.
Farina finissima, chilogrammi 1,800.
Zucchero, grammi 600.
Olio sopraffine, grammi 200.
Burro, grammi 70.
Lievito di birra, grammi 30.
Anaci, grammi 20.
Vin santo, decilitri 11/2.
Marsala, 1/2 decilitro.
Acqua di fior d'aranci, decilitri l.
Mescolate le
due qualità di vino e in un po' di questo liquido ponete in fusione gli
anaci dopo averli ben lavati. A tarda sera potrete fare questa.
1a Operazione. Intridete il lievito di
birra con mezzo bicchiere di acqua tiepida, facendogli prender la farina che
occorre per formare un pane di giusta consistenza, che collocherete sopra il
monte della farina, entro a una catinella, coprendolo con uno strato della
medesima farina. Tenete la catinella riparata dall'aria e in cucina, se non
avete luogo più tiepido nella vostra casa.
2a Operazione. La mattina, quando il
detto pane sarà ben lievitato, ponetelo sulla spianatoia, allargatelo e
rimpastatelo con un uovo, una cucchiaiata d'olio, una di zucchero, una di vino
e tanta farina da formare un'altra volta un pane più grosso, mescolando
ogni cosa per bene senza troppo lavorarlo.
Ricollocatelo sopra la farina e copritelo come
l'antecedente.
3a Operazione. Dopo sei o sette ore,
che tante occorreranno onde il pane torni a lievitare, aggiungete tre uova, tre
cucchiaiate d'olio, tre di zucchero, tre di vino, e farina bastante per formare
il solito pane e lasciatelo lievitar di nuovo, regolandovi sempre nello stesso
modo. Per conoscere il punto della fermentazione calcolate che il pane deve
aumentare circa tre volte di volume.
4a Operazione. Cinque uova, cinque
cucchiaiate di zucchero, cinque d'olio, cinque di vino e la farina necessaria.
5a ed ultima operazione. Le tre
rimanenti uova e tutto il resto, sciogliendo il burro al fuoco, si mescoli ben
bene per rendere la pasta omogenea. Se il pastone vi riuscisse alquanto
morbido, il che non è probabile, aggiungete altra farina per renderlo di
giusta consistenza.
Dividetelo in tre o quattro parti formandone
delle palle e ponete ognuna di esse in una teglia sopra un foglio di carta che
ne superi l'orlo, unta col burro, ove stia ben larga; e siccome via via che si
aumenta la dose degli ingredienti, la fermentazione è più
tardiva, l'ultima volta, se volete sollecitarla, ponete le stiacciate a
lievitare in caldana e quando saranno ben gonfie e tremolanti spalmatele con un
pennello prima intinto nell'acqua di fior di arancio, poi nel rosso d'uovo.
Cuocetele in forno a temperatura moderatissima, avvertendo che quest'ultima
parte è la più importante e difficile perché, essendo grosse di
volume, c'è il caso che il forte calore le arrivi subito alla
superficie, e nell'interno restino mollicone. Con questa ricetta, eseguita con
accuratezza, le stiacciate alla livornese fatte in casa, se non avranno tutta
la leggerezza di quelle del Burchi di Pisa, saranno in compenso più
saporite e di ottimo gusto.
599. PANE DI SPAGNA
Uova, n. 6.
Zucchero fine in polvere, grammi 170.
Farina d'Ungheria o finissima, grammi 170.
Odore di scorza di limone a chi piace.
Dimenate prima i rossi d'uovo con lo zucchero,
poi aggiungete la farina, asciugata al fuoco o al sole, e dopo una lavorazione
di circa mezz'ora versateci due cucchiaiate delle sei chiare montate per
rammorbidire il composto, indi il resto mescolando adagio.
Potreste anche montare le uova sul fuoco come nel
Dolce alla napoletana n. 586. Cuocetelo al forno.
600. BISCOTTO
Uova, n. 6.
Zucchero a velo, grammi 250.
Farina di grano, grammi 100.
Detta di patate, grammi 50.
Burro, grammi 30.
Odore di scorza di limone.
Lavorate per mezz'ora almeno i rossi d'uovo collo
zucchero e una cucchiaiata delle dette farine, servendovi di un mestolo. Montate
le chiare ben sode ed aggiungetele; mescolate adagio e, quando saranno
immedesimate, fate cadere da un vagliettino le due farine, che prima avrete
asciugate al sole o al fuoco. Cuocetelo al forno o al forno da campagna in una
teglia ove venga alto tre dita circa, ma prima ungetela col burro diaccio e
spolverizzatela di zucchero a velo misto a farina. In questi dolci con le
chiare montate si può anche tenere il seguente metodo, e cioè:
dimenar prima i rossi d'uovo con lo zucchero, poi gettarvi la farina e dopo una
buona lavorazione montar sode le chiare, versarne due cucchiaiate per
rammorbidire il composto, indi le rimanenti, per incorporarvele adagio adagio.
601. BISCOTTO DI CIOCCOLATA
Uova, n. 6.
Zucchero in polvere, grammi 200.
Farina di grano, grammi 150.
Cioccolata alla vainiglia, grammi 50.
Grattate la cioccolata e mettetela in una
catinella con lo zucchero e i rossi d'uovo e dimenateli con un mestolo; poi
aggiungete la farina e lavorate il composto per più di mezz'ora; per
ultimo le chiare montate mescolando adagio. Cuocetelo come l'antecedente.
602. FOCACCIA COI SICCIOLI
Farina, grammi 500.
Zucchero in polvere fine, grammi 200.
Burro, grammi 160.
Siccioli, grammi 150.
Lardo, grammi 60.
Marsala o vino bianco, cucchiaiate n. 4.
Uova, due intere e due rossi.
Odore di scorza di limone.
Formata che avrete la pasta, lavorandola poco,
uniteci i siccioli sminuzzati, ungete una teglia di rame col lardo e
versatecela pigiandola colle nocche delle dita onde venga bernoccoluta; ma non
tenetela più alta di un dito.
Prima di passarla al forno fatele, se dopo cotta
volete servirla a pezzi, dei tagli quadrati colla punta d'un coltello,
ripetendoli a mezza cottura perché facilmente si chiudono, e quando sarà
cotta spolverizzatela di zucchero a velo.
603. FOCACCIA ALLA TEDESCA
Zucchero, grammi 120.
Candito a pezzettini, grammi 30.
Pangrattato fine, grammi 120.
Uva sultanina, grammi 30.
Uova, n. 4.
Odore di scorza di limone.
Lavorate prima i rossi d'uovo con lo zucchero
finché siano divenuti quasi bianchi; aggiungete il pangrattato, poi il candito
e l'uva, e per ultimo le chiare montate ben sode. Mescolate adagio per non
smontarle e quando il composto sarà tutto unito, versatelo in una teglia
imburrata e infarinata o spolverizzata di pangrattato, ove alzi due dita circa
e cuocetela al forno; questo dolce prenderà l'apparenza del pan di
Spagna che spolverizzerete, dopo cotto, di zucchero a velo.
Se dovesse servire per dieci o dodici persone
raddoppiate la dose.
604. PANETTONE MARIETTA
La Marietta è una brava cuoca e tanto
buona ed onesta da meritare che io intitoli questo dolce col nome suo, avendolo
imparato da lei.
Farina finissima, grammi 300.
Burro, grammi 100.
Zucchero, grammi 80.
Uva sultanina, grammi 80.
Uova, uno intero e due rossi.
Sale, una presa.
Cremor di tartaro, grammi 10.
Bicarbonato di soda, un cucchiaino, ossia grammi
5 scarsi.
Candito a pezzettini, grammi 20.
Odore di scorza di limone.
Latte, decilitri 2 circa.
D'inverno rammorbidite il burro a bagno-maria e
lavoratelo colle uova; aggiungete la farina e il latte a poco per volta, poi il
resto meno l'uva e le polveri che serberete per ultimo; ma, prima di versar
queste, lavorate il composto per mezz'ora almeno e riducetelo col latte a
giusta consistenza, cioè, né troppo liquido, né troppo sodo. Versatelo
in uno stampo liscio più alto che largo e di doppia tenuta onde nel
gonfiare non trabocchi e possa prendere la forma di un pane rotondo. Ungetene
le pareti col burro, spolverizzatelo con zucchero a velo misto a farina e
cuocetelo in forno. Se vi vien bene vedrete che cresce molto formando in cima
un rigonfio screpolato. È un dolce che merita di essere raccomandato
perché migliore assai del panettone di Milano che si trova in commercio, e richiede
poco impazzamento.
605. PANE BOLOGNESE
Questo è un pane che farà onore
alla classica cucina bolognese perché gustoso a mangiarsi solo e atto a essere
servito per inzupparlo in qualunque liquido.
Farina di grano, grammi 500.
Zucchero a velo, grammi 180
Burro, grammi 180.
Zibibbo, grammi 70.
Pinoli tritati all'ingrosso, grammi 50.
Cedro candito a piccoli filetti, grammi 30.
Cremor di tartaro, grammi 8.
Bicarbonato, grammi 4
Uova, n. 2.
Latte, decilitri I.
Mescolate lo zucchero con la farina e fatene un monte
sulla spianatoia; nella buca che gli farete poneteci il burro, le uova e il
latte, ma questo tiepido con le due polveri, dentro, le quali già
vedrete che cominciano a fermentare. Impastate ogni cosa insieme e quando il
pastone è divenuto omogeneo apritelo per aggiungervi i pinoli, il
candito e l'uva.
Rimaneggiatelo, onde queste cose vengano sparse
egualmente per formarne due pani a forma di spola alti poco più di un
dito, dorateli col rosso d'uovo e cuoceteli subito al forno od anche al forno
da campagna.
606. CIAMBELLE OSSIA BUCCELLATI I
Farina finissima, chilogrammi 1,700.
Zucchero, grammi 300.
Lievito, grammi 200.
Burro, grammi 150.
Lardo, grammi 50.
Latte, decilitri 4.
Marsala, decilitri 2.
Rhum, due cucchiaiate.
Uova, n. 6.
Bicarbonato di soda, un cucchiaino.
Un pizzico di sale.
Odore di scorza di limone.
Se siete precisi colle dosi indicate, la farina
basterà per l'appunto ad ottenere una pasta di giusta sodezza.
Per lievito, come ho detto altra volta, intendo
quella pasta, già preparata, che serve di fermento al pane.
Il limone da grattare dev'essere di giardino.
Sciogliete il lievito in una catinella colla
metà del latte, facendogli prendere tanta farina da farne un pane di
giusta consistenza. Dopo formato lasciatelo stare in mezzo alla farina in modo
che ne sia circondato da uno strato più alto di un dito. Ponete la
catinella in luogo non freddo, riparato dall'aria, e quando quel pane
sarà ben lievitato, per il che accorreranno, a seconda della stagione,
otto o dieci ore, guastatelo e rifatelo più grande col resto del latte e
della farina occorrente. Aspettate che abbia di nuovo lievitato e che sia ben
rigonfiato, per il che ci vorrà altrettanto tempo; versatelo allora
sulla spianatoia ed impastatelo col resto della farina e con tutti
gl'ingredienti citati; ma lavoratelo ben bene e con forza onde la pasta si
affini e divenga tutta omogenea.
Preparate dei teglioni di ferro o delle teglie di
rame stagnate, unte col lardo e infarinate, e nelle medesime collocate le
ciambelle che farete grandi a piacere, ma in modo che vi stiano assai larghe.
Lasciatele lievitare in cucina o in altro luogo di temperatura tiepida, ed
allorché saranno ben rigonfiate, ma non passate di lievito, fate loro colla
punta di un coltello delle lunghe incisioni alla superficie, doratele coll'uovo
e spargeteci sopra dello zucchero cristallino pestato grosso.
Cuocetele in forno a moderato calore.
Vi avverto che d'inverno sarà bene
impastare il lievito col latte tiepido e mandare le ciambelle a lievitare nella
caldana. Colla metà dose potete ottenere quattro belle ciambelle di
grammi 350 circa ciascuna, quando non vogliate farle più piccole.
607. CIAMBELLE OSSIA BUCCELLATI II
Queste ciambelle da famiglia sono di più
semplice fattura delle precedenti.
Farina d'Ungheria, grammi 500.
Zucchero, grammi 180.
Burro, grammi 90.
Cremor di tartaro, grammi 15.
Bicarbonato di soda, grammi 5.
Uova, n. 2.
Odore di buccia di limone o di anaci od anche di
cedro candito in pezzettini.
Fate una buca nella farina per metterci il burro
sciolto, le uova e lo zucchero. Intridete la farina con questi ingredienti e
col latte che occorre per formare una pasta di giusta consistenza e dimenatela
molto.
Le due polveri e gli odori aggiungeteli in
ultimo.
Invece di una sola ciambella potete farne due e
tenerle col buco largo, che vengono grosse abbastanza. Fate loro qualche
incisione alla superficie, doratele col rosso d'uovo e cuocetele al forno o al
forno da campagna ungendo la teglia con burro o lardo. Anche con la metà
delle dosi si ottiene una discreta ciambella.
608. PASTA MADDALENA
Zucchero, grammi 130.
Farina fine, grammi 80.
Burro, grammi 30.
Rossi d'uovo, n. 4.
Chiare, n. 3.
Una presa di bicarbonato di soda.
Odore di scorza di limone.
Lavorate prima i rossi d'uovo collo zucchero, e
quando saranno diventati biancastri, aggiungete la farina e lavorate ancora per
più di un quarto d'ora. Unite al composto il burro liquefatto se
è d'inverno, e per ultimo le chiare montate.
La farina asciugatela al fuoco, o al sole, se
d'estate.
A questa pasta potete dare forme diverse, ma
tenetela sempre sottile e di poco volume. Si usa metterla in degli stampini
lavorati, unti col burro e infarinati, oppure in teglia alla grossezza di un
dito scarso, tagliandola dopo in forma di mandorle che spolverizzerete di
zucchero a velo. Potete anche farla della grossezza di mezzo dito e appiccicare
insieme le mandorle a due per due con conserve di frutta.
609. PIZZA ALLA NAPOLETANA
Pasta frolla metà della ricetta A del n.
589, oppure l'intera ricetta B dello stesso numero.
Ricotta, grammi 150.
Mandorle dolci con tre amare, grammi 70.
Zucchero, grammi 50.
Farina, grammi 20
Uova, n. 1 e un rosso.
Odore di scorza di limone o di vainiglia.
Latte, mezzo bicchiere.
Fate una
crema col latte, collo zucchero, colla farina, con l'uovo intero sopraindicato
e quando è cotta ed ancor bollente aggiungete il rosso e datele l'odore.
Unite quindi alla crema la ricotta e le mandorle sbucciate e pestate fini.
Mescolate il tutto e riempite con questo composto la pasta frolla disposta a
guisa di torta, e cioè fra due sfoglie della medesima ornata di sopra e
dorata col rosso d'uovo. S'intende già che dev'essere cotta in forno,
servita fredda e spolverizzata di zucchero a velo. A me sembra che questo
riesca un dolce di gusto squisito.
610. PIZZA GRAVIDA
Servitevi del seguente composto, uso crema:
Latte, un quarto di litro.
Zucchero, grammi 60.
Amido, grammi 30.
Rossi d'uovo, n. 2.
Odore che più aggradite.
Aggiungete quando la ritirate dal fuoco:
Pinoli interi, grammi 30.
Uva passolina, grammi 80.
Riempite con questo composto una pasta frolla
come avete fatto per la pizza alla napoletana e cuocetela come la precedente.
611. QUATTRO QUARTI ALL’INGLESE
Uova n. 5 e
del loro peso, compreso il guscio, altrettanto zucchero ed altrettanta farina.
Uva passolina, grammi 200.
Burro, grammi 200.
Candito a pezzettini, grammi 30.
Bicarbonato di soda, un cucchiaino.
Lavorate prima le uova con lo zucchero, aggiungete
la farina e continuate a lavorare con un mestolo per mezz'ora all'incirca.
Lasciate il composto in riposo per un'ora o due, indi unite al medesimo il
burro sciolto a bagnomaria, il bicarbonato, l'uva e il candito; versatelo in
una teglia o in una forma liscia, unta col burro e spolverizzata di zucchero a
velo misto a farina e cuocetelo al forno.
L'uva passolina lavatela prima, onde nettarla
dalla terra che ordinariamente contiene, ed asciugatela. Qui viene a proposito
uno sfogo contro la proverbiale indolenza degl'Italiani i quali sono soliti di
ricorrere ai paesi esteri anche per quelle cose che avrebbero a portata di mano
nel proprio. Nelle campagne della bassa Romagna si raccoglie un'uva nera a
piccolissimi chicchi e senza seme, colà chiamata uva romanina, che
io, per uso di casa mia, ho messo talvolta a profitto perché non si distingue
dalla passolina se non per essere di qualità migliore e priva d'ogni
sozzura. Per seccarla distendete i grappoli in un graticcio, tenetela in
caldana per sette od otto giorni, nettandola dai raspi quando sarà
secca.
612. QUATTRO QUARTI ALL’ITALIANA
Questo dolce si fa nella stessa maniera del
precedente eccetto che si sostituisce al candito l'odore della buccia di
limone, e all'uva passolina gr. 100 di mandorle dolci con alcune amare. Usando
anche qui il bicarbonato di soda, il dolce riescirà più leggiero.
Le mandorle, dopo averle sbucciate, asciugatele al sole o al fuoco, pestatele
fini con due cucchiaiate dello zucchero della ricetta e mescolatele alla farina
prima di gettarle nel composto. Se non usate questa precauzione c'è il
caso di trovar le mandorle tutte ammassate insieme. È un dolce che ha
bisogno di essere lavorato molto, tanto prima che dopo averci versato il burro;
e il mio cuoco ha sperimentato che riesce meglio tenendo la catinella immersa
nell'acqua calda, mentre si lavora, cosa questa che si può dire anche
per le altre paste consimili. Se fatto con attenzione sarà giudicato un
dolce squisito.
613. DOLCE DI MANDORLE
Uova, n. 3.
Zucchero, il peso dell'uova.
Farina di patate, grammi 125.
Burro, grammi 125.
Mandorle dolci con tre amare, grammi 125.
Odore di buccia di limone grattata.
Sbucciate le mandorle, asciugatele al sole o al
fuoco e pestatele finissime nel mortaio con un terzo del detto zucchero. Lavorate
con un mestolo i tre rossi delle uova colla rimanenza dello zucchero e la
buccia del limone, finché saranno divenuti biancastri; uniteci dopo la farina
di patate, poi le mandorle pestate e il burro liquefatto, lavorando ancora il
composto. Per ultimo versateci le chiare montate e quando sarà
amalgamata ogni cosa insieme cuocetelo nel forno da campagna, spolverizzandolo
di zucchero a velo diaccio che sia.
Se vi servirete di una teglia, il cui fondo sia
del diametro di centimetri 22 circa, il dolce verrà giusto di altezza.
Potete servirvi dello stesso burro per unger la teglia, la quale, come sapete,
va spolverizzata con zucchero a velo misto a farina. È un dolce di gusto
delicato che può bastare per otto persone.
614. OFFELLE DI MARMELLATA
La parola offella, in questo significato,
è del dialetto romagnolo e, se non isbaglio, anche del lombardo, e
dovrebbe derivare dall'antichissima offa, focaccia, schiacciata composta
di farro e anche di varie altre cose.
Dar l'offa al cerbero è una
frase che ha il merito dell'opportunità parlandosi di coloro, e non son
pochi oggigiorno, che danno la caccia a qualche carica onde aver modo di
riceverla e mangiare sul tesoro pubblico a quattro ganascie. Ma torniamo alle offelle,
che sarà meglio.
Mele rose, grammi 500.
Zucchero in polvere, grammi 125.
Candito, grammi 30.
Cannella in polvere, due cucchiaini.
Tagliate le mele in quattro spicchi, sbucciateli
e levate loro la loggia del torsolo. Tagliate questi spicchi a fette più
sottili che potete e ponetele al fuoco in una cazzaruola con due bicchieri
d'acqua, spezzettandole col mestolo. Queste mele sono di pasta dura e per
cuocerle hanno bisogno d'acqua; anzi, se bollendo rimanessero troppo asciutte,
aggiungetene dell'altra. Aspettate che siano spappolate per gettarvi lo
zucchero e poi assaggiate se il dolce è giusto, perché le frutta in
genere, a seconda della maturità, possono essere più o meno
acide. Per ultimo aggiungete il candito a piccoli pezzettini e la cannella.
Servitevi della pasta frolla n. 589 nel
quantitativo della ricetta A, distendetela col matterello alla grossezza di uno
scudo e tagliatela collo stampo rotondo e smerlato come quello segnato [in
questa pagina]; un disco sotto e un disco sopra, quest'ultimo tirato col
matterello rigato, e in mezzo la marmellata, umettando gli orli perché si
attacchino. Dorate le offelle col rosso d'uovo e mandatele al forno,
spolverizzandole dopo di zucchero a velo.
615. OFFELLE DI MARZAPANE
Servitevi
della pasta frolla n. 589 nel quantitativo della ricetta A, distendetela col
matterello alla grossezza di uno scudo e tagliatela collo stampo rotondo e
smerlato come quello segnato [in questa pagina]; un disco sotto e un disco
sopra, quest'ultimo tirato col matterello rigato, e in mezzo la marmellata,
umettando gli orli perché si attacchino. Dorate le offelle col rosso
d'uovo e mandatele al forno, spolverizzandole dopo di zucchero a velo.
616. CROSTATE
Per crostate io intendo quelle torte che hanno
per base la pasta frolla e per ripieno le conserve di frutta o la crema.
Prendete la dose intera della ricetta del B n.
589, o la metà della ricetta A, e in ambedue servitevi, come si è
detto, di un uovo intero e un torlo; ma prima di metterli nella pasta
frullateli a parte e, per risparmio, lasciate indietro un po’ d'uovo che
servirà per dorare la superficie della crostata. Alla pasta frolla che
deve servire a quest'uso sarà bene dare un qualche odore come quello di
scorza di limone o d'acqua di fior d'arancio; il meglio sarebbe servirsi
esclusivamente della ricetta C.
Per formar la crostata spianate col matterello
liscio una metà della pasta per avere una sfoglia rotonda della
grossezza di uno scudo all'incirca e ponetela in una teglia unta col burro.
Sopra la medesima distendete la conserva oppure la crema od anche l'una e
l'altra, tenendole però separate. Se la conserva fosse troppo soda
rammorbiditela al fuoco con qualche cucchiaiata d'acqua. Sopra la conserva
distendete a eguale distanza l'una dall'altra tante strisce di pasta tirata col
matterello rigato, larghe un dito scarso, e incrociatele in modo che formino un
mandorlato; indi coprite l'estremità delle strisce con un cerchio
all'ingiro fatto colla pasta rimanente, inumiditelo coll'acqua per attaccarlo
bene. Dorate coll'uovo lasciato a parte la superficie della pasta frolla, e
cuocete la crostata in forno o nel forno da campagna. Migliora dopo un giorno o
due.
617. CROCCANTE
Mandorle dolci, grammi 120.
Zucchero in polvere, grammi 100
Sbucciate le mandorle, distaccatene i lobi,
cioè le due parti nelle quali sono naturalmente congiunte, e tagliate
ognuno dei lobi in filetti o per il lungo o per traverso come più vi
piace. Ponete queste mandorle così tagliate al fuoco ed asciugatele fino
al punto di far loro prendere il colore gialliccio, senza però
arrostirle. Frattanto ponete lo zucchero al fuoco in una cazzaruola
possibilmente non istagnata e quando sarà perfettamente liquefatto,
versatevi entro le mandorle ben calde, e mescolate. Qui avvertite di gettare
una palettata di cenere sulle bragi, onde il croccante non vi prenda l'amaro,
passando di cottura, il punto preciso della quale si conosce dal color cannella
che acquista il croccante. Allora versatelo a poco per volta in uno stampo qualunque,
unto prima con burro od olio, e pigiandolo con un limone contro le pareti,
distendetelo sottile quanto più potete. Sformatelo diaccio e se
ciò vi riescisse difficile, immergete lo stampo nell'acqua bollente. Si
usa anche seccar le mandorle al sole, tritarle fini colla lunetta, unendovi un
pezzo di burro quando sono nello zucchero.
618. SALAME INGLESE
Questo dolce, che si potrebbe più
propriamente chiamare pan di Spagna ripieno e che fa tanto bella mostra nelle
vetrine de' pasticcieri, sembra, per chi è ignaro dell'arte, un piatto
d'alta credenza: ma non è niente affatto difficile ad eseguirsi.
Fate un pan di Spagna colle seguenti dosi e per
cuocerlo al forno distendetelo all'altezza di mezzo dito in un teglione
possibilmente rettangolare, unto col burro e spolverizzato di farina.
Zucchero in polvere, grammi 200.
Farina finissima, grammi 170.
Uova, n. 6.
In questo e consimili casi, alcuni trattati
dell'arte suggeriscono di asciugar bene la farina al sole o al fuoco prima di
adoperarla, per renderla forse più leggiera.
Lavorate i rossi d'uovo collo zucchero per circa
mezz'ora; unite ai medesimi le chiare ben montate e dopo averle mescolate
adagino fate cadere la farina da un vagliettino, oppure tenetevi al metodo
indicato al n. 588.
Levato dal forno, tagliate dal medesimo, quando
è ancora caldo, un numero sufficiente di strisce, larghe
Questo dolce si può far più
semplice per uso di famiglia nel seguente modo, bastando la metà della
dose anche per una teglia grande.
Spalmate il pan di Spagna con rosolio e conserva
di frutta, sia di cotogne, di albicocche o di pesche poco importa, distendete
sulla medesima delle fettine sottili di candito e rotolate come un foglio il
pezzo intero sopra sé stesso; ma nell'una o nell'altra maniera sarebbe bene,
per dargli più bell'aspetto, di ornare la superficie o con un ricamo di
zucchero o con una crosta di cioccolata come usano i pasticcieri; ma codesti
signori, per fare tali cose a perfezione, hanno certi loro segreti particolari
che non insegnano volentieri. Conosco, però, così alto alto, un
loro processo speciale che troverete descritto al n. 789. Frattanto contentatevi
del seguente, che è più semplice ma non del tutto perfetto:
Intridete dello zucchero a velo con chiara
d'uovo, facendolo molto sodo, e distendetelo sopra al dolce uniformemente,
oppure mettetelo in un cartoccio foggiato a forma di cornetto, e strizzandolo,
per farlo uscire dal piccolo buco in fondo, giratelo sul dolce per formare il
disegno che più vi piace. Se la crosta la fate nera, prendete gr. 60 di
zucchero a velo e gr. 30 di cioccolata in polvere, mescolate, intridete
ugualmente con chiara d'uovo e distendete l'intriso sul dolce. Se non si
asciuga naturalmente, ponetelo sotto l'azione di un moderato calore.
619. CAVALLUCCI DI SIENA
I dolci
speciali a Siena sono il panforte, i ricciarelli, i cavallucci e le cupate. I
cavallucci sono pastine in forma di mostacciuoli della dimensione segnata qui
sotto; quindi vedete che la figura di un cavallo non ci ha niente che fare, e
perché siano così chiamati credo non si sappia neanche a Siena di tre
cose piena: di torri, di campane e di quintane.
Con questa ricetta intendo indicarvi il modo di
poterli imitare, ma non di farli del tutto precisi perché se nel sapore
all'incirca ci siamo, la manipolazione lascia a desiderare, ed è cosa
naturale. Dove si lavora in grande e con processi che sono un segreto ai
profani, l'imitazione zoppica sempre.
Farina, grammi 300.
Zucchero biondo, grammi 300.
Noci sgusciate, grammi 100.
Arancio candito, grammi 50.
Anaci, grammi 15.
Spezie e cannella in polvere, grammi 5.
Le noci tritatele alla grossezza della veccia
all'incirca.
L'arancio tagliatelo a dadettini.
Lo zucchero mettetelo al fuoco con un terzo del
suo peso di acqua e quando è ridotto a cottura di filo gettate in esso
tutti gli ingredienti, mescolate e versate il composto caldo nella spianatoia
sopra la farina per intriderla; ma per far questo vedrete che vi
occorrerà dell'altra farina, la quale serve a ridurre la pasta
consistente. Formate allora i cavallucci, dei quali, con questa dose, ne
otterrete oltre a 40, e siccome, a motivo dello zucchero, questa pasta
appiccica, spolverizzateli di farina alla superficie. Collocateli in una teglia
e cuoceteli in bianco a moderato calore. State molto attenti alla cottura dello
zucchero, perché se cuoce troppo diventa scuro. Quando, prendendone una goccia
tra il pollice e l'indice, comincia a filare, basta per questo uso.
620. RICCIARELLI DI SIENA
Zucchero bianco fine, grammi 220.
Mandorle dolci, grammi 200.
Dette amare, grammi 20.
Chiare
d'uovo, n. 2.
Odore di buccia d'arancio.
Sbucciate le mandorle, asciugatele bene al sole o
al fuoco e pestatele finissime nel mortaio con due cucchiaiate del detto
zucchero, versato in diverse volte; poi uniteci il resto dello zucchero mescolando
bene.
Montate le chiare in un vaso qualunque e
versateci le mandorle così preparate e la buccia dell'arancio grattata.
Mescolate di nuovo con un mestolo e versate il composto sulla spianatoia sopra
a un leggiero strato di farina per fargliene prendere soltanto quella ben poca
quantità che occorre per tirare leggermente col matterello una
stiacciata morbida, grossa mezzo dito. Allora tagliateli con la forma qui sotto
segnata e ne otterrete da
Prendete una teglia, fatele uno strato di crusca
alto quanto uno scudo e copritelo tutto di cialde per posarvi su i ricciarelli
e cuocerli al forno a moderato calore onde restino teneri. in mancanza del
forno, che sarebbe il più opportuno, servitevi del forno da campagna.
Dopo cotti tagliate via la cialda che sopravanza
agli orli di queste paste, che riescono di qualità fine.
621. CIALDONI
Ponete in un pentolo:
Farina, grammi 80.
Zucchero biondo, grammi 30.
Lardo vergine e appena tiepido, grammi 20.
Acqua diaccia, sette cucchiaiate.
Sciogliete prima, coll'acqua, la farina e lo
zucchero, poi aggiungete il lardo.
Ponete sopra un fornello ardente il ferro da
cialde e quando è ben caldo apritelo e versatevi sopra ogni volta mezza
cucchiaiata della detta pastella; stringete le due parti del ferro insieme,
passatelo sul fuoco da una parte e dall'altra, levate le sbavature con un
coltello ed apritelo quando conoscerete che la cialda ha preso il color
nocciuola. Allora distaccatela alquanto da una parte col coltello e subito
così calda sopra il ferro medesimo o sopra a un canovaccio disteso sul
focolare arrotolatela con un bocciuolo di canna o semplicemente colle mani.
Quest'ultima operazione bisogna farla molto svelti perché se la cialda si
diaccia non potrete più avvolgerla su sé stessa. Se le cialde restassero
attaccate al ferro ungetelo a quando a quando col lardo, e se non venissero
tutte unite, aggiungete un po' di farina.
Sapete già che i cialdoni si possono
servir soli; ma è meglio accompagnarli con la panna o con la crema
montata ed anche col latte brûlé o col latte alla portoghese.
622. FAVE ALLA ROMANA O DEI MORTI
Queste pastine sogliono farsi per la
commemorazione dei morti e tengono luogo della fava baggiana, ossia
d'orto, che si usa in questa occasione cotta nell'acqua coll'osso di
prosciutto. Tale usanza deve avere la sua radice nell'antichità
più remota poiché la fava si offeriva alle Parche, a Plutone e a
Proserpina ed era celebre per le cerimonie superstiziose nelle quali si usava.
Gli antichi Egizi si astenevano dal mangiarne, non la seminavano, né la
toccavano colle mani, e i loro sacerdoti non osavano fissar lo sguardo sopra
questo legume stimandolo cosa immonda. Le fave, e soprattutto quelle nere,
erano considerate come una funebre offerta, poiché credevasi che in esse si
rinchiudessero le anime dei morti, e che fossero somiglianti alle porte
dell'inferno.
Nelle feste Lemurali si sputavano fave
nere e si percuoteva nel tempo stesso un vaso di rame per cacciar via dalle
case le ombre degli antenati, i Lemuri e gli Dei dell'inferno.
Festo pretende che sui fiori di questo legume
siavi un segno lugubre e l'uso di offrire le fave ai morti fu una delle
ragioni, a quanto si dice, per cui Pitagora ordinò a' suoi discepoli di
astenersene; un'altra ragione era per proibir loro di immischiarsi in affari di
governo, facendosi con le fave lo scrutinio nelle elezioni.
Varie sono le maniere di fare le fave dolci;
v'indicherò le seguenti: le due prime ricette sono da famiglia, la terza
è più fine.
PRIMA RICETTA
Farina, grammi 200.
Zucchero, grammi 100.
Mandorle dolci, grammi 100.
Burro, grammi 30.
Uova, n. l.
Odore di scorza di limone, oppure di cannella, o
d'acqua di fior d'arancio.
SECONDA RICETTA
Mandorle dolci, grammi 200.
Farina, grammi 100.
Zucchero, grammi 100.
Burro, grammi 30.
Uova, n. l.
Odore, come sopra.
TERZA RICETTA
Mandorle dolci, grammi 200.
Zucchero a velo, grammi 200.
Chiare d'uovo, n. 2.
Odore di scorza di limone o d'altro.
Per le due prime sbucciate le mandorle e
pestatele collo zucchero alla grossezza di mezzo chicco di riso. Mettetele in
mezzo alla farina insieme cogli altri ingredienti e formatene una pasta
alquanto morbida con quel tanto di rosolio o d'acquavite che occorre. Poi
riducetela a piccole pastine, in forma di una grossa fava, che risulteranno in
numero di 60 o 70 per ogni ricetta. Disponetele in una teglia di rame unta
prima col lardo o col burro e spolverizzata di farina; doratele coll'uovo.
Cuocetele al forno o al forno da campagna, osservando che, essendo piccole,
cuociono presto. Per la terza seccate le mandorle al sole o al fuoco e
pestatele fini nel mortaio con le chiare d'uovo versate a poco per volta.
Aggiungete per ultimo lo zucchero e mescolando con una mano impastatele. Dopo
versate la pasta sulla spianatoia sopra a un velo sottilissimo di farina per
poggiarla a guisa di un bastone rotondo, che dividerete in 40 parti o
più per dar loro la forma di fave che cuocerete come le antecedenti.
623. COTOGNATA
Mele cotogne, chilogrammi 3.
Zucchero bianco fine, chilogrammi 2.
Mettete al fuoco le mele coperte d'acqua e quando
cominciano a screpolare, levatele, sbucciatele e grattatele alla meglio per
levarne tutta la polpa che passerete poi dallo staccio. Rimettetela al fuoco
collo zucchero e rimestatela sempre onde non si attacchi. Sette od otto minuti
di bollitura basteranno; ma poi, se presa su col mestolo comincia a cadere a
stracci, levatela. Se la mettete in vasi potrà servirvi come conserva e
fatta in tal modo resterà più bianca di quella che vi
descriverò al n. 741, ma con meno fragranza, perché una parte dell'odore
particolare a questo frutto si sperde nell'acqua.
Per ridurla a cotognata distendetela sopra
un'asse alla grossezza poco più di uno scudo ed asciugatela al sole
coperta di un velo perché le mosche e le vespi ne sono ghiottissime. Quando
è asciutta di sopra tagliatela in forma di tavolette di cioccolata e
passandole sotto un coltello per distaccarla dall'asse, rivoltatela dalla parte
opposta.
Se poi vi piacesse di darle forme bizzarre
procuratevi degli stampini di latta vuoti dalle due parti, riempiteli,
lisciateli e distaccando la marmellata dagli orli con delicatezza, ponetela
ugualmente sull'asse ed asciugatela nella stessa maniera.
Potete anche crostarla, volendo, e allora mettete
a struggere grammi 100 di zucchero bianco con due cucchiaiate d'acqua e quando
avrà bollito tanto da fare il filo (presane una goccia fra due dita)
spalmate ogni pezzo con un pennello. Se lo zucchero vi si rappiglia durante
l'operazione (che è bene fare in una giornata non umida) rimettetelo al
fuoco con un altro gocciolo d'acqua e fatelo bollire di nuovo. Quando lo
zucchero è asciutto da una parte e sugli orli, spalmate la parte
opposta.
624. TORTELLI DI CECI
Eccovi un piatto che si usa fare in quaresima.
Ceci secchi (dico secchi perché in Toscana si
vendono rammolliti nell'acqua del baccalà), grammi 300.
Metteteli in molle la sera nell'acqua fresca e la
mattina unite ai medesimi 7 o 8 marroni secchi e poneteli al fuoco con acqua
ugualmente fresca entro a una pentola di terra con grammi 3 di carbonato di
soda legato in una pezzettina. Questo il popolo lo chiama il segreto e
serve a facilitare la cottura dei ceci. Invece del carbonato di soda si
può usare la rannata. La sera avanti mettete i ceci in un vaso
qualunque, copritene la bocca con un canovaccio ove abbiate messo una palettata
di cenere; fate passare attraverso la medesima dell'acqua bollente fino a che i
ceci restino coperti e la mattina, levati dalla rannata, prima di metterli al
fuoco lavateli bene coll'acqua fresca. Cotti che siano, levateli asciutti e
passateli per istaccio caldi, bollenti, insieme coi marroni; e se, nonostante
il segreto o la rannata, fossero rimasti duri per la qualità
dell'acqua, pestateli nel mortaio. Quando li avrete passati, conditeli ed
aggraziateli con un pizzico di sale, con sapa nella quantità necessaria
a rendere il composto alquanto morbido, mezzo vasetto di mostarda di Savignano,
o di quella descritta al n.
In difetto di cavalli, si cerca di far trottare
gli asini, si va alla busca di compensi; e in questo caso, se vi mancassero la
sapa e la mostarda (la migliore al mio gusto è quella di Savignano in
Romagna), si supplisce alla prima con grammi 80 di zucchero e alla seconda con
grammi 7 di senapa in polvere sciolta nell'acqua calda degli stessi ceci. Ora
passiamo alla pasta per chiuderli, in merito alla quale potete servirvi di
quella de' Cenci n. 595, metà dose di detta ricetta, oppure della
seguente:
Farina, grammi 270.
Burro, grammi 20.
Zucchero, grammi 15.
Uova, n. l.
Vino bianco, o marsala, cucchiaiate n. 3 circa.
Sale, un pizzico.
Tiratene una sfoglia della grossezza di mezzo
scudo all'incirca e tagliatela collo stampo rotondo smerlato del n. 614. Fate
che nei dischi il ripieno abbondi ed avrete, riunendone i lembi, i tortelli in
forma di un quarto di luna. Friggeteli nel lardo o nell'olio e quando non sono
più a bollore spolverizzateli di zucchero a velo.
Colla broda de' ceci potete fare una zuppa o
cuocervi, come si usa in Toscana, le strisce di pasta comperata.
Questi tortelli riescono così buoni che
nessuno saprà indovinare se sono di ceci.
625. FOCACCIA ALLA PORTOGHESE
Questo ve lo do per un dolce assai delicato e
gentile.
Mandorle dolci, grammi 150.
Zucchero, grammi 150.
Farina di patate, grammi 50.
Uova, n. 3.
Aranci. n. 1½
Lavorate dapprima i rossi d'uovo collo zucchero,
aggiungete la farina, poi le mandorle sbucciate e pestate fini con una
cucchiaiata del detto zucchero, e dopo il sugo passato dagli aranci e la buccia
superficiale raschiata di un solo arancio. Per ultimo unite al composto le
chiare montate, versatelo in una scatola di carta unta di burro, alla grossezza
di un dito e mezzo e cuocetelo al forno a moderatissimo calore. Dopo cotta,
copritela di una crosta bianca come al n. 789.
626. AMARETTI I
Zucchero bianco in polvere, grammi 250.
Mandorle dolci, grammi 100.
Mandorle amare, grammi 50.
Chiare d'uovo, n. 2.
Le mandorle spellatele e seccatele al sole o al
fuoco, poi tritatele finissime con la lunetta. Lavorate col mestolo lo zucchero
e le chiare per mezz'ora almeno, e aggiungete le mandorle per formarne una
pasta soda in modo da farne delle pallottole grosse quanto una piccola noce; se
riuscisse troppo morbida aggiungete altro zucchero e se troppo dura un'altra
po' di chiara, questa volta montata. Se vi piacesse dare agli amaretti un
colore tendente al bruno, mescolate nel composto un po' di zucchero bruciato.
Via via che formate le dette pallottole, che
stiaccerete alla grossezza di un centimetro, ponetele sopra le ostie, o sopra
pezzetti di carta, oppure in una teglia unta col burro e spolverizzata di
metà farina e metà zucchero a velo; ma a una discreta distanza
l'una dall'altra perché si allargano molto e gonfiano, restando vuote
all'interno. Cuocetele in forno a moderato calore.
627. AMARETTI II
Eccovi un'altra ricetta di amaretti che giudico
migliori dei precedenti e di più facile esecuzione.
Zucchero bianco a velo, grammi 300.
Mandorle dolci, grammi 180.
Mandorle amare, grammi 20.
Chiare d'uovo, n. 2.
Le mandorle spellatele e seccatele al sole o al
fuoco; poi pestatele fini nel mortaio con una chiara versata in più
volte. Fatto questo mescolateci la metà dello zucchero, mantrugiando il
composto con una mano. Dopo versatelo in un vaso e, mantrugiando sempre perché
s'incorpori, aggiungete una mezza chiara, poi l'altra metà dello
zucchero e appresso l'ultima mezza chiara.
Otterrete, così lavorato, un impasto
omogeneo e di giusta consistenza che potrete foggiare a bastone per tagliarlo a
pezzetti tutti eguali. Prendeteli su a uno a uno con le mani bagnate alquanto
per formarne delle pallottole grosse come le noci. Stiacciatele alla grossezza
di un centimetro e pel resto regolatevi come per i precedenti, ma
spolverizzateli leggermente di zucchero a velo prima di metterli in forno a
calore ardente, e dico forno perché il forno da campagna non sarebbe al caso
per questa pasta. Con questa dose otterrete una trentina di amaretti.
628. PASTICCINI DI MARZAPANE
Fate una pasta frolla colla ricetta C del n. 589.
Fate un marzapane come quello del n. 579 nelle
seguenti proporzioni:
Mandorle dolci con tre amare, sbucciate, grammi
180.
Zucchero, grammi 150.
Burro, grammi 25.
Arancio candito, grammi 25.
Un rosso d'uovo.
Diverse cucchiaiate d'acqua.
Servitevi degli stampini da brioches o
alquanto più piccoli, che sarebbe meglio; ungeteli col burro, foderateli
di pasta frolla sottile quanto uno scudo, riponeteci il marzapane, ripiegategli
sopra i lembi della pasta, bagnate l'orlo coll'acqua, copriteli colla stessa
pasta frolla, dorateli alla superficie, cuoceteli in forno o nel forno da
campagna e dopo spolverizzateli di zucchero a velo.
Con questa dose potrete farne da
629. PASTICCINI DI SEMOLINO
Semolino, grammi 180.
Zucchero, grammi 100.
Pinoli, grammi 50.
Burro, grammi 20.
Latte, decilitri 8.
Uova, n. 4.
Sale, una presa.
Odore di scorza di limone.
Cuocete il semolino nel latte e quando comincia a
stringere versate i pinoli pestati nel mortaio insieme con lo zucchero; poi il
burro e il resto, meno le uova, che serberete per ultimo quando il composto
sarà diaccio. Pel resto regolatevi come i pasticcini di riso del n. 630.
Con questa dose ne farete da
Prima di servirli spolverizzateli di zucchero a
velo.
630. PASTICCINI DI RISO
Riso, grammi 150.
Zucchero, grammi 70.
Burro, grammi 30.
Candito, grammi 30.
Latte, decilitri 8.
Uova, n. 3
Rhum, cucchiaiate n. 2.
Sale, una presa.
Cuocete moltissimo il riso rimuovendolo spesso
col mestolo perché non si attacchi. A due terzi di cottura versate lo zucchero,
il burro, il sale e il candito tagliato a pezzettini. Quando sarà cotto
e diaccio aggiungete il rhum, i rossi d'uovo prima e le chiare montate dopo.
Prendete gli stampini da brioches, ungeteli
bene col burro, spolverizzateli di pangrattato, riempiteli e cuoceteli al forno
da campagna. Sono migliori caldi che diacci.
Con questa dose ne farete 12 o 14.
631. PASTICCINI DI PASTA BEIGNET
Acqua, grammi 150.
Farina, grammi 100,
Burro, grammi 10.
Uova, n. 3 e un rosso.
Sale, quanto basta.
Quando bolle l'acqua versate la farina tutta a un
tratto e, rimestando subito, aggiungete il burro e tenetela sul fuoco per 10
minuti, seguitando sempre a rimestaria. Deve riuscire una pasta dura che
distenderete alla grossezza di un dito e pesterete nel mortaio insieme con un
uovo per rammorbidirla alquanto. Ciò ottenuto, mettetela in una
catinella per lavorarla col mestolo, aggiungendo le altre uova uno per volta,
montando le chiare. Non vi stancate di lavorarla finché non sia ridotta come un
unguento; lasciatela in riposo per qualche ora, e quindi mettetela a
cucchiaiate (le quali riusciranno dieci o dodici) in una teglia, unta col
burro. Frullate un rosso d'uovo con un po' di chiara per renderlo più
sciolto, dorateli e lisciateli con un pennellino (ma questo supplemento non
è necessario), poi metteteli in un forno che sia ben caldo. Quando sono
cotti fate loro col temperino un'incisione da una parte, o in forma di mezzo
cerchio nella parte di sotto, per riempirli di crema o di conserve di frutta,
spolverizzateli di zucchero a velo e serviteli.
Vi avverto che quando lavorate paste che devono
rigonfiare, il mestolo invece di girarlo in tondo è meglio muoverlo dal
sotto in su.
632. BRIGIDINI
È un dolce o meglio un trastullo speciale
alla Toscana ove trovasi a tutte le fiere e feste di campagna e lo si vede
cuocere in pubblico nelle forme da cialde.
Uova, n. 2.
Zucchero, grammi 120.
Anaci, grammi 10.
Sale, una presa.
Farina, quanto basta.
Fatene una pasta piuttosto soda, lavoratela colle
mani sulla spianatoia e formatene delle pallottole grosse quanto una piccola
noce. Ponetele alla stiaccia nel ferro da cialde a una debita distanza l'una
dall'altra e, voltando di qua e di là il ferro sopra il fornello ardente
con fiamma di legna, levatele quando avranno preso colore.
633. DOLCE DI CHIARE D’UOVO
Se avete d'occasione delle chiare d'uovo, che non
sappiate come consumare, potreste fare un dolce nel seguente modo, che riesce
buono.
Chiare d'uovo, n. 8 o 9.
Farina d'Ungheria, grammi 300.
Zucchero a velo, grammi 150.
Burro, grammi 150.
Uva sultanina, grammi 100.
Cremor di tartaro, grammi 10.
Bicarbonato di soda, grammi 5.
Odore di zucchero vanigliato.
Montate le chiare e versate nelle medesime la farina
e lo zucchero; mescolate e poi aggiungete il burro liquefatto. Quando il
composto sarà tutto unito aggiungete le polveri e per ultimo l'uva.
Versate il composto in una teglia unta col burro e spolverizzata di zucchero a
velo e farina, ove il dolce riesca alto almeno due dita, cuocetelo al forno o
al forno da campagna e servitelo diaccio.
634. PASTINE PEL THE
Mistress Wood, un'amabile signora inglese,
avendomi offerto un the con pastine fatte con le sue proprie mani, ebbe la
cortesia, rara nei cuochi pretenzionosi, di darmi la ricetta che vi descrivo,
dopo averla messa alla prova.
Farina d'Ungheria o finissima, grammi 440.
Farina di patate, grammi 160.
Zucchero a velo, grammi 160
Burro, grammi 160.
Due chiare d'uovo.
Latte tiepido, quanto basta.
Formate un monticello sulla spianatoia con le due
farine e lo zucchero mescolati insieme. Fategli una buca in mezzo, collocateci
le chiare e il burro a pezzetti e, colla lama di un coltello prima e con le
mani dopo, servendovi del latte, intridetelo e lavoratelo mezz'ora circa per
ottenere un pastone piuttosto tenero. Tiratelo col matterello in una sfoglia
della grossezza di uno scudo, tagliatela a dischi rotondi, come quello del n.
7, bucherellateli con le punte di una forchetta e cuoceteli al forno o al forno
da campagna in una teglia unta col burro. Con sola mezza dose della ricetta se
ne ottengono assai.
635. LINGUE DI GATTO
Sono pastine pel the, tolte da una ricetta venuta
da Parigi.
Burro, grammi 100.
Zucchero bianco a velo, grammi 100.
Farina d'Ungheria, grammi 100.
Una chiara d'uovo.
Ponete in un vaso il burro così naturale e
cominciate a dimenarlo col mestolo; poi versateci lo zucchero, indi la farina e
per ultimo la chiara d'uovo, lavorando sempre il composto per ridurlo una pasta
omogenea. Ponetela nella siringa con un disco di buco rotondo o quadro della
grandezza di circa un centimetro, e spingetela in una teglia, unta leggermente
col burro, in forma di pezzetti lunghi un dito, tenendoli radi perché,
squagliandosi, allargano. Cuoceteli al forno da campagna a moderato calore. Con
questa dose ne otterrete una cinquantina.
636. PANE DI SABBIA
Anche il pane di sabbia è un dolce
tedesco, così chiamato perché si sfarina in bocca come la sabbia e
però si usa servirlo col the che lo rende più piacevole al gusto.
Non vi spaventate nel sentire che per manipolarlo occorrono due ore di
lavorazione non interrotta in luogo riparato da correnti d'aria, girando il
mestolo sempre per un verso. Le signore, che sono di natura pazienti e quelle
particolarmente che si dilettano d'improvvisare dolci, non si sgomenteranno per
questo, se si procurano l'aiuto di due braccia robuste.
Burro fresco, grammi 185.
Zucchero a velo, grammi 185.
Farina di riso, grammi 125.
Farina d'amido, grammi 125.
Farina di patate, grammi 60.
Uova, n. 4.
L'agro di un quarto di limone.
Cognac, una cucchiaiate.
Bicarbonato di soda, un cucchiaino.
Odore di vainiglia.
La farina d'amido non è altro che l'amido
comune di buona qualità ridotto in polvere fine.
Lavorate prima il burro da solo, poi aggiungete i
rossi ad uno ad uno, girando il mestolo sempre per un verso; indi versate lo
zucchero, poi il cognac e l'agro di limone; dopo le farine e, per ultimo, il
bicarbonato di soda e le chiare montate; ma di quest'ultime versatene prima due
cucchiaiate per rammorbidire il composto, e mescolate adagio il restante.
Versate il composto in una teglia proporzionata, unta col burro e spolverizzata
di zucchero a velo e farina, e cuocetelo in forno o nel forno da campagna, a
moderato calore. Un'ora di cottura potrà bastare.
TORTE E DOLCI
AL CUCCHIAIO
Non per farmene bello, ma per divertire il
lettore ed appagare il desiderio di un incognito, che si firma un ammiratore,
pubblico la seguente lettera giuntami il 14 luglio 1906, da Portoferraio,
mentre stavo correggendo in questo punto le bozze di stampa della decima
edizione.
Stimat.mo Sig. Artusi,
Un poeta mi regala un esemplare del suo bel libro
La scienza in cucina, aggiungendovi alcuni versi, che le trascrivo,
perché possano servirle in caso di una nuova ristampa, che le auguro prossima.
Ecco i versi:
Della salute è questo
il breviario,
L'apoteosi è qui della
papilla:
L'uom mercè sua
può viver centenario
Centellando la vita a stilla a
stilla.
Il solo gaudio uman (gli altri
son giuochi)
Dio lo commise alla
virtù de' cuochi;
Onde sé stesso ogni infelice
accusi
Che non ha in casa il libro
dell'Artusi;
E dieci volte un asino si
chiami
Se a mente non ne sa tutti i
dettami.
637. TORTA DI NOCI
Noci sgusciate, grammi 140.
Zucchero in polvere, grammi 140.
Cioccolata in polvere o grattata, grammi 140.
Cedro candito, grammi 20.
Uova, n. 4.
Odore di zucchero vanigliato.
Pestate fini in un mortaio le noci insieme collo
zucchero, poi versatele in un vaso per aggiungervi la cioccolata, l'odore della
vainiglia, le uova, ponendo prima i rossi e poi le chiare montate, e per ultimo
il candito tritato minutissimo.
Prendete una teglia ove il dolce non riesca
più alto di due dita, imburratela e cospargetela di pangrattato per
cuocerla al forno o al forno da campagna a moderato calore. Dai miei commensali
questo è stato giudicato un dolce squisito.
638. TORTA DI RISO
Latte, un litro.
Riso, grammi 200.
Zucchero, grammi 150.
Mandorle dolci con 4 amare, grammi 100.
Cedro candito, grammi 30.
Uova intere, n. 3.
Rossi d'uovo, n. 5.
Odore di scorza di limone.
Una presa di sale.
Le mandorle sbucciatele e pestatele nel mortaio
con due cucchiaiate del detto zucchero.
Il candito tagliatelo a piccolissimi dadi.
Cuocete il riso ben sodo nel latte, versateci
dopo il condimento e, quando sarà diaccio, le uova. Mettete il composto
in una teglia unta col burro e spolverizzata di pangrattato, assodatelo al
forno o tra due fuochi, il giorno appresso tagliate la torta a mandorle e solo
quando la mandate in tavola spolverizzatela di zucchero a velo.
639. TORTA DI RICOTTA
Questa torta riesce di gusto consimile al Budino
di ricotta n. 663, ma più delicata ed è il dolce che si
imbandisce di preferenza alle nozze dei contadini in Romagna e che, per merito,
può dar molti punti a tanti dolci raffazzonati dai pasticcieri.
Ricotta, grammi 500.
Zucchero, grammi 150.
Mandorle dolci, grammi 150.
Dette amare, n. 4 o 5.
Uova intere, n. 4; rossi, n. 4.
Odore di vainiglia.
Si prepara come il detto Budino n. 663; ma le
mandorle, dopo pestate con una chiara d'uovo, è bene passarle per istaccio.
Ungete abbondantemente una teglia col lardo e rivestitela di una sfoglia di
pasta matta, n. 153, e sopra alla medesima versate il composto alla grossezza
di un dito e mezzo all'incirca, cuocendolo fra due fuochi o nel forno.
Raccomando il calore moderatissimo e la precauzione di un foglio sopra unto col
burro, perché la bellezza di questa torta è che sia cotta in bianco.
Quando sarà ben diaccia tagliatela a mandorle in modo che ogni pezzo
abbia la sua pasta matta sotto, la quale si mangia o no secondo il piacer
d'ognuno, essendosi essa usata al solo scopo di ornamento e di pulizia.
Potrà bastare per dodici o più
persone.
640. TORTA DI ZUCCA GIALLA
Questa torta si fa d'autunno o d'inverno, quando
la zucca gialla si trova in vendita dagli ortolani.
Zucca, chilogrammi l.
Mandorle dolci, grammi 100'.
Zucchero, grammi 100.
Burro, grammi 30.
Pangrattato, grammi 30.
Latte, mezzo litro.
Uova, n. 3.
Una presa di sale.
Odore di cannella in polvere.
Sbucciate la zucca, pulitela dai filamenti
superficiali e grattatela sopra un canovaccio. Prendete le quattro punte di
questo per raccoglierla insieme e strizzatela in modo da toglierle buona parte
dell'acquosità che contiene. Il chilogrammo si ridurrà a circa
641. TORTA DI PATATE
Trattandosi di patate, non ridete del nome ampolloso
perché come vedrete alla prova, non è demeritato. Se i vostri commensali
non distinguono al gusto l'origine plebea di questa torta, occultatela loro,
perché la deprezzerebbero.
Molta gente mangia più con la fantasia che
col palato e però guardatevi sempre dal nominare, almeno finché non
siano già mangiati e digeriti, que' cibi che sono in generale tenuti a
vile per la sola ragione che costano poco o racchiudono in sé un'idea che
può destar ripugnanza; ma che poi, ben cucinati o in qualche maniera
manipolati, riescono buoni e gustosi. A questo proposito vi racconterò
che trovandomi una volta ad un pranzo di gente famigliare ed amica, il nostro
ospite, per farsi bello, all'arrosto, scherzando, uscì in questo detto:
“Non potrete lagnarvi che io non vi abbia ben trattati quest'oggi; perfino tre
qualità di arrosto: vitella di latte, pollo e coniglio”. Alla parola coniglio
diversi dei commensali rizzarono il naso, altri rimasero come interdetti,
ed uno di essi, intimo della famiglia, volgendo lo sguardo con orrore sul
proprio piatto, rispose: “Guarda quel che ti è venuto in capo di darci a
mangiare! almeno non lo avessi detto! mi hai fatto andar via l'appetito”.
A un'altra tavola essendo caduto per caso il
discorso sulla porchetta (un maiale di
Eccovi la ricetta:
Patate grosse e farinacee, grammi 700.
Zucchero, grammi 150.
Mandorle dolci con tre amare, grammi 70.
Uova, n. 5.
Burro, grammi 30.
Una presa di sale.
Odore di scorza di limone.
Lessate le patate (meglio cotte a vapore),
sbucciatele e passatele dallo staccio quando sono ancora ben calde. Sbucciate e
pestate finissime, insieme collo zucchero, le mandorle, versatele nelle patate
cogli altri ingredienti, lavorando il tutto con un mestolo per un ora intera e
aggiungendo le uova una alla volta e il burro sciolto.
Versate il composto in una teglia unta di lardo o
burro ed aspersa di pangrattato, cuocetela in forno e servitela diaccia.
642. TORTA MILANESE
Per la stranezza della sua composizione sono
stato a lungo incerto se dovevo farvi conoscere questa torta, la quale non ha
bastanti meriti per figurare in una tavola signorile e per piatto di famiglia
è alquanto costoso. Non è per altro da disprezzarsi, e siccome
potrebbe anche piacere, come so che piace a una famiglia di mia conoscenza, che
la fa spesse volte, ve la descrivo.
Carne tutta magra lessa o arrosto, di manzo o di
vitella, netta da pelletiche o tenerume, grammi 200.
Cioccolata, grammi 100.
Zucchero, grammi 100.
Burro, grammi 50.
Pinoli, grammi 50.
Uva sultanina, grammi 50.
Cedro candito a pezzettini, grammi 25.
La carne tritatela finissima con la lunetta.
I pinoli tostateli.
L'uva tenetela alquanto in molle nella marsala e
levatela asciutta prima di usarla.
Mettete la carne a soffriggere nel detto burro,
rimestandola continuamente onde non si attacchi, e quando avrà preso un
colore alquanto rossiccio levatela dal fuoco per lasciarla diacciare.
Sciogliete al fuoco la detta cioccolata, grattata
o a pezzetti, in tre cucchiaiate d'acqua, e sciolta che sia uniteci lo zucchero
e poi versatela nella carne, aggiungendovi i pinoli, l'uva e il candito e
mescolando il tutto.
Ora formate una pasta frolla per rinchiudervi la
torta come appresso:
Farina di grano, grammi 170.
Farina di granturco, grammi 80.
Zucchero a velo, grammi 80.
Burro, grammi 70.
Lardo vergine, grammi 25.
Un uovo.
Vino bianco o marsala, quanto basta per poterla
intridere.
Prendete una teglia proporzionata ove il composto
non riesca più alto di un dito, ungetela col burro o col lardo, e con
una sfoglia sotto ed un'altra sopra, quest'ultima tirata col matterello rigato,
chiudetelo in mezzo.
Dorate la superficie col rosso d'uovo, cuocetela
al forno o al forno da campagna e servitela diaccia.
643. TORTA DI SEMOLINO
Latte, un litro.
Semolino di grana fine, grammi 130.
Zucchero, grammi 130.
Mandorle dolci con tre amare, grammi 100.
Burro, grammi 20.
Uova, n. 4.
Raschiatura di un limone.
Una presa di sale.
Sbucciate le mandorle nell'acqua calda e
pestatele finissime in un mortaio con tutto lo zucchero, che metterete a una
cucchiaiata per volta.
Cuocete il semolino nel latte e prima di
ritirarlo dal fuoco aggiungete il burro e le mandorle, le quali, per essere
mescolate allo zucchero, si sciolgono facilmente. Poi salatelo ed aspettate che
sia tiepido per unirvi le uova frullate a parte. Versate il composto in una
teglia unta di burro, aspersa di pangrattato e di grandezza tale che la torta
risulti alta un dito e mezzo o al più due. Mettetela in forno o nel
forno da campagna, sformatela diaccia e servitela tutta intera o tagliata a
mandorle.
644. TORTA DI PANE BRUNO ALLA TEDESCA
Una torta che merita e vi consiglio a provarla.
Mandorle dolci, grammi 125.
Zucchero, grammi 125.
Cognac, cucchiaiate n. 4.
Corteccia di pane di segala grattato, cucchiaiate
colme n. 3.
Uova, n. 5.
Prima lavorate lo zucchero con due delle dette
uova intere, poi aggiungete le mandorle sbucciate e pestate fini con una
cucchiaiata del detto zucchero; tornate a lavorare il composto, indi versate il
pangrattato e tre rossi, in ultimo il cognac. Montate le tre chiare rimaste ed
unitele. Preparate una teglia proporzionata, ungetela col burro e aspergetela
di zucchero a velo e farina. Dopo averla cotta al forno o al forno da campagna
copritela con una crosta tenera come quella del n. 645, oppure con un intonaco
di cioccolata in questa maniera:
Mettete al fuoco grammi 30 di burro e grammi 100
di cioccolata a pezzetti e quando sarà bene sciolta aggiungete grammi 30
di zucchero a velo e distendete il composto sul dolce quando non sarà
più a bollore.
Se non temessi di seccare il lettore, qui
verrebbe opportuna un'altra digressione sulla cucina tedesca.
Mi resterà memorabile finché vivo il
trattamento della tavola rotonda di un grande albergo ai bagni di Levico.
Cominciando dal fritto o dal lesso fino all'arrosto inclusivo tutti i piatti
nuotavano in un abbondante sugo sempre eguale, dello stesso gusto e sapore, con
qual delizia dello stomaco potete immaginarlo e, come se ciò fosse poco
al suo tormento, quei piatti spesso spesso venivano in tavola accompagnati da
un timballo di capellini, - di capellini, capite! - che in questo modo devono
sottostare a doppia e lunga cottura: un vero impiastro.
Quanta differenza dal gusto nostro! Ai capellini
in brodo il mio cuoco ha l'ordine di far alzare appena il bollore, ed io li
prevengo aspettandoli in tavola.
La cucina italiana, che può rivaleggiare
con la francese, e in qualche punto la supera, per la grande affluenza
oggigiorno di forestieri in Italia che, si vuole, vi lascino da trecento
milioni all'anno e, secondo calcoli approssimativi, con un crescendo
eccezionale di altri duecento milioni in oro nell'anno santo 1900, va a
perdere, a poco a poco, in questo miscuglio turbinoso di popoli viaggianti, il
suo carattere particolare e questa modificazione nel vitto già è
cominciata a manifestarsi più specialmente nelle grandi città e
nei luoghi più battuti dai forestieri. Ebbi a persuadermene di recente a
Pompei, ove, entrato con un mio compagno di viaggio in un ristoratore in cui ci
aveva preceduto una comitiva di tedeschi, uomini e donne, ci fu servito il
medesimo trattamento di loro. Venuto poi il padrone a chiederci gentilmente se
noi eravamo rimasti contenti, io mi permisi di fargli qualche osservazione,
sullo sbrodolo nauseoso dei condimenti ed ei mi rispose: “Bisogna bene che la
nostra cucina appaghi il gusto di questi signori forestieri, essendo quelli che
ci danno il guadagno”. Forse per la stessa ragione, sento dire che la cucina
bolognese ha subíto delle variazioni e non è più quella famosa di
una volta.
645. TORTA TEDESCA
Eccovi un'altra torta della stessa nazione e
buona anche questa, anzi eccellente.
Raccontavano i nostri nonni che quando, sullo
scorcio del XVIII secolo, i Tedeschi invasero l'Italia, avevano nei loro
costumi qualche cosa del bruto; e facevano inorridire a vederli preparare, ad
esempio, un brodo colle candele di sego che tuffavano in una pentola d'acqua a
bollore, strizzandone i lucignoli; ma quando nel 1849 sfortunatamente ci
ricascarono addosso, furono trovati assai rinciviliti e il sego non era
visibile che ne' grandi baffi delle milizie croate col quale li inzafardavano,
facendoli spuntare di qua e di là dalle gote, lunghi un dito e ritti
interiti. Però, a quanto dicono i viaggiatori, una predilezione al sego
predomina ancora nella loro cucina, la quale dagl'Italiani è trovata di
pessimo gusto e nauseabonda per untumi di grasso d'ogni specie e per certe
minestre sbrodolone che non sanno di nulla. Al contrario tutti convengono che i
dolci in Germania si sanno fare squisiti e voi stessi potrete, così alto
alto, giudicare del vero, da questo che vi descrivo e dagli altri del presente
trattato che portano il battesimo di quella nazione.
Zucchero, grammi 250.
Farina, grammi 125.
Mandorle dolci, grammi 125.
Burro, grammi 100.
Cremor di tartaro, grammi 15.
Bicarbonato di soda, grammi 5.
Rossi d'uovo, n. 8.
Chiare, n. 5.
Odore di vainiglia.
Le mandorle sbucciatele, asciugatele bene al sole
o al fuoco e pestatele finissime in un mortaio con una delle dette chiare.
Lavorate prima il burro da solo con un mestolo, rammorbidendolo un poco
d'inverno a bagnomaria, aggiungete i rossi ad uno ad uno, indi lo zucchero e
lavorate queste cose insieme almeno mezz'ora. Unite al composto le mandorle e
rimestate ancora, poi le quattro chiare montate e la farina fatta cadere da un
vagliettino, mescolando adagio. Per ultimo versate le polveri che servono per
rendere il dolce più soffice e più leggiero e cuocetelo al forno
in una teglia, non troppo piena, unta col burro diaccio e spolverizzata di
zucchero a velo e di farina.
Per isciogliere bene le mandorle nel composto non
vi è altro mezzo che versare una porzione di questo sopra le medesime,
macinandole col pestello.
Ora che è fatta la cappa bisogna pensare
al cappuccio, che è una crosta tenera che le si distende al disopra.
Occorre per la medesima:
Burro, grammi 100.
Zucchero a velo, grammi 100.
Caffè in polvere, grammi 30.
Fate bollire la detta polvere in pochissima acqua
per ottenere due o tre cucchiaiate soltanto di caffè chiaro, ma potentissimo.
Lavorate il burro per circa mezz'ora, rammorbidito d'inverno a bagno-maria,
girando il mestolo sempre per un verso; aggiungete lo zucchero e lavoratelo
ancora molto, per ultimo il caffè a mezzi cucchiaini per volta
arrestandovi quando sentite che il gusto del caffè è ben
pronunziato. Versate il composto sopra la torta quando sarà diaccia e
distendetelo pari pari con un coltello da tavola; ma per averlo bene eguale ed
unito passategli sopra a poca distanza una paletta infocata.
A vostra norma, questa crosta di gusto
delicatissimo, deve avere il colore del caffè latte. Al caffè,
volendo, si può sostituire la cioccolata infusa, come quella descritta
nella torta precedente, di pane bruno alla tedesca.
646. TORTA DI MANDORLE E CIOCCOLATA
Per chi ama la cioccolata, questa, se non
m'inganno, è una torta squisita.
Mandorle, grammi 150.
Zucchero, grammi 150.
Cioccolata, grammi 100.
Farina di patate, grammi 60.
Burro, grammi 50.
Latte, decilitri 3.
Uova, n. 4.
Odore di vainiglia.
Le mandorle sbucciatele, asciugatele bene al sole
o al fuoco e pestatele finissime nel mortaio insieme con un terzo del detto
zucchero. Fate un intriso al fuoco col detto burro, la farina di patate e il
latte versato a poco per volta. Quando sarà giunto a consistenza versate
la cioccolata grattata, lo zucchero rimasto e, dopo essersi sciolti bene l'uno
e l'altra, aggiungete le mandorle pestate, rimestando continuamente. Quando il
composto sarà bene amalgamato dategli l'odore collo zucchero vanigliato
e lasciatelo diacciare per unirvi le uova frullate a parte.
Con grammi 100 di farina fate la pasta matta del
n. 153 e con la medesima, regolandovi come nella Torta di ricotta n. 639,
versatela in una teglia ove riesca della grossezza di oltre un dito, per
cuocerla nel forno da campagna. Va tagliata a mandorle come quella, quando
sarà ben diaccia.
647. PASTICCINI DI PASTA BEIGNET COPERTI DI
CIOCCOLATA
Servitevi della ricetta n. 631, ma teneteli
più piccoli onde ottenerne da
Frullate nella cioccolatiera sul fuoco questo
composto:
Cioccolata, grammi 120.
Zucchero in polvere, grammi 50.
Acqua, decilitri l.
Quando sarà ben frullato, come la
cioccolata che si serve in tazza, versatelo così a bollore sui
pasticcini a suolo per suolo che disporrete in bella mostra sopra un vassoio
ove facciano la colma.
È un piatto che è bene farlo il
giorno stesso che deve esser servito, perché altrimenti indurisce.
Questa dose potrà bastare per sei persone.
648. DOLCE ROMA
Un signore, che non ho il bene di conoscere, ebbe
la gentilezza di mandarmi da Roma questa ricetta, della quale gli sono grato
sì perché trattasi di un dolce di aspetto e di gusto signorile e
sì perché era descritto in maniera da farmi poco impazzire alla prova.
C'era però una lacuna da riempire, e cioè di dargli un nome, ché
non ne aveva; ed io, vista la nobile sua provenienza, ho creduto mio dovere
metterlo in compagnia del Dolce Torino e del Dolce Firenze, dandogli il nome
della città che un giorno riempirà di fama il mondo come in
antico. Scegliete mele di qualità fine, non troppo mature e di media
grossezza. Pesatene
Latte, decilitri n. 4.
Rossi d'uovo, n. 3.
Zucchero, grammi 70.
Farina, grammi 20.
Odore di zucchero vanigliato.
Ora montate con la frusta le tre chiare rimaste, quando
saranno ben sode uniteci grammi 20 di zucchero a velo e con queste coprite la
crema; indi ponete il dolce nel forno da campagna, o soltanto sul fornello del
focolare col solo coperchio del medesimo, con fuoco sopra e poco sotto per
rosolare la superficie, e prima di mandarlo in tavola spalmatelo mediante un
pennello col sciroppo ristretto rimasto dalla cottura delle mele.
Potrà bastare per sette od otto persone.
649. DOLCE TORINO
Formate questo dolce sopra un vassoio o sopra un
piatto e dategli la forma quadra.
Savoiardi, grammi 100.
Cioccolata, grammi 100.
Burro fresco, grammi 100.
Zucchero a velo, grammi 70.
Un rosso d'uovo.
Latte, cucchiaiate n. 2.
Odore di zucchero vanigliato.
Tagliate i savoiardi in due parti per il lungo e
bagnateli col rosolio, oppure, il che sarebbe meglio, metà col rosolio e
metà con l'alkermes, per poterli alternare onde facciano più
bella mostra. Lavorate dapprima il burro con lo zucchero e il rosso d'uovo;
ponete al fuoco la cioccolata, grattata o a pezzetti, col latte, e quando
sarà bene sciolta versatela calda nel burro lavorato, uniteci l'odore e
formate così una poltiglia mescolando bene.
Disponete sul vassoio un primo strato dei detti
savoiardi e spalmateli leggermente con la detta poltiglia; indi sovrapponete un
altro strato di savoiardi, poi un terzo strato ancora, spalmandoli sempre
leggermente. Il resto della poltiglia versatelo tutto sopra ed ai lati
pareggiandolo meglio che potete. Il giorno dopo, prima di servirlo, lisciatelo
tutto alla superficie con la lama di un coltello scaldata al fuoco, e in pari
tempo, piacendovi, ornatelo con una fioritura di pistacchi oppure di nocciuole
leggermente tostate, gli uni e le altre tritate finissime. Grammi 40 di
nocciuole pesate col guscio o grammi 15 di pistacchi potranno bastare.
Già saprete che questi semi vanno sbucciati coll'acqua calda.
È una dose per sei o sette persone.
650. DOLCE FIRENZE
Avendolo trovato nell'antica e bella città
dei fiori senza che alcuno siasi curato di dargli un nome, azzarderò
chiamarlo dolce Firenze; e se, per la sua modesta natura, esso non farà
troppo onore alla illustre città, può scusarsi col dire:
Accoglietemi come piatto da famiglia e perché posso indolcirvi la bocca con
poca spesa.
Zucchero, grammi 100.
Pane sopraffino, grammi 60.
Uva sultanina, grammi 40.
Uova, n. 3.
Burro, quanto basta.
Latte, mezzo litro.
Odore di scorza di limone.
Il pane tagliatelo a fette sottili, arrostitele
leggermente, imburratele calde da ambedue le parti e collocatele in un vaso
concavo e decente da potersi portare in tavola. Sopra le fette del pane
spargete l'uva e la buccia grattata del limone. Frullate bene le uova in un
pentolo con lo zucchero, poi uniteci il latte e questo miscuglio versatelo nel
vaso sopra gl'ingredienti postivi, senza toccarli. Per cuocerlo posate il vaso
sopra un fornello del focolare con poco fuoco, copritelo col coperchio del
forno da campagna col fuoco sopra, e servitelo caldo.
Potrà bastare per cinque persone.
651. SFORMATO COGLI AMARETTI COPERTO DI ZABAIONE
Amaretti, grammi 100.
Zucchero, grammi 100.
Farina di patate, grammi 80.
Latte, mezzo litro.
Uova, n. 3.
Ponete lo zucchero e la farina di patate in una
cazzaruola e versateci il latte diaccio a poco per volta, mescolando.
Pestate gli amaretti nel mortaio per ridurli in
polvere, e se per la loro qualità ciò non avviene, bagnateli con
un gocciolo di latte, passateli dallo staccio e indi uniteli al composto che
metterete al fuoco per assodarlo. Tolto dal fuoco, quando sarà tiepido
versateci le uova, prima i rossi, poi le chiare montate. Ungete col burro
diaccio uno stampo col buco in mezzo e versateci il composto per cuocerlo nel
forno da campagna; cotto che sia riempitelo e copritelo con lo zabaione del n.
684 e mandatelo in tavola.
652. SFORMATO DI FARINA DOLCE
Un signore di Barga di onorevole casato, che non
ho il piacere di conoscere personalmente, invaghito (com'egli dice), per
bontà sua, di questo mio libro, ha voluto gratificarsi meco, mandandomi
la presente ricetta che credo meritevole di essere pubblicata ed anche lodata.
Farina dolce, ossia di castagne, grammi 200.
Cioccolata, grammi 50.
Zucchero, grammi 30.
Burro, grammi 25.
Cedro candito, grammi 20.
Mandorle dolci, n. 12 e qualche pistacchio
Latte, mezzo litro.
Uova, n. 3.
Panna montata coll'odore di vainiglia, grammi
150.
Prima sbucciate le mandorle e i pistacchi; questi
tagliateli a metà, quelle a filetti o a pezzetti e tostatele. Anche il
candito foggiatelo a pezzettini.
Sciogliete al fuoco la cioccolata in un decilitro
del detto latte, poi uniteci lo zucchero e il burro e lasciatela da parte.
Ponete la farina in un tegame e versateci il
resto del latte a poco per volta, mescolando bene onde non si formino bozzoli;
poi unitela alla cioccolata e mettete il composto al fuoco per cuocerlo.
Cotto che sia lasciatelo freddare per aggiungere
le uova, prima i rossi, poi le chiare montate, e per ultimo le mandorle, i
pistacchi e il candito.
Ora prendete uno stampo col buco in mezzo,
ungetelo col burro diaccio e versateci il composto per assodarlo a bagno-maria.
Prima di sformarlo contornatelo tutto di ghiaccio trito frammisto a sale per
gelarlo, e mandatelo in tavola col ripieno della panna surricordata.
Potrà bastare per sette od otto persone.
653. DOLCE DI MARRONI CON PANNA MONTATA
Marroni sani e grossi una trentina circa, grammi
500.
Zucchero a velo, grammi 130.
Cioccolata, grammi 60.
Rosolio di cedro, cucchiaiate n. 3.
Cuocete i marroni nell'acqua come fareste per le
ballotte, sbucciateli e passateli caldi. La cioccolata riducetela in polvere e
poi con tutti gl'ingredienti formate un impasto. Prendete un piatto grande,
tondo e decente, collocateci in mezzo un piattino da caffè rovesciato e
con lo staccio di crine sopra passate tutto il composto girando via via il
piatto onde venga distribuito egualmente. Compita l'operazione, levate in bel,
modo, nettandolo, il piattino da caffè ed il vuoto che resta in mezzo
riempitelo con grammi 300 di panna montata.
È tanto da poter bastare ad otto persone.
654. BISCOTTINI PUERPERALI
Il sesso che, a buon diritto, porta il titolo di
gentile, non tanto per la gentilezza delle maniere quanto per quel delicato
senso morale che lo rende naturalmente proclive a tutto ciò che
può recare un vantaggio, un conforto all'umanità, ha molto
contribuito a che l'elenco delle mie ricette riuscisse più copioso e
svariato.
Una signora di Conegliano mi scrive, quasi meravigliandosi,
che non ha trovato nel mio libro la pinza dell'Epifania e (non ridete) i
biscottini puerperali; due cose, secondo lei, di non poca importanza.
Racconta la detta signora che la sera della vigilia di quella festa, in tutte
le colline e la pianura della bella Conegliano, i componenti di ogni famiglia
di contadini, dopo aver fatto fuochi e grandi baldorie nell'aia del podere e
recitate orazioni per invocare dal Cielo ubertoso il futuro raccolto, si
ritirano in casa, tutti felici e contenti, ove li aspetta la pinza sotto il
camin annaffiata con del buon vin.
Mentre quei buoni contadini mangiano la pinza, -
che per essere, più che ad altri, dicevole a quelle genti e a quel
clima, io non descrivo, - secondo i dettami della signora rivolgerò le
mie cure ai biscottini puerperali, perché essa li giudica nutrienti e
delicati, opportuni a riparare la spossatezza di chi ha dato alla luce un
figliuolo.
Rossi d'uovo, n. 8.
Zucchero a velo, grammi 150.
Cacao in polvere, grammi 40.
Burro, grammi 40.
Odore di vainiglia mediante zucchero vanigliato.
Ponete questi ingredienti in un vaso e, con un
mestolo, lavorateli per oltre un quarto d'ora; poi versate il composto in
quattro scatole di carta, lunghe otto e larghe sei centimetri circa. Collocate
le medesime in una teglia di rame coperta, posatela sopra un fornello con
pochissimo fuoco sotto e sopra onde il composto assodi alquanto senza fare la
crosticina perché si deve prender su a cucchiaini: quindi è affatto
improprio il nome di biscottini.
655. RIBES ALL’INGLESE
Ribes, grammi 300.
Zucchero, grammi 120,
Acqua, decilitri 2.
Nettate il ribes dai gambi, mettetelo al fuoco
colla detta acqua e quando avrà alzato il bollore versate lo zucchero.
Due minuti di bollitura bastano, dovendo il ribes restare intero. Versatelo in
una compostiera e servitelo diaccio come frutta cotta. I semi, se non si
vogliono inghiottire, si succhiano e si sputano. Nella stessa guisa si possono
condizionare le ciliege marasche senza levare il nocciolo e facendole bollire
con un pezzetto di cannella.
656. PRUGNE GIULEBBATE
Prendete prugne secche di Bosnia che sono grosse,
lunghe e polpute a differenza delle prugne di Marsiglia piccole, tonde, magre,
coperte da quel velo bianco che a Firenze chiamasi fiore, le quali non
farebbero al caso. Per una quantità di grammi 500, dopo averle lavate e
tenute in molle per due ore nell'acqua fresca, levatele asciutte e mettetele al
fuoco con:
Vino rosso buono, decilitri 4.
Acqua, decilitri 2.
Marsala, un bicchierino.
Zucchero bianco, grammi 100.
Un pezzetto di cannella.
Fatele bollire adagio per mezz'ora a cazzaruola
coperta, che può bastare, ma prima di toglierle dal fuoco accertatevi
che siansi rammorbidite abbastanza, perché il più o il meno di cottura
può dipendere dalla qualità della frutta.
Levatele asciutte collocandole nel vaso dove
volete servirle, e lo sciroppo che resta fatelo restringere al fuoco per otto o
dieci minuti a cazzaruola scoperta e poi versatelo anch'esso nel vaso sopra le
prugne. All'odore della cannella, che mi sembra quello che più si
addice, potete sostituire la vainiglia o la scorza di cedro o di arancio.
È un
dolce che si conserva a lungo e di gusto delicato, aggradito specialmente dalle
signore. Non vorrei passare per il sior Todero Brontolon se anche qui tocco il
tasto dell'industria nazionale nel vedere che si potrebbe coltivare in Italia
la specie di susina che si presta meglio ad essere seccata e messa in commercio
a quest'uso.
657. BUDINO DI SEMOLINO
Dosi precise:
Latte, decilitri 8.
Semolino, grammi 150.
Zucchero, grammi 100.
Uva passolina, grammi 100.
Burro, grammi 20.
Uova, n. 4.
Rhum, 3 cucchiaiate.
Sale, una presa.
Odore di scorza di limone.
Alcuni aggiungono pezzetti di candito, ma il
troppo condimento talvolta guasta. Dopo averlo preparato e tolto dal fuoco
cuocetelo in uno stampo liscio o lavorato, unto prima col burro e spolverizzato
di pangrattato. Mancando il forno comune o da campagna, i budini possono
cuocersi bene anche in un fornello del focolare. Questo budino servitelo caldo.
658. BUDINO DI SEMOLINO E CONSERVE
Latte, mezzo litro.
Semolino, grammi 130.
Zucchero, grammi 70.
Burro, grammi 15.
Uova, n. 2.
Una presa di sale.
Odore di scorza di limone.
Diverse conserve di frutta.
Cuocete il semolino nel latte; aggiungete lo
zucchero e il burro quando è bollente; l'odore e il sale quando lo
ritirate dal fuoco; scocciate le uova quando è ancora caldo e mescolate
ben bene. Preparate uno stampo da budino, liscio o lavorato, unto col burro e
cosparso di pangrattato, e versateci a poco per volta il composto diaccio,
rifiorendolo via via di conserve a pezzetti o a cucchiaini secondo che esse
sieno liquide o sode; però avvertite che non vadano a toccare le pareti
dello stampo, perché vi si attaccherebbero, e che non sieno troppo in
abbondanza, ché stuccherebbero. Servitelo caldo dopo averlo cotto nel fornello.
Le conserve che, a mio gusto, più si
prestano per questo dolce sono quelle di lampone e di cotogne; ma possono
andare anche quelle di albicocche, di ribes e di pesche.
Per otto o dieci persone raddoppiate la dose.
659. BUDINO DI FARINA DI RISO
Questo dolce nella sua semplicità
è, a mio parere, di un sapore assai delicato e, benché cognito forse ad
ognuno, non dispiacerà di sentirne stabilite le dosi nelle seguenti
proporzioni, che io credo non abbisognino di essere né aumentate né diminuite.
Latte, litri 1.
Farina di riso, grammi 200.
Zucchero, grammi 120.
Burro, grammi 20.
Uova, n. 6.
Una presa di sale.
Odore di vainiglia.
Sciogliete prima la farina con la quarta parte
del latte diaccio, aggiungetene un poco del caldo quando è a bollore e
versatela nel resto del latte quando bolle; così impedirete che si
formino bozzoli. Quando è cotta aggiungete lo zucchero, il burro e il
sale; ritiratela dal fuoco e aspettate che sia tiepida per mescolarvi entro le
uova e l'odore. Cuocete questo budino come l'antecedente.
La composizione di questo dolce, il quale
probabilmente non è di data molto antica, mi fa riflettere che le pietanze
pur anche vanno soggette alla moda e come il gusto de' sensi varia seguendo il
progresso e la civiltà. Ora si apprezza una cucina leggiera, delicata e
di bell'apparenza e verrà forse un giorno che parecchi di questi piatti
da me indicati per buoni, saranno sostituiti da altri assai migliori. I vini
sdolcinati di una volta hanno lasciato libero il passo a quelli generosi ed
asciutti, e l'oca cotta in forno col ripieno d'aglio e di mele cotogne,
giudicato piatto squisito nel
Le paste dolci si mantennero in Firenze di una
semplicità e rozzezza primitiva fin verso la fine del secolo XVI, nel
qual tempo arrivò una compagnia di Lombardi, che si diede a fare
pasticci, offelle, sfogliate ed altre paste composte d'uova, burro, latte,
zucchero o miele; ma prima d'allora nelle memorie antiche sembra che sieno
ricordati soltanto i pasticci ripieni di carne d'asino che il Malatesta
regalò agli amici nel tempo dell'assedio di Firenze quando la carestia,
specialmente di companatico, era grande.
Ora, tornando al bucchero, vi fu un tempo che,
come ora la Francia, era la Spagna che dava il tòno alle mode, e
però ad imitazione del gusto suo, al declinare del secolo XVII e al
principio del XVIII, vennero in gran voga i profumi e le essenze odorose. Fra
gli odori, il bucchero infanatichiva e tanto se ne estese l'uso che perfino gli
speziali e i credenzieri, come si farebbe oggi della vainiglia, lo cacciavano
nelle pasticche e nelle vivande. Donde si estraeva questo famoso odore e di che
sapeva? Stupite in udirlo e giudicate della stravaganza dei gusti e degli
uomini! Era polvere di cocci rotti e il suo profumo rassomigliava a quello che
la pioggia d'estate fa esalare dal terreno riarso dal sole; odor di terra,
infine, che tramandavano certi vasi detti buccheri, sottili e fragili, senza
vernice, dai quali forse ha preso nome il color rosso cupo; ma i più
apprezzati erano di un nero lucente. Codesti vasi furono portati in Europa
dall'America meridionale la prima volta dai Portoghesi e servivano per bervi
entro e per farvi bollir profumi e acque odorose, poi se ne utilizzavano i
frantumi nel modo descritto.
Nell'Odíssea d'Omero, traduzione
d'Ippolito Pindemonte, Antinoo dice:
...
Nobili Proci,
Sentite un
pensier mio. Di que'ventrigli
Di capre, che
di sangue e grasso empiuti
Sul fuoco
stan per la futura cena,
Scelga qual
più vorrà chi vince, e quindi
D'ogni nostro
convito a parte sia.
Nel Tom. 6° dell'Osservatore Fiorentino si
trova la descrizione di una cena, la quale, per la sua singolarità,
merita di riferirne alcuni passi:
“Tra i piatti
di maggior solennità si contava ancora il pavone, cotto a lesso con le
penne, e la gelatina, formata e colorita a figure. Un certo senese, trattando a
cena un Cortigiano di Pio II (alla metà del 1400 all'incirca) per nome
Goro, fu sí mal consigliato in preparar questi due piatti, che si fece dar la
baia per tutta Siena; tantopiù che non avendo potuto trovar pavoni,
sostituì oche salvatiche, levato loro i piedi ed il becco.
“Venuti in tavola i pavoni senza becco e ordinato
uno che tagliasse; il quale non essendo più pratico a simile uffizio,
gran pezzo si affaticò a pelare, e non poté far sì destro, che
non empiesse la sala e tutta la tavola di penne, e gli occhi e la bocca, e il
naso e gli orecchi a Messer Goro e a tutti...
“Levata poi questa maledizione di tavola, vennero
molti arrosti pure con assai comino; non pertanto tutto si sarebbe perdonato,
ma il padrone della casa, co' suoi consiglieri, per onorare più costoro,
aveva ordinato un piatto di gelatina a lor modo, e vollero farvi dentro, come
si fa alle volte a Firenze e altrove, l'arme del Papa, e di Messer Goro con
certe divise, e tolsero orpimento, biacca, cinabro, verderame, ed altre pazzie,
e fu posta innanzi a Messer Goro per festa e cosa nuova, e Messer Goro ne
mangiò volentieri e tutti i suoi compagni per ristorare il gusto degli
amari sapori del comino, e delle strane vivande.
“E per poco mancò poi la notte, che non
distendessero le gambe alcun di loro, e massime Messer Goro ebbe assai
travaglio di testa e di stomaco, e rigettò forse la piumata delle penne
selvatiche. Dopo questa vivanda diabolica o pestifera vennero assai confetti, e
fornissi la cena”.
660. BUDINO ALLA TEDESCA
Midolla di pane sopraffine, grammi 140.
Burro, grammi 100.
Zucchero, grammi 80.
Uova, n. 4.
Odore di scorza di limone.
Una presa di sale.
Se trovate del pane in forma, uso inglese,
servitevi di questo che è meglio d'ogni altro. La midolla sminuzzatela o
tagliatela a fette e bagnatela con latte diaccio. Quando sarà bene
inzuppata strizzatela da un canovaccio e passatela dallo staccio. Il burro,
d'inverno, struggetelo a bagnomaria e lavoratelo con un mestolo insieme coi
rossi d'uovo finché l'uno e gli altri siansi incorporati; aggiungete le chiare,
la midolla e lo zucchero e rimestate ancora. Versate il composto in uno stampo
unto col burro e spolverizzato di pangrattato e cuocetelo come gli altri
budini; cioè nel fornello. Se lo fate con attenzione vi riescirà
di bell'aspetto e di gusto delicato. Si serve caldo.
661. BUDINO DI PATATE
La patata è il tubero di una pianta della
famiglia delle solanacee originaria dell'America meridionale d'onde fu
introdotta in Europa verso la fine del secolo XVI; ma non si cominciò a
coltivarla in grande che al principio del XVIII a motivo della ostinatissima
opposizione del volgo sempre alieno alle novità.
A poco per volta venne poi bene accetta nel desco
del povero come alla mensa del ricco perocché, buona al gusto e saziante la
fame, essa si presta ad essere cucinata in tante mai maniere; però ha lo
stesso difetto del riso: di essere cioè un alimento che ingrassa e
gonfia lo stomaco, ma nutre pochissimo.
Sono cibi che non danno albumina, né grasso
fosforato al cervello, né fibrina ai muscoli.
Patate grosse farinacee, grammi 700.
Zucchero, grammi 150.
Burro, grammi 40.
Farina, grammi 20.
Latte, decilitri 2.
Uova, n. 6.
Una presa di sale.
Odore di cannella o di scorza di limone.
Cuocete le patate nell'acqua o a vapore,
sbucciatele e passatele calde dallo staccio. Rimettetele al fuoco col burro, la
farina e il latte, versato a poco per volta, lavorandole bene col mestolo; indi
aggiungete lo zucchero, il sale e l'odore e lasciatele stare tanto che
s'incorporino bene insieme tutte queste cose.
Ritirate dal fuoco, quando saranno tiepide o
diacce, gettateci i rossi e poi le chiare montate.
Cuocetelo come tutti gli altri budini;
cioè nel fornello o nel forno e servitelo caldo.
662. BUDINO DI RISO
Latte, un litro.
Riso, grammi 160.
Zucchero, grammi 100.
Uva di Corinto (sultanina), grammi 80.
Candito, grammi 30.
Uova, due intere e due rossi.
Rhum o cognac, un bicchierino.
Odore della vainiglia.
Cuocete bene il riso nel latte e a mezza cottura
gettate dentro al medesimo lo zucchero, l'uva, il candito a pezzetti
piccolissimi, una presa di sale, e burro quanto un uovo scarso. Cotto che sia,
ritiratelo dal fuoco e ancora caldo, ma non bollente, aggiungete le uova, il
rhum e la vainiglia, mescolando bene ogni cosa. Poi versatelo in uno stampo da
budino unto bene col burro e spolverizzato di pangrattato; cuocetelo al forno o
in casa e servitelo caldo.
Lasciate indietro un terzo del latte per
aggiungerlo, occorrendo, via via che il riso assoda.
Basterà per otto persone.
663. BUDINO DI RICOTTA
Ricotta, grammi 300.
Zucchero in polvere, grammi 100.
Mandorle dolci, grammi 100 e tre o quattro amare.
Uova, n. 5.
Odore di scorza di limone.
Sbucciate le mandorle nell'acqua calda e
pestatele finissime nel mortaio con una delle chiare delle uova suddette.
Mescolatele bene colla ricotta, passando prima questa dallo staccio se fosse
troppo dura o bozzoluta Aggiungete lo zucchero e le uova dopo averle frullate a
parte e versate il composto in uno stampo da budino che avrete prima unto col
burro e cosparso di pangrattato. Cuocetelo in forno o tra due fuochi in un
fornello e servitelo freddo.
Può bastare per sei o sette persone.
664. BUDINO ALLA NAPOLETANA
Cuocete del semolino in tre bicchieri di latte,
badando che non riesca troppo sodo. Ritirato dal fuoco dosatelo con zucchero,
una presa di sale e l'odore della scorza di limone; quando non sarà
più bollente, aggiungete tre rossi d'uovo e due chiare, mescolando il
tutto ben bene. Prendete una teglia di rame di mezzana grandezza, ungetela col
burro o col lardo, e rivestitela di una sfoglia di pasta frolla grossa uno
scudo (metà dose del n. 589 ricetta A può bastare). Versate nella
teglia un terzo del semolino e spargete sopra il medesimo, a qualche distanza
l'uno dall'altro dei pezzetti, o cucchiaini di conserve di frutta diverse,
quali sarebbero lampone, cotogne, albicocche, ecc.; sopra questo primo strato
ponetene un secondo ed un terzo, sempre rifiorendoli delle dette conserve.
Ricoprite il disopra del budino con una sfoglia
della stessa pasta e inumidite gli orli con un dito intinto nell'acqua perché
si attacchino fra loro. Fategli qualche ornato, doratelo con rosso d'uovo e
cuocetelo al forno. Quando lo sformate, spolverizzatelo di zucchero a velo e
servitelo freddo.
Alle conserve si può sostituire uva
sultanina e candito a pezzetti.
665. BUDINO NERO
Questo budino si fa talvolta per consumare le
chiare d'uovo, e non è da disprezzarsi.
Chiare d'uovo, n. 6.
Mandorle dolci, grammi 170.
Zucchero in polvere, grammi 170.
Sbucciate le mandorle, asciugatele bene al sole o
al fuoco, tritatele colla lunetta e mettetele al fuoco in una cazzaruola quando
sarà sciolto lo zucchero. Dopo che il miscuglio avrà preso il
colore del croccante, ossia della buccia di mandorla, versatelo in un mortaio
e, diaccio che sia, riducetelo in polvere. Mescolate questa polvere alle sei
chiare montate, mettete il composto in uno stampo unto con solo burro diaccio e
cuocetelo a bagno-maria per servirlo freddo.
666. BUDINO DI LIMONE
Un grosso limone di giardino.
Zucchero, grammi 170.
Mandorle dolci con tre amare, grammi 170.
Uova, n. 6.
Un cucchiaino di rhum o cognac.
Cuocete il limone nell'acqua, per il che saranno
sufficienti due ore; levatelo asciutto e passatelo per istaccio. Però
prima di passarlo assaggiatelo, ché se sapesse troppo di amaro bisognerebbe
tenerlo nell'acqua fresca finché non avesse perduto quell'ingrato sapore.
Aggiungete ad esso lo zucchero, le mandorle sbucciate e pestate finissime, i
sei rossi delle uova e il rhum. Mescolate bene il tutto, montate le sei chiare
ed unitele al composto che verserete in uno stampo per cuocerlo nel fornello o
nel forno. Si può servire tanto caldo che diaccio.
667. BUDINO DI CIOCCOLATA
Latte, decilitri 8.
Zucchero, grammi 80.
Cioccolata, grammi 60.
Savoiardi, grammi 60.
Uova, n. 3.
Odore di vainiglia.
Grattate la cioccolata, mettetela nel latte e
quando questo comincia a bollire gettateci lo zucchero e i savoiardi,
sminuzzandoli colle dita. Mescolate di quando in quando, onde il composto non
si attacchi al fondo e dopo mezz'ora di bollitura passatelo per istaccio.
Quando è diaccio aggiungete le uova frullate e la vainiglia, versatelo
in uno stampo liscio, il cui fondo avrete prima ricoperto di un velo di
zucchero liquefatto, e cuocetelo a bagnomaria.
Grammi 50 di zucchero bastano per ricoprire il
fondo dello stampo. Si serve freddo.
668. DOLCE DI CIOCCOLATA
Pane di Spagna, grammi 100.
Cioccolata, grammi 100.
Burro, grammi 50.
Zucchero, grammi 30.
Rosolio, quanto basta.
Tagliate a fettine il pan di Spagna. Grattate la
cioccolata.
Fate liquefare il burro a bagno-maria e nel
medesimo versate lo zucchero e la cioccolata, lavorando il composto con un
mestolo finché non lo avrete ridotto ben fine. Con questo e il pan di Spagna
intinto nel rosolio riempite a strati uno stampo che avrete prima bagnato con
lo stesso rosolio per poter meglio sformare il dolce. D'estate tenete lo stampo
nel ghiaccio onde si assodi il composto.
Questa dose potrà bastare per sei persone.
669. BUDINO DI MANDORLE TOSTATE
Latte, decilitri 8, pari a grammi 800.
Zucchero, grammi 100.
Savoiardi, grammi 60.
Mandorle dolci, grammi 60.
Uova, n. 3.
Prima preparate le mandorle, cioè
sbucciatele nell'acqua calda e abbrustolitele al fuoco sopra una lastra di
pietra o di ferro; poscia pestatele riducendole quasi impalpabili e, messo il
composto al fuoco senza le uova, aggiungeteci le mandorle e dopo poca cottura
passatelo dallo staccio. Ora uniteci le uova frullate e assodatelo a
bagno-maria con un velo di zucchero fuso in fondo allo stampo. Non occorre
nessun odore. La tostatura delle mandorle farà prendere a questo budino
il color cenerino e gli darà un sapore così grato da meritarsi il
plauso degli uomini e più quello delle donne di gusto delicato. Tanto
questo che il budino di cioccolata si possono mettere in gelo prima di
servirli, come pure, per dar loro più bell'apparenza, si possono coprire
con una crema fiorita di confetti a colori, oppure con panna montata.
670. BUDINO GABINETTO
Questo è un budino che sa di diplomazia;
il nome lo indica e lo indicano altresì la composizione sua e il suo
sapor multiforme; lo dedico perciò al più grande dei diplomatici,
all'idolo del giorno. Il mondo, già si sa, vuole sempre un idolo da
adorare; se non l'ha se lo forma, esagerandone i meriti all'infinito; ma io che
sono incredulo per natura, e un poco anche per esperienza, dico come diceva
colui: Dammelo morto e poi ne ragioneremo. Quanti ne abbiamo visti
nell'età nostra degl'idoli o astri di grande splendore, che poi
tramontarono presto o caddero ignominiosamente! Quando scrissi questo articolo
ne brillava uno ammirato da tutti, ora scomparso dall'orizzonte.
DOSE PER DIECI PERSONE
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 100.
Savoiardi, grammi 100.
Uva malaga, grammi 80.
Uva sultanina, grammi 50.
Conserva di albicocche, grammi 50.
Detta di cotogne, grammi 50.
Candito, grammi 20.
Kirsch, mezzo decilitro.
Rossi d'uovo, n. 6.
Chiare d'uovo, n. 4.
Fate bollire il latte per mezz'ora collo zucchero
dentro.
All'uva malaga levate i semi; il candito
tagliatelo a piccoli dadi e così le conserve, se fossero sode, il che,
in questo caso, sarebbe meglio.
Bruciate le uve e il candito col rhum come nel
Biscotto alla sultana n. 574.
Dopo che il latte avrà bollito, lasciatelo
diacciare e poi aggiungeteci le uova frullate e il kirsch. Prendete uno stampo
liscio a cilindro, ungetelo tutto col burro diaccio e riempitelo nel seguente
modo: copritene il fondo con uno strato di detta frutta e sopra distendete un
suolo di savoiardi, poi altra frutta e conserve, poi altri savoiardi e
così di seguito finché avrete roba. Per ultimo versate adagio adagio il
latte preparato nel modo anzidetto, cuocete il dolce a bagno-maria e servitelo
caldo.
Qualcuno dice che questo budino, se non vuol
defraudare il suo titolo di gabinetto, deve comparire in tavola tutto
chiuso, cioè tener nascosto, il ripieno come si tengono occulti i
segreti della politica. Se lo fate in questa maniera prendete grammi 140 di
savoiardi, dovendosi con essi coprire il fondo, cingere lo stampo all'intorno e
intramezzare, con quelli che restano, le frutta all'interno.
Vi avverto poi che quando il latte entra nella
composizione di un piatto, malamente si possono dare indicazioni precise; esso
è di natura tale che spesso e volentieri forma la disperazione dei
cuochi.
671. PUDDING CESARINO
Ve lo do per un buon ragazzo, questo Cesarino, e
ve lo vendo col nome strano con cui lo comprai da una giovane e piuttosto bella
signora, religiosa ed onesta, uno di quei tipi che, senza volerlo, sono capaci,
per leggerezza, di compromettere le persone che li avvicinano.
Midolla di pane fine, grammi 200.
Zucchero, grammi 250.
Altro zucchero per lo stampo, circa grammi 100.
Uva malaga, grammi 125.
Uva sultanina, grammi 125,
Latte, mezzo litro.
Marsala e rhum, in tutto tre cucchiaiate.
Uova, n. 5.
Tagliate la midolla di pane a fette sottili e
gettatela nel latte. Aspettando che questa inzuppi, nettate l'uva, levate i
semi alla malaga e preparate la forma per cuocerlo, che sarà quella pei
budini, di rame lavorata. Disfate al fuoco in una cazzaruola i suddetti grammi
100 circa di zucchero e preso che abbia il color nocciuola, versatelo nello
stampo per intonacarlo tutto; quando poi sarà diaccio ungete l'intonaco
dello zucchero con burro fresco.
Alla midolla inzuppata unite i detti grammi 250
di zucchero, i rossi delle uova e i liquori, rimestando bene ogni cosa. Per
ultimo aggiungete l'uva e le chiare montate. Cuocetelo a bagno-maria per tre
ore intere, ponendovi il fuoco sopra soltanto nell'ultima ora. Servitelo caldo
e in fiamme e perciò annaffiatelo abbondantemente di rhum e dategli
fuoco con una cucchiaiata di spirito acceso.
Potrà bastare per dieci o dodici persone.
672. PLUM-PUDDING
Parola inglese che vorrebbe dire budino di
prugne, benché queste non c'entrino affatto. Fate un composto nel quale, per
ogni uovo che serve a legarlo, entri la quantità dei seguenti
ingredienti:
Zucchero in polvere, grammi 30.
Zibibbo, grammi 30.
Uva sultanina, grammi 30.
Midolla di pane fine, grammi 30.
Grasso d'arnione di castrato, grammi 30.
Cedro candito, grammi 15.
Arancio candito, grammi 15,
Rhum, una cucchiaiata.
Allo zibibbo levate i semi. I frutti canditi
tagliateli a filetti corti e sottili. Il grasso d'arnione, se non potete averlo
di castrato, prendetelo di vitella, e tanto questo che la midolla di pane
tagliateli a dadini minutissimi, levando al grasso le pellicole.
Fate un miscuglio d'ogni cosa, avendo frullate
prima le uova a parte, e lasciatelo in riposo per qualche ora; poi mettetelo in
un tovagliuolo e legatelo bene stretto con uno spago per formare una palla.
Ponete al fuoco una pentola d'acqua e quando bolle immergetelo nella medesima,
in modo che non tocchi il fondo del vaso, lasciandolo bollire adagio tante ore
quante sono le uova. Levatelo dal tovagliuolo con riguardo, fategli al disopra
una pozzetta e, versato in essa un bicchierino o due di cognac o di rhum che si
spanda per tutto il dolce, dategli fuoco e così caldo e in fiamme
mandatelo in tavola per esser tagliato a fette e mangiato quando la fiamma
è estinta. Tre uova basteranno per sei persone.
673. PLUM-CAKE
È un dolce della stessa famiglia del
precedente, mentitore anch'egli del nome suo.
Zucchero, grammi 250.
Burro, grammi 250.
Farina finissima, grammi 250.
Candito, grammi 80.
Uva malaga, grammi 80.
Detta sultanina, grammi 80.
Detta passolina, grammi 80.
Uova intere, n. 5.
Rossi d'uovo, n. 4.
Rhum, un decilitro scarso, ossia cinque
cucchiaiate.
Odore di scorza di limone o vainiglia.
Il candito tagliatelo a filetti sottili e levate
i semi all'uva malaga. Lavorate prima il burro da solo con un mestolo, rammorbidendolo
al fuoco se occorre, aggiungete lo zucchero e seguitate a lavorarlo finché sia
divenuto bianco. Scocciate le uova una alla volta mescolando, poi la farina e
per ultimo il rimanente. Versate il composto in uno stampo liscio che sia stato
prima foderato di carta unta col burro dalla parte interna e cuocetelo al
forno.
Potete servirlo caldo spolverizzato di zucchero a
velo, ed anche freddo, che è buono egualmente.
La carta serve per impedire che le uve si
attacchino allo stampo. Questa dose basterà per dodici persone.
674. BAVARESE LOMBARDA
Questo dolce, a cui danno diversi nomi, si
potrebbe chiamare il piatto dolce del giorno visto che è bene
accetto ed usato spesso in molte famiglie.
Burro di buona qualità e ben fresco,
grammi 180.
Zucchero a velo, grammi 180.
Savoiardi lunghi o pan di Spagna, circa grammi
150.
Rossi d'uovo assodati, n. 6.
Zucchero vanigliato, quanto basta per dargli
l'odore.
Rosolio, quanto occorre per intingere leggermente
i savoiardi.
Fate bollire le uova per soli sette minuti, e
levatine i rossi, stemperateli nel burro, poi passateli dal setaccio, indi
aggiungete lo zucchero a velo e il vanigliato, e lavorate molto il composto col
mestolo per mantecarlo. Prendete uno stampo, possibilmente a costole, bagnatelo
col rosolio, tagliate a metà, per il lungo, i savoiardi, intingeteli
leggermente nel rosolio, oppure metà nel rosolio e metà
nell'alkermes e con questi foderate lo stampo alternando i due colori. Poi
versate nel mezzo il composto, copritelo con altri savoiardi intinti anche
questi, lasciatelo per tre ore almeno nel ghiaccio e servitelo. La
composizione, se tornasse comodo, può farsi un giorno per l'altro e
questa quantità basta per otto persone. È un dolce molto fine.
675. ZUPPA INGLESE
In Toscana - ove, per ragione del clima ed anche
perché colà hanno avvezzato così lo stomaco, a tutte le vivande
si dà il carattere della leggerezza e l'impronta, dov'è
possibile, della liquidità - la crema si fa molto sciolta, senza amido né
farina e si usa servirla nelle tazze da caffè. Fatta in questo modo
riesce, è vero, più delicata, ma non si presta per una zuppa
inglese nello stampo e non fa bellezza.
Eccovi le dosi della crema pasticcera,
così chiamata dai cuochi per distinguerla da quella fatta senza farina.
Latte, decilitri 5.
Zucchero, grammi 85.
Farina o, meglio, amido in polvere, grammi 40.
Rossi d'uovo, n. 4.
Odore di vainiglia.
Lavorate prima lo zucchero coi rossi d'uovo,
aggiungete la farina e per ultimo il latte a poco per volta. Potete metterla a
fuoco ardente girando il mestolo di continuo; ma quando la vedrete fumare
coprite la brace con una palettata di cenere o ritirate la cazzaruola
sull'angolo del fornello se non volete che si formino bozzoli. Quando
s'è già ristretta continuate a tenerla sul fuoco otto o dieci
minuti e poi lasciatela diacciare.
Prendete una forma scannellata, ungetela bene con
burro freddo e cominciate a riempirla nel seguente modo: se avete una buona
conserva di frutta, come sarebbe di albicocche, di pesche od anche di cotogne,
gettate questa, per la prima, in fondo alla forma e poi uno strato di crema ed
uno di savoiardi intinti in un rosolio bianco. Se, per esempio, le
scannellature della forma fossero diciotto, intingete nove savoiardi
nell'alkermes e nove nel rosolio bianco e coi medesimi riempite i vuoti,
alternandoli. Versate dell'altra crema e sovrapponete alla medesima degli altri
savoiardi intinti nel rosolio e ripetete l'operazione fino a riempirne lo
stampo.
I savoiardi badate di non inzupparli troppo nel
rosolio perché lo rigetterebbero; se il liquore fosse troppo dolce,
correggetelo col rhum o col cognac. Se il tempo avesse indurita la conserva di
frutta (della quale in questo dolce si può fare anche a meno),
rammorbiditela al fuoco con qualche cucchiaiata di acqua, ma nello stampo
versatela diaccia.
Questa dose può bastare per sette od otto
persone.
Nell'estate potete tenerla nel ghiaccio e per
isformarla immergete per un momento lo stampo nell'acqua calda onde il burro si
sciolga.
Saranno sufficienti grammi
676. ZUPPA TARTARA
Prendete grammi 200 di ricotta, rammorbiditela
alquanto col latte e aggraziatela con grammi 30 di zucchero a velo e due prese
di cannella in polvere, mescolando bene.
Prendete uno stampo lavorato e bagnatene le
pareti interne con rosolio oppure ungetele col burro; intingete nel rosolio o
nell'alkermes de' savoiardi e, cominciando da questi, o da una conserva di
frutta non troppo liquida, coprite il fondo dello stampo. Poi riempitelo,
alternando a suoli, con la ricotta, i savoiardi e la conserva, che può
essere di albicocche o di pesche. Sformatela dopo qualche ora e, se l'avrete
disposta con garbo, oltre al gusto resteranno anche appagati gli occhi de'
commensali. La ricotta si può rammorbidire col rosolio di cedro, invece
del latte, e allora non occorre la cannella.
È un dolce da piacer molto.
677. DOLCE DI CILIEGE
Come dolce da famiglia è assai buono e
merita di occuparsene.
Ciliege more, crude, intere e senza gambo, grammi
200.
Zucchero a velo, grammi 100.
Pangrattato di segala, grammi 50.
Mandorle dolci, grammi 40.
Uova, n. 4.
Rosolio, cucchiaiate n. 2.
Odore di vainiglia o scorza di limone.
Mancando il pane di segala servitevi del pane
comune. Le mandorle sbucciatele, asciugatele e tritatele minutamente per
ridurle a metà circa di un chicco di riso.
Lavorate prima i rossi d'uovo con lo zucchero
finché sieno divenuti spumosi, aggiungete il pangrattato, il rosolio, l'odore e
continuate a lavorare ancora un poco il composto. Uniteci le chiare ben
montate, mescolando adagio e versatelo in uno stampo liscio che avrete prima
ben unto con burro freddo e cosperso tutto, e più nel fondo, con le
dette mandorle. Infine buttateci le ciliege, ma per evitare che queste pel loro
peso calino a fondo, mescolate fra il composto le mandorle che vi restano.
Cuocetelo al forno o al forno da campagna e servitelo caldo o freddo a quattro
o cinque persone.
678. ZUPPA DI VISCIOLE
Questa zuppa si può fare con lettine
sottili di pane fine arrostito, oppure con pan di Spagna o con savoiardi.
Levate il nocciolo a quella quantità di ciliege visciole che credereste
sufficienti e mettetele al fuoco con pochissima acqua e un pezzetto di cannella
che poi getterete via. Quando cominciano a bollire aggiungete zucchero quanto
basta, mescolate adagino per non guastarle e allorché cominciano a siroppare
assaggiatele se hanno zucchero a sufficienza e levatele dal fuoco quando le
vedrete aggrinzite ed avranno perduto il crudo. Dopo che avrete leggermente intinto
le fette del pane o i savoiardi nel rosolio, collocateli suolo per suolo,
insieme con le ciliege, in un piatto o in un vassoio in modo che facciano la
colma. Potete anche dare a questa zuppa la forma più regolare in uno
stampo liscio, e tenerlo in ghiaccio avanti di sformarla, giacché nella
stagione delle ciliege si cominciano a gradire i cibi refrigeranti. Un terzo di
zucchero del peso lordo delle ciliege è sufficiente.
679. ZUPPA DI LIMONE
Questo dolce, che dalla sua provenienza
giudicherei di origine francese, non è molto nelle mie grazie;
nonostante ve lo descrivo nel caso non aveste di meglio a fare e vi trovaste le
chiare a disposizione.
Zucchero, grammi 135.
Rossi d'uovo, n. 2.
Chiare d'uovo, n. 5.
Sugo di un grosso limone.
Acqua, mezzo bicchiere.
Farina, un cucchiaio scarso.
Stemperate la farina coll'acqua frullandola bene,
versatela in una cazzaruola ed aggiungete il resto. Rimestate ogni cosa e
ponete il composto al fuoco rimuovendo continuamente il mestolo come si fa per
la crema. Quando sarà condensato passatelo dallo staccio, se occorre,
poi versatene parte in un vassoio, distendeteci sopra dei savoiardi o del pan
di Spagna, e col resto del composto copritelo. Servitela fredda..
Può bastare per quattro o cinque persone.
680. SFORMATO DI CONSERVE
Prendete uno stampo da budino a costole o
scannellato, ungetelo bene con burro freddo e riempitelo di savoiardi o di pan
di Spagna intinti nel rosolio e di conserve di frutta, regolandovi in tutto
come al n. 675, senza alcun uso di crema. Dopo alcune ore, le quali occorrono
perché il composto si compenetri, sformatelo, immergendo prima, per un istante,
lo stampo nell'acqua bollente, onde il burro si sciolga.
681. BIANCO MANGIARE
Mandorle dolci con tre amare, grammi 150.
Zucchero in polvere, grammi 150.
Colla di pesce in fogli, grammi 20.
Panna, o fior di latte, mezzo bicchiere a buona
misura.
Acqua, un bicchiere e mezzo.
Acqua di fior d'arancio, due cucchiaiate.
Prima preparate la colla di pesce ed è
cosa semplice; pigiatela colle dita in fondo a un bicchiere, e coperta di
acqua, lasciatela stare onde abbia tempo di rammollire, e quando ve ne
servirete, gettate via l'acqua e lavatela. Sbucciate e pestate le mandorle in
un mortaio, bagnandole di quando in quando con un cucchiaino d'acqua, e quando
le avrete ridotte finissime, diluitele con l'acqua suddetta e passatele da un
canovaccio forte e rado, procurando di estrarne tutta la sostanza. A tal punto,
preparate uno stampo qualunque della capacità conveniente; poi mettete
al fuoco in una cazzaruola il latte delle mandorle, la panna, lo zucchero, la
colla, l'acqua di fior di arancio; mescolate il tutto e fatelo bollire per
qualche minuto. Ritiratelo dal fuoco e quando avrà perduto il calore,
versatelo nello stampo immerso nell'acqua fresca o nel ghiaccio. Per isformarlo
basta passare attorno allo stampo un cencio bagnato nell'acqua bollente.
La bollitura è necessaria onde la colla di
pesce si incorpori col resto; altrimenti c'è il caso di vederla
precipitare in fondo allo stampo.
682. SGONFIOTTO DI FARINA GIALLA
Questo piatto
I francesi lo chiaman soufflet
E lo notano come entremet,
Io sgonfiotto, se date il permesso,
Che servire potrà di tramesso.
Latte, mezzo litro.
Farina di granturco, grammi 170.
Zucchero, grammi 30.
Burro, grammi 30.
Uova: chiare n. 6; rossi n. 3.
Un pizzico di sale.
Fate una farinata, cioè versate la farina
nel latte quando questo bolle o, meglio, se volete preservarla dai bozzoli,
stemperate prima la farina con un poco di latte freddo e versatela nel latte
bollente mescolandola bene. Fatela bollir poco, e quando la ritirate dal fuoco,
aggiungete il burro, lo zucchero e il sale. Allorché sarà diaccia
disfate nella medesima i rossi d'uovo e per ultimo versate le chiare montate
ben sode; mescolate con garbo e versate il composto in uno stampo liscio o in
una cazzaruola che avrete unta col burro e spolverizzata di farina di grano.
Cuocetelo in un fornello con fuoco sotto e sopra e quando avrà montato,
servitelo subito onde, se è possibile, resti ben soffice e non
s'acquatti. Meglio è, a mio avviso, far questo piatto in un vassoio che
regga al fuoco e portarlo in tavola senza muoverlo.
Questa dose basterà per sei persone.
683. BISCOTTO DA SERVIRSI CON LO ZABAIONE
Farina di patate, grammi 50.
Detta di grano, grammi 20.
Zucchero in polvere, grammi 90.
Uova, n. 3. Odore di scorza di limone.
Lavorate prima per quasi mezz'ora i rossi d'uovo
collo zucchero, aggiungete le chiare montate ben sode e fate cadere la farina
da un vagliettino mescolando il tutto in bel modo onde il composto rimanga
soffice. Versatelo in uno stampo col buco in mezzo che avrete prima unto col
burro e spolverizzato di farina e di zucchero a velo. Mettetelo subito in forno
o nel forno da campagna per cuocerlo, e sformato diaccio versate nel buco del
medesimo lo zabaione del n. 684 e mandatelo subito in tavola.
È una dose che può bastare per
cinque o sei persone.
684. SFORMATO DI SAVOIARDI CON LO ZABAIONE
Savoiardi, grammi 100.
Uva malaga, grammi 70.
Detta sultanina, grammi 50.
Cedro candito, grammi 30.
Marsala, quanto basta.
All'uva malaga togliete i semi. Il cedro candito
tagliatelo a pezzettini. Prendete uno stampo col buco in mezzo ed ungetelo col
burro diaccio, poi intingete leggermente e solo alla superficie i savoiardi
nella marsala e con questi riempite lo stampo intramezzandoli a suoli con le
uve e il candito.
Fate una crema con:
Latte, decilitri 2.
Uova intere, n. 2.
Zucchero, grammi 50.
Odore di vainiglia.
Così cruda versatela nello stampo sopra i
savoiardi. Cuocetelo a bagno-maria, sformatelo caldo e, prima di mandarlo in
tavola, riempite traboccante il buco con uno zabaione, che lo investa tutto,
composto di
Uova intere, n. 2.
Marsala, decilitri 1 1/2.
Zucchero, grammi 50.
Il composto dello zabaione montatelo colla frusta
in una bacinella sopra al fuoco. Alle uve potete sostituire frutte giulebbate,
oppure un misto delle une e delle altre, come pure un misto di cedro e di
arancio candito. Potrà bastare per sei persone. È un dolce che
piace.
685. CREMA
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 200.
Rossi d'uovo, n. 8.
Odore di vainiglia.
Lavorate prima i rossi d'uovo collo zucchero e
poi versate il latte a poco per volta. Per sollecitarne la cottura potete
mettere il composto a fuoco ardente, ma appena lo vedrete fumare rallentate il
calore onde non avesse a impazzire. Se questo avviene passate la crema per
istaccio. La cottura si conosce quando la crema si attacca al mestolo, il quale
va mosso continuamente all'ingiro. L'odore dateglielo poco prima di levarla dal
fuoco.
Questa crema, senza farina od amido, nella
proporzione suddetta, si presta mirabilmente per gelati di crema, tantoché sentirete
un gelato che difficilmente troverete ai caffè. Può servire anche
per una zuppa inglese liquida, unendovi, quando è diaccia, delle fette
di pari di Spagna o dei savoiardi leggermente bagnati nel rosolio; ma se volete
renderla ancor più grata, aggiungete pezzettini di candito tagliati
sottilissimi.
686. LE TAZZINE
È un dolce molto delicato che si serve,
come tutti gli altri dolci, verso la fine di un pranzo in tazze più
piccole di quelle da caffè; una per persona, e perciò chiamasi Le
tazzine. Dose per dieci persone:
Zucchero, grammi 300.
Mandorle dolci, grammi 60.
Rossi d'uovo, n. 10.
Acqua, decilitri 1.
Odore di acqua di fior d'arancio.
Cannella in polvere, quanto basta.
Le mandorle sbucciatele, tostatele a color
nocciuola, pestatele finissime e lasciatele da parte.
Fate bollire lo zucchero con l'acqua suddetta per
un minuto o due, non dovendo prender colore, e dopo, quando sarà
tiepido, cominciate a buttarci i rossi d'uovo, uno o due alla volta e, sopra a
un calore moderatissimo, lavoratelo continuamente girando il mestolo sempre per
un verso. Quando il composto si sarà alquanto condensato da non esservi
più pericolo che impazzisca, potete allora, onde rigonfi meglio,
batterlo con la frusta dal basso in alto fino a tanto che i rossi non abbiano
perduto il colore acceso e preso l'aspetto di una densa crema.
Allora dategli l'odore ed uniteci le mandorle
mescolando bene. Poi versatelo nelle tazzine e sulla superficie di ognuna, nel
mezzo, poneteci una presa della detta cannella, la quale, mescolata al dolce da
chi deve mangiarlo, acquisterà più profumo.
È un dolce che preparato anche qualche
giorno avanti non soffre. Con le chiare, piacendovi, potete fare il Budino nero
nelle proporzioni di quello descritto al n. 665, oppure il Dolce di chiare
d'uovo n. 633.
687. PALLOTTOLE DI MANDORLE
Mandorle dolci, grammi 140.
Zucchero a velo, grammi 140.
Cioccolata grattata o in polvere, circa grammi
40.
Rosolio Maraschino, cucchiaiate n. 4.
Le mandorle sbucciatele, asciugatele al sole o al
fuoco e pestatele finissime con due cucchiaiate del detto zucchero. Dal mortaio
versatele in un vaso, aggiungete lo zucchero rimasto ed impastate il composto
col detto rosolio.
Distesa poi la cioccolata sulla spianatoia
formate col suddetto composto tante pallottole grosse poco più delle
nocciole, di cui ne otterrete oltre a 30; involtatele sulla cioccolata onde ne
restino ben coperte, e potrete serbarle per molto tempo.
688. CREMA ALLA FRANCESE
Eravamo nella stagione in cui i cefali delle Valli
di Comacchio sono ottimi in gratella, col succo di melagrana, e nella quale
i variopinti e canori augelli, come direbbe un poeta, cacciati dai primi freddi
attraversano le nostre campagne in cerca di clima più mite, ed innocenti
quali sono, povere bestioline, si lasciano cogliere alle tante insidie e
infilare nello spiede:
... e io sol uno
M'apparecchiava a sostener la guerra
Sì del cammino e sì de la pietate,
Che ritrarrà la mente che non erra.
La guerra del
cammino, percorrendo
La cacciagione e la selvaggina in genere, se mai
non lo sapeste, è un alimento aromatico, nutritivo e leggermente
eccitante; so di un medico di bella fama il cui cuoco ha ordine di preferirla a
qualunque altra carne, quando la può trovare; e in quanto ai cefali vi
dirò che quando io ero nella bella età in cui si digeriscono
anche i chiodi, la serva ci portava questo pesce in tavola con un contorno di
cipolle bianche tagliate in due, arrostite in gratella ed anch'esse condite con
olio, sale, pepe e succo di melagrana.
La mangia, ossia la stagione dei muggini delle valli
di Comacchio, è dall'ottobre a tutto febbraio. A proposito di questo
luogo di pesca qui viene in acconcio di aggiungere (come cosa meravigliosa e
degna a sapersi) che la pesca nelle valli comacchiesi, a tutto il 1° novembre
1905, diede quell'anno i seguenti risultati:
Anguille Kg
487,653
Cefali Kg.
59,451
Acquadelle Kg.
105,580
Dopo l'esordio la predica, per dirvi come sia
composta questa così detta Crema alla francese:
Latte, mezzo litro.
Zucchero, grammi 150.
Uova, uno intero e rossi n. 4.
Colla di pesce, fogli n. 2.
Odore di vainiglia o di scorza di limone.
Mescolate bene insieme lo zucchero colle uova,
aggiungete il latte a poco per volta e per ultimo la colla in natura. Ponete la
cazzaruola al fuoco, girando continuamente il mestolo sempre da una parte e
quando la crema comincia a condensare, attaccandosi al mestolo, levatela.
Prendete uno stampo liscio, col buco in mezzo, tale che la quantità
della crema possa riempirlo, ungetelo col burro oppure col rosolio, in modo che
ne resti in fondo un sottile strato e versatela nel medesimo. D'estate ponete
lo stampo nel ghiaccio e d'inverno nell'acqua fresca e sformatela sopra a un
tovagliuolo ripiegato sul vassoio.
Se non vi fidate troppo del latte, dategli una
bollitura almeno di un quarto d'ora prima di far la crema, oppure aumentate un
foglio di colla.
689. CREMA MONTATA
Rossi d'uovo, n. 6.
Zucchero in polvere, grammi 70.
Colla di pesce, grammi 15, pari a fogli 6 o 7.
Acqua, tre quarti di un bicchiere da tavola.
Odore, tre foglie di lauro ceraso intere od altro
che più vi piaccia.
Sbattete in una cazzaruola i rossi d'uovo e lo
zucchero, aggiungete l'acqua e le dette foglie e mettetela al fuoco girando il
mestolo, finché sia cotta, la qual cosa, come vi ho già detto, si
conosce dal condensarsi e attaccarsi al mestolo. Allora versatela in una
catinella e così calda battetela forte con la frusta finché abbia
montato; levate le foglie e continuando sempre a batterla, aggiungete, quando
sarà montata, la colla di pesce a poco per volta. Prendete uno stampo
lavorato, ungetelo d'olio, circondatelo di ghiaccio e versatevi la crema
montata, fra mezzo la quale, se vi pare, potete mettere savoiardi intinti nel
rosolio o spalmati di conserva di frutta. Lasciatela nel ghiaccio più di
un'ora, e se non vuole sformarsi naturalmente, passate intorno allo stampo un
cencio bagnato nell'acqua calda.
La colla di pesce si prepara avanti così:
si mette prima in molle, poi al fuoco con due dita di un bicchier d'acqua, si
fa bollire finché l'acqua, evaporando in parte, si formi un liquido alquanto
denso, che appiccichi fra le dita, e così bollente si versa nella crema
alla quale si può dare il gusto dell'alkermes, del caffè o della
cioccolata.
Questa dose potrà bastare per cinque o sei
persone.
690. CROCCANTE A BAGNO-MARIA
Zucchero, grammi 150.
Mandorle dolci, grammi 85.
Rossi d'uovo, n. 5.
Latte, decilitri 4.
Sbucciate le mandorle e con la lunetta riducetele
della grossezza dei chicchi di grano all'incirca. Mettete al fuoco grammi 110
del detto zucchero e quando sarà tutto liquefatto, versate le mandorle e
muovetele continuamente col mestolo finché abbiano preso il color cannella.
Gettatele allora in una teglia unta col burro e, quando saranno diacce,
pestatele nel mortaio coi rimanenti grammi 40 di zucchero e riducetele
finissime.
Aggiungete i rossi d'uovo e poi il latte,
mescolate bene e versate il composto in uno stampo col buco in mezzo, che
avrete prima unto col burro. Cuocetelo a bagnomaria e dopo, se d'estate, tenete
lo stampo nel ghiaccio. Se doveste servir questo dolce a più di sei
persone raddoppiate la dose, e se non vi fidate troppo del latte, fatelo
bollire prima da solo per un quarto d'ora almeno.
691. UOVA DI NEVE
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 150.
Uova, n. 6.
Zucchero a velo, quanto basta.
Odore di vainiglia.
Mettete il latte al fuoco in una cazzaruola larga
e mentre questo scalda, battete con la frusta le chiare che avrete già
separate dai torli; ma gettate nelle medesime una presa di sale se è
vero che serva a rafforzare la consistenza. Quando le chiare saranno ben
montate, prendete il bossolo traforato ove ordinariamente si tiene lo zucchero
a velo e, continuando sempre a batterle, gettatene tanto da renderle alquanto
dolci. Grammi 20 o 30 di zucchero a velo potranno bastare, ma è meglio
assaggiarle. Ciò fatto prendete su la fiocca con un cucchiaio da
tavola, e dandole la forma approssimativa di un uovo, gettatela nel latte
quando bolle. Voltate queste così dette uova per cuocerle da tutte le
parti e quando le vedrete assodate, prendetele colla mestola forata e mettetele
a sgrondare in uno staccio. Passate quindi quel latte e, quando sarà
diaccio, fate col medesimo, coi rossi e collo zucchero una crema come quella
del n. 685, dandole l'odore di vainiglia. Disponete in un vassoio le uova di
neve in bella mostra, le une sulle altre, versateci sopra la crema e servitele
fredde.
Questa dose può bastare per otto o dieci
persone.
692. LATTE BRÛLÉ
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 180.
Rossi d'uovo, n. 8 e due chiare.
Mettete al fuoco il latte con
Questa dose potrà bastare per dieci
persone.
693. LATTE ALLA PORTOGHESE
È del tutto simile all'antecedente, meno
lo zucchero bruciato. Dunque anche per questo:
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 100.
Rossi d'uovo, n. 8 e due chiare.
Odore di vainiglia, o di coriandoli, o di
caffè, che sono quelli che più si addicono.
Se preferite quest'ultimo, macinate diversi
chicchi di caffè tostato; se aggradite l'odore de' coriandoli, che
è grato quanto quello di vainiglia, soppestatene un pizzico e, tanto
l'uno che gli altri, metteteli a bollire nel latte che poi passerete. Se il latte
non è di molta sostanza, fatelo bollire anche un'ora e un quarto.
Non dimenticate mai il velo di zucchero fuso in
fondo allo stampo.
694. LATTERUOLO
È un dolce molto delicato che in qualche
luogo di Romagna, e forse anche altrove in Italia, i contadini portano in
regalo al padrone per la festa del Corpus Domini.
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 100.
Rossi d'uovo, n. 8.
Chiare d'uovo, n. 2.
Odore di vainiglia o di coriandoli.
Fate bollire il latte con lo zucchero per un'ora
ed anche un'ora e un quarto se non siete ben sicuri della sua
legittimità. Se per odore vi servite dei coriandoli, adoperateli come
è indicato nel numero precedente. Al latte rompete di quando in quando
la tela col mestolo, passatelo da un colino per più precauzione, e
quando sarà diaccio, mescolatelo bene alle uova frullate.
Preparate una teglia foderata di pasta matta n.
153, disponetela come nel migliaccio di Romagna n. 702, versateci il composto,
cuocetelo con fuoco sotto e sopra a moderato calore e perché non ròsoli
al disopra, copritelo di carta unta col burro. Aspettate che sia ben diacciato
per tagliarlo a mandorle colla sfoglia sotto come il detto migliaccio.
695. LATTERUOLO SEMPLICE
Questo è un latteruolo meno delicato del
precedente, ma è indicatissimo come piatto dolce da famiglia e come
eccellente nutrimento, in ispecie per i bambini.
Latte, un litro.
Zucchero in polvere, grammi 100.
Uova, n. 6.
odore di scorza di limone.
La fragranza degli agrumi, essendo il prodotto di
un olio volatile racchiuso in cellule superficiali, basterà di tagliare
col temperino un nastro sottilissimo della loro buccia, lungo almeno un palmo,
e farlo bollire nel liquido che vorrete aromatizzare.
Dalla superficie di un limone levate col
temperino una striscia di scorza di una certa lunghezza e mettetela nel latte,
che farete bollire per mezz'ora collo zucchero dentro. Quando sarà
diaccio levate la scorza di limone e mescolateci le uova frullate. Cuocetelo
come il precedente o, se credete meglio, senza la pasta sotto; ma in tal caso,
onde non si attacchi al fondo della teglia, ungetela abbondantemente col burro
freddo.
696. MELE IN GELATINA
Prendete mele reinettes o di altra
qualità fine, non tanto mature e grosse. Levatene il torsolo col
cannello di latta, sbucciatele e via via gettatele nell'acqua fresca ove sia
stato spremuto mezzo limone. Se tutte insieme fossero un quantitativo di grammi
Se non avete kirsch, servitevi di rosolio e se vi
manca la gelatina di ribes supplite colle conserve.
697. PESCHE RIPIENE
Pesche spicche grosse, poco mature, n. 6.
Savoiardi piccoli, n. 4.
Zucchero in polvere, grammi 80.
Mandorle dolci con tre mandorle di pesca, grammi
50.
Cedro o arancio candito, grammi 10.
Mezzo bicchiere scarso di vino bianco buono.
Dividete le pesche in due parti, levate i
noccioli ingrandendo alquanto i buchi ove stavano colla punta di un coltello;
la polpa che levate unitela alle mandorle, già sbucciate, le quali
pesterete finissime in un mortaio con grammi 50 del detto zucchero. A questo
composto unite i savoiardi fatti in bricioli, e per ultimo il candito tagliato
a piccolissimi dadi. Eccovi il ripieno col quale riempirete e colmerete i buchi
delle dodici mezze pesche che poi collocherete pari pari e col ripieno
all'insù in una teglia di rame. Versate nella medesima il vino e i
rimanenti grammi 30 di zucchero e cuocetele fra due fuochi per servirle calde o
diacce a piacere e col loro sugo all'intorno. Se vengono bene devono far bella
mostra di sé sul vassoio, e per una crosticina screpolata formatasi alla
superficie del ripieno, prenderanno aspetto di pasticcini.
698. FRITTATA A SGONFIOTTO OSSIA MONTATA
È l’omelette soufflée de' Francesi
che può servire come piatto dolce di ripiego, se non v'è di
meglio, e quando rimangono chiare d'uovo.
Zucchero in polvere, grammi 100.
Rossi d'uovo, n. 3.
Chiare, n. 6.
Odore della scorza di limone.
Sbattete prima per diversi minuti i rossi collo
zucchero, poi montate le chiare ben sode ed unite le une e gli altri insieme
mescolando adagino. Ungete un vassoio che regga al fuoco con burro diaccio,
versate nel medesimo il composto in modo che vi faccia la colma e ponetelo
subito nel forno da campagna tenuto pronto ben caldo. Dopo cinque minuti che
è nel forno fategli alcune incisioni col coltello e spolverizzatelo di zucchero
a velo, quindi terminate di cuocerlo, al che si richiederanno dieci o dodici
minuti in tutto. Badate che non bruci alla superficie e mandatela subito in
tavola. Perché gonfi meglio, alcuni aggiungono un poco d'agro di limone nel
composto.
699. GNOCCHI DI LATTE
Dose per sei persone.
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 240.
Amido ridotto in polvere, grammi 120.
Rossi d'uovo, n. 8.
Odore di vainiglia.
Mescolate il tutto nel modo stesso che fareste
per una crema e mettetelo al fuoco in una cazzaruola, girando continuamente il
mestolo. Quando il composto sarà divenuto sodo, tenetelo ancora qualche
minuto al fuoco e poi versatelo in una teglia o in un piatto all'altezza di un
dito e mezzo e tagliatelo a mandorle quando sarà diacciato. Disponete
questi tagliuoli uno sopra l'altro con simmetria su di un vassoio di rame o di
porcellana che regga al fuoco, intramezzandoli con alcuni pezzetti di burro, e
rosolateli alquanto nel forno da campagna per servirli caldi.
700. CIARLOTTA
Fate una crema con:
Latte, decilitri 2.
Zucchero, grammi 30.
Farina, mezza cucchiaiata.
Uova, n. 1.
Odore di scorza di limone.
Fate un siroppo con:
Acqua, decilitri 2.
Zucchero, grammi 50,
lasciando bollire lo zucchero nell'acqua per
dieci minuti; quando è diaccio strizzategli dentro un limone. Prendete
grammi 300 di pan di Spagna e col medesimo, tagliato a fette, con conserve di
frutta e con la detta crema, riempite uno stampo da budino ben lavorato. Per
ultimo versateci dentro il detto siroppo per inzuppare il pan di Spagna, o
savoiardi che sieno, e dopo diverse ore sformatelo e servitelo.
È una dose che potrà bastare per
otto persone.
701. CIARLOTTA DI MELE
Mele reinettes, grammi 500.
Zucchero in polvere, grammi 125.
Midolla di pane raffermo, quanto basta.
Burro fresco di buona qualità, quanto
basta.
Un pezzetto di cannella intera.
Mezzo limone.
Si preferiscono le mele reinettes perché
morbide ed odorose; in mancanza di queste, servitevi di altra qualità
consimile. Se questa marmellata si dovesse conservar lungo tempo, ci vorrebbe
il doppio di zucchero; ma trattandosi di adoperarla subito, un quarto del peso
delle mele in natura è a sufficienza.
Sbucciate le mele, tagliatele a quarti, levate i
semi e le logge che li contengono e gettatele in acqua fresca dove sia stato
spremuto il limone. Levate quindi questi quarti di mela asciutti, e tagliateli
per traverso a fette sottili, che porrete al fuoco in una cazzaruola, senz'acqua
e col pezzetto di cannella. Quando cominciano a liquefarsi, aggiungete lo
zucchero e mescolate, muovendole spesso finché non sieno cotte, il che si
conosce facilmente. Allora levate la cannella e servitevene come appresso.
Disfate al fuoco il burro e quando è a
bollore, cioè ben caldo, intingetevi tante fette di midolla di pane
quante occorrono, grosse meno di un centimetro, le quali avrete preparate
innanzi. Con esse coprite il fondo di uno stampo liscio e tondo e foderatene le
pareti, in modo che non restino vuoti. Versate nel mezzo la marmellata e
copritela delle stesse fette di pane intinte nel burro. Cuocetela come i
budini, con fuoco sopra, avvertendo che per la cottura basta di rosolare appena
il pane, e servitela calda.
È un
dolce che si può complicare e variare quanto si vuole. Si può, ad
esempio, fare un buco in mezzo alla marmellata e riempirlo di conserva di
albicocche, si può intramezzare la marmellata con altre conserve od
anche disporla a suoli con le stesse fette di pane.
Si potrebbe anche incassarla nella pasta frolla.
702. MIGLIACCIO DI ROMAGNA
Se il maiale volasse
Non ci saria danar che lo pagasse,
diceva un tale; e un altro: “Il maiale, colle sue
carni e colle manipolazioni a cui queste si prestano, vi fa sentire tanti
sapori diversi quanti giorni sono nell'anno”. Al lettore il decidere quale dei
due sproloqui sia il più esatto: a me basta darvi un cenno delle
così dette nozze del maiale, perché anche questo immondo animale
fa ridere, ma solo, come l'avaro, il giorno della sua morte.
In Romagna le famiglie benestanti e i contadini
lo macellano in casa, circostanza in cui si sciala più dell'usato e i
ragazzi fanno baldoria. Questa è anche l'occasione opportuna per
ricordarsi agli amici, a' parenti, alle persone colle quali si abbia qualche
dovere da compiere, imperocché ad uno, per esempio, si mandano tre o quattro
braciuole della lombata, ad un altro un'ala di fegato, ad un terzo un piatto di
buon migliaccio; e la famiglia che queste cose riceve, si rammenta di fare,
alla sua volta, altrettanto. “È pane da rendere e farina da imprestare”,
direte voi; ma frattanto son usi che servono a tener deste le conoscenze e le
amicizie fra le famiglie.
Dopo tale preambolo, venendo a nocco, ecco la
ricetta del migliaccio di Romagna il quale, per la sua nobiltà, non
degnerebbe di riconoscere neppur per prossimo quello di farina dolce che
girondola per le strade di Firenze:
Latte, decilitri 7.
Sangue di maiale disfatto, grammi 330.
Sapa, oppure miele sopraffine, grammi 200.
Mandorle dolci sbucciate, grammi 100.
Zucchero, grammi 100.
Pangrattato finissimo, grammi 80.
Candito, grammi 50.
Burro, grammi 50.
Spezie fini, due cucchiaini.
Cioccolata, grammi 100.
Noce moscata, un cucchiaino.
Una striscia di scorza di limone.
Pestate in un mortaio le mandorle insieme col
candito, che avrete prima tagliato a pezzetti, bagnatele di tanto in tanto con
qualche cucchiaino di latte e passatele per istaccio. Ponete il latte al fuoco
con la buccia di limone, che poi va levata, e fatelo bollire per dieci minuti;
uniteci la cioccolata grattata, e quando questa sarà sciolta, levatelo
dal fuoco e lasciatelo freddare un poco.
Poi versate nello stesso vaso il sangue,
già passato per istaccio, e tutti gli altri ingredienti serbando per
ultimo il pangrattato, del quale, se fosse troppo, si può lasciare
addietro una parte.
Mettete il composto a cuocere a bagno-marla e
rimuovetelo spesso col mestolo onde non si attacchi al vaso. La cottura e il
grado di densità che fa d'uopo, si conoscono dal mestolo che, lasciato
in mezzo al composto, deve rimanere ritto. Se ciò non avviene,
aggiungete il resto del pangrattato, supposto non l'abbiate versato tutto. Pel
resto regolatevi come alla Torta di ricotta n. 639, cioè versatelo in
una teglia foderata di Pasta matta n. 153 e, quando sarà ben diaccio,
tagliatelo a mandorle. Cuocete poco la pasta matta per poterla tagliar
facilmente e non lasciate risecchire il migliaccio al fuoco, ma levatelo quando
si estrae pulito un fuscello di granata immersovi.
Se vi servite del miele invece della sapa,
assaggiate avanti di aggiungere lo zucchero onde non riesca troppo dolce, e
notate che uno de' pregi di questo piatto è che sia mantecato,
cioè di composizione ben fine.
Il timore di non essere inteso da tutti, nella
descrizione di queste pietanze, mi fa scendere spesso a troppo minuti
particolari, che risparmierei volentieri.
Nonostante pare che ciò non basti perché
una cuoca di un paese di Romagna mi scrisse: “Ho fatto ai miei padroni il
migliaccio che sta stampato nel suo pregiatissimo Manuale di cucina; è
piaciuto assai, solo che le mandorle col candito non ho saputo come farle
passare per lo staccio: avrebbe la bontà d'indicarmelo?”.
Grato alla domanda io le risposi: “Non so se
sappiate che si trovano, per uso di cucina, degli stacci appositi di crine,
forti e radi, e di fil di ferro finissimo. Con questi, un buon mortaio e olio
di schiena si possono passare anche le cose più difficili”.
703. SOUFFLET DI CIOCCOLATA
Zucchero, grammi 120.
Farina di patate, grammi 80.
Cioccolata, grammi 80.
Burro, grammi 30.
Latte, decilitri 4.
Uova, n. 3.
Rhum, una cucchiaiata.
Mettete il burro al fuoco e quando è
sciolto versate la cioccolata grattata; liquefatta che sia anche questa,
versate la farina di patate e poi il latte caldo a poco per volta e, rimestando
sempre con forza, aggiungete lo zucchero. Immedesimato che sia il composto e
cotta la farina lasciatelo diacciare. Per ultimo aggiungete il rhum e le uova,
prima i rossi, poi le chiare montate; e se queste fossero più di tre, il
dolce verrebbe anche meglio.
Ungete di burro un vassoio che regga al fuoco,
versateci il composto, ponetelo nel forno da campagna o semplicemente sopra un
fornello tra due fuochi, e quando sarà rigonfiato servitelo caldo.
È una dose sufficiente per sei persone.
704. SOUFFLET DI LUISETTA
Provatelo che ne vale la pena, anzi vi
dirò che sarà giudicato squisito.
Latte, mezzo litro.
Zucchero, grammi 80.
Farina, grammi 70.
Burro, grammi 50.
Mandorle dolci, grammi 30.
Uova, n. 3.
Odore di zucchero vanigliato.
Sbucciate le mandorle, asciugatele e pestatele
fini fini con una cucchiaiata del detto zucchero.
Fate una balsamella col burro, la farina e
il latte versato caldo. Prima di levarla dal fuoco aggiungete le mandorle, lo
zucchero e l'odore. Diaccia che sia uniteci le uova, prima i rossi e poi le
chiare montate. Ungete col burro un vassoio che regga al fuoco, versateci il
composto e terminate di cuocerlo al forno da campagna. Potrà bastare per
cinque o sei persone.
705. SOUFFLET DI FARINA DI PATATE
Zucchero, grammi 100.
Farina di patate, grammi 80.
Latte, mezzo litro.
Uova, n. 3 e due o tre chiare.
Odore di vainiglia o di scorza di limone.
Ponete lo zucchero e la farina in una cazzaruola
e versateci il latte diaccio a poco per volta, mescolando. Mettete il composto
al fuoco affinché assodi, girando il mestolo, senza curarvi di farlo bollire.
Aggiungete la vainiglia, o la scorza di limone, e quando sarà tiepido
mescolateci i tre rossi delle uova, poi montate le chiare ed unitecele bel
bello. Versatelo in un vassoio di metallo e collocato sopra il fornello,
copritelo col coperchio del forno da campagna fra due fuochi e aspettate che gonfi
e ròsoli leggermente. Allora spolverizzatelo di zucchero a velo e
mandatelo subito in tavola che sarà lodato per la sua delicatezza e, se
ne resta, sentirete che è buono anche diaccio. Questa dose potrà
bastare per cinque persone.
706. SOUFFLET DI RISO
Riso, grammi 100.
Zucchero, grammi 80.
Latte, decilitri 6.
Uova, n. 3.
Un pezzetto di burro.
Rhum, una cucchiaiata.
Odore di vainiglia.
Fate bollire il riso nel latte, ma se non lo
cuocete moltissimo non farete niente di buono. A mezza cottura versate il burro
e lo zucchero, compreso quello vanigliato per l'odore, e dopo cotto, e diaccio
che sia, mescolategli dentro i rossi, il rhum e le chiare montate.
Pel resto regolatevi come pel soufflet di
farina di patate. È una dose che potrà bastare per quattro
persone.
707. SOUFFLET DI CASTAGNE
Marroni dei più grossi, grammi 150
Zucchero, grammi 90.
Burro, grammi 40.
Uova, n. 5.
Latte, decilitri 2.
Maraschino, cucchiaiate 2.
Odore di vainiglia.
Fate bollire i marroni nell'acqua per soli cinque
minuti, ché tanti bastano per sgusciarli caldi e per levar loro la pellicola
interna. Dopo metteteli a cuocere nel detto latte e passateli, indi dosateli
collo zucchero, il burro sciolto, il maraschino e la vainiglia. Per ultimo
aggiungete le uova, prima i rossi, poi le chiare ben montate.
Ungete col burro un vassoio che regga al fuoco,
versateci il composto, cuocetelo al forno da campagna e prima di mandarlo in
tavola spolverizzatelo di zucchero a velo.
Basterà per cinque persone.
708. ALBICOCCHE IN COMPOSTA
Albicocche poco mature, grammi 600.
Zucchero in polvere, grammi 100.
Acqua, un bicchiere.
Fate un'incisione nelle albicocche per estrarne
il nocciolo, in modo che non si guastino, e mettetele al fuoco coll'acqua
suddetta. Quando questa comincia a bollire, versate lo zucchero e scuotendo di
tratto in tratto la cazzaruola lasciatele cuocere. Divenute morbide e alquanto
grinzose, levatele una per una con un cucchiaio e ponetele in una compostiera;
scolate l'umido che hanno portato seco dalla cazzaruola e lasciate restringere
al fuoco l'acqua rimastavi, che verserete nella compostiera sopra le
albicocche, quando sarà condensata come un siroppo. Servitele diacce.
709. PERE IN COMPOSTA I
Pere, grammi 600.
Zucchero fine in polvere, grammi 120.
Acqua, due bicchieri.
Mezzo limone.
Se sono perine lasciatele intere col loro gambo;
se sono grosse tagliatele a spicchi: sì le une che le altre via via che
le sbucciate gettatele nell'acqua suddetta in cui avrete spremuto il mezzo
limone. Questo serve per conservare la bianchezza al frutto. Fatele bollire
nella stessa acqua passata dal colino, versate lo zucchero quando entra in
bollore e pel resto regolatevi come per le albicocche. Servitele diacce.
710. PERE IN COMPOSTA II
Questo secondo modo di preparare le pere in
composta è, per il resultato, poco dissimile alla ricetta del numero
precedente, ma sono fatte con più accuratezza.
Perine poco mature, grammi 600.
Zucchero, grammi 120.
Acqua, due bicchieri.
Mezzo limone.
Spremete il limone nell'acqua e lasciatela da
parte.
Mettete le pere al fuoco coperte d'acqua e fatele
bollir per quattro o cinque minuti; poi gettatele nell'acqua fresca,
sbucciatele, tagliate loro la metà del gambo e via via gettatele
nell'acqua preparata col limone. Ciò fatto prendete la stessa acqua,
passatela dal colino, mettetela al fuoco e quando entra in bollore versate lo
zucchero e fatela bollire alquanto. Poi gettatevi le pere per cuocerle, ma in
modo che non si disfacciano. Levatele asciutte, mettetele in una compostiera,
fate restringere il siroppo e versatelo sulle pere, facendolo passare un'altra
volta dal colino.
Se sono pere molto grosse, tagliatele a spicchi
dopo che avranno subito la prima bollitura. Sono pur anche buone cotte, come si
usa comunemente nelle famiglie, col vino rosso, lo zucchero e un pezzetto di
cannella intera. Servitele diacce.
711. COMPOSTA DI COTOGNE
Sbucciate le mele cotogne e tagliatele a spicchi
non tanto grossi ai quali leverete quella parte di mezzo che faceva parte del
torsolo. Dato che siano grammi 500, mettetele al fuoco con un bicchiere e mezzo
d'acqua e quando avranno bollito a cazzaruola coperta per un quarto d'ora,
versate nella medesima grammi 180 di zucchero fine. Appena cotte levatele
asciutte e ponetele nel vaso che vorrete mandare in tavola; fate restringere il
succo che resta per ridurlo a siroppo, quindi versatelo sopra alle cotogne e
servitele diacce.
712. RISO IN COMPOSTA
Se non vi pare che a questo dolce sia proprio il
nome di riso in composta chiamatelo, se più vi piace, composta
nel riso.
Latte, decilitri 7.
Riso, grammi 100.
Zucchero, grammi 50.
Burro, grammi 20.
Sale, una presa.
Odore di scorza di limone.
Cuocete il riso in sei decilitri di latte e a
mezza cottura versate nel medesimo gl'ingredienti suddetti. Rimuovetelo spesso
col mestolo perché si attacca facilmente e quando si sarà ristretto
levatelo dal fuoco ed aggiungete il decilitro di latte lasciato addietro.
Prendete uno stampo liscio col buco in mezzo, nel quale il composto venga alto
due dita almeno, e versategli in fondo e attorno grammi 50 di zucchero sciolto
al fuoco, ove gli farete prendere il colore marrone chiaro. Versate il riso in
questo stampo e rimettetelo al fuoco a bagno-maria che così assoda
ancora e scioglie lo zucchero del fondo. Per sformarlo aspettate che sia
diaccio.
Ora bisogna riempire il vuoto che è in
mezzo al riso con una composta che può essere di qualunque frutta; ma
supponiamo di mele o prugne secche.
Se di mele, preferite le mele rose che sono dure
e odorose. Basteranno grammi
Se vi servite delle prugne, bastano gr. 120 e gr.
60 di zucchero; ma prima di metterle a bollire tenetele in molle nell'acqua per
cinque o sei ore. Pel resto regolatevi come nella cottura delle mele, non
dimenticando il kirsch.
Se il dolce dovesse servire per dieci o dodici
persone raddoppiate la dose. Si serve diaccio.
713. PASTICCIO A SORPRESA
Latte, un litro.
Farina di riso, grammi 200.
Zucchero, grammi 120.
Burro, grammi 20.
Uova, n. 6.
Sale, una presa.
Odore di vainiglia.
Prendete una cazzaruola e nella medesima a poco
per volta versate le uova, lo zucchero, la farina e il latte mescolando via via
onde non si formino bozzoli: ma del latte lasciatene addietro alquanto per
aggiungerlo dopo, se occorre. Mettete la cazzaruola al fuoco e, girando il
mestolo continuamente come nella crema, cuocete il composto aggiungendovi,
prima di levarlo, il burro, la vainiglia e il sale. Lasciatelo diacciare, e poi
versatelo in un piatto di metallo o in un vassoio di terra che regga al fuoco,
disposto in modo che faccia la colma.
Copritelo colla pasta frolla n. 589, ricetta B o
ricetta C, fategli qualche lavoro per bellezza, doratelo col rosso d'uovo,
cuocetelo al forno e servitelo caldo, spolverizzato di zucchero a velo.
714. GELATINA DI ARANCIO IN GELO
Zucchero, grammi 150.
Colla di pesce, grammi 20.
Acqua, decilitri 4.
Alkermes, quattro cucchiaiate.
Rhum, due cucchiaiate.
Un arancio dolce grosso.
Un limone.
Mettete la colla in molle e cambiando una volta
l'acqua, lasciatevela per un'ora o due.
Fate bollire lo zucchero nella metà
dell'acqua suddetta per dieci minuti e passatelo per un pannolino.
Spremete in questo siroppo l'arancio e il limone,
passandone il sugo dallo stesso pannolino.
Levate la colla già rinvenuta e fate che
alzi il bollore nei due decilitri dell'acqua rimasta e versate anche questa nel
detto siroppo. Aggiungete al medesimo l'alkermes e il rhum, mescolate ogni cosa
e quando comincia a freddare versatelo nello stampo tenuto nel ghiaccio
d'estate e nell'acqua fredda d'inverno.
Gli stampi di questa sorte di dolci sono di rame
tutti lavorati a guglie, alcuni col buco in mezzo, altri senza, onde ottenere
un bell'effetto in tavola. Per isformarla bene ungete leggermente, prima di
versare il composto, lo stampo con olio ed immergetelo poi per un momento
nell'acqua calda o strofinatelo con un cencio bollente. La colla di pesce non
è nociva; ma ha l'inconveniente di riuscire alquanto pesante allo
stomaco.
715. GELATINA DI FRAGOLE IN GELO
Fragole molto rosse e ben mature, grammi 300.
Zucchero, grammi 200.
Colla di pesce, grammi 20.
Acqua, decilitri 3.
Rhum, tre cucchiaiate.
L'agro di un limone.
Strizzate le fragole in un pannolino per estrarne
tutto il sugo. Fate bollire lo zucchero per dieci minuti in due decilitri della
detta acqua e questo siroppo unitelo al sugo delle fragole; aggiungete il
limone e tornate a passare il tutto da un pannolino fitto. Alla colla di pesce,
dopo averla tenuta in molle come quella del numero precedente, fate spiccare il
bollore nel rimanente decilitro d'acqua e versatela così bollente nel predetto
miscuglio; aggiungete per ultimo il rhum, mescolate e versate il composto nello
stampo per metterlo in gelo.
Questa gelatina sarà molto gradita dalle
signore.
716. GELATINA DI MARASCHE O DI VISCIOLE IN GELO
Ciliege marasche o visciole, grammi 400.
Zucchero, grammi 200.
Colla di pesce, grammi 20.
Acqua, decilitri 3.
Rhum, tre cucchiaiate.
Un pezzetto di cannella.
Levate il gambo alle ciliege e disfatele colle
mani unendovi qualche nocciolo pestato. Lasciatele così qualche ora e
poi passatene il sugo da un pannolino, strizzando bene; tenetelo ancora in
riposo e poi ripassatelo più volte, magari per carta o per cotone, onde
rimanga chiaro. Fate bollir lo zucchero per dieci minuti in due decilitri della
detta acqua con la cannella dentro, passate anche questo dal pannolino e
mescolatelo al sugo delle ciliege. Aggiungete la colla sciolta nel rimanente
decilitro di acqua e per ultimo il rhum, regolandovi come per le precedenti
gelatine.
717. GELATINA DI RIBES IN GELO
Ribes, grammi 300.
Zucchero, grammi 130.
Colla di pesce, grammi 20.
Acqua, decilitri 2.
Marsala, quattro cucchiaiate.
Odore di vainiglia.
Regolatevi in tutto come nella gelatina di
marasche del numero precedente.
Ordinariamente l'odore di vainiglia si dà alle
vivande collo zucchero vanigliato; ma in questo e consimili casi meglio
è servirsi del baccello naturale di quella pianta, facendone bollire un
pezzetto insieme collo zucchero nell'acqua. A vostra norma, se comprate
qualcuno di questi baccelli osservate che sieno grassi, cioè non
risecchiti, e conservateli ben chiusi framezzo a zucchero biondo a cui
comunicheranno il profumo e servirà anch'esso ad aromatizzar qualche
piatto.
Questa pianta della famiglia delle orchidee, la
quale si arrampica come l'ellera, è originaria delle foreste
intertropicali di America. Il polline della vainiglia, essendo vischioso e non
potendo perciò esser trasportato dai venti, lo trasportano gl'insetti;
la qual cosa, essendo stata conosciuta dall'uomo soltanto nella prima
metà del secolo passato, eseguisce egli stesso l'operazione e feconda le
piante che si coltivano ne' tepidari; esse avanti il 1837, anno in cui si
ottennero i primi frutti nel Belgio, erano infruttifere.
718. GELATINA DI LAMPONE IN GELO
Se avete del siroppo di lampone n. 723 potete
fare, all'occorrenza, una buona gelatina da servire per dolce in un pranzo.
Sciogliete grammi 20 di colla di pesce al fuoco in tre decilitri d'acqua e
mescolate in essa:
Siroppo, decilitri 2.
Marsala, decilitri l.
Rhum, una cucchiaiata.
Zucchero non occorre o, se mai, pochissimo,
essendo molto dolce il siroppo. Pel resto regolatevi come nelle antecedenti
gelatine. Se invece del siroppo la fate col lampone in natura servitevi delle
dosi della gelatina di fragole n. 715, e tenete la stessa regola.
719. UN UOVO PER UN BAMBINO
Non sapete come quietare un bambino che piange
perché vorrebbe qualche leccornia per colazione? Se avete un uovo fresco
sbattetene bene il torlo in una tazza in forma di ciotola con due o tre cucchiaini
di zucchero in polvere, poi montate soda la chiara ed unitela mescolando in
modo che non ismonti. Mettete la tazza avanti al bambino con fettine di pane da
intingere, colle quali si farà i baffi gialli e lo vedrete
contentissimo.
E magari i pasti dei bambini fossero tutti
innocui come questo, ché per certo ci sarebbero allora meno isterici e
convulsionari nel mondo! Voglio dire degli alimenti che urtano i nervi, come il
caffè, il the, il vino, e di altri prodotti, fra cui il tabacco, i quali,
per solito, più presto che non converrebbe, entrano a far parte nel
regime della vita domestica.
720. BUDINO DI PANE E CIOCCOLATA
È un budino da famiglia; non vi aspettate
quindi di sentire cosa squisita.
Pane comune fine, grammi 100.
Zucchero, grammi 70.
Cioccolata, grammi 40.
Burro, grammi 20.
Latte, decilitri 4.
Uova, n. 3.
Versate il latte bollente sopra il pane tagliato
a fette sottili. Dopo due ore circa d'infusione passatelo dallo staccio per
renderlo tutto unito; poi mettetelo al fuoco collo zucchero, il burro e la
cioccolata grattata. Rimestate il composto spesso, fatelo bollire alquanto e
lasciatelo diacciare. Aggiungete allora le uova, mettendo prima i rossi e
quindi le chiare montate; cuocetelo a bagnomaria in uno stampo liscio unto col
burro e servitelo freddo. Per dargli più bell'aspetto non sarebbe male
di coprirlo, dopo sformato, con una crema.
Questa dose potrà bastare per cinque
persone.
721. MELE ALL’INGLESE
Questo piatto potreste anche chiamarlo pasticcio
di mele, ché il nome non sarebbe improprio.
Prendete mele rose o di altra qualità
duràcine, levate loro il torsolo con un cannello di latta, sbucciatele e
tagliatele a fette rotonde e sottili. Poi mettetele al fuoco con l'acqua
sufficiente a cuocerle e un pezzetto di cannella. Quando saranno a mezza
cottura versate tanto zucchero da renderle dolci e un poco di candito a
pezzettini.
Prendete un piatto di rame od un vassoio di
porcellana che regga al fuoco, versatele nel medesimo, copritele con pasta
frolla, mettetele in forno o nel forno da campagna, e servitele calde per
dolce.
722. ZABAIONE
Rossi d'uovo, n. 3.
Zucchero in polvere, grammi 30.
Vino di Cipro, di Marsala, o di Madera, decilitri
1½ pari a nove cucchiaiate circa. Doppia dose potrà
bastare per otto persone. Se lo desiderate più spiritoso aggiungete una
cucchiaiata di rhum; anche un cucchiaino di cannella in polvere non ci sta
male. Lavorate prima con un mestolo i rossi d'uovo collo zucchero finché sieno
divenuti quasi bianchi, aggiungete il liquido, mescolate, ponetelo sopra un
fuoco ardente frullandolo continuamente e guardandovi dal farlo bollire perché
impazzirebbe; levatelo appena comincia ad alzare.
Meglio, io credo, sia il servirsi della
cioccolatiera.
SIROPPI
I siroppi di
frutta acidule, sciolti nell'acqua fresca o gelata, sono bibite piacevoli e
refrigeranti, molto opportune negli estivi ardori; ma è bene farne uso
dopo compiuta la digestione perché, essendo alquanto pesanti allo stomaco pel
molto zucchero che contengono, facilmente la disturbano.
723. SIROPPO DI LAMPONE
La delicata fragranza di questo frutto (il framboise
dei Francesi) lo costituisce il re dei siroppi. Dopo avere disfatto bene il
frutto colle mani, si opera nella stessa guisa del n. 725 colle stesse
proporzioni di zucchero e d'acido citrico; se non che, contenendo questo frutto
meno glutine del ribes, il periodo della fermentazione sarà più
breve. Se poi mi domandaste perché questi siroppi richiedono tanto zucchero,
risponderei che ciò è necessario per la loro conservazione; e che
per correggere il soverchio dolciume, si è ricorso all'acido citrico.
724. ACETOSA DI LAMPONE
Questa acetosa si forma sostituendo all'acido
citrico aceto di vino d'ottima qualità, che va versato nel siroppo di
lampone quando si leva dal fuoco. La dose dell'aceto regolatela coll'assaggio,
ponendone cioè, poco da prima ed assaggiando il siroppo in due dita
d'acqua per aumentarne la dose al bisogno. Questa bibita riescirà
più rinfrescante delle altre ed ugualmente piacevole.
725. SIROPPO DI RIBES
Questo frutto, contenendo in sé molto glutine,
richiede una lunga fermentazione; tantoché se sciogliete dello zucchero nel
succo del ribes appena spremuto e lo mettete al fuoco, otterrete non uno
siroppo, ma una gelatina.
Disfate il ribes ne' suoi grappolini come fareste
ammostando l'uva e lasciatelo in luogo fresco entro un vaso di terra o di
legno. Quando avrà cominciato a fermentare (il che può avvenire
anche dopo tre o quattro giorni) affondatene il cappello e rimestatelo con un
mestolo due volte al giorno, continuando questa operazione finché avrà
cessato di alzare. Poi passatelo per canovaccio a poco per volta, strizzandolo
bene colle mani, se non avete uno strettoio, e passate il succo spremuto da un
filtro anche due o tre volte, e più se occorre, per ottenere un liquido
limpidissimo. Ponetelo quindi al fuoco e, quando comincia ad entrare in
bollore, versate lo zucchero e l'acido citrico nelle seguenti proporzioni:
Liquido, chilogrammi 3.
Zucchero in polvere bianchissimo, chilogrammi 4.
Acido citrico, grammi 30.
Girate continuamente il mestolo onde lo zucchero
non si attacchi, fatelo bollir forte per due o tre minuti, assaggiatelo per
aggiungere altro acido citrico, se occorre, e quando è diaccio
imbottigliatelo e conservatelo in cantina.
Vi avverto che il bello di questi siroppi,
è la limpidezza e per ottenerla è bene abbondare nella
fermentazione.
726. SIROPPO DI CEDRO
Limoni di giardino, n. 3.
Zucchero bianco fine, grammi 600.
Acqua, un bicchiere da tavola che corrisponde a
decilitri 3 circa.
Levate dai limoni, senza strizzarla, la polpa
interna nettandola bene dalle pellicole e dai semi.
Mettete l'acqua al fuoco colla buccia di uno dei
detti limoni tagliata a nastro e sottilmente col temperino e quando comincia a
bollire versate lo zucchero. Aspettate che dia qualche bollore, poi levate la
buccia e versate la polpa dei limoni. Fate bollire finché il siroppo siasi
ristretto e cotto al punto, il che si conosce dalla perla che fa bollendo e dal
colore di vino bianco che acquista.
Conservatelo in vaso possibilmente di vetro, per
prenderlo a cucchiaiate e scioglierlo nell'acqua fresca: si ottiene cosi una
bibita eccellente e rinfrescante la quale resto meravigliato che manchi fra le
bibite dei caffè, in diverse province d'Italia.
727. MARENA
Prendete ciliege marasche vere, le quali, benché
mature, devono essere molto agre. Levatene i gambi e disfatele come l'uva
quando si pigia per fare il vino; poi mettete da parte una manciata di noccioli
per l'uso che vi dirò in appresso e riponete le ciliege con un bel pezzo
di cannella intera in luogo fresco, entro a un vaso di terra per aspettarne la
fermentazione, la quale deve durare almeno quarantott'ore; ma dal momento che
le ciliege hanno cominciato ad alzare, affondatele e mescolatele di quando in
quando. Ora occorrerebbe uno strettoio per estrarne il sugo; ma, se manca,
servitevi delle mani strizzando le ciliege a poche per volta entro a un
canovaccio rado.
Il bello di questi siroppi, come vi ho detto,
è la limpidezza, e però quando il sugo ha riposato decantate la
parte chiara, e l'altra che resta passatela più volte per filtro di
lana. Ottenuto così il liquido depurato, mettetelo al fuoco nelle
seguenti proporzioni e col rammentato pezzo di cannella.
Sugo depurato, chilogrammi 6.
Zucchero bianchissimo in polvere, chilogrammi 8.
Acido citrico, grammi 50.
Per versare lo zucchero e l'acido citrico
aspettate che il liquido sia ben caldo e poi mescolate spesso onde lo zucchero
non si depositi in fondo e non prenda di bruciato. La bollitura dev'esser
breve; quattro o cinque minuti sono bastanti a incorporare lo zucchero nel
liquido.
Una bollitura prolungata farebbe perdere l'aroma
al frutto, mentre che una insufficiente produrrebbe col tempo la deposizione
dello zucchero. Quando levate la marena dal fuoco, versatela in vaso di terra e
imbottigliatela diaccia. Tappate le bottiglie con sughero senza catrame e
conservatele in cantina dove tanto la marena che i siroppi si manterranno
inalterati anche per qualche anno.
Per ultimo v'indicherò l'uso dei noccioli
su ricordati, Questi asciugateli al sole, poi stiacciateli e levatene grammi 30
di mandorle, le quali pesterete finissimo in un mortaio e mescolerete alle
ciliege prima della fermentazione. Col loro grato amarognolo queste mandorle
servono a dar più grazia al siroppo.
728. MARENA DA TRASTULLARSI
La marena più signorile è quella
sopra descritta, ma se la desiderate da bere e da mangiare, come usa in alcuni
paesi, mescolate in quella precedentemente descritta delle ciliege giulebbate
nella proporzione seguente.
Ciliege marasche, chilogrammi 1,500.
Zucchero finissimo in polvere, chilogrammi 2.
Levate i gambi alle ciliege e tenetele al sole
per cinque o sei ore. Poi mettetele al fuoco con un pezzetto di cannella e
quando avranno buttato una certa quantità di umido, versate in esse lo
zucchero, avvertendo di mescolare adagio per conservare le ciliege intere.
Quando saranno divenute grinzose ed avranno preso il color bruno levatele e
servitevene per l'uso indicato.
729. ORZATA
Mandorle dolci con 10 o 12 amare, grammi 200.
Acqua, grammi 600.
Zucchero bianco, fine, grammi 800.
Acqua di fior d'arancio, due cucchiaiate.
Sbucciate le mandorle e pestatele nel mortaio,
bagnandole ogni tanto coll'acqua di fior d'arancio.
Allorché saranno ridotte a pasta impalpabile,
scioglietele con un terzo della detta acqua e passatene il sugo da un
canovaccio strizzandolo bene. Rimettete nel mortaio la pasta asciutta rimasta
nel canovaccio, macinatela col pestello; poi scioglietela con un altro terzo
dell'acqua e passatene il sugo. Ripetete la stessa operazione per la terza
volta, mettete al fuoco tutto il liquido ottenuto, e quando sarà ben
caldo versate lo zucchero, rimestatelo e fatelo bollire per venti minuti circa.
Diaccio che sia, imbottigliatelo e conservatelo in luogo fresco. Se fatta in
questo modo, vedrete che l'orzata non fermenta e potrete conservarla a lungo,
ma però non quanto i siroppi di frutta. Oltre a ciò viene di tale
sostanza che pochissima, sciolta in un bicchier d'acqua, basta per ottenere una
bibita eccellente e rinfrescante. Fatta coi semi di popone, viene anche
più delicata.
730. CLARET CUP (BIBITA INGLESE)
Per questa bibita, che merita di esser descritta
perché piacevole e di facile esecuzione, occorre vino rosso di ottima
qualità. Può servire tanto il bordò quanto il chianti, il
sangiovese e simili.
Vino, decilitri 5.
Acqua, decilitri 5.
Limoni, n. 5.
Zucchero bianco, grammi 500.
Fate bollire lo zucchero nell'acqua cinque
minuti. Tolto dal fuoco, strizzate in questo siroppo i limoni e versateci il
vino, poi passatelo da un pannolino. Rimettetelo al fuoco per farlo bollire
adagio 25 minuti e diaccio che sia imbottigliatelo. Servitevene allungato
coll'acqua e raffrescato col ghiaccio in estate. Dovendolo conservare a lungo,
tenetelo in cantina.
731. SAPA
La sapa, ch'altro non è se non un siroppo
d'uva, può servire in cucina a diversi usi poiché ha un gusto speciale
che si addice in alcuni piatti. È poi sempre gradita ai bambini che
nell'inverno, con essa e colla neve di fresco caduta, possono improvvisar dei
sorbetti.
Ammostate dell'uva bianca, possibilmente di
vigna, di buona qualità e ben matura, e quando sarà in
fermentazione da circa ventiquattr'ore, estraetene il mosto e passatelo da un
canovaccio. Mettete questo mosto al fuoco e fatelo bollire per molte ore fino a
consistenza di siroppo, che conserverete in bottiglie.
CONSERVE
Le conserve e le gelatine di frutta fanno molto
comodo nelle famiglie, perché entrano spesso nella composizione dei piatti
dolci, sono gustate dalle signore alla fine di una colazione e, spalmate sul
pane, sono un ottimo spuntino, nutriente e salubre, pei bambini.
732. CONSERVA DI POMODORO SENZA SALE
Se questo prezioso frutto della famiglia delle
solanacee (Solanum Lycopersicum), originario dell'America
meridionale, fosse più raro, costerebbe quanto e più dei tartufi.
Il suo sugo si marita con tante vivande e fa ad esse così ottima
compagnia, che merita conto di spendere qualche fatica per ottenerne una buona
conserva. Molti sono i metodi per farla ed ognuno dà la preferenza al
suo: io vi descriverò quello da me adottato e che seguo da molti anni
perché me ne trovo bene.
Prendete pomodori di campo, perché quelli d'orto
sono più acquosi, e preferite i piccoli ai grossi. Stiacciateli
così all'ingrosso e metteteli al fuoco di legna in una caldaia di rame
non stagnata e non abbiate paura perché l'acido non attacca il rame se non
quando è fuori dal fuoco e perde il calore dell'ebollizione. Se non
fosse così, io avrei sentito i sintomi del veleno almeno un centinaio di
volte. Quando saranno cotti disfatti versateli in un sacco a spina ben fitto tenuto
sospeso e gettata che abbiano l'acqua passateli per istaccio onde nettarli dai
semi e dalle bucce strizzandoli bene.
Lavate con accuratezza la caldaia e rimetteteli
al fuoco per restringerli quanto basta, e per conoscere poi il punto preciso
della consistenza che deve avere la conserva (e qui sta la difficoltà)
versatene qualche goccia in un piatto e se vedrete che non iscorre e non
presenta sierosità acquosa all'intorno, vorrà dire che codesto
è il punto giusto della cottura. Allora imbottigliatela e anche qui
avrete un'altra prova della sua sufficiente densità, se la vedrete
scendere con difficoltà per l'imbuto.
Per avere una conserva con meno cottura, e quindi
più liquida e naturale, viene usato l'acido salicilico che nella
proporzione di grammi 3 ogni litri 2,1/3 di sugo, si dice innocuo, ma io finora
mi ero astenuto dal farne uso, sapendo che il Governo, per misura igienica, ne
aveva vietato lo smercio. Facendone uso quotidiano prudenza vorrebbe di non
usarlo.
Le bottiglie preferitele piccole per consumarle
presto; ma possono star manomesse anche 12 o 13 giorni senza che la conserva ne
soffra. Io mi servo di quelle bianche che vengono in commercio coll'acqua di
Recoaro e in mancanza di queste, di mezze bottiglie nere da birra. Turatele con
tappi di sughero messi a mano, ma che sigillino bene e legateli con lo spago,
avvertendo di lasciare un po' d'aria fra il tappo e il liquido. Qui
l'operazione sembrerebbe finita, ma c'è un'appendice la quale benché
breve è pur necessaria. Collocate le dette bottiglie in una caldaia
framezzo a fieno, a cenci o ad altre cose simili, onde stiano strette fra loro,
e versate nella caldaia tanta acqua che arrivi fino al collo delle bottiglie e
fatele fuoco sotto. State osservando che presto il tappo delle bottiglie
darà cenno di alzare e di schizzar via se non fosse legato e allora
cessate il fuoco, ché l'operazione è davvero finita. Levate le bottiglie
quando l'acqua è diaccia o anche prima, ripigiate con un dito i tappi
smossi per rimetterli al posto e conservate le bottiglie in cantina. Non hanno
bisogno di essere incatramate perché se la conserva è fatta bene non
fermenta; ma se fermentasse e le bottiglie scoppiassero, dite pure che vi
è rimasta tropp'acqua per poca cottura.
Ho sentito dire che mettendo a riscaldare le
bottiglie vuote entro a una stufa e riempiendole quando sono ben calde non
occorre far bollire la conserva nelle bottiglie; ma questa prova io non l'ho
fatta.
Vi raccomando molto la conserva di pomodoro fatta
in questa maniera, perché vi sarà di gran vantaggio nella cucina;
però meglio di questo è il sistema detto preparazione nel
vuoto, mediante il quale si conservano freschi ed interi i pomodori in vasi
di latta. A questa piccola industria, che dava saggio di buona riuscita in
Forlì, ove erasi iniziata, auguravo prospera sorte; ma ohimé che nacque
un guaio! Il Fisco le saltò subito addosso con una tassa, e il povero
industriale mi disse che pensava di smettere.
733. CONSERVA DOLCE DI POMODORO
Sembra dal titolo una conserva delle più
strane, ma alla prova non riesce men degna di molte altre.
Ch' ogni erba si conosce per lo seme,
dice Dante, e però se in questa conserva
non rimane qualche semino, che ne faccia la spia, nessuno indovinerà di
che sia composta.
Pomodori, chilogrammi 1.
Zucchero bianco, grammi 300.
Il sugo di un limone.
Odore di vainiglia e di scorza di limone.
I pomodori per quest'uso devono essere molto
maturi, polputi e possibilmente rotondi. Metteteli in molle nell'acqua ben
calda per poterli sbucciar facilmente, dopo sbucciati, tagliateli per metà
e col manico di un cucchiaino levate i semi. Sciogliete lo zucchero al fuoco in
due dita (di bicchiere) d'acqua, poi gettateci i pomodori, il sugo del limone e
un poco della sua buccia grattata. Durante la bollitura a fuoco lento e a
cazzaruola scoperta, andate rimestando alquanto, e se apparisse qualche seme
rimasto levatelo. Per ultimo datele l'odore con zucchero vanigliato e levatela
quando sarà giunta alla consistenza delle conserve comuni.
In questa conserva è difficile precisare
la quantità dello zucchero, perché dipende dalla più o meno
acquosità dei pomodori. Fatene doppia dose perché scema di molto.
734. CONSERVA DI ALBICOCCHE
Se la conserva di susine è la peggiore di
tutte, questa è invece una delle più gentili e però
incontra il gusto generale.
Prendete albicocche ben mature e di buona
qualità, essendo un errore il credere che con frutta scadente si possa
ottenere lo stesso effetto; levate loro il nocciolo, mettetele al fuoco
senz'acqua e mentre bollono disfatele col mestolo per ridurle a poltiglia.
Quando avranno bollito mezz'ora circa, passatele dallo staccio onde nettarle
dalle bucce e dai filamenti; poi rimettetele al fuoco con zucchero bianco fine
e in polvere nella proporzione di otto decimi e cioè grammi 800 di
zucchero per ogni chilogrammo di albicocche passate. Rimovetele spesso col
mestolo fino alla consistenza di conserva, la quale si conosce versandone di
quando in quando una cucchiaiatina in un piatto, sul quale dovrà
scorrere lentamente. Versatela calda nei vasi e quando sarà diaccia
copritela con la carta oliata dei salumai aderente alla conserva, e turate la
bocca del vaso con carta grossa legata con lo spago all'intorno.
La conserva di pesche si fa nella stessa maniera
con pesche burrone ben mature.
735. CONSERVA DI SUSINE
Benché la conserva di susine sia una delle meno
apprezzate, pure, vedendo che molti l'usano, non sarà male indicarvi
come si può fare.
Qualunque varietà può essere al
caso, ma sono da preferirsi susine claudie mature. Levate alle medesime il
nocciolo e dopo pochi minuti di bollitura passatele dallo staccio e rimettetele
al fuoco con zucchero bianco in polvere nella proporzione di grammi 60 di
zucchero per ogni
Se dopo un certo tempo le conserve vi fanno la
muffa, sarà indizio certo di poca cottura; allora riparate con
rimetterle al fuoco. Io le invecchio talvolta fino a 4 o 5 anni senza che
perdano, o ben poco, di perfezione.
736. CONSERVA DI MORE
Questa conserva ha la rinomanza di calmare il dolor
di gola ed è piacevole a mangiarsi.
More, chilogrammi 1.
Zucchero bianco, grammi 200.
Le more disfatele con le mani e mettetele a
bollire per circa dieci minuti. Poi passatele dallo staccio e rimettetele al
fuoco col detto zucchero per ridurle a consistenza delle conserve di frutta.
737. CONSERVE DI RIBES E LAMPONE
Per la conserva di ribes avete la ricetta della
Gelatina di ribes n. 739 e questa basta. Per la conserva di lampone mettetelo
al fuoco così naturale senza fermentazione e quando avrà bollito
una ventina di minuti passatelo dallo staccio, pesatelo così netto dai
semi e rimettetelo al fuoco con altrettanto zucchero bianco in polvere,
facendolo bollire fino a cottura di conserva che conoscerete con le norme
già indicatevi.
La conserva di lampone, messa in poca
quantità, a me sembra che si presti più d'ogni altra per ripieno
ai pasticcini di pasta sfoglia.
738. GELATINA DI COTOGNE
Prendete cotogne di buccia gialla, che sono
più mature delle verdi, tagliatele a fette grosse mezzo dito, escludendo
il torsolo. Ponetele al fuoco coperte d'acqua e, senza toccarle mai col
mestolo, fatele bollire coperte finché non sieno ben cotte. Versatele allora in
uno staccio fitto fitto sopra una catinella per raccogliere tutta l'acqua senza
strizzarle. Pesate cotest'acqua e rimettetela al fuoco con altrettanto zucchero
bianco fine e fatela bollire a cazzaruola scoperta, nettandola dalla schiuma,
fino al condensamento, il che si conosce dalla piccola perla che comincia a
fare lo zucchero, oppure se, versatane qualche goccia su di un piatto, non
iscorra di troppo.
Con le cotogne rimaste potete fare una conserva
come quella del n. 742, cioè con altrettanto zucchero quanto saranno di
peso dopo averle passate; ma vi prevengo che riesce poco saporita e poco
odorosa.
Le gelatine di frutta stanno bene nei vasetti di
vetro ove apparisce meglio il loro colore; come questa, per esempio, che prende
un bel colore granato.
739. GELATINA DI RIBES
Come si disse parlando del siroppo di ribes al n.
725 questo frutto contenendo molto glutine, se ne spremete il sugo da un
canovaccio e lo mettete al fuoco senza farlo fermentare con 80 parti di
zucchero bianco fine per ogni 100 di sugo, ne otterrete, senza troppo farlo
bollire, la condensazione in forma di gelatina, la quale, conservata in vasi
come le conserve, si presta a guarnir piatti dolci ed è nutrimento leggiero
e sano per i convalescenti.
740. CONSERVA DI AZZERUOLE
Le azzeruole, che in alcuni paesi chiamassi pomi
reali, sono frutta che maturano verso la fine di settembre; ve ne sono
delle rosse e delle bianche. Per la conserva preferite le bianche e scegliete
le più grosse e le più mature, cioè quelle che hanno
perduto il colore verdastro.
Azzeruole, chilogrammi l.
Zucchero bianco, grammi 800.
Acqua, decilitri 7.
Gettate le azzeruole nell'acqua bollente col loro
gambo attaccato, fatele bollire per dieci minuti e, ancora calde, con la punta
di un temperino levate loro i noccioli dalla parte del fiore e se qualcuna si
sforma rassettatela con le dita e sbucciatele senza levare il gambo. Sciogliete
lo zucchero nei
741. CONSERVA SODA DI COTOGNE
Le mamme provvide dovrebbero far buon conto delle
conserve di frutta non foss'altro per appagar qualche volta la golosità
dei loro bambini, spalmandole sopra fette di pane.
Alcuni suggeriscono di mettere le cotogne al
fuoco colla buccia onde conservino più fragranza; ma non mi sembra cosa
necessaria perché dell'odore questo frutto ne dà ad esuberanza e poi ci
si risparmia l'incomodo di passarle.
Mele cotogne, nette dalla buccia e dal torsolo,
grammi 800.
Zucchero bianco fine, grammi 500.
Sciogliete lo zucchero al fuoco con mezzo
bicchiere di acqua, fatelo bollire un poco e lasciatelo da parte.
Tagliate le mele cotogne a sottilissime fette e
mettetele al fuoco con un bicchiere d'acqua in una cazzaruola di rame. Tenetele
coperte, ma rimestatele spesso cercando di tritarle e schiacciarle col mestolo.
Quando saranno divenute tenere per cottura, versateci il già preparato
siroppo di zucchero, mescolate spesso e lasciate bollire a cazzaruola scoperta
finché la conserva sia fatta, il che si conosce quando comincia a cadere a
stracci presa su col mestolo.
742. CONSERVA LIQUIDA DI COTOGNE
Fatta nella seguente maniera si può
conservar liquida per distenderla sul pane.
Tagliate le cotogne a spicchi, levate la parte
dura del torsolo, lasciate loro la buccia e dopo averle pesate mettetele al
fuoco coperte d'acqua.
Quando saranno ben cotte passatele e rimettetele
al fuoco con l'acqua ove hanno bollito e tanto zucchero bianco in polvere quanto
era il loro peso da crude, aspettando di versarlo quando sono in bollore.
Rimestate spesso e allorché (versatane qualche gocciola in un piatto) non la
vedrete scorrer troppo, levatela.
743. CONSERVA DI ARANCI
Aranci, n. 12.
Un limone di giardino.
Zucchero bianco fine, quanto è il peso
degli aranci.
Acqua, metà del peso degli aranci.
Rhum genuino, quattro cucchiaiate.
Con le punte di una forchetta bucate tutta la
scorza degli aranci, poi teneteli in molle per tre giorni cambiando l'acqua
sera e mattina. Il quarto giorno tagliateli a metà ed ogni metà a
filetti grossi mezzo centimetro circa, gettandone via i semi. Pesateli e solo
allora regolatevi per lo zucchero e per l'acqua nelle proporzioni indicate.
Metteteli al fuoco da prima colla sola acqua e dopo dieci minuti di bollitura
aggiungete il limone tagliato come gli aranci. Subito dopo versate lo zucchero
e rimestate continuamente finché il liquido non avrà ripreso il forte
bollore, perché altrimenti lo zucchero precipita al fondo e potrebbe attaccarsi
alla cazzaruola.
Per cogliere il punto della cottura, versatene a
quando a quando qualche goccia su di un piatto, soffiateci sopra e se stenta a
scorrere levatela subito. Aspettate che sia tiepida per aggiungere il rhum, e
versatela nei vasi per custodirla come tutte le altre conserve di frutta,
avvertendovi che questa ha il merito di possedere una virtù stomatica.
Del limone si può fare anche a meno.
744. CONSERVA DI ARANCI FORTI
Vediamo se mi riesce di appagare anche coloro che
desiderano sapere come regolarsi se si trattasse di conserva di aranci forti, i
quali sanno tanto di amaro.
Fate bollire gli aranci forti nell'acqua finché
si lascino passar facilmente da parte a parte con uno stecco. Tolti dall'acqua
bollente gettateli nella fredda e teneteceli per due giorni, cambiando spesso
l'acqua. Tagliateli poi come i precedenti, nettandoli dai semi e da quei
filamenti bianchi che si trovano nell'interno. Dopo pesateli e metteteli al
fuoco senz'acqua con grammi 150 di zucchero bianco fine per ogni
745. CONSERVA DI ROSE
La rosa, questa regina dei fiori, che in Oriente
ha la sua splendida reggia, fra i molti suoi pregi non sapevo che avesse pur
quello singolare di trasformarsi in una buona e profumata conserva.
Fra le tante sue specie e varietà, quella
che io apprezzo e ammiro di più è la rosa dalla borraccina
poiché, quando i suoi boccioli cominciano a schiudersi e li considero bene,
risvegliano in me, come probabilmente negli altri, l'idea simbolica della
pudica verginella e forse furono essi che ispirarono all'Ariosto le bellissime
ottave:
La verginella è simile alla rosa,
Ch'in bel giardin sulla nativa spina
Mentre sola e sicura si riposa,
Né gregge né pastor se le avvicina:
L'aura soave e l'alba rugiadosa,
L'acqua, la terra al suo favor s'inchina;
Giovani vaghi e donne innamorate
Amano averne e seni e tempie ornate.
Ma non sì tosto dal materno stelo
Rimossa viene, e dal suo ceppo verde,
Che quanto
avea dagli uomini e dal cielo
Favor, grazia e bellezza, tutto perde.
La vergine che 'l fior, di che più zelo
Che de' begli occhi e della vita aver de',
Lascia altrui corre, il pregio ch'avea innanti
Perde nel cor di tutti gli altri amanti.
Una buona e vecchia signora, la cui memoria porto
scolpita nel cuore, coltivava a preferenza questa specie di rose nel suo
giardino, e sapendo la mia predilezione per quei vaghi e poetici fiori, ogni
anno a maggio me ne donava. La stagione più opportuna per fare questa
conserva è quando le rose sono in piena fioritura dai 15 di maggio ai 10
di giugno. Occorrono rose dette maggesi, che sono di colore roseo ed
odorose. Sfogliatele e recidete ad ogni foglia la punta gialliccia che trovasi
in fondo alla medesima gettandola via e, per far questa operazione con meno
perdita di tempo, prendete con la sinistra tutto il ciuffo, ossia la corolla
della rosa, e con la destra, armata di forbici, tagliatela giro giro poco
più sopra della base del calice. Ecco le dosi:
Zucchero bianco, fine, grammi 600.
Foglie di rose al netto, grammi 200.
Acqua, decilitri 6.
Un mezzo limone.
Breton, un cucchiaino.
Ponete le rose in una catinella con grammi 200
del detto zucchero e il sugo del mezzo limone e con le mani strofinatele,
tritatele più che potete per ridurle quasi una pasta. Sciogliete al
fuoco il resto dello zucchero nell'acqua suddetta e gettatecele per farle
bollire fino a che il siroppo sia condensato, il che si conosce se, prendendone
una goccia fra le dita, comincia ad appiccicare; ma badate che non arrivi a
fare il filo. Prima di ritirarle dal fuoco date loro il colore col breton, del
quale potete fare anche a meno, se al bel colore non ci tenete. E il breton un
liquido vegetale rosso, innocuo, così chiamato dal suo inventore, per
colorire ogni sorta di dolci.
Codesto, che vi ho descritto, è il modo
più semplice e da me preferito per fare la conserva di rose, ma le
foglie rimangono durettine. Volendole più tenere bisognerebbe farle
bollir prima nell'acqua indicata per cinque minuti, levarle, strizzarle e
pestarle nel mortaio il più possibile coi
Quando la conserva è diaccia ponetela nei
vasetti per conservarla come tutte le altre consimili.
LIQUORI
746. ROSOLIO DI PORTOGALLO
Zucchero bianco finissimo, grammi 650.
Acqua, grammi 360.
Spirito di vino a gradi
Zafferano, una presa.
Aranci, n. l.
Levate col temperino la buccia superficiale
all'arancio e ponetela nello spirito collo zafferano, entro a un vaso coperto
di carta perforata, lasciandovela per tre giorni. Versate in un altro vaso lo
zucchero nell'acqua, agitandolo di quando in quando onde si sciolga bene e nel
quarto giorno mescolate i due liquidi insieme e lasciateli in riposo per altri
otto giorni; al termine di questi passate il rosolio per pannolino, filtratelo
per carta o per cotone e imbottigliatelo.
747. ROSOLIO DI CEDRO
Zucchero bianco fine in polvere, grammi 800.
Acqua piovana oppure di fonte, litri l.
Spirito forte, decilitri 8.
Limoni di giardino alquanto verdognoli, n. 3.
Versate lo zucchero nell'acqua e agitatelo ogni
giorno finché sia sciolto. Grattate in pari tempo la scorza dei limoni e
tenetela infusa in due decilitri del detto spirito per otto giorni; per tre o
quattro giorni rimescolatela spesso, e d'inverno serbatela in luogo riparato
dal freddo. Dopo otto giorni passate l'infuso dei limoni da un pannolino
bagnato, strizzatelo bene e l'estratto mescolatelo coi restanti sei decilitri
di spirito e lasciatelo riposare per ventiquattr'ore. Il giorno appresso
mescolate ogni cosa insieme, versate il liquido in un fiasco, che a quando a quando
andrete scuotendo, e dopo quindici giorni passatelo per carta oppure più
volte per cotone. Questo va messo in fondo all'imbuto e in mezzo ad esso fateci
passare uno stecco di scopa a più rami nella parte superiore onde dia
adito al liquido di passare.
748. ROSOLIO D’ANACI
Si fa nella stessa guisa del precedente. L'infuso
invece di scorza di limone fatelo con grammi 50 d'anaci di Romagna, e dico di
Romagna perché questi, per grato sapore e forte fragranza sono, senza
esagerazione, i migliori del mondo; ma prima di servirvene gettateli nell'acqua
per nettarli dalla terra che probabilmente contengono, essendovi a bella posta
frammista per adulterar quella merce. Fu uno scellerato che io ho conosciuto,
perché era dagli onesti segnato a dito, colui il quale trovò pel primo
quella infame industria, saranno ormai sessant'anni. Coloro che seguono le sue
traccie, e sono molti, si servono di una terra cretacea del colore stesso degli
anaci, la mettono in forno a seccare, poi la vagliano per ridurla in granelli della
grossezza medesima e la mescolano a quella merce nella proporzione del 10 e
fino del 20 per cento.
Qui verrebbe opportuna una tiratina di orecchi a
coloro che adulterano per un vile e malinteso guadagno, i prodotti del proprio
paese, senza riflettere al male che fanno, il quale ridonda il più delle
volte a danno di loro stessi. Non pensano allo scredito che recano alla merce,
alla diffidenza che nasce e al pericolo di alienarsi i committenti. Ho sempre
inteso dire che l'onestà è l'anima del commercio, e Beniamino
Franklin diceva che se i bricconi conoscessero tutti i vantaggi derivanti
dall'esser onesti sarebbero galantuomini per speculazione.
La mia lunga esperienza della vita mi ha
dimostrato che l'onestà, nel commercio e nelle industrie, è la
più gran virtù per far fortuna nel mondo.
Un soldato del primo impero mi diceva di aver
letto sul barattolo di uno speziale a Mosca: Anaci di Forlì. Non
so se fuori d'Italia sieno conosciuti con questo nome; ma i territori ove si
coltiva questa pianta della famiglia delle ombrellifere, sono esclusivamente
quelli di Meldola, di Bertinoro e di Faenza, verso Brisighella.
749. ROSOLIO TEDESCO
Non vi sgomenti la composizione strana di questo
rosolio, che vi riuscirà facile alla prova, chiaro come l'acqua e di gusto
gradevole.
Spirito di vino del migliore, grammi 500.
Zucchero bianco a velo, grammi 500.
Latte, mezzo litro.
Un limone di giardino.
Mezzo baccello di vainiglia.
Sminuzzate tutto intero il limone togliendone i
semi e unendovi la buccia che avrete grattata in precedenza, dividete in
piccoli pezzetti la vainiglia, mescolate poi tutto il resto insieme entro a un
vaso di vetro e vedrete che subito il latte impazzisce. Agitate il vaso una
volta al giorno e dopo otto giorni passatelo per pannolino e filtratelo per
carta.
750. NOCINO
Il nocino è un liquore da farsi verso la
metà di giugno, quando le noci non sono ancora giunte a maturazione.
È grato di sapore ed esercita un'azione stomatica e tonica.
Noci (col mallo), n. 30.
Spirito, litri uno e mezzo.
Zucchero in polvere, grammi 750.
Cannella regina tritata, grammi 2.
Chiodi di garofano interi, 10 di numero.
Acqua, decilitri 4.
La corteccia di un limone di giardino a pezzetti.
Tagliate le noci in quattro spicchi e mettetele
in infusione con tutti i suddetti ingredienti in una damigiana od un fiasco
della capacità di quattro o cinque litri. Chiudetelo bene e tenetelo per
quaranta giorni in luogo caldo scuotendo a quando a quando il vaso.
Colatelo da un pannolino e poi, per averlo ben
chiaro, passatelo per cotone o per carta, ma qualche giorno prima assaggiatelo,
perché se vi paresse troppo spiritoso potete aggiungervi un bicchier d'acqua.
751. ELISIR DI CHINA
Non tutte le ricette che io provo le espongo al
pubblico: molte ne scarto perocché non mi sembrano meritevoli; ma questo elisir
che mi ha soddisfatto molto, ve lo descrivo.
China peruviana contusa, grammi 50.
Corteccia secca di arancio amaro contusa, grammi
5.
Spirito di vino, grammi 700.
Acqua, grammi 700.
Zucchero bianco, grammi 700.
Mescolate
dapprima grammi 250 del detto spirito con grammi 150 della detta acqua, e in
questa miscela mettete in infusione la china e la corteccia d'arancio,
tenendola in luogo tiepido una diecina di giorni, agitando il vaso almeno una
volta al giorno. Poi passatela da un pannolino strizzando forte onde n'esca
tutta la sostanza, e filtratela per carta. Fatto ciò sciogliete lo
zucchero al fuoco nei rimanenti grammi 550 di acqua senza farlo bollire e
passatelo dal setaccio, o meglio da un pannolino, per nettarlo da qualche
impurità se vi fosse. Aggiungete i rimanenti grammi 450 di spirito,
mescolate ogni cosa insieme e l'elisir sarà fatto. Prima di filtrarlo
assaggiatelo e se vi paresse troppo forte aggiungete acqua.
752. PONCE DI ARANCIO
Rhum, litri 1 1/2.
Spirito, litri 1.
Acqua, litri 1.
Zucchero bianco fine, chilogrammi l.
Sugo di tre aranci.
La buccia grattata di un limone di giardino
tenuta in infusione per tre giorni in un decilitro del detto spirito. Mettete
al fuoco l'acqua con lo zucchero e fatelo bollire per cinque o sei
minuti. Quando sarà diaccio uniteci il rhum, il sugo degli aranci e lo
spirito, compreso quello dell'infusione passato per pannolino.
Filtratelo come gli altri liquori e
imbottigliatelo. Si usa servirlo acceso in bicchierini.
GELATI
Leggevasi in un giornale italiano che l'arte del
gelare appartiene eminentemente all'Italia, che l'origine dei gelati è
antica e che i primi gelati a Parigi furono serviti a Caterina dei Medici nel
1533. Aggiungeva che il segreto restò al Louvre poiché i
pasticcieri, cucinieri e ghiacciatori fiorentini della reggia, non diedero ad
alcuno conoscenza della loro arte, di modo che i parigini attesero più
di un secolo ancora per gustare il gelato.
Per quante ricerche io abbia fatto onde appurare
tali notizie, non mi è riuscito di venirne a capo. Ciò che vi
è di positivo su tale argomento è questo, e cioè: che
l'uso delle bibite ghiacciate, con l'aiuto della neve e del ghiaccio in
conserva, è di origine orientale e rimonta alla più remota
antichità e che la moda dei gelati fu introdotta in Francia verso il
1660 da un tal Procopio Coltelli palermitano, il quale apri sotto il suo nome -
Café Procope - una bottega a Parigi di faccia al teatro della Comédie
française ed era quello il luogo di ritrovo di tutti i begli ingegni
parigini. La rapida fortuna di questo caffè, ove ai gelati si
cominciò a dar la forma di un uovo e di un ovaiuolo al bicchiere che li
conteneva, spinse i venditori di limonate e bibite diverse a imitare il suo
esempio, e fra essi va ricordato il Tortoni che colla voga dei suoi deliziosi
gelati riuscì ad avviare un caffè di fama europea e ad
arricchire.
Secondo Ateneo e Seneca attestano, gli antichi
costruivano le ghiacciaie per conservare la neve e il ghiaccio, nel modo
all'incirca che usiamo noi, cioè: scavando profondamente il terreno e
coprendo la neve e il ghiaccio, dopo averli ben pigiati, con rami di quercia e
di paglia; ma non conoscevano ancora la virtù del sale che congiunto al
ghiaccio rinforza meravigliosamente la sua azione per ridurre in sorbetti ogni
qualità di liquori.
Sarete quasi sicuri di dar nel gusto a tutti i
vostri commensali se alla fine di un pranzo offrite loro dei sorbetti, oppure
un pezzo gelato, specialmente nella stagione estiva. Il gelato, oltre ad
appagare il gusto, avendo la proprietà di richiamare il calore allo
stomaco, aiuta la digestione. Ora poi che, essendo venute in uso le sorbettiere
americane a triplice movimento senza bisogno di spatola, si può gelare
con meno impazzamento di prima e con maggiore sollecitudine, sarebbe peccato il
non ricorrere spesso al voluttuoso piacere di questa grata bevanda.
Per risparmio di spesa si può recuperare
il sale, facendo evaporare al fuoco l'acqua uscita dalla congelazione.
753. PEZZO IN GELO (BISCUIT)
Fate una crema con:
Acqua, grammi 140.
Zucchero, grammi 50.
Rossi d'uovo, n. 4.
Odore di vainiglia.
Mettetela al fuoco, rimestandola continuamente, e
quando comincerà ad attaccarsi al mestolo, levatela e montatela colla
frusta; se mettesse troppo tempo a montare, tenete la catinella sul ghiaccio,
poi versateci a poco per volta due fogli di colla di pesce sciolti al fuoco in
un gocciolo d'acqua. Montata che sia, unite alla medesima, adagino, grammi 150
di panna montata e ponete il composto in uno stampo fatto apposta pei pezzi in
gelo od anche in una cazzaruola o vaso di rame tutto coperto, lasciandolo
gelare per tre ore almeno, framezzo a un grosso strato di ghiaccio e sale. Questa
dose potrà bastare per sette od otto persone e sarà un dolce
molto gradito.
754. GELATO DI LIMONE
Zucchero bianco fine, grammi 300.
Acqua, mezzo litro.
Limoni, n. 3.
Potendo, è meglio servirsi di limoni di
giardino che hanno gusto più grato e maggiore fragranza di quelli
forestieri, i quali sanno spesso di ribollito.
Fate bollire lo zucchero nell'acqua, con qualche
pezzetto di scorza di limone, per 10 minuti a cazzaruola scoperta. Quando
questo siroppo sarà diaccio, spremetegli dentro i limoni, uno alla
volta, assaggiando il composto per regolarvi coll'agro; passatelo e versatelo
nella sorbettiera.
Questa dose potrà bastare per sei persone.
755. GELATO DI FRAGOLE
Fragole ben mature, grammi 300.
Zucchero bianco fine, grammi 300
Acqua, mezzo litro.
Un grosso limone di giardino.
Un arancio.
Fate bollire lo zucchero nell'acqua per 10 minuti
a cazzaruola scoperta. Passate dallo staccio le fragole e il sugo dell'arancio
e del limone, aggiungete il siroppo dopo aver passato anche questo, mescolate
ogni cosa e versate il composto nella sorbettiera.
Questa dose potrà bastare per otto
persone.
756. GELATO DI LAMPONE
Il lampone essendo un frutto che, ad eccezione
del suo aroma tutto speciale, è quasi identico alla fragola, per gelarlo
regolatevi nella stessa guisa ed escludete l'arancio.
757. GELATO DI PESCHE
Pesche burrone ben mature, del peso, compreso il
nocciolo, di grammi 400.
Zucchero, grammi 250.
Acqua, mezzo litro.
Un limone di giardino.
Tre anime tolte dai noccioli delle medesime.
Queste pestatele fra lo zucchero e mettetele a
bollire nell'acqua per 10 minuti. Passate la polpa delle pesche, strizzateci il
limone e, mescolato ogni cosa, tornate a passare il tutto da uno staccio ben
fitto.
Potrà bastare per sei persone.
758. GELATO DI ALBICOCCHE
Albicocche saporose e ben mature, pesate col
nocciolo, grammi 300.
Zucchero
bianco fine, grammi 200.
Acqua, mezzo litro.
Un limone di giardino.
Fate bollire
lo zucchero nell'acqua per 10 minuti, uniteci, quando è diaccio, la
polpa delle albicocche passata dallo staccio e il sugo del limone, Tornate a
passare il composto avanti di metterlo nella sorbettiera.
Questa è una dose abbondante per quattro
persone.
759. GELATO DI CREMA
Servitevi della ricetta n. 685, e cioè
fate una crema con
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 200.
Rossi d'uovo, n. 8.
Odore di vainiglia.
Sentirete un gelato squisito, mantecato e ben
sodo, se saprete manipolarlo.
Questa dose potrà bastare per dieci
persone.
Invece dell'odore di vainiglia potete dare alla
crema quello de' coriandoli o del caffè bruciato o della mandorla
tostata. Pei coriandoli, vedi Latte alla portoghese, n. 693; pel
caffè fatene bollire a parte nel latte diversi chicchi contusi, per la
mandorla tostata fate un poco di Croccante come quello del n. 617, alquanto
più cotto, con grammi 100 di mandorle e grammi 80 di zucchero; pestatelo
fine, fatelo bollire a parte in un poco di latte, passatelo ed unitelo alla
crema.
760. GELATO DI AMARETTI
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 200.
Amaretti, grammi 100.
Rossi d'uovo, n. 6.
Odore di zucchero vanigliato.
Pestate finissimi nel mortaio gli amaretti e dopo
poneteli in una cazzaruola unendoci lo zucchero, i rossi e l'odore; mescolate e
versateci il latte a poco per volta. Mettete la cazzaruola al fuoco per
condensare il composto come fareste per la crema, indi versatelo nella
sorbettiera per gelarlo.
Sentirete un gelato squisito che può
bastare, a buona misura, per otto persone. La metà dose può
servire per quattro ed anche per cinque persone.
761. GELATO DI CIOCCOLATA
Latte, un litro.
Cioccolata fine, grammi 200.
Zucchero, grammi 100.
Grattate la cioccolata e mettetela al fuoco collo
zucchero e con quattro decilitri del detto latte in una cazzaruola ove stia
ristretta. Fatela bollire per qualche minuto, frullandola sempre onde si
affini. Ritiratela dal fuoco, aggiungete il resto del latte e versate il
composto nella sorbettiera quando sarà ghiaccio.
Anche questa dose potrà bastare per dieci
persone. Se volete questo gelato più sostanzioso portate la dose dello
zucchero a
latte.
762. GELATO DI CILIEGE VISCIOLE
Ciliege visciole, chilogrammi 1.
Zucchero, grammi 250.
Acqua, decilitri 2.
Odore di cannella.
Levate i noccioli a grammi 150 delle dette
ciliege senza guastarle troppo e mettetele al fuoco con grammi 50 del detto
zucchero e con un pezzetto di cannella intera, che poi getterete via. Quando
saranno siroppate, cioè quando avranno perduto il crudo e le vedrete
aggrinzite, mettetele da parte. Guastate colle mani i restanti grammi 850 di
ciliege, pestate nel mortaio un pugnello de' loro noccioli e rimetteteli
tramezzo. Passate poche per volta da un canovaccio, strizzando forte, queste
ciliege disfatte, per estrarne il sugo, e gli scarti che restano metteteli al
fuoco per dissugarli coi suddetti due decilitri d'acqua, fateli bollire 4 o 5
minuti, poi passateli dallo stesso canovaccio ed il liquido estratto unitelo al
precedente. Mettete tutto questo sugo al fuoco con due prese di cannella in
polvere e quando sarà per alzare il bollore versate i restanti
Questa dose basterà per otto persone.
763. GELATO DI ARANCI
Aranci grossi, n. 4.
Limoni di giardino, n. l.
Acqua, decilitri 6.
Zucchero, grammi 300.
Strizzate gli aranci e il limone e passatene il
sugo. Fate bollire lo zucchero nell'acqua per 10 minuti, versatelo nel sugo,
passate il composto dallo staccio un'altra volta e ponetelo nella sorbettiera.
Servitelo in bicchierini a calice colla colmatura, o tutto in un pezzo.
Questa dose basterà per otto persone.
764. GELATO DI RIBES
Ve lo do, nel suo genere, per un gelato senza
eccezione.
Ribes, grammi 500.
Zucchero, grammi 300.
Ciliege more, grammi 150.
Acqua, mezzo litro.
Un grosso limone di giardino.
Disfate colle mani il ribes e le ciliege,
aggiungete il sugo del limone e passate il tutto dallo staccio spremendo bene.
Fate bollire lo zucchero nell'acqua per 10 minuti a cazzaruola scoperta per
ottenere il siroppo, e quando sarà diaccio mescolatelo nel composto
descritto e versatelo nella sorbettiera. Potrà bastare per sette od otto
persone, servendolo in bicchierini. Le ciliege, oltre al sapore loro speciale,
servono a dare al gelato più bel colore.
765. GELATO DI TUTTI I FRUTTI
Di tutti i frutti per modo di
dire, ma bastano tre o quattro qualità, come vedete nella seguente
ricetta, sufficiente per quattro persone.
Zucchero, grammi 200.
Albicocche ben mature, pesate col nocciolo,
grammi 100.
Lampone, grammi 100.
Ribes, grammi 100.
Cedro candito, grammi 20.
Acqua, mezzo litro.
Fate bollire lo zucchero nell'acqua per dieci
minuti, uniteci dopo la polpa delle dette frutta passata dallo staccio, poi il
cedro candito tagliato a pezzettini.
Invece delle albicocche possono servire le pesche
burrone, e al ribes si possono sostituire le fragole.
766. GELATO DI BANANE
Il banano, musa paradisiaca di Linneo, nel
suo paese nativo è volgarmente chiamato Fico di Adamo, o
Albero del paradiso terrestre perché il volgo crede che quello fosse il
famoso frutto proibito e che le sue ampie foglie abbiano servito a coprire la
nudità di Adamo ed Eva dopo il peccato della disubbidienza.
Nasce nelle due Indie ed il suo frutto è
in forma di un grosso baccello simile, in apparenza, ad un cetriuolo di buccia
verde, ma liscia, triangolare e falcata. La sua polpa interna è di
sapore delicato, ma quando non è giunta ancora a perfetta
maturità ha un'azione alquanto astringente; per farne gelati scegliete
frutti di buccia giallognola, che allora sono maturi.
Eccovi le dosi di un gelato che ha servito per
sei persone.
Banane, n. 4, che sono riuscite, nette dal
guscio, grammi 240.
Zucchero bianco, grammi 200.
Un limone di giardino.
Acqua, mezzo litro.
Passate la polpa delle banane dallo staccio,
aggiungete a questa il sugo del limone, fate bollire lo zucchero nell'acqua per
cinque minuti a cazzaruola scoperta, mescolate ogni cosa insieme e versate il
composto nella sorbettiera, non facendo economia di ghiaccio e sale.
767. GELATO DI PISTACCHI
Latte, decilitri 8.
Zucchero, grammi 150.
Pistacchi, grammi 50.
Rossi d'uovo, n. 6.
I pistacchi sbucciateli coll'acqua calda e
pestateli finissimi con una cucchiaiata del detto zucchero, poi metteteli in
una cazzaruola coi rossi d'uovo e lo zucchero, rimestando il tutto ben bene.
Aggiungete il latte e ponete il composto al fuoco girando il mestolo, e quando
sarà condensato come la crema versatelo diaccio nella sorbettiera.
Questa dose potrà bastare per otto persone. Certuni usano di abbrustolire
i pistacchi; io non lo approvo perché perdono il loro gusto particolare.
Mi dicono che, per rinforzare a questo gelato il
color verde dei pistacchi, si usa di unirvi un poco di bietola lessata e
passata dallo staccio.
768. GELATO DI TORRONE
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 250.
Zucca rossa candita, grammi 40.
Cedro candito, grammi 30-
Mandorle, grammi 30.
Pistacchi, grammi 20.
Rossi d'uovo, n. 4.
Odore di vainiglia.
Fate una crema col latte, lo zucchero e i rossi
d'uovo, dandole l'odore della vainiglia, e versatela nella sorbettiera. Quando
sarà gelata mescolateci dentro gl'ingredienti suddetti. I pistacchi e le
mandorle sbucciateli nell'acqua calda; quelli divideteli in tre parti e queste
tritatele alla grossezza di una veccia e tostatele. Il candito tagliatelo a
laminette e la zucca a dadi grossetti, che essendo rossi faranno più
bella mostra.
Se il latte è buono, facendolo bollire per
mezz'ora collo zucchero dentro, si può far senza dei rossi d'uovo, ma il
composto verrà allora di meno sapore.
Le mandorle in questo e in simili casi vengono
meglio tostate nella seguente maniera. Spellate e tritate che sieno mettetele
al fuoco con una cucchiaiata del detto zucchero e un gocciolo d'acqua,
rimestatele continuamente e quando avranno preso colore fermatele con un altro
gocciolo di acqua; versatele quindi in un colino sopra lo zucchero rimasto e
servitevene.
769. GELATO DI MARRONI
È un gelato ordinario; ma piace, come per
lo più piace a tutti il sapore della castagna, e perciò lo
descrivo.
Marroni, grammi 200.
Zucchero, grammi 150.
Latte, mezzo litro.
Odore di vainiglia.
Mettete a bollire i marroni nell'acqua come per
farne delle ballotte. Ben cotti, nettateli dalle due buccie e passate la polpa
dallo staccio. Questa mettetela al fuoco col latte e lo zucchero e fatela
bollire adagio e a cazzaruola scoperta per un quarto d'ora. Date al composto
l'odore collo zucchero vanigliato e versatelo nella sorbettiera. Mandatelo in tavola
tutto in un pezzo e se dovesse servire per nove o dieci persone raddoppiate la
dose.
770. PONCE ALLA ROMANA
Per sei persone.
Questa specie di gelato è di uso recente
ne' grandi pranzi e si suole servire avanti all'arrosto perché aiuta la
digestione e predispone lo stomaco a ricevere senza nausea il restante dei
cibi.
Zucchero, grammi 450.
Acqua, decilitri 5.
Aranci, n. 2.
Limoni, n. 2.
Chiare d'uovo, n. 2.
Rhum, un bicchierino.
Odore di vainiglia.
Fate bollire per cinque o sei minuti grammi 250
del detto zucchero in
Mettete al fuoco i restanti grammi 200 di
zucchero nel decilitro d'acqua rimasto, dategli l'odore della vainiglia, e
fatelo bollire fino al punto che versandone una goccia in un piatto resti
rotonda, e presa fra le dita faccia le fila; ma prima avrete montate ben ferme
le due chiare, sulle quali verserete lo zucchero così a bollore,
battendole, per formare una pasta unita che getterete, quando sarà
diaccia, fra il gelato già pronto, mescolando bene; sul punto di servirlo
aggiungete il rhum e mandatelo in tavola nei bicchierini.
771. SPUMONE DI THE
Panna montata, come quella che preparano i
lattai, grammi 250.
Acqua, grammi 200.
Zucchero, grammi 100.
The del più buono, grammi 15.
Rossi d'uovo, n. 3.
Colla di pesce, fogli 3.
Versate l'acqua bollente sul the e tenetelo
così infuso, in istato quasi di ebollizione, per 40 minuti. Poi
passatelo da un pannolino, strizzando forte per estrarne tutto il sapore, e
vedrete che apparirà nero come il caffè.
Con questo liquido, coi rossi d'uovo e con lo
zucchero farete una crema come quella del n. 753, e regolandovi nella stessa
guisa, aggiungerete la colla, poi unirete la crema alla panna montata
mescolando adagio e, versato il composto in una forma da gelati, la porrete fra
il ghiaccio e il sale come il biscuít.
Potrà bastare per otto persone.
772. MACEDONIA
Ben venga la signora Macedonia, che io
chiamerei con nome paesano Miscellanea di frutta in gelo, la quale
sarà gradita specialmente negl'infuocati mesi di luglio e di agosto.
Per far questo dolce, se non potete servirvi di
uno stampo da gelati, occorre un vaso di bandone in forma di gamella o di
tegamino, col suo coperchio che chiuda ermeticamente.
Prendete molte varietà di frutta della
stagione, matura e di buona qualità, e cioè: ribes, fragole,
lampone, ciliege, susine, albicocche, una pesca, una pera e, cominciando dalle
ciliege, tutte le dette frutta sbucciatele e tagliatele a fettine piccole come
i semi di zucca all'incirca, gettando via i torsoli e i noccioli. Del ribes pochissimo
perché ha semi troppo grossi e duri; invece sarebbe bene unirvi un po' di
popone odoroso.
Preparate le frutta in codesto modo, pesatele e,
ammesso che sieno in tutto grammi 500, spargeteci sopra grammi 100 di zucchero
a velo e il sugo di un limone di giardino. Mescolatele e lasciatele per
mezz'ora in riposo.
Ponete un foglio di carta in fondo al detto vaso
di bandone, riempitelo distendendovi le frutta pigiate alquanto, chiudetelo e
collocatelo in un bigonciolo framezzo a ghiaccio e sale, che vi resti tutto
coperto per diverse ore. Se non si sforma naturalmente bagnatelo con acqua
calda e servitelo che vedrete farà bella mostra di sé come un pezzo duro
gelato e marmorizzato.
Questa è una dose per quattro o cinque
persone.
773. GELATO DI LATTE DI MANDORLE
Descrivo per voi, signore di gusto delicato e
fine, il seguente gelato, nella persuasione che lo aggradirete molto; ed avendo
spesse volte rivolto a voi il pensiero nel compor questi piatti, onde
interpretare e sodisfare anche il gusto vostro, così non posso
distaccarmi da voi senza augurarvi che conserviate a lungo gl'invidiabili pregi
della florida salute e della bellezza.
Zucchero, grammi 200.
Mandorle dolci con 4 o 5 amare, grammi 150.
Acqua, decilitri 8.
Panna, decilitri 2.
Odore di acqua di fior d'arancio o di coriandoli.
Fate bollire lo zucchero nell'acqua per dieci
minuti con entro i coriandoli, come nel Latte alla portoghese, n. 693, se per
l'odore vi servite di essi. Sbucciate le mandorle, pestatele finissime nel
mortaio diluendole con qualche cucchiaiata del siroppo ottenuto e mescolatele
al medesimo. Poi passatele da un pannolino rado strizzando bene onde estrarre
dalle mandorle tutta la sostanza possibile, ripetendo più volte
l'operazione del mortaio, se occorre. Unite la panna al liquido spremuto,
gelatelo nella sorbettiera e quando sarà ben sodo servitelo in
bicchierini.
Questa dose potrà bastare per nove o dieci
persone.
774. ZORAMA
Se vi piacesse di fare un pezzo in gelo,
marmorizzato di bianco e nero, eccovi la maniera:
Primieramente mettete in molle nell'acqua fresca
tre fogli di colla di pesce e frattanto preparate una crema con:
Zucchero, grammi 100.
Cioccolata in polvere, grammi 80.
Rossi d'uovo, n. 3.
Latte, decilitri 3
Diaccia che sia uniteci le tre chiare montate e
dopo grammi 150 di panna montata, come quella che preparano i lattai,
mescolando in modo che il bianco di questa apparisca sparso qua e là.
Poi sciogliete al fuoco in un gocciolo d'acqua i detti tre fogli di colla di
pesce e questo liquido così caldo spargetelo sul composto mescolando.
Indi versatelo nello stampo da gelati o in altro vaso bagnato di rosolio e
chiuso ermeticamente, tenendolo per tre o quattro ore contornato e coperto con
molto ghiaccio frammisto a sale.
Può bastare per otto persone.
775. CAFFÈ-LATTE GELATO
Nei grandi calori estivi si può gustar con
piacere un caffè col latte condensato a granita, nelle proporzioni
seguenti:
Latte, un litro.
Caffè, mezzo litro.
Zucchero, grammi 300 che, messo nel latte, potete
sciogliere al fuoco.
Versate il composto nella sorbettiera, come per i
gelati in genere, e servitelo, quando sarà assodato, in tazze o
bicchierini.
COSE DIVERSE
776. CAFFÈ
V'è chi ritiene il caffè originario
della Persia, chi dell'Etiopia e chi dell'Arabia Felice; ma di qualunque posto
sia, è certamente una pianta orientale sotto forma di un arboscello
sempre verde il cui fusto si innalza dai 4 ai
Questa preziosa bibita che diffonde per tutto il
corpo un giocondo eccitamento, fu chiamata la bevanda intellettuale, l'amica
dei letterati, degli scienziati e dei poeti perché, scuotendo i nervi,
rischiara le idee, fa l'immaginazione più viva e più rapido il
pensiero.
La bontà del caffè mal si conosce
senza provarlo, e il color verde, che molti apprezzano, spesso gli vien dato
artificialmente.
La tostatura merita un'attenzione speciale
poiché, prescindendo dalla qualità del caffè, dipende dalla
medesima la più o meno buona riuscita della bibita. Meglio è
dargli il calore gradatamente e perciò è da preferirsi la legna
al carbone, perché meglio si può regolare. Quando il caffè
comincia a crepitare e far fumo, scuotete spesso il tostino e abbiate cura di
levarlo appena ha preso il color castagno-bruno e avanti che emetta l'olio;
quindi non disapprovo l'uso di Firenze, nella qual città, per arrestarne
subito la combustione, lo si distende all'aria; e pessima giudico l'usanza di
chiuderlo tosto fra due piatti, perché in codesto modo butta l'olio essenziale
e l'aroma si sperde. Il caffè perde nella tostatura il 20 per cento del
suo peso, cosicché gr. 500 devono tornare gr. 400.
Come diverse qualità di carne fanno il
brodo migliore, così da diverse qualità di caffè, tostate
separatamente, si ottiene un aroma più grato. A me sembra di ottenere
una bibita gratissima con gr. 250 di Portorico, 100 di San Domingo e 150 di
Moka. Anche gr. 300 di Portorico con 200 di moka danno un ottimo resultato. Con
gr. 15 di questa polvere si può fare una tazza di caffè abbondante;
ma quando si è in parecchi, possono bastare gr.
Coloro a cui l'uso del caffè cagiona
troppo eccitamento ed insonnia, faranno bene ad astenersene od usarne con
moderazione; possono anche correggerne l'efficacia con un po' di cicoria od
orzo tostato. L'uso costante potrebbe neutralizzare l'effetto, ma potrebbe
anche nuocere, essendovi de' temperamenti tanto eccitabili da non essere
correggibili, e a questo proposito un medico mi raccontava di un campagnuolo il
quale, quelle rare volte che prendeva un caffè, era colto da
un'indisposizione che presentava tutti i sintomi di un avvelenamento. Ai
ragazzi poi l'uso del caffè sarebbe da vietarsi assolutamente.
Il caffè esercita un'azione meno eccitante
ne' luoghi umidi e paludosi ed è forse per questa ragione che i paesi
ove se ne fa maggior consumo in Europa sono il Belgio e l'Olanda. In Oriente,
ove si usa di ridurlo in polvere finissima e farlo all'antica per beverlo
torbo, il bricco, nelle case private, è sempre sul focolare.
Su quanto dice il prof. Mantegazza, cioè
che il caffè non favorisce in modo alcuno la digestione, io credo
che sia necessario di fare una distinzione. Egli forse dirà il vero per
coloro a cui il caffè non eccita punto il sistema nervoso; ma quelli a
cui lo eccita e porta la sua azione anche sul nervo pneumogastrico, è un
fatto innegabile che digeriscono meglio, e l'uso invalso di prendere una tazza
di buon caffè dopo un lauto desinare n'è la conferma. Preso poi
la mattina a digiuno pare che sbarazzi lo stomaco dai residui di una imperfetta
digestione e lo predisponga a una colazione più appetitosa. Io, per esempio,
quando mi sento qualche imbarazzo allo stomaco non trovo di meglio, per
ismaltirlo, che andar bevendo del caffè leggermente indolcito ed
allungato coll'acqua, astenendomi dalla colazione.
E se noiosa ipocondria t'opprime
O troppo intorno alle vezzose membra
Adipe cresce, de' tuoi labbri onora
La nettarea bevanda ove abbronzato
Fuma ed arde il legume a te d'Aleppo
Giunto, e da Moka che di mille navi
Popolata mai sempre insuperbisce.
Venezia pe'
suoi rapporti commerciali in Oriente fu la prima a far uso del caffè in
Italia, forse fin dal secolo XVI; ma le prime botteghe da caffè furono
colà aperte nel 1645; indi a Londra e poco dopo a Parigi ove una libbra
di caffè si pagava fino a 40 scudi.
L'uso si andò poi via via generalizzando e
crescendo fino all'immenso consumo che se ne fa oggigiorno; ma due secoli
addietro il Redi nel suo Ditirambo cantava:
Beverei prima il veleno
Che un bicchier che fosse pieno
Dell'amaro e reo caffè.
e un secolo
fa, pare che l'uso in Italia ne fosse tuttora ristretto se a Firenze non si
chiamava ancora caffettiere, ma acquacedrataio colui che vendeva cioccolata,
caffè e altre bibite.
Goldoni, nella commedia La sposa persiana, dice
per bocca di Curcuma, schiava:
Ecco il caffè, signore, caffè in
Arabia nato,
E dalle carovane in Ispaan portato.
L'arabo certamente sempre è il
caffè migliore;
Mentre spunta da un lato, mette dall'altro il
fiore.
Nasce in pingue terreno, vuol ombra, o poco sole.
Piantare ogni tre anni l'arboscel si suole.
Il frutto non è vero, ch'esser debba
piccino,
Anzi dev'esser grosso, basta sia verdolino,
Usarlo indi conviene di fresco macinato,
in luogo caldo e asciutto, con gelosia guardato.
... A farlo vi vuol poco;
Mettervi la sua dose, e non versarlo al fuoco.
Far sollevar
la spuma, poi abbassarla a un tratto
Sei, sette volte almeno, il caffè presto
è fatto.
777. THE
La coltivazione del the è quasi esclusiva
della China e del Giappone ed è per quegli Stati uno de' principali
prodotti di esportazione. I the di Giava, delle Indie e del Brasile sono
giudicati di qualità assai inferiore.
Le sue foglioline, accartocciate e disseccate per
esser messe in commercio, sono il prodotto di un arbusto ramoso e sempre verde
che non si eleva in altezza più di due metri. La raccolta della foglia
ha luogo tre volte all'anno: la prima nell'aprile, la seconda al principio
dell'estate e la terza verso la metà dell'autunno.
Nella prima raccolta le foglie, essendo piccole e
delicatissime, perché spuntate da pochi giorni, danno il the imperiale, che
rimane sul luogo per uso dei grandi dell'impero; la terza raccolta in cui le
foglie hanno preso il massimo sviluppo, riesce di qualità inferiore.
Tutto il the che circola in commercio si divide
in due grandi categorie: the verde e the nero. Queste poi si suddividono in
molte specie: ma le più usitate sono il the perla, il souchong,
e il pekoe a coda bianca il cui odore è il più
aromatico e il più grato. Il the verde essendo ottenuto con
un'essiccazione più rapida che impedisce la fermentazione, è
più ricco di olio essenziale, quindi più eccitante e però
è bene astenersene o usarlo in piccola dose frammisto al nero.
Nella China l'uso del the risale a molti secoli
avanti l'êra cristiana; ma in Europa fu introdotto dalla Compagnia
olandese delle Indie orientali sul principio del secolo XVI; Dumas padre dice
che fu nel 1666 sotto il regno di Luigi XIV che il the, dopo una opposizione
non meno viva di quella sostenuta dal caffè, s'introdusse in Francia.
Il the si fa per infusione e ritiensi che meglio
riesca nelle theiere, di metallo inglese. Un cucchiaino colmo è
dose più che sufficiente per una tazza comune. Gettatelo nella
theiera, che avrete prima riscaldata con acqua a bollore e versategli sopra
tant'acqua bollente che lo ricopra soltanto e dopo cinque o sei minuti, che
bastano per sviluppare la foglia, versate il resto dell'acqua in ebollizione,
mescolate e dopo due o tre minuti l'infusione è fatta. Se la lasciate
lì troppo, diventa scura e di sapore aspretto perché si dà tempo
a sciogliere l'acido tannico delle foglie che è un astringente;
però, se durante la prima operazione avete modo di tener la theiera sopra
il vapore dell'acqua bollente, estrarrete dal the maggior profumo, ma se
paresse troppo forte si può allungare con acqua bollente.
L'uso del the in alcune provincie d'Italia,
specie ne' piccoli paesi, è raro tuttora. Non sono molti anni che io
mandai un giovane mio servitore ai bagni della Porretta per vedere se imparava
qualche cosa dell'abile maestria dei cuochi bolognesi; e se è vero quanto
egli mi riferì, capitarono là alcuni forestieri che chiesero il
the; ma di tutto essendovi fuorché di questo, fu subito ordinato a Bologna. Il
the venne, ma i forestieri si lagnarono che l'infusione non sapeva di nulla. O
indovinate il perché? Si faceva soltanto passar l'acqua bollente attraverso le
foglie che si ponevano in un colino. Il giovine, che tante volte lo aveva fatto
in casa mia, corresse l'errore e allora fu trovato come doveva essere.
Anche il the eccita i nervi e cagiona l'insonnia;
ma la sua azione, nella maggior parte de' casi, è meno efficace di
quella del caffè e direi anche meno poetica ne' suoi effetti perché a me
sembra che il the deprima e il caffè esalti. Però la foglia
chinese ha questo di vantaggio sopra la grana d'Aleppo, e cioè, che
esercitando un'azione aperitiva sulla pelle, fa sopportare meglio il freddo nel
rigido inverno; per questo, chi può fare a meno di pasteggiar col vino
nella colazione alla forchetta, troverebbe forse nel the, solo o col latte, una
bevanda delle più deliziose. Io uso un the misto: metà Souchong e
metà Pekoe.
778. CIOCCOLATA
Non è facil cosa il contentar chiunque e
meno che mai in questa materia, tanti e sì vari essendo i gusti delle
persone. Non avrei potuto supporre che un signore avesse notato in questo mio
libro una lacuna che il tormentava. “Come si fa - diceva egli - a spender tante
parole in lode del caffè e del the e non rammentare il cibo degli
Dei, la cioccolata che è la mia passione, la mia bibita
prediletta?”. Dirò a quel signore che dapprima non ne avevo parlato
perché, se avessi dovuto raccontarne la storia e le adulterazioni dei
fabbricanti nel manipolarla, troppo mi sarei dilungato e perché tutti,
più o men bene, una cioccolata a bere la sanno fare.
L'albero del cacao (Theobroma caccao)
cresce naturalmente nell'America meridionale, in particolare al Messico ove si
utilizzavano i suoi frutti, come cibo e come bevanda, da tempo immemorabile ed
ove fu conosciuto dagli Spagnuoli la prima volta che vi approdarono.
Le due qualità più stimate sono il
cacao Caracca e il Marignone che mescolate insieme nelle debite proporzioni,
dànno una cioccolata migliore. Per garantirsi sulla qualità non
c'è che sfuggire l'infimo prezzo e dare la preferenza ai fabbricanti
più accreditati. Per una tazza abbondante non occorrono meno di grammi
60 di cioccolata, sciolta in due decilitri di acqua; ma possono bastare grammi
50 se la preferite leggera, e portar la dose fino a grammi 80 se la desiderate
molto consistente.
Gettatela a pezzetti nella cioccolatiera con
l'acqua suddetta e quando comincia ad esser calda rimuovetela onde non si
attacchi e si sciolga bene. Appena alzato il bollore ritiratela dal fuoco e per
cinque minuti frullatela. Poi fate che alzi di nuovo il bollore e servitela.
Come alimento nervoso eccita anch'essa l'intelligenza ed aumenta la
sensibilità; ma, ricca d'albumina e di grasso (burro di cacao), è
molto nutritiva, esercita un'azione afrodisiaca e non è di tanto facile
digestione, perciò si usa aromatizzarla con cannella o vainiglia. Chi ha
lo stomaco da poterla tollerare “la cioccolata conviene - dice il professor
Mantegazza - ai vecchi, ai giovani deboli e sparuti, alle persone prostrate da
lunghe malattie e da abusi della vita”. Per chi lavora assai col cervello e non
può stancare il ventricolo di buon mattino con una succolenta colazione,
il cacao offre un eccellente cibo mattutino.
779. FRUTTA IN GUAZZO
A chi piace le frutta in guazzo, può
riuscire gradito il seguente modo di confezionarle.
Cominciate dalle prime che appariscono in
primavera, cioè: dalle fragole, dal ribes e dai lamponi, e ponetene in
un vaso 50 o
Potete mettervi anche uva spina, uva salamanna e
qualche pera gentile; ma poi assaggiate il liquido per aggiungere zucchero od
acquavite, a tenore del vostro gusto.
Formato il vaso, lasciatelo in riposo per qualche
mese prima di servirvene.
780. PESCHE NELLO SPIRITO
Pesche cotogne, non troppo mature, chilogrammi 1.
Zucchero bianco, grammi 440.
Acqua, un litro.
Cannella intera, un pezzo lungo un dito.
Alcuni chiodi di garofano.
Spirito di vino quanto basta.
Saprete che la pesca cotogna è quella
rosso-giallo o semplicemente giallastra, con la polpa attaccata al nocciolo.
Strofinatele con un canovaccio per levar loro la
lanugine e bucatele in cinque o sei punti con uno stecchino. Fate bollire per
venti minuti lo zucchero nell'acqua a cazzaruola scoperta e poi gettateci le
pesche intere, rimovendole spesso se il siroppo non le ricopre, e quando
avranno bollito cinque minuti, contando dal momento che hanno ripreso il
bollore, levatele asciutte.
Allorché le pesche e il siroppo saranno diacci, o
meglio il giorno appresso, collocatele in un vaso di cristallo, oppure in uno
di terra invetriato e nuovo, versateci sopra il siroppo e tanto spirito di vino
o cognac che le sommerga e le dosi a giusta misura. Aggiungete gli aromi
indicati e procurate che restino sempre coperte dal liquido, versandone,
occorrendo, dell'altro in appresso.
Tenete chiuso il vaso ermeticamente e cominciate
a mangiarle non prima che sia trascorso un mese.
781. PESCHE IN GHIACCIO
È l'unica ricetta di questa raccolta che
non ho provato perché, quando una signora inglese venne spontaneamente ad
offrirmela, la stagione delle pesche era passata e il tempo incalzava per la
presente ristampa. La signora me la raccomandò assicurandomi che era
molto gradita ne' suoi paesi e perciò azzardo di pubblicarla.
Si prendono pesche spicche, mature e sane, si
gettano due alla volta, per un minuto, nell'acqua bollente e, tolte dall'acqua,
si sbucciano senza toccar la polpa. Poi s'involtano molto e bene nello zucchero
bianco in polvere e si collocano in un bolo, ossia in un vaso fondo e decente;
indi si prendono tanti quadretti di zucchero quante sono le pesche, si
strofinano sulla buccia di un limone di giardino maturo, finché ogni quadretto
siasi impregnato dell'essenza del limone e si nascondono fra le pesche. Si
lasciano così accomodate per due ore almeno (il più non guasta) e
prima di portare il vaso in tavola si tiene tutto chiuso e coperto fra molto
ghiaccio per due o tre ore. Ritornata la stagione delle pesche non ho mancato
di mettere in prova questa ricetta e posso dirvi subito che essa ha del merito.
Io mi sono servito di un vaso di metallo, di zucchero a velo a buona misura ed
ho sparso sale fra il ghiaccio.
782. CILIEGE VISCIOLE IN GUAZZO
Queste ciliege, così conciate, non hanno
bisogno di spirito, che lo fanno da sé.
Ciliege visciole, chilogrammi l.
Zucchero bianco, grammi 300.
Un pezzetto di cannella.
Dalle suddette ciliege separatene grammi 200
delle più brutte o guaste, estraetene il sugo e passatelo. Le altre,
levato il gambo, mettetele a strati in un vaso di cristallo: uno di esse e uno
di zucchero, poi versateci sopra il detto sugo. Levate le anime a una parte dei
noccioli delle ciliege disfatte ed anche queste e la cannella gettatele nel
vaso, chiudetelo e non lo muovete per due mesi almeno. Vedrete che lo zucchero
a po' per volta si scioglierà e le ciliege dapprima staranno a galla del
liquido, poi questo convertendosi in alcool le ciliege cadono al fondo e allora
sono mangiabili e buone.
783. RIBES ALLA FRANCESE
Preparate una soluzione leggiera di gomma arabica
in polvere sciolta nell'acqua. Prendete su colle dita il ribes crudo nei suoi
grappolini, tuffateli uno alla volta nella soluzione e spolverizzateli di
zucchero cristallino in polvere, ma non a velo. Disposti poi in un piatto, quel
fondo rosso brillantato farà di sé bella mostra fra le frutta di un
pranzo e sarà molto gustato dalle signore.
Potrete anche tramezzare il ribes rosso col
bianco.
784. PONCE ALLA PARIGINA
Questo è un ponce corroborante che
può venire opportuno quando, fra un pasto e l'altro, vi sentiste mancar
lo stomaco.
Prendete una tazza del contenuto di due decilitri
circa; frullateci dentro un rosso d'uovo con due cucchiaini di zucchero durando
finché sia divenuto quasi bianco. Aggiungete allora, dosandolo a piacere, due o
tre cucchiaiate di cognac, di rhum o di altro liquore che più vi gusti e
riempite la tazza di acqua bollente, versata poco per volta continuando a
frullare per fargli fare la spuma.
785. MANDORLE TOSTATE
Mandorle dolci, grammi 200.
Zucchero, grammi 200.
Le mandorle strofinatele con un canovaccio, poi
mettete al fuoco in una cazzaruola non istagnata il detto zucchero con due dita
(di bicchiere) d'acqua e allorché sarà sciolto versate le mandorle
rimestandole continuamente e quando le sentirete scoppiettare ritirate la
cazzaruola sull'orlo del fornello e vedrete che lo zucchero si rappiglia e
divien sabbioso. Allora levatelo e separate le mandorle dallo zucchero; poi la
metà di questo zucchero rimettetelo al fuoco con altre due dita d'acqua
e quando getterà l'odore di caramella versateci le dette mandorle,
rimestate e, tirato che avranno lo zucchero, levatele. Poi mettete al fuoco
l'altra metà dello zucchero rimasto, con altre due dita d'acqua, e
ripetete per la terza volta l'operazione che sarà l'ultima. Versate le
mandorle in un piatto e separate quelle che si saranno attaccate insieme.
Sono buonissime anche senza nessun odore, ma
piacendovi potete dar loro il profumo della vainiglia con zucchero vanigliato,
oppure il gusto della cioccolata con grammi 30 di questa grattata; ma l'uno o
l'altra sarà bene versarli all'ultimo momento.
786. OLIVE IN SALAMOIA
Ci saranno forse metodi più recenti e
migliori per fare le olive in salamoia; ma quello che qui vi offro è
praticato in Romagna con ottimo risultato.
Eccovi le proporzioni per ogni chilogrammo di
olive:
Cenere, chilogrammi l.
Calce viva, grammi 80,
Sale, grammi 80.
Acqua per la salamoia, decilitri 8
Si dice viva la calce quando, dopo averla
leggermente bagnata coll'acqua, in forza di un'azione chimica, si screpola, si
riscalda, fuma, si gonfia e cade in polvere. È in quest'ultimo suo stato
che dovete adoperarla mescolandola alla cenere, poi coll'acqua formatene una
poltiglia né troppo densa, né troppo liquida. In essa immergete le olive in modo
che, con qualche cosa che le prema, restino tutte coperte e tenetecele dalle
dodici alle quattordici ore, cioè fino a tanto che si saranno rese
alquanto morbide e perciò guardatele spesso tastandole. Alcuni osservano
se la polpa si distacca dal nocciolo; ma questa è una norma talvolta
fallace.
Levatele dalla poltiglia, lavatele a molte acque
e lasciatele nell'acqua fresca quattro o cinque giorni, ossia finché non
renderanno l'acqua chiara perdendo l'amaro, cambiando l'acqua tre volte al
giorno. Quando saranno arrivate al punto, mettete al fuoco gli otto decilitri
di acqua col detto sale e con diversi pezzetti di grossi gambi di finocchio
selvatico, fate bollire per alcuni minuti e con questa salamoia, versata
fredda, conservate le olive in vaso di vetro o in uno di terra invetriata.
La calce per bagnarla meglio immergetela con una
mano per un momento (cinque o sei secondi di minuto bastano) nell'acqua e
ponetela sopra a un foglio di carta.
787. FUNGHI SOTT’OLIO
Scegliete funghi porcini, chiamati altrimenti
morecci, i più piccoli che potete trovare, e se ve ne fossero frammisti
dei grossi quanto le noci, di questi fatene due parti. Dopo averli nettati bene
dalla terra e lavati, fateli bollire per venticinque minuti nell'aceto bianco;
ma se fosse molto forte correggetelo con un po' d'acqua. Tolti dal fuoco
asciugateli bene entro a un canovaccio e lasciateli all'aria fino al giorno
appresso. Allora collocateli in un vaso di vetro o di terra invetriata coperti
d'olio e con qualche odore che più vi piaccia. Chi ci mette uno spicchio
o due di aglio mondati, chi alcuni chiodi di garofano e chi una foglia di
alloro, che si può far bollire fra l'aceto. Si usa mangiarli col lesso.
788. MOSTARDA ALL’USO TOSCANO
Uva dolce 1/3 nera e 2/3 bianca, oppure tutta
bianca, come io la preferisco, chilogrammi 2.
L'uva ammostatela come fareste pel vino, e dopo
un giorno o due, quando avrà alzato, spremetene il mosto.
Mele rose o reinettes, chilogrammi l.
Due pere grosse.
Vino bianco, meglio vin santo, grammi 240.
Cedro candito, grammi 120.
Senapa bianca in polvere, grammi 40.
Le mele e le pere sbucciatele e tagliatele a
fette sottili, poi mettetele al fuoco col detto vino e quando l'avranno tirato
tutto versate il mosto. Rimestate spesso e quando il composto sarà
condensato alquanto più della conserva di frutta lasciatelo freddare ed
aggiungete la senapa, sciolta prima con un poco di vino ben caldo, e il candito
in minuti pezzetti. Conservatela in vasetti con sopra un sottil velo di cannella
in polvere. La senapa, per uso di tavola, eccita l'appetito e favorisce la
digestione.
789. CROSTA E MODO DI CROSTARE
Mi lo lecito di tradurre così i due
francesismi comunemente usati di glassa, glassare, lasciando ad altri la
cura d'indicare termini italiani più speciali e più propri. Parlo
di quell'intonaco bianco o nero oppure di altro colore che si suol fare sopra
alcuni dei dolci in addietro descritti, come la bocca di dama, il salame
inglese, le torte tedesche e simili, per renderli più appariscenti.
Per crostare di nero prendete grammi 50 di
cioccolata e grammi 100 di zucchero in polvere. La cioccolata grattatela e
mettetela al fuoco in una piccola cazzaruola con tre cucchiaiate d'acqua.
Sciolta che sia, aggiungete lo zucchero e fate bollire a lento fuoco rimestando
spesso. L'importante dell'operazione è di cogliere il punto della
cottura, il quale si conoscerà quando il composto si stende a filo
prendendone una goccia fra il pollice e l'indice; ma questo filo non lo esigete
più lungo di un centimetro, altrimenti il punto di cottura vi passa.
Levate allora la cazzaruola dal fuoco e ponetela nell'acqua fresca rimestando
sempre, e quando vedrete che il liquido diventa opaco alla superficie come
desse cenno di formare una tela, distendetelo sul dolce. Rimettete questo in
forno oppure sotto a un coperchio di ferro col fuoco sopra per due o tre minuti
e vedrete che la crosta prenderà un aspetto liscio, lucido e duro.
La crosta bianca si fa colla chiara d'uovo, lo
zucchero a velo, l'agro di un limone e il rosolio: piacendovi di colore roseo,
invece di rosolio servitevi di alkermes. Eccovi le proporzioni all'incirca per
ognuno dei dolci descritti: La chiara di un uovo, grammi 130 di zucchero, un
quarto di limone, una cucchiaiata di rosolio oppure tanto alkermes che dia il
suddetto colore. Sbattete bene ogni cosa insieme e quando il miscuglio è
sodo in modo da scorrere leggermente, distendetelo sul dolce, ed esso si
seccherà da sé senza metterlo al fuoco.
Se poi invece di distendere la crosta bianca
tutta unita, vi piacesse di ornare il dolce a disegno, provvedetevi da chi
vende simili oggetti per decorazione, certi piccoli imbuti di latta incisi in
cima che s'infilano entro a un sacchetto apposito; cose tutte di questo genere
che a nostra vergogna acquistiamo dalla Francia. In mancanza di questi
strumenti, potrete supplire alla meglio con cartocci di carta a cornetto, Posto
in essi il composto strizzate perché esca a fili sottili dal piccolo buco del
fondo. Se il composto della crosta bianca riesce troppo liquido quando lo
formate, aggiungete dello zucchero.
Un altro modo di crostare in bianco è
quello praticato pel Dolce alla napoletana n. 586, e poi andate a vedere i
dolci n. 644 e 645.
790. SPEZIE FINI
Se volete usare nella vostra cucina delle spezie
buone, eccovene la rìcetta:
Noci moscate, n. 2.
Cannella di Ceylan ossia della regina, grammi 50.
Pepe garofanato, grammi 30.
Chiodi di garofano, grammi 20.
Mandorle dolci, grammi 20.
Se vi aggiungete altre specie di droghe
all'infuori del macis, cioè l'arillo della noce moscata, che
è ottimo, non farete nulla di veramente buono; vi consiglio anche di non
imitare i droghieri, i quali, invece della cannella di Ceylan, adoperano la
cassialinea ossia cannella di Goa e vi buttano coriandoli a piene mani perché
questi fanno volume e costano poco.
Pestate ogni cosa insieme in un mortaio di
bronzo, passate le spezie da uno staccino a velo di seta e conservatele in un
vaso di vetro a tappo smerigliato, oppure in una boccetta col turo di sughero,
e vi si conserveranno anche per anni colla stessa fragranza del primo giorno.
Le spezie sono eccitanti, ma usate parcamente aiutano lo stomaco a digerire.
APPENDICE
CUCINA PER
GLI STOMACHI DEBOLI
Ora si sente spesso parlare della cucina per gli
stomachi deboli, la quale pare sia venuta di moda.
Bisognerà quindi dirne due parole senza
pretendere co' miei precetti né di rinforzare, né di appagare questi stomachi
di carta. Non è facile indicare con precisione scientifica quali siano i
cibi che più convengono ad un individuo indebolito dagli anni, dalle
malattie, dagli stravizi o debole per natura, perché abbiamo a competere con un
viscere capriccioso qual' è lo stomaco, ed anche perché ci sono alcuni
che digeriscono con facilità ciò che ad altri è indigesto.
Nonostante mi studierò indicare quei cibi
che, a mio parere, più convengono ad uno stomaco fiacco e di non facile
digestione, e partendomi dal primo ed unico alimento che la natura somministra
ai mammiferi appena nati - il latte - ritengo che di questo potete usare ed
abusare a piacere se non vi produce disturbi gastrici.
Poi, passando al brodo, che dev'essere ben
digrassato, il più confacente è quello di pollo, di castrato e di
vitella; ma prima d'indicarvi i cibi solidi che convengono meglio, sarà
bene richiamare alla memoria ciò che ho detto nelle poche norme d'igiene
in merito alla masticazione; e cioè che se questa è fatta
accuratamente, avviene che, per merito della maggiore salivazione, il cibo si
digerisce e si assimila più facilmente; mentre chi mastica in fretta e
inghiottisce cibi mal triturati, forza lo stomaco ad una elaborazione
più grave e la digestione riesce laboriosa e pesante.
Giova inoltre avere le sue ore stabilite per la
colazione e pel pranzo, il quale fatto a mezzogiorno o al tocco sarà
assai più igienico, perché vi dà campo di farci sopra una
passeggiata e un sonnellino di estate, stagione durante la quale il cibo
dev'essere più leggero e meno succulento che nell'inverno. Vi avverto
poi di non sbocconcellare fra giorno, e consiglio alle signore di non
debilitarsi lo stomaco coi continui dolciumi. Veramente non si dovrebbe
ricorrere al cibo se non quando lo stomaco chiede, con insistenza, soccorso, il
che si ottiene più specialmente con l'esercizio del corpo, perché questo
e la temperanza sono i due perni sui quali sta la salute.
MINESTRE
In quanto alle minestre, cominciando dai
capellini o pastine, non usate mai quelle di color giallo artificiale, ma
soltanto quelle fatte col gran duro, le quali non hanno bisogno di tinta perché
recano con sé stesse quel colorino naturale di cera, reggono alla cottura e
serbano, dopo cotte, quel senso in bocca di resistenza piacevole. Potrete
fors'anche tollerare le paste d'uova, i taglierini per esempio, purché tirati
finissimi, e i malfattini di pangrattato. Avete le zuppe semplici o con erbaggi
non ventosi; la tapioca (che io detesto per la sua mucosità), il riso
legato con qualche rosso d'uovo e parmigiano.
La Zuppa alla spagnola n. 40, la Zuppa di zucca
gialla n. 34, la Zuppa di acetosa n. 37, la Zuppa di pane d'uovo n. 41, la
Zuppa regina n. 39, la Zuppa ripiena n. 32, la Zuppa santé n. 36, la Panata n.
11, la Minestra di pangrattato n. 12, i Taglierini di semolino n. 13, le
Minestre di semolino composte n. 15 e 16, la Minestra del Paradiso n. 18,
quella di carne passata n. 19, quella di nocciuole di semolino n. 23, quella di
mille fanti n. 26, i Passatelli di semolino n. 48, i Passatelli di pangrattato
n. 20, sostituendo, se mai, al midollo,
Per le minestre di magro non saprei indicare che
i capellini o sopracapellini conditi con cacio e burro o col sugo, il riso
cotto nel latte, la farinata gialla nel latte se non vi produce acidità
allo stomaco, le Zuppe di pesce n. 65, 66 e 67, la Zuppa di ranocchi, escluse
le uova dei medesimi che fanno bruttura, n. 64.
In pari tempo bisognerà bandire dalla
cucina tutti gli aromi o al più lasciarne appena le tracce, visto che
non sono nelle grazie delle nostre delicate signore né di coloro di palato
troppo sensibile.
PRINCIPII
Sandwiches n. 114. Crostini di burro e acciughe
n. 113. Crostini di fegatini e acciughe n. 115. Crostini fioriti n. 117.
Prosciutto cotto, Sardine di Nantes servite col burro.
SALSE
Salsa alla maître d'hôtel n. 123. Salsa bianca n.
124. Salsa majonese n. 126. Salsa piccante I n. 127. Salsa gialla per pesce
lesso n. 129. Salsa olandese n. 130. Salsa per pesce in gratella n. 131.
UOVA
Le uova fresche sono un buon nutrimento e
facilmente assimilabile se ingerite né crude, né troppo cotte. Se vi attenete
alle frittate, preferite quelle miste con erbaggi e tenute sottili, e non
rivoltatele onde restino tenere. Sana è anche la frittata di sparagi n.
145, come pure i Rossi d'uovo al canapè n. 142.
FRITTO
Alcuni trovano il fritto alquanto pesante allo
stomaco per l'unto che assorbe in padella; nonostante i più tollerabili
sono quelli di cervello, animelle e schienali, i fritti di semolino, il fegato
di vitella di latte e, della coratella d'agnello, il solo fegato. Inoltre,
Pollo dorato I n. 205, Petti di pollo alla scarlatta n. 207, Granelli n. 174,
Frittelle di riso n. 179, Bombe e pasta siringa n. 183, Cotolette imbottite n.
220, Bracioline di vitella di latte all'uccelletto n. 221, Bocconi di pane
ripieni n. 223, Arnioni per colazione n. 292, Crocchette di animelle n. 197,
Crocchette di riso semplici n. 198, Fritto composto alla bolognese n. 175,
Saltimbocca alla romana n. 222, e diversi altri consimili che trovate
nell'elenco dei fritti.
LESSO
Il lesso si può servire impunemente con un
contorno di spinaci al burro o al sugo, ma tritati minutissimi; il cardone, gli
zucchini, i talli di rapa, gli sparagi sono gli erbaggi più sani ed
anche i fagiolini in erba, se sono fini, possono far parte del regime di un
convalescente. Il lesso di pollo o di cappone con un contorno di riso n. 245.
Non dimenticate il lesso di castrato che, in questo caso, è molto
opportuno.
ERBAGGI
Oltre agli erbaggi mentovati nel precedente
paragrafo, potete far uso dei Carciofi ritti n. 418; Cotolette di carciofi n.
187; Sformati di cardoni, spinaci, carciofi e finocchi n. 389, 390, 391 e 392.
Petonciani fritti e in umido n. 400 e 401. Sedani per contorno n. 412. Carciofi
in salsa n. 416.
TRAMESSI
Gnocchi di semolino n. 230. Gnocchi alla romana
n. 231. Carciofi in teglia n. 246.
RIFREDDI
Cappone in galantina n. 366. Cappone in vescica
n. 367. Arista n. 369. Lingua alla scarlatta n. 360. Pan di fegato n. 374.
UMIDI
Gli umidi più sani e delicati, a parer
mio, sono i seguenti: Fricassea n. 256. Cibreo n. 257. Soufflet di pollo n.
259. Braciole di manzo o di vitella alla sauté n. 262. Lombata di castrato
ripiena n. 296. Pollo in salsa d'uovo n. 266. Petti di pollo alla sauté n. 269
con l'agro di limone. Girello alla brace n. 299. Scannello annegato n. 301.
Scaloppine alla livornese n. 302. Cotolette di vitella di latte in salsa d'uovo
n. 311. Cotolette col prosciutto n. 313. Quenelles n. 317. Vitella di latte in
guazzetto n. 325. Filetto con la marsala n. 340. Filetto alla parigina n. 341.
Sformato della signora Adele n. 346. Umido incassato n. 350. Pollo o Cappone in
galantina n. 366, ed anche, come piatto appetitoso, il Vitello tonnato n. 363.
PESCI
I pesci comuni più digeribili sono il
nasello o merluzzo, specialmente se lessato e condito coll'olio e l'agro del
limone, ed anche in gratella; la sogliola, il rombo, lo storione, l'ombrina, il
ragno, il dentice, l'orata, il palombo (Rotelle di palombo in salsa n. 464), ed
anche le triglie fritte o in gratella; ma escludete dalla vostra cucina tutte
le specie dei pesci turchini che sono i meno digeribili.
CARNI ARROSTITE
Le carni in genere, purché non dure o tigliose,
son cibo omogeneo al corpo umano e, se arrostite, di facile assimilazione. Fra
queste è da preferirsi il pollame, specialmente la Gallina di Faraone,
n. 546, e la vitella di latte; può venire anche opportuna la Bistecca
alla fiorentina n. 556, specialmente se nel filetto, la Bistecca nel tegame n.
557, la Braciuola di manzo alla sauté o in teglia n. 262 e il Rosbiffe n. 521 e
522. Poi avete le Costolette di vitella di latte alla milanese n. 538 e le
costolette di castrato che sono eccellenti. La Vitella di latte arrosto n. 524,
Arrostini di vitella di latte alla salvia n. 327, il Cosciotto di castrato n.
530, il Cosciotto di capretto allo spiedo o arrosto morto, le Quagliette n.
536, il Pollo alla Rudinì n. 544 e il Tacchinotto trattato come la
Gallina di Faraone n. 546. Eccellente l'arrosto morto n. 526 col contorno di
piselli, se questi non vi disturbano. Le carni di piccione, di tacchino adulto
e degli uccelli sono giudicate molto nutrienti, ma calorose; quindi adagio con
queste per serbarle a tempo più opportuno.
INSALATA
Poche sono le insalate che posso indicarvi come
salubri, ma nel caso vostro preferirei le seguenti: il radicchio cotto misto
colla barbabietola cotta in forno se grossa o lessata se piccola; gli Sparagi
n. 450, gli Zucchini n. 376, 377 e 378 e i Fagiolini in erba ben fini n.380,
381 e 382.
DOLCI
In quanto ai dolci lascio la scelta a voi che
così, ad occhio e croce, potete giudicare quelli che più vi
convengono; però vi avverto che le paste frolle e le paste sfoglie sono
indigeste, come anche le paste senza lievito alcuno. Se soffrite di stitichezza
vi raccomando le mele e le pere cotte, le prugne giulebbate, le
albicocche e le pere in composta e qualora l'intromissione del latte non
v'imbarazzi lo stomaco potete giovarvi del Latte brûlé n. 692, del Latte
alla portoghese n. 693, nonché dei Latteruoli n. 694 e 695.
FRUTTA
Non fate uso che di frutta sana e ben matura a
seconda della stagione. Nell'inverno escludete le frutta secche, profittando di
qualche dattero, di qualche arancio o di qualche mandarino; ma tenete in gran
conto la pera spina la quale, se accompagnata da un pezzetto di formaggio a
vostra scelta (ammesso che lo stomaco possa sopportarlo) è, come tutti
sanno, un piacevole tornagusto. Nelle altre stagioni sceglierete fra le uve, la
eccellente salamanna, il moscatello e l'aleatico; fra le pere la spadona, che
è tanto succosa, la susina claudia, la pesca burrona, le ciliege more,
le albicocche, le mele, se son tenere. Ma fate un sacrificio alla ghiottoneria
escludendo le fragole dalla vostra tavola poiché, pei troppi loro semini,
riescono nocive: più innocui forse sono i fragoloni, ma meno fragranti.
GELATI
Si possono permettere i gelati, specialmente di
frutta, alla fine del pranzo o dopo compiuta la digestione.
VINI E LIQUORI
Il vino da pasteggiare più confacente agli
stomachi deboli ritengo sia il bianco asciutto e stimo ottimo, per la sua
piacevolezza al gusto e perché molto digeribile, quello di Orvieto, che
può servire anche al dessert e per quest'uso avete il vin santo,
il vino d'Asti spumante, la malaga ed altri simili che sono in commercio; ma di
questi chi se ne fida? In quanto ai liquori farete bene ad escluderne l'uso dal
vostro regime anche perché dall'uso si può passare all'abuso che sarebbe
fatale; si può fare soltanto un'eccezione pel cognac, senza abusarne,
però. Qui pongo fine, e ripeto col poeta:
Messo t'ho innanzi: omai per te ti ciba.
COLAZIONI
ALLA FORCHETTA
Qualcuno mi
ha domandato che regola si debba tenere per le colazioni alla forchetta. Se
trattasi di colazioni semplici, come sono ordinariamente quelle delle locande o
delle tavole rotonde, la risposta è facile.
La base è sempre un piatto di carne, caldo
ed abbondante, con un contorno; ma questo dev'essere preceduto da una minestra
asciutta o da principio. Se trattasi di minestre, avete tutta la serie dei risotti
e delle paste variamente condite; se di principio, vengono opportune le
frittate, le uova al burro, le uova affogate con qualche salsa piccante; i
rifreddi con gelatina; oltre a ciò, l'affettato di salumi, il caviale e
le sardine di Nantes, accompagnati dal burro, oppure un fritto di pesce.
Per ultimo, frutta e formaggio, e se avrete
conserve o gelatine di frutta, queste saranno aggradite specialmente dalle
signore; infine un buon caffè che predispone al pranzo.
NOTE DI
PRANZI
Poiché spesso avviene che dovendo dare un pranzo
ci si trovi imbarazzati sulla elezione delle vivande, ho creduto bene di
descrivervi in quest’appendice tante distinte di pranzi che corrispondano a due
per ogni mese dell’anno, ed altre dieci da potersi imbandire nelle principali
solennità, tralasciando in queste il dessert poiché, meglio che io non
farei, ve lo suggerisce la stagione con le sue tante varietà di frutta.
Così, se non potrete stare con esse alla lettera, vi gioveranno almeno
come una scorta per rendervi più facile il compito della scelta.
CAPO D’ANNO
Minestra in brodo. Composto
dei cappelletti di Romagna n. 7, senza sfoglia.
Fritto. Cotolette imbottite n. 220.
Umido. Bue alla brace n. 298, con carote,
o Cotolette coi tartufi n. 312.
Rifreddo. Pasticcio di cacciagione n. 370.
Arrosto. Anatra domestica e Piccioni 528,
con insalata.
Dolci. Gâteau à la noisette n. 564. –
Dolce Torino n. 649.
GENNAIO
I
Minestra in brodo. Tortellini
alla bolognese n. 9.
Lesso. Cappone con contorno di riso n. 245.
Fritto. Pasta siringa n. 183. – Crocchette
di animelle n. 197.
Tramesso. Zampone o coteghino con Tortino di
patate n. 446 o n. 447.
Erbaggi. Sedani al sugo n. 412.
Arrosto. Tordi n. 528, e insalata.
Dolci. Torta ricciolina n. 579. – Pudding
Cesarino n. 671.
Frutta e formaggio. Pere, mele,
aranci e frutta secca.
II
Minestra in brodo. Nocciuole
di semolino n. 23 o Bomboline di patate n. 29.
Lesso. Un pesce con contorno n. 459.
Umido. Cignale dolce-forte o Lepre in
dolce-forte n. 285.
Tramesso. Pasticcini di pasta sfoglia ripieni
di carne n. 161.
Arrosto. Rosbiffe allo spiede, con patate e
insalata n. 521 o 522.
Dolci. Pasta margherita n. 576. – Bianco
mangiare n. 681.
Frutta e formaggio. Pere, mele,
mandarini e frutte secche diverse.
FESTA DELLA BEFANA
Minestra in brodo. Zuppa alla
spagnola n. 40.
Fritto. Animelle o cervello misto col
Fritto alla Garisenda n. 224.
Lesso. Cappone, con sedani al sugo n. 412.
Umido. Sformato di riso col sugo guarnito
di rigaglie n. 345.
Arrosto. Tordi n. 528, o Beccacce coi
crostini n. 112.
Dolci. Sfogliata di marzapane n. 566. –
Pasticcini di pasta beignet coperti di cioccolata n. 647 o Dolce Roma n.
648.
BERLINGACCIO
Minestra asciutta. Pappardelle
con la lepre n. 95, o Maccheroni alla bolognese n. 87.
Principii. Crostini di tartufi n. 109.
Umidi. Budino alla genovese n. 347.
Tramesso. Zampone o Salame dal sugo di
Ferrara n. 238, con Sauer-kraut n. 433.
Arrosto. Cappone con insalata, o Cappone
tartufato n. 540.
Dolci. Dolce Torino n. 649, e Gelato di aranci
n. 763.
FEBBRAIO
I
Minestra in brodo. Agnellotti
n. 8.
Lesso. Pollo e vitella con Spinaci al sugo
n. 448.
Rifreddo. Pane di lepre n. 373.
Umido. Cotolette
di vitella di latte coi tartufi alla bolognese n. 312.
Arrosto. Uccelli e
beccacce n. 528, con insalata.
Dolci. Savarin n.
563. – Crema alla francese n. 688.
Frutta e
formaggio. Pere, mele e frutte secche diverse.
II
Minestra in
brodo. Zuppa ripiena n. 32.
Principii. Crostini
diversi n. 113.
Lesso. Pollastra
con Passato di patate n. 443 o Cavolo verzotto n. 453.
Umido. Pasticcio
di maccheroni n. 349.
Arrosto. Gallina di
Faraone n. 546 e piccioni.
Dolci. Pizza alla
napoletana n. 609. – Pezzo in gelo (Biscuit) n. 753.
Frutta e
formaggio. Pere, mele, mandarini e frutta secca.
MARZO
I (Pranzo di
magro)
Minestra. Zuppa di
ranocchi n. 64 o Zuppa alla certosina n. 66.
Principii. Crostini di
caviale e acciughe n. 113.
Tramesso. Pasticcio
di magro n. 502 o Rotelle di palombo n. 464.
Erbaggi. Sformato di
spinaci n. 390.
Arrosto. Pesce in
gratella, con Salsa n. 131.
Dolci. Tortelli di
ceci n. 624. – Crema montata n. 689.
Frutta. Pere, mele
e frutta secca.
II
Minestra in
brodo. Passatelli all’uso di Romagna n. 20.
Lesso. Un pesce
grosso, con Salsa maionese n. 126.
Umido. Filetto
alla finanziera n. 338.
Tramesso. Crostini di
capperi n. 108.
Arrosto. Braciuola
di manzo ripiena n. 537.
Dolci. Torta
mantovana n. 577. – Gelato di crema n. 759 o Gelato di torrone n. 768.
Frutta e
formaggio. Frutte diverse e Biscotti n. 571.
PRANZO DI
QUARESIMA
Minestra. Zuppa nel
brodo di pesce n. 65, o Zuppa alla certosina n. 66.
Principii.
Baccalà montebianco n. 118, con Crostini di caviale n. 113.
Lesso. Pesce con
Salsa genovese n. 134.
Tramesso. Gnocchi
alla romana n. 231.
Umido. Pesce a
taglio in umido n. 461.
Arrosto. Anguilla n.
491.
Dolci. Pasticcini
di marzapane n. 628, e Gelato di pistacchi n. 767.
APRILE
I
Minestra in
brodo. Mattoncini di ricotta n. 25.
Lesso. Vitella con
sparagi in Salsa bianca n. 124.
Tramesso. Pagnottelle
ripiene n. 239.
Erbaggi. Sformato di
carciofi n. 391.
Arrosto. Vitella di
latte con insalata.
Dolci. Panettone
Marietta n. 604 – Latte brûlé n. 692, con Cialdoni n. 621.
Frutta e
formaggio. Baccelli, càtere ossia mandorle tenere col guscio, e
Pasta Maddalena n. 608.
II
Minestra in
brodo. Panata n. 11.
Fritto. Krapfen n. 182.
Umido. Pollo
disossato ripieno n. 258, con piselli.
Tramesso. Gnocchi
alla romana n. 231.
Arrosto. Agnello
pasquale con insalata e uova sode.
Dolci. Dolce alla
napoletana n. 586. – Gelato di cioccolata n. 761.
Frutta e
formaggio. Frutta fresca di stagione e Stiacciata alla livornese n. 598.
MAGGIO.
I
Minestra in
brodo. Zuppa alla spagnuola n. 40.
Principii. Crostini di
fegatini di pollo n. 110.
Umido. Umido
incassato n. 350.
Erbaggi. Piselli
alla francese n. 424 o 425.
Arrosto. Braciuola
di manzo ripiena n. 537, con patate novelline e insalata.
Dolci. Torta alla
marengo n. 581. – Gelato di limone n. 754.
Frutta e
formaggio. Frutte diverse e fragole lavate col Chianti o vino rosso e
aggraziate con zucchero a velo e marsala.
II
Minestra in
brodo. Zuppa santé n. 36.
Fritto. Composto
alla bolognese n. 175. – Carciofi n. 186. – Zucchini n. 188.
Umido. Timballo di
piccioni n. 279.
Erbaggi. Sparagi al
burro n. 450.
Arrosto. Vitella di
latte, con contorno di Carciofi ritti n. 418.
Dolci. Offelle di
marzapane n. 615. – Gelato di fragole n. 755.
Frutta e
formaggio. Frutta di stagione, e Amaretti n. 626 o n. 627.
PASQUA D’UOVO
Minestra in
brodo. Panata n. 11, o Minestra del Paradiso n. 18.
Fritto. Carciofi,
animelle e Bocconi di pane ripieni n. 223.
Umido. Manicaretto
di piccioni n. 278.
Tramesso. Soufflet
di farina di patate n. 705, o Gnocchi alla romana n. 231.
Arrosto. Agnello e
insalata.
Dolci. Latte alla
portoghese n. 693. – Stiacciata alla livornese n. 598.
GIUGNO
I
Minestra in
brodo. Strichetti alla bolognese n. 51.
Fritto. Fegato di
vitella di latte, animelle, cervello e funghi.
Umido. Piccioni
coi piselli n. 354.
Tramesso. Zucchini
ripieni n. 377.
Arrosto. Galletti di
primo canto e insalata.
Dolci. Bocca di
dama n. 585. – Gelato di visciole n. 762.
Frutta e
formaggio. Frutta di stagione e pasticcini di pasta beignet n.
631.
II
Minestra in
brodo. Zuppa di purè di piselli n. 35.
Fritto. Cotolette
di vitella di latte. – Crema n. 214. – Zucchini n. 188.
Lesso. Di vitella
rifatto n. 355, con contorno di funghi.
Erbaggi. Sformato di
fagiolini n. 386.
Arrosto. Galletti
con Insalata maionese n. 251.
Dolci. Quattro
quarti all’italiana n. 612. – Zuppa di visciole n. 678.
Frutta e
formaggio. Frutta fresca di stagione.
LUGLIO
I
Minestra in
brodo. Bomboline di farina n. 24.
Lesso. Pollastra
ripiena n. 160.
Umido. Sformato di
zucchini n. 451, ripieno di rigaglie e di bracioline di vitella di latte.
Tramesso. Soufflet
di Luisetta n. 704.
Arrosto. Vitella di
latte, con Insalata russa n. 454.
Dolci. Biscotto
alla sultana n. 574. – Gelatina di lampone in gelo n. 718.
Frutta e
formaggio. Pesche, albicocche ed altre di stagione.
II
Minestra in
brodo. Minestra di carne passata n. 19.
Principii. Fichi col
prosciutto.
Umido. Pollo
disossato ripieno n. 258.
Rifreddo. Vitello
tonnato n. 363.
Tramesso. Pan di
fegato n. 374.
Arrosto. Piccioni e
pollastri con Insalata maionese n. 251.
Dolci. Plum-cake
n. 673. – Croccante a bagno-maria in gelo n. 690.
Frutta e
formaggio. Frutte diverse di stagione.
PASQUA DI
ROSE
Minestra in
brodo. Minestra di semolino composta n. 16, o di carne passata n. 19.
Lesso. Pollastra
ingrassata, con Sparagi in salsa n. 124.
Umido. Vitella di
latte in guazzetto n. 325, con Zucchini ripieni n. 377, o Umido incassato n.
350.
Tramesso. Sformato di
fagiuolini n. 386.
Arrosto. Quagliette
n. 536, con Insalata maionese n. 251.
Dolci. Zuppa
inglese n. 675, e Macedonia n. 772.
FESTA DELLO
STATUTO
Minestra in
brodo. Passatelli di semolino n. 48.
Fritto. Pollo
dorato n. 205 o 206, con Perine di riso n. 202.
Umido. Timballo di
piccioni n. 279.
Erbaggi. Fagiuolini
con la balsamella n. 381.
Arrosto. Lombata di
vitella di latte n. 524, con patate e insalata.
Dolci. Torta alla
marengo n. 581. – Gelato di ribes n. 764.
Agosto
I
Minestra in
brodo. Taglierini.
Principii. Popone col
prosciutto e vino generoso perché giusta il proverbio:
Quando sole
est in leone
Pone muliem
in cantone
Bibe vinum
cum sifone.
Lesso. Vitella,
con Fagiuolini dall’occhio all’aretina n. 383, o con Fagiuolini con la
balsamella n. 381.
Tramesso. Vol-au-vent
ripieno di rigaglie n. 161.
Umido. Cotolette
di vitella di latte col prosciutto n. 311.
Arrosto. Tacchinotto
n. 549, con insalata.
Dolci. Pere in
composta n. 709. – Crema montata in gelo n. 689, oppure Bavarese lombarda n.
674.
Frutta e
formaggio. Frutte diverse di stagione.
II
Minestra in
brodo. Zuppa regina n. 39.
Lesso. Arigusta
con salsa maionese n. 476.
Umido. Petti di
pollo alla sauté n. 269.
Erbaggi. Sformato di
zucchini n. 451.
Arrosto. Anatra
domestica, piccioni e insalata.
Dolci. Pesche
ripiene n. 697. – Gelato di lampone n. 756.
Frutta e
formaggio. Popone, fichi ed altre frutte di stagione.
QUINDICI
AGOSTO
Minestra in
brodo. Riso con le quaglie n. 44, o Minestra di semolino composta n.
16.
Fritto. Pasta
siringa n. 183. – Fritto alla romana n. 176.
Umido. Bue alla
moda n. 297, con Tortino di zucchini n. 445.
Tramesso. Pollo in
salsa tonnata n. 365.
Arrosto. Pollastri
giovani con insalata.
Dolci. Babà
n. 565, o Dolce alla napoletana n. 586. – Spumone di the n. 771, o Gelato di
cioccolata n. 761.
SETTEMBRE
I
Minestra in
brodo. Zuppa di ovoli n. 33.
Principii. Fichi con
prosciutto e acciughe salate.
Fritto. Bocconi di
pane n. 223, ripieni di animelle e cervello.
Tramesso. Sformato di
funghi n. 452, ripieno di rigaglie.
Arrosto. Tacchinotto
n. 549, con insalata, o Pollo alla Rudinì n. 544.
Dolci. Babà
n. 565. Gelato di latte di mandorle n. 773, o Zorama n. 774.
Frutta e
formaggio. Pesche, uva ed altre frutte di stagione.
II
Minestra in
brodo. Minestra di semolino composta n. 15 o 16.
Fritto. Sogliole,
totani e funghi fritti.
Umido. Anatra
domestica con Pappardelle all’aretina n. 91.
Arrosto. Rosbiffe
allo spiede con patate n. 521, e insalata.
Dolci. Crostata di
conserva di frutta n. 616. – Budino di mandorle tostate n. 669.
Frutta e
formaggio. Frutte diverse di stagione e cialdoni n. 621.
OTTO
SETTEMBRE
Minestra in
brodo. Risotto alla milanese III n. 80.
Fritto. Sogliole,
totani e funghi.
Umido. Fricassea
di muscolo di vitella di latte n. 256.
Tramesso. Crostini di
capperi n. 108, o Soufflet di farina di patate n. 705.
Arrosto. Cosciotto
di castrato n. 530.
Dolci. Torta coi
pinoli n. 582. – Biscotto da servirsi con lo zabaione n. 683, o Budino di
cioccolata n. 667, coperto di panna montata.
OTTOBRE
I
Minestra in
brodo. Gnocchi n. 14.
Lesso. Cappone con
spinaci.
Rifreddo. Lingua alla
scarlatta n. 360, con Gelatina n. 3.
Tramesso. Pasticcini
di pasta sfoglia ripieni di carne n. 161.
Arrosto. Tordi con
crostini n. 528 e insalata.
Dolci. Torta di
zucca gialla n. 640. – Sformato di conserve n. 680.
Frutta e
formaggio. Frutte diverse e mandarini.
II
Minestra in
brodo. Bomboline di riso n. 30.
Fritto. Costolette
di agnello vestite n. 236.
Tramesso. Triglie col
prosciutto n. 468.
Umido. Uccelli in
salmì n. 283.
Arrosto. Gallina di
Faraone n. 546, e piccioni.
Dolci. Zuppa
tartara n. 676. – Strudel n. 559, o Dolce alla napoletana n. 586.
Frutta e
formaggio. Pere, mele, nespole, sorbe, uva.
NOVEMBRE
I
Minestra. Maccheroni
alla francese n. 84, o Zuppa col sugo di carne n. 38.
Umido. Germano con
contorno di lenticchie intere o cavolo nero n. 270.
Tramesso. Pane di
lepre n. 373.
Erbaggi. Cavolfiore
colla balsamella n. 431, o Sformato di cavolfiore n. 387.
Arrosto. Sfilettato
tartufato n. 523.
Dolci. Sformato di
savoiardi n. 684. – Gelatina di arancio in gelo n. 714.
Frutta e
formaggio. Pere, mele, aranci e frutta secca.
II
Minestra in
brodo. Tortellini di carne di piccione n. 10, o Zuppa di zucca gialla
n. 34.
Principii. Crostini di
tartufi n. 109.
Lesso. Pollastra
ripiena n. 160.
Umido. Coteghino
fasciato n. 322.
Erbaggi. Sformato di
spinaci n. 390, o di finocchi n. 392.
Arrosto. Pesce di
maiale n. 552, e Uccelli n. 528.
Dolci. Presnitz n.
560. – Pasticcio a sorpresa n. 713, o Sformato di savoiardi con lo zabaione n.
684.
Frutta e
formaggio. Pere, mele, mandarini e frutta secca.
NATALE
Minestra in
brodo. Cappelletti all’uso di Romagna n. 7.
Principii. Crostini di
fegatini di pollo n. 110.
Lesso. Cappone,
con uno Sformato di riso verde n. 245.
Rifreddo. Pasticcio
di lepre n. 372.
Arrosto. Gallina di
Faraone n. 546, e uccelli.
Dolci. Panforte di
Siena. – Pane certosino di Bologna. – Gelato di mandorle tostate n. 759.
DICEMBRE
I (Pranzo di
magro)
Minestra. Tortelli n.
55, o Risotto colle telline n. 72.
Principii. Crostini
col caviale, con acciughe, olio e agro di limone n. 113.
Fritto. Sogliole,
totani e triglie.
Erbaggi. Cardoni
colla balsamella n. 407, o Crescioni n. 195.
Arrosto. Anguilla od
altro pesce.
Dolci. Croccante
n. 617. – Mele in gelatina n. 696. – Aranci a fette, aggraziati con zucchero a
velo e alkermes.
Frutta. Pere, mele
e frutta secca.
II
Minestra. Cappelletti
all’uso di Romagna n. 7.
Umido. Sformato
della signora Adele n. 346.
Rifreddo. Cappone in
galantina n. 366, o Tordi disossati in gelatina n. 368.
Arrosto. Di lepre n.
531, o di beccaccia n. 112, e insalata.
Dolci. Panforte. –
Torta di pane bruno alla tedesca n. 644. – Plum-pudding n. 672.
Frutta e
formaggio. Pere, mele, mandarini e datteri.